Riassunto Manuale Di Diritto Penitenziario Della Casa Giostra
Riassunto Manuale Di Diritto Penitenziario Della Casa Giostra
DIRITTO PENITENZIARIO
INTRODUZIONE
ÒEssere e dover essere nellÕesecuzione penitenziariaÓ
La storia della Òquestione penitenziariaÓdimostra che, nel nostro Paese, vi • sempre uno scarto, di
entitˆ mutevole nel tempo, tra le norme costituzionali e sovranazionali, da un lato, e la disciplina
legislativa dellÕesecuzione penitenziaria, dallÕaltro, nonchŽ tra questa e la realtˆ carceraria.
La dignitˆ e una serie di diritti individuali devono essere sempre garantiti.
Il legislatore si muove anche sulla base del consenso elettorale e brandisce lo strumento punitivo
come arma demagogica (inasprimento sanzionatorio e del rigore carcerario come strada di contrasto
alla criminalitˆ).
LÕordinamento penitenziario del 1975 ha apportato cambiamenti non rivoluzionari, sebbene esso sia
uno dei pi• avanzati del mondo occidentale.
In Italia il carcere rappresenta un problema, la maggior parte di essi infatti non consente di
rispettare i parametri fondamentali sanciti dalla Convenzione europea per i diritti umani, in altri vi •
scarsa offerta delle misure alternative alla detenzione, problemi di sovraffollamento ecc. Il carcere
rappresenta quindi un problema di cronica attualitˆ, accentuato dal cono dÕombra in cui vive la
questione carceraria.
Il carcere nellÕantichitˆ
Il carcere allÕepoca non era un luogo Þnalizzato alla rieducazione, ma solo un luogo di detenzione.
Aveva lo scopo di salvaguardare la sicurezza sociale e isolare dalla collettivitˆ coloro che avevano
violato lÕordine costituito, rinchiudendoli in appositi istituti.
Si poneva per˜ giˆ la questione penitenziaria Ñ> un problema inizialmente avvertito solo dal
punto di vista della custodia, essendo la pena intesa come vendetta sociale e mirando gli
ordinamenti ad annullare il colpevole del reato pi• che a rieducarlo
Il carcere era visto come ediÞcio atto a custodire il reo, che sconta pene corporali (fustigazione,
tortura, morte) o pene pecuniarie (conÞsca parziale o totale dei beni).
Il movimento illuminista
La detenzione, Þno almeno alla metˆ del XVIII secolo, non era una pena, ma rappresentava un
mezzo per impedire allÕimputato, in attesa di una condanna, che si sottraesse allÕesecuzione della
stessa.
Carcere come luogo attiguo al tribunale, concepito come luogo di custodia provvisoria per imputati
in attesa di giudizio o di esecuzione della pena.
Solo verso la metˆ del XVIII secolo il carcere fu inteso come luogo di espiazione delle pene
detentive e acquist˜ rilevanza sociale.
Si deve allÕopera di Cesare Beccaria lÕelaborazione di principi innovatori che ispireranno i
successivi interventi in materia penitenziaria:
- umanizzazione della pena, intesa come castigo inßitto nei limiti della giustizia in proporzione al
crimine commesso e non secondo lÕarbitrio del giudice
- pena come mezzo di prevenzione e sicurezza sociale, non come pubblico spettacolo deterrente
per la sua crudeltˆ
Regime fascista
Regio decreto 18 giugno 1931, n. 787 - ÒRegolamento per gli istituti di prevenzione e di penaÓ
¥ tre leggi fondamentali sulla vita carceraria (lavoro, istruzione civile e pratiche religiose), ogni
altra attivitˆ • vietata e oggetto di sanzioni disciplinari
¥ rigida separazione tra mondo carcerario e realtˆ esterna
¥ atomizzazione dei detenuti, impedendo loro qualsiasi collegamento
¥ esclusione dal carcere di qualsiasi persona estranea (carcere come istituzione chiusa)
¥ obbligo di chiamare i detenuti con il numero di matricola, vengono disumanizzati
Vi sono poi una serie di articoli della Costituzione riferibili anche a coloro che sono detenuti presso
strutture carcerarie:
¥ art. 3 co. 1 Cost. Ñ> principio di uguaglianza
¥ art. 15 Cost Ñ> segretezza della corrispondenza
¥ art. 19 Cost. Ñ> diritto di professare liberamente la propria fede religiosa
¥ art 32 Cost. Ñ> diritto alla salute
In tutti gli ordinamenti penitenziari degli Stati democratici si • andata consolidando, come regola
base, quella secondo cui i condannati, e a maggior ragione gli imputati, conservano tutti i diritti il
cui esercizio non sia incompatibile con lÕesecuzione della pena detentiva o della misura coercitiva
in ambito carcerario.
Questo articolo rappresenta la direttiva fondamentale che scolpisce il principio cardine che deve
ispirare lÕesecuzione della pena detentiva.
Il principio del Þnalismo rieducativo non pu˜ trovare attuazione solo nella fase dellÕesecuzione
della pena perchŽ il conseguimento dellÕobiettivo indicato dallÕart. 27 co. 3 risulterebbe
pregiudicato se a tale principio non si ispirassero sia il legislatore quando commina una sanzione
penale, sia il giudice quando emette una sentenza di condanna.
LÕart. 27 • stato oggetto di ulteriori puntualizzazioni operate dalla dottrina, nonchŽ dalla Corte
costituzionale nella sua copiosa giurisprudenza sul tema della rieducazione del condannato. In
particolare, si • sottolineato che esiste una stretta connessione tra la prima e la seconda parte
dellÕarticolo. Nella prima parte viene espresso il divieto di trattamenti contrari al senso di umanitˆ;
nella seconda si enuncia il principio del Þnalismo rieducativo della pena. Trattamenti inumani nei
confronti del detenuto comprometterebbero lÕobiettivo della rieducazione.
ÒPeneÓ = il termine pene comprende non solo lÕintero catalogo delle species sanzionatorie, ma
anche ogni pena in concreto irrogata indipendentemente dal reato e dal suo autore.
ÒTendereÓ = ha un doppio signiÞcato.
Da una parte sta a signiÞcare che ci si trova di fronte ad una norma programmatica, di una norma
cio• che, limitandosi ad esprimere un valore, non pone alcun obbligo di attuazione al legislatore
ordinario.
DallÕaltra parte, invece, sta ad indicare un connotato teleologico che deve contrassegnare il
trattamento punitivo e che costituisce un preciso impegno per il legislatore ordinario volto ad
eliminare ogni preclusione al progressivo reinserimento sociale del condannato.
ÒRieducazioneÓ = questo termine viene utilizzato per indicare la meta Þnale del volontario percorso
trattamentale del condannato.
In una fase iniziale ci si riferiva principalmente alle acquisite positivitˆ riscontrabili nel foro interno
del condannato, al miglioramento morale (es. il suo pentimento). In seguito si • partiti della
premessa che dalla nostra Costituzione emerge chiaramente la scelta di precludere a qualsiasi
organismo e per qualunque ragione unÕintromissione nella coscienza dellÕindividuo da parte di uno
Stato laico. Di qui lÕopinione condivisa che il termine rieducazione deve essere inteso come
sinonimo di Òreinserimento socialeÓ.
Tendere alla rieducazione signiÞca che il reinserimento sociale non pu˜ essere nŽ imposto, nŽ certo,
nŽ impossibile. Occorre per˜ mettere il condannato nelle condizioni migliori per poter approdare
alla re-inclusione.
↓ MA ↓
- Oltre a questi testi a largo raggio, il Comitato dei Ministri del Consiglio dÕEuropa ha elaborato
varie altre Raccomandazioni che riguardano, invece, aspetti speciÞci dellÕesecuzione penitenziaria.
Per esempio:
¥ Raccomandazione 2018 sui Þgli delle persone detenute
¥ Raccomandazione 2017 sulle sanzioni e misure di comunitˆ
¥ Raccomandazione 2014 sui condannati pericolosi
Ci˜ che accomuna le Raccomandazioni • il carattere non vincolante delle linee guida in esse
contenute. Per questo vengono considerate fonti di soft law.
- Diversa • invece la natura delle Convenzioni, in quanto gli Stati che hanno proceduto alla loro
ratiÞca sono tenuti ad assumere le necessarie iniziative sul piano del diritto interno afÞnchŽ le loro
disposizioni vengano rispettate.
Le due Convenzioni che maggiormente hanno inciso sul processo di umanizzazione delle
condizioni detentive sono:
¥ la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellÕuomo e delle libertˆ fondamentali
(Cedu), Þrmata a Roma nel 1950
¥ la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e
degradanti, adottata nel 1987
Anche se in questo caso si • di fronte a veri e propri trattati internazionali, le cui disposizioni sono
vincolanti, sussiste pur sempre il rischio che nella realtˆ il vincolo sia considerato eccessivamente
elastico o addirittura ignorato da taluni Stati Þrmatari. Per questo, in entrambe le Convenzioni sono
previsti due organismi creati per assicurarne il rispetto:
1. Corte europea dei diritti dellÕuomo (Corte edu) Ñ> meccanismo di controllo postumo di
natura riparatoria azionabile dinanzi ad un organo giurisdizionale che si pronuncia in merito alle
violazioni della Cedu denunciate dalla parte ricorrente (condizioni di rilevabilitˆ del ricorso,
presupposti per ammissibilitˆ)
2. Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o
degradanti (CPT) Ñ> esercita un controllo preventivo, attraverso visite, anche non
preannunciate, di tipo ispettivo nelle strutture dei Paesi Þrmatari in cui si trovano individui
privati della libertˆ personale (in primis nelle carceri). Al termine di tali visite viene redatta una
relazione in cui vengono esposti dettagliatamente i risultati dei singoli accessi.
I membri del CPT (uno per ogni Stato) sono esperti indipendenti, dotati di competenze anche
extra-giuridiche, con mandato di durata di 4 anni, rinnovabile per due volte. Ciascun
componente non pu˜ partecipare alle visite ispettive che riguardano il proprio paese di
appartenenza, come garanzia di imparzialitˆ.
In Italia esiste anche un Meccanismo nazionale di prevenzione, le cui funzioni sono svolte dal
Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertˆ personali.
La Cedu • una carta generale dei diritti, per questo non individua regole precise di trattamento dei
detenuti o chiari canoni alla cui osservanza ricollegare lÕassenza di violazione dei diritti
fondamentali.
ART. 3 CEDU
ÒNessuno pu˜ essere sottoposto a tortura nŽ a trattamenti inumani o degradantiÓ
Questo articolo si basa sul criterio della gradualitˆ: non vi pu˜ essere tortura senza un trattamento
inumano o degradante e ogni trattamento inumano non pu˜ non essere nello stesso tempo
degradante.
Tortura Ñ> interventi che deliberatamente provocano forti sofferenze Þsiche e psicologiche, spesso
al Þne di conseguire un determinato risultato. Si tratta di una vera e propria disintegrazione della
persona, indipendentemente dal fatto che venga esercitata anche solo sulla sua psiche.
Trattamenti inumani Ñ> vengono collocati in una posizione molto vicina alla tortura, dalla quale
si differenziano solo per il minore grado di sofferenza provocata
Trattamenti degradanti Ñ > lÕarea dei trattamenti degradanti • stata progressivamente estesa dalla
giurisprudenza: vi rientrano tutte le situazioni che sviliscono il detenuto, pregiudicando la sua
dignitˆ (termine che, tuttavia, non Þgura nella Cedu), comprendendo le condizioni fattuali della
detenzione come il sovraffollamento
Il divieto di cui allÕart. 3 Cedu • dichiarato inderogabile, pur in presenza di una qualsiasi situazione
di emergenza, compreso lo stato di guerra.
LÕart. 3 Cedu, nella sua lettura di disposizione diretta a tutelare la dignitˆ del detenuto, • stato al
centro di varie pronunce dei giudici di Strasburgo anche in seguito ai ricorsi promossi da persone
ristrette nelle carceri italiane. Nonostante le numerose occasioni in cui la Corte edu • stata chiamata
a pronunciarsi, questÕultima non ha mai ravvisato situazioni di fatto tali da indurla a condannare
lÕItalia a causa delle severe limitazioni imposte al detenuto in seguito alla sua sottoposizione al
regime del carcere duro di cui allÕart. 41 bis, che inevitabilmente comporta elevate probabilitˆ di
violazione dei diritti umani.
La giurisprudenza della Corte edu imperniata sullÕart. 3 Cedu ha invece svolto un ruolo propulsivo
con riferimento:
1. al sovraffollamento carcerario
2. allÕergastolo ostativo, formula che rinvia ad una pena detentiva senza alcun limite temporale da
espiare totalmente in carcere
1. Sovraffollamento carcerario
Con riferimento al tema del sovraffollamento carcerario, la Corte • intervenuta condannando lÕItalia
attraverso una Òsentenza pilotaÓ Ñ> Corte edu, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia
In seguito a questa sentenza sono stati assunti, nellÕarco di un anno, provvedimenti che hanno
provocato una diminuzione del 18,5% della popolazione carceraria.
La sentenza nasce da una consapevolezza della societˆ circa la situazione di inaccettabile
sovraffollamento degli istituti carcerari italiani. Ci furono sette ricorsi contro lÕItalia per le
condizioni cui erano stati sottoposti alcuni detenuti durante la permanenza nelle carceri, per un
periodo tra i 14 e i 54 mesi. Le principali doglianze erano rivolte a:
- limitato accesso allÕacqua
- scarsa illuminazione
- spazio inferiore ai 3mq
Si tratta comunque di un problema strutturale delle carceri italiane caratterizzato da un
malfunzionamento cronico dellÕordinamento penitenziario testimoniato da passate sentenze di
condanna e dallÕadozione di provvedimenti dai dubbi effetti positivi (il tasso di sovraffollamento •
tornato a crescere dopo soli due anni).
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Per questo • nata lÕidea di istituire ÒStati generali dellÕesecuzione penaleÓ, 18 tavoli tecnici istituiti
presso il Ministero della Giustizia con la Þnalitˆ di elaborare, in chiave interdisciplinare, proposte di
modiÞca per un riassetto complessivo del sistema carcerario.
2. Ergastolo ostativo
I Giudici di Strasburgo hanno condannato lÕItalia poichŽ, secondo la Corte edu, lÕergastolo ostativo
(art. 4 bis) preclude a quanti decidano di non collaborare con la giustizia qualsiasi prospettiva di un
futuro reinserimento nella collettivitˆ e, quindi, contrasta con il parametro della dignitˆ del detenuto
contenuto nellÕart. 3 Cedu.
Questa pronuncia ha avuto ripercussioni nel nostro ordinamento: a breve distanza di tempo infatti •
intervenuta una sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato lÕincostituzionalitˆ dellÕart. 4
bis co. 1, nella parte in cui circoscrive la possibilitˆ di concedere i permessi premio ai condannati,
compresi quelli cui sia stato inÞtto lÕergastolo, per taluno dei delitti considerati in tale disposizione,
nella sola ipotesi di una loro collaborazione con la giustizia.
In un secondo momento i giudici della Consulta hanno nuovamente affrontato la questione, ed •
stato approvato il decreto legge 162/2022, con cui il legislatore ha apportato alcune modiÞche
allÕart. 4 bis, il quale, nella versione odierna, offre al condannato che decida di non collaborare
qualche piccolo spiraglio per accedere alle misure extracarcerarie.
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Per esecuzione penale si intende il passaggio dalla sentenza allÕesecuzione della pena.
A presidio dellÕordinamento dello Stato vi • il sistema sanzionatorio. Nel nostro ordinamento vi
sono pene di carattere detentivo o pecuniario. Le pene sono la risposta data allÕesito di un processo
penale e alla violazione delle regole dellÕordinamento poste a fondamento della societˆ.
La funzione della pena:
¥ prevenzione generale Ñ> effetto deterrente rispetto alla commissione di reati che la minaccia
della pena e la sua effettiva applicazione esplica sui consociati
I consociati sanno che a quel determinato comportamento corrisponde una determinata sanzione.
La minaccia pu˜ intimorire.
¥ prevenzione speciale Ñ> effetto che la pena potrebbe avere sul singolo. Effetto che la concreta
irrogazione della pena provoca sul condannato al Þne di evitare la recidiva e di stimolare gli
effetti rieducativi.
1. Il pubblico ministero
Il pubblico ministero ha un ruolo importante nel momento dellÕesecuzione della pena. Egli riveste la
funzione di organo di impulso, essendogli demandata una serie articolata di adempimenti e di poteri
(emette lÕordine di esecuzione della pena).
Il pm • anche parte processuale necessaria sia nel procedimento di esecuzione penale sia nel
procedimento di sorveglianza.
Al pubblico ministero • attribuito il potere-dovere di uniÞcazione delle pene concorrenti e derivanti
da pi• sentenze per reati diversi. LÕesatta determinazione quantitativa e qualitativa della pena •
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essenziale per il condannato per avere la possibilitˆ di accedere alle misure alternative, ovvero per
beneÞciare della sospensione condizionale della pena.
2. Il giudice dellÕesecuzione
é il giudice che ha emesso il provvedimento giurisdizionale che costituisce il titolo esecutivo di
questo rapporto.
La sua • una competenza funzionale e derivativa, dipendendo dal legame con il provvedimento
oggetto di esecuzione.
Il giudice dellÕesecuzione opera con forme giurisdizionalizzate e ha compiti di veriÞca della
persistente legittimitˆ del titolo esecutivo e della legittimitˆ delle operazioni giuridiche attraverso le
quali si applica concretamente la decisione sanzionatoria.
Egli • inoltre garante dellÕidentiÞcazione Þsica esatta del condannato e dellÕeliminazione di errori
sulla persona.
‣ Riforma in appello
La competenza spetta al giudice di primo grado, nellÕeventualitˆ in cui il provvedimento sia stato
confermato o riformato solo in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili.
Negli altri casi, invece, • competente il giudice di secondo grado.
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4. Il difensore
Persona che • chiamata a difendere i diritti della persona. Anche in fase di esecuzione della pena la
persona ha diritto ad un difensore.
La sua rilevanza • testimoniata dalla riformulazione dellÕart. 18 che sancisce espressamente il diritto
dei detenuti di conferire con il difensore, fermo quanto previsto dallÕart. 104 c.p.p., sin dallÕinizio
dellÕesecuzione della misura o della pena.
Si tratta del diritto alla difesa tecnica Ñ> conferire con il difensore, preparazione della difesa,
conoscenza dei propri diritti e delle possibilitˆ offerte dallÕordinamento per tutelarli
Il procedimento dellÕesecuzione annovera tra le sue parti indefettibili il difensore dellÕinteressato,
soggetto legittimato al pari del pubblico ministero e del magistrato di sorveglianza a dare impulso
alla procedura.
5. La persona detenuta
Il termine ÒdetenzioneÓ accomuna esperienze strutturalmente e funzionalmente diversiÞcate, quali:
¥ carcerazione eseguita in attuazione di una sentenza irrevocabile di condanna
¥ custodia cautelare disposta nella pendenza del procedimento penale (indizi di colpevolezza ed
esigenze cautelari)
¥ provvedimenti di arresto e fermo
La necessitˆ di differenziare in maniera netta la soggettivitˆ giuridica dellÕindividuo in espiazione di
pena da quella della persona sottoposta a carcerazione preventiva • imposta dallÕassunto secondo
cui lÕimputato non • considerato colpevole Þno alla condanna deÞnitiva.
LÕoperativitˆ della disposizione costituzionale • immanente a tutte le dinamiche penitenziarie.
6. La persona internata
Internata • la persona sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva.
Le misure di sicurezza sono quei provvedimenti giurisdizionali mediante i quali lo Stato persegue
uno scopo di tutela sociale preventiva, assoggettando determinate persone imputabili, punibili o non
punibili, alla privazione della libertˆ personale o alla dazione di una garanzia patrimoniale, ovvero
alla conÞsca, quale conseguenza dellÕaccertata pericolositˆ della persona o delle cose che hanno
avuto attinenza con il reato.
Lo scopo delle misure di sicurezza non • la punizione ma la modiÞcazione di fattori umani e sociali
che hanno portato il soggetto a delinquere.
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¥ ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (oggi REMS) Ñ> per i soggetti prosciolti per le
cause di cui al punto precedente; gli infradiciottenni prosciolti per ragioni di etˆ quando abbiano
commesso un reato nelle condizioni di cui al punto precedente; i sottoposti ad altra misura di
sicurezza cui sopravvenga unÕinfermitˆ psichica tale da imporre il ricovero
¥ ricovero in un riformatorio giudiziario Ñ> misura di sicurezza speciale per i minori che non pu˜
avere durata inferiore ad un anno
LÕAMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
Articolazione funzionale interna al Ministero della giustizia che si occupa della materia
penitenziaria.
DAP: Dipartimento dellÕAmministrazione Penitenziaria. Si occupa della politica dellÕordine e
della sicurezza degli istituti e dei servizi penitenziari e del trattamento dei detenuti e degli internati,
nonchŽ dei condannati e internati ammessi a fruire delle misure alternative alla detenzione, oltre che
del coordinamento di tutto il personale penitenziario.
Il DAP emana delle circolari, che sono una fonte del diritto penitenziario. Sono normative di
dettaglio regolamentari nellÕambito della modalitˆ di esecuzione della pena.
I provveditorati regionali
Sotto la guida di un provveditore regionale, al quale compete la veriÞca sul funzionamento degli
istituti penitenziari e degli ufÞci dipendenti del dipartimento, vi sono i direttori degli istituti e degli
ufÞci per lÕesecuzione penale esterna.
Competenze:
coordinamento operativo regionale
assegnazione provvisoria o deÞnitiva dei detenuti che compirti il trasferimento nellÕambito del
distretto di competenza
organizzazione dei corsi di istituzione
occupazione esterna e lavoro intramurario
presidenza delle commissioni regionali per il lavoro penitenziario
colloqui individuali con i detenuti e ricezione dei reclami
nomina del personale per lo svolgimento delle attivitˆ di osservazione e trattamento
Il direttore dellÕistituto
Figura centrale e importante. Funzionalmente dipendente dal provveditore regionale, • lÕautoritˆ
chiamata a dirigere lÕistituto, responsabile della sicurezza e dellÕorganizzazione, del funzionamento
e del controllo dello svolgimento delle attivitˆ dellÕistituto.
¥ con riferimento ai beneÞci, ammette i detenuti al lavoro esterno con provvedimento che diverrˆ
esecutivo dopo lÕapprovazione del magistrato di sorveglianza
¥ istruisce lÕistanza di permesso premio, nonchŽ quella di ammissione alla detenzione domiciliare
La polizia penitenziaria
Corpo di polizia penitenziaria regolato dalla l. 15 dicembre 1990 n. 395.
Il compito istituzionale • quello di assicurare lÕesecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertˆ
personale, nonchŽ di garantire lÕordine e la sicurezza allÕinterno degli istituti di prevenzione e di
pena e di tutelarne la sicurezza.
La polizia penitenziaria partecipa alle attivitˆ di osservazione e di trattamento rieducativo dei
detenuti; espleta il servizio di traduzione dei detenuti e il servizio di piantonamento di coloro che si
trovano ricoverati in luoghi esterni di cura.
Uso delle armi: non • consentito lÕimpiego della forza Þsica nei confronti dei detenuti, se non sia
indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per
vincere la resistenza, anche passiva, allÕesecuzione degli ordini (art. 41 c. 1). Vietato lÕutilizzo di
mezzi di coercizione Þsica a Þni disciplinari, ma solo per evitare danni alle persone e alle cose. Uso
comunque limitato a quanto strettamente necessario.
LÕutilizzo delle armi • vietato poichŽ • possibile che vengano sottratte dai detenuti e si vada a creare
una situazione di pericolo. LÕuso • consentito se strettamente necessario e in situazioni eccezionali.
Il direttore • colui che autorizza il possesso e lÕutilizzo delle armi dei poliziotti.
Gli agenti di polizia penitenziaria non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ci˜
venga ordinato dal direttore.
LÕeducatore penitenziario
Persona che con competenza di carattere giuridico e pedagogico-psicologico guida la persona verso
un percorso di rieducazione.
Protagonista del processo rieducativo:
partecipa al gruppo per lÕosservazione scientiÞca della personalitˆ (colloquio con la persona,
assunzione di informazioni e concreta instaurazione del percorso di rieducazione).
coordina la propria azione con quella di tutto il personale
partecipa alla commissione per le attivitˆ culturali, ricreative e sportive
organizza il servizio di biblioteca
compone il consiglio di disciplina
pu˜ essere chiamato dalla magistratura di sorveglianza quale consulente tecnico nellÕambito del
procedimento per la concessione di beneÞci penitenziari.
Professionisti esperti
Sono professionisti esterni che possono intervenire su chiamata. Non sono dipendenti del DAP.
Specializzazioni principali:
¥ psicologia
¥ servizio sociale
¥ pedagogia
¥ psichiatria
¥ criminologia clinica
Si tratta di liberi professionisti ai quali vengono conferiti incarichi retribuiti nellÕambito delle
attivitˆ di osservazione e trattamento. é necessaria lÕiscrizione nellÕelenco istituito presso il
provveditorato regionale (condizioni: condotta incensurata, compimento di 25 anni e superamento
valutazione di idoneitˆ).
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- Tutti questi principi sono da contemperare con lÕesigenza che allÕinterno degli istituti penitenziari
siano mantenuti lÕordine e la disciplina, e ci˜ pone particolari problemi.
é vietato il ricorso a restrizioni non giustiÞcabili e, nei confronti degli imputati, non indispensabili
ai Þni giudiziari.
Non • consentito lÕimpiego di strumenti disciplinari o di rigore come la forza Þsica o i mezzi di
coercizione se non indispensabile ed • prevista lÕapplicazione di sanzioni di tipo disciplinare.
Esistono poi ipotesi di pericolositˆ penitenziaria che comportano lÕapplicazione della sorveglianza
particolare o lÕimposizione di un regime detentivo speciale (41 bis).
- Sul piano della sicurezza, inoltre, lÕordinamento penitenziario contempla strumenti speciÞci di
natura essenzialmente precauzionale che, ai Þni della prevenzione della commissione di reati e a
tutela dellÕordine interno, incidono sui diritti fondamentali della persona detenuta o internata.
Questi poteri sono concessi dallÕordinamento al direttore o alla polizia penitenziaria a scopi di di
sicurezza:
¥ controllo e limitazione della corrispondenza (art. 18-ter)
¥ perquisizioni (art. 34)
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¥ sospensione del trattamento (art. 41-bis c. 1, conÞgurato come extrema ratio qualora le esigenze
di sicurezza riguardino non il singolo ma la collettivitˆ carceraria)
¥ isolamento per ragioni sanitarie o giudiziarie (art. 33 e 73 reg. esec.)
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piano operativo destinato a svilupparsi nellÕambito del percorso esecutivo, che dovrebbe prevedere
esperienze extra-murarie (permessi premio e lavoro allÕesterno) e esecuzione penale esterna
(ammissione alle misure alternative alla detenzione).
La prima stesura del programma di trattamento deve avvenire non oltre 6 mesi dallÕinizio della
detenzione. Tale programma viene sottoposto allÕapprovazione del magistrato di sorveglianza, che
se ravvisa elementi che costituiscono una violazione dei diritti del condannato, lo restituisce ai Þni
di una nuova formulazione. Il programma • inoltre periodicamente aggiornato nel corso della
detenzione.
Il documento di sintesi con il programma di trattamento e i suoi successivi aggiornamenti sono
inseriti nella cartella personale del detenuto, che segue lÕinteressato in tutti i suoi eventuali
trasferimenti e contiene anche i dati giudiziari, biograÞci e sanitari del detenuto, lÕannotazione degli
sviluppi del trattamento praticato nei suoi confronti e i relativi esiti.
- La riforma Cartabia ha previsto che, nei confronti dei condannati e degli internati, sia favorito, nel
corso del trattamento penitenziario, il ricorso a programmi di giustizia riparativa, promuovendo
cos“, accanto alla rißessione sul reato commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte (in
particolare per la vittima), e sulle possibili azioni di riparazione, anche un percorso riparativo che,
pur non essendo necessario, costituisce un possibile completamento del trattamento.
La partecipazione al programma di giustizia riparativa e lÕeventuale esito positivo sono valutati in
favore dellÕinteressato ai Þni dellÕassegnazione al lavoro allÕesterno, della concessione dei permessi
premio e delle misure alternative alla detenzione e della liberazione condizionale. Non si tiene
conto, invece, della mancata effettuazione del programma, della sua interruzione o del mancato
raggiungimento di un esito riparativo.
LA VITA DETENTIVA
- Giˆ nel regolamento carcerario del 1931 il trattamento penitenziario prevedeva disposizioni per
disciplinare la vita quotidiana del detenuto. Solo con la riforma penitenziaria del 1975, per˜, i
principi di umanizzazione della condizione carceraria e del rispetto della dignitˆ della persona
diventano le coordinate in materia di vita detentiva.
- Ammissione in istituto
La persona fa ingresso in carcere o perchŽ inizia la pena o perchŽ viene trasferita da un altro istituto.
Prima cosa che viene fatta • una visita medica, per valutare eventuali malattie e patologie psico-
Þsiche ed eventuali cure.
Servizio Ònuovi giuntiÓ = presidio psicologico consistente in un colloquio di primo ingresso da
effettuare dopo la prima visita medica, diretto ad accertare se e con quali cautele possa affrontare
adeguatamente lo stato di restrizione.
AllÕinizio dellÕesecuzione della pena o della misura di sicurezza, i detenuti sono assegnati
provvisoriamente allÕistituto destinato allÕesecuzione del tipo di pena o misura di sicurezza cui sono
stati sottoposti, possibilmente situato nellÕambito della regione di residenza.
Distinzione e separazione dei detenuti in base a:
¥ sesso
¥ etˆ
¥ tipo di condanna
¥ status giudiziario e penitenziario
- Vestiario
Le disposizioni in tema di vestiario prevedono la possibilitˆ di fare uso di abiti e di corredo di
proprietˆ personale, con possibilitˆ di limitazioni, per prevenire il rischio di gesti autolesionistici o
anticonservativi (es. possono essere sostituiti lacci o cinture).
Il possesso di capi di abbigliamento ÒÞrmatiÓ • limitato, ad evitare che ci˜ il possesso di capi di
lusso possa tradursi in una forma di affermazione del prestigio criminale.
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Sono ammessi anche oggetti personali, a condizione che abbiano un particolare valore morale
affettivo (es. fede nuziale, catenina con simboli religiosi) sempre che ci˜ sia compatibile con lo
svolgimento della vita dellÕistituto.
- Bagni e servizi igienici
LÕamministrazione penitenziaria deve assicurare lÕuso adeguato e sufÞciente di lavabi e di bagni o
docce, nonchŽ degli altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona, garantendo lÕuso
autonomo e riservato dei servizi, con collocazione del locale adibito a tale scopo in ambiente
separato dalla camera di detenzione. Servizi igienici e docce devono inoltre essere dotati di acqua
calda e fredda.
A ciascuno detenuto sono forniti gli oggetti e gli strumenti necessari per la pulizia della persona e
della propria camera.
Sono previsti anche servizi per la cura della persona: barbiere per gli uomini e parrucchiere per le
donne.
- Alimentazione
I detenuti hanno diritto ad una sana e regolare alimentazione, che sia adeguata allÕetˆ, al sesso, allo
stato di salute, allÕattivitˆ lavorativa svolta, alla stagione e al clima.
La quantitˆ e la qualitˆ del vitto giornaliero sono determinate da apposte tabelle (Òtabelle
vittuarieÓ), approvate con decreto ministeriale. Il controllo sulla quantitˆ e qualitˆ del vitto •
effettuato da una rappresentanza di tre detenuti estratti mensilmente a sorte e da un delegato del
direttore.
I detenuti possono, comunque, acquistare a proprie spese generi alimentari presso spacci interni
gestiti direttamente dallÕamministrazione penitenziaria o afÞdati ad imprese private. Possono anche
ricevere dallÕesterno generi alimentare in misura tale da non eccedere il fabbisogno settimanale.
Per quanto possibile, il vitto deve tenere conto delle prescrizioni proprie delle diverse fedi religiose.
In ogni istituto • presente una cucina dove vengono preparati i pasti. Normalmente i detenuti
consumano i cibi nelle camere di detenzione dopo averli scaldati con i fornelletti in dotazione. Tale
prassi (rischiosa per lÕincolumitˆ dei detenuti) dovrebbe essere superata con lÕistituzione di locali
comuni ove consumare i pasti, prevista con la riforma penitenziaria del 2018.
- Permanenza allÕaperto
I detenuti e gli internati che non svolgono lavoro allÕaperto hanno diritto alla permanenza in spazi
aperti per minimo 4 ore al giorno (salvo che per motivi disciplinari, ambientali o altro si ritenga di
dover limitare tale diritto a 2 ore).
Gli spazi allÕaperto devono offrire la possibilitˆ di protezione dagli agenti atmosferici.
LÕutilizzo degli spazi allÕaperto assicura non solo il benessere Þsico e mentale dei detenuti, ma
rappresenta anche un importante momento di socialitˆ, di realizzazione del programma
trattamentale del detenuto e un efÞcace strumento per lÕosservazione scientiÞca da parte del
personale dellÕarea educativa.
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- Sul piano del diritto interno, il passaggio dalla medicina penitenziaria, gestita direttamente dai
responsabili delle strutture carcerarie, allÕassistenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale
(d.p.c.m. 1¡ aprile 2008), non ha tuttavia consentito di superare le gravi carenze nellÕofferta dei
trattamenti sanitari. Basti pensare alla disomogeneitˆ delle prestazioni di prevenzione, diagnosi e
cura, nonchŽ allÕinefÞciente programmazione della spesa sanitaria, connotata da un insufÞciente
stanziamento di risorse umane e Þnanziarie. Del tutto insufÞcienti sono inoltre le risorse e gli
strumenti destinati alle peculiari esigenze dei sempre pi• numerosi detenuti affetti da disagio
psichico.
Tutte queste criticitˆ hanno imposto una riforma in materia di sanitˆ penitenziaria, ad opera del
d.lgs. 123/2018, che ha modiÞcato lÕart. 11 con lÕobiettivo di migliorare il livello di assistenza
sanitaria relativa alla popolazione detenuta.
Spetta al SSN lÕorganizzazione di un servizio medico e di un servizi farmaceutico rispondente alle
effettive necessitˆ dei soggetti detenuti e internati negli istituti penitenziari e negli istituti penali per
minori nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria. A Þni conoscitivi, ogni
Azienda sanitaria locale dovrˆ adottare una Carta dei servizi, da portare a conoscenza dei detenuti e
degli internati con le pi• idonee forme di pubblicitˆ.
LÕart. 11 Þssa i principi guida sullÕassistenza sanitaria in ambito penitenziario e stabilisce i doveri
del medico del servizio sanitario, il quale garantisce quotidianamente la visita dei detenuti ammalati
e di coloro che richiedono particolari indagini e cure specialistiche. Effettua la sorveglianza
sanitaria della struttura penitenziaria e controlla periodicamente lÕidoneitˆ dei soggetti ai lavori cui
sono addetti.
La riforma del 2018 valorizza il principio di continuitˆ terapeutica in favore dei detenuti con gli
eventuali trattamenti in corso allÕesterno o allÕinterno dellÕistituto da cui siano stati trasferiti.
Nel caso di diagnosi, anche sospetta, di malattia contagiosa, sono messi in atto tutti gli interventi di
controllo per evitare la diffusione della patologia, compreso lÕisolamento della persona.
- I detenuti dipendenti da sostanza stupefacenti o alcol che presentino anche infermitˆ mentali (c.d.
Òdoppia diagnosiÓ) sono seguiti in collaborazione dal servizio per le tossicodipendenze e dal
servizio psichiatrico dellÕazienda sanitaria locale.
- Particolari disposizioni sono previste per le detenute: negli istituti e nelle sezioni riservate alle
donne sono in funzione servizi speciali per lÕassistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere ed •
prevista, inoltre, la possibilitˆ che le detenute possano tenere con sŽ la prole Þno al compimento del
terzo anno di etˆ.
- AllÕingresso in istituto, il detenuto e lÕinternato sono sottoposti alla visita di primo ingresso, una
visita medica generale con cui ricevono dal medico informazioni complete sul proprio stato di
salute. Il sanitario annota nella cartella clinica del soggetto ogni informazione relativa a segni o
indicazioni che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti e ne dˆ
comunicazione al direttore dellÕistituto e al magistrato di sorveglianza.
- é prevista lÕipotesi di un trasferimento temporaneo dei detenuti presso luoghi di cura esterni nel
caso in cui i trattamenti sanitari non possano essere garantiti allÕinterno della struttura carceraria.
LÕautorizzazione al ricovero dei detenuti in luogo esterno spetta al giudice che procede, se si tratta
di imputati (al gip prima dellÕesercizio dellÕazione penale) e al magistrato di sorveglianza, se si
tratta di condannati.
LÕautoritˆ giudiziaria competente pu˜ disporre, quando non vi sia il pericolo di fuga, che i detenuti e
gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura non siano sottoposti a
piantonamento durante la degenza, salvo che questo sia ritenuto necessario per la tutela
dellÕincolumitˆ personale loro o altrui.
Nel caso in cui il detenuto si allontani ingiustiÞcatamente dal luogo esterno di cura incorre nel reato
allÕart. 385 c.p. (evasione - punita con la reclusione da 1 a 3 anni).
- é prevista la facoltˆ di essere visitati a proprie spese da professionisti di Þducia esterni
allÕamministrazione. Tale possibilitˆ comprende non solo visite, ma anche trattamenti medici,
chirurgici e terapeutici. é necessaria unÕautorizzazione del giudice che procede prima della sentenza
di primo grado, o del direttore dellÕistituto in tutti gli altri casi.
22
- Sono previsti speciÞci controlli amministrativi sul livello del servizio erogato in ambito
penitenziario, svolti dal direttore generale dellÕazienda unitˆ sanitaria territorialmente competente,
che • tenuto a visitare almeno due volte allÕanno lÕistituto allo scopo di accertare le condizioni
igieniche e sanitarie degli istituti e lÕadeguatezza delle misure di proÞlassi contro le malattie
infettive.
IL REGOLAMENTO INTERNO
- Il regolamento interno di ciascun istituto penitenziario si colloca, nella gerarchia delle fonti che
regolano la vita penitenziaria, nellÕambito della normativa di terzo livello, in cui trovano attuazione
i precetti posti dalla legge di ordinamento penitenziario e nel relativo regolamento di esecuzione.
- Il regolamento interno disciplina le modalitˆ di trattamento da seguire in ciascun istituto e
pianiÞca le attivitˆ quotidiane dei detenuti, nonchŽ le modalitˆ di svolgimento dei servizi.
LÕimportanza di tale atto • data:
¥ dallÕessere espressione dellÕautonomia organizzativa dellÕamministrazione penitenziaria
¥ dalla stretta inerenza alla realizzazione dellÕobiettivo di rieducazione dei condannati (art. 27 co. 3
Cost)
Per tale ragione il regolamento interno deve attuare i principi che governano il trattamento
rieducativo, in primo luogo ponendo le condizione per lÕeffettiva individualizzazione del
trattamento, pur nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale tra tutti i detenuti. Il
regolamento costituisce inoltre un presidio di garanzia della necessaria rispondenza del trattamento
alle speciÞche esigenze delle singole strutture carcerarie e delle persone recluse, evitando che una
eccessiva discrezionalitˆ organizzativa dellÕamministrazione penitenziaria possa compromettere
lÕuniformitˆ del livello dellÕofferta trattamentale e il rispetto dei diritti dei destinatari della stessa.
Iter di approvazione
- LÕadozione del regolamento interno segue una procedura complessa.
Esso viene formulato da una commissione interdisciplinare composta da:
magistrato di sorveglianza, che la presiede
direttore dellÕistituto
medico
cappellano
preposto alle attivitˆ lavorative
educatore
assistente sociale
Una volta approvato, lo schema di regolamento • trasmesso al Provveditore regionale
dellÕamministrazione penitenziaria territorialmente competente e da questÕultimo inoltrato al Capo
del Dipartimento dellÕamministrazione penitenziaria (DAP) per la sua deÞnitiva approvazione.
- Terminato lÕiter di approvazione, il regolamento interno deve essere portato a conoscenza dei
detenuti e degli internati, cos“ che essi siano a conoscenza dei loro diritti, dei loro doveri e pi• in
generale delle regole della vita carceraria.
In ogni struttura carceraria deve essere assicurata la disponibilitˆ, presso la biblioteca o altro locale
comunque funzionale allo scopo, dei testi normativi fondamentali, ivi compreso proprio il
regolamento interno. Inoltre, al momento dellÕingresso in istituto, ad ogni detenuto deve essere
consegnata la Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati ed un estratto del
regolamento dellÕistituto.
Contenuto
Il regolamento disciplina una molteplicitˆ di materie che possono ricondursi al trattamento e al
regime penitenziario, inteso questÕultimo come complesso di norme che scandiscono la vita
quotidiana di un istituto di pena, ma anche come strumento di gestione in relazione al trattamento
rieducativo.
23
24
Il fulcro del doppio binario • costituito dallÕart. 4 bis, introdotto dalla legge 203/1991. Questa
disposizione • stata, nel corso degli anni, ripetutamente modiÞcata e integrata dal legislatore.
LÕambito di applicazione dellÕart. 4 bis si • via via sempre pi• espanso comprendendo:
¥ reati a carattere sessuale
¥ sequestro di persona a scopo di estorsione
¥ associazione Þnalizzata al trafÞco di stupefacenti
¥ favoreggiamento dellÕimmigrazione clandestina
¥ alcuni delitti commessi a danno della pubblica amministrazione
¥ ecc
LÕattuale meccanismo di preclusioni contenuto nellÕart. 4 bis distingue tre fasce di delitti,
raggruppati secondo un ordine decrescente di pericolositˆ sociale. Si tratta di un Òsistema
multilivelloÓ.
1. Prima fascia
Comprende i delitti pi• gravi, nei confronti dei quali la concessione dei beneÞci previsti per i
condannati a reati comuni • subordinata alla positiva collaborazione con la giustizia, ai sensi
dellÕart. 58 ter, intervenuta anche dopo la condanna.
Per poter usufruire dei beneÞci • necessario collaborare con la giustizia.
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2. Seconda fascia
In questo caso, lÕapplicazione dei beneÞci penitenziari non • necessariamente condizionata
allÕaccertamento della collaborazione con la giustizia, ma • subordinata allÕinsussistenza di
elementi da cui si possa desumere lÕesistenza di collegamenti attuali del detenuto o dellÕinternato
con la criminalitˆ organizzata, terroristica o eversiva.
Su tale assetto • intervenuta la Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo lÕart. 4 bis co. 1,
nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti ivi indicati, possano essere concessi
permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purchŽ siano stati acquisiti
elementi tali da escludere sia lÕattualitˆ di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, sia il pericolo
del ripristino di tali collegamenti.
Con questa pronuncia, la Corte ha ritenuto che il meccanismo introdotto dallÕart. 4 bis contrasta con
gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost., sia perchŽ allÕassolutezza della presunzione sono sottese esigenze
investigative, di politica criminale e di sicurezza collettiva che incidono sullo svolgimento
dellÕesecuzione della pena, con conseguenze afßittive ulteriori a carico del detenuto, sia perchŽ tale
assolutezza impedisce di valutare il percorso carcerario del condannato, in contrasto con la funzione
rieducativa della pena.
LÕonere probatorio che incombe sullÕinteressato • particolarmente gravoso: egli deve fornire
elementi non solo per dimostrare la non attualitˆ di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, ma
anche il pericolo di un loro ripristino.
La Corte costituzionale, inoltre, con unÕimportante sentenza di poco successiva ha affermato che le
norme penitenziare che disciplinano le misure alternative alla detenzione hanno natura sostanziale e
soggiacciono quindi al principio di legalitˆ di cui allÕart. 25 co. 2 Cost., e al conseguente divieto di
applicazione retroattiva di tutte le modiÞche peggiorative.
Le preclusioni inserite nel co. 1 dellÕart. 4 bis possono essere neutralizzate dal condannato che
collabori con la giustizia. La condotta collaborativa • accertata con un procedimento di fronte al
tribunale di sorveglianza.
Il positivo accertamento dellÕavvenuta collaborazione con la giustizia ha un duplice effetto:
¥ rimuove la preclusione assoluta alla concessione dei beneÞci penitenziari
¥ sterilizza le pi• alte soglie di pena che occorre avere espiato per poter accedere a tali misure
esterne
LÕeffetto della collaborazione • quindi quello di riportare i condannati per i Òdelitti ostativiÓ indicati
dallÕart. 4 bis, nellÕambito della disciplina ordinaria, sottraendoli alle preclusioni imposte dal doppio
binario.
Qualora il condannato non possa conseguire lÕattestato di positiva collaborazione con la giustizia, •
comunque possibile lÕaccertamento da parte del tribunale di sorveglianza della collaborazione:
inesigibile Ñ> per la limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso accertata nella
sentenza di condanna
impossibile Ñ> per lÕintegrale accertamento dei fatti e delle responsabilitˆ, operato con la
sentenza irrevocabile
oggettivamente irrilevante Ñ> nel caso in cui lÕapporto collaborativo non abbia avuto alcuna
utilitˆ ai Þni dellÕaccertamento dei fatti o dellÕindividuazione dei colpevoli e sempre che sia stata
applicata al condannato taluna delle circostanze attenuanti
ÉpurchŽ siano stati acquisiti elementi tali da escludere collegamenti con la criminalitˆ organizzata,
terroristica o eversiva.
3. Terza fascia
Appartengono alla terza fascia i delitti contro la libertˆ sessuale.
In questo caso, la concessione dei beneÞci non • subordinata all'accertamento della collaborazione
con la giustizia, ma agli esiti dellÕosservazione scientiÞca della personalitˆ condotta
collegialmente, per almeno un anno in istituto, anche con la partecipazione dei professionisti esperti
in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.
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Sempre ai Þni della concessione dei beneÞci ai detenuti e internati per alcuni delitti di matrice
sessuale, se commessi in danno di soggetti minorenni, il giudice (monocratico o collegiale) di
sorveglianza valuta, inoltre, la partecipazione al programma di riabilitazione speciÞca, con Þnalitˆ
di recupero e di sostegno.
- Qualora il soggetto si trovi in espiazione di un cumulo di pene concorrenti, ovvero nel caso in cui
il titolo esecutivo comprenda una condanna per pi• fatti-reato, solo alcuni aventi natura preclusiva, i
divieti imposti dalla disciplina sopra esaminata operano Þno a quando lÕinteressato si trovi in
esecuzione della pena relativa al delitto ostativo.
Ci˜ in base al principio dello scioglimento del cumulo di pene materiale o giuridico Ñ> che
impone lo scorporo della pena inßitta per il delitto ostativo dallÕammontare complessivo da
eseguire, con imputazione ad essa della quota giˆ espiata (anche a titolo cautelare) e della
liberazione anticipata ottenuta.
- Tempera il rigore della disciplina ostativa il principio di non regressione trattamentale, secondo il
quale ai detenuti giˆ ammessi a percorsi esecutivi esterni (es. permessi premio) alla data di entrata
in vigore del provvedimento che introduce una nuova preclusione, non • impedita lÕulteriore
fruizione di questi beneÞci anche in assenza della positiva collaborazione con la giustizia o delle
ipotesi ÒsuccedaneeÓ di cui allÕart. 4 bis co. 1 bis, purchŽ sia esclusa la sussistenza di collegamenti
attuali con la criminalitˆ organizzata.
La Consulta ha inoltre affermato che anche i condannati che avessero giˆ raggiunto, prima
dellÕintroduzione dei divieti in esame, un grado di rieducazione adeguato al beneÞcio richiesto e per
i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalitˆ organizzata,
possono accedere ai beneÞci penitenziari anche se non ne avessero giˆ fruito in precedenza.
- Il sistema del doppio binario •, inÞne, completato dallÕart. 58 quater, che contempla una serie
eterogenea di preclusioni alla concessione dei beneÞci penitenziari, riguardanti:
il condannato che sia stato riconosciuto colpevole di evasione
il condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa
il condannato per taluno dei delitti ostativi nei cui confronti si procede o • pronunciata condanna
per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni,
commesso in stato di evasione o nel corso della fruizione del lavoro allÕesterno, di un permesso
premio o di una misura alternativa alla detenzione
LÕart. 58 quater co. 4 prevedeva anche una severa preclusione riguardante coloro che, condannati
per i delitti di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289 bis c.p.) e di
sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), avessero cagionato la morte del
sequestrato. Essi potevano fruire dei beneÞci soltanto dopo aver espiato almeno due terzi della pena
(o 26 anni, in caso di ergastolo). Con due recenti pronunce, la Corte costituzionale ha dichiarato
illegittima questa disposizione rimuovendo la preclusione, giudicata contrastante con lÕart. 27 co. 3
Cost.
LÕultimo comma dellÕart. 58 quater stabilisce inoltre che al condannato al quale sia stata applicata la
recidiva prevista dallÕart. 99 co. 4 c.p. (recidivo reiterato) lÕafÞdamento in prova ordinario, la
detenzione domiciliare e la semilibertˆ non possono essere concessi pi• di una volta.
delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere
ammesso alla liberazione condizionale.
Il d.1. 162/2022 conv. l. 199/2022 ha introdotto una complessa disciplina che, pur confermando
lÕimpianto di fondo del doppio binario penitenziario, sostituisce alla presunzione assoluta di
incompatibilitˆ dei condannati per taluno dei delitti indicati nel co. 1 dell'art. 4 bis (Òdelitti ostativiÓ)
un sistema per accedere ai beneÞci anche in assenza di positiva collaborazione con la giustizia,
fondato su stringenti condizioni e presupposti che sta al condannato allegare e puntualmente
documentare.
- Il decreto-legge interviene sulla disciplina dello Òscioglimento del cumuloÓ effettuato dal giudice,
al Þne di veriÞcare se il condannato o lÕinternato abbia giˆ espiato la parte di pena riferibile alla
condanna per taluno dei delitti ostativi indicati nellÕart. 4 bis e possa quindi accedere ai beneÞci
penitenziari secondo le regole ordinarie. Il regime di ostativitˆ si applica, comunque, in caso di
esecuzione di pene inßitte anche per delitti diversi da quelli indicati nel co. 1 della disposizione, in
relazione ai quali il giudice della cognizione o dellÕesecuzione abbia accertato che sono stati
commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per
conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto, il proÞtto, o il prezzo o lÕimpunitˆ di
detti reati. Tale disciplina non si applica quando il delitto diverso da quelli indicati nellÕart. 4-bis co.
1 • stato commesso prima dell'entrata in vigore del d.1. 162/2022.
- Il d.I. 162/2022 sostituisce, inoltre, integralmente il co. 1 bis dellÕart. 4 bis, introducendo una
nuova disciplina per la concessione dei beneÞci penitenziari e della liberazione condizionale in
assenza di collaborazione positiva con la giustizia ai sensi dellÕart. 58 ter.
Il nuovo assetto articola le condizioni di accesso ai beneÞci penitenziari sulla base del titolo di reato
per il quale • stata applicata la condanna in espiazione.
Primo gruppo di reati Ñ> comprende una serie di gravi delitti, caratterizzati:
dalla Þnalitˆ di terrorismo, anche internazionale, di eversione dellÕordine democratico
dalla connotazione maÞosa o dall'avere agevolato le associazioni maÞose o essersi avvalsi delle
medesime
da altri delitti contraddistinti da una struttura organizzativa criminale che li rende espressione di
una pericolositˆ sociale particolarmente elevata (es. associazione a delinquere Þnalizzata al
trafÞco di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi o la tratta di esseri umani)
I condannati per tali delitti, possono accedere ai beneÞci anche in assenza di collaborazione positiva
con la giustizia purchŽ assolvano a oneri dimostrativi particolarmente severi. In particolare, essi
devono:
a) dimostrare lÕavvenuto adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione
pecuniaria conseguenti alla condanna o lÕassoluta impossibilitˆ di tale adempimento
b) allegare elementi speciÞci, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla
partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione
dallÕorganizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano sia di escludere
lÕattualitˆ di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto
nel quale il reato • stato commesso, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, tenuto conto
delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della
mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra
informazione disponibile
Al positivo riscontro di tali elementi, al Þne della concessione dei beneÞci, il giudice accerta, anche,
la sussistenza di iniziative dellÕinteressato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in
quelle della giustizia riparativa.
Secondo gruppo di reati Ñ> sono connotati da un elevato coefÞciente di gravitˆ e allarme sociale,
ma non dalla matrice maÞosa o terroristica (es. reati di pedopornograÞa, prostituzione minorile,
violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorsione).
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Per questi reati il nuovo co. 1 bis.1 dellÕart. 4 bis stabilisce che i beneÞci possono essere concessi,
anche in assenza di positiva collaborazione con la giustizia, purchŽ gli interessati:
a) dimostrino lÕadempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria
conseguenti alla condanna o lÕassoluta impossibilitˆ di tale adempimento
b) alleghino elementi speciÞci, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla
partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere lÕattualitˆ (ma
non il pericolo di ripristino) di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel
quale il reato • stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle
ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica
della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile
Anche in queste ipotesi, il giudice di sorveglianza (sia magistrato che tribunale di sorveglianza),
accerta, anche, la sussistenza di iniziative dellÕinteressato a favore delle vittime, tanto nelle forme
risarcitorie quanto in quelle della giustizia riparativa.
In questo secondo gruppo non compaiono pi• i delitti contro la pubblica amministrazione.
- Relativamente alla disciplina della collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante, essa resta
applicabile con riguardo alle istanze volte alla concessione dei beneÞci penitenziari indicati nel co.
1 dellÕart. 4 bis (permessi premio, lavoro allÕesterno, misure alternative e liberazione condizionale)
in favore dei condannati e degli internati che abbiano commesso taluno dei delitti previsti dal co. 1¡
dellÕart. 4-bis prima della data di entrata in vigore del d.l.
162/2022.
- Sul versante processuale, vengono introdotte alcune modiÞche alla disciplina del procedimento di
sorveglianza, qualora esso riguardi istanze di concessione dei beneÞci nei casi di cui ai co. 1 bis e 1
bis. 1.
In tali ipotesi il giudice di sorveglianza, prima di decidere sullÕistanza, deve chiedere il parere del
pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di
condanne per i delitti indicati nell'art. 51 co. 3 bis e 3 quater c.p.p., del Procuratore distrettuale
individuato in base al medesimo criterio, e del Procuratore nazionale antimaÞa.
Dovranno, inoltre, essere acquisite informazioni presso la direzione dellÕistituto ove lÕistante •
detenuto o internato e disposti, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo
familiare e delle persone esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e
patrimoniali, al tenore di vita, alle attivitˆ economiche eventualmente svolte e alla pendenza o
deÞnitivitˆ di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Quando emergano indizi dellÕattuale sussistenza di collegamenti con la criminalitˆ organizzata,
terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato • stato commesso, ovvero del pericolo di
ripristino di tali collegamenti, scatta per lÕinteressato lÕonere di fornire, entro un congruo termine,
idonei elementi di prova contraria.
- Il co. 1 bis. 1.1 consente al giudice di sorveglianza di applicare discrezionalmente prescrizioni
volte a impedire il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, terroristica
o eversiva o che impediscano ai condannati di svolgere attivitˆ o di avere rapporti personali che
possono portare al compimento di altri reati o al ripristino di rapporti con la predetta criminalitˆ
organizzata, terroristica o eversiva. A tal Þne il giudice pu˜ disporre che il condannato non
soggiorni in uno o pi• comuni, o soggiorni in un comune determinato.
attrezzatura) e con le sale per la socialitˆ allÕinterno delle sezioni. Le camere detentive, che per
legge (art. 6) dovrebbero essere utilizzate solo per il riposo notturno, per la carenza di altri spazi per
la vita comune, sono spesso utilizzate dai detenuti nel corso dellÕintera giornata.
Ai sensi dellÕart. 115 reg. esec., in ogni Regione deve esistere un sistema di istituti differenziato a
seconda delle varie tipologie detentive la cui ricettivitˆ complessiva soddisÞ il principio di
territorialitˆ dellÕesecuzione penale, cos“ che in ciascun territorio regionale lÕofferta penitenziaria
dovrebbe comprendere tutte le tipologie di strutture in grado di soddisfare le esigenze differenziate
per tipologia di detenuto.
In Italia sono presenti 188 istituti penitenziari per adulti:
¥ 50 case di reclusione
Ñ> con capienza regolamentare pari a 51.328
¥ 138 case circondariali
Le strutture
Case di reclusione Ñ> ospita i condannati allÕergastolo
Case circondariali Ñ> destinate in primis agli imputati, possono accogliere anche i condannati
che abbiano da espiare una pena, anche residua, non superiore a 5 anni
Case di lavoro Ñ> struttura dedicata allÕesecuzione di misure di sicurezza detentive. Le case
lavoro sono organizzate come sezioni autonome delle case di reclusione o circondariali
Colonie agricole Ñ> anchÕessa dedicata allÕesecuzione di misure di sicurezza, ne • presenta una
sola sul territorio nazionale (Gorgona)
Istituti penali per minorenni (IPM) Ñ> 16 attivi
Residenze per lÕesecuzione delle misure di sicurezza (REMS) Ñ> articolazioni residenziali
sociosanitarie, destinate ad accogliere i soggetti per i quali • stato accertato in via deÞnitiva lo
stato di infermitˆ al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolositˆ
sociale che impone lÕapplicazione di una misura di sicurezza detentiva.
Nel caso di infermitˆ psichica sopravvenuta alla condanna, il sistema, allÕart. 148 c.p., prevedeva
che il soggetto fosse ricoverato in una struttura manicomiale giudiziaria (ospedale psichiatrico
giudiziario).
Con il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e lÕistituzione delle REMS, si • posta la
questione della perdurante sopravvivenza della disposizione dellÕart. 148 c.p. (le REMS infatti
possono ospitare solo soggetti sottoposti a misura di sicurezza, non i condannati in via deÞnitiva),
che avrebbe dovuto risolversi con una riforma legislativa che, tuttavia, non si • ancora realizzata.
La giurisprudenza ritiene infatti lÕart. 148 implicitamente abrogato, cos“ che attualmente i
condannati nei cui confronti sopravviene unÕinfermitˆ psichica sono ristretti in carcere, nelle
sezioni psichiatriche previste dallÕart. 65, che per˜ mantengono le caratteristiche di luoghi
detentivi deputati allÕespiazione della pena e non sono quindi adeguati alla cura e al trattamento
dei pazienti psichiatrici sotto il proÞlo sanitario.
Istituti a custodia attenuta per madre (ICAM) Ñ> nel caso di donne con prole, lÕallocazione
dovrebbe sempre essere disposta in case-famiglia protette o in istituti a custodia attenuata per
madri (icam)
Organizzazione interna
- A partire dagli anni Õ90 si • affermata lÕidea di istituti o sezioni differenziati in ragione della
diversa tipologia di detenuti:
¥ circuito separato per i detenuti ristretti nel regime detentivo speciale del 41 bis
¥ sezioni dedicate allÕalta sicurezza per detenuti di criminalitˆ organizzata
¥ sezioni per autori di reati di tipo sessuale (si ritiene particolarmente infamante lÕaver compiuto un
reato sessuale)
¥ sezioni protette per gli ex appartenenti alle forze di polizia (non reati nello svolgimento delle loro
funzioni)
¥ sezioni per i parenti dei collaboratori di giustizia (Òsezioni ZÓ)
¥ sezioni per persone con patologie mentali
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- Le spese in questione sono obbligazioni civili derivanti da reato. Si tratta quindi di un onere
personale in capo al detenuto, che non si trasmettono in via successoria agli eredi e al responsabile
civile.
Anche il soggetto sottoposto a custodia cautelare per il reato per il quale • stata riportata condanna
• tenuto al pagamento delle spese di mantenimento relative alla custodia cautelare sofferta.
Sottratti allÕobbligo del pagamento di spese processuali e di mantenimento sono invece i
minorenni.
- LÕart. 24 disciplina i prelievi sulla remunerazione, effettuati a titolo di risarcimento del danno, di
rimborso delle spese di procedimento e di mantenimento, dovendosi comunque riservare a favore
del detenuto una quota pari a 3/5 non pignorabile o sequestrabile, se non per crediti alimentari.
La quota di prelievo giornaliera • Þssata a 3,62€ per giornata di presenza. Si tratta di un importo
che assume un valore simbolico, non essendo parametrato nŽ alla situazione economica del singolo
detenuto, nŽ ai costi effettivi sopportati dallo Stato per il mantenimento dei detenuti.
- Il pagamento del debito per le spese processuali o di mantenimento in carcere pu˜ essere
dilazionato o rateizzato su istanza dellÕinteressato, che pu˜ giovarsi anche della remissione del
debito, disciplinata dallÕart. 6 TU 115/2002, che si applica sia alle spese di mantenimento che a
quelle processuali.
Questo istituto estingue in favore del condannato o dellÕinternato il debito per le spese del processo
penale e per quelle di mantenimento in carcere, assecondando lÕobiettivo di favorire il reinserimento
sociale della persona al termine dellÕesecuzione penale. Convivono quindi una Þnalitˆ premiale e
una Þnalitˆ di agevolazione del reinserimento sociale.
Destinatari del beneÞcio sono condannati e internati.
La remissione del debito • concessa a due condizioni che devono entrambe sussistere:
¥ disagiate condizioni economiche Ñ> il giudice deve valutare la situazione patrimoniale del
soggetto per accertare lÕincidenza del debito residuo sul percorso di reinserimento sociale
¥ regolare condotta Ñ> • integrata dal costante senso di responsabilitˆ e correttezza nella attivitˆ in
istituto e nelle eventuali attivitˆ lavorative o culturali. Il requisito • accertato dal magistrato di
sorveglianza sulla scorta delle annotazioni contenute nella cartella personale e in base agli
elementi di sua diretta conoscenza.
Competente a decidere sullÕistanza o sulla proposta • il magistrato di sorveglianza che ha
giurisdizione sul luogo di detenzione o di internamento, o il giudice individuato sulla base della
residenza o domicilio dellÕinteressato, se questÕultimo si trova in libertˆ.
Il magistrato di sorveglianza provvede sullÕistanza de plano in camera di consiglio senza la
partecipazione delle parti, con ordinanza che viene comunicata al pubblico ministero e notiÞcata
allÕinteressato.
Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza • esperibile, entro 15 giorni dalla
comunicazione o dalla notiÞcazione della decisione, lÕopposizione davanti allo stesso giudice, che
procede avvalendosi della procedura camerale partecipata.
Una volta concessa, la remissione del debito non • revocabile.
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Istruzione
Religione
Attivitˆ culturali, sportive e ricreative
Contatti con il mondo esterno
Permessi e licenze
Lavoro
ISTRUZIONE
- LÕistruzione • considerata come uno strumento basilare e irrinunciabile per il reinserimento
sociale del detenuto: essa infatti Þgura al primo posto tra gli elementi del trattamento rieducativo sia
nella legge penitenziaria, sia nei documenti sovranazionali. Nel corso del tempo • tuttavia mutato il
signiÞcato di tale strumento: superate le teorie che si basavano su una connessione tra ignoranza e
criminalitˆ, oggi si prende coscienza che, in un mondo in rapido cambiamento e interconnesso, il
detenuto rischia di essere escluso dalla societˆ, e quindi necessita di acquisire un ampio spettro di
abilitˆ e competenze, che deve sviluppare per la realizzazione personale, la salute, lÕoccupabilitˆ e
lÕinclusione sociale.
- Il concetto di istruzione ricomprende:
¥ la formazione culturale Ñ> comprende la scuola dellÕobbligo, la scuola dÕistruzione secondaria
di secondo grado, lÕinsegnamento della lingua italiana e dei principi costituzionali ai detenuti
stranieri, e gli studi universitari
¥ formazione professionale Ñ> comprende i corsi di addestramento professionale, Þnalizzati a
fornire al detenuto le competenze nelle arti ausiliarie (es. ottica e odontotecnica), nei mestieri (es.
realizzazione di manufatti ÒMade in ItalyÓ) e nelle professioni (es. servizi alberghieri o assistenza
tecnica), al Þne di consentire una pi• agevole transizione nel mondo del lavoro.
Rientrano qui anche i corsi organizzati dagli Istituti di formazione tecnica superiore, nonchŽ i
tirocini formativi, di orientamento, di inserimento o reinserimento lavorativo previsti dalla Legge
Fornero.
AllÕinterno di ogni istituto • prevista una biblioteca adatta alle esigenze di una popolazione
eterogenea come quella carceraria (scelta dei libri afÞdata ad unÕapposita commissione).
é poi prevista la possibilitˆ per i detenuti di avere accesso a quotidiani, periodici e libri in vendita
allÕesterno.
- Per entrambi questi modelli di istruzione la disciplina dettata dalla legge penitenziaria • sorretta da
3 principi base:
1. integrazione con il sistema pubblico di istruzione e di formazione
2. incentivazione alla partecipazione dei detenuti e la loro responsabilizzazione
3. tutela rafforzata per determinate categorie ritenute bisognose e di particolari attenzioni anche
sul versante formativo
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1. Integrazione
Le direzioni degli istituti sono tenute a fornire i locali e le attrezzature adeguate allo svolgimento
dei corsi, mentre spetta al Ministero dellÕistruzione organizzare i corsi a livello della scuola
dellÕobbligo e quelli di istruzione secondaria superiore, avvalendosi sia del proprio personale che di
volontari con speciÞca professionalitˆ, ma sempre nel rispetto dei programmi di insegnamento
validi per gli studenti comuni.
I percorsi di istruzione e formazione professionale appartengono invece alla competenza regionale.
Il coordinamento tra le amministrazioni, quella scolastica e quella penitenziaria, • realizzato
attraverso lo strumento del protocollo dÕintesa.
Attraverso convenzioni e protocolli dÕintesa • possibile consentire al detenuto anche lÕaccesso agli
studi universitari. Per gli studenti universitari-detenuti il legislatore prevede:
possibilitˆ di esonero dal lavoro, su richiesta, in ragione dellÕimpegno e del proÞtto dimostrati
assegnazione in camere o reparti adeguati allo svolgimento dello studio
autorizzazione a tenere libri, pubblicazioni e strumenti didattici necessari (computer portatile)
svolgimento degli esami in carcere o, in alternativa effettuazione dellÕesame in videoconferenza,
ferma restando la possibilitˆ del condannato di avvalersi di eventuali permessi premio per
partecipare agli appelli come uno studente comune
2. Incentivazione
La partecipazione alle attivitˆ formative non • obbligatoria per il detenuto. LÕamministrazione non
deve per˜ interferire nel percorso didattico da costui responsabilmente avviato, ma semmai
agevolarlo.
Il particolare impegno e proÞtto nei corsi scolastici e di addestramento professionale (es.
conseguimento del diploma o della laurea) • considerato tra i presupposti per la concessione delle
ricompense come:
¥ riconoscimento di agevolazioni di carattere economico
¥ possibile concessione della semilibertˆ per consentire al detenuto di partecipare alle attivitˆ
¥ obbligo di concedere al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione al
programma di rieducazione una detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata
é previsto lÕesonero dal lavoro, automatico o eventuale, a seconda del corso frequentato.
Qualora per˜ il detenuto ammesso ad un corso di istruzione o formazione tenga un comportamento
che conÞguri sostanziale inadempimento dei suoi compiti, il direttore, previo parere del gruppo di
osservazione e trattamento e delle autoritˆ scolastiche, pu˜ escluderlo dal corso con provvedimento
motivato.
3. Tutela rafforzata
LÕamministrazione deve prestare particolare cura alla formazione culturale e professionale delle
fasce pi• deboli.
Si tratta in questo caso dei giovani adulti, delle donne detenute e degli stranieri.
Per le donne sono previste iniziative speciÞche a tutela della paritˆ di accesso e della speciÞcitˆ
della condizione detentiva. Si vogliono stigmatizzare quelle prassi che concentrano la formazione
professionale della detenuta su attivitˆ tipicamente femminili.
Per quanto riguarda gli stranieri invece, lÕattenzione • focalizzata sullÕintegrazione, rispetto alla
quale vengono considerati fondamentali lÕinsegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei
principi costituzionali.
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LA RELIGIONE
- é stata ormai superata la teoria lombrosiana che aveva ispirato il regolamento penitenziario del
1931, in base al quale lÕassenza di religiositˆ costituiva fattore eziologico della delinquenza e,
pertanto, obbligava i detenuti a partecipare alle funzioni religiose del rito cattolico (esonerati solo
coloro che, allÕingresso in istituto, avessero dichiarato di professare unÕaltra religione).
Oggi vige lÕart. 26: resta fermo il valore dalla religione nellÕambito del trattamento, ma lascia i
detenuti liberi di scegliere.
- La pratica religiosa • considerata dalla legge penitenziaria sia come uno degli elementi del
trattamento rieducativo, sia come oggetto di un diritto di libertˆ.
AllÕamministrazione non spetta il compito di stimolare il condannato ad accostarsi ad una fede
religiosa, cos“ come a costui non pu˜ essere negato il diritto a dichiarare i proprio ateismo.
Considerato che il multiculturalismo religioso presente negli istituti impone come regola generale
il divieto di discriminazione basato sulle proprie credenze, lÕamministrazione • dunque tenuta a non
ostacolare il pieno esercizio della spiritualitˆ da parte dei detenuti, nelle forme collettive e nelle
forme individuali:
¥ forme collettive Ñ> va garantita a tutti i detenuti la partecipazione ai riti della loro confessione,
purchŽ compatibili con lÕordine e la sicurezza dellÕistituto e non contrari alla legge.
Inoltre, ove possibile, vanno adibiti allÕinterno degli ediÞci appositi locali.
¥ forme individuali Ñ> deve essere consentito a tutti i detenuti di praticare il culto della propria
confessione, purchŽ non si esprima in comportamenti molesti, nonchŽ di esporre allÕinterno della
camera detentiva immagini e simboli religiosi.
é riconosciuto al detenuto il diritto di istruirsi nella propria religione, ovvero di apprenderne i
dettami grazie allÕassistenza dei ministri di culto.
- Non vi • una paritˆ di trattamento tra la religione cattolica e le altre religioni. Inoltre, allÕinterno di
questÕultime, una posizione pi• vantaggiosa • riservata alle confessioni che hanno stipulato intese
con lo Stato italiano rispetto alle altre.
In particolare, negli istituti • assicurata la celebrazione dei riti cattolici dalla presenza del
cappellano, che esercita le pratiche di culto, lÕinsegnamento del catechismo e lÕassistenza spirituale.
Il cappellano assume la qualiÞca di incaricato di pubblico servizio. Egli • presente attualmente
soltanto nella commissione per la formazione del regolamento interno dellÕistituto e in quella per
lÕassortimento della biblioteca.
Le confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato italiano siano regolati con legge possono
indicare alle direzioni degli istituti i nominativi dei ministri di culto. In questo caso il direttore •
tenuto ad autorizzare lÕingresso.
Per i ministri di culto di confessioni che non hanno stipulato alcuna intesa con lo Stato • invece
necessario un nulla osta rilasciato singolarmente da un apposito ufÞcio del Ministero dellÕinterno.
- Dato lÕelevato numero di detenuti di religione islamica, lÕamministrazione penitenziaria ha
stipulato nel 2015 un protocollo dÕintesa con lÕUnione delle comunitˆ ed organizzazioni islamiche
in Italia, per favorire lÕingresso dei mediatori culturali e dei ministri di culto negli istituti. DÕaltro
lato, per˜, la medesima amministrazione si mostra molto attenta alla prevenzione del fenomeno
della radicalizzazione, che si concretizza nel reclutamento di detenuti per Þnalitˆ di terrorismo.
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Attivitˆ culturali
Rientrano tra le attivitˆ culturali tutte le forme di acquisizione di conoscenze o competenze diverse
da quelle organizzate nella forma scolastica istituzionale Ñ> es. laboratori artistici, fotograÞci,
musicali e di scrittura creativa; conferenze di orientamento allo studio; e concorsi letterali e di
poesia.
Importanti sono anche i laboratori teatrali allÕinterno degli istituti: la recitazione consente infatti al
detenuto di calarsi in ruoli e dinamiche diversi da quelli propri della detenzione.
Attivitˆ sportive
LÕattivitˆ sportiva comprende lÕesercizio Þsico individuale e le discipline di squadra praticate anche
in forma agonistica.
LÕattivitˆ sportiva rappresenta un momento di aggregazione e di condivisione di regole e
contribuisce a smorzare le tensioni indotte dalla detenzione.
Attivitˆ ricreative
Le attivitˆ ricreative comprendono concerti, spettacoli e cineforum.
La loro organizzazione • spesso lasciata allÕiniziativa dei detenuti allÕinterno degli spazi della
socialitˆ. Spetta comunque al regolamento interno indicare quali sono i giochi consentiti: sono
esclusi i giochi violenti, il gioco dÕazzardo e le scommesse.
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2. La seconda categoria riguarda lÕingresso della societˆ in carcere. é qui opportuno distinguere tra
gli incontri del detenuto con la famiglia e quelli con gli altri membri della comunitˆ esterna.
La legge penitenziaria dedica numerose disposizioni alla tutela della sfera familiare e affettiva del
ristretto, che si realizza principalmente attraverso i colloqui, i contatti telefonici e la
corrispondenza.
Per quanto riguarda invece i contatti con altre persone provenienti dalla comunitˆ esterna, occorre
focalizzare lÕattenzione sulla disciplina contenuta negli articoli 17 e 78.
Art. 17 Ñ> Òpartecipazione della comunitˆ esterna allÕazione rieducativaÓ. Stabilisce che possono
essere autorizzati a fare ingresso in istituto tutti coloro che, avendo concreto interesse per lÕopera di
risocializzazione dei detenuti, dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra
la comunitˆ carceraria e la societˆ libera.
Art. 78 Ñ> Òassistenti volontariÓ. Prevede che possono essere autorizzati allÕingresso quei soggetti,
ritenuti idonei allÕassistenza e allÕeducazione, che intendano partecipare allÕopera rivolta al sostegno
morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Questi due articoli si differenziano sotto diversi punti di vista. LÕingresso previsto ai sensi
dellÕart.17, infatti, pu˜ essere autorizzato anche una tantum o per il periodo di tempo necessario a
portare a termine lÕattivitˆ programmata, e non • necessariamente a titolo gratuito. Per un altro
verso, • consentito anche a singoli cittadini, mentre lÕaccesso ex art. 78 presuppone necessariamente
lÕappartenenza del visitatore ad un ente di volontariato.
- Il Òterzo settoreÓ, operando allÕinterno degli istituti sotto il controllo della direzione e attraverso il
coordinamento con lÕarea trattamentale, e allÕesterno sotto il controllo del direttore dellÕUEPE,
riveste da sempre un ruolo importante nel percorso di reinserimento sociale del condannato.
I suoi interventi consistono:
¥ assistenza materiale intramuraria nei confronti delle persone meno abbienti
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I contatti con il mondo esterno si realizzano anche attraverso lÕaccesso ai mezzi di comunicazione
di massa (stampa, televisione, radio, internet) e garantiscono il diritto allÕintegritˆ morale e
culturale.
é prevista la possibilitˆ di tenere presso di sŽ quotidiani, periodici e libri, senza censura o
preclusioni da parte dellÕamministrazione penitenziaria (solo limiti di tipo quantitativo).
Ci˜ dimostra il diritto alla libera informazione e il diritto di esprimere le proprie opinioni.
Possibilitˆ inoltre di ottenere lÕautorizzazione allÕuso di computer per motivi di lavoro o di studio.
I COLLOQUI VISIVI
La regolamentazione dei colloqui va esaminata prendendo in considerazione quali sono gli
interlocutori (familiari, altre persone, difensore, garanti dei diritti dei detenuti, autoritˆ
investigative) e la forma di comunicazione (colloquio visivo, telefonico o tramite programmi di
videochiamata).
Categorie di soggetti ammessi ad effettuare colloqui:
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b) ÒAltre personeÓ
Questa formula ricomprende quanti, al di fuori della cerchia familiare, sono legati al detenuto da
rapporti affettivi (es. Þdanzata non convivente) o di amicizia, oppure coloro che il detenuto ha
necessitˆ di incontrare per il compimento di atti giuridici (es. un notaio).
Per costoro lÕautorizzazione viene concessa quando ricorrono Òragionevoli motiviÓ. Non si tratta
quindi di un diritto soggettivo come nel caso della famiglia, ma di un riconoscimento che dipende
da una valutazione discrezionale dellÕautoritˆ competente.
c) Difensore
Il colloquio con il difensore rappresenta un canale idoneo a dare concretezza ad un diritto
ÒinviolabileÓ, come deÞnito dallÕart. 24 Cost. Infatti il colloquio in esame viene garantito non solo
allÕimputato, ma anche a chi ha giˆ assunto la veste di condannato.
I colloqui con il difensore, proprio perchŽ espressione di un diritto inviolabile, possono svolgersi in
qualsiasi giorno, non hanno un limite numerico mensile e vengono effettuati in appositi locali in cui
• garantita la riservatezza.
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Art. 24 Cost. Ð Inviolabilitˆ del diritto di difesa Çin ogni stato e grado del procedimentoÈ
¥ Imputati in custodia cautelare (art. 104 c.p.p. - possibilitˆ di dilazione del colloquio per
determinate categorie di reati)
¥ Condannati (art.18 - colloqui in generale, sottoposti allÕautorizzazione del direttore dellÕistituto)
↓
Sentenza Corte cost. n. 212/1997
Con la sentenza 212/1997 • stata dichiarata lÕillegittimitˆ costituzionale dellÕart. 18 nella parte in
cui non prevedeva che il detenuto, condannato in via deÞnitiva, ha il diritto di conferire con il
proprio difensore, senza alcuna valutazione discrezionale da parte dellÕamministrazione
penitenziaria.
Nuova conÞgurazione dellÕart. 18 c. 2 (d.lgs. 123/2018): ÒI detenuti e gli internati hanno il diritto di
conferire con il difensore sin dallÕinizio dellÕesecuzione della misura o della penaÓ, senza limiti
numerici, di durata o previa autorizzazione.
LA CORRISPONDENZA TELEFONICA
- Per quanto riguarda la corrispondenza telefonica, al detenuto spetta una chiamata alla settimana
della durata di 10 minuti. é prevista anche la possibilitˆ di inoltrare la chiamata anche verso telefoni
cellulari, previa veriÞca della titolaritˆ dellÕutenza.
Minori Ñ> per i minori la disciplina • pi• favorevole. Sono previste infatti 2 o 3 chiamate a
settimana, ciascuna della durata di 20 minuti
Detenuti per reati ex art. 4 bis co. 1 Ñ> sono consentite due chiamate al mese della durata massima
di 10 minuti
Detenuti per reati ex art. 41 bis Ñ> • consentita una telefonata al mese che pu˜ avere come
destinazione solo la struttura carceraria pi• vicina alla residenza di familiari, nella quale costoro
devono recarsi per conferire con il congiunto.
- Anche il rispetto della riservatezza della conversazione • diverso in ragione della categoria di
appartenenza del detenuto.
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Detenuto comune Ñ> le chiamate possono essere registrate e ascoltate soltanto con lÕautorizzazione
dellÕautoritˆ giudiziaria.
Detenuti per reati ex art. 4 bis co. 1 Ñ> le chiamate sono sempre registrate e i relativi Þles sono
posti a disposizione dellÕautoritˆ giudiziaria.
Detenuti per reati ex art. 41 bis Ñ> le chiamate sono sempre registrate e ascoltate in tempo reale.
- Possono essere autorizzate telefonate straordinarie per diverse motivazioni:
per consentire al detenuto o allÕinternato di avvisare i familiari al momento di rientro dal
permesso o dalla licenza e al suo arrivo in un nuovo istituto dopo il trasferimento
per motivi di urgenza o di particolare rilevanza
qualora destinatari della chiamata siano Þgli minori di anni 18, Þgli maggiorenni portatori di una
disabilitˆ grave, familiare stretto ricoverato in una struttura ospedaliera: in questo caso la
telefonata straordinaria pu˜ essere concessa anche quotidianamente per il detenuto comune (ma
non pi• di una volta a settimana in caso di detenuti ex art. 4 bis co. 1)
in caso di madri detenute con Þgli al seguito sono consentiti due colloqui telefonici consecutivi e
in interrotti per tutelare il diritto del minore alla genitorialitˆ paterna
é poco condivisibile per˜ la scelta di considerare tra le telefonate straordinarie anche quelle con il
difensore. Ci˜ infatti si scontra con il dato normativo dellÕart. 18 co. 2, secondo il quale i detenuti e
gli internati, a prescindere dalla posizione giuridica, hanno Òdiritto di conferireÓ in qualsiasi forma
con il difensore.
- Modalitˆ operative
In tutte le sezioni detentive sono installati apparecchi telefonici utilizzati dai detenuti in autonomia,
attraverso tessere elettroniche in cui sono stati precedentemente inseriti i numeri di telefono
autorizzati. La durata della chiamata viene controllata automaticamente e il relativo costo
addebitato sul fondo disponibile del detenuto.
La ricezione dallÕesterno o lÕutilizzo, da parte del detenuto, di un apparecchio telefonico o di un
altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni (dispositivo Wi-Fi o Bluetooth) costituisce
reato (art. 391 ter c.p.), oltre ad integrare una grave infrazione disciplinare e a legittimare il
trasferimento per motivi di sicurezza del detenuto in un istituto geograÞcamente distante da quello
in cui si • consumato il reato.
- Videochiamate
NŽ la legge penitenziaria nŽ il relativo regolamento di esecuzione contengono una normativa
speciÞca in materia di conversazioni in videochiamata. Nonostante la lacuna, lÕamministrazione
penitenziaria ha compreso lÕimportanza di questo mezzo di comunicazione, che per˜ non deve
essere inteso come unÕalternativa volta a rimpiazzare la presenza Þsica di familiari, ma come uno
strumento da utilizzare, anche in aggiunta ai colloqui visivi, soltanto qualora la visita del familiare
sia impossibile o pi• complicata a causa della distanza geograÞca dell'istituto o da altri motivi (es.
cattive condizioni di salute o etˆ avanzata del familiare).
La videochiamata • considerata e computata come una modalitˆ di colloquio visivo (e non di
telefonata).
LA CORRISPONDENZA EPISTOLARE
- La corrispondenza epistolare nella societˆ libera • stata ormai quasi completamente sostituita da
quella telefonica e da quella informatica. Nella popolazione detenuta, invece, risulta ancora uno
strumento molto utilizzato. Per questo motivo, la legge, contrariamente ai colloqui e alle telefonate,
non prevede un numero massimo di lettere che il detenuto pu˜ inviare o ricevere, nŽ una restrizione
generale in relazione ai soggetti con cui • possibile instaurare scambi epistolari, compresi i
compagni di detenzione dimessi dal carcere o trasferiti. Anzi, si prevede la fornitura gratuita di
oggetti di cancelleria e francobolli ai soggetti non abbienti.
Per la consegna dei pacchi invece sono previste restrizioni che riguardano il numero mensile, i
limiti di peso e il loro contenuto (preventivamente controllato dal personale di polizia penitenziaria
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tramite apparecchiature a raggi x), che deve essere costituito unicamente da abbigliamento o da
generi alimentari di consumo comune.
- Le limitazioni e i controlli sulla corrispondenza epistolare, in conformitˆ fra i principi di libertˆ e
segretezza riconosciuti dagli articoli 15 della Cost. e dagli articoli 8 e13 della Cedu, esigono che il
legislatore penitenziario speciÞchi in quali casi, con quali modalitˆ e per quanto tempo si possono
adottare provvedimenti restrittivi.
LÕintroduzione nella legge penitenziaria dellÕart.18 ter, che appunto precisa i gradi delle limitazioni,
i presupposti, i tempi, le autoritˆ competenti e i meccanismi di tutela giurisdizionale, ha colmato la
lacuna. Le restrizioni riguardanti lÕinvio e la ricezione della corrispondenza possono essere di tre
tipi:
1. Controllo materiale della busta senza lettura dello scritto in essa contenuto Ñ> in questo caso
il controllo ha lo scopo di evitare che allÕinterno della busta vengano nascosti oggetti non
consentiti (es. denaro, sostanze stupefacenti, strumenti taglienti, apparecchiature elettroniche
miniaturizzate). L'apertura delle buste deve avvenire in presenza dell'interessato e l'ispezione
deve essere effettuata con modalitˆ tali da garantire che il contenuto della missiva non sia letto
2. Controllo con lettura del contenuto ed eventuale tracciamento Ñ> questo tipo di controllo
prevede la lettura della missiva da parte del personale di polizia penitenziaria. Se il contenuto
pu˜ pregiudicare una delle esigenze indicate nellÕart. 18 ter co. 1, o se il linguaggio utilizzato •
criptico o sono presenti segni dal signiÞcato indecifrabile, la corrispondenza non viene nŽ
consegnata, nŽ inoltrata, e il condannato viene informato dellÕavvenuto trattenimento.
3. Blocco dellÕinvio e della ricezione della corrispondenza Ñ> consiste nellÕinibizione totale o
parziale (es. nei confronti di un determinato destinatario, o mediante la Þssazione di un
quantitativo massimo di lettere invia abili e ricevibili) della facoltˆ di spedire o di ricevere
corrispondenza.
I motivi per cui possono essere adottati questi provvedimenti sono:
esigenze attinenti alle indagini in corso (es. evitare che il detenuto scriva un familiare
chiedendogli di occultare alcune prove)
esigenze investigative attinenti alla ricerca di altre notizie di reato (es. captare i messaggi con cui
lÕassociazione criminale di cui fa parte il detenuto lo tiene aggiornato riguardo lÕandamento delle
attivitˆ delittuose)
esigenze di prevenzione dei reati (es. impedire che condannato per stalking possa continuare a
inviare alla vittima lettere persecutorie)
ragioni di sicurezza o di ordine dellÕistituto (es. impedire che il detenuto destinatario della
missiva venga informato dell'avvenuto trasferimento nel suo istituto di un altro detenuto
rivelatosi una fonte conÞdenziale della polizia)
- Per i condannati e gli internati, il decreto motivato viene emesso dal magistrato di sorveglianza.
Per gli indagati e gli imputati, il provvedimento viene emesso dal giudice competente: gip nel corso
delle indagini per preliminari; gup durante lo svolgimento dellÕudienza preliminare; giudice
monocratico o presidente del collegio durante la fase dibattimentale; presidente della Corte
dÕappello o della Corte dÕassise dÕappello durante il successivo grado del processo e in pendenza
del ricorso per cassazione.
LÕintervento dell'autoritˆ giudiziaria pu˜ essere sollecitato dal pubblico ministero o dal direttore
dellÕistituto.
LÕintervento giurisdizionale • sempre necessario anche in relazione ai soggetti sottoposti a regime di
41 bis.
- Il provvedimento giudiziale ha una durata circoscritta, cio• Þno a sei mesi: in seguito, qualora
permangono le ragioni che sono state alla base del primo provvedimento, possono essere disposte
ulteriori proroghe della durata massima di tre mesi.
Avverso il provvedimento motivato che dispone la limitazione della corrispondenza • ammesso il
reclamo da parte del detenuto o del difensore. Relativamente a tale reclamo • competente il
tribunale di sorveglianza, se il provvedimento • stato emesso dal magistrato di sorveglianza, oppure
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il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che si • giˆ pronunciato, se si tratta di veriÞcare la
fondatezza del reclamo di unÕimputato.
- Le limitazioni e i controlli non possono essere disposti nei confronti delle missive indirizzate dal
detenuto a determinati soggetti. Fa parte della corrispondenza protetta quella indirizzata:
¥ ai componenti dellÕufÞcio difensivo
¥ allÕautoritˆ giudiziaria
¥ ai membri del Parlamento
¥ alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui lÕinteressato • cittadino
¥ agli organismi internazionali, amministrativi e giudiziari preposti alla tutela dei diritti dellÕuomo
di cui lÕItalia fa parte
LÕINFORMAZIONE
- Anche ai detenuti va garantito il diritto a una libera informazione (art. 21 Cost.) per consentire
loro di tenersi aggiornati sugli avvenimenti pubblici, per scopi di arricchimento culturale o anche
semplicemente come momento ricreativo.
Sono molteplici le fonti di informazione a cui il detenuto pu˜ attingere.
- AllÕinterno di ogni camera detentiva • collocato un televisore, i cui orari di fruizione sono
disciplinati nel regolamento interno dellÕistituto, cosicchŽ il personale della polizia penitenziaria
pu˜ escluderne il funzionamento durante le ore notturne. é consentito anche l'uso di un apparecchio
radio personale e di un lettore di Þle musicali.
- I detenuti e gli internati possono inoltre tenere presso di sŽ i quotidiani, i periodici e i libri in
libera vendita allÕesterno. Tali pubblicazioni sono acquistabili in istituto oppure possono essere
ricevute dallÕesterno sottoforma di corrispondenza.
Le limitazioni alla fruizione della stampa possono essere generali o relative al singolo detenuto.
Generali Ñ> appartengono a questa categoria, ad esempio, lÕapposizione di un limite quantitativo
dettato da ragioni di spazio, alle pubblicazioni che si possono tenere tenere nelle camere detentive o
il divieto generalizzato di ricezione di Òriviste per adultiÓ (in questo caso, trattandosi di
pubblicazioni in libera vendita allÕesterno, la restrizione deve essere motivata da comprovate
esigenze di sicurezza o trattamentali, come nell'ipotesi in cui si tratti in una sezione che ospita i sex
offenders).
Singolo detenuto Ñ> si tratta di limitazioni nella ricezione della stampa, come nel caso di quella
riguardante quotidiani a tiratura locale, allÕinterno dei quali potrebbero essere riportate notizie
relative allÕassociazione a delinquere a cui • legato il detenuto.
- La legge penitenziaria riconosce attualmente al detenuto la possibilitˆ di avvalersi delle
potenzialitˆ offerte da Internet. Le modalitˆ di fruizione del web dovrebbero essere speciÞcate
attraverso una disciplina regolamentare, per il momento assente.
Ci˜ nonostante lÕamministrazione ha consentito lÕuso di personal computer collegati in rete, situati
nelle sale comuni, nei locali lavorativi o nelle aule scolastiche (cos“ da permettere la didattica a
distanza). Essi sono programmati per consentire lÕaccesso solo a determinati siti e lÕutilizzo delle e-
mail.
é prevista la possibilitˆ per il detenuto studente o lavoratore di utilizzare il computer portatile anche
allÕinterno della propria camera, privato per˜ della possibilitˆ di collegarsi alla rete e
periodicamente sottoposto a controlli da parte della polizia penitenziaria.
Infatti, in occasione del colloquio di primo ingresso, il detenuto • invitato a segnalare gli eventuali
problemi personali e familiari che richiedono interventi immediati. Qualora risulti che i familiari
non mantengano rapporti con il detenuto, la direzione • tenuta ad inoltrare una segnalazione
allÕufÞcio locale di esecuzione penale esterna per gli opportuni interventi.
- Nel nostro ordinamento non • prevista la possibilitˆ di consumare rapporti sessuali con la propria
compagna o compagno allÕinterno dellÕistituto, allÕinterno di appositi locali sottratti al controllo
della polizia penitenziaria. La Corte costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile, dal
momento che lÕindividuazione di un punto di equilibrio tra i diritti inviolabili e le esigenze di
sicurezza spetta alla discrezionalitˆ del legislatore.
Nonostante ci˜, un gran numero di Stati riconosce il diritto dei detenuti ad una vita sessuale
intramuraria.
- Rapporti familiari intra moenia Ñ> disposizioni in materia di assegnazioni e trasferimenti e
quelle che garantiscono la comunicazione ai congiunti dello stato di detenzione, dei trasferimenti,
delle malattie e dei decessi
Rapporti familiari extra moenia Ñ> la misura pi• importante • quella del permesso-premio, anche
se lÕintero sistema delle misure alternative alla detenzione • imperniato sul principio secondo cui il
reinserimento sociale signiÞca, prima di tutto, il reinserimento nel nucleo familiare. La legge
penitenziaria prende in considerazione anche le particolari situazioni di difÞcoltˆ che pu˜ incontrare
la famiglia del detenuto: attraverso lo strumento del permesso umanitario, dellÕassistenza allÕesterno
dei Þgli Þno a 10 anni e delle visite al familiare infermo o affetto da handicap.
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I PERMESSI E LE LICENZE
I permessi di uscita sono provvedimenti incidenti in senso migliorativo sulla libertˆ personale, con i
quali lÕautoritˆ giudiziaria consente al detenuto di trascorrere un periodo di tempo (da poche ore
Þno a diversi giorni) nella societˆ libera con lÕadozione di una serie di cautele (es. imposizione di
determinate prescrizioni o predisposizione di una scorta) e con lÕobbligo, sanzionato penalmente, di
fare spontaneamente rientro in istituto alla scadenza del termine.
Sono previste due categorie di permessi:
¥ permessi di necessitˆ Ñ> attinenza con il principio di umanitˆ della pena (introdotti con la
riforma del 1975)
¥ permessi premio Ñ> traduzione legislativa del Þnalismo rieducativo della pena (introdotti con
legge 663/1986, legge Gozzini)
I PERMESSI DI NECESSITË
- Il permesso di necessitˆ (umanitario) • disciplinato allÕinterno dellÕart. 30. Si tratta di un istituto
ad applicazione sporadica, di carattere straordinario e di breve durata.
Esso viene concesso:
in caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, per consentire al
detenuto di recarsi al loro capezzale Ñ> in questo caso lÕautoritˆ giudiziaria • tenuta a concedere
il permesso, salva la facoltˆ di adottare prescrizioni pi• opportune a tutela della sicurezza
pubblica
eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravitˆ Ñ> per capire il signiÞcato di questa
locuzione va premesso che il comma in esame • stato modiÞcato dalla legge 450/1977:
originariamente, infatti, la legge subordinava la concessione ad un requisito pi• ßessibile, ovvero
la sussistenza di Ògravi e accertati motiviÓ. Questo concetto veniva interpretato in termini ampi,
facendovi rientrare eventi luttuosi e drammatici ma anche vicende signiÞcative nella vita del
detenuto (es. partecipazione al matrimonio del Þglio).
LÕintroduzione dei permessi premio ha determinato per˜ lÕimpossibilitˆ di utilizzare i permessi di
necessitˆ come strumento a valenza trattamentale.
- Attualmente la giurisprudenza stabilisce che devono sussistere congiuntamente tre requisiti:
1. eccezionalitˆ della concessione
2. particolare gravitˆ dellÕevento giustiÞcativo
3. idoneitˆ ad incidere nella vicenda familiare del detenuto
Possono prendersi in considerazione solo ÒeventiÓ, cio• fatti storici del tutto al di fuori della
quotidianitˆ, e non situazioni croniche che si prolungano nel tempo. Inoltre, la circostanza • ritenuta
ÒgraveÓ quando allÕafßizione propria della detenzione si somma inutilmente quella derivante
allÕinteressato dellÕimpossibilitˆ di essere vicino ai congiunti.
Esempio: la nascita di un Þglio, pur essendo una circostanza lieta, • ritenuta condizione legittimante
la concessione del permesso perchŽ si tratta di un momento unico e insostituibile nella vita di una
persona.
- I permessi di necessitˆ possono essere concessi a tutti coloro che si trovano in carcere (imputati,
condannati e internati), indipendente dalla condotta intramuraria, dalla pericolositˆ sociale, dal reato
commesso o dalla pena inßitta.
La diversa posizione giuridica rileva solo al Þne dellÕindividuazione del giudice competente:
¥ per gli imputati, sono concessi dallÕautoritˆ giudiziaria
¥ per i condannati e gli internati, provvede il magistrato di sorveglianza
Entrambi questi giudici decidono de plano, ossia in camera di consiglio senza la presenza del
difensore e del pm. Il provvedimento • impugnabile tramite reclamo.
- Per quanto riguarda la fase istruttoria del procedimento, solitamente • la famiglia a comunicare la
notizia al detenuto, il quale inoltra poi la richiesta di permesso al giudice. QuestÕultimo, a sua volta,
si pronuncia dopo aver veriÞcato tramite le forze di polizia o lÕUEPE che la situazione indicata dal
richiedente corrisponda al vero.
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Un maggior grado di approfondimento • richiesto nel caso di condannati o imputati per delitti di
criminalitˆ organizzata le cui indagini sono afÞdate alla Direzione distrettuale antimaÞa e
antiterrorismo. In questa ipotesi, infatti, lÕautoritˆ competente, prima di pronunciarsi, • tenuta a
richiedere un parere in merito allÕattualitˆ dei collegamenti con la criminalitˆ organizzata e alla
pericolositˆ del soggetto al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del
distretto ove • stata pronunciata la sentenza di condanna e al Procuratore nazionale antimaÞa e
antiterrorismo.
Questi pareri non sono vincolanti per il giudice. Il permesso non pu˜ essere concesso prima che
siano decorse 24 ore dalla richiesta rivolta alle autoritˆ investigative, ma il giudice pu˜ procedere
ugualmente qualora ricorrano esigenze di eccezionale urgenza (es. prognosi infausta a brevissimo
termine riguardante la vita del familiare).
Il grado di pericolositˆ del richiedente incide non tanto sulla concessione del permesso, quanto sul
tipo di cautele applicabili dal giudice, che possono consistere in:
¥ accertamenti sul luogo in cui lÕinteressato deve recarsi
¥ predisposizione dellÕaccompagnamento armato da parte della polizia penitenziaria
¥ stretta vigilanza per evitare contatti con persone diverse dai familiari
- La durata massima del permesso di necessitˆ • di 5 giorni, oltre al tempo necessario per
raggiungere il luogo dove lÕinteressato deve recarsi.
I PERMESSI PREMIO
- I permessi premio non erano nella mente originaria del legislatore, ma sono stati introdotti con la
riforma Gozzini del 1986 (art. 30 ter).
Si tratta di permessi trattamentali o rieducativi, in ragione della funzione a cui assolvono: quella di
consentire il graduale allontanamento del condannato dallÕistituzione carceraria, come inizio di un
percorso di reinserimento sociale destinato a sfociare nella fruizione delle misure alternative alla
detenzione. Si tratta, cio•, del primo stadio con cui si manifesta il principio di progressivitˆ
trattamentale valorizzato dalla Corte Costituzionale.
Caratteristiche:
¥ • parte del programma di trattamento
¥ concessione ancorata esclusivamente alla condotta del detenuto
¥ pu˜ essere concesso solo ai condannati (esclusi indagati e imputati)
- I permessi premio riguardano solo i condannati. Per questo, il giudice competente • in ogni caso il
magistrato di sorveglianza.
Essendo uno strumento ordinario del trattamento, il permesso premio non prevede lÕindicazione dei
motivi per poter essere concesso (come nel caso del permesso di necessitˆ). Gli Òinteressi affettivi,
culturali o di lavoroÓ, indicati dallÕart. 30 ter, non devono infatti essere considerati come
unÕelencazione tassativa. é possibile infatti, per esempio, ricevere un permesso premio per
sostenere un esame universitario, per partecipare ad una competizione sportiva o per assistere ad
una particolare ricorrenza religiosa.
- Sono invece indicati con precisione i requisiti oggettivi (legati a dati desumibili dalla sentenza di
condanna, come lÕentitˆ della pena inßitta e il reato commesso) e soggettivi (riconducibili a
valutazioni della personalitˆ del richiedente).
Requisiti oggettivi
Sono previsti innanzitutto presupposti di carattere temporale. é infatti indicato speciÞcamente il
periodo di espiazione della pena necessario per la concessione del primo permesso premio, in
relazione allÕentitˆ della sanzione detentiva inßitta a colui che formula la richiesta:
a) per i condannati alla pena dellÕarresto o della reclusione non superiore a 4 anni Ñ> permesso
concedibile in qualunque momento dellÕesecuzione; non • previsto un quantum di pena per la
concessione del permesso. Tuttavia, ci˜ non signiÞca che il permesso premio sia
immediatamente fruibile, occorrendo pur sempre agli operatori trattamentali un periodo di
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tempo per lÕosservazione della personalitˆ del richiedente e per la predisposizione del
programma di trattamento
b) per i condannati alla reclusione superiore a 4 anni, per un delitto diverso di quelli di cui allÕart.
4 bis Ñ> concessione ammessa dopo lÕespiazione di 1/4 della pena
c) per i condannati alla reclusione dei delitti di cui allÕart. 4 bis Ñ> espiazione di almeno metˆ
della pena e, comunque, di non oltre 10 anni.
In caso di cumulo di pene riguardanti anche reati ÒcomuniÓ, deve ritenersi operante lo
scioglimento del cumulo, per cui si calcolano le quote (1/4 o metˆ) corrispondenti a ciascuna
parte della pena singolarmente considerata, e poi si sommano le entitˆ cos“ ottenute.
Inoltre, i condannati per i delitti allÕart. 4 bis possono usufruire dei permessi premio solo a
condizione di aver rimosso la condizione ostativa. Quando ci˜ avviene attraverso unÕeffettiva
collaborazione con la giustizia, non trova pi• applicazione il maggior limite di pena della metˆ,
per cui • sufÞciente aver scontato 1/4 della pena. Al contrario, quando ci˜ si veriÞca in assenza
di collaborazione con la giustizia, la quota di pena da espiare per poter accedere al permesso
resta immutata
d) per i condannati allÕergastolo Ñ> concessione ammessa dopo 10 anni di pena
e) nel caso di commissione di un reato doloso durate lÕespiazione della pena o lÕesecuzione della
misura cautelare Ñ> concessione ammessa solo decorsi due anni dalla commissione del fatto
Ai Þni del computo dei termini, si considera come scontata anche la parte di pena detratta a titolo di
liberazione anticipata.
Requisiti soggettivi
La valutazione sulla concessione viene eseguita dal magistrato di sorveglianza.
¥ Il condannato deve avere tenuto regolare condotta Ñ> ovvero senso di responsabilitˆ e
correttezza nel comportamento personale, nelle attivitˆ collettive, lavorative e culturali.
é determinante il parere, obbligatorio ma non vincolante, del direttore dell'istituto penitenziario,
che si avvarrˆ delle opinioni del gruppo di osservazione.
¥ Il condannato non deve risultare socialmente pericoloso Ñ> il requisito • concorrente con il
precedente e deve essere valutato autonomamente. Questo accertamento comporta un giudizio
prognostico consistente la valutazione della probabilitˆ di futura commissione di altri reati
(acquisizione del certiÞcato penale, della sentenza di condanna, richiesta di informazione alla
polizia).
Al Þne di non dilatare eccessivamente i tempi di fruizione del permesso e quindi di non ostacolare
il percorso di reinserimento sociale del condannato, si prevede che tale procedura, una volta
esperita dal magistrato di sorveglianza in occasione della prima concessione del permesso, non
debba essere necessariamente ripetuta in relazione a quelli successivi.
¥ Il permesso deve consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro Ñ> Þnalitˆ non
tassativi, tra cui pu˜ rientrare per esempio i sostenere esami universitari
nel divieto di svolgere determinate attivitˆ (es. divieto di utilizzare i social network)
nel divieto di avere rapporti con determinate persone (es. alcuni familiari socialmente pericolosi)
nel divieto di soggiornare in uno o pi• comuni
nellÕobbligo di soggiornare in un comune determinato
Questa misura tende alla responsabilizzazione del condannato, per questo la scorta armata viene
considerata eccezionale: di regola infatti ci si limita a controlli sul rispetto delle prescrizioni,
effettuati dalle forze di polizia presenti sul territorio e dal corpo di polizia penitenziaria.
A tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, quando un condannato per delitti allÕart.
659 cpp (es. maltrattamenti in famiglia, stalking o violenza sessuale) esce dal carcere a seguito della
concessione di un permesso o di una misura alternativa alla detenzione, il pubblico ministero che
cura lÕesecuzione della sentenza deve darne immediata comunicazione alla persona offesa, con lo
scopo di evitare che essa sia colta alla sprovvista dallÕanticipato ritorno in libertˆ.
3. Reclamo
Contro il decreto motivato con cui viene concesso o negato il permesso • prevista la possibilitˆ di
reclamo: in caso di rigetto dellÕistanza il reclamo pu˜ essere presentato dal detenuto o dal suo
difensore, mentre in caso di concessione legittimato ad impugnare • il pubblico ministero (che
potrebbe per esempio ritenere che il fruitore del promesso premio sia persona socialmente
pericolosa).
Il termine per proporre lÕimpugnazione (che deve essere corredata da motivi speciÞci a pena di
inammissibilitˆ) • differente in relazione alle due tipologie esaminate:
¥ permessi di necessitˆ Ñ> il termine • di 24 ore, decorrenti dalla comunicazione del
provvedimento: un termine cos“ breve • giustiÞcato dallÕurgenza di pervenire ad una decisione
¥ permessi premio Ñ> originariamente era previsto il medesimo termine di 24 ore; oggi invece il
termine • di 15 giorni. Infatti il breve termine di 24 ore appariva contrastante con il diritto del
detenuto di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa.
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LÕorgano competente per il reclamo si individua in base al giudice che si • pronunciato in primo
grado:
¥ se il permesso • stato concesso dal magistrato di sorveglianza Ñ> competenza del tribunale di
sorveglianza
¥ se la decisione • stata assunta prima del passaggio in giudicato della sentenza Ñ> competenza
della Corte dÕappello
La decisione sul reclamo deve essere assunta nel pieno contraddittorio tra il pubblico ministero e il
difensore ed • ricorribile per cassazione.
LE LICENZE
Le licenze (art. 53) costituiscono provvedimenti restitutivi della libertˆ analoghi ai permessi e che
sono per˜ destinate unicamente agli internati (sia a quelli ristretti in una colonia agricola o casa di
lavoro, sia a quelli ospitati nelle REMS).
Sono previste due tipologie di licenze:
ordinarie Ñ> sono strumentali al reinserimento sociale dellÕinternato, da conseguire attraverso la
sperimentazione della vita nella societˆ libera. Possono essere concesse una volta allÕanno (per
una durata non superiore a 30 giorni) o nel periodo immediatamente antecedente al riesame della
pericolositˆ ex art. 679 c.p.p. (per una durata non superiore a sei mesi) allo scopo di favorire
lÕesito positivo di tale giudizio (licenza Þnale di esperimento)
straordinarie Ñ> sono Þnalizzate a far fronte a gravi esigenze personali e familiari e si
aggiungono, con una portata applicativa pi• estesa, ai permessi di necessitˆ. Possono avere una
durata non superiore a 15 giorni.
Il tempo trascorso dallÕinternato in licenza • computato a ogni effetto nella durata della misura di
sicurezza custodiale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti.
La competenza a concedere le licenze appartiene al magistrato di sorveglianza che procede de plano
con decreto motivato. La giurisprudenza reputa ammissibile lÕappello dinanzi al tribunale di
sorveglianza.
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IL LAVORO
- Nei sistemi penali imperniati sullÕidea retributiva e general-preventiva, il lavoro era prescritto,
quale modalitˆ di espiazione della pena detentiva, in chiave afßittiva: i detenuti venivano assegnati
a svolgere attivitˆ ad esaurimento, prive di utilitˆ e incapaci di procurare gratiÞcazione.
- Con la progressiva valorizzazione della funzione rieducativa e special-preventiva della pena, il
lavoro detentivo si • andato invece affermando quale strumento di recupero del condannato.
In questa chiave riabilitativa, esso ha per˜ patito la graduale trasformazione del concetto di
ÒrieducazioneÓ. Inizialmente, infatti, il lavoro veniva concepito (insieme a istruzione e religione)
quale strumento diretto alla modiÞcazione della persona. Il lavoro al quale ogni detenuto era adibito
rappresentava un mezzo per ÒabituareÓ questÕultimo allÕosservanza delle regole sociali. La
manodopera carceraria veniva spesso impiegata dallÕamministrazione per la gestione di vere e
proprie imprese pubbliche.
La riforma penitenziaria del 1975 ha sottoposto ad una profonda revisione, alla luce dei principi
della Costituzione, sia il concetto di rieducazione, sia il ruolo del lavoro detentivo.
LÕordinamento penitenziario vigente individua lÕobiettivo della rieducazione nel reinserimento del
condannato nella societˆ e declina lÕopera rieducativa dellÕamministrazione in termini
promozionali, cos“ da rendere il condannato autore e protagonista della propria risocializzazione.
Il lavoro rappresenta oggi il principale strumento di realizzazione della persona e di emancipazione
sociale.
- Il lavoro ha una posizione privilegiata tra i molteplici strumenti previsti per il trattamento dei
detenuti. Le norme vigenti:
¥ lo collocano tra gli elementi dei quali principalmente il trattamento si avvale
¥ prescrivono che venga assicurato ai detenuti e gli internati, salvi soltanto casi di impossibilitˆ
¥ raccomandano che, nelle strutture detentive, la destinazione di detenuti e internati ad occupazioni
lavorative sia favorita Òin ogni modoÓ
- La disciplina vigente Þssa tre connotazioni necessarie del lavoro detentivo:
1. non deve avere carattere afßittivo
2. deve essere remunerato, per gratiÞcare e responsabilizzare il detenuto
3. deve essere organizzato secondo metodi che rißettono quelli del lavoro nella societˆ libera,
afÞnchŽ possa predisporre al meglio il condannato al suo rientro nella societˆ
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Tale quota, tuttavia, • esposta al pignoramento o al sequestro per obbligazioni alimentari, nonchŽ
per il risarcimento dei danni cagionati a beni dellÕamministrazione.
In ogni caso, la Corte costituzionale ha chiarito che la retribuzione del lavoro detentivo • sempre
assoggettata ai principi di proporzionalitˆ e sufÞcienza (art. 36 Cost.), sottolineando come una
remunerazione di gran lunga inferiore alla normale retribuzione sarebbe diseducativa e
controproducente; il detenuto non troverebbe alcun incentivo e interesse a lavorare.
Per quanto riguarda il lavoro allÕesterno, il detenuto pu˜ esercitare tutti i diritti riconosciuti ai
lavoratori liberi. Manca per˜ una previsione analoga riferibile a chi svolge lavoro intramurario. Ad
essi risultano applicabili due disposizioni che riconoscono alcuni diritti: lÕoperativitˆ delle norme
lavoristiche generali su orario di lavoro, riposo festivo, ferie annuali, tutela assicurativa e
previdenziale e il diritto agli assegni familiari.
3. Deve essere organizzato secondo metodi che rißettono quelli del lavoro nella societˆ libera
LÕorganizzazione e i metodi devono rißettere quelli del lavoro nella societˆ libera. Ci˜ serve a far
acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative. Il
lavoro detentivo deve cio• preparare il condannato al suo reinserimento nella societˆ, non solo
favorendone lÕoccupabilitˆ, ma anche facendogli acquisire la consapevolezza del proprio ruolo
sociale. Esso non potrebbe, per esempio, avere ad oggetto attivitˆ improduttive.
Nel testo originario del co. 3 dellÕart. 20 si prevedeva, per condannati e persone sottoposte alle
misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro, un obbligo di lavorare, la cui
inosservanza era ritenuta sanzionabile. In questo senso, la previsione dellÕobbligatorietˆ dava
attuazione alle norme del codice penale, di impronta correzionalistica, in cui il lavoro compare tra i
contenuti necessari delle pene detentive. Tale previsione tuttavia risultava difÞcilmente
giustiÞcabile alla luce della moderna concezione personalistica della rieducazione, nella quale il
lavoro • utile solo se svolto a seguito di una scelta di autorealizzazione e non in osservanza di una
imposizione.
La previsione dellÕobbligatorietˆ • stata quindi eliminata con il d.lgs. 124/2018: oggi infatti
lÕattivitˆ lavorativa rientra in una pi• ampia offerta di trattamento che implica, in ogni caso,
lÕaccettazione da parte del recluso.
- Il direttore, sentito il parere del gruppo di osservazione, del preposto alle lavorazioni e del datore,
dispone lÕesclusione dallÕattivitˆ lavorativa del detenuto o dellÕinternato che tenga una condotta di
sostanziale inadempimento dei suoi compiti e doveri lavorativi, ad evitare che detenuti non
responsivi rispetto a questo tipo di offerta trattamentale sottraggano inutilmente posizioni lavorative
che possono essere destinate ad altri.
Per i detenuti in attesa di giudizio (che non sono destinatari di alcun trattamento rieducativo), lo
svolgimento di attivitˆ lavorative • consentito, su richiesta del recluso, salvo giustiÞcati motivi o
contrarie disposizioni dellÕautoritˆ giudiziaria. Essi possono chiedere di svolgere attivitˆ lavorative
e di formazione professionale durante il periodo di detenzione. LÕamministrazione penitenziaria •
tenuta a consentirle per sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.
- Il lavoro pu˜ svolgersi sia allÕinterno che allÕesterno dellÕistituto e pu˜ essere prestato alle
dipendenze dellÕamministrazione penitenziaria o di imprese pubbliche o private.
Amministrazione penitenziaria Ñ> il lavoro intramurario alle dipendenze dellÕamministrazione
penitenziaria pu˜ avere ad oggetto:
¥ attivitˆ correlate alla gestione dellÕistituto di pena (pulizie, barbiere, magazziniere ecc.)
¥ produzione di beni destinati ai consumi interni dellÕistituto
¥ lavorazione Þnalizzate alla produzione di beni e alla fornitura di servizi
Allo scopo di promuovere il prodotto del lavoro carcerario, lÕamministrazione penitenziaria pu˜
vendere allÕesterno i prodotti delle lavorazioni e rendere i servizi a prezzo pari, o anche inferiore, al
costo, e che possa afÞdare a privati lÕimmissione e la distribuzione sul mercato dei beni prodotti.
Imprese esterne Ñ> alle imprese pubbliche o private, e in particolare alle cooperative sociali, •
consentito gestire lavorazioni sulla base di convenzioni con le direzioni degli istituti di pena. é per˜
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previsto che i detenuti impiegati vengano assunti e retribuiti dallÕimpresa che gestisce la
lavorazione, la quale • poi tenuta a versare la retribuzione alla direzione dellÕistituto.
- Nonostante lÕattenzione del legislatore, la scarsa offerta di lavoro rappresenta un proÞlo critico
del sistema, data la centralitˆ di questo strumento trattamentale. Le imprese infatti investono con
difÞcoltˆ nel lavoro penitenziario, poichŽ la manodopera detentiva • meno appetibile di quella
libera, in quanto, a paritˆ di costi, • bisognosa di sforzi organizzativi maggiori.
Inoltre, il lavoro detentivo, a differenza di quello scelto nella societˆ libera, non pu˜ essere ricercato
e scelto: le possibilitˆ occupazionali vengono ripartite tra i detenuti dallÕamministrazione
penitenziaria stessa. Si tratta di un proÞlo di specialitˆ rispetto al lavoro delle persone libere e la
legge disciplina dettagliatamente la materia, imponendo assegnazioni secondo criteri equi e
trasparenti.
- La formazione delle liste di collocamento al lavoro • afÞdata ad unÕapposita commissione
presente in ogni istituto, che forma due elenchi: uno generico e lÕaltro per qualiÞca.
La distribuzione delle attivitˆ lavorative tra i detenuti deve avvenire esclusivamente sulla base di
parametri obiettivi, ossia tenendo conto:
dellÕanzianitˆ di disoccupazione durante la detenzione
dei carichi familiari
della preparazione professionale
delle aspettative lavorative dopo la dimissione
e privilegiando, a paritˆ di condizioni, i condannati rispetto agli imputati
Ai detenuti sottoposti a regime di sorveglianza 14 bis • precluso lo svolgimento di attivitˆ
lavorative.
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE
LÕart. 19 disciplina le attivitˆ dirette alla formazione professionale, insieme alle attivitˆ di
istruzione. Formazione professionale e lavoro sono accomunate entrambe al lavoro, per la loro
attitudine a procurare strumenti preziosi per il reingresso sociale del condanno con particolare
riferimento al reinserimento lavorativo.
LÕimportanza di questo tipo di offerta trattamentale • andata crescendo negli ultimi anni in ragione
della profonda evoluzione del mondo del lavoro: il progresso tecnologico e lo sviluppo del settore
terziario richiedono oggi ai lavoratori il possesso di competenze sempre pi• complesse e
specialistiche.
Queste attivitˆ consentono perci˜ lÕacquisizione di titoli e competenze preziosi a persone spesso
prive di qualsiasi professionalitˆ e permettono ai detenuti di mantenere e arricchire la propria
occupabilitˆ dopo la dimissione.
Per questo motivo la formazione professionale Þgura tra gli elementi principali del trattamento
rieducativo.
Per la frequenza di corsi di formazione professionale • prevista la corresponsione di un sussidio
orario e il riconoscimento di un premio di rendimento per chi abbia frequentato con proÞtto. Al Þne
di consentire ai reclusi la frequenza di corsi di formazione fuori dallÕistituto pu˜ trovare
applicazione la disciplina prevista per il lavoro allÕesterno.
IL LAVORO ALLÕESTERNO
- Il lavoro allÕesterno consiste nella possibilitˆ per i detenuti e gli internati di essere assegnati ad
una attivitˆ lavorativa che si svolge fuori dallÕistituto di pena (art. 21). Il maggior pregio • nel
rapporto costruttivo che il detenuto pu˜ instaurare con la societˆ libera.
Questa Þgura • stata introdotta dalla legge del 1975: il regolamento penitenziario del 1931
prevedeva solo Òcolonie mobiliÓ, che consentivano ai detenuti di uscire dallÕistituto per lavorare
allÕaperto, senza contatti col mondo esterno e senza autonomi spazi di libertˆ.
Nella versione originaria dellÕart. 21, la fattispecie aveva un ambito operativo limitato alle imprese
agricole e industriali per ragioni attinenti alla sicurezza e lasciava fuori dallÕambito applicativo
lÕofferta proveniente dallÕimportante settore del terziario (commercio e servizi). Ancora pi• ridotta
era la sua applicazione concreta.
La legge 663/1986 (Legge Gozzini) ne ha ampliato lo spazio applicativo, per consentire la massima
espansione possibile a questo tipo di trattamento di educativo, e ha previsto un procedimento di
ammissione controllata dal giudice, sulla falsariga delle misure alternative alla detenzione.
- Oggi il lavoro esterno si connota quindi come modalitˆ di trattamento preparatoria alle forme pi•
avanzate, ovvero le misure alternative alla detenzione, e potenzialmente sostitutiva di queste misure
nei casi in cui esse non risultino praticabili.
LÕassegnazione al lavoro allÕesterno deve essere disposta in conformitˆ agli scopi di rieducazione,
con lÕesclusione quindi di attivitˆ organizzate in modo precario o prive di sufÞcienti garanzie per il
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detenuto. LÕistituto non incontra limiti applicativi correlati alla tipologia della prestazione lavorativa
o al tipo di datore (originariamente era prevista una limitazione alle aziende agricole o industriali).
- La selezione dei detenuti da avviare al lavoro esterno e la loro ammissione sono di competenza
della direzione dellÕistituto, sulla base delle valutazioni formulate dallÕŽquipe di osservazione, e in
conformitˆ al programma di trattamento. Ma sono sottoposte al controllo del magistrato di
sorveglianza per condannati e internati, e dellÕautoritˆ giudiziaria procedente per gli imputati. Tale
veriÞca tiene conto della natura del reato, della durata della pena e del pericolo di commissione di
reati, e conduce allÕemanazione di un decreto. In questo modo il provvedimento di ammissione
riceve da parte del magistrato di sorveglianza un doppio controllo:
¥ uno preventivo e di mera legittimitˆ, insieme al programma di trattamento
¥ un altro successivo, che attiene al merito della misura, ossia alla sua opportunitˆ
- La somiglianza alle misure alternative • evidente anche nelle preclusioni soggettive.
I condannati per uno dei reati allÕart. 4 bis co. 1, 1 ter e 1 quater possono essere ammessi al lavoro
esterno solo dopo lÕespirazione di almeno 1/3 della pena, e comunque non oltre 5 anni, in caso di
pena temporanea, e di almeno 10 anni in caso di ergastolo.
Per i condannati per reati compresi nellÕart. 4 bis co. 1 la preclusione cade nellÕipotesi di
collaborazione con la giustizia. In mancanza di collaborazione la concessione • subordinata ad
elementi aggiuntivi da allegare ad opera del richiedente. é inoltre preceduta da una speciale
istruttoria che impone complessi accertamenti e lÕacquisizione di numerose informative. Questa
istruttoria rafforzata non • per˜ necessaria quando si richiede la modiÞca del provvedimento di
ammissione al lavoro allÕesterno e non non siano trascorsi pi• di tre mesi da quando lo stesso •
divenuto esecutivo in seguito allÕapprovazione del magistrato di sorveglianza.
Inoltre, lÕammissione al lavoro allÕesterno • interdetta per 3 anni ove il condannato per uno dei
delitti allÕart. 4 bis abbia posto in essere una condotta di evasione o subito la revoca di una misura
alternativa. LÕinterdizione dura per 5 anni quando gli stessi hanno commesso durante il lavoro
allÕesterno un delitto doloso punibile con la reclusione non inferiore nel massimo tre anni.
- Una forma del tutto particolare di lavoro allÕesterno • quella delle attivitˆ prestate dai detenuti a
titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi.
Si tratta di attivitˆ il cui signiÞcato educativo risiede nella loro valenza risarcitoria dei danni
cagionati attraverso reato. Queste attivitˆ possono inoltre costituire lÕesito di un programma di
giustizia riparativa alla Þne di un percorso di incontro tra lÕautore del reato e la vittima o i familiari
di questa.
LÕaccesso alle attivitˆ di sostegno alle famiglie delle vittime • precluso ai condannati per
associazione maÞosa o per reati aggravati dal metodo maÞoso o commessi per agevolare
unÕassociazione maÞosa.
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PRINCIPI GENERALI
Il detenuto • titolare di posizioni soggettive attive qualiÞcabili come diritti che, in parte, sono gli
stessi, anche se inferiori per numero o per estensione, riconosciuti al soggetto libero.
La restrizione della libertˆ personale infatti non pu˜ comportare il sacriÞcio di posizioni soggettive
attraverso un generalizzato assoggettamento allÕorganizzazione penitenziaria. Ci˜ sarebbe estraneo
al vigente ordinamento costituzionale che si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti
inviolabili.
Al conferimento dei diritti segue lÕaffermazione del potere di farli valere dinanzi ad un giudice terzo
e imparziale in un procedimento giurisdizionale.
¥ Art. 1 co. 3 ord. penit. Ñ> prevede che siano garantiti i diritti fondamentali ad ogni persona
privata della libertˆ.
Il detenuto viene visto come persona posta al centro dellÕesecuzione e titolare di tutti quei diritti il
cui esercizio non sia strettamente incompatibile con la restrizione della libertˆ personale. I diritti
fondamentali costituiscono quel patrimonio inviolabile della persona ristretta che la pena non
intacca.
¥ Art. 4 ord. penit. Ñ> afferma che i detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro
derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale.
Questo articolo postula una piena equiparazione tra capacitˆ giuridica e capacitˆ di agire.
La soggettivitˆ giuridica • sostanziale, in quanto il recluso viene identiÞcato e deÞnito quale titolare
di diritti e di aspettative, ed • formale, in quanto egli viene legittimato allÕagire giuridico proprio
nella qualitˆ di titolare di diritti che appartengono alla condizione di detenuto.
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un giudice una posizione giuridica di diritto sostanziale non si lascia ridurre alla mera possibilitˆ di
proporre istanze o sollecitazioni destinate a una trattazione fuori dalle garanzie procedimentali
minime costituzionalmente dovute, quali la possibilitˆ del contraddittorio, la stabilitˆ della
decisione e lÕimpugnabilitˆ con ricorso per cassazione.
Al di fuori degli articoli 14 ter (regime di sorveglianza particolare), 41 bis (carcere duro), 69 co. 6
(applicabilitˆ dellÕart. 14 ter alla materia disciplinare e lavorativa), la tutela di tutte le altre
situazioni giuridiche era rimasta afÞdata al diritto di reclamo (art. 35) Ñ> unico strumento di tutela
riconosciuto, in base al quale i detenuti e gli internati possono rivolgere istanze e reclami orali o
scritti, anche in busta chiusa, al direttore dellÕistituto, al provveditore regionale, al Capo del
dipartimento dellÕamministrazione penitenziaria, al Ministro della giustizia, alle autoritˆ giudiziarie
e sanitarie in visita allÕistituto, al Garante nazionale e ai Garanti regionali o locali dei diritti dei
detenuti, al Presidente della giunta regionale, al Capo dello Stato e al magistrato di sorveglianza.
- I diritti dei detenuti hanno necessitato di un lungo iter giurisprudenziale per giungere a
riconoscimento di una concreta giustiziabilitˆ.
- Corte Cost. sent. 26 del 1999: solo alla Þne degli anni 90 si • avuta unÕimportante svolta grazie ad
un intervento della corte costituzionale, la quale ha dichiarato lÕincostituzionalitˆ degli articoli 35 e
69 nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti
dellÕamministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della
libertˆ personale.
é cos“ iniziato un lento processo volto a colmare lÕinerzia del legislatore: da un lato, la sentenza
metteva deÞnitivamente a nudo le carenze del sistema normativo in materia di diritti dei detenuti;
dallÕaltro lato, rinviava alla discrezionalitˆ delle legislatore il compito di individuare il modello
procedimentale idoneo a garantire la tutela dei diritti.
Successivamente si • sviluppato un contrasto giurisprudenziale tra:
¥ chi riteneva che il rimedio dovesse continuare ad essere il reclamo ex art. 35, con la conseguenza
di un provvedimento del magistrato di sorveglianza non soggetto ad ulteriori controlli nŽ del
tribunale di sorveglianza nŽ della corte di legittimitˆ
¥ chi riteneva che il magistrato di sorveglianza dovesse decidere attraverso il procedimento degli
artt. 666 e 678 c.p.p., quindi ricorribile per cassazione
- Questo contrasto giurisprudenziale ha trovato composizione in una sentenza delle sezioni unite.
Cass. sez. un. 26 febbraio 2003, n. 25079: ha precisato che i meccanismi operanti in chiave di
tutela delle posizioni soggettive del detenuto competono in via esclusiva al magistrato di
sorveglianza e ha affermato che alla giurisdizione della magistratura di sorveglianza va devoluta
anche la tutela degli interessi legittimi scaturenti da un atto dellÕautoritˆ amministrativa (con
riferimento al procedimento di reclamo ex art. 14 ter).
- Corte Cost. sent. 266/2009: unÕulteriore importante pronuncia ha stabilito che i provvedimenti con
cui il magistrato di sorveglianza impartisce disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei
diritti dei condannati e degli internati devono ritenersi vincolanti per lÕamministrazione
penitenziaria, attesa la Þnalitˆ di tutela perseguita dallÕart. 69 co. 5.
Per oltre 15 anni il monito della corte costituzionale • rimasto inascoltato, con la conseguenza che
la competenza in materia di tutela dei diritti in capo alla magistratura di sorveglianza non solo •
restata monca (perchŽ priva dei meccanismi dellÕesecuzione forzata), ma • stata anche ritenuta
sussistente solo in virt• del diritto vivente e non perchŽ il legislatore avesse riempito quel vuoto.
- Con due importanti pronunce della Corte europea dei diritti dellÕuomo (ÒSulejmanovicÓ e
ÒTorreggianiÓ), si perviene dunque allÕintroduzione nellÕordinamento italiano di un ricorso interno.
Il giudice di Strasburgo rilevava l'assenza nellÕordinamento italiano di rimedi effettivi che
consentissero sia di intervenire per interrompere immediatamente una violazione in atto (rimedi
preventivi), sia di fornire una adeguata riparazione del danno subito a causa della violazione (rimedi
compensativi) e formulava di conseguenza precise indicazioni precettive cui lo Stato doveva dare
attuazione.
- L. 117 del 2014: viene introdotto il reclamo giurisdizionale (art. 35 bis).
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Criticitˆ:
scarsa efÞcacia (indirizzata alla stesa autoritˆ titolare del rapporto detentivo o a soggetto privo di
potere di inchiesta o di decisione)
area di operativitˆ pi• ristretta rispetto al rimedio giurisdizionale (art. 35 bis)
nessuna regola viene dettata sugli esiti e sulle modalitˆ di intervento delle autoritˆ adite
nessun rimedio in caso di mancata adozione di provvedimenti (anche qualora il reclamo sia
indirizzato al magistrato di sorveglianza)
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IL PROCEDIMENTO
Il reclamo giurisdizionale viene trattato secondo lo schema procedimentale tipico previsto per il
procedimento di sorveglianza agli artt. 666 e 678 cpp, a cui si aggiunge la partecipazione
dellÕamministrazione interessata.
Nonostante il richiamo allÕarticolo 678, non tutti gli elementi caratterizzanti quel procedimento
ricorrono nella procedura in esame, che presenta alcune caratteristiche e differenze rispetto al
procedimento di sorveglianza tipico:
¥ antagonismo processuale: la natura del procedimento • contenziosa e il magistrato di sorveglianza
assume il ruolo di garante
¥ impulso di parte, contrapposto al possibile avvio dÕufÞcio del procedimento rieducativo
¥ tradizionale contrapposizione processuale tra due soggetti
¥ stabilitˆ del provvedimento
Fase introduttiva
- Il legislatore non ha dettato alcuna prescrizione in merito alle formalitˆ, ai tempi e al contenuto
degli atti di avvio del procedimento, per i quali vige il principio della libertˆ delle forme.
Sulla base di questo principio sono ammissibili anche istanze formulate oralmente in udienza (con
obbligo di trascrizione nel verbale). Se il reclamo • formulato per iscritto sono requisiti minimi: le
generalitˆ dellÕistante, lÕoggetto, i motivi di doglianza e la sottoscrizione del richiedente.
- Per quanto riguarda i requisiti contenutistici dellÕatto introduttivo, si • in presenza di un ridotto
formalismo, che determina una sensibile compressione dei casi in cui una richiesta priva di
allegazioni pu˜ essere a sanzionata con lÕinammissibilitˆ (scopo di ridurre le ipotesi di
inammissibilitˆ).
Va per˜ richiamato lÕindirizzo giurisprudenziale che, pur non esigendo lÕobbligatoria indicazione di
speciÞci elementi di prova, richiede un onere di allegazione.
- Per quanto riguarda i presupposti processuali dellÕistanza, si pu˜ ascrivere alla categoria delle
cause generali di inammissibilitˆ innanzitutto lÕincompetenza funzionale della magistratura di
sorveglianza (es. risarcimento del danno biologico ancorchŽ causato dallÕinosservanza di una norma
dellÕordinamento penitenziario - competenza del giudice civile).
Altre cause di inammissibilitˆ sono il difetto di legittimazione dellÕistante (persona che non sia nŽ
detenuta nŽ internata) e il difetto di interesse alla decisione.
- AllÕamministrazione coinvolta nel procedimento non pu˜ negarsi la qualitˆ di parte, anche se essa
interviene quale Òparte istituzionaleÓ preposta alla custodia, partecipe della realizzazione delle
Þnalitˆ costituzionali della pena e proprio per questo in grado di realizzare lÕeffettivitˆ della tutela
che il nuovo strumento • volto ad assicurare al detenuto.
Si • voluto inoltre promuovere il coinvolgimento diretto dellÕautoritˆ interessata attraverso la
previsione che, insieme allÕavviso, venga comunicato anche il reclamo medesimo per consentire
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una discovery anticipata dellÕatto del detenuto o del suo difensore, per permetterle di predisporre le
controdeduzioni attraverso una memoria o comunque di partecipare allÕudienza.
- Per Òamministrazione interessataÓ deve intendersi innanzitutto il DAP (Dipartimento
dellÕAmministrazione Penitenziaria) che fa capo al Ministero della giustizia.
Se per˜ oggetto della contesa sono diritti attinenti alla salute dei detenuti, per amministrazioni
interessata si intende lÕAsl, lÕUlss o lÕAzienda Ospedaliera territorialmente competenti.
Se si controverse in merito all'organizzazione di corsi scolastici, lÕamministrazione interessata •
lÕamministrazione scolastica.
- Designato eventualmente il difensore dÕufÞcio, il magistrato di sorveglianza Þssa la data
dellÕudienza in camera di consiglio: lÕavviso di Þssazione dellÕudienza • notiÞcato/comunicato alle
parti (reclamante, amministrazione interessata e pubblico ministero) almeno 10 giorni prima della
data predetta. Le notiÞcazioni al difensore e allÕamministrazione sono effettuate esclusivamente per
via telematica.
Fase istruttoria
Il procedimento • caratterizzato dallÕofÞciositˆ dellÕistruttoria e dunque si deve ritenere che lÕonere
probatorio che incombe sulla parte degradi ad onere di allegazione, e cio• consiste nel dovere di
prospettare e di indicare al giudice fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi allÕautoritˆ
giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti.
Fase decisoria
Il magistrato, allÕesito dellÕudienza, decide con ordinanza che deve essere depositata entro 5 giorni
dalla deliberazione.
Contenuto della decisione:
¥ in caso di reclamo proposto ai sensi dellÕart. 69 co. 6 lett. a (che ha ad oggetto un provvedimento
disciplinare) Ñ> il magistrato di sorveglianza, se accoglie il reclamo, dispone lÕannullamento del
provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare
¥ in caso di reclamo proposto ai sensi dellÕart. 69 co. 6 lett. b (che ha ad oggetto la rimozione del
pregiudizio) Ñ> accertate la sussistenza e lÕattualitˆ del pregiudizio, ordina allÕamministrazione
di porre rimedio entro il termine da lui indicato
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Ci˜ rischia per˜ di vaniÞcare la tutela preventiva, che viceversa presuppone immediatezza e celeritˆ
degli interventi conformativi e ripristinatori.
Per questo, ci fu una proposta della Commissione Giostra che prevedeva la cancellazione della
formula Ònon pi• soggetta ad impugnazioneÓ prevista nellÕart. 35 bis. La corte costituzionale,
tuttavia, con una serie di sentenze (sent. 406/98, 122/2005, 44/2006) ha sancito lÕinsindacabilitˆ
della scelta discrezionale del legislatore non essendo ricavabile dalla Costituzione un principio che
obblighi ad estendere il sistema dellÕottemperanza anche a titoli diversi dalle sentenze deÞnitive.
Modalitˆ di attuazione
Il giudice deve tener conto del programma attuativo predisposto dallÕamministrazione al Þne di dare
esecuzione al provvedimento, sempre che questo programma sia compatibile con il soddisfacimento
del diritto. Questa formula rappresenta il tentativo di realizzare un contemperamento tra lÕesigenza
di tutela del diritto della persona detenuta e lÕesigenza di riservare allÕamministrazione la scelta
dellÕopzione preferibile per risolvere la criticitˆ evidenziata nel reclamo.
Il programma attuativo non • vincolante per il giudice.
Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza • sempre ammesso il ricorso per
cassazione, per violazione di legge. Esso rappresenta lÕunico rimedio ammissibile per il
provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza, non essendo ammesso un reclamo ulteriore
dinanzi al tribunale di sorveglianza.
Il termine per ricorrere per cassazione • anche qui quello di 15 giorni.
Commissario ad acta
Il commissario ad acta va qualiÞcato come un ausiliare del giudice, e non come un organo
dellÕamministrazione. Da ci˜ discende che il commissario non ha autonomia decisionale, ma pu˜
sostituirsi allÕamministrazione nella valutazione e nellÕattivitˆ di scelta tra le varie soluzioni.
Egli emette atti di natura giurisdizionale e non amministrativa, soggetti a reclamo dinanzi al giudice
dellÕottemperanza.
Non persegue lÕinteresse dellÕamministrazione ma la tutela del singolo.
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La seconda categoria di reclami previsti dallÕart. 69 riguarda la materia che fonda la giurisdizione
sui diritti: si tratta della possibilitˆ di ricorrere al magistrato di sorveglianza a fronte
dellÕinosservanza, da parte dellÕamministrazione, di disposizioni penitenziarie che abbiano
determinato un attuale e grave pregiudizio allÕesercizio dei diritti.
Condizioni
1. La prima condizione • che sia denunciata la violazione di una norma contenuta nella legge
penitenziaria o nel regolamento di esecuzione.
Questa formula utilizzata dal legislatore • solo apparentemente limitativa, visto che
difÞcilmente esiste un settore della vita del detenuto che non sia disciplinato da una di queste
due fonti.
Parte della dottrina ha invece sollevato forti dubbi in proposito sul presupposto che non si • mai
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sostenuto che la normativa penitenziaria potesse essere di per sŽ un valido punto di riferimento
per lÕindividuazione delle posizioni soggettive giustiÞcabili, ma al contrario se ne •
frequentemente denunciata lÕinadeguatezza per lÕambiguitˆ delle sue disposizioni, che rendono
spesso incerto il conÞne tra diritti intesi come garanzia e concessioni.
2. LÕinosservanza deve avere determinato un pregiudizio grave al soggetto ristretto.
Se nel primo caso lÕintento del legislatore era determinato dal timore che il magistrato di
sorveglianza potesse invadere spazi riservati al giudice civile o amministrativo, nello stabilire
questo requisito lÕintenzione • stata invece quella di ÒÞltrareÓ i reclami per preservare la
magistratura di sorveglianza da un ßusso eccessivo di ricorsi, limitando lÕesame alle questioni
pi• rilevanti, ed escludendo quindi i pregiudizi lievi.
3. Il pregiudizio deve essere inÞne attuale.
Si deve quindi escludere dallÕambito della cognizione sia i pregiudizi giˆ subiti e non pi• in atto
sia quelli futuri.
LÕattualitˆ del pregiudizio inoltre deve sussistere sia al momento della presentazione del
reclamo che al momento della decisione.
Per quanto riguarda la tutela giuridica dei diritti degli imputati, nei confronti dei quali • previsto il
divieto esplicito di restrizioni Ònon indispensabili a Þni giudiziariÓ, • importante osservare che il d.l.
146/2013 con. l. 10/2014, nellÕintrodurre il reclamo giurisdizionale ai sensi dellÕart. 35 bis e
dellÕart. 69, ha pariÞcato la posizione dellÕimputato a quella del condannato attribuendo al primo la
piena tutela giurisdizionale avanti al magistrato di sorveglianza contro i pregiudizi derivanti dalla
violazione della legge penitenziaria e del relativo regolamento.
é rimasta, viceversa, immutata la limitazione ai condannati della disposizione di cui al comma 5
dellÕart. 69 riguardo il potere dello stesso magistrato di impartire disposizioni vincolanti dirette ad
eliminare eventuali violazioni dei diritti, pur non venendo meno, in capo allo stesso giudice, la
vigilanza diretta ad assicurare che lÕesecuzione della custodia degli imputati sia attuata in
conformitˆ delle leggi e dei regolamenti.
Se, dunque, il primo livello di tutela non giurisdizionale, rappresentato dal diritto di reclamo
generico (art. 35), • assicurato a tutti, e se il secondo livello costituito dal reclamo giurisdizionale
(art. 35 bis) • parimenti assicurato a condannati, imputati e internati, sembra invece fare difetto per i
soli imputati la tutela extragiurisdizionale (art. 69 co. 5) assicurata dallÕesercizio dei poteri ufÞciosi
da parte del magistrato di sorveglianza di fronte alla violazione dei diritti, tutela questa riservata ai
soli condannati e internati. Nei confronti degli imputati opera lÕart. 277 cpp che prevede lÕintervento
del giudice della cautela nei limiti della compatibilitˆ con le esigenze cautelari del caso concreto.
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Il rimedio dellÕart. 35 ter era ritenuto, da alcuni, di tipo risarcitorio e, da altri, di matrice
indennitaria.
Risarcitorio: previsto dal tenore letterale della previsione
Indennitario: indirizzo prevalente, poichŽ mancano gli elementi tipici del risarcimento (ovvero il
rapporto tra speciÞcitˆ del danno e quantiÞcazione economica, e la valutazione del proÞlo
soggettivo)
A fronte di numerosi problemi interpretativi suscitati da questa norma, le sezioni unite della Corte
di cassazione, con unÕimportante pronuncia, hanno:
¥ da un lato, consolidato alcuni fondamentali assunti sui criteri di calcolo dello spazio minimo da
assicurare a ciascun detenuto optando deÞnitivamente per una superÞcie che assicura il normale
movimento, detraendo oltre ai servizi igienici tutti gli arredi tendenzialmente Þssi al suolo, tra cui
rientrano e letti castello
¥ dallÕaltro lato, deÞnito lÕoperativitˆ dei fattori compensativi idonei a vincere la presunzione di
violazione dellÕart. 3 Cedu derivante dalla disponibilitˆ nella camera collettiva di uno spazio
minimo individuale inferiore a 3 mq.
Questi criteri, che devono cumulativamente ricorrere per vincere la presunzione sono costituiti
dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie e dalla sufÞciente libertˆ
di movimento al di fuori della camera mediante lo svolgimento di adeguate attivitˆ trattamentali.
¥ azione preventiva posta in essere attraverso una costante opera di monitoraggio delle violazioni
dei diritti umani che si consumano allÕinterno degli istituti attuata attraverso il potere di ingresso
¥ azione di stimolo dellÕintervento delle amministrazioni interessate
¥ azione di sollecito dellÕadozione di provvedimenti
Al Þne di assicurare lÕindipendenza del Garante, la legge prevede alcune ipotesi di incompatibilitˆ: i
membri dellÕufÞcio non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, o incarichi in partiti
politici.
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Art. 14 Ñ> I detenuti e gli internati hanno innanzitutto il diritto di essere assegnati ad un istituto
quanto pi• possibile vicino alla dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di
riferimento sociale (salvi speciÞci motivi contrari). Con centro di riferimento sociale si devono
intendere tutti i legami che, pur non ricompresi in un concetto anche ampio di famiglia,
contribuiscono a radicare una persona in un territorio.
Si persegue tale criterio anche nel caso di trasferimenti (eventuali deroghe al principio devono
essere motivate dallÕamministrazione penitenziaria).
Il numero delle persone ristrette negli istituti deve essere limitato per poter favorire
lÕindividualizzazione del trattamento. In particolare, per condannati e internati per i quali •
necessario procedere allÕofferta di un trattamento rieducativo, occorre prevedere assegnazioni che
favoriscano percorsi comuni e che evitino inßuenze nocive reciproche.
LÕamministrazione, per realizzare questi obiettivi, • dotata di una rete di istituti differenziati (o
dispongono di sezioni distinte) per garantire la separazione tra imputati e condannati, nonchŽ tra
questi ultimi e gli internati, tra giovani adulti (al di sotto dei 25 anni) e adulti, tra donne e uomini.
Il mantenimento dellÕordine e della disciplina deve essere considerato fondamentale al Þne di
garantire qualunque intervento trattamentale realmente efÞcace. Deve in questo senso leggersi la
preoccupazione che lÕallocazione dei detenuti eviti inßuenze reciproche tra loro. Per questa ragione,
tuttavia, non sono ammissibili restrizioni non giustiÞcabili con tale esigenza, e comunque occorre
sempre che siano adottate le limitazioni che incidano nel minimo indispensabile sui diritti delle
persone private della libertˆ.
Tali regole hanno lo scopo di raggiungere gli obiettivi costituzionali, alla luce del divieto di
discriminazione, secondo cui il trattamento • improntato ad assoluta imparzialitˆ.
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Negli ultimi anni, anche in relazione al problema del sovraffollamento, si • fatto sempre pi• ampio
ricorso a sezioni a regime aperto, in cui la giornata non • vissuta per la maggior parte del tempo
allÕinterno delle sezioni detentive e, in ossequio alle previsioni delle regole penitenziarie europee, si
fa uso della sorveglianza dinamica Ñ> cio• di una modalitˆ di osservazione che privilegia modelli
di autonomia, responsabilitˆ, socializzazione e integrazione, sperimentando i ristretti in una
quotidianitˆ penitenziaria fatta di attivitˆ diurne il pi• possibile simili a quelle della vita libera.
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allontanamento dai luoghi ove il nucleo ha stabile dimora, o nel caso in tali sezioni sia previsto un
regime penitenziario pi• severo.
Alta Sicurezza
- Il circuito penitenziario di Alta Sicurezza (AS) consiste in una suddivisione logistica che descrive
una sezione separata dal resto della popolazione ristretta. AllÕinterno vengono inseriti detenuti che,
per la tipologia di reati commessi o per i quali sono sottoposti a un procedimento penale, vengono
ritenuti in grado di inßuenzare negativamente gli altri detenuti e di prevaricarli.
Il circuito AS • a sua volta suddiviso in tre sottocircuiti:
¥ AS 1 Ñ> destinato a chi sia stato sottoposto per un certo tempo al regime 41 bis (esigenza di
separazione fondata sul ÒcarismaÓ criminale)
¥ AS 2 Ñ> ospita i detenuti per delitti commessi con Þnalitˆ di terrorismo, anche internazionale, o
di eversione dellÕordine democratico mediante il compimento di atti di violenza
¥ AS 3 Ñ> ospita i detenuti per i reati di cui agli artt. 416 bis c.p. (associazione maÞosa) o
commessi avvalendosi delle condizioni maÞose o al Þne di agevolare le attivitˆ delle associazioni
di criminalitˆ organizzata; nonchŽ delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione ecc.
LÕAmministrazione penitenziaria pu˜ inserire in questo circuito anche soggetti detenuti per reati
diversi da quelli di criminalitˆ organizzata, qualora al D.A.P. (Dipartimento dellÕAmministrazione
Penitenziaria), che cura direttamente le assegnazioni di questa tipologia di detenuti, provengano
informazioni da parte di una Procura della Repubblica o di forze dellÕordine che evidenzino
lÕopportunitˆ di separazione.
- Anche se il perimetro applicativo • in larga parte coincidente con quello del 4 bis, tanto che
lÕassegnazione al circuito AS avviene in modo automatico in presenza di un titolo di reato che vi •
compreso, dalla separazione logistica derivano conseguenze diverse da quelle che discendono
invece direttamente dalla tipologia di reato per il quale si • privati della libertˆ.
Per gli autori dei delitti commessi nel 4 bis • infatti previsto un divieto assoluto di concessione di
misure alternative alla detenzione, di permessi premio e di autorizzazioni al lavoro allÕesterno, salvo
collaborazione con la giustizia o quando sia dimostrato un complesso di elementi rilevatori del
superamento della particolare pericolositˆ sociale di cui sono portatori, nonchŽ limitazioni nel
numero di colloqui visivi e di corrispondenza telefonica con i propri familiari.
LÕinserimento nella AS, invece, mira ad evitare soprattutto le inßuenze nocive di tali detenuti sul
resto della popolazione ristretta.
Un detenuto che si trova ad espiare una pena per taluno dei reati previsti dallÕart. 4 bis pu˜ essere
allocato in una sezione comune (in questo caso gli saranno comunque applicate le limitazioni
trattamentali connesse al titolo - sezioni di media sicurezza).
Pu˜ capitare anche il contrario: il detenuto pu˜ rimanere in Alta Sicurezza anche se il titolo
detentivo riguarda un reato comune, se permangono esigenze di separazione.
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Il principio di legalitˆ, invece, riacquista piena operativitˆ nellÕambito del sistema sanzionatorio
ove • il legislatore ad enunciare, senza alcuna riserva regolamentare, le singole sanzioni disciplinari
applicabili nei confronti di colui che si • reso responsabile di condotte punibili.
LÕart. 39 elenca, secondo una progressione afßittiva, cinque sanzioni disciplinari:
1. richiamo del direttore
2. ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al personale e di un gruppo di
detenuti o internati
3. esclusione dalle attivitˆ ricreative e sportive per non pi• di 10 giorni
4. isolamento durante la permanenza allÕaria aperta per non pi• di 10 giorni
5. esclusione dalle attivitˆ in comune per non pi• di 15 giorni ( = isolamento continuo)
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LÕautoritˆ a cui • demandato lÕesercizio del potere punitivo viene individuata dallÕart. 40 a norma
del quale:
¥ le sanzioni del richiamo e dellÕammonizione sono deliberate dal Direttore
¥ le altre sanzioni sono deliberate dal Consiglio di disciplina, composto dal Direttore (o da un
sostitutore) e da un professionista esperto
Questa composizione ha sub“to una recente modiÞca che ha sostituito la Þgura del sanitario con
un professionista esperto in grado di assicurare maggiore imparzialitˆ.
Il Consiglio di disciplina appartiene alla categoria dei Òcollegi perfettiÓ poichŽ ai Þni della validitˆ
e della legittimitˆ delle sue attivitˆ, • necessaria la presenza di tutti i componenti previsti dalla
legge. Ne consegue che il provvedimento disciplinare risulta illegittimo, ove la sanzione sia stata
deliberata nonostante lÕassenza di uno dei menzionati componenti.
DallÕesame del procedimento si pu˜ notare che, oltre alla terzietˆ ed imparzialitˆ dellÕorgano
giudicante, il procedimento difetta di una piena ed effettiva attuazione del diritto contraddittorio e
dellÕassistenza tecnica dellÕincolpato.
Anzitutto, la scelta di attribuire al direttore dellÕistituto la competenza a deliberare le sanzioni pone
colui che ha commesso lÕillecito nella condizione di discolparsi dinanzi a colui che lo accusa per
punirlo, sollevando perplessitˆ circa lÕeffettiva imparzialitˆ dellÕorgano deputato ad irrogare le
sanzioni.
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Ma le perplessitˆ maggiori sorgono con riferimento alla facoltˆ per lÕaccusato di essere sentito e di
esporre personalmente le proprie discolpe nel corso dellÕudienza. Infatti, costui • chiamato a
difendersi potendo unicamente sollecitare i poteri istruttori dellÕorgano disciplinare, senza avere la
possibilitˆ di citare testimoni a discarico.
Al detenuto non • assicurata una tutela piena e effettiva del diritto contraddittorio, la cui portata,
limitata dalla mera facoltˆ di esporre le proprie ragioni a discarico, appare insufÞciente a garantire
lÕesercizio di unÕadeguata difesa.
Il tema delle garanzie procedimentali assume particolare rilevanza, infatti, qualora si consideri la
natura sostanzialmente penale delle sanzioni disciplinari, alla luce dei Òcriteri EngelÓ elaborati dalla
Corte di Strasburgo, per la qualiÞcazione della sanzione formalmente amministrativa come
sostanzialmente penale.
InÞne, si ravvisa una violazione del diritto di difesa nella mancanza di un ragionevole spazio
temporale tra la contestazione dellÕaddebito e lÕudienza disciplinare non permettendo allÕincolpato
di preparare adeguatamente la propria linea difensiva.
Il controllo giurisdizionale
Il provvedimento che dispone la sottoposizione al regime di sorveglianza particolare • suscettibile
di reclamo, che per˜ non ne sospende lÕesecuzione, dinanzi al tribunale di sorveglianza che esercita
la sua giurisdizione sullÕistituto penitenziario in cui si trova lÕinteressato nel momento in cui
formula il reclamo.
Il procedimento si svolge senza la partecipazione del sottoposto al regime, ma soltanto dal difensore
e del pubblico ministero.
Il provvedimento conclusivo deve intervenire entro 10 giorni dalla ricezione del reclamo.
La natura giurisdizionale del procedimento di reclamo comporta la natura di impugnazione dellÕatto
di reclamo, che deve essere quindi corredato di motivi. Il tribunale di sorveglianza • chiamato ad
una valutazione che concerne sia lÕan (motivo) della sottoposizione al regime, mediante lo scrutinio
della sussistenza del merito dei comportamenti descritti dallÕart.14 bis come necessitanti di una
sorveglianza particolare, sia la congruitˆ e la stretta necessitˆ delle restrizioni imposte alla Þnalitˆ di
mantenimento dellÕordine e della sicurezza.
LÕaccoglimento del reclamo comporta il ripristino delle ordinarie regole di trattamento.
LÕeventuale inattuabilitˆ del regime nellÕistituto ove lÕinteressato • ubicato pu˜ comportare un suo
trasferimento in altro istituto ritenuto idoneo ed occorre anche in tal caso darne immediato avviso al
magistrato di sorveglianza, che si riferisce al Ministro circa lÕeventuale infondatezza dei motivi
posti alla base del trasferimento.
Proprio il confronto con le peculiari garanzie di contraddittorio pieno assicurate dal reclamo
giurisdizionale (art. 35 bis), pone oggi come particolarmente problematica la sopravvivenza
nellÕordinamento del rito assai meno garantito che art.14 ter presidia il controllo del tribunale di
sorveglianza sulla legittimitˆ del provvedimento di sorveglianza particolare.
73
Negli altri casi (perquisizioni straordinarie) occorre un ordine del direttore, salvo casi di particolare
urgenza, che comunque devono essere portati tempestivamente a conoscenza del direttore,
speciÞcandone i motivi .
Solo in casi eccezionali, inÞne, per operazioni di perquisizione generale, il direttore pu˜ avvalersi
della collaborazione di personale appartenente alle forze di polizia e alle altre forze poste a
disposizione del Prefetto.
- Il potere di perquisizione deve considerarsi circoscritto dalla normativa penitenziaria, e non •
dunque senza limiti, nŽ relativamente ai presupposti, nŽ alle modalitˆ del suo esercizio, che devono
potere essere rimessi al controllo dellÕautoritˆ giudiziaria.
La Corte costituzionale ritiene necessario quindi che lÕamministrazione proceda in ogni caso ad
adeguata documentazione dellÕavvenuta perquisizione, anche inerente alle modalitˆ con cui la
stessa • avvenuta.
Nella documentazione deve essere indicato:
¥ lÕidentitˆ di chi vi • sottoposto, di chi ha proceduto o ha assistito
¥ le circostanze di luogo e tempo in cui lÕatto • avvenuto
¥ il fondamento giustiÞcativo dellÕatto
¥ le modalitˆ con le quali la perquisizione • stata condotta
Sono previsti crescenti obblighi di dettaglio nella documentazione quando si passa dalla
perquisizione ordinaria a quella straordinaria e di urgenza.
Inoltre, si prevede il ricorso ordinario agli strumenti di controllo come i metal detector e lÕuso delle
perquisizioni corporali tramite denudamento solo nei casi in cui ci˜ sia inevitabile senza
compromettere un sufÞciente livello di sicurezza.
Particolarmente scoraggiate sono, inÞne, le perquisizioni mediante denudamento con ßessioni, che
devono essere ridotte al minimo indispensabile.
-é previsto il divieto di ogni violenza Þsica e morale sulle persone sottoposte a restrizione della
libertˆ. La forza Þsica pu˜ essere legittimamente usata solo in ipotesi di indispensabilitˆ rispetto ad
un elenco dettagliato di azioni volte ad evitare eventi perturbativi dellÕordine pubblico e della
sicurezza:
prevenire o impedire atti di violenza
impedire tentativi di evasione
vincere la resistenza allÕesecuzione degli ordini impartiti
Deve trattarsi di un intervento proporzionato, e dunque la quantitˆ di forza che • necessario
impiegare deve essere la minima necessaria a raggiungere lÕobiettivo di sicurezza che ci si preÞgge.
Il personale di polizia penitenziaria che ha dovuto far ricorso allÕuso della forza Þsica ha lÕobbligo
di riferirne immediatamente al direttore dellÕistituto che dispone accertamenti sanitari.
-Vi • il divieto di utilizzare mezzi di coercizione Þsica diversi da quelli previsti nel regolamento
(che per˜ non li individua espressamente, se non riferendosi a quelli in uso presso le strutture
ospedaliere pubbliche, che contempla solo le fasce di contenzione).
Nessun mezzo di coercizione pu˜ mai essere adoperato a Þni disciplinari.
-é vietato al personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti di portare armi, al di fuori di
casi eccezionali in cui ci˜ sia stato ordinato dal direttore.
LÕuso delle manette ai polsi o di altri mezzi di coercizione Þsica • anche in questo contesto vietato,
salvo che lo richiedano la pericolositˆ della persona o il pericolo di fuga o particolari circostanze di
ambiente, con valutazione da compiersi da parte dellÕautoritˆ giudiziaria.
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LÕorigine di questo regime differenziato in peius risale al periodo di alcune delle pi• efferate azioni
criminali di maÞa, tra la strage del 23 maggio 1992 in cui persero la vita il magistrato Giovanni
Falcone, sua moglie e la scorta, e la strage del 19 luglio 1992, in cui rimasero uccisi Paolo
Borsellino e la sua scorta.
La Þnalitˆ perseguita dal legislatore era quella di una risposta emergenziale con la quale si
imponeva un giro di vite al trattamento penitenziario per gli autori di delitti legati alla criminalitˆ
organizzata.
Il regime differenziato risponde ad una necessitˆ ancora attuale di contrasto alla criminalitˆ
organizzata di stampo maÞoso e di tipo terroristico. Tuttavia dalla sua introduzione le forti
compressioni del trattamento e dei diritti fondamentali di chi vi • sottoposto hanno determinato
vibrate critiche in dottrina e plurime censure da parte della Corte e.d.u. e di altri organismi di tutela
dei diritti umani.
Una sequenza di interrogativi di compatibilitˆ costituzionale dellÕistituto ha poi condotto ad
importanti pronunce dei giudici della Consulta che hanno di fatto disegnato i requisiti minimi che il
regime differenziato doveva presentare per non porsi in contrasto con la Costituzione.
Si • precisato dunque che il decreto ministeriale del regime di cui allÕart. 41 bis:
¥ avrebbe dovuto contenere una motivazione individualizzata per ogni destinatario
¥ le limitazioni potessero incidere soltanto sulle modalitˆ di esecuzione della pena
¥ dovesse prevedersi una sindacabilitˆ del provvedimento dinanzi ad un giudice ordinario,
individuato nel tribunale di sorveglianza. Il sindacato dellÕautoritˆ giudiziaria doveva riguardare
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la veriÞca dei presupposti applicativi del regime, quanto il rispetto dei limiti imposti, dalla
Costituzione e dalla legge, sui contenuti, nonchŽ la congruitˆ delle sospensioni delle regole di
trattamento rispetto ai Þni perseguiti.
Il regime differenziato doveva essere imposto non soltanto al tipo di reato per il quale lÕinteressato
si trovava ristretto, ma anche allÕeffettivo pericolo di permanenza dei collegamenti dello stesso con
i gruppi criminali organizzati sul territorio, e ci˜ in particolar modo a fronte di provvedimenti di
proroga, che non devono contenere motivazioni stereotipe, ma esplicitare le ragioni che impongono
la permanenza del regime.
Un ultimo signiÞcativo intervento • stato compiuto con l.94/2009 introducendo un elenco puntuale
di limitazioni al trattamento per chi vi sia sottoposto, alcune delle quali sono state poi ritenute
costituzionalmente illegittime dalla Corte Costituzionale.
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Locus custodiae
I detenuti sottoposti a questo regime differenziato sono allocati in istituti a loro esclusivamente
dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, o comunque allÕinterno di sezioni speciali e
logisticamente separate dal resto dellÕistituto.
Nei loro confronti sono adottate misure di elevata sicurezza interna ed esterna con lo scopo
principalmente di prevenire contatti con lÕorganizzazione criminale di appartenenza o
allÕinterazione con altri detenuti appartenenti alla medesima organizzazione criminale.
La camera di detenzione • dotata esclusivamente degli arredi essenziali (letto, tavolo, armadio,
sedia, specchio e plexiglass e tv attaccata al muro). é garantito il cambio settimanale di lenzuola e
federe e la fornitura mensile dei generi per la pulizia dei locali.
Divieto di afßiggere alle pareti foto, poster o immagini che possono recare danno alla struttura o
rendere poco agibili i controlli di sicurezza (iconoclastia). é per˜ consentito tenere fotograÞe di
familiari e immagini o simboli religiosi.
é consentito fumare nella propria stanza (vicino alla Þnestra) e non nelle aree comuni.
Oltre al vitto fornito dallÕamministrazione, • consentito lÕacquisto di ulteriori generi alimentari,
purchŽ non eccedenti il fabbisogno settimanale.
Permanenza allÕaperto
Sono previste due ore al giorno di permanenza allÕaperto (per aperto non si intende solo lÕaria aperta
ma anche il tempo per svolgere attivitˆ ricreativo-sportive), in gruppi non superiori a quattro
persone. Regole per la composizione dei gruppi:
¥ evitare la socialitˆ in comune per detenuti che abbiano giˆ avuto periodi di permanenza in
comune
¥ evitare contatti tra ÒnuoviÓ e ÒanzianiÓ
¥ evitare contatti tra vertici apicali, preferendo che i gruppi siano a composizione mista
¥ evitare che facciano parte dello stesso gruppo soggetti appartenenti alla medesima organizzazione
criminale
Assistenza sanitaria
é previsto il diritto ad ottenere la copia della cartella clinica o delle singole documentazioni agli
atti, previa istanza motivata indirizzata allÕATS attraverso la direzione dellÕistituto.
Su richiesta del detenuto, • sempre garantita la visita medica quotidiana a cura del sanitario di
sezione. é riconosciuto il diritto ad essere visitato da un medico di propria Þducia a proprie spese,
purchŽ questÕultimo non abbia a proprio carico signiÞcativi precedenti o segnalazioni di polizia.
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Diritti negati
Diritto allÕinformazione Ñ> la circ. 2017 vieta ai detenuti di ricevere giornali o riviste dallÕesterno
(la ricezione • ammessa solo tramite abbonamenti sottoscritti dalla direzione dellÕistituto). Il divieto
si estende anche ai libri; • possibile per˜ usufruire della biblioteca e detenere massimo quattro
volumi alla volta allÕinterno della propria camera
é consentita la fruizione di apparecchi televisivi forniti dallÕamministrazione, privi di televideo o
muniti di sistemi di blocco che ne inibiscono la funzionalitˆ. Accesso limitato e controllato
periodicamente ai canali televisivi.
Diritto al trattamento Ñ> difÞcile credere che un sistema basato sulla totale segregazione possa
armonizzarsi con il concetto di reinserimento sociale.
Il detenuto pu˜ comunque svolgere attivitˆ lavorativa nellÕambito della sezione di alloggio e, nel
rispetto del divieto di comunicazione al di fuori del gruppo di socialitˆ, svolgere attivitˆ scolastica e
universitaria.
Per quanto riguarda la religione, la circolare 2017 ripropone i contenuti dellÕart.36.
Il controllo del tribunale di sorveglianza di Roma sui presupposti del decreto ministeriale
- é previsto il reclamo avverso lÕimposizione del regime differenziato.
Esso pu˜ essere proposto entro 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento, dal detenuto,
dallÕinternato e dal loro difensore, corredato di motivi. Sino alla modiÞca del 2009 era previsto
inoltre che lÕinteressato potesse chiedere in qualunque momento al Ministro una revoca
anticipata del decreto ministeriale e potesse adire lÕautoritˆ giudiziaria per una veriÞca della
legittimitˆ del rigetto dellÕistanza o di un silenzio da intendersi quale riÞuto.
- La competenza a valutare i reclami avverso i provvedimenti ministeriali • stata attribuita in via
esclusiva al tribunale di sorveglianza di Roma. In precedenza, invece, la competenza era dei
tribunali di sorveglianza diffusi sul territorio in relazione al luogo di assegnazione del reclamante.
La scelta del legislatore non appare esente da criticitˆ costituzionali sotto il proÞlo della sottrazione
della valutazione al giudice naturale risolvendosi in un decremento di conoscenze individualizzanti
di quellÕautoritˆ giudiziaria, che non • la stessa che si occupa dellÕistituto penitenziario ove
lÕinteressato sconta la propria detenzione.
-Il tribunale di sorveglianza decide entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo con la
partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero.
LÕinteressato pu˜ partecipare allÕudienza ma con applicazione delle norme sulla partecipazione a
distanza mediante video-collegamento.
Il controllo giurisdizionale afÞdato al tribunale di sorveglianza • limitato alla veriÞca della
sussistenza dei presupposti dellÕimposizione del regime e dunque della adeguata motivazione in
ordine alla pericolositˆ sociale dello stesso e, in particolare, alla persistenza della sua capacitˆ
concreta di mantenere o riprendere i contatti con i sodali dellÕassociazione criminale sul territorio.
La valutazione si fa complessa in caso di proroga della sottoposizione, dovendo in questo caso
veriÞcarsi motivi adeguatamente circa il persistere di tale capacitˆ.
Non occorre che la persistenza nel tempo degli elementi inizialmente posti a sostegno
dellÕimposizione del regime sia dimostrata ogni volta nelle motivazioni della proroga attraverso
circostanze nuove, ma • sufÞciente che rispetto al passato non siano sopravvenuti fattori di novitˆ
tali da vaniÞcare quegli indici che nelle precedenti valutazioni avevano consentito di ritenere ancora
attuale la capacitˆ dellÕinteressato di mantenere i collegamenti con i gruppi di riferimento.
Questo approccio ha condotto ad una notevole stabilitˆ nel tempo della sottoposizione al regime.
-La Corte di cassazione ha inoltre posto in evidenza come le condizioni di salute del sottoposto
regime di cui allÕart.41 bis possono essere rilevanti non soltanto per lÕeventuale differimento della
pena ma anche in relazione alla legittimitˆ della sottoposizione al regime, quando ad esempio
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comportino un decadimento cognitivo grave e tale perci˜ da rendere lÕinteressato non pi• in grado
di mantenere o ricercare contatti con i solidali liberi.
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I primi esperimenti di espiazione della pena allÕesterno si ebbero nel XIX secolo in America e nel
Regno Unito: nel primo caso la detenzione viene da subito sostituita con restrizioni meno intense;
nel secondo caso modalitˆ sanzionatorie meno restrittive sono applicate dopo che • stata giˆ
scontata una certa quota di carcerazione.
LÕItalia • giunta a recepirli solo con la legge 354/1975. La decisione aveva ad oggetto la liberazione
condizionale. Secondo la versione allÕepoca vigente, la concessione del beneÞcio spettava al
Ministro della Giustizia. La Corte sanc“ invece come indispensabile lÕintervento di un giudice per
modiÞcare le modalitˆ di espiazione della pena. Il legislatore veniva perci˜ chiamato a introdurre
idonee garanzie giurisdizionali a tutela di un vero e proprio diritto del condannato al riesame sul
protrarsi della pretesa punitiva. Occorreva che un organo giudiziario fosse posto in grado di
accertare se la pena in corso di esecuzione avesse assolto al suo Þne rieducativo e dunque meritasse
unÕattenuazione prodromica al riacquisto della libertˆ.
Fonti:
¥ Capo VI del titolo I della l. 354/1975 Ñ> rappresenta la fonte principale di riferimento circa
lÕafÞdamento in prova ai servizi sociali, la semilibertˆ, la detenzione domiciliare (nelle sue
articolate tipologie) e le misure alternative per le persone affette da HIV.
¥ D.p.R. n. 309/1990 (Testo Unico in materia di stupefacenti) Ñ> per quanto concerne
lÕafÞdamento in prova terapeutico (art. 94) e il beneÞcio della sospensione della pena nei
confronti dei condannati tossicodipendenti (art. 90).
¥ Codice penale Ñ> con riferimento alla disciplina della liberazione condizionale.
- Il catalogo delle misure si • notevolmente ampliato negli ultimi 40 anni. In origine esso includeva
solo lÕafÞdamento in prova al servizio sociale e la semilibertˆ, a cui sono state accostate diverse
forme di detenzione domiciliare; ma lÕinventario attinge anche ad altre fonti, come il testo unico in
materia di sostanze stupefacenti (dove sono disciplinati lÕafÞdamento in prova in casi particolari e la
sospensione della pena per il tossicodipendente) o il testo unico in materia di immigrazione (dove si
rinviene una forma di espulsione qualiÞcata come misura alternativa).
LÕelemento che accomuna questa moltitudine di istituti giuridici • la competenza a concederli
assegnata alla magistratura di sorveglianza: al tribunale spetta di veriÞcare la sussistenza dei
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PROFILI GENERALI
- LÕafÞdamento in prova al servizio sociale costituisce la pi• signiÞcativa tra le misure alternative
alla pena detentiva, che coniuga istanza retributiva e Þnalitˆ special-preventiva.
Essa fa venir meno ogni rapporto del condannato con il concetto di detenzione, prospettandosi quale
trattamento in libertˆ sostitutivo di quello intramurario.
Consiste nella possibilitˆ, a determinate condizioni, di espiare la pena deÞnitiva che sia contenuta
entro un limite edittale o il residuo di una maggiore pena, cio• detratta la pena giˆ espiata o
condonata, fuori dallÕistituto penitenziario, affrontando un periodo di prova il cui esito positivo
estinguerˆ la pena e ogni effetto penale.
Vi • quindi un formale impegno del condannato di sottoporsi ad una ÒprovaÓ per tutto il periodo
residuo della pena da espiare, monitorato dal servizio sociale (UEPE) e dalle forze dellÕordine, da
svolgersi secondo prescrizioni stabilite dal giudice di sorveglianza.
- LÕafÞdamento in prova, nella sua originaria strutturazione, poteva essere applicato solo dopo
lÕinizio dellÕesecuzione della pena e previa osservazione trimestrale della personalitˆ, ed era
adottabile nei confronti di autori di reati di entitˆ modesta (condannati a una pena non superiore ai 3
anni). A suo presupposto si poneva una prognosi di rieducabilitˆ attraverso lÕimposizione di
prescrizioni comportamentali e il supporto del servizio sociale. Priva di qualsiasi connotazione
premiale, la concessione dellÕafÞdamento in prova si prospettava quale atto di Þducia per un suo
impegno futuro verso la risocializzazione.
Nel tempo, per˜, le innovazioni introdotte hanno provocato unÕaccentuazione della funzionalitˆ
della misura verso scopi di deßazione carceraria: lo scopo di rieducazione • stato superato
dallÕobiettivo di contenere la detenzione in carcere. LÕafÞdamento in prova al servizio sociale •
divenuto quindi uno strumento attraverso il quale realizzare lÕalleggerimento della popolazione
carceraria. é stato infatti ampliato lÕambito operativo, esteso anche agli autori di reati di pi•
accentuata gravitˆ; e se ne • conÞgurata la concedibilitˆ prima dellÕinizio della esecuzione penale e
a prescindere dalla osservazione in istituto.
LÕafÞdamento in prova • cos“ divenuto misura non pi• riservata agli autori di reati di deÞnita gravitˆ
(condannati a una pena Þnale) ma a destinazione generalizzata. Anche lÕarea di possibile operativitˆ
della misura • stata integrata attraverso lÕinnalzamento del quantum di pena ancora da espiare per
accedervi: accanto allÕipotesi ÒtradizionaleÓ ve ne • unÕaltra ÒallargataÓ riservata ai condannati che
devono espiare quattro anni di detenzione. Ulteriori signiÞcative variazioni sono quelle che hanno
inciso sul requisito dellÕosservazione inframuraria della personalitˆ del condannato. Infatti si •
passati prima attraverso una riduzione della durata dellÕosservazione (da tre mesi a uno), e
successivamente attraverso un iter procedimentale che consente di accedere alla misura senza
lÕosservazione infamuraria quando il condannato, al momento del passaggio in giudicato della
sentenza, si trovi in stato di libertˆ e prescindendo dal fatto che abbia in precedenza trascorso in
carcere un periodo di custodia cautelare.
- Il pubblico ministero deve sospendere ex ofÞcio lÕordine di esecuzione quando, in base a un
controllo formale, la pena in concreto da espiare non superi il limite previsto ex lege per lÕaccesso
alla misura. In questi casi, pertanto, al condannato • concessa lÕopportunitˆ di formulare lÕistanza di
afÞdamento in prova direttamente dallo stato di libertˆ e senza transitare dal carcere e senza che si
svolga alcuna osservazione inframuraria della sua personalitˆ.
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REQUISITI
LÕaccesso allÕafÞdamento in prova al servizio sociale • subordinato al realizzarsi di alcune
condizioni prestabilite: veri e propri requisiti positivi la cui sussistenza si pone quale condicio sine
qua non per la concessione della misura da parte del tribunale di sorveglianza.
Questi presupposti possono essere di natura oggettiva e di natura soggettiva.
Requisiti oggettivi:
¥ species della pena da espiare
¥ entitˆ della pena da espiare
¥ tempo minimo di osservazione
Questi requisiti non possono essere vagliati discrezionalmente dal giudice di sorveglianza
Requisito soggettivo:
¥ meritevolezza della misura che il tribunale di sorveglianza deve trarre dallÕanalisi del
comportamento tenuto dal condannato e dalla conseguente prognosi in ordine al modo in cui il
medesimo potrˆ usufruire dellÕafÞdamento
REQUISITI OGGETTIVI
¥ Species della pena
LÕafÞdamento in prova al servizio sociale pu˜ essere, innanzitutto, concessa al condannato che
debba espiare una pena che abbia natura detentiva (es. reclusione o arresto, oppure chi • giˆ stato
ammesso a detenzione domiciliare o semilibertˆ).
Non pu˜, invece, accedervi chi abbia ottenuto la liberazione condizionale.
¥ Entitˆ della pena da espiare
Quanto allÕentitˆ di pena da espiare, occorre che questa non superi i tre o quattro anni, a seconda
che la richiesta abbia a oggetto la forma tradizionale della misura o quella allargata (in questo caso
il beneÞcio • concedibile qualora il condannato abbia serbato, nellÕanno anteriore alla richiesta, un
comportamento tale da consentire un giudizio favorevole circa la non recidiva).
In questo caso si fa riferimento alle quote di pena ancora da espiare in concreto. Quindi, la
condizione per la concessione dellÕafÞdamento in prova • da parametrare non sullÕentitˆ della
sanzione inßitta dal giudice de merito, ma sulla quantitˆ di pena detentiva che il condannato ha da
scontare al momento della presentazione della richiesta.
Il condannato pu˜ trovarsi in possesso di questo requisito in due ipotesi:
1. pu˜ vantarlo ab origine, Þn dallÕavvio dellÕesecuzione della pena
2. pu˜ conseguirlo durante lÕesecuzione della pena, per effetto della sua progressiva espiazione o
per lÕinsorgenza di altri fattori che ne determino lÕabbreviazione
Per la determinazione del quantum di pena da espiare in concreto • la legge a dettare alcuni criteri
di computo. Vanno considerati interamente, quale pena detentiva giˆ eseguita, i periodi di custodia
cautelare (carceraria o domiciliare). Allo stesso modo va computato il periodo in cui il condannato •
stato Òmesso alla provaÓ. Nessuno rilievo, invece, assume la pena pecuniaria che conserva la sua
autonomia e non si cumula con la pena detentiva.
¥ Tempo minimo di osservazione
Altro requisito oggettivo • quello relativo al tempo minimo di osservazione della personalitˆ del
condannato: solo unÕosservazione protratta nel tempo normativamente prestabilito e afÞdata a
soggetti che ne assicurino il carattere scientiÞco sarebbe idonea a fornire al giudice di sorveglianza
gli elementi per pervenire al giudizio circa lÕafÞdabilitˆ comportamentale del condannato.
La durata • di un mese.
Questa osservazione deve essere condotta collegialmente in istituto dallÕŽquipe di osservazione se il
condannato • giˆ recluso. Avviene invece extramoenia, attraverso lÕintervento dellÕU.E.P.E. se
lÕistanza • proposta dal soggetto in libertˆ.
é possibile per˜ prescindere da questo requisito. Infatti vi sono alcune ipotesi in cui il condannato
non • stato, per qualsiasi ragione, sottoposto a osservazione scientiÞca della personalitˆ. Anche in
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questa evenienza il condannato pu˜ essere ammesso alla misura invocata qualora sia possibile sulla
base del comportamento tenuto in libertˆ rilevare i sintomi di una sua predisposizione positiva alla
rieducazione extramuraria senza ripercussioni negative sul versante del rischio di recidiva.
REQUISITO SOGGETTIVO
¥ Meritevolezza
LÕafÞdamento in prova al servizio sociale • concesso quando si ritiene che la misura possa
contribuire alla rieducazione del reo e sia in grado di assicurare la prevenzione dal pericolo che egli
commetta altri reati.
Questo requisito di merito • previsto anche per lÕafÞdamento in prova ÒallargatoÓ. Quando la pena
da espiare non • superiore a quattro anni, il giudizio prognostico circa lÕidoneitˆ della misura
extramuraria va saggiata tenendo conto del comportamento tenuto, quantomeno nellÕanno
precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione della pena, in esecuzione di
una misura cautelare o in libertˆ.
Le Þnalitˆ per le quali • concesso (rieducazione del condannato e prevenzione del rischio di
recidiva) sono funzionali al vantaggio non solo del singolo ma anche della societˆ.
LÕidoneitˆ della misura a realizzare la rieducazione del reo deve essere valutata in base alle risorse
di cui in concreto il condannato potrˆ avvalersi durante la prova: sia in ordine alle attivitˆ
trattamentali che potrebbe svolgere (lavorative, riparative, solidaristiche), sia in merito al tessuto
sociale che lo accoglierebbe e sosterrebbe una volta collocato in ambiente libero. Oltre ad unÕattenta
regolamentazione delle attivitˆ che il soggetto dovrˆ svolgere in libertˆ, bisogna dotarsi di una
conoscenza approfondita del materiale umano.
La concessione della misura non implica quindi lÕavvenuto ravvedimento del condannato ma solo
lÕesistenza di elementi da cui desumere lÕavvio della revisione critica del comportamento e lÕinizio
del processo rieducativo.
LE PRECLUSIONI
- Esistono alcune condizioni che si pongono, invece, quale ostacolo alla concessione della misura.
- Vi sono preclusioni ÒtemporaneeÓ previste dallÕart. 58 quater e 4 bis che il condannato per
speciÞci delitti pu˜ rimuovere ponendo in essere determinati comportamenti attivi o assolvendo a
speciÞci oneri di allegazione circa lÕassenza di collegamenti con ambienti criminali o di pericolo di
ripristino di essi, ovvero quale effetto della sottoesposizione a peculiari modalitˆ di osservazione.
Ve ne sono poi altre non soggette ad alcun limite temporale, nŽ a condizioni risolutive e che
assumono valenza ostativa ÒassolutaÓ.
- Non pu˜, innanzitutto, essere per pi• di una volta afÞdato in prova il condannato al quale sia stata
applicata la recidiva. Chi ha giˆ usufruito dellÕafÞdamento in prova, cio•, non pu˜ nuovamente
accedervi qualora sia stato successivamente dichiarato recidivo per aver commesso un altro delitto
non colposo.
- Altra preclusione • quella derivante dalla revoca della detenzione domiciliare biennale, a causa di
un comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, che appare
incompatibile con la prosecuzione della misura.
- In deroga alla generica inapplicabilitˆ delle misure alternative alla detenzione al condannato in
espiazione di pena sostitutiva, la preclusione dellÕart. 67 co. 1 l. 689/1981 non coinvolge la misura
dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale. Le nuove pene della semilibertˆ sostituiva e della
detenzione domiciliare sostitutiva espongono coloro che ne sono stati giudicati meritevoli a un
trattamento sanzionatorio immediatamente esecutivo e maggiormente afßittivo rispetto alla misura
alternativa dellÕafÞdamento. Precludere loro lÕaccesso alla prova realizzerebbe unÕirragionevole
disparitˆ di trattamento tra condannati a pena detentiva non sostituita e condannati a pena detentiva
sostituita. Di qui la scelta di prevedere che lÕafÞdamento in prova al servizio sociale possa essere
concesso al condannato alle pene sostitutive della semilibertˆ e della detenzione domiciliare. Questa
possibilitˆ • riconosciuta dopo lÕespiazione di almeno metˆ della pena, a chi abbia serbato un
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comportamento tale per cui lÕafÞdamento in prova, rispetto alla sanzione sostituiva in corso di
esecuzione, appaia pi• idoneo alla sua rieducazione e capace di assicurare, comunque, la
prevenzione del pericolo di recidiva.
Non incontra, invece, alcuna eccezione la preclusione allÕaccesso alle misure alternative alla
detenzione per coloro che espiano la pena della semilibertˆ sostitutiva e della detenzione
domiciliare sostituiva applicate a seguito della conversione della pena pecuniaria non eseguita.
PROCEDIMENTO E PRESCRIZIONI
- Dopo lÕavvio dellÕesecuzione della pena, lÕistanza di afÞdamento in prova al servizio sociale •
presentata dal soggetto interessato (o dal suo difensore) al tribunale di sorveglianza competente in
relazione al luogo di esecuzione della pena.
Qualora siano offerte concrete indicazioni circa la sussistenza dei presupposti dellÕafÞdamento in
prova • contemplata la possibilitˆ di intervento interinale del magistrato di sorveglianza. In
questÕipotesi il giudice monocratico pu˜ disporre la liberazione del condannato e lÕapplicazione
provvisoria della misura ove si accerti lÕassenza del pericolo di fuga.
Il mancato accoglimento dellÕistanza non pregiudica la possibilitˆ di presentarne una nuova
restando impregiudicato il valore da attribuire al precedente ÒnegativoÓ.
Qualunque sia il contenuto decisorio dellÕordinanza interinale, essa mantiene efÞcacia Þno alla
decisione del tribunale di sorveglianza, cui lÕorgano monocratico deve trasmettere immediatamente
gli atti. Il tribunale • tenuto a pronunciarsi nel termine ordinatorio di 60 giorni.
- La misura dellÕafÞdamento in prova fa pernio su due elementi fondamentali.
1. innanzitutto, la misura ruota attorno allÕimposizione di regole di condotta. La prova infatti •
integrata da una serie di prescrizioni: talune previste in via obbligatoria (in ordine ai rapporti del
condannato con il servizio sociale, alla dimora, alla libertˆ di locomozione, al divieto di
frequentare determinati locali, al lavoro, ecc.) e altre solo facoltativamente (divieto o obbligo di
soggiorno in determinati comuni, divieto di svolgere attivitˆ ecc.).
2. altro elemento caratterizzante • lÕafÞdamento del condannato al servizio sociale. Si tratta qui
dei centri di servizio sociale, chiamati UfÞci locali di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.),
infatti, lÕattualitˆ della sua presenza nello Stato si rivela imprescindibile per lÕapplicazione
dellÕafÞdamento in prova.
- Le prescrizioni costituiscono il contenuto del trattamento alternativo che si sostituisce
allÕesecuzione della condanna in forma detentiva determinando il contenuto stesso, ovvero lÕessenza
della pena. La loro Þnalizzazione • duplice:
¥ talune tendono a incidere direttamente sul condannato incentivandone la risocializzazione
(rapporti con il servizio sociale, attivitˆ lavorativa, prescrizioni di solidarietˆ)
¥ altre volgono alla neutralizzazione dei fattori di rischio di recidiva (prescrizioni circa la dimora, la
libertˆ sia di movimento, sia di svolgimento di attivitˆ o di frequentazione di soggetti che possono
occasionare il compimento di altri reati, divieto di frequentazione di locali ecc.).
La loro previsione non pu˜ dirsi tassativa. LÕindividuazione delle prescrizioni spetta al giudice di
sorveglianza tenuto a redigere un verbale che contenga gli obblighi di condotta concretamente
imposti dal condannato.
La sottoscrizione di un verbale, contenente le prescrizioni, • condizione di efÞcacia dellÕordinanza
tanto che da essa solo ha inizio lÕafÞdamento in prova, ad indicare lÕimpegno del condannato alla
loro osservanza e alla collaborazione al trattamento alternativo.
La sottoscrizione avviene davanti al direttore dellÕistituto, se il condannato • detenuto; davanti al
direttore dellÕU.E.P.E. se il condannato • libero. La mancata presentazione del condannato libero nel
termine stabilito ai Þni di tale adempimento • conÞgurata quale causa di revoca della misura.
Le prescrizioni stabilite nel verbale non sono intangibili: possono essere modiÞcate dal magistrato
di sorveglianza senza formalitˆ di procedura e con decreto motivato. Si tratta di variazioni
preordinate ad adattare le modalitˆ di svolgimento della prova alle mutevoli esigenze del caso
concreto intese ad incentivare lÕosservanza delle prescrizioni. Deroghe temporanee alle prescrizioni
possono essere adottate, nei soli casi di urgenza dal direttore dellÕU.E.P.E.
85
Esito negativo
- NellÕipotesi dellÕannullamento rientrano i casi di interruzione della misura per il sopravvenire sia
di una causa vera e propria di annullamento del provvedimento di applicazione (condanna per un
fatto commesso prima della sua concessione a una pena che, cumulata a quella in corso di
esecuzione, superi il limite normativamente stabilito), sia di una causa che provochi il venir meno
della misura per motivi non dipendenti dalla condotta del condannato (sopravvenienza di infermitˆ
mentale, richiesta di revoca della misura ecc.)
PoichŽ in tali situazioni la Þne della prova si connette a fattori oggettivi, si assume la totale
detraibilitˆ del periodo trascorso in afÞdamento: in sostanza, a seguito di annullamento, il
condannato dovrˆ espiare la pena che residua al momento della relativa declaratoria, scomputata
quella eventualmente espiata prima dellÕapplicazione della misura o a seguito di sua prosecuzione
disposta dal magistrato di sorveglianza.
- Distinta dallÕannullamento • lÕipotesi di revoca dellÕafÞdamento, prevista qualora il
comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile
con la prosecuzione della prova.
Data la sua natura sanzionatoria e i suoi effetti impeditivi sulla prosecuzione della prova, ai Þni
della revoca rilevano soltanto comportamenti tenuti successivamente alla concessione
dellÕafÞdamento.
- Territorialmente competente a decidere sia lÕannullamento sia la revoca della misura • il tribunale
di sorveglianza nella cui giurisdizione si svolge la prova; poichŽ lÕesperimento pu˜ essere eseguito
in localitˆ situata in giurisdizione diversa da quella del giudice che ha applicato la misura, non
sempre vi • coincidenza tra tribunale di sorveglianza che ha concesso lÕafÞdamento e quello
competente a disporne la revoca.
Al tribunale di sorveglianza spetta il compito di determinare il quantum di pena residua da espiare,
tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso
periodo di afÞdamento in prova. Demandando al tribunale di sorveglianza il compito di individuare
il periodo utilmente trascorso in afÞdamento, da detrarre dalla pena ancora da espiare dopo la
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Esito positivo
- Quando la prova perviene al suo naturale epilogo occorre veriÞcarne lÕesito. Tale veriÞca poggia
su una valutazione di risultato che ha ad oggetto il globale atteggiarsi del condannato durante
lÕintero arco della stessa.
A questa veriÞca provvede il tribunale di sorveglianza competente in base al luogo in cui ha avuto
svolgimento la prova.
Non • certo agevole la determinazione del concetto di esito positivo della prova. Per la sua veriÞca
non • sufÞciente il mero decorso del periodo di afÞdamento senza che sia intervenuta la revoca
della misura, ma • necessario un accertamento del giudice di sorveglianza sullÕavvenuta
inequivocabile rieducazione del reo. Nel caso in cui tale accertamento sia negativo si impone la
risoluzione ex tunc del beneÞcio.
- AllÕesito positivo della prova si collega lÕestinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto
penale, con esclusione delle pene accessorie perpetue.
LÕeffetto estintivo travolge anche la pena pecuniaria che non sia giˆ stata riscossa e sempre che
lÕinteressato si trovi in disagiate condizioni economiche.
Non vengono meno, a seguito dellÕestinzione della pena, le obbligazioni civili derivanti dal reato.
Estranea allÕeffetto estintivo • anche lÕiscrizione della condanna nel casellario giudiziale.
87
LA DETENZIONE DOMICILIARE
PROFILI GENERALI
La detenzione domiciliare • una modalitˆ alternativa di espiazione della pena detentiva. Essa non
era contemplata nel testo originario della legge di ordinamento penitenziario, ma • stata introdotta
con la Legge Gozzini del 1986. Da questo momento la misura ha conosciuto una progressiva
espansione, infatti oggi se ne contano numerose varianti, differenziate per qualitˆ e quantitˆ dei
presupposti oggetto di vaglio giudiziale, potenziali destinatari, modalitˆ di intervento e Þnalitˆ
perseguite.
Come accade per ogni strumento alternativo al carcere, lÕapplicazione della misura implica
limitazioni della libertˆ, che in questo caso si fanno particolarmente intense. Lo spazio abitativo
sostituisce la detenzione in istituto ma, si premura di speciÞcare la legge, il mantenimento,
lÕassistenza medica e la cura del condannato non gravano sullÕamministrazione penitenziaria, nŽ
vengono attuati nei suoi confronti gli interventi tipici del trattamento inframurario.
LÕistituto appare scarno di contenuti rieducativi, carente di interventi di sostegno e di occasioni di
risocializzazione. Al momento della sua introduzione, infatti, la misura era tesa a rispondere a
Þnalitˆ umanitarie pi• che rieducative.
Tipologie
¥ detenzione domiciliare ordinaria (art. 47-ter)
¥ detenzione domiciliare generica o Òdi poliziaÓ (art. 47-ter, c. 1-bis)
¥ detenzione domiciliare surrogatoria del differimento della pena (art. 47-ter, c. 1-ter)
¥ detenzione domiciliare dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deÞcienza immunitaria
(art. 47-quater)
¥ detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies)
¥ esecuzione della pena presso il domicilio (l. 199/2010)
¥ detenzione domiciliare di cui allÕart. 16-nonies d.l. 8/1991 rivolta ai collaboratori di giustizia.
La misura prevede che il condannato sconti la pena detentiva invece che allÕinterno di un istituto
penitenziario presso il suo domicilio, in altro luogo di privata dimora, in luoghi pubblici di cura,
assistenza o accoglienza o presso case famiglia protette.
Questo strumento pu˜ essere sfruttato per scopi molto diversi: lÕalleggerimento della popolazione
penitenziaria e il ritorno per gradi alla societˆ libera, la cura delle persone malate, la tutela dei
minori ecc. Ma, tratto comune a tutte le ipotesi di detenzione domiciliare • il carattere
spiccatamente restrittivo della misura, consistente nellÕobbligo di permanere in uno spazio chiuso e
circoscritto. LÕallontanamento • punito come evasione.
LÕafßittivitˆ dellÕespiazione • modulabile dal giudice:
- divieto di comunicare Ñ> • possibile che gli spazi residui di libertˆ siano ulteriormente
compressi mediante lÕimposizione del divieto di comunicare con persone diverse da quelle che
coabitano con il condannato o gli prestano assistenza
- autorizzazione a recarsi altrove Ñ> se il condannato versa in condizione di assoluta indigenza o
non possa provvedere in altro modo alle sue esigenze di vita, il giudice pu˜ autorizzarlo a recarsi
altrove, ma solo per il tempo strettamente necessario per provvedere alle sue comprovate
necessitˆ o per raggiungere il posto di lavoro.
Nel concedere la misura, il tribunale di sorveglianza impartisce le disposizioni circa gli interventi
del servizio sociale, che si aggiungono alle prescrizioni legate alla dimora, ai percorsi esterni
ammessi e agli eventuali limiti nelle comunicazioni.
La legge detta dei presupposti per la concessione, la cui ricorrenza • soggetta al vaglio del tribunale
di sorveglianza, organo deputato a disporre la sua applicazione in luogo della detenzione in carcere.
I requisiti sono di natura oggettiva, ossia attinenti alla quantitˆ di pena da espiare, e di natura
soggettiva, ossia riguardanti le condizioni personali del condannato o il suo grado di afÞdabilitˆ.
88
Malattia particolarmente grave (es. AIDS Chi ha presentato domanda di grazia e sia
o deÞcienza immunitaria) in attesa della decisione presidenziale
La legge di ordinamento penitenziario, invece, a differenza del codice penale, pone anzitutto una
condizione oggettiva di accesso, consistente in una pena detentiva da scontare, in origine o residua,
non superiore a 4 anni. Si fa riferimento allÕentitˆ della detenzione ancora da espiare al momento
della richiesta.
Categorie soggettive
¥ Minori di anni 21
La legge considera inÞne le persone minori di 21 anni, mirando in questo caso a salvaguardare le
loro esigenze di studio, lavoro e famiglia, oltre a quelle di salute.
LÕart. 47-ter co. 1¡ detta una rilevante norma di accordo in tutti i casi in cui il codice penale
prescriverebbe il rinvio dellÕesecuzione, il tribunale pu˜ disporre in sua vece la detenzione
domiciliare, anche se il condannato deve ancora espiare una pena superiore a 4 anni.
La detenzione domiciliare viene chiamata ÒsurrogatoriaÓ (del rinvio) o Òin derogaÓ (alla consueta
soglia di pena).
La detenzione domiciliare surrogatoria • stata individuata come la soluzione attualmente disponibile
per i casi di infermitˆ psichica sopravvenuta alla condanna tale da determinare una incompatibilitˆ
con lÕambiente carcerario, in attesa di riforme legislative che si facciano carico di questo serissimo
problema.
Un tempo, le persone affette da severe patologie mentali intervenute nel corso dellÕesecuzione della
pena potevano essere destinate agli ospedali psichiatrici giudiziari oggi superati dalle residenze per
lÕesecuzione di misure di sicurezza (R.E.M.S.). Queste strutture accolgono tuttavia solo persone
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dichiarate durante il processo non imputabili o a capacitˆ ridotta dÕintendere e di volere e ritenute
dal giudice socialmente pericolose.
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Limiti oggettivi Ñ> non vigono in questo caso limiti legati al residuo ancora da scontare, bens“ alla
porzione giˆ scontata, che deve ammontare ad almeno un terzo della reclusione da espiare, o 15
anni in caso di ergastolo. La misura • pertanto applicabile anche quando la condannata abbia
commesso reati gravi o gravissimi perchŽ • importante la protezione dellÕinteresse dei suoi Þgli.
Limiti soggettivi Ñ> occorre per˜ veriÞcare che sia possibile un positivo ripristino della
convivenza con la famiglia e non vi sia il rischio di commissione di altri reati.
- Il giudice dispone le modalitˆ di intervento del servizio sociale: va predisposto uno speciÞco
programma che contempli disposizioni dedicate ai rapporti con lÕU.E.P.E.
Alla condannata pu˜ essere anche concesso di uscire di casa per provvedere alle necessitˆ dei Þgli,
ma entro i tempi, modi e percorsi predeterminati per via giudiziale. Simili contenuti potranno in
seguito essere modiÞcati dal magistrato di sorveglianza, qualora vi sia la necessitˆ.
- Dopo 10 anni dallÕintroduzione della misura alternativa speciale, la legge 62/2011 ne ha mutato
sensibilmente la Þsionomia, preoccupandosi non solo di facilitare il ripristino dellÕunitˆ familiare
disgregata dalla carcerazione, ma anche di evitare sin dallÕinizio la separazione fra madri e Þgli, o la
permanenza di bambini negli istituti penitenziari.
Fino ai 3 anni di etˆ i minori possono essere tenuti in carcere in apposite Òsezioni nidoÓ (che
comunque rimangono veri e propri reparti detentivi). Raggiunta quella soglia, il tribunale dei
minorenni consegna la prole alle cure di persone diverse dalla madre, mentre il rapporto con lei
resta afÞdato alle differenti forme di assistenza allÕesterno. La permanenza in un istituto
penitenziario e la successiva separazione dalla madre, risultano fortemente pregiudizievoli per il
benessere psico-Þsico dei bambini.
Per garantire una pi• intensa protezione, si prevede che la frazione iniziale di pena (un terzo o 15
anni per i casi di ergastolo) venga scontata in appositi istituti a custodia attenuata per detenute madri
(gli I.C.A.M.). Si tratta di strutture detentive che cercano di mascherare il pi• possibile la loro
natura: gli ambienti sono pi• simili ad abitazioni, gli agenti non indossano la divisa ed • presente
personale specializzato in grado di contemperare le esigenze punitive con quelle di una corretta
crescita dei minori, che possono permanervi Þno allÕetˆ di 6 anni. Attualmente ce ne sono solo 5 in
Italia.
La quota iniziale di pena potrˆ essere espiata anche nellÕabitazione della condannata, o in un altro
luogo di privata dimora, oppure in un luogo di cura, assistenza o accoglienza o ancora in case
famiglia protette.
LÕesecuzione penale esterna diviene in tal modo fruibile anche da subito. Occorre per˜ che il
giudice abbia decretato lÕassenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di
fuga.
- Divieto di applicazione per le condannate per uno dei reati di cui allÕart. 4 bis. Vigeva a riguardo
una doppia preclusione:
¥ quella generale Ñ> secondo cui per i delitti Òdi prima fasciaÓ lÕaccesso alle misure alternative •
tendenzialmente escluso in assenza di collaborazione
92
¥ e un suo rafforzativo speciÞco Ñ> che vietava in ogni caso, e perci˜ anche per chi avesse
collaborato con la giustizia, la fruizione della detenzione domiciliare
Entrambe le previsioni sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, che le ha ritenute
incompatibili con lÕinteresse al corretto sviluppo dei minori.
-Quando il Þglio compie 10 anni viene lasciata al tribunale di sorveglianza la possibilitˆ di
prorogare il beneÞcio, ma solo se sussistono i presupposti oggettivi dettati per lÕaccesso alla
semilibertˆ, vale a dire limiti legati alla quantitˆ di pena giˆ scontata.
-La legge apre inÞne la possibilitˆ di accedere alla detenzione domiciliare speciale anche ai padri,
quando la madre sia deceduta o impossibilitata e non vi sia modo di afÞdare i Þgli a persone
diverse.
IL CONTROLLO ELETTRONICO
Le diverse forme di detenzione domiciliare sono accomunate dallÕobbligo di non allontanarsi,
senza previa autorizzazione, dal luogo di soggiorno stabilito dal giudice. I controlli sul rispetto di
questa prescrizione sono quindi una componente importante dellÕesecuzione della misura.
I controlli possono consistere in:
¥ veriÞche spettanti alle forze di polizia e allÕU.E.P.E.
¥ sorveglianza elettronica mediante impianti in grado di monitorare in via continuativa
lÕubicazione e gli spostamenti del condannato.
Trattandosi di un provvedimento invasivo, questo controllo aggiuntivo deve essere espressamente
imposto dal giudice con lo stesso provvedimento che applica le misure, oppure, se si avverte la
necessitˆ di potenziare la sorveglianza, durante la sua esecuzione.
In questo caso si rinvia alle previsioni dettate al codice di procedura penale per i controlli della
misura cautelare degli arresti domiciliari. La norma processuale prevede infatti il necessario
consenso del destinatario del provvedimento. In caso di diniego, il giudice deve disporre la
93
carcerazione.
La decisione giudiziale • subordinata alla veriÞca della disponibilitˆ degli apparecchi, che
continuano ad essere poco diffusi per gli elevati costi di gestione e per i temuti malfunzionamenti.
LA CONCESSIONE E LA REVOCA
- Il tribunale di sorveglianza, quando gli • rivolta una richiesta di detenzione domiciliare,
umanitaria, generica o speciale, deve veriÞcare la sussistenza delle condizioni di legge.
é possibile che lÕistanza venga presentata dalla libertˆ o dalla detenzione.
¥ dalla libertˆ Ñ> in questo caso, la legge prevede una corsia preferenziale per commutare subito
la misura cautelare degli arresti domiciliari, in cui eventualmente si trovi il condannato al
momento del passaggio in giudicato della sentenza, in detenzione domiciliare
¥ dalla detenzione Ñ> in questo caso, la sollecitazione a pronunciarsi pu˜ pervenire anche dalla
direzione del carcere o dal gruppo di osservazione, quando occorra tutelare la salute del detenuto
o lÕinteresse di minori
- LÕU.E.P.E. • chiamato a redigere anche in questo caso un programma di trattamento i cui
contenuti risentono inevitabilmente delle forti restrizioni cui deve soggiacere il condannato.
Se durante il corso dellÕesecuzione si rendono necessari degli adeguamenti, sarˆ il magistrato di
sorveglianza competente sul luogo dove si svolge la detenzione domiciliare ad apportare modiÞche
alla griglia di prescrizioni e disposizioni precedentemente stabilite, senza che il collegio debba
nuovamente riunirsi.
Al magistrato spetta anche di disporre lÕapplicazione provvisoria della misura, quando il protrarsi
della detenzione in carcere arrechi un pregiudizio grave al condannato.
- Procedure analoghe si seguono per la concessione del rinvio obbligatorio e facoltativo
dellÕesecuzione, che pure possono comportare impedenze decisorie. Al tribunale • assegnata
lÕordinaria competenza a pronunciarsi, mentre al magistrato • riservata lÕadozione di provvedimenti
urgenti e temporanei, sottoposti alla successiva veriÞca collegiale con il rito di sorveglianza.
- Quando il giudice pu˜ applicare il differimento della pena o la detenzione domiciliare
surrogatoria, si richiedono adempimenti istruttori supplementari per i condannati per reati di
criminalitˆ organizzata e terroristica o sottoposti alla sospensione delle normali regole di
trattamento. In queste ipotesi, la magistratura, per disporre una delle misure o prorogarne la durata,
deve attendere il parere della procura distrettuale del luogo dove la condanna fu pronunciata, e se il
detenuto soggiace al regime descritto allÕart. 41 bis, anche dalla procura nazionale antimaÞa e
antiterrorismo.
Se • il magistrato a dover intervenire in via dÕurgenza i pareri vanno resi entro 2 giorni dalla
richiesta, innalzati a 15 giorni quando il giudizio spetta al tribunale.
Presupposti oggettivi:
¥ la pena detentiva in espiazione non deve superare i 18 mesi
¥ lÕinteressato deve disporre di un domicilio effettivo e idoneo (idoneitˆ accertata mediante le forze
dellÕordine o lÕUEPE)
Una serie di sbarramenti circoscrivono tuttavia la portata della detenzione nel domicilio.
La misura non pu˜ essere concessa:
¥ ai condannati per uno dei delitti indicati allÕart. 4 bis
Nel caso di esecuzione di pene cumulate, alcune soltanto delle quali riferibili a delitti ostativi, la
dottrina ritiene possibile procedere allo scioglimento del cumulo per applicare lÕesecuzione
domiciliare alla pena residua riferibile ai delitti comuni; la giurisprudenza tende, invece, ad
escludere questa possibilitˆ
¥ ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza
¥ ai sottoposti al regime di sorveglianza particolare
¥ a chi ha subito la revoca di un precedente beneÞcio penitenziario
Si tratta di situazioni per cui la legge presume un grado di pericolositˆ non compatibile con il favore
per lÕespiazione extra-carceraria.
Lo spiccato favore per lÕesecuzione domiciliare si coglie a partire dai titolari del potere di impulso,
individuati nel pubblico ministero, quando il condannato • libero, e nel direttore del carcere quando
• detenuto. Questi soggetti sono obbligati a trasmettere al giudice la documentazione necessaria alla
sua decisione quando la pena raggiunga la soglia prevista.
Andranno pertanto prodotti il verbale che attesti come adeguato il domicilio, lÕeventuale
certiÞcazione sullo stato di dipendenza e sullÕidoneitˆ del programma di disintossicazione, la
relazione sulla condotta tenuta durante lo stato di detenzione.
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PRESUPPOSTI
LÕafÞdamento terapeutico consiste in una risposta differenziata dellÕordinamento penale
conformata alla peculiare situazioni delle persone tossicodipendenti e alcoldipendenti.
Finalitˆ:
¥ limitare la presenza dei tossicodipendenti negli istituti penitenziari
¥ consentire la prosecuzione di un programma terapeutico giˆ iniziato fuori dal carcere, nella
convinzione che la risocializzazione presupponga obbligatoriamente la cura dello stato di
dipendenza in libertˆ
LÕafÞdamento in prova di soggetti tossico/alcoldipendenti • stato conÞgurato sulla falsariga
dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale, misura alternativa considerata la pi• idonea a
soddisfare lÕesigenza di trattamenti terapeutici in libertˆ. Al Þne di incentivare la disintossicazione
dallÕalcol e dalla sostanza stupefacente, lÕistituto viene riservato anche a chi abbia manifestato
lÕintenzione di volersi sottoporre alla terapia.
Presupposti soggettivi
Sono due:
1. stato di tossicodipendente o alcoldipendente del condannato Ñ> lo status di dipendenza deve
essere attuale al momento in cui viene eseguita la pena. Non occorre neanche che la dipendenza
sia di tipo Þsico, essendo sufÞciente la residua dipendenza psichica, in quanto il
tossicodipendente non pu˜ ritenersi liberato dalla sostanza stupefacente in base alla mera
constatazione che non ne assume pi•, avendo necessitˆ di un ulteriore periodo di mantenimento
terapeutico e di supporto psicologico.
LÕaccertamento della tossicodipendenza non coincide con lÕuso abituale o continuativo di
stupefacenti, ma deve essere speciÞcamente certiÞcata dallÕAzienda Sanitaria Locale.
2. programma di recupero Ñ> a cui il condannato sia giˆ sottoposto o intenda sottoporsi.
Deve essere concordato con unÕazienda sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata.
Entrambe le condizioni soggettive devono essere accertate dal tribunale di sorveglianza, il quale ne
deve dare conto nella motivazione dellÕordinanza applicativa della misura. A tal Þne, lÕart. 94
stabilisce la necessitˆ della certiÞcazione attestante lÕattualitˆ della dipendenza da stupefacente o da
alcol e la sussistenza di un programma terapeutico idoneo al recupero del beneÞciario
dellÕafÞdamento ÒspecialeÓ.
La struttura sanitaria accreditata deve certiÞcare anche la procedura con la quale • stato accertato
lÕuso abituale delle sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, nonchŽ lÕandamento del
programma concordato, se in corso, e, in ogni caso, la sua idoneitˆ al recupero del condannato.
Presupposto oggettivo
Il presupposto oggettivo consiste nellÕentitˆ della pena detentiva inßitta o ancora da scontare, la
quale deve essere non superiore a 6 anni o a 4 anni se applicata per delitti ricompresi nellÕart. 4 bis.
La condanna per uno dei reati contemplati dallÕart. 4 bis non preclude la fruizione dellÕafÞdamento
in prova terapeutico: sono soltanto previsti limiti per lÕaccesso alla misura in esame pi• rigorosi di
quelli ordinari.
Per quanto concerne il proÞlo procedimentale, lÕart. 94 stabilisce che la richiesta di afÞdamento
ÒspecialeÓ pu˜ essere presentata in qualsiasi momento. Inoltre, non ci sono preclusioni per usufruire
pi• di una volta della misura terapeutica (non si applica la preclusine ostativa dellÕart. 58 quater, nŽ
quelle inerenti allÕart. 4 bis, pur essendo previsti dei limiti allÕaccesso pi• rigorosi di quelli
ordinari).
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Modalitˆ di accesso
Le modalitˆ di accesso alla misura variano in relazione al diverso stato in cui si trova il condannato
al momento della presentazione dellÕistanza.
Condannato in vinculis Ñ> la richiesta proveniente da colui che si trova in vinculis va rivolta al
magistrato di sorveglianza, che attiva una procedura interinale diretta allÕeventuale applicazione
provvisoria della misura, in attesa della pronuncia del tribunale di sorveglianza. Ai Þni
dellÕapplicazione provvisoria della misura speciale, il magistrato di sorveglianza valuta
lÕammissibilitˆ della richiesta, esercitando un controllo formale sulla presenza della
documentazione prescritta. Se la richiesta • ammissibile, lÕorgano monocratico passa a veriÞcare se
sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per
lÕaccoglimento della domanda. InÞne, • richiesto un vaglio circa il pregiudizio derivante dalla
protrazione dello stato detentivo e sulla sussistenza del pericolo di fuga.
Condannato in libertˆ Ñ> in questo caso la richiesta va presentata al pubblico ministero che
prevede un meccanismo automatico di sospensione preventiva della pena ÒespiandaÓ contenuta, in
questo caso, nel limite di 6 anni.
Il decreto sospensivo pu˜ essere revocato per gravi ragioni (mancata allegazione di
documentazione, mancato inizio del programma).
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Principi:
¥ celeritˆ
¥ presenza del condannato
¥ maggiori poteri istruttori per il tribunale di sorveglianza
- Di regola lÕesecuzione della misura terapeutica inizia dalla data del verbale di afÞdamento.
Tuttavia, il giudice pu˜ far retroagire lÕavvio della stessa ad un momento pi• favorevole, ossia a
quello di inizio di svolgimento del programma terapeutico, se ancora positivamente in corso al
momento della decisione.
Ai Þni della realizzazione del programma di recupero, le prescrizioni da impartire possono essere
tratte anche dalla disciplina dellÕafÞdamento in prova ordinario e, comunque, devono essere
comprese quelle di carattere pi• squisitamente terapeutico che determinano le modalitˆ di
esecuzione dello stesso programma.
- Riguardo al sistema dei controlli, vi • lÕobbligo, a carico del responsabile della struttura, di
segnalare allÕautoritˆ giudiziaria (al pm durante la sospensione dallo stesso disposta o al magistrato
di sorveglianza durante lÕapplicazione provvisoria e deÞnitiva della misura) le violazioni commesse
dalla persona sottoposta al programma.
Qualora tali violazioni integrino un reato, lÕomessa denuncia comporta una segnalazione
dellÕautoritˆ giudiziaria alle competenti autoritˆ amministrative Þnalizzata alla sospensione o alla
revoca, per la struttura, dellÕautorizzazione a svolgere lÕattivitˆ terapeutica, ferma restando
lÕadozione di misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento presso tali comunitˆ.
REVOCA ED ESITI
Revoca
Per quanto riguarda la revoca, si estende il disposto dellÕart. 47 co. 11, con la precisazione che essa
non • automatica nemmeno nel caso di successiva applicazione della custodia cautelare, e che per
comportamento incompatibile deve intendersi quello concretamente volto ad eludere il trattamento
terapeutico, sia riguardo agli effetti della revoca, per cui si applica quanto stabilito dalla Corte
costituzionale.
Esiti
Con riferimento allÕesito positivo, opera quanto detto per lÕafÞdamento ordinario. Si discute per˜
sul signiÞcato da attribuire allÕespressione Òesito positivoÓ. Alcuni lo individuano nella
disintossicazione Þsica dagli stupefacenti, altri nel recupero terapeutico e sociale del tossico/alcol
dipendente. Tra queste due letture, • preferibile ritenere che non occorre una valutazione di efÞcacia
della terapia, ma • sufÞciente constatare il contegno dellÕinteressato sostanzialmente non elusivo
degli impegni programmati.
NellÕipotesi in cui il condannato sottoposto allÕafÞdamento in Òcasi particolariÓ termini, con esito
positivo, il proprio programma terapeutico prima dello spirare della pena, la misura si trasforma in
afÞdamento in prova ordinario, indipendentemente dal limite di pena, ossia anche quando il residuo
supera i 4 anni. La trasformazione non indica, per˜, una via esclusiva, poichŽ il condannato al
termine dellÕafÞdamento in Òcasi particolariÓ, ma ancora in esecuzione pena, pu˜ chiedere la
sospensione: il tribunale di sorveglianza la dispone qualora ritenga che sussistano i presupposti e
che lÕinteressato sia in grado di sapersi gestire autonomamente.
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PRESUPPOSTI
1. la sospensione dellÕesecuzione della pena • riservata ai soli tossicodipendenti, e non anche agli
alcoldipendenti, come nel caso dellÕafÞdamento in prova terapeutico.
2. si richiede che il soggetto sia stato condannato per un reato connesso al proprio stato di
dipendenza. La misura • quindi applicabile solo in favore del tossicodipendente abituale e non
a colui che fa uso occasionale di sostanze stupefacenti, rendendo non necessaria la
sottoposizione al programma terapeutico.
La connessine tra i reati commessi e lo stato di tossicodipendenza • requisito controverso.
Da un lato, si ritiene che non sia sufÞciente il mero dato temporale della commissione del reato
durante il periodo di dipendenza dalla droga, ma che occorra un rapporto di causa-effetto tra la
condizione soggettiva e la realizzazione della fattispecie criminosa.
DallÕaltro, invece, si afferma che il vincolo causale debba essere interpretato in senso ampio,
fungendo da indice generico al quale vanno ricondotti anche elementi diversi.
La giurisprudenza ha elaborato una tesi intermedia, intendendo sussistente il nesso di causalitˆ
nellÕipotesi di reati commessi da soggetto in stato di tossicodipendenza al momento del fatto e
di quelli la cui realizzazione sia stata direttamente motivata da detta patologica situazione
3. lÕinteressato deve aver concluso positivamente il programma terapeutico e socio-riabilitativo.
In questo modo la sospensione dellÕesecuzione afÞanca lÕafÞdamento in prova in Òcasi
particolariÓ coprendo tutte le situazioni legate alla tossicodipendenza: per le ipotesi di un
programma in atto o da eseguire, • previsto lÕafÞdamento particolare; per lÕeventualitˆ di un
programma completato con successo, la sospensione dellÕesecuzione.
LÕart. 92 impone di allegare alla richiesta di sospensione: la certiÞcazione attestante le modalitˆ
eseguite per veriÞcare lo status di tossicodipendenza, il tipo di programma terapeutico scelto e
le modalitˆ di realizzazione, nonchŽ gli esiti conseguiti.
4. come per lÕafÞdamento in prova terapeutica, il limite di pena per la concessione della
sospensione dellÕesecuzione • di 6 anni di reclusione (per condannati a delitti di cui allÕart. 4
bis il limite • di 4 anni).
La concessione non ci pu˜ essere qualora il condannato abbia commesso un delitto non colposo
tra lÕinizio del programma e la pronuncia della sospensione.
100
La sospensione pu˜ essere concessa solo una volta, anche tenendo conto di tutte le pene detentive
inßitte allÕinteressato prima della presentazione dellÕistanza.
EFFETTI
LÕeffetto principale • la non esecuzione della pena detentiva per 5 anni. Il beneÞcio si estende anche
alle misure di sicurezza (ad eccezione della conÞsca), alle pene accessorie e agli altri effetti penali
della condanna.
Pu˜ essere sospesa anche lÕesecuzione della pena pecuniaria.
AllÕeffetto sospensivo si accompagna quello ulteriore dellÕestinzione della pena e di ogni altro
effetto penale qualora il condannato nei cinque anni successivi alla concessione del beneÞcio non
commetta un delitto non colposo punibile con la reclusione. Non sono estinte per˜ le misure di
sicurezza.
Vi • una discrezionalitˆ molto ampia del tribunale di sorveglianza per lÕindividuazione del dies a
quo.
LÕesito negativo della sospensione • attestato dalla revoca, che si veriÞca qualora il condannato,
durante il periodo di sospensione dellÕesecuzione, commetta un delitto non colposo.
La revoca • in questo caso obbligatoria e opera sempre con effetto ex tunc, ovvero dal momento
della sua concessione.
La disciplina delle modalitˆ di accesso alla sospensione dellÕesecuzione e del relativo
procedimento • omogenea a quella dellÕafÞdamento in prova terapeutico.
Per quanto riguarda la revoca, la decisione spetta al tribunale di sorveglianza, che adotta il
procedimento di sorveglianza. Invece, per la valutazione dellÕesito della sospensione e per la
declaratoria di estinzione della pena, si adottano le forme sempliÞcate dellÕart. 677 c. 4 c.p.p.
101
Un particolare status patologico del soggetto ristretto consente un impiego in chiave estensiva
dellÕafÞdamento in prova e della detenzione domiciliare.
La legge 231/1999 (art. 47 quater) ha infatti stabilito che per i soli soggetti affetti da AIDS
conclamata o da grave deÞcienza immunitaria che hanno in corso, o intendono intraprendere, un
programma di cura e assistenza presso le unitˆ operative specializzate in malattie infettive, lÕaccesso
allÕafÞdamento in prova e alla detenzione domiciliare • svincolato da presupposti legati a rigidi
limiti di pena previsti nei casi tradizionali.
Non si tratta di una nuova misura alternativa, bens“ di modalitˆ di accesso pi• favorevoli a misure
alternative giˆ disciplinate, dettate per categorie soggettive estremamente deboli.
Ratio: tutela della salute non solo del soggetto malato, ma anche degli altri detenuti.
DESTINATARI
I beneÞciari di questa misura sono unicamente i condannati o internati affetti da AIDS conclamata
o da grave deÞcienza immunitaria acquisita.
Su di essi grava lÕonere di allegare la documentazione che attesti tale particolare condizione di
salute insieme a quella riguardante la concreta attuabilitˆ del programma di cura e assistenza.
Ci˜ signiÞca che i soggetti affetti da patologie altrettanto gravi, tali da manifestare condizioni di
salute incompatibili con la detenzione, sono esclusi da questa misura e possono trovare tutela solo
negli istituti del rinvio dellÕesecuzione della pena e della detenzione domiciliare surrogatoria.
La condizione patologica che rende possibile il ricorso alla misura deve essere accertata e certiÞcata
dal servizio sanitario pubblico o dalla sua articolazione penitenziaria, a seconda che il soggetto
faccia istanza dallo stato di libertˆ o meno. Considerato che la patologia, per giustiÞcare
lÕammissione a questa misura deve essere suscettibile di trattamento, dalla stessa certiÞcazione deve
ulteriormente risultare la concreta attuabilitˆ del programma di cura e assistenza presso le unitˆ
operative di malattie infettive ospedaliere e universitarie.
Fatta salva lÕipotesi in cui lÕinteressato abbia giˆ fruito di analoga misura e questa sia stata revocata
da meno di un anno, al tribunale di sorveglianza non sembra poter residuare alcun margine di
discrezionalitˆ circa lÕan della concessione di una delle misure contemplate dallÕart. 47 quater.
VeriÞcato lÕan della misura, lÕapprezzamento del grado di pericolo di recidiva vale a orientare sul
quomodo della stessa: lÕentitˆ del rischio di commissione di altri reati • parametro di riferimento
per il tribunale di sorveglianza chiamato a scegliere quale misura tra afÞdamento in prova e
detenzione domiciliare debba essere applicata. Il giudice, pertanto, dovrˆ necessariamente optare
per la misura maggiormente restrittiva della detenzione domiciliare allorquando il soggetto presenti
una maggiore pericolositˆ sociale ritenuta, comunque, compatibile con lÕesecuzione extra moenia.
La durata della misura sarˆ corrispondente a quella della pena ancora da espiare, fatta salva
lÕipotesi di una sua revoca. Infatti, il tribunale di sorveglianza pu˜ disporre la Þne anticipata della
misura alternativa se il soggetto risulti imputato o sottoposto a misura cautelare per un delitto
commesso successivamente alla concessione del beneÞcio e rientrante tra quelli per cui • previsto
lÕarresto obbligatorio in ßagranza.
La revoca, per˜, non neutralizza le esigenze di salute del condannato, nŽ i rischi del contagio
derivanti dalla sua condizione. Di qui la previsione che il giudice, contestualmente alla pronuncia,
disponga che il soggetto sia detenuto presso un istituto carcerario dotato di reparto attrezzato per la
cura e lÕassistenza necessarie.
102
Si tratta di unÕalternativa alla detenzione per gli stranieri irregolari. Il Testo Unico
sullÕimmigrazione disciplina la misura dellÕespulsione per via giurisdizionale: sia a titolo di
sanzione sostitutiva, sia quale alternativa alla detenzione.
In particolare, • prevista lÕespulsione, come sanzione alternativa alla detenzione, nei confronti dello
straniero extracomunitario e dellÕapolide al veriÞcarsi di deÞnite condizioni:
¥ che sia identiÞcato
¥ che sia irregolarmente presente sul territorio dello Stato
¥ che debba scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a 2 anni
In presenza di queste condizioni Þssate dalla legge, lÕespulsione integra unÕatipica misura
alternativa, obbligatoriamente adottata al solo Þne di evitare il protrarsi dello stato detentivo dello
straniero irregolare e allo scopo di contenere il sovraffollamento carcerario.
Per quanto riguarda lÕapplicazione della misura, la prima fase concerne lÕidentiÞcazione dello
straniero. Essa avviene in collaborazione tra lÕistituto penitenziario e il questore competente con il
coordinamento del Ministro dellÕinterno. I dati raccolti conßuiscono in una cartella personale.
Effettuata lÕidentiÞcazione, su iniziativa del pubblico ministero vengono trasmessi gli atti al
magistrato di sorveglianza competente sulla base del luogo di detenzione del condannato. LÕorgano
monocratico di sorveglianza decide senza formalitˆ con decreto motivato.
LÕesecuzione del provvedimento di espulsione spetta al questore competente in base al luogo di
detenzione dello straniero. Questi vi provvede attraverso lÕaccompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica.
La pena si estingue dopo 10 anni dallÕesecuzione dellÕespulsione.
103
LA SEMILIBERTË
PROFILI GENERALI
La semilibertˆ • la misura attraverso la quale si offre la possibilitˆ al condannato e allÕinternato di
trascorrere parte del giorno fuori dallÕistituto per partecipare ad attivitˆ lavorative, istruttive o
comunque utili al reinserimento sociale.
Alla sua eventuale concessione provvede il tribunale di sorveglianza, attraverso il procedimento agli
artt. 666 e 678 c.p.p. Nel caso in cui se ne solleciti unÕapplicazione provvisoria, lÕistanza va
presentata al magistrato di sorveglianza al quale devono essere offerte concrete indicazioni circa il
fumus boni iuris, il grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e
lÕassenza del pericolo di fuga.
La misura della semilibertˆ, preÞggendosi lÕobiettivo di favorire la rieducazione del reo attraverso il
suo reinserimento nellÕambiente libero, ha lÕeffetto solo di attenuare e non di erodere del tutto lo
stato detentivo del condannato e dellÕinternato. Essa realizza unÕimportante passaggio
dellÕindividuo dallo stato detentivo a quello di relativa libertˆ, ispirato ai principi di progressione
trattamentale e di gradualitˆ nella concessione del beneÞci penitenziari. Per questa ragione, la
semilibertˆ (a differenza delle altre misure alternative) costituisce una modalitˆ di esecuzione della
detenzione: il semilibero resta comunque inserito nel circuito penitenziario, mantiene lo status di
detenuto e nei suoi confronti si applicano, pertanto, tutte le disposizioni dellÕordinamento
penitenziario e del regolamento di esecuzione, relative ai diritti e ai doveri del condannato e
dellÕinternato, in quanto compatibili.
Al pari delle altre misure alternative, la semilibertˆ ne conserva il carattere di strumento volto a
realizzare una forma di apertura dellÕambiente carcerario verso la societˆ libera e ne condivide il
carattere premiale ed incentivante verso comportamenti partecipativi allÕazione rieducativa.
Obbligatoria e facoltativa
Il primo criterio classiÞcatorio (obbligatoria) risulta ormai tramontato. La legge del 1981 ha infatti
abrogato lÕart. 49 che imponeva lÕespiazione in semilibertˆ delle pene detentive derivanti dalla
conversione di pene pecuniarie, semprech• il condannato non fosse stato afÞdato in prova al
servizio sociale o non fosse stato ammesso al lavoro alle dipendenze di enti pubblici.
Residua quindi oggi solo nella sua dimensione facoltativa, .
Pene brevi
La semilibertˆ per Òpene breviÓ • riservata ai condannati alla pena dellÕarresto e della reclusione
non superiore ai 6 mesi. Tale opportunitˆ • loro concessa sempre, purchŽ non fruiscano della misura
dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale, secondo un logico criterio di sussidiarietˆ della
semilibertˆ rispetto a questÕultima.
In tal senso, la semilibertˆ nasce non tanto come strumento del trattamento rieducativo, bens“ come
mezzo di attenuazione degli effetti desocializzanti caratteristici delle pene detentive brevi.
La semilibertˆ per pene brevi pu˜ essere richiesta dallo stato di libertˆ, a seguito della sospensione
dellÕordine di esecuzione della pena, o dallo stato detentivo quando la pena • giˆ in corso di
esecuzione.
Pene medie
LÕart. 50 co. 2 disciplina una forma di semilibertˆ che pu˜ essere concessa ai condannati che devono
espiare una pena, anche residua, di durata ÒmediaÓ. Essa opera quale ipotesi surrogatoria
dellÕafÞdamento in prova: nei casi previsti dallÕart. 47 il condannato pu˜ essere ammesso al regime
di semilibertˆ anche prima dellÕespiazione di metˆ della pena, se mancano i presupposti previsti per
lÕafÞdamento in prova (coerenza della progressione trattamentale).
Il limite di pena da espiare, anche in misura residuale, • quello Þssato per la concessione
dellÕafÞdamento in prova: 3 anni, nella sua dimensione tradizionale, e 4 anni, nella sua dimensione
allargata.
La concessione della misura • possibile ancor prima dellÕavvio del trattamento penitenziario e
direttamente dallo stato di libertˆ; cos“ come • possibile lÕapplicazione in via provvisoria del
magistrato di sorveglianza.
Pene lunghe
La semilibertˆ per Òpene lungheÓ ha un ambito applicativo residuale: si applica infatti in tutti quei
casi superiori ai 6 mesi e fuori dai casi in cui vi si faccia ricorso quale forma surrogatoria.
Lo scopo • quello di agevolare il reinserimento sociale del condannato in funzione preparatoria del
suo ritorno in libertˆ: una tappa intermedia di un percorso detentivo costellato da precedenti
concessioni di beneÞci pi• contenuti, saldati ai requisiti della regolare condotta e della
partecipazione attiva allÕopera di rieducazione.
ƒ importante il presupposto temporale per accedere alla semilibertˆ in caso di pene lunghe: occorre
inderogabilmente che il condannato ne abbia espiata almeno la metˆ. Limiti pi• dilatati (due terzi
della pena) sono previsti per i delitti di cui allÕart. 4 bis.
Per la determinazione del limite minimo di pena espiata prima di poter accedere alla semilibertˆ
occorre fare riferimento ad alcuni criteri.
Oltre ai periodi di custodia cautelare carceraria o domiciliare (da conteggiare come pena giˆ
scontata) sono da includere sia le detrazioni conseguenti allÕeventuale applicazione delle cause di
estinzione della pena, sia le riduzioni ottenute a titolo di liberazione anticipata. Nel computo della
pena espiata va conteggiato anche il periodo eventualmente trascorso in afÞdamento in prova: sia
nel caso di annullamento del relativo provvedimento, sia nellÕipotesi di revoca per comportamento
colpevole.
La semilibertˆ • concedibile anche allÕergastolano dopo lÕespiazione di almeno 20 anni di pena.
Questo ampio periodo detentivo pu˜ essere abbreviato (a titolo di liberazione anticipata).
105
PRESUPPOSTI APPLICATIVI
Per poter accedere alla semilibertˆ sono necessari diversi presupposti, che esaltano la natura
premiale e promozionale della misura e devono ricorrere cumulativamente:
¥ progressi compiuti nel corso del trattamento dal condannato Ñ> si tratta di unÕidea di
evoluzione. Questi non possono coincidere con la mera osservanza delle regole che informano la
disciplina penitenziaria, nŽ con il solo espletamento dellÕattivitˆ trattamentale inframuraria.
Essi devono consistere in un proÞcuo avvio del processo di revisione critica delle esperienze
negative del passato.
¥ condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella societˆ Ñ> occorre accertare il
modo attraverso il quale il soggetto intende impiegare la parte della giornata da trascorrere in
libertˆ. Il giudice dovrˆ veriÞcare il contenuto delle speciÞche attivitˆ che il soggetto ha
individuato, cos“ da poterne ricavare lÕidoneitˆ rieducativa
¥ espiazione di una determinata quota di pena
Status di semilibero
I condannati e gli internati ammessi al regime della semilibertˆ sono assegnati ad appositi istituti o
apposite sezioni autonome degli istituti ordinari. Questa separazione ha lo scopo di:
evitare il contatto con soggetti pericolosi che potrebbero vaniÞcare la risocializzazione avvenuta
prevenire condotte illecite derivanti dal tentativo di soggetti in detenzione piena di utilizzare i
semiliberi come veicolo criminale verso lÕesterno
ragioni organizzative
LÕassegnazione del semilibero a tali apposite strutture • frutto di una valutazione discrezionale
dellÕorgano di osservazione. Questo potere discrezionale • per˜ escluso nel caso delle detenute
madri di prole di etˆ inferiore ai 3 anni ammesse alla semilibertˆ. Esse hanno il diritto di essere
ospitate in ediÞci o parte di ediÞci di civile abitazione. Ci˜ allo scopo di crescere i Þgli in ambiente
protetto.
I semiliberi indossano abiti civili. Si tratta di una disposizione priva di attualitˆ prescritta quanto
allÕintento di creare un elemento di differenziazione tra detenuti a pieno regime e semiliberi.
106
GLI ESITI
LÕesito del regime di semilibertˆ, cos“ come per lÕafÞdamento in prova al servizio sociale, pu˜
essere positivo o negativo.
Esito positivo
LÕesito • positivo in due distinte ipotesi:
¥ nel caso in cui il condannato arrivi al Þne pena mantenendo lo status di semilibero Ñ> ci˜ si
veriÞca pi• frequentemente in caso di pene brevi
¥ nellÕipotesi in cui prima del suo epilogo, lo stesso regime sfoci in una pi• ampia misura
alternativa
Esito negativo
LÕesito negativo si realizza quando la misura viene revocata.
Sono previste due ipotesi di revoca:
1. inidoneitˆ del soggetto al trattamento offerto in regime di semilibertˆ (di carattere generale)
2. mancato o tardivo rientro del semilibero in istituto entro il termine previsto (carattere speciÞco)
Alla revoca della misura alternativa consegue sempre il ripristino della pena o della misura di
sicurezza detentiva.
Il periodo trascorso in semilibertˆ dal condannato prima della revoca viene detratto dalla durata
complessiva della sanzione: tale tempo • sempre considerato come pena detentiva scontata.
Nel caso dellÕinternato, invece, la revoca produce la decorrenza ex novo del periodo minimo di
durata della misura di sicurezza.
1. Inidoneitˆ al trattamento
Il provvedimento di concessione della semilibertˆ pu˜ essere revocato in ogni tempo quando il
soggetto non si dimostri idoneo al trattamento.
Qui ci˜ che rileva • la presenza di precisi fatti comportamentali che denotino una chiara
inconciliabilitˆ tra lÕatteggiamento assunto dal semilibero e il percorso trattamentale ideato.
Ai Þni della revoca, quindi, non si richiede necessariamente lÕinosservanza delle prescrizioni
connesse al piano trattamentale, ma comportamenti scorretti sintomatici di sopravvenuta inidoneitˆ
al trattamento extramurario e che siano indicativi del fallimento dellÕesperimento.
La revoca in questo caso pu˜ essere preceduta da un provvedimento di sospensione cautelativa
adottato in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza.
107
Per quanto riguarda i controlli, bisogna rilevare che le alternative al carcere sono misure penali e
comportano quindi numerose restrizioni della libertˆ. Per questo occorre veriÞcare se vengano
effettivamente rispettati gli obblighi e i divieti imposti al condannato.
¥ afÞdamento in prova e semilibertˆ Ñ> • chiamato a vigilare lÕUEPE
¥ detenzione domiciliare Ñ> sono previsti controlli di polizia ed • possibile lÕutilizzo del
braccialetto elettronico
Alle attivitˆ di vigilanza allÕesterno pu˜ partecipare anche la polizia penitenziaria, seguendo le
indicazioni fornite dal direttore dellÕUEPE e previo coordinamento con lÕautoritˆ di pubblica
sicurezza, a cui spetta lÕorganizzazione delle operazioni di sorveglianza.
é previsto il dovere di agire nel rispetto dei diritti dellÕinteressato oltre che dei suoi familiari e
conviventi. Inoltre si richiede di adottare il criterio del minor pregiudizio possibile al processo di
reinserimento sociale e la minore interferenza con lo svolgimento di eventuali attivitˆ lavorative.
108
DIVIETI DI CONCESSIONE
Art. 58 quater Ñ> pone una serie di divieti di concessione, volti a ritardare il vaglio del giudice
sulle condizioni per il progressivo riacquisto di spazi di libertˆ.
1. il primo divieto colpisce chi sia stato condannato per una condotta di evasione o abbia subito la
revoca di una misura alternativa giˆ concessa per inosservanza della legge o delle prescrizioni.
In queste ipotesi per tre anni da ripristino della detenzione o dal provvedimento di revoca, i
permessi premio, il lavoro allÕesterno, lÕafÞdamento in prova, la detenzione domiciliare e la
semilibertˆ non potranno essere concessi.
Lo sbarramento non • applicabile alla condannata che si sia vista revocare la detenzione
domiciliare speciale o umanitaria.
2. • prevista una preclusione di cinque anni a fruire di tutte le misure alternative, dei permessi
premio e del lavoro allÕesterno per i condannati per uno dei delitti allÕart. 4 bis che abbiano
commesso un reato dopo essere evasi, oppure durante il periodo in cui stavano beneÞciando di
uno degli strumenti di esecuzione extra muraria.
3. i recidivi reiterati, ossia coloro che dopo essere stati condannati con l'aggravante della recidiva
commettono un nuovo reato, non possono beneÞciare dellÕafÞdamento in prova, della
detenzione domiciliare e della semilibertˆ pi• di una volta
110
LA LIBERAZIONE CONDIZIONALE
PRESUPPOSTI
La liberazione condizionale, collocata nel codice penale (art. 176 e 177 c.p.), tra le cause estintive
della pena, nasce come strumento utile per la gestione degli istituti penitenziari e gradualmente si
trasforma in strumento del trattamento rieducativo diretto alla risocializzazione del condannato.
La liberazione condizionale, modiÞcata dalla l. 663/1986, rappresenta un premio concesso al
condannato che durante il periodo di detenzione abbia dato prova costante di buona condotta.
Presupposti
1. decorso del tempo di espiazione prescritto
2. ravvedimento del condannato
3. risarcimento del danno
111
implica lÕabbandono di scelte criminali e lÕacquisita consapevolezza dei valori fondamentali della
vita sociale.
LÕaggettivo ÒsicuroÓ indica elevata probabilitˆ.
In mancanza di speciÞche indicazioni legislative, vanno considerati elementi di valutazione:
¥ il comportamento tenuto dal soggetto con i compagni di detenzione, con il personale
penitenziario, con i propri familiari e con i parenti delle vittime
¥ la volontˆ di reinserimento dimostrata con lÕattivitˆ lavorativa e di studio, con manifestazioni di
solidarietˆ sociale e con il fattivo intendimento di riparare le conseguenze dannose del reato
Inoltre, la valutazione del ravvedimento pu˜ desumersi, oltre che dagli strumenti dellÕosservazione
del trattamento, dallÕapplicazione di altri misure di educative, in particolare delle riduzioni di pena e
della semilibertˆ.
Revoca
La revoca della liberazione condizionale • prevista in due ipotesi:
1. commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole
2. trasgressione degli obblighi inerenti alla libertˆ vigilata
1. Il legislatore aveva disciplinato la commissione del reato come condizione risolutiva del
beneÞcio, per cui la revoca conseguiva automaticamente allÕaccertamento, con sentenza passata in
giudicato, della perpetrazione dellÕillecito penale da parte della persona liberata.
La Consulta ha per˜ dichiarato illegittima la norma relativamente a tale proÞlo. Pertanto, ora il
tribunale di sorveglianza • tenuto a revocare la liberazione condizionale soltanto se la condotta del
soggetto, che abbia commesso un reato della stessa indole, risulti incompatibile con il
mantenimento della misura.
In altri termini, la revoca non • pi• un provvedimento vincolato, ma discrezionale, fondato sui
risultati di unÕindagine che siano rivelatori della mancanza del ravvedimento.
2. Nel caso di violazione degli obblighi inerenti alla libertˆ vigilata, la revoca ha sempre avuto
carattere discrezionale. In questo caso non • sufÞciente la segnalazione degli organi incaricati della
sorveglianza, ma la trasgressione va individuata nella volontarietˆ del fatto e deve essere cos“ grave
da interessare lÕintero regime di vita del liberato.
Effetti della revoca Ñ> il tribunale di sorveglianza deve determinare la pena residua da espiare,
tenendo conto del periodo trascorso in libertˆ condizionale nellÕosservanza delle prescrizioni
imposte, e della quantitˆ e gravitˆ dei comportamenti causa di revoca. Comunque, il condannato
non pu˜ essere riammesso a fruire del beneÞcio.
NellÕipotesi di revoca della liberazione condizionale riguardante un condannato alla pena
dellÕergastolo non • possibile determinare la parte di pena ancora da espiare.
Esito positivo
LÕesito positivo della liberazione condizionale, che si realizza con il decorso del tempo della pena
inßitta senza che sia intervenuta la revoca, oppure dopo cinque anni dalla data del provvedimento,
se si tratta di condanna allÕergastolo, comporta lÕestinzione della pena e la revoca delle eventuali
misure di sicurezza.
La competenza a dichiarare lÕestinzione della pena spetta al tribunale di sorveglianza.
113
LA LIBERAZIONE ANTICIPATA
NATURA E SCOPO
La liberazione anticipata (art. 54) consiste in una detrazione di 45 giorni di pena per ogni semestre
di pena scontata, quale riconoscimento a favore del condannato che abbia dimostrato di partecipare
allÕopera di rieducazione.
Nonostante sia collocata tra le misure alternative alla detenzione, non • una misura alternativa,
essendo priva di afßittivitˆ, ma • un beneÞcio che ha lÕeffetto di anticipare il Þne pena.
La misura rivela una inequivoca natura premiare e una carica incentivante verso atteggiamenti
partecipativi del condannato allÕazione rieducativa: il premio immediato, correlato ad un impegno
comportamentale limitato nel tempo e quindi pi• agevole da rispettare, contribuisce ad incentivare
lÕadesione al programma trattamentale.
LA CONCESSIONE
Destinatari
Destinatari sono tutti i condannati, indipendentemente dalla gravitˆ del reato commesso e del loro
grado di pericolositˆ.
Sono quindi compresi:
i condannati alla pena dellÕergastolo
quelli che hanno commesso i delitti allÕart. 4 bis, per i quali la liberazione anticipata • lÕunico
beneÞcio fruibile anche in assenza della rimozione della condizione ostativa
i detenuti sottoposti al regime della sorveglianza particolare e alla sospensione delle regole
trattamentali
i condannati ad ergastolo ostativo, purchŽ abbiano dato prova di partecipazione al percorso
rieducativo
Ambito applicativo
é valutabile, oltre alla pena detentiva, il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di
detenzione domiciliare, sempre che si accerti lÕadesione allÕopera di rieducazione.
La pena detentiva include anche i tempi che il condannato trascorre allÕesterno del carcere durante
la fruizione di permessi di necessitˆ e premio, nonchŽ in ospedali civili, in luoghi esterni di cura e
nelle REMS.
Ai Þni della liberazione anticipata viene valutato anche il tempo trascorso agli arresti domiciliari o
in regime di esecuzione della pena nel domicilio. A tal Þne rilevano i periodi passati in semilibertˆ.
Lo sconto di pena della liberazione anticipata si applica anche alla semilibertˆ sostitutiva e alla
detenzione domiciliare sostitutiva per lÕevidente afÞnitˆ con le corrispondenti misure alternative
alla detenzione.
Il legislatore ha previsto inoltre la concessione delle riduzioni allÕafÞdato in prova al servizio
sociale, che abbia dato prova nel periodo di afÞdamento di un suo recupero sociale. La
giurisprudenza in seguito le ha estese anche alla liberazione condizionale.
Procedimento
Alla concessione della liberazione anticipata provvede il magistrato di sorveglianza, adottando il
procedimento allÕart. 69 bis, che consiste in un giudizio de plano a contraddittorio eventuale.
114
riduzioni, quindi, rilevano non solo ai Þni della detenzione domiciliare ÒumanitariaÓ, indicando il
momento a partire dal quale possono calcolarsi i 4 anni di pena residua, ma anche ai Þni della
detenzione domiciliare ÒgenericaÓ, che prevede il limite di 2 anni di pena detentiva inßitta, anche se
costituente parte residua di maggior pena, e dellÕesecuzione presso il domicilio, concedibile ai
condannati a pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior
pena.
LA REVOCA
La liberazione anticipata • revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita,
appare incompatibile con il mantenimento del beneÞcio.
LÕaccertamento della responsabilitˆ deve essere contenuto in una sentenza passata in giudicato.
Ai Þni della revoca rilevano soltanto i delitti non colposi commessi nel corso dellÕesecuzione.
Qualora le pene inßitte siano riunite in un provvedimento di cumulo, occorre effettuare lo
scioglimento dello stesso al Þne di individuare la pena in esecuzione al momento della commissione
del delitto non colposo, dovendo rimanere estranee alla procedura di revoca le decisioni che
applicano pene giˆ completamente espiate o la cui esecuzione non sia ancora iniziata.
InÞne, la revoca dovrebbe comportare la perdita della sola riduzione relativa al semestre nel corso
del quale • stato commesso il reato che ne • causa. Ma la giurisprudenza ritiene che la revoca non
va limitata ad una sola frazione della complessiva riduzione di pena precedentemente accordata,
bens“ riguarda lÕintero arco temporale di espiazione di pena giˆ effettuato.
116
LÕUFFICIO DI SORVEGLIANZA
LÕodierna normativa dedicata allÕorganizzazione della magistratura di sorveglianza, oltre ad essere
molto pi• dettagliata rispetto a quella precedente, ha introdotto un nuovo organismo collegiale, il
tribunale di sorveglianza, che, essendo caratterizzato dalla presenza di esperti in discipline psico-
criminologiche, • stato ritenuto particolarmente idoneo a veriÞcare l'evoluzione della personalitˆ del
condannato, al Þne dellÕeventuale concessione di una misura alternativa.
Tribunale di sorveglianza
Il magistrato di sorveglianza concorre alla composizione del tribunale di sorveglianza.
Si tratta di un organismo che opera a livello distrettuale (i tribunali di sorveglianza attualmente sono
29) ed • composto da quattro membri:
¥ due giudici ordinari
¥ due giudici non togati, scelti fa esperti in psicologia, psichiatria, servizi sociali e docenti di
scienze criminalistiche
I connotati fondamentali di questo giudice sono, oltre alla collegialitˆ, la specializzazione, che •
assicurata dalla presenza nel collegio di esperti in grado di apportare un rilevante contributo nelle
questioni implicanti un giudizio sulla personalitˆ del condannato.
Per quanto riguarda i giudici ordinari, la legge prescrive che uno di essi sia quello sotto la cui
giurisdizione • posto il condannato o lÕinternato relativamente alla cui richiesta bisogna decidere. Si
tratta di una disposizione dettata dallÕesigenza di assicurare allÕorgano collegiale un materiale
probatorio che non derivi soltanto dagli atti del fascicolo, ma che sia, anche se parzialmente, il
frutto di una conoscenza diretta. La regola per˜ perde valore in quelle situazioni in cui la richiesta
non provenga da un condannato ristretto in carcere; ci˜ signiÞca che non funziona nelle ipotesi in
cui la richiesta • formulata da un condannato che non • stato di detenzione.
Il magistrato di sorveglianza, oltre a svolgere le funzioni e ad emettere le decisioni nelle materie che
il legislatore penitenziario gli attribuisce, e nello stesso tempo un componente del tribunale di
sorveglianza, il quale spesso funziona come giudice di appello O di reclamo rispetto alle decisioni
assunte dal magistrato di sorveglianza in primo grado. Si determina quindi in capo a quest'ultimo
una situazione di incompatibilitˆ.
117
Viene poi qui in rilievo lÕart. 656 c.p.p. Ñ> prevede un meccanismo che consente al condannato di
accedere alle misure alternative alla detenzione senza dover prima entrare in carcere (ovvero fruire
ab initio di queste misure).
Quando lÕordine di esecuzione che consegue al passaggio in giudicato della sentenza di condanna •
inerente a una pena detentiva, anche residua, non superiore a 4 anni (6 anni se si tratta di tossico/
alcol dipendente) il pubblico ministero dispone ex ofÞcio la sospensione del titolo esecutivo.
Successivamente, sempre che venga presentata una tempestiva istanza da parte dellÕinteressato o del
suo difensore ai quali vengono notiÞcati lÕordine di esecuzione e il decreto di sospensione, lo stesso
organo (pm) trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza, tenuto a decidere in merito alla
concessione della misura richiesta o di altra misura ritenuta pi• idonea.
La sospensione dellÕordine di esecuzione viene disposta dal pubblico ministero, senza che sia
necessaria un apposita richiesta. Il legislatore ha voluto evitare lÕingresso in carcere di condannati
potenzialmente idonei ad espiare la pena in forma alternativa. Ci˜ ha un duplice effetto: sia per
quanto riguarda il sovraffollamento carcerario, sia sul percorso rieducativo del condannato.
ÒLiberi sospesiÓ Ñ> sono coloro che sono stati condannati con una sentenza irrevocabile e
rimangono in attesa della decisione che li riguarda.
Taluni ritengono inopportuno mantenere in una situazione di libertˆ i liberi sospesi. Oltretutto, non
va trascurato che tale situazione di incertezza • destinata a protrarsi nel tempo se il tribunale di
sorveglianza a cui spetta pronunciarsi sulla richiesta di misura alternativa ha un considerevole
carico di lavoro.
A questo proposito, per˜, bisogna precisare che la situazione sembra destinata ad evolversi in
seguito alla riforma delle pene sostitutive. Oggi infatti il giudice della cognizione pu˜ sostituire la
sanzione detentiva con una di tali pene.
118
Nel caso in cui il condannato, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, si trovi agli
arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, • prevista una differenza rispetto
allÕitinerario precedentemente descritto.
In questo caso infatti al condannato non • richiesto alcun tipo di iniziativa: gli atti vengono
direttamente trasmessi dal pubblico ministero al tribunale di sorveglianza il quale, in seguito ad
unÕistruttoria ex ofÞcio, si pronuncia in merito alla concessione di una delle misure extramurarie
indicate nellÕarticolo 656 co. 5 c.p.p. Inoltre, Þno alla decisione del giudice collegiale specializzato,
il condannato rimane agli arresti domiciliari.
120
PROFILI GENERALI
In seguito alla notiÞca dellÕordine di esecuzione contestualmente sospeso, se vi • una richiesta di
misura alternativa da parte del condannato o del suo difensore, diventa protagonista il tribunale di
sorveglianza, che decide nelle forme degli articoli 666 e 678 c.p.p.
121
Nello scenario cos“ ricostruito, si registra un indirizzo di politica legislativa che ha eroso in termini
drastici la centralitˆ del procedimento tipico. Sul piano storico, le linee di sviluppo sono tre:
1. Una trae origine dalla l. 277/2002, che per la liberazione anticipata ha introdotto uno schema
basato su unÕordinanza assunta in camera di consiglio senza lÕintervento delle parti con possibilitˆ
di reclamo al tribunale.
3. LÕultima prevede che se lÕistanza riguarda una pena non superiore ai 18 mesi, la misura
alternativa pu˜ essere applicata de plano.
Locus custodiae
Per le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza • competente il tribunale o il magistrato
titolare della giurisdizione sullÕistituto di prevenzione o di pena in cui lÕinteressato si trova. In
questÕottica, a rilevare • lÕatto di impulso dellÕiter procedimentale e, quindi, il momento in cui viene
formulata la richiesta o la proposta ovvero lÕiniziativa • assunta dÕufÞcio.
La ratio sottesa a tale tale regime • quella di avvicinare il giudice al detenuto o internato nonchŽ alle
strutture penitenziarie coinvolte, al Þne di assecondare le esigenze cognitive di natura socio
psicologica, tali da richiede completezza e tempestivitˆ.
Molto importante • la stabilitˆ, che deve caratterizzare il rapporto tra il detenuto e il locus
custodiae: lÕarco temporale deve essere sufÞciente a consentire quelle valutazioni funzionali
allÕavvio della fase tratta mentale.
Residenza/domicilio
Il secondo criterio opera nellÕipotesi in cui lÕinteressato sia libero: a rilevare • il luogo della
residenza o del domicilio.
La logica • analoga a quella sopra: le informazioni utili ai Þni della prognosi comportamentale sono
di pi• facile e immediata reperibilitˆ nell'abituale ambiente di vita della persona.
é previsto un ordine gerarchico: infatti, il parametro del domicilio scatta solo se quello della
residenza non pu˜ funzionare.
é prevista una regola sussidiaria. Ove quella principale non consenta di determinare la residenza, la
competenza spetta al tribunale o al magistrato del luogo in cui • stata pronunciata la sentenza nella
cui dinamica esecutiva si innesta lÕintervento giurisdizionale. Nel caso di plurime sentenze, si fa
riferimento a quella divenuta irrevocabile per ultima.
122
Differenza tra procedimento de plano e procedimento sempliÞcato: il primo opera con riferimento a
materie determinate ed • caratterizzato dallÕemissione di unÕordinanza senza formalitˆ. Il secondo
opera in relazione al quantum di pena da espiare in concreto.
LE FASI
1. instaurazione
2. vaglio di ammissibilitˆ della richiesta
3. atti preliminari allÕudienza
4. udienza
5. decisione
1. INSTAURAZIONE
A dare impulso al procedimento di sorveglianza sono la richiesta di:
pubblico ministero Ñ> stimola lÕadozione di provvedimenti sfavorevoli al condannato
interessato o suo difensore Ñ> rappresenta la principale fonte di origine del procedimento di
sorveglianza.
Per quanto riguarda il difensore • necessario chiarire un aspetto cruciale. Secondo la
giurisprudenza, il mandato Þduciario conferito nella fase di cognizione non si estende a quella
esecutiva: le richieste da formulare in nome del condannato implicano un nuovo incarico nelle
forme dellÕart. 96 c.p.p.; altrimenti sono inammissibile. In questo senso viene richiamato il
disposto dellÕart. 655, in base al quale i provvedimenti del pubblico ministero, entro 30 giorni
dalla loro emissione, sono notiÞcati a pena di nullitˆ, al difensore nominato dall'interessato o, in
mancanza, a quello dÕufÞcio.
iniziativa ex ofÞcio del giudice Ñ> questa scelta • per˜ criticata nellÕottica dellÕart. 111 della
Costituzione, in quanto suscettibile di indebolire il canone di imparzialitˆ.
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- La presentazione della richiesta risponde al principio di libertˆ delle forme: le istanze possono
essere formulate anche oralmente nel corso dellÕudienza Þssata ad altri Þni.
LÕipotesi usuale • che lÕistanza venga depositata nella cancelleria del giudice o inoltrata al direttore
dellÕistituto, che ha lÕobbligo di immediata comunicazione allÕautoritˆ competente.
- Non sono previsti termini.
Non sempre per˜ lÕistanza pu˜ essere formulata in ogni tempo: vi sono infatti casi nei quali sono
imposti, a pena di inammissibilitˆ, vincoli cronologici dilatori.
- Sul piano dei contenuti, • solo eventuale lÕesposizione di speciÞci motivi: in difetto, la richiesta
non risulta inammissibile. Tuttavia, devono essere soddisfatti gli standard minimi propri della
domanda giudiziale, nelle componenti essenziali del petitum e della causa petendi.
Sanzioni che discendono dallÕinosservanza dellÕart. 666 co. 3 c.p.p. e che quindi riguardano lÕavviso
di Þssazione dellÕudienza ( ¥ secondo). Vanno distinte tre ipotesi suscettibili di veriÞcarsi:
1. lÕavviso • omesso
Le conseguenze vanno individuate a seconda del destinatario dellÕavviso (pm, interessato e
difensore).
Se manca la comunicazione al pubblico ministero, si veriÞca una nullitˆ a regime intermedio: ad
essere menomati sono i diritti partecipativi dellÕorgano pubblico.
LÕomesso avviso allÕinteressato • causa di una nullitˆ assoluta, e quindi rilevabile dÕufÞcio in ogni
stato e grado del processo.
Per il difensore, invece, il carattere assoluto della nullitˆ discende dalla necessaria partecipazione
allÕudienza.
2. lÕavviso • intempestivo
Se lÕavviso • intempestivo, nel senso che non viene rispettato il termine di 10 giorni tra la notiÞca e
lÕudienza, la soluzione • univoca a prescindere dal destinatario: ricorre una nullitˆ intermedia,
poichŽ sono pregiudicati la partecipazione del pubblico ministero, lÕintervento dellÕinteressato e
lÕassistenza dello stesso
3. lÕavviso • incompleto
LÕavviso • incompleto quando, per esempio, risulta omessa la descrizione dellÕoggetto del
procedimento. Anche in questo caso la nullitˆ • intermedia.
Le nullitˆ intermedie sono rilevabili dÕufÞcio Þno al momento deliberativo e possono essere
eccepita anche con lÕimpugnazione dellÕordinanza conclusiva.
4. LÕUDIENZA
Il momento centrale dellÕiter procedimentale • quello dellÕudienza, caratterizzata dalla
partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. In questo modo vengono poste le
basi del contraddittorio di natura tecnica.
LÕorgano chiamato svolgere le funzioni di pubblico ministero •:
¥ davanti al tribunale, il procuratore generale presso la Corte dÕappello
¥ davanti al magistrato, il procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui ha sede
lÕufÞcio di sorveglianza
Ipotesi di assenza:
In caso di assenza del pubblico ministero, sussiste una nullitˆ a regime intermedio.
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In caso di assenza del difensore, il giudice • tenuto a nominare un sostituto, altrimenti si ha nullitˆ
assoluta.
La persona deve essere libera. Il diritto di comparire in udienza non • subordinata alla previa
richiesta di essere sentita. Anche nel caso in cui questÕultima manchi, scattano due vincoli: se
ricorrono i requisiti delle legittimo impedimento, lÕudienza va rinviata; allÕinteressato presente il
giudice deve consentire di rendere dichiarazioni.
AllÕinizio dell'udienza si colloca lÕaccertamento relativo alla regolare costituzione delle parti.
Segue, nel caso di giudice collegiale, la relazione orale, che • funzionale a delineare il thema
decidendum. Gli snodi successivi sono solo eventuali, ovvero lÕaudizione dellÕinteressato e lÕattivitˆ
di natura probatoria.
Chiude lÕudienza la discussione, allÕesito della quale la parti formulano le rispettive richieste e
conclusioni.
Attivitˆ probatoria
- Al tema delle prove sono dedicate poche e concise disposizioni:
¥ art. 666 co. 5 cpp Ñ> il giudice pu˜ chiedere alle autoritˆ competenti tutti i documenti e le
informazioni di cui ha bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del
contraddittorio
¥ art. 185 disp. att. cpp Ñ> allÕacquisizione delle prove si procede senza particolari formalitˆ anche
per quanto concerne la citazione e lÕesame dei testimoni e lÕespletamento della perizia
¥ art. 678 co. 2 cpp Ñ> quando si procede nei confronti di persona sottoposta ad osservazione
scientiÞca della personalitˆ, il giudice acquisisce la relativa documentazione e si avvale, si
occorre, della consulenza di tecnici del trattamento
é da escludere che operi la disciplina delle liste testimoniali; va per˜ riconosciuto il diritto alla
prova contraria. In tema di ammissione, la centralitˆ dellÕiniziativa ex ofÞcio implica che in capo
alle parti sussista solo lÕonere di allegare i fatti sui quali si fonda lÕistanza: spetta al giudice attivarsi
per i relativi accertamenti.
- Sul terreno dellÕammissione, a deÞnire gli equilibri tra giudice e parti • uno schema tale per cui il
giudice • titolare di autonomi poteri e quindi si atteggia a dominus della prova.
L'iniziativa del giudice non • circoscritta ai documenti e alle informazioni, ma abbraccia anche gli
ulteriori mezzi di prova. A guidare lÕesercizio dei poteri afÞdati al giudice • un parametro basato
sulla semplice opportunitˆ dellÕacquisizione probatoria.
- Riguardo alla tipologia delle prove ammissibili, il codice di procedura penale esprime un netto
favore per le fonti di natura documentale, alle quali • accostata la categoria delle informazioni che il
126
giudice pu˜ richiedere, in particolare, agli organi di polizia e agli enti pubblici. appare quindi
evidente la centralitˆ riconosciuta alla prova precostituita.
Tra i documenti rivestono un importanza fondamentale quelli relativi allÕosservazione scientiÞca
della personalitˆ. Anche ai condannati liberi • estesa lÕattivitˆ di osservazione afÞdata allÕUEPE.
- Una disciplina speciale • prevista in relazione ai reati che rientrano nel catalogo dellÕart. 4 bis co.
1, i cui autori possono accedere ai beneÞci penitenziari in base a un regime pi• rigoroso, calibrato
sulla sussistenza o meno di condotte collaborative.
Nella prima ipotesi, il giudice deve chiedere dettagliate informazioni al comitato provinciale per
lÕordine e la sicurezza pubblica; ove la risposta non arrivi nel termine di 30 giorni, la decisione
sullÕistanza del condannato va comunque assunta.
Nella seconda ipotesi, lÕonere istruttorio che grava sul giudice assume una latitudine molto ampia e
si articola su due piani. é indispensabile lÕacquisizione di elementi conoscitivi su una serie di
aspetti:
la perdurante operativitˆ del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel
quale il reato risulta commesso
il proÞlo criminale della persona detenuta e la sua posizione allÕinterno della associazione
le eventuali imputazioni o misure cautelari sopravvenute a suo carico
le signiÞcative infrazioni disciplinari commesse durante il periodo detentivo
Ove i riscontri non pervenga nel termine di 30 giorni (prorogabili Þno a 60), il giudice deve
comunque decidere. In particolare, suscettibile di integrare il quadro sono:
il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado
le informazioni fornite dalla direzione dellÕistituto ove la persona • detenuta
gli esiti degli accertamenti disposti nei confronti di questÕultima, degli appartenenti al suo nucleo
familiare e dei soggetti ad esso collegati
- Non vi sono effetti ostativi allÕingresso delle prove costituente. Sono da considerare ammissibili
tutti i mezzi istruttori che non risultano incompatibili con la struttura e le caratteristiche funzionali
del rito di sorveglianza.
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A determinare gli snodi successivi • lÕesito dello scrutinio iniziale. Ove reputi che una misura non
sia concedibile, il magistrato non adotta alcun provvedimento. NellÕipotesi opposta, invece,
lÕordinanza • comunicata al pubblico pubblico ministero e notiÞcata allÕinteressato e al difensore, i
quali possono proporre opposizione al tribunale di sorveglianza entro il termine di 10 giorni.
LÕopposizione, se • formulata attraverso lÕordinanza interinale, viene decisa nelle forme del
procedimento tipico, con il recupero delle garanzie che quelle contratte hanno sacriÞcato.
Altrimenti, alla luce dellÕacquiescenza che si ricava dallÕinutile decorso del termine di 10 giorni,
subentra il tribunale per confermare senza formalitˆ lÕordinanza: la misura diventa cos“ deÞnitiva.
Tale sbocco non • per˜ scontato: la veriÞca collegiale pu˜ suggerire lÕopportunitˆ di un esame nel
contraddittorio. In questo caso si torna sui binari del rito camerale con la Þssazione dellÕudienza.
IL PROCESSO DI SICUREZZA
Artt. 679 e 680 c.p.p. Ñ> sono dedicati al processo di sicurezza
Alla speciÞca ipotesi in cui una misura di sicurezza • stata ordinata con sentenza, o deve essere
ordinata successivamente si aggiunge unÕarea residuale che comprende ogni questione relativa.
Tale clausola va letta alla luce dellÕart. 69 co. 4 che, nella materia delle misure di sicurezza, elenca
ulteriori competenze:
a. il riesame della pericolositˆ sociale
b. la trasformazione
c. la revoca, anche anticipata
Attribuite al magistrato di sorveglianza, le funzioni sopracitate trovano il comune denominatore
nellÕaccertamento in ordine alla pericolositˆ sociale della persona. In questo senso, lÕattuale
disciplina rappresenta lÕapprodo di una parabola evolutiva le cui tappe fondamentali sono state
segnate dagli interventi dei giudici costituzionali e quindi del legislatore.
A quelli indicati sono connessi ulteriori ambiti decisori:
¥ dichiarazione di abitualitˆ o professionalitˆ nel reato e revoca della stessa Ñ> il magistrato di
sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o dÕufÞcio, accerta se lÕinteressato • persona
socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la
dichiarazione di abitualitˆ o professionalitˆ nel reato.
¥ revoca della dichiarazione di tendenza ad delinquere
Il modulo procedimentale • quello tipico, che comporta la pubblicitˆ dellÕudienza, richiesta
dellÕinteressato. La possibilitˆ di unÕiniziativa ex ofÞcio tesa all'esecuzione o allÕaggravamento
della misura di sicurezza • scelta difÞcile da coniugare con i principi dellÕart. 111 Cost.
LÕaccertamento della pericolositˆ implica una prognosi in ordine alla commissione di nuovi reati.
Ove a ordinare la misura di sicurezza sia stato il giudice della cognizione, i possibili esiti sono tre:
conferma, riforma, revoca.
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I PROCEDIMENTI DI RECLAMO
Alcuni procedimenti che hanno come referente la magistratura di sorveglianza sono disciplinati non
dal codice di procedura penale, ma dalla legge penitenziaria. Vengono qui in rilievo gli articoli 14
ter e 69 bis, i quali si occupano di due tipi di reclamo che il detenuto pu˜ formulare in determinate
materie invocando in entrambi i casi una pronuncia del tribunale di sorveglianza.
Anche se dal punto di vista processuale • dettata una regolamentazione ad hoc, viene comunque in
rilievo la sua dipendenza da quella del procedimento di sorveglianza. Infatti, il reclamo ex art. 14
ter non • altro che un procedimento di sorveglianza sempliÞcato; mentre il reclamo ex art. 69 bis •
caratterizzato dalla presenza di due fasi, nella seconda delle quali viene celebrato il procedimento di
sorveglianza tipico.
Art. 14 ter
- Questo procedimento ha avuto, al momento della sua apparizione, come unico ambito di
applicazione il settore della sorveglianza particolare. I detenuti e gli internati, per contestare la
sottoposizione al regime carcerario differenziato in peius o la proroga del medesimo, devono
avvalersi del reclamo disciplinato da tale articolo.
Dopo la sua introduzione, questo procedimento ha trovato applicazione anche in altri settori: •
infatti divenuto, prima dellÕintroduzione dellÕart. 35 bis, il rito che il detenuto e lÕinternato
dovevano utilizzare in caso di violazione di un loro diritto. In un periodo successivo, per˜, lÕambito
di operativitˆ del procedimento • stato ridimensionato, cosicchŽ attualmente si applica soltanto ai
reclami in tema di sorveglianza particolare e a quelli concernenti le limitazioni e i controlli sulla
corrispondenza.
- Per contestare il provvedimento emesso, lÕinteressato deve proporre il reclamo nel termine di 10
giorni, che decorrono dal momento in cui viene a conoscenza del provvedimento che lo riguarda. Il
reclamo deve indicare, pena di inammissibilitˆ, gli speciÞci motivi che lo sorreggono. é escluso
lÕeffetto sospensivo, per cui, in tema di sorveglianza particolare, si applica immediatamente il
regime differenziato.
- Premesso che questo procedimento non pu˜ essere iniziato ex ofÞcio nŽ attivato da pubblico
ministero, la sua principale caratteristica • costituita dal fatto che allÕudienza in camera di consiglio
partecipano necessariamente il difensore e il pubblico ministero, mentre • esclusa la presenza
dellÕinteressato e quella di un rappresentante dellÕamministrazione penitenziaria.
- Il procedimento disciplinato dallÕart. 14 ter, se da un lato • pi• snello del procedimento di
sorveglianza tipico, dall'altro offre rispetto ad esso minore di garanzie. Infatti, chi ha proposto
reclamo non ha diritto di partecipare allÕudienza.
Art. 69 bis
- Questo procedimento di reclamo • stato introdotto dalla l. 277/2002.
Si • voluto sempliÞcare lÕiter da seguire quando viene richiesto al magistrato di sorveglianza la
concessione della liberazione anticipata, i cui presupposti sono stati ritenuti di non difÞcile
accertamento, e quindi tali da non esigere, come avveniva in precedenza, il ricorso al procedimento
di sorveglianza.
- La differenza basilare tra questo procedimento di reclamo e quello disciplinato dallÕart. 14 ter •
macroscopica.
Innanzitutto, il contraddittorio • non soltanto attenuato, ma totalmente assente. Infatti, il magistrato
di sorveglianza decide con ordinanza in camera di consiglio senza la presenza delle parti, dopo aver
acquisito il parere del pubblico ministero, dal quale tuttavia pu˜ prescindere se non • reso entro il
15 giorni dalla richiesta. L'ordinanza accessoria viene portata a conoscenza delle parti: pi•
precisamente, del pubblico ministero, del condannato, del suo difensore di Þducia e, in mancanza di
questo, dei difensori di ufÞcio previamente designato dallo stesso magistrato di sorveglianza.
Avuta conoscenza del provvedimento, nel termine di 10 giorni le parti possono proporre reclamo
motivato al tribunale di sorveglianza.
130
Tra i due procedimenti messi a confronto, per˜, sono riscontrabili anche punti di contatto. Infatti, da
un lato, risulta escluso lÕavvio ex ofÞcio o su iniziativa del pubblico ministero, dallÕaltro, si •
affermato anche a questo proposito lÕorientamento giurisprudenziale favorevole ad includere il
reclamo nella categoria delle impugnazioni.
- Dopo la sua introduzione nel 2002, il procedimento in esame ha avuto un ambito di applicazione
pi• esteso rispetto a quello iniziale: infatti, attualmente, • previsto, oltre che nei vari contesti in cui
si tratta di decidere sulla liberazione anticipata, anche per la concessione e per la revoca della
detenzione presso il domicilio, nonchŽ per il reclamo concernente lÕipotesi in cui il condannato
contesti lÕintervenuta cessazione della misura alternativa disposta dal magistrato di sorveglianza in
seguito alla sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi.
- In questo procedimento possono essere evidenziati due punti critici:
¥ il principio della paritˆ delle parti risulta leso dalla regola in base alla quale, nel primo segmento,
il magistrato di sorveglianza, anteriormente alla sua decisione, si limita a raccogliere il parere del
pubblico ministero, parere dal quale pu˜ tuttavia prescindere quando esso non • fornito nel
termine di 15 giorni dalla relativa richiesta
¥ la conÞgurazione bifasica che si • descritta non pu˜ essere considerata soddisfacente, in quanto, a
prescindere dalle insidie inerenti alla formulazione di un reclamo ammissibile, la decisione
assunta del tribunale di sorveglianza pu˜ essere inßuenzata dallÕordinanza emessa al termine del
procedimento de plano
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Gli ostacoli principali all'accesso alle misure alternative includono preclusioni temporanee e assolute derivanti da recidive o dal mancato rispetto delle condizioni di osservazione. Tali preclusioni possono essere superate attraverso comportamenti collaborativi che dimostrano assenza di collegamenti criminali o pericolo di ripristinarli. Inoltre, il giudice ha discrezionalità nel valutare la meritevolezza del condannato sulla base del comportamento e delle risorse disponibili a sostegno del suo percorso rieducativo .
Il reclamo disciplinato dall'art. 35 bis ha significativamente modificato il sistema di tutela dei diritti dei detenuti introducendo un meccanismo più formale e giurisdizionale per la tutela di tali diritti. Questo reclamo si distingue dal precedente sistema che si basava sull'art. 35, il quale consentiva istanze più generiche e meno vincolanti rivolte a varie autorità senza garanzie procedurali minime. L'art. 35 bis rappresenta un avanzamento cruciale in quanto permette ai detenuti di presentare ricorso al magistrato di sorveglianza per questioni gravi, garantendo così la possibilità di un contraddittorio effettivo e l'impugnabilità del provvedimento di fronte alla Corte di Cassazione . La legge 117 del 2014 ha formalizzato questo nuovo istituto, rispondendo anche a indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo per rimedi più efficaci nel sistema italiano, che ora devono essere in grado di interrompere violazioni in corso e fornire adeguato risarcimento .
Il principio di legalità influisce sulle misure alternative alla detenzione imponendo che qualsiasi modifica alle modalità di espiazione delle pene avvenga sotto il controllo giurisdizionale e non solo per decreto amministrativo. A tal proposito, la Corte Costituzionale ha affermato la necessità di un intervento giudiziario quando le modalità di detenzione devono essere modificate, ad esempio per concessione dei benefici come la liberazione condizionale, al fine di rispettare i diritti dei detenuti . Inoltre, la Corte ha dichiarato illegittime alcune normative che limitavano l'accesso a misure alternative, evidenziando il bisogno di bilanciare le restrizioni con la tutela di specifici diritti, come nel caso di madri detenute con figli piccoli . Pertanto, il principio di legalità richiede che vi siano garanzie giurisdizionali per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti nelle procedure di concessione e revoca delle misure alternative .
La comunità esterna partecipa all'azione rieducativa dei detenuti principalmente attraverso due canali: l'autorizzazione di ingresso per soggetti interessati all'opera di risocializzazione, prevista dall'art. 17, e la partecipazione di "assistenti volontari" appartenenti a enti di volontariato, secondo l'art. 78 . Questa partecipazione include la promozione di contatti tra la comunità carceraria e la società e il supporto morale e materiale per il reinserimento sociale . Il terzo settore ha un ruolo significativo in questo contesto, contribuendo con assistenza materiale, organizzazione di attività culturali, supporto nei permessi, e nella ricerca di soluzioni abitative e lavorative all'esterno. Tali interventi sono effettuati sotto il controllo e il coordinamento dell'amministrazione carceraria e del direttore dell'UEPE . L'importanza della collaborazione con il terzo settore risiede nella capacità di incrementare le risorse e rendere più efficaci le offerte rieducative .
Le condizioni per l'accesso ai benefici penitenziari differiscono tra il primo gruppo di reati, che include delitti con finalità di terrorismo o mafiosi, richiedendo severi oneri dimostrativi di assenza di collegamenti criminali e altre dimostrazioni di buona condotta. Nel secondo gruppo di reati, che comprende crimes gravi ma non necessariamente con matrice mafiosa, il focus è sull'adempimento delle obbligazioni civili e sulla dimostrazione di assenza di rischio futuro, anche senza collaborazione attiva con la giustizia .
Il regolamento interno degli istituti penitenziari deve rispettare i principi di autonomia organizzativa dell'amministrazione penitenziaria e di uguaglianza sostanziale. È importante per la riabilitazione dei detenuti poiché assicura l'individualizzazione del trattamento, necessario per il rieducamento (art. 27 co. 3 Cost). Inoltre, garantisce l'adeguamento del trattamento alle esigenze delle diverse strutture e dei singoli detenuti, evitando discrezionalità eccessive che potrebbero compromettere l'uniformità del trattamento e il rispetto dei diritti .
La Carta dei diritti e dei doveri è fondamentale per informare i detenuti sui loro diritti e doveri durante la detenzione, promuovendo trasparenza e consapevolezza. Viene consegnata a ogni detenuto all'ingresso in istituto, insieme a un estratto del regolamento interno, assicurando che tutti i nuovi arrivati siano coscienti delle norme e delle regole vigenti nella struttura penitenziaria .
L'organizzazione delle strutture penitenziarie influisce sugli obiettivi costituzionali assicurando che i detenuti siano assegnati a istituti vicini al loro centro sociale, favorendo l'individualizzazione del trattamento e separando categorie diverse di detenuti per minimizzare reciproche influenze nocive. Una gestione adeguata facilita il raggiungimento degli obiettivi rieducativi e rispetta il diritto al trattamento non discriminante e individualizzato, contribuendo a un'efficace riabilitazione .
Il magistrato di sorveglianza ha un ruolo fondamentale nel garantire i diritti dei detenuti, svolgendo funzioni di vigilanza sugli aspetti organizzativi e gestionali degli istituti penitenziari. Questo include visitare senza preavviso o autorizzazione, raccogliere informazioni e segnalare criticità alle autorità competenti, pur senza poteri coercitivi. Supervisiona anche il programma di trattamento per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali durante l'intero percorso penitenziario . Inoltre, gestisce i reclami giurisdizionali dei detenuti relativi all'inosservanza da parte dell'amministrazione penitenziaria delle norme legali, che causano un pregiudizio grave all'esercizio dei loro diritti . Questo sistema è coadiuvato anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute ."}
Per concedere benefici penitenziari ai detenuti condannati per reati associati alla criminalità organizzata, devono essere soddisfatte diverse condizioni. I detenuti devono dimostrare l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria derivanti dalla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento . Devono inoltre presentare elementi specifici che escludano attuali collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di ripristino di tali collegamenti, valutando le circostanze personali, la revisione critica della condotta criminosa e ogni altra informazione disponibile. Inoltre, il giudice deve accertare la sussistenza di iniziative a favore delle vittime . Per i reati collegate a un'elevata pericolosità sociale ma senza matrice mafiosa o terroristica, i benefici possono essere concessi anche in assenza di collaborazione positiva con la giustizia, purché ci siano adeguate dimostrazioni di adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione .