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Il documento descrive le applicazioni informatiche e l'uso di immagini satellitari ad alta risoluzione nelle ricerche archeologiche a Hierapolis di Frigia, condotte tra il 2004 e il 2007. Le indagini hanno coperto un'area vasta e hanno permesso di identificare evidenze archeologiche, ricostruire l'impianto urbano e analizzare il popolamento antico. È stato sviluppato un sistema integrato di GPS e software per facilitare la documentazione e gestione dei dati raccolti sul campo.

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Il documento descrive le applicazioni informatiche e l'uso di immagini satellitari ad alta risoluzione nelle ricerche archeologiche a Hierapolis di Frigia, condotte tra il 2004 e il 2007. Le indagini hanno coperto un'area vasta e hanno permesso di identificare evidenze archeologiche, ricostruire l'impianto urbano e analizzare il popolamento antico. È stato sviluppato un sistema integrato di GPS e software per facilitare la documentazione e gestione dei dati raccolti sul campo.

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Archeologia e Calcolatori

18, 2007, 331-353

HIERAPOLIS DI FRIGIA. APPLICAZIONI INFORMATICHE


ALLE RICOGNIZIONI ARCHEOLOGICHE E TELERILEVAMENTO
DA SATELLITE: L’ESEMPIO DEGLI ACQUEDOTTI DELLA CITTÀ

1. INTRODUZIONE
Tra le attività di ricerca svolte dall’Istituto per i Beni Archeologici e
Monumentali (CNR-IBAM) a Hierapolis di Frigia (Turchia sud-occidentale)
nelle campagne 2004-2007, rientranti nell’ambito del Progetto FIRB 2001
“Il Mediterraneo antico e medievale come luogo di incontro tra Oriente e
Occidente, Nord e Sud”, vanno annoverate alcune applicazioni informatiche
alle ricognizioni archeologiche ed un ampio utilizzo, nell’ambito delle stesse
indagini, di immagini satellitari ad alta risoluzione1.
Le indagini sistematiche di superficie sono state dapprima orientate allo
studio dell’impianto urbano e delle necropoli, mentre successivamente sono
state estese al territorio della città, arrivando a coprire una vasta area (circa
700 km2) che anticamente doveva essere in gran parte sotto il controllo di
Hierapolis (D’ANDRIA 2003; ARTHUR 2006; D’ANDRIA, CAGGIA 2007). Si tratta
innanzitutto della parte orientale dell’ampia e fertile valle del fiume Çürük-
su, l’antico Lykos, che alla fine del suo corso, orientato in direzione SE-NO,
confluisce nel Meandro (Fig. 1; Tav. XIa); a diretto controllo della valle, su un
terrazzo di travertino posto 50-70 m più in alto della pianura sottostante, sorge
la città (Tav. XIb). Oltre a questo territorio pianeggiante, le ricerche hanno
interessato anche parte dell’ampio altopiano alle cui pendici sud-occidentali
venne edificata Hierapolis, esteso ad una quota compresa tra 1150-1250 m
nella parte meridionale e 850-950 m in quella settentrionale, delimitato a N
dal Meandro ed a SE dal massiccio montuoso caratterizzato dalle due vette
del Küçükçökelz (1734 m) e del Büyükçökelz (1841 m). L’area è stata indagata
in modo sistematico nella parte più vicina alla città ed a maglie più larghe nei
territori maggiormente distanti, dove comunque sono state effettuate esplora-
zioni sistematiche in corrispondenza e nelle vicinanze di particolari evidenze
archeologiche o di aree significative (per le ricognizioni archeologiche nel
territorio di Hierapolis cfr. D’ANDRIA c.s.a-b; SCARDOZZI 2007c, c.s.).

1
Le ricerche sono state svolte nell’ambito delle attività della Missione Archeologica
Italiana a Hierapolis di Frigia (Vilayet di Denizli, circa 200 km ad E di Izmir), diretta dal Prof.
Francesco D’Andria, che ringrazio per il costante sostegno ed il profondo interesse con cui segue
le indagini. Alle ricognizioni archeologiche hanno collaborato la Dott.ssa Laura Castrianni ed il
Dott. Giacomo Di Giacomo, ai quali sono grato per il costante impegno e per la passione con
cui hanno svolto sia il lavoro sul terreno che l’elaborazione dei dati; il Dott. G. Di Giacomo è
anche autore delle elaborazioni utilizzate nelle Figg. 1, 3, 16 e nelle Tavv. 21 e 23.

331
G. Scardozzi

Fig. 1 – DEM della valle del Meandro, della valle del Lykos e dell’altopiano (A) a N di Hierapolis,
basato sui dati della Shuttle Radar Topography Mission (SRTM); sono visibili anche il Küçükçökelz
(B) ed il Büyükçökelz (C).

Nel corso delle ricerche, si è fatto ampio utilizzo di immagini satelli-


tari ad alta risoluzione di QuickBird 2, sia pancromatiche che multispettrali
(http://www.digitalglobe.com/), che hanno sopperito alla scarsa disponibilità
di fotografie aeree (soprattutto di quelle verticali) ed alla disponibilità di
cartografie poco aggiornate e che non presentano una scala adeguata per l’in-
dagine diretta del territorio (1:25.000). Il contributo delle riprese satellitari
alle ricerche è stato molto importante, poiché le immagini hanno costituito
un costante supporto alle operazioni sul terreno, sia di scavo che di ricogni-
zione archeologica; l’interpretazione delle tracce e delle anomalie riferibili
a resti antichi sepolti o semiaffioranti, costantemente verificate a terra, ha
permesso l’individuazione di numerose evidenze archeologiche e di elementi
paleo-ambientali. Mancando o risultando poco utilizzabili alcune delle fonti e
degli strumenti tradizionali della ricerca archeologico-topografica, si è deciso
infatti di ricorrere alle immagini satellitari ad alta risoluzione, che sono state
utilizzate in tutte le fasi della ricerca in integrazione con le fotografie aeree

332
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

e le cartografie disponibili: dalle attività sul campo, all’elaborazione ed alla


gestione dei dati raccolti, fino alla presentazione dei risultati della ricerca
(LASAPONARA, MASINI, SCARDOZZI in questo volume).
Le riprese da satellite sono state pertanto impiegate sia per l’indivi-
duazione di evidenze archeologiche, sia per la loro documentazione, analisi
e caratterizzazione spaziale, sia ancora, in particolare nella ricognizione del
territorio, come base per l’esplorazione diretta del terreno e per la registra-
zione ed il posizionamento delle presenze archeologiche individuate; infatti,
le immagini pancromatiche sono state mosaicate e georeferenziate, anche con
l’utilizzo di punti di controllo a terra, in modo da disporre di uno strumento
adeguato per il lavoro sul campo a scale comprese tra 1:10.000 e 1:5.000. Le
immagini così elaborate sono state poi inserite in un GIS dedicato alla carta
archeologica del territorio di Hierapolis, in cui costituiscono un layer utiliz-
zato sia come base per il posizionamento e la visualizzazione delle presenze
archeologiche, sia per la vettorializzazione delle tracce riferibili ad evidenze
antiche o ad elementi paleo-ambientali.
Nelle campagne del 2003 e del 2004, la lettura e l’interpretazione delle
immagini di QuickBird 2 hanno fornito un fondamentale contributo alle ricer-
che archeologiche di superficie ed alle attività di scavo condotte nell’area urbana
di Hierapolis e finalizzate alla ricostruzione dell’impianto della città (SCARDOZZI
2004, 2007a, 2007b; D’ANDRIA 2005a, 150; 2005b, 102-103; 2005-2006,
350-351, 355; 2006a, 231; 2006b, 116-117; 2007, 34-36). Nelle campagne
del 2005-2007, invece, l’utilizzo delle riprese satellitari ad alta risoluzione ha
supportato le indagini nel territorio della città, finalizzate alla ricostruzione
del suo popolamento antico in un’ottica diacronica, dall’età preistorica fino a
quella moderna ed in particolare dall’età ellenistica fino all’epoca selgiuchide,
ovvero durante il periodo in cui Hierapolis stessa fu in vita; nel corso delle
ricerche sono state individuate le cave che fornivano la città di marmo bianco,
di travertino, di una breccia rosata tipica dell’area, di onice e di alabastro c.d.
“fiorito” (il marmor hierapolitanum ricordato dalle fonti classiche ed ampia-
mente esportato anche a Roma), è stata ricostruita la principale viabilità antica
del territorio e sono stati individuati i villaggi (con annesse necropoli ed aree
sacre) e le fattorie che lo popolavano soprattutto in epoca ellenistica, romana
e bizantina, frequentemente caratterizzate da impianti per la produzione di
olio e di vino, oltre ad insediamenti più antichi, di età protostorica ed arcaica,
e più recenti, di epoca ottomana (SCARDOZZI 2007c, c.s.).

2. METODI E STRUMENTI
Durante le ultime due campagne di ricognizione nel territorio di Hie-
rapolis è stato messo a punto in via sperimentale un sistema finalizzato a
velocizzare il lavoro sul campo di posizionamento e di documentazione dei

333
G. Scardozzi

Fig. 2 – Documentazione delle presenze archeologiche mediante GPS e palmare con software
Ulixes; a destra, quattro schermate esemplificative del software nella versione prototipica: dall’alto,
visualizzazione dell’immagine satellitare come sfondo su cui è posizionata l’evidenza archeologica,
registrazione del tipo di oggetto, dei materiali costituenti e della visibilità di superficie.

rinvenimenti; le tecnologie sperimentate, che, oltre ad essere di supporto alla


ricognizione archeologica, sono anche funzionali ad una migliore gestione
dei dati raccolti sul terreno, sono basate sull’uso di sistemi di posizionamento
globale (GPS) integrati su computer palmari di ultima generazione, in combi-
nazione con le cartografie in scala 1:25.000 georeferenziate e soprattutto con
le immagini satellitari ad alta risoluzione, anch’esse georeferenziate. Uno degli
scopi della sperimentazione è stato anche quello di verificare quale fosse il
grado di precisione dei sistemi GPS low cost e se potessero essere utilizzati sia
per velocizzare la navigazione sul territorio oggetto di studio, sia per acquisi-
re i dati di ricognizione più rapidamente e direttamente in formato digitale,
così che al rientro in laboratorio fossero già pronti per l’elaborazione e per
l’inserimento all’interno del Sistema Informativo Territoriale.
Durante il lavoro sul campo sono stati utilizzati un computer palmare
con GPS integrato della serie Garmin iQue M5 ed un software di navigazione
archeologica e di gestione delle schede descrittive impiegate durante la rico-
gnizione, chiamato Ulixes (Fig. 2)2; il GPS integrato nel palmare, a 12 canali,

2
Lo sviluppo e la sperimentazione del software sono frutto di una collaborazione tra
il CNR-IBAM, la SIRTER s.r.l. di Taranto (Dott. Giacomo Di Giacomo e Geom. Gianpaolo
Di Giacomo) e la Cattedra di Aerotopografia Archeologica dell’Università del Salento (Prof.
Giuseppe Ceraudo), che lo ha applicato nel 2006 durante le ricognizioni archeologiche lungo
la via Traiana nel territorio di Troia (FG).

334
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

è stato sostituito con un’antenna GPS esterna, a 20 canali, collegata attraverso


una porta bluetooth, in modo che il dato proveniente dal satellite non venisse
processato dal software Garmin con conseguente rallentamento del suo invio
ad Ulixes. Le finalità del sistema sono quelle di consentire la navigazione su basi
cartografiche (raster o vettoriale) o fotografiche impostate dall’utente oppure,
come nel caso di Hierapolis, su immagini da satellite ad alta risoluzione3. In
presenza di un rinvenimento archeologico, si ha la possibilità di memorizzarne
la posizione su un supporto di memoria compatto (SD Card) e di documentarlo
mediante una dettagliata scheda descrittiva di semplice compilazione; sulla SD
Card sono quindi registrate le immagini e le cartografie utilizzate come sfondo
per la navigazione, i dati archeologici raccolti e le coordinate acquisite dal GPS,
ad essi associate automaticamente. Ciò previene un’eventuale perdita di dati
dovuta ad un crash del sistema e permette di indagare più aree, anche molto
distanti tra loro, semplicemente cambiando la scheda di memoria.
La scheda di ricognizione è stata elaborata appositamente per il software
Ulixes ed i suoi vocabolari sono facilmente configurabili ed aggiornabili (anche
direttamente sul campo) in base alle esigenze dell’operatore ed alle caratte-
ristiche specifiche del territorio indagato; oltre al tipo di unità topografica
rinvenuta, di cui sono documentati quantitativamente e qualitativamente
gli eventuali materiali costitutivi, vengono registrate anche le condizioni del
suolo e la visibilità di superficie4. Nel corso delle ricognizioni archeologiche,
comunque, la documentazione delle evidenze mediante il palmare e la scheda di
ricognizione elaborata per Ulixes non hanno sostituito i metodi tradizionali di
registrazione dei dati, integrati con quelli fotografici, grafici e, ove necessario,
con le classiche descrizioni cartacee.
Le informazioni raccolte sul campo vengono registrate nel palmare come
file di testo strutturato (formato XML o CSV) ed al rientro in laboratorio sono
scaricati attraverso il software di gestione del PC palmare, oppure attraverso un
qualunque lettore di SD Card; i dati vengono poi processati dal lato desktop
del software Ulixes e quindi rilasciati in formato ASCII. Successivamente i dati
sono inviati ad un software commerciale (Global Mapper) che è in grado di
interpretarli e di rieditarli per la correzione e la verifica, quindi di esportarli
in molti dei formati normalmente utilizzati da applicativi GIS o WebGIS.
Uno dei problemi che si è presentato durante il lavoro sul campo è sta-
to determinato dall’eccessiva pesantezza in termini di MB delle immagini e

3
Tutti i prodotti utilizzati come base per la navigazione sono stati georeferenziati con
sistema di proiezione UTM (fuso 35N; datum ed ellissoide WGS84).
4
Nel vocabolario relativo alla registrazione delle condizioni di visibilità del terreno
riscontrate al momento delle ricognizioni sono state inserite le stesse voci utilizzate in TARTARA
1999, nei recenti volumi della collana Carta Archeologica d’Italia – Contributi e nel Sistema
Informativo Territoriale sviluppato ed implementato presso il Laboratorio di Topografia Antica
dell’Università del Salento (GUAITOLI 2001, 2003).

335
G. Scardozzi

delle cartografie da caricare all’interno del computer palmare, dotato di basse


prestazioni hardware; per questo motivo, al fine di evitare rallentamenti nel
sistema, le riprese da satellite e le carte topografiche sono state suddivise in
porzioni di 500 m2 ed organizzate in mosaici indicizzati, così che il software
potesse caricare in tempo reale, in base alla posizione calcolata dal sistema GPS,
solo la porzione di immagine o di cartografia relativa al territorio in cui ci si
trovava ad operare, velocizzando così le operazioni di zoom e di movimento
all’interno dell’immagine o della cartografia stessa e la gestione dei dati5. Lo
sviluppo del sistema ha previsto la sostituzione del palmare con un Tablet PC
Samsung Ultra Mobile NP-Q1, così da poter disporre di uno strumento dotato
di maggiori prestazioni hardware, con una tastiera più ampia (integrata con il
sistema touch-screen) e con uno schermo più grande e luminoso6.
L’utilizzo integrato di un palmare o, meglio, di un Tablet PC e di un GPS
bluetooth ha portato numerosi vantaggi alla ricerca, agevolando e velocizzando
la ricognizione di superficie, la documentazione delle evidenze archeologiche
e la loro georeferenziazione, con livelli di accuratezza idonei per una ricerca
territoriale, e facilitando la verifica sul terreno delle tracce e delle anomalie
riscontrate sulle immagini satellitari (sull’argomento cfr. CAMPANA 2005,
2006). In particolare, la tecnologia GPS utilizzata (vari ricevitori Garmin da
navigazione) ed i piccoli PC impiegati (con le loro possibilità di archiviazione
dei dati su SD Card intercambiabili o nella memoria interna) hanno offerto
agli operatori sul terreno la possibilità di visualizzare in tempo reale la loro
posizione, di confrontare immediatamente le caratteristiche del territorio al
momento della ricognizione e quelle visibili nelle cartografie o nelle immagini
utilizzate come sfondo, e di lavorare senza il ricorso a fastidiosi ed ingombranti
supporti cartacei (come schede di unità topografica, documentazione già rac-
colta o edita, plottaggi di cartografie e di immagini, etc.) che sono stati limitati
al minimo; inoltre, è stato molto più facile ricercare evidenze georeferenziate
in passato, monitorandone lo stato di conservazione o le trasformazioni (per
esempio, in corrispondenza di aree di frammenti fittili si sono potuti verifica-
re cambiamenti nell’estensione e nelle concentrazioni dei reperti presenti in
superficie), e verificare sul terreno, conoscendone le coordinate geografiche,
tracce ed anomalie riscontrate durante l’esame delle riprese satellitari.

5
Il sistema quindi, in base al calcolo della posizione, è capace di restituire solo una
porzione dell’immagine satellitare o della cartografia e di cambiarla in tempo reale, nel mo-
mento in cui si passa da una “tessera” del mosaico di partenza ad un’altra; è evidente come
la precisione del calcolo della posizione sia sempre strettamente legata all’accuratezza della
georeferenziazione delle immagini o delle cartografie.
6
Questi apparati, oltre ad avere prestazioni superiori ai palmari in termini di memoria
RAM e di frequenza del processore, supportano il sistema operativo Windows XP, che consente
di utilizzare un numero di funzioni maggiore rispetto al più compatto Windows Mobile; il
collegamento con l’antenna GPS è sempre garantito dalla porta bluetooth.

336
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 3 – Veduta di Hierapolis da O, ottenuta georeferenziando un’immagine satellitare QuickBird 2


su un DEM basato sui dati SRTM; in alto, due fotografie del Castellum aquae.

3. LO STUDIO DEGLI ACQUEDOTTI


Tra i principali risultati delle ricerche compiute negli ultimi anni nel
territorio di Hierapolis, anche come esemplificazione della metodologia adot-
tata, figurano la ricostruzione e lo studio, ancora in corso, dei tracciati degli
acquedotti che rifornivano la città di acqua potabile. Hierapolis si trova su
un terrazzo di travertino posto subito al di sopra (circa 50-70 m più in alto)
del margine orientale della valle alluvionale del fiume Çürüksu (Fig. 3); il ter-
razzo, che si estende ad una quota compresa tra 350 m e 425 m s.l.m. e sale
costantemente verso E, è situato alle estreme propaggini sud-occidentali di un
vasto altopiano, in antico rientrante nel territorio della città ed in direzione del
quale il terreno sale molto ripidamente, raggiungendo in appena 4 km quota
1150. Proprio alle pendici dell’altopiano, sul margine orientale della valle del
Çürüksu, presso Hierapolis stessa e poco più a N presso il moderno villaggio
di Karahayıt si trovano numerose sorgenti, ma da esse sgorgano acque calde

337
G. Scardozzi

(tra 35° e 52,5°), ampiamente utilizzate per l’irrigazione dei campi ma non
potabili perché contengono alte concentrazioni di sali disciolti (ÖZKUL, KUMSAR,
GÖKGÖZ 2000, 335-339; le sorgenti di Pamukkale rientrano nella categoria di
acqua calda e minerale di calcio, magnesio, bicarbonato e solfato). Per trovare
le prime sorgenti di acqua potabile bisogna salire fino a quota 800 m, ma la
maggiore concentrazione si trova tra le quote 925 e 1100 m, subito al di sotto
del ciglio dell’altopiano, in aree caratterizzate dalla presenza di molti toponimi
in cui compare il termine turco “pınar” (= sorgente).
Le ricerche archeologiche di superficie degli anni 2005-2007 hanno per-
messo di individuare, documentare e posizionare i tracciati di più acquedotti,
acquisendo moltissimi dati sulle modalità con cui Hierapolis era rifornita di
acqua almeno in età romana imperiale e proto-bizantina; in precedenza era
stato studiato il sistema di distribuzione delle acque all’interno della città,
ma degli acquedotti si aveva solo una conoscenza molto parziale, limitata ad
alcuni resti situati in prossimità della città o del Castellum aquae7, un grande
serbatoio di raccolta e decantazione, datato al II sec. d.C. e posto subito ad
E dell’area urbana, in posizione dominante, su una collina a quota 443 m
s.l.m. (Fig. 3)8.
Gli acquedotti erano costituiti da tubi in terracotta di dimensioni variabi-
li, con diametri compresi tra 20 e 40 cm e lunghezze di 52-62 cm circa; legati
tra loro con poca malta, in alcuni casi erano semplicemente interrati, in altri
alloggiati in incassi scavati nella roccia o in casse litiche, oppure inglobati in
nuclei di cementizio allettati nel terreno ed a volte coperti da grandi mattoni
o tegole; alcuni frammenti di tubo presentano sottili incrostazioni calcaree
distribuite uniformemente su tutta la superficie interna, a dimostrazione che
in questi casi l’acqua viaggiava a pressione. Mancano tratti su arcate: solo in
corrispondenza dell’attraversamento di stretti e profondi canaloni naturali
sono stati costruiti semplici archi o veri e propri piccoli ponti realizzati in
blocchi di travertino ed in gran parte oggi crollati. In situazioni particolari,
invece, per garantire l’attraversamento di zone molto impervie, mantenendo

7
VERZONE 1978, 423-426; DE BERNARDI FERRERO 1987, 64-65; BAYSAL 2000, fig. 6;
SILVESTRELLI 2000, 409; D’ANDRIA 2003, 36, 183-184; D’ANDRIA, CAMPAGNA 2006; SCARDOZZI
2007b, 90, 106. Dati interessanti sono contenuti in uno studio del 2000 della Facoltà di Inge-
gneria dell’Università di Pamukkale (Denizli) dal titolo Hierapolis tarihsel su iletimi (realizzato
da E. AKINAL, M. BASMACI, A. KURBAN, N.B. VARDAR), che, sebbene sia prevalentemente interessato
all’idraulica degli antichi acquedotti di Hierapolis, è comunque il risultato dell’esame diretto di
alcuni dei resti conservati; ringrazio il Dott. Haşim Yıldiz, archeologo del Museo di Denizli e
Commissario del Ministero delle Antichità e Musei di Turchia presso la Missione Archeologica
Italiana durante la campagna del 2007, che mi ha segnalato e procurato lo studio in oggetto.
8
Il Castellum aquae, oggetto di limitati interventi di scavo nel 1976-1977 e nel 2005, ha
una pianta quadrata (m 14 x 14) ed è costituito da una grande cisterna con muri a grandi blocchi
di travertino, rivestiti internamente di intonaco idraulico; dal lato occidentale della struttura,
partivano le condutture in terracotta che distribuivano l’acqua nell’area urbana di Hierapolis,
spesso correndo lungo i margini degli stenopoi che scendevano in direzione NE-SO.

338
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

costante la pendenza delle tubature, sono state realizzate alcune gallerie, in


gran parte oggi crollate; di dimensioni piuttosto ampie (in qualche punto
l’altezza supera i 2 m e la larghezza arriva a 1,5 m), anche per permettere la
manutenzione, esse arrivano fino a 206 m di lunghezza, sono completamente
scavate nel banco roccioso o coperte da volte realizzate con blocchetti legati
da malta. In alcuni casi, inoltre, le tubazioni sono risultate affiancate da pic-
coli canali aperti superiormente (larghi fino a 50 cm e profondi 90-100 cm
circa), realizzati in muratura e con le pareti interne rivestite di cocciopesto; se
ne conservano vari resti, spesso riempiti di incrostazioni calcaree stratificate
dovute all’elevato contenuto di calcio di alcune acque.
La ricerca sul terreno di questi acquedotti ha presentato molte diffi-
coltà, in parte dovute alla conformazione del territorio che doveva essere
esplorato, particolarmente accidentato ed a tratti coperto da boschi molto
fitti e da un sottobosco intricato, in parte determinate dalla tipologia stessa
delle evidenze archeologiche indagate; essendo infatti molto pochi i resti di
strutture murarie, spesso scarsamente conservate ed in luoghi difficilmente
accessibili, e trattandosi di manufatti per lo più interrati, che già in origine
non presentavano molti elementi in superficie, le ricognizioni hanno permesso
di individuarne solo alcuni tratti in posto (delle tubature o degli incassi in cui
erano alloggiate), spesso messi in luce da sezioni artificiali o naturali; molto più
spesso l’esplorazione sistematica del territorio ha consentito l’individuazione
di frammenti dei tubi sparsi sul terreno, messi in luce o dai lavori agricoli o
dagli scassi realizzati per piantare alberi nelle montagne a NE di Hierapolis,
molte delle quali interessate in anni recenti da numerosi interventi di rimbo-
schimento. Ulteriori difficoltà sono state poi determinate dalla complessità
del sistema di acquedotti che rifornivano la città, organizzati su più tracciati,
lunghi vari chilometri, caratterizzati da più fasi coprenti un arco cronologico
di alcuni secoli, con nuove tubature che hanno ricalcato il percorso di altre
più antiche o, in alcuni tratti, hanno seguito tracciati diversi, oppure ancora
si sono affiancate a quelle preesistenti; da questi acquedotti, inoltre, partiva-
no anche, prima di raggiungere Hierapolis, numerose diramazioni, in genere
con tubi in terracotta di dimensioni inferiori, che servivano gli insediamenti
rustici del territorio.
Da qui, si comprende l’utilità di poter esplorare questo territorio ed
indagare questo tipo di evidenze archeologiche utilizzando sistemi di documen-
tazione e di posizionamento rapidi, leggeri e maneggevoli come quelli sopra
descritti, la necessità di poter conoscere sempre la propria esatta posizione e
soprattutto la quota (così, per esempio, da poter seguire i tracciati con preci-
sione e ritrovarli in occasione di lacune nella documentazione di superficie) e
quella di dover georeferenziare con precisione i resti rinvenuti; da qui, ancora,
la possibilità di ritrovare sul terreno tracce, anomalie ed evidenze viste sulle
immagini satellitari o sulla cartografia e quella di poter registrare rapidamente

339
G. Scardozzi

Fig. 4 – I tracciati degli acquedotti di Hierapolis georeferenziati su un mosaico di quattro cartografie


in scala 1:25.000 (Harita Genel Komutanlığı: Uşak L22 d3-d4, Denizli M22 a1-a2).

340
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 5 – Taglio per l’alloggiamento della conduttura in terracotta nelle montagne a NO di Hierapolis;
nel riquadro, particolare del tubo.

ed analiticamente le misure e le caratteristiche dei tubi di terracotta individuati,


potendo anche richiamare e consultare direttamente in campagna le schede
già registrate per confrontare i dati e la posizione degli altri rinvenimenti9.
Le ricognizioni archeologiche hanno permesso di individuare tre tracciati
principali, lungo i quali vari acquedotti raggiungevano Hierapolis rispettivamente
da N, da NE e da E, partendo da sorgenti situate a quote comprese tra 1065
e 1085 m con lunghezze comprese tra 6,3 e 13,5 km circa (Fig. 4). Il tracciato
nord-orientale e quello orientale sono stati ricostruiti fino al Castellum aquae,
mentre quello settentrionale non raggiungeva questo grande serbatoio, ma la parte
N della città, oggetto di una forte monumentalizzazione nel II sec. d.C. e dove
si trova anche un edificio termale. Questo terzo acquedotto ha la sua sorgente,
ancora oggi captata, in località Karapınarbaşı, circa 5 km a N-NE di Hierapolis,
a quota 1070 m s.l.m.; è costituito da un tubo lungo 52-54 cm, con diametro
di 30 cm e pareti spesse 2 cm circa. Lungo il tracciato, in alcuni punti, si sono

9
È evidente come ciò sia particolarmente importante per l’individuazione dei differenti
tracciati e per riconoscere fasi diverse lungo lo stesso percorso, considerate anche tutte le difficoltà
connesse con lo studio di questo tipo di acquedotti attraverso la sola documentazione di superficie,
soggetta per sue stesse caratteristiche a componenti di casualità nell’individuazione dei reperti.

341
G. Scardozzi

Fig. 6 – Tratto dell’acquedotto a NO di Hierapolis: le frecce indicano il taglio per l’alloggiamento


della conduttura; è visibile anche un arco in muratura (A), di cui in basso si mostrano due vedute
da O (a sinistra) e da E (a destra).

rinvenuti frammenti di tubi con diametro di circa 35 cm, forse riferibili ad una
diramazione oppure ad una conduttura precedente a quella trovata in posto.
Dalla sorgente, l’acquedotto raggiungeva la città con un percorso di
quasi 7,5 km, aggirando ad O il massiccio del Marmar Tepe (909 m); nel
tratto posto alle pendici occidentali e meridionali del Kızılkaya Tepe, subito a
SE del villaggio di Karahayıt, circa 1,5 km a N dell’area urbana di Hierapolis
(Fig. 4, A), si conservano ampi tratti dell’alloggiamento scavato nella roccia
(all’incirca largo 45-50 cm e profondo 20-30 cm), in cui era collocata la con-
duttura in terracotta, che in alcuni punti è ancora conservata in posto (Fig. 5);
in questa zona, caratterizzata dalla presenza di cave di travertino e di breccia
rosata, si conserva anche un arco che permetteva alla tubatura di superare
uno stretto canalone naturale (Fig. 6): realizzato con cunei di travertino larghi
115 cm e con una luce di 5,15 m, poggia su due piedritti alti 1,80 m ed in-
cassati nel banco roccioso. Nei due blocchi più alti dei piedritti si conservano
le sporgenze su cui poggiava la centina utilizzata per la costruzione dell’arco.
Da qui, l’acquedotto raggiungeva la parte settentrionale della città, passando

342
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 7 – Due sezioni artificiali dell’acquedotto ad E di Hierapolis.

poco a monte della Necropoli Nord, in direzione della quale partivano alcune
diramazioni10. I tubi rinvenuti lungo questo tracciato sono caratterizzati da
un deposito di calcare spesso alcuni centimetri, dovuto all’alta percentuale di
minerale di calcio presente nell’acqua: la riduzione della pressione fa infatti
perdere il biossido di carbonio depositando il carbonato di calcio11.
L’acquedotto orientale captava invece l’acqua da una sorgente situata in
località Müştek, quasi 5 km ad E-NE della città, dove ha inizio anche l’acquedotto
moderno che serve il villaggio di Pamukkale, sorto alle pendici del terrazzo su
cui si trova Hierapolis; da questo punto, a quota 1065, subito al di sotto del
ciglio dell’altopiano, raggiungeva il Castellum aquae della città con un tracciato
di circa 6,3 km. Si rinvengono due tubature affiancate, alloggiate direttamente
nel terreno o inglobate in un conglomerato piuttosto grossolano (Fig. 7a): i tubi,
di cui non è stato rinvenuto alcun esemplare intero, hanno diametri di 32-33 e
28 cm, con pareti spesse circa 2 cm. Prima di incunearsi tra il Beyinli Tepe ed il
Kayraklık Tepe, le due montagne poste subito ad E di Hierapolis, una sezione
prodotta da uno sbancamento per la realizzazione di una strada moderna, circa
1,7 km a NE della città (Fig. 4, P), alle pendici settentrionali del secondo rilievo,
documenta che le due tubature furono affiancate e forse anche sostituite da un

10
Per questa informazione ringrazio la Dott.ssa Donatella Ronchetta che da molti anni
studia le necropoli di Hierapolis e che mi ha fornito preziose indicazioni e segnalazioni frutto
della sua quarantennale presenza nella Missione Archeologica Italiana.
11
Molte delle sorgenti presenti sulle montagne ad E ed a NE di Hierapolis sono carat-
terizzate da acque con un elevato contenuto di sali di calcio che, a causa dell’ossigenazione,
si sono spesso depositati sulle pareti e sul fondo delle tubazioni in terracotta e dei canali in
muratura. Queste incrostazioni, il cui spessore è strettamente collegato con la pendenza delle
condutture, con la velocità di scorrimento dell’acqua e con la sua aerazione, sono arrivate in
alcuni casi ad impedire il passaggio della stessa acqua e devono aver quindi richiesto periodici
interventi di pulizia; a volte si notano inoltre stratificazioni, come se durante il funzionamento
degli acquedotti vi fossero stati periodi di interruzione del flusso idrico.

343
G. Scardozzi

terzo tubo (Fig. 7b), lungo 59-60 cm e con un diametro di 28 cm (pareti spesse
2 cm circa); nel conglomerato che lo contiene sono inseriti numerosi frammenti
di altri tubi, evidentemente rimossi o sostituiti (i primi due?). Questo terzo tubo
presenta un impasto rossastro che ricorda molto da vicino quello delle tubazioni
proto-bizantine rinvenute in più punti della città, come nel Santuario di Apollo
(SEMERARO 2007, 178), e ha un deposito di calcare superiore rispetto a quello
degli altri due tubi, che invece è molto limitato: questo potrebbe indicare che la
conduttura proveniva da una diversa sorgente, forse dalla vicina località Çaltılı,
situata appena 2 km più a NE e caratterizzata da acque con molto minerale di
calcio in soluzione. Nell’ultimo tratto le condutture scendevano attraversando
l’area occupata dal moderno villaggio di Ören, costruito subito a monte di
Hierapolis, dove negli anni passati, durante scassi e limitati saggi archeologici,
sono stati rinvenuti vari frammenti di tubi, in particolare nei terreni subito a N
della strada asfaltata che attraversa il piccolo centro abitato.
Molto più complessa, invece, la situazione che si è riscontrata lungo il terzo
tracciato, il più lungo e verosimilmente il più importante tra quelli che porta-
vano acqua potabile a Hierapolis; si sono infatti riscontrate varie condutture in
terracotta, più fasi e tracciati minori che confluivano nel principale. La sorgente
più importante da cui veniva captata l’acqua è sicuramente quella situata ben
8,5 km a NE della città, in località Can Pınar, in una stretta valle che si incunea
nell’altopiano, 2 km a S del villaggio di Uzunpınar (= sorgente lunga, abbon-
dante); da questo punto, a quota 1085 m, per raggiungere il Castellum aquae le
tubazioni compivano un percorso di circa 13,5 km. Il motivo della scelta di una
sorgente così lontana va ricercato nell’ottima qualità dell’acqua; ancora oggi gli
abitanti del luogo la indicano come una delle migliori di tutto il comprensorio;
l’acqua, infatti, è caratterizzata da una bassissima presenza di minerale di calcio
in soluzione, come si può verificare anche dai frammenti di tubi rinvenuti nella
parte del tracciato più vicina alla sorgente, praticamente privi di depositi di
calcare. Per portarla a Hierapolis furono necessari notevoli interventi affinché
le condutture mantenessero il più possibile una pendenza costante o comunque
sufficiente a consentire il flusso fino alla città; a causa del terreno molto acci-
dentato e dell’orografia movimentata, soprattutto nella parte alta del tracciato,
furono necessarie delle gallerie (Fig. 4, C e D), in prossimità delle strette e
profonde valli percorse da due modesti corsi d’acqua, il Koca Dere ed il Zillik
Dere, in località Kocapınar (Fig. 8), tagli nel banco roccioso per l’alloggiamento
dei tubi e la costruzione di grandi ponti realizzati con blocchi parallelepipedi di
travertino, di cui in alcuni casi, come in località Akçaoluk (Fig. 4, F) e lungo il
corso del Gök Dere (Fig. 4, M), si conservano i resti delle spalle (Fig. 9).
Lungo il tracciato che è stato ricostruito si rinvengono numerosi frammenti
di tubi sparsi sul terreno o in posto, che presentano misure e caratteristiche diverse
tra loro; in alcuni tratti, inoltre, le condutture sono inserite in alloggiamenti rea-
lizzati con spallette in muratura e copertura a lastre di pietra. Non lontano dalla

344
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 8 – Sbocco di una galleria in località Kocapınar; al di sotto, si notano i tagli nella parete rocciosa per
l’alloggiamento della conduttura. Nel riquadro è visibile un tratto della galleria con volta in muratura.

sorgente (Fig. 4, B) è visibile un breve tratto, messo in luce da scavi clandestini,


con un tubo lungo 62 cm e con un diametro di 40 cm (la parete è spessa 2-3 cm).
Quasi un chilometro più a S (Fig. 4, C), invece, un altro scavo clandestino ha
messo in luce un tratto con due tubi affiancati, inseriti in un incasso nella roccia,
contenuti da un conglomerato coperto da mattoni in terracotta (Fig. 10a); i tubi,
che hanno diametri di 30 e 28 cm (con pareti spesse 2-3 cm), potrebbero anche
provenire da una vicina sorgente, posta qualche centinaio di metri più ad E, da
cui ha oggi origine il moderno acquedotto del villaggio di Kurtluca.
Procedendo lungo il tracciato, in località Karapınarbaşı (Fig. 4, E), in
prossimità della sorgente del primo acquedotto descritto, uno sbancamento ha
messo in luce due tubi, non affiancati come gli ultimi descritti, ma distanti tra
loro circa 90 cm (Fig. 10b), con diametri di 30 e 23 cm circa (con pareti spesse
2 cm): come per gli altri tratti precedenti, nelle tubazioni non sono presenti
depositi di calcare. Differente, invece, la situazione riscontrata più a valle, lungo
lo stesso tracciato, sulle alture situate tra il Marmar Tepe e la località Çaltılı

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G. Scardozzi

Fig. 9 – Due vedute della spalla meridionale del ponte a blocchi lungo il Gök Dere.

Fig. 10 – Due sezioni artificiali che hanno messo in luce i tubi dell’acquedotto a NE di Hierapolis.

(Fig. 4, H), dove alcuni sbancamenti e tratti affioranti documentano l’esistenza


di tre condutture (Figg. 11-12), una più ad O, e le altre due affiancate, più ad E,
con diametri, rispettivamente, di 34, 36 e 32 cm (lo spessore delle pareti è di 2-3
cm ed i tubi sono lunghi circa 55 cm): più a valle, una collina posta subito ad E
del Marmar Tepe è aggirata ad O dalla tubatura isolata (Fig. 4, I), fiancheggiata
da un canale in muratura, e ad E dalle due affiancate (Fig. 4, L), con tracciati
in parte incassati nel banco roccioso affiorante (Fig. 13).
Tutti e tre i tubi ed il canale in muratura (che presenta due fasi) sono
caratterizzati da abbondanti incrostazioni di calcare (Figg. 12 e 14), che docu-

346
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 11 – Tratto di conduttura messo in luce in seguito all’apertura di una strada moderna.

Fig. 12 – Due tubi affiancati (A, B) che ne obliterano un terzo (C), messi in luce da uno sbancamento.
In alto (D) ed a destra (E) si notano i resti di due canali completamente riempiti da incrostazioni di
calcare: il secondo, in particolare, presenta spallette in muratura (in blocchetti e pietrame legato da
malta), rivestite di intonaco idraulico, ed il fondo costituito da grandi tegole di terracotta.

347
G. Scardozzi

Fig. 13 – Tratto di acquedotto con due tubature affiancate ed alloggiate in


un incasso scavato nel banco roccioso.

mentano come l’acqua fosse captata da una o più sorgenti diverse da quella in
località Can Pınar, probabilmente situate sulle alture più a monte; tra esse, va
probabilmente considerata quella esistente in località Çaltılı a quota 990 m,
presso la quale sono presenti sporadici frammenti di tubi con diametro di circa 36
cm (Fig. 4, G). Lungo il percorso delle due tubazioni affiancate, che presentano
impasti simili a quelli delle condutture di epoca proto-bizantina messe in luce
nell’area urbana, si rinvengono, rimossi dalla loro sede originaria, vari frammenti
di un tubo con diametro di 40 cm e privi di concrezioni calcaree, molto simili a
quelli esistenti presso la sorgente in località Can Pınar; questi due tubi, inoltre,
sembrano obliterare con il loro tracciato quello della conduttura isolata (Fig.
12, C), che risulta completamente ostruita dalle incrostazioni.
Procedendo in direzione di Hierapolis, si rinvengono numerosi tratti del
canale che affiancava i tubi, con l’acqua che si è “solidificata” in formazioni di

348
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 14 – Frammenti di tubi con concrezioni di calcare riutilizzati nelle murature


di un edificio rurale.

calcare che hanno una larghezza di circa 50 cm ed un’altezza fino a 90-100 cm


(Fig. 15). Circa 600 m a N del Castellum aquae (Fig. 4, O), inoltre, il canale
è affiancato da un’altra conduttura che presenta tubi lunghi 60 cm e con dia-
metro di 30 (le pareti sono spesse 2 cm), con sottili incrostazioni calcaree (Fig.
16a); la tubazione appartiene ad un altro tracciato (Fig. 16b) che confluisce
in quello descritto alle pendici settentrionali del Tıngırtaş Tepe (Fig. 4, N) e
che può aver origine dalla più volte menzionata località Çaltılı oppure più a
valle, a circa quota 800 m, dove si trovano le sorgenti del Gök Dere.

4. CONCLUSIONI
Per il raggiungimento di questi risultati archeologici, nella fase di ricerca
sul terreno è stato molto importante, come accennato, l’esame delle immagini
satellitari dell’area indagata, che ha preceduto ed accompagnato la ricognizione
diretta, al fine di individuare tracce ed anomalie riferibili ad evidenze antiche. Par-
ticolarmente utile per l’oggetto principale della ricerca (in cui l’obiettivo primario
era l’individuazione dei resti degli antichi acquedotti, senza comunque trascurare
le altre presenze archeologiche) è risultata la video-esplorazione del territorio su
modelli tridimensionali vestiti con le immagini satellitari: per apprezzare meglio
la morfologia dell’area in oggetto prima dell’esame diretto del terreno sono state
utilizzate sia le immagini pan-sharpened di QuickBird 2 visibili in Google Earth in

349
G. Scardozzi

Fig. 15 – Tratto di canale pieno di concrezioni calcaree. Nel riquadro in alto, è visibile un particolare
della struttura, che era delimitata da spallette in muratura e di cui è ancora conservato il fondo a
grandi tegole; la freccia indica uno dei tubi in terracotta a fianco del canale. Nel riquadro in basso,
invece, compare la traccia dei resti del canale nell’immagine satellitare.

Fig. 16 – A sinistra, tubo in terracotta e canale in muratura pieno di concrezioni calcaree messi in luce
da uno sbancamento; a destra, tratto di conduttura alle pendici settentrionali del Tıngırtaş Tepe.

350
Hierapolis di Frigia. Applicazioni informatiche alle ricognizioni archeologiche

Fig. 17 – Sezione dell’andamento del terreno in corrispondenza del tracciato dell’acquedotto che rag-
giunge Hierapolis da E, tra la sorgente (1065 m s.l.m.) ed il pendio meridionale del Kayraklık Tepe (643
m s.l.m.), da dove ha inizio la discesa in direzione del Castellum aquae attraverso il moderno villaggio
di Ören: su un tratto di oltre 4,6 km, le condutture in terracotta percorrono un dislivello di 422 m.

vista tridimensionale12, sia le riprese satellitari ad alta risoluzione acquistate per il


progetto di ricerca e le cartografie in scala 1:25.000, georeferenziate su modelli
digitali del terreno editati con Global Mapper e basati sui dati della Shuttle Radar
Topography Mission (http://www2.jpl.nasa.gov/srtm/).
Sia Google Earth sia gli altri modelli 3D realizzati, su cui sono state posizio-
nate le evidenze archeologiche, sono risultati molto efficaci per la presentazione e
la visualizzazione tridimensionale dei risultati delle ricognizioni archeologiche; in
particolare, per quanto riguarda Google Earth, attraverso un pre-processing dei
dati è possibile importare i waypoints registrati dai ricevitori GPS Garmin utilizzati
durante il lavoro sul terreno, così da poter ottenere una veloce renderizzazione dei
tracciati degli acquedotti su immagini a risoluzione più alta, ed una ricostruzione
relativamente precisa dell’andamento delle acque, visualizzando i percorsi sia con
immagini statiche che attraverso simulazioni di volo (Tav. XIIa-b)13. Sempre per
un’efficace elaborazione dei dati e presentazione degli stessi, infine, le misure dei
resti dei tracciati degli acquedotti, prese sul terreno mediante i ricevitori GPS da
navigazione, sono state infine interpolate con il dato plano-altimetrico per rico-
struire una sezione dell’andamento del terreno in corrispondenza dei percorsi,
così da documentare la pendenza delle condutture (Fig. 17).
GIUSEPPE SCARDOZZI
Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali
CNR – Lecce

12
In Google Earth (http://earth.google.com/) l’area interessata dal tracciato degli ac-
quedotti risulta infatti coperta da immagini ad alta risoluzione di QuickBird 2, che sono state
utilizzate in tutte le fasi della ricerca; una di esse è quella commissionata appositamente per le
ricerche archeologiche a Hierapolis e nel suo territorio ed acquisita dal satellite il 25-03-2005,
visibile nel server on-line dal marzo 2006. Le riprese di QuickBird 2 inserite in Google Earth,
sebbene la compressione per la visualizzazione attraverso Internet comprometta notevolmente
la loro risoluzione spettrale, mantengono comunque un’elevata risoluzione geometrica (circa
70 cm), che consente il loro impiego nella ricerca archeologica (BECK 2006; UR 2006).
13
Il dato fornito dal server on-line è stato quindi integrato con il posizionamento dei
rinvenimenti ed i relativi metadati raccolti nella ricognizione diretta del terreno.

351
G. Scardozzi

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ABSTRACT

The paper deals with some of the results of the research activities of the IBAM-CNR
in the project «Il Mediterraneo antico e medievale come luogo di incontro tra Oriente e Occi-
dente, Nord e Sud», conducted as part of the activities of the Italian Archaeological Mission in
Hierapolis of Phrygia (Turkey). During the archaeological surveys in 2004-2007 satellite images
with high geometric, radiometric and spectral resolutions, that constituted important tools for
the research in the city and in its territory, were used because vertical aerial photos and recent
detailed maps are not available. During the surveys some computer applications were also de-
veloped, such as a system which is able to facilitate and accelerate the task of positioning and
managing the archaeological finds, using a palm-top computer or a Tablet PC integrated with a
GPS antenna and a software for archaeological navigation and management of survey records
called Ulixes, which is still in the prototype phase. The purpose of the system is to enable the
users to navigate employing maps which they have chosen, or, as in the case of Hierapolis,
using high resolution satellite images. In the event of an archaeological discovery, it is possible
to memorise its position and metadata consisting of a record in which the geographical coor-
dinates and a detailed description of the type of discovery are inserted.
Exemplificative of the applied methodologies is the study of the aqueducts which
brought water to Hierapolis. During the surveys in the territory around the ancient city three
main routes were identified, documented and positioned, from the north, north-east and east,
which were 6.3 to 13.5 km long. They consisted of terracotta pipes, in some cases simply
buried in the earth, in others laid in hollows carved out of the rock or carved stone supports,
next to which there was also, in some cases, an open channel. These aqueducts, built in the
Roman period and still in use in the proto-Byzantine age, brought drinking water from springs
located immediately below the summit of a plateau to the north of the city. For the study, the
reconstruction and the visualization of their routes, DEMs (particularly from Google Earth or
based on SRTM data) were also used, on which high resolution satellite images and imported
waypoints from the GPS receivers used in the field work were draped.

353

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