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Riassunto Manuale Di Diritto Penitenziario Della Casa Giostra

Il documento analizza il diritto penitenziario in Italia, evidenziando la discrepanza tra le norme costituzionali e la realtà carceraria, con particolare attenzione al problema del sovraffollamento. Viene tracciata un'evoluzione storica del carcere, dal suo utilizzo come luogo di detenzione a una concezione più moderna che mira alla rieducazione del detenuto. La riforma penitenziaria del 1975 ha introdotto principi di umanizzazione e trattamento, ma il sistema continua a affrontare sfide significative, come la carenza di misure alternative alla detenzione.

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Riassunto Manuale Di Diritto Penitenziario Della Casa Giostra

Il documento analizza il diritto penitenziario in Italia, evidenziando la discrepanza tra le norme costituzionali e la realtà carceraria, con particolare attenzione al problema del sovraffollamento. Viene tracciata un'evoluzione storica del carcere, dal suo utilizzo come luogo di detenzione a una concezione più moderna che mira alla rieducazione del detenuto. La riforma penitenziaria del 1975 ha introdotto principi di umanizzazione e trattamento, ma il sistema continua a affrontare sfide significative, come la carenza di misure alternative alla detenzione.

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Riassunto Manuale di Diritto Penitenziario - Della Casa,


Giostra
Diritto penitenziario (Università degli Studi di Milano)

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DIRITTO PENITENZIARIO
INTRODUZIONE
ÒEssere e dover essere nellÕesecuzione penitenziariaÓ
La storia della Òquestione penitenziariaÓdimostra che, nel nostro Paese, vi • sempre uno scarto, di
entitˆ mutevole nel tempo, tra le norme costituzionali e sovranazionali, da un lato, e la disciplina
legislativa dellÕesecuzione penitenziaria, dallÕaltro, nonchŽ tra questa e la realtˆ carceraria.
La dignitˆ e una serie di diritti individuali devono essere sempre garantiti.
Il legislatore si muove anche sulla base del consenso elettorale e brandisce lo strumento punitivo
come arma demagogica (inasprimento sanzionatorio e del rigore carcerario come strada di contrasto
alla criminalitˆ).

LÕordinamento penitenziario del 1975 ha apportato cambiamenti non rivoluzionari, sebbene esso sia
uno dei pi• avanzati del mondo occidentale.
In Italia il carcere rappresenta un problema, la maggior parte di essi infatti non consente di
rispettare i parametri fondamentali sanciti dalla Convenzione europea per i diritti umani, in altri vi •
scarsa offerta delle misure alternative alla detenzione, problemi di sovraffollamento ecc. Il carcere
rappresenta quindi un problema di cronica attualitˆ, accentuato dal cono dÕombra in cui vive la
questione carceraria.

IL CARCERE E LA PENA: BREVI CENNI DI EVOLUZIONE STORICA

Il carcere nellÕantichitˆ
Il carcere allÕepoca non era un luogo Þnalizzato alla rieducazione, ma solo un luogo di detenzione.
Aveva lo scopo di salvaguardare la sicurezza sociale e isolare dalla collettivitˆ coloro che avevano
violato lÕordine costituito, rinchiudendoli in appositi istituti.
Si poneva per˜ giˆ la questione penitenziaria Ñ> un problema inizialmente avvertito solo dal
punto di vista della custodia, essendo la pena intesa come vendetta sociale e mirando gli
ordinamenti ad annullare il colpevole del reato pi• che a rieducarlo
Il carcere era visto come ediÞcio atto a custodire il reo, che sconta pene corporali (fustigazione,
tortura, morte) o pene pecuniarie (conÞsca parziale o totale dei beni).

Il sistema punitivo romano


NellÕantica Roma si distinguevano:
¥ pene pubbliche Ñ> pena capitale, esilio, fustigazione
¥ pene private Ñ> perlopi• pene pecuniarie
Il carcere era considerato solo come mezzo di coercizione, arresto o detenzione preventiva, allo
scopo di assicurare il reo alla giustizia.

LÕordinamento penale medievale


Il sistema penale medievale non fu propizio allo sviluppo del regime carcerario, poichŽ torn˜ a
prevalere la concezione privata della pena.
Prigione come detenzione provvisoria in attesa della decisione. Crudeltˆ e spettacolaritˆ
assolvevano la funzione di deterrente nei confronti di coloro che trasgredivano.

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La nascita dellÕistituzione carceraria moderna


La concezione del concetto di pena inizia a cambiare nel Regno Unito, con il Palazzo di Bridewell,
come house of correction di poveri, abbandonati e prostitute, obbligati a riformarsi attraverso il
lavoro e la disciplina.
Nasce il carcere Benthaniano come struttura dal carattere intimidatorio e di totale controllo al Þne
di realizzare lo scopo risocializzante.
Vengono apportate diverse innovazioni, tra cui la separazione tra i sessi, lÕisolamento notturno e il
lavoro diurno in comune.

Il movimento illuminista
La detenzione, Þno almeno alla metˆ del XVIII secolo, non era una pena, ma rappresentava un
mezzo per impedire allÕimputato, in attesa di una condanna, che si sottraesse allÕesecuzione della
stessa.
Carcere come luogo attiguo al tribunale, concepito come luogo di custodia provvisoria per imputati
in attesa di giudizio o di esecuzione della pena.
Solo verso la metˆ del XVIII secolo il carcere fu inteso come luogo di espiazione delle pene
detentive e acquist˜ rilevanza sociale.
Si deve allÕopera di Cesare Beccaria lÕelaborazione di principi innovatori che ispireranno i
successivi interventi in materia penitenziaria:
- umanizzazione della pena, intesa come castigo inßitto nei limiti della giustizia in proporzione al
crimine commesso e non secondo lÕarbitrio del giudice
- pena come mezzo di prevenzione e sicurezza sociale, non come pubblico spettacolo deterrente
per la sua crudeltˆ

Regime fascista
Regio decreto 18 giugno 1931, n. 787 - ÒRegolamento per gli istituti di prevenzione e di penaÓ
¥ tre leggi fondamentali sulla vita carceraria (lavoro, istruzione civile e pratiche religiose), ogni
altra attivitˆ • vietata e oggetto di sanzioni disciplinari
¥ rigida separazione tra mondo carcerario e realtˆ esterna
¥ atomizzazione dei detenuti, impedendo loro qualsiasi collegamento
¥ esclusione dal carcere di qualsiasi persona estranea (carcere come istituzione chiusa)
¥ obbligo di chiamare i detenuti con il numero di matricola, vengono disumanizzati

Riforma penitenziaria del 1975


Legge 26 luglio 1975, n. 354 - ÒNorme sullÕordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertˆÓ
Primo titolo - trattamento penitenziario (artt. 1-58)
Secondo titolo - organizzazione penitenziaria (artt. 59-91)

¥ principio della qualiÞcazione del trattamento


¥ disciplina del lavoro in carcere
¥ creazione di nuove forme di operatori specializzati
¥ misure alternative alla detenzione

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ISTITUTI PER ADULTI DIPENDENTI DALLÕAMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA


¥ istituti di custodia preventiva (art. 60) Ñ> case mandamentali e circondariali (queste ultime
assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autoritˆ giudiziaria, nonchŽ delle
persone fermate o arrestate e quella dei detenuti in transito)
¥ istituti per lÕesecuzione delle pene (art. 61) Ñ> case di arresto per lÕesecuzione della pena
dellÕarresto, e case di reclusione per lÕesercizio della pena della reclusione
¥ istituti per lÕesecuzione delle misure di sicurezza (art. 62) Ñ> colonie agricole, case di cura e
custodia, ospedali psichiatrici giudiziari
¥ centri di osservazione (art. 63) Ñ> sono istituti autonomi o sezioni di altri istituti. Svolgono le
attivitˆ di osservazione di cui allÕart. 13 e prestano attivitˆ di consulenza
¥ carceri speciali Ñ> istituti di Çmassima sicurezzaÈ istituiti con il decreto interministeriale n. 450
del 12 maggio 1977

PROBLEMA DEL SOVRAFFOLLAMENTO DEL SISTEMA PENITENZIARIO ITALIANO


Il tasso di carcerizzazione ogni 100.000 abitanti • esiguo rispetto alla media europea, ma nonostante
ci˜ vi • comunque un cronico sovraffollamento. Vi • una grave carenza di spazi minimi vitali per i
detenuti, insieme ad altre gravi carenze strutturali, quali mancanza di acqua calda, scarsa
illuminazione ecc.
Nel 2010 • stato emanato il Piano carceri: progetto di edilizia penitenziaria volto ad accrescere la
capienza degli istituti, oltre allÕintroduzione di modiÞche normative tese a favorire lÕesecuzione
presso il domicilio delle pene detentive brevi.
Il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane • un problema strutturale e sistemico. Sono state
attuate riforme di matrice processuale, sostanziale e penitenziaria che, tuttavia, non hanno risolto il
problema in modo deÞnitivo. LÕItalia • nelle prime posizione del ranking del Consiglio dÕEuropa
degli Stati con una maggiore densitˆ carceraria.

Cause del sovraffollamento


- alto tasso di detenzione cautelare Ñ> la custodia cautelare in carcere rappresenta la misura
coercitiva di gran lunga pi• applicata, costituendo poco meno del 40% del totale delle misure
cautelari personali applicate: una percentuale incompatibile con lÕidea di detenzione degli
accusati come extrema ratio.
- percentuale relativamente bassa di misure penali non privative della libertˆ personale applicate
dalla magistratura
- scarsa capienza degli istituti italiani

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➢ CAPITOLO I: La cornice costituzionale e sovranazionale

FONTI INTERNE DEL DIRITTO PENITENZIARIO


1. La Costituzione della Repubblica italiana (art. 24, art. 25 c. 2 e 3, art. 27 c. 2 e 3)
2. Il Codice penale (Libro I, titolo V, Capo I - norme sullÕapplicazione della pena, ma anche art.
146 e 147 c.p. sul differimento della pena)
3. Il Codice di procedura penale
4. La L. 26 luglio 1975 n. 354 - ÇNorme sullÕordinamento penitenziario e sullÕesecuzione delle
misure privative e limitative della libertˆÈ
5. D.p.r. 30 giugno 2000 n. 230 Regolamento recante norme sullÕordinamento penitenziario (in
sostituzione del previgente d.p.r. 29 aprile 1976 n. 431)
6. L. 15 dicembre 1990 n. 395 - ÇOrdinamento del Corpo di polizia penitenziariaÈ
7. D.lgs. 2 ottobre 2018 di riforma dellÕordinamento penitenziario
8. Giurisprudenza della Corte costituzionale

I PRINCIPI COSTITUZIONALI RELATIVI ALLÕESECUZIONE PENITENZIARIA


- Per un lungo periodo di tempo, anche dopo lÕentrata in vigore della Costituzione, lÕesecuzione
penitenziaria ha continuato ad essere disciplinata dal Regolamento carcerario del 1931, ispirato ad
una concezione rigidamente retributiva, e talora vendicativa, della pena.
Il Regolamento per˜ andava contro i principi sanciti allÕinterno della Costituzione. In merito, la
Corte Costituzionale non • potuta intervenire perchŽ il Regolamento • un atto privo di forza di
legge, ma soccorrono le circolari dei Ministri della giustizia nellÕoperazione di adeguamento ai suoi
principi.
- La situazione • radicalmente cambiata dopo la promulgazione della Legge 354/1975 (Legge
penitenziaria) che voleva essere la traduzione, a livello di legislazione ordinaria, della direttiva
contenuta nellÕart. 27 co. 3 Cost. Ñ> in questo articolo • contenuto il principio del Þnalismo
rieducativo delle pene: ÒLe pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanitˆ
e devono tendere alla rieducazione del condannatoÓ. La sanzione punitiva per antonomasia, ovvero
la pena detentiva, dovrebbe oggi essere accompagnata da altre e potrebbe un domani essere di
norma sostituita da sanzioni extracarcerarie, incidenti pur sempre sulla libertˆ personale del
condannato, ma meno devastanti rispetto a quella.

Ricordiamo altri articoli della Costituzione in ambito carcerario:


¥ art. 13 co. 4 Cost. Ñ> secondo cui • punita ogni violenza Þsica e morale sulle persone comunque
sottoposte a restrizioni di libertˆ
¥ artt. 24 co. 2 e 27 co. 2 Cost. Ñ> nel sottolineare il ruolo fondamentale del diritto di difesa e,
rispettivamente, della presunzione di non colpevolezza, riguardano ovviamente anche quellÕampia
percentuale di detenuti che sono privati della libertˆ nella veste di imputati
¥ art. 25 co. 2 Cost. Ñ> Ònessuno pu˜ essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in
vigore prima del fatto commessoÓ
La regola • secondo cui le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento
dellÕesecuzione, e non in base a quella in vigore al tempo della commissione del reato. Quando la
normativa sopravvenuta incide, in misura signiÞcativa, sul trattamento punitivo e sulla libertˆ
personale del condannato, ne • preclusa lÕapplicazione retroattiva ai sensi dellÕart. 25 co. 2 Cost.

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Vi sono poi una serie di articoli della Costituzione riferibili anche a coloro che sono detenuti presso
strutture carcerarie:
¥ art. 3 co. 1 Cost. Ñ> principio di uguaglianza
¥ art. 15 Cost Ñ> segretezza della corrispondenza
¥ art. 19 Cost. Ñ> diritto di professare liberamente la propria fede religiosa
¥ art 32 Cost. Ñ> diritto alla salute
In tutti gli ordinamenti penitenziari degli Stati democratici si • andata consolidando, come regola
base, quella secondo cui i condannati, e a maggior ragione gli imputati, conservano tutti i diritti il
cui esercizio non sia incompatibile con lÕesecuzione della pena detentiva o della misura coercitiva
in ambito carcerario.

Art. 27 co. 3 Cost.


ÒLe pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanitˆ e devono tendere alla
rieducazione del condannatoÓ

Questo articolo rappresenta la direttiva fondamentale che scolpisce il principio cardine che deve
ispirare lÕesecuzione della pena detentiva.
Il principio del Þnalismo rieducativo non pu˜ trovare attuazione solo nella fase dellÕesecuzione
della pena perchŽ il conseguimento dellÕobiettivo indicato dallÕart. 27 co. 3 risulterebbe
pregiudicato se a tale principio non si ispirassero sia il legislatore quando commina una sanzione
penale, sia il giudice quando emette una sentenza di condanna.
LÕart. 27 • stato oggetto di ulteriori puntualizzazioni operate dalla dottrina, nonchŽ dalla Corte
costituzionale nella sua copiosa giurisprudenza sul tema della rieducazione del condannato. In
particolare, si • sottolineato che esiste una stretta connessione tra la prima e la seconda parte
dellÕarticolo. Nella prima parte viene espresso il divieto di trattamenti contrari al senso di umanitˆ;
nella seconda si enuncia il principio del Þnalismo rieducativo della pena. Trattamenti inumani nei
confronti del detenuto comprometterebbero lÕobiettivo della rieducazione.

ÒPeneÓ = il termine pene comprende non solo lÕintero catalogo delle species sanzionatorie, ma
anche ogni pena in concreto irrogata indipendentemente dal reato e dal suo autore.
ÒTendereÓ = ha un doppio signiÞcato.
Da una parte sta a signiÞcare che ci si trova di fronte ad una norma programmatica, di una norma
cio• che, limitandosi ad esprimere un valore, non pone alcun obbligo di attuazione al legislatore
ordinario.
DallÕaltra parte, invece, sta ad indicare un connotato teleologico che deve contrassegnare il
trattamento punitivo e che costituisce un preciso impegno per il legislatore ordinario volto ad
eliminare ogni preclusione al progressivo reinserimento sociale del condannato.
ÒRieducazioneÓ = questo termine viene utilizzato per indicare la meta Þnale del volontario percorso
trattamentale del condannato.
In una fase iniziale ci si riferiva principalmente alle acquisite positivitˆ riscontrabili nel foro interno
del condannato, al miglioramento morale (es. il suo pentimento). In seguito si • partiti della
premessa che dalla nostra Costituzione emerge chiaramente la scelta di precludere a qualsiasi
organismo e per qualunque ragione unÕintromissione nella coscienza dellÕindividuo da parte di uno
Stato laico. Di qui lÕopinione condivisa che il termine rieducazione deve essere inteso come
sinonimo di Òreinserimento socialeÓ.
Tendere alla rieducazione signiÞca che il reinserimento sociale non pu˜ essere nŽ imposto, nŽ certo,
nŽ impossibile. Occorre per˜ mettere il condannato nelle condizioni migliori per poter approdare
alla re-inclusione.

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Proposta di legge costituzionale n. 3154 dellÕ8 giugno 2021


CÕ• stata una proposta per aggiungere al terzo comma dellÕart. 27 Cost. il seguente periodo: ÇLa
legge garantisce che lÕesecuzione delle pene tenga conto della pericolositˆ sociale del condannato e
avvenga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadiniÈ.
¥ Finalitˆ di rendere esplicito lÕinteresse della difesa sociale sotteso allÕesecuzione della pena
¥ StratiÞcazione non sempre congruente della legislazione e intreccio tra giurisprudenze provenienti
da organi giudiziari nazionali e sovranazionali come fattori di rischio per la tutela dellÕordine
pubblico e della sicurezza dei cittadini
¥ Concezione polifunzionale delle pene e necessitˆ di individuare una tutela ragionevolmente
bilanciata tra interessi di rango costituzionale parimenti meritevoli di protezione (rieducazione del
condannato vs tutela della collettivitˆ)
¥ La formulazione attuale rischierebbe di ingenerare lÕequivoco che lÕesigenza costituzionale di
difesa sociale, sottesa allÕesecuzione della pena inßitta in seguito alla commissione di un reato,
possa risultare recessiva e soccombere del tutto rispetto allÕesplicita Þnalitˆ rieducativa delle
pene.

↓ MA ↓

Equilibrio costituzionale e scelte della legislazione ordinaria (Çergastolo ostativoÈ)


Popolazione carceraria composta anche da detenuti in attesa di giudizio

LE CARTE SOVRANAZIONALI: RACCOMANDAZIONI E CONVENZIONI


- TuttÕora le condizioni di vita dei detenuti si collocano ad un livello senzÕaltro insoddisfacente.
Questo connotato ha assunto nel passato dimensioni ancora pi• preoccupanti e non ha riguardato
solo il nostro Paese ma ha caratterizzato gli apparati carcerari di tutto il mondo.
Queste constatazioni aiutano a capire perchŽ lÕONU, nel 1955, ha elaborato le ÒStandard Minimum
Rules for the Treatment of PrisonersÓ, denominate poi nel 2015 ÒNelson Mandela RulesÓ, sulle
condizioni minime da assicurare ai detenuti.
- Le regole ONU del 1955 hanno avuto una loro traduzione a livello europeo. Nel 1973, infatti, il
Comitato dei ministri del Consiglio dÕEuropa ha adottato la Risoluzione 5, contenente le ÒRegole
minime per il trattamento dei detenutiÓ, con la quale si • raccomandato agli Stati membri di
operarsi afÞnchŽ nelle rispettive strutture carcerarie fossero assicurate condizioni di vita di livello
non inferiore a quello risultante dal complesso delle direttive contestualmente stabilite.
Tali direttive sono state aggiornate e perfezionate in momenti successivi. Infatti, il testo del 1973 •
stato riscritto nel 1987, acquisendo la denominazione ÒRegole penitenziarie europeeÓ, riformulate a
loro volta nel 2006 e modiÞcate ancora nel 2020, con particolare riguardo alla condizione detentiva
di donne e stranieri, nonchŽ al rafforzamento della posizione dei detenuti in isolamento.
- In generale, si pu˜ dire che le Regole penitenziarie europee sono articolate in 108 direttive,
concernenti i proÞli organizzativi degli istituti carcerari (dagli elementi di trattamento alla salute,
dalle misure Þnalizzate a tutelare la sicurezza ai compiti e alla formazione degli operatori).

- Oltre a questi testi a largo raggio, il Comitato dei Ministri del Consiglio dÕEuropa ha elaborato
varie altre Raccomandazioni che riguardano, invece, aspetti speciÞci dellÕesecuzione penitenziaria.
Per esempio:
¥ Raccomandazione 2018 sui Þgli delle persone detenute
¥ Raccomandazione 2017 sulle sanzioni e misure di comunitˆ
¥ Raccomandazione 2014 sui condannati pericolosi
Ci˜ che accomuna le Raccomandazioni • il carattere non vincolante delle linee guida in esse
contenute. Per questo vengono considerate fonti di soft law.

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- Diversa • invece la natura delle Convenzioni, in quanto gli Stati che hanno proceduto alla loro
ratiÞca sono tenuti ad assumere le necessarie iniziative sul piano del diritto interno afÞnchŽ le loro
disposizioni vengano rispettate.
Le due Convenzioni che maggiormente hanno inciso sul processo di umanizzazione delle
condizioni detentive sono:
¥ la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellÕuomo e delle libertˆ fondamentali
(Cedu), Þrmata a Roma nel 1950
¥ la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e
degradanti, adottata nel 1987
Anche se in questo caso si • di fronte a veri e propri trattati internazionali, le cui disposizioni sono
vincolanti, sussiste pur sempre il rischio che nella realtˆ il vincolo sia considerato eccessivamente
elastico o addirittura ignorato da taluni Stati Þrmatari. Per questo, in entrambe le Convenzioni sono
previsti due organismi creati per assicurarne il rispetto:
1. Corte europea dei diritti dellÕuomo (Corte edu) Ñ> meccanismo di controllo postumo di
natura riparatoria azionabile dinanzi ad un organo giurisdizionale che si pronuncia in merito alle
violazioni della Cedu denunciate dalla parte ricorrente (condizioni di rilevabilitˆ del ricorso,
presupposti per ammissibilitˆ)
2. Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o
degradanti (CPT) Ñ> esercita un controllo preventivo, attraverso visite, anche non
preannunciate, di tipo ispettivo nelle strutture dei Paesi Þrmatari in cui si trovano individui
privati della libertˆ personale (in primis nelle carceri). Al termine di tali visite viene redatta una
relazione in cui vengono esposti dettagliatamente i risultati dei singoli accessi.
I membri del CPT (uno per ogni Stato) sono esperti indipendenti, dotati di competenze anche
extra-giuridiche, con mandato di durata di 4 anni, rinnovabile per due volte. Ciascun
componente non pu˜ partecipare alle visite ispettive che riguardano il proprio paese di
appartenenza, come garanzia di imparzialitˆ.
In Italia esiste anche un Meccanismo nazionale di prevenzione, le cui funzioni sono svolte dal
Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertˆ personali.

LA CONVENZIONE EUROPEA E LA GIURISPRUDENZA DI STRASBURGO


La giurisprudenza della Corte edu, sviluppatasi in seguito ai vari ricorsi proposti dai detenuti delle
carceri italiane, ha esercitato unÕazione propulsiva, condizionando positivamente:
¥ la produzione legislativa
¥ lÕelaborazione giurisprudenziale nazionale
¥ gli orientamenti dellÕamministrazione penitenziaria
Vediamo innanzitutto quali sono le norme della Cedu idonee a tutelare il detenuto da unÕindebita
ingerenza statuale, esercitata in concreto attraverso lÕapparato carcerario:
art. 3: divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti
art. 5: diritto alla libertˆ personale e presupposti per la restrizione
art. 8: rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza
art. 9: libertˆ di pensiero, di coscienza e di religione
art. 10: libertˆ di espressione
art. 12: lÕuomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi
nazionali che regolano tale diritto
art. 13: diritto ad un ricorso effettivo davanti ad unÕistanza nazionale a favore di chi abbia subito
la violazione di un diritto fondamentale riconosciuto dalla Cedu

La Cedu • una carta generale dei diritti, per questo non individua regole precise di trattamento dei
detenuti o chiari canoni alla cui osservanza ricollegare lÕassenza di violazione dei diritti
fondamentali.

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I giudici di Strasburgo sono chiamati ad esprimersi su singoli casi di trattamento penitenziario


sfociato in una violazione della Convenzione, con lÕeffetto che le vicende sotto la loro cognizione
sottintendono peculiaritˆ fattuali e le speciÞche normative nazionali di riferimento.

ART. 3 CEDU
ÒNessuno pu˜ essere sottoposto a tortura nŽ a trattamenti inumani o degradantiÓ
Questo articolo si basa sul criterio della gradualitˆ: non vi pu˜ essere tortura senza un trattamento
inumano o degradante e ogni trattamento inumano non pu˜ non essere nello stesso tempo
degradante.

Tortura Ñ> interventi che deliberatamente provocano forti sofferenze Þsiche e psicologiche, spesso
al Þne di conseguire un determinato risultato. Si tratta di una vera e propria disintegrazione della
persona, indipendentemente dal fatto che venga esercitata anche solo sulla sua psiche.
Trattamenti inumani Ñ> vengono collocati in una posizione molto vicina alla tortura, dalla quale
si differenziano solo per il minore grado di sofferenza provocata
Trattamenti degradanti Ñ > lÕarea dei trattamenti degradanti • stata progressivamente estesa dalla
giurisprudenza: vi rientrano tutte le situazioni che sviliscono il detenuto, pregiudicando la sua
dignitˆ (termine che, tuttavia, non Þgura nella Cedu), comprendendo le condizioni fattuali della
detenzione come il sovraffollamento

Il divieto di cui allÕart. 3 Cedu • dichiarato inderogabile, pur in presenza di una qualsiasi situazione
di emergenza, compreso lo stato di guerra.
LÕart. 3 Cedu, nella sua lettura di disposizione diretta a tutelare la dignitˆ del detenuto, • stato al
centro di varie pronunce dei giudici di Strasburgo anche in seguito ai ricorsi promossi da persone
ristrette nelle carceri italiane. Nonostante le numerose occasioni in cui la Corte edu • stata chiamata
a pronunciarsi, questÕultima non ha mai ravvisato situazioni di fatto tali da indurla a condannare
lÕItalia a causa delle severe limitazioni imposte al detenuto in seguito alla sua sottoposizione al
regime del carcere duro di cui allÕart. 41 bis, che inevitabilmente comporta elevate probabilitˆ di
violazione dei diritti umani.
La giurisprudenza della Corte edu imperniata sullÕart. 3 Cedu ha invece svolto un ruolo propulsivo
con riferimento:
1. al sovraffollamento carcerario
2. allÕergastolo ostativo, formula che rinvia ad una pena detentiva senza alcun limite temporale da
espiare totalmente in carcere

1. Sovraffollamento carcerario
Con riferimento al tema del sovraffollamento carcerario, la Corte • intervenuta condannando lÕItalia
attraverso una Òsentenza pilotaÓ Ñ> Corte edu, 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia
In seguito a questa sentenza sono stati assunti, nellÕarco di un anno, provvedimenti che hanno
provocato una diminuzione del 18,5% della popolazione carceraria.
La sentenza nasce da una consapevolezza della societˆ circa la situazione di inaccettabile
sovraffollamento degli istituti carcerari italiani. Ci furono sette ricorsi contro lÕItalia per le
condizioni cui erano stati sottoposti alcuni detenuti durante la permanenza nelle carceri, per un
periodo tra i 14 e i 54 mesi. Le principali doglianze erano rivolte a:
- limitato accesso allÕacqua
- scarsa illuminazione
- spazio inferiore ai 3mq
Si tratta comunque di un problema strutturale delle carceri italiane caratterizzato da un
malfunzionamento cronico dellÕordinamento penitenziario testimoniato da passate sentenze di
condanna e dallÕadozione di provvedimenti dai dubbi effetti positivi (il tasso di sovraffollamento •
tornato a crescere dopo soli due anni).
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Per questo • nata lÕidea di istituire ÒStati generali dellÕesecuzione penaleÓ, 18 tavoli tecnici istituiti
presso il Ministero della Giustizia con la Þnalitˆ di elaborare, in chiave interdisciplinare, proposte di
modiÞca per un riassetto complessivo del sistema carcerario.

Modalitˆ di calcolo della superÞcie della cella


Questione molto dibattuta e ancora mai risolta: 3 metri quadrati, ma quali sono le modalitˆ di
calcolo?
a) Corte e.d.u., Grande Camera, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, secondo la quale ogni cella
deve possedere tre requisiti minimi:
¥ una superÞcie di almeno 3 mq per detenuto
¥ la disponibilitˆ di uno spazio individuale per dormire
¥ la possibilitˆ di muoversi liberamente allÕinterno
b) Cass., sez. I, 9 settembre 2016, n. 52819, la quale ha ritenuto che la superÞcie a cui si applicano i
parametri minimi individuati dalla Cedu deve essere intesa come spazio vitale utile a garantire il
movimento del soggetto recluso nello spazio detentivo, il che esclude di potere inglobare nel
computo gli arredi Þssi, in ragione dellÕingombro che ne deriva.
Orientamento confermato da Cass., sez. I, 30 ottobre 2020, n. 33822.
c) Cass., SS.UU., 19 febbraio 21, n. 6551, la quale ha ritenuto che nella valutazione dello spazio
minimo di tre metri quadrati si deve avere riguardo alla superÞcie che assicura il normale
movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente Þssi al suolo, tra cui rientrano i
letti a castello.

2. Ergastolo ostativo
I Giudici di Strasburgo hanno condannato lÕItalia poichŽ, secondo la Corte edu, lÕergastolo ostativo
(art. 4 bis) preclude a quanti decidano di non collaborare con la giustizia qualsiasi prospettiva di un
futuro reinserimento nella collettivitˆ e, quindi, contrasta con il parametro della dignitˆ del detenuto
contenuto nellÕart. 3 Cedu.
Questa pronuncia ha avuto ripercussioni nel nostro ordinamento: a breve distanza di tempo infatti •
intervenuta una sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato lÕincostituzionalitˆ dellÕart. 4
bis co. 1, nella parte in cui circoscrive la possibilitˆ di concedere i permessi premio ai condannati,
compresi quelli cui sia stato inÞtto lÕergastolo, per taluno dei delitti considerati in tale disposizione,
nella sola ipotesi di una loro collaborazione con la giustizia.
In un secondo momento i giudici della Consulta hanno nuovamente affrontato la questione, ed •
stato approvato il decreto legge 162/2022, con cui il legislatore ha apportato alcune modiÞche
allÕart. 4 bis, il quale, nella versione odierna, offre al condannato che decida di non collaborare
qualche piccolo spiraglio per accedere alle misure extracarcerarie.

QUADRO NORMATIVO DELLÕUNIONE EUROPEA


LÕUE comincia a fare sempre pi• attenzione al tema dei diritti umani e delle condizioni detentive
degli Stati membri.
¥ Risoluzione del Parlamento europeo del 2011, nella quale si tratta del tema della detenzione
preventiva. Si sottolinea come questÕultima viene considerata una misura eccezionale e periodi
eccessivamente lunghi di carcerazione preventiva possono avere un effetto negativo sugli
individui, possono pregiudicare la cooperazione giudiziaria tra Stati membri e sono in contrasto
con i valori dellÕUE.
¥ Decisione quadro del 2009 circa la possibilitˆ di applicare la misura cautelare allÕestero nel Paese
di residenza dellÕindagato.
¥ Risoluzioni del Parlamento del 2012 e del 2013 sulla situazione dei diritti fondamentali nellÕUE,
in cui si esprime preoccupazione per la situazione dei detenuti nellÕUE, spesso caratterizzata dal
sovraffollamento e dai maltrattamenti.

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¥ Libro Verde sullÕapplicazione della normativa nel settore della detenzione.


¥ Carta di Nizza (o Carta dei diritti fondamentali dellÕUnione europea), che proibisce
categoricamente non solo la tortura, ma anche le pene e i trattamenti inumani o degradanti,
rafforzando cos“ la previsione dellÕart. 3 Cedu.
¥ Direttive UE in materia di diritti processuali, per esempio:
- n. 2010/64/UE sul diritto allÕinterpretazione e alla traduzione
- n. 2012/13/UE sul diritto allÕinformazione nei procedimenti penali
- n. 2016/1919/UE sul gratuito patrocinio
- n. 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza. Vi • un
divieto di presentare in pubblico lÕindagato o lÕimputato come colpevole, suscettibile di
assumere rilievo nellÕottica dello speciale trattamento penitenziario da riservare ai detenuti in
attesa di giudizio, per i quali non sussiste ancora un titolo deÞnitivo che ne accerti la
responsabilitˆ penale.
La direttiva chiede agli stati membri di vietare tutti quei contenuti che presentino lÕindagato
colpevole prima che sia stata emanata una sentenza deÞnitiva. Questa direttiva • importante
perchŽ anche al detenuto in attesa di giudizio, pur in quanto detenuto, deve essere rispettato un
trattamento rispettoso della presunzione di innocenza. La garanzia della presunzione di
innocenza ha lo scopo di tutelare la persona.

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LÕESECUZIONE PENALE E LÕAMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

Per esecuzione penale si intende il passaggio dalla sentenza allÕesecuzione della pena.
A presidio dellÕordinamento dello Stato vi • il sistema sanzionatorio. Nel nostro ordinamento vi
sono pene di carattere detentivo o pecuniario. Le pene sono la risposta data allÕesito di un processo
penale e alla violazione delle regole dellÕordinamento poste a fondamento della societˆ.
La funzione della pena:
¥ prevenzione generale Ñ> effetto deterrente rispetto alla commissione di reati che la minaccia
della pena e la sua effettiva applicazione esplica sui consociati
I consociati sanno che a quel determinato comportamento corrisponde una determinata sanzione.
La minaccia pu˜ intimorire.
¥ prevenzione speciale Ñ> effetto che la pena potrebbe avere sul singolo. Effetto che la concreta
irrogazione della pena provoca sul condannato al Þne di evitare la recidiva e di stimolare gli
effetti rieducativi.

Teoria polifunzionale della pena: il concetto di rieducazione attraverso lÕesecuzione


della pena sottende a problematiche di tipo etico, ÞlosoÞco, sociologico e psicologico.

IL RAPPORTO DI ESECUZIONE PENALE


Il procedimento di applicazione di una sanzione (pena) al condannato dˆ vita ad un complesso
rapporto giuridico di diritto pubblico, implicante cio• una sequenza procedimentale attraverso la
quale si manifesta la volontˆ dello Stato nei confronti del soggetto passivo su cui incide il potere
sanzionatorio.
Il quantum di pena irrogata • signiÞcativo, pu˜ portare al carcere o ad una misura alternativa. Con
la riforma Cartabia • stato ampliato il ventaglio di sanzioni sostitutive che non comprendono il
carcere.
La pena a un certo punto arriva ad estinzione, attraverso lÕespiazione o con forme ordinamentali
alternative (atti di clemenza o indultivi).
Il titolo che determina la costituzione del rapporto di esecuzione • sempre costituito da una
pronuncia giudiziale deÞnitiva che, per essere attuata, necessita di un ulteriore atto procedimentale,
che • lÕordine di esecuzione del pubblico ministero o unÕordinanza del magistrato di sorveglianza
(es. nel caso di applicazione della semidetenzione).

GLI ORGANI DEL RAPPORTO DI ESECUZIONE PENALE


1. Pubblico ministero
2. Giudice dellÕesecuzione
3. Magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza
4. Difensore
5. Detenuto
6. Internato

1. Il pubblico ministero
Il pubblico ministero ha un ruolo importante nel momento dellÕesecuzione della pena. Egli riveste la
funzione di organo di impulso, essendogli demandata una serie articolata di adempimenti e di poteri
(emette lÕordine di esecuzione della pena).
Il pm • anche parte processuale necessaria sia nel procedimento di esecuzione penale sia nel
procedimento di sorveglianza.
Al pubblico ministero • attribuito il potere-dovere di uniÞcazione delle pene concorrenti e derivanti
da pi• sentenze per reati diversi. LÕesatta determinazione quantitativa e qualitativa della pena •

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essenziale per il condannato per avere la possibilitˆ di accedere alle misure alternative, ovvero per
beneÞciare della sospensione condizionale della pena.

2. Il giudice dellÕesecuzione
é il giudice che ha emesso il provvedimento giurisdizionale che costituisce il titolo esecutivo di
questo rapporto.
La sua • una competenza funzionale e derivativa, dipendendo dal legame con il provvedimento
oggetto di esecuzione.
Il giudice dellÕesecuzione opera con forme giurisdizionalizzate e ha compiti di veriÞca della
persistente legittimitˆ del titolo esecutivo e della legittimitˆ delle operazioni giuridiche attraverso le
quali si applica concretamente la decisione sanzionatoria.
Egli • inoltre garante dellÕidentiÞcazione Þsica esatta del condannato e dellÕeliminazione di errori
sulla persona.

Competenza del giudice dellÕesecuzione


La regola generale prevede che: Òcompetente a conoscere dellÕesecuzione di un provvedimento • il
giudice che lo ha deliberatoÓ (art. 665 co. 1 c.p.p.).

‣ Riforma in appello
La competenza spetta al giudice di primo grado, nellÕeventualitˆ in cui il provvedimento sia stato
confermato o riformato solo in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili.
Negli altri casi, invece, • competente il giudice di secondo grado.

‣ Annullamento della cassazione


In caso di inammissibilitˆ e rigetto del ricorso o di annullamento senza rinvio • competente il
giudice di primo grado se si tratta di provvedimento inappellabile o rispetto al quale • stato proposto
ricorso in cassazione per saltum.
Invece, se della vicenda si • occupato anche il giudice dÕappello, troveranno applicazione le regole
sopra descritte circa le ripartizioni di competenza tra giudice di primo e di secondo grado.
Se vi • stato annullamento con rinvio, • competente il giudice del rinvio.

‣ Pluralitˆ di provvedimenti emessi da giudici diversi


Se lÕesecuzione concerne pi• provvedimenti emessi da giudici diversi, • competente il giudice che
ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, con la precisazione che se si tratta di
provvedimenti emessi da giudici ordinari e speciali • in ogni caso competente il giudice ordinario.

‣ Riparto di competenze tra Tribunale monocratico e collegiale


La competenza spetta comunque al collegio.

3. Magistrato di sorveglianza e tribunale di sorveglianza


Si occupano delle modiÞche del rapporto di esecuzione penale, attraverso la veriÞca dei presupposti
per lÕespiazione della pena irrogata dal giudice di cognizione in forme differenziate in rapporto
allÕevoluzione della personalitˆ del condannato e alle esigenze rieducative proprie del caso
concreto.
Importante • il rapporto del magistrato di sorveglianza con lÕUEPE (UfÞcio per lÕEsecuzione Penale
Esterna), che si occupa delle misure alternative al carcere, e con gli organi di trattamento.

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4. Il difensore
Persona che • chiamata a difendere i diritti della persona. Anche in fase di esecuzione della pena la
persona ha diritto ad un difensore.
La sua rilevanza • testimoniata dalla riformulazione dellÕart. 18 che sancisce espressamente il diritto
dei detenuti di conferire con il difensore, fermo quanto previsto dallÕart. 104 c.p.p., sin dallÕinizio
dellÕesecuzione della misura o della pena.
Si tratta del diritto alla difesa tecnica Ñ> conferire con il difensore, preparazione della difesa,
conoscenza dei propri diritti e delle possibilitˆ offerte dallÕordinamento per tutelarli
Il procedimento dellÕesecuzione annovera tra le sue parti indefettibili il difensore dellÕinteressato,
soggetto legittimato al pari del pubblico ministero e del magistrato di sorveglianza a dare impulso
alla procedura.

5. La persona detenuta
Il termine ÒdetenzioneÓ accomuna esperienze strutturalmente e funzionalmente diversiÞcate, quali:
¥ carcerazione eseguita in attuazione di una sentenza irrevocabile di condanna
¥ custodia cautelare disposta nella pendenza del procedimento penale (indizi di colpevolezza ed
esigenze cautelari)
¥ provvedimenti di arresto e fermo
La necessitˆ di differenziare in maniera netta la soggettivitˆ giuridica dellÕindividuo in espiazione di
pena da quella della persona sottoposta a carcerazione preventiva • imposta dallÕassunto secondo
cui lÕimputato non • considerato colpevole Þno alla condanna deÞnitiva.
LÕoperativitˆ della disposizione costituzionale • immanente a tutte le dinamiche penitenziarie.

6. La persona internata
Internata • la persona sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva.

Le misure di sicurezza sono quei provvedimenti giurisdizionali mediante i quali lo Stato persegue
uno scopo di tutela sociale preventiva, assoggettando determinate persone imputabili, punibili o non
punibili, alla privazione della libertˆ personale o alla dazione di una garanzia patrimoniale, ovvero
alla conÞsca, quale conseguenza dellÕaccertata pericolositˆ della persona o delle cose che hanno
avuto attinenza con il reato.
Lo scopo delle misure di sicurezza non • la punizione ma la modiÞcazione di fattori umani e sociali
che hanno portato il soggetto a delinquere.

Presupposti per lÕapplicazione di misure di sicurezza:


1. commissione di un reato o quasi-reato
2. pericolositˆ sociale della persona, da accertare allÕatto di irrogazione della misura, ma non
senza potere correttivo del magistrato di sorveglianza che ne veriÞca lÕattualitˆ. Si tratta di
valutare la proiezione del futuro criminale del soggetto fondata sulla condotta della persona,
sulle relazioni delle forze dellÕordine o dei sanitari

Misure di sicurezza detentive:


¥ assegnazione a colonia agricola o a casa di lavoro Ñ> per coloro che sono dichiarati delinquenti
abituali, professionali o per tendenza; coloro che, in queste condizioni, giˆ sottoposti a misura di
sicurezza, commettono un nuovo delitto non colposo; coloro che, sottoposti a libertˆ vigilata, ne
hanno gravemente violato le prescrizioni
¥ ricovero in casa di cura e custodia Ñ> sono sottoposti a tale misura i condannati per delitto non
colposo ad una pena diminuita a ragione della riconosciuta infermitˆ psichica o cronica
intossicazione da alcol o stupefacenti o sordomutismo

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¥ ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (oggi REMS) Ñ> per i soggetti prosciolti per le
cause di cui al punto precedente; gli infradiciottenni prosciolti per ragioni di etˆ quando abbiano
commesso un reato nelle condizioni di cui al punto precedente; i sottoposti ad altra misura di
sicurezza cui sopravvenga unÕinfermitˆ psichica tale da imporre il ricovero
¥ ricovero in un riformatorio giudiziario Ñ> misura di sicurezza speciale per i minori che non pu˜
avere durata inferiore ad un anno

LÕAMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
Articolazione funzionale interna al Ministero della giustizia che si occupa della materia
penitenziaria.
DAP: Dipartimento dellÕAmministrazione Penitenziaria. Si occupa della politica dellÕordine e
della sicurezza degli istituti e dei servizi penitenziari e del trattamento dei detenuti e degli internati,
nonchŽ dei condannati e internati ammessi a fruire delle misure alternative alla detenzione, oltre che
del coordinamento di tutto il personale penitenziario.
Il DAP emana delle circolari, che sono una fonte del diritto penitenziario. Sono normative di
dettaglio regolamentari nellÕambito della modalitˆ di esecuzione della pena.

I provveditorati regionali
Sotto la guida di un provveditore regionale, al quale compete la veriÞca sul funzionamento degli
istituti penitenziari e degli ufÞci dipendenti del dipartimento, vi sono i direttori degli istituti e degli
ufÞci per lÕesecuzione penale esterna.
Competenze:
coordinamento operativo regionale
assegnazione provvisoria o deÞnitiva dei detenuti che compirti il trasferimento nellÕambito del
distretto di competenza
organizzazione dei corsi di istituzione
occupazione esterna e lavoro intramurario
presidenza delle commissioni regionali per il lavoro penitenziario
colloqui individuali con i detenuti e ricezione dei reclami
nomina del personale per lo svolgimento delle attivitˆ di osservazione e trattamento

Il direttore dellÕistituto
Figura centrale e importante. Funzionalmente dipendente dal provveditore regionale, • lÕautoritˆ
chiamata a dirigere lÕistituto, responsabile della sicurezza e dellÕorganizzazione, del funzionamento
e del controllo dello svolgimento delle attivitˆ dellÕistituto.

Principali competenze nei rapporti con lÕautoritˆ giudiziaria:


¥ riceve e trattiene in istituto coloro che, raggiunti da un titolo privativo della libertˆ personale, si
presentino spontaneamente o vengano consegnati dalla polizia
¥ provvede alla separazione degli imputati di uno stesso reato, anche se lÕautoritˆ giudiziaria non lo
abbia espressamente ordinato

Principali competenze sul versante trattamentale:


¥ coordina le attivitˆ di osservazione sulla personalitˆ e presiede il gruppo di osservazione e
trattamento
¥ coordina i corsi di istruzione e formazione professionale
¥ autorizza lo svolgimento di attivitˆ intellettuali, culturali e artistiche
¥ mette a disposizione locali idonei per le pratiche religiose
¥ pu˜ disporre il trasferimento immediato dei detenuti in luogo di cura esterno
¥ autorizza i colloqui e la corrispondenza telefonica, lÕuso di apparecchi radio, tv e computer
¥ titolare del potere disciplinare
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¥ con riferimento ai beneÞci, ammette i detenuti al lavoro esterno con provvedimento che diverrˆ
esecutivo dopo lÕapprovazione del magistrato di sorveglianza
¥ istruisce lÕistanza di permesso premio, nonchŽ quella di ammissione alla detenzione domiciliare

La polizia penitenziaria
Corpo di polizia penitenziaria regolato dalla l. 15 dicembre 1990 n. 395.
Il compito istituzionale • quello di assicurare lÕesecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertˆ
personale, nonchŽ di garantire lÕordine e la sicurezza allÕinterno degli istituti di prevenzione e di
pena e di tutelarne la sicurezza.
La polizia penitenziaria partecipa alle attivitˆ di osservazione e di trattamento rieducativo dei
detenuti; espleta il servizio di traduzione dei detenuti e il servizio di piantonamento di coloro che si
trovano ricoverati in luoghi esterni di cura.

Uso delle armi: non • consentito lÕimpiego della forza Þsica nei confronti dei detenuti, se non sia
indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per
vincere la resistenza, anche passiva, allÕesecuzione degli ordini (art. 41 c. 1). Vietato lÕutilizzo di
mezzi di coercizione Þsica a Þni disciplinari, ma solo per evitare danni alle persone e alle cose. Uso
comunque limitato a quanto strettamente necessario.
LÕutilizzo delle armi • vietato poichŽ • possibile che vengano sottratte dai detenuti e si vada a creare
una situazione di pericolo. LÕuso • consentito se strettamente necessario e in situazioni eccezionali.
Il direttore • colui che autorizza il possesso e lÕutilizzo delle armi dei poliziotti.
Gli agenti di polizia penitenziaria non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ci˜
venga ordinato dal direttore.

LÕeducatore penitenziario
Persona che con competenza di carattere giuridico e pedagogico-psicologico guida la persona verso
un percorso di rieducazione.
Protagonista del processo rieducativo:
partecipa al gruppo per lÕosservazione scientiÞca della personalitˆ (colloquio con la persona,
assunzione di informazioni e concreta instaurazione del percorso di rieducazione).
coordina la propria azione con quella di tutto il personale
partecipa alla commissione per le attivitˆ culturali, ricreative e sportive
organizza il servizio di biblioteca
compone il consiglio di disciplina
pu˜ essere chiamato dalla magistratura di sorveglianza quale consulente tecnico nellÕambito del
procedimento per la concessione di beneÞci penitenziari.

Professionisti esperti
Sono professionisti esterni che possono intervenire su chiamata. Non sono dipendenti del DAP.
Specializzazioni principali:
¥ psicologia
¥ servizio sociale
¥ pedagogia
¥ psichiatria
¥ criminologia clinica
Si tratta di liberi professionisti ai quali vengono conferiti incarichi retribuiti nellÕambito delle
attivitˆ di osservazione e trattamento. é necessaria lÕiscrizione nellÕelenco istituito presso il
provveditorato regionale (condizioni: condotta incensurata, compimento di 25 anni e superamento
valutazione di idoneitˆ).
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➢ CAPITOLO II: LÕosservazione e il trattamento

PRINCIPI GENERALI E FONTI IN MATERIA DI ESECUZIONE DELLA PENA


LÕart. 1 l. 354/1975 (legge sullÕordinamento penitenziario) • dedicato ai principi che regolano
lÕesecuzione penitenziaria e il trattamento che deve essere predisposto, nel corso della detenzione in
carcere, nei confronti delle persone detenute o internate.
Il trattamento in particolare:
¥ deve essere conforme ad umanitˆ
¥ deve assicurare il rispetto della dignitˆ della persona
Alla persona detenuta o internata, infatti, sono garantiti i diritti fondamentali.
Questi attributi essenziali della persona umana trovano la loro fonte:
1. nella Costituzione (art. 13 co. 4 e 27 co. 3)
2. nella Cedu (art. 3 tutela la dignitˆ della persona umana e vieta ogni forma di tortura)
3. nella Legge di ordinamento penitenziario e nel relativo regolamento di esecuzione (che
enunciano molteplici diritti in favore dei detenuti e degli internati)
4. nella soft law, ovvero regole prive di forza cogente, ma autorevoli precetti cui devono ispirarsi
le legislazioni degli Stati e i giudici nellÕapplicazione del diritto interno)

Altri principi cardine del rapporto detentivo:


- Tra i principi fondamentali codiÞcati, una speciale posizione • assunta dal principio di
proporzionalitˆ e adeguatezza delle restrizioni che possono essere applicate ai detenuti, ai quali
deve essere imposto il minimo sacriÞcio necessario dei diritti. Tutti i diritti fondamentali della
persona non vengono meno con lÕingresso nel carcere; possono essere compressi per una serie di
ragioni ed esigenze legate alla restrizione, ma con il minimo sacriÞco necessario. Quindi, lÕesercizio
dei diritti delle persone detenute o internate deve essere contemperato, nella dinamica della vita
detentiva, con lÕesigenza che allÕinterno degli istituti penitenziari siano mantenuti lÕordine e la
disciplina. é vietato il ricorso a restrizioni non giustiÞcabili e, con riguardo agli imputati, non
indispensabili ai Þni giudiziari.
- é posto poi il divieto di ogni violenza Þsica e morale, sancito sia dalla Costituzione (art. 13) sia
dallÕart. 1 della legge sullÕordinamento penitenziario.
- LÕart. 1 sancisce poi il divieto di discriminazione, rafforzato dal riferimento alla tutela da possibili
forme di irragionevoli disparitˆ motivate da ragioni di sesso, identitˆ di genere, orientamento
sessuale, razza, nazionalitˆ, condizioni economiche e sociali ecc.

- Tutti questi principi sono da contemperare con lÕesigenza che allÕinterno degli istituti penitenziari
siano mantenuti lÕordine e la disciplina, e ci˜ pone particolari problemi.
é vietato il ricorso a restrizioni non giustiÞcabili e, nei confronti degli imputati, non indispensabili
ai Þni giudiziari.
Non • consentito lÕimpiego di strumenti disciplinari o di rigore come la forza Þsica o i mezzi di
coercizione se non indispensabile ed • prevista lÕapplicazione di sanzioni di tipo disciplinare.
Esistono poi ipotesi di pericolositˆ penitenziaria che comportano lÕapplicazione della sorveglianza
particolare o lÕimposizione di un regime detentivo speciale (41 bis).
- Sul piano della sicurezza, inoltre, lÕordinamento penitenziario contempla strumenti speciÞci di
natura essenzialmente precauzionale che, ai Þni della prevenzione della commissione di reati e a
tutela dellÕordine interno, incidono sui diritti fondamentali della persona detenuta o internata.
Questi poteri sono concessi dallÕordinamento al direttore o alla polizia penitenziaria a scopi di di
sicurezza:
¥ controllo e limitazione della corrispondenza (art. 18-ter)
¥ perquisizioni (art. 34)

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¥ sospensione del trattamento (art. 41-bis c. 1, conÞgurato come extrema ratio qualora le esigenze
di sicurezza riguardino non il singolo ma la collettivitˆ carceraria)
¥ isolamento per ragioni sanitarie o giudiziarie (art. 33 e 73 reg. esec.)

TRATTAMENTO PENITENZIARIO E TRATTAMENTO RIEDUCATIVO


Bisogna effettuare una distinzione tra trattamento penitenziario e regime penitenziario:
‣ Trattamento penitenziario = • lÕinsieme delle disposizioni e delle attivitˆ che riguardano
lÕesecuzione delle pene e delle altre misure restrittive della libertˆ personale. Il trattamento
riguarda tutti coloro che sono privati della libertˆ personale.
‣ Regime penitenziario = comprende le norme che disciplinano la vita quotidiana allÕinterno degli
istituti penitenziari (contenute soprattutto nel regolamento esecutivo della legge penitenziaria),
nonchŽ la disciplina delle posizioni giuridiche afferenti al detenuto e i principi di gestione degli
istituti penitenziari

Trattamento penitenziario e regime penitenziario NON corrispondono al TRATTAMENTO


RIEDUCATIVO. Esso si riferisce solo ai detenuti condannati (non ai fermati, arrestati, indagati
ecc.). Per trattamento rieducativo si intende il complesso della disciplina normativa che si propone
di dare attuazione al disposto codiÞcato nella Costituzione, per cui ogni pena deve tendere alla
rieducazione del condannato. questo obiettivo viene perseguito mediante lÕadozione di metodologie
e prassi operative Þnalizzate a favorire il processo di modiÞcazione della personalitˆ del condannato
o allÕinternato e a porre le basi per la sua piena reintegrazione nella societˆ civile.
In questa prospettiva si iscrive la deÞnizione normativa del trattamento rieducativo quale strumento
volto a promuovere un processo di modiÞcazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali,
nonchŽ delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione
sociale.
Il trattamento rieducativo costituisce un diritto soggettivo che non pu˜ essere neutralizzato in
ragione della collocazione della persona in una speciÞca sezione penitenziaria (es. nelle sezioni di
alta sicurezza). Il trattamento penitenziario, invece, pu˜ subire limitazioni in casi tassativi per
esigenze di ordine e sicurezza.

Il trattamento rieducativo • retto da tre principi fondamentali:


1. universalitˆ dellÕofferta trattamentale Ñ> esso • offerto a tutti i condannati a prescindere dal
reato commesso
2. individualizzazione Ñ> Þducia nella potenzialitˆ individuale di raggiungere un mutamento
positivo della personalitˆ favorito dallÕofferta rieducativa, sulla base del superamento delle
criticitˆ speciÞche e delle eventuali carenze Þsiopsichiche del singolo. Per questo il trattamento
deve essere individualizzato.
Prima ancora di avviare un trattamento rieducativo infatti il gruppo di osservazione della
personalitˆ fa una serie di annotazioni sul soggetto, basate su un colloquio, un dialogo.
3. principio di laicitˆ dellÕordinamento giuridico Ñ> le valutazioni afferenti alla sfera morale o
religiosa sono estranee al trattamento rieducativo.
AllÕordinamento non interessa una valutazione sul pentimento. Il percorso rieducativo non ha
come esito che la persona si rivolga alla vittima o alla societˆ chiedendo scusa.

Il contenuto del trattamento


Quello che viene proposto • unÕalternativa al crimine, un modello socialmente valido.
Il contenuto consiste in offerte trattamentali dirette a promuovere lÕadozione, da parte del
condannato, di un insieme di comportamenti sintomatici dellÕevoluzione della sua personalitˆ verso
modelli socialmente validi, della revisione delle motivazioni che lo avevano indotto a scelte
criminali e, inÞne, del progressivo abbandono dei disvalori sui quali tali scelte si fondavano.

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Il trattamento del condannato e dellÕinternato • svolto avvalendosi principalmente dellÕistruzione,


della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a progetti di pubblica utilitˆ, della
religione, delle attivitˆ culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo
esterno e i rapporti con la famiglia.
Il trattamento rieducativo riguarda tutti i condannati e gli internati, anche chi li per poco tempo Ñ>
non ogni reato implica il disadattamento sociale del suo autore, ma tutti i reati rendono necessario
un intervento rieducativo.
Non riguarda gli imputati.

I destinatari del trattamento


La necessitˆ di trattamento rieducativo riguarda tutti i condannati e gli internati, anche coloro che
appartengono alla categoria dei condannati iper-integrati, cio• di persone giˆ perfettamente inserite
nel tessuto sociale, sul presupposto che non ogni reato rivela lÕesistenza di una forma di
disadattamento sociale del suo autore, ma tutti rendono necessario un intervento di tipo rieducativo.
Una speciÞca attenzione • dedicata a particolari categorie di detenuti:
¥ Tossicodipendenti Ñ> coloro che sono affetti da una dipendenza, che viene trattata come una
patologia. Sono previsti appositi percorsi detentivi e trattamentali Þnalizzati alla gestione della
dipendenza, nonchŽ lÕaccesso alle misure alternative terapeutiche (ICATT - Istituti a Custodia
Attenuata per il trattamento di tossicodipendenti).
La popolazione carceraria • composta da un elevato numero di tossicodipendenti.
¥ Donne Ñ> cÕ• una separazione tra detenzione maschile e femminile. Vengono ospitate in istituti
o sezioni separate. Il motivo della separazione • dato dallÕofferta trattamentale, che varia in base
al sesso, e dalla questione maternitˆ.
¥ Detenuti affetti da malattie psichiatriche Ñ> tali da imporre trattamenti terapeutici speciÞci.
¥ Autori di delitti di natura sessuale Ñ> allÕinterno del carcere vige una sorta di Òcodice
comportamentaleÓ tra i detenuti in base al tipo di reato commesso, e coloro che hanno commesso
reati sessuali sono considerati deprecabili da tutti i detenuti. Essi rischiano di essere a loro volta
vittime. Per questo vengono assegnati a sezioni speciali e sono previsti particolari percorsi
trattamentali.
¥ Identitˆ di genere Ñ> sono persone LGBTQI+, cui lÕordinamento deve assicurare condizioni
detentive che garantiscano una particolare protezione e la possibilitˆ di partecipare al trattamento
a condizioni quanto pi• possibili omogenee a quelle degli altri ristretti.
La Þgura dellÕimputato poi assume una posizione particolare. Il trattamento penitenziario •, infatti,
applicato a tutti i detenuti e, pertanto, anche agli imputati, ristretti in forza di un titolo cautelare.
Questi godono, al pari dei condannati e degli internati, dei ÒdirittiÓ cui si riferisce lÕart. 4 e della
corrispondente tutela giurisdizionale. Ai soli condannati e internati • per˜ riservata lÕosservazione
scientiÞca della personalitˆ.
Il trattamento dellÕimputato • ispirato al principio dispositivo, essendogli riconosciuta la possibilitˆ
di essere ammesso, a richiesta e quindi su base volontaria, alle attivitˆ organizzate allÕinterno
dellÕistituto penitenziario quali il lavoro in sezione, le attivitˆ sportive, didattiche e formative.
Sarebbe infatti contraddittoria lÕobbligatorietˆ di unÕadesione trattamentale con Þnalitˆ rieducativa
per coloro che non risultano ancora autori accertati di un reato.
Nei confronti dellÕimputato non possono poi essere opposte particolari limitazioni ai contatti
(colloqui, corrispondenza e comunicazioni) con il proprio difensore (facoltˆ difensive).

Gli organi del trattamento


Numerosi sono i soggetti che concorrono nei rispettivi ruoli alla piena attuazione del trattamento
penitenziario e rieducativo.
Viene anzitutto in rilievo il direttore del carcere, che • responsabile delle modalitˆ di gestione dei
servizi e dellÕorganizzazione dellÕistituto. Egli presiede inoltre il consiglio di disciplina e il
gruppo di osservazione e trattamento, lÕequipe interdisciplinare incaricata di elaborare il

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programma di trattamento e i successivi aggiornamenti, la cui attivitˆ • funzionale alla


formulazione del programma di trattamento individualizzato.
Concorre al trattamento anche la polizia penitenziaria, che ha compiti di partecipazione alle
attivitˆ di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati.
Motore del trattamento • lÕarea educativa (composta da funzionari giuridico-pedagogici), che
organizza e coordina le attivitˆ interne allÕistituto, i corsi scolastici, le attivitˆ lavorative e
sportive, le iniziative culturali. I funzionari giuridico-pedagogici partecipano inoltre al gruppo di
osservazione e trattamento.
Negli istituti • presente anche il servizio di tossicodipendenze (SER.D), che si occupa dei
detenuti che presentano problemi di tossico/alcoldipendenza con assistenza sanitaria e colloqui
Þnalizzati alla predisposizione di programmi terapeutici di recupero esterni.
Attivi negli istituti penitenziari sono anche gli assistenti sociali dellÕufÞcio di esecuzione penale
esterna (UEPE), con il compito di curare il rapporto con lÕesterno, in particolare con la famiglia
dei ristretti, e di svolgere lÕindagine socio-familiare utile alla redazione della relazione di sintesi
che conclude lÕosservazione della personalitˆ del condannato, al Þne della elaborazione del
programma di trattamento.
Altre importanti Þgure che operano allÕinterno del carcere per lo sviluppo del trattamento dei
soggetti ristretti sono lo psicologo, che cura lÕosservazione e il trattamento, lÕeducatore,
lÕassistente sociale, il sanitario e gli assistenti volontari.
Questi ultimi non sono dipendenti dellÕamministrazione penitenziaria e si occupano
dellÕassistenza e dellÕeducazione delle persone ristrette. Sono autorizzati a frequentare gli istituti
penitenziari per partecipare allÕopera rivolta al sostegno morale e al futuro reinserimento nella
vita sociale, ovvero a collaborare con il servizio sociale per lÕafÞdamento in prova, il regime di
semilibertˆ e la detenzione domiciliare.
Una Þgura che ha assunto particolare importanza per il trattamento dei detenuti stranieri • il
mediatore culturale, incaricato di contribuire al superamento delle difÞcoltˆ relazionali di natura
sia linguistica che culturale che spesso sono di ostacolo alla fruizione dei percorsi riabilitativi

LÕosservazione della personalitˆ e il programma di trattamento


- LÕart. 13 della Legge sullÕordinamento penitenziario stabilisce il contenuto ÒprogrammaticoÓ
dellÕintervento rieducativo nella prospettiva di promuovere e stimolare la responsabilizzazione del
soggetto, incentivarne le attitudini e valorizzarne le eventuali competenze.
In questa prospettiva sussiste una vera e propria obbligazione di mezzi che la legge conÞgura in
capo allÕamministrazione penitenziaria, che ha lo scopo di valorizzare il singolo e indirizzarlo verso
il miglior trattamento e percorso. Lo scopo • quello di creare un progetto trattamentale quanto pi•
possibile ricco, articolato e individualizzato, avuto riguardo:
¥ da una parte, al patrimonio di abilitˆ che il soggetto porta con sŽ Þn dallÕinizio dellÕesecuzione
¥ dallÕaltra, il riconoscimento e la valorizzazione delle speciÞche competenze giˆ eventualmente
acquisite dalla persona detenuta o internata
- Al Þne di individualizzare il trattamento tenendo conto delle effettive necessitˆ del condannato o
dellÕinternato, • previsto che nei suoi confronti sia effettuata lÕosservazione scientiÞca della
personalitˆ, volta alla rilevazione delle cause che hanno condotto la persona a commettere il reato,
anche relative alle eventuali carenze psicoÞsiche.
Non compare pi• nellÕattuale versione dellÕart. 13 il riferimento al Òdisadattamento socialeÓ alla
luce delle evidenze della moderna criminologia, che registra una molteplicitˆ di proÞli criminali
(white collars, criminalitˆ informatica ed economica), non necessariamente connotati da forme di
disadattamento sociale.
LÕosservazione della personalitˆ identiÞca gli elementi rilevanti al Þne della predisposizione di un
programma di trattamento, idoneo al superamento degli ostacoli di varia natura. Questo
programma, che viene redatto in calce alla relazione di sintesi (un compendio dei dati desunti
dallÕosservazione della personalitˆ), costituisce il risultato dellÕintervento osservativo e
trattamentale intrapreso in favore della persona detenuta o internata e rappresenta anche il concreto
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piano operativo destinato a svilupparsi nellÕambito del percorso esecutivo, che dovrebbe prevedere
esperienze extra-murarie (permessi premio e lavoro allÕesterno) e esecuzione penale esterna
(ammissione alle misure alternative alla detenzione).
La prima stesura del programma di trattamento deve avvenire non oltre 6 mesi dallÕinizio della
detenzione. Tale programma viene sottoposto allÕapprovazione del magistrato di sorveglianza, che
se ravvisa elementi che costituiscono una violazione dei diritti del condannato, lo restituisce ai Þni
di una nuova formulazione. Il programma • inoltre periodicamente aggiornato nel corso della
detenzione.
Il documento di sintesi con il programma di trattamento e i suoi successivi aggiornamenti sono
inseriti nella cartella personale del detenuto, che segue lÕinteressato in tutti i suoi eventuali
trasferimenti e contiene anche i dati giudiziari, biograÞci e sanitari del detenuto, lÕannotazione degli
sviluppi del trattamento praticato nei suoi confronti e i relativi esiti.
- La riforma Cartabia ha previsto che, nei confronti dei condannati e degli internati, sia favorito, nel
corso del trattamento penitenziario, il ricorso a programmi di giustizia riparativa, promuovendo
cos“, accanto alla rißessione sul reato commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte (in
particolare per la vittima), e sulle possibili azioni di riparazione, anche un percorso riparativo che,
pur non essendo necessario, costituisce un possibile completamento del trattamento.
La partecipazione al programma di giustizia riparativa e lÕeventuale esito positivo sono valutati in
favore dellÕinteressato ai Þni dellÕassegnazione al lavoro allÕesterno, della concessione dei permessi
premio e delle misure alternative alla detenzione e della liberazione condizionale. Non si tiene
conto, invece, della mancata effettuazione del programma, della sua interruzione o del mancato
raggiungimento di un esito riparativo.

LA VITA DETENTIVA
- Giˆ nel regolamento carcerario del 1931 il trattamento penitenziario prevedeva disposizioni per
disciplinare la vita quotidiana del detenuto. Solo con la riforma penitenziaria del 1975, per˜, i
principi di umanizzazione della condizione carceraria e del rispetto della dignitˆ della persona
diventano le coordinate in materia di vita detentiva.
- Ammissione in istituto
La persona fa ingresso in carcere o perchŽ inizia la pena o perchŽ viene trasferita da un altro istituto.
Prima cosa che viene fatta • una visita medica, per valutare eventuali malattie e patologie psico-
Þsiche ed eventuali cure.
Servizio Ònuovi giuntiÓ = presidio psicologico consistente in un colloquio di primo ingresso da
effettuare dopo la prima visita medica, diretto ad accertare se e con quali cautele possa affrontare
adeguatamente lo stato di restrizione.
AllÕinizio dellÕesecuzione della pena o della misura di sicurezza, i detenuti sono assegnati
provvisoriamente allÕistituto destinato allÕesecuzione del tipo di pena o misura di sicurezza cui sono
stati sottoposti, possibilmente situato nellÕambito della regione di residenza.
Distinzione e separazione dei detenuti in base a:
¥ sesso
¥ etˆ
¥ tipo di condanna
¥ status giudiziario e penitenziario
- Vestiario
Le disposizioni in tema di vestiario prevedono la possibilitˆ di fare uso di abiti e di corredo di
proprietˆ personale, con possibilitˆ di limitazioni, per prevenire il rischio di gesti autolesionistici o
anticonservativi (es. possono essere sostituiti lacci o cinture).
Il possesso di capi di abbigliamento ÒÞrmatiÓ • limitato, ad evitare che ci˜ il possesso di capi di
lusso possa tradursi in una forma di affermazione del prestigio criminale.

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Sono ammessi anche oggetti personali, a condizione che abbiano un particolare valore morale
affettivo (es. fede nuziale, catenina con simboli religiosi) sempre che ci˜ sia compatibile con lo
svolgimento della vita dellÕistituto.
- Bagni e servizi igienici
LÕamministrazione penitenziaria deve assicurare lÕuso adeguato e sufÞciente di lavabi e di bagni o
docce, nonchŽ degli altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona, garantendo lÕuso
autonomo e riservato dei servizi, con collocazione del locale adibito a tale scopo in ambiente
separato dalla camera di detenzione. Servizi igienici e docce devono inoltre essere dotati di acqua
calda e fredda.
A ciascuno detenuto sono forniti gli oggetti e gli strumenti necessari per la pulizia della persona e
della propria camera.
Sono previsti anche servizi per la cura della persona: barbiere per gli uomini e parrucchiere per le
donne.
- Alimentazione
I detenuti hanno diritto ad una sana e regolare alimentazione, che sia adeguata allÕetˆ, al sesso, allo
stato di salute, allÕattivitˆ lavorativa svolta, alla stagione e al clima.
La quantitˆ e la qualitˆ del vitto giornaliero sono determinate da apposte tabelle (Òtabelle
vittuarieÓ), approvate con decreto ministeriale. Il controllo sulla quantitˆ e qualitˆ del vitto •
effettuato da una rappresentanza di tre detenuti estratti mensilmente a sorte e da un delegato del
direttore.
I detenuti possono, comunque, acquistare a proprie spese generi alimentari presso spacci interni
gestiti direttamente dallÕamministrazione penitenziaria o afÞdati ad imprese private. Possono anche
ricevere dallÕesterno generi alimentare in misura tale da non eccedere il fabbisogno settimanale.
Per quanto possibile, il vitto deve tenere conto delle prescrizioni proprie delle diverse fedi religiose.
In ogni istituto • presente una cucina dove vengono preparati i pasti. Normalmente i detenuti
consumano i cibi nelle camere di detenzione dopo averli scaldati con i fornelletti in dotazione. Tale
prassi (rischiosa per lÕincolumitˆ dei detenuti) dovrebbe essere superata con lÕistituzione di locali
comuni ove consumare i pasti, prevista con la riforma penitenziaria del 2018.
- Permanenza allÕaperto
I detenuti e gli internati che non svolgono lavoro allÕaperto hanno diritto alla permanenza in spazi
aperti per minimo 4 ore al giorno (salvo che per motivi disciplinari, ambientali o altro si ritenga di
dover limitare tale diritto a 2 ore).
Gli spazi allÕaperto devono offrire la possibilitˆ di protezione dagli agenti atmosferici.
LÕutilizzo degli spazi allÕaperto assicura non solo il benessere Þsico e mentale dei detenuti, ma
rappresenta anche un importante momento di socialitˆ, di realizzazione del programma
trattamentale del detenuto e un efÞcace strumento per lÕosservazione scientiÞca da parte del
personale dellÕarea educativa.

LA TUTELA DELLA SALUTE IN CARCERE


- Il diritto alla salute, diritto fondamentale dellÕindividuo contenuto nellÕart. 32 Cost., • oggetto di
particolare tutela anche da parte della Cedu. Il giudice europeo ha infatti sancito che la persona
detenuta o internata continua a godere dei diritti fondamentali, salvo solo quelli esclusi o limitati
dalla restrizione della libertˆ, e che la carenza di cure mediche per i detenuti malati pu˜ costituire un
trattamento inumano e degradante.
La Corte di Strasburgo, in particolare, si • soffermata sui proÞli di violazione dellÕart. 3 Cedu, il cui
disposto prevede che il diritto alle cure non si estende Þno al dovere di assicurare lÕaccesso ai
migliori istituti di cura esterni, dovendosi tenere presenti le esigenze della carcerazione. Inoltre, •
previsto che, se le condizioni di salute del detenuto sono incompatibili con la prolungata
permanenza presso lÕistituto penitenziario, occorre valutare la possibilitˆ di ammetterlo a misure
esterne al carcere.

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- Sul piano del diritto interno, il passaggio dalla medicina penitenziaria, gestita direttamente dai
responsabili delle strutture carcerarie, allÕassistenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale
(d.p.c.m. 1¡ aprile 2008), non ha tuttavia consentito di superare le gravi carenze nellÕofferta dei
trattamenti sanitari. Basti pensare alla disomogeneitˆ delle prestazioni di prevenzione, diagnosi e
cura, nonchŽ allÕinefÞciente programmazione della spesa sanitaria, connotata da un insufÞciente
stanziamento di risorse umane e Þnanziarie. Del tutto insufÞcienti sono inoltre le risorse e gli
strumenti destinati alle peculiari esigenze dei sempre pi• numerosi detenuti affetti da disagio
psichico.
Tutte queste criticitˆ hanno imposto una riforma in materia di sanitˆ penitenziaria, ad opera del
d.lgs. 123/2018, che ha modiÞcato lÕart. 11 con lÕobiettivo di migliorare il livello di assistenza
sanitaria relativa alla popolazione detenuta.
Spetta al SSN lÕorganizzazione di un servizio medico e di un servizi farmaceutico rispondente alle
effettive necessitˆ dei soggetti detenuti e internati negli istituti penitenziari e negli istituti penali per
minori nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria. A Þni conoscitivi, ogni
Azienda sanitaria locale dovrˆ adottare una Carta dei servizi, da portare a conoscenza dei detenuti e
degli internati con le pi• idonee forme di pubblicitˆ.
LÕart. 11 Þssa i principi guida sullÕassistenza sanitaria in ambito penitenziario e stabilisce i doveri
del medico del servizio sanitario, il quale garantisce quotidianamente la visita dei detenuti ammalati
e di coloro che richiedono particolari indagini e cure specialistiche. Effettua la sorveglianza
sanitaria della struttura penitenziaria e controlla periodicamente lÕidoneitˆ dei soggetti ai lavori cui
sono addetti.
La riforma del 2018 valorizza il principio di continuitˆ terapeutica in favore dei detenuti con gli
eventuali trattamenti in corso allÕesterno o allÕinterno dellÕistituto da cui siano stati trasferiti.
Nel caso di diagnosi, anche sospetta, di malattia contagiosa, sono messi in atto tutti gli interventi di
controllo per evitare la diffusione della patologia, compreso lÕisolamento della persona.
- I detenuti dipendenti da sostanza stupefacenti o alcol che presentino anche infermitˆ mentali (c.d.
Òdoppia diagnosiÓ) sono seguiti in collaborazione dal servizio per le tossicodipendenze e dal
servizio psichiatrico dellÕazienda sanitaria locale.
- Particolari disposizioni sono previste per le detenute: negli istituti e nelle sezioni riservate alle
donne sono in funzione servizi speciali per lÕassistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere ed •
prevista, inoltre, la possibilitˆ che le detenute possano tenere con sŽ la prole Þno al compimento del
terzo anno di etˆ.
- AllÕingresso in istituto, il detenuto e lÕinternato sono sottoposti alla visita di primo ingresso, una
visita medica generale con cui ricevono dal medico informazioni complete sul proprio stato di
salute. Il sanitario annota nella cartella clinica del soggetto ogni informazione relativa a segni o
indicazioni che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti e ne dˆ
comunicazione al direttore dellÕistituto e al magistrato di sorveglianza.
- é prevista lÕipotesi di un trasferimento temporaneo dei detenuti presso luoghi di cura esterni nel
caso in cui i trattamenti sanitari non possano essere garantiti allÕinterno della struttura carceraria.
LÕautorizzazione al ricovero dei detenuti in luogo esterno spetta al giudice che procede, se si tratta
di imputati (al gip prima dellÕesercizio dellÕazione penale) e al magistrato di sorveglianza, se si
tratta di condannati.
LÕautoritˆ giudiziaria competente pu˜ disporre, quando non vi sia il pericolo di fuga, che i detenuti e
gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura non siano sottoposti a
piantonamento durante la degenza, salvo che questo sia ritenuto necessario per la tutela
dellÕincolumitˆ personale loro o altrui.
Nel caso in cui il detenuto si allontani ingiustiÞcatamente dal luogo esterno di cura incorre nel reato
allÕart. 385 c.p. (evasione - punita con la reclusione da 1 a 3 anni).
- é prevista la facoltˆ di essere visitati a proprie spese da professionisti di Þducia esterni
allÕamministrazione. Tale possibilitˆ comprende non solo visite, ma anche trattamenti medici,
chirurgici e terapeutici. é necessaria unÕautorizzazione del giudice che procede prima della sentenza
di primo grado, o del direttore dellÕistituto in tutti gli altri casi.
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- Sono previsti speciÞci controlli amministrativi sul livello del servizio erogato in ambito
penitenziario, svolti dal direttore generale dellÕazienda unitˆ sanitaria territorialmente competente,
che • tenuto a visitare almeno due volte allÕanno lÕistituto allo scopo di accertare le condizioni
igieniche e sanitarie degli istituti e lÕadeguatezza delle misure di proÞlassi contro le malattie
infettive.

IL REGOLAMENTO INTERNO
- Il regolamento interno di ciascun istituto penitenziario si colloca, nella gerarchia delle fonti che
regolano la vita penitenziaria, nellÕambito della normativa di terzo livello, in cui trovano attuazione
i precetti posti dalla legge di ordinamento penitenziario e nel relativo regolamento di esecuzione.
- Il regolamento interno disciplina le modalitˆ di trattamento da seguire in ciascun istituto e
pianiÞca le attivitˆ quotidiane dei detenuti, nonchŽ le modalitˆ di svolgimento dei servizi.
LÕimportanza di tale atto • data:
¥ dallÕessere espressione dellÕautonomia organizzativa dellÕamministrazione penitenziaria
¥ dalla stretta inerenza alla realizzazione dellÕobiettivo di rieducazione dei condannati (art. 27 co. 3
Cost)
Per tale ragione il regolamento interno deve attuare i principi che governano il trattamento
rieducativo, in primo luogo ponendo le condizione per lÕeffettiva individualizzazione del
trattamento, pur nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale tra tutti i detenuti. Il
regolamento costituisce inoltre un presidio di garanzia della necessaria rispondenza del trattamento
alle speciÞche esigenze delle singole strutture carcerarie e delle persone recluse, evitando che una
eccessiva discrezionalitˆ organizzativa dellÕamministrazione penitenziaria possa compromettere
lÕuniformitˆ del livello dellÕofferta trattamentale e il rispetto dei diritti dei destinatari della stessa.

Iter di approvazione
- LÕadozione del regolamento interno segue una procedura complessa.
Esso viene formulato da una commissione interdisciplinare composta da:
magistrato di sorveglianza, che la presiede
direttore dellÕistituto
medico
cappellano
preposto alle attivitˆ lavorative
educatore
assistente sociale
Una volta approvato, lo schema di regolamento • trasmesso al Provveditore regionale
dellÕamministrazione penitenziaria territorialmente competente e da questÕultimo inoltrato al Capo
del Dipartimento dellÕamministrazione penitenziaria (DAP) per la sua deÞnitiva approvazione.
- Terminato lÕiter di approvazione, il regolamento interno deve essere portato a conoscenza dei
detenuti e degli internati, cos“ che essi siano a conoscenza dei loro diritti, dei loro doveri e pi• in
generale delle regole della vita carceraria.
In ogni struttura carceraria deve essere assicurata la disponibilitˆ, presso la biblioteca o altro locale
comunque funzionale allo scopo, dei testi normativi fondamentali, ivi compreso proprio il
regolamento interno. Inoltre, al momento dellÕingresso in istituto, ad ogni detenuto deve essere
consegnata la Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati ed un estratto del
regolamento dellÕistituto.

Contenuto
Il regolamento disciplina una molteplicitˆ di materie che possono ricondursi al trattamento e al
regime penitenziario, inteso questÕultimo come complesso di norme che scandiscono la vita
quotidiana di un istituto di pena, ma anche come strumento di gestione in relazione al trattamento
rieducativo.
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Nel regolamento interno sono disciplinati:


¥ gli orari delle attivitˆ (tra cui la permanenza allÕaperto e nei locali comuni)
¥ le modalitˆ inerenti al possesso, allÕimpiego, allÕacquisto e alla ricezione di oggetti di corredo, di
generi alimentari e di conforto
¥ lÕutilizzo di fornelli personali per la preparazione di cibi e bevande
¥ il metodo di sorteggio delle rappresentanze dei detenuti per la loro partecipazione alle
commissioni di cui agli artt. 9 (controllo alimentazione), 12 (gestione biblioteca), 20 (lavoro) e 27
(attivitˆ culturali e ricreative)

MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA QUALE GARANTE DEI DIRITTI


FONDAMENTALI
- La persona detenuta o internata conserva la titolaritˆ e la facoltˆ di esercitare quei diritti che non
contrastino con le esigenze organizzative connesse alla sicurezza e alla ordinaria gestione della vita
detentiva. Il trattamento somministrato ai soggetti detenuti non pu˜ quindi incidere sui diritti
inviolabili, riconosciuti ad ogni persona in quanto tale, indipendente dal fatto che sia libera o
detenuta. Per questo il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanitˆ ed assicurare il
rispetto della dignitˆ della persona.
- I condannati e gli internati, inoltre, hanno diritto a ricevere il riconoscimento dellÕesito positivo del
trattamento rieducativo attraverso una riduzione della pena da espiare mediante la concessione della
liberazione anticipata, dellÕaccesso a misure alternative e della liberazione condizionale.
Il diritto al trattamento costituisce pertanto patrimonio di ogni condannato e deve trovare un idoneo
presidio e tutela di natura giurisdizionale (art. 4 che attribuisce ai detenuti il diritto ad esercitare
personalmente i diritti che discendono dalla legge sullÕordinamento penitenziario; artt. 35-bis e 69
che offrono presidi di natura giurisdizionale).
- In aggiunta a tali presidi, lÕart. 69 co. 1 e 2 attribuisce al magistrato di sorveglianza funzioni di
vigilanza, concernenti gli aspetti organizzativi e gestionali degli istituti penitenziari, nonchŽ le
eventuali criticitˆ nella situazione dei singoli soggetti.
A tali funzioni di vigilanza • connessa la facoltˆ del magistrato di visitare, senza preavviso o
autorizzazione, gli istituti penitenziari e di acquisire informazioni sui servizi dellÕistituto e sul
trattamento.
AllÕesito di tale attivitˆ, il magistrato pu˜ segnalare alla direzione del carcere (e anche al Ministro
della giustizia), con apposita relazione, le problematiche riscontrate, invitando le autoritˆ preposte a
porvi rimedio. Stesso iter nel caso di doglianza ricevute direttamente dai detenuti attraverso lo
strumento del reclamo, orale o scritto. Si tratta comunque in entrambe le ipotesi di un potere di
mera segnalazione non correlata a poteri coercitivi.
AfÞanca la vigilanza del magistrato di sorveglianza quella del Garante nazionale dei diritti delle
persone detenute o private della libertˆ personale e degli eventuali Garanti locali, istituiti dagli enti
locali territoriali.
Il magistrato di sorveglianza, poi, approva il programma di trattamento a garanzia della conformitˆ
del medesimo con i diritti fondamentali del detenuto. Tale supervisione si esercita durante lÕintero
percorso penitenziario del condannato. Qualora. infatti, il magistrato di sorveglianza ne ravvisi la
necessitˆ, impartisce disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati.
Qualora nel trattamento sia proposto un programma di giustizia riparativa, il magistrato di
sorveglianza approverˆ anche lÕesecuzione del medesimo.

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GLI AUTOMATISMI OSTATIVI E LA COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA


- In linea generale, la disciplina dellÕordinamento penitenziario in materia di acceso ai beneÞci
penitenziari (permessi premio, lavoro allÕesterno, misure alternative alla detenzione) e di fruizione
delle principali facoltˆ inerenti al trattamento (colloqui visivi e telefonate allÕesterno) si applica
senza distinzione a tutti i detenuti e internati.
Per alcuni di essi per˜ vige un regime penitenziario pi• severo. Si tratta del doppio binario
penitenziario (artt. 4 bis, 58 ter e 58 quater), che prevede una serie di automatismi ostativi alla
concessione dei beneÞci penitenziari imponendo anche modalitˆ pi• stringenti nel trattamento
intramurario.
Tale disciplina, basata sul titolo di reato commesso, ha lÕobiettivo di salvaguardare le esigenze di
ordine pubblico, sicurezza e prevenzione della commissione di reati incidendo, tuttavia, sugli
strumenti che invece mirano alla rieducazioni, quali appunto le misure extramurarie.
- Sotto il proÞlo soggettivo, la disciplina restrittiva si applica nei confronti di:
¥ soggetti indagati o imputati detenuti a titolo cautelare
¥ internati per lÕesecuzione di una misura di sicurezza detentiva
¥ condannanti in esecuzione di pena a titolo deÞnitivo
Non si applica invece nei confronti di imputati minorenni.
- Sotto il proÞlo oggettivo, le preclusioni riguardano:
lÕammissione al lavoro allÕesterno
i permessi premio
le misure alternative alla detenzione disciplinate al Capo VI della legge penitenziaria
la liberazione condizionale
lÕesecuzione della pena presso il domicilio
la sospensione condizionata allÕesecuzione della pena detentiva
Sono invece esclusi:
la liberazione anticipata
i permessi di necessitˆ
il rinvio dellÕesecuzione della pena
le misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da sindrome da
immunodeÞcienza
la detenzione domiciliare ordinaria per la tutela della prole minore di 10 anni e lÕassistenza
allÕesterno del Þglio minore (salvaguardia della prole di tenera etˆ)

Il fulcro del doppio binario • costituito dallÕart. 4 bis, introdotto dalla legge 203/1991. Questa
disposizione • stata, nel corso degli anni, ripetutamente modiÞcata e integrata dal legislatore.
LÕambito di applicazione dellÕart. 4 bis si • via via sempre pi• espanso comprendendo:
¥ reati a carattere sessuale
¥ sequestro di persona a scopo di estorsione
¥ associazione Þnalizzata al trafÞco di stupefacenti
¥ favoreggiamento dellÕimmigrazione clandestina
¥ alcuni delitti commessi a danno della pubblica amministrazione
¥ ecc
LÕattuale meccanismo di preclusioni contenuto nellÕart. 4 bis distingue tre fasce di delitti,
raggruppati secondo un ordine decrescente di pericolositˆ sociale. Si tratta di un Òsistema
multilivelloÓ.

1. Prima fascia
Comprende i delitti pi• gravi, nei confronti dei quali la concessione dei beneÞci previsti per i
condannati a reati comuni • subordinata alla positiva collaborazione con la giustizia, ai sensi
dellÕart. 58 ter, intervenuta anche dopo la condanna.
Per poter usufruire dei beneÞci • necessario collaborare con la giustizia.

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2. Seconda fascia
In questo caso, lÕapplicazione dei beneÞci penitenziari non • necessariamente condizionata
allÕaccertamento della collaborazione con la giustizia, ma • subordinata allÕinsussistenza di
elementi da cui si possa desumere lÕesistenza di collegamenti attuali del detenuto o dellÕinternato
con la criminalitˆ organizzata, terroristica o eversiva.
Su tale assetto • intervenuta la Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo lÕart. 4 bis co. 1,
nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti ivi indicati, possano essere concessi
permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purchŽ siano stati acquisiti
elementi tali da escludere sia lÕattualitˆ di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, sia il pericolo
del ripristino di tali collegamenti.
Con questa pronuncia, la Corte ha ritenuto che il meccanismo introdotto dallÕart. 4 bis contrasta con
gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost., sia perchŽ allÕassolutezza della presunzione sono sottese esigenze
investigative, di politica criminale e di sicurezza collettiva che incidono sullo svolgimento
dellÕesecuzione della pena, con conseguenze afßittive ulteriori a carico del detenuto, sia perchŽ tale
assolutezza impedisce di valutare il percorso carcerario del condannato, in contrasto con la funzione
rieducativa della pena.
LÕonere probatorio che incombe sullÕinteressato • particolarmente gravoso: egli deve fornire
elementi non solo per dimostrare la non attualitˆ di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, ma
anche il pericolo di un loro ripristino.
La Corte costituzionale, inoltre, con unÕimportante sentenza di poco successiva ha affermato che le
norme penitenziare che disciplinano le misure alternative alla detenzione hanno natura sostanziale e
soggiacciono quindi al principio di legalitˆ di cui allÕart. 25 co. 2 Cost., e al conseguente divieto di
applicazione retroattiva di tutte le modiÞche peggiorative.
Le preclusioni inserite nel co. 1 dellÕart. 4 bis possono essere neutralizzate dal condannato che
collabori con la giustizia. La condotta collaborativa • accertata con un procedimento di fronte al
tribunale di sorveglianza.
Il positivo accertamento dellÕavvenuta collaborazione con la giustizia ha un duplice effetto:
¥ rimuove la preclusione assoluta alla concessione dei beneÞci penitenziari
¥ sterilizza le pi• alte soglie di pena che occorre avere espiato per poter accedere a tali misure
esterne
LÕeffetto della collaborazione • quindi quello di riportare i condannati per i Òdelitti ostativiÓ indicati
dallÕart. 4 bis, nellÕambito della disciplina ordinaria, sottraendoli alle preclusioni imposte dal doppio
binario.
Qualora il condannato non possa conseguire lÕattestato di positiva collaborazione con la giustizia, •
comunque possibile lÕaccertamento da parte del tribunale di sorveglianza della collaborazione:
inesigibile Ñ> per la limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso accertata nella
sentenza di condanna
impossibile Ñ> per lÕintegrale accertamento dei fatti e delle responsabilitˆ, operato con la
sentenza irrevocabile
oggettivamente irrilevante Ñ> nel caso in cui lÕapporto collaborativo non abbia avuto alcuna
utilitˆ ai Þni dellÕaccertamento dei fatti o dellÕindividuazione dei colpevoli e sempre che sia stata
applicata al condannato taluna delle circostanze attenuanti
ÉpurchŽ siano stati acquisiti elementi tali da escludere collegamenti con la criminalitˆ organizzata,
terroristica o eversiva.

3. Terza fascia
Appartengono alla terza fascia i delitti contro la libertˆ sessuale.
In questo caso, la concessione dei beneÞci non • subordinata all'accertamento della collaborazione
con la giustizia, ma agli esiti dellÕosservazione scientiÞca della personalitˆ condotta
collegialmente, per almeno un anno in istituto, anche con la partecipazione dei professionisti esperti
in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.

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Sempre ai Þni della concessione dei beneÞci ai detenuti e internati per alcuni delitti di matrice
sessuale, se commessi in danno di soggetti minorenni, il giudice (monocratico o collegiale) di
sorveglianza valuta, inoltre, la partecipazione al programma di riabilitazione speciÞca, con Þnalitˆ
di recupero e di sostegno.

- Qualora il soggetto si trovi in espiazione di un cumulo di pene concorrenti, ovvero nel caso in cui
il titolo esecutivo comprenda una condanna per pi• fatti-reato, solo alcuni aventi natura preclusiva, i
divieti imposti dalla disciplina sopra esaminata operano Þno a quando lÕinteressato si trovi in
esecuzione della pena relativa al delitto ostativo.
Ci˜ in base al principio dello scioglimento del cumulo di pene materiale o giuridico Ñ> che
impone lo scorporo della pena inßitta per il delitto ostativo dallÕammontare complessivo da
eseguire, con imputazione ad essa della quota giˆ espiata (anche a titolo cautelare) e della
liberazione anticipata ottenuta.
- Tempera il rigore della disciplina ostativa il principio di non regressione trattamentale, secondo il
quale ai detenuti giˆ ammessi a percorsi esecutivi esterni (es. permessi premio) alla data di entrata
in vigore del provvedimento che introduce una nuova preclusione, non • impedita lÕulteriore
fruizione di questi beneÞci anche in assenza della positiva collaborazione con la giustizia o delle
ipotesi ÒsuccedaneeÓ di cui allÕart. 4 bis co. 1 bis, purchŽ sia esclusa la sussistenza di collegamenti
attuali con la criminalitˆ organizzata.
La Consulta ha inoltre affermato che anche i condannati che avessero giˆ raggiunto, prima
dellÕintroduzione dei divieti in esame, un grado di rieducazione adeguato al beneÞcio richiesto e per
i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalitˆ organizzata,
possono accedere ai beneÞci penitenziari anche se non ne avessero giˆ fruito in precedenza.
- Il sistema del doppio binario •, inÞne, completato dallÕart. 58 quater, che contempla una serie
eterogenea di preclusioni alla concessione dei beneÞci penitenziari, riguardanti:
il condannato che sia stato riconosciuto colpevole di evasione
il condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa
il condannato per taluno dei delitti ostativi nei cui confronti si procede o • pronunciata condanna
per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni,
commesso in stato di evasione o nel corso della fruizione del lavoro allÕesterno, di un permesso
premio o di una misura alternativa alla detenzione
LÕart. 58 quater co. 4 prevedeva anche una severa preclusione riguardante coloro che, condannati
per i delitti di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289 bis c.p.) e di
sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), avessero cagionato la morte del
sequestrato. Essi potevano fruire dei beneÞci soltanto dopo aver espiato almeno due terzi della pena
(o 26 anni, in caso di ergastolo). Con due recenti pronunce, la Corte costituzionale ha dichiarato
illegittima questa disposizione rimuovendo la preclusione, giudicata contrastante con lÕart. 27 co. 3
Cost.
LÕultimo comma dellÕart. 58 quater stabilisce inoltre che al condannato al quale sia stata applicata la
recidiva prevista dallÕart. 99 co. 4 c.p. (recidivo reiterato) lÕafÞdamento in prova ordinario, la
detenzione domiciliare e la semilibertˆ non possono essere concessi pi• di una volta.

Il superamento delle preclusioni ostative assolute in assenza di collaborazione con la giustizia


- LÕinquadramento operato nel precedente paragrafo concerne lÕassetto normativo anteriore
allÕentrata in vigore del d.l. 162/2022 conv. l.199/2022, che ha modiÞcato notevolmente il testo
dellÕart. 4 bis, imponendo, quindi, un parziale aggiornamento della disciplina.
Nel 2019 la Corte edu ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti dellÕItalia per violazione
dellÕart. 3 Cedu; e inoltre, nel 2020, la Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimitˆ
costituzionale degli artt. 4 bis co. 1 e 58 ter, nonchŽ dellÕart. 2 d.l. 152/1991 conv. 1. 203/1991, in
riferimento agli artt. 3, 27 co. 3 e 117 Cost., ritenendo le disposizioni impugnate incostituzionali
nella parte in cui escludono che il condannato allÕergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle
condizioni di cui allÕart. 416 bis c.p. (associazione di tipo maÞoso) o al Þne di agevolare lÕattivitˆ
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delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere
ammesso alla liberazione condizionale.
Il d.1. 162/2022 conv. l. 199/2022 ha introdotto una complessa disciplina che, pur confermando
lÕimpianto di fondo del doppio binario penitenziario, sostituisce alla presunzione assoluta di
incompatibilitˆ dei condannati per taluno dei delitti indicati nel co. 1 dell'art. 4 bis (Òdelitti ostativiÓ)
un sistema per accedere ai beneÞci anche in assenza di positiva collaborazione con la giustizia,
fondato su stringenti condizioni e presupposti che sta al condannato allegare e puntualmente
documentare.
- Il decreto-legge interviene sulla disciplina dello Òscioglimento del cumuloÓ effettuato dal giudice,
al Þne di veriÞcare se il condannato o lÕinternato abbia giˆ espiato la parte di pena riferibile alla
condanna per taluno dei delitti ostativi indicati nellÕart. 4 bis e possa quindi accedere ai beneÞci
penitenziari secondo le regole ordinarie. Il regime di ostativitˆ si applica, comunque, in caso di
esecuzione di pene inßitte anche per delitti diversi da quelli indicati nel co. 1 della disposizione, in
relazione ai quali il giudice della cognizione o dellÕesecuzione abbia accertato che sono stati
commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per
conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto, il proÞtto, o il prezzo o lÕimpunitˆ di
detti reati. Tale disciplina non si applica quando il delitto diverso da quelli indicati nellÕart. 4-bis co.
1 • stato commesso prima dell'entrata in vigore del d.1. 162/2022.
- Il d.I. 162/2022 sostituisce, inoltre, integralmente il co. 1 bis dellÕart. 4 bis, introducendo una
nuova disciplina per la concessione dei beneÞci penitenziari e della liberazione condizionale in
assenza di collaborazione positiva con la giustizia ai sensi dellÕart. 58 ter.
Il nuovo assetto articola le condizioni di accesso ai beneÞci penitenziari sulla base del titolo di reato
per il quale • stata applicata la condanna in espiazione.

Primo gruppo di reati Ñ> comprende una serie di gravi delitti, caratterizzati:
dalla Þnalitˆ di terrorismo, anche internazionale, di eversione dellÕordine democratico
dalla connotazione maÞosa o dall'avere agevolato le associazioni maÞose o essersi avvalsi delle
medesime
da altri delitti contraddistinti da una struttura organizzativa criminale che li rende espressione di
una pericolositˆ sociale particolarmente elevata (es. associazione a delinquere Þnalizzata al
trafÞco di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi o la tratta di esseri umani)
I condannati per tali delitti, possono accedere ai beneÞci anche in assenza di collaborazione positiva
con la giustizia purchŽ assolvano a oneri dimostrativi particolarmente severi. In particolare, essi
devono:
a) dimostrare lÕavvenuto adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione
pecuniaria conseguenti alla condanna o lÕassoluta impossibilitˆ di tale adempimento
b) allegare elementi speciÞci, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla
partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione
dallÕorganizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano sia di escludere
lÕattualitˆ di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto
nel quale il reato • stato commesso, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, tenuto conto
delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della
mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra
informazione disponibile
Al positivo riscontro di tali elementi, al Þne della concessione dei beneÞci, il giudice accerta, anche,
la sussistenza di iniziative dellÕinteressato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in
quelle della giustizia riparativa.

Secondo gruppo di reati Ñ> sono connotati da un elevato coefÞciente di gravitˆ e allarme sociale,
ma non dalla matrice maÞosa o terroristica (es. reati di pedopornograÞa, prostituzione minorile,
violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorsione).

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Per questi reati il nuovo co. 1 bis.1 dellÕart. 4 bis stabilisce che i beneÞci possono essere concessi,
anche in assenza di positiva collaborazione con la giustizia, purchŽ gli interessati:
a) dimostrino lÕadempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria
conseguenti alla condanna o lÕassoluta impossibilitˆ di tale adempimento
b) alleghino elementi speciÞci, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla
partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere lÕattualitˆ (ma
non il pericolo di ripristino) di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel
quale il reato • stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle
ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica
della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile
Anche in queste ipotesi, il giudice di sorveglianza (sia magistrato che tribunale di sorveglianza),
accerta, anche, la sussistenza di iniziative dellÕinteressato a favore delle vittime, tanto nelle forme
risarcitorie quanto in quelle della giustizia riparativa.
In questo secondo gruppo non compaiono pi• i delitti contro la pubblica amministrazione.
- Relativamente alla disciplina della collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante, essa resta
applicabile con riguardo alle istanze volte alla concessione dei beneÞci penitenziari indicati nel co.
1 dellÕart. 4 bis (permessi premio, lavoro allÕesterno, misure alternative e liberazione condizionale)
in favore dei condannati e degli internati che abbiano commesso taluno dei delitti previsti dal co. 1¡
dellÕart. 4-bis prima della data di entrata in vigore del d.l.
162/2022.
- Sul versante processuale, vengono introdotte alcune modiÞche alla disciplina del procedimento di
sorveglianza, qualora esso riguardi istanze di concessione dei beneÞci nei casi di cui ai co. 1 bis e 1
bis. 1.
In tali ipotesi il giudice di sorveglianza, prima di decidere sullÕistanza, deve chiedere il parere del
pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di
condanne per i delitti indicati nell'art. 51 co. 3 bis e 3 quater c.p.p., del Procuratore distrettuale
individuato in base al medesimo criterio, e del Procuratore nazionale antimaÞa.
Dovranno, inoltre, essere acquisite informazioni presso la direzione dellÕistituto ove lÕistante •
detenuto o internato e disposti, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo
familiare e delle persone esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e
patrimoniali, al tenore di vita, alle attivitˆ economiche eventualmente svolte e alla pendenza o
deÞnitivitˆ di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Quando emergano indizi dellÕattuale sussistenza di collegamenti con la criminalitˆ organizzata,
terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato • stato commesso, ovvero del pericolo di
ripristino di tali collegamenti, scatta per lÕinteressato lÕonere di fornire, entro un congruo termine,
idonei elementi di prova contraria.
- Il co. 1 bis. 1.1 consente al giudice di sorveglianza di applicare discrezionalmente prescrizioni
volte a impedire il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, terroristica
o eversiva o che impediscano ai condannati di svolgere attivitˆ o di avere rapporti personali che
possono portare al compimento di altri reati o al ripristino di rapporti con la predetta criminalitˆ
organizzata, terroristica o eversiva. A tal Þne il giudice pu˜ disporre che il condannato non
soggiorni in uno o pi• comuni, o soggiorni in un comune determinato.

I LUOGHI DELLA PENA


Grande importanza • sempre stata attribuita ai luoghi della pena, infatti, nel corso della storia, si
sono succedute molteplici concezioni e idee circa le caratteristiche strutturali, logistiche e
organizzative degli ediÞci penitenziari.
Anche i pi• recenti istituti, realizzati con il ÒPiano carceriÓ del 2010, risentono di una concezione
prevalentemente securitaria Ñ> le strutture sono perlopi• costituite da blocchi unici, divisi per
padiglioni a pi• piani, spesso con lunghi corridoi e numerosi sbarramenti, con luoghi comuni
costituiti nella maggior parte dei casi dalle aree destinate ai ÒpasseggiÓ (privi di qualunque forma di
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attrezzatura) e con le sale per la socialitˆ allÕinterno delle sezioni. Le camere detentive, che per
legge (art. 6) dovrebbero essere utilizzate solo per il riposo notturno, per la carenza di altri spazi per
la vita comune, sono spesso utilizzate dai detenuti nel corso dellÕintera giornata.
Ai sensi dellÕart. 115 reg. esec., in ogni Regione deve esistere un sistema di istituti differenziato a
seconda delle varie tipologie detentive la cui ricettivitˆ complessiva soddisÞ il principio di
territorialitˆ dellÕesecuzione penale, cos“ che in ciascun territorio regionale lÕofferta penitenziaria
dovrebbe comprendere tutte le tipologie di strutture in grado di soddisfare le esigenze differenziate
per tipologia di detenuto.
In Italia sono presenti 188 istituti penitenziari per adulti:
¥ 50 case di reclusione
Ñ> con capienza regolamentare pari a 51.328
¥ 138 case circondariali

Le strutture
Case di reclusione Ñ> ospita i condannati allÕergastolo
Case circondariali Ñ> destinate in primis agli imputati, possono accogliere anche i condannati
che abbiano da espiare una pena, anche residua, non superiore a 5 anni
Case di lavoro Ñ> struttura dedicata allÕesecuzione di misure di sicurezza detentive. Le case
lavoro sono organizzate come sezioni autonome delle case di reclusione o circondariali
Colonie agricole Ñ> anchÕessa dedicata allÕesecuzione di misure di sicurezza, ne • presenta una
sola sul territorio nazionale (Gorgona)
Istituti penali per minorenni (IPM) Ñ> 16 attivi
Residenze per lÕesecuzione delle misure di sicurezza (REMS) Ñ> articolazioni residenziali
sociosanitarie, destinate ad accogliere i soggetti per i quali • stato accertato in via deÞnitiva lo
stato di infermitˆ al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolositˆ
sociale che impone lÕapplicazione di una misura di sicurezza detentiva.
Nel caso di infermitˆ psichica sopravvenuta alla condanna, il sistema, allÕart. 148 c.p., prevedeva
che il soggetto fosse ricoverato in una struttura manicomiale giudiziaria (ospedale psichiatrico
giudiziario).
Con il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e lÕistituzione delle REMS, si • posta la
questione della perdurante sopravvivenza della disposizione dellÕart. 148 c.p. (le REMS infatti
possono ospitare solo soggetti sottoposti a misura di sicurezza, non i condannati in via deÞnitiva),
che avrebbe dovuto risolversi con una riforma legislativa che, tuttavia, non si • ancora realizzata.
La giurisprudenza ritiene infatti lÕart. 148 implicitamente abrogato, cos“ che attualmente i
condannati nei cui confronti sopravviene unÕinfermitˆ psichica sono ristretti in carcere, nelle
sezioni psichiatriche previste dallÕart. 65, che per˜ mantengono le caratteristiche di luoghi
detentivi deputati allÕespiazione della pena e non sono quindi adeguati alla cura e al trattamento
dei pazienti psichiatrici sotto il proÞlo sanitario.
Istituti a custodia attenuta per madre (ICAM) Ñ> nel caso di donne con prole, lÕallocazione
dovrebbe sempre essere disposta in case-famiglia protette o in istituti a custodia attenuata per
madri (icam)

Organizzazione interna
- A partire dagli anni Õ90 si • affermata lÕidea di istituti o sezioni differenziati in ragione della
diversa tipologia di detenuti:
¥ circuito separato per i detenuti ristretti nel regime detentivo speciale del 41 bis
¥ sezioni dedicate allÕalta sicurezza per detenuti di criminalitˆ organizzata
¥ sezioni per autori di reati di tipo sessuale (si ritiene particolarmente infamante lÕaver compiuto un
reato sessuale)
¥ sezioni protette per gli ex appartenenti alle forze di polizia (non reati nello svolgimento delle loro
funzioni)
¥ sezioni per i parenti dei collaboratori di giustizia (Òsezioni ZÓ)
¥ sezioni per persone con patologie mentali
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¥ sezioni per semiliberi e per detenuti che lavorano allÕesterno


¥ istituti o sezioni femminili
¥ sezioni per i condannati ÒdimettendiÓ, ovvero i detenuti in Þne pena
- Il d.lgs. 124/2018 ha modiÞcato lÕart. 5 prevedendo nel istituti penitenziari locali e spazi
opportunamente attrezzati per lo svolgimento di attivitˆ lavorative, formative, culturali, sportive e
religiose.
LÕart. 6 disciplina le modalitˆ di gestione delle aree detentive, prevedendo la separazione tra gli
spazi della socialitˆ e quelli destinati al pernottamento.
La legge penitenziaria stabilisce che gli ambienti comuni devono essere ampi e ben illuminati e i
servizi igienici in buono stato di conservazione. Al proposito, le Regole penitenziarie europee
prevedono che i locali di detenzione debbano soddisfare le esigenze di rispetto della dignitˆ umana
e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di
sanitˆ e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche.
La normativa penitenziaria • per˜ scarna circa le caratteristiche delle camere di pernottamento,
preferibilmente destinate ad accogliere un solo detenuto. Il d.lgs. 2018 circoscrive tale preferenza al
solo condannato allÕergastolo e allÕimputato, salvo che questi non richiedano di essere assegnati a
camere a pi• posti e salvo che particolari situazioni dellÕistituto non lo consentano.
Per quanto riguarda le dimensioni delle camere, il DAP ha stabilito, in assenza di determinazioni
normative, che le camere devono rispondere a criteri di abitabilitˆ previsti per le civili abitazioni,
dunque avere una superÞcie minima di 9mq per persona, di 14mq per due persone e di ulteriori 5mq
per ogni persona in pi•.
Con la Sentenza Torreggiani, la Corte di Strasburgo ha condannato lÕItalia per il problema del
sovraffollamento carcerario, avendo accertato la sussistenza di una violazione prolungata dellÕart. 3
Cedu. La Corte edu ha inoltre stabilito che si • in presenza di una forte presunzione di violazione
dellÕart. 3, che tutela la dignitˆ umana, qualora il detenuto abbia a disposizione meno di 3mq di
spazio detentivo personale.
- Per adeguarsi alle prescrizioni della Corte edu, lÕItalia ha introdotto una serie di misure di natura
deßattiva e di meccanismi diretti a garantire una tutela effettiva in caso di lesione dei diritti delle
persone detenute e internate ed assicurare lÕindennizzo del pregiudizio sofferto in caso di
detenzione in condizioni tali da comportare la violazione dellÕart. 3 Cedu.
LÕamministrazione penitenziaria ha adottato un nuovo modello organizzativo (Òvigilanza
dinamicaÓ) che consiste in una particolare gestione ed utilizzazione degli spazi allÕinterno degli
istituti di pena, distinguendo la camera detentiva, destinata al pernottamento, e i luoghi ove vanno
concentrate le principali attivitˆ trattamentali (scuola, formazione, lavoro, tempo libero) e i servizi
(alimentazione, colloqui), cos“ creando le condizioni perchŽ il detenuto sia impegnato a trascorrere
fuori dalla cella la maggior parte della giornata.
Questo sistema mira a favorire il processo di conoscenza del detenuto da parte di tutti gli operatori
penitenziari chiamati a collaborare alle attivitˆ di osservazione della sua personalitˆ.
La riforma del 2018 prevede aree comuni che dovrebbero essere destinate ai detenuti per una
gestione condivisa della vita quotidiana nella sfera domestica.

LE SPESE PER LÕESECUZIONE DELLA PENA E LA REMISSIONE DEL DEBITO


- LÕart. 2 enuncia il principio per cui Òle spese per lÕesecuzione delle pene e le misure di sicurezza
detentive sono a carico dello StatoÓ, precisando poi che grava in capo ai condannati e agli internati
lÕobbligo di rimborsare le spese di mantenimento. Questa previsione si correla al diritto del detenuto
al lavoro e quindi alla retribuzione: lÕart. 145 c.p. prevede infatti la corresponsione al detenuto di
una remunerazione per il lavoro prestato e pone a carico del condannato le spese processuali e
quelle di mantenimento.
Spese processuali Ñ> sono da escludere quelle relative al procedimento di sorveglianza
Spese di mantenimento Ñ> solo quelle relative agli alimenti e al corredo, mentre sono a carico
dellÕamministrazione le spese per lÕassistenza medica e quella farmaceutica.
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- Le spese in questione sono obbligazioni civili derivanti da reato. Si tratta quindi di un onere
personale in capo al detenuto, che non si trasmettono in via successoria agli eredi e al responsabile
civile.
Anche il soggetto sottoposto a custodia cautelare per il reato per il quale • stata riportata condanna
• tenuto al pagamento delle spese di mantenimento relative alla custodia cautelare sofferta.
Sottratti allÕobbligo del pagamento di spese processuali e di mantenimento sono invece i
minorenni.
- LÕart. 24 disciplina i prelievi sulla remunerazione, effettuati a titolo di risarcimento del danno, di
rimborso delle spese di procedimento e di mantenimento, dovendosi comunque riservare a favore
del detenuto una quota pari a 3/5 non pignorabile o sequestrabile, se non per crediti alimentari.
La quota di prelievo giornaliera • Þssata a 3,62€ per giornata di presenza. Si tratta di un importo
che assume un valore simbolico, non essendo parametrato nŽ alla situazione economica del singolo
detenuto, nŽ ai costi effettivi sopportati dallo Stato per il mantenimento dei detenuti.
- Il pagamento del debito per le spese processuali o di mantenimento in carcere pu˜ essere
dilazionato o rateizzato su istanza dellÕinteressato, che pu˜ giovarsi anche della remissione del
debito, disciplinata dallÕart. 6 TU 115/2002, che si applica sia alle spese di mantenimento che a
quelle processuali.
Questo istituto estingue in favore del condannato o dellÕinternato il debito per le spese del processo
penale e per quelle di mantenimento in carcere, assecondando lÕobiettivo di favorire il reinserimento
sociale della persona al termine dellÕesecuzione penale. Convivono quindi una Þnalitˆ premiale e
una Þnalitˆ di agevolazione del reinserimento sociale.
Destinatari del beneÞcio sono condannati e internati.
La remissione del debito • concessa a due condizioni che devono entrambe sussistere:
¥ disagiate condizioni economiche Ñ> il giudice deve valutare la situazione patrimoniale del
soggetto per accertare lÕincidenza del debito residuo sul percorso di reinserimento sociale
¥ regolare condotta Ñ> • integrata dal costante senso di responsabilitˆ e correttezza nella attivitˆ in
istituto e nelle eventuali attivitˆ lavorative o culturali. Il requisito • accertato dal magistrato di
sorveglianza sulla scorta delle annotazioni contenute nella cartella personale e in base agli
elementi di sua diretta conoscenza.
Competente a decidere sullÕistanza o sulla proposta • il magistrato di sorveglianza che ha
giurisdizione sul luogo di detenzione o di internamento, o il giudice individuato sulla base della
residenza o domicilio dellÕinteressato, se questÕultimo si trova in libertˆ.
Il magistrato di sorveglianza provvede sullÕistanza de plano in camera di consiglio senza la
partecipazione delle parti, con ordinanza che viene comunicata al pubblico ministero e notiÞcata
allÕinteressato.
Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza • esperibile, entro 15 giorni dalla
comunicazione o dalla notiÞcazione della decisione, lÕopposizione davanti allo stesso giudice, che
procede avvalendosi della procedura camerale partecipata.
Una volta concessa, la remissione del debito non • revocabile.

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➢ CAPITOLO III: Gli elementi del trattamento

Il trattamento si compone di vari elementi, eterogenei tra di loro. Il trattamento si concretizza


attraverso lÕistruzione, la formazione professionale, il lavoro, la partecipazione a progetti di
pubblica utilitˆ, la religione, le attivitˆ culturali, ricreative e sportive e gli opportuni contatti con il
mondo esterno e i rapporti con la famiglia.
Il decreto legislativo 123/2018 ha inciso particolarmente sugli elementi del trattamento, prevedendo
unÕevoluzione del mondo del lavoro e una valorizzazione delle attivitˆ non rientranti nel lavoro in
senso stretto ai Þni della valutazione degli epiloghi trattamentali.

Istruzione
Religione
Attivitˆ culturali, sportive e ricreative
Contatti con il mondo esterno
Permessi e licenze
Lavoro

ISTRUZIONE
- LÕistruzione • considerata come uno strumento basilare e irrinunciabile per il reinserimento
sociale del detenuto: essa infatti Þgura al primo posto tra gli elementi del trattamento rieducativo sia
nella legge penitenziaria, sia nei documenti sovranazionali. Nel corso del tempo • tuttavia mutato il
signiÞcato di tale strumento: superate le teorie che si basavano su una connessione tra ignoranza e
criminalitˆ, oggi si prende coscienza che, in un mondo in rapido cambiamento e interconnesso, il
detenuto rischia di essere escluso dalla societˆ, e quindi necessita di acquisire un ampio spettro di
abilitˆ e competenze, che deve sviluppare per la realizzazione personale, la salute, lÕoccupabilitˆ e
lÕinclusione sociale.
- Il concetto di istruzione ricomprende:
¥ la formazione culturale Ñ> comprende la scuola dellÕobbligo, la scuola dÕistruzione secondaria
di secondo grado, lÕinsegnamento della lingua italiana e dei principi costituzionali ai detenuti
stranieri, e gli studi universitari
¥ formazione professionale Ñ> comprende i corsi di addestramento professionale, Þnalizzati a
fornire al detenuto le competenze nelle arti ausiliarie (es. ottica e odontotecnica), nei mestieri (es.
realizzazione di manufatti ÒMade in ItalyÓ) e nelle professioni (es. servizi alberghieri o assistenza
tecnica), al Þne di consentire una pi• agevole transizione nel mondo del lavoro.
Rientrano qui anche i corsi organizzati dagli Istituti di formazione tecnica superiore, nonchŽ i
tirocini formativi, di orientamento, di inserimento o reinserimento lavorativo previsti dalla Legge
Fornero.
AllÕinterno di ogni istituto • prevista una biblioteca adatta alle esigenze di una popolazione
eterogenea come quella carceraria (scelta dei libri afÞdata ad unÕapposita commissione).
é poi prevista la possibilitˆ per i detenuti di avere accesso a quotidiani, periodici e libri in vendita
allÕesterno.
- Per entrambi questi modelli di istruzione la disciplina dettata dalla legge penitenziaria • sorretta da
3 principi base:
1. integrazione con il sistema pubblico di istruzione e di formazione
2. incentivazione alla partecipazione dei detenuti e la loro responsabilizzazione
3. tutela rafforzata per determinate categorie ritenute bisognose e di particolari attenzioni anche
sul versante formativo

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1. Integrazione
Le direzioni degli istituti sono tenute a fornire i locali e le attrezzature adeguate allo svolgimento
dei corsi, mentre spetta al Ministero dellÕistruzione organizzare i corsi a livello della scuola
dellÕobbligo e quelli di istruzione secondaria superiore, avvalendosi sia del proprio personale che di
volontari con speciÞca professionalitˆ, ma sempre nel rispetto dei programmi di insegnamento
validi per gli studenti comuni.
I percorsi di istruzione e formazione professionale appartengono invece alla competenza regionale.
Il coordinamento tra le amministrazioni, quella scolastica e quella penitenziaria, • realizzato
attraverso lo strumento del protocollo dÕintesa.
Attraverso convenzioni e protocolli dÕintesa • possibile consentire al detenuto anche lÕaccesso agli
studi universitari. Per gli studenti universitari-detenuti il legislatore prevede:
possibilitˆ di esonero dal lavoro, su richiesta, in ragione dellÕimpegno e del proÞtto dimostrati
assegnazione in camere o reparti adeguati allo svolgimento dello studio
autorizzazione a tenere libri, pubblicazioni e strumenti didattici necessari (computer portatile)
svolgimento degli esami in carcere o, in alternativa effettuazione dellÕesame in videoconferenza,
ferma restando la possibilitˆ del condannato di avvalersi di eventuali permessi premio per
partecipare agli appelli come uno studente comune

2. Incentivazione
La partecipazione alle attivitˆ formative non • obbligatoria per il detenuto. LÕamministrazione non
deve per˜ interferire nel percorso didattico da costui responsabilmente avviato, ma semmai
agevolarlo.
Il particolare impegno e proÞtto nei corsi scolastici e di addestramento professionale (es.
conseguimento del diploma o della laurea) • considerato tra i presupposti per la concessione delle
ricompense come:
¥ riconoscimento di agevolazioni di carattere economico
¥ possibile concessione della semilibertˆ per consentire al detenuto di partecipare alle attivitˆ
¥ obbligo di concedere al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione al
programma di rieducazione una detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata
é previsto lÕesonero dal lavoro, automatico o eventuale, a seconda del corso frequentato.
Qualora per˜ il detenuto ammesso ad un corso di istruzione o formazione tenga un comportamento
che conÞguri sostanziale inadempimento dei suoi compiti, il direttore, previo parere del gruppo di
osservazione e trattamento e delle autoritˆ scolastiche, pu˜ escluderlo dal corso con provvedimento
motivato.

3. Tutela rafforzata
LÕamministrazione deve prestare particolare cura alla formazione culturale e professionale delle
fasce pi• deboli.
Si tratta in questo caso dei giovani adulti, delle donne detenute e degli stranieri.
Per le donne sono previste iniziative speciÞche a tutela della paritˆ di accesso e della speciÞcitˆ
della condizione detentiva. Si vogliono stigmatizzare quelle prassi che concentrano la formazione
professionale della detenuta su attivitˆ tipicamente femminili.
Per quanto riguarda gli stranieri invece, lÕattenzione • focalizzata sullÕintegrazione, rispetto alla
quale vengono considerati fondamentali lÕinsegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei
principi costituzionali.

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LA RELIGIONE
- é stata ormai superata la teoria lombrosiana che aveva ispirato il regolamento penitenziario del
1931, in base al quale lÕassenza di religiositˆ costituiva fattore eziologico della delinquenza e,
pertanto, obbligava i detenuti a partecipare alle funzioni religiose del rito cattolico (esonerati solo
coloro che, allÕingresso in istituto, avessero dichiarato di professare unÕaltra religione).
Oggi vige lÕart. 26: resta fermo il valore dalla religione nellÕambito del trattamento, ma lascia i
detenuti liberi di scegliere.
- La pratica religiosa • considerata dalla legge penitenziaria sia come uno degli elementi del
trattamento rieducativo, sia come oggetto di un diritto di libertˆ.
AllÕamministrazione non spetta il compito di stimolare il condannato ad accostarsi ad una fede
religiosa, cos“ come a costui non pu˜ essere negato il diritto a dichiarare i proprio ateismo.
Considerato che il multiculturalismo religioso presente negli istituti impone come regola generale
il divieto di discriminazione basato sulle proprie credenze, lÕamministrazione • dunque tenuta a non
ostacolare il pieno esercizio della spiritualitˆ da parte dei detenuti, nelle forme collettive e nelle
forme individuali:
¥ forme collettive Ñ> va garantita a tutti i detenuti la partecipazione ai riti della loro confessione,
purchŽ compatibili con lÕordine e la sicurezza dellÕistituto e non contrari alla legge.
Inoltre, ove possibile, vanno adibiti allÕinterno degli ediÞci appositi locali.
¥ forme individuali Ñ> deve essere consentito a tutti i detenuti di praticare il culto della propria
confessione, purchŽ non si esprima in comportamenti molesti, nonchŽ di esporre allÕinterno della
camera detentiva immagini e simboli religiosi.
é riconosciuto al detenuto il diritto di istruirsi nella propria religione, ovvero di apprenderne i
dettami grazie allÕassistenza dei ministri di culto.
- Non vi • una paritˆ di trattamento tra la religione cattolica e le altre religioni. Inoltre, allÕinterno di
questÕultime, una posizione pi• vantaggiosa • riservata alle confessioni che hanno stipulato intese
con lo Stato italiano rispetto alle altre.
In particolare, negli istituti • assicurata la celebrazione dei riti cattolici dalla presenza del
cappellano, che esercita le pratiche di culto, lÕinsegnamento del catechismo e lÕassistenza spirituale.
Il cappellano assume la qualiÞca di incaricato di pubblico servizio. Egli • presente attualmente
soltanto nella commissione per la formazione del regolamento interno dellÕistituto e in quella per
lÕassortimento della biblioteca.
Le confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato italiano siano regolati con legge possono
indicare alle direzioni degli istituti i nominativi dei ministri di culto. In questo caso il direttore •
tenuto ad autorizzare lÕingresso.
Per i ministri di culto di confessioni che non hanno stipulato alcuna intesa con lo Stato • invece
necessario un nulla osta rilasciato singolarmente da un apposito ufÞcio del Ministero dellÕinterno.
- Dato lÕelevato numero di detenuti di religione islamica, lÕamministrazione penitenziaria ha
stipulato nel 2015 un protocollo dÕintesa con lÕUnione delle comunitˆ ed organizzazioni islamiche
in Italia, per favorire lÕingresso dei mediatori culturali e dei ministri di culto negli istituti. DÕaltro
lato, per˜, la medesima amministrazione si mostra molto attenta alla prevenzione del fenomeno
della radicalizzazione, che si concretizza nel reclutamento di detenuti per Þnalitˆ di terrorismo.

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LE ATTIVITË CULTURALI, SPORTIVE E RICREATIVE


- Oltre alla religione, si annoverano tra i diritti individuali anche le attivitˆ culturali, ricreative e
sportive. Queste tre attivitˆ sono disciplinate dallÕart. 27: consapevolezza che il complesso delle
attivitˆ indicate possono essere utili a migliorare il livello culturale, le condizioni psico-Þsiche dei
detenuti e quindi favorire la crescita della loro personalitˆ.
Le attivitˆ culturali, sportive e ricreative sono anche accomunate dal fatto di costituire, da un lato,
elementi complementari e accessori del trattamento rieducativo per i condannati, e, dallÕaltro,
elementi principali dellÕofferta trattamentale destinata agli imputati.
- La disciplina delle attivitˆ culturali sportive e ricreative si fonda su tre cardini:
1) lÕonere di programmare le attivitˆ e di predisporre gli spazi per il loro svolgimento
2) di organizzare le attivitˆ e di gestirle basandosi sulla condivisione tra operatori e detenuti
3) di realizzare un ampio coinvolgimento della societˆ esterna

1) La programmazione delle attivitˆ • articolata in modo da rispettare il pluralismo e deve favorire


la partecipazione sia dei detenuti lavoratori o studenti, sia di quei soggetti che non svolgono attivitˆ
lavorativa, indipendentemente dalla loro volontˆ.
Gli ediÞci penitenziari devono essere dotati sia dei locali per lo svolgimento di attivitˆ culturali e
sportive, sia di spazi allÕaperto utilizzati per lo svolgimento di tali attivitˆ.
é considerata indispensabile la presenza di una biblioteca dÕistituto, fornita di materiale librario che
deve essere coerente con il pluralismo culturale esistente nella societˆ esterna.
2) In merito allÕorganizzazione delle attivitˆ culturali, sportive e ricreative • prevista una
commissione composta dal direttore, dagli educatori, dagli assistenti sociali, dai mediatori culturali
e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati. La commissione si occupa di curare
lÕorganizzazione mantenendo anche i contatti con il mondo esterno.
3) La progettazione e la realizzazione di offerte culturali, sportive e ricreative richiede il
coinvolgimento di istituzioni o associazioni pubbliche o private.

Attivitˆ culturali
Rientrano tra le attivitˆ culturali tutte le forme di acquisizione di conoscenze o competenze diverse
da quelle organizzate nella forma scolastica istituzionale Ñ> es. laboratori artistici, fotograÞci,
musicali e di scrittura creativa; conferenze di orientamento allo studio; e concorsi letterali e di
poesia.
Importanti sono anche i laboratori teatrali allÕinterno degli istituti: la recitazione consente infatti al
detenuto di calarsi in ruoli e dinamiche diversi da quelli propri della detenzione.

Attivitˆ sportive
LÕattivitˆ sportiva comprende lÕesercizio Þsico individuale e le discipline di squadra praticate anche
in forma agonistica.
LÕattivitˆ sportiva rappresenta un momento di aggregazione e di condivisione di regole e
contribuisce a smorzare le tensioni indotte dalla detenzione.

Attivitˆ ricreative
Le attivitˆ ricreative comprendono concerti, spettacoli e cineforum.
La loro organizzazione • spesso lasciata allÕiniziativa dei detenuti allÕinterno degli spazi della
socialitˆ. Spetta comunque al regolamento interno indicare quali sono i giochi consentiti: sono
esclusi i giochi violenti, il gioco dÕazzardo e le scommesse.

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I CONTATTI CON IL MONDO ESTERNO


- I contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia sono considerati gli elementi pi•
importanti del trattamento rieducativo. Il collegamento tra carcere e ambiente esterno • infatti il
collante che lega tutti gli altri elementi del trattamento, il requisito afÞnchŽ lavoro, istruzione,
religione, attivitˆ culturali e sportive possano esprimere pienamente le proprie potenzialitˆ
risocializzanti.
Il modello partecipativo • quello pi• proÞcuo, sotto molteplici proÞli, anche dal punto di vista
costituzionale, perchŽ giova:
¥ al detenuto, cui viene fornita la prova di non essere abbandonato dalla societˆ nella quale dovrˆ
reinserirsi
¥ allÕamministrazione, dato che aumenta il numero e lÕefÞcacia delle offerte
¥ al visitatore esterno, al quale viene offerta la possibilitˆ di adempiere ai suoi doveri di solidarietˆ
sociale e di svolgere una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della societˆ
- I contatti con il mondo esterno possono essere esaminati da due diversi punti di vista, che
dipendono dalla direzione verso cui tali contatti sono orientati:
1. limitato periodo di tempo in societˆ, quindi fuori dal carcere
2. ingresso della societˆ in carcere

1. Nella prima categoria rientrano:


i permessi premio
le licenze
lÕassistenza ai Þgli minori
le visite al minore infermo o al Þglio, al coniuge o al convivente affetto da handicap
il lavoro allÕesterno
la partecipazione a progetti di pubblica utilitˆ
il regime di semilibertˆ

2. La seconda categoria riguarda lÕingresso della societˆ in carcere. é qui opportuno distinguere tra
gli incontri del detenuto con la famiglia e quelli con gli altri membri della comunitˆ esterna.
La legge penitenziaria dedica numerose disposizioni alla tutela della sfera familiare e affettiva del
ristretto, che si realizza principalmente attraverso i colloqui, i contatti telefonici e la
corrispondenza.
Per quanto riguarda invece i contatti con altre persone provenienti dalla comunitˆ esterna, occorre
focalizzare lÕattenzione sulla disciplina contenuta negli articoli 17 e 78.
Art. 17 Ñ> Òpartecipazione della comunitˆ esterna allÕazione rieducativaÓ. Stabilisce che possono
essere autorizzati a fare ingresso in istituto tutti coloro che, avendo concreto interesse per lÕopera di
risocializzazione dei detenuti, dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra
la comunitˆ carceraria e la societˆ libera.
Art. 78 Ñ> Òassistenti volontariÓ. Prevede che possono essere autorizzati allÕingresso quei soggetti,
ritenuti idonei allÕassistenza e allÕeducazione, che intendano partecipare allÕopera rivolta al sostegno
morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Questi due articoli si differenziano sotto diversi punti di vista. LÕingresso previsto ai sensi
dellÕart.17, infatti, pu˜ essere autorizzato anche una tantum o per il periodo di tempo necessario a
portare a termine lÕattivitˆ programmata, e non • necessariamente a titolo gratuito. Per un altro
verso, • consentito anche a singoli cittadini, mentre lÕaccesso ex art. 78 presuppone necessariamente
lÕappartenenza del visitatore ad un ente di volontariato.

- Il Òterzo settoreÓ, operando allÕinterno degli istituti sotto il controllo della direzione e attraverso il
coordinamento con lÕarea trattamentale, e allÕesterno sotto il controllo del direttore dellÕUEPE,
riveste da sempre un ruolo importante nel percorso di reinserimento sociale del condannato.
I suoi interventi consistono:
¥ assistenza materiale intramuraria nei confronti delle persone meno abbienti
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¥ organizzazione di attivitˆ culturali


¥ accompagnamento del condannato durante i permessi
¥ supporto nella ricerca di una soluzione abitativa allÕesterno
¥ inserimento lavorativo
¥ sensibilizzazione sociale rispetto alle questioni penitenziarie
- La partecipazione della comunitˆ esterna costituisce un proÞlo essenziale nella programmazione
delle attivitˆ trattamentali di ciascun istituto.
A questo proposito il DAP richiede alle direzioni la predisposizione, con cadenza annuale, del
progetto pedagogico, con lÕindicazione delle risorse umane e materiali impegnate dallÕistituto e
delle istituzioni pubbliche e private che collaborano alle attivitˆ trattamentali. Questo documento
conßuisce nel progetto dÕistituto, che racchiude le ipotesi progettuali relative a tutte le aree
(trattamentale, amministrativa e della sicurezza).
- InÞne, le autoritˆ pubbliche possono, senza necessitˆ di autorizzazione, effettuare visite agli
istituti. Esse procedono generalmente al controllo sul rispetto del diritti dei detenuti (qualitˆ delle
loro condizioni di vita) oppure svolgono allÕinterno dellÕistituto speciÞche funzioni inerenti al loro
ufÞcio.

I contatti con il mondo esterno si realizzano anche attraverso lÕaccesso ai mezzi di comunicazione
di massa (stampa, televisione, radio, internet) e garantiscono il diritto allÕintegritˆ morale e
culturale.
é prevista la possibilitˆ di tenere presso di sŽ quotidiani, periodici e libri, senza censura o
preclusioni da parte dellÕamministrazione penitenziaria (solo limiti di tipo quantitativo).
Ci˜ dimostra il diritto alla libera informazione e il diritto di esprimere le proprie opinioni.
Possibilitˆ inoltre di ottenere lÕautorizzazione allÕuso di computer per motivi di lavoro o di studio.

I COLLOQUI VISIVI
La regolamentazione dei colloqui va esaminata prendendo in considerazione quali sono gli
interlocutori (familiari, altre persone, difensore, garanti dei diritti dei detenuti, autoritˆ
investigative) e la forma di comunicazione (colloquio visivo, telefonico o tramite programmi di
videochiamata).
Categorie di soggetti ammessi ad effettuare colloqui:

a) Familiari del detenuto


Sono qui compresi il coniuge, la persona che conviveva stabilmente con lui prima della
carcerazione o che a lui era legata da unione civile e tutti coloro che vantano un rapporto di
parentela o afÞnitˆ entro il quarto grado.
Deve essere accordato particolare favore ai colloqui con i familiari, afÞnchŽ anche attraverso questo
canale sia possibile contribuire al mantenimento, al miglioramento e alla reintegrazione delle
relazioni dei detenuti con le persone pi• care. I rapporti con la famiglia sono infatti un elemento
essenziale del trattamento penitenziario.
Il colloquio con le famiglie • considerato un diritto soggettivo del detenuto, e per questo lÕautoritˆ
competente a decidere sullÕautorizzazione ha un limitatissimo potere di negarla (es. pericolo di
inquinamento probatorio). Inoltre, i locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove
possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimitˆ
dellÕingresso dellÕistituto.
Se i rapporti con la famiglia esistono, occorre operare per evitare che lÕesperienza carceraria li
deteriori.
Se i rapporti sono precari, lÕamministrazione penitenziaria dovrˆ dedicare i suoi sforzi verso un
miglioramento.
Se assenti, il compito dellÕamministrazione sarˆ quello di ricostruirli.

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b) ÒAltre personeÓ
Questa formula ricomprende quanti, al di fuori della cerchia familiare, sono legati al detenuto da
rapporti affettivi (es. Þdanzata non convivente) o di amicizia, oppure coloro che il detenuto ha
necessitˆ di incontrare per il compimento di atti giuridici (es. un notaio).
Per costoro lÕautorizzazione viene concessa quando ricorrono Òragionevoli motiviÓ. Non si tratta
quindi di un diritto soggettivo come nel caso della famiglia, ma di un riconoscimento che dipende
da una valutazione discrezionale dellÕautoritˆ competente.

- Autoritˆ competente: La ripartizione delle competenze per lÕautorizzazione ai colloqui visivi e


alle telefonate vede come spartiacque la pronuncia della sentenza di primo grado.
Per lÕimputato, quindi prima della pronuncia, decide lÕautoritˆ giudiziaria.
Per il condannato, invece, decide il direttore dellÕistituto.
Solo in caso di giudizio direttissimo, dal momento in cui il soggetto arrestato viene tradotto in
carcere, Þno a quando viene presentato davanti al giudice del dibattimento per la convalida e il
contestuale giudizio, lÕautorizzazione al colloquio spetta al pm.
- Detenuti e internati usufruiscono di 6 colloqui al mese, comprensivi di quelli con i familiari e di
quelli con altre persone. Il numero • pi• elevato per i minori, mentre diminuisce progressivamente
per gli appartenenti alla criminalitˆ organizzata Ñ> detenuti al 4 bis massimo 4 colloqui al mese;
detenuti al 41 bis 1 colloquio al mese
é prevista la possibilitˆ di raddoppiare la durata di un singolo colloquio, quando i familiari
risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede lÕistituto, se nella settimana precedente il
detenuto non ha fruito di alcun colloquio e se le esigenze e lÕorganizzazione dellÕistituto lo
consentono. E anche la possibilitˆ di colloqui straordinari, oltre quelli previsti, se il detenuto •
gravemente infermo, o quando il colloquio si svolge con prole di etˆ inferiore a 10 anni, o quando
ricorrono particolari circostanze (es. festivitˆ natalizie).
- Modalitˆ esecutive: i giorni e gli orari in cui si svolgono i colloqui e le modalitˆ di prenotazione
sono indicati nel regolamento interno dellÕistituto. Il colloquio del detenuto con i familiari e con le
altre persone • preceduto dai necessari adempimenti di sicurezza svolti dalla polizia penitenziaria:
perquisizione personale nel caso dei familiari e identiÞcazione nel caso di altre persone, oltre a
controlli Þnalizzati ad evitare che vengono introdotti nell'istituto sostanze stupefacenti, strumenti
pericolosi o altri oggetti non ammessi.
Il colloquio pu˜ avere luogo anche in appositi locali o in spazi allÕaperto (Òaree verdiÓ).
Se non ci sono particolari ragioni di sicurezza o sanitarie, il colloquio avviene senza vetro divisorio.
Il contatto Þsico tra il detenuto e il familiare non deve per˜ essere strumentalizzato dal detenuto: la
polizia penitenziaria infatti ha il potere di sospendere il colloquio se le persone tengono
comportamenti scorretti o molesti, riferendone al direttore, cui spetta decidere sullÕesclusione.
Per rispetto della privacy, il colloquio • soggetto unicamente a controllo visivo da parte della polizia
penitenziaria, che avviene attraverso uno specchio collocato in un locale adiacente.

c) Difensore
Il colloquio con il difensore rappresenta un canale idoneo a dare concretezza ad un diritto
ÒinviolabileÓ, come deÞnito dallÕart. 24 Cost. Infatti il colloquio in esame viene garantito non solo
allÕimputato, ma anche a chi ha giˆ assunto la veste di condannato.
I colloqui con il difensore, proprio perchŽ espressione di un diritto inviolabile, possono svolgersi in
qualsiasi giorno, non hanno un limite numerico mensile e vengono effettuati in appositi locali in cui
• garantita la riservatezza.

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Art. 24 Cost. Ð Inviolabilitˆ del diritto di difesa Çin ogni stato e grado del procedimentoÈ
¥ Imputati in custodia cautelare (art. 104 c.p.p. - possibilitˆ di dilazione del colloquio per
determinate categorie di reati)
¥ Condannati (art.18 - colloqui in generale, sottoposti allÕautorizzazione del direttore dellÕistituto)


Sentenza Corte cost. n. 212/1997

Con la sentenza 212/1997 • stata dichiarata lÕillegittimitˆ costituzionale dellÕart. 18 nella parte in
cui non prevedeva che il detenuto, condannato in via deÞnitiva, ha il diritto di conferire con il
proprio difensore, senza alcuna valutazione discrezionale da parte dellÕamministrazione
penitenziaria.
Nuova conÞgurazione dellÕart. 18 c. 2 (d.lgs. 123/2018): ÒI detenuti e gli internati hanno il diritto di
conferire con il difensore sin dallÕinizio dellÕesecuzione della misura o della penaÓ, senza limiti
numerici, di durata o previa autorizzazione.

d) Garanti dei diritti dei detenuti


Questa categoria ricomprende, oltre al garante nazionale dei diritti del detenuto, anche i garanti
territoriali.
Il colloquio con questi organismi rappresenta un diritto per il detenuto e perci˜ non • computabile ai
Þni del raggiungimento del limite quantitativo massimo. Una disciplina speciale di carattere pi•
restrittivo (legge 70/2020) • per˜ prevista quando il colloquio con i garanti territoriali venga
richiesto dai soggetti sottoposti al regime speciale del 41 bis.

e) Organi investigativi in materia di criminalitˆ organizzata e terrorismo


I colloqui investigativi si differenziano notevolmente da quelli garantiti in via ordinaria al detenuto.
In questo caso infatti la conversazione non ha Þnalitˆ trattamentale umanitaria o di difesa, ma viene
effettuata al Þne di acquisire informazioni utili per la prevenzione e la repressione dei delitti di
criminalitˆ organizzata e di terrorismo, e inoltre in unÕottica di incentivazione alla collaborazione
con la giustizia.
Gli organi di polizia giudiziaria che hanno la facoltˆ di visitare gli istituti penitenziari e che possono
essere utilizzati ad avere colloqui visivi con i detenuti sono il personale della direzione investigativa
antimaÞa e dei servizi centrali, gli ufÞci designati dai responsabili della predetta direzione, i reparti
delle forze di polizia competenti per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo e il
Procuratore nazionale antimaÞa e antiterrorismo.

LA CORRISPONDENZA TELEFONICA
- Per quanto riguarda la corrispondenza telefonica, al detenuto spetta una chiamata alla settimana
della durata di 10 minuti. é prevista anche la possibilitˆ di inoltrare la chiamata anche verso telefoni
cellulari, previa veriÞca della titolaritˆ dellÕutenza.
Minori Ñ> per i minori la disciplina • pi• favorevole. Sono previste infatti 2 o 3 chiamate a
settimana, ciascuna della durata di 20 minuti
Detenuti per reati ex art. 4 bis co. 1 Ñ> sono consentite due chiamate al mese della durata massima
di 10 minuti
Detenuti per reati ex art. 41 bis Ñ> • consentita una telefonata al mese che pu˜ avere come
destinazione solo la struttura carceraria pi• vicina alla residenza di familiari, nella quale costoro
devono recarsi per conferire con il congiunto.
- Anche il rispetto della riservatezza della conversazione • diverso in ragione della categoria di
appartenenza del detenuto.

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Detenuto comune Ñ> le chiamate possono essere registrate e ascoltate soltanto con lÕautorizzazione
dellÕautoritˆ giudiziaria.
Detenuti per reati ex art. 4 bis co. 1 Ñ> le chiamate sono sempre registrate e i relativi Þles sono
posti a disposizione dellÕautoritˆ giudiziaria.
Detenuti per reati ex art. 41 bis Ñ> le chiamate sono sempre registrate e ascoltate in tempo reale.
- Possono essere autorizzate telefonate straordinarie per diverse motivazioni:
per consentire al detenuto o allÕinternato di avvisare i familiari al momento di rientro dal
permesso o dalla licenza e al suo arrivo in un nuovo istituto dopo il trasferimento
per motivi di urgenza o di particolare rilevanza
qualora destinatari della chiamata siano Þgli minori di anni 18, Þgli maggiorenni portatori di una
disabilitˆ grave, familiare stretto ricoverato in una struttura ospedaliera: in questo caso la
telefonata straordinaria pu˜ essere concessa anche quotidianamente per il detenuto comune (ma
non pi• di una volta a settimana in caso di detenuti ex art. 4 bis co. 1)
in caso di madri detenute con Þgli al seguito sono consentiti due colloqui telefonici consecutivi e
in interrotti per tutelare il diritto del minore alla genitorialitˆ paterna
é poco condivisibile per˜ la scelta di considerare tra le telefonate straordinarie anche quelle con il
difensore. Ci˜ infatti si scontra con il dato normativo dellÕart. 18 co. 2, secondo il quale i detenuti e
gli internati, a prescindere dalla posizione giuridica, hanno Òdiritto di conferireÓ in qualsiasi forma
con il difensore.
- Modalitˆ operative
In tutte le sezioni detentive sono installati apparecchi telefonici utilizzati dai detenuti in autonomia,
attraverso tessere elettroniche in cui sono stati precedentemente inseriti i numeri di telefono
autorizzati. La durata della chiamata viene controllata automaticamente e il relativo costo
addebitato sul fondo disponibile del detenuto.
La ricezione dallÕesterno o lÕutilizzo, da parte del detenuto, di un apparecchio telefonico o di un
altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni (dispositivo Wi-Fi o Bluetooth) costituisce
reato (art. 391 ter c.p.), oltre ad integrare una grave infrazione disciplinare e a legittimare il
trasferimento per motivi di sicurezza del detenuto in un istituto geograÞcamente distante da quello
in cui si • consumato il reato.
- Videochiamate
NŽ la legge penitenziaria nŽ il relativo regolamento di esecuzione contengono una normativa
speciÞca in materia di conversazioni in videochiamata. Nonostante la lacuna, lÕamministrazione
penitenziaria ha compreso lÕimportanza di questo mezzo di comunicazione, che per˜ non deve
essere inteso come unÕalternativa volta a rimpiazzare la presenza Þsica di familiari, ma come uno
strumento da utilizzare, anche in aggiunta ai colloqui visivi, soltanto qualora la visita del familiare
sia impossibile o pi• complicata a causa della distanza geograÞca dell'istituto o da altri motivi (es.
cattive condizioni di salute o etˆ avanzata del familiare).
La videochiamata • considerata e computata come una modalitˆ di colloquio visivo (e non di
telefonata).

LA CORRISPONDENZA EPISTOLARE
- La corrispondenza epistolare nella societˆ libera • stata ormai quasi completamente sostituita da
quella telefonica e da quella informatica. Nella popolazione detenuta, invece, risulta ancora uno
strumento molto utilizzato. Per questo motivo, la legge, contrariamente ai colloqui e alle telefonate,
non prevede un numero massimo di lettere che il detenuto pu˜ inviare o ricevere, nŽ una restrizione
generale in relazione ai soggetti con cui • possibile instaurare scambi epistolari, compresi i
compagni di detenzione dimessi dal carcere o trasferiti. Anzi, si prevede la fornitura gratuita di
oggetti di cancelleria e francobolli ai soggetti non abbienti.
Per la consegna dei pacchi invece sono previste restrizioni che riguardano il numero mensile, i
limiti di peso e il loro contenuto (preventivamente controllato dal personale di polizia penitenziaria

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tramite apparecchiature a raggi x), che deve essere costituito unicamente da abbigliamento o da
generi alimentari di consumo comune.
- Le limitazioni e i controlli sulla corrispondenza epistolare, in conformitˆ fra i principi di libertˆ e
segretezza riconosciuti dagli articoli 15 della Cost. e dagli articoli 8 e13 della Cedu, esigono che il
legislatore penitenziario speciÞchi in quali casi, con quali modalitˆ e per quanto tempo si possono
adottare provvedimenti restrittivi.
LÕintroduzione nella legge penitenziaria dellÕart.18 ter, che appunto precisa i gradi delle limitazioni,
i presupposti, i tempi, le autoritˆ competenti e i meccanismi di tutela giurisdizionale, ha colmato la
lacuna. Le restrizioni riguardanti lÕinvio e la ricezione della corrispondenza possono essere di tre
tipi:
1. Controllo materiale della busta senza lettura dello scritto in essa contenuto Ñ> in questo caso
il controllo ha lo scopo di evitare che allÕinterno della busta vengano nascosti oggetti non
consentiti (es. denaro, sostanze stupefacenti, strumenti taglienti, apparecchiature elettroniche
miniaturizzate). L'apertura delle buste deve avvenire in presenza dell'interessato e l'ispezione
deve essere effettuata con modalitˆ tali da garantire che il contenuto della missiva non sia letto
2. Controllo con lettura del contenuto ed eventuale tracciamento Ñ> questo tipo di controllo
prevede la lettura della missiva da parte del personale di polizia penitenziaria. Se il contenuto
pu˜ pregiudicare una delle esigenze indicate nellÕart. 18 ter co. 1, o se il linguaggio utilizzato •
criptico o sono presenti segni dal signiÞcato indecifrabile, la corrispondenza non viene nŽ
consegnata, nŽ inoltrata, e il condannato viene informato dellÕavvenuto trattenimento.
3. Blocco dellÕinvio e della ricezione della corrispondenza Ñ> consiste nellÕinibizione totale o
parziale (es. nei confronti di un determinato destinatario, o mediante la Þssazione di un
quantitativo massimo di lettere invia abili e ricevibili) della facoltˆ di spedire o di ricevere
corrispondenza.
I motivi per cui possono essere adottati questi provvedimenti sono:
esigenze attinenti alle indagini in corso (es. evitare che il detenuto scriva un familiare
chiedendogli di occultare alcune prove)
esigenze investigative attinenti alla ricerca di altre notizie di reato (es. captare i messaggi con cui
lÕassociazione criminale di cui fa parte il detenuto lo tiene aggiornato riguardo lÕandamento delle
attivitˆ delittuose)
esigenze di prevenzione dei reati (es. impedire che condannato per stalking possa continuare a
inviare alla vittima lettere persecutorie)
ragioni di sicurezza o di ordine dellÕistituto (es. impedire che il detenuto destinatario della
missiva venga informato dell'avvenuto trasferimento nel suo istituto di un altro detenuto
rivelatosi una fonte conÞdenziale della polizia)
- Per i condannati e gli internati, il decreto motivato viene emesso dal magistrato di sorveglianza.
Per gli indagati e gli imputati, il provvedimento viene emesso dal giudice competente: gip nel corso
delle indagini per preliminari; gup durante lo svolgimento dellÕudienza preliminare; giudice
monocratico o presidente del collegio durante la fase dibattimentale; presidente della Corte
dÕappello o della Corte dÕassise dÕappello durante il successivo grado del processo e in pendenza
del ricorso per cassazione.
LÕintervento dell'autoritˆ giudiziaria pu˜ essere sollecitato dal pubblico ministero o dal direttore
dellÕistituto.
LÕintervento giurisdizionale • sempre necessario anche in relazione ai soggetti sottoposti a regime di
41 bis.
- Il provvedimento giudiziale ha una durata circoscritta, cio• Þno a sei mesi: in seguito, qualora
permangono le ragioni che sono state alla base del primo provvedimento, possono essere disposte
ulteriori proroghe della durata massima di tre mesi.
Avverso il provvedimento motivato che dispone la limitazione della corrispondenza • ammesso il
reclamo da parte del detenuto o del difensore. Relativamente a tale reclamo • competente il
tribunale di sorveglianza, se il provvedimento • stato emesso dal magistrato di sorveglianza, oppure

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il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che si • giˆ pronunciato, se si tratta di veriÞcare la
fondatezza del reclamo di unÕimputato.
- Le limitazioni e i controlli non possono essere disposti nei confronti delle missive indirizzate dal
detenuto a determinati soggetti. Fa parte della corrispondenza protetta quella indirizzata:
¥ ai componenti dellÕufÞcio difensivo
¥ allÕautoritˆ giudiziaria
¥ ai membri del Parlamento
¥ alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui lÕinteressato • cittadino
¥ agli organismi internazionali, amministrativi e giudiziari preposti alla tutela dei diritti dellÕuomo
di cui lÕItalia fa parte

LÕINFORMAZIONE
- Anche ai detenuti va garantito il diritto a una libera informazione (art. 21 Cost.) per consentire
loro di tenersi aggiornati sugli avvenimenti pubblici, per scopi di arricchimento culturale o anche
semplicemente come momento ricreativo.
Sono molteplici le fonti di informazione a cui il detenuto pu˜ attingere.
- AllÕinterno di ogni camera detentiva • collocato un televisore, i cui orari di fruizione sono
disciplinati nel regolamento interno dellÕistituto, cosicchŽ il personale della polizia penitenziaria
pu˜ escluderne il funzionamento durante le ore notturne. é consentito anche l'uso di un apparecchio
radio personale e di un lettore di Þle musicali.
- I detenuti e gli internati possono inoltre tenere presso di sŽ i quotidiani, i periodici e i libri in
libera vendita allÕesterno. Tali pubblicazioni sono acquistabili in istituto oppure possono essere
ricevute dallÕesterno sottoforma di corrispondenza.
Le limitazioni alla fruizione della stampa possono essere generali o relative al singolo detenuto.
Generali Ñ> appartengono a questa categoria, ad esempio, lÕapposizione di un limite quantitativo
dettato da ragioni di spazio, alle pubblicazioni che si possono tenere tenere nelle camere detentive o
il divieto generalizzato di ricezione di Òriviste per adultiÓ (in questo caso, trattandosi di
pubblicazioni in libera vendita allÕesterno, la restrizione deve essere motivata da comprovate
esigenze di sicurezza o trattamentali, come nell'ipotesi in cui si tratti in una sezione che ospita i sex
offenders).
Singolo detenuto Ñ> si tratta di limitazioni nella ricezione della stampa, come nel caso di quella
riguardante quotidiani a tiratura locale, allÕinterno dei quali potrebbero essere riportate notizie
relative allÕassociazione a delinquere a cui • legato il detenuto.
- La legge penitenziaria riconosce attualmente al detenuto la possibilitˆ di avvalersi delle
potenzialitˆ offerte da Internet. Le modalitˆ di fruizione del web dovrebbero essere speciÞcate
attraverso una disciplina regolamentare, per il momento assente.
Ci˜ nonostante lÕamministrazione ha consentito lÕuso di personal computer collegati in rete, situati
nelle sale comuni, nei locali lavorativi o nelle aule scolastiche (cos“ da permettere la didattica a
distanza). Essi sono programmati per consentire lÕaccesso solo a determinati siti e lÕutilizzo delle e-
mail.
é prevista la possibilitˆ per il detenuto studente o lavoratore di utilizzare il computer portatile anche
allÕinterno della propria camera, privato per˜ della possibilitˆ di collegarsi alla rete e
periodicamente sottoposto a controlli da parte della polizia penitenziaria.

I RAPPORTI CON LA FAMIGLIA


- Gli effetti della detenzione non si riversano esclusivamente sul soggetto condannato, ma
colpiscono anche indirettamente i familiari. NellÕart. 28 • espresso uno dei principi cardine della
legge penitenziaria: il valore primario dei contatti del detenuto con la famiglia esige che il
trattamento sia impostato in modo da mantenere in vita e migliorare i legami affettivi stabili, e da
rinsaldare quelli che, a causa dellÕallontanamento indotto dalla detenzione, rischiano di logorarsi e
di interrompersi.
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Infatti, in occasione del colloquio di primo ingresso, il detenuto • invitato a segnalare gli eventuali
problemi personali e familiari che richiedono interventi immediati. Qualora risulti che i familiari
non mantengano rapporti con il detenuto, la direzione • tenuta ad inoltrare una segnalazione
allÕufÞcio locale di esecuzione penale esterna per gli opportuni interventi.
- Nel nostro ordinamento non • prevista la possibilitˆ di consumare rapporti sessuali con la propria
compagna o compagno allÕinterno dellÕistituto, allÕinterno di appositi locali sottratti al controllo
della polizia penitenziaria. La Corte costituzionale ha dichiarato la questione inammissibile, dal
momento che lÕindividuazione di un punto di equilibrio tra i diritti inviolabili e le esigenze di
sicurezza spetta alla discrezionalitˆ del legislatore.
Nonostante ci˜, un gran numero di Stati riconosce il diritto dei detenuti ad una vita sessuale
intramuraria.
- Rapporti familiari intra moenia Ñ> disposizioni in materia di assegnazioni e trasferimenti e
quelle che garantiscono la comunicazione ai congiunti dello stato di detenzione, dei trasferimenti,
delle malattie e dei decessi
Rapporti familiari extra moenia Ñ> la misura pi• importante • quella del permesso-premio, anche
se lÕintero sistema delle misure alternative alla detenzione • imperniato sul principio secondo cui il
reinserimento sociale signiÞca, prima di tutto, il reinserimento nel nucleo familiare. La legge
penitenziaria prende in considerazione anche le particolari situazioni di difÞcoltˆ che pu˜ incontrare
la famiglia del detenuto: attraverso lo strumento del permesso umanitario, dellÕassistenza allÕesterno
dei Þgli Þno a 10 anni e delle visite al familiare infermo o affetto da handicap.

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I PERMESSI E LE LICENZE
I permessi di uscita sono provvedimenti incidenti in senso migliorativo sulla libertˆ personale, con i
quali lÕautoritˆ giudiziaria consente al detenuto di trascorrere un periodo di tempo (da poche ore
Þno a diversi giorni) nella societˆ libera con lÕadozione di una serie di cautele (es. imposizione di
determinate prescrizioni o predisposizione di una scorta) e con lÕobbligo, sanzionato penalmente, di
fare spontaneamente rientro in istituto alla scadenza del termine.
Sono previste due categorie di permessi:
¥ permessi di necessitˆ Ñ> attinenza con il principio di umanitˆ della pena (introdotti con la
riforma del 1975)
¥ permessi premio Ñ> traduzione legislativa del Þnalismo rieducativo della pena (introdotti con
legge 663/1986, legge Gozzini)

I PERMESSI DI NECESSITË
- Il permesso di necessitˆ (umanitario) • disciplinato allÕinterno dellÕart. 30. Si tratta di un istituto
ad applicazione sporadica, di carattere straordinario e di breve durata.
Esso viene concesso:
in caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, per consentire al
detenuto di recarsi al loro capezzale Ñ> in questo caso lÕautoritˆ giudiziaria • tenuta a concedere
il permesso, salva la facoltˆ di adottare prescrizioni pi• opportune a tutela della sicurezza
pubblica
eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravitˆ Ñ> per capire il signiÞcato di questa
locuzione va premesso che il comma in esame • stato modiÞcato dalla legge 450/1977:
originariamente, infatti, la legge subordinava la concessione ad un requisito pi• ßessibile, ovvero
la sussistenza di Ògravi e accertati motiviÓ. Questo concetto veniva interpretato in termini ampi,
facendovi rientrare eventi luttuosi e drammatici ma anche vicende signiÞcative nella vita del
detenuto (es. partecipazione al matrimonio del Þglio).
LÕintroduzione dei permessi premio ha determinato per˜ lÕimpossibilitˆ di utilizzare i permessi di
necessitˆ come strumento a valenza trattamentale.
- Attualmente la giurisprudenza stabilisce che devono sussistere congiuntamente tre requisiti:
1. eccezionalitˆ della concessione
2. particolare gravitˆ dellÕevento giustiÞcativo
3. idoneitˆ ad incidere nella vicenda familiare del detenuto
Possono prendersi in considerazione solo ÒeventiÓ, cio• fatti storici del tutto al di fuori della
quotidianitˆ, e non situazioni croniche che si prolungano nel tempo. Inoltre, la circostanza • ritenuta
ÒgraveÓ quando allÕafßizione propria della detenzione si somma inutilmente quella derivante
allÕinteressato dellÕimpossibilitˆ di essere vicino ai congiunti.
Esempio: la nascita di un Þglio, pur essendo una circostanza lieta, • ritenuta condizione legittimante
la concessione del permesso perchŽ si tratta di un momento unico e insostituibile nella vita di una
persona.
- I permessi di necessitˆ possono essere concessi a tutti coloro che si trovano in carcere (imputati,
condannati e internati), indipendente dalla condotta intramuraria, dalla pericolositˆ sociale, dal reato
commesso o dalla pena inßitta.
La diversa posizione giuridica rileva solo al Þne dellÕindividuazione del giudice competente:
¥ per gli imputati, sono concessi dallÕautoritˆ giudiziaria
¥ per i condannati e gli internati, provvede il magistrato di sorveglianza
Entrambi questi giudici decidono de plano, ossia in camera di consiglio senza la presenza del
difensore e del pm. Il provvedimento • impugnabile tramite reclamo.
- Per quanto riguarda la fase istruttoria del procedimento, solitamente • la famiglia a comunicare la
notizia al detenuto, il quale inoltra poi la richiesta di permesso al giudice. QuestÕultimo, a sua volta,
si pronuncia dopo aver veriÞcato tramite le forze di polizia o lÕUEPE che la situazione indicata dal
richiedente corrisponda al vero.
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Un maggior grado di approfondimento • richiesto nel caso di condannati o imputati per delitti di
criminalitˆ organizzata le cui indagini sono afÞdate alla Direzione distrettuale antimaÞa e
antiterrorismo. In questa ipotesi, infatti, lÕautoritˆ competente, prima di pronunciarsi, • tenuta a
richiedere un parere in merito allÕattualitˆ dei collegamenti con la criminalitˆ organizzata e alla
pericolositˆ del soggetto al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del
distretto ove • stata pronunciata la sentenza di condanna e al Procuratore nazionale antimaÞa e
antiterrorismo.
Questi pareri non sono vincolanti per il giudice. Il permesso non pu˜ essere concesso prima che
siano decorse 24 ore dalla richiesta rivolta alle autoritˆ investigative, ma il giudice pu˜ procedere
ugualmente qualora ricorrano esigenze di eccezionale urgenza (es. prognosi infausta a brevissimo
termine riguardante la vita del familiare).
Il grado di pericolositˆ del richiedente incide non tanto sulla concessione del permesso, quanto sul
tipo di cautele applicabili dal giudice, che possono consistere in:
¥ accertamenti sul luogo in cui lÕinteressato deve recarsi
¥ predisposizione dellÕaccompagnamento armato da parte della polizia penitenziaria
¥ stretta vigilanza per evitare contatti con persone diverse dai familiari
- La durata massima del permesso di necessitˆ • di 5 giorni, oltre al tempo necessario per
raggiungere il luogo dove lÕinteressato deve recarsi.

I PERMESSI PREMIO
- I permessi premio non erano nella mente originaria del legislatore, ma sono stati introdotti con la
riforma Gozzini del 1986 (art. 30 ter).
Si tratta di permessi trattamentali o rieducativi, in ragione della funzione a cui assolvono: quella di
consentire il graduale allontanamento del condannato dallÕistituzione carceraria, come inizio di un
percorso di reinserimento sociale destinato a sfociare nella fruizione delle misure alternative alla
detenzione. Si tratta, cio•, del primo stadio con cui si manifesta il principio di progressivitˆ
trattamentale valorizzato dalla Corte Costituzionale.
Caratteristiche:
¥ • parte del programma di trattamento
¥ concessione ancorata esclusivamente alla condotta del detenuto
¥ pu˜ essere concesso solo ai condannati (esclusi indagati e imputati)
- I permessi premio riguardano solo i condannati. Per questo, il giudice competente • in ogni caso il
magistrato di sorveglianza.
Essendo uno strumento ordinario del trattamento, il permesso premio non prevede lÕindicazione dei
motivi per poter essere concesso (come nel caso del permesso di necessitˆ). Gli Òinteressi affettivi,
culturali o di lavoroÓ, indicati dallÕart. 30 ter, non devono infatti essere considerati come
unÕelencazione tassativa. é possibile infatti, per esempio, ricevere un permesso premio per
sostenere un esame universitario, per partecipare ad una competizione sportiva o per assistere ad
una particolare ricorrenza religiosa.
- Sono invece indicati con precisione i requisiti oggettivi (legati a dati desumibili dalla sentenza di
condanna, come lÕentitˆ della pena inßitta e il reato commesso) e soggettivi (riconducibili a
valutazioni della personalitˆ del richiedente).

Requisiti oggettivi
Sono previsti innanzitutto presupposti di carattere temporale. é infatti indicato speciÞcamente il
periodo di espiazione della pena necessario per la concessione del primo permesso premio, in
relazione allÕentitˆ della sanzione detentiva inßitta a colui che formula la richiesta:
a) per i condannati alla pena dellÕarresto o della reclusione non superiore a 4 anni Ñ> permesso
concedibile in qualunque momento dellÕesecuzione; non • previsto un quantum di pena per la
concessione del permesso. Tuttavia, ci˜ non signiÞca che il permesso premio sia
immediatamente fruibile, occorrendo pur sempre agli operatori trattamentali un periodo di
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tempo per lÕosservazione della personalitˆ del richiedente e per la predisposizione del
programma di trattamento
b) per i condannati alla reclusione superiore a 4 anni, per un delitto diverso di quelli di cui allÕart.
4 bis Ñ> concessione ammessa dopo lÕespiazione di 1/4 della pena
c) per i condannati alla reclusione dei delitti di cui allÕart. 4 bis Ñ> espiazione di almeno metˆ
della pena e, comunque, di non oltre 10 anni.
In caso di cumulo di pene riguardanti anche reati ÒcomuniÓ, deve ritenersi operante lo
scioglimento del cumulo, per cui si calcolano le quote (1/4 o metˆ) corrispondenti a ciascuna
parte della pena singolarmente considerata, e poi si sommano le entitˆ cos“ ottenute.
Inoltre, i condannati per i delitti allÕart. 4 bis possono usufruire dei permessi premio solo a
condizione di aver rimosso la condizione ostativa. Quando ci˜ avviene attraverso unÕeffettiva
collaborazione con la giustizia, non trova pi• applicazione il maggior limite di pena della metˆ,
per cui • sufÞciente aver scontato 1/4 della pena. Al contrario, quando ci˜ si veriÞca in assenza
di collaborazione con la giustizia, la quota di pena da espiare per poter accedere al permesso
resta immutata
d) per i condannati allÕergastolo Ñ> concessione ammessa dopo 10 anni di pena
e) nel caso di commissione di un reato doloso durate lÕespiazione della pena o lÕesecuzione della
misura cautelare Ñ> concessione ammessa solo decorsi due anni dalla commissione del fatto
Ai Þni del computo dei termini, si considera come scontata anche la parte di pena detratta a titolo di
liberazione anticipata.

Requisiti soggettivi
La valutazione sulla concessione viene eseguita dal magistrato di sorveglianza.
¥ Il condannato deve avere tenuto regolare condotta Ñ> ovvero senso di responsabilitˆ e
correttezza nel comportamento personale, nelle attivitˆ collettive, lavorative e culturali.
é determinante il parere, obbligatorio ma non vincolante, del direttore dell'istituto penitenziario,
che si avvarrˆ delle opinioni del gruppo di osservazione.
¥ Il condannato non deve risultare socialmente pericoloso Ñ> il requisito • concorrente con il
precedente e deve essere valutato autonomamente. Questo accertamento comporta un giudizio
prognostico consistente la valutazione della probabilitˆ di futura commissione di altri reati
(acquisizione del certiÞcato penale, della sentenza di condanna, richiesta di informazione alla
polizia).
Al Þne di non dilatare eccessivamente i tempi di fruizione del permesso e quindi di non ostacolare
il percorso di reinserimento sociale del condannato, si prevede che tale procedura, una volta
esperita dal magistrato di sorveglianza in occasione della prima concessione del permesso, non
debba essere necessariamente ripetuta in relazione a quelli successivi.
¥ Il permesso deve consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro Ñ> Þnalitˆ non
tassativi, tra cui pu˜ rientrare per esempio i sostenere esami universitari

Durata e modalitˆ esecutive


I permessi premio possono essere concessi ripetutamente e per un tempo pi• lungo rispetto a quelli
umanitari. In particolare, il singolo permesso pu˜ avere durata massima di 15 giorni (30 per i
minorenni) e il condannato pu˜ usufruire di un massimo di 45 giorni (100 per i minorenni) di
permesso per ogni anno di espiazione della pena (e non per ogni anno solare).
LÕistanza di permesso • presentata dal condannato o dagli altri soggetti previsti dallÕart. 57
(condannato, internato o loro congiunti, difensore, gruppo di osservazione e trattamento).
Nel decreto motivato con cui il magistrato di sorveglianza lo concede sono indicate le prescrizioni
cui il beneÞciario del processo dovrˆ attenersi, relative ad esempio allÕitinerario da seguire, al
domicilio, al divieto di frequentare determinati soggetti e allÕorario di rientro. Per i condannati di
cui allÕart. 4 bis possono essere stabilite prescrizioni speciÞche, volte ad impedire il pericolo del
ripristino di collegamenti con la criminalitˆ organizzata, terroristica o eversiva. Queste prescrizioni
possono consistere:
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nel divieto di svolgere determinate attivitˆ (es. divieto di utilizzare i social network)
nel divieto di avere rapporti con determinate persone (es. alcuni familiari socialmente pericolosi)
nel divieto di soggiornare in uno o pi• comuni
nellÕobbligo di soggiornare in un comune determinato
Questa misura tende alla responsabilizzazione del condannato, per questo la scorta armata viene
considerata eccezionale: di regola infatti ci si limita a controlli sul rispetto delle prescrizioni,
effettuati dalle forze di polizia presenti sul territorio e dal corpo di polizia penitenziaria.
A tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, quando un condannato per delitti allÕart.
659 cpp (es. maltrattamenti in famiglia, stalking o violenza sessuale) esce dal carcere a seguito della
concessione di un permesso o di una misura alternativa alla detenzione, il pubblico ministero che
cura lÕesecuzione della sentenza deve darne immediata comunicazione alla persona offesa, con lo
scopo di evitare che essa sia colta alla sprovvista dallÕanticipato ritorno in libertˆ.

DISCIPLINA COMUNE PERMESSI DI NECESSITË E PERMESSI PREMIO


Nonostante le signiÞcative differenze, i permessi di necessitˆ e i permessi premio possiedono una
disciplina comune in relazione a tre proÞli:
1. le conseguenze del mancato rientro
2. il computo del periodo trascorso in permesso nella durata della pena
3. la procedura di reclamo

1. Conseguenze del mancato rientro


Le conseguenze del mancato rientro variano in base allÕentitˆ del ritardo:
¥ Þno alle 3 ore Ñ> non • prevista alcuna sanzione. Il giudice, per˜, nel momento in cui sarˆ
nuovamente investito di una richiesta di permesso, potrˆ tener conto della condotta del soggetto
¥ dalle 3 alle 12 ore Ñ> al detenuto viene contestata una delle pi• gravi infrazioni disciplinari
¥ dalle 12 ore Ñ> il condannato, oltre ad incorrere nella medesima infrazione disciplinare, •
punibile penalmente a titolo di evasione ÒimpropriaÓ e non pu˜ pi• chiedere, per i successivi tre
anni, nŽ i permessi premio nŽ gli altri beneÞci previsti dallÕart. 58 quater co.1

2. Computo del periodo trascorso in permesso nella durata della pena


Per calcolare la durata della pena giˆ espiata o di quella residua, i giorni passati in permesso
contano come se fossero stati trascorsi in carcere: la loro fruizione, quindi, non comporta un
ulteriore periodo di detenzione, cos“ che la scadenza del Þne-pena rimane inalterata.
Tuttavia, in caso di mancato rientro o in caso di altri gravi comportamenti, il magistrato di
sorveglianza pu˜, con decreto motivato, disporre che il tempo trascorso in permesso non sia
computato come pena espiata.

3. Reclamo
Contro il decreto motivato con cui viene concesso o negato il permesso • prevista la possibilitˆ di
reclamo: in caso di rigetto dellÕistanza il reclamo pu˜ essere presentato dal detenuto o dal suo
difensore, mentre in caso di concessione legittimato ad impugnare • il pubblico ministero (che
potrebbe per esempio ritenere che il fruitore del promesso premio sia persona socialmente
pericolosa).
Il termine per proporre lÕimpugnazione (che deve essere corredata da motivi speciÞci a pena di
inammissibilitˆ) • differente in relazione alle due tipologie esaminate:
¥ permessi di necessitˆ Ñ> il termine • di 24 ore, decorrenti dalla comunicazione del
provvedimento: un termine cos“ breve • giustiÞcato dallÕurgenza di pervenire ad una decisione
¥ permessi premio Ñ> originariamente era previsto il medesimo termine di 24 ore; oggi invece il
termine • di 15 giorni. Infatti il breve termine di 24 ore appariva contrastante con il diritto del
detenuto di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa.

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LÕorgano competente per il reclamo si individua in base al giudice che si • pronunciato in primo
grado:
¥ se il permesso • stato concesso dal magistrato di sorveglianza Ñ> competenza del tribunale di
sorveglianza
¥ se la decisione • stata assunta prima del passaggio in giudicato della sentenza Ñ> competenza
della Corte dÕappello
La decisione sul reclamo deve essere assunta nel pieno contraddittorio tra il pubblico ministero e il
difensore ed • ricorribile per cassazione.

LE LICENZE
Le licenze (art. 53) costituiscono provvedimenti restitutivi della libertˆ analoghi ai permessi e che
sono per˜ destinate unicamente agli internati (sia a quelli ristretti in una colonia agricola o casa di
lavoro, sia a quelli ospitati nelle REMS).
Sono previste due tipologie di licenze:
ordinarie Ñ> sono strumentali al reinserimento sociale dellÕinternato, da conseguire attraverso la
sperimentazione della vita nella societˆ libera. Possono essere concesse una volta allÕanno (per
una durata non superiore a 30 giorni) o nel periodo immediatamente antecedente al riesame della
pericolositˆ ex art. 679 c.p.p. (per una durata non superiore a sei mesi) allo scopo di favorire
lÕesito positivo di tale giudizio (licenza Þnale di esperimento)
straordinarie Ñ> sono Þnalizzate a far fronte a gravi esigenze personali e familiari e si
aggiungono, con una portata applicativa pi• estesa, ai permessi di necessitˆ. Possono avere una
durata non superiore a 15 giorni.
Il tempo trascorso dallÕinternato in licenza • computato a ogni effetto nella durata della misura di
sicurezza custodiale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti.
La competenza a concedere le licenze appartiene al magistrato di sorveglianza che procede de plano
con decreto motivato. La giurisprudenza reputa ammissibile lÕappello dinanzi al tribunale di
sorveglianza.

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IL LAVORO

- Nei sistemi penali imperniati sullÕidea retributiva e general-preventiva, il lavoro era prescritto,
quale modalitˆ di espiazione della pena detentiva, in chiave afßittiva: i detenuti venivano assegnati
a svolgere attivitˆ ad esaurimento, prive di utilitˆ e incapaci di procurare gratiÞcazione.
- Con la progressiva valorizzazione della funzione rieducativa e special-preventiva della pena, il
lavoro detentivo si • andato invece affermando quale strumento di recupero del condannato.
In questa chiave riabilitativa, esso ha per˜ patito la graduale trasformazione del concetto di
ÒrieducazioneÓ. Inizialmente, infatti, il lavoro veniva concepito (insieme a istruzione e religione)
quale strumento diretto alla modiÞcazione della persona. Il lavoro al quale ogni detenuto era adibito
rappresentava un mezzo per ÒabituareÓ questÕultimo allÕosservanza delle regole sociali. La
manodopera carceraria veniva spesso impiegata dallÕamministrazione per la gestione di vere e
proprie imprese pubbliche.
La riforma penitenziaria del 1975 ha sottoposto ad una profonda revisione, alla luce dei principi
della Costituzione, sia il concetto di rieducazione, sia il ruolo del lavoro detentivo.
LÕordinamento penitenziario vigente individua lÕobiettivo della rieducazione nel reinserimento del
condannato nella societˆ e declina lÕopera rieducativa dellÕamministrazione in termini
promozionali, cos“ da rendere il condannato autore e protagonista della propria risocializzazione.
Il lavoro rappresenta oggi il principale strumento di realizzazione della persona e di emancipazione
sociale.
- Il lavoro ha una posizione privilegiata tra i molteplici strumenti previsti per il trattamento dei
detenuti. Le norme vigenti:
¥ lo collocano tra gli elementi dei quali principalmente il trattamento si avvale
¥ prescrivono che venga assicurato ai detenuti e gli internati, salvi soltanto casi di impossibilitˆ
¥ raccomandano che, nelle strutture detentive, la destinazione di detenuti e internati ad occupazioni
lavorative sia favorita Òin ogni modoÓ
- La disciplina vigente Þssa tre connotazioni necessarie del lavoro detentivo:
1. non deve avere carattere afßittivo
2. deve essere remunerato, per gratiÞcare e responsabilizzare il detenuto
3. deve essere organizzato secondo metodi che rißettono quelli del lavoro nella societˆ libera,
afÞnchŽ possa predisporre al meglio il condannato al suo rientro nella societˆ

1. Non deve avere carattere afßittivo


LÕesclusione di qualsiasi afßittivitˆ allinea la disciplina del lavoro penitenziario agli standard
sovranazionali. La Corte di Strasburgo ha chiarito come la previsione di lavoro obbligatorio sia
convenzionalmente conforme nella misura in cui lÕattivitˆ lavorativa non ecceda i limiti considerati
ordinari nel contesto detentivo e purchŽ la stessa non comporti un aggravamento della pena.

2. Deve essere remunerato


La remunerazione non viene prevista (come nel regolamento carcerario del 1931) quale
discrezionale elargizione, ma quale corrispettivo, proporzionato alla quantitˆ e qualitˆ del lavoro
prestato e ragguagliato alla contrattazione collettiva, ancorchŽ diminuito (di 1/3) rispetto ai livelli
retributivi comuni.
Il disallineamento retributivo comunque esistente rispetto al lavoro delle persone libere • stato
ritenuto giustiÞcabile dalla Corte costituzionale sulla base della minore produttivitˆ delle
prestazioni dei detenuti, in ragione delle loro particolari caratteristiche e condizioni rispetto a quelle
rese dalle persone libere. Essa pu˜ essere giustiÞcata come una sorta di partecipazione alle spese di
organizzazione sostenute dallÕamministrazione penitenziaria che, a differenza degli altri soggetti,
non si preÞgge utili.
Sulla remunerazione vengono poi prelevate le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, le
spese per il mantenimento in carcere e le somme dovute a titolo di rimborso delle spese di giustizia.

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Tale quota, tuttavia, • esposta al pignoramento o al sequestro per obbligazioni alimentari, nonchŽ
per il risarcimento dei danni cagionati a beni dellÕamministrazione.
In ogni caso, la Corte costituzionale ha chiarito che la retribuzione del lavoro detentivo • sempre
assoggettata ai principi di proporzionalitˆ e sufÞcienza (art. 36 Cost.), sottolineando come una
remunerazione di gran lunga inferiore alla normale retribuzione sarebbe diseducativa e
controproducente; il detenuto non troverebbe alcun incentivo e interesse a lavorare.
Per quanto riguarda il lavoro allÕesterno, il detenuto pu˜ esercitare tutti i diritti riconosciuti ai
lavoratori liberi. Manca per˜ una previsione analoga riferibile a chi svolge lavoro intramurario. Ad
essi risultano applicabili due disposizioni che riconoscono alcuni diritti: lÕoperativitˆ delle norme
lavoristiche generali su orario di lavoro, riposo festivo, ferie annuali, tutela assicurativa e
previdenziale e il diritto agli assegni familiari.

3. Deve essere organizzato secondo metodi che rißettono quelli del lavoro nella societˆ libera
LÕorganizzazione e i metodi devono rißettere quelli del lavoro nella societˆ libera. Ci˜ serve a far
acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative. Il
lavoro detentivo deve cio• preparare il condannato al suo reinserimento nella societˆ, non solo
favorendone lÕoccupabilitˆ, ma anche facendogli acquisire la consapevolezza del proprio ruolo
sociale. Esso non potrebbe, per esempio, avere ad oggetto attivitˆ improduttive.
Nel testo originario del co. 3 dellÕart. 20 si prevedeva, per condannati e persone sottoposte alle
misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro, un obbligo di lavorare, la cui
inosservanza era ritenuta sanzionabile. In questo senso, la previsione dellÕobbligatorietˆ dava
attuazione alle norme del codice penale, di impronta correzionalistica, in cui il lavoro compare tra i
contenuti necessari delle pene detentive. Tale previsione tuttavia risultava difÞcilmente
giustiÞcabile alla luce della moderna concezione personalistica della rieducazione, nella quale il
lavoro • utile solo se svolto a seguito di una scelta di autorealizzazione e non in osservanza di una
imposizione.
La previsione dellÕobbligatorietˆ • stata quindi eliminata con il d.lgs. 124/2018: oggi infatti
lÕattivitˆ lavorativa rientra in una pi• ampia offerta di trattamento che implica, in ogni caso,
lÕaccettazione da parte del recluso.

- Il direttore, sentito il parere del gruppo di osservazione, del preposto alle lavorazioni e del datore,
dispone lÕesclusione dallÕattivitˆ lavorativa del detenuto o dellÕinternato che tenga una condotta di
sostanziale inadempimento dei suoi compiti e doveri lavorativi, ad evitare che detenuti non
responsivi rispetto a questo tipo di offerta trattamentale sottraggano inutilmente posizioni lavorative
che possono essere destinate ad altri.
Per i detenuti in attesa di giudizio (che non sono destinatari di alcun trattamento rieducativo), lo
svolgimento di attivitˆ lavorative • consentito, su richiesta del recluso, salvo giustiÞcati motivi o
contrarie disposizioni dellÕautoritˆ giudiziaria. Essi possono chiedere di svolgere attivitˆ lavorative
e di formazione professionale durante il periodo di detenzione. LÕamministrazione penitenziaria •
tenuta a consentirle per sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.
- Il lavoro pu˜ svolgersi sia allÕinterno che allÕesterno dellÕistituto e pu˜ essere prestato alle
dipendenze dellÕamministrazione penitenziaria o di imprese pubbliche o private.
Amministrazione penitenziaria Ñ> il lavoro intramurario alle dipendenze dellÕamministrazione
penitenziaria pu˜ avere ad oggetto:
¥ attivitˆ correlate alla gestione dellÕistituto di pena (pulizie, barbiere, magazziniere ecc.)
¥ produzione di beni destinati ai consumi interni dellÕistituto
¥ lavorazione Þnalizzate alla produzione di beni e alla fornitura di servizi
Allo scopo di promuovere il prodotto del lavoro carcerario, lÕamministrazione penitenziaria pu˜
vendere allÕesterno i prodotti delle lavorazioni e rendere i servizi a prezzo pari, o anche inferiore, al
costo, e che possa afÞdare a privati lÕimmissione e la distribuzione sul mercato dei beni prodotti.
Imprese esterne Ñ> alle imprese pubbliche o private, e in particolare alle cooperative sociali, •
consentito gestire lavorazioni sulla base di convenzioni con le direzioni degli istituti di pena. é per˜
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previsto che i detenuti impiegati vengano assunti e retribuiti dallÕimpresa che gestisce la
lavorazione, la quale • poi tenuta a versare la retribuzione alla direzione dellÕistituto.
- Nonostante lÕattenzione del legislatore, la scarsa offerta di lavoro rappresenta un proÞlo critico
del sistema, data la centralitˆ di questo strumento trattamentale. Le imprese infatti investono con
difÞcoltˆ nel lavoro penitenziario, poichŽ la manodopera detentiva • meno appetibile di quella
libera, in quanto, a paritˆ di costi, • bisognosa di sforzi organizzativi maggiori.
Inoltre, il lavoro detentivo, a differenza di quello scelto nella societˆ libera, non pu˜ essere ricercato
e scelto: le possibilitˆ occupazionali vengono ripartite tra i detenuti dallÕamministrazione
penitenziaria stessa. Si tratta di un proÞlo di specialitˆ rispetto al lavoro delle persone libere e la
legge disciplina dettagliatamente la materia, imponendo assegnazioni secondo criteri equi e
trasparenti.
- La formazione delle liste di collocamento al lavoro • afÞdata ad unÕapposita commissione
presente in ogni istituto, che forma due elenchi: uno generico e lÕaltro per qualiÞca.
La distribuzione delle attivitˆ lavorative tra i detenuti deve avvenire esclusivamente sulla base di
parametri obiettivi, ossia tenendo conto:
dellÕanzianitˆ di disoccupazione durante la detenzione
dei carichi familiari
della preparazione professionale
delle aspettative lavorative dopo la dimissione
e privilegiando, a paritˆ di condizioni, i condannati rispetto agli imputati
Ai detenuti sottoposti a regime di sorveglianza 14 bis • precluso lo svolgimento di attivitˆ
lavorative.

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE
LÕart. 19 disciplina le attivitˆ dirette alla formazione professionale, insieme alle attivitˆ di
istruzione. Formazione professionale e lavoro sono accomunate entrambe al lavoro, per la loro
attitudine a procurare strumenti preziosi per il reingresso sociale del condanno con particolare
riferimento al reinserimento lavorativo.
LÕimportanza di questo tipo di offerta trattamentale • andata crescendo negli ultimi anni in ragione
della profonda evoluzione del mondo del lavoro: il progresso tecnologico e lo sviluppo del settore
terziario richiedono oggi ai lavoratori il possesso di competenze sempre pi• complesse e
specialistiche.
Queste attivitˆ consentono perci˜ lÕacquisizione di titoli e competenze preziosi a persone spesso
prive di qualsiasi professionalitˆ e permettono ai detenuti di mantenere e arricchire la propria
occupabilitˆ dopo la dimissione.
Per questo motivo la formazione professionale Þgura tra gli elementi principali del trattamento
rieducativo.
Per la frequenza di corsi di formazione professionale • prevista la corresponsione di un sussidio
orario e il riconoscimento di un premio di rendimento per chi abbia frequentato con proÞtto. Al Þne
di consentire ai reclusi la frequenza di corsi di formazione fuori dallÕistituto pu˜ trovare
applicazione la disciplina prevista per il lavoro allÕesterno.

LA PARTECIPAZIONE A PROGETTI DI PUBBLICA UTILITË


- LÕart. 20 ter prevede la possibilitˆ, per detenuti e internati, di partecipare gratuitamente, previa
richiesta, a progetti di pubblica utilitˆ, ossia a progetti rivolti a vantaggio di amministrazioni dello
Stato, regioni, province, comuni, comunitˆ montane, unione di comuni, aziende sanitarie locali, enti
o organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.
- La partecipazione a progetti di pubblica utilitˆ • un istituto somigliante alle fattispecie di lavoro di
pubblica utilitˆ presenti in molti ambiti dellÕordinamento penale con funzione pi• o meno
direttamente sanzionatoria, che da queste per˜ si distingue per il ruolo esclusivamente trattamentale.
é uno strumento vantaggioso, sia perchŽ di pi• facile organizzazione rispetto al lavoro, sia perchŽ
pi• adattabile alle caratteristiche particolari delle persone recluse e alla loro condizione detentiva.
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- La partecipazione a progetti di pubblica utilitˆ • riferibile ad attivitˆ quantitativamente e


qualitativamente diverse dal lavoro: pu˜ avvenire anche a livello ideativo od organizzativo e in
misura e a titoli non predeÞniti; il progetto inoltre deve avere una durata limitata nel tempo.
Rispetto al lavoro detentivo • anche diversa la portata rieducativa. Per il lavoro, essa si basa sulla
capacitˆ di garantire autorealizzazione economica e professionale, ed • condizionata alla prossimitˆ
tra lÕattivitˆ svolta in carcere e il lavoro nella societˆ libera. Nel caso di progetti di pubblica utilitˆ,
invece, la portata rieducativa si basa sullÕimpegnarsi per gli altri. Il detenuto che partecipa a progetti
di pubblica utilitˆ ha, piuttosto, la possibilitˆ di svolgere, secondo le proprie possibilitˆ e la propria
scelta, unÕattivitˆ o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della societˆ.
- LÕintroduzione dei progetti di pubblica utilitˆ tra i possibili mezzi trattamentali non intacca la
centralitˆ del lavoro. La partecipazione a tali progetti pu˜ infatti al massimo integrare lÕofferta
trattamentale, afÞancando quella lavorativa, che resta tuttavia lÕunica imprescindibile.
Il progetto di pubblica utilitˆ non pu˜ infatti avere ad oggetto la gestione o lÕesecuzione di servizi di
istituto. Il divieto ha un duplice scopo:
¥ scongiurare il rischio che i progetti di pubblica utilitˆ provochino la diminuzione dellÕofferta di
lavoro retribuito connessa ai bisogni interni della comunitˆ carceraria, che rappresenta
lÕopportunitˆ lavorativa maggiormente diffusa
¥ evitare che lÕamministrazione possa risparmiare sul costo dei servizi avvantaggiandosi del lavoro
gratuito svolto dai reclusi
In ogni caso, lÕorganizzazione dei progetti non esonera lÕamministrazione dal dovere di garantire a
detenuti e internati unÕofferta lavorativa. In caso contrario, verrebbe elusa la previsione normativa
che vuole remunerato il lavoro penitenziario.
- Sono previsti due regimi particolari, in relazione ai detenuti per reati ostativi:
1) persone recluse per il delitto di associazione maÞosa e per i delitti aggravati dal metodo
maÞoso o diretti ad agevolare la maÞa Ñ> possono partecipare a progetti, senza limitazioni,
attraverso attivitˆ intra moenia, ma non possono prestare la propria attivitˆ allÕesterno
2) persone recluse per reati diversi da quelli maÞosi, ma comunque ostativi ai sensi dellÕart. 4 bis
Ñ> sono sempre ammesse a partecipare ai progetti, anche attraverso attivitˆ da svolgere extra
moenia, con provvedimento del direttore approvato dal magistrato di sorveglianza. Il magistrato
per˜ decide dopo aver acquisito dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale
per lÕordine e la sicurezza pubblica

IL LAVORO ALLÕESTERNO
- Il lavoro allÕesterno consiste nella possibilitˆ per i detenuti e gli internati di essere assegnati ad
una attivitˆ lavorativa che si svolge fuori dallÕistituto di pena (art. 21). Il maggior pregio • nel
rapporto costruttivo che il detenuto pu˜ instaurare con la societˆ libera.
Questa Þgura • stata introdotta dalla legge del 1975: il regolamento penitenziario del 1931
prevedeva solo Òcolonie mobiliÓ, che consentivano ai detenuti di uscire dallÕistituto per lavorare
allÕaperto, senza contatti col mondo esterno e senza autonomi spazi di libertˆ.
Nella versione originaria dellÕart. 21, la fattispecie aveva un ambito operativo limitato alle imprese
agricole e industriali per ragioni attinenti alla sicurezza e lasciava fuori dallÕambito applicativo
lÕofferta proveniente dallÕimportante settore del terziario (commercio e servizi). Ancora pi• ridotta
era la sua applicazione concreta.
La legge 663/1986 (Legge Gozzini) ne ha ampliato lo spazio applicativo, per consentire la massima
espansione possibile a questo tipo di trattamento di educativo, e ha previsto un procedimento di
ammissione controllata dal giudice, sulla falsariga delle misure alternative alla detenzione.
- Oggi il lavoro esterno si connota quindi come modalitˆ di trattamento preparatoria alle forme pi•
avanzate, ovvero le misure alternative alla detenzione, e potenzialmente sostitutiva di queste misure
nei casi in cui esse non risultino praticabili.
LÕassegnazione al lavoro allÕesterno deve essere disposta in conformitˆ agli scopi di rieducazione,
con lÕesclusione quindi di attivitˆ organizzate in modo precario o prive di sufÞcienti garanzie per il

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detenuto. LÕistituto non incontra limiti applicativi correlati alla tipologia della prestazione lavorativa
o al tipo di datore (originariamente era prevista una limitazione alle aziende agricole o industriali).
- La selezione dei detenuti da avviare al lavoro esterno e la loro ammissione sono di competenza
della direzione dellÕistituto, sulla base delle valutazioni formulate dallÕŽquipe di osservazione, e in
conformitˆ al programma di trattamento. Ma sono sottoposte al controllo del magistrato di
sorveglianza per condannati e internati, e dellÕautoritˆ giudiziaria procedente per gli imputati. Tale
veriÞca tiene conto della natura del reato, della durata della pena e del pericolo di commissione di
reati, e conduce allÕemanazione di un decreto. In questo modo il provvedimento di ammissione
riceve da parte del magistrato di sorveglianza un doppio controllo:
¥ uno preventivo e di mera legittimitˆ, insieme al programma di trattamento
¥ un altro successivo, che attiene al merito della misura, ossia alla sua opportunitˆ
- La somiglianza alle misure alternative • evidente anche nelle preclusioni soggettive.
I condannati per uno dei reati allÕart. 4 bis co. 1, 1 ter e 1 quater possono essere ammessi al lavoro
esterno solo dopo lÕespirazione di almeno 1/3 della pena, e comunque non oltre 5 anni, in caso di
pena temporanea, e di almeno 10 anni in caso di ergastolo.
Per i condannati per reati compresi nellÕart. 4 bis co. 1 la preclusione cade nellÕipotesi di
collaborazione con la giustizia. In mancanza di collaborazione la concessione • subordinata ad
elementi aggiuntivi da allegare ad opera del richiedente. é inoltre preceduta da una speciale
istruttoria che impone complessi accertamenti e lÕacquisizione di numerose informative. Questa
istruttoria rafforzata non • per˜ necessaria quando si richiede la modiÞca del provvedimento di
ammissione al lavoro allÕesterno e non non siano trascorsi pi• di tre mesi da quando lo stesso •
divenuto esecutivo in seguito allÕapprovazione del magistrato di sorveglianza.
Inoltre, lÕammissione al lavoro allÕesterno • interdetta per 3 anni ove il condannato per uno dei
delitti allÕart. 4 bis abbia posto in essere una condotta di evasione o subito la revoca di una misura
alternativa. LÕinterdizione dura per 5 anni quando gli stessi hanno commesso durante il lavoro
allÕesterno un delitto doloso punibile con la reclusione non inferiore nel massimo tre anni.
- Una forma del tutto particolare di lavoro allÕesterno • quella delle attivitˆ prestate dai detenuti a
titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi.
Si tratta di attivitˆ il cui signiÞcato educativo risiede nella loro valenza risarcitoria dei danni
cagionati attraverso reato. Queste attivitˆ possono inoltre costituire lÕesito di un programma di
giustizia riparativa alla Þne di un percorso di incontro tra lÕautore del reato e la vittima o i familiari
di questa.
LÕaccesso alle attivitˆ di sostegno alle famiglie delle vittime • precluso ai condannati per
associazione maÞosa o per reati aggravati dal metodo maÞoso o commessi per agevolare
unÕassociazione maÞosa.

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➢ CAPITOLO IV: La tutela dei diritti dei detenuti

PRINCIPI GENERALI
Il detenuto • titolare di posizioni soggettive attive qualiÞcabili come diritti che, in parte, sono gli
stessi, anche se inferiori per numero o per estensione, riconosciuti al soggetto libero.
La restrizione della libertˆ personale infatti non pu˜ comportare il sacriÞcio di posizioni soggettive
attraverso un generalizzato assoggettamento allÕorganizzazione penitenziaria. Ci˜ sarebbe estraneo
al vigente ordinamento costituzionale che si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti
inviolabili.
Al conferimento dei diritti segue lÕaffermazione del potere di farli valere dinanzi ad un giudice terzo
e imparziale in un procedimento giurisdizionale.

¥ Art. 1 co. 3 ord. penit. Ñ> prevede che siano garantiti i diritti fondamentali ad ogni persona
privata della libertˆ.
Il detenuto viene visto come persona posta al centro dellÕesecuzione e titolare di tutti quei diritti il
cui esercizio non sia strettamente incompatibile con la restrizione della libertˆ personale. I diritti
fondamentali costituiscono quel patrimonio inviolabile della persona ristretta che la pena non
intacca.
¥ Art. 4 ord. penit. Ñ> afferma che i detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro
derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale.
Questo articolo postula una piena equiparazione tra capacitˆ giuridica e capacitˆ di agire.

La soggettivitˆ giuridica • sostanziale, in quanto il recluso viene identiÞcato e deÞnito quale titolare
di diritti e di aspettative, ed • formale, in quanto egli viene legittimato allÕagire giuridico proprio
nella qualitˆ di titolare di diritti che appartengono alla condizione di detenuto.

Quali diritti appartengono al detenuto?


i diritti inviolabili Ñ> diritti riconosciuti alla persona in quanto tale, a prescindere dallo stato di
privazione della libertˆ personale, pur con le limitazioni essenziali allo stato detentivo (dignitˆ,
uguaglianza, rispetto della persona umana). Questi diritti non possono essere violati.
La reclusone pone la persona in una condizione di vulnerabilitˆ, e proprio per questo i diritti
inviolabili rappresentano un contenuto minimo.
un secondo livello di situazioni soggettive appare invece riferibile alle sole persone detenute,
indipendentemente dal titolo (esecutivo o cautelare), e si tratta dei dritti relativi allÕintegritˆ
Þsica, di quelli relativi alla tutela dei rapporti familiari e sociali, e dei diritti relativi allÕintegritˆ
morale e culturale e del diritto al lavoro.
nei confronti dei soli detenuti deÞnitivi opera il diritto a vedere Þnalizzata lÕesecuzione della
pena al recupero sociale

GENESI ED EVOLUZIONE DELLA TUTELA DEI DIRITTI IN AMBITO


PENITENZIARIO
- Nel sistema penitenziario italiano la tutela dei diritti dei detenuti viene assicurata da un complesso
di norme che individua nel magistrato di sorveglianza il principale referente giurisdizionale. Egli si
occupa di tutto ci˜ che attiene al trattamento penitenziario, indipendentemente dalla natura dei
diritti e degli interessi coinvolti e a prescindere dagli strumenti processuali disponibili.
Vi • anche la necessitˆ di garantire una concentrazione della tutela giurisdizionale e una sua reale
effettivitˆ. Risulta quindi di determinante rilievo il reclamo giurisdizionale (art. 35 bis) Ñ> il
reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza segna una tappa decisiva nel cammino verso il
riconoscimento di una piena ed effettiva tutela dei diritti del detenuto. Il diritto a far valere avanti ad

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un giudice una posizione giuridica di diritto sostanziale non si lascia ridurre alla mera possibilitˆ di
proporre istanze o sollecitazioni destinate a una trattazione fuori dalle garanzie procedimentali
minime costituzionalmente dovute, quali la possibilitˆ del contraddittorio, la stabilitˆ della
decisione e lÕimpugnabilitˆ con ricorso per cassazione.
Al di fuori degli articoli 14 ter (regime di sorveglianza particolare), 41 bis (carcere duro), 69 co. 6
(applicabilitˆ dellÕart. 14 ter alla materia disciplinare e lavorativa), la tutela di tutte le altre
situazioni giuridiche era rimasta afÞdata al diritto di reclamo (art. 35) Ñ> unico strumento di tutela
riconosciuto, in base al quale i detenuti e gli internati possono rivolgere istanze e reclami orali o
scritti, anche in busta chiusa, al direttore dellÕistituto, al provveditore regionale, al Capo del
dipartimento dellÕamministrazione penitenziaria, al Ministro della giustizia, alle autoritˆ giudiziarie
e sanitarie in visita allÕistituto, al Garante nazionale e ai Garanti regionali o locali dei diritti dei
detenuti, al Presidente della giunta regionale, al Capo dello Stato e al magistrato di sorveglianza.
- I diritti dei detenuti hanno necessitato di un lungo iter giurisprudenziale per giungere a
riconoscimento di una concreta giustiziabilitˆ.
- Corte Cost. sent. 26 del 1999: solo alla Þne degli anni 90 si • avuta unÕimportante svolta grazie ad
un intervento della corte costituzionale, la quale ha dichiarato lÕincostituzionalitˆ degli articoli 35 e
69 nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti
dellÕamministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della
libertˆ personale.
é cos“ iniziato un lento processo volto a colmare lÕinerzia del legislatore: da un lato, la sentenza
metteva deÞnitivamente a nudo le carenze del sistema normativo in materia di diritti dei detenuti;
dallÕaltro lato, rinviava alla discrezionalitˆ delle legislatore il compito di individuare il modello
procedimentale idoneo a garantire la tutela dei diritti.
Successivamente si • sviluppato un contrasto giurisprudenziale tra:
¥ chi riteneva che il rimedio dovesse continuare ad essere il reclamo ex art. 35, con la conseguenza
di un provvedimento del magistrato di sorveglianza non soggetto ad ulteriori controlli nŽ del
tribunale di sorveglianza nŽ della corte di legittimitˆ
¥ chi riteneva che il magistrato di sorveglianza dovesse decidere attraverso il procedimento degli
artt. 666 e 678 c.p.p., quindi ricorribile per cassazione
- Questo contrasto giurisprudenziale ha trovato composizione in una sentenza delle sezioni unite.
Cass. sez. un. 26 febbraio 2003, n. 25079: ha precisato che i meccanismi operanti in chiave di
tutela delle posizioni soggettive del detenuto competono in via esclusiva al magistrato di
sorveglianza e ha affermato che alla giurisdizione della magistratura di sorveglianza va devoluta
anche la tutela degli interessi legittimi scaturenti da un atto dellÕautoritˆ amministrativa (con
riferimento al procedimento di reclamo ex art. 14 ter).
- Corte Cost. sent. 266/2009: unÕulteriore importante pronuncia ha stabilito che i provvedimenti con
cui il magistrato di sorveglianza impartisce disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei
diritti dei condannati e degli internati devono ritenersi vincolanti per lÕamministrazione
penitenziaria, attesa la Þnalitˆ di tutela perseguita dallÕart. 69 co. 5.
Per oltre 15 anni il monito della corte costituzionale • rimasto inascoltato, con la conseguenza che
la competenza in materia di tutela dei diritti in capo alla magistratura di sorveglianza non solo •
restata monca (perchŽ priva dei meccanismi dellÕesecuzione forzata), ma • stata anche ritenuta
sussistente solo in virt• del diritto vivente e non perchŽ il legislatore avesse riempito quel vuoto.
- Con due importanti pronunce della Corte europea dei diritti dellÕuomo (ÒSulejmanovicÓ e
ÒTorreggianiÓ), si perviene dunque allÕintroduzione nellÕordinamento italiano di un ricorso interno.
Il giudice di Strasburgo rilevava l'assenza nellÕordinamento italiano di rimedi effettivi che
consentissero sia di intervenire per interrompere immediatamente una violazione in atto (rimedi
preventivi), sia di fornire una adeguata riparazione del danno subito a causa della violazione (rimedi
compensativi) e formulava di conseguenza precise indicazioni precettive cui lo Stato doveva dare
attuazione.
- L. 117 del 2014: viene introdotto il reclamo giurisdizionale (art. 35 bis).

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IL RECLAMO ÒGENERICOÓ (ART. 35)


- LÕart. 35 consente al detenuto di avanzare istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa.
Si tratta del reclamo generico, attraverso il quale il detenuto pu˜ rivolgersi a determinate autoritˆ
esterne e interne all'amministrazione penitenziaria per metterle al corrente di una o pi• doglianze.
La norma contiene un elenco di destinatari:
a. direttore dellÕistituto, provveditore regionale, capo del dipartimento dellÕamministrazione
penitenziaria, Ministro della giustizia
b. autoritˆ giudiziarie o sanitarie in visita presso lÕistituto (es. Presidente della corte dÕappello,
Presidente del tribunale, medico provinciale ecc.)
c. Garante nazionale e i Garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti
d. Presidente della giunta regionale
e. Magistrato di sorveglianza
f. Capo dello Stato
- Il reclamo generico rappresenta una forma di garanzia molto limitata, in quanto residuale rispetto
allÕarea espressamente riservata alla tutela giurisdizionale del magistrato di sorveglianza, sebbene
consenta di dirigersi verso qualunque aspetto dellÕorganizzazione della vita penitenziaria e sia
idoneo a veicolare una tipologia inÞnita di istanze non coperte dal rimedio giurisdizionale.
I due rimedi infatti (giurisdizionale e generico) hanno un rapporto complementare, e allÕestendersi
del primo si restringe lÕarea applicativa del secondo.

Criticitˆ:
scarsa efÞcacia (indirizzata alla stesa autoritˆ titolare del rapporto detentivo o a soggetto privo di
potere di inchiesta o di decisione)
area di operativitˆ pi• ristretta rispetto al rimedio giurisdizionale (art. 35 bis)
nessuna regola viene dettata sugli esiti e sulle modalitˆ di intervento delle autoritˆ adite
nessun rimedio in caso di mancata adozione di provvedimenti (anche qualora il reclamo sia
indirizzato al magistrato di sorveglianza)

- Quando • diretto al magistrato di sorveglianza, il reclamo generico • destinato ad attivare un


procedimento de plano, ovvero un procedimento senza formalitˆ e senza le garanzie giurisdizionali
minime, tranne obbligo di informazione al reclamante della decisione adottata e dei correlati motivi.
I reclami possono essere orali (attraverso i colloqui periodici e le frequenti visite in istituto delle
autoritˆ) oppure inoltrati per iscritto anche in busta chiusa o con atto ricevuto dal direttore.
- Se rivolto a destinatari diversi dal magistrato di sorveglianza, il reclamo si risolve in un generico
controllo sulle modalitˆ di esecuzione delle misure restrittive della libertˆ personale.
- La nuova Þgura del Garante nazionale • a capo di un ufÞcio di cui fanno parte altri due membri.
Il garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertˆ personale • stato istituito
con lo scopo di rafforzare la tutela dei diritti dei detenuti.
Tale organismo svolge unÕazione concorrente con quella del magistrato di sorveglianza. Infatti egli
interviene in prima battuta con riserva di investire la magistratura (ordinaria o di sorveglianza) nei
casi in cui la questione non si risolva con la mera segnalazione allÕautoritˆ penitenziaria.

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IL RECLAMO GIURISDIZIONALE (ART. 35 bis)


Referenti normativi:
¥ art. 69 co. 6: competenza del magistrato di sorveglianza (casi e limiti)
¥ art. 35 bis con rinvio ad artt. 666 e 678 cpp: procedimento

I casi di reclamo giurisdizionale sono due:


1) Materia disciplinare Ñ> il magistrato di sorveglianza • competente per le condizioni di
esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dellÕorgano disciplinare, la
contestazione degli addebiti e la facoltˆ di discolpa
2) Giurisdizione sui diritti Ñ> il reclamo ha per oggetto lÕinosservanza da parte
dellÕamministrazione di disposizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo
regolamento di esecuzione, dalla quale derivi al detenuto o allÕinternato un attuale e grave
pregiudizio allÕesercizio dei diritti

IL PROCEDIMENTO
Il reclamo giurisdizionale viene trattato secondo lo schema procedimentale tipico previsto per il
procedimento di sorveglianza agli artt. 666 e 678 cpp, a cui si aggiunge la partecipazione
dellÕamministrazione interessata.
Nonostante il richiamo allÕarticolo 678, non tutti gli elementi caratterizzanti quel procedimento
ricorrono nella procedura in esame, che presenta alcune caratteristiche e differenze rispetto al
procedimento di sorveglianza tipico:
¥ antagonismo processuale: la natura del procedimento • contenziosa e il magistrato di sorveglianza
assume il ruolo di garante
¥ impulso di parte, contrapposto al possibile avvio dÕufÞcio del procedimento rieducativo
¥ tradizionale contrapposizione processuale tra due soggetti
¥ stabilitˆ del provvedimento

Fase introduttiva
- Il legislatore non ha dettato alcuna prescrizione in merito alle formalitˆ, ai tempi e al contenuto
degli atti di avvio del procedimento, per i quali vige il principio della libertˆ delle forme.
Sulla base di questo principio sono ammissibili anche istanze formulate oralmente in udienza (con
obbligo di trascrizione nel verbale). Se il reclamo • formulato per iscritto sono requisiti minimi: le
generalitˆ dellÕistante, lÕoggetto, i motivi di doglianza e la sottoscrizione del richiedente.
- Per quanto riguarda i requisiti contenutistici dellÕatto introduttivo, si • in presenza di un ridotto
formalismo, che determina una sensibile compressione dei casi in cui una richiesta priva di
allegazioni pu˜ essere a sanzionata con lÕinammissibilitˆ (scopo di ridurre le ipotesi di
inammissibilitˆ).
Va per˜ richiamato lÕindirizzo giurisprudenziale che, pur non esigendo lÕobbligatoria indicazione di
speciÞci elementi di prova, richiede un onere di allegazione.
- Per quanto riguarda i presupposti processuali dellÕistanza, si pu˜ ascrivere alla categoria delle
cause generali di inammissibilitˆ innanzitutto lÕincompetenza funzionale della magistratura di
sorveglianza (es. risarcimento del danno biologico ancorchŽ causato dallÕinosservanza di una norma
dellÕordinamento penitenziario - competenza del giudice civile).
Altre cause di inammissibilitˆ sono il difetto di legittimazione dellÕistante (persona che non sia nŽ
detenuta nŽ internata) e il difetto di interesse alla decisione.
- AllÕamministrazione coinvolta nel procedimento non pu˜ negarsi la qualitˆ di parte, anche se essa
interviene quale Òparte istituzionaleÓ preposta alla custodia, partecipe della realizzazione delle
Þnalitˆ costituzionali della pena e proprio per questo in grado di realizzare lÕeffettivitˆ della tutela
che il nuovo strumento • volto ad assicurare al detenuto.
Si • voluto inoltre promuovere il coinvolgimento diretto dellÕautoritˆ interessata attraverso la
previsione che, insieme allÕavviso, venga comunicato anche il reclamo medesimo per consentire

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una discovery anticipata dellÕatto del detenuto o del suo difensore, per permetterle di predisporre le
controdeduzioni attraverso una memoria o comunque di partecipare allÕudienza.
- Per Òamministrazione interessataÓ deve intendersi innanzitutto il DAP (Dipartimento
dellÕAmministrazione Penitenziaria) che fa capo al Ministero della giustizia.
Se per˜ oggetto della contesa sono diritti attinenti alla salute dei detenuti, per amministrazioni
interessata si intende lÕAsl, lÕUlss o lÕAzienda Ospedaliera territorialmente competenti.
Se si controverse in merito all'organizzazione di corsi scolastici, lÕamministrazione interessata •
lÕamministrazione scolastica.
- Designato eventualmente il difensore dÕufÞcio, il magistrato di sorveglianza Þssa la data
dellÕudienza in camera di consiglio: lÕavviso di Þssazione dellÕudienza • notiÞcato/comunicato alle
parti (reclamante, amministrazione interessata e pubblico ministero) almeno 10 giorni prima della
data predetta. Le notiÞcazioni al difensore e allÕamministrazione sono effettuate esclusivamente per
via telematica.

Fase istruttoria
Il procedimento • caratterizzato dallÕofÞciositˆ dellÕistruttoria e dunque si deve ritenere che lÕonere
probatorio che incombe sulla parte degradi ad onere di allegazione, e cio• consiste nel dovere di
prospettare e di indicare al giudice fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi allÕautoritˆ
giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti.

Fase decisoria
Il magistrato, allÕesito dellÕudienza, decide con ordinanza che deve essere depositata entro 5 giorni
dalla deliberazione.
Contenuto della decisione:
¥ in caso di reclamo proposto ai sensi dellÕart. 69 co. 6 lett. a (che ha ad oggetto un provvedimento
disciplinare) Ñ> il magistrato di sorveglianza, se accoglie il reclamo, dispone lÕannullamento del
provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare
¥ in caso di reclamo proposto ai sensi dellÕart. 69 co. 6 lett. b (che ha ad oggetto la rimozione del
pregiudizio) Ñ> accertate la sussistenza e lÕattualitˆ del pregiudizio, ordina allÕamministrazione
di porre rimedio entro il termine da lui indicato

IL REGIME DELLE IMPUGNAZIONI


- Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza • ammesso reclamo al tribunale di
sorveglianza entro 15 giorni dalla notiÞcazione o dalla comunicazione dellÕavviso di deposito della
decisione stessa.
In questa materia vi • dunque un secondo grado Òdi meritoÓ Ñ> si tratta di unÕeccezione alla
regola: esso infatti non • previsto nel procedimento ordinario di sorveglianza, ma • previsto
unicamente nei procedimenti a contraddittorio differito, ovvero avverso i provvedimenti emessi dal
magistrato de plano, senza la partecipazione delle parti, in cui • consentita solo in un secondo
momento la riespansione del contraddittorio temporaneamente sacriÞcato per mere esigenze di
economia processuale, e avverso lÕespulsione del cittadino extracomunitario a titolo di sanzione
alternativa.
LÕanomala previsione di un duplice giudizio di merito rischia per˜ di vaniÞcare lÕefÞcacia della
tutela preventiva, poichŽ per adire il giudizio di ottemperanza in caso di inerzia da parte di
questÕultima, lÕinteressato vittorioso sarˆ costretto ad attendere la deÞnizione di tutti i gradi di
giudizio. Quanto allÕambito del sindacato del tribunale in sede di reclamo, si osserva che non sono
precluse questioni nuove che non hanno costituito oggetto del reclamo diretto al magistrato di
sorveglianza, non essendoci alcuna norma ostativa a riguardo.
Per quanto riguarda la presentazione, il reclamo-impugnazione pu˜ essere proposto
dallÕamministrazione penitenziaria senza il patrocinio e lÕassistenza dellÕAvvocatura dello Stato,
stante la natura pubblicistica della funzione svolta dallÕamministrazione penitenziaria.
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Contro il provvedimento di inammissibilitˆ emesso de plano • viceversa possibile esperire solo il


ricorso per cassazione, e non il reclamo al tribunale, al Þne di recuperare il contraddittorio
espressamente previsto senza saltare un grado di merito.
Il procedimento di reclamo di fronte al tribunale di sorveglianza viene trattato con le forme del
procedimento di sorveglianza partecipato.
- Avverso la decisione del tribunale di sorveglianza • ammesso ricorso per cassazione per
violazione di legge, ovvero unicamente per denunciare lÕinosservanza, da parte del giudice, della
legge penale sostanziale o la mancanza di motivazione del provvedimento impugnato.
Contro il provvedimento di inammissibilitˆ • possibile esperire solo il ricorso per cassazione e non
il reclamo al tribunale di sorveglianza.
Il termine per ricorrere per Cassazione • di 15 giorni ex art. 585 co. 1 lett. a c.p.p. (non quello pi•
breve di 10 giorni previsto ex art. 71 ter).
Il ricorso non pu˜ essere presentato personalmente dalla parte, ma da difensore iscritto nellÕalbo
speciale della Suprema Corte.
Nemmeno lÕamministrazione pu˜ stare in giudizio senza il patrocinio legale.

LÕESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO: IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA


- Stante il carattere vincolante del provvedimento del giudice, si prevede una procedura mutuata dal
processo amministrativo e afÞdata allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento, il quale pu˜
ordinare allÕamministrazione, in caso di protratta inerzia, di ottemperare, con lÕunico vincolo
costituito dal programma attuativo predisposto dallÕamministrazione, al Þne di dare esecuzione al
provvedimento, sempre che questo programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto.
Da questo punto di vista, la nuova disciplina ben rappresenta il tentativo di realizzare un
contemperamento tra lÕesigenza di tutela del diritto della persona detenuta e lÕaltrettanta esigenza di
riservare allÕapprezzamento dellÕautoritˆ amministrativa lÕopzione preferibile per risolvere la
criticitˆ evidenziata dal reclamo.
- NellÕintrodurre questa speciale procedura esecutiva, • stata forte lÕesigenza di una risposta ai
rilievi contenuti nella sentenza Torreggiani, circa la necessitˆ di individuare un rimedio effettivo.
Si deve poi ritenere prevalente la considerazione dellÕintrinseca debolezza del soggetto detenuto
rispetto al quale lÕottemperanza allo stesso giudice pare la procedura pi• accessibile, anche in
termini di costi della difesa tecnica, rispetto al giudizio davanti al giudice amministrativo.
- In caso di mancata esecuzione del provvedimento deÞnitivo (Ònon pi• soggetto ad
impugnazioneÓ), lÕinteressato o il suo difensore, munito di procura speciale, possono richiedere
lÕottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento.
Il procedimento di ottemperanza • regolato dalle disposizioni contenuti negli artt. 666 e 678 c.p.p.
secondo lo schema procedimentale previsto per il reclamo:
¥ udienza in camera di consiglio con avviso notiÞcato almeno 10 giorni prima (5 giorni per
presentare memorie)
¥ partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero
¥ interessato che ne fa richiesta • sentito personalmente
¥ decisione assunta con ordinanza

Differenze con il procedimento amministrativo


- Competente a pronunciarsi in sede di ottemperanza • lo stesso organo che ha emanato il
provvedimento in sede di cognizione (quindi il magistrato di sorveglianza). Ci˜ perchŽ il giudice
della cognizione conosce la richiesta e pu˜ valutare il comportamento tenuto dallÕamministrazione
soccombente.
- Non • prevista lÕesecuzione coattiva del provvedimento prima della sua deÞnitivitˆ. Infatti, per
adire il giudizio di ottemperanza lÕinteressato deve attendere la deÞnizione di tutti i gradi di giudizio
(del doppio grado di merito e di quello di legittimitˆ), cio• il formarsi del giudicato.

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Ci˜ rischia per˜ di vaniÞcare la tutela preventiva, che viceversa presuppone immediatezza e celeritˆ
degli interventi conformativi e ripristinatori.
Per questo, ci fu una proposta della Commissione Giostra che prevedeva la cancellazione della
formula Ònon pi• soggetta ad impugnazioneÓ prevista nellÕart. 35 bis. La corte costituzionale,
tuttavia, con una serie di sentenze (sent. 406/98, 122/2005, 44/2006) ha sancito lÕinsindacabilitˆ
della scelta discrezionale del legislatore non essendo ricavabile dalla Costituzione un principio che
obblighi ad estendere il sistema dellÕottemperanza anche a titoli diversi dalle sentenze deÞnitive.

- Sulla natura giuridica del giudizio di ottemperanza, la giurisprudenza amministrativa ha affermato


la natura ÒmistaÓ di esecuzione e di cognizione del procedimento, essendo esso diretto ad
arricchire, pur rimanendone condizionato, il contenuto vincolante della pronuncia, ma
rappresentando pur sempre la prosecuzione del giudizio di merito.
Per tale natura, si • ritenuto di consentire lo svolgimento di azioni cognitorie connesse, in
particolare questioni di elusione e violazione del giudicato, col conseguente potere di:
¥ dichiarare nulli gli eventuali atti posti in essere dallÕamministrazione
¥ conoscere tutte le questioni legate agli atti del commissario ad acta
- Il magistrato di sorveglianza in esito al procedimento ordina lÕottemperanza alla propria decisione
indicando modalitˆ e tempi di adempimento.
Deve ritenersi la natura perentoria del termine assegnato dal giudice di ottemperanza
allÕamministrazione per lÕesecuzione del provvedimento, costituendo esso lÕultimo tentativo per
consentire allÕamministrazione stessa di adeguarsi al giudicato.
Decorso il termine, il potere di concretare il giudicato viene esercitato dal giudice direttamente o per
il tramite del commissario ad acta. Gli atti eventualmente adottati dallÕamministrazione dopo il
decorso del termine non sono irrimediabilmente nulli, atteso il potere del giudice di modiÞcarli o
integrarli.
Nel caso di titolo formato allÕesito di riforma della decisione di primo grado, la competenza
appartiene al giudice superiore e dunque al tribunale di sorveglianza.

Modalitˆ di attuazione
Il giudice deve tener conto del programma attuativo predisposto dallÕamministrazione al Þne di dare
esecuzione al provvedimento, sempre che questo programma sia compatibile con il soddisfacimento
del diritto. Questa formula rappresenta il tentativo di realizzare un contemperamento tra lÕesigenza
di tutela del diritto della persona detenuta e lÕesigenza di riservare allÕamministrazione la scelta
dellÕopzione preferibile per risolvere la criticitˆ evidenziata nel reclamo.
Il programma attuativo non • vincolante per il giudice.
Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza • sempre ammesso il ricorso per
cassazione, per violazione di legge. Esso rappresenta lÕunico rimedio ammissibile per il
provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza, non essendo ammesso un reclamo ulteriore
dinanzi al tribunale di sorveglianza.
Il termine per ricorrere per cassazione • anche qui quello di 15 giorni.

Commissario ad acta
Il commissario ad acta va qualiÞcato come un ausiliare del giudice, e non come un organo
dellÕamministrazione. Da ci˜ discende che il commissario non ha autonomia decisionale, ma pu˜
sostituirsi allÕamministrazione nella valutazione e nellÕattivitˆ di scelta tra le varie soluzioni.
Egli emette atti di natura giurisdizionale e non amministrativa, soggetti a reclamo dinanzi al giudice
dellÕottemperanza.
Non persegue lÕinteresse dellÕamministrazione ma la tutela del singolo.

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IL RECLAMO IN MATERIA DISCIPLINARE (art. 69 co. 6 lett. a)

Art. 69 co. 6 lett. aÑ> reclamo in materia disciplinare

La legge penitenziaria prevede la possibilitˆ di irrogare sanzioni disciplinari in caso di mancato


rispetto delle regole che disciplinano la vita intramuraria (art. 77 reg. esec.).
La garanzia del reclamo in materia disciplinare si atteggia come un rimedio giurisdizionale, poichŽ
appare del tutto assimilabile ad unÕimpugnazione: con la conseguenza che lÕinosservanza del
termine per proporlo, che • di 10 giorni, ne comporta lÕinammissibilitˆ.
-Sono esclusi dal reclamo disciplinare (ma non da quello in materia di diritti) interventi da parte
dellÕamministrazione che, pur avendo carattere sanzionatorio, non sono formalmente qualiÞcabili
come sanzioni:
¥ esclusione del detenuto dallÕattivitˆ lavorativa (possibile reclamo in materia di diritti)
¥ trasferimento per motivi di sicurezza (possibile reclamo in materia di diritti)
¥ provvedimento che dispone la sorveglianza particolare (disciplinato dallÕart. 14 ter)

Contenuto della decisione


Il magistrato di sorveglianza, se accoglie il reclamo, dispone lÕannullamento del provvedimento di
irrogazione della sanzione disciplinare.
Non • prevista la sospensione dellÕesecuzione della sanzione disciplinare nellÕipotesi di tempestiva
presentazione del reclamo, nonostante sia facilmente ipotizzabile che lÕudienza davanti al
magistrato non si possa celebrare in tempo utile, antecedente allÕesecuzione materiale della
sanzione stessa. Tale opzione appare censurabile, posto che eventuali ragioni di urgenza,
determinata dalla necessitˆ di prevenire danni a persone o a cose, o dalla presenza di fatti di
particolare gravitˆ per la sicurezza dellÕistituto, o dal pericolo di diffusione di disordini, che
consiglino lÕapplicazione immediata della sanzione disciplinare in pendenza di impugnazione,
potrebbero essere soddisfatte dal potere del direttore di disporre in via cautelare lÕisolamento del
detenuto.
Comunque, la decisione di accoglimento emessa dal magistrato di sorveglianza • immediatamente
esecutiva.
La decisione sul reclamo disciplinare • impugnabile dalle parti (e dallÕamministrazione
penitenziaria) dinanzi al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notiÞcazione o
dalla comunicazione di deposito. Inoltre, contro la decisione del giudice collegiale • proponibile il
ricorso per cassazione per violazione di legge.

IL RECLAMO IN MATERIA DI DIRITTI (art. 69 co. 6 lett. b)

Art. 69 co. 6 lett. b Ñ> reclamo in materia di diritti

La seconda categoria di reclami previsti dallÕart. 69 riguarda la materia che fonda la giurisdizione
sui diritti: si tratta della possibilitˆ di ricorrere al magistrato di sorveglianza a fronte
dellÕinosservanza, da parte dellÕamministrazione, di disposizioni penitenziarie che abbiano
determinato un attuale e grave pregiudizio allÕesercizio dei diritti.

Condizioni
1. La prima condizione • che sia denunciata la violazione di una norma contenuta nella legge
penitenziaria o nel regolamento di esecuzione.
Questa formula utilizzata dal legislatore • solo apparentemente limitativa, visto che
difÞcilmente esiste un settore della vita del detenuto che non sia disciplinato da una di queste
due fonti.
Parte della dottrina ha invece sollevato forti dubbi in proposito sul presupposto che non si • mai
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sostenuto che la normativa penitenziaria potesse essere di per sŽ un valido punto di riferimento
per lÕindividuazione delle posizioni soggettive giustiÞcabili, ma al contrario se ne •
frequentemente denunciata lÕinadeguatezza per lÕambiguitˆ delle sue disposizioni, che rendono
spesso incerto il conÞne tra diritti intesi come garanzia e concessioni.
2. LÕinosservanza deve avere determinato un pregiudizio grave al soggetto ristretto.
Se nel primo caso lÕintento del legislatore era determinato dal timore che il magistrato di
sorveglianza potesse invadere spazi riservati al giudice civile o amministrativo, nello stabilire
questo requisito lÕintenzione • stata invece quella di ÒÞltrareÓ i reclami per preservare la
magistratura di sorveglianza da un ßusso eccessivo di ricorsi, limitando lÕesame alle questioni
pi• rilevanti, ed escludendo quindi i pregiudizi lievi.
3. Il pregiudizio deve essere inÞne attuale.
Si deve quindi escludere dallÕambito della cognizione sia i pregiudizi giˆ subiti e non pi• in atto
sia quelli futuri.
LÕattualitˆ del pregiudizio inoltre deve sussistere sia al momento della presentazione del
reclamo che al momento della decisione.

Individuazione dei diritti


Per quanto riguarda lÕindividuazione dei diritti, il cui esercizio pu˜ essere pregiudicato dagli atti o
dai comportamenti dellÕamministrazione penitenziaria denunciabile con il reclamo giurisdizionale,
si deve osservare che lÕordinamento penitenziario • ricco di enunciazioni generali e particolari
suscettibili di inquadramento nella materia. Si rinvengono, infatti, nellÕordinamento penitenziario e
nel regolamento di esecuzione, qualiÞcazioni normative esplicite (es. Òha dirittoÓ, Òha facoltˆÓ) o
implicite (es. Ò• consentitoÓ, ÒvieneÓ, ÒdeveÓ).
é pi• problematica invece la questione inerente allÕidentiÞcazione di quelle situazioni di interesse
giuridicamente apprezzabili su cui la discrezionalitˆ dellÕamministrazione incide con lÕesercizio di
poteri organizzatori o decisori e che andrebbero ricompresi nella categoria degli interessi legittimi.
NellÕordinamento penitenziario sono individuabili alcune categorie di diritti corrispondenti a valori
tutelati dalla costituzione:
diritti relativi allÕintegritˆ Þsica e diritto alla salute
diritti relativi ai rapporti familiari
diritto alla libertˆ morale e culturale

Per quanto riguarda la tutela giuridica dei diritti degli imputati, nei confronti dei quali • previsto il
divieto esplicito di restrizioni Ònon indispensabili a Þni giudiziariÓ, • importante osservare che il d.l.
146/2013 con. l. 10/2014, nellÕintrodurre il reclamo giurisdizionale ai sensi dellÕart. 35 bis e
dellÕart. 69, ha pariÞcato la posizione dellÕimputato a quella del condannato attribuendo al primo la
piena tutela giurisdizionale avanti al magistrato di sorveglianza contro i pregiudizi derivanti dalla
violazione della legge penitenziaria e del relativo regolamento.
é rimasta, viceversa, immutata la limitazione ai condannati della disposizione di cui al comma 5
dellÕart. 69 riguardo il potere dello stesso magistrato di impartire disposizioni vincolanti dirette ad
eliminare eventuali violazioni dei diritti, pur non venendo meno, in capo allo stesso giudice, la
vigilanza diretta ad assicurare che lÕesecuzione della custodia degli imputati sia attuata in
conformitˆ delle leggi e dei regolamenti.
Se, dunque, il primo livello di tutela non giurisdizionale, rappresentato dal diritto di reclamo
generico (art. 35), • assicurato a tutti, e se il secondo livello costituito dal reclamo giurisdizionale
(art. 35 bis) • parimenti assicurato a condannati, imputati e internati, sembra invece fare difetto per i
soli imputati la tutela extragiurisdizionale (art. 69 co. 5) assicurata dallÕesercizio dei poteri ufÞciosi
da parte del magistrato di sorveglianza di fronte alla violazione dei diritti, tutela questa riservata ai
soli condannati e internati. Nei confronti degli imputati opera lÕart. 277 cpp che prevede lÕintervento
del giudice della cautela nei limiti della compatibilitˆ con le esigenze cautelari del caso concreto.

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I RIMEDI RISARCITORI (ART. 35 ter)

- Nella sentenza Torreggiani la Corte di Strasburgo aveva rilevato lÕassenza nellÕordinamento


italiano di rimedi effettivi che consentissero sia di intervenire per interrompere immediatamente una
violazione in atto (rimedi preventivi), sia di fornire unÕadeguata riparazione del danno subito a
causa della violazione (rimedi compensativi) e formulava di conseguenza precise indicazioni
precettive cui lo Stato doveva dare attuazione. Con il d.l. 92/2014 conv. l. 117/2014 erano dunque
introdotti nellÕordinamento italiano, accanto al rimedio preventivo, i rimedi risarcitori conseguenti
alla violazione dellÕart. 3 Cedu per la salvaguardia dei diritti dellÕuomo e delle libertˆ fondamentali
nei confronti di soggetti detenuti o internati. Lo Stato aveva infatti lÕobbligo di predisporre un
insieme di rimedi idonei a offrire una riparazione adeguata al pregiudizio derivante dal
sovraffollamento carcerario, che era stata la condizione ispiratrice della sentenza Torreggiani.
- La scelta politica • stata quella di compensare i periodi di trattamento inumano e degradante con
una riduzione della durata della pena, pari ad 1 giorno per ogni 10 di patita violazione.
La logica • ridurre la durata della pena ancora da scontare per compensare la sofferenza inßitta.
Ove questa riduzione non fosse concretamente possibile (es. perchŽ il periodo ancora da scontare
non sia tale da consentire lÕintera detrazione), o qualora il periodo di detenzione espiato in
condizioni degradanti sia inferiore a 15 giorni, • previsto un indennizzo economico pari a 8 euro per
ciascun giorno di detenzione inumana.
InÞne, nellÕipotesi in cui il soggetto abbia subito il pregiudizio in stato di custodia cautelare non
computabile nella determinazione della pena da espiare, o abbia giˆ terminato di espiare la pena
detentiva in carcere, il rimedio compensativo va esperito davanti al giudice civile (anzichŽ al
magistrato di sorveglianza), individuato nel tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio
lÕinstante ha la residenza, nel termine di decadenza di 6 mesi dalla cessazione dello stato di
detenzione o di custodia cautelare.
- La legittimazione attiva a promuovere lÕazione di cui allÕart. 35 ter compete anche a colui che ha
giˆ sofferto il pregiudizio e non esclusivamente a colui che lo sta ancora subendo. Viene meno
infatti il requisito dellÕattualitˆ del pregiudizio. La competenza del magistrato di sorveglianza resta
per˜ ferma nel caso in cui nelle more del procedimento di reclamo sia cessata lÕesecuzione della
pena.

Il rimedio dellÕart. 35 ter era ritenuto, da alcuni, di tipo risarcitorio e, da altri, di matrice
indennitaria.
Risarcitorio: previsto dal tenore letterale della previsione
Indennitario: indirizzo prevalente, poichŽ mancano gli elementi tipici del risarcimento (ovvero il
rapporto tra speciÞcitˆ del danno e quantiÞcazione economica, e la valutazione del proÞlo
soggettivo)

A chi spetta il risarcimento?


Il risarcimento spetta a chi • stato tenuto in condizioni di detenzione tali da violare lÕart. 3 Cedu
come interpretato dalla Corte europea (Strasburgo). Pertanto, la violazione non • suscettibile di
libero apprezzamento da parte del giudice nazionale ma si deve muovere obbligatoriamente
allÕinterno della cornice delineata dalla giurisprudenza della Corte europea: si tratta quindi di un
riferimento mobile e mutevole che pu˜ creare incertezze applicative, poichŽ richiede al giudice una
Òinterpretazione dellÕinterpretazioneÓ che la corte di Strasburgo fornisce dellÕart. 3 Cedu.
Tuttavia, la magistratura italiana ha seguito il criterio ÒgeometricoÓ adottato dalla sentenza
Torreggiani Ñ> in base al quale al di sotto dei 3 mq di spazio pro capite si • tendenzialmente in
presenza di una situazione inumana e degradante.
Il giudice europeo per˜, in numerose pronunce successive a quella, oscilla nel calcolo tra parametri
di volta in volta improntati allo spazio vitale (spazio della camera di pernottamento al lordo dei
mobili), o allo spazio abitabile (al netto degli arredi Þssi), o allo spazio calpestabile (al netto di
qualsiasi ingombro esistente nella camera).
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A fronte di numerosi problemi interpretativi suscitati da questa norma, le sezioni unite della Corte
di cassazione, con unÕimportante pronuncia, hanno:
¥ da un lato, consolidato alcuni fondamentali assunti sui criteri di calcolo dello spazio minimo da
assicurare a ciascun detenuto optando deÞnitivamente per una superÞcie che assicura il normale
movimento, detraendo oltre ai servizi igienici tutti gli arredi tendenzialmente Þssi al suolo, tra cui
rientrano e letti castello
¥ dallÕaltro lato, deÞnito lÕoperativitˆ dei fattori compensativi idonei a vincere la presunzione di
violazione dellÕart. 3 Cedu derivante dalla disponibilitˆ nella camera collettiva di uno spazio
minimo individuale inferiore a 3 mq.
Questi criteri, che devono cumulativamente ricorrere per vincere la presunzione sono costituiti
dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie e dalla sufÞciente libertˆ
di movimento al di fuori della camera mediante lo svolgimento di adeguate attivitˆ trattamentali.

LÕapplicazione di questo rimedio si complica ulteriormente se si tiene presente che la violazione


dellÕart. 3 Cedu pu˜ guardare anche situazioni non collegate con il problema del sovraffollamento
carcerario, ad esempio: inadeguatezza delle prestazioni sanitarie, condizioni di salute incompatibili
con la detenzione ecc.
I rimedi risarcitori possono per˜ essere previsti anche in assenza di condizioni di sovraffollamento
carcerario, e dunque trova conferma la funzione indennitˆ dello strumento compensativo che copre
qualsiasi violazione dellÕart. 3 Cedu veriÞcatasi in dipendenza delle condizioni di detenzione
inumana e degradante.

IL GARANTE NAZIONALE DEI DIRITTI DELLE PERSONE PRIVATE DELLA


LIBERTË PERSONALE
é un organo collegiale (Presidente e 2 membri) collegato alla rappresentanza politica nazionale che,
forte di attribuzioni ispettive nei confronti delle amministrazioni dipendenti dallÕesecutivo, opera
come istanza di tutela di interessi collettivi ed individuali compromessi dallÕinerzia
dellÕamministrazione o dai suoi comportamenti attivi illegittimi.
La nomina avviene con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei
Ministri.

¥ azione preventiva posta in essere attraverso una costante opera di monitoraggio delle violazioni
dei diritti umani che si consumano allÕinterno degli istituti attuata attraverso il potere di ingresso
¥ azione di stimolo dellÕintervento delle amministrazioni interessate
¥ azione di sollecito dellÕadozione di provvedimenti

Al Þne di assicurare lÕindipendenza del Garante, la legge prevede alcune ipotesi di incompatibilitˆ: i
membri dellÕufÞcio non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, o incarichi in partiti
politici.

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➢ CAPITOLO V: Organizzazione penitenziaria, ordine e sicurezza

LÕORGANIZZAZIONE DELLE STRUTTURE E IL DIRITTO AL TRATTAMENTO NON


DIFFERENZIATO
LÕistituto • un luogo complesso, • una comunitˆ e ci sono delle regole per il funzionamento
quotidiano.
Il trattamento penitenziario deve essere improntato al criterio della individualizzazione, in rapporto
alle speciÞche condizioni degli interessati. Tale assunto concretizza la conformitˆ ad umanitˆ della
restrizione della libertˆ personale e la Þnalitˆ rieducativa della pena, designati dalla Costituzione.
LÕorganizzazione degli istituti penitenziari non • un fattore meramente tecnico-amministrativo ma •
in grado di incidere in modo determinante sullÕottenimento dei risultati costituzionali attesi in
relazione alla detenzione.

Art. 14 Ñ> I detenuti e gli internati hanno innanzitutto il diritto di essere assegnati ad un istituto
quanto pi• possibile vicino alla dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di
riferimento sociale (salvi speciÞci motivi contrari). Con centro di riferimento sociale si devono
intendere tutti i legami che, pur non ricompresi in un concetto anche ampio di famiglia,
contribuiscono a radicare una persona in un territorio.
Si persegue tale criterio anche nel caso di trasferimenti (eventuali deroghe al principio devono
essere motivate dallÕamministrazione penitenziaria).

Il numero delle persone ristrette negli istituti deve essere limitato per poter favorire
lÕindividualizzazione del trattamento. In particolare, per condannati e internati per i quali •
necessario procedere allÕofferta di un trattamento rieducativo, occorre prevedere assegnazioni che
favoriscano percorsi comuni e che evitino inßuenze nocive reciproche.
LÕamministrazione, per realizzare questi obiettivi, • dotata di una rete di istituti differenziati (o
dispongono di sezioni distinte) per garantire la separazione tra imputati e condannati, nonchŽ tra
questi ultimi e gli internati, tra giovani adulti (al di sotto dei 25 anni) e adulti, tra donne e uomini.
Il mantenimento dellÕordine e della disciplina deve essere considerato fondamentale al Þne di
garantire qualunque intervento trattamentale realmente efÞcace. Deve in questo senso leggersi la
preoccupazione che lÕallocazione dei detenuti eviti inßuenze reciproche tra loro. Per questa ragione,
tuttavia, non sono ammissibili restrizioni non giustiÞcabili con tale esigenza, e comunque occorre
sempre che siano adottate le limitazioni che incidano nel minimo indispensabile sui diritti delle
persone private della libertˆ.
Tali regole hanno lo scopo di raggiungere gli obiettivi costituzionali, alla luce del divieto di
discriminazione, secondo cui il trattamento • improntato ad assoluta imparzialitˆ.

La separazione secondo le direttive enunciate serve dunque a consentire la realizzazione degli


obiettivi costituzionali della restrizione della libertˆ e deve leggersi necessariamente alla luce dl
divieto di discriminazione, secondo il quale il trattamento • improntato ad assoluta imparzialitˆ, a
prescindere dal sesso, dallÕidentitˆ di genere, dallÕorientamento sessuale, dalla razza, dalla
nazionalitˆ, dalle condizioni economiche e sociali, alle opinioni politiche e dalle credenze religiose.
Questa disposizione esprime un principio di valore fondamentale, che ha precipitati molto concreti
anche nellÕorientare lÕorganizzazione dellÕamministrazione, al Þne di limitare il rischio che dalla
stessa derivino discriminazioni di fatto, come quelle che, ad esempio, riguardano a volte le donne
collocate allÕinterno di sezioni di limitate dimensioni di istituti penitenziari che ospitano soprattutto
uomini e che, perci˜, rischiano di non essere destinatarie di sufÞcienti iniziative risocializzanti.
Per evitare questi pericoli, • previsto che le attivitˆ organizzate per una determinata sezione possano
essere condivise con i detenuti che non vi appartengono e che le sezioni femminili non abbiano mai
dimensioni cos“ ridotte da compromettere le attivitˆ trattamentali.

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Nel nostro ordinamento notiamo due esigenze contrastanti:


¥ lÕordinamento riconosce al detenuto il diritto ad un trattamento penitenziario comune, cio• non
differenziato
¥ la possibilitˆ per lÕamministrazione, in presenza di situazioni di pericolositˆ, di sottoporre il
detenuto ad un regime differenziato (anche sulla base di circolari ministeriali, collegate ad
esempio alla tipologia di reati commessi), con necessitˆ di rivedere periodicamente le valutazioni
effettuate. LÕeventuale assegnazione ad una sezione differenziata • sottoponibile al vaglio del
magistrato di sorveglianza mediante lo strumento del reclamo giurisdizionale.
Da un lato, esiste dunque la dfferenziazione in peius che esige ricorrenti veriÞche circa la
permanenza di speciÞche e ancora attuali esigenze di sicurezza, ma, dallÕaltro, • consentita
lÕassegnazione ad istituti a custodia attenuata di soggetti non rilevante pericolositˆ, per i quali
risultino necessari interventi trattamentali signiÞcativi per le persone affette da dipendenze
patologiche o per le detenute madri con prole.

Negli ultimi anni, anche in relazione al problema del sovraffollamento, si • fatto sempre pi• ampio
ricorso a sezioni a regime aperto, in cui la giornata non • vissuta per la maggior parte del tempo
allÕinterno delle sezioni detentive e, in ossequio alle previsioni delle regole penitenziarie europee, si
fa uso della sorveglianza dinamica Ñ> cio• di una modalitˆ di osservazione che privilegia modelli
di autonomia, responsabilitˆ, socializzazione e integrazione, sperimentando i ristretti in una
quotidianitˆ penitenziaria fatta di attivitˆ diurne il pi• possibile simili a quelle della vita libera.

LA SEPARAZIONE PER RAGIONI DI PROTEZIONE


- LÕesigenza di evitare inßuenze negative reciproche al Þne di consentire un trattamento rieducativo
pi• efÞcace • alla base dellÕassegnazione di detenuti e internati in sezioni separate dal resto della
popolazione carceraria.
Art. 42 Ñ> consente, in caso di necessitˆ legate allÕordine e alla sicurezza, di disporre il
trasferimento del detenuto
Art. 32 reg. esec. Ñ> elenca le ragioni che possono determinare lÕesigenza di separazione di un
detenuto sia per proteggere i compagni di detenzione da suoi possibili comportamenti negativi, sia
per proteggerlo, invece, dalle prevaricazioni cui potrebbe essere sottoposto, in ragione di
caratteristiche personali o della tipologia di reato commesso.
- I riferimenti normativi in merito sono scarni, ma ampia • la discrezionalitˆ esercitata
dallÕamministrazione in questa materia

LA PROTEZIONE DEI COMPAGNI DI DETENZIONE


I detenuti e gli internati che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele, anche per la
tutela dei compagni da possibili aggressioni o sopraffazioni, sono assegnati ad appositi istituti o
sezioni dove sia pi• agevole adottare queste cautele. La permanenza deve essere valutata
semestralmente.
é possibile esperire il reclamo giurisdizionale, specie se dallÕinserimento nella sezione separata
derivano rapporti pi• difÞcoltosi con i familiari, oppure se in tali sezioni • previsto un regime
detentivo pi• severo.
LÕamministrazione pu˜ quindi valutare discrezionalmente la necessitˆ di allocare separatamente tali
detenuti che corrano il rischio di pregiudicare lÕordine e la sicurezza, e tuttavia, il diritto ad un
trattamento indifferenziato e ad unÕassegnazione conforme al principio di territorialitˆ della pena,
che potrebbe risultare compromesso, comportano la possibilitˆ per lÕinteressato di adire il
magistrato di sorveglianza, in sede di reclamo giurisdizionale, per valutare la sussistenza e la
persistenza delle esigenze di separazione. Ci˜ in particolare si veriÞca quando dallÕinserimento
nella sezione separata derivino rapporti pi• difÞcoltosi con i familiari, perchŽ si • determinato un

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allontanamento dai luoghi ove il nucleo ha stabile dimora, o nel caso in tali sezioni sia previsto un
regime penitenziario pi• severo.

Alta Sicurezza
- Il circuito penitenziario di Alta Sicurezza (AS) consiste in una suddivisione logistica che descrive
una sezione separata dal resto della popolazione ristretta. AllÕinterno vengono inseriti detenuti che,
per la tipologia di reati commessi o per i quali sono sottoposti a un procedimento penale, vengono
ritenuti in grado di inßuenzare negativamente gli altri detenuti e di prevaricarli.
Il circuito AS • a sua volta suddiviso in tre sottocircuiti:
¥ AS 1 Ñ> destinato a chi sia stato sottoposto per un certo tempo al regime 41 bis (esigenza di
separazione fondata sul ÒcarismaÓ criminale)
¥ AS 2 Ñ> ospita i detenuti per delitti commessi con Þnalitˆ di terrorismo, anche internazionale, o
di eversione dellÕordine democratico mediante il compimento di atti di violenza
¥ AS 3 Ñ> ospita i detenuti per i reati di cui agli artt. 416 bis c.p. (associazione maÞosa) o
commessi avvalendosi delle condizioni maÞose o al Þne di agevolare le attivitˆ delle associazioni
di criminalitˆ organizzata; nonchŽ delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione ecc.
LÕAmministrazione penitenziaria pu˜ inserire in questo circuito anche soggetti detenuti per reati
diversi da quelli di criminalitˆ organizzata, qualora al D.A.P. (Dipartimento dellÕAmministrazione
Penitenziaria), che cura direttamente le assegnazioni di questa tipologia di detenuti, provengano
informazioni da parte di una Procura della Repubblica o di forze dellÕordine che evidenzino
lÕopportunitˆ di separazione.
- Anche se il perimetro applicativo • in larga parte coincidente con quello del 4 bis, tanto che
lÕassegnazione al circuito AS avviene in modo automatico in presenza di un titolo di reato che vi •
compreso, dalla separazione logistica derivano conseguenze diverse da quelle che discendono
invece direttamente dalla tipologia di reato per il quale si • privati della libertˆ.
Per gli autori dei delitti commessi nel 4 bis • infatti previsto un divieto assoluto di concessione di
misure alternative alla detenzione, di permessi premio e di autorizzazioni al lavoro allÕesterno, salvo
collaborazione con la giustizia o quando sia dimostrato un complesso di elementi rilevatori del
superamento della particolare pericolositˆ sociale di cui sono portatori, nonchŽ limitazioni nel
numero di colloqui visivi e di corrispondenza telefonica con i propri familiari.
LÕinserimento nella AS, invece, mira ad evitare soprattutto le inßuenze nocive di tali detenuti sul
resto della popolazione ristretta.
Un detenuto che si trova ad espiare una pena per taluno dei reati previsti dallÕart. 4 bis pu˜ essere
allocato in una sezione comune (in questo caso gli saranno comunque applicate le limitazioni
trattamentali connesse al titolo - sezioni di media sicurezza).
Pu˜ capitare anche il contrario: il detenuto pu˜ rimanere in Alta Sicurezza anche se il titolo
detentivo riguarda un reato comune, se permangono esigenze di separazione.

Il ruolo del magistrato di sorveglianza


- LÕestromissione dal circuito penitenziario AS, con il conseguente inserimento nelle sezioni
dedicate ai detenuti comuni, avviene mediante una procedura, avviata dÕiniziativa
dallÕamministrazione o su istanza di parte, che conduce allÕeventuale declassiÞcazione
dellÕinteressato.
La direzione dellÕistituto penitenziario di ubicazione del ristretto inoltra alla Direzione generale
detenuti e trattamento del DAP la proposta di fuoriuscita dal circuito. La proposta deve essere
corredata dal parere elaborato dal gruppo di trattamento e di tutta la documentazione giudiziaria in
possesso, nonchŽ dei pareri delle Direzioni distrettuali antimaÞa competenti e delle informazioni
richieste agli altri organi investigativi. Queste informazioni riguardano:
la persistente attivitˆ sul territorio del gruppo criminale di appartenenza dellÕinteressato
la sussistenza di dati aggiornati sul ruolo assunto dal detenuto in seno al gruppo
gli esiti di eventuali indagini patrimoniali sul tenore di vita dei familiari
lÕeventuale esistenza di indagini sul detenuto
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qualsiasi altri elemento utile a disvelare i rapporti attuali del detenuto


- Il provvedimento che conclude la procedura in senso sfavorevole allÕinteressato • stato per lungo
tempo ritenuto non sindacabile dinanzi alla magistratura di sorveglianza perchŽ non incidente sui
diritti in termine di regime applicato. Di recente, in seguito al riconoscimento della sussistenza di un
diritto ad un trattamento non differenziato, la giurisprudenza ha ritenuto che sia un compito della
magistratura di sorveglianza quello di valutare la legittimitˆ del provvedimento di assegnazione o il
diniego di classiÞcazione.
Si • infatti evidenziato come lÕinserimento nel circuito AS comporti effettivamente una diversa
modulazione delle regole trattamentali, in conseguenza di una serie di circolari
dellÕamministrazione che, ad esempio, prevedono regole di custodia pi• aperte per i detenuti nelle
sezioni comuni ed escludono le sezioni AS dalle modalitˆ di osservazione della sorveglianza
dinamica e dalla possibilitˆ di accedere ad attivitˆ lavorative intramurarie fuori dalla sezione di
appartenenza.
- Se dunque • legittimo lÕinserimento di un ristretto allÕinterno di una sezione appartenente al
circuito AS sulla base della previsione di determinate condizioni soggettive fondate su massime di
comune esperienza, la magistratura di sorveglianza pu˜ essere tuttavia chiamata a vagliare la
legittimitˆ del provvedimento amministrativo di assegnazione o di diniego di declassiÞcazione sulla
base della sussistenza o della persistenza di ragioni giustiÞcative della separazione per il rischio che
lÕinteressato compia azioni criminali ove reimesso nel circuito comune ed inßuisca quindi
negativamente sui percorsi trattamentali dei compagni di detenzione.
Un simile vaglio prevede una lettura critica delle motivazioni del provvedimento amministrativo e
dellÕistruttoria compiuta, con la conseguente piena conoscibilitˆ da parte dellÕautoritˆ giudiziaria
adita in sede di reclamo giurisdizionale di tutte le note informative trasmesse.

IL RICORSO ALLE SEZIONI PROTETTE PER LA DIFESA DAI COMPAGNI DI DETENZIONE


Si valuta la collocazione pi• idonea per il detenuto nei confronti del quale si temono aggressioni o
sopraffazioni da parte dei compagni. LÕassegnazione nella sezione separata deve essere per˜
frequentemente riesaminata per veriÞcare se permangono le ragioni della allocazioni differenziata
rispetto al resto della comunitˆ detenuta.
Sono assegnati a sezioni differenziate omogenee:
¥ collaboratori di giustizia Ñ> per essi sono previste ulteriori sezioni differenziate per: chi stia
avviando il percorso di collaborazione, chi sia stato proposto per un programma di protezione,
chi sia giˆ titolare dello status di collaboratore, chi sia legato da vincoli di parentela con
collaboratori
¥ sex offenders Ñ> autori di reati concernenti la violenza sessuale, anche nei confronti di minori.
Sono considerati reati talmente infamanti che si teme che la restante popolazione detenuta
manifesti una speciale avversione e si determinino possibili vessazioni, prevaricazioni o
violenze.
¥ ex appartenenti alle forze di polizia o alla magistratura Ñ> per ragioni di protezione
¥ identitˆ di genere o ragioni di orientamento sessuale Ñ> lÕallocazione separata in sezioni
distribuite in modo uniforme sul territorio nazionale avviene solo quando vi • il consenso
dellÕinteressato
Questa disposizione normativa innova sensibilmente, perchŽ sino ad ora le persone transgender
e i detenuti che si dichiaravano omosessuali venivano posti, sulla base di valutazioni
meramente amministrative, allÕinterno di sezioni separate, subendo cos“ un effetto di
ghettizzazione piuttosto che di protezione. LÕattuale testo normativo, invece, valorizza il
bisogno di protezione mediante separazione, ove percepito dalla persona interessata.
In ogni caso, deve essere comunque garantita la partecipazione ad attivitˆ trattamentali, anche
insieme con la restante popolazione detenuta.

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LA TUTELA DELLÕORDINE INTERNO: IL REGIME DISCIPLINARE


Il regime penitenziario si compone di una serie di norme di condotta che detenuti e internati devono
rispettare al Þne di garantire il regolare svolgersi della vita quotidiana allÕinterno della comunitˆ
carceraria.
LÕinsieme di questi precetti dˆ vita al sistema disciplinare che, imperniato sul binomio ricompense-
sanzioni, assicura ad ogni detenuto e agli operatori penitenziari una situazione di sicurezza interna,
indispensabile per lo svolgimento ordinato e sereno di tutte le attivitˆ trattamentali.
Si viene cos“ a creare un vero e proprio rapporto dialettico tra disciplina e rieducazione, alla luce del
quale lÕimpianto disciplinare concorre allÕopera di trattamento del detenuto. La rilevanza
trattamentale del modello disciplinare si coglie, infatti, nel richiamo espresso alla consapevolezza e
alla capacitˆ di autocontrollo.
Ricompense e sanzioni devono costituire gli strumenti in grado di avviare i processi di
responsabilizzazione afÞnchŽ il detenuto maturi una giusta revisione critica dellÕinfrazione
commessa. Per questo, lÕart. 26 co. 3 reg. esec. impone che siano annotati, nella cartella personale
del detenuto, le ricompense, le sanzioni disciplinari e le infrazioni (allÕinterno di un dossier).
LÕart. 36 enuncia inoltre che nellÕapplicazione della sanzione si tiene conto del programma di
trattamento in corso. LÕintento • quello di preservare le Þnalitˆ rieducative al Þne di evitare che la
sanzione possa ostacolare il percorso di recupero intrapreso dal soggetto.

Infrazioni, sanzioni e organi disciplinari


La violazione delle regole di condotta integra la responsabilitˆ disciplinare solo se il fatto •
espressamente previsto come infrazione dal regolamento.
Al Þne di assicurare il rispetto della dignitˆ e dei diritti inalienabili della persona, ad evitare
possibili decisioni arbitrarie da parte del potere amministrativo, la materia delle infrazioni •
dominata dal principio di legalitˆ e tassativitˆ.
ƒ previsto allÕart. 77 un rigido elenco di illeciti disciplinari, raggruppabili in tre categorie:
¥ condotte relative alle inadempienze del detenuto rispetto al regolamento interno allÕistituto Ñ>
sono connotate da una minore carica offensiva, per esempio: negligenza nella pulizia e nellÕordine
della persona o della camera; abbandono del posto assegnato; inadempimento di obblighi
lavorativi; simulazione di malattia; ritardi ingiustiÞcati nel rientro ecc.
¥ condotte contrarie ai doveri previsti nei confronti di altri detenuti o di soggetti appartenenti
allÕamministrazione penitenziaria Ñ> per esempio: atteggiamenti e comportamenti molesti nei
confronti della comunitˆ; atti osceni o contrari alla pubblica decenza; intimidazione di compagni
o sopraffazioni nei confronti degli operatori penitenziari; fatti previsti dalla legge come reato,
commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori; ecc.
¥ condotte pericolose per lÕordine e la sicurezza dellÕistituto Ñ> per esempio: possesso o trafÞco
di oggetti non consentiti o di denaro; comunicazioni fraudolente con lÕesterno o allÕinterno;
falsiÞcazione di documenti provenienti dallÕamministrazione; appropriazione o danneggiamento
di beni dellÕamministrazione; ecc.
Le condotte illecite qui elencate sono punite anche qualora siano commesse nella forma del
tentativo. Ci˜ alimenta il rischio di svuotare di contenuto i principi di tassativitˆ e legalitˆ.

Il principio di legalitˆ, invece, riacquista piena operativitˆ nellÕambito del sistema sanzionatorio
ove • il legislatore ad enunciare, senza alcuna riserva regolamentare, le singole sanzioni disciplinari
applicabili nei confronti di colui che si • reso responsabile di condotte punibili.
LÕart. 39 elenca, secondo una progressione afßittiva, cinque sanzioni disciplinari:
1. richiamo del direttore
2. ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al personale e di un gruppo di
detenuti o internati
3. esclusione dalle attivitˆ ricreative e sportive per non pi• di 10 giorni
4. isolamento durante la permanenza allÕaria aperta per non pi• di 10 giorni
5. esclusione dalle attivitˆ in comune per non pi• di 15 giorni ( = isolamento continuo)
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Le sanzioni disciplinari pi• lievi del richiamo e dellÕammonizione si risolvono in rimproveri


verbali.
Maggiore afßittivitˆ connota, invece, lÕesclusione delle attivitˆ ricreative e sportive per non pi• di
dieci giorni; lÕisolamento durante la permanenza allÕaria aperta per non pi• di dieci giorni; e, inÞne,
lÕesclusione dalle attivitˆ in comune per non pi• di quindici giorni.
QuestÕultima, in particolare, comporta lÕisolamento continuo del detenuto e dellÕinternato eseguito
in una camera ordinaria per un periodo massimo di quindici giorni, durante il quale viene preclusa
qualsiasi comunicazione con i compagni. La sanzione dallÕesclusione dalle attivitˆ in comune non
pu˜ essere eseguita senza la certiÞcazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto
pu˜ sopportarla. é sospesa lÕesecuzione della sanzione dellÕisolamento nei confronti delle donne
gestanti e delle puerpere Þno a sei mesi, e alle madri che allattino la propria prole Þno ad un anno.
Con riferimento alle due sanzioni pi• gravi (isolamento durante la permanenza allÕaria aperta ed
esclusione delle attivitˆ in comune) occorre evidenziare come il legislatore abbia previsto, accanto
al controllo giurisdizionale sulla legittimitˆ della decisione anche un sindacato sul merito dei
provvedimenti adottati.

LÕautoritˆ a cui • demandato lÕesercizio del potere punitivo viene individuata dallÕart. 40 a norma
del quale:
¥ le sanzioni del richiamo e dellÕammonizione sono deliberate dal Direttore
¥ le altre sanzioni sono deliberate dal Consiglio di disciplina, composto dal Direttore (o da un
sostitutore) e da un professionista esperto
Questa composizione ha sub“to una recente modiÞca che ha sostituito la Þgura del sanitario con
un professionista esperto in grado di assicurare maggiore imparzialitˆ.
Il Consiglio di disciplina appartiene alla categoria dei Òcollegi perfettiÓ poichŽ ai Þni della validitˆ
e della legittimitˆ delle sue attivitˆ, • necessaria la presenza di tutti i componenti previsti dalla
legge. Ne consegue che il provvedimento disciplinare risulta illegittimo, ove la sanzione sia stata
deliberata nonostante lÕassenza di uno dei menzionati componenti.

Il procedimento amministrativo per lÕirrogazione di una sanzione


LÕaccertamento del fatto costituente unÕinfrazione avviene allÕesito di un procedimento.
Il co. 2 dellÕart. 38 prevede infatti che la sanzione venga inßitta con provvedimento motivato dopo
la contestazione dellÕaddebito allÕinteressato, il quale • ammesso ad esporre le proprie discolpe.
Nel dettaglio, lÕoperatore penitenziario, quando constata direttamente o viene a conoscenza che una
infrazione • stata commessa, redige rapporto, indicando in esso tutte le circostanze del fatto, e lo
trasmette al direttore per via gerarchica. Il direttore contesta lÕaddebito allÕaccusato, non oltre dieci
giorni dal rapporto, informandolo contemporaneamente del diritto ad esporre le proprie discolpe e,
se lo ritiene opportuno, svolge accertamenti sul fatto.
A seconda poi della tipologia della sanzione disciplinare irrogabile, il direttore convoca lÕaccusato
davanti a sŽ (se la sanzione ritiene possa essere quella del richiamo o dellÕammonizione) o davanti
al Consiglio di disciplina (per le altre sanzioni). A seguito della convocazione, il detenuto o
lÕinternato ha la facoltˆ di presenziare allÕudienza, nel corso della quale potrˆ esporre personalmente
le proprie difese.
La sanzione viene deliberata nel corso della stessa udienza o dellÕeventuale sommario processo
verbale e tempestivamente comunicata al magistrato di sorveglianza.

DallÕesame del procedimento si pu˜ notare che, oltre alla terzietˆ ed imparzialitˆ dellÕorgano
giudicante, il procedimento difetta di una piena ed effettiva attuazione del diritto contraddittorio e
dellÕassistenza tecnica dellÕincolpato.
Anzitutto, la scelta di attribuire al direttore dellÕistituto la competenza a deliberare le sanzioni pone
colui che ha commesso lÕillecito nella condizione di discolparsi dinanzi a colui che lo accusa per
punirlo, sollevando perplessitˆ circa lÕeffettiva imparzialitˆ dellÕorgano deputato ad irrogare le
sanzioni.
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Ma le perplessitˆ maggiori sorgono con riferimento alla facoltˆ per lÕaccusato di essere sentito e di
esporre personalmente le proprie discolpe nel corso dellÕudienza. Infatti, costui • chiamato a
difendersi potendo unicamente sollecitare i poteri istruttori dellÕorgano disciplinare, senza avere la
possibilitˆ di citare testimoni a discarico.
Al detenuto non • assicurata una tutela piena e effettiva del diritto contraddittorio, la cui portata,
limitata dalla mera facoltˆ di esporre le proprie ragioni a discarico, appare insufÞciente a garantire
lÕesercizio di unÕadeguata difesa.
Il tema delle garanzie procedimentali assume particolare rilevanza, infatti, qualora si consideri la
natura sostanzialmente penale delle sanzioni disciplinari, alla luce dei Òcriteri EngelÓ elaborati dalla
Corte di Strasburgo, per la qualiÞcazione della sanzione formalmente amministrativa come
sostanzialmente penale.
InÞne, si ravvisa una violazione del diritto di difesa nella mancanza di un ragionevole spazio
temporale tra la contestazione dellÕaddebito e lÕudienza disciplinare non permettendo allÕincolpato
di preparare adeguatamente la propria linea difensiva.

LA TUTELA ÒRAFFORZATAÓ DELLÕORDINE INTERNO: CONTENUTI E LIMITI DEL


REGIME DI SORVEGLIANZA PARTICOLARE
- La legge penitenziaria del 1975 poneva lÕaccento sullÕuniversalitˆ dellÕofferta trattamentale e sulla
paritˆ di trattamento dei detenuti.
La legge Gozzini (l. 663/1986) ha in seguito Þssato precisi limiti normativi in questa materia
attraverso la disciplina del regime di sorveglianza particolare (art. 14 bis). LÕistituto risponde alla
Þnalitˆ di deÞnire unÕofferta trattamentale individualizzata mediante la compressione dei pi• ampi
spazi di autonomia in funzione dei comportamenti pregiudizievoli per lÕordine e la sicurezza interni
dellÕistituto penitenziario posti in essere da un detenuto. La compressione delle ordinarie regole di
trattamento si collega quindi ad una particolare pericolositˆ penitenziaria.
- Il regime viene imposto mediante un provvedimento motivato assunto dal Capo del D.A.P. previo
parere del consiglio di disciplina.
La durata della sottoposizione non pu˜ essere superiore a 6 mesi, eventualmente prorogabile anche
per pi• volte per un tempo non superiore a 3 mesi.
La natura del regime • eccezionale e deve sottolinearsene il carattere preventivo. Non • dunque una
pena aggiuntiva, ma comprende una serie di limitazioni alle regole di trattamento e allÕesercizio dei
diritti dei detenuti imposte soltanto per un periodo limitato di tempo e strettamente necessarie per il
mantenimento dellÕordine e della sicurezza.
- LÕart. 14 bis descrive i possibili destinatari del provvedimento di applicazione del regime con un
grado di determinatezza crescente, come quelli che:
a) con i loro comportamenti compromettono la sicurezza o turbano lÕordine degli istituti
b) con violenza o minaccia impediscono le attivitˆ degli altri detenuti o internati
c) nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro
confronti
La natura eccezionale del regime lascia pensare che possa essere imposto a fronte di una pluralitˆ di
condotte sintomatiche della grave difÞcoltˆ che lÕinteressato pone allÕambiente carcerario.
Il provvedimento pu˜ essere adottato in qualsiasi momento, anche allÕinizio della detenzione, sulla
base di comportamenti penitenziari tenuti durante precedenti carcerazioni oppure di una negativa
condotta in stato di libertˆ, a prescindere dalla natura dellÕimputazione.
LÕart. 14-quater precisa come il regime possa comportare restrizioni allÕesercizio dei diritti soltanto
quando le stesse siano strettamente necessarie a preservare ordine e sicurezza.
- Sono previsti dei limiti per quando riguarda lÕapplicazione del regime, ovvero una serie di materie
che, riguardando diritti fondamentali, non possono in nessun caso subire compressioni:
igiene ed esigenze di salute
vitto, vestiario e corredo
possesso, acquisto e ricezione di generi ed oggetti permessi dal regolamento interno
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lettura di libri e periodici, pratiche di culto, uso di apparecchi radio


permanenza allÕaperto per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto dallÕart. 10
colloqui con i difensori, con il coniuge, il convivente, i Þgli, i genitori, i fratelli
Si tratta quindi di un elenco che riguarda gli elementi minimi di un trattamento conforme al senso di
umanitˆ, come imposto dalla Costituzione.
Con la legge Gozzini vi sono stati avanzamenti in materia di diritti (ore allÕaperto, colloqui, tutela e
uso di apparecchi radio per preservare il diritto allÕinformazione).
Tutte le limitazioni imposte sono sotto il proÞlo della stretta necessitˆ al Þne di prevenire un
pericolo per lÕordine e la sicurezza.

Il controllo giurisdizionale
Il provvedimento che dispone la sottoposizione al regime di sorveglianza particolare • suscettibile
di reclamo, che per˜ non ne sospende lÕesecuzione, dinanzi al tribunale di sorveglianza che esercita
la sua giurisdizione sullÕistituto penitenziario in cui si trova lÕinteressato nel momento in cui
formula il reclamo.
Il procedimento si svolge senza la partecipazione del sottoposto al regime, ma soltanto dal difensore
e del pubblico ministero.
Il provvedimento conclusivo deve intervenire entro 10 giorni dalla ricezione del reclamo.
La natura giurisdizionale del procedimento di reclamo comporta la natura di impugnazione dellÕatto
di reclamo, che deve essere quindi corredato di motivi. Il tribunale di sorveglianza • chiamato ad
una valutazione che concerne sia lÕan (motivo) della sottoposizione al regime, mediante lo scrutinio
della sussistenza del merito dei comportamenti descritti dallÕart.14 bis come necessitanti di una
sorveglianza particolare, sia la congruitˆ e la stretta necessitˆ delle restrizioni imposte alla Þnalitˆ di
mantenimento dellÕordine e della sicurezza.
LÕaccoglimento del reclamo comporta il ripristino delle ordinarie regole di trattamento.
LÕeventuale inattuabilitˆ del regime nellÕistituto ove lÕinteressato • ubicato pu˜ comportare un suo
trasferimento in altro istituto ritenuto idoneo ed occorre anche in tal caso darne immediato avviso al
magistrato di sorveglianza, che si riferisce al Ministro circa lÕeventuale infondatezza dei motivi
posti alla base del trasferimento.
Proprio il confronto con le peculiari garanzie di contraddittorio pieno assicurate dal reclamo
giurisdizionale (art. 35 bis), pone oggi come particolarmente problematica la sopravvivenza
nellÕordinamento del rito assai meno garantito che art.14 ter presidia il controllo del tribunale di
sorveglianza sulla legittimitˆ del provvedimento di sorveglianza particolare.

ALTRI STRUMENTI FUNZIONALI AL MANTENIMENTO DELLÕORDINE E DELLA


SICUREZZA: LE PERQUISIZIONI
- Per motivi di sicurezza possono essere disposte perquisizioni personali nei confronti dei detenuti
e degli internati, con il limite che ci˜ avvenga nel rispetto della loro personalitˆ.
A queste operazioni procede la polizia penitenziaria, con la presenza di un appartenente al Corpo
con qualiÞca non inferiore a quella di vice sovrintendente e comunque ad opera di personale dello
stesso sesso della persona da perquisire (in caso di persone transgender si fa riferimento al sesso di
identiÞcazione).
Le perquisizioni personali non possono essere eseguite quando bastano gli strumenti di controllo
(es. metal detector).
- Anche le perquisizioni locali, allÕinterno delle camere detentive, devono rispettare le cose di
appartenenza del detenuto.
- Le perquisizioni personali sono dunque disposte su iniziativa dellÕamministrazione penitenziaria e
il regolamento interno stabilisce in quali situazioni.
Nelle ipotesi di ingresso dalla libertˆ e trasferimento della persona si procedere ordinariamente
(perquisizioni ordinarie).

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Negli altri casi (perquisizioni straordinarie) occorre un ordine del direttore, salvo casi di particolare
urgenza, che comunque devono essere portati tempestivamente a conoscenza del direttore,
speciÞcandone i motivi .
Solo in casi eccezionali, inÞne, per operazioni di perquisizione generale, il direttore pu˜ avvalersi
della collaborazione di personale appartenente alle forze di polizia e alle altre forze poste a
disposizione del Prefetto.
- Il potere di perquisizione deve considerarsi circoscritto dalla normativa penitenziaria, e non •
dunque senza limiti, nŽ relativamente ai presupposti, nŽ alle modalitˆ del suo esercizio, che devono
potere essere rimessi al controllo dellÕautoritˆ giudiziaria.
La Corte costituzionale ritiene necessario quindi che lÕamministrazione proceda in ogni caso ad
adeguata documentazione dellÕavvenuta perquisizione, anche inerente alle modalitˆ con cui la
stessa • avvenuta.
Nella documentazione deve essere indicato:
¥ lÕidentitˆ di chi vi • sottoposto, di chi ha proceduto o ha assistito
¥ le circostanze di luogo e tempo in cui lÕatto • avvenuto
¥ il fondamento giustiÞcativo dellÕatto
¥ le modalitˆ con le quali la perquisizione • stata condotta
Sono previsti crescenti obblighi di dettaglio nella documentazione quando si passa dalla
perquisizione ordinaria a quella straordinaria e di urgenza.
Inoltre, si prevede il ricorso ordinario agli strumenti di controllo come i metal detector e lÕuso delle
perquisizioni corporali tramite denudamento solo nei casi in cui ci˜ sia inevitabile senza
compromettere un sufÞciente livello di sicurezza.
Particolarmente scoraggiate sono, inÞne, le perquisizioni mediante denudamento con ßessioni, che
devono essere ridotte al minimo indispensabile.

LÕimpiego della forza Þsica e altri mezzi di coercizione


Riferimenti normativi:
¥ art. 13 co. 4 Cost Ñ> divieto di ogni violenza Þsica e morale sulle persone ristrette
¥ art. 3 Cedu Ñ> divieto di tortura (reato di tortura ex art. 613 ter cp)

-é previsto il divieto di ogni violenza Þsica e morale sulle persone sottoposte a restrizione della
libertˆ. La forza Þsica pu˜ essere legittimamente usata solo in ipotesi di indispensabilitˆ rispetto ad
un elenco dettagliato di azioni volte ad evitare eventi perturbativi dellÕordine pubblico e della
sicurezza:
prevenire o impedire atti di violenza
impedire tentativi di evasione
vincere la resistenza allÕesecuzione degli ordini impartiti
Deve trattarsi di un intervento proporzionato, e dunque la quantitˆ di forza che • necessario
impiegare deve essere la minima necessaria a raggiungere lÕobiettivo di sicurezza che ci si preÞgge.
Il personale di polizia penitenziaria che ha dovuto far ricorso allÕuso della forza Þsica ha lÕobbligo
di riferirne immediatamente al direttore dellÕistituto che dispone accertamenti sanitari.
-Vi • il divieto di utilizzare mezzi di coercizione Þsica diversi da quelli previsti nel regolamento
(che per˜ non li individua espressamente, se non riferendosi a quelli in uso presso le strutture
ospedaliere pubbliche, che contempla solo le fasce di contenzione).
Nessun mezzo di coercizione pu˜ mai essere adoperato a Þni disciplinari.
-é vietato al personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti di portare armi, al di fuori di
casi eccezionali in cui ci˜ sia stato ordinato dal direttore.
LÕuso delle manette ai polsi o di altri mezzi di coercizione Þsica • anche in questo contesto vietato,
salvo che lo richiedano la pericolositˆ della persona o il pericolo di fuga o particolari circostanze di
ambiente, con valutazione da compiersi da parte dellÕautoritˆ giudiziaria.

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LA SOSPENSIONE DELLE REGOLE DI TRATTAMENTO ÒIN GRAVI SITUAZIONI DI


EMERGENZAÓ
La legge Gozzini ha introdotto lÕistituto della sospensione delle regole di trattamento in presenza
di gravi situazioni di emergenza nellÕart. 41 bis co. 1.
Qui si prevede la facoltˆ del Ministro della giustizia di sospendere lÕapplicazione delle normali
regole di trattamento nei confronti dei detenuti o degli internati allÕinterno di un istituto
penitenziario in presenza di casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza.
Il provvedimento deve essere motivato dalla necessitˆ di sicurezza e deve durare solo per il tempo
strettamente necessario al conseguimento del risultato.
LÕistituto si pone in termini di ulteriore eccezionalitˆ rispetto al regime di sorveglianza particolare,
applicabile invece in modo individualizzato. é utilizzabile a fronte di situazioni di speciale
emergenza penitenziaria, descritte in modo non sufÞcientemente determinato, nei confronti di tutti i
detenuti in un certo istituto penitenziario quando neppure la sorveglianza particolare sia sufÞciente
in relazione con le dimensioni del fenomeno.
Non • precisato nella disposizione normativa se vi siano dei limiti nellÕoggetto della sospensione,
ma sicuramente • certo che il nucleo dei diritti fondamentali non possa essere comunque
compromesso.
é previsto da parte di uno dei detenuti o internati che subiscano le limitazioni previste il reclamo di
cui allÕart. 35 bis. Particolarmente problematica resta per˜ lÕefÞcacia del rimedio a fronte di un
provvedimento urgente.

CONTENIMENTO DELA PERICOLOSITË SOCIALE E REGIME DIFFERENZIATO EX


ART. 41 BIS CO. 2
LÕistituto della sospensione delle regole di trattamento di cui allÕart. 41 bis co. 2 risponde a Þnalitˆ
(diverse da quella del comma 1) legate a una pericolositˆ manifestatesi nel contesto penitenziario, e
cio• a esigenze di sicurezza pubblica e quindi il contenimento di una pericolositˆ sociale
particolarmente spiccata.
A fronte di una tale situazione pu˜ essere disposta lÕadozione di speciali limitazioni dellÕofferta
trattamentale, volte a rendere estremamente difÞcoltoso mantenere, se non a recidere, i legami di
chi vi • sottoposto con i gruppi criminali sul territorio.

LÕorigine di questo regime differenziato in peius risale al periodo di alcune delle pi• efferate azioni
criminali di maÞa, tra la strage del 23 maggio 1992 in cui persero la vita il magistrato Giovanni
Falcone, sua moglie e la scorta, e la strage del 19 luglio 1992, in cui rimasero uccisi Paolo
Borsellino e la sua scorta.
La Þnalitˆ perseguita dal legislatore era quella di una risposta emergenziale con la quale si
imponeva un giro di vite al trattamento penitenziario per gli autori di delitti legati alla criminalitˆ
organizzata.
Il regime differenziato risponde ad una necessitˆ ancora attuale di contrasto alla criminalitˆ
organizzata di stampo maÞoso e di tipo terroristico. Tuttavia dalla sua introduzione le forti
compressioni del trattamento e dei diritti fondamentali di chi vi • sottoposto hanno determinato
vibrate critiche in dottrina e plurime censure da parte della Corte e.d.u. e di altri organismi di tutela
dei diritti umani.
Una sequenza di interrogativi di compatibilitˆ costituzionale dellÕistituto ha poi condotto ad
importanti pronunce dei giudici della Consulta che hanno di fatto disegnato i requisiti minimi che il
regime differenziato doveva presentare per non porsi in contrasto con la Costituzione.
Si • precisato dunque che il decreto ministeriale del regime di cui allÕart. 41 bis:
¥ avrebbe dovuto contenere una motivazione individualizzata per ogni destinatario
¥ le limitazioni potessero incidere soltanto sulle modalitˆ di esecuzione della pena
¥ dovesse prevedersi una sindacabilitˆ del provvedimento dinanzi ad un giudice ordinario,
individuato nel tribunale di sorveglianza. Il sindacato dellÕautoritˆ giudiziaria doveva riguardare
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la veriÞca dei presupposti applicativi del regime, quanto il rispetto dei limiti imposti, dalla
Costituzione e dalla legge, sui contenuti, nonchŽ la congruitˆ delle sospensioni delle regole di
trattamento rispetto ai Þni perseguiti.
Il regime differenziato doveva essere imposto non soltanto al tipo di reato per il quale lÕinteressato
si trovava ristretto, ma anche allÕeffettivo pericolo di permanenza dei collegamenti dello stesso con
i gruppi criminali organizzati sul territorio, e ci˜ in particolar modo a fronte di provvedimenti di
proroga, che non devono contenere motivazioni stereotipe, ma esplicitare le ragioni che impongono
la permanenza del regime.
Un ultimo signiÞcativo intervento • stato compiuto con l.94/2009 introducendo un elenco puntuale
di limitazioni al trattamento per chi vi sia sottoposto, alcune delle quali sono state poi ritenute
costituzionalmente illegittime dalla Corte Costituzionale.

Presupposti e contenuti del carcere duro


- La sottoposizione al regime differenziato avviene per decreto del Ministro della giustizia quando
ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica nei confronti dei detenuti e degli internati per
taluno dei delitti previsti dallÕart. 4 bis co. 1, se vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di
collegamenti con unÕassociazione criminale organizzata, anche terroristica o eversiva.
La progressiva estensione nel corso del tempo del novero dei reati compresi nellÕart. 4 bis co. 1 (ad
esempio, ad oggi, comprende anche il delitto di violenza sessuale di gruppo, contrabbando di
tabacchi lavorati esteri, delitti contro la pubblica amministrazione), ha dunque determinato un
allargamento dei possibili destinatari anche se lo strumento viene ancora utilizzato essenzialmente a
detenuti per gravi delitti di stampo maÞoso e di terrorismo ed eversione dellÕordinamento
democratico.
Quando lÕinteressato si trova ristretto in relazione a pi• titoli, alcuni dei quali ostativi, non trova
applicazione il principio giurisprudenziale dello scioglimento del cumulo e dunque il decreto
ministeriale pu˜ rimanere in vigore anche se sia stata espiata la pena.
Il decreto ministeriale viene assunto sulla base dellÕacquisizione di informazioni dallÕufÞcio del
pubblico ministero competente in relazione alla fase di indagini preliminari e acquisite tutte le
informazioni necessarie da parte della Direzione nazionale antimaÞa e degli organi di polizia
contrali e specializzati nel contrasto alla criminalitˆ organizzata, terroristica o eversiva.
- La prima applicazione del decreto • per quattro anni seguiti da successivi eventuali proroghe per
due anni.
Il decreto ministeriale dovrˆ essere motivato sulla base di elementi attuali, quando risulti che la
capacitˆ di mantenere contatti con lÕorganizzazione non • venuta meno, tenuto conto del proÞlo
criminale, della posizione rivestita dal soggetto in seno allÕassociazione, oltre che dalle
informazioni sulla pericolositˆ sociale pervenute dalle forze dellÕordine sul territorio; dalla
perdurante operativitˆ del sodalizio criminale; dal tenore di vita dei familiari in rapporto alla
sussistenza di lecite fonti di reddito; dagli esiti del trattamento penitenziario.
La disposizione normativa precisa inoltre che il mero decorso del tempo • elemento da considerarsi
di per sŽ neutro rispetto alla capacitˆ del detenuto di mantenere contatti con lÕassociazione di
riferimento.
-Al 23 febbraio 2023, le persone sottoposte al regime detentivo speciale erano 740 (di cui 12
donne), distribuite allÕinterno di 12 istituti (Sassari, Cuneo, LÕAquila, Novara, Nuoro, Parma,
Roma-Rebibbia, Terni, Tolmezzo, Viterbo, Milano-Opera, Spoleto).

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Contenuti delle limitazioni

Locus custodiae
I detenuti sottoposti a questo regime differenziato sono allocati in istituti a loro esclusivamente
dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, o comunque allÕinterno di sezioni speciali e
logisticamente separate dal resto dellÕistituto.
Nei loro confronti sono adottate misure di elevata sicurezza interna ed esterna con lo scopo
principalmente di prevenire contatti con lÕorganizzazione criminale di appartenenza o
allÕinterazione con altri detenuti appartenenti alla medesima organizzazione criminale.
La camera di detenzione • dotata esclusivamente degli arredi essenziali (letto, tavolo, armadio,
sedia, specchio e plexiglass e tv attaccata al muro). é garantito il cambio settimanale di lenzuola e
federe e la fornitura mensile dei generi per la pulizia dei locali.
Divieto di afßiggere alle pareti foto, poster o immagini che possono recare danno alla struttura o
rendere poco agibili i controlli di sicurezza (iconoclastia). é per˜ consentito tenere fotograÞe di
familiari e immagini o simboli religiosi.
é consentito fumare nella propria stanza (vicino alla Þnestra) e non nelle aree comuni.
Oltre al vitto fornito dallÕamministrazione, • consentito lÕacquisto di ulteriori generi alimentari,
purchŽ non eccedenti il fabbisogno settimanale.

Permanenza allÕaperto
Sono previste due ore al giorno di permanenza allÕaperto (per aperto non si intende solo lÕaria aperta
ma anche il tempo per svolgere attivitˆ ricreativo-sportive), in gruppi non superiori a quattro
persone. Regole per la composizione dei gruppi:
¥ evitare la socialitˆ in comune per detenuti che abbiano giˆ avuto periodi di permanenza in
comune
¥ evitare contatti tra ÒnuoviÓ e ÒanzianiÓ
¥ evitare contatti tra vertici apicali, preferendo che i gruppi siano a composizione mista
¥ evitare che facciano parte dello stesso gruppo soggetti appartenenti alla medesima organizzazione
criminale

Colloqui con i familiari


Il sottoposto al regime pu˜ svolgere un solo colloquio al mese della durata di 1 ora con i familiari e
conviventi. Esso si svolge allÕinterno di locali attrezzati per evitare il passaggio di oggetti (vetri a
tutta altezza e microfoni).
Pu˜ essere sostituito, dopo i primi sei mesi, da unÕeventuale telefonata della durata di dieci minuti
ove il colloquio visivo non avvenga.
I colloqui con terze persone, di regola vietati, possono essere autorizzati eccezionalmente
dallÕautoritˆ giudiziaria.

Colloqui con il difensore


Non sono previsti limiti (di frequenza e durata) per i colloqui e le conversazioni telefoniche con i
difensori. é stato infatti dichiarato incostituzionale il precedente assunto per cui non potevano
svolgersi pi• di tre colloqui alla settimana per una durata non superiore ad unÕora.
Inoltre, i colloqui con il difensore non possono essere sottoposti ad ascolto e registrazione.

Assistenza sanitaria
é previsto il diritto ad ottenere la copia della cartella clinica o delle singole documentazioni agli
atti, previa istanza motivata indirizzata allÕATS attraverso la direzione dellÕistituto.
Su richiesta del detenuto, • sempre garantita la visita medica quotidiana a cura del sanitario di
sezione. é riconosciuto il diritto ad essere visitato da un medico di propria Þducia a proprie spese,
purchŽ questÕultimo non abbia a proprio carico signiÞcativi precedenti o segnalazioni di polizia.

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Diritti negati

Diritto allÕinformazione Ñ> la circ. 2017 vieta ai detenuti di ricevere giornali o riviste dallÕesterno
(la ricezione • ammessa solo tramite abbonamenti sottoscritti dalla direzione dellÕistituto). Il divieto
si estende anche ai libri; • possibile per˜ usufruire della biblioteca e detenere massimo quattro
volumi alla volta allÕinterno della propria camera
é consentita la fruizione di apparecchi televisivi forniti dallÕamministrazione, privi di televideo o
muniti di sistemi di blocco che ne inibiscono la funzionalitˆ. Accesso limitato e controllato
periodicamente ai canali televisivi.

Diritto al trattamento Ñ> difÞcile credere che un sistema basato sulla totale segregazione possa
armonizzarsi con il concetto di reinserimento sociale.
Il detenuto pu˜ comunque svolgere attivitˆ lavorativa nellÕambito della sezione di alloggio e, nel
rispetto del divieto di comunicazione al di fuori del gruppo di socialitˆ, svolgere attivitˆ scolastica e
universitaria.
Per quanto riguarda la religione, la circolare 2017 ripropone i contenuti dellÕart.36.

Il controllo del tribunale di sorveglianza di Roma sui presupposti del decreto ministeriale
- é previsto il reclamo avverso lÕimposizione del regime differenziato.
Esso pu˜ essere proposto entro 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento, dal detenuto,
dallÕinternato e dal loro difensore, corredato di motivi. Sino alla modiÞca del 2009 era previsto
inoltre che lÕinteressato potesse chiedere in qualunque momento al Ministro una revoca
anticipata del decreto ministeriale e potesse adire lÕautoritˆ giudiziaria per una veriÞca della
legittimitˆ del rigetto dellÕistanza o di un silenzio da intendersi quale riÞuto.
- La competenza a valutare i reclami avverso i provvedimenti ministeriali • stata attribuita in via
esclusiva al tribunale di sorveglianza di Roma. In precedenza, invece, la competenza era dei
tribunali di sorveglianza diffusi sul territorio in relazione al luogo di assegnazione del reclamante.
La scelta del legislatore non appare esente da criticitˆ costituzionali sotto il proÞlo della sottrazione
della valutazione al giudice naturale risolvendosi in un decremento di conoscenze individualizzanti
di quellÕautoritˆ giudiziaria, che non • la stessa che si occupa dellÕistituto penitenziario ove
lÕinteressato sconta la propria detenzione.
-Il tribunale di sorveglianza decide entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo con la
partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero.
LÕinteressato pu˜ partecipare allÕudienza ma con applicazione delle norme sulla partecipazione a
distanza mediante video-collegamento.
Il controllo giurisdizionale afÞdato al tribunale di sorveglianza • limitato alla veriÞca della
sussistenza dei presupposti dellÕimposizione del regime e dunque della adeguata motivazione in
ordine alla pericolositˆ sociale dello stesso e, in particolare, alla persistenza della sua capacitˆ
concreta di mantenere o riprendere i contatti con i sodali dellÕassociazione criminale sul territorio.
La valutazione si fa complessa in caso di proroga della sottoposizione, dovendo in questo caso
veriÞcarsi motivi adeguatamente circa il persistere di tale capacitˆ.
Non occorre che la persistenza nel tempo degli elementi inizialmente posti a sostegno
dellÕimposizione del regime sia dimostrata ogni volta nelle motivazioni della proroga attraverso
circostanze nuove, ma • sufÞciente che rispetto al passato non siano sopravvenuti fattori di novitˆ
tali da vaniÞcare quegli indici che nelle precedenti valutazioni avevano consentito di ritenere ancora
attuale la capacitˆ dellÕinteressato di mantenere i collegamenti con i gruppi di riferimento.
Questo approccio ha condotto ad una notevole stabilitˆ nel tempo della sottoposizione al regime.
-La Corte di cassazione ha inoltre posto in evidenza come le condizioni di salute del sottoposto
regime di cui allÕart.41 bis possono essere rilevanti non soltanto per lÕeventuale differimento della
pena ma anche in relazione alla legittimitˆ della sottoposizione al regime, quando ad esempio

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comportino un decadimento cognitivo grave e tale perci˜ da rendere lÕinteressato non pi• in grado
di mantenere o ricercare contatti con i solidali liberi.

Il controllo del magistrato di sorveglianza sulla congruitˆ delle limitazioni imposte


Prima della modiÞca normativa del 41 bis il sindacato giurisdizionale non si limitava alla veriÞca
della sussistenza dei presupposti per lÕadozione del provvedimento, ma era invece volto a valutare
la congruitˆ dei contenuti del decreto ministeriale ai Þni perseguiti.
La giustiÞcazione dellÕeliminazione del reclamo sui contenuti • dunque da rinvenirsi nella
elencazione puntuale delle regole di trattamento che possono essere sospese con lÕimposizione del
regime nel co. 2 quater.
Tuttavia, nella lettera a di tale comma si • giˆ notata la sussistenza di una disposizione che lascia
ampio spazio alla discrezionalitˆ dellÕamministrazione, mediante il possibile approntamento di
indeterminate misure di elevata sicurezza interna ed esterna.
Permane inoltre un bisogno di tutela connesso alla veriÞca che nel caso concreto una limitazione
non si appalesi in contrasto con i diritti fondamentali della persona in connessione con una sua
peculiare condizione soggettiva.
La Corte costituzionale • stata subito chiamata a decidere in ordine a tale assetto normativo.
Nel pronunciarsi per lÕinammissibilitˆ della questione sollevata, la Consulta ha precisato come la
forte riduzione della discrezionalitˆ ministeriale nellÕindividuazione delle misure conseguenti alla
sospensione del trattamento ordinario del detenuto giustiÞcasse la scomparsa di un riferimento
testuale al controllo sulla congruitˆ delle limitazioni agli scopi perseguiti dal regime differenziato in
rapporto alle eventuali lesioni di diritti soggettivi del detenuto.
La Consulta ha indicato dunque ancora il tribunale di sorveglianza come autoritˆ giudiziaria
competente allÕaccertamento dellÕeventuale lesione di un diritto fondamentale a fronte di una
limitazione imposta con il decreto ministeriale che dispone il regime differenziato.
LÕintroduzione del rimedio giurisdizionale di cui agli artt. 35-bis e 69 co. 6¡ lett. b, che consente al
detenuto di proporre reclamo ha avuto lÕeffetto di stabilizzare uno strumento giurisdizionale
generale di garanzia dei diritti dei detenuti.
Il sistema ricostruito dalla Consulta oggi non pu˜ che prevedere dunque una competenza, in materia
di congruitˆ dei contenuti del decreto ministeriale in rapporto ai Þni perseguiti dal regime e alla
eventuale violazione di diritti soggettivi del detenuto attribuita al magistrato di sorveglianza, da
individuare con riferimento al luogo di detenzione.
Invece, la sussistenza della clausola generale, contenuta nel co. 2 quater lett. a, rende necessario un
vaglio approfondito da parte dellÕautoritˆ giudiziaria circa la sussistenza delle effettive ragioni
giustiÞcative dellÕulteriore limitazione eventualmente imposta.
In questo campo ci sono stati numerosi interventi della Consulta in cui si era affermato che con il
regime differenziato Ònon possono disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili
alla concreta esigenza di tutelare lÕordine e la sicurezzaÓ. Infatti, si era contestualmente aggiunto Òle
misure in questione non risponderebbero pi• al Þne, divenendo ingiustiÞcate deroghe allÕordinario
regime carcerario, con una portata puramente afßittivaÓ.
La sospensione di talune regole di trattamento, legittimata per gravissime esigenze di sicurezza
dallÕart. 41 bis. debba essere vagliata con peculiare attenzione dal magistrato di sorveglianza e
analizzando criticamente lÕesercizio della discrezionalitˆ residua dellÕamministrazione tanto in
relazione agli scopi perseguiti quanto alla proporzionalitˆ degli strumenti adoperati.
Resta, inÞne, ferma la necessitˆ di adire il Giudice delle leggi laddove il magistrato di sorveglianza
ravvisi incidentalmente un conßitto tra le disposizioni contenute nella legge e uno o pi• parametri
costituzionali: come ad esempio nei giˆ citati casi della compressione del numero e del tempo dei
colloqui visivi o telefonici con i difensori e del divieto di cucinare cibi.

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➢ CAPITOLO VI: Le misure alternative alla detenzione e la liberazione


anticipata

LE MISURE ALTERNATIVE AL CARCERE


Le misure alternative alla detenzione sono parte integrante del sistema di esecuzione penale. Sono
pene, benchŽ di specie diversa dalla pena detentiva tradizionale.

I primi esperimenti di espiazione della pena allÕesterno si ebbero nel XIX secolo in America e nel
Regno Unito: nel primo caso la detenzione viene da subito sostituita con restrizioni meno intense;
nel secondo caso modalitˆ sanzionatorie meno restrittive sono applicate dopo che • stata giˆ
scontata una certa quota di carcerazione.
LÕItalia • giunta a recepirli solo con la legge 354/1975. La decisione aveva ad oggetto la liberazione
condizionale. Secondo la versione allÕepoca vigente, la concessione del beneÞcio spettava al
Ministro della Giustizia. La Corte sanc“ invece come indispensabile lÕintervento di un giudice per
modiÞcare le modalitˆ di espiazione della pena. Il legislatore veniva perci˜ chiamato a introdurre
idonee garanzie giurisdizionali a tutela di un vero e proprio diritto del condannato al riesame sul
protrarsi della pretesa punitiva. Occorreva che un organo giudiziario fosse posto in grado di
accertare se la pena in corso di esecuzione avesse assolto al suo Þne rieducativo e dunque meritasse
unÕattenuazione prodromica al riacquisto della libertˆ.

Fonti:
¥ Capo VI del titolo I della l. 354/1975 Ñ> rappresenta la fonte principale di riferimento circa
lÕafÞdamento in prova ai servizi sociali, la semilibertˆ, la detenzione domiciliare (nelle sue
articolate tipologie) e le misure alternative per le persone affette da HIV.
¥ D.p.R. n. 309/1990 (Testo Unico in materia di stupefacenti) Ñ> per quanto concerne
lÕafÞdamento in prova terapeutico (art. 94) e il beneÞcio della sospensione della pena nei
confronti dei condannati tossicodipendenti (art. 90).
¥ Codice penale Ñ> con riferimento alla disciplina della liberazione condizionale.

NATURA E CARATTERI DELLE MISURE ALTERNATIVE


Le misure alternative alla detenzione sono molto diverse tra loro, vi sono per˜ dei tratti comuni:
la magistratura di sorveglianza (magistrato o tribunale di sorveglianza) • attiva al momento della
concessione della misura alternativa e al momento della sua esecuzione, per attribuire, modiÞcare
e annullare le prescrizioni
prevedono un tasso variabile di afßittivitˆ e di limitazione della libertˆ personale
(differenziandosi, sotto questo proÞlo, dagli istituti del differimento della pena e della
sospensione della pena)
sono Þnalizzate al reinserimento del condannato nel contesto sociale di riferimento (si
differenziano da istituti volti alla mera sostituzione della pena con misure esterne al carcere,
come lÕesecuzione della pena presso il domicilio)

- Il catalogo delle misure si • notevolmente ampliato negli ultimi 40 anni. In origine esso includeva
solo lÕafÞdamento in prova al servizio sociale e la semilibertˆ, a cui sono state accostate diverse
forme di detenzione domiciliare; ma lÕinventario attinge anche ad altre fonti, come il testo unico in
materia di sostanze stupefacenti (dove sono disciplinati lÕafÞdamento in prova in casi particolari e la
sospensione della pena per il tossicodipendente) o il testo unico in materia di immigrazione (dove si
rinviene una forma di espulsione qualiÞcata come misura alternativa).
LÕelemento che accomuna questa moltitudine di istituti giuridici • la competenza a concederli
assegnata alla magistratura di sorveglianza: al tribunale spetta di veriÞcare la sussistenza dei
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requisiti di legge e di modiÞcare conseguentemente la Þsionomia della pena in corso di esecuzione.


- Le misure alternative si differenziano dalle sanzioni sostitutive che sono invece applicate con la
sentenza di condanna (dal giudice di cognizione) resa al termine del procedimento penale. La
magistratura di sorveglianza interviene invece a giudicato giˆ formato, quando la decisione •
diventata irrevocabile.
- Secondo la concezione originaria del legislatore del 1975 le modalitˆ di espiazione surrogatorie
del carcere potevano scattare soltanto dopo un previo periodo di reclusione in istituto.
Le molte controindicazioni legate ai temporanei soggiorni negli istituti penitenziari, unite alla
considerazione che per certe categorie soggettive (tossicodipendenti, malati o madri di Þgli piccoli)
le esigenze di cura o assistenza risultano fortemente pregiudicate dalla detenzione, hanno indotto a
rivedere la scelta iniziale e a rendere perci˜ accessibili le misure alternative anche dalla libertˆ,
quando la pena da scontare sia di entitˆ contenuta. Il vaglio del giudice si dirige in ogni caso verso
presupposti oggettivi (ossia sbarramenti legati a una certa quantitˆ di pena giˆ espiata) e presupposti
soggettivi, ovvero qualitˆ personali, attitudini, condotte, grado di afÞdabilitˆ.
- Tutte le misure alternative presentano una componente afßittiva, oltre che rieducativa, consistente
in obblighi di fare e non fare. LÕintensitˆ dei doveri imposti pu˜ variare notevolmente: la detenzione
domiciliare comporta ad esempio una vera e propria reclusione, seppure patita in ambiente
domestico, mentre la semilibertˆ implica la possibilitˆ di uscita temporanea dallÕistituto
penitenziario, dove il condannato continua tuttavia a permanere.
Esse sono insomma pene dotate di un indubitabile carico afßittivo, ma che differisce
signiÞcativamente da quello apportato dalla detenzione in carcere, anche per lÕaccentuata vocazione
rieducativa delle espiazioni esterne.
- Il secondo proÞlo caratterizzante le misure alternative • che queste dovrebbero contemplare
interventi di sostegno al reinserimento sociale. Un ruolo fondamentale • assegnato a questo scopo
agli ufÞci di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.), articolazioni territoriali del Dipartimento di
giustizia minorile e di comunitˆ, incaricati di offrire supporto qualiÞcato ai percorsi di recupero del
condannato.

Le pene sostitutive nella riforma Cartabia


Lavoro di pubblica utilitˆ Ñ> consiste nella prestazione di attivitˆ non retribuita in favore della
collettivitˆ da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, le cittˆ metropolitane, i comuni o
presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. La prestazione deve consistere in
non meno di 6 e non pi• di 15 ore di lavoro settimanali.
Pena pecuniaria sostitutiva Ñ> la l. 689/1981 introduce i criteri di ragguaglio della pena pecuniaria
sostitutiva, prevedendo che questo ammontare sia determinato dal giudice individuando il valore
giornaliero cos“ da moltiplicarlo per i giorni di pena detentiva.
Durata delle pene sostitutive Ñ> la semilibertˆ e la detenzione domiciliare hanno la stessa durata
della pena irrogata; il lavoro di pubblica utilitˆ invece ha durata corrispondente a quella della pena
detentiva, secondo i parametri di ragguaglio dellÕart. 56 bis.
Criteri di scelta della pena sostitutiva Ñ> il potere discrezionale • del giudice della cognizione, che
individua la pena sostitutiva pi• idonea alla rieducazione, con conseguente minor sacriÞcio della
libertˆ personale. Il giudice dovrˆ motivare la scelta del tipo e delle modalitˆ applicative della pena
sostitutiva.
Esecuzione Ñ> il pm trasmette la sentenza che ha applicato la pena sostitutiva della semilibertˆ o
della detenzione domiciliare al magistrato di sorveglianza del luogo di domicilio del condannato,
che, entro 45 giorni, provvede con ordinanza e prescrive le modalitˆ operative di attuazione della
pena.

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LÕAFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE

PROFILI GENERALI
- LÕafÞdamento in prova al servizio sociale costituisce la pi• signiÞcativa tra le misure alternative
alla pena detentiva, che coniuga istanza retributiva e Þnalitˆ special-preventiva.
Essa fa venir meno ogni rapporto del condannato con il concetto di detenzione, prospettandosi quale
trattamento in libertˆ sostitutivo di quello intramurario.
Consiste nella possibilitˆ, a determinate condizioni, di espiare la pena deÞnitiva che sia contenuta
entro un limite edittale o il residuo di una maggiore pena, cio• detratta la pena giˆ espiata o
condonata, fuori dallÕistituto penitenziario, affrontando un periodo di prova il cui esito positivo
estinguerˆ la pena e ogni effetto penale.
Vi • quindi un formale impegno del condannato di sottoporsi ad una ÒprovaÓ per tutto il periodo
residuo della pena da espiare, monitorato dal servizio sociale (UEPE) e dalle forze dellÕordine, da
svolgersi secondo prescrizioni stabilite dal giudice di sorveglianza.
- LÕafÞdamento in prova, nella sua originaria strutturazione, poteva essere applicato solo dopo
lÕinizio dellÕesecuzione della pena e previa osservazione trimestrale della personalitˆ, ed era
adottabile nei confronti di autori di reati di entitˆ modesta (condannati a una pena non superiore ai 3
anni). A suo presupposto si poneva una prognosi di rieducabilitˆ attraverso lÕimposizione di
prescrizioni comportamentali e il supporto del servizio sociale. Priva di qualsiasi connotazione
premiale, la concessione dellÕafÞdamento in prova si prospettava quale atto di Þducia per un suo
impegno futuro verso la risocializzazione.
Nel tempo, per˜, le innovazioni introdotte hanno provocato unÕaccentuazione della funzionalitˆ
della misura verso scopi di deßazione carceraria: lo scopo di rieducazione • stato superato
dallÕobiettivo di contenere la detenzione in carcere. LÕafÞdamento in prova al servizio sociale •
divenuto quindi uno strumento attraverso il quale realizzare lÕalleggerimento della popolazione
carceraria. é stato infatti ampliato lÕambito operativo, esteso anche agli autori di reati di pi•
accentuata gravitˆ; e se ne • conÞgurata la concedibilitˆ prima dellÕinizio della esecuzione penale e
a prescindere dalla osservazione in istituto.
LÕafÞdamento in prova • cos“ divenuto misura non pi• riservata agli autori di reati di deÞnita gravitˆ
(condannati a una pena Þnale) ma a destinazione generalizzata. Anche lÕarea di possibile operativitˆ
della misura • stata integrata attraverso lÕinnalzamento del quantum di pena ancora da espiare per
accedervi: accanto allÕipotesi ÒtradizionaleÓ ve ne • unÕaltra ÒallargataÓ riservata ai condannati che
devono espiare quattro anni di detenzione. Ulteriori signiÞcative variazioni sono quelle che hanno
inciso sul requisito dellÕosservazione inframuraria della personalitˆ del condannato. Infatti si •
passati prima attraverso una riduzione della durata dellÕosservazione (da tre mesi a uno), e
successivamente attraverso un iter procedimentale che consente di accedere alla misura senza
lÕosservazione infamuraria quando il condannato, al momento del passaggio in giudicato della
sentenza, si trovi in stato di libertˆ e prescindendo dal fatto che abbia in precedenza trascorso in
carcere un periodo di custodia cautelare.
- Il pubblico ministero deve sospendere ex ofÞcio lÕordine di esecuzione quando, in base a un
controllo formale, la pena in concreto da espiare non superi il limite previsto ex lege per lÕaccesso
alla misura. In questi casi, pertanto, al condannato • concessa lÕopportunitˆ di formulare lÕistanza di
afÞdamento in prova direttamente dallo stato di libertˆ e senza transitare dal carcere e senza che si
svolga alcuna osservazione inframuraria della sua personalitˆ.

Due tipologie di afÞdamento in prova:


1. ordinario Ñ> pena non superiore a 3 anni
2. allargato Ñ> pena non superiore a 4 anni

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REQUISITI
LÕaccesso allÕafÞdamento in prova al servizio sociale • subordinato al realizzarsi di alcune
condizioni prestabilite: veri e propri requisiti positivi la cui sussistenza si pone quale condicio sine
qua non per la concessione della misura da parte del tribunale di sorveglianza.
Questi presupposti possono essere di natura oggettiva e di natura soggettiva.

Requisiti oggettivi:
¥ species della pena da espiare
¥ entitˆ della pena da espiare
¥ tempo minimo di osservazione
Questi requisiti non possono essere vagliati discrezionalmente dal giudice di sorveglianza

Requisito soggettivo:
¥ meritevolezza della misura che il tribunale di sorveglianza deve trarre dallÕanalisi del
comportamento tenuto dal condannato e dalla conseguente prognosi in ordine al modo in cui il
medesimo potrˆ usufruire dellÕafÞdamento

REQUISITI OGGETTIVI
¥ Species della pena
LÕafÞdamento in prova al servizio sociale pu˜ essere, innanzitutto, concessa al condannato che
debba espiare una pena che abbia natura detentiva (es. reclusione o arresto, oppure chi • giˆ stato
ammesso a detenzione domiciliare o semilibertˆ).
Non pu˜, invece, accedervi chi abbia ottenuto la liberazione condizionale.
¥ Entitˆ della pena da espiare
Quanto allÕentitˆ di pena da espiare, occorre che questa non superi i tre o quattro anni, a seconda
che la richiesta abbia a oggetto la forma tradizionale della misura o quella allargata (in questo caso
il beneÞcio • concedibile qualora il condannato abbia serbato, nellÕanno anteriore alla richiesta, un
comportamento tale da consentire un giudizio favorevole circa la non recidiva).
In questo caso si fa riferimento alle quote di pena ancora da espiare in concreto. Quindi, la
condizione per la concessione dellÕafÞdamento in prova • da parametrare non sullÕentitˆ della
sanzione inßitta dal giudice de merito, ma sulla quantitˆ di pena detentiva che il condannato ha da
scontare al momento della presentazione della richiesta.
Il condannato pu˜ trovarsi in possesso di questo requisito in due ipotesi:
1. pu˜ vantarlo ab origine, Þn dallÕavvio dellÕesecuzione della pena
2. pu˜ conseguirlo durante lÕesecuzione della pena, per effetto della sua progressiva espiazione o
per lÕinsorgenza di altri fattori che ne determino lÕabbreviazione
Per la determinazione del quantum di pena da espiare in concreto • la legge a dettare alcuni criteri
di computo. Vanno considerati interamente, quale pena detentiva giˆ eseguita, i periodi di custodia
cautelare (carceraria o domiciliare). Allo stesso modo va computato il periodo in cui il condannato •
stato Òmesso alla provaÓ. Nessuno rilievo, invece, assume la pena pecuniaria che conserva la sua
autonomia e non si cumula con la pena detentiva.
¥ Tempo minimo di osservazione
Altro requisito oggettivo • quello relativo al tempo minimo di osservazione della personalitˆ del
condannato: solo unÕosservazione protratta nel tempo normativamente prestabilito e afÞdata a
soggetti che ne assicurino il carattere scientiÞco sarebbe idonea a fornire al giudice di sorveglianza
gli elementi per pervenire al giudizio circa lÕafÞdabilitˆ comportamentale del condannato.
La durata • di un mese.
Questa osservazione deve essere condotta collegialmente in istituto dallÕŽquipe di osservazione se il
condannato • giˆ recluso. Avviene invece extramoenia, attraverso lÕintervento dellÕU.E.P.E. se
lÕistanza • proposta dal soggetto in libertˆ.
é possibile per˜ prescindere da questo requisito. Infatti vi sono alcune ipotesi in cui il condannato
non • stato, per qualsiasi ragione, sottoposto a osservazione scientiÞca della personalitˆ. Anche in
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questa evenienza il condannato pu˜ essere ammesso alla misura invocata qualora sia possibile sulla
base del comportamento tenuto in libertˆ rilevare i sintomi di una sua predisposizione positiva alla
rieducazione extramuraria senza ripercussioni negative sul versante del rischio di recidiva.

REQUISITO SOGGETTIVO
¥ Meritevolezza
LÕafÞdamento in prova al servizio sociale • concesso quando si ritiene che la misura possa
contribuire alla rieducazione del reo e sia in grado di assicurare la prevenzione dal pericolo che egli
commetta altri reati.
Questo requisito di merito • previsto anche per lÕafÞdamento in prova ÒallargatoÓ. Quando la pena
da espiare non • superiore a quattro anni, il giudizio prognostico circa lÕidoneitˆ della misura
extramuraria va saggiata tenendo conto del comportamento tenuto, quantomeno nellÕanno
precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione della pena, in esecuzione di
una misura cautelare o in libertˆ.
Le Þnalitˆ per le quali • concesso (rieducazione del condannato e prevenzione del rischio di
recidiva) sono funzionali al vantaggio non solo del singolo ma anche della societˆ.
LÕidoneitˆ della misura a realizzare la rieducazione del reo deve essere valutata in base alle risorse
di cui in concreto il condannato potrˆ avvalersi durante la prova: sia in ordine alle attivitˆ
trattamentali che potrebbe svolgere (lavorative, riparative, solidaristiche), sia in merito al tessuto
sociale che lo accoglierebbe e sosterrebbe una volta collocato in ambiente libero. Oltre ad unÕattenta
regolamentazione delle attivitˆ che il soggetto dovrˆ svolgere in libertˆ, bisogna dotarsi di una
conoscenza approfondita del materiale umano.
La concessione della misura non implica quindi lÕavvenuto ravvedimento del condannato ma solo
lÕesistenza di elementi da cui desumere lÕavvio della revisione critica del comportamento e lÕinizio
del processo rieducativo.

LE PRECLUSIONI
- Esistono alcune condizioni che si pongono, invece, quale ostacolo alla concessione della misura.
- Vi sono preclusioni ÒtemporaneeÓ previste dallÕart. 58 quater e 4 bis che il condannato per
speciÞci delitti pu˜ rimuovere ponendo in essere determinati comportamenti attivi o assolvendo a
speciÞci oneri di allegazione circa lÕassenza di collegamenti con ambienti criminali o di pericolo di
ripristino di essi, ovvero quale effetto della sottoesposizione a peculiari modalitˆ di osservazione.
Ve ne sono poi altre non soggette ad alcun limite temporale, nŽ a condizioni risolutive e che
assumono valenza ostativa ÒassolutaÓ.
- Non pu˜, innanzitutto, essere per pi• di una volta afÞdato in prova il condannato al quale sia stata
applicata la recidiva. Chi ha giˆ usufruito dellÕafÞdamento in prova, cio•, non pu˜ nuovamente
accedervi qualora sia stato successivamente dichiarato recidivo per aver commesso un altro delitto
non colposo.
- Altra preclusione • quella derivante dalla revoca della detenzione domiciliare biennale, a causa di
un comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, che appare
incompatibile con la prosecuzione della misura.
- In deroga alla generica inapplicabilitˆ delle misure alternative alla detenzione al condannato in
espiazione di pena sostitutiva, la preclusione dellÕart. 67 co. 1 l. 689/1981 non coinvolge la misura
dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale. Le nuove pene della semilibertˆ sostituiva e della
detenzione domiciliare sostitutiva espongono coloro che ne sono stati giudicati meritevoli a un
trattamento sanzionatorio immediatamente esecutivo e maggiormente afßittivo rispetto alla misura
alternativa dellÕafÞdamento. Precludere loro lÕaccesso alla prova realizzerebbe unÕirragionevole
disparitˆ di trattamento tra condannati a pena detentiva non sostituita e condannati a pena detentiva
sostituita. Di qui la scelta di prevedere che lÕafÞdamento in prova al servizio sociale possa essere
concesso al condannato alle pene sostitutive della semilibertˆ e della detenzione domiciliare. Questa
possibilitˆ • riconosciuta dopo lÕespiazione di almeno metˆ della pena, a chi abbia serbato un
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comportamento tale per cui lÕafÞdamento in prova, rispetto alla sanzione sostituiva in corso di
esecuzione, appaia pi• idoneo alla sua rieducazione e capace di assicurare, comunque, la
prevenzione del pericolo di recidiva.
Non incontra, invece, alcuna eccezione la preclusione allÕaccesso alle misure alternative alla
detenzione per coloro che espiano la pena della semilibertˆ sostitutiva e della detenzione
domiciliare sostituiva applicate a seguito della conversione della pena pecuniaria non eseguita.

PROCEDIMENTO E PRESCRIZIONI
- Dopo lÕavvio dellÕesecuzione della pena, lÕistanza di afÞdamento in prova al servizio sociale •
presentata dal soggetto interessato (o dal suo difensore) al tribunale di sorveglianza competente in
relazione al luogo di esecuzione della pena.
Qualora siano offerte concrete indicazioni circa la sussistenza dei presupposti dellÕafÞdamento in
prova • contemplata la possibilitˆ di intervento interinale del magistrato di sorveglianza. In
questÕipotesi il giudice monocratico pu˜ disporre la liberazione del condannato e lÕapplicazione
provvisoria della misura ove si accerti lÕassenza del pericolo di fuga.
Il mancato accoglimento dellÕistanza non pregiudica la possibilitˆ di presentarne una nuova
restando impregiudicato il valore da attribuire al precedente ÒnegativoÓ.
Qualunque sia il contenuto decisorio dellÕordinanza interinale, essa mantiene efÞcacia Þno alla
decisione del tribunale di sorveglianza, cui lÕorgano monocratico deve trasmettere immediatamente
gli atti. Il tribunale • tenuto a pronunciarsi nel termine ordinatorio di 60 giorni.
- La misura dellÕafÞdamento in prova fa pernio su due elementi fondamentali.
1. innanzitutto, la misura ruota attorno allÕimposizione di regole di condotta. La prova infatti •
integrata da una serie di prescrizioni: talune previste in via obbligatoria (in ordine ai rapporti del
condannato con il servizio sociale, alla dimora, alla libertˆ di locomozione, al divieto di
frequentare determinati locali, al lavoro, ecc.) e altre solo facoltativamente (divieto o obbligo di
soggiorno in determinati comuni, divieto di svolgere attivitˆ ecc.).
2. altro elemento caratterizzante • lÕafÞdamento del condannato al servizio sociale. Si tratta qui
dei centri di servizio sociale, chiamati UfÞci locali di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.),
infatti, lÕattualitˆ della sua presenza nello Stato si rivela imprescindibile per lÕapplicazione
dellÕafÞdamento in prova.
- Le prescrizioni costituiscono il contenuto del trattamento alternativo che si sostituisce
allÕesecuzione della condanna in forma detentiva determinando il contenuto stesso, ovvero lÕessenza
della pena. La loro Þnalizzazione • duplice:
¥ talune tendono a incidere direttamente sul condannato incentivandone la risocializzazione
(rapporti con il servizio sociale, attivitˆ lavorativa, prescrizioni di solidarietˆ)
¥ altre volgono alla neutralizzazione dei fattori di rischio di recidiva (prescrizioni circa la dimora, la
libertˆ sia di movimento, sia di svolgimento di attivitˆ o di frequentazione di soggetti che possono
occasionare il compimento di altri reati, divieto di frequentazione di locali ecc.).
La loro previsione non pu˜ dirsi tassativa. LÕindividuazione delle prescrizioni spetta al giudice di
sorveglianza tenuto a redigere un verbale che contenga gli obblighi di condotta concretamente
imposti dal condannato.
La sottoscrizione di un verbale, contenente le prescrizioni, • condizione di efÞcacia dellÕordinanza
tanto che da essa solo ha inizio lÕafÞdamento in prova, ad indicare lÕimpegno del condannato alla
loro osservanza e alla collaborazione al trattamento alternativo.
La sottoscrizione avviene davanti al direttore dellÕistituto, se il condannato • detenuto; davanti al
direttore dellÕU.E.P.E. se il condannato • libero. La mancata presentazione del condannato libero nel
termine stabilito ai Þni di tale adempimento • conÞgurata quale causa di revoca della misura.
Le prescrizioni stabilite nel verbale non sono intangibili: possono essere modiÞcate dal magistrato
di sorveglianza senza formalitˆ di procedura e con decreto motivato. Si tratta di variazioni
preordinate ad adattare le modalitˆ di svolgimento della prova alle mutevoli esigenze del caso
concreto intese ad incentivare lÕosservanza delle prescrizioni. Deroghe temporanee alle prescrizioni
possono essere adottate, nei soli casi di urgenza dal direttore dellÕU.E.P.E.
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- Al servizio sociale spettano compiti di controllo e di assistenza dellÕafÞdato nonchŽ lÕobbligo di


riferire periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
é afÞdato allÕU.E.P.E. il compito di formulare il programma trattamentale da destinarsi a colui che
richiede la misura. é previsto, inoltre, che il direttore dellÕU.E.P.E. designi un assistente sociale
incaricato di seguire lÕesecuzione della prova sia personalmente, sia tramite la collaborazione di
volontari che operano sotto la sua diretta responsabilitˆ.
LÕambito di intervento dellÕassistente sociale si speciÞca in relazione al sostegno dovuto al soggetto
nel superamento di quelle difÞcoltˆ che potrebbero ostacolarne il reinserimento sociale ed •
comprensivo della attuazione delle diverse forme di assistenza che, sul piano psicologico,
relazionale o economico, appaiono le pi• opportune. Si esprime, in secondo luogo, attraverso
attivitˆ di controllo sullÕandamento della prova. A questo controllo si aggiunge quello esercitato
dalla polizia penitenziaria: soggetto che acquisisce, cos“, una proiezione esterna alla mera attivitˆ di
vigilanza interna alle strutture penitenziarie. NellÕesercizio di tale funzione la polizia penitenziaria
deve muoversi secondo le indicazioni dal direttore dellÕU.E.P.E. avendo sempre cura di arrecare il
minor pregiudizio possibile. I controlli della polizia penitenziaria potranno riguardare solo alcuni
limitati settori della vita del condannato (dimora, libertˆ di locomozione, divieti di frequentare
luoghi o persone) e dovranno essere effettuati con modalitˆ non ÒinvasiveÓ.

ESITI DELLÕAFFIDAMENTO IN PROVA


LÕesecuzione dellÕafÞdamento in prova pu˜ approdare a diverse conclusioni:
¥ esito negativo Ñ> annullamento e revoca sono gli epiloghi negativi che ne provocano
lÕinterruzione
¥ esito positivo Ñ> da cui deriva lÕestinzione della pena

Esito negativo
- NellÕipotesi dellÕannullamento rientrano i casi di interruzione della misura per il sopravvenire sia
di una causa vera e propria di annullamento del provvedimento di applicazione (condanna per un
fatto commesso prima della sua concessione a una pena che, cumulata a quella in corso di
esecuzione, superi il limite normativamente stabilito), sia di una causa che provochi il venir meno
della misura per motivi non dipendenti dalla condotta del condannato (sopravvenienza di infermitˆ
mentale, richiesta di revoca della misura ecc.)
PoichŽ in tali situazioni la Þne della prova si connette a fattori oggettivi, si assume la totale
detraibilitˆ del periodo trascorso in afÞdamento: in sostanza, a seguito di annullamento, il
condannato dovrˆ espiare la pena che residua al momento della relativa declaratoria, scomputata
quella eventualmente espiata prima dellÕapplicazione della misura o a seguito di sua prosecuzione
disposta dal magistrato di sorveglianza.
- Distinta dallÕannullamento • lÕipotesi di revoca dellÕafÞdamento, prevista qualora il
comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile
con la prosecuzione della prova.
Data la sua natura sanzionatoria e i suoi effetti impeditivi sulla prosecuzione della prova, ai Þni
della revoca rilevano soltanto comportamenti tenuti successivamente alla concessione
dellÕafÞdamento.
- Territorialmente competente a decidere sia lÕannullamento sia la revoca della misura • il tribunale
di sorveglianza nella cui giurisdizione si svolge la prova; poichŽ lÕesperimento pu˜ essere eseguito
in localitˆ situata in giurisdizione diversa da quella del giudice che ha applicato la misura, non
sempre vi • coincidenza tra tribunale di sorveglianza che ha concesso lÕafÞdamento e quello
competente a disporne la revoca.
Al tribunale di sorveglianza spetta il compito di determinare il quantum di pena residua da espiare,
tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso
periodo di afÞdamento in prova. Demandando al tribunale di sorveglianza il compito di individuare
il periodo utilmente trascorso in afÞdamento, da detrarre dalla pena ancora da espiare dopo la
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revoca si evita, pertanto, di penalizzare ingiustamente il condannato. Il tribunale di sorveglianza


deve dare esplicita, logica e adeguata motivazione sulle cause che ne hanno determinato lÕentitˆ.
Dalla valutazione negativa della prova, cos“ come dalla sua interruzione dovuta allÕannullamento o
alla revoca, discendono conseguenze quanto allÕeventuale ripristino del regime detentivo e al
calcolo della pena ancora da espiare. La determinazione della pena residua da espiare deve
intendersi ispirata dal coinvolgimento delle restrizioni della libertˆ personale giˆ subite dal
condannato.

Esito positivo
- Quando la prova perviene al suo naturale epilogo occorre veriÞcarne lÕesito. Tale veriÞca poggia
su una valutazione di risultato che ha ad oggetto il globale atteggiarsi del condannato durante
lÕintero arco della stessa.
A questa veriÞca provvede il tribunale di sorveglianza competente in base al luogo in cui ha avuto
svolgimento la prova.
Non • certo agevole la determinazione del concetto di esito positivo della prova. Per la sua veriÞca
non • sufÞciente il mero decorso del periodo di afÞdamento senza che sia intervenuta la revoca
della misura, ma • necessario un accertamento del giudice di sorveglianza sullÕavvenuta
inequivocabile rieducazione del reo. Nel caso in cui tale accertamento sia negativo si impone la
risoluzione ex tunc del beneÞcio.
- AllÕesito positivo della prova si collega lÕestinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto
penale, con esclusione delle pene accessorie perpetue.
LÕeffetto estintivo travolge anche la pena pecuniaria che non sia giˆ stata riscossa e sempre che
lÕinteressato si trovi in disagiate condizioni economiche.
Non vengono meno, a seguito dellÕestinzione della pena, le obbligazioni civili derivanti dal reato.
Estranea allÕeffetto estintivo • anche lÕiscrizione della condanna nel casellario giudiziale.

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LA DETENZIONE DOMICILIARE

PROFILI GENERALI
La detenzione domiciliare • una modalitˆ alternativa di espiazione della pena detentiva. Essa non
era contemplata nel testo originario della legge di ordinamento penitenziario, ma • stata introdotta
con la Legge Gozzini del 1986. Da questo momento la misura ha conosciuto una progressiva
espansione, infatti oggi se ne contano numerose varianti, differenziate per qualitˆ e quantitˆ dei
presupposti oggetto di vaglio giudiziale, potenziali destinatari, modalitˆ di intervento e Þnalitˆ
perseguite.
Come accade per ogni strumento alternativo al carcere, lÕapplicazione della misura implica
limitazioni della libertˆ, che in questo caso si fanno particolarmente intense. Lo spazio abitativo
sostituisce la detenzione in istituto ma, si premura di speciÞcare la legge, il mantenimento,
lÕassistenza medica e la cura del condannato non gravano sullÕamministrazione penitenziaria, nŽ
vengono attuati nei suoi confronti gli interventi tipici del trattamento inframurario.
LÕistituto appare scarno di contenuti rieducativi, carente di interventi di sostegno e di occasioni di
risocializzazione. Al momento della sua introduzione, infatti, la misura era tesa a rispondere a
Þnalitˆ umanitarie pi• che rieducative.

Tipologie
¥ detenzione domiciliare ordinaria (art. 47-ter)
¥ detenzione domiciliare generica o Òdi poliziaÓ (art. 47-ter, c. 1-bis)
¥ detenzione domiciliare surrogatoria del differimento della pena (art. 47-ter, c. 1-ter)
¥ detenzione domiciliare dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deÞcienza immunitaria
(art. 47-quater)
¥ detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies)
¥ esecuzione della pena presso il domicilio (l. 199/2010)
¥ detenzione domiciliare di cui allÕart. 16-nonies d.l. 8/1991 rivolta ai collaboratori di giustizia.

La misura prevede che il condannato sconti la pena detentiva invece che allÕinterno di un istituto
penitenziario presso il suo domicilio, in altro luogo di privata dimora, in luoghi pubblici di cura,
assistenza o accoglienza o presso case famiglia protette.
Questo strumento pu˜ essere sfruttato per scopi molto diversi: lÕalleggerimento della popolazione
penitenziaria e il ritorno per gradi alla societˆ libera, la cura delle persone malate, la tutela dei
minori ecc. Ma, tratto comune a tutte le ipotesi di detenzione domiciliare • il carattere
spiccatamente restrittivo della misura, consistente nellÕobbligo di permanere in uno spazio chiuso e
circoscritto. LÕallontanamento • punito come evasione.
LÕafßittivitˆ dellÕespiazione • modulabile dal giudice:
- divieto di comunicare Ñ> • possibile che gli spazi residui di libertˆ siano ulteriormente
compressi mediante lÕimposizione del divieto di comunicare con persone diverse da quelle che
coabitano con il condannato o gli prestano assistenza
- autorizzazione a recarsi altrove Ñ> se il condannato versa in condizione di assoluta indigenza o
non possa provvedere in altro modo alle sue esigenze di vita, il giudice pu˜ autorizzarlo a recarsi
altrove, ma solo per il tempo strettamente necessario per provvedere alle sue comprovate
necessitˆ o per raggiungere il posto di lavoro.
Nel concedere la misura, il tribunale di sorveglianza impartisce le disposizioni circa gli interventi
del servizio sociale, che si aggiungono alle prescrizioni legate alla dimora, ai percorsi esterni
ammessi e agli eventuali limiti nelle comunicazioni.

La legge detta dei presupposti per la concessione, la cui ricorrenza • soggetta al vaglio del tribunale
di sorveglianza, organo deputato a disporre la sua applicazione in luogo della detenzione in carcere.
I requisiti sono di natura oggettiva, ossia attinenti alla quantitˆ di pena da espiare, e di natura
soggettiva, ossia riguardanti le condizioni personali del condannato o il suo grado di afÞdabilitˆ.
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LA DETENZIONE DOMICILIARE ORDINARIA (O UMANITARIA)


La salvaguardia dei beni come la salute, la maternitˆ o lÕinfanzia • prevista dal codice penale nelle
due varianti del rinvio obbligatorio e facoltativo (art. 146 e 147 c.p.). In forza della disciplina
penalistica, qualora la detenzione debba essere applicata ad alcune categorie soggettive bisognose di
particolare protezione, lÕesecuzione va rimandata o sospesa.
Il differimento • obbligatorio quando la pena detentiva dovrebbe essere applicata a una donna
incinta o alla madre di un bambino di etˆ inferiore a 1 anno, oppure a una persona affetta da una
malattia particolarmente grave, tale da comportare una incompatibilitˆ con lo stato di detenzione.
La patologia deve trovarsi a una fase cos“ avanzata da non consentire pi• la cura del condannato con
i trattamenti e le terapie disponibili. In questa ipotesi rientra, per espressa menzione normativa, il
caso della persona affetta da AIDS conclamata o da grave deÞcienza immunitaria.
In caso di malattie a uno stadio di avanzamento inferiore, il rinvio della esecuzione della pena
diviene facoltativo, ossia subordinato alla veriÞca sullÕassenza di un concreto pericolo di
commissione di delitti da parte del destinatario del provvedimento. Allo stesso vaglio soggiace la
madre con bambini di etˆ Þno a 3 anni, soglia di sviluppo che impedisce in ogni caso una
separazione tra la condannata e i suoi Þgli. Il differimento facoltativo dellÕesecuzione penale pu˜
inÞne essere concesso, per soli sei mesi dallÕirrevocabilitˆ della sentenza, a chi abbia presentato
domanda di grazia e sia in attesa della decisione presidenziale. La decisione del giudice sulla
concessione verte sulla concretezza del pericolo di reiterazione criminosa.
In questi casi il rinvio opera a prescindere dalla qualitˆ o quantitˆ di pena da espiare.

RINVIO OBBLIGATORIO RINVIO FACOLTATIVO

Madre di un bambino di etˆ inferiore


Donna incinta
a 3 anni
Madre di un bambino di etˆ inferiore Malattia a uno stadio di avanzamento
a 1 anno inferiore

Malattia particolarmente grave (es. AIDS Chi ha presentato domanda di grazia e sia
o deÞcienza immunitaria) in attesa della decisione presidenziale

La legge di ordinamento penitenziario, invece, a differenza del codice penale, pone anzitutto una
condizione oggettiva di accesso, consistente in una pena detentiva da scontare, in origine o residua,
non superiore a 4 anni. Si fa riferimento allÕentitˆ della detenzione ancora da espiare al momento
della richiesta.

Categorie soggettive

¥ Donne incinte e madri con Þgli conviventi di etˆ inferiore a 10 anni


Oggetto della tutela sono la condizione di gravidanza della donna e il pieno sviluppo della
personalitˆ dei Þgli minori, che abbisogna delle cure e dellÕassistenza materna.
In caso di gravidanza la detenzione • sempre impedita dalla legge, che la presume troppo rischiosa
per la salute della donna e del nascituro.
In caso di Þgli minori di 10 anni, invece, la misura intende tutelare lÕinteresse del bambino, le cui
esigenze di crescita e benessere richiederebbero di non privarlo della convivenza con la madre, nŽ
della vita in ambiente libero.
Anche il padre di prole inferiore a 10 anni che non abbia perso la responsabilitˆ genitoriale pu˜
chiedere e ottenere la detenzione domiciliare qualora i Þgli siano con lui conviventi e la madre sia
deceduta o assolutamente impossibilitata a crescerli.
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¥ Madre o padre di Þgli disabili portatori di handicap totalmente invalidanti


Alla Corte costituzionale si deve lÕaggiunta di unÕulteriore ipotesi di detenzione domiciliare, a tutela
dei Þgli disabili portatori di handicap totalmente invalidante. In questi casi la madre o il padre
possono accedere alla misura alternativa a prescindere dallÕetˆ del Þglio.
Pur in presenza delle condizioni di legge, la mancanza di domicilio idoneo alla vita con i Þgli e alla
salvaguardia delle esigenze di sicurezza potrebbe ostare alla concessione della misura. Per
facilitarne lÕapplicazione ha perci˜ previsto la possibilitˆ di scontare la pena in case famiglia
protette, strutture apposite che dovrebbero garantire soggiorni adeguati alla vita familiare.

¥ Soggetti in condizione di salute particolarmente gravi


La disciplina della detenzione domiciliare non • volta alla sola tutela della famiglia, della maternitˆ
e dellÕinfanzia, ma anche della salute. Pu˜ infatti ottenere la misura anche chi versi in condizioni
particolarmente gravi. La legge impone che il malato necessiti di costanti contatti con presidi
sanitari territoriali e dunque abbisogni di cure non garantite in carcere.
Alla base di questa previsione non vi sono solo esigenze umanitarie, ma anche economico-
organizzative. Risulta infatti molto complicato e costoso assicurare traduzioni frequenti dagli istituti
penitenziari agli ospedali per la somministrazione di terapie continuative.

¥ Ultrasessantenni purchŽ inabili anche solo parzialmente


Anche lÕavanzare degli anni pu˜ portare a un decadimento Þsico che sconsiglia la detenzione in
istituto. Si prevede infatti che gli ultrasessantenni possano chiedere la detenzione domiciliare,
purchŽ risultino inabili anche parzialmente.
LÕetˆ deve quindi associarsi ad una particolare condizione Þsica.
é previsto il limite di pena di 4 anni.

¥ Ultrasettantenni anche in assenza di patologie


In questo caso • il mero avanzare degli anni a far presumere una diminuzione della pericolositˆ
sociale del condannato e la possibilitˆ del suo contenimento mediante lÕobbligo di permanenza nel
domicilio, accompagnato dalle prescrizioni del giudice e dai dovuti controlli. LÕetˆ senile comporta
un incremento delle necessitˆ di esami diagnostici, una maggiore probabilitˆ di abbisognare di cure
e assistenza, anche perchŽ • la stessa reclusione in carcere a causare spesso un peggioramento delle
condizioni di salute di partenza.
Questa ipotesi non soggiace al limite di pena di 4 anni. Sono esclusi i condannati allÕergastolo e vi
sono limiti legati al titolo di reato e alla declaratoria di abitualitˆ (es. recidiva, o delinquente
abituale, professionale o per tendenza).

¥ Minori di anni 21
La legge considera inÞne le persone minori di 21 anni, mirando in questo caso a salvaguardare le
loro esigenze di studio, lavoro e famiglia, oltre a quelle di salute.

LÕart. 47-ter co. 1¡ detta una rilevante norma di accordo in tutti i casi in cui il codice penale
prescriverebbe il rinvio dellÕesecuzione, il tribunale pu˜ disporre in sua vece la detenzione
domiciliare, anche se il condannato deve ancora espiare una pena superiore a 4 anni.
La detenzione domiciliare viene chiamata ÒsurrogatoriaÓ (del rinvio) o Òin derogaÓ (alla consueta
soglia di pena).
La detenzione domiciliare surrogatoria • stata individuata come la soluzione attualmente disponibile
per i casi di infermitˆ psichica sopravvenuta alla condanna tale da determinare una incompatibilitˆ
con lÕambiente carcerario, in attesa di riforme legislative che si facciano carico di questo serissimo
problema.
Un tempo, le persone affette da severe patologie mentali intervenute nel corso dellÕesecuzione della
pena potevano essere destinate agli ospedali psichiatrici giudiziari oggi superati dalle residenze per
lÕesecuzione di misure di sicurezza (R.E.M.S.). Queste strutture accolgono tuttavia solo persone
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dichiarate durante il processo non imputabili o a capacitˆ ridotta dÕintendere e di volere e ritenute
dal giudice socialmente pericolose.

LA DETENZIONE DOMICILIARE SURROGATORIA (O ÒIN DEROGAÓ)


LÕart. 47-ter co. 1 detta una rilevante norma di accordo. In tutti i casi in cui il codice penale
prescriverebbe il rinvio dellÕesecuzione, il tribunale pu˜ disporre la detenzione domiciliare, anche
se il condannato deve ancora espiare una pena superiore a 4 anni.
La detenzione domiciliare viene chiamata ÒsurrogatoriaÓ (del rinvio) o Òin derogaÓ (alla consueta
soglia di pena).
Valuta il giudice se disporre il differimento o se • preferibile la detenzione domiciliare (pi•
restrittiva e sottoposta ad un termine e vale come pena scontata).
La detenzione domiciliare surrogatoria • stata individuata come la soluzione attualmente disponibile
per i casi di infermitˆ psichica sopravvenuta alla condanna tale da determinare unÕincompatibilitˆ
con lÕambiente carcerario, in attesa di riforme legislative che si facciano carico di questo serissimo
problema.
Un tempo, le persone affette da severe patologie mentali intervenute nel corso dellÕesecuzione della
pena potevano essere destinate agli ospedali psichiatrici giudiziari, oggi superati dalle residenze per
lÕesecuzione di misure di sicurezza (R.E.M.S.). Queste strutture accolgono tuttavia solo persone
dichiarate durante il processo non imputabili o a capacitˆ ridotta dÕintendere e di volere e ritenute
dal giudice socialmente pericolose.

LA DETENZIONE DOMICILIARE GENERICA (O ÒDI POLIZIAÓ)


- Con la legge 165/1998 • stato aggiunto nel corpo dellÕart. 47 ter il comma 1 bis, dedicato a
unÕinedita forma di detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare generica, scollegata
dallÕesigenza di tutelare persone in condizioni di particolare fragilitˆ. Gli intenti di questa misura
infatti non sono umanitari ma appartengono alla funzione risocializzante delle pene.
- Il limite oggettivo dettato per la concessione • particolarmente stretto. La misura pu˜ essere
applicata quando siano da scontare, in origine o come segmento residuo, 2 anni di pena detentiva.
Se disposta direttamente dalla libertˆ, la detenzione domiciliare mira ad evitare il contatto con
lÕambiente carcerario, spesso deleterio e criminogeno.
Se disposta allÕapprossimarsi del Þne pena, la misura pu˜ invece favorire un rientro per gradi nella
societˆ libera, mettendo alla prova le capacitˆ del destinatario di rispettare le regole e
consentendogli di riallacciare progressivamente i rapporti sociali interrotti con la carcerazione.
- I presupposti soggettivi dettati per la concessione conÞgurano la detenzione domiciliare generica
come applicabile solo in subordine rispetto allÕafÞdamento in prova, misura pi• ricca e favorevole
su cui cade la preferenza legislativa. La detenzione domiciliare generica pu˜ infatti essere prescelta
solamente quando non ricorrano le condizioni per disporre lÕafÞdamento.
La soluzione, essendo pi• restrittiva, • Þsiologicamente destinata a persone connotate da un pi•
elevato grado di pericolositˆ, o che non siano ancora pronte per un pi• permissivo esperimento di
rientro in societˆ.
Prima di concedere la detenzione domiciliare, il giudice dovrˆ infatti veriÞcare, utilizzando come
termini di raffronto lÕafÞdamento in prova da un lato e la reclusione in carcere dallÕaltro, se le
prescrizioni pi• severe che connotano questa modalitˆ di espiazione siano comunque idonee a
evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.
- Chi sconta la pena per uno dei reati elencati nellÕart. 4 bis non pu˜ in ogni caso accedere a questa
misura, perchŽ la legge ha qui introdotto una preclusione speciale o rafforzata. Della detenzione
domiciliare generica non pu˜ fruire nemmeno chi ha collaborato con la giustizia e ha comunque
reciso i legami con la criminalitˆ organizzata.

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LA DETENZIONE DOMICILIARE SPECIALE


- La legge 40/2001 ha introdotto unÕulteriore tipologia di detenzione domiciliare, qualiÞcata come
ÒspecialeÓ e disciplinata dallÕart. 47 quinquies.
La misura • dedicata speciÞcamente alle madri con prole inferiore a dieci anni.
- La detenzione domiciliare speciale ha il compito di porre rimedio alle rotture dellÕunitˆ familiare,
favorendone la ricomposizione mediante il ricongiungimento della madre con i minori. Avendo
come scopo il riallacciamento della convivenza con i Þgli, la previsione che ne rappresenta il nucleo
originario, delinea lÕistituto come accessibile esclusivamente da un previo stato di detenzione. Il
giudice pu˜ infatti disporne la misura quando non ricorrono le condizioni richieste dallÕart. 47 ter
co. 1, ossia quando la pena da eseguire in concreto sia superiore a 4 anni.
Ratio: difÞcile individuazione di un punto di equilibrio a disciplina della protezione della delicata
situazione di unitˆ familiare che pu˜ essere pregiudicata dalla carcerazione.

Limiti oggettivi Ñ> non vigono in questo caso limiti legati al residuo ancora da scontare, bens“ alla
porzione giˆ scontata, che deve ammontare ad almeno un terzo della reclusione da espiare, o 15
anni in caso di ergastolo. La misura • pertanto applicabile anche quando la condannata abbia
commesso reati gravi o gravissimi perchŽ • importante la protezione dellÕinteresse dei suoi Þgli.
Limiti soggettivi Ñ> occorre per˜ veriÞcare che sia possibile un positivo ripristino della
convivenza con la famiglia e non vi sia il rischio di commissione di altri reati.

- Il giudice dispone le modalitˆ di intervento del servizio sociale: va predisposto uno speciÞco
programma che contempli disposizioni dedicate ai rapporti con lÕU.E.P.E.
Alla condannata pu˜ essere anche concesso di uscire di casa per provvedere alle necessitˆ dei Þgli,
ma entro i tempi, modi e percorsi predeterminati per via giudiziale. Simili contenuti potranno in
seguito essere modiÞcati dal magistrato di sorveglianza, qualora vi sia la necessitˆ.
- Dopo 10 anni dallÕintroduzione della misura alternativa speciale, la legge 62/2011 ne ha mutato
sensibilmente la Þsionomia, preoccupandosi non solo di facilitare il ripristino dellÕunitˆ familiare
disgregata dalla carcerazione, ma anche di evitare sin dallÕinizio la separazione fra madri e Þgli, o la
permanenza di bambini negli istituti penitenziari.
Fino ai 3 anni di etˆ i minori possono essere tenuti in carcere in apposite Òsezioni nidoÓ (che
comunque rimangono veri e propri reparti detentivi). Raggiunta quella soglia, il tribunale dei
minorenni consegna la prole alle cure di persone diverse dalla madre, mentre il rapporto con lei
resta afÞdato alle differenti forme di assistenza allÕesterno. La permanenza in un istituto
penitenziario e la successiva separazione dalla madre, risultano fortemente pregiudizievoli per il
benessere psico-Þsico dei bambini.
Per garantire una pi• intensa protezione, si prevede che la frazione iniziale di pena (un terzo o 15
anni per i casi di ergastolo) venga scontata in appositi istituti a custodia attenuata per detenute madri
(gli I.C.A.M.). Si tratta di strutture detentive che cercano di mascherare il pi• possibile la loro
natura: gli ambienti sono pi• simili ad abitazioni, gli agenti non indossano la divisa ed • presente
personale specializzato in grado di contemperare le esigenze punitive con quelle di una corretta
crescita dei minori, che possono permanervi Þno allÕetˆ di 6 anni. Attualmente ce ne sono solo 5 in
Italia.
La quota iniziale di pena potrˆ essere espiata anche nellÕabitazione della condannata, o in un altro
luogo di privata dimora, oppure in un luogo di cura, assistenza o accoglienza o ancora in case
famiglia protette.
LÕesecuzione penale esterna diviene in tal modo fruibile anche da subito. Occorre per˜ che il
giudice abbia decretato lÕassenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di
fuga.
- Divieto di applicazione per le condannate per uno dei reati di cui allÕart. 4 bis. Vigeva a riguardo
una doppia preclusione:
¥ quella generale Ñ> secondo cui per i delitti Òdi prima fasciaÓ lÕaccesso alle misure alternative •
tendenzialmente escluso in assenza di collaborazione
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¥ e un suo rafforzativo speciÞco Ñ> che vietava in ogni caso, e perci˜ anche per chi avesse
collaborato con la giustizia, la fruizione della detenzione domiciliare
Entrambe le previsioni sono state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, che le ha ritenute
incompatibili con lÕinteresse al corretto sviluppo dei minori.
-Quando il Þglio compie 10 anni viene lasciata al tribunale di sorveglianza la possibilitˆ di
prorogare il beneÞcio, ma solo se sussistono i presupposti oggettivi dettati per lÕaccesso alla
semilibertˆ, vale a dire limiti legati alla quantitˆ di pena giˆ scontata.
-La legge apre inÞne la possibilitˆ di accedere alla detenzione domiciliare speciale anche ai padri,
quando la madre sia deceduta o impossibilitata e non vi sia modo di afÞdare i Þgli a persone
diverse.

ETË FIGLIO REGIME MADRE

Minori tenuti in carcere nelle Òsezioni nidoÓ,


raggiunto il limite vengono afÞdati a persone
Fino a tre anni di etˆ
diverse dalla madre che pu˜ mantenere un
rapporto in virt• degli artt. 21-bis e 21-ter

Lasso di tempo iniziale da trascorre comunque


Detenzione presso ICAM (Istituti a custodia
in stato detentivo (a prescindere dallÕetˆ del
attenuata per le detenute madri)
Þglio)

Alternative disponibili da subito se il giudice Espiazione della pena nellÕabitazione della


ritiene insussistente il pericolo di commissione condannata; in case di cura o in case famiglia
di ulteriori reati o di fuga protette

Superati dieci anni Scelta del tribunale di sorveglianza

IL CONTROLLO ELETTRONICO
Le diverse forme di detenzione domiciliare sono accomunate dallÕobbligo di non allontanarsi,
senza previa autorizzazione, dal luogo di soggiorno stabilito dal giudice. I controlli sul rispetto di
questa prescrizione sono quindi una componente importante dellÕesecuzione della misura.
I controlli possono consistere in:
¥ veriÞche spettanti alle forze di polizia e allÕU.E.P.E.
¥ sorveglianza elettronica mediante impianti in grado di monitorare in via continuativa
lÕubicazione e gli spostamenti del condannato.
Trattandosi di un provvedimento invasivo, questo controllo aggiuntivo deve essere espressamente
imposto dal giudice con lo stesso provvedimento che applica le misure, oppure, se si avverte la
necessitˆ di potenziare la sorveglianza, durante la sua esecuzione.
In questo caso si rinvia alle previsioni dettate al codice di procedura penale per i controlli della
misura cautelare degli arresti domiciliari. La norma processuale prevede infatti il necessario
consenso del destinatario del provvedimento. In caso di diniego, il giudice deve disporre la
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carcerazione.
La decisione giudiziale • subordinata alla veriÞca della disponibilitˆ degli apparecchi, che
continuano ad essere poco diffusi per gli elevati costi di gestione e per i temuti malfunzionamenti.

LA CONCESSIONE E LA REVOCA
- Il tribunale di sorveglianza, quando gli • rivolta una richiesta di detenzione domiciliare,
umanitaria, generica o speciale, deve veriÞcare la sussistenza delle condizioni di legge.
é possibile che lÕistanza venga presentata dalla libertˆ o dalla detenzione.
¥ dalla libertˆ Ñ> in questo caso, la legge prevede una corsia preferenziale per commutare subito
la misura cautelare degli arresti domiciliari, in cui eventualmente si trovi il condannato al
momento del passaggio in giudicato della sentenza, in detenzione domiciliare
¥ dalla detenzione Ñ> in questo caso, la sollecitazione a pronunciarsi pu˜ pervenire anche dalla
direzione del carcere o dal gruppo di osservazione, quando occorra tutelare la salute del detenuto
o lÕinteresse di minori
- LÕU.E.P.E. • chiamato a redigere anche in questo caso un programma di trattamento i cui
contenuti risentono inevitabilmente delle forti restrizioni cui deve soggiacere il condannato.
Se durante il corso dellÕesecuzione si rendono necessari degli adeguamenti, sarˆ il magistrato di
sorveglianza competente sul luogo dove si svolge la detenzione domiciliare ad apportare modiÞche
alla griglia di prescrizioni e disposizioni precedentemente stabilite, senza che il collegio debba
nuovamente riunirsi.
Al magistrato spetta anche di disporre lÕapplicazione provvisoria della misura, quando il protrarsi
della detenzione in carcere arrechi un pregiudizio grave al condannato.
- Procedure analoghe si seguono per la concessione del rinvio obbligatorio e facoltativo
dellÕesecuzione, che pure possono comportare impedenze decisorie. Al tribunale • assegnata
lÕordinaria competenza a pronunciarsi, mentre al magistrato • riservata lÕadozione di provvedimenti
urgenti e temporanei, sottoposti alla successiva veriÞca collegiale con il rito di sorveglianza.
- Quando il giudice pu˜ applicare il differimento della pena o la detenzione domiciliare
surrogatoria, si richiedono adempimenti istruttori supplementari per i condannati per reati di
criminalitˆ organizzata e terroristica o sottoposti alla sospensione delle normali regole di
trattamento. In queste ipotesi, la magistratura, per disporre una delle misure o prorogarne la durata,
deve attendere il parere della procura distrettuale del luogo dove la condanna fu pronunciata, e se il
detenuto soggiace al regime descritto allÕart. 41 bis, anche dalla procura nazionale antimaÞa e
antiterrorismo.
Se • il magistrato a dover intervenire in via dÕurgenza i pareri vanno resi entro 2 giorni dalla
richiesta, innalzati a 15 giorni quando il giudizio spetta al tribunale.

- Se la persona sottoposta a detenzione domiciliare pone in essere comportamenti contrari alla


legge o alle prescrizioni imposte, la misura • revocata, ma solo se le inosservanze appaiono
incompatibili con la sua prosecuzione. Ci˜ signiÞca che spetta al tribunale di sorveglianza valutare
caso per caso la natura e lÕentitˆ delle violazioni.
- Un peso particolare assume lÕinosservanza del principale obbligo a cui il condannato • tenuto,
quello di non allontanarsi dal domicilio. La condotta • equiparata allÕevasione dallÕistituto
penitenziario e va accertata in un apposito procedimento penale dove lÕaccusato potrˆ addurre
eventuali cause di giustiÞcazione. Se il giudizio si chiude con una condanna, • la legge a imporre di
revocare la misura, salvo che il fatto appaia di lieve entitˆ.
- Una disciplina pi• morbida • riservata alle madri di Þgli di etˆ inferiore a 10 anni che
usufruiscano della detenzione domiciliare speciale. é tollerato in questi casi un ritardo Þno a 12 ore,
anche se non giustiÞcato. La cura dei Þgli piccoli, densa di imprevisti e contrattempi, richiede
ßessibilitˆ. Se la donna rientra nellÕabitazione entro il tempo supplementare concesso, pu˜ essere
ugualmente avanzata una proposta di revoca, ma il fatto non • punibile come evasione. Quando il
ritardo si protrae oltre il termine, la trasgressione torna invece penalmente sanzionabile e, se il
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procedimento si conclude con una condanna, la misura viene revocata.


- é possibile inÞne che la detenzione domiciliare sia revocata perchŽ vengono meno le condizioni
soggettive e oggettive alla base della concessione. La persona malata, ad esempio, potrebbe non
avere pi• necessitˆ di costanti contatti con i presidi sanitari, o la madre potrebbe non essere pi•
impossibilitata ad occuparsi dei Þgli, cos“ che lÕapporto del padre non risulti pi• indispensabile.
Potrebbero anche sopravvenire nuovi titoli esecutivi, che facciano sforare i limiti di pena stabiliti
dalla legge.
Nei casi di rinvio obbligatorio o facoltativo della pena • il codice penale a stabilire in modo pi•
puntuale le cause di cessazione della misura, con speciÞco riguardo a quella fruita dalle madri.
Vengon in particolare considerati lÕinterruzione di gravidanza, la morte del Þglio, il suo abbandono
o afÞdamento ad altri ecc.
- Chi riporti una condanna per evasione o subisca una revoca per inosservanza delle prescrizioni
ricade in un generale divieto di concessione di alcuni beneÞci per il triennio successivo da cui sono
esenti le madri di prole inferiore a dieci anni. Se ad essere revocata • la detenzione domiciliare
generica vige una preclusione pi• severa: la pena residua non potrˆ pi• essere sostituita con
nessunÕaltra misura.

LÕESECUZIONE DELLA PENA PRESSO IL DOMICILIO


- LÕesecuzione presso il domicilio delle pene detentive brevi • una specie particolare di detenzione
domiciliare, introdotta dalla legge 199/2010 con scopi deßativi della popolazione carceraria.
é nato come provvedimento di natura emergenziale e temporaneo, nellÕattesa dellÕattuazione del
piano carceri, prima prorogato poi deÞnitivamente stabilizzato.
- La misura consiste ancora una volta nella detenzione nel domicilio, termine che rimanda ai luoghi
di abitazione, cura, assistenza o accoglienza. Se il condannato • tossicodipendente o
alcoldipendente e sta seguendo o sta per iniziare un programma terapeutico, la dimora pu˜ essere
Þssata in apposite strutture sanitarie pubbliche o private accreditate.
Lo spettro dei destinatari, che in principio includeva i condannati a pene detentive non superiori a
12 mesi, fu allargato, con lÕaggravarsi dellÕemergenza, a chi debba scontare non pi• 18 mesi.

Presupposti oggettivi:
¥ la pena detentiva in espiazione non deve superare i 18 mesi
¥ lÕinteressato deve disporre di un domicilio effettivo e idoneo (idoneitˆ accertata mediante le forze
dellÕordine o lÕUEPE)

Una serie di sbarramenti circoscrivono tuttavia la portata della detenzione nel domicilio.
La misura non pu˜ essere concessa:
¥ ai condannati per uno dei delitti indicati allÕart. 4 bis
Nel caso di esecuzione di pene cumulate, alcune soltanto delle quali riferibili a delitti ostativi, la
dottrina ritiene possibile procedere allo scioglimento del cumulo per applicare lÕesecuzione
domiciliare alla pena residua riferibile ai delitti comuni; la giurisprudenza tende, invece, ad
escludere questa possibilitˆ
¥ ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza
¥ ai sottoposti al regime di sorveglianza particolare
¥ a chi ha subito la revoca di un precedente beneÞcio penitenziario
Si tratta di situazioni per cui la legge presume un grado di pericolositˆ non compatibile con il favore
per lÕespiazione extra-carceraria.

Si prevedono molteplici controlli ulteriori.


Il magistrato di sorveglianza deve valutare anche che non vi sia concreto pericolo di fuga o
speciÞche ragioni per ritenere che il condannato possa commettere ulteriori delitti.
Occorre poi che sia certiÞcata lÕidoneitˆ del domicilio.
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Lo spiccato favore per lÕesecuzione domiciliare si coglie a partire dai titolari del potere di impulso,
individuati nel pubblico ministero, quando il condannato • libero, e nel direttore del carcere quando
• detenuto. Questi soggetti sono obbligati a trasmettere al giudice la documentazione necessaria alla
sua decisione quando la pena raggiunga la soglia prevista.
Andranno pertanto prodotti il verbale che attesti come adeguato il domicilio, lÕeventuale
certiÞcazione sullo stato di dipendenza e sullÕidoneitˆ del programma di disintossicazione, la
relazione sulla condotta tenuta durante lo stato di detenzione.

La competenza a concedere la misura • assegnata al magistrato di sorveglianza. Si tratta di una


decisione resa dal giudice in camera di consiglio senza le parti, che sfocia in unÕordinanza
reclamabile innanzi allÕorgano collegiale. Il rito prevede di solito che si attenda almeno il parere del
pubblico ministero per 15 giorni, che in questo caso scendono a 5 cos“ da assicurare la deÞnizione
della causa in tempi ancora pi• rapidi.
Non limpidi sono i rapporti con la disciplina della sospensione dellÕordine di esecuzione, che scatta
per pene inferiori a quattro anni e consente allÕinteressato di chiedere, senza entrare in carcere, una
misura alternativa passando per lÕordinario rito di sorveglianza.

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LE MISURE ALTERNATIVE SPECIALI: LÕAFFIDAMENTO TERAPEUTICO

PRESUPPOSTI
LÕafÞdamento terapeutico consiste in una risposta differenziata dellÕordinamento penale
conformata alla peculiare situazioni delle persone tossicodipendenti e alcoldipendenti.
Finalitˆ:
¥ limitare la presenza dei tossicodipendenti negli istituti penitenziari
¥ consentire la prosecuzione di un programma terapeutico giˆ iniziato fuori dal carcere, nella
convinzione che la risocializzazione presupponga obbligatoriamente la cura dello stato di
dipendenza in libertˆ
LÕafÞdamento in prova di soggetti tossico/alcoldipendenti • stato conÞgurato sulla falsariga
dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale, misura alternativa considerata la pi• idonea a
soddisfare lÕesigenza di trattamenti terapeutici in libertˆ. Al Þne di incentivare la disintossicazione
dallÕalcol e dalla sostanza stupefacente, lÕistituto viene riservato anche a chi abbia manifestato
lÕintenzione di volersi sottoporre alla terapia.

Presupposti soggettivi
Sono due:
1. stato di tossicodipendente o alcoldipendente del condannato Ñ> lo status di dipendenza deve
essere attuale al momento in cui viene eseguita la pena. Non occorre neanche che la dipendenza
sia di tipo Þsico, essendo sufÞciente la residua dipendenza psichica, in quanto il
tossicodipendente non pu˜ ritenersi liberato dalla sostanza stupefacente in base alla mera
constatazione che non ne assume pi•, avendo necessitˆ di un ulteriore periodo di mantenimento
terapeutico e di supporto psicologico.
LÕaccertamento della tossicodipendenza non coincide con lÕuso abituale o continuativo di
stupefacenti, ma deve essere speciÞcamente certiÞcata dallÕAzienda Sanitaria Locale.
2. programma di recupero Ñ> a cui il condannato sia giˆ sottoposto o intenda sottoporsi.
Deve essere concordato con unÕazienda sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata.
Entrambe le condizioni soggettive devono essere accertate dal tribunale di sorveglianza, il quale ne
deve dare conto nella motivazione dellÕordinanza applicativa della misura. A tal Þne, lÕart. 94
stabilisce la necessitˆ della certiÞcazione attestante lÕattualitˆ della dipendenza da stupefacente o da
alcol e la sussistenza di un programma terapeutico idoneo al recupero del beneÞciario
dellÕafÞdamento ÒspecialeÓ.
La struttura sanitaria accreditata deve certiÞcare anche la procedura con la quale • stato accertato
lÕuso abituale delle sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, nonchŽ lÕandamento del
programma concordato, se in corso, e, in ogni caso, la sua idoneitˆ al recupero del condannato.

Presupposto oggettivo
Il presupposto oggettivo consiste nellÕentitˆ della pena detentiva inßitta o ancora da scontare, la
quale deve essere non superiore a 6 anni o a 4 anni se applicata per delitti ricompresi nellÕart. 4 bis.
La condanna per uno dei reati contemplati dallÕart. 4 bis non preclude la fruizione dellÕafÞdamento
in prova terapeutico: sono soltanto previsti limiti per lÕaccesso alla misura in esame pi• rigorosi di
quelli ordinari.

Per quanto concerne il proÞlo procedimentale, lÕart. 94 stabilisce che la richiesta di afÞdamento
ÒspecialeÓ pu˜ essere presentata in qualsiasi momento. Inoltre, non ci sono preclusioni per usufruire
pi• di una volta della misura terapeutica (non si applica la preclusine ostativa dellÕart. 58 quater, nŽ
quelle inerenti allÕart. 4 bis, pur essendo previsti dei limiti allÕaccesso pi• rigorosi di quelli
ordinari).

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Modalitˆ di accesso
Le modalitˆ di accesso alla misura variano in relazione al diverso stato in cui si trova il condannato
al momento della presentazione dellÕistanza.
Condannato in vinculis Ñ> la richiesta proveniente da colui che si trova in vinculis va rivolta al
magistrato di sorveglianza, che attiva una procedura interinale diretta allÕeventuale applicazione
provvisoria della misura, in attesa della pronuncia del tribunale di sorveglianza. Ai Þni
dellÕapplicazione provvisoria della misura speciale, il magistrato di sorveglianza valuta
lÕammissibilitˆ della richiesta, esercitando un controllo formale sulla presenza della
documentazione prescritta. Se la richiesta • ammissibile, lÕorgano monocratico passa a veriÞcare se
sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per
lÕaccoglimento della domanda. InÞne, • richiesto un vaglio circa il pregiudizio derivante dalla
protrazione dello stato detentivo e sulla sussistenza del pericolo di fuga.
Condannato in libertˆ Ñ> in questo caso la richiesta va presentata al pubblico ministero che
prevede un meccanismo automatico di sospensione preventiva della pena ÒespiandaÓ contenuta, in
questo caso, nel limite di 6 anni.
Il decreto sospensivo pu˜ essere revocato per gravi ragioni (mancata allegazione di
documentazione, mancato inizio del programma).

PROCEDIMENTO E PROFILI ESECUTIVI


- Il procedimento • disciplinato da una sola disposizione speciÞca, il co. 3 dellÕart. 94.
La competenza per la concessione, cos“ come quella per la revoca, spetta al tribunale di
sorveglianza. ƒ compito dellÕorgano collegiale innanzitutto nominare il difensore al condannato
qualora ne sia privo, nonchŽ Þssare la data dellÕudienza Òsenza indugioÓ e darne avviso al
condannato, al suo difensore e al pubblico ministero almeno 5 giorni prima dellÕudienza.
Con il termine Òsenza indugioÓ e la previsione del termine di 5 giorni, la legge persegue lo scopo di
accelerare la procedura per arrivare pi• rapidamente alla decisione.
- é necessaria la presenza del condannato. La richiesta • infatti inammissibile al veriÞcarsi di due
circostanze:
1) impossibilitˆ di notiÞcare lÕavviso di udienza al domicilio indicato nella richiesta o allÕatto della
scarcerazione
2) mancata comparizione del richiedente allÕudienza
Si tratta di regole Þnalizzate ad assicurare la comparizione dellÕinteressato allÕudienza, afÞnchŽ il
tribunale di sorveglianza sia messo in condizione di veriÞcare lÕafÞdabilitˆ del condannato in ordine
allÕesecuzione del programma terapeutico.
- Rispetto al procedimento di sorveglianza ordinario, al tribunale di sorveglianza sono attribuiti
maggiori poteri istruttori diretti ad accertare soprattutto lo stato di tossicodipendenza
dellÕinteressato, lÕidoneitˆ terapeutica del programma concordato con la struttura sanitaria pubblica
o privata autorizzata e la circostanza che lo stato di dipendenza da stupefacenti e lÕesecuzione del
programma di recupero non siano preordinati al puro e semplice conseguimento del beneÞcio.
Infatti, il giudice collegiale pu˜ acquisire copia degli atti del processo di cognizione del quale •
scaturita la condanna ed esperire indagini speciÞche che si afÞancano a quelle svolte dalla struttura
medica competente.
In altre parole, al giudice • imposto di operare una complessiva valutazione di tutti gli elementi a
disposizione circa il probabile conseguimento delle Þnalitˆ del programma proposto, tenuto conto
della pericolositˆ del condannato e dellÕattitudine del trattamento di realizzare un suo effettivo
reinserimento nel consorzio civile; il tribunale di sorveglianza deve valutare lÕidoneitˆ del
programma di recupero ad assicurare anche la prevenzione del pericolo che il prevenuto commetta
altri reati, attraverso un esame della sua pericolositˆ ancorato a elementi oggettivamente
sintomatici.

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Principi:
¥ celeritˆ
¥ presenza del condannato
¥ maggiori poteri istruttori per il tribunale di sorveglianza

- Di regola lÕesecuzione della misura terapeutica inizia dalla data del verbale di afÞdamento.
Tuttavia, il giudice pu˜ far retroagire lÕavvio della stessa ad un momento pi• favorevole, ossia a
quello di inizio di svolgimento del programma terapeutico, se ancora positivamente in corso al
momento della decisione.
Ai Þni della realizzazione del programma di recupero, le prescrizioni da impartire possono essere
tratte anche dalla disciplina dellÕafÞdamento in prova ordinario e, comunque, devono essere
comprese quelle di carattere pi• squisitamente terapeutico che determinano le modalitˆ di
esecuzione dello stesso programma.
- Riguardo al sistema dei controlli, vi • lÕobbligo, a carico del responsabile della struttura, di
segnalare allÕautoritˆ giudiziaria (al pm durante la sospensione dallo stesso disposta o al magistrato
di sorveglianza durante lÕapplicazione provvisoria e deÞnitiva della misura) le violazioni commesse
dalla persona sottoposta al programma.
Qualora tali violazioni integrino un reato, lÕomessa denuncia comporta una segnalazione
dellÕautoritˆ giudiziaria alle competenti autoritˆ amministrative Þnalizzata alla sospensione o alla
revoca, per la struttura, dellÕautorizzazione a svolgere lÕattivitˆ terapeutica, ferma restando
lÕadozione di misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento presso tali comunitˆ.

REVOCA ED ESITI

Revoca
Per quanto riguarda la revoca, si estende il disposto dellÕart. 47 co. 11, con la precisazione che essa
non • automatica nemmeno nel caso di successiva applicazione della custodia cautelare, e che per
comportamento incompatibile deve intendersi quello concretamente volto ad eludere il trattamento
terapeutico, sia riguardo agli effetti della revoca, per cui si applica quanto stabilito dalla Corte
costituzionale.

Esiti
Con riferimento allÕesito positivo, opera quanto detto per lÕafÞdamento ordinario. Si discute per˜
sul signiÞcato da attribuire allÕespressione Òesito positivoÓ. Alcuni lo individuano nella
disintossicazione Þsica dagli stupefacenti, altri nel recupero terapeutico e sociale del tossico/alcol
dipendente. Tra queste due letture, • preferibile ritenere che non occorre una valutazione di efÞcacia
della terapia, ma • sufÞciente constatare il contegno dellÕinteressato sostanzialmente non elusivo
degli impegni programmati.
NellÕipotesi in cui il condannato sottoposto allÕafÞdamento in Òcasi particolariÓ termini, con esito
positivo, il proprio programma terapeutico prima dello spirare della pena, la misura si trasforma in
afÞdamento in prova ordinario, indipendentemente dal limite di pena, ossia anche quando il residuo
supera i 4 anni. La trasformazione non indica, per˜, una via esclusiva, poichŽ il condannato al
termine dellÕafÞdamento in Òcasi particolariÓ, ma ancora in esecuzione pena, pu˜ chiedere la
sospensione: il tribunale di sorveglianza la dispone qualora ritenga che sussistano i presupposti e
che lÕinteressato sia in grado di sapersi gestire autonomamente.

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LA SOSPENSIONE DELLA PENA PER IL TOSSICODIPENDENTE

- La sospensione dellÕesecuzione della pena detentiva per il tossicodipendente • stata introdotta


con la legge 162/1990.
Questa misura non ha origini penitenziarie, ma la sua disciplina, come quella prevista per
lÕafÞdamento terapeutico, • stata oggetto delle stesse modiÞche che hanno investito le misure
alternative.
Ha lÕobiettivo di evitare lÕesperienza detentiva, che spesso si traduce in una ricaduta nella
tossicodipendenza, a chi abbia completato proÞcuamente il programma terapeutico. é nato con
funzione premiale, ossia come strumento volto a favorire il recupero dei tossicodipendenti che
abbiano concretamente e meritevolmente mostrato di volersi disintossicare dalla sostanza
stupefacente, e nello stesso tempo non abbiano pi• recidivato.
Da subito lÕistituto ha assunto anche una connotazione incentivante del recupero.
Accanto alla ratio premiale e incentivante, vi • anche una Þnalitˆ di riduzione del sovraffollamento
carcerario.
- Non • una misura alternativa: • vuota di contenuti e gli effetti estintivi ad essa collegati si
producono per il solo fatto che il beneÞciario non commetta, nel periodo di sospensione, pari a 5
anni, un delitto colposo punibile con la carcerazione.
La sospensione • quindi un istituto autonomo.
é vicino allÕafÞdamento in prova terapeutico sotto il proÞlo della Þnalitˆ, ma se ne distingue per
struttura e presupposti.

PRESUPPOSTI
1. la sospensione dellÕesecuzione della pena • riservata ai soli tossicodipendenti, e non anche agli
alcoldipendenti, come nel caso dellÕafÞdamento in prova terapeutico.
2. si richiede che il soggetto sia stato condannato per un reato connesso al proprio stato di
dipendenza. La misura • quindi applicabile solo in favore del tossicodipendente abituale e non
a colui che fa uso occasionale di sostanze stupefacenti, rendendo non necessaria la
sottoposizione al programma terapeutico.
La connessine tra i reati commessi e lo stato di tossicodipendenza • requisito controverso.
Da un lato, si ritiene che non sia sufÞciente il mero dato temporale della commissione del reato
durante il periodo di dipendenza dalla droga, ma che occorra un rapporto di causa-effetto tra la
condizione soggettiva e la realizzazione della fattispecie criminosa.
DallÕaltro, invece, si afferma che il vincolo causale debba essere interpretato in senso ampio,
fungendo da indice generico al quale vanno ricondotti anche elementi diversi.
La giurisprudenza ha elaborato una tesi intermedia, intendendo sussistente il nesso di causalitˆ
nellÕipotesi di reati commessi da soggetto in stato di tossicodipendenza al momento del fatto e
di quelli la cui realizzazione sia stata direttamente motivata da detta patologica situazione
3. lÕinteressato deve aver concluso positivamente il programma terapeutico e socio-riabilitativo.
In questo modo la sospensione dellÕesecuzione afÞanca lÕafÞdamento in prova in Òcasi
particolariÓ coprendo tutte le situazioni legate alla tossicodipendenza: per le ipotesi di un
programma in atto o da eseguire, • previsto lÕafÞdamento particolare; per lÕeventualitˆ di un
programma completato con successo, la sospensione dellÕesecuzione.
LÕart. 92 impone di allegare alla richiesta di sospensione: la certiÞcazione attestante le modalitˆ
eseguite per veriÞcare lo status di tossicodipendenza, il tipo di programma terapeutico scelto e
le modalitˆ di realizzazione, nonchŽ gli esiti conseguiti.
4. come per lÕafÞdamento in prova terapeutica, il limite di pena per la concessione della
sospensione dellÕesecuzione • di 6 anni di reclusione (per condannati a delitti di cui allÕart. 4
bis il limite • di 4 anni).
La concessione non ci pu˜ essere qualora il condannato abbia commesso un delitto non colposo
tra lÕinizio del programma e la pronuncia della sospensione.

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La sospensione pu˜ essere concessa solo una volta, anche tenendo conto di tutte le pene detentive
inßitte allÕinteressato prima della presentazione dellÕistanza.

EFFETTI
LÕeffetto principale • la non esecuzione della pena detentiva per 5 anni. Il beneÞcio si estende anche
alle misure di sicurezza (ad eccezione della conÞsca), alle pene accessorie e agli altri effetti penali
della condanna.
Pu˜ essere sospesa anche lÕesecuzione della pena pecuniaria.
AllÕeffetto sospensivo si accompagna quello ulteriore dellÕestinzione della pena e di ogni altro
effetto penale qualora il condannato nei cinque anni successivi alla concessione del beneÞcio non
commetta un delitto non colposo punibile con la reclusione. Non sono estinte per˜ le misure di
sicurezza.
Vi • una discrezionalitˆ molto ampia del tribunale di sorveglianza per lÕindividuazione del dies a
quo.

LÕesito negativo della sospensione • attestato dalla revoca, che si veriÞca qualora il condannato,
durante il periodo di sospensione dellÕesecuzione, commetta un delitto non colposo.
La revoca • in questo caso obbligatoria e opera sempre con effetto ex tunc, ovvero dal momento
della sua concessione.
La disciplina delle modalitˆ di accesso alla sospensione dellÕesecuzione e del relativo
procedimento • omogenea a quella dellÕafÞdamento in prova terapeutico.
Per quanto riguarda la revoca, la decisione spetta al tribunale di sorveglianza, che adotta il
procedimento di sorveglianza. Invece, per la valutazione dellÕesito della sospensione e per la
declaratoria di estinzione della pena, si adottano le forme sempliÞcate dellÕart. 677 c. 4 c.p.p.

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LE MISURE ALTERNATIVE PER I MALATI DI AIDS

Un particolare status patologico del soggetto ristretto consente un impiego in chiave estensiva
dellÕafÞdamento in prova e della detenzione domiciliare.
La legge 231/1999 (art. 47 quater) ha infatti stabilito che per i soli soggetti affetti da AIDS
conclamata o da grave deÞcienza immunitaria che hanno in corso, o intendono intraprendere, un
programma di cura e assistenza presso le unitˆ operative specializzate in malattie infettive, lÕaccesso
allÕafÞdamento in prova e alla detenzione domiciliare • svincolato da presupposti legati a rigidi
limiti di pena previsti nei casi tradizionali.
Non si tratta di una nuova misura alternativa, bens“ di modalitˆ di accesso pi• favorevoli a misure
alternative giˆ disciplinate, dettate per categorie soggettive estremamente deboli.
Ratio: tutela della salute non solo del soggetto malato, ma anche degli altri detenuti.

Caratterizzazione terapeutica dellÕistituto Ñ> la scelta del legislatore • quella di svincolare la


concessione delle misure alternative non solo da un limite di pena, ma anche dalla tipologia del
reato commesso. Per questa categoria di ristretti non opera infatti il divieto di concessione dei
beneÞci di cui allÕart. 4 bis, benchŽ siano comunque doverosi gli accertamenti sulla sussistenza di
attuali collegamenti con la criminalitˆ organizzata.

DESTINATARI
I beneÞciari di questa misura sono unicamente i condannati o internati affetti da AIDS conclamata
o da grave deÞcienza immunitaria acquisita.
Su di essi grava lÕonere di allegare la documentazione che attesti tale particolare condizione di
salute insieme a quella riguardante la concreta attuabilitˆ del programma di cura e assistenza.
Ci˜ signiÞca che i soggetti affetti da patologie altrettanto gravi, tali da manifestare condizioni di
salute incompatibili con la detenzione, sono esclusi da questa misura e possono trovare tutela solo
negli istituti del rinvio dellÕesecuzione della pena e della detenzione domiciliare surrogatoria.
La condizione patologica che rende possibile il ricorso alla misura deve essere accertata e certiÞcata
dal servizio sanitario pubblico o dalla sua articolazione penitenziaria, a seconda che il soggetto
faccia istanza dallo stato di libertˆ o meno. Considerato che la patologia, per giustiÞcare
lÕammissione a questa misura deve essere suscettibile di trattamento, dalla stessa certiÞcazione deve
ulteriormente risultare la concreta attuabilitˆ del programma di cura e assistenza presso le unitˆ
operative di malattie infettive ospedaliere e universitarie.

Fatta salva lÕipotesi in cui lÕinteressato abbia giˆ fruito di analoga misura e questa sia stata revocata
da meno di un anno, al tribunale di sorveglianza non sembra poter residuare alcun margine di
discrezionalitˆ circa lÕan della concessione di una delle misure contemplate dallÕart. 47 quater.
VeriÞcato lÕan della misura, lÕapprezzamento del grado di pericolo di recidiva vale a orientare sul
quomodo della stessa: lÕentitˆ del rischio di commissione di altri reati • parametro di riferimento
per il tribunale di sorveglianza chiamato a scegliere quale misura tra afÞdamento in prova e
detenzione domiciliare debba essere applicata. Il giudice, pertanto, dovrˆ necessariamente optare
per la misura maggiormente restrittiva della detenzione domiciliare allorquando il soggetto presenti
una maggiore pericolositˆ sociale ritenuta, comunque, compatibile con lÕesecuzione extra moenia.
La durata della misura sarˆ corrispondente a quella della pena ancora da espiare, fatta salva
lÕipotesi di una sua revoca. Infatti, il tribunale di sorveglianza pu˜ disporre la Þne anticipata della
misura alternativa se il soggetto risulti imputato o sottoposto a misura cautelare per un delitto
commesso successivamente alla concessione del beneÞcio e rientrante tra quelli per cui • previsto
lÕarresto obbligatorio in ßagranza.
La revoca, per˜, non neutralizza le esigenze di salute del condannato, nŽ i rischi del contagio
derivanti dalla sua condizione. Di qui la previsione che il giudice, contestualmente alla pronuncia,
disponga che il soggetto sia detenuto presso un istituto carcerario dotato di reparto attrezzato per la
cura e lÕassistenza necessarie.
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LÕESPULSIONE COME MISURA ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE

Si tratta di unÕalternativa alla detenzione per gli stranieri irregolari. Il Testo Unico
sullÕimmigrazione disciplina la misura dellÕespulsione per via giurisdizionale: sia a titolo di
sanzione sostitutiva, sia quale alternativa alla detenzione.
In particolare, • prevista lÕespulsione, come sanzione alternativa alla detenzione, nei confronti dello
straniero extracomunitario e dellÕapolide al veriÞcarsi di deÞnite condizioni:
¥ che sia identiÞcato
¥ che sia irregolarmente presente sul territorio dello Stato
¥ che debba scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a 2 anni
In presenza di queste condizioni Þssate dalla legge, lÕespulsione integra unÕatipica misura
alternativa, obbligatoriamente adottata al solo Þne di evitare il protrarsi dello stato detentivo dello
straniero irregolare e allo scopo di contenere il sovraffollamento carcerario.

Sono due le caratteristiche che connotano questa misura:


1) obbligatorietˆ del provvedimento, che prescinde dalla condotta del soggetto
2) assenza di veriÞca della pericolositˆ del detenuto

LÕespresso riferimento allo Òstraniero detenutoÓ induce a escludere lÕestendibilitˆ dellÕespulsione


anche a persone in regime di detenzione domiciliare, nonchŽ allo straniero che si trovi e permanga
agli arresti domiciliari esecutivi in caso di sospensione dellÕesecuzione.
DallÕapplicabilitˆ di questa misura sono esclusi i cittadini comunitari e le categorie vulnerabili
(donne in stato di gravidanza o nei 6 mesi successivi alla nascita del Þglio) e da chi sia tutelato dal
diritto di asilo.

Per quanto riguarda lÕapplicazione della misura, la prima fase concerne lÕidentiÞcazione dello
straniero. Essa avviene in collaborazione tra lÕistituto penitenziario e il questore competente con il
coordinamento del Ministro dellÕinterno. I dati raccolti conßuiscono in una cartella personale.
Effettuata lÕidentiÞcazione, su iniziativa del pubblico ministero vengono trasmessi gli atti al
magistrato di sorveglianza competente sulla base del luogo di detenzione del condannato. LÕorgano
monocratico di sorveglianza decide senza formalitˆ con decreto motivato.
LÕesecuzione del provvedimento di espulsione spetta al questore competente in base al luogo di
detenzione dello straniero. Questi vi provvede attraverso lÕaccompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica.
La pena si estingue dopo 10 anni dallÕesecuzione dellÕespulsione.

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LA SEMILIBERTË

PROFILI GENERALI
La semilibertˆ • la misura attraverso la quale si offre la possibilitˆ al condannato e allÕinternato di
trascorrere parte del giorno fuori dallÕistituto per partecipare ad attivitˆ lavorative, istruttive o
comunque utili al reinserimento sociale.
Alla sua eventuale concessione provvede il tribunale di sorveglianza, attraverso il procedimento agli
artt. 666 e 678 c.p.p. Nel caso in cui se ne solleciti unÕapplicazione provvisoria, lÕistanza va
presentata al magistrato di sorveglianza al quale devono essere offerte concrete indicazioni circa il
fumus boni iuris, il grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e
lÕassenza del pericolo di fuga.
La misura della semilibertˆ, preÞggendosi lÕobiettivo di favorire la rieducazione del reo attraverso il
suo reinserimento nellÕambiente libero, ha lÕeffetto solo di attenuare e non di erodere del tutto lo
stato detentivo del condannato e dellÕinternato. Essa realizza unÕimportante passaggio
dellÕindividuo dallo stato detentivo a quello di relativa libertˆ, ispirato ai principi di progressione
trattamentale e di gradualitˆ nella concessione del beneÞci penitenziari. Per questa ragione, la
semilibertˆ (a differenza delle altre misure alternative) costituisce una modalitˆ di esecuzione della
detenzione: il semilibero resta comunque inserito nel circuito penitenziario, mantiene lo status di
detenuto e nei suoi confronti si applicano, pertanto, tutte le disposizioni dellÕordinamento
penitenziario e del regolamento di esecuzione, relative ai diritti e ai doveri del condannato e
dellÕinternato, in quanto compatibili.
Al pari delle altre misure alternative, la semilibertˆ ne conserva il carattere di strumento volto a
realizzare una forma di apertura dellÕambiente carcerario verso la societˆ libera e ne condivide il
carattere premiale ed incentivante verso comportamenti partecipativi allÕazione rieducativa.

Differenza semidetenzione e semilibertˆ


¥ semidetenzione Ñ> • una sanzione sostitutiva di una pena detentiva.
é disposta dal giudice della cognizione.
Diretta a evitare gli effetti desocializzanti e stigmatizzanti delle detenzioni brevi
¥ semilibertˆ Ñ> • una misura alternativa alla detenzione.
é concessa dal tribunale di sorveglianza.
é Þnalizzata alla rieducazione del condannato.

LE IPOTESI E I REQUISITI DI AMMISSIONE


La semilibertˆ nasce con una doppia Þsionomia (obbligatoria e facoltativa) e una triplice
destinazione operativa (per pene brevi, medie e lunghe).

Obbligatoria e facoltativa
Il primo criterio classiÞcatorio (obbligatoria) risulta ormai tramontato. La legge del 1981 ha infatti
abrogato lÕart. 49 che imponeva lÕespiazione in semilibertˆ delle pene detentive derivanti dalla
conversione di pene pecuniarie, semprech• il condannato non fosse stato afÞdato in prova al
servizio sociale o non fosse stato ammesso al lavoro alle dipendenze di enti pubblici.
Residua quindi oggi solo nella sua dimensione facoltativa, .

Pene brevi, medie e lunghe


é possibile individuare tre diverse tipologie della misura tarate sul quantuum della pena, a seconda
dei casi, irrogata o giˆ espiata; senza alcuna incidenza, quanto alla sua determinazione, della pena
pecuniaria inßitta congiuntamente a quella detentiva.
Pene brevi Ñ> arresto o reclusione non superiore a 6 mesi
Pene medie Ñ> risorsa surrogatoria dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale
Pene lunghe Ñ> espiazione di almeno metˆ della pena
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Pene brevi
La semilibertˆ per Òpene breviÓ • riservata ai condannati alla pena dellÕarresto e della reclusione
non superiore ai 6 mesi. Tale opportunitˆ • loro concessa sempre, purchŽ non fruiscano della misura
dellÕafÞdamento in prova al servizio sociale, secondo un logico criterio di sussidiarietˆ della
semilibertˆ rispetto a questÕultima.
In tal senso, la semilibertˆ nasce non tanto come strumento del trattamento rieducativo, bens“ come
mezzo di attenuazione degli effetti desocializzanti caratteristici delle pene detentive brevi.
La semilibertˆ per pene brevi pu˜ essere richiesta dallo stato di libertˆ, a seguito della sospensione
dellÕordine di esecuzione della pena, o dallo stato detentivo quando la pena • giˆ in corso di
esecuzione.

Pene medie
LÕart. 50 co. 2 disciplina una forma di semilibertˆ che pu˜ essere concessa ai condannati che devono
espiare una pena, anche residua, di durata ÒmediaÓ. Essa opera quale ipotesi surrogatoria
dellÕafÞdamento in prova: nei casi previsti dallÕart. 47 il condannato pu˜ essere ammesso al regime
di semilibertˆ anche prima dellÕespiazione di metˆ della pena, se mancano i presupposti previsti per
lÕafÞdamento in prova (coerenza della progressione trattamentale).
Il limite di pena da espiare, anche in misura residuale, • quello Þssato per la concessione
dellÕafÞdamento in prova: 3 anni, nella sua dimensione tradizionale, e 4 anni, nella sua dimensione
allargata.
La concessione della misura • possibile ancor prima dellÕavvio del trattamento penitenziario e
direttamente dallo stato di libertˆ; cos“ come • possibile lÕapplicazione in via provvisoria del
magistrato di sorveglianza.

Pene lunghe
La semilibertˆ per Òpene lungheÓ ha un ambito applicativo residuale: si applica infatti in tutti quei
casi superiori ai 6 mesi e fuori dai casi in cui vi si faccia ricorso quale forma surrogatoria.
Lo scopo • quello di agevolare il reinserimento sociale del condannato in funzione preparatoria del
suo ritorno in libertˆ: una tappa intermedia di un percorso detentivo costellato da precedenti
concessioni di beneÞci pi• contenuti, saldati ai requisiti della regolare condotta e della
partecipazione attiva allÕopera di rieducazione.
ƒ importante il presupposto temporale per accedere alla semilibertˆ in caso di pene lunghe: occorre
inderogabilmente che il condannato ne abbia espiata almeno la metˆ. Limiti pi• dilatati (due terzi
della pena) sono previsti per i delitti di cui allÕart. 4 bis.
Per la determinazione del limite minimo di pena espiata prima di poter accedere alla semilibertˆ
occorre fare riferimento ad alcuni criteri.
Oltre ai periodi di custodia cautelare carceraria o domiciliare (da conteggiare come pena giˆ
scontata) sono da includere sia le detrazioni conseguenti allÕeventuale applicazione delle cause di
estinzione della pena, sia le riduzioni ottenute a titolo di liberazione anticipata. Nel computo della
pena espiata va conteggiato anche il periodo eventualmente trascorso in afÞdamento in prova: sia
nel caso di annullamento del relativo provvedimento, sia nellÕipotesi di revoca per comportamento
colpevole.
La semilibertˆ • concedibile anche allÕergastolano dopo lÕespiazione di almeno 20 anni di pena.
Questo ampio periodo detentivo pu˜ essere abbreviato (a titolo di liberazione anticipata).

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PRESUPPOSTI APPLICATIVI
Per poter accedere alla semilibertˆ sono necessari diversi presupposti, che esaltano la natura
premiale e promozionale della misura e devono ricorrere cumulativamente:
¥ progressi compiuti nel corso del trattamento dal condannato Ñ> si tratta di unÕidea di
evoluzione. Questi non possono coincidere con la mera osservanza delle regole che informano la
disciplina penitenziaria, nŽ con il solo espletamento dellÕattivitˆ trattamentale inframuraria.
Essi devono consistere in un proÞcuo avvio del processo di revisione critica delle esperienze
negative del passato.
¥ condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella societˆ Ñ> occorre accertare il
modo attraverso il quale il soggetto intende impiegare la parte della giornata da trascorrere in
libertˆ. Il giudice dovrˆ veriÞcare il contenuto delle speciÞche attivitˆ che il soggetto ha
individuato, cos“ da poterne ricavare lÕidoneitˆ rieducativa
¥ espiazione di una determinata quota di pena

CONTENUTI DELLA MISURA


La semilibertˆ deve fare riferimento ad attivitˆ lavorative, istruttive o comunque utili al
reinserimento sociale. Questa espressione sottolinea la necessitˆ che tali attivitˆ, oltre a dover essere
individuate prima del provvedimento ammissivo, siano speciÞcamente Þnalizzate alla rieducazione.
Entro cinque giorni dallÕemissione del provvedimento che ammette alla semilibertˆ, deve essere
elaborato il programma trattamentale. Esso viene redatto dal gruppo di osservazione o dal solo
direttore in via provvisoria.
Il programma deve essere approvato dal magistrato di sorveglianza, che ha il potere di autorizzare
varianti (es. sul luogo di prosecuzione della misura).
Il programma disciplina i contenuti operativi delle attivitˆ che il soggetto andrˆ a svolgere nel
dettaglio e le prescrizioni cui dovrˆ attenersi per il tempo da trascorrere fuori.
La responsabilitˆ circa il regolare svolgimento del trattamento • afÞdata al direttore dellÕistituto di
assegnazione del semilibero. A tale Þne il direttore si avvale degli operatori dellÕU.E.P.E. per la
vigilanza e lÕassistenza del soggetto in ambiente libero.
Al positivo andamento del programma possono essere collegate delle licenze (nella misura non
superiore ai 45 giorni allÕanno).

Status di semilibero
I condannati e gli internati ammessi al regime della semilibertˆ sono assegnati ad appositi istituti o
apposite sezioni autonome degli istituti ordinari. Questa separazione ha lo scopo di:
evitare il contatto con soggetti pericolosi che potrebbero vaniÞcare la risocializzazione avvenuta
prevenire condotte illecite derivanti dal tentativo di soggetti in detenzione piena di utilizzare i
semiliberi come veicolo criminale verso lÕesterno
ragioni organizzative
LÕassegnazione del semilibero a tali apposite strutture • frutto di una valutazione discrezionale
dellÕorgano di osservazione. Questo potere discrezionale • per˜ escluso nel caso delle detenute
madri di prole di etˆ inferiore ai 3 anni ammesse alla semilibertˆ. Esse hanno il diritto di essere
ospitate in ediÞci o parte di ediÞci di civile abitazione. Ci˜ allo scopo di crescere i Þgli in ambiente
protetto.
I semiliberi indossano abiti civili. Si tratta di una disposizione priva di attualitˆ prescritta quanto
allÕintento di creare un elemento di differenziazione tra detenuti a pieno regime e semiliberi.

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GLI ESITI
LÕesito del regime di semilibertˆ, cos“ come per lÕafÞdamento in prova al servizio sociale, pu˜
essere positivo o negativo.

Esito positivo
LÕesito • positivo in due distinte ipotesi:
¥ nel caso in cui il condannato arrivi al Þne pena mantenendo lo status di semilibero Ñ> ci˜ si
veriÞca pi• frequentemente in caso di pene brevi
¥ nellÕipotesi in cui prima del suo epilogo, lo stesso regime sfoci in una pi• ampia misura
alternativa

Esito negativo
LÕesito negativo si realizza quando la misura viene revocata.
Sono previste due ipotesi di revoca:
1. inidoneitˆ del soggetto al trattamento offerto in regime di semilibertˆ (di carattere generale)
2. mancato o tardivo rientro del semilibero in istituto entro il termine previsto (carattere speciÞco)
Alla revoca della misura alternativa consegue sempre il ripristino della pena o della misura di
sicurezza detentiva.
Il periodo trascorso in semilibertˆ dal condannato prima della revoca viene detratto dalla durata
complessiva della sanzione: tale tempo • sempre considerato come pena detentiva scontata.
Nel caso dellÕinternato, invece, la revoca produce la decorrenza ex novo del periodo minimo di
durata della misura di sicurezza.

1. Inidoneitˆ al trattamento
Il provvedimento di concessione della semilibertˆ pu˜ essere revocato in ogni tempo quando il
soggetto non si dimostri idoneo al trattamento.
Qui ci˜ che rileva • la presenza di precisi fatti comportamentali che denotino una chiara
inconciliabilitˆ tra lÕatteggiamento assunto dal semilibero e il percorso trattamentale ideato.
Ai Þni della revoca, quindi, non si richiede necessariamente lÕinosservanza delle prescrizioni
connesse al piano trattamentale, ma comportamenti scorretti sintomatici di sopravvenuta inidoneitˆ
al trattamento extramurario e che siano indicativi del fallimento dellÕesperimento.
La revoca in questo caso pu˜ essere preceduta da un provvedimento di sospensione cautelativa
adottato in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza.

2. Mancato o tardivo rientro


Il mancato o ritardato rientro produce conseguenze diverse a seconda che si tratti di condannato o
internato.
Condannato Ñ> il giudice distingue tra lÕassenza inferiore o superiore a 12 ore.
Quando il ritardo • contenuto entro le 12 ore, il soggetto risponde dellÕinfrazione disciplinare ed
eventualmente pu˜ subire anche la revoca della misura, salvo che vi sia un giustiÞcato motivo. Qui
quindi la revoca • facoltativa.
Se il ritardo • superiore alle 12 ore, invece, integra reato di evasione. La denuncia per tale delitto
comporta la sospensione della semilibertˆ; la condanna deÞnitiva ne determina la revoca
obbligatoria.
Internato Ñ> non • conÞgurabile il reato di evasione, e vi • una distinzione se lÕassenza • inferiore
o superiore a 3 ore.
LÕassenza protratta oltre le 3 ore • sanzionata disciplinarmente e comporta la revoca facoltativa
della misura.
Al ritardo inferiore alle 3 ore non • collegato alcun effetto ex lege. La combinazione fra il ritardo
con altri elementi trasgressivi della misura pu˜, per˜, essere il sintomo di una complessiva
inidoneitˆ dellÕinternato al trattamento in semilibertˆ e provocare quindi la revoca della misura.

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DISPOSIZIONI DI CARATTERE GENERALE

I CONTROLLI SUL RISPETTO DELLE PRESCRIZIONI


A chiusura del titolo dedicato alle misure alternative la legge detta alcune previsioni di carattere
generale, volte a disciplinare i controlli sul rispetto delle prescrizioni e i possibili epiloghi
dellÕesecuzione allÕesterno. In particolare, assumono rilevanza le occasioni in cui il provvedimento
concessivo debba venire meno, con conseguente produzione di una gamma variegata di effetti
giuridici.

Per quanto riguarda i controlli, bisogna rilevare che le alternative al carcere sono misure penali e
comportano quindi numerose restrizioni della libertˆ. Per questo occorre veriÞcare se vengano
effettivamente rispettati gli obblighi e i divieti imposti al condannato.
¥ afÞdamento in prova e semilibertˆ Ñ> • chiamato a vigilare lÕUEPE
¥ detenzione domiciliare Ñ> sono previsti controlli di polizia ed • possibile lÕutilizzo del
braccialetto elettronico
Alle attivitˆ di vigilanza allÕesterno pu˜ partecipare anche la polizia penitenziaria, seguendo le
indicazioni fornite dal direttore dellÕUEPE e previo coordinamento con lÕautoritˆ di pubblica
sicurezza, a cui spetta lÕorganizzazione delle operazioni di sorveglianza.

I controlli di polizia, da chiunque esperiti, possono riguardare solamente alcuni proÞli


dellÕesecuzione allÕesterno. Si tratta in particolare:
dellÕosservanza delle prescrizioni relative al soggiorno in un dato domicilio e agli spostamenti
ammessi verso altri luoghi
dei limiti alla possibilitˆ di frequentare persone o locali
dei limiti alla detenzione di armi
Le restanti veriÞche spettano esclusivamente allÕUEPE.

é previsto il dovere di agire nel rispetto dei diritti dellÕinteressato oltre che dei suoi familiari e
conviventi. Inoltre si richiede di adottare il criterio del minor pregiudizio possibile al processo di
reinserimento sociale e la minore interferenza con lo svolgimento di eventuali attivitˆ lavorative.

SOPRAVVENIENZA DI NUOVI TITOLI E SOSPENSIONE CAUTELATIVA DELLE


MISURE
é possibile che lÕesecuzione delle misure alternative in corso debba essere interrotta a causa di
evenienze che dipendono da comportamenti del condannato, passati o presenti.

Sopravvenienza di nuovi titoli


Pu˜ anzitutto accadere che sopraggiunga durante lÕespiazione allÕesterno un nuovo titolo esecutivo,
ossia una condanna irrevocabile per un reato commesso in precedenza dalla stessa persona.
é il pubblico ministero presso il giudice giudice dellÕesecuzione a dover ordinare che la pena
sopravvenuta sia applicata, previo ricalcolo del suo complessivo ammontare. Egli deve inoltre
informare tempestivamente il magistrato di sorveglianza del nuovo provvedimento intervenuto e
deve formulare le sue richieste sulle modalitˆ con cui la fase esecutiva dovrˆ proseguire. é infatti
possibile che a quel punto le soglie di pena entro le quali era consentita la misura alternativa siano
superate, o che la nuova condanna comporti la necessitˆ di un nuovo giudizio sulla pericolositˆ del
condannato, o che la sentenza riguardi un reato ostativo.
Sarˆ il magistrato di sorveglianza a dover controllare se permangono le condizioni, oggettive e
soggettive, perchŽ la misura originariamente imposta possa continuare. In questo caso egli ne
dispone con ordinanza la prosecuzione. Altrimenti ne stabilisce la cessazione e ordina che il
condannato sia accompagnato in carcere.

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In ogni caso • possibile revocare la decisione innanzi al tribunale di sorveglianza, secondo la


disciplina dellÕart. 69 bis.

Revoca delle misure alternative


In questo caso pu˜ accadere che, mentre la misura alternativa • in atto, il beneÞciario si renda
responsabile di comportamenti che possono portare alla revoca del provvedimento concessivo,
come lÕinosservanza delle prescrizioni o la violazione di altri obblighi di legge.
Il magistrato di sorveglianza competente sul luogo di esecuzione della misura • tenuto a informare
immediatamente dellÕaccaduto il tribunale di sorveglianza, afÞnchŽ venga avviata la procedura di
revoca. Questa • volta ad accertare se effettivamente vi siano i presupposti per far venir meno la
misura alternativa. Il collegio potrˆ infatti decidere per la revoca, con conseguente carcerazione del
condannato, oppure per la prosecuzione dellÕesecuzione esterna o, ancora, per la sostituzione della
misura con unÕaltra.
Il giudizio di fronte al tribunale ha tempi di solito prolungati. Pu˜ per˜ accadere che la serietˆ delle
trasgressioni imponga di prendere immediati provvedimenti. Viene cos“ attribuito al magistrato di
sorveglianza un potere di intervento temporaneo, volto ad arginare tempestivamente comportamenti
irrispettosi delle regole. Questi potrˆ infatti, se necessario, disporre la sospensione provvisoria della
misura con decreto motivato e ordinare che il condannato venga condotto in un istituto penitenziario
nellÕattesa della decisione collegiale. Il provvedimento perde efÞcacia se il tribunale non decide
entro 30 giorni.

DIVIETI DI CONCESSIONE
Art. 58 quater Ñ> pone una serie di divieti di concessione, volti a ritardare il vaglio del giudice
sulle condizioni per il progressivo riacquisto di spazi di libertˆ.
1. il primo divieto colpisce chi sia stato condannato per una condotta di evasione o abbia subito la
revoca di una misura alternativa giˆ concessa per inosservanza della legge o delle prescrizioni.
In queste ipotesi per tre anni da ripristino della detenzione o dal provvedimento di revoca, i
permessi premio, il lavoro allÕesterno, lÕafÞdamento in prova, la detenzione domiciliare e la
semilibertˆ non potranno essere concessi.
Lo sbarramento non • applicabile alla condannata che si sia vista revocare la detenzione
domiciliare speciale o umanitaria.
2. • prevista una preclusione di cinque anni a fruire di tutte le misure alternative, dei permessi
premio e del lavoro allÕesterno per i condannati per uno dei delitti allÕart. 4 bis che abbiano
commesso un reato dopo essere evasi, oppure durante il periodo in cui stavano beneÞciando di
uno degli strumenti di esecuzione extra muraria.
3. i recidivi reiterati, ossia coloro che dopo essere stati condannati con l'aggravante della recidiva
commettono un nuovo reato, non possono beneÞciare dellÕafÞdamento in prova, della
detenzione domiciliare e della semilibertˆ pi• di una volta

MISURE ALTERNATIVE ED ESECUZIONE DELLE PENE ACCESSORIE


Art. 51 quater Ñ> disciplina, da un lato, un automatico effetto pro reo che si • voluto ricollegare
alla concessione delle misure rieducative, dallÕaltro, un eventuale intervento giudiziale suscettibile
di sterilizzare, in presenza di condotte determinanti la revoca delle stesse, la previsione di favore
contestualmente introdotta.
Come regola, le pene accessorie si eseguono quando il condannato ha terminato di scontare quella
principale. Inoltre, la maggior parte di esse presentano contenuti inabilitanti di intensitˆ e di durata
tali da costituire un serio ostacolo al reinserimento sociale, proprio perchŽ continuano a produrre i
loro effetti anche dopo la dimissione del condannato dal carcere.
LÕart. 51 quater cerca di limitare questi effetti nocivi nellÕipotesi in cui il condannato si sia
dimostrato meritevole della concessione di una misura alternativa. La regola • che le pene
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accessorie devono essere poste in esecuzione parallelamente allÕesecuzione del beneÞcio


penitenziario ogni qualvolta esse non impediscano la buona riuscita del trattamento extra moenia. In
questo modo si favorisce il percorso del condannato: infatti il termine di durata della pena
accessoria inizia a decorrere immediatamente, cos“ che si creano le premesse per una pi• rapida
cessazione degli effetti negativi ad essa collegati. In caso di revoca della misura alternativa,
lÕesecuzione della pena accessoria viene sospesa, fermo restando che il periodo giˆ espiato •
interamente computato ai Þni della sua durata.
Inoltre, il giudice, al momento della concessione della misura alternativa, pu˜ disporre la
sospensione dell'esecuzione della pena accessoria tenuto conto delle esigenze di reinserimento
sociale del condannato.

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LA LIBERAZIONE CONDIZIONALE

PRESUPPOSTI
La liberazione condizionale, collocata nel codice penale (art. 176 e 177 c.p.), tra le cause estintive
della pena, nasce come strumento utile per la gestione degli istituti penitenziari e gradualmente si
trasforma in strumento del trattamento rieducativo diretto alla risocializzazione del condannato.
La liberazione condizionale, modiÞcata dalla l. 663/1986, rappresenta un premio concesso al
condannato che durante il periodo di detenzione abbia dato prova costante di buona condotta.

Analogia con la sospensione condizionale Ñ> la liberazione • un istituto a carattere ÒprobatorioÓ o


sospensivo, in cui lÕeffetto favorevole dellÕestinzione si produce alla condizione (principale se non
unica) che il condannato non abbia commesso nuovi reati nel periodo di sospensione
dellÕesecuzione.
Differenza con la sospensione condizionale Ñ> la sospensione opera Òab initioÓ, impedendo cio•
unÕesecuzione mai iniziata di pene detentive relativamente brevi; la liberazione presuppone invece
unÕesecuzione giˆ in corso, e anzi protrattasi per un certo periodo, di pene esclusivamente detentive
non brevi.
Inoltre, mentre nella sospensione condizionale il condannato si trova in uno stato di piena libertˆ e
al massimo • tenuto allÕadempimento di obblighi riparatori, nella liberazione condizionale • il
contrario, poichŽ presuppone che sia avvenuto lÕadempimento delle obbligazioni civile derivanti dal
reato e il condannato liberato viene sottoposto a regime di libertˆ vigilata ed assistita.

Presupposti
1. decorso del tempo di espiazione prescritto
2. ravvedimento del condannato
3. risarcimento del danno

1. Decorso del tempo di espiazione prescritto (presupposto di carattere temporale)


Il condannato primario o recidivo semplice, deve aver scontato 30 mesi e, comunque, almeno la
metˆ della pena inßittagli, qualora la pena residua superi i 5 anni.
Il condannato recidivo aggravato o reiterato, deve aver scontato almeno 4 anni e non meno dei
tre quarti della pena inßittagli, sempre che la pena residua non superi 5 anni.
LÕergastolano deve avere spiato almeno 26 anni di pena. Se lÕergastolo appartiene ad un cumulo
di pene giˆ in parte scontate, non si pu˜ tenere conto delle pene espiate prima della commissione
del reato per cui • stato inßitto lÕergastolo.
I condannati per i reati di cui allÕart. 4 bis che non abbiano positivamente collaborato con la
giustizia ai sensi dellÕart. 58 ter possono accedere dopo aver scontato due terzi di pena.
Al condannato collaborante invece si applica la disciplina ordinaria.
Gli ergastolani ostativi sono ammessi al beneÞcio se forniscono la prova prova dell'assenza di
collegamenti, attuali e futuri, con la criminalitˆ organizzata, dopo aver scontato 30 anni di
reclusione.
Restano quindi esclusi i condannati che devono scontare una pena inferiore ai due anni e sei mesi o
ai quattro anni se si tratta di recidiva qualiÞcata.questa delimitazione • volta a riservare il beneÞcio
a pene detentive lunghe.

2. Ravvedimento del condannato


Per lÕaccesso alla liberazione condizionale, la prova del sicuro ravvedimento • un elemento
fondamentale: tale requisito non costituisce soltanto un presupposto, ma anche lo scopo della
misura.
Il ravvedimento non pu˜ identiÞcarsi con la buona condotta carceraria dell'interessato, nŽ con la sua
avvenuta risocializzazione. Pur non potendo essere inteso come vera e propria emenda morale,

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implica lÕabbandono di scelte criminali e lÕacquisita consapevolezza dei valori fondamentali della
vita sociale.
LÕaggettivo ÒsicuroÓ indica elevata probabilitˆ.
In mancanza di speciÞche indicazioni legislative, vanno considerati elementi di valutazione:
¥ il comportamento tenuto dal soggetto con i compagni di detenzione, con il personale
penitenziario, con i propri familiari e con i parenti delle vittime
¥ la volontˆ di reinserimento dimostrata con lÕattivitˆ lavorativa e di studio, con manifestazioni di
solidarietˆ sociale e con il fattivo intendimento di riparare le conseguenze dannose del reato
Inoltre, la valutazione del ravvedimento pu˜ desumersi, oltre che dagli strumenti dellÕosservazione
del trattamento, dallÕapplicazione di altri misure di educative, in particolare delle riduzioni di pena e
della semilibertˆ.

3. Risarcimento del danno


LÕadempimento delle obbligazioni civili comprende:
¥ il risarcimento del danno patrimoniale e non, e le restituzioni nei confronti del danneggiato dal
reato o dei suoi prossimi congiunti
¥ il pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere
¥ valutate iniziative di tipo riparativo
La giurisprudenza interpreta in modo ampio ÒlÕimpossibilitˆ di adempimentoÓ, facendovi rientrare
non solo lÕimpossibilitˆ materiale assoluta e ogni causa non imputabile al condannato, ma anche
quella comportante un un sensibile sacriÞcio per lÕinteressato. Inoltre ritiene che la dimostrazione
dellÕobiettiva impossibilitˆ non esonera lÕinteressato dal compimento di gesti di riparazione.

IL CONTENUTO DELLA MISURA (LIBERTË VIGILATA)


La concessione della liberazione condizionale comporta che la pena prosegua extra moenia
mediante la sottoposizione obbligatoria al regime di libertˆ vigilata per tutto il tempo di pena
residua da scontare, ovvero per 5 anni nel caso si tratti di condannato allÕergastolo e 10 anni se
lÕergastolano • sottoposto a regime del 4 bis.

Contenuto delle prescrizioni


La legge pone unicamente limiti alla libertˆ di spostare la dimora o lÕabitazione, con la conseguenza
che il vuoto • stato colmato dalla prassi giurisprudenziale. Tuttavia, • previsto che la sorveglianza
sulla condotta del liberato, afÞdata allÕautoritˆ di pubblica sicurezza, sia esercitata in modo da
agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale sociale e con modalitˆ
tali da non rendere difÞcoltosa alla persona che vi • sottoposta la ricerca di un lavoro e da
consentirle di attendervi con la necessaria tranquillitˆ.
Questo • il motivo per cui il regime di libertˆ vigilata applicabile al liberato condizionalmente si
differenzia dall'omonimo misura di sicurezza sia dal punto di vista strutturale sia sotto l'aspetto
funzionale.

ESECUZIONE ED EPILOGHI DELLA LIBERAZIONE CONDIZIONALE


LÕammissione alla misura (e la revoca) • decisa dal tribunale di sorveglianza. Accertata la
sussistenza di requisiti, il giudice ha lÕobbligo, e non la facoltˆ, di concederla.
NellÕordinanza applicativa • Þssato il termine entro il quale lÕinteressato deve presentarsi allÕufÞcio
di sorveglianza del luogo di esecuzione della liberazione condizionale. é infatti il magistrato di
sorveglianza a disporre le prescrizioni inerenti alla libertˆ vigilata, successivamente alla
scarcerazione del condannato, con decreto che deve essere trasmesso sia alla questura, la quale
provvede alla redazione del verbale di sottoposizione alle prescrizioni, sia allÕUEPE, che ha il
compito di attivare gli interventi di osservazione e trattamento e di riferire periodicamente al
magistrato di sorveglianza i relativi risultati.
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Revoca
La revoca della liberazione condizionale • prevista in due ipotesi:
1. commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole
2. trasgressione degli obblighi inerenti alla libertˆ vigilata

1. Il legislatore aveva disciplinato la commissione del reato come condizione risolutiva del
beneÞcio, per cui la revoca conseguiva automaticamente allÕaccertamento, con sentenza passata in
giudicato, della perpetrazione dellÕillecito penale da parte della persona liberata.
La Consulta ha per˜ dichiarato illegittima la norma relativamente a tale proÞlo. Pertanto, ora il
tribunale di sorveglianza • tenuto a revocare la liberazione condizionale soltanto se la condotta del
soggetto, che abbia commesso un reato della stessa indole, risulti incompatibile con il
mantenimento della misura.
In altri termini, la revoca non • pi• un provvedimento vincolato, ma discrezionale, fondato sui
risultati di unÕindagine che siano rivelatori della mancanza del ravvedimento.
2. Nel caso di violazione degli obblighi inerenti alla libertˆ vigilata, la revoca ha sempre avuto
carattere discrezionale. In questo caso non • sufÞciente la segnalazione degli organi incaricati della
sorveglianza, ma la trasgressione va individuata nella volontarietˆ del fatto e deve essere cos“ grave
da interessare lÕintero regime di vita del liberato.

Effetti della revoca Ñ> il tribunale di sorveglianza deve determinare la pena residua da espiare,
tenendo conto del periodo trascorso in libertˆ condizionale nellÕosservanza delle prescrizioni
imposte, e della quantitˆ e gravitˆ dei comportamenti causa di revoca. Comunque, il condannato
non pu˜ essere riammesso a fruire del beneÞcio.
NellÕipotesi di revoca della liberazione condizionale riguardante un condannato alla pena
dellÕergastolo non • possibile determinare la parte di pena ancora da espiare.

Esito positivo
LÕesito positivo della liberazione condizionale, che si realizza con il decorso del tempo della pena
inßitta senza che sia intervenuta la revoca, oppure dopo cinque anni dalla data del provvedimento,
se si tratta di condanna allÕergastolo, comporta lÕestinzione della pena e la revoca delle eventuali
misure di sicurezza.
La competenza a dichiarare lÕestinzione della pena spetta al tribunale di sorveglianza.

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LA LIBERAZIONE ANTICIPATA

NATURA E SCOPO
La liberazione anticipata (art. 54) consiste in una detrazione di 45 giorni di pena per ogni semestre
di pena scontata, quale riconoscimento a favore del condannato che abbia dimostrato di partecipare
allÕopera di rieducazione.
Nonostante sia collocata tra le misure alternative alla detenzione, non • una misura alternativa,
essendo priva di afßittivitˆ, ma • un beneÞcio che ha lÕeffetto di anticipare il Þne pena.
La misura rivela una inequivoca natura premiare e una carica incentivante verso atteggiamenti
partecipativi del condannato allÕazione rieducativa: il premio immediato, correlato ad un impegno
comportamentale limitato nel tempo e quindi pi• agevole da rispettare, contribuisce ad incentivare
lÕadesione al programma trattamentale.

LÕistituto viene considerato come mezzo di trattamento progressivo di portata risocializzante.


Infatti, gli sconti di pena comportano due effetti:
¥ lÕeffetto diretto e tipico consiste nella liberazione anticipata
¥ lÕeffetto indiretto consiste nellÕabbreviazione dei tempi di pena richiesti dalla legge per
lÕammissione ai beneÞci extramurari

LA CONCESSIONE

Destinatari
Destinatari sono tutti i condannati, indipendentemente dalla gravitˆ del reato commesso e del loro
grado di pericolositˆ.
Sono quindi compresi:
i condannati alla pena dellÕergastolo
quelli che hanno commesso i delitti allÕart. 4 bis, per i quali la liberazione anticipata • lÕunico
beneÞcio fruibile anche in assenza della rimozione della condizione ostativa
i detenuti sottoposti al regime della sorveglianza particolare e alla sospensione delle regole
trattamentali
i condannati ad ergastolo ostativo, purchŽ abbiano dato prova di partecipazione al percorso
rieducativo

Ambito applicativo
é valutabile, oltre alla pena detentiva, il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di
detenzione domiciliare, sempre che si accerti lÕadesione allÕopera di rieducazione.
La pena detentiva include anche i tempi che il condannato trascorre allÕesterno del carcere durante
la fruizione di permessi di necessitˆ e premio, nonchŽ in ospedali civili, in luoghi esterni di cura e
nelle REMS.
Ai Þni della liberazione anticipata viene valutato anche il tempo trascorso agli arresti domiciliari o
in regime di esecuzione della pena nel domicilio. A tal Þne rilevano i periodi passati in semilibertˆ.
Lo sconto di pena della liberazione anticipata si applica anche alla semilibertˆ sostitutiva e alla
detenzione domiciliare sostitutiva per lÕevidente afÞnitˆ con le corrispondenti misure alternative
alla detenzione.
Il legislatore ha previsto inoltre la concessione delle riduzioni allÕafÞdato in prova al servizio
sociale, che abbia dato prova nel periodo di afÞdamento di un suo recupero sociale. La
giurisprudenza in seguito le ha estese anche alla liberazione condizionale.

Procedimento
Alla concessione della liberazione anticipata provvede il magistrato di sorveglianza, adottando il
procedimento allÕart. 69 bis, che consiste in un giudizio de plano a contraddittorio eventuale.
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LA PARTECIPAZIONE ALLÕOPERA DI RIEDUCAZIONE


- La liberazione anticipata • concessa al condannato che abbia partecipato allÕopera di rieducazione
in relazione ad ogni singolo semestre di pena scontata.
Il requisito della partecipazione allÕopera di rieducazione esige unÕadesione pronta e attiva alle
regole che disciplinano la vita carceraria e non pu˜ ridursi alla mera buona condotta del detenuto,
anche se essa costituisce condizione necessaria. Tale presupposto implica un comportamento
diverso e meno impegnativo rispetto a quello che richiesto per la concessione delle misure
alternative.
Il giudizio sulla partecipazione allÕopera di rieducazione ha carattere relativo:
¥ proÞlo oggettivo Ñ> sotto il proÞlo oggettivo la valutazione del comportamento va condotta in
relazione alla quantitˆ e qualitˆ degli strumenti del trattamento predisposti in concreto dalla
amministrazione penitenziaria, per cui pi• • ricca e articolata lÕofferta trattamentale, maggiore •
lÕimpegno che si richiede al condannato per conseguire la riduzione di pena.
In assenza di strumenti di risocializzazione, la giurisprudenza ha ritenuto sufÞciente la regolare
condotta del detenuto (assenza di provvedimenti disciplinari)
¥ proÞlo soggettivo Ñ> sotto il proÞlo soggettivo rileva la personale capacitˆ del detenuto di fruire
delle opportunitˆ riservatigli nel corso del trattamento. La valutazione giudiziale dovrˆ quindi
tenere presente la capacitˆ differenziata di ogni detenuto (per condizioni di salute, quoziente
intellettivo, estrazione sociale, preparazione e cultura) di giovarsi delle opportunitˆ in concreto
proposte dagli operatori penitenziari. Valutazioni molto delicate sono quelle che hanno ad oggetto
ad esempio la condotta intramuraria dei detenuti stranieri e dei soggetti malati o con disturbi
psichici.
- Il criterio di relativizzazione gioca un ruolo importante anche nei confronti di detenuti sottoposti
ai regimi penitenziari differenziati in ragione della loro pericolositˆ. Il regime di sorveglianza
particolare e il regime del carcere duro rendono molto difÞcoltoso realizzare il presupposto di
merito. Secondo la giurisprudenza, per˜, anche in questi casi si richiede qualcosa di pi• rispetto alla
Òregolare condottaÓ: come la qualitˆ dei rapporti intrattenuti con i compagni di detenzione, con gli
operatori penitenziari e con i familiari.
- Uno degli aspetti pi• controversi della disciplina dellÕart. 54 ha riguardato la deÞnizione delle
cadenze temporali per la concessione della riduzione della pena. La giurisprudenza prevalente
riteneva che la valutazione dovesse riguardare lÕintero periodo detentivo sofferto dal condannato
(criterio unitario). LÕindirizzo minoritario, sostenuto dalla dottrina, affermava che il giudizio di
merito dovesse prendere in considerazione i singoli semestri (criterio frazionato).
La questione si • risolta a favore della seconda tesi.
Anche la valutazione frazionata viene intesa in due modi diversi:
¥ un orientamento nella valutazione semestrale utilizza un rigido criterio atomistico, nel senso che il
giudizio formulato per semestre • insensibile al comportamento tenuto anteriormente al periodo
sub iudice, tanto da non costituire preclusione alla concessione della liberazione anticipata alla
commissione di reati, anche gravi, nei semestri contigui
¥ una soluzione diversa per calcolare le riduzioni di pena spettanti allÕafÞdato in prova prevede che
il requisito del recupero sociale sociale non si presta ad una valutazione segmentata

LA PRESUNZIONE DI AVVENUTA ESPIAZIONE


Le detrazioni si considerano come pena scontata ai ai Þni del computo della pena che occorre avere
espiato per la concessione di determinati beneÞci penitenziari.
La presunzione di avvenuta espiazione della pena valorizza la funzione strumentale e incentivante
dellÕistituto. é concepita in chiave incentivante per favorire lÕadesione dei detenuti al trattamento
rieducativo. Viene favorita lÕarticolazione di una progressione del trattamento rieducativo:
acquisizioni successive di riduzioni di pena permettono di fruire prima dei permessi premio, poi del
regime di semilibertˆ Þno alla liberazione condizionale.
Si tratta di ÒscontiÓ che avvicinano il Þne pena e agevolano la fruizione dei beneÞci per la cui
concessione occorre avere riguardo allÕentitˆ della pena residua da espiare. Sotto questo proÞlo, le
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riduzioni, quindi, rilevano non solo ai Þni della detenzione domiciliare ÒumanitariaÓ, indicando il
momento a partire dal quale possono calcolarsi i 4 anni di pena residua, ma anche ai Þni della
detenzione domiciliare ÒgenericaÓ, che prevede il limite di 2 anni di pena detentiva inßitta, anche se
costituente parte residua di maggior pena, e dellÕesecuzione presso il domicilio, concedibile ai
condannati a pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior
pena.

LA REVOCA
La liberazione anticipata • revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita,
appare incompatibile con il mantenimento del beneÞcio.
LÕaccertamento della responsabilitˆ deve essere contenuto in una sentenza passata in giudicato.
Ai Þni della revoca rilevano soltanto i delitti non colposi commessi nel corso dellÕesecuzione.
Qualora le pene inßitte siano riunite in un provvedimento di cumulo, occorre effettuare lo
scioglimento dello stesso al Þne di individuare la pena in esecuzione al momento della commissione
del delitto non colposo, dovendo rimanere estranee alla procedura di revoca le decisioni che
applicano pene giˆ completamente espiate o la cui esecuzione non sia ancora iniziata.
InÞne, la revoca dovrebbe comportare la perdita della sola riduzione relativa al semestre nel corso
del quale • stato commesso il reato che ne • causa. Ma la giurisprudenza ritiene che la revoca non
va limitata ad una sola frazione della complessiva riduzione di pena precedentemente accordata,
bens“ riguarda lÕintero arco temporale di espiazione di pena giˆ effettuato.

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➢ CAPITOLO VII: Magistratura di sorveglianza ed esecuzione


penitenziaria: proÞli processuali

LÕUFFICIO DI SORVEGLIANZA
LÕodierna normativa dedicata allÕorganizzazione della magistratura di sorveglianza, oltre ad essere
molto pi• dettagliata rispetto a quella precedente, ha introdotto un nuovo organismo collegiale, il
tribunale di sorveglianza, che, essendo caratterizzato dalla presenza di esperti in discipline psico-
criminologiche, • stato ritenuto particolarmente idoneo a veriÞcare l'evoluzione della personalitˆ del
condannato, al Þne dellÕeventuale concessione di una misura alternativa.

Attualmente, la struttura portante va individuata nellÕufÞcio di sorveglianza, a cui possono essere


destinati uno o pi• magistrati. Ciascuno dei essi svolge le funzioni che la legge attribuisce al giudice
monocratico e concorre inoltre a formare il collegio giudicante del tribunale di sorveglianza.

Tribunale di sorveglianza
Il magistrato di sorveglianza concorre alla composizione del tribunale di sorveglianza.
Si tratta di un organismo che opera a livello distrettuale (i tribunali di sorveglianza attualmente sono
29) ed • composto da quattro membri:
¥ due giudici ordinari
¥ due giudici non togati, scelti fa esperti in psicologia, psichiatria, servizi sociali e docenti di
scienze criminalistiche
I connotati fondamentali di questo giudice sono, oltre alla collegialitˆ, la specializzazione, che •
assicurata dalla presenza nel collegio di esperti in grado di apportare un rilevante contributo nelle
questioni implicanti un giudizio sulla personalitˆ del condannato.
Per quanto riguarda i giudici ordinari, la legge prescrive che uno di essi sia quello sotto la cui
giurisdizione • posto il condannato o lÕinternato relativamente alla cui richiesta bisogna decidere. Si
tratta di una disposizione dettata dallÕesigenza di assicurare allÕorgano collegiale un materiale
probatorio che non derivi soltanto dagli atti del fascicolo, ma che sia, anche se parzialmente, il
frutto di una conoscenza diretta. La regola per˜ perde valore in quelle situazioni in cui la richiesta
non provenga da un condannato ristretto in carcere; ci˜ signiÞca che non funziona nelle ipotesi in
cui la richiesta • formulata da un condannato che non • stato di detenzione.
Il magistrato di sorveglianza, oltre a svolgere le funzioni e ad emettere le decisioni nelle materie che
il legislatore penitenziario gli attribuisce, e nello stesso tempo un componente del tribunale di
sorveglianza, il quale spesso funziona come giudice di appello O di reclamo rispetto alle decisioni
assunte dal magistrato di sorveglianza in primo grado. Si determina quindi in capo a quest'ultimo
una situazione di incompatibilitˆ.

Il presidente del tribunale di sorveglianza


Il presidente del tribunale di sorveglianza si caratterizza per la sua particolare collocazione vuoi
allÕinterno del collegio, vuoi nellÕambito degli ufÞci di sorveglianza appartenenti allo stesso
distretto di Corte dÕappello.

Presidente allÕinterno del collegio


Sotto il primo proÞlo, viene in rilievo che, nellÕipotesi di mancata formazione di una maggioranza,
si considera determinante il voto del presidente.

Presidente del tribunale di sorveglianza


In questo caso dobbiamo distinguere i poteri che venivano giˆ precedentemente esercitati da questo
soggetto, e poteri invece innovativi.

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Poteri che giˆ venivano esercitati sono:


potere di organizzare le attivitˆ del tribunale di sorveglianza
potere di prospettare al presidente della corte dÕappello la necessitˆ di una supplenza esterna, ad
attuarsi, cio•, tramite ricorso a un giudice che non svolge funzioni di sorveglianza
potere di proporre al CSM nominativi degli esperti destinati a far parte dellÕorgano collegiale
Poteri di carattere innovativo:
potere di coordinare, per il disbrigo degli affari di competenza del tribunale, lÕattivitˆ dei vari
ufÞci di sorveglianza
potere di ovviare, mediante una supplenza interna, ad eventuali situazioni di emergenza che si
veriÞchino in uno degli ufÞci di sorveglianza afferenti al tribunale del quale • presidente

ORDINE DI ESECUZIONE SOSPESO E ACCESSO ANTICIPATO ALLE MISURE


ALTERNATIVE
Per quanto riguarda i proÞli processuali dellÕesecuzione penitenziaria, occorre prendere in
considerazione sia il codice di procedura penale sia la legge penitenziaria.
Se ci si attiene a questa bipartizione, a venire in rilievo • la regolamentazione del procedimento di
sorveglianza, ovvero il prototipo dei riti utilizzati nellÕambito di questo speciÞco settore
dellÕesecuzione penale.

Viene poi qui in rilievo lÕart. 656 c.p.p. Ñ> prevede un meccanismo che consente al condannato di
accedere alle misure alternative alla detenzione senza dover prima entrare in carcere (ovvero fruire
ab initio di queste misure).
Quando lÕordine di esecuzione che consegue al passaggio in giudicato della sentenza di condanna •
inerente a una pena detentiva, anche residua, non superiore a 4 anni (6 anni se si tratta di tossico/
alcol dipendente) il pubblico ministero dispone ex ofÞcio la sospensione del titolo esecutivo.
Successivamente, sempre che venga presentata una tempestiva istanza da parte dellÕinteressato o del
suo difensore ai quali vengono notiÞcati lÕordine di esecuzione e il decreto di sospensione, lo stesso
organo (pm) trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza, tenuto a decidere in merito alla
concessione della misura richiesta o di altra misura ritenuta pi• idonea.
La sospensione dellÕordine di esecuzione viene disposta dal pubblico ministero, senza che sia
necessaria un apposita richiesta. Il legislatore ha voluto evitare lÕingresso in carcere di condannati
potenzialmente idonei ad espiare la pena in forma alternativa. Ci˜ ha un duplice effetto: sia per
quanto riguarda il sovraffollamento carcerario, sia sul percorso rieducativo del condannato.

ÒLiberi sospesiÓ Ñ> sono coloro che sono stati condannati con una sentenza irrevocabile e
rimangono in attesa della decisione che li riguarda.
Taluni ritengono inopportuno mantenere in una situazione di libertˆ i liberi sospesi. Oltretutto, non
va trascurato che tale situazione di incertezza • destinata a protrarsi nel tempo se il tribunale di
sorveglianza a cui spetta pronunciarsi sulla richiesta di misura alternativa ha un considerevole
carico di lavoro.
A questo proposito, per˜, bisogna precisare che la situazione sembra destinata ad evolversi in
seguito alla riforma delle pene sostitutive. Oggi infatti il giudice della cognizione pu˜ sostituire la
sanzione detentiva con una di tali pene.

Il calcolo preventivo delle liberazione anticipata


In seguito ad una situazione di sovraffollamento carcerario cos“ accentuato da indurre la Corte
europea a ravvisare in esso una violazione dellÕart. 3 Cedu, lÕart. 656 c.p.p. • stato nuovamente
modiÞcato. Sono stati infatti coniati i commi 4 bis, 4 ter e 4 quater.
Essi stabiliscono che, quando la pena da eseguire • superiore a quattro anni (o 6 anni se si tratta di
condannato tossico/alcol dipendente), il pubblico ministero • tenuto a veriÞcare preliminarmente

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lÕesistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile, relativi al titolo


esecutivo riguardante nel caso speciÞco il condannato.
LÕemissione dellÕordine di esecuzione deve essere posticipata tutte le volte in cui, in base al numero
di semestri computabili ai Þni della liberazione anticipata, sia in astratto concepibile unÕestinzione
parziale della pena che la faccia scendere sotto i limiti massimi stabiliti dallÕart. 656 c.p.p.
AllÕiniziativa del pubblico ministero segue la valutazione del magistrato di sorveglianza
territorialmente competente, il quale deve accertare se sussistano in concreto i presupposti per
concedere le riduzioni di pena.

Le ipotesi di preclusione della sospensione


Sono previste due situazioni (art. 656 co. 9 c.p.p.) in cui non • consentito al pubblico ministero
interrompere lÕiter della fase esecutiva:
1. Per la pericolositˆ sociale del condannato, desunta dal tipo di delitto commesso
Questa eccezione riguarda coloro che sono stati condannati per delitti di cui allÕart. 4 bis oppure
per un altro dei delitti indicati nello stesso art. 656
2. PerchŽ lÕobiettivo di scongiurare lÕingresso in carcere del condannato non • raggiungibile,
essendo egli, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, giˆ detenuto in
seguito ad unÕordinanza di custodia cautelare precedentemente messa nei suoi confronti.
Questa eccezione riguarda coloro che al momento del passaggio in giudicato della sentenza
siano giˆ detenuti, in veste di imputati, per il fatto oggetto della condanna da eseguire.

Il divieto di iterazione del decreto sospensivo


La sospensione dellÕordine di esecuzione pu˜ risultare impedita anche dallo sbarramento previsto
dallÕart. 656, dove si stabilisce che per la stessa condanna non pu˜ essere disposta pi• di una volta.
Questo limite • stato introdotto dal legislatore per evitare che il condannato reiteri strumentalmente
la richiesta di provvedimenti sospensivi che paralizzerebbero lÕiter dellÕordine di esecuzione.
La disposizione in esame non vale per˜ ad escludere totalmente lÕeventualitˆ di una seconda
sospensione dellÕordine di esecuzione.
LÕinterrogativo circa la praticabilitˆ di una doppia sospensione presuppone che in un primo tempo
sia stato sospeso lÕordine di esecuzione ex art. 656 comma 5 c.p.p. senza che a tale iniziativa del
pubblico ministero abbia fatto seguito la concessione di una misura alternativa. Ci si chiede se,
ferma restando la condizione di una pena non superiore a 18 mesi, sia consentita in questo caso una
seconda sospensione disposta dal pubblico ministero. Sarebbe stata opportuna una chiara
indicazione del legislatore, che • invece mancata, non potendosi ritenere tale un inciso in cui si
precisa che lÕordine di esecuzione pu˜ essere sospeso salvo che il pubblico ministero debba
emettere il decreto di sospensione di cui al comma 5 dellÕart. 656 c.p.p.

LÕarticolazione della procedura


Il meccanismo sospensivo previsto dallÕart. 656 co. 5 c.p.p. si articola in una serie di snodi tra loro
strettamente collegati.
Una volta redatto lÕordine di esecuzione da parte del pubblico ministero, tale organo veriÞca che la
pena da espiare non sia superiore a 4 anni (o 6 anni se si tratta di condannato tossico/alcol
dipendente), tenendo conto dellÕeventuale liberazioni anticipata concessa dal magistrato di
sorveglianza.
Il pubblico ministero veriÞca inoltre che non ricorra una delle preclusioni stabilite dallÕart. 656 co. 9
c.p.p. In generale questÕorgano non pu˜ per˜ estendere il suo esame Þnalizzato allÕeventuale
emissione del decreto di sospensione al di lˆ dei proÞli formali.
Qualora il condannato sia dellÕavviso che la mancata emanazione del decreto sospensivo sia il frutto
di un errore del pubblico ministero, pu˜ evolvere la questione al giudice dellÕesecuzione, il quale, se
ritiene la richiesta fondata, dichiara temporaneamente inefÞcace il provvedimento che ha
determinato la privazione della libertˆ del condannato, provocando cos“ la scarcerazione del
medesimo.
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I passaggi successivi alla decretata sospensione sono i seguenti.


LÕordine di esecuzione e il provvedimento con cui viene sospeso sono notiÞcati al condannato e al
suo difensore, con lÕavviso che, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla notiÞcazione, deve
essere presentata al pubblico ministero una richiesta contenente la dichiarazione/elezione di
domicilio. NellÕavviso con cui si invita il condannato a formulare la richiesta di una misura extra
muraria deve farsi esplicita menzione della facoltˆ di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
Il pubblico ministero trasmette la richiesta e la documentazione al tribunale di sorveglianza
territorialmente competente, che • quello nel cui ambito territoriale ha sede lÕufÞcio del pubblico
ministero.
In seguito allÕinvestitura, provocata dalla trasmissione degli atti da parte del pubblico ministero, il
tribunale di sorveglianza • tenuto a pronunciarsi non prima del 30¼ e non oltre il 45¼ giorno dalla
ricezione della richiesta, fermo restando che allÕinosservanza di questi termini non consegue alcuna
sanzione processuale. Qualora non venga emanato dal presidente il decreto di inammissibilitˆ, il
tribunale di sorveglianza concede, se ne ricorrono i presupposti, la misura richiesta o altra ritenuta
pi• adeguata, oppure emette unÕordinanza di rigetto con la conseguenza che il condannato inizia a
scontare la pena.
In questo secondo caso gli atti vengono restituiti al pubblico ministero, il quale revoca il decreto di
sospensione, creando in tal modo le premesse per l'ingresso del condannato in carcere.quest'ultimo
pu˜, una volta ritenuto, presentare una nuova richiesta di misura alternativa.

Nel caso in cui il condannato, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, si trovi agli
arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, • prevista una differenza rispetto
allÕitinerario precedentemente descritto.
In questo caso infatti al condannato non • richiesto alcun tipo di iniziativa: gli atti vengono
direttamente trasmessi dal pubblico ministero al tribunale di sorveglianza il quale, in seguito ad
unÕistruttoria ex ofÞcio, si pronuncia in merito alla concessione di una delle misure extramurarie
indicate nellÕarticolo 656 co. 5 c.p.p. Inoltre, Þno alla decisione del giudice collegiale specializzato,
il condannato rimane agli arresti domiciliari.

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IL PROCEDIMENTO DI SORVEGLIANZA TIPICO

PROFILI GENERALI
In seguito alla notiÞca dellÕordine di esecuzione contestualmente sospeso, se vi • una richiesta di
misura alternativa da parte del condannato o del suo difensore, diventa protagonista il tribunale di
sorveglianza, che decide nelle forme degli articoli 666 e 678 c.p.p.

é utile anteporre un breve inquadramento di tipo sistematico.


Risale al varo della legge di ordinamento penitenziario la scelta di introdurre un modulo
procedimentale destinato a scandire la trattazione delle materie attribuite alla magistratura di
sorveglianza. Sottesa al nuovo corso vi era la spinta a deÞnire un paradigma che fosse adeguato al
Þnalismo rieducativo e alle esigenze di una valutazione individualizzata della persona. Si • cos“
sviluppato un complesso quadro normativo (artt. 71 bis, 71 sexies).
A tali previsioni si salda idealmente lÕart. 678 c.p.p., chiamato a ereditarne il posto. Il passaggio di
consegne • avvenuto in unÕottica fedele al modello del rito camerale (art. 127 c.p.p.), la cui
Þsionomia risulta afÞnata per gradi di crescente specialitˆ: lÕart. 666 descrive il procedimento di
esecuzione che, a sua volta, funge da ÒstampoÓ per quello di sorveglianza.
Il primo step consiste nell'individuare i tratti di originalitˆ rispetto allÕarchetipo (art. 127) del
modello che nasce dalla combinazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. Essi riguardano:
a) le modalitˆ di instaurazione
b) i casi e le forme della declaratoria di inammissibilitˆ della richiesta
c) la necessaria partecipazione del pubblico ministero e del difensore
d) i diritti partecipativi dellÕinteressato
e) lÕattivitˆ probatoria
f) la tutela dellÕinfermo di mente
Inoltre, speciÞco rilievo assume il requisito della pubblicitˆ, il cui deÞcit caratterizza l'udienza in
camera di consiglio.

Ai Þni descrittivi, si possono isolare cinque scansioni dellÕiter procedimentale:


1. lÕinstaurazione
2. il vaglio di ammissibilitˆ della richiesta
3. gli atti preliminari allÕudienza
4. lÕudienza
5. la decisione

LÕAREA DI OPERATIVITË DEL PROCEDIMENTO TIPICO


é molto importante stabilire lÕarea di operativitˆ della disciplina che ricalca quella dellÕart. 666
c.p.p.
Il procedimento descritto dagli artt. 666-678 c.p.p. viene deÞnito tipico. La chiave sta nel rapporto
con le funzioni del tribunale di sorveglianza. Esso trova sempre applicazione anche in assenza di un
esplicito richiamo. LÕinciso Òse non diversamente previstoÓ stabilisce che, di regola, lÕorgano
collegiale decide secondo le cadenze Þssate dagli artt. 666-678: le eventuali deroghe postulano
lÕespressa opzione per un modulo alternativo.
Di segno opposto • il criterio che vale nel campo della competenza attribuita ratione materiae:
risultano selezionati in via tassativa i casi in cui le forme da seguire sono quelle stabilite dagli artt.
666-678. In questo senso sono individuati due ambiti decisori:
¥ misure di sicurezza
¥ dichiarazione di abitualitˆ o professionalitˆ nel reato, ovvero tendenza a delinquere

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Nello scenario cos“ ricostruito, si registra un indirizzo di politica legislativa che ha eroso in termini
drastici la centralitˆ del procedimento tipico. Sul piano storico, le linee di sviluppo sono tre:

1. Una trae origine dalla l. 277/2002, che per la liberazione anticipata ha introdotto uno schema
basato su unÕordinanza assunta in camera di consiglio senza lÕintervento delle parti con possibilitˆ
di reclamo al tribunale.

2. LÕaltra si • tradotta nellÕestensione del rito de plano ex art. 667 co. 4.


Il tribunale procede de plano nelle seguenti materie:
richiesta di riabilitazione
valutazione sullÕesito dellÕafÞdamento in prova
dichiarazione di estinzione del reato conseguente alla liberazione condizionale
differimento dell'esecuzione della pena
Il magistrato procede de plano quando decide in tema di:
rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie
remissione del debito
esecuzione delle pene sostitutive e di quelle conseguenti alla conversione della pena pecuniaria

3. LÕultima prevede che se lÕistanza riguarda una pena non superiore ai 18 mesi, la misura
alternativa pu˜ essere applicata de plano.

I CRITERI DELLA COMPETENZA PER TERRITORIO


LÕindividuazione del giudice competente per territorio risponde a due criteri:
¥ uno fa leva sul locus custodiae dellÕinteressato
¥ lÕaltro sul luogo in cui questÕultimo ha la residenza o il domicilio

Locus custodiae
Per le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza • competente il tribunale o il magistrato
titolare della giurisdizione sullÕistituto di prevenzione o di pena in cui lÕinteressato si trova. In
questÕottica, a rilevare • lÕatto di impulso dellÕiter procedimentale e, quindi, il momento in cui viene
formulata la richiesta o la proposta ovvero lÕiniziativa • assunta dÕufÞcio.
La ratio sottesa a tale tale regime • quella di avvicinare il giudice al detenuto o internato nonchŽ alle
strutture penitenziarie coinvolte, al Þne di assecondare le esigenze cognitive di natura socio
psicologica, tali da richiede completezza e tempestivitˆ.
Molto importante • la stabilitˆ, che deve caratterizzare il rapporto tra il detenuto e il locus
custodiae: lÕarco temporale deve essere sufÞciente a consentire quelle valutazioni funzionali
allÕavvio della fase tratta mentale.

Residenza/domicilio
Il secondo criterio opera nellÕipotesi in cui lÕinteressato sia libero: a rilevare • il luogo della
residenza o del domicilio.
La logica • analoga a quella sopra: le informazioni utili ai Þni della prognosi comportamentale sono
di pi• facile e immediata reperibilitˆ nell'abituale ambiente di vita della persona.
é previsto un ordine gerarchico: infatti, il parametro del domicilio scatta solo se quello della
residenza non pu˜ funzionare.
é prevista una regola sussidiaria. Ove quella principale non consenta di determinare la residenza, la
competenza spetta al tribunale o al magistrato del luogo in cui • stata pronunciata la sentenza nella
cui dinamica esecutiva si innesta lÕintervento giurisdizionale. Nel caso di plurime sentenze, si fa
riferimento a quella divenuta irrevocabile per ultima.

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Questi criteri subiscono signiÞcative deroghe.


Ove, nel termini di 30 giorni dalla notiÞca, il condannato formuli una richiesta di misura alternativa,
a decidere • il tribunale competente in relazione al luogo in cui ha sede lÕufÞcio del pubblico
ministero. La ratio • quella di agevolare i collegamenti funzionali tra questÕultimo e il giudice di
sorveglianza.

IL PROCEDIMENTO DI SORVEGLIANZA SEMPLIFICATO


é previsto un procedimento di sorveglianza sempliÞcato per la concessione delle misure alternative
alla detenzione, riservata ai ai condannati in stato di libertˆ per pene che non superino la soglia di 1
anno e 6 mesi.
¥ Indicazione da parte del presidente del tribunale di sorveglianza, del magistrato relatore
¥ Questi pu˜ applicare una delle misure indicate nellÕart. 656, c. 5, c.p.p., senza formalitˆ e in via
provvisoria, impartendo le necessarie prescrizioni a corredo
¥ Nel termine di 10 giorni dalla notiÞca dellÕordinanza, le parti possono proporre opposizione al
tribunale di sorveglianza, ove il procedimento sarˆ deÞnito secondo le cadenze del procedimento
tipo. Ove, al contrario, le parti prestino acquiescenza al provvedimento del giudice monocratico,
lÕordinanza diviene esecutiva e verrˆ ratiÞcata in camera di consiglio dal tribunale di
sorveglianza.
¥ Durante il termine per lÕopposizione e Þno alla decisione sulla stessa, lÕesecuzione dellÕordinanza
• sospesa.

Differenza tra procedimento de plano e procedimento sempliÞcato: il primo opera con riferimento a
materie determinate ed • caratterizzato dallÕemissione di unÕordinanza senza formalitˆ. Il secondo
opera in relazione al quantum di pena da espiare in concreto.

LE FASI

1. instaurazione
2. vaglio di ammissibilitˆ della richiesta
3. atti preliminari allÕudienza
4. udienza
5. decisione

1. INSTAURAZIONE
A dare impulso al procedimento di sorveglianza sono la richiesta di:
pubblico ministero Ñ> stimola lÕadozione di provvedimenti sfavorevoli al condannato
interessato o suo difensore Ñ> rappresenta la principale fonte di origine del procedimento di
sorveglianza.
Per quanto riguarda il difensore • necessario chiarire un aspetto cruciale. Secondo la
giurisprudenza, il mandato Þduciario conferito nella fase di cognizione non si estende a quella
esecutiva: le richieste da formulare in nome del condannato implicano un nuovo incarico nelle
forme dellÕart. 96 c.p.p.; altrimenti sono inammissibile. In questo senso viene richiamato il
disposto dellÕart. 655, in base al quale i provvedimenti del pubblico ministero, entro 30 giorni
dalla loro emissione, sono notiÞcati a pena di nullitˆ, al difensore nominato dall'interessato o, in
mancanza, a quello dÕufÞcio.
iniziativa ex ofÞcio del giudice Ñ> questa scelta • per˜ criticata nellÕottica dellÕart. 111 della
Costituzione, in quanto suscettibile di indebolire il canone di imparzialitˆ.

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prossimi congiunti del condannato e gruppo di osservazione e trattamento Ñ> in materia di


misure alternative, altri beneÞci penitenziari e remissione del debito

- La presentazione della richiesta risponde al principio di libertˆ delle forme: le istanze possono
essere formulate anche oralmente nel corso dellÕudienza Þssata ad altri Þni.
LÕipotesi usuale • che lÕistanza venga depositata nella cancelleria del giudice o inoltrata al direttore
dellÕistituto, che ha lÕobbligo di immediata comunicazione allÕautoritˆ competente.
- Non sono previsti termini.
Non sempre per˜ lÕistanza pu˜ essere formulata in ogni tempo: vi sono infatti casi nei quali sono
imposti, a pena di inammissibilitˆ, vincoli cronologici dilatori.
- Sul piano dei contenuti, • solo eventuale lÕesposizione di speciÞci motivi: in difetto, la richiesta
non risulta inammissibile. Tuttavia, devono essere soddisfatti gli standard minimi propri della
domanda giudiziale, nelle componenti essenziali del petitum e della causa petendi.

2. IL VAGLIO DI AMMISSIBILITË DELLA RICHIESTA


La richiesta • inammissibile in tre ipotesi:
a) se appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge Ñ> • necessaria qui
una diagnosi alla quale • intrinseco il pericolo di indebite anticipazioni del giudizio di merito.
Va seguito, quindi, un indirizzo che circoscriva il vaglio entro conÞni ben deÞniti: le ragioni
dellÕinammissibilitˆ devono essere evidenti e il loro accertamento non deve implicare la
soluzione di questioni controversie.
b) se costituisce mera riproposizione di altra giˆ rigettata, basata sui medesimi elementi Ñ>
questa causa si basa sullÕassunto per cui anche alle decisioni adottate in executivis va
riconosciuta efÞcacia impeditiva. Il carattere iterativo della richiesta deve risultare evidente sul
piano del petitum e della causa petendi.
Il nodo centrale centrale consiste nello stabilire il signiÞcato dellÕespressione Òmedesimi
elementiÓ. Con ci˜ ci si riferisce a circostanze sopravvenute o preesistenti, purchŽ diverse da
quelle giˆ esaminate
c) cause di generale portata applicativa Ñ> sono i casi nei quali manchi uno dei presupposti
processuali come la legittimazione o lÕinteresse; oppure intervenga rinuncia allÕistanza.
inoltre, lÕinammissibilitˆ consegue al mancato rispetto delle regole in materia di presentazione
della richiesta.

La declaratoria di inammissibilitˆ • afÞdata al magistrato di sorveglianza o al presidente del


collegio, che decidono de plano sentito il pubblico ministero. Ove tale parere non sia acquisito si
conÞgura una nullitˆ a regime intermedio.
La richiesta • dichiarata inammissibile con decreto motivato. Del provvedimento • stabilita la
notiÞca allÕinteressato entro 5 giorni. Il termine • ordinatorio e la relativa inosservanza non dˆ luogo
a nullitˆ: comporta solo lo slittamento di quello per lÕeventuale impugnazione.
Il decreto • ricorribile per cassazione. Sono legittimati lÕinteressato, il difensore e il pubblico
ministero. Il ricorso ha efÞcacia sospensiva: non si applica lÕart. 666 co. 7.

3. GLI ATTI PRELIMINARI ALLÕUDIENZA


Se la richiesta non • dichiarata inammissibile e nellÕipotesi di iniziativa ex ofÞcio, spetta al
magistrato di sorveglianza o al presidente del collegio compiere quegli atti che sono preliminari
alla celebrazione dellÕudienza.
Essi sono:
¥ designazione del difensore dÕufÞcio per lÕinteressato che non gode di assistenza Þduciaria Ñ>
tale adempimento ribadisce il carattere indefettibile della difesa tecnica.
Il nominativo del difensore • comunicato senza ritardo (ovvero con lÕavviso di Þssazione
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dellÕudienza) allÕinteressato, il quale viene informato della facoltˆ di incaricarne in qualsiasi


momento uno di Þducia
¥ Þssazione della data dellÕudienza Ñ> il provvedimento ha la forma del decreto, i cui contenuti
minimi sono da ricostruire in via interpretativa. Le informazioni che deve contenere sono: giudice
competente, giorno, ora e luogo Þssato per lÕudienza e oggetto del procedimento. Non sono
invece da indicare le ragioni allÕorigine dello stesso.
LÕavviso di Þssazione dellÕudienza deve essere comunicato, almeno 10 giorni prima, al pubblico
ministero e notiÞcato allÕinteressato e al difensore. Se lÕinteressato • infermo di mente, la notiÞca
spetta anche al tutore o al curatore.
¥ deposito del fascicolo Ñ> esso, comprensivo degli elementi istruttori raccolti nellÕambito della
preistruzione camerale, deve essere depositato nella cancelleria del giudice, con la possibilitˆ per
le parti di prenderne visione ed estrarne copia. é possibile presentare memorie Þno a cinque
giorni prima dellÕudienza.

Sanzioni che discendono dallÕinosservanza dellÕart. 666 co. 3 c.p.p. e che quindi riguardano lÕavviso
di Þssazione dellÕudienza ( ¥ secondo). Vanno distinte tre ipotesi suscettibili di veriÞcarsi:

1. lÕavviso • omesso
Le conseguenze vanno individuate a seconda del destinatario dellÕavviso (pm, interessato e
difensore).
Se manca la comunicazione al pubblico ministero, si veriÞca una nullitˆ a regime intermedio: ad
essere menomati sono i diritti partecipativi dellÕorgano pubblico.
LÕomesso avviso allÕinteressato • causa di una nullitˆ assoluta, e quindi rilevabile dÕufÞcio in ogni
stato e grado del processo.
Per il difensore, invece, il carattere assoluto della nullitˆ discende dalla necessaria partecipazione
allÕudienza.

2. lÕavviso • intempestivo
Se lÕavviso • intempestivo, nel senso che non viene rispettato il termine di 10 giorni tra la notiÞca e
lÕudienza, la soluzione • univoca a prescindere dal destinatario: ricorre una nullitˆ intermedia,
poichŽ sono pregiudicati la partecipazione del pubblico ministero, lÕintervento dellÕinteressato e
lÕassistenza dello stesso

3. lÕavviso • incompleto
LÕavviso • incompleto quando, per esempio, risulta omessa la descrizione dellÕoggetto del
procedimento. Anche in questo caso la nullitˆ • intermedia.

Le nullitˆ intermedie sono rilevabili dÕufÞcio Þno al momento deliberativo e possono essere
eccepita anche con lÕimpugnazione dellÕordinanza conclusiva.

4. LÕUDIENZA
Il momento centrale dellÕiter procedimentale • quello dellÕudienza, caratterizzata dalla
partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. In questo modo vengono poste le
basi del contraddittorio di natura tecnica.
LÕorgano chiamato svolgere le funzioni di pubblico ministero •:
¥ davanti al tribunale, il procuratore generale presso la Corte dÕappello
¥ davanti al magistrato, il procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui ha sede
lÕufÞcio di sorveglianza

Ipotesi di assenza:
In caso di assenza del pubblico ministero, sussiste una nullitˆ a regime intermedio.
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In caso di assenza del difensore, il giudice • tenuto a nominare un sostituto, altrimenti si ha nullitˆ
assoluta.

La persona deve essere libera. Il diritto di comparire in udienza non • subordinata alla previa
richiesta di essere sentita. Anche nel caso in cui questÕultima manchi, scattano due vincoli: se
ricorrono i requisiti delle legittimo impedimento, lÕudienza va rinviata; allÕinteressato presente il
giudice deve consentire di rendere dichiarazioni.

Discrimine territoriale per la persona in vinculis:


Se il luogo detentivo • posto nella circoscrizione del giudice, deve essere tradotto in udienza. é
per˜ necessaria una preventiva richiesta, che • funzionale allÕopportuna gestione degli aspetti
logistici.
Sono salvi in ogni caso le forme e le modalitˆ di partecipazione a distanza nei procedimenti in
camera di consiglio.
Se lÕinteressato chiede di partecipare allÕudienza, sebbene sia detenuto entro il perimetro della
circoscrizione del giudice, le modalitˆ caratterizzate dalla presenza Þsica lasciano spazio a quelle
mediante collegamento audiovisivo.
Qualora ne ricorrano i presupposti, il diritto alla traduzione • rinunciabile: lÕinteressato pu˜ optare,
con unÕesplicita richiesta, per la video conferenza.
Se la persona • detenuta in un luogo situato fuori dalla circoscrizione del giudice, la disciplina • pi•
agevole. Se viene manifestata la volontˆ di partecipare, le forme sono quelle a distanza.

AllÕinizio dell'udienza si colloca lÕaccertamento relativo alla regolare costituzione delle parti.
Segue, nel caso di giudice collegiale, la relazione orale, che • funzionale a delineare il thema
decidendum. Gli snodi successivi sono solo eventuali, ovvero lÕaudizione dellÕinteressato e lÕattivitˆ
di natura probatoria.
Chiude lÕudienza la discussione, allÕesito della quale la parti formulano le rispettive richieste e
conclusioni.

Attivitˆ probatoria
- Al tema delle prove sono dedicate poche e concise disposizioni:
¥ art. 666 co. 5 cpp Ñ> il giudice pu˜ chiedere alle autoritˆ competenti tutti i documenti e le
informazioni di cui ha bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del
contraddittorio
¥ art. 185 disp. att. cpp Ñ> allÕacquisizione delle prove si procede senza particolari formalitˆ anche
per quanto concerne la citazione e lÕesame dei testimoni e lÕespletamento della perizia
¥ art. 678 co. 2 cpp Ñ> quando si procede nei confronti di persona sottoposta ad osservazione
scientiÞca della personalitˆ, il giudice acquisisce la relativa documentazione e si avvale, si
occorre, della consulenza di tecnici del trattamento
é da escludere che operi la disciplina delle liste testimoniali; va per˜ riconosciuto il diritto alla
prova contraria. In tema di ammissione, la centralitˆ dellÕiniziativa ex ofÞcio implica che in capo
alle parti sussista solo lÕonere di allegare i fatti sui quali si fonda lÕistanza: spetta al giudice attivarsi
per i relativi accertamenti.
- Sul terreno dellÕammissione, a deÞnire gli equilibri tra giudice e parti • uno schema tale per cui il
giudice • titolare di autonomi poteri e quindi si atteggia a dominus della prova.
L'iniziativa del giudice non • circoscritta ai documenti e alle informazioni, ma abbraccia anche gli
ulteriori mezzi di prova. A guidare lÕesercizio dei poteri afÞdati al giudice • un parametro basato
sulla semplice opportunitˆ dellÕacquisizione probatoria.
- Riguardo alla tipologia delle prove ammissibili, il codice di procedura penale esprime un netto
favore per le fonti di natura documentale, alle quali • accostata la categoria delle informazioni che il

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giudice pu˜ richiedere, in particolare, agli organi di polizia e agli enti pubblici. appare quindi
evidente la centralitˆ riconosciuta alla prova precostituita.
Tra i documenti rivestono un importanza fondamentale quelli relativi allÕosservazione scientiÞca
della personalitˆ. Anche ai condannati liberi • estesa lÕattivitˆ di osservazione afÞdata allÕUEPE.
- Una disciplina speciale • prevista in relazione ai reati che rientrano nel catalogo dellÕart. 4 bis co.
1, i cui autori possono accedere ai beneÞci penitenziari in base a un regime pi• rigoroso, calibrato
sulla sussistenza o meno di condotte collaborative.
Nella prima ipotesi, il giudice deve chiedere dettagliate informazioni al comitato provinciale per
lÕordine e la sicurezza pubblica; ove la risposta non arrivi nel termine di 30 giorni, la decisione
sullÕistanza del condannato va comunque assunta.
Nella seconda ipotesi, lÕonere istruttorio che grava sul giudice assume una latitudine molto ampia e
si articola su due piani. é indispensabile lÕacquisizione di elementi conoscitivi su una serie di
aspetti:
la perdurante operativitˆ del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel
quale il reato risulta commesso
il proÞlo criminale della persona detenuta e la sua posizione allÕinterno della associazione
le eventuali imputazioni o misure cautelari sopravvenute a suo carico
le signiÞcative infrazioni disciplinari commesse durante il periodo detentivo
Ove i riscontri non pervenga nel termine di 30 giorni (prorogabili Þno a 60), il giudice deve
comunque decidere. In particolare, suscettibile di integrare il quadro sono:
il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado
le informazioni fornite dalla direzione dellÕistituto ove la persona • detenuta
gli esiti degli accertamenti disposti nei confronti di questÕultima, degli appartenenti al suo nucleo
familiare e dei soggetti ad esso collegati
- Non vi sono effetti ostativi allÕingresso delle prove costituente. Sono da considerare ammissibili
tutti i mezzi istruttori che non risultano incompatibili con la struttura e le caratteristiche funzionali
del rito di sorveglianza.

5. LA DECISIONE E IL REGIME DI IMPUGNAZIONE


- Il provvedimento conclusivo ha la forma dellÕordinanza.
Il giudice (tribunale o magistrato) non • obbligato a decidere con immediatezza allÕesito
dellÕudienza: pu˜ infatti riservarsi di farlo dopo con la chiusura dellÕudienza, tanto che non •
prevista la lettura del dispositivo.
é prevista lÕimmutabilitˆ del giudice. Questo principio va riferito ai rapporti tra lÕattivitˆ istruttoria
e il momento deliberativo. Inoltre, • previsto che il giudice non possa fondare la decisione su prove
diverse da quelle legittimamente acquisite.
Negli articoli 666-678 cpp non vi • traccia dellÕobbligo di motivazione: integra qui la lacuna lÕart.
125 co. 3 cpp che lo stabilisce in via generale, a pena di nullitˆ, per le ordinanze.
- LÕordinanza viene comunicata o notiÞcata alle parti e ai difensori. LÕadempimento va collegato
allÕesercizio della facoltˆ di impugnazione: serve a Þssare il dies a quo del relativo termine, che •
pari a 15 giorni.
- Avverso lÕordinanza le parti e i difensori sono legittimati a proporre ricorso per cassazione. Il
vaglio resta di mera legittimitˆ: infatti un riesame in facto • radicalmente precluso.
Sono legittimati: il pubblico ministero che abbia assunto il ruolo di parte, il difensore
dellÕinteressato e, in via autonoma, questÕultimo.
Sulla materia hanno per˜ inciso a fondo le modiÞche introdotte dalla l. 103/2017. Il ricorso avverso
qualsiasi tipologia di provvedimento, a pena di inammissibilitˆ, deve essere a Þrma di un difensore
iscritto nellÕalbo speciale della corte di cassazione. Per la parte privata • quindi venuta meno la
possibilitˆ di presentare personalmente tale impugnazione.

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LÕordinanza • immediatamente esecutiva. Al Þne di mettere un freno a iniziative dilatorie, • escluso


un automatico effetto sospensivo del ricorso: perchŽ questo si veriÞchi serve unÕapposita decisione
dello stesso giudice a quo.
Il giudizio di cassazione si svolge secondo la disciplina dellÕart. 611 cpp: rito camerale senza
intervento delle parti e del difensore, scandito da un contraddittorio solo cartolare. Gli esiti sono tre:
¥ inammissibilitˆ
¥ rigetto Ñ> il provvedimento che rigetta il ricorso non • impugnabile per errore materiale o di
fatto: il rimedio straordinario riguarda le sole sentenze di condanna
¥ accoglimento, per cui lÕordinanza • annullata senza o con rinvio Ñ> in questÕultimo caso gli atti
sono trasmessi al giudice che aveva adottato il provvedimento afÞnchŽ si uniformi alla sentenza
della corte di cassazione

Le ipotesi di contraddittorio eventuale e differito: rito de plano e nuovo modello di deÞnizione


anticipata
- Al paradigma tipico delineato dagli artt. 666-678 cpp, si afÞancano moduli sempliÞcati il cui
comune denominatore era rappresentato da forme di contraddittorio eventuale e differito.
- A rilevare • in primo luogo il modello dellÕart. 667 co. 4.
Le ipotesi in questione riguardano materie attribuite sia al magistrato che al tribunale di
sorveglianza.
LÕiter si articola in due momenti:
1. il giudice decide senza formalitˆ con ordinanza, che viene comunicata al pubblico ministero e
notiÞcata allÕinteressato.
2. segue una fase rimessa allÕiniziativa delle parti, che nel termine perentorio di 15 giorni possono
formulare opposizione.
Se tale facoltˆ viene esercitata, si instaura un rito a norma degli artt. 666-678, le cui cadenze
assicurano il recupero delle garanzie.
Al contrario, se vi • inerzia, scatta una decadenza e il provvedimento emesso de plano diventa
deÞnitivo.
Questo meccanismo valorizza le scelte delle parti, nella cui disponibilitˆ • lasciato il ricorso alle
forme partecipate.
Vi sono per˜ due aspetti critici:
¥ nellÕipotesi di opposizione, a procedere • lo stesso giudice che ha adottato de plano lÕordinanza
Ñ> non essendo stabilita una causa di incompatibilitˆ, pu˜ trattarsi anche della medesima
persona Þsica, il cui approccio risentirebbe di un inevitabile condizionamento
¥ la legittimazione del difensore rischia di rimanere virtuale Ñ> non • contemplata la nomina
dÕufÞcio allÕinteressato che sia privo di assistenza
- LÕaltro modulo sempliÞcato • quello dellÕart. 678 co. 1 ter.
Segna una svolta lÕidea di abbinare una contrazione dellÕiter procedimentale alla materia delle
misure alternative, che rappresentano il nucleo degli interventi giurisdizionali di matrice
rieducativa.
In questo caso sono due i requisiti che devono sussistere:
1. lÕistanza di misura alternativa • formulata dal condannato in libertˆ nel termine di 30 giorni
dalla notiÞca dellÕordine di esecuzione sospeso
2. la pena da espiare non • superiore ad 1 anno e 6 mesi
In seguito allÕinoltro degli atti da parte del pubblico ministero, entra in scena il presidente del
tribunale di sorveglianza: se la richiesta • ritenuta ammissibile, acquisisce i documenti documenti e
le necessarie informazioni riguardanti anche lÕosservazione della personalitˆ del condannato.
A questo punto si ha una deviazione dallo schema tipico: il presidente designa il magistrato relatore
e Þssa un termine entro il quale questi, con ordinanza adottata senza formalitˆ, pu˜ applicare in via
provvisoria una misura alternativa. Lo scopo • quello di afÞdare a un componente del collegio le
valutazioni che lÕistanza impone.
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A determinare gli snodi successivi • lÕesito dello scrutinio iniziale. Ove reputi che una misura non
sia concedibile, il magistrato non adotta alcun provvedimento. NellÕipotesi opposta, invece,
lÕordinanza • comunicata al pubblico pubblico ministero e notiÞcata allÕinteressato e al difensore, i
quali possono proporre opposizione al tribunale di sorveglianza entro il termine di 10 giorni.
LÕopposizione, se • formulata attraverso lÕordinanza interinale, viene decisa nelle forme del
procedimento tipico, con il recupero delle garanzie che quelle contratte hanno sacriÞcato.
Altrimenti, alla luce dellÕacquiescenza che si ricava dallÕinutile decorso del termine di 10 giorni,
subentra il tribunale per confermare senza formalitˆ lÕordinanza: la misura diventa cos“ deÞnitiva.
Tale sbocco non • per˜ scontato: la veriÞca collegiale pu˜ suggerire lÕopportunitˆ di un esame nel
contraddittorio. In questo caso si torna sui binari del rito camerale con la Þssazione dellÕudienza.

IL PROCESSO DI SICUREZZA
Artt. 679 e 680 c.p.p. Ñ> sono dedicati al processo di sicurezza
Alla speciÞca ipotesi in cui una misura di sicurezza • stata ordinata con sentenza, o deve essere
ordinata successivamente si aggiunge unÕarea residuale che comprende ogni questione relativa.
Tale clausola va letta alla luce dellÕart. 69 co. 4 che, nella materia delle misure di sicurezza, elenca
ulteriori competenze:
a. il riesame della pericolositˆ sociale
b. la trasformazione
c. la revoca, anche anticipata
Attribuite al magistrato di sorveglianza, le funzioni sopracitate trovano il comune denominatore
nellÕaccertamento in ordine alla pericolositˆ sociale della persona. In questo senso, lÕattuale
disciplina rappresenta lÕapprodo di una parabola evolutiva le cui tappe fondamentali sono state
segnate dagli interventi dei giudici costituzionali e quindi del legislatore.
A quelli indicati sono connessi ulteriori ambiti decisori:
¥ dichiarazione di abitualitˆ o professionalitˆ nel reato e revoca della stessa Ñ> il magistrato di
sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o dÕufÞcio, accerta se lÕinteressato • persona
socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la
dichiarazione di abitualitˆ o professionalitˆ nel reato.
¥ revoca della dichiarazione di tendenza ad delinquere
Il modulo procedimentale • quello tipico, che comporta la pubblicitˆ dellÕudienza, richiesta
dellÕinteressato. La possibilitˆ di unÕiniziativa ex ofÞcio tesa all'esecuzione o allÕaggravamento
della misura di sicurezza • scelta difÞcile da coniugare con i principi dellÕart. 111 Cost.
LÕaccertamento della pericolositˆ implica una prognosi in ordine alla commissione di nuovi reati.
Ove a ordinare la misura di sicurezza sia stato il giudice della cognizione, i possibili esiti sono tre:
conferma, riforma, revoca.

Il tratto saliente del processo di sicurezza • legato al regime delle impugnazioni.


Le ordinanze del magistrato sono appellabili davanti al tribunale.
Sono legittimati il pubblico ministero, lÕinteressato e il difensore.
Viene richiamata la disciplina generale in tema di impugnazioni; • per˜ escluso lÕeffetto sospensivo,
salvo che sia il tribunale a sancirlo.
Il tribunale di sorveglianza giudica anche sulle impugnazioni contro le sentenze di condanna o di
proscioglimento concernenti le disposizioni che riguardano le misure di sicurezza.

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I PROCEDIMENTI DI RECLAMO
Alcuni procedimenti che hanno come referente la magistratura di sorveglianza sono disciplinati non
dal codice di procedura penale, ma dalla legge penitenziaria. Vengono qui in rilievo gli articoli 14
ter e 69 bis, i quali si occupano di due tipi di reclamo che il detenuto pu˜ formulare in determinate
materie invocando in entrambi i casi una pronuncia del tribunale di sorveglianza.
Anche se dal punto di vista processuale • dettata una regolamentazione ad hoc, viene comunque in
rilievo la sua dipendenza da quella del procedimento di sorveglianza. Infatti, il reclamo ex art. 14
ter non • altro che un procedimento di sorveglianza sempliÞcato; mentre il reclamo ex art. 69 bis •
caratterizzato dalla presenza di due fasi, nella seconda delle quali viene celebrato il procedimento di
sorveglianza tipico.

Art. 14 ter
- Questo procedimento ha avuto, al momento della sua apparizione, come unico ambito di
applicazione il settore della sorveglianza particolare. I detenuti e gli internati, per contestare la
sottoposizione al regime carcerario differenziato in peius o la proroga del medesimo, devono
avvalersi del reclamo disciplinato da tale articolo.
Dopo la sua introduzione, questo procedimento ha trovato applicazione anche in altri settori: •
infatti divenuto, prima dellÕintroduzione dellÕart. 35 bis, il rito che il detenuto e lÕinternato
dovevano utilizzare in caso di violazione di un loro diritto. In un periodo successivo, per˜, lÕambito
di operativitˆ del procedimento • stato ridimensionato, cosicchŽ attualmente si applica soltanto ai
reclami in tema di sorveglianza particolare e a quelli concernenti le limitazioni e i controlli sulla
corrispondenza.
- Per contestare il provvedimento emesso, lÕinteressato deve proporre il reclamo nel termine di 10
giorni, che decorrono dal momento in cui viene a conoscenza del provvedimento che lo riguarda. Il
reclamo deve indicare, pena di inammissibilitˆ, gli speciÞci motivi che lo sorreggono. é escluso
lÕeffetto sospensivo, per cui, in tema di sorveglianza particolare, si applica immediatamente il
regime differenziato.
- Premesso che questo procedimento non pu˜ essere iniziato ex ofÞcio nŽ attivato da pubblico
ministero, la sua principale caratteristica • costituita dal fatto che allÕudienza in camera di consiglio
partecipano necessariamente il difensore e il pubblico ministero, mentre • esclusa la presenza
dellÕinteressato e quella di un rappresentante dellÕamministrazione penitenziaria.
- Il procedimento disciplinato dallÕart. 14 ter, se da un lato • pi• snello del procedimento di
sorveglianza tipico, dall'altro offre rispetto ad esso minore di garanzie. Infatti, chi ha proposto
reclamo non ha diritto di partecipare allÕudienza.

Art. 69 bis
- Questo procedimento di reclamo • stato introdotto dalla l. 277/2002.
Si • voluto sempliÞcare lÕiter da seguire quando viene richiesto al magistrato di sorveglianza la
concessione della liberazione anticipata, i cui presupposti sono stati ritenuti di non difÞcile
accertamento, e quindi tali da non esigere, come avveniva in precedenza, il ricorso al procedimento
di sorveglianza.
- La differenza basilare tra questo procedimento di reclamo e quello disciplinato dallÕart. 14 ter •
macroscopica.
Innanzitutto, il contraddittorio • non soltanto attenuato, ma totalmente assente. Infatti, il magistrato
di sorveglianza decide con ordinanza in camera di consiglio senza la presenza delle parti, dopo aver
acquisito il parere del pubblico ministero, dal quale tuttavia pu˜ prescindere se non • reso entro il
15 giorni dalla richiesta. L'ordinanza accessoria viene portata a conoscenza delle parti: pi•
precisamente, del pubblico ministero, del condannato, del suo difensore di Þducia e, in mancanza di
questo, dei difensori di ufÞcio previamente designato dallo stesso magistrato di sorveglianza.
Avuta conoscenza del provvedimento, nel termine di 10 giorni le parti possono proporre reclamo
motivato al tribunale di sorveglianza.

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Tra i due procedimenti messi a confronto, per˜, sono riscontrabili anche punti di contatto. Infatti, da
un lato, risulta escluso lÕavvio ex ofÞcio o su iniziativa del pubblico ministero, dallÕaltro, si •
affermato anche a questo proposito lÕorientamento giurisprudenziale favorevole ad includere il
reclamo nella categoria delle impugnazioni.
- Dopo la sua introduzione nel 2002, il procedimento in esame ha avuto un ambito di applicazione
pi• esteso rispetto a quello iniziale: infatti, attualmente, • previsto, oltre che nei vari contesti in cui
si tratta di decidere sulla liberazione anticipata, anche per la concessione e per la revoca della
detenzione presso il domicilio, nonchŽ per il reclamo concernente lÕipotesi in cui il condannato
contesti lÕintervenuta cessazione della misura alternativa disposta dal magistrato di sorveglianza in
seguito alla sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi.
- In questo procedimento possono essere evidenziati due punti critici:
¥ il principio della paritˆ delle parti risulta leso dalla regola in base alla quale, nel primo segmento,
il magistrato di sorveglianza, anteriormente alla sua decisione, si limita a raccogliere il parere del
pubblico ministero, parere dal quale pu˜ tuttavia prescindere quando esso non • fornito nel
termine di 15 giorni dalla relativa richiesta
¥ la conÞgurazione bifasica che si • descritta non pu˜ essere considerata soddisfacente, in quanto, a
prescindere dalle insidie inerenti alla formulazione di un reclamo ammissibile, la decisione
assunta del tribunale di sorveglianza pu˜ essere inßuenzata dallÕordinanza emessa al termine del
procedimento de plano

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Common questions

Basati sull'IA

Gli ostacoli principali all'accesso alle misure alternative includono preclusioni temporanee e assolute derivanti da recidive o dal mancato rispetto delle condizioni di osservazione. Tali preclusioni possono essere superate attraverso comportamenti collaborativi che dimostrano assenza di collegamenti criminali o pericolo di ripristinarli. Inoltre, il giudice ha discrezionalità nel valutare la meritevolezza del condannato sulla base del comportamento e delle risorse disponibili a sostegno del suo percorso rieducativo .

Il reclamo disciplinato dall'art. 35 bis ha significativamente modificato il sistema di tutela dei diritti dei detenuti introducendo un meccanismo più formale e giurisdizionale per la tutela di tali diritti. Questo reclamo si distingue dal precedente sistema che si basava sull'art. 35, il quale consentiva istanze più generiche e meno vincolanti rivolte a varie autorità senza garanzie procedurali minime. L'art. 35 bis rappresenta un avanzamento cruciale in quanto permette ai detenuti di presentare ricorso al magistrato di sorveglianza per questioni gravi, garantendo così la possibilità di un contraddittorio effettivo e l'impugnabilità del provvedimento di fronte alla Corte di Cassazione . La legge 117 del 2014 ha formalizzato questo nuovo istituto, rispondendo anche a indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo per rimedi più efficaci nel sistema italiano, che ora devono essere in grado di interrompere violazioni in corso e fornire adeguato risarcimento .

Il principio di legalità influisce sulle misure alternative alla detenzione imponendo che qualsiasi modifica alle modalità di espiazione delle pene avvenga sotto il controllo giurisdizionale e non solo per decreto amministrativo. A tal proposito, la Corte Costituzionale ha affermato la necessità di un intervento giudiziario quando le modalità di detenzione devono essere modificate, ad esempio per concessione dei benefici come la liberazione condizionale, al fine di rispettare i diritti dei detenuti . Inoltre, la Corte ha dichiarato illegittime alcune normative che limitavano l'accesso a misure alternative, evidenziando il bisogno di bilanciare le restrizioni con la tutela di specifici diritti, come nel caso di madri detenute con figli piccoli . Pertanto, il principio di legalità richiede che vi siano garanzie giurisdizionali per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti nelle procedure di concessione e revoca delle misure alternative .

La comunità esterna partecipa all'azione rieducativa dei detenuti principalmente attraverso due canali: l'autorizzazione di ingresso per soggetti interessati all'opera di risocializzazione, prevista dall'art. 17, e la partecipazione di "assistenti volontari" appartenenti a enti di volontariato, secondo l'art. 78 . Questa partecipazione include la promozione di contatti tra la comunità carceraria e la società e il supporto morale e materiale per il reinserimento sociale . Il terzo settore ha un ruolo significativo in questo contesto, contribuendo con assistenza materiale, organizzazione di attività culturali, supporto nei permessi, e nella ricerca di soluzioni abitative e lavorative all'esterno. Tali interventi sono effettuati sotto il controllo e il coordinamento dell'amministrazione carceraria e del direttore dell'UEPE . L'importanza della collaborazione con il terzo settore risiede nella capacità di incrementare le risorse e rendere più efficaci le offerte rieducative .

Le condizioni per l'accesso ai benefici penitenziari differiscono tra il primo gruppo di reati, che include delitti con finalità di terrorismo o mafiosi, richiedendo severi oneri dimostrativi di assenza di collegamenti criminali e altre dimostrazioni di buona condotta. Nel secondo gruppo di reati, che comprende crimes gravi ma non necessariamente con matrice mafiosa, il focus è sull'adempimento delle obbligazioni civili e sulla dimostrazione di assenza di rischio futuro, anche senza collaborazione attiva con la giustizia .

Il regolamento interno degli istituti penitenziari deve rispettare i principi di autonomia organizzativa dell'amministrazione penitenziaria e di uguaglianza sostanziale. È importante per la riabilitazione dei detenuti poiché assicura l'individualizzazione del trattamento, necessario per il rieducamento (art. 27 co. 3 Cost). Inoltre, garantisce l'adeguamento del trattamento alle esigenze delle diverse strutture e dei singoli detenuti, evitando discrezionalità eccessive che potrebbero compromettere l'uniformità del trattamento e il rispetto dei diritti .

La Carta dei diritti e dei doveri è fondamentale per informare i detenuti sui loro diritti e doveri durante la detenzione, promuovendo trasparenza e consapevolezza. Viene consegnata a ogni detenuto all'ingresso in istituto, insieme a un estratto del regolamento interno, assicurando che tutti i nuovi arrivati siano coscienti delle norme e delle regole vigenti nella struttura penitenziaria .

L'organizzazione delle strutture penitenziarie influisce sugli obiettivi costituzionali assicurando che i detenuti siano assegnati a istituti vicini al loro centro sociale, favorendo l'individualizzazione del trattamento e separando categorie diverse di detenuti per minimizzare reciproche influenze nocive. Una gestione adeguata facilita il raggiungimento degli obiettivi rieducativi e rispetta il diritto al trattamento non discriminante e individualizzato, contribuendo a un'efficace riabilitazione .

Il magistrato di sorveglianza ha un ruolo fondamentale nel garantire i diritti dei detenuti, svolgendo funzioni di vigilanza sugli aspetti organizzativi e gestionali degli istituti penitenziari. Questo include visitare senza preavviso o autorizzazione, raccogliere informazioni e segnalare criticità alle autorità competenti, pur senza poteri coercitivi. Supervisiona anche il programma di trattamento per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali durante l'intero percorso penitenziario . Inoltre, gestisce i reclami giurisdizionali dei detenuti relativi all'inosservanza da parte dell'amministrazione penitenziaria delle norme legali, che causano un pregiudizio grave all'esercizio dei loro diritti . Questo sistema è coadiuvato anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute ."}

Per concedere benefici penitenziari ai detenuti condannati per reati associati alla criminalità organizzata, devono essere soddisfatte diverse condizioni. I detenuti devono dimostrare l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria derivanti dalla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento . Devono inoltre presentare elementi specifici che escludano attuali collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di ripristino di tali collegamenti, valutando le circostanze personali, la revisione critica della condotta criminosa e ogni altra informazione disponibile. Inoltre, il giudice deve accertare la sussistenza di iniziative a favore delle vittime . Per i reati collegate a un'elevata pericolosità sociale ma senza matrice mafiosa o terroristica, i benefici possono essere concessi anche in assenza di collaborazione positiva con la giustizia, purché ci siano adeguate dimostrazioni di adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione .

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