LA FORZA DELLA SPERANZA NELLA SOFFERENZA
E NELLA MALATTIA
1. Introduzione
Abbiamo fatto degli esercizi spirituali con p Giovanni Salonia (psicoterapeuta esperto della
Gestalt Therapy) sulla sofferenza e sul dolore ricordando che noi Passionisti dovremmo essere
esperti della sofferenza, esperti del saper stare vicino alla sofferenza. Proprio perché noi
passionisti stiamo ai piedi del Crocifisso, dobbiamo conoscere come affrontare la sofferenza,
come luogo abitato in modo particolare da Dio.
Ci ricordava p. Giovanni che nell’ambito della psicologia-oncologica hanno individuato in
seguito alla diagnosi oncologica cinque fasi di reazione: rifiuto, rabbia, patteggiamento,
depressione ed accettazione (Kubler Ross, morto nel 2004). Queste cinque fasi sono ormai
accettate da tutti, però bisogna aggiungere un’osservazione perché l’ultima fase non può
essere l’accettazione, ma anche nella malattia arrivare all’integrità e pienezza di vita. Riuscire
anche nella malattia a trovare la pienezza di vita1.
Si è visto che ogni essere umano dal punto di vista antropologico ha in sé la forza di portare
la sofferenza, di attraversare la croce, quanto più con l’aiuto della fede.
Inoltre ricordiamo che la sofferenza sta in tutti. L’esperienza della sofferenza è un’esperienza
fondamentale e comune a ogni uomo, nessuno escluso, neanche i bambini. Tutti soffrono
fisicamente, moralmente e spiritualmente. La differenza sta solo nel modo, nel grado, nella
forma. C’è chi soffre di meno e chi di più; c’è chi soffre in un modo e chi in un altro. La
presenza della croce nella vita di ciascuno è fuori discussione. Anzi le possibilità che un uomo
ha di soffrire sono pressoché infinite.
Anche Papa Leone in queste ultime settimane alle Udienze del Mercoledì sta parlando delle
guarigioni e indirettamente parla della sofferenza individuando alcune caratteristiche di chi
soffre:
- il grido di chi soffre, Gesù l’ascolta;
- chi soffre è capace di far appello alle risorse che ci portiamo dentro, che fanno parte di
noi,
- saper mettersi davanti a Dio in tutta la propria fragilità, saper togliere le apparenti
sicurezze,
- non è scontato che vogliamo guarire, Gesù spesso chiede “Cosa vuoi che io ti faccia?”,
- che a volte possiamo essere vittima del giudizio altrui, che ci veste addosso un abito
che non ci appartiene.
Domanda:
- Cosa conosci della sofferenza? Sai ascoltare il grido dei sofferenti?
1
Argentino Paola, La spiritualità è cura: la forza dell’amore nel dolore, Mondadori 2023.
1
2. La testimonianza di Chiara Corbello Petrillo
È la testimonianza di una giovane donna di 28 anni che con disarmante semplicità e serenità,
con fede granitica, racconta il suo fidanzamento non privo di ostacoli con Enrico, conosciuto
proprio a Medjugorje, e i quattro anni di matrimonio durante il quale ha affrontato la perdita
di due figli, Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, morti subito dopo la nascita per gravi
malformazioni. Al quinto mese della terza gravidanza a Chiara fu diagnosticato un carcinoma
alla lingua e prese la ferma decisione di rimandare le cure per non far male a Francesco, il
bambino che portava in grembo. Dal giorno della sua morte, il 13 giugno 2012, la sua storia
è stata più volte raccontata dai genitori, papà Roberto Corbella e mamma Maria Anselma
Ruzziconi, e dal marito Enrico Petrillo.
Nei video degli ultimi mesi, Chiara appare con la benda sull’occhio destro colpito dalla
malattia e il sorriso a illuminarle il volto. Trasmette gioia anche quando racconta dei suoi
dialoghi con Gesù, con il quale aveva un rapporto confidenziale. Come è stato osservato, la
parola pronunciata più volte è “grazia”. La “grazia” per le gravidanze di Maria Grazia Letizia
e Davide Giovanni. La loro nascita «è stata un momento bellissimo – dice Chiara nel video -
. Nessuno di noi immaginava che sarebbe stato così bello. Eravamo veramente felici».
Momenti vissuti dai coniugi con un’inspiegabile serenità perché «la grazia – ribadisce Chiara
– è stata quella di unirci molto di più». I coniugi confessano agli amici, che «hanno donato
tanta grazia e affetto», di essere rimasti molto «colpiti anche perché non è sembrato poco il
tempo trascorso con i bambini. È stato un tempo pieno». Enrico e Chiara affermano di «aver
vissuto un miracolo» perché nelle tante prove affrontate in pochissimi anni «la grazia» che
Dio ha donato agli sposi è stata quella di non cedere allo sconforto e di rimanere sempre più
uniti. E ancora «la grazia» della serenità che si vive in famiglia anche dopo aver saputo che
la malattia di Chiara era terminale. «Siamo qui a Medjugorje perché tutto è cominciato da
qui», spiega Chiara ai tanti amici presenti. Dice di aver chiesto la grazia della guarigione, ma
se non dovesse esserci «chiediamo la grazia di vivere con grazia questo momento fino alla
fine».
Il papà di Chiara, Roberto ha detto: «Siamo stati fortunati perché Chiara ci ha preparati fino
all’ultimo giorno», ha aggiunto pensando ai tanti genitori che hanno perso i figli
improvvisamente e in circostanze drammatiche. «Chiara era pacata ma molto determinata –
ha aggiunto -. Ha sempre deciso tutto con pacatezza e fermezza allo stesso tempo. Le scelte
fatte le comunicava e la percezione era che quella fosse la scelta giusta e non ci fosse una
seconda ipotesi». Gli ultimi mesi di vita di Chiara sono stati un «paradosso» perché sono stati
«i migliori. Chi ci veniva a trovare pensava di trovare una famiglia disperata ma invece
incontrava una banda di matti».
La mamma Anselma, che fino all’ultimo ha sperato nel miracolo della guarigione di Chiara,
ha confessato che all’inizio «è stata un po’ arrabbiata con il Signore». A darle forza la serenità
di Chiara che «è morta dicendo “vi voglio a tutti bene. Stati sereni”. Questa frase mi
riecheggiava nell’orecchio e ho preso questa come indicazione per il nostro prosieguo nella
vita. Poi ho capito che sono le aspettative personali che ci deludono. Il Signore non ci ha tolto
una figlia ma ce l’ha donata attraverso i tanti frutti che vediamo».
2
Domanda:
- Qual è l’obiettivo della tua vita?
3. La donna emorroissa e la ragazza che Gesù risuscita - Mc 5,21-43
21
Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla
ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il
quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: "La mia
figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva". 24Andò con
lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
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Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto
per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi
piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo
mantello. 28Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò
salvata". 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita
dal male.
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E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla
dicendo: "Chi ha toccato le mie vesti?". 31I suoi discepoli gli dissero: "Tu vedi la folla
che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"". 32Egli guardava attorno, per
vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò
che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le
disse: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male".
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Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire:
"Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". 36Ma Gesù, udito quanto
dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, soltanto abbi fede!". 37E non
permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di
Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente
che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: "Perché vi agitate e piangete? La
bambina non è morta, ma dorme". 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese
con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la
bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: "Talità kum", che significa:
"Fanciulla, io ti dico: àlzati!". 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti
dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza
che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
La donna perdeva sangue da 12 anni e la ragazza aveva 12 anni di età quando è morta. Il
vangelo non ci dice perché la ragazza era morta e perché la donna perdeva sangue, ma 12 anni
di sofferenza sono tanti e 12 anni di età sono pochi per morire. Si può portare la sofferenza
per tanto tempo e non morire e si può anche vivere ed essere morti dentro.
In questo racconto del vangelo c’è una cosa che permette la guarigione e la risurrezione, la
fede di chi chiede, la fiducia in Dio che solo Dio può aiutare queste due donne. Da una parte
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la fede della donna stessa, dall’altra la fede del padre della fanciulla. In entrambe i casi non
c’è vita vera, ma c’è la richiesta di essere guariti definitivamente.
La parola di Gesù alla donna “la tua fede ti ha salvata”, non si ferma alla sola guarigione, ma
la donna si trova a poter riconoscere la presenza del Regno. Viene dischiuso il limite nel quale
siamo bloccati.
Anche noi dobbiamo chiedere al Signore di guarirci definitivamente dalle ferite, dagli ostacoli
nelle relazioni, nelle emozioni e sentimenti, nel corpo, per ottenere questa guarigione
dobbiamo chiedere al Signore di poterlo toccare, di poter essere presi in mano da lui. Gesù
che tocca esprime la sua prossimità. Invita anche noi a vivere questa prossimità, a volte c’è
bisogno solo di quello.
Di fronte a quelle situazioni di malattia che non capiamo, come dobbiamo comportarci?
1- Prima cosa pregare con fiducia, gridare credendo che Gesù ascolta.
Nel brano evangelico che abbiamo scelto della donna e della fanciulla:
- Vv. 21-22 Il padre della fanciulla si gettò ai piedi di Gesù e lo supplicava, lo pregava;
- V. 33 La donna gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità
La prima cosa da fare è pregare con fiducia, perché hai bisogno di qualcosa di importante →
il Grido. Non è la stessa cosa che ha fatto Gesù prima della Passione, nel Getsemani ha pregato
così intensamente che dice Luca che sudava sangue.
Quando preghiamo non dobbiamo piegare Dio alla nostra volontà, ma piegare noi stessi alla
sua volontà, al Getsemani dice: Passi da me questo calice amaro, ma non la mia la tua volontà
sia fatta! Se una cosa è buona, dobbiamo pregare fiduciosi. Signore libera dall’ansia, fammi
ritrovare la pace nel cuore sapendo che tu sei qui con me, non sono solo/a.
2- Il secondo aspetto da valutare è che Gesù ci prende per mano, si lascia toccare e vuole
toccare la nostra umanità. Di fronte a tutte quelle situazioni di non amore che
sperimentiamo, Gesù ci dice: non ti preoccupare ci sono io che ti amo di un amore senza
limiti.
Tanti toccavano Gesù, ma solo la donna tocca con fede.
Nel passo:
- v. 28-29 toccò il mantello e diceva se solo riuscirò a toccare…
- v. 41 prese la mano della fanciulla
Il tatto è un aspetto fondamentale perché ci dice la vicinanza di Dio e che non ci sono limiti,
peccati, fragilità che lui non voglia guarire. Spesso pensiamo che Dio sia lontano da noi, ma
ci dimentichiamo che ci sta vicino e si prende cura di noi.
Nella passione Gesù sperimenta l’abbandono del Padre, Dio mio perché mi hai abbandonato,
ma non è una mancanza di fiducia di Gesù, è una preghiera che Gesù fa e la fa al Padre perché
solo il Padre può aiutarlo. È consapevolezza che quell’offerta della sofferenza è per salvare
l’umanità.
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La salvezza dell’anima è un dono gratuito che noi dobbiamo solo accogliere.
3- Il terzo aspetto nel momento della difficoltà è il giudizio degli altri.
Nel passo che ci accompagna:
- V. 35 tua figlia è morta, perché disturbi ancora il maestro.
- Vv. 39-40 la bambina non è morta ma dorme. E lo deridevano.
Quando siamo nella prova ci sarà sempre la tentazione di seguire il giudizio della gente, di
farci condizionare dal giudizio degli altri, o di allontanarci da ciò che sentiamo nel cuore. A
Gesù stesso gli chiedono nella passione: dicci chi sei? Sei veramente il Figlio di Dio? Sei il
Messia? Sei il re dei giudei? Nella passione c’è Pilato che si fa influenzare dal giudizio degli
altri, non è capace di assumersi delle responsabilità verso il bene, non ha il coraggio di
difendere la verità.
4- Infine c’è l’ultimo aspetto che vogliamo evidenziare: sperare contro ogni speranza.
Chi è che spera così, chi ama! Chi ama la vita e coloro che ci amano:
- v. 40 prese con sé il padre e la madre e coloro che stavano con lui…. Subito la fanciulla
si alzò e camminava.. disse di darle da mangiare.
La fanciulla risorge: cammina e mangia. Ancora oggi colui che ci guarisce e ci conforta è
qualcuno che vive! è Cristo risorto pieno di vitalità soprannaturale, rivestito di luce infinita.
Se Egli vive allora potrà esser presente nella tua vita, in ogni momento, per riempirlo di luce.
«Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Essere capaci di dare da
mangiare.
Questa è una sicurezza più grande di altre, qualsiasi altra soluzione risulterà debole e
temporanea. Forse risulterà utile per un po' di tempo, poi ci troveremo di nuovo indifesi,
abbandonati. Gon Gesù invece il cuore è radicato in una sicurezza di fondo che permane al di
là di tutto. Se entri in amicizia con Lui e cominci a conversare con Cristo vivo sulle cose
concrete della tua vita, questa sarà la grande esperienza, sarà l’esperienza fondamentale che
sosterrà la tua vita cristiana.
Domanda:
- Come reagisci di fronte alla sofferenza?
4. La Speranza nelle malattie
Come arrivare a sperare nella prova? Ci sono dei passaggi da vivere interiormente
(umanamente e spiritualmente)
a) Far esperienza del proprio niente (Max Anselmi2)
I mistici insistono sul noto principio: Che io conosca me e che conosca Te Signore!
S Paolo della Croce forse supera tutti non solo per l’insistenza, ma anche per la veemenza con
cui batte su questo punto. In due celebri lettere (ad A. Grazi 4 Agosto 1740 e alla Bresciani 9
2
Anselmi Max, Soffrire nella speranza, Centro Studi Stampa Passionista 1985.
5
Ago 1740), precisa il suo pensiero sulla necessità di studiare la scienza del niente.
L’esperienza che uno fa di se stesso non è veritiera se non lo porta a un atteggiamento di
effettivo annichilamento, a stare nel proprio nulla, “abissato nel niente, “sprofondato nella
cognizione del suo orribile nulla”.
Le esperienze dolorose che ci fannpo cpaire quel che veramente siamo, sono tante e così
denudanti da portare l’individuo spesso in fin divita o da sprofondarlo nella disperazione.
S. Paolo della Croce dice ad A. Grazi il 3 Ott 1736: Sono cresciute le croci tanto interne
quanto esterni; ora sì che si comincia a servire al Sommo Bene! Ora ella comincia ad essere
discepola di Gesù. Vero è che questi piccoli travagli, tanto di corpo che di spirito, sono i primi
gradini di quella santissima ed altissima scala sulla quale salgono le anime generose e grandi,
ove a grado a grado salgono sino alla cima, ove poi si trova il purissimo patire senza conforto
né dal cielo né dalla terra e se sono fedeli a non cercar contento dalle creature, da questo puro
patire arrivano poi al purissimo amore d’Iddio”.
Certo si è assaliti da un sentimento di spavento al solo pensare di essere colpiti dal nudo patire,
chissà quanto lo saremo davvero! È possibile accettare il proprio orribile niente?
Sicuramente ma ad una condizione, quella di fare prima l’esperienza di essere amati. Senza
l’esperienza previa di essere amati, non sarà possibile nessuna accettazione.
Mai si accetterà di riconoscersi poveri, di essere peccatori, di essere un nulla, se previamente
non si è stati toccati dall’amore di Dio!
Come conoscere l’amore di Dio? Non abbiamo altra via più sublime che attraverso la
Passione.
b) La consolazione dell’eternità
S. Paolo della Croce, quando propone di stare nella sofferenza in una maniera cristiana, lo fa
come uno che è esperto del soffrire. Lui stesso diceva che non avrebbe augurato neanche ai
cani di soffrire quel che soffriva lui.
Il discorso sull’accettazione della sofferenza va fatto con grande equilibrio, buon senso,
umanità.
Chi soffre non deve ami dimenticarsi della Parola della Scrittura che consola e rincuora: “Dio
è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà
anche la via d’uscita e la forza per sopportarla” 1Cor 10,13.
La misura della sofferenza che tocca a uno in sorte di sopportare, non è quantificabile perché
dipende da tanti fattori, in particolare dal disegno di Dio, dalla generosità dell’interessato e
dal compito che egli ha nella storia.
La grande consolazione, la principale ed essenziale se non l’unica, nella sofferenza, è il
possesso dello Spirito Santo. La consolazione autentica, pienamente umana e soprannaturale,
è quella che non elimina le sofferenze, ma aiuta a sopportarle e soprattutto aiuta a realizzare
l’ideale di piena conformità a cristo Crocifisso
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c) Dalla Spe Salvi, nn. 35-40, di Benedetto XVI (Enciclica sulla Speranza, 2007)
37. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l'uomo, ma la
capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante
l'unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore. Vorrei in questo contesto citare alcune
frasi di una lettera del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin († 1857), nelle quali diventa
evidente questa trasformazione della sofferenza mediante la forza della speranza che proviene
dalla fede: «Io, Paolo, prigioniero per il nome di Cristo, voglio farvi conoscere le tribolazioni
nelle quali quotidianamente sono immerso, perché infiammati dal divino amore innalziate con
me le vostre lodi a Dio: eterna è la sua misericordia (cfr Sal 136 [135]). Questo carcere è
davvero un'immagine dell'inferno eterno: ai crudeli supplizi di ogni genere, come i ceppi, le
catene di ferro, le funi, si aggiungono odio…. Ecco, la tua croce è calpestata dai piedi dei
pagani! Dov'è la tua gloria? Vedendo tutto questo preferisco, nell'ardore della tua carità, aver
tagliate le membra e morire in testimonianza del tuo amore…. Mentre infuria la tempesta,
getto l'ancora fino al trono di Dio: speranza viva, che è nel mio cuore... ». È una lettera
dall'inferno, ma in essa si avvera la parola del Salmo: «Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo
negli inferi, eccoti [...]. Se dico: “Almeno l'oscurità mi copra” [...] nemmeno le tenebre per te
sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce» (Sal 139
[138] 8-12; cfr anche Sal 23 [22],4). Cristo è disceso nell'«inferno» e così è vicino a chi vi
viene gettato, trasformando per lui le tenebre in luce.».
38. Accettare l'altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua
sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza
condivisa, nella quale c'è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce
dell'amore. La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella
suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine. Ma anche la
capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva
per la misura dell'umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più
importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la
violenza e la menzogna.
39. In ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da
lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio
e così sorge la stella della speranza. Certo, nelle nostre molteplici sofferenze e prove abbiamo
sempre bisogno anche delle nostre piccole o grandi speranze – di una visita benevola, della
guarigione da ferite interne ed esterne, della risoluzione positiva di una crisi, e così via. Nelle
prove minori questi tipi di speranza possono anche essere sufficienti. Ma nelle prove
veramente gravi, nelle quali devo far mia la decisione definitiva di anteporre la verità al
benessere, alla carriera, al possesso, la certezza della vera, grande speranza, di cui abbiamo
parlato, diventa necessaria.
La speranza non sta tanto nella guarigione o nel miracolo, ma nell’annunciare che la
sofferenza è luogo della presenza di Dio, luogo abitato da Dio. E solo il dono di Dio può
aprirci ad un altro!