Riassunto Completo Di Psicologia Generale Riassunto Professore Stefano Federici
Riassunto Completo Di Psicologia Generale Riassunto Professore Stefano Federici
Secondo gli empiristi inglesi la base della conoscenza è dunque l’esperienza e in questa sede
parleremo solo dell’esperienza intesa come la totalità delle singole esperienze, cioè quel
raggruppamento di conoscenze esplicite ed implicite, accumulate nel corso del tempo tramite
il coinvolgimento personale nelle azioni o l’imitazione dei comportamenti altrui. L’esperienza
è essenziale, utile per prendere decisioni o agire in maniera efficace in una data situazione.
Dall’esperienza nasce di conseguenza la psicologia del senso comune o psicologia ingenua,
che ci permette di utilizzare l’esperienza stessa per cercare di comprendere e interpretare i
comportamenti nostri e altrui in base al ragionamento pratico. Si evince però che la
psicologia ingenua è inattendibile dal punto di vista scientifico, poiché priva di metodo
sperimentale e/o spiegazioni plausibili e dimostrate. Dunque è la mancanza di controllo che
dimostra la differenza tra psicologia ingenua e scientifica. Sta di fatto comunque che la
psicologia scientifica, come ogni altra scienza, presenta un carattere di contingenza, cioè un
proseguo delle conoscenze della psicologia ingenua. Inoltre da considerare anche il carattere
di necessità della psicologia scientifica; i criteri scientifici da essa ammessi valgono per tutti
gli studiosi di tale materia: è necessario dare la possibilità a qualunque scienziato di
verificare i dati raccolti da altri scienziati, in modo che le teorie precedenti possano essere
confutate o meno. Questa divulgazione scientifica è il vero distacco tra i due tipi di psicologie
qui affrontati.
In questo breve paragrafo si descrive il percorso della psicologia, a partire dai primi
contributi filosofici, con Aristotele che descrisse alcuni processi cognitivi (percezione,
memoria), con Ippocrate e le sue definizioni di personalità, infine Erasistrato che per primo
comprese la differenza tra nervi sensoriali e nervi motori. Ma non si può parlare di psicologia
intesa come al giorno d’oggi sino al 1700 quando, per la prima volta, Christian Wolff distinse
la psicologia razionale da quella empirica. La prima di natura filosofica, basata su riflessioni
teoriche, la seconda naturalistica, fondata sul metodo dell’osservazione, la base per l’attuale
psicologia scientifica. Si passa poi dal razionalismo, inteso come quel primato della ragione
sul corpo, all’empirismo, che consente di studiare la mente come un insieme di facoltà. Col
tempo e con l’inizio dello studio diretto sull’apparato celebrale, iniziarono ad essere stilate le
prime teorie sul funzionamento della mente direttamente connesso con l’organo preposto; si
arrivò alla teoria dell’arco riflesso (connessione fra sensazioni e movimenti) e in seguito alla
frenologia, secondo cui le varie funzioni mentali dipendono da aree ben definite del cervello.
Ma taluni, come Kant, mossero critiche su questi metodi di ricerca, poiché la mente rimaneva
qualcosa non misurabile con la matematica, quindi non poteva rientrare nella categoria di
“studi scientifici”. Si iniziarono dunque a fare misurazioni temporali di tempi di reazione del
cervello sotto vari stimoli; nasce la cronometria mentale, che portò alla psicofisica odierna,
grazie al quale si studiano le corrispondenze tra stimoli fisici e risposte psichiche.
Per Wundt oggetto della psicologia è l’esperienza immediata che differisce dall’esperienza
mediata dalle altre scienze naturali, che ricorrono a strumenti di mediazione per lo studio
della stessa. Per contro la psicologia non ha necessità di ricorrere a questi strumenti, poiché lo
studio può essere effettuato direttamente dal soggetto tramite l’introspezione, cioè quella
capacità di accertare l’avvenimento di una data esperienza, sia essa interna che esterna.
Questo metodo non è esente da difficoltà: a causa dello spostamento di attenzione
dall’avvenimento accaduto all’introspezione stessa è possibile che alcuni dati vengano
distorti o persi. Wundt dunque comprende che la chiave è la variazione tra un atto di
introspezione e un altro comparabile e non il contenuto stesso dell’introspezione. Grazie a
questo elaborò una teoria complessa in cui distinse: -la percezione: sensazioni immediate così
come si presentano in coscienza; - la appercezione: organizzazione delle sensazioni così
come si presentano in coscienza; la volontà di reazione: intervento della volontà per produrre
azioni congrue con gli stimoli. La scuola di Lipsia fallì miserabilmente; negli annali si verrà
chiamata Strutturalismo questo metodo di ricerca di Wundt, atto a rilevare le strutture della
mente umana.
evitare l’errore dello stimolo: descrivere ciò che vediamo (percetto) e non ciò che sappiamo
(concetto).
3.3
Negli Stati Uniti la reazione allo strutturalismo fu altrettanto forte che in Europa. John
Watson sostenne che la psicologia doveva essere una scienza rigorosa e oggettiva al pari delle
altre scienze naturali. Oggetto di studio della psicologia sono le manifestazioni del
comportamento, studiate con metodi obbiettivi, in quanto osservabili dall’esterno o in modo
diretto o con l’utilizzo di appositi strumenti. Nasce così il Comportamentismo, inteso come
l’insieme delle risposte muscolari o ghiandolari dell’organismo in risposta ad un dato
stimolo. Lo stimolo è un dato fisico mentre la risposta è un dato fisiologico. Lo psicologo
comportamentista dunque studia le associazioni stimolo-risposta (S-R), non entrambi gli
elementi in maniera separata e si concentra in particolare le variazioni di stimoli tra variabile
indipendente e la variabile dipendente. Da ciò Watson attribuì importanza
all’apprendimento, atto a istituire nuove associazioni S-R in funzione dell’adattamento
all’ambiente. Il Neocomportamentismo si distinse dal comportamentismo poiché prese in
considerazione anche le variabili intermedie, cioè le pulsioni, le intenzioni e/o le motivazioni
che un dato individuo ha mentre compie una data azione. Si evince che questo tipo di
variabile è incalcolabile. La mappa cognitiva, frapposta tra la variabile indipendente S e
quella dipendente R, è una rappresentazione mentale schematica di un luogo, una situazione,
un movimento, un percorso, ecc. (utilizzata anche dai ratti per apprendere la strada in un
labirinto), è per Tolman una variabile interveniente.
Verso gli anni settanta sono sorte negli Stati Uniti nel 1978 le scienze cognitive, sviluppate
grazie alla comparsa di nuove tecnologie digitali e delle nuove metodiche di neuroimmagine
cui scopo è quello di studiare il funzionamento di un sistema (sia esso naturale che artificiale)
di conoscenza della mente in grado di riprodurre una serie di operazioni che indichiamo come
percepire, ragionare, calcolare, memorizzare, immaginare o progettare. Sono operazioni che
consentono all’individuo di conoscere il mondo in cui vive e di farne una “mappa” cognitiva
(diversa dal significato inteso da Tolman). Oggetto di studio del cognitivismo sono i processi
di conoscenza: come gli individui elaborano le informazioni e costruiscono rappresentazioni
mentali utili per interagire con l’ambiente.
Con l’intelligenza artificiale si cerca di ricreare i processi mentali seguendo determinate
coordinate: i calcoli, i confronti, le graduatorie, le combinazioni logiche, le manipolazioni dei
simboli, le operazioni di misura, l’adeguamento a regole prefissate ecc. L’elaborazione
digitale delle informazioni è il processo necessario per digitalizzare questi dati elementi, ma
ciò avviene in maniera esclusivamente binaria: il processo ha esclusivamente valore di 0
(inesistente) o di 1 (esistente). Grazie al codice binario si arriva alla teoria della
computabilità, cioè un insieme finito di elementi semplici può essere impiegato per costruire
una varietà illimitata di processi complessi livello mentale o digitale. Con essi si poté
simulare l’intelligenza umana con macchinari elaboratissimi, tanto che riguardo a determinati
comportamenti e risoluzioni di compiti le macchine e le persone possono essere
indistinguibili da un esterno (test di Turing). Per contro l’IA non è assoluta, poiché si basa
esclusivamente sulla logica binaria (valida per la sintassi formale), ma è priva della logica
sfocata, esclusiva della mente umana, e riguarda tutti quei processi sfumati e imprecisi,
continuamente variabili della stessa. Questo accade perché non solo la mente umana
manipola sintatticamente i simboli, ma li interpreta e vi attribuisce un significato che la
sintassi, da sola, non è in grado di spiegare.
Jerry Fodor propose una concezione forte della mente computazionale, governata dal
linguaggio della mente (mentalese). Per egli, è la combinazione di concetti semplici ed
innati, intesi come entità univoche e chiuse, discrete e fisse, in grado di esprimere verità
necessarie, elaborate secondo regole logiche, attente solo alla forma (sintassi) e non ai
contenuti (semantica). Secondo il modularismo la mente è organizzata in modulo o
“cassetti”, ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto
in ambito scientifico nell’interazione con l’ambiente. Non possiamo scegliere di organizzare
la nostra percezione visiva come desideriamo. I moduli attribuiscono una specifica struttuta
alla mente, che può funzionare solo secondo processi predefiniti. Secondo la psicologia
evoluzionistica questi moduli sarebbero il risultato delle selezioni naturali avvenute per la
razza umana in decine e decine di migliaia di anni. Si confà che questi moduli sarebbero
universali e costruiti in base ai cosiddetti “algoritmi darwiniani”. La prospettiva modulare
però, non avendo prove empiriche certe né tanto meno verificata sul piano neuropsicologico,
è in sostanza infondato. Verso la metà degli anni ottanta nasce una nuova corrente, il
connessionismo, che pone in relazione strettissima la struttura biologica del cervello con la
struttura della mente cognitiva attraverso reti neurali artificiali. Queste reti neurali sono
simulazioni che riproducono le proprietà e i processi di funzionamento del sistema nervoso.
Secondo il connessionismo, l’elaborazione delle informazioni avviene all’interno di ogni rete,
composta da un numero elevato di unità che procedono in modo parallelo, in grado di
influenzarsi l’un l’altra mediante connessioni eccitatorie e inibitorie.
L’errore dell’essenzialismo: la mente non può essere un’entità separata dai vincoli biologici
ed ecologici. L’errore sta nel considerare gli stati mentali come entità fisse, regolari,
corrispondenti a fenomeni circoscritti e isolati. È una sorta di “cecità platonica”,
un’incapacità di vedere l’importanza decisiva del contesto. Mente situata e radicata nel
corpo: ad oggi nella psicologia si dà molta importanza alla situazionalità della mente,
costantemente immersa in un contesto immediato, inteso come l’insieme delle informazioni
disponibili nella situazione contingente, compresi i particolari secondari. In quanto tale, è
fondata sull’esperienza, intesa come motore di ogni attività mentale. La mente è inoltre
radicata nel corpo, fondata sull’elaborazione dei dati da parte delle singole modalità
sensoriali e di controllo motorio. In particolare sono oggetto di studio i neuroni specchio, che
ci pongono in condizione di capire e imitare gli altri. Nel futuro la psicologia è diretta, in
ambito sperimentale, verso frontiere che legano sempre più assiduamente la mente con il
corpo, poiché ogni teoria psicologica priva di evidenze cerebrali in supporto appare debole e
inconsistente.
Capitolo 2
Come detto nel capitolo 1, esistono differenze tra psicologia ingenua e scientifica; di
conseguenze esistono anche nella teoria ingenua e teoria scientifica. La differenza
fondamentale risiede nei metodi di controllo delle spiegazioni nella capacità di impiegare
criteri espliciti per acquisire conoscenze e fare previsioni. Viene adottato il metodo
sperimentale, che è considerato l’unione delle sensate esperienze con le necessarie
dimostrazioni supportate dal contributo della matematica. Si ottiene dunque con questo
metodo un oggetto (ciò che osservo) e metodo (punto di vista con cui osservo); questi due
fattori sorgono congiuntamente, poiché per natura inseparabili. Il ricercatore deve predisporre
un disegno di ricerca: è la mappa delle sue attività, ne orienta le scelte e le decisioni e
consente di apportare eventuali modifiche e correzioni. Prima però è necessario trovare la
meraviglia, quel qualcosa che desta in noi attenzione, stupore e curiosità, da cui derivano
anche le volontà di trovare nuove soluzioni a teorie già avanzate e proposte. È necessario
dunque porsi la domanda di ricerca: cosa voglio studiare? Perché? Queste domande servono
per creare un percorso di senso della ricerca e delineare i confini del campo di ricerca.
Questi confini non devono essere troppo estesi (causa dispersione), troppo limitati (causa
ripetizione) né troppo complessi (fallimento calcolo variabili). Ovvio che la domanda deve
avere carattere di originalità; per evitare questo è necessario che il ricercatore sia
perfettamente a conoscenza della letteratura di riferimento e i risultati dei precedenti
scienziati, poiché è da essi e dal loro lavoro che si può partire con nuove teorie (contingenza
della ricerca). Da definire inoltre è lo scopo della ricerca, ciò che si vuole ottenere e
dimostrare con essa. In un momento successivo la domanda di ricerca diviene l’ipotesi di
ricerca, cioè enunciati provvisori che, sia pure in forma probabilistica, stabiliscono una
relazione esplicita e accurata fra più fatti osservati. L’ipotesi è costruibile con il metodo “se…
allora”; è essenziale stabilire la natura del legame fra antecedente e conseguente. Tale
legame può essere in relazione al Causa-effetto (causalità) oppure in associazione tra due o
più eventi (correlazione). Le operazioni per verificare le ipotesi devono essere rispettose dei
criteri di protocollarità ammessi dalla data scienza (es: per valutare la temperatura di una
stanza, per il fisico sarà un criterio corretto dire “ci sono 37°”, per uno psicologo invece dire
“fa molto caldo”). Infine per verificare la validità delle ipotesi si procede con la verifica
sperimentale, metodo non sempre totalmente attendibile in senso positivo e diretto, questo
perché ci sono da considerare ed ammettere eventuali errori umani sia a livello di ipotesi sia a
livello di verifica. Non essendo al 100% attendibile, si ricorre per verificare una data ipotesi
al metodo dell’ipotesi nulla: se l’ipotesi diametralmente opposta a quella effettuata dallo
scienziato è dimostrabilmente falsa, allora si può avere ragione di credere che l’ipotesi
originale sia attendibile. La totalità dei risultati atti alla dimostrazione dell’inattendibilità
dell’ipotesi nulla viene chiamata regione critica. Precisate le ipotesi si passa al metodo
scientifico vero e proprio. È necessario assicurarsi la partecipazione dei soggetti che
corrispondano alle variabili decise dallo scienziato (età, sesso, ecc..). L’insieme di questi
soggetti costituisce il gruppo target. I gruppi sono portati a compiere i propri compiti
sperimentali nell’ambiente preposto, che può essere in condizioni artificiali (laboratorio) o in
condizioni naturali. Ne consegue che in laboratorio abbiamo esperimenti guidati mentre
nell’ambiente esperimenti naturali. I partecipanti verranno sottoposti, attraverso strumenti
atti ad una precisa misurazione, agli stimoli sperimentali loro presentati e gli sperimentatori
ne constateranno l’accuratezza attraverso l’osservazione. La combinazione di alternanza di
stimoli, interferenze, condizioni di facilitazione o inibizione, compiti di distrazione ecc..
compongono la situazione sperimentale. Infine il ricercatore si serve del controllo di
manipolazione, che consiste nel verificare la coerenza e la congruenza fra gli obbiettivi
dell’esperimento, le istruzioni fornite e il comportamento dei soggetti sperimentati.
Il motivo per cui spesso ci poniamo la fatidica domanda “perché?”, riguardo agli avvenimenti
che ci accadono, risiede nel principio di causalità. Vi sono due tipi di causalita:
Di seguito alcune delle tecniche utilizzate per la sperimentazione in ambito delle scienze e
tecniche psicologiche: Tecnica self-report: utile in fase esplorativa, consiste nell’allargare un
determinato campo di indagine mediante questionari, interviste o colloqui clinici. Il
questionario è standardizzato, indicato per un ampio spettro di soggetti.
- Chiuso: quando si deve scegliere una risposta, tra quelle indicate, che più si avvicina al
proprio punto di vista;
L’intervista avviene tra soggetto e sperimentatore; quest’ultimo pone le domande scelte come
meglio crede. Il colloquio clinico è simile all’intervista, ma lo sperimentatore inoltre chiede
al soggetto di compiere un determinato compito e, durante lo svolgimento, chiede di
descrivere i processi mentali che il soggetto ritiene di avere in quel momento. Come detto il
metodo self-report è utile in fase esplorativa ma presenta diversi limiti: i soggetti possono
fraintendere le domande, essere influenzati dalla desiderabilità e aspettativa della società,
rispondere a caso o in maniera incoerente, ingannevole ecc…! Procedure di osservazione:
consiste nel metodo dell’osservazione del comportamento. È necessario stabilire l’importanza
dei parametri della griglia di osservazione (tempo, movimenti, azioni ecc…) e, essendo
questo un metodo a “zoom”, stabilire se l’osservazione tende al microscopico o al
macroscopico.
constatabili facilmente (come il muoversi degli zingari) oppure con strumenti appositi (il
comportamento del DNA o dei collegamenti delle reti nervose).
Esistono poi tecniche neuropsicologiche grazie le quali si possono studiare i flussi ematici
cerebrali regionali e l’attività a zona del cervello. Una volta completato l’esperimento, è
necessario constatare l’attendibilità delle misure. In primo luogo, è necessario usare la
tecnica test-retest: si ripete la rilevazione sugli stessi soggetti in diversi archi temporali. In
seguito è necessario constatare la validità delle misure, esaminando i contenuti impiegati e il
grado di connessione con altre prove che misurano contenuti simili. Le misure ottenute
necessitano poi di una elaborazione finale, che può avvenire tramite statistica descrittiva o
statistica inferenziale. La statistica descrittiva fornisce un quadro sintetico dell’insieme dei
dati grezzi ottenuti con le misure sia della tendenza centrale sia della variabilità. Le prime
sono il centro principale dei dati mentre le seconde sintetizzano la dispersione degli stessi.
Con questo tipo di statistica è utile constatare la correlazione tra due variabili, che può essere
positiva (più si è in grado di risolvere problemi più è alto il QI) e negativa (più l’offesa di un
amico è grave più scende il livello di autostima). Il coefficiente di correlazione misura
questa correlazione e va da un massimo di +1 (max positivo) a -1 (max negativo). Il valore 0
indica che le due variabili non sono connesse fra loro. La statistica inferenziale permette di
fare ipotesi utilizzando i dati ottenuti. Ad esempio, con le variabili ottenute e il calcolo delle
probabilità, si può inferire se un tipo di comportamento di discosta più o meno a quello
standard. Poiché non siamo però in grado al 100% di dimostrare l’ipotesi di ricerca, siamo
autorizzati ad accettarla solo se dimostriamo che l’ipotesi nulla (cioè quella contraria) è falsa.
L’insieme dei risultati che ci consente di rigettare l’ipotesi nulla è detta regione critica, che
però è soggetta anch’essa dalle leggi di probabilità. Se siamo troppo prudenti nell’accettare
un’ipotesi potremmo incorrere nell’errore beta o falso negativo, cioè di non accettare ciò
che in realtà esiste; per contro, se siamo propensi all’azzardo potremmo incorrere nell’errore
alfa o falso positivo, quindi accettare qualcosa che non esiste. In ricerca psicologica si ritiene
accettabile una differenza quando la probabilità che essa sia dovuta al caso sia al di sotto del
5% o al 1%. Questa differenza viene detta differenza significativa.
Capitolo 3
Sensazione e percezione.
Paragrafo 1 – SENSAZIONE
L'ambiente fisico in cui viviamo produce una varietà e una moltitudine pressoché infinita di
stimoli che giungono ai nostri organi di senso.
La sensazione può essere definita come l’impressione soggettiva, immediata e semplice che
corrisponde a una data intensità dello stimolo fisico. Le sensazioni sono eventi privati e
soggettivi, dei quali solo ciascuno di noi ha un’esperienza diretta. Pur essendo soggette a
variazioni, le sensazioni possono essere comunicate agli altri e sono da loro agevolmente
comprese. Avviene così un confronto fra le sensazioni proprie e quelle altrui. Questa
situazione di comunicabilità, comprensibilità e confrontabilità fra le sensazioni di diversi
soggetti è dovuta a una relazione sistematica fra stimolo fisico e sensazione medesima. Sono
le relazioni psicofisiche, per cui a date configurazioni di stimoli fisici corrispondono
determinate sensazioni sul piano psicologico. L’uomo però incorre in due limiti intrinsechi
alla sensibilità umana:
2. Cogliamo gli stimoli solo quando essi hanno una certa intensità.
Siamo capaci di cogliere gli stimoli solo quando questi hanno una certa intensità. Qualsiasi
stimolo fisico deve raggiungere un livello minimo per suscitare una sensazione. Questo
livello, chiamato soglia assoluta segna il confine fra gli stimoli che vengono recepiti
dall’organismo e gli stimoli che non sono avvertiti dall’individuo. La soglia assoluta è il
valore di uno stimolo che nel 50% dei casi ha la probabilità di suscitare la sensazione
corrispondente.
Gli stimoli presenti che percepiamo vengono detti sovraliminari mentre quelli presenti ma
non percepiti vengono detti infraliminari. La soglia assoluta è iniziale (limite inferiore;
stimolo non percepito perché poco intenso) e terminale (limite superiore; stimolo non
percepito perché troppo intenso e alle volte doloroso). Anche la differenza tra due stimoli
entrambi percepiti, per essere colta, deve essere di una certa intensità; parliamo dunque del
superamento della soglia differenziale, che deve essere rilevata da almeno il 50% dei casi. Vi
sono tre differenti metodi psicofisici per la misurazione della soglia assoluta:
1. Metodo dei limiti: si parte da uno stimolo infraliminare e lo si produce via via in maniera
ascendente finché non viene percepito; viceversa si può partire da uno stimolo sovraliminare
e produrlo in maniera discendente. Uno degli errori più comuni del metodo dei limiti è
l’errore della direzione di serie: i valori di soglia differiscono a seconda che sia usato un
metodo ascendente o discendente per il fenomeno di inerzia e abitudine psicologica.
3. Metodo degli stimoli costanti: il soggetto è esposto continuamente a diversi stimoli, sia
infra che sovraliminari, e viene invitato a dire ogni volta che riceve uno stimolo a riferire se
ha avvertito o meno una sensazione.
Per la misurazione della soglia differenziale i metodi sono analoghi, solo di solito si usano
uno stimolo standard, che viene tenuto costante, e uno stimolo di confronto, che appunto è
utilizzato come confronto e viene cambiato di volta in volta. Colla misurazione della soglia
differenziale si possono incorrere in due errori: l’errore del campione (lo stimolo standard
viene sovrastimato a quello di confronto) e l’errore di posizione (se gli stimoli sono posti in
una data posizione nello spazio, si può verificare una sovrastima dello stimolo posto in data
posizione rispetto all’altro).
Stanley Stevens poi fondò la psicofisica soggettiva, grazie la quale poté definire il grado di
giudizio personale dell’individuo, cosa che la psicofisica originaria non si prefissò di fare.
L’essere umano però non solo si limita a percepire determinati stimoli, ma anche decidere se
tale stimolo è realmente esistito o meno.
Con la teoria della detenzione del segnale si sono posti in evidenza due fattori utili allo
studio di queste quattro matrici:
Paragrafo 2 – PERCEZIONE.
Attraverso quello che definiamo realismo ingenuo, si crede che ciò che noi percepiamo sia
esattamente ciò che esiste nella realtà che ci circonda; è vero invece il contrario, cioè che noi
conosciamo è la realtà fenomenica, ovvero quella che appare a noi. Le sensazioni non
contengono le informazioni sufficienti per spiegare le nostre percezioni, vanno integrate in
modo coerente nei percetti attraverso articolari processi di associazione ed elaborazione.
Il passaggio dalle sensazioni ai percetti (ciò che percepiamo) è il risultato di una sequenza di
mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come catena psicofisica. Gli oggetti del
mondo circostante producono in continuazione una molteplicità indefinita di radiazioni
(luminose, sonore o di altra natura) di varia intensità e frequenza. Queste radiazioni, che
costituiscono le stimolazioni distali, vanno a suscitare negli apparati recettivi precise
sollecitazioni, definite stimolazioni prossimali.
L’elaborazione di questi dati, per via appunto psico-fisico-fisiologica costituisce una serie di
mappe topografiche, cioè quella disposizione neuronale nel cervello. In sostanza dunque,
essendo la percezione intesa come attività fenomenica, può essere intesa come
l’organizzazione immediata, dinamica e significativa delle informazioni sensoriali.
I flussi di processi che portano alla percezione sono due e vengono detti dall’alto verso il
basso e dal basso verso l’alto.
1. I processi dal basso verso l’alto sono niente meno che le informazioni sensoriali che
recepiamo, necessarie per lo sviluppo di una percezione ma non esaustive, poiché per
loro natura sono disperse e caotiche.
2. I processi dall’alto verso il basso sviluppano le informazioni sensoriali tramite le
conoscenze della memoria, le credenze, le aspettative e gli scopi della nostra condotta.
Una prova empirica di questi processi è l’attività di riconoscimento degli oggetti, poiché
grazie alla memoria possiamo:
Molte furono le teorie riguardo alla percezione; elencherò quelle più significative.
Movimento del New Look: è una prospettiva funzionalista, poiché pone in evidenza le
funzioni della percezione. Secondo questo movimento la percezione dipende anche da fattori
mentali come bisogni, aspettative, emozioni ecc. Quando il soggetto percepisce uno stimolo
dunque compie un’operazione di categorizzazione: a partire da certi indizi provvede
all’identificazione dello stimolo stesso.
La nostra mente organizza costantemente l’attività percettiva così da cogliere gli oggetti inn
modo unitario e coerente. La percezione visiva è possibile grazie sia alla presenza di
radiazioni luminose, sia dell’informazione ottica proveniente dall’ambiente (insieme delle
1. Inclusione: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione inclusa nel contesto;
2. Convessità: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione convessa rispetto a
quella concava;
3. Area relativa: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione di area minore; 4.
Orientamento: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione i cui assi sono orientati
secondo le direzioni principali dello spazio percettivo.
Quando questi fattori non intervengono, si creano le condizioni per ottenere le cosiddette
figure reversibili, figure in cui si ha un’inversione tra sfondo e figura. Un altro esempio di
articolazione figura-sfondo è il già citato effetto Kanizsa; le figure da lui ideate hanno
contorni anomali, “quasi percettivi” e si basano sulla composizione dello sfondo. Se tale
composizione viene cambiata e distorta otterremo un esito diverso. Tendiamo inoltre, secondo
la segmentazione del campo visivo, a organizzare gli elementi singoli e/o discreti in
un’unica unità. A tal proposito Wertheimer pose in evidenza alcuni principi fondamentali:
3. Destino comune: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi che condividono lo
stesso tipo e la stessa direzione di movimento;
4. Buona direzione: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi che presentano
continuità di direzione;
5. Chiusura: a parità delle altre condizioni vengono percepiti come unità gli elementi che
tendono a chiudersi fra loro;
Si evince che l’articolazione degli elementi in unità percettive non dipende dalla qualità
possedute dai singoli elementi, bensì dall’organizzazione totale della configurazione degli
elementi (seguendo la proprietà del tutto, secondo cui il tutto è maggiore della somma dei
singoli elementi). Per quanto riguarda la percezione della profondità i procedimenti sono
molteplici e ne facciamo uso in maniera più o meno istintiva. Uno di questi è la disparazione
binoculare, mediante la quale, secondo meccanismi puramente fisiologici (come la funzione
degli emicampi o l’accomodamento del cristallino) la profondità viene percepita in maniera
coerente. Nel caso della “convergenza” (indizio binoculare), quando fissiamo un oggetto, gli
occhi, che hanno una certa distanza fra loro, convergono di un determinato angolo, in modo
che l’immagine dell’oggetto cada sulla fovea di ciascun occhio. L'angolo di convergenza è
più ampio quando l’oggetto è vicino rispetto a quando è lontano. Anche l’”accomodamento”
del cristallino (indizio monoculare) consente la messa a fuoco dell’oggetto e costituisce
un’altra informazione di profondità.
Quando le immagini retiniche non corrispondono, abbiamo una visione doppia (o diplopia).
La disparazione retinica, dà origine a diplopia solo quando è piuttosto grande. Quando
invece la disparazione è piccola, le due immagini disparate si fondono e danno luogo a una
visione chiara e nitida. Inoltre vi sono anche indizi pittorici di profondità, utilizzati dagli
artisti per incrementare il senso di profondità in un’opera essenzialmente 2d, come il
chiaroscuro o la sovrapposizione di un oggetto rispetto ad un altro. Infine anche la parallasse
del movimento ci fa comprendere la distanza e profondità: quando muoviamo la testa in una
direzione gli oggetti percepiti si muovono in direzione opposta sulla retina e ci accorgiamo
della profondità perché più l’oggetto è vicino più si muove velocemente.
Le costanze percettive sono processi in base ai quali gli individui percepiscono gli oggetti
nel mondo circostante come dotati di invarianza e stabilità pur al continuo variare delle
stimolazioni prossimali. Secondo la legge di Euclide, la grandezza dell’immagine retinica è
inversamente proporzionale alla distanza dell’oggetto dall’occhio; seppur vera questa legge,
continuiamo a percepire gli oggetti lontani come dotati di una grandezza relativamente simile
a quella con cui li percepiamo quando sono vicini.
È il fenomeno della costanza di grandezza e avviene perché gli oggetti sono posti in un
contesto che genera schemi di riferimento e in una scala costante della distanza. Brevemente,
la costanza di grandezza è una proprietà del campo percettivo ed è generata dalla relazione
fra l’oggetto e il contesto immediato.
Come la costanza di grandezza, anche la costanza di forma è una proprietà di campo più che
una proprietà degli stimoli in sé. La costanza di forma è la tendenza ad attribuire agli oggetti
la medesima forma, nonostante la varietà di forme che essi proiettano nel tempo sulla retina.
Grazie alla prospettiva lineare e al gradiente di densità microstrutturale è possibile spiegare
questa costanza: pur con inclinazioni diverse, l’oggetto contiene il medesimo numero di
elementi nelle diverse posizioni. Infine v’è da considerare anche la costanza cromatica,
secondo cui gli oggetti dell’ambiente hanno un colore stabile, per quanto grandi possano
essere le variazioni dell’illuminazione.
direzione verso cui si guarda. Se osserviamo ad esempio un punto luminoso in una stanza
totalmente buia, il movimento oculare e quindi lo spostamento della percezione del punto
luminoso sulla retina ci ingannerà, facendoci credere che sia il punto luminoso stesso a
muoversi. Per neutralizzare questo effetto è sufficiente introdurre un altro punto luminoso o
alternare la sua comparsa/scomparsa (come nei fari marittimi).
Paragrafo 1 – Attenzione
c. Mantenere in modo vigile una condizione di controllo su ciò che stiamo facendo.
Attenzione endogena: è avviata dalle nostre esigenze personali (interessi, bisogni, scopi),
governata dai processi mentali dall’alto verso il basso; implica un orientamento volontario.
Attenzione esogena: attivata da uno stimolo esterno e regolata da processi mentali dal basso
verso l’alto; implica un orientamento automatico dell’attenzione caratterizzato dal fatto che:
Attenzione basata sugli oggetti: essa si può concentrare solo su di un oggetto ignorando
parzialmente l’ambiente. Ciò che mettiamo dunque a fuoco è il bersaglio della nostra
attenzione. Il fuoco dell’attenzione consente dunque di concentrare le risorse attentive su
uno specifico stimolo ambientale
Esso ha dimensioni variabili, presenta una relazione inversa con l’efficienza di rilevazione
degli stimoli; si muove nello spazio a velocità costante lungo la traiettoria prescelta per
raggiungere il bersaglio. La velocità e l’accuratezza della rilevazione di un bersaglio sono
indici di efficacia mentale. In questa attività assume importanza la validità o meno degli
stimoli ricercati, ove per validità intendiamo l’effettiva individuazione del bersaglio ricercato.
Siamo dunque più precisi e veloci a individuare lo stimolo che ci interessa rispetto ad un
altro. Questo avviene perché entrano in gioco fattori individuali come conoscenza,
esperienza, memoria, volontà ecc. in particolare sono gli stimoli dotati di rilevanza emotiva
ad essere catturati più velocemente dalla nostra attenzione e impiegano nel tempo maggiori
risorse attentive (es: rileveremo più velocemente e ci ricorderemo più a lungo di una frase
negativa nei nostri confronti rispetto ad una frase neutra). La velocità di rilevazione ha una
notevole importanza, ad esempio, durante gli avvenimenti di emergenza (es: incidente
stradale).
Cecità al cambiamento: la forza degli stimoli salienti conduce a trascurare e/o ignorare
stimoli ambientali ben visibili, in alcuni casi macroscopici. Questo procedimento si basa
sull’economia delle risorse, secondo cui ci interessa individuare bersagli salienti e trascurare
ciò che è superfluo. (es: esperimento del colloquio con un passante passaggio porta che oscuri
completamente l’intervistatore spostamento dell’intervistatore…50% dei casi non si accorge
dello spostamento).
Effetto Simon: siamo più rapidi e i tempi di reazione sono inferiori quando la posizione dello
stimolo coincide con la risposta che dobbiamo dare (es: se devo indicare una forchetta a
tavola con la mano destra, i tempi di reazione saranno inferiori se la forchetta stessa è alla
mia destra rispetto se fosse a sinistra). Nella rilevazione degli stimoli entrano in funzione due
processi di elaborazione:
La differenza tra queste due ricerche viene enfatizzata con la teoria dell’integrazione delle
caratteristiche: se ricerchiamo un bersaglio in base ad una sola caratteristica basta fare
riferimento solo ad essa per trovare il bersaglio; se invece lo ricerchiamo in base alla
relazione di due o più caratteristiche è necessario fare controlli incrociati, spendendo maggior
tempo.
Attenzione divisa: la concentrazione è diretta nei confronti di due o più fonti informative,
portando ad una accuratezza di elaborazione dati inferiore.
b. Interferenza da risorse: quando uno dei due compiti da eseguire richiede un estremo
prezzo di risorse, esso (primario) viene eseguito in maniera molto migliore rispetto al
secondario, cui vengono dedicate ben poche risorse.
Effetto Stroop, se abbiamo cartelli di determinati colori con scritte sopra delle lettere dello
stesso colore i tempi di riconoscimento del colore dello sfondo saranno minori se il colore dei
due elementi fosse diverso.
Effetto Navon: stessa cosa dell’effetto stroop, solo qui vengono utilizzate lettere globali
composte strutturalmente da lettere locali (più piccole). Se le lettere locali sono medesime
alla lettera globale il tempo di reazione sarà differente rispetto a lettere incongruenti.
Quando gli stimoli sono in competizione fra loro si possono creare due condizioni: a.
Competizione semplice: lo stimolo che riceve maggior quantità di risorse per la sua salienza
è analizzato con maggior accuratezza e conduce all’attenzione focalizzata;
Paragrafo 2 – COSCIENZA
La coscienza può essere definita come uno stato particolare della mente in cui si ha
conoscenza dell’esistenza di sé e dell’ambiente. La coscienza rappresenta la mente nella sua
soggettività e in modo inevitabile rinvia al concetto di sé nelle sue diverse forme. Ma non un
Tuttavia non è un processo on-off, cioè valore 0 per sonno e valore 1 per veglia, bensì è un
processo che mostra ampie gradualità. La coscienza consiste innanzitutto nella capacità di
rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente “qui e ora” (consapevolezza percettiva).
Ognuno di noi è consapevole di quanto accade attorno a lui e dentro di lui, infatti chi è in
coma può essere vigile, ma non è in grado di fornire una risposta consapevole agli stimoli.
. Essa svolge anche una funzione di comparatore, poiché consente di confrontare lo stato
attuale del mondo con quello previsto in base alla propria esperienza e alle proprie
conoscenze ed aspettative (consapevolezza cognitiva). Inoltre la coscienza esercita un
controllo sui processi cognitivi e, in quanto tale, svolge la funzione di sistema di rilevazione
degli errori: se qualcosa non va bene nell’esecuzione di un compito attuato o previsto essa è
in grado di scoprire l’errore e nel caso riprogrammare l’azione. A differenza di altre
dimensioni psichiche la coscienza può essere consapevole di sé stessa, in un processo
teoricamente infinito (consapevolezza metacognitiva). Questa capacità di autoriflessione è
alla base dell’evoluzione ontogenetica e filogenetica umana. Occorre distinguere ora i diversi
livelli della coscienza:
1. Sé originario questi sono i processi che riguardano l’organismo e sono composti dai
segnali somatoviscerali. Questi segnali, che insieme formano la cenestesi (che indica
il funzionamento dell’organismo), sono di due tipi:
Grazie a questi segnali somatoviscerali possiamo sentire il morso della fame, ad esempio, e
cercare di soddisfarlo. Tutte queste operazioni insieme garantiscono l’omeostasi, cioè
appunto l’insieme di parametri biochimici dell’organismo mantenuti entro una gamma
compatibile con la vita. Sono connessi dunque ai sentimenti primordiali, associati a
sensazioni di benessere o pena. In breve, forniscono un’esperienza diretta ed immediata
dell’esistenza del proprio corpo. È dunque una coscienza radicata nel corpo.
Quando la coscienza assume forme diverse da quelle sopracitate si parla di stati alterati di
coscienza. Qui esamineremo i tre più conosciuti e principali: il sonno, l’ipnosi e la
meditazione.
Il sonno è uno stato dell’organismo caratterizzato da una ridotta capacità agli stimoli
ambientali e da una sospensione parziale della coscienza. Sorge spontaneamente e
periodicamente, si autolimita nel tempo ed è reversibile. Si crea così un’alternanza sonno-
veglia. Il sonno ha diverse fasi che sono due riguardanti la veglia e quattro concernenti il
sonno vero e proprio; queste ultime costituiscono un ciclo di sonno e durante il riposo
notturno vi sono circa 4-6 cicli completi, ciascuno di circa 90 minuti.
1. La veglia attiva: presenta onde beta rapide e irregolari (elevata frequenza e bassa
ampiezza)
2. La veglia rilassata: con gli occhi chiusi, presenta onde più lente e regolari (alfa occipitale
8-12Hz);
3. Stadio 1: prima stadio del sonno vero e proprio; caratterizzata da onde Theta con ampiezza
ridotta;
4. Stadio 2; contraddistinto dai <<fusi del sonno>> (variazioni rapide e irregolari delle onde
celebrali), si attiva dopo 10-20 minuti rispetto allo stadio 1;
5. Stadio 3 e 4: caratterizzati da onde delta lente e ampie, fra l’1 e i 2 Hz. Lo stadio 4 è noto
come sonno profondo e svolge la funzione principale per il recupero delle forze; questo è il
momento in cui un soggetto è più difficile da svegliare e dove si possono verificare fenomeno
come sonnambulismo, enuresi, terrori notturni.
Sonno REM: il rapid eye movement, è il passaggio dallo stadio 4 allo stadio 1. Esso è detto
anche sonno paradosso, poiché in questo momento le onde celebrali sono simili a quelle della
veglia attiva. In questo stadio abbiamo dunque un cervello attivo in un corpo pressoché
paralizzato; abbiamo inoltre un aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo (aumento
della pressione arteriosa, polso e respirazione) e un decremento del tono muscolare.
Solitamente è accompagnato da un’erezione del pene e dal turgore clitorideo. Le persone che
vengono svegliate in questo lasso di tempo (circa l’80% dei casi) ricorderanno più
nitidamente ciò che stavano sognando. È maggior mente presente nelle fasi terminali del
sonno.
Vi sono due teorie che spiegano il perché della nostra necessità del sonno:
a. Teoria ristorativa: secondo cui il corpo dorme per necessità di recuperare le forze sia
somaticamente che cerebralmente parlando. Il sonno svolgerebbe la funzione di riparazione
dai danni subiti durante la veglia.
b. Teoria circadiana: secondo cui il sonno è comparso durante l’evoluzione per mantenere
gli animali inattivi nei momenti in cui non era necessario mantenere una soglia di
sopravvivenza elevata.
Privazione del sonno: nonostante le credenze comuni, non dormire (privazione totale del
sonno) per svariati lassi di tempo (entro le 200 ore) non comporta danni o malfunzionamenti
sui processi fisiologici e sulle prestazioni psicologiche, né comporta un declino delle funzioni
cognitive, specialmente di quelle complesse; tuttavia l’attuazione di compiti semplici,
ripetitivi e noiosi viene velocemente compromessa. Dopo alcuni giorni di privazione
compaiono i microsonni, cali improvvisi di vigilanza della durata di pochi secondi in cui i
soggetti non rispondono agli stimoli ambientali. Nella privazione parziale (in cui il sonno è
ridotto quotidianamente rispetto al normale) osserviamo un incremento nell’efficienza del
sonno: una diminuzione nella latenza di addormentamento, un decremento di risvegli notturni
e una riduzione degli stadi 1 e 2 del sonno NREM, nonché una riduzione del REM. Rimane
medesima la quantità di sonno dello stadio 4.
Nella fase terminale si prepara suggestivamente il paziente al ritorno repentino alla realtà e
all’ambiente, cercando di creare una amnesia postipnotica. Secondo Stanford e la sua scala
di suscettibilità ipnotica il 15% della popolazione è altamente ipnotizzabile; per contro un
5/10% non può essere ipnotizzata. Secondo la psicologia ingenua sarebbero più facilmente
suscettibili gli individui più suggestionabili e più accondiscendenti. È invece vero che essi
sono caratterizzati da qualità distintive:
a. Dissociazione: sono capaci più di altri di fare ricorso a meccanismi dissociativi (vivere una
situazione non in prima persona ecc.).
b. Immaginazione: hanno un’immaginazione ricca, sono portati a fare sogni ad occhi aperti e
riescono a concentrarsi così tanto sulle proprie fantasie da sentirsi totalmente coinvolti in esse
come fossero reali;
Paragrafo 3 – AZIONE
I movimenti in sequenza implicati in un’azione sono volontari, idonei a realizzare uno scopo.
Ogni azione si svolge secondo un piano che controlla l’ordine di sequenza di operazioni
motorie per consentire il raggiungimento dello scopo predefinito. È la simulazione mentale
che consiste in una mappa della traiettoria delle operazioni da svolgere una dopo l’altra,
prefigurando gli effetti di un’operazione su quella successiva, in modo da apportare le
opportune correzioni nello svolgimento stesso dell’azione. Ogni nostra azione è contingente,
poiché è l’insieme di tutti gli esiti delle nostre attività personali congiunte agli aspetti casuali.
Nell'esecuzione di un’azione siamo responsabili, ma è una responsabilità limitata poiché
intervengono in modo necessario fattori ambientali.
Le aree celebrali coinvolte in questi processi si trovano in modo elettivo nella corteccia
prefrontaale. Essa è un’area importante, estesa negli umani in modo sproporzionato, in
grado di ricevere informazioni da tutte le altre regioni corticali percettive e motore, come
pure da quelle sottocorticali. A sua volta questa corteccia (PFC) ha molteplici proiezioni di
ritorno ai sistemi sensoriali, percettivi e motori, esercitando un’influenza robusta e continua
(dall’alto verso il basso) nei loro confronti. Tali condizioni hanno condotto all’ipotesi
dell’esecutivo frontale, che presiede a numerose attività mentali, fra cui: l’attenzione
esecutiva, l’alternanza del fuoco di attenzione, l’inibizione di un’informazione già percepita.
L’attenzione esecutiva dirige e governa le operazioni implicate nello svolgimento
dell’azione; funge da regia nel governo della complessa rete delle connessioni
interdipendenti fra l’individuo e l’ambiente. Questa funzione di coordinamento e
supervisione dell’attenzione esecutiva appare particolarmente efficace quando abbiamo
diverse operazioni da compiere entro la stessa azione (gioco degli scacchi) o differenti azioni
da affrontare nella stessa situazione (sto lavorando al computer e suona il telefono). In questi
casi l’attenzione esecutiva determina quale compito avrà il sopravvento rispetto agli altri. Di
norma presenta quello che presenta il grado più elevato di compatibilità con la configurazione
della situazione per il raggiungimento degli scopi previsti.
L’alternanza del fuoco di attenzione ci permette di essere tempestivi, efficaci e dinamici
nell’affrontare, svolgere e monitorare la realizzazione di attività diverse entro la stessa
situazione (multitasking). Questa alternanza ha dei costi energetici e attentivi da pagare, per
passare da un’azione all’altra. L’accuratezza, la velocità e l’agilità nell’esecuzione di
un’azione sono strettamente associate all’esercizio; da ciò si evince inoltre che l’azione è una
fonte intrinseca di apprendimento e che per lo svolgimento della stessa può e deve in alcuni
casi intervenire la memoria lavoro, quel tipo di memoria che ci consente di produrre ciò che
intendiamo fare. Dall’azione deriva infine il sentimento dell’autoefficacia, quella credenza e
verifica di riuscire a controllare un’attività e di svolgerla con una buona riuscita.
Capitolo 5
Secondo Fodor e la sua ipotesi esiste una sorta di universalità umana, intesa come
impostazione mentale uguale per tutti. Da qui nasce la convinzione dell’esistenza di una
lingua della mente (mentalese), analoga ad una lingua naturale. Seguendo l’idea si giunge
alla consapevolezza che le rappresentazioni mentali sarebbero combinazioni di concetti
semplici innati, e sarebbero elaborate secondo logiche regole, attente solo alla forma
(sintassi) che non al contenuto (semantica). Nonostante questa cecità semantica, la mente
computazionale diviene in grado di tradurre le rappresentazioni mentali in proposizioni,
divenire mente proposizionale, atta alla computazione di simboli modali (non provenienti
dalle diverse modalità sensoriali o propriocettive, ma già presenti in modo innato). Si parla
qui ancora del modularismo. In contrapposizione al modularismo v’è l’idea di una mente
fondata momento per momento sull’interazione senso-motoria con l’ambiente. Una mente del
qui ed ora. È la mente situata e radicata nel corpo.
Grazie alla scoperta italiana dei neuroni specchio, un sistema di neuroni distribuito in
numerose aree celebrali e costituisce la base celebrale per competenze mentali fondamentali,
Paragrafo 2 – CONOSCENZA
Le categorie per somiglianza di famiglia sono quei tipi di categorie in cui possono essere
riunite in un gruppo e sono determinate dalla polisemia semantica della una parola (differisce
da sinonimia e omonimia). In sostanza ad esempio la parola FRESCO può avere un
significato molteplice: nuovo o recente, in condizioni ottimali o incontaminato, infine non
caldo. Le categorie radiali invece sono quelle categorie intese come ramificazioni che
partono da una categoria centrale e procedono in modo associativo. Le categorie funzionali
sono basate su uno scopo e ciascuna di esse è formata in modo coerente dai componenti
indispensabili per raggiungerlo. Le categorie ad hoc non emerge finché non sono attivate le
nostre conoscenze enciclopediche e comprendono le proprietà degli oggetti e come esse sono
fra loro collegate. Ad esempio un sasso, una sedia, un dizionario sono prese in un contesto
nella norma come oggetti non raggruppabili nella stessa categoria; ma se ad esempio una
porta sbatte per il vento, possono rientrare nella categoria ad hoc, poiché tutte, grazie ad una
qualità (in questo caso peso sufficiente per lo scopo) possono bloccare la porta. È dunque una
categoria momentanea e contingente, utilissima per il risparmio di energie cognitive e la
facilitazione del problem solving. Alla domanda “esistono categorie universali?” non si può
che rispondere: no, non possono esistere perché ogni cultura ha una propria concezione sia
dell’ambiente in cui vive sia di categorizzarlo ergo, com’è ovvio nella loro relatività, le
categorie mentali più che nella natura risiedono nella cultura, che è diversa in tutto il mondo.
La conoscenza, sia come comprensione sia come categorizzazione, consente dunque di
acquisire informazioni sia sulla nostra esperienza diretta sia su quella altrui. Vanno a formarsi
naturalmente diversi tipi di conoscenza e di reazione delle stesse. Le conoscenze
dichiarative sono in breve le conoscenze esplicite, che promuovono l’acquisizione di nuove
teorie, modelli o concetti. Sono conoscenze consapevoli; sono il “che cosa” sappiamo e
riguardano i fatti.
riflessiva è la conoscenza derivata dalla rivisitazione della nostra esperienza, per creare una
conoscenza più critica e consapevole.
Cervello e mente sono potenti dispositivi per riprodurre e anticipare eventi dell’ambiente.
Sono quindi in grado di “simulare” la realtà.
La simulazione è uno strumento formidabile, unico dell’essere umano, poiché non solo
permette di ri-creare una condizione, ma anche di crearla da zero, come nei casi dei libri,
videogiochi, realtà virtuali ecc…Come detto la simulazione è uno strumento molto potente
sia per ricostruire il passato (pensiero controfattuale) sia per anticipare il futuro (pensiero
prefattuale). Nel primo caso ci riferiamo ovviamente ad avvenimenti già accaduti e
ipotizziamo cosa sarebbe potuto accadere se ci fossimo comportati in maniera differente da
ciò che realmente è avvenuto. È una forma di pensiero condizionale, in cui siamo di fronte al
modo congiuntivo delle possibilità: rispetto ad una situazione ipotetica, in cui solitamente le
persone si concentrano solo ad un’unica possibilità (solitamente connessa con le proprie
aspettative), nel modo congiuntivo si presta attenzione sia a ciò che realmente accaduto sia
alla possibilità che sarebbe potuta accadere. Le simulazioni prefattuali, cioè le anticipazioni
mentali di come attuali condizioni reali possano essere in potenza nel futuro, hanno utilità
ben chiare sia in ambito individuale sia in ambito scientifico. A livello individuale queste
simulazioni concernenti il proprio futuro sono assai più frequenti di quanto crediamo e
servono a disegnare il futuro del proprio sé possibile. La pianificazione del proprio futuro
consolida il senso della nostra identità, precisa la traiettoria della nostra vita e quindi implica
una miglioria a livello del presente sotto diversi versanti. Soddisfa in modo efficace il
bisogno di sentirsi preparati, capaci di governare l’incertezza del futuro in caso sia di
opportunità (autorealizzazione) che di minacce (autoprotezione). Le simulazioni concernenti
il nostro futuro oscillano fra la desiderabilità e la fattibilità. È in gioco in contrasto mentale
fra il conseguimento di un futuro desiderato e la valutazione delle condizioni attuali
disponibili per raggiungere tale stato. Infine la simulazione è il motore di base di ogni forma
di creatività umana.
I motivi dei limiti della simulazione si basano su due caratteristiche delle stesse: l’architettura
e l’utilizzo. L’architettura è il livello di costruzione della simulazione da parte degli esperti e
se è distorta, o quanto meno, lontana dai fenomeni che intende rappresentare è indubbiamente
destinata al fallimento, poiché presenta una bassa validità di costrutto. A livello dell’impiego
della simulazione da parte dei destinatari possiamo avere un impiego “cieco”, automatico
delle simulazioni. In altri casi i fruitori possono avere un alto livello di aspettativa e fiducia
nei confronti della simulazione, col rischio di confondere la realtà con la finzione. È
necessario ricorrere per non incappare in tali errori nel principio del rispetto-sospetto: trattare
i fenomeni col rispetto dovuto e con il necessario sospetto. Si riducono così le possibilità
dell’errore dello stimolo (descrivere non ciò che si osserva ma ciò che già si sa) e l’errore
dell’esperienza (attribuire alla propria realtà proprietà che invece appartengono in modo
esclusivo al soggetto). ! La simulazione può anche portare a conseguenze patologiche o lesive
nei confronti di sé e degli altri. Vi sono dunque i reati di simulazione: un comportamento
diretto a far sorgere in altri un falso giudizio sia per mezzo di dichiarazioni concordate fra le
parti ma non corrispondenti all’effettiva volontà delle stesse (simulazione di contratto =
truffa), sia con la denuncia di fatti inesistenti o diversi da quelli realmente accaduti
(simulazione di reato), sia con la fabbricazione di documenti fasulli o con la contraffazione di
prodotti. Sul piano relazionale vi sono persone con una personalità machiavellica, solite a
servirsi della simulazione machiavellica. Essa consiste in una ricostruzione appositamente
manipolatoria della realtà, con la trasformazione sistematica dei dati di realtà a proprio
esclusivo vantaggio.
Infine vi sono simulazioni deliranti, con elevati gradi di deformazione della realtà; di solito
in queste simulazioni vi sono sempre indizi di realtà, trovabili solo grazie ad
un’investigazione attenta e acuta.
Capitolo 6
APPRENDIMENTO ED ESPERIENZA
Grazie allo sviluppo celebrale gli individui sono in grado di compiere previsioni riguardo a:
Per raggiungere questo traguardo è necessario essere in grado di associare due o più eventi
fra loro. È l’apprendimento associativo. Connessi a questo tipo di apprendimento vi sono i
riflessi, cioè quelle azioni di risposta condizionate/incondizionate che abbiamo rispetto ad un
dato stimolo.
Legge dell’effetto: la connessione dei legami associativi tra stimolo e risposta dimostra che
essi non dipendono solo dalla loro contiguità temporale (come con Pavlov), ma anche degli
effetti che seguono la risposta.
Legge dell’esercizio: la ripetizione di una risposta diventa tanto più probabile quanto più
spesso è ripetuta.
Egli dimostrò inoltre che una ricompensa costituisce un rinforzo al condizionamento e alla
risposta emessa in seguito. Le ricompense possono essere positive (gratificazione) o negative
(eliminazione di situazione negativa). Per converso anche le punizioni hanno effetti simili e
possono anche loro essere positive (stimolo doloroso) o negative (diminuzione
gratificazione). I rinforzi possono essere continui o parziali; Skinner constatò che quelli
parziali sono quelli più efficaci, poiché conducono al fenomeno dell’assuefazione, ovvero
all’adattamento a condizioni particolari.
Giunse alla definizione dei piani di rinforzo per favorire l’incremento di un certo
comportamento:
1. Piano di rinforzi a intervallo fisso: il rinforzo è fornito a scadenze regolari (come gli
stipendi);
3. Piano di rinforzi a rapporto fisso: il rinforzo è fornito dopo un numero sempre uguale e
prefissato di risposte (lavoro a cottimo);
Grazie allo sviluppo dei media esiste l’apprendimento a distanza, come l’e-learning. Si
basa sulla formazione a distanza e non è più il discendente della sapienza a doversi adattare ai
processi di apprendimento, bensì è l’insegnamento ad adeguarsi alle esigenze del
discendente; inoltre vi è un’elevata indipendenza nel processo di apprendimento, visto che si
è svincolati sia dalla presenza fisica che di orari precisi. Occorre però un monitoraggio
costante dell’apprendimento, sia via valutazione esterna che autovalutazione. Vi sono poi i
serious game, quelle attività digitali interattive che attraverso la simulazione virtuale
consentono ai partecipanti di fare esperienze precise ed accurate (anche complesse), in grado
di promuovere attraverso la forma del gioco percorsi attivi, partecipanti e coinvolgenti di
apprendimento nei vari domini dell’esistenza umana. Ovviamente in Italia non si sono mai
visti. L’apprendimento derivante dai serious game è di tipo esperienziale, in cui il virtuale è
una riproduzione attendibile e fedele dei processi di realtà. È un imparare facendo. Infine i
serious game comportano una valutazione dinamica, repentina e in tempo reale, nello stesso
momento in cui un’azione viene svolta.
Capitolo 7
MEMORIA E OBLIO
L'esperienza che facciamo in ogni momento è appresa in base a complessi dispositivi mentali.
L'apprendimento sarebbe inutile se non avessimo la capacità di conservare nella mente ciò
che abbiamo appreso per poter utilizzare le competenze e le conoscenze acquisite in un
momento successivo in funzione delle esigenze individuali e di quelle poste dall’ambiente.
La conoscenza va immagazzinata nel nostro cervello per poter essere poi recuperata in tempo
successivo. La memoria è la capacità di conservare nel tempo informazioni apprese e di
recuperarle quando servono in modo pertinente. Ogni nuova esperienza comporta dei
cambiamenti nei circuiti nervosi, quindi la memoria è un sistema in continuo divenire¸ nella
sua natura dinamico. Per certi aspetti noi siamo la nostra memoria. Essa è la nostra storia
come individui (memoria personale) e come comunità a cui apparteniamo (memoria
collettiva). Non è la fotografia della storia. Essendo un’elaborazione, una ricostruzione e
una conservazione attiva delle informazioni, implica in ogni caso un certo grado di
distorsione. Solitamente, inoltre, tendiamo a rielaborare nel tempo un miglioramento dei
ricordi (ottimismo mnestico). La memoria è strettamente correlata all’oblio, ma non è un
fattore negativo, perché ci permette di eliminare dalla mente informazioni superflue e lasciare
spazio a nuovi apprendimenti, poiché la memoria non è infinita.
-La memoria procedurale riguarda la conservazione delle competenze e procedure con cui
fare le cose; tale memoria è valutabile solo attraverso l’esecuzione delle attività in oggetto.
-La memoria dichiarativa concerne la conservazione delle conoscenze sui fatti che possono
essere acquisite in una volta sola e che sono direttamente accessibili alla coscienza.
La memoria episodica ha a che fare con ciò che ricordiamo, quella semantica con ciò che
sappiamo.
- La memoria prospettica è la memoria per gli eventi futuri, il ricordarsi che si dovrà fare
qualcosa.
2. Livello intermedio: consideriamo anche gli aspetti fonologici di uno stimolo (come suoni,
rime, assonanze); ricordiamo il 57% degli stimoli.
Vi sono però degli effetti che contribuiscono a dare forza alla memoria:
Allan Paivio ha sottolineato l’importanza del sistema a doppia elica della codifica: essa è sia
verbale che immaginativa. Le componenti immaginative sono più semplici da ricordare,
primo dal punto di vista filogenetico (sono proporzionalmente più anni in cui l’uomo pensava
per immagini che non per parole), secondo dal punto di vista immediato le immagini sono più
velocemente codificabili e da esse può derivare la componente verbale. Quindi le parole ad
alto valore di immagine sono più facilmente ricordabili che non quelle a basso valore di
immagine. È grazie alla ritenzione che conserviamo nei magazzini di memoria le
informazioni acquisite. Per favorire questo processo si utilizza la reiterazione (quando ad
esempio per fissare meglio nella mente qualche informazione continuiamo a ripeterla).
L’esperimento che fecero ad una classe di bambini fu il seguente: fu chiesto loro di che colore
fosse la barba dell’insegnante dell’anno precedente, se nera o castana. Una buona percentuale
rispose in un modo e la restante nell’altro. La verità è che l’insegnante non aveva la barba.
Come già detto, la ricostruzione dei ricordi è un affare puramente soggettivo, poiché basato
sull’esperienza.
Daniel Schacter elencò quelli che egli ritenne essere i “sette peccati” della memoria:
1. Labilità - carenza da omissione: debolezza della memoria a ricordare ciò che abbiamo
fatto a distanza temporale, specialmente se abitudinaria;
6. Distorsione – carenza da commissione: indica il processo secondo cui i ricordi del passato
vengono modificati in base alle convinzioni attuali;
Gli studi di tutti questi fattori legati alla memoria sino ad ora citati hanno portato alla
creazione della psicologia della testimonianza, branca della psicologia che si occupa della
validità, attendibilità e accuratezza dei ricordi di un testimone.
Infine l’oblio può essere provocato anche dal blocco di un’informazione già depositata in
memoria. Si verifica quando vi sono diverse associazioni riferite ad un indizio e una di esse è
più forte delle altre, ostacolando il recupero totale delle informazioni del target.
La memoria lavoro (ML) può essere paragonata alla RAM dei pc, dove la memoria a lungo
termine è l’hard disk. Come la RAM, la ML è completamente flessibile rispetto ai contenuti e
quanto più è estesa tanti più “programmi” può far “girare” insieme. La capacità della ML è
direttamente proporzionale alle nostre competenze mentali (intelletto, ragionamento,
linguaggio). Come detto il termine ML viene sostituito a quello precedente, cioè memoria a
breve termine. La MBT è una memoria assai precaria e volatile, di duratura relativamente
breve. In presenza di compiti distrattori la volatilità della MBT può diventare molto elevata,
con una durata di appena due secondi.
Se desideriamo non perdere le informazioni, occorre ripeterle con frequenza per mantenerle
in quel dato spazio chiamato tampone di reiterazione.
Capitolo 8
Solitamente quando abbiamo una sensazione ambigua riguardo a ciò che abbiamo sentito (es:
della figura del bosco al buio), è la nostra prima impressione fare da matrice per le
impressioni seguenti. Questo avviene tramite il sistema di riconoscimento, che ci fa
assumere una certa probabilità a priori sulle impressioni. Quando poi otteniamo nuove
informazioni, siamo disposti a cambiare l’impressione iniziale, ma sempre da essa partono
poi i lavori di elaborazione. Questa procedura è rapidissima e inconscia.
Paragrafo 2 – LA DECISIONE
Quando dobbiamo prendere una decisione, qualsiasi essa sia, si va a creare una sorta di
albero decisionale nella nostra mente. Esso parte dal punto di decisione (il momento in cui
siamo posti dinanzi alla scelta) e si dirama nella possibilità dello status quo (mantenere la
situazione com’è) oppure si dirama verso un’altra scelta. Ovviamente prendere una scelta
diversa comporta dei rischi (ad esempio finire in una situazione peggiore di quella
precedente), senza contare ovviamente la possibilità del lato positivo; d’altro canto anche il
rimanere sullo status quo può comportare dei rischi (perdere una buona occasione). Quando
siamo posti dinanzi a delle scelte che in possibilità possono o farci vincere o farci perdere,
subentra la tendenza dell’avversione alle perdite, grazie la quale si rischia pure di evitarle
(finendo in possibilità in una situazione di maggiore perdita), questo perché è chiaro il fatto
che le perdite fanno più male rispetto al guadagno. Inoltre quando si vive in questa
avversione, subentra anche l’effetto dotazione, ovvero la preferenza per ciò che si ha per il
fatto stesso che è in nostro possesso. Ovviamente prendere una scelta non è semplice, poiché
subentrano diverse e infinte variabili come il rapporto tra le possibili decisioni, il passare del
tempo e l’utilità soggettiva. Capita alcune volte però che abbiamo cadute dell’autocontrollo,
scegliendo le azioni di gratificazioni immediate. Queste, per quanto piacevoli sul momento,
possono avere pessimi risultati nel futuro (come l’abuso di alcool o l’utilizzo di sostanze
stupefacenti). Siamo indotti a comportarci così da una tendenza ad apprezzare il presente e a
“svalutare” il futuro lontano (tendenza chiamata sconto temporale).
Abduzione: è lo strumento che utilizziamo per dare un senso all’induzione; non abbiamo
quindi solo fatto una generalizzazione, ma la abbiamo anche spiegata.
Analogia: metodo ulteriore per produrre conoscenze di fronte a nuove situazioni; procedendo
col cosiddetto ragionamento analogico (es: ho una vite da svitare, non ho un cacciavite
piatto uso uno strumento simile per compiere l’azione per cui il cacciavite era destinato),
deduciamo una conoscenza. Essa, come le abduzioni, ovviamente, non garantiscono
conclusioni certe. Sono cinque i processi che caratterizzano il ragionamento analogico:
Paragrafo 4 – DEDUZIONI
invece consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse,
indipendentemente dal fatto che esse siano vere o false. ! Dai primi studi filosofici a.C., dove
si insegnava a convincere gli altri con la retorica e a pensare bene con la propria testa e a
smascherare gli altri con la logica. Da questi primi studi siamo arrivati, solo da una
cinquantina d’anni, alla psicologia sperimentale del ragionamento. Per molto tempo si è
pensato che l’uomo avesse una sorta di logica naturale, un insieme di regole che
producevano le prestazioni corrette. Con gli studi di suddetta psicologia, è stato scoperto
invece che la variabile cruciale non è la logica in sé, bensì il contenuto del ragionamento.
Nella vita incappiamo spesso in problemi di svariata natura; vi sono quelli di semplice e
veloce risoluzione e quelli invece complessi. Per quelli complessi possiamo ricorrere a due
strategie:
Gli algoritmi sono una serie di regole che, se adottate esplicitamente, permettono di risolvere
il problema; sono regole utilizzabili quando non vi sono eccessive possibilità. Le euristiche
sono strategie e scorciatoie mentali, regole che non riescono a dare una descrizione esaustiva
delle strategie per giungere alla soluzione. Le euristiche non portano alla soluzione ottimale,
ma possono portare comunque a risultati soddisfacenti. Seguendo la tendenza a focalizzarsi
che abbiamo visto, una delle euristiche più potenti è quella dell’analisi mezzi-fini. A tale
scopo è utile affrontare un problema distinguendo:
4. Stati intermedi del problema: stati che si ottengono applicando un operatore a uno stato
in vista del raggiungimento dell’obbiettivo. Queste quattro componenti definiscono lo spazio
del problema. Simon (1982) mostrò che la risoluzione dei problemi (problem solving) è
comparabile alla progettazione. Inoltre la risoluzione da parte di agenti a razionalità
limitata (cioè coloro che sono costretti ad usare esclusivamente euristiche, dato il loro limite
cognitivo) procede tramite la decomposizione del problema stesso. Si ottengono così sotto-
problemi che si possono risolvere uno ad uno.
In determinati casi possiamo parlare anche di soluzioni creative dei problemi, cioè soluzioni
pressoché inventate da zero e a cui nessuno ha pensato prima. In qualsiasi caso avvenga la
risoluzione di un problema, per velocizzare il processo è necessario adottare la strategia
basata sulla falsificazione delle ipotesi. Come già noto, tendiamo a focalizzarci su data idea o
ipotesi (meccanismo di fissazione) e questo può portarci a non vedere soluzioni creative
oppure ad una risoluzione veloce e coerente. Quindi, quando creiamo una prima ipotesi
dobbiamo subito pensare a confutare l’ipotesi opposta, in modo da verificare la prima. Siamo
talmente abituati alle funzioni per cui uno oggetto è stato inventato che non riusciamo a
vedere e concepire funzioni alternative. Infine la creatività alla base di scoperte scientifiche
importanti non utilizza processi cognitivi diversi da quelli che utilizziamo tutti i giorni per
risolvere i nostri problemi. È l’importanza sociale, artistica o scientifica del prodotto che ne
determina fama e celebrità.
Capitolo 9
COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO
Noi siamo esseri comunicanti. La comunicazione non è un mezzo per mettersi in contatto
con qualcuno, bensì un vincolo costitutivo con noi stessi.; costituisce una piattaforma mentale
in cui convergono funzioni:
È tramite il simbolo che l’essere umano ha potuto iniziare a comunicare come al giorno
d’oggi. È necessario precisare che la comunicazione non coincide con il comportamento,
inteso come una qualsiasi azione motoria di un individuo osservabile in una qualche maniera
da un altro. V’è però tra essi un rapporto di inclusione: ogni comunicazione è un
comportamento ma non ogni comportamento è una comunicazione, poiché nella
comunicazione deve esserci necessariamente un certo gradi di intenzionalità. Similmente, è
necessario distinguere fra comunicazione e interazione, intesa come qualsiasi contatto (sia
volontario che involontario) fra due o più individui. Come nel primo caso anche qui abbiamo
un rapporto di inclusione: ogni comunicazione è un’iterazione ma non ogni interazione è una
comunicazione. Tutto ciò che non è comunicazione rimane a livello di notizia, cioè dei
semplici dati. Dunque la comunicazione è uno scambio interattivo osservabile fra due o più
individui, dotato di un certo grado di consapevolezza e di intenzionalità reciproca, capace di
partecipare e di far condividere un certo percorso di significati sulla base di sistemi
convenzionali secondo la cultura di riferimento.
Vi sono diversi punti di vista riguardo alla comunicazione; ne sono citati alcuni:
3. Modello Pragmatico: che differisce dalla semantica (significato dei segni) e dalla sintassi
(relazione formale tra i segni), poiché la pragmatica (che esplora la relazione dei segni coi
parlanti) si occupa dell’uso dei significati. I modi con cui i significati sono impiegati nelle
diverse circostanze.
Grice distinse fra la logica del linguaggio e la logica della conversazione. La prima si occupa
a livello superficiale dei significati; la seconda considera i processi che gli individui usano
per inferire ciò che il parlante intende comunicare. La logica della comunicazione implica la
differenza fondamentale tra il dire e il significare. Fra questi due livelli esiste uno scarto,
poiché ciò che è significato è più esteso di ciò che è detto. Per superare lo scarto è necessario
fare ricorso ad un lavoro mentale chiamato dallo stesso Grice implicatura conversazionale.
Costituisce un impegno comunicativo aggiunto per andare oltre le parole dette, in modo da
individuare l’intenzione comunicativa del parlante. La comunicazione si articola su più piani:
quello della comunicazione intesa come i contenuti che si scambiano e la
metacomunicazione, cioè la comunicazione sulla comunicazione, la cornice con cui
intrepretare i messaggi. La comunicazione diventa lo spazio che crea, mantiene, modifica e
rinnova i legami fra i soggetti. La comunicazione diventa la base costitutiva dell’identità
personale e della rete di relazioni cui ciascuno è inserito.
Secondo la semantica logico-filosofica il significato di una parola o di una frase è dato dal
rapporto che esiste tra linguaggio e realtà. In quanto insieme di condizioni di verità il
significato non è un monolite, ma una realtà articolata, scomponibile in unità specifiche.
significato come il modo con cui comprendiamo le espressioni linguistiche e con cui
rappresentiamo mentalmente la conoscenza della realtà.
È di facile comprensione quindi che il significato, nella sua natura convenzionale, è anche il
prodotto della partecipazione di più persone, è uno scambio interpersonale.
Paragrafo 5 – LINGUAGGIO
Ogni lingua è un sistema simbolico che consiste nella corrispondenza regolare fra un sistema
di differenze di suoni e un sistema di differenze di significati. Ogni linguaggio è ovviamente
composto da simboli arbitrari e convenzionali, e risulta idoneo a generare un numero
illimitato di enunciati e discorsi partire da un numero limitato di elementi (generatività).
a. La sistematicità: gli enunciati possono essere composti solo seguendo le regole sintattiche
previste dalla lingua;
La mimica facciale, in quanto esito dei movimenti volontari e involontari del volto,
costituisce un sistema semiotico privilegiato, poiché è una regione focale del corpo per
attirare l’attenzione e l’interesse degli altri. Le configurazioni universali delle mimiche
facciali furono studiate da Paul Ekman e Wallace Friesen. Anche lo sguardo è un potente
segnale comunicativo, così come i gesti, anche se questi ultimi costituiscono un sistema nv
distinto, articolato in diverse categorie:
Nel loro insieme, i sistemi non verbali di significazione e di segnalazione risultano poco
idonei a definire e a trasmettere conoscenze, soprattutto quelle astratte, poiché presentano un
grado limitato di convenzionanillazione. Per contro si dimostrano potenti ed efficaci per
generare, sviluppare mantenere e modificare le relazioni interpersonali.
Capitolo 10
Come esseri umani tendiamo a dare alle cose un valore; per la sicurezza, per l’immagine e
prestigio, per l’economia, per la fede o per avidità ecc…il valore tuttavia non è cosa assoluta,
ma relativa nella sua natura, poiché nient’altro è che una convenzione. I valori sono costrutti
motivazionali che definiscono ciò che consideriamo importante e che indicano quali scopi
siano da raggiungere. Possiamo dunque dire che ha valore ciò che per noi è desiderabile e
positivo. Ognuno ha e si crea la propria gerarchia dei valori. La psicologia del desiderio ha
ricevuto ottimi apporti dalla più recente psicologia positiva; questa ha focalizzato la sua
attenzione sul benessere soggettivo e sulle qualità della vita, seguendo una prospettiva sia
edonica (dimensione del piacere come benessere personale) sia eudaimonica (realizzazione
del piacere come benessere personale). Il desiderio è il tendere a qualcosa il cui
raggiungimento riteniamo ci consentirà di trovarci in uno stato delle cose migliori rispetto a
quello passato e attuale. Per definizione il desiderio è unicamente connesso con la
realizzazione futura ed è strettamente connesso anche con il costrutto della speranza.
Nell’appagamento del desiderio gioca un ruolo fondamentale la ricompensa, che causa
effetti positivi sia a livello neurobiologo sia a livello mentale.
Come detto, essendo il valore una convenzione, è impossibile ritenere corretta l’ipotesi di
valori assoluti, anzi, questa contingenza tipica del valore ha consentito e consente la
formazione di prospettive ispirate al relativismo. D’altro canto però, pur ammettendo questa
natura contingente, dal valore deriva la necessità sia individuale che sociale di creare
gerarchie più o meno ritenute valide per un gruppo consolidato. Facendo un esempio il valore
che diamo all’oro, seppur in maniera convenzionale, è necessariamente diffuso su gran parte
del globo tra molte delle civiltà esistenti. Questi valori comuni fanno si che si crei la
possibilità ad un pluralismo, una via intermedia tra assolutismo e relativismo. Legato al
pluralismo v’è il principio della tolleranza: è la disponibilità degli individui ad accettare la
diversità come risorsa quale condizione per raggiungere forme soddisfacenti di convivenza
tra i gruppi. È la comprensione e il governo delle diversità all’interno del parametro delle
pari dignità. Di conseguenza nasce il principio dell’intolleranza dell’intolleranza, secondo
cui per dare forza al principio della tolleranza, è necessario non tollerare la non tolleranza.
aragrafo 2 – MOTIVAZIONE
La motivazione è una spinta a svolgere una certa attività e si può definire come un processo
di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle
condizioni ambientali. Esistono diversi livelli della motivazione:
d. Pulsioni: esprimono uno stato di disagio e di tensione interna che l’individuo tende a
eliminare o, quanto meno, ridurre qualora i bisogni non siano soddisfatti
e. Incentivi: da distinguere dalle pulsioni, essi rappresentano gli oggetti e/o eventi in grado di
venire incontro ai bisogni dell’individuo.
Quindi ad esempio, un panino può essere l’incentivo per soddisfare un bisogno (fame) che a
sua volta creò pulsioni interne proprio a causa del mancato soddisfacimento.
Esiste dunque una gerarchia dei bisogni, illustrata da Abraham Maslow, secondo cui se i
bisogni più gerarchicamente elevati non vengono soddisfatti, quelli di livello inferiore
vengono presi poco o niente in considerazione. Il paragrafo 3 è relativo alle motivazioni della
fame come esempio.
A. Teoria biologica: alcuni centri nervosi sono sottesi alle motivazioni, quindi si ritenne che
tali centri fossero in grado di spiegare in modo esauriente la loro genesi e il loro svolgimento
e che fossero al servizio dell’omeostasi, concepita come l’esigenza di conservare in modo
stabile nel tempo i livelli di equilibrio adatti per il funzionamento dell’organismo.
1. Bisogno di affiliazione: ricercare la presenza degli altri per la gratificazione intrinseca che
deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di appartenenza ad un gruppo; uno dei bisogni
di affiliazione più noti e importanti è la relazione di attaccamento che il bambino ha con la
genitrice o con la figura di accudimento principale. Dal bisogno di affiliazione derivano
comportamenti prosociali, che sono alla base dell’aiuto, cooperazione e condivisione. Il caso
estremo ed emblematico è quello dell’altruismo che genera azioni vantaggiose per terzi,
anche a discapito di un costo personale.
2. Bisogno di successo: consiste nella motivazione a fare sempre meglio per un intrinseco
bisogno di affermazione sociale e di eccellenza. Chi ha tale bisogno tende a prefiggersi
obbiettivi impegnativi ma realistici. Una delle radici di questo bisogno sta nelle aspettative
genitoriali ricevute durante la crescita. Quando tali aspettative sono elevate e realistiche vi è
una buona probabilità che il figlio generi un elevato bisogno di successo. Quando invece le
aspettative sono troppo alte (irraggiungibili) o troppo basse (demotivazionali) è possibile che
il bisogno di successo abbia una natura modesta e contenuta.
In linea generale, concludendo, il livello motivazionale del soggetto è dato dalla quantità e
qualità dei suoi interessi, intesi come la tendenza a preferire determinati stati di sé e del
mondo. Gli interessi sono strettamente correlati con il piano emozionale, delineando il
sistema credenze-interessi-emozioni che costituisce il cuore dell’esperienza umana ed è alla
base della definizione della propria identità.
Capitolo 11
EMOZIONI E AFFETTI
Teoria centrale: in contrapposizione alla teoria periferica, Cannon espone la teoria centrale
delle emozioni secondo cui i centri di attivazione e di regolazione dei processi emotivi sono
localizzati centralmente nella regione talamica del cervello. I segnali nervosi provenienti da
tale regione sarebbero in grado sia di indurre le manifestazioni delle emozioni, sia di suscitare
le loro componenti consapevoli attraverso le connessioni con la corteccia celebrale. Cannon
sostiene inoltre, in opposizione a James, che tali strutture celebrali attivino una
configurazione specifica di variazioni fisiologiche per ogni emozione. Vi sarebbe una
corrispondenza biunivoca fra ogni esperienza emotiva e il suo corrispondente quadro
neurofisiologico. Entrambe le teorie si sono dimostrate, pur essendo contrapposte, entrambe
vere, poiché entrambe hanno colto (seppur parzialmente) aspetti importanti della vita
emotiva.
Teoria dei programmi affettivi: intorno agli anni sessanta, l’emozione ha iniziato ad essere
studiata anche sotto il punto di vista psicologico e non solo neurobiologo. Rifacendosi alle
teorie evoluzionistiche, molti studiosi asserirono che ogni emozione è regolata da uno
specifico programma affettivo nervoso, evolutosi nel tempo per consentire alla nostra
specie un adattamento efficace al proprio habitat.
Teoria dell’apprasail: sorte intorno agli anni Sessanta sostengono che le emozioni siano
suscitate da un’attività di conoscenza (cognition) e di valutazione (appresail) della situazione
in riferimento ai propri significati, interessi e scopi. L'interesse è il cuore delle emozioni,
poiché è ciò che attribuisce un significato affettivo agli eventi. Questi ultimi sono valutati
come favorevoli o dannosi in riferimento agli interessi di una persona, e la funzione delle
emozioni è quella di soddisfarli. Essi costituiscono un atteggiamento affettivo basilare, e le
emozioni possono essere considerate come una loro variante e un loro sviluppo. Possiamo
distinguere interessi profondi da quelli superficiali: i primi riguardano gli scopi, le aspettative
e i desideri generali condivisi dalla maggioranza delle persone; i secondi concernono scopi e
desideri di una singola persona o di singoli gruppi. Vi è quindi una stretta connessione tra
interessi e desideri, poiché questi ultimi sono il motore del nostro funzionamento mentale. In
generale individui e culture differiscono profondamente tra loto per la natura e la forza degli
interessi. Il risultato è che essi presentano emozioni diverse. Le emozioni non compaiono in
modo gratuito, all’improvviso, senza una ragione d’essere, come accadimenti imprevisti e
casuali, bensì sono l’esito di un’attività di conoscenza e di valutazione della situazione in
riferimento alle sue conseguenze per l'individuo, alle sue aspettative nonché agli standard
sociali e culturali. Le emozioni cambiano quando cambiando i significai e i valori di
riferimento o quando le situazioni sono valutate in maniera differente. Questo significato
situazionale è fondamentale per capire la diversità e ‘intensità delle emozioni e per spiegare
la dimensione soggettiva dell’esperienza emotiva. La stessa situazione, pertanto, può
suscitare emozioni molto diverse fra loro, allo stesso modo, la medesima situazione può
essere attivata da condizioni differenti.
Si ha dunque ad esempio, che nel caso del ladro poc’anzi menzionato, l’emozione modale
della sorpresa dopo tempo variabile scompaia, facendo posto alla collera e/o al disgusto.
Teoria costruttivistica: le emozioni si configurano non come fenomeni biologici bensì come
prodotti sociale e culturali; esse vanno intese come uno standard di condotta sociale,
acquisito verso educazione familiare e scolastica, che indica e prescrive come comportarsi in
date situazioni. Si evince quanto, secondo la teoria, l’emozione sia puramente situazionale,
contingente e nella sua natura relativa. La teoria da inoltre, ovviamente, estrema importanza
alla relazione emozione-memoria, poiché quando si verifica un episodio emotivo, le
informazioni relative agli antecedenti situazionali, alle reazioni fisiologiche, ai
comportamenti messi in atto, ai significati e ai sentimenti sono organizzati in circuiti di
memoria che costituiscono lo “schema” di quell’episodio emotivo. La ripetizione del
medesimo episodio o di episodi simili favorisce il consolidamento della memoria e a questo
punto anche soltanto una parte dello schema può attivare la specifica emozione
corrispondente.
Questa memoria tunnel sarebbe l’esito combinato di una forte attivazione dell’organismo e
di una valenza negativa degli stimoli. Parliamo anche di memorie flash, ricordi connessi con
eventi pubblici fortemente emotivi (come l’assassinio di Kennedy o il crollo delle Twin
Towers). Nei disturbi da stress post-traumatico le persone manifestano rilevanti disturbi
della memoria, in cui si alternano intrusioni involontarie dei ricordi del trauma (flashback o
incubi notturni) e assenza di ricordi (amnesia traumatica, deterioramento mnemonico e
frammentazione di ricordi).
In generale, le emozioni sono generate da una molteplicità di cause, poiché, nello stesso
tempo, presentano alcuni aspetti universali (attivazione di specifici processi neurofisiologici),
altri comuni a un gruppo di persone, altri ancora esclusivamente individuali.
Nel flusso della vita quotidiana, assieme agli accadimenti attesi, avvengono eventi particolari
che attirano la nostra attenzione, che toccano i nostri interessi e che sono da noi valutati come
rilevanti. In queste circostanze, proviamo emozioni. In questo senso, l’emozione è
un’interruzione nel corso continuo dell’esperienza e costituisce un segnale di allerta per
l’organismo. È un segnale interno di attenzione con valore di precedenza, in grado di
interrompere le altre attività, per consentire all’individuo di raccogliere le sue risorse e di
fornire una risposta pronta, pertinente ed efficace alla nuova situazione.
Siamo una specie ultra sociale e nello stesso tempo la più emotiva. È ovvio che le emozioni
siano strettamente intrecciate con le relazioni interpersonali. Le emozioni sono indispensabili
per avviare, mantenere, modificare, rafforzare o rompere la relazione con un’altra persona. La
qualità dei rapporti interpersonali, i desideri e le aspettative, le credenze e le valutazioni degli
altri, incidono profondamente su occorrenza, decorso, tempi, modi e intensità delle
esperienze emotive. In particolare, la violazione delle aspettative, suscita rilevanti risposte
emotive, poiché tali aspettative forniscono una guida su quando e come le emozioni
dovrebbero essere provate. Questa condizione, ha promosso negli esseri umani la comparsa
delle emozioni autoconsapevoli (colpa, vergogna, imbarazzo, orgoglio). Allo stesso tempo,
sono emozioni che riguardano la nostra immagine, associata ad aspetti sociali rilevanti
(onore, pudore, autostima, senso di responsabilità). Ogni cambiamento di tale immagine in
senso sia positivo (successo, affermazione), sia negativo (fallimento, trasgressione), suscita in
noi una di queste emozioni autoconsapevoli. I legami interpersonali suscitano una gamma
molto estesa di emozioni in riferimento a vari giochi umani (umiliazione, imbroglio,
esaltazione, persecuzione, inganno, seduzione). Gioia, felicità e amore, collera, disprezzo e
pausa, ansietà e stress, sorpresa e altre emozioni costituiscono l’intreccio principali delle
emozioni provate in concomitanza con lo svolgimento di questi giochi.
Le emozioni rappresentano degli indicatori palesi per una costante lettura dello stato
psicologico dell’individuo, in quanto impegnato nell’affrontare e nel condividere con altri le
varie situazioni. Sono una sorte di spettro che riflette il grado e la natura dell’adattamento
attivo del soggetto al proprio ambiente.
Una volta provata un’attivazione del nostro organismo, dobbiamo darvi un nome ed
“etichettarla”. Non è un processo automatico né così ovvio come potrebbe apparire. Tale
difficoltà trae origine dalla discrepanza fra ciò che sentiamo e il vincolo di chiudere tale
esperienza in una categoria. Le nostre “sensazioni interne”, chiamate da David Dennet
“qualiia” sono spesso impalmabili e sfuggenti. Diventa importante quindi riflettere su ciò che
è stato definito il “lessico emotivo”. Sembra esistere un soddisfacente grado di somiglianza
nei concetti emotivi fra le varie culture, almeno a livello superficiale. Ma l’ipotesi
universalista delle emozioni non appare oggi così scontata, poiché si scontra con l’evidenza
della “diversità dei lessici emotivi”. Ogni cultura ha elaborato il proprio lessico emotivo, in
funzione del quale gli individui riescono a segmentare e circoscrivere le proprie esperienze
emotive, dare loro un nome, comunicarle, condividerle e riconoscerle negli altri.
Per primo Darwin si è chiesto se le espressioni facciali delle emozioni fossero culturalmente
invarianti. Collera- disgusto- paura-gioia- tristezza-sorpresa sono le sei emozioni di base,
uniche e universali, presenti in tutte le culture, già presenti al momento della nascita. Sulla
base di questi dati, Ekman ha sostenuto che le espressioni facciali delle emozioni siano
biologicamente programmate, universali e univoche, costanti in tutte le culture, ammettendo
però che nella loro esibizione esistono rilevanti differenze culturali. Tali differenze espressive
sono generate e governate dalle “regole di esibizione” apprese nei primi anni di vita in
funzione delle esperienze e degli apprendimenti culturali. Data una certa situazione
impariamo a esprimere le emozioni così come le stiamo provando. Nell'analisi delle
manifestazioni emotive facciali occorre distinguere “espressioni genuine” (involontarie e non
intenzionali) e quelle “false” (volontarie e intenzionali). Le prime corrispondono a esperienze
veramente sentite dall’organismo in funzione dell’attivazione dei processi neurofisiologici; le
seconde sono finte e posate, segni di simulazione e finzione sociale. Ogni persona, facendo
riferimento a questo, ha la possibilità di apparire emotivamente appropriata in una data
situazione sociale, perché in grado di individuare e rispettare gli standard e le aspettative
culturali in atto. In questo caso, l’osservatore ingenuo è incapace di discriminare
un'espressione genuina da una simulata. Per questo è fondamentale il “contesto”, poiché esso
è in grado di fornire gli indizi necessari per attribuire un significato attendibile all’espressione
facciale. La stessa espressione può generare espressioni facciali diverse. La percezione delle
manifestazioni di un’emozione è quindi multimodale poiché coinvolge l’organismo nelle sue
diverse modalità e sua volta il contesto fisico e quello sociale sono fondamentali per il
processo qui in esame.
EFFETTO KULESOV, anche la successione, reale o arbitraria, degli stimoli emotivi modifica
il modo intrinseco la loro valutazione. L'effetto kulesov, dal nome del regista, dimostrò il
valore fondamentale del montaggio per far percepire l’espressione dei personaggi in un certo
modo. Se l’espressione neutra di un volto è fatta precedere da una scodella di zuppa, gli
spettatori percepiscono la sensazione di fame nei suoi occhi; se è anticipata dall’immagine di
un cadavere, colgono una profonda tristezza nello sguardo; se prima vi è l’immagine di una
donna nuda, allora viene individuata eccitazione. Le espressioni facciali delle emozioni sono
influenzate dal contesto sociale, effetto uditorio. La presenza degli altri svolge una funzione
di inibizione quando si tratta di esperienze negative e spiacevoli, per contro assume un valore
di facilitazione in presenza di eventi favorevoli e piacevoli.
Ad oggi, senza gli indizi contestuali, le espressioni emotive corrono il rischio dell’ambiguità.
Come esseri umani, non solo proviamo emozioni, ma siamo anche in grado di procedere alla
loro regolazione. La “regolazione delle emozioni” consiste nel dare forma alla condotta
emotiva a fronte di un evento saliente, in modo da orientare la sua esperienza e
manifestazione nel senso più consono ed efficace con la situazione. È un processo che
mettiamo in atto molto spesso. Inoltre è possibile modulare la risposta emotiva attraverso la
condivisione sociale delle emozioni. Il 90% delle persone di età diverse condivide con gli
altri le proprie emozioni, di solito nel giorno stesso in cui le hanno provate. Il fatto di parlare
di ciò che si prova con altri favorisce la definizione del loro significato e della loro rilevanza