War Room Riassunto War Room Attori Strutture e Processi Della Politica in Campagna Permanente
War Room Riassunto War Room Attori Strutture e Processi Della Politica in Campagna Permanente
WAR ROOM
CAPITOLO I- COME CAMBIA LA COMUNICAZIONE POLITICA
CHE COS’E’ LA COMUNICAZIONE POLITICA?
Vi sono varie riflessioni sul dare un significato a questo termine ma in generale è sia un’attività che
chiama in causa diversi e numerosi attori sia una disciplina di studio e di ricerca caratterizzata da
una molteplicità di approcci e di prospettive. Sociologi ma anche scienziati politici, antropologi e
molti altri studiosi si sono cimentati nello studio della comunicazione politica, ma è soltanto con
l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, cinema, radio e successivamente la televisione, che
si sono create le condizioni per lo sviluppo di tutti gli strumenti di comunicazione applicabili alla
politica.
LE QUATTRO FASI DELLA COMUNICAZIONE POLITICO-ELETTORALE
L’evoluzione della comunicazione politico-elettorale è suddivisa in tre grandi fasi: principalmente
una fase premoderna, una moderna e una postmoderna. Con precisione però, quello che gli studiosi
definivano “premoderno” non è nient’altro che “pre-televisivo”. Di fatti una suddivisione delle tre
fasi ancor più precisa bisogna farla in base al medium dominante di ognuna: 1.epistemologia della
stampa; 2.epistemologia della televisione; 3.epistemologia del digitale e successivamente è stata
introdotta una quarta che è la fase del sistema ibrido dei media. Dunque, il criterio distintivo chiama
in causa le innovazioni tecnologiche e il ruolo che l’evoluzione dei mass media ha avuto sulla
comunicazione politica e sulla società. Il più grande sostenitore dell’idea che le innovazioni
tecnologiche hanno un significativo impatto sulla società è Marshall McLuhan, in particolare
attraverso il suo libro “il mezzo è il messaggio” egli afferma che non ha senso domandarsi se una
tecnologia faccia bene o male in assoluto. Tutte le tecnologie possono essere usate bene o male. (La
penna è una tecnologia che può essere usata per scrivere ma può cavare l’occhio a qualcuno, energia
nucleare- bomba atomica, social network- interazioni- fake news). Ma ancora più importante,
McLuhan affermava che è il medium a controllare e plasmare l’azione umana e le tecnologie di
massa ci cambiano profondamente, a prescindere dall’uso che se ne fa. (Esempio calo di vendite
gomme da masticare).
Fase 1Epistemologia della stampa Siamo nell’età dell’oro dei partiti di massa e del voto di
appartenenza, dove gli elettori fedeli erano tali perché l’identificazione con i partiti era fortissima e
basata su una totale aderenza alle ideologie e alle visioni del mondo offerte dai partiti. Ci troviamo
negli anni della “modernità solida” accompagnata da un alto tasso di fiducia nelle istituzioni
pubbliche. In questa fase, dunque, la parola partito è dominante. Il brand più efficace elettoralmente
era il simbolo di partito che racchiudeva una visione del mondo nella quale si riconoscevano gli
elettori che erano divisi in classi sociali e categorie solide; il voto era dato al partito e il suo simbolo
era la cosa più importante dei manifesti, insieme ad una grafica accattivante e a un messaggio
identitario, ideologico e mobilitante. L’obiettivo dei partiti erano campagne di mobilitazione
piuttosto che di persuasione, e miravano quindi non tanto a convincere elettori indecisi, ma di
portare alle urne tutti gli elettori fedeli.
Fase 2 Epistemologia della televisione Questa fase vede la TV come medium dominante; essa
infatti contribuirà a produrre grandi effetti sugli elettori e sulla politica, insieme ad altre tendenze
importanti. Questi sono gli anni della scoperta e dell’affermazione di nuovi bisogni e valori, il tutto
pubblici e la politica deve iniziare a ragionare su come arrivare a specifici target del mercato
elettorale, attraverso quali messaggi, quale stile comunicativo ecc. Siamo nella fase del Web 1.0 in
cui la trasmissione delle informazioni resta top-down e in mano a politici e giornalisti; solo con
l’avvento dei social media e gli smartphone le cose cambieranno. In questa fase per il momento, le
risorse online sono soprattutto i siti web dei candidati e le e-mail usati principalmente per ragioni
finanziarie e per pubblicizzare eventi e importante è la loro capacità di raggiungere anche target
prima lontani dalla politica e una diffusione ancor più veloce di notizie. La logica dominante è
quella di marketing, per cui la ricerca sui desideri e sulle priorità degli elettori spesso influenza la
definizione dell’offerta politica. Tutto ciò porta ad un ampliamento della professionalizzazione delle
campagne, ovvero una campagna politico-elettorale è professionalizzata quando: è permanente; ha
un quartier generale della campagna in grado di coordinare tutti i messaggi e tutta la gestione della
campagna; vi è un impiego di esperti di settore per la comunicazione mirata agli attivisti e agli
stakeholder, per l’analisi dei punti di forza e debolezza e l’attività di news management.
Fase 4 Epistemologia del sistema ibrido Ovvero Web 2.0 e nascita dei social network;
passaggio dal web statico al web dinamico. Nascono i blog, l’e-commerce, i forum; l’utente diventa
il protagonista sempre più importante dell’era digitale. In questa fase avviene un potente incremento
della frammentazione dell’offerta formativa e della sua velocità. Si parla del passaggio dalla
multimedialità alla crossmedialità e di ibridazione tra le logiche mediatiche. La quantità e la qualità
di fonti di informazione si è ampliata in modi impensabili. Si crea un sistema ibrido, ovvero internet
non viaggia solo su pc ma anche su smartphone, tablet, console, smart TV; la televisione non è
monopolizzata solo dal televisore: si può vedere tutto in streaming.
La più grande novità della fase 4 è proprio questo salto tecnologico che ha trasformato le relazioni
tra sistema politico, sistema dei media e pubblici, prima di tutto trasformandoci in produttori e
consumatori, co-generatori di informazioni, ma anche guida per la content creation delle
piattaforme e di tutta la digital economy.
CAPITOLO II- COME CAMBIANO I PARTITI
COSA SONO E COSA FANNO I PARTITI POLITICI
I partiti politici sono consustanziali alla democrazia. Senza partiti la democrazia liberale
rappresentativa non potrebbe esistere. I partiti sono l'emblema del pluralismo su cui si fondano le
società libere e i sistemi politici democratici, come dimostra in qualche modo anche l'etimologia del
termine: partito deriva dal latino pars ovvero una parte non più considerata una minaccia per il tutto,
come accadeva per le fazioni della società premoderne, bensì come la logica conseguenza del
pluralismo delle idee e del conflitto strutturato per giungere al governo di una comunità.
Di fatto, i partiti come la intendiamo noi oggi nascono con l'affermazione dell'opposizione e della
tutela del dissenso: ciò che contraddistingue le democrazie dei regimi non democratici non è tanto
che la maggioranza abbia diritto a governare, quanto la possibilità che una minoranza possa
diventare maggioranza mediante il voto popolare. Bryce, infatti, affermava che nessun grande paese
libero ha potuto fare a meno di essi e nessuno è riuscito a dimostrare come un governo
rappresentativo possa funzionare senza di essi, in quanto i partiti riescono a creare l'ordine; inoltre
si afferma che i partiti hanno creato la democrazia, che è impensabile se non in termini di partiti.
Recentemente in virtù di una crisi di legittimazione e funzionale dei partiti di massa novecenteschi,
si sono sviluppate anche teorie alternative mirate al loro superamento come la democrazia del
sorteggio oppure con una nascita di una cyber democrazia, spesso nate proprio da sentimenti
antipartitici e antiparlamentari. Nonostante ciò, però, i partiti hanno vissuto una sorta di età dell'oro
durante la quale sono stati indiscutibilmente funzionali allo sviluppo di molti regimi democratici, in
particolare parliamo degli anni della ricostruzione post-bellica e del pieno dello sviluppo della
società di massa, tra gli anni 50 e 60 del 900.
Le conquiste ottenute in termini di diritti e di emancipazione di liberazione del cittadino spingono la
società occidentale verso un processo di individualizzazione costante e in più le crisi petrolifere del
70 e del 79 cominciano a produrre un clima di sfiducia verso il sistema capitalistico. Le aspettative
dei cittadini sono sempre più alte soprattutto dopo anni di crescita benessere e conquista individuali.
In più poi c'è l'arrivo della televisione chi ha avvia inevitabilmente il processo di progressiva
personalizzazione della politica, che di fatto costituirà a suo modo anche un tentativo di tenerli in
vita trasformandoli sotto molti punti di vista. Sebbene infatti sia alquanto diffusa la tesi della crisi
dei partiti politici, essi restano l'attore chiave della politica democratica e hanno dimostrato nel
tempo una capacità di evolvere e di adattarsi all'ambiente che cambia. Massari, infatti, spiega che
non bisogna parlare di crisi di partiti, ma più che altro di una loro trasformazione che segue e si
adatta ai mutamenti sociali e culturali. Dato il loro ruolo cruciale nei regimi politici vi sono
numerosi aspetti legati ai partiti: le loro funzioni specifiche caratterizzanti rispetto ad altri attori
politici, i modelli organizzativi, l'evoluzione del bagaglio ideologico e le dinamiche competitive, il
modo in cui reagiscono ai mutamenti sociali e culturali.
FUNZIONI E TIPI DI PARTITO
Per arrivare a una definizione del partito politico dobbiamo rifarci a Fisichella sì che individua tre
basi principali: competizione elettorale, gestione diretta del potere politico è espressione
democratica. In altri termini, l'attore collettivo che candida i propri membri a un'elezione, al fine di
gestire direttamente il potere e di rappresentare gli interessi nelle assemblee elettive e a tutti gli
effetti un partito politico. In base a queste caratteristiche il partito è definibile come l'agenzia
politica che compete alle elezioni per esprimere domande politiche e per conquistare l'esercizio
diretto del potere politico.
Vi sono diversi tipi di partito sviluppatesi negli anni:
1. Partito d'elite è il modello che caratterizza la fase nascente dei sistemi parlamentari
moderni, tra gli Stati Uniti e l'Europa nel diciannovesimo secolo. Siamo ancora in regime
difficilmente descrivibili come democrazie compiute, anche in virtù del suffragio ristretto e
in un periodo che precede l'esplosione della società di massa. Proprio il suffragio ristretto
spiega di fatto tutte le altre caratteristiche di questo modello che era a tutti gli effetti riferiti a
partiti di notabili, come una membership ristretta, privi di alcun bisogno di fare proselitismo
né propaganda, privi altresì di un’organizzazione sul territorio e aventi come principale
obiettivo politico quello di occupare cariche pubbliche, ossia distribuire privilegi. Il partito
d'elite era una sorta di club aristocratico composto da notabili che si organizzavano al fine di
ottenere il consenso di quella ristretta fascia della popolazione che aveva il diritto di voto.
Esempi di questo partito sono i tories e i whigs britannici poi federalisti e repubblicani delle
origini negli Stati Uniti.
2. Partiti di massa con l'allargamento del suffragio e l'arrivo della società industriale
nascono i partiti di massa e hanno origine fuori dalle istituzioni, ossia nella società non nei
parlamenti dove erano nati i partiti d'élite. Non a caso nascono prevalentemente a sinistra
spesso come emanazione dei primi grandi sindacati dei lavoratori. I partiti di massa si
baseranno principalmente sulla membership, che infatti negli anni d'oro arriverà a contare
diversi milioni di iscritti ai partiti. Il collante tra l'alto e il basso, cioè tra leadership e
membership sarà di tipo ideologico; il partito di massa può costituire la sua struttura
organizzativa partendo dall'alto o dal centro e con un'azione di penetrazione nella società. Lo
strumento tipico di questa penetrazione erano le sezioni, che offrivano continuamente non
solo in campagna elettorale, una serie di servizi attività ai propri iscritti. A differenza del
partito d'elite, quello di massa è un'organizzazione complessa tendente a essere omogenea
sul territorio, e ci riesce in virtù di credenze condivise in grado di fidelizzare elettori,
attivisti e iscritti e di dare loro un'identità chiara e forte. I vertici di questo partito sono
legittimati dal basso, per via democratica, attraverso il voto dei delegati nei congressi. Gli
esempi di partito di massa sono numerosissimi: ne fanno parte tutti i partiti maggioritari
italiani della cosiddetta prima Repubblica, ma anche il partito laburista.
3. Partito pigliatutto a partire dalla seconda metà degli anni 60 il modello del partito di
massa inizia a perdere colpi e ad essere poi pian piano rimpiazzato dal partito piglia tutti.
Esso è il primo tipo di partito che guarda tutti gli elettori, non a una specifica classe o
gruppo sociale, come di fatto era accaduto sia con i partiti d'élite che con i partiti di massa.
Può farlo in virtù del graduale logoramento del collante ideologico identitario che aveva
legato lettura e rappresentanti politici nell'età dell'oro dei partiti di massa e anche grazie alle
arriva il progresso della televisione come mass medium dominante. Con il partito piglia tutti
abbiamo una drastica riduzione del bagaglio ideologico del partito, un ulteriore
rafforzamento dei gruppi dirigenti di vertice, una diminuzione del ruolo del singolo membro
di partito, una diminuita enfasi sulla classe privilegiata e l'accesso privilegiato a diversi
gruppi di interesse.
Le differenze principali tra partito di massa e partito pigliatutto sono le seguenti: il partito di
massa è caratterizzato da un’ideologia di fondo e da una conseguente programma politico
chiaro e definito. Si concentra su uno specifico gruppo sociale e l'obiettivo prioritario è di
rappresentare gli interessi di quel gruppo; si impegna particolarmente alla mobilitazione e
nel reclutamento di membri. Il partito piglia tutto invece è caratterizzato da una strategia di
ampio raggio e mira ad ottenere il sostegno di una vasta gamma di elettori. Questo tipo di
partito cerca di attrarre l'elettorato attraverso messaggi e politiche che possono essere
attraenti per diverse fasce di popolazione e il suo obiettivo principale è vincere le elezioni e
ottenere il potere politico, piuttosto che perseguire un’ideologia politica specifica e
rappresentare un gruppo particolare di cittadini. Infine, se il partito di massa era
prevalentemente orientato verso campagne mirate alla mobilitazione della propria base
elettorale, il partito piglia tutto propende verso una competizione elettorale più persuasiva
orientata alla conquista di un ampio sostegno.
4. Partito di cartello cartello sta per trust, cioè il tipico accordo oligopolistico tra imprese
economiche, mirato a controllare e limitare la concorrenza, attraverso accordi sulla divisione
del mercato, sulla fissazione dei prezzi e sui limiti alla produzione dei beni. Ma come hanno
fatto questi partiti a gestire il mercato politico facendo cartello? Fondamentalmente
approfittando delle risorse pubbliche e limitandone l'accesso solo ai partiti già presenti nelle
nella stagione di Matteo Renzi il suo massimo è il suo minimo storico alle elezioni; ma
anche della Lega che ha visto tramite Matteo Salvini una crescita di oltre 30 punti
percentuali tra le elezioni politiche del 2013 e le sue europee del 2019; ho ancora del
Movimento 5 stelle che ha vissuto i suoi cicli migliori grazie ai tre leader in successione
Grillo, Di Maio e Conte.
Dunque, il sistema dei partiti italiani risulta pesantemente personalizzato da diverso tempo.
Ciò significa che in Italia più che altrove, la scorciatoia cognitiva che spinge gli elettori a
scegliere un partito piuttosto che un altro ha a che fare con il leader più che con i programmi
o le ideologie. E che spesso ciò significa concentrarsi e focalizzare l'attenzione su
caratteristiche più personali che politiche.
3. Partito digitale la transizione digitale costituisce il punto di partenza tecnologico di
questi partiti, che nascono con l'obiettivo di ribellarsi alla tendenza che ha portato la politica
a essere sempre più lontana dalla società civile. Anche la crisi finanziaria del 2008 sembra
aver giocato un ruolo importante, facendo emergere una volta di più il vuoto di potere e di
sovranità della politica nazionale. L'utopia idealistica è quella della cyber democracy o della
click democracy. Nel 2012 a un anno dal primo grande exploit del suo movimento alle
elezioni politiche, Beppe Grillo dichiarò: io con un clic, semplicissimo, decido se fare la
guerra o non fare la guerra, se uscire dalla Nato, se essere padroni in casa nostra.
Se dunque, questi tipi di partiti sono nati con intenzioni apprezzabili, l'utopismo di quel
modello ha generato aspettative altissime e di conseguenza facili da mettere in discussione
alla prova dei fatti. Per di più la piattaformizzazione del partito ha trasformato il mezzo in
un fine: come se ogni decisione presa su una piattaforma digitale fosse buona per
definizione. Puntare tutto sulla tecnologia e nulla su valori e ideologie, ha fatto sì che diversi
partiti digitali siano caduti in continue contraddizioni, erodendo progressivamente la propria
credibilità.
I PARTITI ORIENTATI AL MERCATO
Tutto ciò che emerge quindi è una grande transizione tra partiti orientati al prodotto ai partiti
orientati al mercato. Un partito orientato al prodotto (POP) è il classico partito di massa
novecentesco, ma anche un partito a base di ideologica contemporaneo. Il suo prodotto è
tipicamente ideologico e di conseguenza il partito non è interessato a sondare ciò che gli elettori
desiderano o come potrebbe accogliere le sue proposte. Si comporta così anche se non riesce a
guadagnare consenso, argomenta a favore delle proprie posizioni credendo che il suo prodotto sia di
tale valore. Questa forma partito è tipica del 900 pieno e della Golden age dei partiti di massa,
quando gli elettori erano stabili e la politica scarsamente professionalizzata, siamo dunque nella fase
1 della comunicazione politica.
Il partito è orientato alla vendita (SOP) anch'esso parte da un prodotto predefinito, ma non del tutto
immutabile. Questo partito utilizza sondaggi, focus Group, e marketing intelligence per identificare
gli elettori incerti ed elaborare strategie di comunicazione più efficaci per vendere il partito e i suoi
prodotti. Un partito orientato alla vendita non cambia il proprio comportamento per adattarsi a ciò
che la gente chiede e desidera, piuttosto cerca di far desiderare alle persone ciò che offre.
I partiti più recenti sono partiti orientati al mercato (MOP) invece, questi attori partono dalla
soddisfazione delle esigenze e dei desideri dell'elettore per elaborare il proprio prodotto
successivamente. Rispetto al partito orientato alla vendita, quindi, invertono le due fasi iniziali:
prima si sonda l'opinione pubblica e poi si delinea l'offerta politica.
CAPITOLO III- COME CAMBIA LA LEADERSHIP
LE CARATTERISTICHE DELLA LEADERSHIP POLITICA CONTEMPORANEA
È ormai inevitabile che chiunque si candidi per un incarico politico debba mettere in conto la
rinuncia alla propria privacy. Prima dell'esplosione della televisione e della società dell'immagine la
maggior parte delle personalità pubbliche potevano camminare per strada senza essere neanche
riconosciute, nell'attualità non è più possibile. Ciò che emerge è un netto confine tra ribalta e
retroscena, che da un certo momento in poi svanirà del tutto e la vita privata dei leader e dei
candidati politici diventerà un ingrediente fondamentale della loro comunicazione e della loro
offerta politica. Anzi la sfera pubblica inizierà a diventare un maxischermo delle vite private dei
personaggi pubblici, andando quasi a soppiantare le discussioni sulle idee e sulle proposte politiche
e concentrandosi quasi esclusivamente su tratti biografici e individuali. Ovviamente questo processo
chiama in causa la rivoluzione dell'immagine è l'effetto di personalizzazione dovuto alla media
logic televisiva. Da quando la televisione è diventata il medium dominante, quel processo si è
innescato in maniera irreversibile ed è ancor più accentuato nell'era digitale con l'avvio della
vetrinizzazione sociale e il trionfo dello stile confessionale. Lo stile confessionale è collegato a
questo processo. Vetrinizzando noi stessi sui vari schermi, è lo storytelling individuale a prevalere,
concepito in ottica di self marketing. Con l'arrivo e l'esplosione del digitale e dei social network
siamo entrati nell'era della comunicazione di massa, e quello che Turcke definisce coazione a
trasmette, cioè, è una continua lotta per catturare l'attenzione altrui che si combatte a tutti i livelli,
dalle campagne pubblicitarie ai protagonisti dello star system.
In ottica della comunicazione politica bisogna considerare che viviamo in un processo di inesorabile
personalizzazione e ciò va ben oltre la politica. È un fenomeno sociale al quale gli attori politici
devono adeguarsi al fine di ottenere fiducia e credibilità. Si tratta anche di uno dei segnali del
passaggio dalla società economica a quella psicologica, cioè dal passaggio dai valori materialisti a
quelli post-materialisti, incentrati sulla realizzazione del sé e sull’individualizzazione. Questa
centralità dei tratti personali è figlia della rivoluzione televisiva, non solo perché la Tv personalizza
per definizione, ma pure perché essa nasce prevalentemente con finalità di intrattenimento. Da ciò
deriva la tendenza contemporanea all’infotainment e al politainment televisivi, altri effetti della
mediatizzazione della politica da quando la Tv domina la scena mediatica. In generale la televisione
dà il suo meglio nel generare coinvolgimento emotivo e dunque personalizzazione e
spettacolarizzazione costituiscono due effetti collaterali del dominio televisivo all'interno della vita
dei consumatori.
Cos’è l’intimizzazione della politica e in cosa si distingue dalla personalizzazione? Se la
personalizzazione indica un'attenzione crescente da parte dei media e dell'opinione pubblica su
candidati e leader anziché su partiti e sui loro programmi, l'intimizzazione ha a che fare con
l'invasione di fatti privati dei personaggi pubblici all'interno della sfera pubblica. Un'invasione sia
voluta e cercata dai protagonisti, sia subita dagli stessi a causa della continua ricerca di indiscrezioni
e retroscena privati da parte della stampa.
Con l'avvento della televisione la personalizzazione, quindi, diventa inevitabile e la persona assume
il ruolo di principale scorciatoia cognitiva per gli elettori. (esempio differenza Mario Draghi/Angela
Merkel contro Matteo Salvini a Milano Marittima).
IL TRIANGOLO DELLA LEADERSHIP
Si è provato a riassumere le caratteristiche distintive e vincenti di una leadership contemporanea
intrecciando tre fattori principali: competenza, ordinarietà e autenticità (triangolo della leadership).
In una campagna permanente un leader politico democratico dovrebbe collocarsi al centro di questo
triangolo, ossia dovrebbe costruire la propria comunicazione provando a proiettare l’immagine di
una persona, nello stesso tempo, come noi, meglio di noi e affidabile.
1. Competenza in politica la competenza è un mix di diverse cose: esperienza, formazione,
conoscenza, talento e abilità mirate a suscitare negli elettori un’immagine positiva di colui o
colei in grado di fare ciò che promette. La competenza deve rispondere ad una sola esigenza:
il leader deve essere in grado di convincere gli elettori di saper fare ciò che promette.
2. Ordinarietà negli ultimi anni la ricerca di ordinarietà da parte degli elettori si traduce
nella comunicazione politica e nel marketing politico dei leader. Il ramo di ricerca più
battuto riguarda l’intreccio tra cultura popolare e la politica. Di fatti, i politici sono diventati
sempre più oggetti della cultura popolare, al punto che la cultura popolare stessa ormai
modella la politica. La scelta di plasmare la comunicazione politica seguendo l’archetipo del
cittadino comune è diventata una strategia e gli elettori dal loro canto, cercano sempre di più
un’identificazione con i politici sulla base di una percezione di una vita quotidiana comune.
3. Autenticità un leader politico è percepito come autentico quando rispecchia valori come
coerenza, integrità, genuinità, onestà, sincerità, affidabilità, credibilità e veridicità. In
generale è identificabile come il sentimento di fiducia derivante dall’apparire fedeli a se
stessi. I cittadini hanno bisogno di sentire che i politici rappresentino qualcuno di cui
possono fidarsi.
LA CERIMONIA CANNIBALE E LA RIDUZIONE DEI CICLI DI LEADERSHIP
C'è un'ulteriore caratteristica che accomuna leadership politica contemporanee e questa
caratteristica è quella per cui il celebre aforisma di Giulio Andreotti “il potere logora chi non c'è
l'ha” oggi risulta totalmente rovesciato: il potere logora chi c'è l'ha. Nel vero senso di un
logoramento dell'immagine, della credibilità e dell'attrattività che un leader può sperimentare una
volta al governo. Il sociologo francese Salmon, parla a tale proposito di “cerimonia cannibale” e la
riferisce di fatto all'intera politica come professione e come settore di attività. Egli infatti afferma
che “L'homo politicus sparisce. Neanche in modo lento e impercettibile come l'estinzione di una
specie. Sparisce sotto gli occhi di tutti, al colmo della sua esposizione, in una sovraesposizione
mediatica, per una sorta di divoramento. Egli vi appare non più come il portatore del cambiamento
annunciato, ma come uno spettro rischiarato da quelle stesse fiamme che si accingono a divorarlo”.
In sintesi, quindi, oggi i cicli di leadership vincenti durano davvero poco. E ciò accade spesso a
prescindere da specifiche responsabilità dei leader stessi. Accade, cioè, per una serie di ragioni
sistemiche e in particolar modo la fase di governo è particolarmente logorante per le seguenti
ragioni: mentre le opposizioni possono vagare sulle oscillazioni delle opinioni pubbliche e cambiare
posizione quasi a piacimento chi governa non può, chi governa deve decidere; la stampa rileva
nuove emergenze, allarmi e scandali e alimenta nuova insoddisfazioni, solo le cattive notizie fanno
notizia; la magistratura via inchieste quasi di default, molte volte non comportano nulla in termini
giudiziari ma politicamente sono sempre colpi rilevanti; gli elettori ragionano e si comportano
sempre più come consumatori e ciò significa che sono sempre alla ricerca di novità e gratificazioni
immediate.
In sintesi, quindi ciò che accade ai nostri leader quando sono sulla cresta dell'onda è quella definita
“effetto Pokémon Go”. Nel luglio del 2016 Nintendo lancia un app che in soli 19 giorni raggiunge
50 milioni di utenti. Il mondo era letteralmente impazzito per Pokémon Go, la gente lasciava l'auto
col motore acceso e gli sportelli aperti per seguire a piedi un avatar in un parco e molto altro ancora,
eppure solo due mesi dopo c'eravamo praticamente dimenticati di Pokémon Go. Questo perché?
Perché nella società dei consumi ogni prodotto deve generare massimo impatto e istantanea
obsolescenza. Più un prodotto ci gratifica nell'immediato, prima lo cestiniamo, andando alla ricerca
di una novità altrettanto emozionante è in grado di produrre rilascio di dopamina. Questo perché ci
stancherà presto: l'effetto novità durerà pochissimo.
I leader democratici occidentali di oggi vivono grossomodo questa medesima condizione. I politici
infatti sono costretti a essere dei veri e propri performer, a giocare con i tempi, le frasi ad effetto, gli
slogan e la comunicazione non verbale.
LA LEADERSHIP INSPRING E MOTIVANTE
Sinek in un libro intitolato Partire dal perché scrive: “ci sono due modi per influenzare il
comportamento umano: il primo è manipolarlo, il secondo è ispirarlo”. L’intero libro si basa su
questa distinzione e prova a delineare quale sia la marcia in più delle leadership ispiranti o
motivazionali rispetto a quelle manipolative. Dagli affari alla politica, la manipolazione dilaga in
tutte le attività di vendita e di marketing. Tradurre in ambito politico la riduzione dei prezzi o il
lancio di una promozione non è difficile. Ogni promessa insostenibile dal punto di vista finanziario
è considerabile una manipolazione. Quanto alla paura, è opportuno ricordare quanto la politica ci
faccia affidamento. La paura è l’emozione più potente di tutte ed altera la nostra percezione della
realtà, spesso a vantaggio di imprenditori politici che la fomentano. Qual è il problema di tutte
queste manipolazioni, presenti nel marketing commerciale come quello politico? Ciascuna di esse
può realmente influenzare il comportamento dei clienti e aiutare un'azienda a raggiungere un certo
successo. Ma ci sono dei pro e dei contro. Nessuna di queste strategie genera fidelizzazione e
andando avanti nel tempo costano sempre di più. Genera profitti solo a breve termine e aumentano
il livello di stress sia per l'acquirente che per il venditore.
Brand come Apple, Rolex, Mercedes o Disney, sono brand leader che non utilizzano manipolazioni,
sono marchi iconici che ispirano e sono veri e propri simboli del capitalismo cognitivo di oggi.
Bauman afferma infatti che il marchio e il logo di un prodotto non aggiungono valore a quel
prodotto, ma ne sono il valore. La marca, cioè, è oggi per noi un oggetto culturale e simbolico, che
serve a fornirci i pezzi di identità, a strutturare le nostre relazioni sociali e a produrre a tutti gli
effetti significati. La brand image, l'immagine complessiva che una marca ci richiama, è il primo e
più importante motore delle nostre scelte d'acquisto. Dunque, i brand in grado di generare
un’immagine chiara e distintiva sono quelli che hanno maggiore capacità di fidelizzare i propri
clienti. La fedeltà deriva dal “perché”, qualcosa che nel marketing è stato nominato come vision o
purpose, uno scopo o una causa per cui lottare, e che in politica è sicuramente esistito nell’era dei
partiti di massa a base ideologica.
Se applicato alla politica, dunque, questo ragionamento ci riporta dritti al punto della cernimonia
cannibale e dei cicli di leadership sempre più brevi. Il brand politico per eccellenza oggi è il leader.
Fare comunicazione (o propaganda) puntando sulle manipolazioni può funzionare, ma genera
secondo Sinek, solo un ritorno di breve periodo. Un ritorno che finisce per avvilupparsi in una
spirale di aspettative insoddisfatte e di promesse irrealizzabili, e sfocia in uno stress continuo e
crescente per acquirente (cittadino) e venditore (leader politico). Una continua sovraesposizione
mediatica che produce incoerenza, volatilità, sfiducia e apatia verso l’intera categoria politica.
Sinek introduce quindi il concetto di “cerchio d’oro”; a suo dire ogni organizzazione che sta sul
mercato (anche partito) deve saper rispondere a tre domande: che cosa, come e perché.
Avere un perché significa credere in qualcosa, i come sono le azioni che si intraprendono per
realizzare quello in cui si crede, e i che cosa sono i risultati di quelle azioni: i prodotti, servizi, le
iniziative di marketing ecc. Mentre è sempre chiaro il che cosa, ogni organizzazione sa quali beni o
servizi produce o fornisce, il come non è evidente. Il come ha a che fare con il modo in cui si fa
qualcosa, il sistema organizzativo, i processi interni e richiama principi e valori di fondo. Ancora
più difficile è avere un’idea chiara del perché un’azienda o un partito stanno sul mercato, ossia la
causa che spinge e motiva tanto i membri dell’organizzazione a lavorare con passione. Il perché non
può essere fare soldi o prendere voti; il profitto è un obiettivo importante, ma non costituisce la
ragione che ispira le persone ad acquistare un bene o votare un partito. Per questo motivo non si
dovrebbe partire dal che cosa, anche se lo fanno quasi tutti, bensì dal perché. Quest’ultimo è il
fattore in grado di fidelizzare davvero una quota di mercato e di distinguerci sempre dalla
concorrenza.
Dunque, per Sinek, una possibile via d’uscita dalla cerimonia cannibale per i leader politici
contemporanei è quella di lavorare sul perché, riducendo tecniche manipolative e accentuando
invece i tratti motivanti e ispirazionali. Se ciò però è difficile in una grande azienda, altresì lo sarà
per i partiti politici odierni. Oggi, in una società caratterizzata dalla crisi delle grandi narrazioni,
dall’individualizzazione e da un disorientamento generale causato da una vera e propria crisi di
senso, diventa davvero complicato trovare un perché in grado di fidelizzare grandi masse e nel
lungo periodo. Per di più, anche se nei brand citati il ruolo di Steve Jobs, Walt Disney e di Bill
Gates è stato ovviamente centrale, ciò che ha fidelizzato è stato il marchio: chi acquista prodotti
Apple o Microsoft continua a farlo anche dopo la morte di Jobs o l'addio di Gates. Viceversa, nella
politica personalizzata, il brand diventa di fatto il leader e questo complica le cose. Lo si può
spiegare bene ricorrendo all'utilizzo degli archetipi, ovvero idealtipi di individui portatori di tratti
universali in termini di bisogni, aspirazioni, paure. Nell'era della società individualizzata, essi
rivestono un ruolo fondamentale poiché facilitano l'empatia narrativa, l'engagement emotivo tra il
leader e il pubblico. Secondo Mark e Pearson, gli archetipi fondamentali, utilizzati tanto nel
marketing commerciale quanto in quello politico sono dodici, ognuno collegato a un valore
specifico:
1.L’innocente- salvezza; 2. il saggio- conoscenza; 3. l’esploratore- indipendenza; 4. l’eroe-
maestria; 5. il mago- trasformazione; 6. il ribelle- liberazione; 7. l’uomo comune- appartenenza; 8.
il burlone- divertimento; 9. l’amante- intimità; 10. l’angelo custode- cura; 11. il sovrano- controllo;
12. il creatore- innovazione.
Qualora un brand si allontanasse dal suo archetipo, creerebbe confusione nel suo pubblico, quindi il
suo perché diventerebbe vago. Il fatto che in politica il brand più importante oggi sia personale
(leader) è complicato. Cioè, mentre l'immagine e il percepito di un marchio, una volta chiaro il
perché, si possono costruire per legarli a un solo archetipo, quelli di una persona sono più difficili
da racchiudere in un solo modello, perché una persona potenzialmente può impersonare anche tutti
e 12 in contesti e momenti diversi. Ad esempio, Matteo Salvini, nella fase d'oro e in quella calante
della sua leadership, ha utilizzato simultaneamente diversi archetipi: quello dell'uomo comune
(selfie con tutti, foto di quello che mangia), dell'innocente (foto mentre bacia il Rosario), del ribelle
(foto e video a Milano marittima in costume con drink in mano) dell'angelo custode e del saggio
(durante la fase del lockdown). Questo gli ha permesso di giocare con la sua identità e di parlare a
più pubblici simultaneamente. Tuttavia, può anche aver accelerato la sua crisi per via di un
disorientamento degli elettori; Allo stesso modo la costante ricerca di impersonare la novità per
catturare l'attenzione il consenso dell'elettore consumatore ormai avvezzo alla logica dell'usa e getta
e della gratificazione immediata, rischia di far cadere i leader in quello definito effetto New Coke
(esempio coca-cola).
CAPITOLO IV – COME CAMBIANO GLI ELETTORI
LA MENTE POLITICA: HOBBITS, HOOLIGANS O VULCANS?
Jason Brennan nel libro “Against Democracy” divide gli elettori in tre categorie:
1. Hobbitssono per di più apatici e ignoranti. Mancano di opinioni fondate e stabili sulle
principali questioni politiche, anzi spesso non hanno alcuna opinione in merito. Hanno
scarse conoscenze in materia di Scienze sociali e sono ignoranti sui fatti e sugli avvenimenti
attuali.
2. Hooligans sono gli ultras della politica. Hanno convinzioni forti e tendenzialmente
stabili e sono in grado di presentare tesi a supporto delle proprie credenze, ma non riescono
a spiegare punti di vista alternativi con altrettanta efficacia. Sono politicamente informati,
ma sulla base di conoscenze di parte; infatti, tendono a reperire informazioni che
confermano le loro opinioni politiche ed ignorano le prove che contraddicono falsificano i
loro punto di vista. Tendono a disprezzare le persone che non condividono le loro idee.
3. Vulcans etichetta derivante dai vulcaniani di Star Trek. Essi affrontano la politica con
approccio scientifico e razionale. Voi hanno opinioni ben fondate sulle scienze sociali e sulle
dottrine politiche. Sono consapevoli delle proprie idee solo nella misura in cui esse sono
supportate da evidenze empiriche. Si interessano di politica ma in maniera spassionata
proprio per evitare di risultare di parte e irrazionali. Non ritengono che chiunque la pensi in
maniera diversa da loro sia stupido o ignorante.
Brennan, afferma che queste categorie sono idealtipi. Soprattutto nel caso dei vulcans, nessuno può
esserlo al 100%. Forse per questo motivo li ha chiamati vulcans, prendendo in prestito il nome
dell'universo fantascientifico di Star Trek, proprio a rafforzare la tesi della loro natura finzionale.
Hobbits e Hooligans sono meno idealtipici, nel senso che nella realtà ci avviciniamo parecchio a
quei modelli.
Dieci anni prima, Westen, psicologo, pubblicò un lavoro dal titolo “The Political Brain”, la mente
politica. In quel libro, egli rese noti e spiegò i risultati della sperimentazione effettuata durante la
fase finale della campagna elettorale per l'elezione del presidente degli Stati Uniti nel 2004. Con il
suo team, individuò 15 elettori convintamente democratici e 15 elettori convintamente repubblicani
e interpretò, le reazioni di questi elettori alla lettura di alcune frasi e citazioni dei due candidati
principali alla Presidenza degli Stati Uniti. L'esperimento constava di alcuni insiemi di affermazioni
contenenti una chiara incoerenza e sottoposta al campione. Una volta entrato nella macchina per la
risonanza magnetica, il soggetto sottoposto al test vedeva una serie di slides, dove la prima
riportava una frase di uno dei candidati e la seconda invece un'affermazione dello stesso candidato
che contraddiceva la prima, suggerendo così l'attivazione di un conflitto nella mente dell'elettore. La
terza era mirata a far riflettere il soggetto osservato sull'eventuale contraddizione tra le due
affermazioni appena lette e la quarta chiedeva di valutare il grado di incoerenza di quanto ho letto
su una scala da uno a quattro. Risultato: I soggetti sottoposti al test hanno rilevato senza alcun
dubbio le contraddizioni del candidato avversario, giudicandole molto evidenti, mentre hanno
valutato come minima l'incoerenza del proprio candidato preferito. Le evidenze empiriche della
ricerca dimostrano quindi che gli elettori fortemente identificati in un partito tendono a ragionare
per giungere a conclusioni emotivamente condizionate e ciò risultò rafforzato anche dalle impronte
neurali mostrate dalla risonanza magnetica. Di fronte a informazioni scomode, il cervello prende
atto del conflitto tra informazioni e desideri e prova immediatamente a spegnere l'incendio generato
dalle emozioni spiacevoli, cercando il producendo argomentazioni per giustificare l'incoerenza del
proprio candidato preferito. Una volta che gli elettori identificati con un partito hanno trovato un
modo di giungere a conclusioni false, ma in qualche modo per loro confortevoli, non solo si sono
disattivati i neuroni normalmente coinvolti nelle emozioni negative, ma si sono accesi quelle
associate alle emozioni positive. Si erano talmente convinti dell'interpretazione di parte che hanno
attivato i circuiti della ricompensa, con un effetto di rinforzo delle loro convinzioni. Questa reazione
è nota come effetto ritorno di fiamma, vale a dire che di fronte a informazioni, fatti o dati che
confutano la mia idea, io posso benissimo convincermi ancor di più di essere nel giusto e rafforzare
la mia posizione. Troverò il modo facendo cherry-picking, ovvero scegliendo o inventando una
chiave di lettura utile al mio scopo che mi convincerà più di prima di essere nel giusto.
Questo esperimento ci dice quindi che la mente politica è una mente emotiva. Noi interpretiamo
sempre ciò che viviamo, vediamo, ascoltiamo e leggiamo attraverso un filtro, un pregiudizio che
spesso è di natura gruppista.(Esempio sorrisetto di Bush). La verità sta negli occhi di chi crede e
ognuno vede la sua verità. Se è vero che la realtà esiste indipendentemente dalla mente umana, è
vero anche che la comprensione e l'interpretazione di quella realtà dipendono dal nostro sistema di
credenze: vediamo ciò che vogliamo vedere, in base a ciò in cui crediamo.
L’ERRORE DI CARTESIO
Non è solo la mente politica ad essere emotiva. È la nostra mente in generale a esserlo. “Noi siamo
macchine pensanti che si emozionano, siamo macchine emotive che pensano”. È ormai ampiamente
dimostrato che sentimenti, emozioni, corpo e mente sono interdipendenti. Non esiste l'individuo
cartesiano protagonista di modelli teorici come quello della rational choice theory, un calcolatore
privo di passioni che si informa perfettamente, valuta tutte le conseguenze delle sue azioni, per
prendere la decisione migliore in assoluto. Tutti noi siamo più o meno emotivamente condizionati
nelle nostre scelte e questo non è necessariamente un problema. Anzi ad esempio, chi per ragioni
traumatiche non riesce più a far dialogare la parte del cervello deputata al ragionamento con la parte
più emotiva, finisce per prendere decisioni pessime, anche se valutate razionalmente.
Il caso storico più famoso a tale proposito è presente nel libro di Damasio “L’errore di Cartesio”.
Phineas Cage era un operaio che durante i lavori di costruzione delle ferrovie statunitensi subì un
grave incidente; mentre stava pigiando con un'asta la polvere da sparo la polvere esplose e l'asta si
trasformò in un missile che si conficcò sotto lo zigomo sinistro per poi uscire dalla parte destra del
cranio tra la zona frontale e parietale. L'anomalia dell'incidente e ciò che avvenne in seguito. A
pochi minuti dall'evento Cage era già in grado di parlare ed era cosciente. Qualche giorno dopo
camminava perfettamente. In sintesi, non aveva subito danni né al sistema cognitivo né al sistema
motorio. Era apparentemente come prima. In realtà Cage era diventato un altro. Sebbene tutte le
funzioni principali del sistema cognitivo fossero funzionanti, aveva completamente modificato la
sua personalità. Era diventato intrattabile, bestemmiatore e svogliato. Pertanto, fu licenziato dalla
società e iniziò un lungo calvario che lo condusse a morire solo e depresso.
Perché questo caso dovrebbe dimostrare che Cartesio aveva torto? Perché Cartesio sosteneva che le
emozioni ci fanno prendere decisioni irrazionali e che dunque bisognasse saltare il lato logico
razionale dell'individuo. Ma quello che Damasio dimostra nel suo libro è che una persona la quale,
per ragioni traumatiche, dovesse subire una qualche scissione tra il cervello senziente e quello
razionale, non arriverebbe a decisioni perfettamente razionali. Tutt'altro. Rischierebbe di diventare
una persona sociopatica, non in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Insomma, il
nostro è un cervello emotivo e questo non è propriamente un problema, al contrario è ciò che rende
l'uomo un animale sociale e integrato nella sua comunità. Il problema è dunque che, spesso, il
nostro cervello emotivo rischia di restare intrappolato in una sorta di sequestro emozionale e cade in
errore ( i cosiddetti bias cognitivi). Westen ha dimostato che in politica i bias del gruppismo sono
molto forti e condizionano fortemente le nostre interpretazioni delle informazioni e le nostre
decisioni finali. Il primo esperimento effettuato per dimostrare la forza dei bias derivanti dal
gruppismo è il “Robbers Cave Experiment” ( spiegare esperimento gruppi di bambini pag. 127). La
conclusione dell’esperimento è che una competizione per risorse scarse genera immediatamente una
fortissima identità di gruppo, anche se quel gruppo è appena nato e non ha alcun fondamento storico
o culturale.
In generale, questi pregiudizi accadono perché il nostro cervello funziona con due motori, definiti
sistema 1 e sistema 2. Il sistema 1 è un motore automatico (inconscio) e ci permette di prendere
decisioni rapide ed immediate, sulla base dell’intuito. Il sistema 2 (pensiero logico-riflessivo)
invece, viaggia al minimo e viene attivato quando il sistema 1 si trova di fronte a una difficoltà; è il
regno del ragionamento e della logica. Un caso classico per spiegare la relativa autonomia del
sistema 1 e la possibilità che ci induca in errore è “ L’illusione di Muller- Lyer” (due segmenti
apparentemente diversi ma hanno la stessa misura pag-129). L’impressione stride con la verità e
mette costantemente in discussione.
I TIPI DI COMPORTAMENTO ELETTORALE
L’identificarsi in un partito è un’ottima scorciatoia per ridurre gli sforzi e prendere una decisione di
voto. Ciò non significa che il nostro voto è sempre fedele e immodificabile. Al contrario, la
volatilità elettorale aumenta considerevolmente in tutte le democrazie contemporanee e dunque
l’elettore è sempre più libero di scegliere. Tuttavia anche nella scelta più libera, l’identificazione
con un partito resta una potente scorciatoia cognitiva; quindi possiamo anche cambiare partito
continuamente da un’elezione all’altra, ma restare fortemente tifosi.
è possibile distinguere 4 tipi di elettore, in base a 4 modelli:
Modello 1 elettore razionale; si basa sugli assunti della rational choice theory. In base a questo
modello l’elettore dovrebbe cercare tutte le informazioni possibili su tutti i candidati al fine di
identificare il candidato che più si avvicina alla massimizzazione dei suoi interessi. Incarna quindi il
Vulcan di Brennan e quindi si tratta di un idealtipo, quest’elettore non esiste, perché le nostre
capacità cognitive sono limitate.
Modello 2 elettore identificato; Solitamente si informa di politica, ma non lo fa per arrivare ad
una scelta ponderata, bensì per confermare la sua decisione preventiva. Cerca informazioni a
conferma delle sue credenze al fine di limitare il disagio di trovarsi di fronte a notizie che possano
mettere in crisi quelle credenze. E se qualora dovesse accadere, immediatamente attiverebbe tutte le
ragioni possibili per validare ancora di più la sua decisione (effetto ritorno di fiamma).
Modello 3 elettore veloce e frugale; versione “umana” del modello 1; Dati i limiti delle capacità
cognitive, un elettore non identificato che volesse provare a fare una scelta spassionata, potrebbe
isolare solo una o due tematiche rilevanti e valutare i candidati sulla base delle loro posizioni su
questi temi. Per questo è definito elettore veloce, risparmiando tempo e sforzi cognitivi, giunge alla
sua scelta di voto.
Modello 4 simile al modello 3, ma anziché fare affidamento sulla sua razionalità limitata, si basa
sulle sensazioni e sulle intuizioni. è il cosiddetto voto di pancia.
Dunque, incrociando questi modelli, si può notare che il modello 1 e 3 delineano un elettore con
un’attivazione più o meno forte del sistema 2, e il modello 2 e 4 evidenziano una prepotenza del
sistema 1.
L’ELETTORE CONTEMPORANEO (PAG.136) ?
CAPITOLO V- MARKETING POLITICO E MARKETING COMMERCIALE
I DILEMMI DEL MARKETING IN POLITICA
Parlare oggi di marketing così come di “retorica”, significa spesso attribuire una connotazione
negativa alla comunicazione politica. Ma in realtà, Michele Rosco afferma che non c’è democrazia
se non c’è ricerca del consenso, capacità di orientare la maggioranza verso decisioni ritenute utili
per tutti e sforzo di creare un’opinione chiara sulla gestione della cosa pubblica; non a caso l’arte
della persuasione nasce insieme alla democrazia e prende un nome: retorica. Oggi retorica è una
cattiva parola, ma un tempo l’arte retorica era la base dell’oratoria, infatti, Socrate, Platone e
Aristotele svilupparono una vera e propria arte di persuasione (retorica).
Nel mondo contemporaneo non abbiamo l’equivalente della retorica per gli antichi greci; le uniche
tecniche di persuasione a disposizione sono quelle di marketing. Il marketing però anche esso non
ha una buona reputazione: in primis perché nasce in ambito commerciale e nel mondo del mercato
basato su assunti economici lontani da quelli politici e democratici; infatti, il marketing è
considerato uno dei responsabili della depoliticizzazione delle società contemporanee. Abbiamo
però due schieramenti per quanto riguarda il marketing: c’è chi sostiene che solo grazie alle
tecniche di marketing si può catturare l’attenzione di un elettorato sempre più disinteressato alla
politica, coinvolgerlo e portarlo a partecipare ai processi democratici; e di fatti, per loro il marketing
politico è inteso come un’attività orientata a stabilire e mantenere le relazioni di un lungo periodo
con gli elettori; e chi invece, sostiene che proprio queste tecniche contribuiscono a disconnettere
l’elettorato dalla politica e a incrementare disinteresse verso la sfera politica e per loro il marketing
politico non è che la scienza che mira a manipolare i comportamenti di massa in contesti
competitivi.
Ciò che rende retorica e marketing indigesti è che l’optimum consisterebbe nel convincere non nel
persuadere; cioè, ragionare su soluzioni ottimali, non spingere affinché gli elettori scelgano quelle
più utili alle aziende o ai partiti. Oppure perché il marketing politico sta trasformando le leadership
in followship, ovvero inseguimenti delle oscillazioni dell’opinione pubblica al fine di effettuare
continui riposizionamenti sulla base delle opzioni più gradite alla massa di consumatori-elettori.
Per quanto riguarda il marketing commerciale, nello specifico, nessun brand riesce a sopravvivere
nel lungo periodo; dunque, fidelizzare gli elettori consumatori se non ha un perché, una vision o un
purpose forte e chiaro che prescinda dall'inseguimento dell'opinione della massa. Ciò non significa
rinunciare a fare market intelligence, ovviamente, o a cercare feedback provenienti dai consumatori;
ma significa che l'ascolto dovrebbe essere la seconda fase, non la prima, di un approccio market
oriented. La prima resta la vision, tutto comincia dal perché. Questo è l'antidoto per evitare che si
sia governati dall'opinione della massa e che la democrazia diventi una sondocrazia permanente.
Ma qual è la ragione per cui Apple, Disney, Nike riescono a fidelizzare i propri clienti e i partiti
politici non riescono a farlo con i propri elettori? Innanzitutto, fare marketing commerciale non
equivale perfettamente a fare marketing politico. Ma la ragione più importante a che fare con la
transizione dei partiti di massa ideologici ai partiti mediali-personali. Tutto si può dire dei partiti
novecenteschi tranne che non fossero in grado di avere un elettorato fedele; l'identificazione
partitica era forte e il brand sul mercato elettorale era il simbolo del partito e la ragione per cui quei
partiti fidelizzavano era perché la vision era chiara e forte. A partire dagli anni 70 però nella fase
post ideologica, la vision comincia a perdere terreno; da quel momento la persona sostituisce il
simbolo di partito come brand da votare e una persona è sia più vulnerabile di un'idea sia più
volatile e incoerente.
Il marketing, quindi, nasce nell'economia e prende piede anche in politica per numerose ragioni. In
primis la nascita della società di massa e della società dei consumi. A queste trasformazioni se ne
aggiungono altre, che hanno spinto il sistema politico, e quello mediatico e l'opinione pubblica nella
medesima direzione, ovvero la personalizzazione, l'individualizzazione, la mediatizzazione e il
consumismo. E questa direzione rende oggi inevitabile il ricorso a strumenti di marketing. È
possibile fare marketing in mille modi diversi e dunque si può anche provare a renderlo uno
strumento utile per la democrazia. A maggior ragione se si fa riferimento a una definizione che
afferma che il marketing politico costituisce l'insieme di tecniche mediante le quali
un'organizzazione politica: trasmette i suoi messaggi ai sostenitori; lavora per sviluppare la propria
credibilità e una relazione di fiducia con i sostenitori; interagisce con i sostenitori e il pubblico in
generale al fine di modificare in corsa politiche e strategie; fornisce a tutte le parti interessate un
livello di informazione attraverso i diversi canali; offre attività di formazione e materiale per le
campagne dei candidati; cerca di influenzare e mobilitare gli elettori al fine di sostenere i candidati.
autonomamente e gratis; invece, i messaggi politici sono molto spesso riportati dai news media
in forma gratuita;
-g. Una società che sta sul mercato come unico obiettivo il ritorno sugli investimenti, per cui
può accontentarsi di una quota di consumatori anche non maggioritaria, al contrario un
candidato politico deve puntare sempre alla più ampia quota di mercato.
-h. Obiettivi e strumenti di venditore e candidati politici sono diversi. Il venditore mira al
profitto. Il candidato mira al potere.
Per Kotler quindi un aspirante candidato dovrà necessariamente adottare un approccio di marketing
politico, con inevitabili similitudini col marketing commerciale.
MARKETING POLITICO E COMMERCIALE. UN APPROCCIO CHE LI ALLONTANA
Se Kotler mira principalmente ridimensionare le differenze tra marketing commerciale marketing
politico, Lock e Harris hanno invece provato a individuare e a concentrarsi su alcune differenze
significative tra i due tipi di marketing:
1. In ogni elezione, tutti i cittadini esprimono le loro scelte nello stesso giorno. È molto raro
trovare decisioni di acquisto con questa caratteristica e certamente nessuna che possa
riguardare un gran numero di persone. I consumatori cioè, possono acquistare la quasi
totalità dei prodotti in momenti diversi. Inoltre, mentre i sondaggi di opinione e le tecniche
di market intelligence sono molto simili, queste ultime possono considerarsi aggregazioni di
opzioni di acquisto reali, le intenzioni di voto sono del tutto ipotetiche e non
necessariamente si tradurranno in voti veri e propri.
2. Mentre un consumatore che acquista un prodotto conosce sempre il suo prezzo, un elettore
non ha a disposizione alcun prezzo per la sua decisione di voto. Scegliere un'opzione
politica piuttosto che un'altra può dipendere dalla previsione delle conseguenze di questa
decisione. In questo caso, c'è invece una grande somiglianza tra il comportamento post
acquisto e il comportamento di voto. In entrambi i casi, ci si può pentire di aver preso una
decisione particolare; tuttavia, il consumatore ha diverse alternative nel breve periodo per
rimediare, l'elettore no.
3. I votanti sono consapevoli che il risultato di un'elezione è una scelta collettiva e che devono
accettare il risultato finale del voto, anche qualora andasse contro la loro preferenza. Ciò è
diverso rispetto alle scelte dei consumatori. In quel caso, la decisione di acquisto è
indipendente dall'atteggiamento verso un determinato prodotto che altri consumatori
possono avere. È dunque una scelta individuale.
4. La logica anglosassone del winner takes all, del sistema maggioritario in collegi
uninominali, in cui chi vince prende tutto, non ha eguali nel mercato dei prodotti.
5. Un partito politico o un candidato sono prodotti immateriali e complessi che l'elettore non
può disaggregare. Di conseguenza la maggior parte degli elettori deve effettuare le proprie
valutazioni su un'idea generale o su una sorta di messaggio preconfezionato.
6. Mentre è possibile influenzare la direzione di un partito a livello locale o nazionale, la
possibilità di introdurre un nuovo brand partitico è piuttosto remota.
7. Nella maggior parte dei casi di marketing commerciale, i brand leader tendono a imporsi per
diverso tempo sui competitor, nelle democrazie competitive invece spesso chi vince le
elezioni fatica a confermarsi e a vincere le elezioni successive.
8. Mentre un brand di mercato può essere poco noto ai consumatori è molto raro che esso
generi reazioni negative di avversione o di odio come accade ai brand politici.
Un'ulteriore differenza rilevante ha a che fare con le caratteristiche di base della politica e
dell'economia. Per quanto un'azienda possa essere grande e occupare diversi settori di mercato, essa
non avrà mai a che fare con tutti i settori, i temi e le problematiche che affronta la politica. Il
concetto di primato della politica rimanda anche alla sua universalità: la politica si occupa
potenzialmente di ogni aspetto della vita dei cittadini; le politiche pubbliche hanno a che fare con
diritti e doveri dei cittadini così come con sanità, istruzione, industria, sport, ambiente ecc.
CAPITOLO VI- MARKETING POLITICO. FASI, AZIONI E CONCETTI CHIAVE
COS’E’ UN APPROCCIO MARKET ORIENTED IN POLITICA
Cosa significa adottare tecniche di marketing? Come si imposta una strategia? Quali sono le fasi da
seguire e quale ordine? Il punto di partenza sarà il modello C-D-A ovvero Capire, Decidere, Agire.
La parola chiave è strategia, che vuol dire prima di tutto definire gli obiettivi da raggiungere.
L’obiettivo più ovvio è quello di essere eletti o di vincere le elezioni. Ma ne esistono anche altri,
Lees-Marshment ne elenca 16: far sì che un tema entri a pieno titolo nell’agenda politica; aumentare
la consapevolezza su una tematica complessa (immigrazione); stimolare la mobilitazione per una
tematica emergente (cambiamento climatico); garantire una migliore rappresentanza; far adottare
specifici provvedimenti legislativi (matrimoni gay); modificare alcuni comportamenti sociali; e
molti altri..
Lees-Marshment sostiene inoltre che il mercato politico non è composto solo da elettori, bensì da 14
stakeholder diversi: elettori, iscritti, finanziatori, staff interno ed esterno al partito, politici, lobbisti,
pubblica amministrazione, ordini professionali, sindacati, mass media, agenzie di regolazione,
avversari politici e esperti di settore.
Da questi due elenchi, possiamo comprendere quanto gli obiettivi possano essere eterogenei e
cambiare a seconda dei contesti. Ad esempio, una volta al governo, gli stakeholder aumentano
necessariamente rispetto ai target fissati durante una campagna elettorale. In un approccio strategico
e di marketing, dunque, la prima cosa da fare è stabilire e definire l’obiettivo da raggiungere, che è
il primo passo per porre le basi della strategia.
CAPIRE. FARE RICERCA PER DEFINIRE LA STRATEGIA
La fase iniziale ha a che fare con l’analisi del contesto competitivo e riguarda una serie di attività
propedeutiche all’impostazione della strategia e alla partenza della campagna. Una buona regola per
far si che tutte le attività di ricerca siano fatte a dovere e che si arrivi all’impostazione di una
strategia è quella di partire per tempo, perché bisogna avere tempo di incrementare la visibilità e
stabilire la strategia per evitare che il profilo del candidato sia deciso e descritto dagli avversari
anziché dal nostro team. In questa prima fase, la prima cosa da considerare è l’impianto normativo
che concerne tutte le regole e il sistema elettorale. Quest’ultimo costituisce una variabile importante
ai fini dell’impostazione della strategia, nel senso che l’offerta politica deve tenere conto anche del
tipo di sistema elettorale. ( esempio Movimento 5 stelle diverso nelle elezioni politiche, regionali e
comunali pag.179). Dunque il sistema elettorale con tutte le sue regole, è il primo fattore da tenere
in considerazione nella fase di analisi del contesto competitivo. Allo stesso modo, occorre porre
attenzione alla storia e alla geografia del territorio che ci interessa: la storia elettorale ci interessa
per comprendere se c'è una continuità tale nei risultati da rendere una lezione particolarmente
complessa e la geografia ci serve per capire se quella continuità è concentrata in alcune zone
specifiche del territorio per segmentare gli elettori. Spesso la geografia elettorale si incrocia con i
fattori socio economici e demografici.
Un'altra area di ricerca molto importante è quella degli attori in campo. Un'elezione ma sempre
affrontata in termini relativi, non assoluti. Non ci siamo solo noi, tutto va commisurato con i nostri
avversari. Ciò significa che nella fase del capire, occorre studiare approfonditamente i nostri punti
di forza e di debolezza, così come quelli degli avversari, al fine di giungere a un profilo di identità
credibile e magari vincente. Anche in questo caso, sondaggi, focus Group e altre ricerche qualitative
sono di vitale importanza. I sondaggi in particolare quello iniziale (benchmark) servono per capire
quali sono le priorità e le problematiche più urgenti per i cittadini e per misurare la notorietà del
nostro candidato e la fiducia che gli ispira, dunque il sentiment generale verso la sua persona.
L'analisi degli attori in campo va anche oltre il nostro candidato e i suoi competitor. Esistono 7
collegi della politica, ovvero 7 ambiti influenti e da tenere sotto controllo sia in campagna elettorale
che in campagna permanente:
1. Il collegio politico nazionaleha a che fare con i leader e le segreterie nazionali del partito
a supporto della candidatura. I leader nazionali sono brand ambassador essenziali per una
candidatura e spesso la loro presenza nella incide sull'esito finale.
2. Il collegio politico locale riguarda i coordinatori e le segreterie regionali e locali del
partito.
3. Il collegio di categoriariguarda gli stakeholder più influenti di un dato territorio, ad
esempio gli ordini professionali o i sindacati.
4. Il collegio degli influentiriguarda tutte quelle personalità pubbliche in grado di incidere
sull'agenda dei media e sul percepito degli elettori.
5. Il collegio della concorrenza Opposition research, l'insieme delle indagini mirate a far
emergere i punti deboli, le contraddizioni e le criticità degli avversari. Spesso va svolta
insieme all'analisi SWOT, un'analisi comparativa dei punti di forza e di debolezza del nostro
candidato, nonché delle opportunità e dei pericoli che potrebbero arrivare nel dipanarsi della
campagna.
6. Il collegio dei mediaovvero la stampa professionistica e news media. È importante gestire
rapporti con questi attori in quanto, la stampa spesso imposta e impone l'agenda politica,
stabilisce i temi di cui discute l'opinione pubblica.
Segmentare gli elettori è fondamentale per individuare i target della campagna e dare forma al
messaggio e allo sviluppo strategico dell'offerta politica. Nel marketing, la segmentazione il
processo di suddivisione dei consumatori in gruppi sulla base di caratteristiche comuni, al fine di
massimizzare l'efficacia della promozione di beni e servizi verso ciascun gruppo e il
coinvolgimento delle persone all'interno dei segmenti; le macro categorie utilizzabili per
segmentare gli elettori sono: segmentazione geografica; segmentazione demografica;
segmentazione psicografica; segmentazione comportamentale. Una volta individuati, i segmenti
politicamente significativi devono essere selezionati strategicamente al fine di massimizzare
l'efficacia delle risorse disponibili. A quel punto essi diventano i target della comunicazione
elettorale. Il processo di targettizzazione odierno è cambiato e si parla di un'evoluzione in quattro
fasi:
qualitative sono spesso report narrativi anziché numerici o statistici. Le indagini qualitative scavano
in profondità oltre le opinioni stesse per far emergere valori, credenze e atteggiamenti. Gli strumenti
usuali di questo tipo di ricerca sono i focus Group, l'osservazione partecipante, le interviste in
profondità, l'etnografia.
I focus Group sono campioni ridotti composti da 8/10 persone che conversano sotto la guida di un
moderatore, quest'ultimo ha il compito di sollecitare le loro reazioni a uno stimolo, come uno spot
pubblicitario o nel contesto politico le reazioni verso il leader e i messaggi politici. Non hanno
l'ambizione di essere rappresentativi di un universo statistico, ma solo di segmenti specifici e i
componenti vengono reclutati in base a precisi obiettivi della campagna. I diversi utilizzi dei focus
Group possono essere divisi in tre categorie principali:
1. Orientati alla scopertai focus Group vengono utilizzati per scoprire e comprendere tutti
gli spunti di riflessione che emergono dagli elettori quando sono sottoposti a uno stimolo
specifico.
2. Orientati allo sviluppo il focus corrompe in questo caso vengono utilizzati per giungere o
delle dimensioni precedentemente identificate nella fase di scoperta; gli obiettivi sono mirati
ad ascoltare il più possibile i pensieri liberi dei partecipanti.
3. Orientati alla definizionei focus Group vengono utilizzati per definire la formulazione
delle domande prima che inizi la fase di ricerca quantitativa.
Un altro strumento interessante di ricerca qualitativa è la dial meter analysis che consiste nel vedere
una trasmissione televisiva a un gruppo di persone equipaggiate con un piccolo telecomando che
permette di misurare in tempo reale il gradimento di atteggiamenti e dichiarazioni di esponenti
politici.
Questi strumenti di ricerca sono tutti molto utilizzati nel marketing commerciale, meno in quello
politico, dove prevalgono le indagini quantitative e i sondaggi. È anche una ragione di efficacia ed
efficienza, ossia di tempo e di risorse a disposizione. È chiaro che una grande azienda ha più tempo
per pianificare una campagna di lancio di un prodotto, la politica ha sempre meno risorse anche
sempre meno tempo. Ciò riduce la possibilità di lavorare una strategia.
DECIDERE. BRAND STRATEGY, POSIZIONAMENTO, SLOGAN, MESSAGGIO E
ISSUE
Una strategia deve partire dal capire e procedere con la definizione di alcune attività fondamentali
muovendo da quella analisi iniziale. Tenendo presente però che il contesto non va considerato come
statico, la ricerca non si ferma mai.
Non è sempre detto che i candidati uscenti (incumbent) partino sempre in vantaggio rispetto ai
competitor, anzi, ma è abbastanza certo che la loro campagna sia impostata su quanto realizzato
durante il mandato che si chiude. Tuttavia, ciò rischia di appiattire sul presente una campagna che
deve sempre e comunque guardare al futuro e andare incontro alla voglia di novità e ai sogni degli
elettori. Karl Rove diceva che gli incumbent che impostano la campagna di rielezione sul passato
vengono spesso sconfitti. Deve esserci quindi sempre un mix tra nuovi sogni, nuove promesse e
rivendicazione dei successi ottenuti.
Parlando di strategia, il concetto che forse è diventato più importante in assoluto, nell'era della
politica personale è quello di brand. Quello di branding è un concetto molto importante nel
marketing, sia commerciale che politico. Nella società industriale, il valore era costruito dai partiti
di massa e dal loro motore ideologico e organizzativo. E la scorciatoia cognitiva era il simbolo di
partito, rappresentativo di credenze stabili e di un'appartenenza comunitaria. Nella società post-
industriale, dei consumi, gran parte del valore aggiunto arriva dai leader e dall'offerta politica
complessiva che essi racchiudono nell'immaginario e nel percepito di massa. La scorciatoia
cognitiva diventa quindi una persona, un io.
Che cos'è il political brand? L'immagine, l'insieme delle impressioni, delle sensazioni, che un leader
o un partito generano nella mente dei cittadini. Così come nel marketing commerciale la marca non
coincide col prodotto, così in politica il brand non coincide con le singole scelte di policy; è
qualcosa di più astratto, una percezione complessiva degli attori politici, talmente rilevante da
essere il fattore più importante per decidere chi e cosa votare. Il prodotto è il che cosa, mentre il
brand ha a che fare con il come e con il perché. Di conseguenza, i programmi e le decisioni di
policy sono interpretati dai cittadini come più o meno in linea rispetto al brand, ma non
costituiscono il brand. Conley Sostiene che vi sono 5 principi da seguire per ottenere una brand
strategy di successo:
1. Market research il primo passo muove sempre dal capire. Leader, candidati e partiti
devono riuscire a ottenere una chiara comprensione del percepito dell'opinione pubblica nei
loro confronti e una volta individuati isolare target di comunicazione strategica al fine di
costruire una relazione con essi.
2. Brand design l'elaborazione la progettazione del brand, in particolar modo nel lavoro di
design concettuale e psicologico.
3. Brand implementatione si continua col come e con l'agire. L'essenza concettuale del brand
deve essere fatta propria e incarnata dalla leadership, dai candidati e dai volontari di partito.
4. Brand Communication and managementqui siamo a che cosa. La gestione del brand e la
sua comunicazione integrata e crossmediale sono le leve attraverso cui relazionarsi col
pubblico ed eventualmente riposizionarsi.
5. Brand deliveryanche qui siamo al che cosa. Gli ideali e i valori di un brand devono
permeare il comportamento del partito e dei leader così come le promesse e le singole policy
elaborati e messi in opera dal governo.
Uno dei problemi più rilevanti nella politica contemporanea è la fragilità del brand. Per ovviare a
questo problema è stato elaborato un modello brand-oriented per i partiti politici, finalizzato proprio
a gestire la brand equity degli stessi, ossia il livello di conoscenza differenziazione rispetto agli altri
e il tipo di sentiment verso il marchio da parte dei cittadini. Il modello è diviso in quattro fasi:
1. Identificare e definire valori chiave e posizionamento del brand comprendere quali siano
le associazioni mentali più importanti tra i lettori e brand; comprendere ciò che il brand
rappresenta e come dovrebbe posizionarsi rispetto ai concorrenti; individuare le
caratteristiche distintive in grado di generare associazioni forti e uniche per il brand; provare
a ridurre eventuali svantaggi competitivi rispetto ai concorrenti identificando gli aspetti
condivisi o simili tra la nostra offerta politica e quella degli altri; individuare dei valori
chiave del brand ed elaborare un messaggio utilizzando le parole che emergono dalla mappa
mentale degli elettori.
2. Pianificare e implementare i programmi di marketing del brandcreare gli elementi
identificativi e differenziati del brand (nome, logo, slogan, packaging); costruire
in base alle priorità emerse nella fase di ricerca, mirate specifici target elettorali e soprattutto
in linee coerenti con rationale e theme.
Questi tre elementi danno vita al messaggio elettorale costituiscono gli assi portanti della brand
strategy.
AGIRE. PIANO DI COMUNICAZIONE, MONITORAGGIO E VALUTAZIONE
Il piano di comunicazione e la digital strategy costituiscono l’architrave della fase di azione di una
campagna elettorale, ma anche della campagna permanente. Dopo aver svolto le ricerche iniziali,
approfondito mirate a ottenere i target elettorali e dopo aver deciso gli elementi essenziali
dell'offerta politica, bisogna mettere a terra la strategia. E chiaro che il nostro piano della campagna
verrà stravolto e subirà tanti imprevisti. Il day by day politico-mediatico è un flusso continuo di
crisi e imprevisti che possono modificare o addirittura far cambiare completamente la strategia. Il
piano della campagna contiene tanti elementi a partire dal piano di comunicazione, cioè cosa dire
come e quando. Il cosa dovrebbe essere il più possibile guidato dalla strategia e dal messaggio, il
come ha ovviamente a che fare con tutti i diversi mezzi di comunicazione a disposizione:
- Paid media i mezzi di comunicazione sui quali è necessario un investimento economico
(banner pubblicitari, spot televisivi)
- Earned mediapubblicità gratuita garantita dagli utenti o dalla stampa.
- Owned media canali di proprietà del candidato del partito (siti web, blog, profili social).
La scelta più importante è chiaramente legata ai paid media perché implica anche una pianificazione
della spesa e una gestione attenta e mirata del budget. Ad esempio, un candidato poco noto
dovrebbe partire in anticipo con la campagna elettorale per avere tempo di farsi conoscere e
dovrebbe investire in una prima fase sulle affissioni che hanno come principale funzione quella
della awareness: manifesti su una candidatura per dare visibilità al candidato.
Il piano di comunicazione è solitamente diviso in più fasi:
1. Campagna di lancio della candidatura con l'obiettivo di incrementare la notorietà del
candidato.,
2. Campagna sul campoincrementare credibilità e fiducia nel candidato;
3. Campagna sul programmamira invece al political storytelling, inserendo in un racconto
coerente e credibile la visione che il candidato ha in mente;
4. Campagna sulle issue orientata a isolare e a promuovere solo le tematiche e le proposte
più interessanti per i target individuati;
5. Campagna di mobilitazione finalecon tutte le operazioni per portare gli elettori alle urne,
per non farli sbagliare una volta nel seggio elettorale.
Voi tutte queste fasi devono essere integrate, coerenti e percepite come autentiche, altrimenti
l'effetto sulla percezione del brand ne risentirà.
CAPITOLO VII- LA WAR ROOM
I 10 COMDANDAMENTI DELLA CAMPAGNA ELETTORALE
1. T.I.M.P.S (Time, Information, Money, People, Space) Ogni campagna è prima di tutto
un’ottimizzazione di 5 risorse: tempo, informazioni, denaro, persone e spazio.
Ottimizzare il tempo vuol dire essere tempestivi nelle decisioni, ma anche non sprecarlo per
iniziative o eventi inutili. Il tempo del candidato è forse la risorsa più preziosa. Stesso
ragionamento vale per le risorse economiche, vanno mirate e non dilapidate inutilmente. Ciò
implica una grande capacità di pianificazione e di dedicare tempo alla definizione delle
scelte prioritarie su cui investire denaro. Idem per le persone, vanno usate definendo bene
ruoli e competenze, motivandole e formandole accuratamente e permettendo a ognuno di
fare le cose per cui è portato. Le informazioni intese come notizie, sono ormai il petrolio di
una campagna, tutto si decide lì. Spazio, infine, vuol dire tante cose: dagli spazi pubblicitari
di un piano media, fino alla gestione degli spazi fisici di un comitato elettorale.
2. Attenzione vs. concentrazione Dobbiamo sempre lasciare il segno in pochi secondi.
Catturare l'attenzione ed evitare di sparare a salve. Vale su qualsiasi mezzo di
comunicazione ma vale anche per un comizio, per un incontro con gli stakeholder del
territorio o per un video social.
3. Effetto imbuto della comunicazioneuna volta individuati lo slogan, il messaggio e le
proposte chiave della campagna, bisogna ripeterli continuamente con linguaggio
semplificato e sintetico.
4. Memoria vs. oblio dobbiamo selezionare bene i temi chiavi delle campagne, insistere
sempre su quelle. Meglio espressi sotto forma di racconto perché catturano maggiormente
l'attenzione e permettono di ricordare più facilmente le parole e i concetti chiave.
5. La lettura a scanner dobbiamo sempre pensare per titoli e per immagini, coniugando
brevità e l'utilizzo di parole chiave, foto e video che catturino l'attenzione.
6. Testa vs cuore l'elettore vota per scorciatoie cognitive e quelle più potenti sono
simboliche ed emotive non razionali. Questo comandamento, quindi, ha a che fare con il
cuore contro il cervello, il pensiero intuitivo che cerca le scorciatoie spesso inconsciamente.
Per gli elettori sicuri la scorciatoia è il partito, per gli elettori indecisi il brand più importante
è di solito il candidato.
7. Immagini vs parole dobbiamo sempre pensare in termini di immagini. Ogni evento,
iniziativa o uscita pubblica va curata sotto il profilo delle foto dei video. Le photo-
opportunity sono una risorsa importante. Vanno curati la location, il backdrop o i totem con
logo della campagna, l'illuminazione e lo slogan e il messaggio devono essere sempre in
vista.
8. Importanza vs interesseconcentrarsi su ciò che interessa non su ciò che è importante. Le
cose importanti spesso implicano costi troppo alti per il pubblico.
9. Strategia vs tatticaessere strategici, pianificare a partire dai dati. Capire quanti sono e
dove sono gli elettori indecisi e potenziali, qual è la notorietà del candidato e come farla
crescere e quali sono le priorità degli elettori.
10. La legge di Thomas e il potere dello storytellingla campagna elettorale o permanente e
prima di tutto una battle of narratives, uno scontro tra racconti, narrazioni e storie che
incantano. La legge di Thomas recita così “se gli individui definiscono certe situazioni come
reali esse sono reali nelle loro conseguenze”. Il percepito plasma il reale. Ecco perché le
storie di successo contano ed ecco perché da fake news virali possono derivare
comportamenti reali. Lo storytelling è una tecnica per comunicare informazioni attraverso il
racconto di storie coinvolgenti e significative per il pubblico. Narrazioni e racconti
diventano protagonisti per trasmettere un messaggio e catturare l'attenzione dell'audience e
generare una vera e propria esperienza emotiva. L'obiettivo è quello di coinvolgere il
pubblico, creare un legame emotivo e trasmettere un messaggio in modo che sia facilmente
comprensibile. Per far sì che i racconti racchiudano tutto ciò devono avere sei caratteristiche
riassunte nell'acronimo SUCCESS: Semplici, Spiazzanti, Concreti, Credibili, Emozionali,
presentati sotto forma di Storie.
IL CANDIDATO
La prima domanda più importante di chi decide di intraprendere una campagna elettorale è: Perché
mi candido? Ad esempio, un candidato uscente verosimilmente dirà che si candida per portare a
termine il lavoro iniziato e dunque formulerà un messaggio di continuità e punterà a rivendersi al
meglio le cose già fatte. Viceversa, uno sfidante punterà sugli errori e i limiti dell'amministrazione
uscente e spingerà sulla voglia di cambiamento degli elettori insoddisfatti. Dietro il perché mi
candido, devono intravedersi anche caratteristiche individuali e biografiche del candidato: la sua
passione per la politica, la sua competenza specifica, la sua determinazione, le sue passioni
personali e i suoi valori. Il perché mi candido deve essere coerente con la storia che si vuole offrire
all'opinione pubblica.
La seconda domanda che il candidato deve porsi è: so bene a cosa mi sto candidando e a cosa vado
incontro? Questa è la domanda chiave, specie per chi non è un politico di professione. I candidati
cosiddetti civici possono benissimo avere un'idea della vita politica, ma non è detto che l'idea sia
anche solo vicino al vero. Peraltro, non tutte le cariche politiche istituzionali comportano lo stesso
tipo di conseguenze. Anche la vita politica ha le sue costanti e non è affatto una vita semplice.
Comporta privazioni e sacrifici, è una vita privata che diventa pubblica. Un'altra cosa da tenere in
conto è il passaggio dall'essere una persona senza nemici a diventare inevitabilmente il nemico di
un sacco di persone.
Un'altra domanda ancora fondamentale è: c'è qualcosa del mio passato che possa creare imbarazzo
o problemi di reputazione a me o alla mia famiglia? È una domanda delicata ma possono esistere
problemi di questo tipo in campo politico. È fondamentale che alcuni membri dello staff siano a
conoscenza di eventuali problemi: queste cose in una campagna elettorale vengono fuori. Il vetting
ossia il vaglio, è un'altra operazione molto importante del candidato e bisogna farla proprio come
farebbe un nostro avversario: spulciando sui profili social e andando indietro nel tempo, verificando
tutte le sue uscite pubbliche del passato per avere un punto di vista il più possibile critico del nostro
candidato. Il vetting costituisce un vero e proprio stress test della candidatura. Ecco perché l'onestà
è una scelta logica e conveniente. Sapere in anticipo queste cose non è utile solo a gestire al meglio
l'eventuale crisi, può rivelarsi importante anche per anticiparla. E ciò che il marketing politico
chiama inoculation: se staff e candidato suppongono che un certo avvenimento del passato possa
venire fuori durante la campagna si può decidere di anticipare stampa e avversari rendendoli noti
agli elettori.
Una volta affrontate queste tre questioni e una volta decisa la candidatura, è importante impostare
una valutazione comparativa dei punti di forza di debolezza propri dei principali avversari. Il
metodo più utilizzato è quello della SWOT analisi.
LA FAMIGLIA DEL CANDIDATO
I familiari del candidato svolgono un ruolo molto importante, è fondamentale che il candidato sia
circondato dall’affetto, dal sostegno emotivo e dal supporto psicologico dei suoi cari. E che ciò
emerga anche pubblicamente. Tutti i familiari e amici devono contribuire a supportarlo in ogni fase
della campagna. Tuttavia, è altresì fondamentale che essi siano esclusi da qualsiasi decisione
strategica e operativa. A volte, gli affetti vicini al candidato possono creare problemi e mettere in
discussione scelte importanti, e in una campagna servono razionalità e lucidità e certe intromissioni
pesanti dal punto di vista affettivo potrebbero danneggiare la gestione e la scelta di decisioni
importanti. La famiglia del candidato può però diventare funzionale sotto altri punti di vista. In
un’elezione per una carica monocratica, ad esempio, la famiglia può essere un valore aggiunto
anche in chiave di cattura del consenso, in quanto le caratteristiche personali e affettive diventano
un asset importante in campagna elettorale. Questo dipende sempre però dalla volontà del candidato
di aprire le porte di casa ai media e al pubblico, sempre però con strategia ed attenzione.
Fondamentale è sempre però evitare di sovraesporre i propri cari perché potrebbe creare tensioni e
ansie anche all’interno del nucleo familiare e peggiorare il clima dell’intera campagna.
Un altro accorgimento importante è quello di ragionare sempre sulle aspettative del pubblico. Il
candidato è un politico, non un influencer. Il loro privato deve essere in linea con le nostre
aspettative.
IL KITCHEN CABINET
Ogni candidato dovrebbe avere una sorta di gruppo ristretto di fiducia, un inner circle con cui
confrontarsi frequentemente su tutte le questioni chiave della campagna. Essi sono esperti di settore
che siano in grado di affrontare diversi argomenti con cognizione di causa; possono essere uomini
d’affari, burocrati, intellettuali, professionisti ecc. I componenti del kitchen cabinet sono una sorta
di focus group ristretto e di alto livello con cui confrontarsi; risultano rilevanti in termini di
stakeholder engagement e di governo strategico delle relazioni del candidato. Se queste persone
dichiarano pubblicamente il loro appoggio, possono anche diventare testimonial del candidato a
tutti gli effetti.
IL CAMPAIGN MANAGER ( O STRATEGIST)
Il campaign manager è una figura che gestisce tutte le linee produttive del comitato elettorale: lo
staff, i volontari, la strategia e il budget di tutti i passaggi chiave di una campagna. La figura che
esiste in Italia è il campaign strategist ossia una persona che si occupa di definire la strategia della
campagna, ovvero in sintesi applicare il metodo C-D-A. Spesso questa figura, specie dalla stampa,
etichettata come spin doctor. Solitamente agli strategist è un termine che non piace molto poiché
riduttivo, in quanto II giornalisti usano la parola spin per descrivere ciò che fanno i consulenti
politici ma non implica di base nessun cambiamento sostanziale. Seguendo questa interpretazione lo
spin Doctor ha molto più a che fare col ruolo di portavoce che col ruolo di capo strategia. La prima
regola di una strategia che funzioni è quella di partire per tempo. Iniziare a preparare una campagna
con largo anticipo permette di fare molte valutazioni utili per quanto riguarda l'immagine, il profilo
del candidato, il messaggio e le tematiche su cui puntare. La targetizzazione degli elettori è un
aspetto fondamentale della campagna e si fa necessariamente a partire dai dati. Dobbiamo sapere
chi sono e dove sono coloro che ci voteranno sicuramente, coloro che potrebbero votarci e coloro
che andranno a votare sicuramente o potrebbero non farlo. È fondamentale quindi fare ricerche per
costruire il posizionamento, l'immagine e il profilo del candidato e tutto ciò si fa tramite diversi
istituti demoscopici, per avere più dati a disposizione. Sicuramente i sondaggi partendo da un
benchmark poll fino a un tracking poll per verificare le evoluzioni della strategia nel tempo. Inoltre
ci sono i push poll, sondaggi molto brevi ma che coinvolgono un campione molto ampio e sono
mirati a persuadere gli elettori indecisi: sono strumenti di telemarketing mascherati a sondaggi,
spesso incentrati su messaggi negativi per mettere in cattiva luce gli avversari. Il campaign
strategist è anche la figura che tiene i rapporti con i sondaggisti, per verificare quante rilevazioni
fare, quando farle e cosa chiedere al campione.
CAPITOLO VIII- LA WAR ROOM 2
L’UFFICIO STAMPA
L'ufficio stampa è fondamentale per trasformare una campagna. Fondamentalmente è media
management e news management, ovvero gestisce le relazioni con la stampa e fornisce giornalisti
informazioni e notizie. L'ufficio stampa è sempre attivo, anche nei momenti iniziali di una
campagna: dalla rassegna mattutina, alla sezione delle notizie rilevanti ma anche il monitoraggio
delle testate amiche e testate nemiche e controllo dei sondaggi. L'ufficio stampa dovrebbe poter
contare almeno su 4/5 giornalisti coordinati da un capo ufficio stampa, meglio ancora se c'è anche
una sorta di portavoce del candidato: il portavoce svolge un lavoro di media management
importante, egli infatti parla coi direttori dei giornali, coi giornalisti radiotelevisivi e decide a chi
concedere le interviste o a chi dare notizie in esclusiva. Insomma, fa un lavoro di governo delle
relazioni, in coordinamento col capo della strategia. Ovviamente il portavoce e il capo ufficio
stampa devono godere della fiducia del candidato ed è importante che l'ufficio stampa del comitato
sia collegato in tempo reale con gli uffici stampa dei partiti e degli altri eventuali candidati a
supporto sul territorio; ciò è molto utile quando è necessario un intervento di sostegno al proprio
candidato o contro qualche uscita pubblica degli avversari. Il primo atto organizzativo dell'ufficio
stampa deve essere quello di creare una rete di rapporti con gli uffici stampa amici e monitorare
tutte le testate ritenute importanti nel collegio di riferimento. L'ufficio stampa, insieme al team
digital, è di solito anche il più importante produttore di contenuti per il sito del candidato. Il sito
svolge diverse funzioni in particolare di fare da deposito e da memoria dei contenuti online e deve
essere in linea con le tendenze e le aspettative recenti. Inoltre, se il candidato non ha particolare
sensibilità di comunicazione e insiste per fare post sui social particolarmente lunghi, avere un sito
diventa un ottimo alleato per convincerlo a utilizzare i social come si si deve.
La competenza più richiesta per l'ufficio stampa è che deve essere composto da giornalisti e con una
certa esperienza. Meglio ancora se si è già stati giornalisti di una testata di carta stampata o
componenti di un ufficio stampa politico istituzionale. È fondamentale che un ufficio stampa abbia
il senso della notizia e sia in grado di captare in anticipo eventuali sviluppi problematici legati a una
notizia. È l'attore più coinvolto dalla politica istantanea.
GLI SPEECHWRITER
Lo speechwriter si occupa delle “schede”, ovvero spunti per interventi pubblici. Queste schede
vengono create per il candidato per dargli spunti essenziali delle cose da dire e principalmente una
scheda ben fatta dovrebbe avere una specie di anagrafe con su scritto luogo e ora dell'incontro e
durata e un'altra parte con tutti gli spunti per l'intervento. In questi casi gli spunti devono avere due
matrici una interna e una esterna:
1. Esterna Se qualcuno invita il nostro candidato a un evento pubblico, vuole sentirsi dire
qualcosa di specifico. Pertanto, la prima mossa di chi scrive la scheda deve essere quella di
siano persone in grado di utilizzarli al meglio. Principalmente un team digital deve essere composto
da: un responsabile, un copywriter, un art director, un fotografo, un videomaker è un grafico.
È fondamentale che il team digital sia in sinergia con l'ufficio stampa in maniera tale da coordinare
attacco e difesa su tutti i media. Se si fa un comunicato ebbene anche trasformarlo in un post, se si
va in tv è bene prima annunciare l'evento sui social e poi riprendere e pubblicare i passaggi chiave
dell'intervento, sempre ricordandoci della media logic, cioè sempre trasformando queste uscite in
prodotti accattivanti per l'utenza media delle piattaforme social. Inoltre è molto importante che vi
sia qualcuno del team digital o dell'ufficio stampa sempre in giro col candidato negli appuntamenti
pubblici, in quanto l'addetto stampa nel controllare gli inviati della stampa e verificare per quanto
possibile cosa scrivano e le risorse del team digital dovrebbero filmare e fotografare quasi tutto per
avere materiali utili a montare video efficaci per descrivere la campagna elettorale.
Un'ultima considerazione sui social network riguarda il coinvolgimento dell'agenzia di
comunicazione. E buona norma pianificare la strategia social insieme all'agenzia di supporto;
quest'ultima è il miglior interlocutore per correggere il tiro e per implementare al meglio eventuali
modifiche e per convincere il candidato che certe cose non funzionano. Insieme al team digital, una
War Room ideale dovrebbe dotarsi anche di un team di analisi dei dati.
IL MEDIA TRAINER E IL GROOMER
L'immagine è fondamentale nelle campagne elettorali. Per l'immagine si intende sia il percepito
complessivo di un candidato, sia l'immagine in senso stretto, cioè, cosa ha a che fare con la
comunicazione non verbale e visuale. E dunque importante non sottovalutare alcun aspetto relativo
al look e ai modi di porsi in pubblico del candidato e per questa ragione è una buona idea quella di
avere un media trainer e un groomer in squadra.
Media trainer è un esperto di comunicazione che offre formazione e consulenza per preparare
interviste, ottimizzare le prestazioni televisive, curare tutti gli aspetti della comunicazione. Deve
quindi conoscere perfettamente le diverse media logic ed essere esperto di public speaking,
possedere soft skill al fine di intuire e comprendere le paure e le esigenze del candidato, essere in
grado di fornire feedback utili dopo ogni performance e avere la capacità e l'intelligenza di adattarsi
a contesti anche molto diversi.
Groomer il grooming è quella operazione di pulizia reciproca praticata da diversi mammiferi,
dove in pratica si spulciano. Appunto, il groomer deve “fare le pulci” al candidato sotto il profilo
dell'immagine, sempre coordinandosi con il campain strategist o col media trainer. Solitamente il
groomer è una persona vicina al candidato, di fiducia e che abbia un rapporto di amicizia
consolidato, in quanto deve poter dire qualsiasi cosa senza il rischio di reazioni sconsiderate. è da
egli che possono provenire suggerimenti utili al team per modificare alcuni aspetti della
comunicazione del candidato.
INFLUENCER, TESTIMONIAL E OPINION LEADER
Fondamentalmente gli influencer servono a viralizzare contenuti, nel marketing commerciale su un
ampliamento utilizzati per veicolare i messaggi pubblicitari e viene chiamato appunto influencer
marketing. L'influencer e dunque una persona che avendo un ampio numero di follower è in grado
di raggiungere con i suoi messaggi un numero potenzialmente alto di utenti sui social network.
Gli opinion leader nascono già in epoche precedenti e nascono esattamente in ambito politico
elettorale. L'opinion leader è una persona che è in grado di influenzare le opinioni altrui in virtù
della sua autorevolezza e credibilità in merito a un determinato tema e solitamente la forza di un
opinion leader deriva dall'essere esperto di settore. Un noto giornalista o un famoso intellettuale
possono essere definiti opinion leader.
Il testimonial invece è un personaggio celebre che presta la propria immagine per promuovere un
prodotto o un servizio e dunque per sovrapporre la propria immagine a quella di una marca.
La politica ha fatto largo uso di opinion leader e testimonial sia in campagna elettorale che in
campagna permanente; diverso però il discorso con gli influencer, poiché si tratta di una categoria
più recente associata all'ascesa dei social network ed è quindi spesso legato ad un pubblico
particolarmente giovane, non sempre maggiorenne e dunque non avente diritto al voto. Tutte e tre
queste figure però costituiscono opportunità importanti per viralizzare il messaggio politico e per
associare l'immagine del leader o del candidato a quella di personalità celebre e influente.
IL RESPONSABILE POLITICO
Fino ad ora abbiamo parlato dell’Air Force ( tutti gli attori che non lavorano sul territorio, ma da
“remoto”). Adesso parleremo delle “truppe di terra”, costituite dai partiti e dai volontari. è molto
importante che vi sia un coordinatore, che in questo caso è il responsabile politico del comitato. Il
suo ruolo è quello di fare da interfaccia con i leader nazionali o regionali e cittadini del partito, di
coordinare gli eventuali candidati a supporto, gli iscritti e gli attori della società civile schierati dalla
nostra parte. Il responsabile politico spesso rappresenta una sorta di vice candidato, può essere il
coordinatore del comitato elettorale e può fare da portavoce politico del candidato ovvero parlare al
suo posto in alcune occasioni: un esempio è l'election day, quando in attesa delle dichiarazioni
ufficiali del candidato, il responsabile politico può essere colui che parla in sua vece e commenta i
primi dati derivanti dai sondaggi. Il responsabile politico deve lavorare a stretto contatto col
campagne strategist, per evitare che tra i due ci sia scollegamento e che in generale si perda di vista
la strategia complessiva.
Inoltre, un ruolo molto delicato che fa capo al responsabile politico è quello di coordinare l'ufficio
elettorale, ossia sovrintendere alla formazione delle liste, alla procedura formale della presentazione
e creare e formare la squadra dei rappresentanti di lista. Dunque, il responsabile politico ha prima di
tutto il compito di coordinare le truppe dei partiti sul territorio, nel caso di un'elezione a sindaco o
presidente di regione, significa coordinare tutti i candidati al consiglio comunale, al municipio e ai
consigli regionali. Quella del responsabile politico è un ruolo importante e delicato ed è
fondamentale che sia presente nell'organigramma del comitato. L'assenza di tale figura determina
un alto livello di caos nel comitato elettorale euno scarso coordinamento politico tra i partiti o
all'interno del partito stesso.
I VOLONTARI E I LEADER MOLECOLARI
I volontari sono una risorsa importantissima in una campagna elettorale, sono fondamentali sia per
svolgere attività ed eventi sia per creare un'immagine positiva intorno al candidato alla squadra. Le
loro azioni principali sono: fare telefonate e mandare e-mail in vista di eventi specifici per motivare
gli elettori indecisi di andare al voto, il volantinaggio, l'affissione di manifesti e locandine. Il reparto
dei volontari può svolgere un ruolo chiave soprattutto nella mobilitazione degli elettori indecisi sul
votare o meno. Dunque, in questo senso i volontari diventano leader molecolari orizzontali
organizzati seguendo un modello che è stato definito a fiocco di neve: al centro e al vertice c'è il
responsabile dei volontari da cui si diramano i responsabili territoriali i quali gestiscono quattro
attività a loro volta gestite da un team leader: il porta a porta, la gestione delle banche dati
telefoniche, l'attività di data entry per l'aggiornamento e la tenuta di tutte le banche dati e il
coordinamento dell'uscita dei volontari sul territorio.
Queste figure costituiscono i nodi di una rete che utilizza le tecnologie più recenti per tornare sul
campo e riattivare ciò che la politica sembra aver perso negli anni della mediatizzazione ovvero
coinvolgimento, interazione dialogo e fiducia. Far sentire gli elettori non numeri ma persone.
La cosa più importante per far funzionare l'esercito dei volontari è la motivazione. Proprio perché
volontari, devono essere mossi da una forte convinzione di lottare per una giusta causa e devono
sentirsi utili alla causa. Chiaramente non vanno sovra-utilizzati ne devono essere sottoutilizzati
poiché possono diventare svogliati, non dare il massimo e ciò non trasmette un’immagine positiva.
Più è numeroso il gruppo di volontari più serve un responsabile con grandi doti organizzative.
Questo compito spetta al responsabile dei volontari, il quale deve lavorare a stretto contatto con il
campain strategist e il responsabile politico, al fine di gestire e coordinare le attività e l'agenda dei
volontari. In ogni caso i volontari diventano ancora più importanti laddove il candidato non può
essere presente e il coordinatore dei volontari deve essere a tutti gli effetti un ottimo gestore delle
risorse umane.
LA SEGRETERIA PARTICOLARE
La segreteria ricopre un ruolo di un'importanza enorme; ufficio che dovrebbe lavorare in contatto
costante col campaign strategist, il portavoce e responsabile politico. La segreteria è il primo motore
di ogni evento e di ogni attività, tiene l'agenda del candidato ed è un ruolo politico e strategico.
Tanta gente vuole incontrare i candidati e il tempo è poco e quindi molto importante una gestione
mirata e funzionale all'obiettivo finale, evitando perdite di tempo e un'agenda piena di cose da fare.
Less is more è un principio che vale anche in questo caso. Successivamente alle indicazioni della
segreteria si possono attivare gli altri uffici del comitato, dall'ufficio stampa al team social fino alla
responsabile politico. Oltre all'agenda, la segreteria particolare svolge altri ruoli importanti: ad
esempio rispondere alle mail o telefonate dei singoli sostenitori oppure ringraziare tutti coloro che
organizzano pranzi e appuntamenti privati. È un po’ l’URP- Ufficio Relazioni con il pubblico- del
candidato.
IL RESPONSABILE DEL PROGRAMMA ELETTORALE
La prima funzione di un programma elettorale e d'immagine: se non c'è l'hai gli avversari te lo
rinfacceranno fino all'ultimo giorno delle lezioni. Ma la seconda funzione è legata al suo utilizzo,
avere un programma permette di poterlo disaggregare e trasformare in frasi ad effetto e proposte
specifiche da comunicare a modi di slogan. La terza funzione è di governo: avere un programma
elettorale consente di non trovarsi del tutto impreparati dopo la vittoria. È fondamentale avere un
responsabile del programma egli serve a imporre una deadline, a dare omogeneità oltre a fare tutte
le verifiche incrociate del caso inoltre aiuta anche oltre che a scrivere un programma elettorale, alla
rilettura col candidato e l'evento di lancio. Il responsabile del programma dovrebbe avere alcune
caratteristiche: conoscere il candidato molto bene, sapere come la pensa il partito, deve essere
autorevole.
GLI ESPERTI DI SETTORE
È molto importante avere degli esperti di settore utile ad arricchire il programma elettorale,
solitamente gli esperti sono di area, cioè politicamente affini al candidato ai partiti. Gli esperti di
settore hanno qualità importanti ma solitamente anche alcuni difetti: prima di tutto ognuno pensa
che il suo settore sia più importanti di altri, poi che le loro proposte siano indiscutibilmente le
migliori. Qui è importante il ruolo del responsabile del programma che deve svolgere anche un
ruolo per mediare tra le posizioni e far capire che tutto conta. Un'altro tratto tipico degli esperti di
settore che solitamente non sono grandi comunicatori.
I DELEGATI DEI PARTITI
L'altra faccia della medaglia sul fronte programmatico è quello dei partiti. Avere una coalizione
anziché un solo partito a supporto significa avere almeno un delegato per il programma per ogni
partito. E soprattutto significa avere la necessità di metter d'accordo tutti. A differenza degli esperti
di settore, i politici considerano questo incarico come una sorta di punizione meritata. Per questo
torna fondamentale l'autorevolezza del responsabile per avere feedback e partecipazione da parte di
tutti. Ai fini di velocizzare e ottimizzare il lavoro complessivo si possono utilizzare due soluzioni:
tavoli tematici con esperti di settori e delegati politici O tavoli politici in cui si affrontano tutti i temi
e si giunge a un programma di massima da sottoporre in seguito agli esperti di settore.
CAPITOLO IX – POLITICS VS POLICY
L’EFFETTO PLACEBO DELL’IPERCOMUNICAZIONE POLITICA
“Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”
affermava William Thomas. Oggi nella società della comunicazione caratterizzata dal sistema ibrido
dei media questo primato del simbolico sul reale appare più che evidente. Alla base del teorema vi è
un’idea simile di Merton: la profezia che si auto adempie. Una supposizione o profezia fa realizzare
l’avvenimento presunto confermando in tal modo la propria veridicità. È una delle ragioni per cui i
partiti tengono molto ad avere buoni dati nei sondaggi pre-elettorali e ancor più ad essere dati per
vincenti nelle risposte alla cosiddetta winner question. Anche l’effetto aspettativa (effetto
Rosenthal) ha molto a che fare con la legge di Thomas: se un soggetto partecipa a un esperimento e
ne è consapevole, può distorcere risultati per compiacere ricercatore.
Infine, possiamo considerare anche il notissimo effetto placebo: una terapia priva di principi attivi,
può essere somministrata al fine di generare effetti benefici basati sulla fiducia nella terapia o nella
sostanza, scatenati da ragioni psicosomatiche, ossia delle aspettative del sistema nervoso. L’uomo,
in quanto animale simbolico, vive una realtà fortemente condizionata dal percepito, il percepito
plasma e modifica il reale. Ma tutto ciò risulta ancora più cruciale nella società dell’immagine e
della comunicazione odierna, e la politica non può che adeguarsi a questo scenario.
Un concetto centrale della società dei consumi contemporanea è la gratificazione immediata, basti
pensare che se abbiamo voglia di vedere un film basta andare su un qualsiasi piattaforma e vederlo
e se vogliamo acquistare qualcosa online basta un click il prodotto ci arriva a casa. Il quadro è
dunque chiaro: il consumatore contemporaneo grazie alle innovazioni tecnologiche ha a
disposizione ogni tipo di servizio di prodotto concepiti per non dover ritardare il suo premio, difatti
le aziende che non si adeguano alla gratificazione istantanea finiscono immediatamente fuori
mercato. Può la politica in questo contesto di gratificazione istantanea riuscire a essere competitiva?
Può ridurre le tasse, ridurre i gap infrastrutturali, azzerare gli sbarchi degli immigrati eccetera? No.
E questo è un problema perché le aspettative del popolo sovrano sono tarate su una logica di
gratificazione istantanea e dunque con quella logica la politica deve necessariamente fare i conti.
Come? Con l’iper-comunicazione. (Esempio uomo che segnalo l’apertura di una voragine sulle vie
consolari di Roma e non aveva avuto la sua gratificazione immediata).
IL LATO OSCURO DELLA FAST POLITICS. IL SIMBOLO DOMINA (leggilo tanto dice sempre
le stesse cose)
I DUE LIVELLI DELLA POLITICA. POLITICS VS POLICY
Esistono due livelli della politica contemporanea:
Politics tutto ciò che ha a che fare con la competizione politica (elezioni, campagne elettorali
ecc). Gli attori chiave sono tutti i protagonisti del circuito politico-mediale, ossia tutti coloro che
hanno un ruolo nella campagna permanente (partiti, leader, stampa, magistratura, social media,
opinione pubblica). In termine di logiche dominanti, vi sono le propagande permanenti, dove gli
attori chiave fanno perno sulla loro visibilità e la cercano a tutti i costi, in cui domina il marketing
politico. Un esempio di agenda politica (temi dominanti ) è la manifestazione dei gilet gialli.
Policy ha a che fare con le politiche pubbliche (programmi, norme, decision-making). Gli attori
chiave sono invece istituzioni, politici, associazioni di categoria, sindacati, grandi aziende ecc. Al
suo interno gli attori preferiscono l’invisibilità mediatica propedeutica al raggiungimento più facile
di accordi politici. Non è una campagna permanente, ma una negoziazione permanente volutamente
all’oscuro dell’opinione pubblica. Il lobbying si sostituisce al marketing politico. Un esempio di
agenda politica è il manifesto ipotetico dei colletti bianchi.
A volte vediamo all’opera governi che miscelano questi due ambiti: è ciò che viene definito
tecnopopulismo: leader politici visibili, con racconti populistici e una squadra fatta spesso da
tecnici, a gestire il backstage della politica messa in scena e le policy da implementare in tempo
differito. Quando i livelli si incrociano però la gratificazione istantanea delle politics spingono sulla
policy. Il principale campo di battaglia diventa il cervello e il principale attore è la comunicazione.
CAPITOLO X- LA CONTROL ROOM PERMANENTE DI GOVERNO
PERCHE’ SERVE UNA CONTROL ROOM DI GOVERNO
La storia recente delle democrazie occidentali ci dice: “il potere logora chi ce l’ha”: all’opposizione
tendenzialmente si cresce, quando si governa ci si logora. Ciò accade per diverse ragioni: le
opposizioni hanno carta bianca su ogni tema; al governo non si può surfare sull’opinione pubblica; i
partner minori di coalizione cercano di smarcarsi per avere visibilità; la stampa fabbrica nuove
insoddisfazioni; la magistratura avvia inchieste che minano la credibilità di chi governa; gli elettori
si comportano sempre pù come consumatori; al governo vi sono le due strade parallele di policy e
politics.
Per tutte queste ragioni, oggi chi governa un’istituzione elettiva deve dotarsi di una serie di
professionalità e di competenze in grado di affrontare e gestire al meglio le 4D del management
politico:
1. Deliberating fare ricerca e stabilire una vision, cioè obiettivi e valori da raggiungere;
2. Designing ha a che fare con la pianificazione strategica e organizzativa, cioè tutto ciò che
va messo in campo per raggiungere gli obiettivi;
3. Doing riguarda l’implementazione e la gestione delle risorse messe in campo;
4. Dancing la dimensione più artistica e talentuosa della politica.
IL MODELLO WEST WING. LA VERSIONE IDEALTIPICA DELLA CONTROL ROOM