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Filone Mafia e Appalti Richiesta Archiviazione

Il documento è una richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta riguardante indagini sui mandanti occulti delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Le indagini hanno rivelato che la mafia ha gestito illecitamente gli appalti pubblici in Sicilia, con l'obiettivo di ostacolare le indagini di magistrati come Falcone e Borsellino. Tuttavia, non sono emersi elementi probatori sufficienti per sostenere la responsabilità degli indagati, portando alla richiesta di archiviazione.

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Filone Mafia e Appalti Richiesta Archiviazione

Il documento è una richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta riguardante indagini sui mandanti occulti delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Le indagini hanno rivelato che la mafia ha gestito illecitamente gli appalti pubblici in Sicilia, con l'obiettivo di ostacolare le indagini di magistrati come Falcone e Borsellino. Tuttavia, non sono emersi elementi probatori sufficienti per sostenere la responsabilità degli indagati, portando alla richiesta di archiviazione.

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Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n.

1 di 45

PROCURA DELLA REPUBBLICA


Presso il Tribunale di Caltanissetta
Direzione Distrettuale Antimafia

N. 4645/00 Mod. 21

RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
- artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p. -

Al Signor Giudice per le Indagini Preliminari


Presso il Tribunale di Caltanissetta

Il Pubblico Ministero nelle persone dei dottori Francesco MESSINEO,


procuratore della Repubblica, Renato DI NATALE e Francesco Paolo GIORDANO,
procuratori della Repubblica Aggiunti e Carlo NEGRI, sostituto procuratore della
Repubblica;
esaminati gli atti del proc. pen. n. 4645/00 R.G.N.R.;
osserva in fatto e in diritto.
Preliminarmente va notato che quest’Ufficio, dopo avere, a seguito di
lunghe e complesse indagini, individuato e tratto a giudizio gli autori materiali e gli
esponenti di “cosa nostra” a vario titolo responsabili delle stragi di Capaci e di Via
D’Amelio, ha intrapreso e condotto e tuttora conduce indagini non meno ampie e
complesse finalizzate ad accertare se le predette stragi siano state poste in essere da
“cosa nostra” per effetto dell’influsso di mandanti esterni, soggetti cioè non facenti
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parte organicamente della mafia, ma a qualsivoglia titolo in grado di richiedere o


imporre alla stessa taluni comportamenti ovvero comunque di interloquire nei
processi formativi della volontà di “cosa nostra” orientandoli a proprio e a comune
profitto. La ricerca dei c.d. “mandanti occulti” delle stragi costituisce per l’Ufficio un
impegno irrinunciabile, ostacolato invero e reso più difficile dal decorso del tempo
che fatalmente rende incerti i ricordi e attenua le tracce. Dopo aver svolto una prima
serie di indagini, compendiata nel procedimento n. 1370/98 Mod. 21, quest'Ufficio ha
dovuto concludere che, allo stato, nessun elemento probatorio era idoneo a fondare la
responsabilità degli indagati on.li BERLUSCONI e DELL’UTRI ed ha pertanto
richiesto, ottenendola, l’archiviazione nei confronti degli stessi 1. Nel medesimo
tempo venivano proseguite ed approfondite una serie di indagini rivolte ad esplorare
qualche possibile riferimento a mandanti occulti, l’ambiente dei grandi appalti
pubblici eseguiti in Sicilia negli anni ’80 e inizio anni ’90, essendo apparsa non priva
di fondamento razionale l’ipotesi investigativa che le stragi di Capaci e di via
D’Amelio costituissero anche una rabbiosa reazione, organizzata ed eseguita in
sinergica contestualità con “cosa nostra”, da parte di organizzazioni economiche
espressione di poteri imprenditoriali e politici “forti”, disturbati nella loro attività
dalle indagini di FALCONE prima e di BORSELLINO poi o che BORSELLINO
avrebbe potuto iniziare, proseguire o portare a termine.
L’odierno procedimento ha preso le mosse dallo stralcio operato il
19.12.2000 dal procedimento c. ignoti, iscritto al n. 490/94 Mod. 44 2, che era il c.d.
procedimento “collettore principale”. In seno a tale provvedimento, scaturito in
buona sostanza dall’attenta analisi delle prime sentenze sulle stragi, cui si rinvia
integralmente, si individuavano alcune linee di sviluppo investigativo da
approfondire e, segnatamente, nell’ambito della più generale tematica dei rapporti fra
mafia e appalti. In seno a detto provvedimento, infatti, si sottolineava che
“dall’esame delle sentenze pronunciate dalla Corte di Assise di Caltanissetta nei confronti degli
autori e dei mandanti, finora individuati, delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, emerge(va) che

1
La definizione di tale procedimento con la richiesta di archiviazione rimonta al 19.2.2001.
2
Il procedimento, dopo numerosi stralci in corso di indagini, è stato definito con richiesta di
archiviazione il 2.4.2001.
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la gestione illecita del sistema di aggiudicazione degli appalti in Sicilia ha costituito uno dei
molteplici moventi che hanno indotto “cosa nostra” a deliberare ed eseguire le terribili stragi del
1992”.
La necessità di approfondire il filone investigativo della gestione illecita
degli appalti derivava, come si può rilevare dallo stesso provvedimento di iscrizione a
registro notizie di reato del presente procedimento, dall’esame degli atti di indagine
riguardanti l’illecita gestione degli appalti compiuti nell’ambito del procedimento
promosso dalla D.D.A. di Palermo nei confronti di numerosi affiliati a “cosa nostra”
e di imprenditori titolari o rappresentati di grandi imprese nazionali, operanti nel
settore dei lavori pubblici, (procedimento c.d. del “tavolino”), nonché dall’esame
delle dichiarazioni rese al P.M. e alla Corte di Assise di Caltanissetta nel corso dei
dibattimenti relativi ai processi per le stragi siciliane del 1992, da persone informate
sui fatti (Gen. Mario MORI e Cap. Giuseppe DE DONNO) e da alcuni collaboratori
di giustizia (Angelo SIINO e Giovanni BRUSCA), ed ancora dall’esame delle
sentenze pronunciate dalla Corte di Assise di Caltanissetta nei confronti degli autori e
dei mandanti, finora individuati, delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Dagli atti in questione, emergeva, in sostanza, che la gestione illecita del
sistema di aggiudicazione degli appalti in Sicilia aveva costituito uno dei molteplici
moventi che avevano indotto “cosa nostra” a deliberare ed eseguire le terribili stragi
siciliane del 1992; che tale movente era rappresentato dall’interesse che alcuni
ambienti politico–imprenditoriali e mafiosi avevano di evitare lo sviluppo e
l’approfondimento di indagini, il cui esito positivo avrebbe interrotto l’illecito
“approvvigionamento finanziario”, per l’ammontare di svariati miliardi, di cui
imprenditori, politici e mafiosi beneficiavano mediante l’illecito sistema di controllo
e di aggiudicazione degli appalti pubblici; che il movente suddetto aveva influito
fortemente nella deliberazione adottata da “cosa nostra” di attualizzare il progetto, già
esistente da tempo, di uccidere Giovanni FALCONE e Paolo BORSELLINO, atteso
che era intenzione dell’organizzazione criminale neutralizzare l’intuizione
investigativa di Falcone in relazione alla suddetta gestione illecita degli appalti, le
indagini sulla quale avrebbero aperto già nel 1991 scenari inquietanti e, se svolte con
completezza e tempestività fra il 1991 e il 1992, inquadrandole in un preciso
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contesto temporale, ambientale e politico, avrebbero avuto un impatto dirompente


sul sistema economico e politico italiano ancor prima, o al più contestualmente,
dell’infuriare nel Paese della cosiddetta “Tangentopoli”.
Tutto ciò giustificava l’approfondimento delle indagini non soltanto nei
confronti degli appartenenti a “cosa nostra”, cui il progetto stragista viene
genericamente attribuito, ma più specificamente e più direttamente verso coloro i
quali si occupavano in concreto, per conto dell’organizzazione criminale di tipo
politico - mafioso - imprenditoriale, dell’illecita gestione degli appalti per deciderne
preventivamente l’aggiudicazione, per regolare la distribuzione di subappalti e
l’acquisizione di tangenti e forniture. Soggetti che per tale ragione avevano un
preciso interesse a neutralizzare le indagini relative eliminando fisicamente i
magistrati ai quali venivano notoriamente riconosciute la capacità professionale e la
volontà per svolgerle. Ancor più tale interesse si era rafforzato allorquando Paolo
BORSELLINO, dopo la strage di Capaci, si era fortemente determinato a sviluppare
le indagini in questione, riprendendole e indirizzandole nel solco originariamente
tracciato da Giovani FALCONE.
Il tema delle connessioni fra mafia e appalti aveva ricevuto un notevole
impulso dalla collaborazione di Angelo SIINO e da quella, afferente alla seconda
fase, di Giovanni BRUSCA3. Si chiariva, ancora, nel provvedimento di iscrizione
sopramenzionato, che le persone alle quali era affidata la gestione illecita degli
appalti erano individuabili in RIINA, PROVENZANO, BRUSCA Giovanni,
BUSCEMI Antonino, fratello di Salvatore, LIPARI Giuseppe, BINI Giovanni, che
curava gli interessi della CALCESTRUZZI s.p.a. del Gruppo FERRUZZI-GARDINI,
REALE Antonino, D’AGOSTINO Benedetto e CATALANO Agostino,
amministratore della “REALE Costruzioni” s.r.l. e consuocero di Vito

3
La collaborazione di SIINO inizia ufficialmente il giorno 11.7.1997, dopo il suo arresto avvenuto
il 9.7.1997 su ordinanza di custodia cautelare dell’a.g. di Palermo, e la seconda fase della
collaborazione di BRUSCA, è quella del rinnovo della volontà di collaborare, successivamente alla
scoperta del tentativo di inquinamento e di calunnia ai danni dell’allora presidente della Camera on.
Luciano VIOLANTE. Al riguardo, va notato che l’arresto di G. BRUSCA risale al 20.5.1996, le sue
prime dichiarazioni sono del 22.8.1996, ma la sua collaborazione viene ritenuta veridica a partire
dal 1998-1999, e che esso fu ammesso al programma di protezione solamente nel Marzo del 2000.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 5 di 45

CIANCIMINO. Si procedeva, pertanto, all’iscrizione di BINI, BUSCEMI,


CATALANO, D’AGOSTINO, LIPARI e REALE, essendo gli altri soggetti già stati
inquisiti. Si ponevano a base dello stralcio una serie di atti e, segnatamente: 1) il
verbale di dichiarazioni di BRUSCA Giovanni del 23.1.1999 dinanzi alla Corte di
Assise di Caltanissetta4; 2) la sentenza n. 2/99 del 13.2.1999 pronunciata nei
confronti degli autori della strage di via D’Amelio5.
Sul tema mafia-appalti è necessario prendere le mosse dalle dichiarazioni
di Angelo SIINO6, sul progressivo cambiamento del ruolo di “cosa nostra” negli
appalti:
“Ma cambia nel senso che prima era prettamente parassitario, cioè si trattava semplicemente
delle messa a posto, una tantum c’era l’interessamento per la gestione dei lavori contro terzi,
subappalti. Invece negli anni ‘80 praticamente la mafia diventa imprenditrice, perché nel senso
che la mafia comincia a gestire direttamente l’aggiudicazione degli appalti ad imprese a lei
vicine e poi a tappeto comincia a gestire i lavori conto terzi, i subappalti e praticamente si
inserisce nel... mette il pizzo sul pizzo, cioè, praticamente, mette questo 0,80, era a discapito
della tangente politica”.
Donde la conclusione, argomentata dai giudici nisseni di secondo
grado7, che
Le ulteriori indicazioni di Angelo Siino consentono di apprezzare appieno l’evoluzione di Cosa
Nostra, dopo la metà degli anni ‘80, nella gestione degli appalti. Difatti, da un ruolo prettamente
parassitario, incentrato sulle “messe a posto”, sui subappalti, sulle gestioni dei lavori per conto
terzi, si era passati ad uno imprenditoriale, nel senso che la mafia aveva cominciato “a gestire
direttamente l’aggiudicazione degli appalti ad imprese a lei vicine”. Cosa Nostra, si era inserita “a
tappeto” nella gestione “dei lavori conto terzi e nei subappalti”, applicando “il pizzo sul pizzo”,
cioè decurtando le tangenti dirette ai politici dello 0,80%.
Inoltre è importante richiamare, come si è sopra accennato,
l’impostazione accusatoria del cosiddetto procedimento penale del “tavolino” 8.
Secondo tale elaborazione, era stato stipulato un accordo fra Antonino BUSCEMI,
Giovanni BINI e l’imprenditore Filippo SALAMONE, in base al quale quest’ultimo,

4
Si tratta del proc. pen. n. 29/97 R.G.P.M. e le dichiarazioni relative sono riportate nella sentenza n.
23/99 R.G.C.A. Caltanissetta.
5
Trattasi della sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta del proc. c.d. “Borsellino bis”, che
aveva come imputati gli “organizzatori mafiosi” della strage.
6
Sono riportate nella sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta del 7.4.2000, pag.
864 e si riferiscono all’interrogatorio alle pagg. 16-17, udienza del 17.11.1999.
7
V. loc. cit. alla nota precedente.
8
Si tratta del proc. pen. n. 1011/98 R.G.T. Palermo, contro BUSCEMI Antonino ed altri e il
riferimento è all’esposizione introduttiva dei Pubblici Ministeri di Palermo STURZO e DE LUCIA,
risalente al 17.11.1998.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 6 di 45

referente dell’imprenditoria nazionale in Sicilia, avrebbe continuato a intrattenere i


rapporti col mondo della politica e delle istituzioni, mentre i rapporti con “cosa
nostra” sarebbero stati curati non più da Angelo SIINO, ma da Giovanni BINI, il
quale avrebbe avuto il compito di fornire tutte le indicazioni per l’aggiudicazione di
una quota di grandi appalti a società gradite o sponsorizzate da “cosa nostra” 9. Oltre a
ciò “cosa nostra” avrebbe ricavato l’esborso della percentuale dello 0,80% sugli
importi dei lavori nel settore dei grandi appalti. Peraltro, l’imprenditore mafioso
BUSCEMI si era accordato con il Gruppo FERRUZZI, proprietario della
CALCESTRUZZI s.p.a.10. Il tema principale di quel procedimento era proprio il
condizionamento degli appalti pubblici e privati che viene operato da Antonino
BUSCEMI e l’accordo che per il perseguimento di questo risultato Antonino
BUSCEMI raggiunge con Filippo SALAMONE, circostanza di fatto che verrà
ulteriormente asseverata dalle dichiarazioni dell’imprenditore Benedetto
D’AGOSTINO. Il ruolo svolto dal SALAMONE in quegli anni e che gli viene
attribuito –secondo le conoscenze acquisite fino al 1996 11- era di garante degli
accordi sulla gestione dei programmi imprenditoriali e di portatore di tangenti al
sistema politico, tant’è che il P.M. concordò, su queste basi, il patteggiamento in un
pregresso procedimento a carico di detto imputato. Successivamente al 1996, si
verifica la grande svolta nello svelamento degli intrecci sugli appalti, attraverso il
pentimento di Angelo SIINO, il quale ricostruisce più dettagliatamente le connessioni
solo in parte emerse, a livello giudiziario, negli anni precedenti 12. Il collaboratore ha

9
Fra cui il Gruppo FERRUZZI, la CISA, la GAMBOGI, il gruppo COSTANZO, di cui il referente
era Giuseppe LIPARI, come si afferma nell’esposizione del P.M. di Palermo del 17.11.1998.
10
Al riguardo va considerata la dichiarazione di L. PANZAVOLTA al P.M. dott. PIGNATONE del
9.3.1993, secondo cui BUSCEMI Antonino possedeva alcune quote della soc. FINSAVI s.r.l.,
controllata al 50% dalla CALCESTRUZZI s.p.a.; in altri termini BUSCEMI Antonino era socio
della CALCESTRUZZI s.p.a. V. altresì la nota 19.
11
V. sempre l’esposizione introduttiva dei PP.MM. palermitani del 17.11.1998.
12
Basti qui ricordare la famosa intercettazione intercorsa tra l’ing. ZITO, responsabile in Sicilia e
l’ing. CATTI, amministratore della TOR DI VALLE, in cui si parla di “S” (SALAMONE), più
importante di tutti, che sta sopra a tutti, “quello che conta di più”, che era al centro del primo
rapporto del ROS del 16.2.1991, quel famoso personaggio dal quale l’ing. CATTI voleva garanzie
per ritirare il ricorso amministrativo contro l’aggiudicazione dei lavori di costruzione dell’area di
Petralia Sottana all’impresa SIINO-FARINELLA per l’importo di oltre 26 miliardi, soggetto che la
Procura di Palermo identificò invece in SIINO.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 7 di 45

riferito dell’incrocio dei due sistemi di controllo illecito degli appalti, il sistema
SIINO, accertato con sentenza definitiva 13, dove SIINO gestiva in nome e per conto
di "cosa nostra" un certo numero di appalti, e il sistema SALAMONE-NICOLOSI,
che era il sistema soltanto di accordi tra politici e imprese per i grandi appalti 14. I due
sistemi si incrociano proprio quando si manifesta la volontà di BUSCEMI di fare il
grosso salto di qualità15. Si tratta di un’impostazione che è stata sostanzialmente
recepita dalla sentenza del Tribunale di Palermo 16. D’altronde, che il filone di
indagini mafia-appalti fosse, unitamente ad altre concause, in qualche modo intraneo
al movente della strage di Capaci, è argomento riconosciuto anche dai giudici di
appello del procedimento per la strage di Capaci17.
Del resto che i BUSCEMI fossero oggetto di investigazioni abbastanza
penetranti all’epoca, risulta dalle dichiarazioni del dott. Augusto LAMA, già sostituto
procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa Carrara, il quale ha
precisato di avere trasmesso nell’agosto del 1991 a Palermo alcuni atti relativi ad

13
Relativa al procedimento penale contro SIINO Angelo + 5, definito con sentenza del Tribunale di
Palermo, sezione V^ penale, del 2.3.1994, poi parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di
Palermo con sentenza del 29.2.1996 e ormai divenuta irrevocabile.
14
Per capire meglio questo passaggio, cfr. l’o.c.c. del G.I.P. di Palermo del 2.10.1997, dove si parla
di “un comitato di affari sovraordinato” composto da Filippo SALAMONE, Antonino
BUSCEMI e Giovanni BINI, che decideva la spartizione dei grandi appalti d’accordo fra le tre
gambe del tavolino, imprenditori, politici e mafiosi, mentre a SIINO residuò il compito di
organizzatore degli appalti di dimensioni medio-piccole.
15
Nell’o.c.c. del G.I.P. di Palermo, emessa il 2.10.1997, nel procedimento c. BUSCEMI A. + 9, si
affronta il ruolo storico dell’imprenditore mafioso BUSCEMI Antonino, tra monopolio del
calcestruzzo e riciclaggio del denaro appartenente al mandamento di Boccadifalco e si afferma, fra
l’altro: “particolare attenzione sarà riservata soprattutto alla posizione dell’indagato BUSCEMI
Antonino in quanto, alla stregua delle indagini sin qui compiute, lo stesso ha svolto - e continua a
svolgere- in seno a Cosa Nostra un ruolo assolutamente dominante nella cd. impreditoria mafiosa
a tal fine avvalendosi della compiacente “collaborazione” fornitagli da importanti esponenti delle
istituzioni e da settori non trascurabili del mondo dell’imprenditoria e della finanza. Costituendo,
inoltre, lo sfruttamento delle cave da parte del cd. “gruppo CALCESTRUZZI” e la condizione di
monopolio in tale settore da esso acquisita circostanze aventi notevole valenza nell’ottica della
presente indagine, una parte rilevante della richiesta sarà dedicata agli interessi economici dei
BUSCEMI, avendo peraltro cura di evidenziare altresì quanto, già nell’ambito di altri
procedimenti, è emerso sulla società CALCESTRUZZI Palermo quale canale attraverso il quale,
sin dalla fine degli anni 70, i componenti del mandamento di Boccadifalco ripulivano parte degli
enormi guadagni loro derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti”.
16
Sez. VI, presidente RIZZO, acquisita agli atti.
17
Cfr. la sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, risalente al 7.4.2000, Libro
Terzo, pagg. 850-1408, dedicato al movente della strage.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 8 di 45

indagini espletate nei confronti della I.M.E.G., riconducibile ai fratelli BUSCEMI 18 e


di avere successivamente, nel 1994, avuto un contatto con un magistrato della
Procura di Palermo, il dott. PIGNATONE. In quest’incontro, venne evidenziato che
gli elementi a suo tempo acquisiti a Palermo circa i rapporti fra il Gruppo FERRUZZI
e “cosa nostra” avevano avuto riscontri cospicui 19 ed erano stati compendiati in una
nota informativa redatta dallo S.C.O. della polizia di Stato 20. La società
CALCESTRUZZI, del resto, era stata citata anche dal collaboratore di giustizia
Leonardo MESSINA, nel corso delle dichiarazioni rese, appena diciotto giorni prima
della strage, anche all’allora procuratore aggiunto di Palermo dott. BORSELLINO 21
come impresa afferente agli interessi di Salvatore RIINA. Dopo la morte del dott.
BORSELLINO, la Procura di Palermo riprende il vecchio spezzone di indagini,
pervenuto dalla Procura della Repubblica di Massa Carrara sulla I.M.E.G., e dà una
delega di indagini al Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato, il quale
risponde nel 1994 con la C.N.R. in questione, inviata alla Procura di Palermo, ufficio
giudiziario che a sua volta, senza alcuna ulteriore attività, dopo averla riunita al
fascicolo del procedimento penale a carico di Filippo SALAMONE, la trasmetteva a
questa Procura, nel 2000. In detta informativa, ora acquisita agli atti, si afferma che
sui soggetti considerati dal rapporto aveva indagato Giovanni FALCONE e che la
prima dichiarazione di MESSINA circa il cointeressamento del RIINA nella
CALCESTRUZZI fu raccolta dal dott. BORSELLINO. Quindi, pur non essendovi la
prova piena e certa che l’interesse investigativo su mafia e appalti avesse potuto
assumere il significato di matrice della strategia stragista, si affermava ugualmente un
sottile filo conduttore come legame di lavoro tra FALCONE e BORSELLINO.

18
In particolare v. la lettera di trasmissione del 26.8.1991, con la quale si chiedevano approfondite
indagini bancarie e patrimoniali sui fratelli BUSCEMI.
19
Nel primo rapporto del ROS del 16.2.1991, dove a pag. 64, BUSCEMI Antonino era indicato
come inserito nelle società LA.SER. s.r.l., CALCESTRUZZI Palermo s.p.a. e FINSAVI s.r.l.; e si
affermava ancora che in quest’ultima, metà del capitale sociale risultava sottoscritto dalla
CALCESTRUZZI s.p.a. di Ravenna. Tali circostanze verranno poi valorizzate nell’o.c.c. del
25.5.1993 emessa dal G.I.P. LA COMMARE.
20
Si tratta della C.N.R. n. 123G/726736/100B/2^-1^ del 7.2.1994 a firma del dott. A.PANSA, che
aveva ad oggetto la s.p.a. CALCESTRUZZI.
21
Nel verbale del 1.7.1992.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 9 di 45

Il dott. LAMA ha rievocato 22 sia la vicenda delle indagini sulla I.M.E.G.


e sulla sua vendita con corrispettivo in parte in nero 23, sia di essere stato oggetto di
iniziativa disciplinare da parte dell’allora ministro della giustizia on. MARTELLI, su
un esposto che censurava le sue esternazioni su possibili coinvolgimenti del Gruppo
FERRUZZI con la mafia.
La magistratura di Palermo, probabilmente per il limitato bagaglio di
conoscenze a disposizione, non attribuì soverchia importanza alla connessione
BUSCEMI-Gruppo FERRUZZI, dal momento che: a) il procedimento iniziato a
Massa Carrara, a carico di BUSCEMI Antonino, fu archiviato a Palermo il 1.6.1992,
subito dopo la strage di Capaci e le relative intercettazioni furono smagnetizzate 24,
anche se si diede atto dei rapporti commerciali, di “scambio o di concambio di
pacchetti azionari” fra la famiglia FERRUZZI, la CALCESTRUZZI e i BUSCEMI;
b) soltanto in un secondo momento a carico del BUSCEMI Antonino vennero elevate
imputazioni inerenti al reato associativo 25. A tal proposito va rammentato un brano
delle dichiarazioni di Angelo SIINO26.
Quanto al riferimento a BUSCEMI, in realtà io in questo passo della conversazione intendevo
sottolineare al mio interlocutore il trattamento giudiziario che Nino BUSCEMI aveva di fato
(rectius¨fatto) ricevuto nell’ambto (rectius: ambito) delle stesse indagini c.d. «Mafia Appalti»
Infatti, Nino BUSCEMI, arresto (rectius: arrestato) nel 1993, fu scarcerato dopo solo 15 giorni ed
in seguito gli furono restituiti i beni precedentemente sequestratogli dall’A.G.. Inoltre, sempre in
questo contesto intendevo segnalare anche che già nel 1991 Nino BUSCEMI si era salvato perché
al suo posto era stato arresto Vito BUSCEMI, ritenuto allora erroneamente il punto di riferimento
dei traffici illeciti. Inoltre, LIPARI, BUSCEMI e CINÀ rappresentavano i tre soggetti ai quali io
avrei dovuto rivolgermi per tutte le questioni attinenti alle attività economiche, imprenditoriali e di
appalti mentre per le vicende di contenuto più strettamente mafioso il mio unico riferimento era
Bernardo PROVENZANO.
Tutto ciò fa ritenere che vi fosse una sorta di scompenso fra le
intuizioni investigative elaborate da Giovanni FALCONE (di cui si dirà dopo e che
22
Nel verbale del giorno 11.5.2000.
23
Dal verbale del 19.4.1994 di Giuseppe BERLINI, “tesoriere occulto” del Gruppo FERRUZZI,
dinanzi al P.M. dott. LAMA, si apprende che il ricavato della vendita della I.M.E.G. servì per
ripianare le perdite delle società del Gruppo, e parte dell’attivo fu utilizzato, al Luglio 1991, per
pagamenti ad un uomo di affari greco e in altre direzioni, fra cui versamenti al noto Primo
GREGANTI attraverso il c.d. conto “GABBIETTA”.
24
V. i relativi provvedimenti del P.M. di Palermo nel proc. pen. n. 3589/91 R.G.N.R. acquisiti.
25
Cioè all’epoca dell’o.c.c. del 25.5.1993 nel proc. pen. n. 6280/92 N.C.D.D.A. Palermo.
26
Trattasi del verbale di interrogatorio del 5.5.1999 nei proc. pen. 2108/97 R.G.N.R. e 2285/97
R.G.N.R. di Angelo SIINO, dove il collaboratore chiarisce il senso di alcune conversazioni
telefoniche attribuitegli.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 10 di 45

erano state in qualche misura anticipate al Convegno di Castel Utveggio), e


puntualmente tracciate dai Reparti specializzati della polizia giudiziaria (ROS in
primo luogo e SCO, successivamente), da un lato, e le utilizzazioni processuali
conseguenti, da parte della Procura di Palermo dell’epoca. Il che dimostra
ulteriormente come gli eccidi di Capaci e di Via D’Amelio avessero rallentato di
molto l’attuazione dell’originario programma investigativo e che, di conseguenza,
“cosa nostra” avesse raggiunto in parte i suoi obiettivi attraverso le stragi del 1992.
A tal proposito, giova porre in risalto una circostanza di fatto
particolarmente significativa e, cioè, che il primo rapporto del ROS 27 fu consegnato
dal procuratore GIAMMANCO all’on. MARTELLI, che tuttavia lo restituì alla
Procura di Palermo, senza aprire il plico, avendo riscontrato in Giovanni FALCONE
una sorta di lamentela sulla condotta del dottor GIAMMANCO, il quale nel
consegnare il rapporto aveva inteso devolvere alla politica l’intera questione anziché
promuovere le dovute indagini di riscontro28. E addirittura, la lettera di restituzione fu
inviata al C.S.M. per conoscenza, per rimarcare l’anomalo comportamento del
procuratore GIAMMANCO.
Gli interessi della società CALCESTRUZZI s.p.a. in Sicilia sono
ampiamente dimostrati, oltreché dalle risultanze del noto rapporto del ROS su mafia-
appalti, anche dalla sentenza del Pretore di Palermo dottor CHIARAMONTE del
29.1.2000, confermata nella gran parte delle posizioni dalla sentenza della Corte di
Appello di Palermo, inerente alla nota vicenda della lottizzazione di PIZZO SELLA.
La sentenza accertò che alla costruzione originaria erano interessati gruppi mafiosi e
che la società CALCESTRUZZI aveva acquisito l’intera area e il complesso di opere
già realizzate dalle società SOLARIS e BONDI’ COSTRUZIONI, assistite da 314
concessioni edilizie, ed aveva poi rivenduto in parte a terzi dopo avere eseguito
frazionamenti ed opere di urbanizzazione ed edificazione.

27
Reca la data del 16.2.1991 e il n. prot. N.C./000001/2, consta di 4 volumi per complessive 890
pagine e 67 pagine di indici e schede riassuntive.
28
Cfr. il verbale del 30.7.1999 dell’on. MARTELLI..
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 11 di 45

Poiché nel corso delle indagini venivano altresì acquisiti elementi il


cui esame consentiva di ipotizzare anche che ambienti esterni a “cosa nostra”
avessero come obiettivo quello di creare nel Paese, in combutta o d’intesa con
l’organizzazione mafiosa, condizioni destabilizzanti per accelerare il crollo definitivo
del sistema dei partiti, la coalizione di alcuni dei quali aveva consentito da oltre 40
anni il formarsi delle maggioranze di governo ma che ormai non era più in grado,
almeno secondo la valutazione dei vertici di “cosa nostra”, di dare “garanzie” sotto il
profilo politico, affaristico e giudiziario, questo Ufficio ha ritenuto assolutamente
necessario non soltanto compulsare le fonti ritenute più idonee a ricostruire la
situazione politica esistente nel Paese all’epoca in cui erano state commesse le
terribili stragi siciliane, ma verificare anche la fondatezza di alcune allarmanti notizie
giunte all’autorità giudiziaria e al ministero degli interni circa l’esistenza di un
progetto di destabilizzazione del Paese; notizie che avevano suscitato un grande
allarme nelle istituzioni, immediatamente e inopinatamente sopito, nonostante in
qualche modo e in gran misura il progetto fosse stato realizzato con l’esecuzione
delle stragi e di qualche omicidio “eccellente”.
In questo contesto e per tali ragioni sono state acquisite le informazioni
che solo i protagonisti della scena politica del tempo potevano fornire: uno in
particolare in una posizione “super partes” e di alta garanzia costituzionale29.
Occorre, comunque, procedere a un’analisi attenta delle acquisizioni
investigative, sottoponendole a un adeguato approfondimento critico, per dar conto
delle conclusioni a cui giunge questo pubblico ministero.
L’Ufficio ha scandagliato le connessioni fra la situazione politica nei
primi mesi del 1992 e gli interessi dei gruppi imprenditoriali più implicati negli
appalti a neutralizzare il progetto investigativo di cui si è detto. Al riguardo, è emerso
che la strategia destabilizzante del sistema dei partiti e della politica in generale
poteva ubbidire ad una convergenza di interessi. Le stragi del 1992 sono state
eseguite, infatti, in un momento storico-politico particolarmente delicato.

29
E’ il Senatore Francesco COSSIGA, presidente della Repubblica, sia pure dimissionario dalla
fine di Aprile 1992, all’epoca della strage di Capaci.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 12 di 45

Nell’audizione dell’on. SCOTTI30, all’epoca ministro degli Interni, è emerso al


riguardo che, nel Marzo del 1992, fu diramata dal Capo della Polizia un’informativa,
che diede vita ad una circolare del Ministro degli Interni, diramata alle Prefetture,
nella quale si dava notizia di attentati e si preconizzava una particolare allerta, sulla
scia dell’analisi di alcune segnalazioni confidenziali che paventavano la messa in
opera di un piano di destabilizzazione, con azioni di tipo terroristico-eversivo. L’on.
SCOTTI ha rievocato che proprio la mattina in cui doveva riferire in Senato sulla
questione, si era meravigliato che nei mezzi di comunicazione di massa fosse apparso
il nome di un noto depistatore, tale CIOLINI, quale fonte delle informazioni
canalizzate ad un magistrato di Bologna, il dott. Leonardo GRASSI, sin dal
13.3.1992, e poi riversate al ministro stesso. Naturalmente, secondo la ricostruzione
dell’on. SCOTTI, il nominativo della fonte contribuì a far calare la tensione e
l’attenzione sui preconizzati attentati eversivi, che purtroppo a distanza di qualche
mese avrebbero insanguinato davvero il nostro Paese. Ed ha affermato testualmente:
“In realtà io ricollegavo alla strategia destabilizzante non soltanto le ragioni prima indicate ma
anche il malessere diffuso che si estendeva soprattutto nelle popolazioni del Nord. E che questo
malessere serpeggiasse nelle Regioni ricche e non altrettanto in quelle più povere del Meridione,
era certamente un segnale inquietante. Tutti questi fenomeni potevano determinare una
convergenza di interessi, anche scollegati fra di loro, ma orientati tutti verso una
destabilizzazione del sistema dei partiti e quindi della situazione politica generale. Nel Paese,
infatti, cominciavano a sorgere dei fenomeni politici spontanei di tipo localistico che avrebbero
potuto mettere in difficoltà anche i grandi partiti. Ribadisco ancora una volta che solo
CHIAROMONTE capì quello che io intendevo dire, vivendo la mia stessa preoccupazione; in ciò
probabilmente egli era favorito dal suo punto di osservazione” (di presidente della Commissione
parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, n.d.r.).
La situazione politica del 1992 è stata rappresentata sia nelle
dichiarazioni dell’ex presidente della Repubblica Sen. COSSIGA, sia nelle
dichiarazioni dello stesso on. SCOTTI e del Generale dei Carabinieri Domenico
PISANI31. Quest’ultimo partecipò ad un incontro riservato a casa dell’on. SCOTTI,
nel corso del quale l’allora Capo della Polizia Prefetto PARISI ebbe a delineare
un’acuta analisi circa la situazione di instabilità del Paese manifestatasi dopo le stragi
del 1992, ma iniziata prima e che può sintetizzarsi nella costatazione, che si era
determinato un vuoto politico nel sistema dei partiti anche per effetto del ciclone di
30
Trattasi del verbale del 10.1.2001.
31
Nel verbale del 28.2.2001.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 13 di 45

“Tangentopoli”, caratterizzato da una miscela esplosiva tra gli episodi di violenza


posti in essere dalla criminalità organizzata di tipo mafioso, culminati nelle stragi al
Sud e il fenomeno delle proteste localistiche e delle Leghe al Nord.
Il dott. Vincenzo PARISI descrisse la situazione di instabilità in cui si trovava il Paese in quel
momento, spiegando che al suo osservatorio arrivavano segnali un po’ strani e non tutti di univoca
e facile lettura. Mentre il Sud veniva lacerato dagli episodi di violenza posti in essere dalla
criminalità organizzata di tipo mafioso, culminati nelle stragi; al Nord si era già manifestato in
maniera seria il fenomeno delle leghe, la cui vera natura politica in quel momento non era
facilmente comprensibile. Si capiva soltanto che esso fenomeno era generato dalla protesta della
popolazione del Nord che si rendeva conto che i partiti tradizionali non erano più in grado di
risolvere i problemi quotidiani del vivere civile e dello sviluppo economico e sociale. Al Centro
Italia si manifestava un malessere diffuso per la situazione di instabilità politica, determinata dal
fatto che i politici in quel momento erano come impauriti e paralizzati, e perciò non erano in grado
di prendere iniziative e decidere. Probabilmente, ciò era determinato anche dagli interventi
giudiziari promossi nei confronti di numerosi rappresentanti della classe politica per reati contro
la Pubblica Amministrazione. Per fortuna, precisò il Capo della Polizia, non vi erano segnali che
potessero far pensare a moti popolari di tipo insurrezionale. Insomma, il Dottor PARISI con questo
suo intervento intendeva invitare l’Onorevole MARTINAZZOLI, nella sua qualità di Segretario
della Democrazia Cristiana, e quindi di rappresentante autorevole della classe politica del tempo,
ad assumere iniziative, anche di natura legislativa, per poter riportare il Paese a una situazione di
equilibrio e di normalità. Il Capo della Polizia, nel concludere il discorso, si rivolse a me
chiedendomi se condividessi la sua analisi. Confermai che quella descritta da PARISI era la
situazione politica in cui era precipitato il Paese e che bene a ragione egli aveva invitato il
Segretario del partito di maggioranza relativa ad assumersi le sue responsabilità. Ricordo che dissi
all’Onorevole MARTINAZZOLI, che egli si trovava ormai con le spalle al muro, che non poteva
andare indietro più oltre, e che doveva soltanto ripartire adottando idonee e opportune iniziative
politiche. Aggiungo, per quanto ora possa ricordare, che MARTINAZZOLI non disse nulla ma si
limitò ad ascoltarci, e dopo un po’ si alzò e andò via. Sicuramente scambiò ancora qualche parola
con noi e con SCOTTI ma non disse nulla di significativo che abbia lasciato traccia nella mia
memoria. La circostanza, per la verità, mi sorprese; è probabile che volutamente non abbia voluto
comunicarci le sue impressioni. Qualche mese dopo l’Onorevole MARTINAZZOLI sciolse la
Democrazia Cristiana.
(…) Sono certo che il Capo della Polizia aveva basato la sua analisi su una serie di elementi
acquisiti da fonte diversa: segnalazione di Prefetti, di Questori, di organi di Polizia Giudiziaria, dei
servizi informativi collegati (SISDE, CESIS, SISMI), fonti confidenziali e comunque tutte le altre
che possono giungere al Dipartimento di Pubblica Sicurezza. Molto di questo materiale
informativo giungeva pure al Comando Generale dei Carabinieri, trasmesso dal Capo della
Polizia; così come i Carabinieri inviavano al Capo della Polizia il materiale che giungeva al
Comando.
In conseguenza di tale situazione, in alcuni ambienti si auspicava
l’assunzione di un’iniziativa politica, da parte dell’on. MARTINAZZOLI 32, all’epoca
segretario della Democrazia Cristiana, di mettersi alla testa di una formazione politica
che in qualche modo potesse garantire la transizione oltre le macerie della Prima

32
L’accenno alla prospettiva politica dell’on. MARTINAZZOLI è anche nel verbale del 23.3.2000
del Sen. COSSIGA.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 14 di 45

Repubblica attraverso un qualche rinnovamento, tale da consentire di superare il


momento critico. Ma l’auspicata iniziativa poi in effetti non fu attivata, con la
conseguenza che il vuoto politico rimase33. Al riguardo, si desume dal verbale di
audizione dell’on. SCOTTI quanto segue:
A.D.R.: è vero che nel settembre del 1992, quando non ero più Ministro ma avvertivo ancora la
preoccupazione per ciò che avveniva nel Paese, ritenni di invitare a casa mia l’On. Mino
MARTINAZZOLI, da poco eletto Segretario della Democrazia Cristiana, per farlo incontrare con il
Generale PISANI, Capo di Stato Maggiore dell’Arma dei Carabinieri e con il Capo della Polizia
Vincenzo PARISI, affinché apprendesse da loro, durante una amichevole conversazione, quali
fossero i segnali inquietanti che venivano raccolti nel Paese. In sostanza era mia intenzione far
rilevare all’amico MARTINAZZOLI il vuoto politico-istituzionale che vi era in quel momento in
coincidenza con questi segnali allarmanti. Nonostante le conversazioni di quella sera,
MARTINAZZOLI mi sembrò insensibile al problema ed infatti non adottò alcuna iniziativa politica
adeguata alla situazione che gli era stata descritta. Probabilmente egli ritenne eccessiva la mia
preoccupazione. Ciò determinò una sorta di incomprensione tra me ed i miei amici di partito.
Sempre nel corso dell’audizione dell’on. SCOTTI, sono state rievocate
le fasi a ridosso delle due stragi e l’approvazione del decreto legge che introduceva
una serie di importanti modifiche al codice di procedura penale in guisa di misure
straordinariamente più efficaci nel contrasto della criminalità organizzata. Ed è stato
in qualche modo ipotizzato che il piano e la strategia destabilizzante avessero potuto
radicarsi nel tentativo di contrastare l’approvazione dei provvedimenti legislativi che,
a partire dal 1991, il Governo e il Parlamento avevano adottato. Orbene, poiché tali
provvedimenti legislativi, in larga misura ispirati da Giovanni FALCONE quale
direttore degli Affari Penali, miravano in sostanza ad innalzare l’azione di contrasto
alla criminalità organizzata e poiché nel concreto svolgersi dell’azione investigativa
più penetrante era stato preso di mira proprio il settore delle connessioni fra mafia e
appalti, come si è detto sopra, ne viene logicamente la conseguenza che il piano di
destabilizzazione dello Stato abbia potuto essere ideato e attuato nella saldatura o
nella convergenza di interessi fra l’ala irriducibilmente vendicatrice di “cosa
nostra”34 e frange importanti, o perché emergenti 35 o perché non ancora

33
Di ciò vi è traccia anche nell’audizione dell’on. SCOTTI del 10.1.2001.
34
Vale a dire RIINA e i suoi più stretti alleati, i quali avevano ideato la c.d. strategia della “chiusura
dei conti” e, in proposito v. le dichiarazioni di G. BRUSCA all’udienza del 27.3.97, trascrizione da
pag. 194 a pag. 215, nel procedimento per la strage di Capaci in primo grado.

35
Come il blocco BUSCEMI-Gruppo FERRUZZI.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 15 di 45

completamente attinte dalle indagini 36, delle forze imprenditoriali, finanziarie,


politiche e istituzionali.
Nell’ambito del procedimento di indagine si sono approfondite le
circostanze inerenti al suicidio di Raul GARDINI, attraverso l’acquisizione degli atti
del relativo procedimento milanese37. Non si è raggiunta alcuna certezza probatoria,
tuttavia, l’epoca del tragico gesto autosoppressivo (23.7.1993), unitamente
all’eseguita ordinanza di custodia cautelare adottata dal G.I.P. di Palermo 38 che
aveva accertato il coinvolgimento di un’importante azienda del suo Gruppo, la
CALCESTRUZZI s.p.a. e degli uomini di vertice del Gruppo, nelle indagini che il
R.O.S. dei Carabinieri aveva sviluppato, può far insorgere fondatamente la congettura
che il suicidio abbia potuto avere tra le cause scatenanti, oltreché il tentativo di
eludere la carcerazione nei procedimenti di “Tangentopoli” a suo carico, anche
l’intento di non esporre il proprio nome a possibili collegamenti con l’orizzonte
mafioso che proprio in quei frangenti stavano in qualche misura emergendo.
Elementi di supporto all’ipotesi qui formulata, si possono ricavare, sia
pure indirettamente, dalle dichiarazioni di Lorenzo PANZAVOLTA 39, secondo cui
proprio egli stesso venne chiamato, qualche tempo prima del suicidio, da Raul
GARDINI il quale gli chiese se avesse delle preoccupazioni, alludendo, secondo
quanto adombra PANZAVOLTA, alle indagini milanesi. E’, invece, molto più
probabile che GARDINI avesse chiesto a PANZAVOLTA notizie sulle indagini
palermitane, nelle quali PANZAVOLTA stesso assieme ad altri dirigenti del Gruppo
erano stati coinvolti. E ciò spiegherebbe il motivo per cui GARDINI si sarebbe
rivolto proprio a PANZAVOLTA, il quale aveva operato in Sicilia, e non ad altri
manager del Gruppo. Inoltre, altri elementi di suffragio provengono dalle
informazioni del collaboratore di giustizia Angelo SIINO, che non ha esitato, tanto ne

36
Il riferimento è ai Gruppi imprenditoriali e finanziari sfiorati dal primo rapporto dei Carabinieri
del ROS.
37
Si tratta del proc. pen. n. 8462/94 mod. 44 della Procura di Milano.
38
In data 25.5.1993 nel proc. pen. 6280/92 N.C.D.D.A. Palermo.
39
Verbale del 7.8.1993 al P.M. di Milano.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 16 di 45

era convinto, a propalarle come intervista 40, nel corso della quale il suicidio di
GARDINI viene nettamente legato alle pressioni mafiose della famiglia BUSCEMI:
“Lei pensa che Raul Gardini si sia suicidato perché temeva un avviso di garanzia da Di Pietro o
l’arresto per Tangentopoli? Ma via, un uomo forte e spregiudicato come lui! No, io credo che abbia
avuto paura per le pressioni sempre più insistenti del gruppo mafioso sul carro del quale era stato
costretto a salire, quello dei fratelli Nino e Salvatore Buscemi, legatissimi a Totò Riina che infatti
nell’ultimo periodo è stato latitante sul loro territorio. Secondo me Gardini ha capito che non era
più in grado di sganciarsi dall’orbita mafiosa in cui era entrato. (…) So di preciso che quando si
trattò di assegnare l’appalto per la costruzione della strada San Mauro-Ganci, Nino Buscemi mi
disse che il 60 per cento dei lavori doveva essere assegnato alle imprese del Gruppo Ferruzzi. E
Lima mi ordinò di eseguire. Un altro imprenditore che aveva partecipato alla gara d’appalto fu
spedito a Palermo con l’aereo personale di Gardini, e io feci in modo che andasse a ritirare la
busta con la sua offerta. E so che Gardini si rivolse alla mafia per recuperare la salma trafugata di
suo suocero. Bernardo Brusca mi disse che per quella vicenda a Napoli furono uccise tre persone”.
Se l’ipotesi che il suicidio di GARDINI si radicasse davvero, come
sembra, in questi timori, sarebbe un ulteriore tassello dimostrativo dei profondi
cambiamenti che il sistema delle connessioni fra politica, mafia e appalti aveva subito
proprio fra il 1990 e il 1992, particolarmente in Sicilia e sarebbe rafforzata l’ipotesi di
una strategia stragista messa in atto per impedire quel salto di qualità nelle indagini
sugli appalti che avrebbe fatto affiorare i nuovi intrecci politico-mafiosi molto tempo
prima o, comunque, contestualmente alle indagini su “Tangentopoli”. Qui si annida
quella convergenza di interessi fra “cosa nostra”, intenzionata a vendicarsi di
Giovanni FALCONE in quanto artefice del maxiprocesso che per la prima volta
aveva fatto infliggere severe condanne al gotha della mafia e i gruppi imprenditoriali
e finanziari che erano ormai avvitati agli interessi mafiosi.
D’altronde, il tema dei rapporti mafia-appalti era stato particolarmente
attenzionato dallo stesso Giovanni FALCONE che, in un importante convegno,
organizzato dall’Alto Commissario Antimafia, svoltosi a Castello Utveggio in
Palermo41 il 14 e il 15 Marzo 1991, dopo avere riconosciuto che il condizionamento
mafioso esisteva sia al momento della scelta delle imprese, sia nella fase esecutiva,
con caratteristiche ambientali e totalizzanti (senza escludere, quindi, le imprese del

Corriere della Sera del 23.11.2000, “«Provenzano è il capo e controlla gli appalti» Il pentito Siino:
40

ho detto agli investigatori come catturarlo. Gardini suicida per paura dei boss” di Giovanni
Bianconi.
41
Gli atti in questione sono inseriti nel Faldone n. 3.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 17 di 45

Nord), e dopo aver fatto cenno ad alcune intercettazioni telefoniche da cui risultavano
varie modalità operative, aveva testualmente affermato42:
“ormai emerge l’imprescindibile necessità di impostare le indagini in maniera seriamente
diversa rispetto a quanto si è fatto finora”,
alludendo non solo ad un salto di qualità investigativa, ma all’utilizzazione nelle
indagini su mafia-appalti dell’apparato dell’Alto Commissario e, cioè, teorizzando la
messa a disposizione delle informazioni raccolte nel circuito dei servizi al pubblico
ministero e, comunque, la sinergia tra l’intelligence e le investigazioni sul territorio.
Il Convegno si svolge a pochi giorni dal deposito, da parte del R.O.S. dei carabinieri
del noto primo rapporto, a firma MORI 43. Il che poteva suonare come una sorta di
analisi di prima mano sulle trame che erano state appena riferite all’a.g. e,
contemporaneamente, come un severo e rigoroso programma di investigazione e un
campanello d’allarme per quanti, mafiosi e contigui, noti e non ancora noti, avrebbero
potuto essere attratti nel cono di luce di questo programma. Di lì a poco, Giovanni
FALCONE accetterà la carica di Direttore Generale degli Affari Penali presso il
Ministero della Giustizia, tuttavia i suoi collegamenti con le articolazioni operative
delle indagini a Palermo non sarebbero state recise, se è vero com’è vero che Paolo
BORSELLINO era intenzionato a raccogliere il testimone proprio su questo versante.
Allora, ne viene una considerazione importante, che è stata alla base delle attività di
indagine del presente procedimento. Se il programma investigativo di FALCONE e
di BORSELLINO era indirizzato all’esplorazione del tema dei rapporti tra mafia e
appalti, non solo come terreno di individuazione della mafia operativa, ma soprattutto
come punto di convergenza fra interessi mafiosi e “Terzo Livello”, la scansione degli
eventi, che si muovono tra il trasferimento di Giovanni FALCONE a Roma,
l’utilizzazione processualmente riduttiva del rapporto del ROS, da parte della Procura
diretta dal dottor GIAMMANCO, la strage di Capaci e quella di via D’Amelio,
sembra propendere verso la sussistenza di un forte interesse, sia all’interno che
all’esterno di “cosa nostra”, volto ad ostacolare l’attuazione di questo programma
investigativo e quindi a legittimare un movente di tipo stragista.
42
In proposito v. la trascrizione scritta acquisita agli atti, e inserita nel Faldone 3.
43
Gli estremi del rapporto sono riportati nella nota n. 27.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 18 di 45

L’importanza del filone di indagini di mafia-appalti, ai fini della


ricostruzione del movente delle stragi è, d’altronde, posta in rilievo nelle
dichiarazioni del collaboratore Giovanni BRUSCA, riportate nella sentenza resa nel
proc. pen. n. 27/99 della Corte di Assise di Caltanissetta 44. E’ opportuno riportare
integralmente il brano della motivazione della sentenza cennata 45, che dà conto sia del
fatto che le indagini sugli appalti, avviate da Giovanni FALCONE e che
successivamente dovevano essere proseguite da BORSELLINO, in sostanza,
puntavano a svelare gli scenari e i soggetti del c.d. “Terzo Livello”, anche attraverso
un progetto di infiltrazione mediante la società “REALE Costruzioni” e i contatti fra i
Carabinieri del ROS e Vito CIANCIMINO, sia del fatto che tale movente lega, in
buona sostanza, le due stragi del 1992.
“”””Il BRUSCA, confermando le circostanze indicate dal SIINO e di cui si è già detto nella Parte
prima con riferimento alla presentazione di quest’ultimo collaborante, ha dichiarato quanto segue:
“ Salvatore Riina sponsorizzava l'impresa Reale, "Fai finta che e' la mia", era l'anello di
congiunzione che doveva andare a fare ...con i politici.
Cioe', dovevamo... scalzare il Filippo Salamone, imprenditore di Agrigento, che era in quel
momento il politico piu'... cioe', l'imprenditore piu' attaccato ai politici, che gestiva tutta la Sicilia,
quindi si doveva andare a scalzare questo... questo... questo gruppo imprenditoriale per farci
entrare l'impresa Reale, che era un'impresa morta, che tutto in una volta spunta. E io inizialmente
non capivo perche' Salvatore Riina, perche' Salvatore Riina non (c'e' andato)... non gli e'
interessato mai l'appalto, non si e' interessato mai di appalti, ma la sponsorizzava come se fosse
sua. Pero' poi, da ragionamenti miei con Pino Lipari, questa doveva funzionare da collettore con i
politici e siamo nel '91 - fine '91, a questo periodo.
L'impresa Reale e' rappresentata da Benni D'Agostino, Reale e... (da) Agostino Catalano.
Vedete chi e' Agostino Catalano e tirate le somme, pero' queste sono mie...
P.M. dott. DI MATTEO: - Intanto ci riferisca bene il fatto, signor Brusca.
BRUSCA GIOVANNI: - E allora...
P.M. dott. DI MATTEO: - Cos'e' quest'impresa Reale, quando nasce, in che cosa si manifesta
l'interessamento di Riina e chi c'e' dietro questa impresa?
BRUSCA GIOVANNI: - E allora, noi decidiamo il famoso tavolo rotondo dove si devono spartire i
lavori della Sicilia.
In quell'occasione si deve scalzare l'"Impresem" e ci deve andare persona pulita.
A un dato punto noi decidiamo che dovevamo fare una tangente alla tangente per i politici, il
famoso 080.
Questo ne parliamo in commissione, pero' senza spiegare qual era il motivo di portare l'impresa
avanti, per potere elargire alla cassa generale e per la prima volta si era fatta la cassa generale di
"Cosa Nostra", pero' questo progetto non e' andato avanti.
Salvatore Riina mi dice: "Fai finta che questa impresa e' mia" e questa impresa, che era un'impresa
fallita, tutta in una volta spunta di botto e comincia a lavorare. Cioe', comincia a lavorare,
comincia a fare associazione, comincia... tranquillamente senza nessun tipo di problema.
Cioe', doveva servire l'impresa da collettore con i politici. Stop.
44
V. la nota n. 5.
45
Particolarmente alle pagg. 65 e segg. della sentenza.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 19 di 45

Poi ci sono stati problemi con Angelo... problemi relativo, Angelo Siino, che Angelo Siino fino a
quel momento era l'anello di congiunzione fra imprenditori come Salamone e cose varie, lo
abbiamo scalzato, con il mio consenso, perche' Angelo Siino... e' nominato "il ministro" ma non e'
nessuno perche' prendeva solo ordini da me, come ha... mi ha confermato al confronto, lui non
faceva altro quello che gli dicevo io, a un dato punto, quando Angelo Siino viene scalzato da questi
rapporti, lui si sente tirato e viene a sfogare da me. Io, siccome non gli ho mai parlato di "Cosa
Nostra", non gli ho parlato quali erano i nostri progetti a posteriori... cioe' posteriori, gli dico:
"Angelo, fatti i fatti tuoi, vai avanti", perche' lui si era un po' adirato, si era un po' sentito scalzare
perche' lui si doveva interessare di lavori (sino a cinq)... sino a 5 miliardi, di piu' non si doveva
interessare, perche' si doveva interessare poi l'ingegnere Bini che rappre... rappresentava il
Buscemi, da parte di... di Pino Lipari, che significa Salvatore Riina, c'era Benni D'Agostino, e
Angelo Siino scalpitava perche' non era in mezzo a tutte queste... queste decisioni. E siccome io,
conoscendo Angelo Siino che era un po' vanitoso, un po', cosi'... esuberante e rischiando di fare
brutta figura, io d'accordo di eliminarlo, cioe' da questo... da questa spartizione, ci dico: "Quando -
e gli dicevo - quando tu hai bisogno non ti preoccupare che ci... ti aiuto io". Lui si interessava di
questi lavoretti cosi', piccoli, marginali, faceva da colluttore... cioe', da collettore tra "Cosa
Nostra" e imprenditori, cioe' per la tangente, non per la... quelli politici, ma per la tangente, cioe'
per la messa a posto. Pero', a un certo livello, Angelo Siino veniva scalzato. Gli avevo fatto
prendere una soddisfazione quando gesti' i primi quattro lavori della "Sirap" e poi gli altri li
doveva mettere a disposizione del tavolino, che poi... che era, la "Sirap" era una cosa che avevo
in... no inventato, cioe' che ero venuto a conoscenza e lo... la portai avanti io. Dopodiche' Angelo
Siino si doveva mettere di lato, si doveva interessare solo di un certo tipo di lavoro. Quando Angelo
Siino viene arrestato, io... prima di fare questo, cioe' sempre avendo in mente ad Angelo Siino, se io
davo ascolto ad Angelo Siino, io dovevo fare una guerra al giorno. Lui aveva contrasti con Nino
Buscemi, aveva contrasti con tutti e allora io cercavo di... di ridimensionarlo sempre come meglio
potevo. Quando poi... poi fu lui fu arrestato e siccome per motivi di appalti e problemi c'erano
sempre discussioni, ho preferito cominciare a non interessarmi piu', non volevo piu' sapere degli
appalti e cominciai a mollare... a mollare tutto. Poi e' successo che nel frattempo arriva la sentenza
della Cassazione, nel frattempo ci sono stati gli eventi: l'omicidio Lima, tutto quello che e'
successo, di questo fatto io non ne so piu' niente, cioe' non seguo piu' questo passo perche' non mi
interessa piu', non ne voglio sapere piu' niente. Tanto e' vero che io mi comincio a scaricare di
tutto, perche' dopo l'arresto di Angelo Siino la tangente dell'"Impresem" la continuo a prendere io
tramite Carmelo Milioto; poi Carmelo Milioto lo faccio spostare pure, che era un amico mio e di
Angelo Siino e lo faccio mettere a contatto con Antonino Di Caro direttamente e quindi mi
comincio ad alleggerire di questa posizione. E che poi, nel '92, quando succede l'omicidio del
dottor... la strage del dottore Falcone prima, perche' quelli che avevano interessi (?), a quella di
Borsellino poi, per me il quadro ce l'ho chiaro. Cioe', l'impresa Reale a mio avviso era l'impresa
infiltrata, fra virgolette, che doveva funzionare... cioe', dovevano andare a prendere il posto di
Siino, per quello che dice il capitano De Donno in quest'aula. Per me il quadro e' questo, poi fate
voi, io non... queste sono mie solo deduzioni, per carita' di Dio.
P.M. dott. DI MATTEO: - Senta, signor Brusca, su questo argomento io vorrei fare un poco
d'ordine con alcune domande. La prego di seguire le mie domande intanto, perche' altrimenti
rischiamo di non capire bene alcune cose.
BRUSCA GIOVANNI: - No, per carita'.
P.M. dott. DI MATTEO: - Allora, innanzitutto, seppure sinteticamente, lei ci dovrebbe dire, per
quella che e' la sua conoscenza, intanto ancor prima dell'arresto di Angelo Siino, in che modo, se si
interessava, "Cosa Nostra" si interessava della gestione degli appalti e di quali appalti in Sicilia.
Perche' altrimenti noi rischiamo di dare per scontate molte cose che in realta' in (quest'aula non)...
BRUSCA GIOVANNI: - No, io sono andato in modo... (sono andato) molto sintetico, pero'
possiamo approfondirle come vogliamo.
Allora, Angelo Siino nasce prima con l'amministrazione...
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P.M. dott. DI MATTEO: - Sa perche' le faccio queste domande? Perche' mi e' sembrato di capire,
mi corregga se sbaglio, che lei in qualche modo... siccome stavamo parlando della strage di via
d'Amelio, che e' oggetto di questo processo, lei ritiene che in qualche modo ci sia un collegamento
con queste vicende legate agli appalti?
BRUSCA GIOVANNI: - Per me si'.
P.M. dott. DI MATTEO: - E allora e' necessario approfondire, perche' dobbiamo capire fino a che
punto...
BRUSCA GIOVANNI: - E allora, l'impresa... cioe', Angelo Siino nasce con i lavori
dell'Amministrazione provinciale. I lavori dell'Amministrazione provinciale sono di 2, 3, 4 miliardi,
5 miliardi. Di lavori grossi ce ne sono uno - due, che sarebbe la San Mauro Castelverde e poi... un
altro, non mi ricordo. C'era la San Cipirello, Corleone Partinico che poi si e' arenata, questa
strada non si e' fatta piu', pero' nel frattempo i lavori di Angelo Siino cioe'... cresceva, il ruolo di
Angelo Siino cresceva in "Cosa Nostra". Pero' cresceva sempre nell'ambito di lavori di 2, 3, 4, 5
miliardi. Cresceva nella provincia palermitana, cresceva nel trapanese, nel nisseno, perche' tanti
altri uomini d'onore avevano... erano venuti a conoscenza della... della persona di Angelo Siino che
riusciva a fare aggiudicare queste imprese, cioe' questi lavori a chi chiedeva la cortesia, quindi
Angelo Siino si metteva in moto. Ad un dato punto c'e' l'esigenza di fare pagare il pizzo, che questi
non pagavano, all'"Impresem", che era il gruppo imprenditoriale piu' forte in Sicilia.
Per capire, i Rendo di una volta, i Costanzo di una volta, cioe' quelli che prendevano... si
spartivano tutto quello che spuntava in Sicilia, cioe' i lavori di 30, 40, 50, 60, 70 miliardi, 80
miliardi, 100 miliardi e senza bisogno di andare a fare troppi discorsi o troppa... caciara, perche'
per un lavoro di 3 miliardi - 2 miliardi si dovevano girare 50 imprese, 100 imprese, 80 imprese,
"Ritirati, ritirati, ritirati", "Fammi la busta di appoggio". Non so se sono stato chiaro. Invece a quei
livelli bastavano 7, 8, 9, 10 imprese, 15 imprese di un certo livello, si mettevano d'accordo fra di
loro, i contatti con i politici e... o perche' venivano finanziati o perche' gia' erano finanziati ed era
un potere non indifferente. E c'erano i poteri a livello regionale e nazionale, perche' da qui si
facevano i collegamenti con il potere regionale che nazionale.
P.M. dott. DI MATTEO: - Quindi, mi faccia capire, in questa fase "Cosa Nostra" interveniva anche
per cercare di orientare la politica per gli appalti, per la indizione degli appalti?
BRUSCA GIOVANNI: - Stavo arrivando a questo.
P.M. dott. DI MATTEO: - E poi per l'aggiudicazione degli appalti?
BRUSCA GIOVANNI: - Perfetto. Allora, io, come lavori grossi, sono io che vengo a conoscenza
del... dell'ente "Sirap" e che tramite l'onorevole Lima riesco a fare finanziare e... li porto a bordo, a
che prima non ci credeva nessuno, a che tutti... tutti ci vengono l'acquolina in bocca, perche' i
lavori "Sirap" non sono lavori da 2, 3, 4 miliardi, ma bensi' sono lavori da 30, 40, 50 e con la
prospettiva di un grosso... un grosso business nel futuro. Ma inizialmente sono quattro i lavori, poi
ne vengono finanziati altri due, poi altri due, era una cosa a lungo andare. A un dato punto,
quando questi lavori cominciano a spuntare, spunta l'interesse sia di "Cosa Nostra", alcuni uomini,
ma spunta anche l'interesse di Nicolo... cioe' di Nicolosi, l'interesse di Salamone, che prima,
quando ha visto finanziati questi lavori, ha cercato di ostacolarmi, cioe' di ostacolarci, tramite
l'onorevole Nicolosi, tant'e' vero che io lo mandai a minacciare, una volta sola, no due volte per
come qualcuno racconta, una sola volta. Quando io lo mandai a minacciare, dicendo che fino ad
ora noi non l'abbiamo mai disturbato e questo e' stato Giovanni Brusca, non e' stato nessuno, lo
mandai a minacciare dicendogli che fino ad ora nessuno lo aveva disturbato, che gentilmente mi
lasci stare, che io non voglio essere disturbato. Con chi ci strumentalizzava? Ci strumentalizzava
con i suoi uomini all'interno della Regione, uno che si chiama Pignatone, uno dei funzionari ed
altri, per... ci contrastava l'iter burocratico.
Da quella minaccia in poi tutto si e' risolto in maniera molto brillante, tutto ando' a liscio... tutto
ando' liscio. Quando tutto ando' liscio, l'"Impresem"... Filippo Salamone tramite Angelo Siino gli
dice: "Guardi - dice - io non voglio i lavori ma li voglio gestire", nel senso... anche per problemi di
immagine, nel senso che diventava merce di scambio con altre imprese del Nord per i passaggi,
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per... cioe', diventa un fatto importante, non indifferente. Allora io gli mando a dire: "Si', io ti do
questo, ma tu cosa mi dai?", cioe' io voglio entrare all'ASI, io voglio entrare all'Assemblea
regionale, io voglio entrare a tu... in questi... in questi enti dove non c'ero mai potuto entrare.Di
questo fatto ne informo sempre a Salvatore Riina e di questi fatti ne e' a conoscenza anche Pino
Lipari. Pino Lipari ne parlava con Salvatore Riina, a Pino Lipari aveva anche i sui... aveva anche
lui gli imprenditori di un certo livello e che non riusciva a entrare nella... nella gestione. Con
questo sistema siamo riusciti ad entrare nella gestione. Parlando con Pino Lipari abbiamo detto...
con Pino Lipari e con Salvatore Riina, sempre in separata sede, di fare la famosa 080, di fare una
tangente alla tangente politica... su tutti i lavori a questi livelli, no ai livelli dei 3, 4 miliardi, 5
miliardi.
Che so, li... dovevano pagare i politici, gli dovevano dare il 4%, gli dovevamo togliere lo 080...
dovevano dare il 3% meno lo 080. Questo fatto... questo fatto fu portato avanti. Nel frattempo
Angelo Siino era molto discusso, Angelo Siino era additato come mafioso, Angelo Siino era la
persona... negativa e d'altronde non era... non era neanche tanto una bugia, era vero che Angelo
Siino era additato, era controllato, era gia' tramite... tramite i giornali veniva segnalato. Mi
ricordo in una rivista che segnalavano li... lui e Farinella; c'e' stato l'onorevole Violante che e'
venuto a San Giuseppe Jato e... non diceva Angelo Siino ma diceva benissimo: "I lavori vengono
spartiti da questo paese" e si va a vedere la registrazione quando e' venuto a San Giuseppe Jato.
Quindi, da qui io dico Angelo Siino e' sotto... sotto controllo. Ma sia per questo e per carattere suo
e per problemi tra me e lui, senza che lui se ne accorgesse, io cercavo di scalzarlo, sia perche' mi
creava contrasti sempre con uomini d'onore, mi creava problemi con altri... con altri personaggi,
d'accordo con Pino Lipari e con Salvatore Riina cerchiamo di (scansare) Angelo Siino e gli
diciamo di non di uscire completamente ma di dargli quelle... sempre (al)l'Amministrazione
provinciale e lavori di un certo tipo, tutto il resto li doveva lasciare a... all'ingegnere Bini,
l'ingegnere Bini che sarebbe il... il Buscemi, Antonino Buscemi...
P.M. dott. DI MATTEO: - Scusi, se puo' spiegare bene questo rapporto tra l'ingegnere Bini e
Antonino Buscemi e ancor prima vorrei capire se questo Antonino Buscemi ha a che fare con quel
Salvatore Buscemi...
BRUSCA GIOVANNI: - Fratello.
P.M. dott. DI MATTEO: - ...capomandamento di cui ha parlato stamattina.
BRUSCA GIOVANNI: - Fratello. Fratello di Salvatore... fratello di Salvatore Buscemi. L'ingegnere
Bini era il responsabile della "Calcestruzzi S.p.a." gruppo Ferruzzi, Giovanni Bini, che doveva
andare a prendere il posto di Angelo Siino che fino a quel momento aveva creato, che io avevo
creato dietro le quinte. Angelo Siino viene messo di lato e lo prende Bini. Tant'e' vero che io gli
dico Angelo Siino doveva presentare a Filippo Salamone a Bini, (sono io). Angelo Siino se ne va
in... in tilt, dico: "Statti calmo, stai tranquillo". Tanto e' vero che poi mi fa ascoltare a Giovanni
Micciche' che questo fatto lui non... cioe', Filippo Salamone non lo avevano accettato e mi porta
Giovanni Micciche' nell'impresa della "Siciliana Molinari". Io lo ascolto pero' non gli do ne' conto
e ne' ragione, perche' io sapevo come andavano i fatti, non e' che avevo bisogno di Angelo Siino,
che non sapeva come andavano i fatti.
E poi spunta l'impresa Reale che mi sponsorizza... mi sponsorizza Salvatore Riina, nel senso: "Fai
finta che e' mia", che assieme a Bini doveva andare a gestire quei lavori di un certo livello, cioe'
sarebbe Benni D'Agostino doveva diventare il titolare dell'impresa Reale, scalzare l'"Impresem" e
doveva entrare l'impresa Reale. Non so se sono stato chiaro. E ci doveva fare da collettore con il
mondo politico regionale e nazionale, oltre i lavori che ci dovevano servire a chi servivano.
P.M. dott. DI MATTEO: - Quando Riina le dice di questa impresa Reale?
BRUSCA GIOVANNI: - Eh... dunque, fine '90, inizio '91, meta' '91.
P.M. dott. DI MATTEO: - Prima o dopo l'arresto di Angelo Siino?
BRUSCA GIOVANNI: - Prima, tanto e' vero che Angelo Siino con l'impresa Reale fanno pure
un'associazione per il lavoro di Piana... di Piana degli Albanesi, un lavoro di... del... dell'ARS,
l'ARS o e... non mi ricordo, comunque un lavoro che si aggiudica... sono quattro lavori di un certo
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livello e uno di questi era la conduttura d'acqua Piana degli Albanesi, nel mio territorio, cioe'
(Piana), mandamento di San Giuseppe Jato e c'e' l'impresa Reale associata con Angelo Siino.
Questo lavoro poi doveva andare... doveva... inizialmente era 7 miliardi, ma doveva crescere nel
tempo. E siamo andati a vedere questi quattro lavori che mi sembra la l'ASI e... comunque, un
ente... un ente... sono quattro lavori, si parla di... comunque, una cosa del genere. Si va a vedere
qual e' il lavoro appaltato... sono questi quattro lavori, si aggiudicano e si avanti.
Pero', guarda caso, che Siino viene indagato, l'impresa Reale non viene indagata, l'impresa Reale
viene indagata e arrestata perche' ne parlo io, poi ne parlano gli altri e la Procura di Palermo fa il
mandato di cattura e viene arrestata... il Benni D'Agostino e tutto il resto, ma solo per mafia e
appalti.
P.M. dott. DI MATTEO: - E questo quando pero'?
BRUSCA GIOVANNI: - E... '97, quando io comincio a collaborare.
P.M. dott. DI MATTEO: - Ma la... questa impresa Reale, se ce lo puo' fare capire attraverso fatti in
termini piu' espliciti, in realta' chi era, da chi era materialmente gestita? Al di la' delle figure,
diciamo, di facciata.
BRUSCA GIOVANNI: - Io... dottor Di Matteo, lei mi deve scusare, prima di andare oltre, io gli
posso pure dire, pero' voglio che prima lei faccia degli accertamenti e poi vede. Mi deve... non mi
deve mettere in difficolta' per tanti motivi.
P.M. dott. DI MATTEO: - Quindi, in questa sede, a questa domanda, per questa domanda si avvale
della facolta' di non rispondere?
BRUSCA GIOVANNI: - Non mi avvalgo della fac... aspetti, no perche' non voglio rispondere,
perche' diventa cosi' delicata che prima io di fare un'affermazione sarebbe giusto che fate delle
indagini e poi vedete, se poi io vengo qua e... e ve la... ve la confermo. Io vi dico chi sono gli... le
persone che rappresentano la Reale: Benni D'Agostino, la Reale e quello... la persona piu'
importante e' Agostino Catalano.
P.M. dott. DI MATTEO: - Lei ha parlato poc'anzi, in riferimento a Buscemi Antonino...
BRUSCA GIOVANNI: - Si'.
P.M. dott. DI MATTEO: - ... ha fatto anche un riferimento al gruppo Ferruzzi - Gardini.
BRUSCA GIOVANNI: - Si'.
P.M. dott. DI MATTEO: - Volevo capire qual e' il collegamento tra Buscemi e questo gruppo
Ferruzzi -Gardini o eventualmente, piu' in generale, tra "Cosa Nostra" e questo gruppo.
BRUSCA GIOVANNI: - No, il gruppo in se' per se', per quelle che sono le mie conoscenze, e' poco,
ma e' l'immagine, l'immagine pulita, e' l'immagine che puo' andare a trattare con ambienti politici
non indifferente, ma no perche' ha interessi "Cosa Nostra" nell'appalto. L'appalto poi se lo prende
chi ha tipo le esigenze particolari, tipo l'avevo io, tipo Bernardo Provenzano, pero' il vero punto
cruciale e' il contatto con il... la politica, cioe' il mondo politico. Cioe', e' rappresentato da Bini, e
rappresentava il gruppo Gardini, cioe' il gruppo Ferruzzi. Cioe', non e' che era Angelo Siino il
dita... cioe', additato mafioso. Non so se sono stato chiaro, se... E' tutta un'altra cosa diversa. Benni
D'Agostino fino a quel momento non e' che era additato il mafioso, era una persona pulita del...
della Palermo bene, cioe' dell'imprenditore bene. Quindi, sta... si stava creando l'anello di
congiunzione con le persone pulite. E con Bini ci parlava Antonino Buscemi, ci parlava... e ci
parlavamo noi, non e' che c'ho parlato io mai de... anche se l'ho visto una volta, pero' se c'era un
bisogno, (dico): "Dobbiamo fare questo, abbiamo bisogno di questo, abbiamo bisogno di
quest'altro", il Bini era in condizioni di potere rappresentare il tutto.
P.M. dott. DI MATTEO: - E chi era il contatto tra "Cosa Nostra" diciamo militare e questo
ingegnere Bini? Chi e' che aveva i rapporti in "Cosa Nostra" con questo ingegnere Bini diretti?
BRUSCA GIOVANNI: - Ma... Pino Lipari e Nino Buscemi. Bastano loro due per avere contatti
con tutti, perche' poi tutti andavano da Salvatore Riina e Salvatore Riina creava le condizioni per
potere andare avanti.
P.M. dott. DI MATTEO: - Senta, signor Brusca, adesso, veda se mi vuole rispondere in questa sede
pubblica, veda... Lei poc'anzi ha fatto un'affermazione prima di queste domande e di queste
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risposte: che lei deduceva una possibilita' di collegamento tra l'omicidio del dottor Borsellino, la
strage del dottor Borsellino e degli agenti della sua scorta e queste vicende relative alla gestione
degli appalti.
BRUSCA GIOVANNI: - Non e' che il dottor Borsellino, il dottor Falcone avevano interesse negli
appalti, nella maniera piu' categorica46, ma attraverso questo canale... noi di "Cosa Nostra"
volevamo raggiungere questo canale, chi dall'altro lato, dottor Di Matteo, chi stava indagando
prima, a cominciare da Taibbi, da Taibbi poi su Siino e su Siino si crea... si voleva creare il
cosiddetto terzo livello o tutto il resto, l'impresa Reale doveva funzionare da questo... da questo...
cioe', chi stava pilotando dietro le quinte l'impresa Reale era per infiltrarsi nel... nel... in "Cosa
Nostra" con questa impresa, dopo avere arrestato Siino.
PRESIDENTE: - Vuole essere piu' chiaro su questo punto? Cerchi di dare ulteriori chiarimenti.
BRUSCA GIOVANNI: - Signor Presidente, io... io non... no non vorrei andare oltre per... per... qua
c'e' stato il capitano De Donno che ha parlato di imprese infiltrate per il mondo degli appalti...
contatti con il figlio di Ciancimino, per creare una struttura, per andarsi ad infiltrare e poi fare
un'operazione a grande stile. Quindi, da parte dei... dei Carabinieri, De Donno, non so chi dietro di
lui, se era su... solo lui, per me avevano costruito, d'accordo con Ciancimino, l'impresa infiltrata.
Ora, che succedeva tra Ciancimino e De Donno questo lo sanno loro e Dio; se... se lo vogliono
dire, non lo so. Pero', cosa arrivava a Salvatore Riina? Cioe', nelle richieste che arrivavano
dall'altro lato cosa succedeva? Signor Presidente, io non voglio andare oltre perche' non e'
competenza mia. Io Le dico solo quello che ho saputo, con le mie esternazioni, cosa hanno detto a
Firenze e cosa hanno detto qua. Perche' fino ad ora nessuno ha venuto di sua spontanea volonta' a
deporre sapendo questi fatti.
P.M. dott. DI MATTEO: - Signor Brusca, nel '92, a me interessa questo, non quello che
eventualmente lei ha potuto apprendere dalla conoscenza legittima di atti processuali dopo.
BRUSCA GIOVANNI: - No, no atti processuali, io l'ho... l'ho... l'ho ascoltato. Non e'...
P.M. dott. DI MATTEO: - No, no, mi faccia fare la domanda perche' era un'altra... un altro
argomento che volevo introdurre.
Nel '92, a voi o comunque in "Cosa Nostra" risultava che in qualche modo il dottor Borsellino
gestisse o volesse fare delle indagini in tema di mafia e appalti?
BRUSCA GIOVANNI: - Ma noi abbiamo saputo che il dottor Borsellino, dopo la morte del dottor
Falcone, voleva vedere sia perche' era stato ucciso e voleva continuare quello che il dottor Falcone
stava facendo.
P.M. dott. DI MATTEO: - Quindi, questo, lei dice, lo apprendete e ci dira' come eventualmente...
BRUSCA GIOVANNI: - No, questo io lo apprendo...
P.M. dott. DI MATTEO: - ... tra Capaci e via d'Amelio, tra...
BRUSCA GIOVANNI: - No, tra Capaci e via d'Amelio, credo che e' saputo e risaputo da tutti che
il dottor Borsellino vuole sapere... vuole sapere, vuole scoprire chi ha ucciso, perche' ha ucciso il
dottor... il dottor Giovanni Falcone e riuscire a capirlo attraverso le indagini che stava facendo,
su che cosa stava lavorando. Non so se sono stato ...chiaro.
P.M. dott. DI MATTEO: - Eh, ma in quel momento a voi come vi arriva questa...? Cioe', voi da che
cosa percepite che il dottor Borsellino si volesse occupare di queste cose, di queste indagini sulla
morte del suo amico e...?
BRUSCA GIOVANNI: - No, questo... aspetti, io con Salvatore Riina di questo qua non ne ho mai
parlato, io lo apprendo dal... come un normale cittadino, come tutti gli altri, che lui vuole andare
avanti, lo dice pubblicamente, lo grida, cioe' lo esterna... dottor Di Matteo, non e' che c'e' bisogno
che te lo devono venire a dire a confida... in confidenza.
(omissis)
46
BRUSCA intende dire che “cosa nostra” seguiva le inchieste giudiziarie condotte nel settore dei
pubblici appalti, con particolare attenzione e disponeva inoltre di “talpe” per modulare i suoi
interventi, a seconda delle necessità, ancor prima che fossero emessi i provvedimenti giudiziari.
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…” P.M. dott. DI MATTEO: - Abbiamo gia' accennato al fatto che nell'indagine cosiddetta "mafia
e appalti" ad un certo punto viene arrestato Angelo Siino.
BRUSCA GIOVANNI: - Si', meta' '91.
P.M. dott. DI MATTEO: - Meta' '91. Innanzitutto, lei poc'anzi ha detto che in qualche modo - mi
corregga se ho capito male - si e' voluta indirizzare l'Autorita' inquirente proprio verso Angelo
Siino, come principale gestore per conto di "Cosa Nostra" degli appalti; in che modo questo?
BRUSCA GIOVANNI: - No, Angelo Siino e' stato... Da parte delle Autorita' non era chiaro, pero'
da parte di molti esponenti politici indirizzavano San Giuseppe Jato come il punto di... nevralgico
della spartizione degli affa... cioe' degli appalti. E dicendo San Giuseppe Jato automaticamente, chi
conosce i fatti, si capiva che era Angelo Siino. Non so se sono stato chiaro.
Be', chi non era a conoscenza dei fatti dava piu' importanza ai piccoli lavori che ai grossi lavori, e
chi all'interno aveva attirato l'attenzione su Siino come l'anello di congiunzione politica,
imprenditori... imprenditori e mafia, pensando che Siino chissa' chi era, ma Siino era uno che
viveva tra mafia e l'imprenditoria bassa, bassa no per... cioe', per quel tipo di lavori che facevano.
E quindi, da li' si spunta la figura di Angelo Siino, dopodiche' si deve eliminare Siino e ci deve
essere un altro che prende il posto di Siino.
P.M. dott. DI MATTEO: - Ma chi sarebbero stati questi soggetti - se mi vuole rispondere - che voi
ritenevate essere stati coloro i quali avevano, diciamo, sovraesposto la figura del Siino?
BRUSCA GIOVANNI: - No, la figura del Siino non l'aveva esposto... non l'aveva sovraesposto
nessuno, perche' lui era consapevole di quello che stava facendo, perche' gli era stato detto
inizialmente; lui era consapevole di quello che faceva, lui guadagnava i soldi con quello che stava
facendo, lui non sapeva che prima o poi avrebbe preso la buccia di banana, perche' era discusso da
tutti e da tutto, c'erano le gelosie, non e' che proprio si doveva essere il... il Padre Eterno. Era
troppo chiacchierato, troppo discusso, dottor Di Matteo, era troppo esposto, cioe' troppo... troppo
chiacchierato; lo sapevano tutti, cani e gatti. Cioe', piu' basso era il... il ceto di questa categoria
piu' era chiacchierato, piu' andia... alzavamo il tiro meno si era chiacchierato””””.
Omissis
“””””Il BRUSCA, pertanto, da prospettive diverse da quelle del SIINO e quindi in modo
autonomo, ha fornito un quadro sostanzialmente conforme dell’evoluzione dei rapporti creati da
COSA NOSTRA con ambienti politici ed imprenditoriali per la gestione dei pubblici appalti. Dopo
una fase in cui l’organizzazione mafiosa si era occupata solo della riscossione delle tangenti pagate
dagli imprenditori che si aggiudicavano gli appalti alle “famiglie” che controllavano il territorio in
cui venivano realizzati i lavori, lasciando salvo qualche eccezione che fossero i politici ad
individuare le imprese da favorire nella fase dell’assegnazione dell’appalto, il SIINO era stato
incaricato da lui di gestire per conto di COSA NOSTRA gli appalti indetti dall’Amministrazione
provinciale di Palermo, di cui uno dei primi e più cospicui era stato quello riguardante la
realizzazione del tratto stradale per SAN Mauro Castelverde. Da allora il SIINO si era occupato
della gestione di tali appalti anche nell’ambito delle altre province, prendendo contatti con gli
esponenti di vertice di COSA NOSTRA interessati in quei territori. Un momento cruciale era stato
costituito dalla gestione degli appalti indetti dalla SIRAP, di importo ben più consistente di quelli
della Provincia e rispetto ai quali COSA NOSTRA era sino ad allora rimasta estranea alla fase
dell’aggiudicazione. Allorché il BRUSCA aveva iniziato ad interessarsi di tali lavori tramite il
SIINO, si erano registrate delle resistenze da parte di alcuni politici, come il Presidente pro tempore
della Regione Sicilia Rino NICOLOSI, che sino ad allora aveva controllato tale gestione con
l’intervento dell’imprenditore agrigentino SALAMONE Filippo, titolare dell’IMPRESEM. Per
superare gli intralci burocratici con i quali si voleva impedire a COSA NOSTRA di gestire tali
appalti, il BRUSCA era dovuto ricorrere al messaggio intimidatorio, che era stato recepito, sicché si
era raggiunto un accordo sulla base del quale il SALOMONE avrebbe continuato a gestire
formalmente i rapporti con gli altri imprenditori mentre le decisioni sull’aggiudicazione dei lavori
sarebbero state prese dal SIINO per conto di COSA NOSTRA. Da quel momento
quell’associazione aveva anche esteso il proprio controllo sulla gestione degli appalti da quelli
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indetti dalla Provincia a tutti gli altri di ben maggiore importo indetti dalla Regione e da altri enti
pubblici, lasciando al SALAMONE la cura dei rapporti con gli imprenditori ed i politici a livello
regionale e nazionale ma riservando a sé il momento decisionale. In quello stesso tempo, intorno al
1988-89, era stata introdotta a carico degli imprenditori una quota tangentizia dello 0,80%
sull’importo dei lavori, che veniva prelevata dalla quota spettante ai politici e che veniva versata in
una cassa centrale dell’organizzazione controllata dal RIINA. Era però presto subentrata la volontà
di creare dei rapporti diretti tra i gruppi imprenditoriali di livello nazionale ed alcuni esponenti
politici nazionali, approfittando del controllo del sistema degli appalti per creare un’occasione di
contatti in cui COSA NOSTRA avrebbe potuto dialogare da una posizione di forza. Tale progetto
prevedeva, quindi, l’accantonamento del SIINO, che con il consenso del BRUSCA venne relegato
ad occuparsi degli appalti banditi dalla Provincia, solitamente di importo limitato e per i quali,
quindi, non vi era interesse né degli imprenditori né dei politici nazionali. Della gestione degli
appalti di maggiore consistenza venne, invece, incaricato l’ingegnere BINI Giovanni,
amministratore della Calcestruzzi S.p.A. del gruppo FERRUZZI – GARDINI, legato a BUSCEMI
Antonino, fratello di Salvatore, dal quale aveva rilevato come prestanome l’impresa di calcestruzzi
per sottrarla ai procedimenti di sequestro e confisca in corso a carico dei fratelli BUSCEMI
nell’ambito delle misure di prevenzione a carattere patrimoniale. Con il BINI tenevano contatti lo
stesso BUSCEMI Antonino e LIPARI Pino, uomo di fiducia del RIINA, che quindi trasmettevano
la volontà di COSA NOSTRA ai suoi massimi livelli. Intorno al 1991, infine, il RIINA aveva detto
al BRUSCA di considerare l’impresa di costruzioni REALE come una sua impresa, cosa che il
all’inizio lo aveva sorpreso perché il RIINA non aveva mai voluto interessarsi direttamente di
imprese ed anzi era ironico nei confronti di quegli “uomini d’onore” che lo facevano, ma aveva poi
compreso che tramite la REALE il RIINA voleva creare un “tavolo rotondo” di trattativa con i
politici. La predetta impresa, che era stata in precedenza sull’orlo del fallimento, era stata salvata ed
era adesso controllata da CATALANO Agostino e D’AGOSTINO “Benni”, persone formalmente
incensurate ma contigue alla loro organizzazione. Tale impresa avrebbe dovuto sostituire
l’IMPRESEM di SALAMONE nel ruolo di cerniera con i gruppi imprenditoriali nazionali,
aggiudicandosi anche in associazione con loro gli appalti di maggiore importo, e tale progetto era
stato coltivato sino a quando nel 1997, a seguito della sua collaborazione, erano stati tratti in arresto
il D’AGOSTINO ed il CATALANO nell’ambito di una nuova inchiesta su mafia ed appalti.
Il BRUSCA ha anche spiegato che da parte di COSA NOSTRA si era seguita con attenzione
l’inchiesta del R.O.S. che aveva dato luogo all’informativa del 1991 e che essi erano riusciti a
venire in possesso di una copia della medesima, constatando che non vi erano coinvolti i personaggi
di maggiore rilievo e che non si era approdati alla conoscenza degli effettivi livelli di interessi messi
in gioco, sicché, mancando un pericolo immediato, si era deciso di rinviare un intervento di COSA
NOSTRA alla fase del dibattimento per “aggiustare” il processo.
Anche il SIINO, oltre a riferire sull’impresa REALE quanto già ricordato nella Parte prima della
motivazione allorché si è trattato della sua collaborazione, ha chiarito che la quota di quell’impresa
intestata a D’AGOSTINO “Benni” era in realtà di BUSCEMI Antonino e che vi erano altre quote
del CATALANO e dell’ingegnere BINI controllate da COSA NOSTRA. Ha inoltre confermato di
aver avuto alcune pagine dell’informativa del R.O.S. già nel febbraio del 1991, consegnategli dal
maresciallo LOMBARDO, e che dopo una ventina di giorni l’Onorevole LIMA gli aveva messo a
disposizione l’intero rapporto, consentendogli di constatare che a lui era stato attribuito anche il
ruolo del SALAMONE. Già allora, parlandone con LIMA, BRUSCA Giovanni e LIPARI aveva
saputo che il BUSCEMI non aveva nulla da temere dall’inchiesta, e, infatti, era poi stato arrestato
insieme al SIINO un geometra BUSCEMI che nulla aveva a che vedere con loro.
Dalle dichiarazioni del BRUSCA e del SIINO risulta, quindi, confermato l’interesse strategico
che rivestiva per COSA NOSTRA la gestione degli appalti pubblici e la particolare attenzione
con cui essa seguiva le inchieste giudiziarie condotte in tale settore, inchieste di cui essa veniva
a conoscenza prima del tempo debito, sicché poteva modulare i suoi interventi, a seconda delle
necessità, ancor prima che fossero emessi i provvedimenti giudiziari. Occorre poi ricordare che
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 26 di 45

l’organizzazione mafiosa in esame era a conoscenza del fatto che FALCONE si interessava a tale
settore e che aveva compreso il fondamentale passaggio del sodalizio criminale da un ruolo
meramente parassitario, di riscossione delle tangenti, ad un ruolo attivo di compartecipazione nelle
imprese che si aggiudicavano gli appalti anche in associazione con l’imprenditoria nazionale.
Significative al riguardo le indicazioni del SIINO, che ha dichiarato: “.. Ma perche' praticamente il
dottore Falcone... io leggevo quello che il dottore Falcone mandava a dire tramite i giornali, e ad
un certo punto, praticamente... e poi sentivo anche gli ambienti di "Cosa Nostra", gli ambienti
imprenditoriali e praticamente tutti dicevano che sapevano che il... "Cosa Nostra" aveva fatto
votare per i socialisti. E poi debbo dire che una volta Falcone fece un preciso riferimento a livello
di giornale quando la Ferruzzi fu quotata in borsa, disse che... l'indomani usci' un articolo sul
"Giornale di Sicilia" che aveva ragionevoli motivi da pensare che da un certo momento quel... la
mafia era stata quotata in borsa. Lui ben sapeva, secondo me, il... che questo gruppo appoggiava
Gardini” (cfr. dich. del 27.2.1999, p. 83). Ed ancora lo stesso SIINO ha riferito che COSA
NOSTRA sapeva che anche BORSELLINO aveva espresso sui giornali la conoscenza su quel
fenomeno e la convinzione che uno dei motivi dell’attentato a FALCONE risiedesse proprio
nell’acquisita consapevolezza da parte sua di quel collegamento perverso. Il collaborante ha anche
riferito che durante la sua permanenza dall’ottobre del 1992 nel carcere di Termini Imerese,
ove erano detenuti anche BRUSCA Bernardo, CALO’ e MONTALTO Salvatore,
quest’ultimo gli aveva detto in relazione alle interviste rilasciate da BORSELLINO su
quell’argomento “chi glielo ha portato a parlare di queste cose?”. Appare, pertanto, esatto
ritenere che se le indagini condotte dal R.O.S. in materia di mafia ed appalti non avevano
ancora avuto all’epoca uno sviluppo tale da rappresentare un pericolo immediato per gli
interessi strategici di COSA NOSTRA, tuttavia l’interesse mostrato anche pubblicamente da
BORSELLINO per quel settore di indagini, unitamente all’incarico che egli ricopriva
nell’Ufficio titolare dell’inchiesta ed ancor più la prospettiva dell’incarico alla Procura
nazionale per la quale veniva autorevolmente proposta la sua candidatura anche
pubblicamente, costituivano un complesso di circostanze che facevano apparire a COSA
NOSTRA quanto mai opportuna la realizzazione dell’attentato a quel magistrato subito dopo
quello a FALCONE.”””””.
Identica è la rappresentazione del collaboratore di giustizia SIINO47,
circa la rilevanza strategica del settore degli appalti nella considerazione di Giovanni
FALCONE:
A dire del Siino, le indagini promosse dal giudice Falcone nel settore della gestione illecita degli
appalti, verso cui aveva mostrato un “crescendo di interessi”, avevano portato alla sua
eliminazione. Difatti, in Cosa Nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi,
era cresciuta la consapevolezza che il dr. Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del
settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: “questo sa tutte cose, questo ci vuole
consumare”.48
Dunque, fra il 1990 e il 1992 maturano eventi per così dire epocali sul
versante dei rapporti fra mafia e sistema degli appalti. Innanzitutto, l’interesse
investigativo rivolto prima a soggetti determinati come TAIBBI, poi a SIINO e ad
alcuni appalti che furono oggetto del primo rapporto del ROS, come la strada San
47
Il brano è tratto dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta del 7.4.2000, pag.
862.
48
La frase è tratta dalla trascrizione, a pag. 74, del verbale di udienza del 17.11.1999 del
procedimento di cui alla precedente nota.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 27 di 45

Mauro Castelverde-Ganci, quindi gli appalti della SIRAP, e via via tutti gli altri
snodi. Su questo versante, il conflitto fra gli interessi economici di “cosa nostra” e il
tentativo di far luce, attraverso gli appalti, sugli intrecci fra politica e mafia, diventa
sempre più acuto e sintomi di tale conflitto sono, per un verso, le modifiche degli
accordi illeciti (accentramento dei grandi appalti su poche imprese, fra cui RENDO,
COSTANZO, e pochi altri, accentramento che rendeva meno difficoltosi i contatti fra
imprese per pilotare le aggiudicazioni, la sostituzione di SIINO con BINI, il tentativo
di far subentrare l’impresa “REALE Costruzioni” all’IMPRESEM, la saldatura di
interessi fra BUSCEMI e il Gruppo FERRUZZI, che assicurava a “cosa nostra” spazi
più ampi di intervento e al Gruppo settentrionale la possibilità di svolgere attività in
Sicilia attraverso un etichetta non coinvolta in indagini) e per altro verso gli strumenti
investigativi sempre più sofisticati, fra cui il progetto di infiltrazione dei Carabinieri
nell’impresa “REALE Costruzioni”, il cui ruolo RIINA voleva potenziare nell’ambito
di un progetto imprenditoriale che avrebbe dovuto sostituire l’IMPRESEM di Filippo
SALAMONE, in vista di incrementare i guadagni e di trovare nuovi agganci politici
per consolidare il proprio potere. Infine, gioca un ruolo importante nella strategia
stragista anche la consapevolezza, da parte di “cosa nostra”, del grado di conoscenza
che gli apparati dello Stato hanno raggiunto sul crinale degli interessi economici,
donde la riflessione di BRUSCA e anche di SIINO sull’appello che Giovanni
FALCONE aveva pubblicamente lanciato, circa il fatto che “ la mafia è(ra) entrata
in borsa”49, per dire che società quotate in borsa come appunto quelle del Gruppo
FERRUZZI erano state attratte nell’alveo delle relazioni con “cosa nostra” (attraverso
BINI e BUSCEMI, come si è detto). Il grumo di interessi che riguarda gli appalti si
arricchisce della componente politica, nel senso che proprio nel periodo in questione
(fra la fine del 1991 e i primi del 1992), va maturando la decisione di “cosa nostra” di
punire per così dire i vecchi referenti come Salvo LIMA, accusati di non essere più in
grado di svolgere utili mediazioni per la mafia, con la possibilità di tessere altre

Cfr. le dichiarazioni di SIINO riportate nella sentenza del 7.4.2000 della Corte di Assise di
49

Appello di Caltanissetta, pagg. 862-863.


Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 28 di 45

relazioni con pezzi della politica non ancora intaccati dalle indagini sugli appalti 50. In
altra importante indagine svolta da quest’Ufficio 51, il grumo di interessi di cui si è
detto si manifestò attraverso talune fughe di notizie che in qualche modo
riguardarono sia le determinazioni della Procura dell’epoca (che, a fronte di una
molteplicità di soggetti a vario titolo implicati nel primo rapporto del ROS, fra cui
Antonino BUSCEMI, ritenne di esercitare l’azione penale solo a carico di alcuni), sia
il contenuto dello stesso rapporto dei Carabinieri. Rimase insoluto il contrasto fra la
versione di BRUSCA (che attribuisce ad alcuni sottufficiali dell’Arma l’iniziativa
della rivelazione di segreti, al m.llo LOMBARDO, ad es.), e la versione di SIINO
(secondo cui fonte dell’illecita rivelazione sarebbe stata la linea che dal procuratore
GIAMMANCO, attraverso Pino LIPARI sarebbe giunta a Salvo LIMA) 52. E, dopo la
strage di Capaci, il dottor BORSELLINO cerca di capire le dinamiche della strage
“attraverso le indagini che stava facendo”, -come dice ancora BRUSCA-, fra cui
sicuramente il settore delle connessioni fra mafia e appalti costituiva una tematica di
particolare pregnanza per i detti fini.
D’altra parte un’eco in qualche misura reale del tentativo di
infiltrazione, è possibile rinvenirla nei verbali di dichiarazioni di Vito CIANCIMINO
alla Procura di Palermo, acquisiti agli atti, che possono sintetizzarsi in due grandi
aree tematiche: a) nell’analisi –deduzione, secondo la quale la strage di Capaci,
unitamente all’omicidio LIMA sia da attribuirsi ad un movente politico esterno
concepito da un “architetto”53 e teso a sconvolgere il Parlamento per determinare le
condizioni per far eleggere un presidente della Repubblica diverso dal sen.
ANDREOTTI, mentre la strage di via D’Amelio aveva come obiettivo di impedire al
dott. BORSELLINO di rivestire la carica di procuratore nazionale antimafia 54; b) nei
contatti con i Carabinieri del ROS, inizialmente originati dal tentativo di indurre il
50
Il riferimento di BRUSCA è agli on.li NICOLOSI e MANNINO.
51
Il riferimento è ai proc. pen. n. 2108/97 R.G.N.R. e 2285/97 R.G.N.R. che diedero luogo al caso
DE DONNO – LO FORTE-SIINO.
52
Cfr. più ampiamente le richieste di archiviazione e la memoria del P.M. in data 2.12.1998, nei
proc. pen. 2108/97 R.G.N.R. e 2285/97 R.G.N.R., nonché il decreto di archiviazione del G.U.P. di
Caltanissetta dott.ssa LOFORTI.
53
Di cui però il CIANCIMINO non rivelò mai il nome.
54
Cfr. il verbale del 5.8.1997 al P.M. di Palermo.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 29 di 45

CIANCIMINO ad una collaborazione e successivamente incanalati 55 ad una sorta di


trattativa, avvenuta a ridosso delle stragi, fra i Carabinieri e, tramite un intermediario
che potrebbe individuarsi nella persona del dottor CINA’, -ma non è escluso che vi
abbiano preso parte altri soggetti- i vertici dell’epoca di “cosa nostra”. Detta trattativa
sarebbe stata tesa a consentire la cattura di latitanti, da un lato, e al buon trattamento
dei familiari degli stessi, dall’altro lato, ma non sarebbe andata in porto ed anzi si
sarebbe tortuosamente sviluppata ora sul filo dell’interesse personale del
CIANCIMINO di avere dei vantaggi processuali, ora su quello dello studio di alcune
mappe della città di Palermo, studio focalizzato a fornire elementi per la cattura di
qualche personaggio importante di “cosa nostra”. I Carabinieri hanno sempre respinto
la tesi della trattativa56, affermando che si tentò di porre soltanto
“un tentativo di dialogo inerente alla possibilità che lo stesso fornisse informazioni sullo scenario
complessivo di “cosa nostra”,

in un momento drammatico per la storia del nostro Paese, quale quello successivo
alle stragi del 199257. Mentre, l’esistenza di una trattativa è affermata con certezza
anche dal collaboratore di giustizia Salvatore CANCEMI 58. Al riguardo, è sufficiente
richiamare quanto a suo tempo scritto da quest’Ufficio in seno alla richiesta di
archiviazione nel proc. pen. n. 1370/98 R.G.N.R. (dei cosiddetti “mandanti occulti”
“1”):

“Il collaborante ha, poi, solo recentemente riferito di una riunione, tenutasi verosimilmente dopo la
c.d. “strage di Capaci”, alla presenza di Raffaele GANCI, di Salvatore BIONDINO, di lui stesso e
di Salvatore RIINA, nel corso della quale quest’ultimo rappresentava che si accingeva ad inoltrare
alcune richieste, che esponeva, nell’occasione, tenendo in mano un pezzo di carta 59 nel quale aveva
annotato sei o sette punti (abolizione ergastolo, intervento sulla legge concernente i collaboratori
di giustizia, sequestro dei beni, liberazione per alcuni uomini d’onore, ecc... ”.

55
V. il verbale del 17.3.1993 al P.M. di Palermo dott. INGROIA.
56
V. il verbale del Gen. MORI del 23.9.1997 nel proc. pen. 490/94 mod.44.
57
Infatti per il Gen. MORI (verbale di cui alla nota precedente), il primo contatto con Vito
CIANCIMINO risale al 5.8.1992.
58
A pag. 9 della richiesta di archiviazione del 19.2.2001, nel proc. pen. 1370/98 R.G.N.R. Le
dichiarazioni di CANCEMI sono a pag. 4 del verbale riassuntivo del 23.4.1998 e da pag. 48 a pag.
50 della relativa trascrizione.
59
Potrebbe essere il famoso papello.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 30 di 45

L’asserita trattativa si concluse, comunque, con l’arresto del


CIANCIMINO ed è comunque materia non strettamente pertinente all’analisi dei
moventi delle stragi del 1992, anche se riguardano la materia di questo procedimento
gli interrogativi di quando sarebbero iniziate queste trattative (prima o dopo la strage
di Via D’Amelio?), di chi vi abbia preso parte (solo CIANCIMINO o chi altri della
zona grigia dei sostenitori della mafia?), e di quali contenuti avesse, in entrambe le
direzioni, per così dire, dallo Stato alla mafia e ritorno. Sul tema delle trattative, già
BRUSCA aveva avvertito che un conto sono i contatti fra DE DONNO e
CIANCIMINO, un altro i contatti fra CIANCIMINO e il primo intermediario, e fra
questi ed altri intermediari fino a RIINA, differenziazione che è plasticamente
sintetizzata nella domanda: “ma cosa arriva a RIINA?”60, quasi a sottolineare il
pericolo se non la certezza che nei vari passaggi intermedi i termini della trattativa
fossero stati trasformati, modificati o arricchiti o che un discorso mirato al
pentimento di CIANCIMINO e circoscritto fra lo stesso e i Carabinieri possa essere
stato strumentalizzato dai vertici dell’organizzazione criminale per una sorta di
trattativa a più ampio raggio, o comunque per veicolare le richieste di “cosa nostra”.
Più da recente, sono state acquisite altre dichiarazioni di Giovanni BRUSCA, nel
verbale del 12.10.2001, secondo cui, invece, le cosiddette trattative, sarebbero state il
leit-motiv che legava tutti i fatti stragisti (del 1992, come del 1993). A tal proposito, è
illuminante un brano di tale verbale:

A.D.R. in merito alle notizie degli organi di stampa, di cui mi si chiede, diffuse sul finire del mese di
settembre di quest’anno, relative a presunte novità investigative sul filone dei cosiddetti mandanti
esterni delle stragi Falcone e Borsellino, faccio presente di avere preso personalmente conoscenza
di dette notizie da alcuni telegiornali nazionali.
Devo precisare che, nell’estate scorsa, dopo avere testimoniato ai processi Borsellino bis e ter,
celebrati a Caltanissetta, venivo interrogato dal dottor CHELAZZI della Direzione Nazionale
Antimafia, che mi chiedeva dei chiarimenti in relazione ad un altro procedimento ed io ne ho
approfittato per completare il quadro precedentemente fornito in quelle sedi. Il dottor CHELAZZI,
più precisamente, mi ha interrogato nell’ambito delle attività di indagine sul senatore INZERILLO.
Al dottor CHELAZZI, in particolare, riferivo che le trattative esistenti tra lo Stato e Cosa Nostra
erano state la causa determinante dell’accelerazione del progetto di eliminazione del dottor
BORSELLINO.

Cfr. sempre il cennato brano della sentenza resa nel proc. pen. n. 27/99 della Corte di Assise di
60

Caltanissetta.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 31 di 45

In particolare BRUSCA, riferiva di un discorso fatto da RIINA,


sintetizzabile nella frase “diamo un altro colpetto”, alludendo alla possibilità di
eseguire qualche attentato clamoroso (nella specie, si stava organizzando l’attentato,
poi, fortunatamente non attuato, all’attuale procuratore di Palermo, dott. GRASSO),
per riaprire le trattative interrotte dopo l’arresto di CIANCIMINO.
Nel verbale del 27.4.2002, BRUSCA è ancora più analitico e chiaro.
In estrema sintesi, egli dice:
- che già dal 1989 vi era un progetto investigativo dei Carabinieri che nasce in un
certo modo e nel tempo prende corpo diversamente61;
- che Riina disse: “si sono fatti sotto”, prima delle stragi alludendo alla trattativa
con il confidente Paolo BELLINI attraverso GIOÈ, cioè la trattativa che mirava a
mitigare in qualche modo la situazione carceraria di alcuni boss in cambio del
ritrovamento di alcuni beni d’interesse culturale; a cavallo delle stragi del 1992 ,
alludendo al contatto tra i carabinieri e CIANCIMINO;
- che a “cosa nostra” interessavano soprattutto: 1) l’abolizione dell’ergastolo, 2) la
revisione della legge sui pentiti, 3) la modifica della legge La Torre-Rognoni, 4) la
revisione del maxiprocesso;
- che gli obiettivi di “cosa nostra” erano l’on. LIMA “ che ci aveva preso in giro ” e
il giudice FALCONE “che non riusciamo a bloccare”;
- quando a Radio Radicale sente le dichiarazioni di De DONNO al processo di
Firenze, riesce ad illuminare altre zone d’ombra attraverso deduzioni e ipotesi;
- che, quando i carabinieri parlano con CIANCIMINO, il famoso “ cosa volete, per
finirla?”, gli stessi carabinieri si rendono conto che la strategia investigativa che
avevano messo in campo sortisce come conseguenza indiretta le stragi;
- che dopo FALCONE, doveva essere attuato il progetto di uccidere l’on.
MANNINO, però tale progetto viene accantonato e si attua invece quello di
uccidere Paolo BORSELLINO, in questo senso la strage di via D’Amelio è
segnata, secondo BRUSCA, da un’accelerazione;
61
Il riferimento è all’infiltrazione attraverso la società “REALE Costruzioni”.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 32 di 45

- che a Riina giunge una speranza, sintetizzata da BRUSCA in questo modo: “ no, ti
posso dare qualcosa”, e Salvatore Riina dice, a me mi dice: “Mi vogliono dare
qualche cosa, è poco”,
- che a RIINA arrivò un messaggio, “ per noi darti qualche cosa, abbiamo
bisogno di togliere questo ostacolo”, e cioè che BORSELLINO era un ostacolo o
perché intendeva andare avanti nelle indagini (su mafia-appalti) oppure era venuto
a conoscenza di qualche cosa (sulla strage di Capaci) oppure che intendeva
proseguire nella linea di rigore della repressione contro “cosa nostra”;
- che all’interno della DC, una parte aveva l’obiettivo di distruggere la corrente
andreottiana e fare emergere la sinistra; dopo l’arresto di SIINO e la sua
collaborazione, cioè dopo le stragi, se fosse stato attuato il progetto investigativo
dei carabinieri che intendeva colpire al cuore mafia e appalti, sarebbe stata
azzerata l’altra parte della DC, non ancora attinta dalle indagini del 1989-90 62;
- che una parte di “cosa nostra”, BRUSCA stesso, BAGARELLA, GRAVIANO,
MESSINA DENARO, BIONDINO volevano continuare la strategia, dopo
l’arresto di RIINA, ma PROVENZANO impose un arresto nella continuazione
della strategia in Sicilia e, di conseguenza, stabilì di agire al Nord;
- che dopo l’articolo su L’Espresso63, su Paolo BORSELLINO che aveva citato un
procedimento di indagine su Vittorio MANGANO, “cosa nostra” manda a dire
all’on. BERLUSCONI “guarda che la sinistra sapeva”, nel senso che qualora il
Governo dell’epoca, presieduto dall’on. BERLUSCONI, avesse voluto o potuto
fare qualche cosa a beneficio di “cosa nostra”, non poteva essere ricattato in

62
Su questo specifico punto delle dichiarazioni di BRUSCA, sembra esservi una coincidenza fra la
lotta di potere all’interno della Democrazia Cristiana, com’è rappresentata dallo stesso
collaboratore, e le risultanze investigative precedenti al pentimento di SIINO.
63
In effetti, si tratta dell’articolo che risulta pubblicato dal settimanale milanese nel numero del
giorno 8.4.1994, di cui si parla a pag. 12 della richiesta di archiviazione, formulata da quest’Ufficio
il 19.2.2001 nel proc. pen. n. 1370/98 R.G.N.R. c. gli on.li BERLUSCONI e DELL’UTRI,
richiesta accolta dal G.I.P. con decreto del 3.5.2002, e a pag. 12 del suddetto decreto, ove si afferma
testualmente fra l’altro: “Risulta da tale pubblicazione che il magistrato fece specifico riferimento
all’esistenza di atti di indagine che accertavano rapporti poco chiari tra Mangano e Dell’Utri,
precisando tuttavia di non poter fornire indicazioni specifiche in quanto non si era mai occupato
direttamente di quell’inchiesta”.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 33 di 45

quanto appunto “la sinistra sapeva”, cioè a dire l’opposizione aveva avuto
conoscenza delle trattative, sul canale CIANCIMINO-DE DONNO (o su altri
canali, n.d.r.);
- che quando dice “la sinistra” intende alludere in senso lato a posizioni di sinistra e
specificamente ai vertici dell’allora ministero degli Interni, cui era preposto l’on.
MANCINO.
L’Ufficio si riserva di esplorare più approfonditamente questa pista in
separato procedimento, nei limiti di stretta competenza della Procura nissena, vale a
dire nei limiti del complesso movente delle stragi del 1992 e tenendo conto che
qualche nucleo di verità è contenuto laddove specificamente si realizza una
deviazione di obiettivi da colpire (dall’on. MANNINO al dottor Paolo
BORSELLINO). Se fosse vera la tesi secondo cui “ la sinistra sapeva”, è d’obbligo
l’interrogativo se si tratta della stessa area politica in buona sostanza risparmiata dal
primo turno di indagini dei Carabinieri del ROS sugli appalti e, perciò, in qualche
misura interessata all’esito della trattativa, non fosse altro che per alleggerire da sé sia
il peso di “cosa nostra”, che iniziava a incalzare, per istituire referenze o per esigere
utilità, sia il pericolo che nuove e più approfondite indagini avrebbero fatto emergere
complicità e corruttele. Se si è svolta veramente questa trattativa, vi è un nesso tra le
richieste di “cosa nostra”64 e le possibili cessioni da parte dello Stato? E queste
cessioni potevano anche prevedere un rallentamento alle indagini sugli appalti? Ed
infine, questa trattativa ha avuto un risvolto politico? Ed in questo caso, accanto a chi
(o spinta da chi) “cosa nostra” ha agito “politicamente”, e i suoi tentativi di dialogo
hanno trovato qualche interlocutore nelle istituzioni? Nell’ambito di tali interrogativi,
occorre fare completa chiarezza, al di là di ciò che afferma BRUSCA, circa il perché
un obiettivo importante nella strategia stragista, come l’omicidio dell’on.
MANNINO, viene sospeso e si preferisce invece puntare, per così dire, su Paolo
BORSELLINO. In un’altra indagine65, si è acquisita la circostanza, tutta da
approfondire nei suoi ulteriori profili, che Paolo BORSELLINO avesse potuto

64
Il famoso papello di cui parla BRUSCA.
65
In corso, nell’ambito di un fascicolo c. ignoti sempre in riferimento agli artt. 110 e 422 c.p.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 34 di 45

percepire qualche avvisaglia di quel pericolo e l’avesse potuta manifestare sia pure in
termini ancora criptici. Ma cosa aveva capito esattamente BORSELLINO? E quali
erano i pericoli e chi li correva e perché? E che cosa intendeva fare BORSELLINO
concretamente? Se si potesse dare una risposta soddisfacente a questi interrogativi, si
arriverebbe a scoprire gran parte delle zone d’ombra che ancora rimangono nel
procedimento sui mandanti occulti delle stragi e, specificamente su quella di via
D’Amelio. Tuttavia, qualche elemento dal quale è possibile risalire a ciò che
BORSELLINO aveva potuto intuire, sussiste ed un'eco tutt’altro che labile è nel
verbale del 6.11.2001 del sen. Antonio DI PIETRO, già sentito in dibattimento a suo
tempo, il quale ha affermato, circa i suoi rapporti con Paolo BORSELLINO:

“ ADR: nella primavera 1992, in coincidenza con l’apertura delle indagini c.d. “Mani Pulite” a
livello non più solo regionale ma nazionale - all’epoca non conoscevo come funzionasse il sistema
delle tangenti in Sicilia - io incontrai più volte Paolo Borsellino il quale mi disse che dovevamo
assolutamente incontrarci, anche in occasione del funerale di Giovanni FALCONE. Era convinto
che vi fosse un sistema unitario, a livello nazionale, di spartizione degli appalti e che questo fosse
la chiave interpretativa del sistema delle tangenti. Solo successivamente alla morte di Borsellino
nel corso delle susseguenti indagini mi resi conto della estrema fondatezza delle intuizioni del
collega Borsellino: diversi imprenditori che in precedenza avevano confessato fatti di corruzione,
si erano rifiutati di parlare degli appalti siciliani . Nel 1993, con l’arrivo di CASELLI alla Procura
di Palermo, si sviluppò una serie di incontri che portarono agli sviluppi di cui ho già riferito nella
suddetta deposizione resa a Caltanissetta”.

Ma questo sistema unitario in che rapporto si pone con il sistema del


riciclaggio che Giovanni FALCONE aveva intravisto e che voleva approfondire
attraverso i contatti con il giudice svizzero Carla DEL PONTE, già all’epoca
dell’attentato all’Addaura66?

Sostanzialmente sulla stessa linea le dichiarazioni di Vito Lo Forte, il quale, dopo avere illustrato
nei dettagli i traffici di stupefacenti gestiti dalle famiglie Madonia, Galatolo e Fidanzati, facendo
anche riferimento al carico di cocaina appartenente ai Madonia ed ai Galatolo trasportata sulla
nave “Big Jonh”, ha precisato che il riciclaggio dei relativi introiti avveniva in Svizzera,
soprattutto ad opera di Gaetano Scotto e Vincenzo Galatolo, ed ha poi posto specificamente in

66
Si tratta di una tematica mai approfondita in nessuna inchiesta e che pure meriterebbe di essere
sviluppata, partendo dall’ipotesi che i conti svizzeri fossero i terminali tanto delle operazioni di
costituzione di fondi neri da parte delle imprese per destinarle a tangenti ai politici, quanto di
operazioni di riciclaggio della criminalità organizzata, e che Giovanni FALCONE avesse iniziato a
interessarsi di tutto ciò. Al riguardo, si riporta nel testo un interessante passo della motivazione
della sentenza del processo per l’attentato all’ADDAURA del 27.3.2000, pag. 236.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 35 di 45

correlazione il fallito attentato dell’Addaura con il riciclaggio dei proventi del traffico di droga,
affermando che parlando con Vito Galatolo, figlio di Vincenzo, con Giuseppe Fidanzati e con
Gaetano Scotto aveva appreso che l’attentato era stato organizzato per colpire i magistrati svizzeri
che erano venuti in Sicilia per indagare sul riciclaggio.

Interrogativo che ci riporta all’inquietante retroscena di una violenza


stragista messa in opera non casualmente, ma in coincidenza con lo svelamento
investigativo degli intrecci finanziari di “cosa nostra”, con l’ulteriore corollario del
rafforzamento del movente della connessione mafia-appalti nell’ideazione, e
realizzazione della strategia stragista.
A proposito del sistema di controllo illecito degli appalti, se dunque,
BORSELLINO è convinto dell’unitarietà del sistema, a livello nazionale, di
spartizione degli appalti, come chiave interpretativa per venire a capo del sistema
delle tangenti e della corruzione organizzata, è in questo settore che certamente va
ricercato il milieu dei soggetti, degli interessi economico-finanziari e delle
corrispondenti coperture a tutti i livelli, che sarebbero stati definitivamente
compromessi dalla penetrante azione investigativa che egli si apprestava a
promuovere nel solco di quanto aveva realizzato Giovanni FALCONE.
L’ufficio ha esplorato altre piste, fra cui le conoscenze di un sacerdote
palermitano, don RIBAUDO, il quale dichiarò di avere avuto dei contatti con qualche
personaggio inserito in “cosa nostra”, secondo cui mentre le responsabilità
dell’organizzazione erano in parte chiare per la strage di via D’Amelio, per quanto
riguardava la strage di Capaci, bisognava andare molto più in alto 67. Tuttavia, le
dichiarazioni del sacerdote non sono andate al di là di questo versante, che pure è
pieno di suggestioni, fra cui la più misteriosa e però realistica è se le due stragi
abbiano matrici e linee di svolgimento totalmente diverse, pur nel quadro dell’unica
strategia stragista68.
Nei vari processi, è stato ricostruito l’ultimo periodo di vita di Paolo
BORSELLINO, i suoi interessi investigativi per i primi collaboratori di giustizia, da

67
Cfr. il verbale di assunzione di informazioni del sacerdote del 20.7.1995.
68
Il riferimento è ad un brano delle dichiarazioni del collaboratore Antonino GIUFFRE’, secondo
cui la strage di Capaci si deve a RIINA, mentre quella di via D’Amelio a PROVENZANO.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 36 di 45

MUTOLO a Leonardo MESSINA, i suoi contatti istituzionali, con il Capo della


Polizia e il Ministro degli Interni, le sue missioni all’estero, segnatamente in
Germania, sulle tracce dei giovanissimi quanto spietati killers palmesi e agrigentini 69,
nonché sugli autori dell’omicidio del Giudice Saetta. Dovendo qui ricostruire gli
ultimi giorni di vita del dott. Paolo BORSELLINO, con specifica correlazione al
tema di mafia-appalti, è necessario citare un brano molto significativo del discorso
che egli tenne il 25.6.1992 a Palermo in una pubblica manifestazione70, nel corso
della quale affermò di essere un testimone privilegiato:

“In questo momento inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché,
avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto,
non voglio dire più di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che purtroppo vedo
fare in questi giorni per ristabilire chi era più amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto
comunque più o meno di altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di
parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo
tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e
riferirli all'autorità giudiziaria, che è l'unica in grado di valutare quanto queste cose che io so
possono essere utili alla ricostruzione dell'evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone,
e che soprattutto, nell'immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a
me, che era finita una parte della mia e della nostra vita. Quindi io questa sera debbo astenermi
rigidamente - e mi dispiace, se deluderò qualcuno di voi - dal riferire circostanze che
probabilmente molti di voi si aspettano che io riferisca, a cominciare da quelle che in questi giorni
sono arrivate sui giornali e che riguardano i cosiddetti diari di Giovanni Falcone. Per prima cosa
ne parlerò all'autorità giudiziaria, poi - se è il caso - ne parlerò in pubblico. Posso dire soltanto, e
qui mi fermo affrontando l'argomento, e per evitare che si possano anche su questo punto innestare
speculazioni fuorvianti, che questi appunti che sono stati pubblicati dalla stampa, sul "Sole 24 Ore"
dalla giornalista - in questo momento non mi ricordo come si chiama... - Milella, li avevo letti in
vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone, perché non vorrei che su
questo un giorno potessero essere avanzati dei dubbi”.

E, ancora, in un altro brano 71 altrettanto significativo, disse senza


mezzi termini perché FALCONE era stato colpito a morte nonostante lavorasse ormai
fuori di Palermo:
“ma quello che non si può contestare è che Giovanni Falcone in questa sua breve, brevissima
esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto tornare a fare il magistrato. Ed
è questo che gli è stato impedito, perché è questo che faceva paura”.

69
Di cui è traccia nella domanda, in seno al verbale del 1.7.1992 a Leonardo MESSINA, sulla cosca
dei “cudi chiatti” di Palma di Montechiaro.
70
Tenuta a Casaprofessa a Palermo e promossa dalla Rivista MICROMEGA.
71
Sempre della manifestazione tenuta a Casaprofessa a Palermo e promossa dalla Rivista
MICROMEGA.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 37 di 45

Dunque, dalle parole di Paolo BORSELLINO, testimone


privilegiato, si apprende qual era veramente l’obiettivo che Giovanni FALCONE
intendeva realizzare, vale a dire introdurre una normativa di sostegno alle
investigazioni più penetranti e ritornare poi a svolgere l’attività inquirente in modo
ancor più efficace (nella procura nazionale antimafia?) e perché viene trucidato
proprio nel Maggio del 1992, cioè a dire quando la gran parte della legislazione era
stata o emanata o predisposta e si parlava con concretezza dell’incarico di procuratore
nazionale antimafia. Com’è noto, tuttavia, Paolo BORSELLINO non ebbe il tempo di
riversare sull’a.g. di Caltanissetta le circostanze di fatto e le eventuali opinioni o
ipotesi investigative che aveva elaborato. Né sappiamo a quale grado di concludenza
obiettiva fossero arrivate le sue intuizioni e i ragionamenti e su quali argomenti si
basassero. Ma è un dato di fatto incontrovertibile che BORSELLINO ebbe un
colloquio con i vertici investigativi dei Carabinieri a Palermo lo stesso giorno
25.6.1992 alla Caserma di Piazza Verdi, nel corso del quale si concordò di riprendere
il famoso rapporto mafia-appalti, certamente per svilupparlo in maniera più
approfondita. La scelta del luogo, la Caserma Carini, sede diversa dall’Ufficio
giudiziario, è sintomatica del riserbo che doveva circondare l’incontro, “ad ulteriore
dimostrazione della situazione di disagio e tensione che già caratterizzava i suoi
rapporti con il Procuratore GIAMMANCO”72. In quell’occasione, BORSELLINO
“aveva proposto la costituzione presso il R.O.S. dei Carabinieri di un gruppo
coordinato dal DE DONNO che avrebbe dovuto sviluppare le indagini in tema di
mafia ed appalti, riferendo direttamente ed esclusivamente a lui” 73. Il Gen. MORI ha
chiarito che il dottor BORSELLINO era stato informato dal dott. FALCONE circa i
risultati delle prime indagini su mafia-appalti e aveva poi appreso notizie circa gli
sviluppi delle dichiarazioni del collaboratore LIPERA alla Procura di Catania ove
operava il sostituto procuratore dottor Felice LIMA, che aveva sovrainteso ad una

72
Il virgolettato riproduce brani della motivazione della sentenza della Corte di Assise di Appello di
Caltanissetta nel proc. “Borsellino ter”, del 7.2.2002.
73
Il virgolettato riproduce brani della motivazione della sentenza della Corte di Assise di Appello di
Caltanissetta nel proc. “Borsellino ter”, del 7.2.2002.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 38 di 45

parte delle indagini scaturite da dette dichiarazioni. Al riguardo, è opportuno riportare


il brano della motivazione della sentenza c.d. “Borsellino ter” 74, da cui emerge, sia
attraverso le dichiarazioni del senatore DI PIETRO, sia attraverso le dichiarazioni del
Capitano DE DONNO e del Gen. MORI, come il filone mafia-appalti abbia costituito
un movente della strage di via D’Amelio:
“”””””” Il senatore DI PIETRO ha ricordato che BORSELLINO anche in occasione dei funerali di
FALCONE gli aveva manifestato la piena convinzione che le indagini che avessero accertato il
ruolo di COSA NOSTRA nella gestione degli appalti e nella spartizione delle relative tangenti
pagate dagli imprenditori avrebbero consentito di penetrare nel cuore del sistema di potere e di
arricchimento di quell’organizzazione. Ha altresì riferito il teste che mentre a Milano e nella
maggior parte del territorio nazionale si stava registrando in misura massiccia il fenomeno della
collaborazione con la giustizia di molti degli imprenditori che erano rimasti coinvolti nel circuito
tangentizio, ciò non si era verificato in Sicilia e BORSELLINO spiegava tale diversità con la
peculiarità del circuito siciliano, in cui l’accordo non si basava solo due poli, quello politico e
quello imprenditoriale, ma era tripolare, in quanto COSA NOSTRA interveniva direttamente per
gestire ed assicurare il funzionamento del meccanismo e con la sua forza di intimidazione
determinava così l’omertà di quegli stessi imprenditori che non avevano, invece, remore a
denunciare l’esistenza di quel sistema in relazione agli appalti loro assegnati nel resto d’Italia.
Intenzione di BORSELLINO e DI PIETRO era quella di sviluppare di comune intesa delle
modalità investigative, fondate anche sulle conoscenze già acquisite, per ottenere anche in Sicilia i
risultati conseguiti altrove.
E BORSELLINO stava già traducendo in atto questo progetto, come dimostrano le dichiarazioni
rese dai predetti testi MORI e DE DONNO, che hanno riferito di un incontro da loro avuto con
BORSELLINO il 25 giugno 1992 presso la Caserma dei Carabinieri Carini di Palermo. Il
magistrato, aveva, infatti, chiesto un incontro in sede diversa dall’Ufficio giudiziario, perché
voleva mantenere sul medesimo il massimo riserbo – ad ulteriore dimostrazione della situazione di
disagio e tensione che già caratterizzava i suoi rapporti con il Procuratore GIAMMANCO – ed in
quell’occasione aveva proposto la costituzione presso il R.O.S. dei Carabinieri di un gruppo
coordinato dal DE DONNO che avrebbe dovuto sviluppare le indagini in tema di mafia ed appalti,
riferendo direttamente ed esclusivamente a BORSELLINO. In quell’incontro non si era andati oltre
la formulazione generale della proposta, essendo stata rinviata la definizione concreta dei particolari
ad un momento successivo al rientro del magistrato dalla Germania, ove doveva recarsi per ragioni
professionali. Quello era però stata l’ultimo incontro dei testi con BORSELLINO. In proposito
occorre evidenziare che il magistrato, non potendosi direttamente occupare per ragioni di
competenza della strage di Capaci, perseguiva l’intento di incidere su uno degli snodi cruciali del
sistema su cui si fondava il potere di COSA NOSTRA, nella speranza di indebolirla definitivamente
e di impedirle così di raggiungere gli obiettivi che si era prefissa con la strategia iniziata con
l’omicidio LIMA e proseguita con l’attentato a FALCONE. E la scelta da parte di BORSELLINO
degli investigatori cui affidare l’inchiesta che maggiormente gli stava a cuore in quel momento non
era casuale, poiché il DE DONNO era l’autore delle indagini del R.O.S. che avevano portato alla
stesura del rapporto su mafia ed appalti consegnato, come si è detto, a FALCONE nel febbraio del
1991, alla vigilia della sua partenza per Roma. Il DE DONNO ha spiegato come quel rapporto
costituiva solo la premessa di una serie di indagini su quel tema, in quanto individuava l’obiettivo
da perseguire, e cioè l’accertamento dell’intervento di COSA NOSTRA nella gestione degli appalti
pubblici in Sicilia, nonché uno dei personaggi maggiormente coinvolti in tale sistema, e cioè il
SIINO. E, pertanto, i limiti di quel rapporto, sottolineati dal SIINO durante la sua collaborazione,
74
La sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta è del 7.2.2002.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 39 di 45

erano ben presenti agli investigatori, anche se essi non conoscevano ancora gli altri personaggi
coinvolti nel sistema e le loro aspettative erano proprio quelle di poter proseguire le indagini sino
alla loro individuazione. Al riguardo il DE DONNO ha manifestato l’insoddisfazione non solo per il
ritardo con cui il Procuratore GIAMMANCO, che tenne chiuso nella sua cassaforte il rapporto
consegnatogli da FALCONE, consentì ai magistrati del suo Ufficio di conoscerlo e, quindi, di poter
adottare le opportune iniziative giudiziarie, ma anche per la scarsa considerazione mostrata a suo
avviso dalla Procura per le prospettive di un approfondimento delle indagini, che non si era
verificato. Particolarmente gradito doveva, quindi, risultare al DE DONNO il proposito di
BORSELLINO di valorizzare le sue conoscenze per far compiere all’indagine quel salto di qualità
che sino ad allora non vi era stato, proponendosi quale referente del costituendo gruppo
investigativo.
Le precise indicazioni al riguardo provenienti dalle dichiarazioni di BRUSCA e SIINO hanno
confermato che ancora una volta l’acume investigativo di BORSELLINO aveva colto nel segno,
intuendo ben al di là di quanto ancora era emerso dal primo rapporto del R.OS. quanto fosse
strategico per COSA NOSTRA il suo coinvolgimento nella gestione degli appalti””””.
L’Ufficio ha scandagliato il tema dell’eventuale connessione tra le
minacce di morte pervenute al dottor BORSELLINO e l’esecuzione della strage. Sul
punto, partendo dalle risultanze del dibattimento del proc. “Borsellino ter”, si sono
acquisiti una serie di atti e di testimonianze, in particolare di appartenenti all’Arma
dei carabinieri, da cui risultava che in alcuni ambienti malavitosi milanesi si era
diffusa la voce di possibili attentati tanto all’allora sostituto procuratore presso il
Tribunale di Milano dott. DI PIETRO, quanto al dott. BORSELLINO. In proposito, si
è risaliti agli ufficiali di p.g. che avevano avuto contatti diretti con una fonte, che era
in buona sostanza una prostituta milanese. E’ noto che vi furono delle
sottovalutazioni circa le misure di protezione assicurate al dottor BORSELLINO e
che, per questo, il Prefetto e il Questore di Palermo ebbero in qualche misura a
rispondere oggettivamente di tale atteggiamento. Una lettera di minaccia nella quale
si parlava di attentati, pervenuta alla Procura di Palermo, non fu comunicata a Paolo
BORSELLINO e ciò costituì ennesimo motivo di forte attrito col Procuratore
GIAMMANCO75. Tuttavia, l’episodio delle minacce a BORSELLINO e DI PIETRO
sta a indicare chi fossero i magistrati inquirenti più esposti in quel momento e perché,
cioè a motivo dei loro progetti investigativi sul versante politico-amministrativo ed
economico-finanziario.

75
Lo riferisce, nelle dichiarazioni di cui al verbale del 3.5.2002, la Signora Agnese PIRAINO
vedova BORSELLINO.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 40 di 45

L’Ufficio veniva a conoscenza che poco prima della strage ed


esattamente il 29.6.1992, si era svolto un incontro a casa del dott. Paolo
BORSELLINO con il dottor Fabio SALAMONE. Le fonti di questa notizia risalivano
al libro del giornalista CARUSO76 il quale citava l’on. VELTRI e il sen. DI PIETRO.
Entrambi venivano sentiti e confermavano di avere appreso l’esistenza dell’incontro.
La circostanza veniva asseverata da Agnese BORSELLINO, nel corso del verbale del
3.5.2002:
“ R. Ricordo che il giorno del suo onomastico, fra i tanti che vennero a trovare Paolo per gli
auguri, vi fu il magistrato di Agrigento Fabio Salamone. Rimasero nello studio in un colloquio
riservato per circa tre ore. Ricordo solo che quando lo accompagnò sul pianerottolo gli sentii dire
a Paolo: “io ti consiglio di andar via dalla Sicilia”. Nel salotto c’erano altre persone, fra cui
Antonio Ingroia e i miei genitori. Antonio si era lamentato perché Paolo non l’aveva fatto entrare
nello studio dove era già iniziato il colloquio con Salamone. Nulla so del contenuto di tale
colloquio. Poiché le SS.LL. me lo chiedono, posso dire che Salamone non era mai venuto a trovarlo
prima, ma non escludo che avesse avuto rapporti professionali e data la differenza di età, può darsi
che sia stato uditore di Paolo. La stessa sera dovevamo partecipare ad una cena in casa di
Giammanco, ma il giorno prima Giammanco aveva disdetto questa cena, ritengo perché i rapporti
con Paolo erano divenuti abbastanza tesi a causa del fatto che Paolo qualche giorno prima aveva
avuto una discussione molto accesa con Giammmanco arrivando a battere il pugno sulla scrivania
di Giammanco. La causa di tale tensione era stato il fatto che, avendo Paolo saputo casualmente
dall’on. Andò, incontrato nella sala vip dell’aeroporto a Roma, mentre eravamo in attesa
dell’aereo per Palermo provenendo da Giovinazzo, vicino Bari dove avevamo partecipato ad un
convegno di Magistratura Indipendente, che era arrivato un anonimo che parlava di un attentato
contro di lui e chiese spiegazioni a Giammanco del perché non fosse stato informato di tale
anonimo. Fu per questo che Giammanco disdisse la cena. Però la cena ebbe luogo ugualmente, ma
a casa di Anna Palma dove assieme a Paolo e a me, c’erano il Prefetto Iovine, la dottoressa
Principato e Giammanco. In quella occasione ricordo che Paolo si chiuse nel mutismo più assoluto.
Ricordo di avere incontrato l’on. Veltri a Palermo al centro Borsellino in un’occasione pubblica,
ma non ricordo di avere parlato con l’on. Veltri del magistrato Salamone”.
Nel verbale del giorno 8.10.2002, il dott. Fabio SALAMONE dà la
seguente ricostruzione del colloquio con Paolo BORSELLINO
“ Lo andai a trovare a casa sua. Era un primo pomeriggio. C’erano altre persone, oltre alla
moglie, Agnese. C’era Antonio Ingroia. Io e Paolo ci siamo chiusi nello studio con una porta a
soffietto. Il colloquio sarà durato un’oretta circa. Ricordo che parlammo ancora una volta del fatto
che Martelli e Scotti, avendolo indicato come probabile Procuratore Nazionale Antimafia, avevano
sovraesposto la sua posizione. Lui si sentiva più protetto a Palermo. Parlammo ancora della mia
situazione, che lui riteneva a rischio e mi invitò a venire a Palermo. Io obiettai che l’attività
imprenditoriale di mio fratello rendeva inopportuno questo trasferimento, con Tangentopoli che era
scoppiata. Borsellino mi disse che allo stato non gli risultava nulla a carico di mio fratello ed in
ogni caso riteneva sufficiente che io non mi occupassi delle tematiche in cui poteva essere coinvolto
lo stesso mio fratello, data la dimensione della Procura di Palermo. Borsellino comunque insistette
perché io andassi via da Agrigento. All’epoca della visita a Borsellino, io stesso stavo maturando
la decisione di allontanarmi da Agrigento”.
76
Si tratta del libro dal titolo “Da cosa nasce cosa”, Longanesi, 2000, pagg. 702.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 41 di 45

Nessun altro era presente al colloquio; in un’altra stanza si trovavano


alcuni congiunti di Paolo BORSELLINO e il magistrato Antonio INGROIA, il quale
pure è stato sentito dall’Ufficio, in data 23.10.2002, nel tentativo di esplorare se fosse
mai stato a conoscenza di circostanze utili all’esatta ricostruzione del colloquio
intercorso fra BORSELLINO e SALAMONE; tuttavia il dottor INGROIA non era in
possesso di utili elementi in proposito. Il colloquio è in sé un fatto di una certa
importanza, nell’economia dell’odierno procedimento, per più di una ragione: a)
perché si svolge qualche settimana prima dell’esecuzione della strage e dopo soli 4
giorni dall’incontro che Paolo BORSELLINO aveva tenuto con i responsabili del
Reparto anticrimine dei carabinieri alla caserma di Piazza Verdi; b) perché non vi era
stata, in precedenza, un’assidua consuetudine di frequentazioni fra i due magistrati;
c) perché il fratello del dottor SALAMONE, l’imprenditore Filippo, che costituiva il
fattore o uno dei fattori della sovraesposizione del magistrato Fabio, -com’è stato
ammesso da quest’ultimo- era tra gli imprenditori implicati nel filone mafia-appalti,
come definitivamente sveleranno le varie indagini espletate a Palermo. La
ricostruzione del colloquio è ormai affidata alla sola memoria del dottor
SALAMONE, il quale peraltro è stato molto dettagliato. Rimane, tuttavia, un seppur
labile contrasto fra quanto può desumersi dalla dichiarazione di Agnese
BORSELLINO, nel punto in cui riporta la frase del marito, rivolta a Fabio
SALAMONE: “io ti consiglio di andar via dalla Sicilia” e la versione fornita dal
magistrato SALAMONE circa il colloquio con Paolo, dove si coglie soltanto
l’opportunità di questi di volersi allontanare da Agrigento, condivisa da
BORSELLINO, e l’invito di Paolo BORSELLINO a venire anche alla Procura di
Palermo, non ravvisando alcuna incompatibilità ambientale rispetto alla posizione del
fratello imprenditore, su cui “non gli risultava nulla”77. Orbene, detta ultima
affermazione desta qualche perplessità, giacché non appare possibile, per i trascorsi
contatti con il Gen. MORI, con il dott. LIMA e per la capacità complessiva di analisi
e collegamento dei fatti, che Paolo BORSELLINO non avesse compreso il ruolo
centrale nella gestione degli appalti pubblici in Sicilia, svolto da Filippo
77
Cfr. sempre il verbale del giorno 8.10.2002.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 42 di 45

SALAMONE, ruolo peraltro già delineato a quell’epoca dal collaboratore di giustizia


Giuseppe LIPERA78. E ancora, la durata (circa tre ore, per Agnese BORSELLINO,
un’ora circa per Fabio SALAMONE) e le modalità riservate del colloquio (nello
studio di Paolo BORSELLINO) in cui non fu ammesso nessun altro, nemmeno il
dottor INGROIA, collega di entrambi, dimostrano in qualche modo che l’incontro
aveva avuto un carattere riservato. Tuttavia, dalla compiuta indagine, non sono
emersi elementi di fatto tali da poter utilmente orientare successivi eventuali
approfondimenti.
Si è tenuto conto del contributo fornito dai più recenti collaboratori
di giustizia, anche se non vi è stato ancora il tempo di sondare il dichiarante Giuseppe
LIPARI. Antonino GIUFFRÈ, collaboratore di giustizia facente parte dei vertici di
“cosa nostra” in quanto capomandamento di Caccamo, ha aperto uno squarcio
significativo sui moventi delle stragi e sulle modalità attraverso le quali si pervenne,
all’esterno di “cosa nostra”, se non proprio ad un vero e proprio input quantomeno ad
un placet circa la deliberazione o quantomeno circa gli effetti che le stragi avrebbero
comportato nel mondo degli interessi ruotanti attorno a “cosa nostra”. Inizialmente
nel verbale del 9.10.2002, redatto come atto congiunto dalle aa.gg. di Palermo e di
Caltanissetta, GIUFFRÉ specificava in che cosa si sarebbero sostanziate tali
“consultazioni” con le entità esterne a “cosa nostra”:
“ A.D.R. A proposito delle “consultazioni” – di cui ho gia detto - effettuate al fine di sondare e
percepire i possibili riverberi di operazioni particolarmente forti od eclatanti, ritengo che anche
alla vigilia delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio siano state fatte consultazioni di tale genere.
Oltre alle “consultazioni” veniva altresì messa in atto una attività di propaganda negativa volta a
discreditare ed isolare la vittima designata”.

Successivamente, nelle dichiarazioni del 25.11.2002 ai PP.MM. di


Caltanissetta, GIUFFRÈ è più analitico e dettagliato:

“ D. Lei ha parlato di consiglieri di cosa nostra? Le risulta che furono contattati specificamente
per le stragi? In che modo e chi, in particolare fu contatto? Quale fu la risposta?
R. Non posso andare al di là di questo discorso. Nel nostro ambiente e nell’ambiente circostante a
noi, Falcone e tutti coloro che si erano comportati con la mano pesante nei confronti di cosa

Cfr. dichiarazioni del 15.6.1992 rese da LIPERA al dott. LIMA alla presenza del cap. DE
78

DONNO.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 43 di 45

nostra, erano soggetti a critiche, questo avveniva nel campo legale. Quanti avvocati si lamentavano
di Falcone! Per es., - omissis -, oggi defunto, che assisteva - omissis -, asseriva che non si poteva
più lavorare e che non appena avesse finito l’assistenza di - omissis -, avrebbe lasciato. Nel settore
imprenditoriale, avveniva la stessa cosa, e il discorso era più sentito, perché le attività inquirenti
andavano ad intaccare gli appalti. C’era un legame ben stretto, anche con la politica attraverso gli
imprenditori. - omissis - era molto addentrato nella categoria degli imprenditori, assieme a -
omissis -, - omissis - e ad altre persone. - omissis - era persona di fiducia di Provenzano e anche
di Riina. Anche - omissis - era a contatto con - omissis -, - omissis -. Se io ricordo bene -
omissis - era in contatto con i vertici di queste imprese. - omissis - era più vicino a Provenzano,
che si circondava di molte persone particolarmente qualificate. Altre persone operano nella zona di
- omissis -, segnatamente - omissis -, i parenti di - omissis -, - omissis -”.

Le cennate dichiarazioni non fanno altro che convalidare l’ipotesi che


il filone di indagini mafia-appalti abbia potuto costituire un valido movente delle
stragi o, quantomeno, abbia potuto agire da catalizzatore di interessi convergenti
all’esecuzione delle stragi79. Naturalmente, sarà oggetto di separato approfondimento
l’esplorazione della tematica indicata dal collaboratore di giustizia Antonino
GIUFFRE’.
Per completezza, va detto che l’Ufficio ha esplorato anche il tema
dell’eventuale coinvolgimento dei servizi nella preparazione, esecuzione della strage
di Capaci80. In particolare, partendo dall’acquisizione di un foglio di carta, ritrovato
nei luoghi della strage di Capaci, con l’annotazione “ guasto fare assistenza, settore
n. 2” e l’indicazione di un numero di cellulare appartenuto al dottor Lorenzo
NARRACCI, all’epoca funzionario del SISDE di Palermo, si è esplorata la pista di
eventuali collegamenti fra il funzionario dei servizi e soggetti implicati nella strage.
L’analisi del traffico cellulare delegata al Gruppo Falcone Borsellino non dava
significativi risultati81. Mentre, con ogni probabilità, il foglio di carta in questione fu
smarrito sui luoghi, durante il sopralluogo, dal segretario PELLEGRINO, al quale era
stato dato dal segretario del SISDE Michele FESTA82.

79
Cfr. quanto è esposto a pag. 11, 12, 14, 16 e 17 di questa richiesta.
80
Sono atti transitati in copia nell’odierno fascicolo e che si trovano nel Faldone n. 1.
81
V. gli esiti della C.N.R. del 5.6.1997 n. Cat. Q.2.2/97 Gruppo Falcone–Borsellino, acquisita in
copia.
82
V. la copia del verbale di assunzioni di informazioni del FESTA del 26.5.1997.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 44 di 45

Altre circostanze sono all’esame dell’ufficio per ulteriori


approfondimenti in altro procedimento penale, segnatamente gli asseriti rapporti fra
una società di copertura del SISDE avente sede presso il Castello Utveggio e soggetti
direttamente o indirettamente implicati nella strage di Via D’Amelio, mentre, alla
luce delle successive acquisizioni, gli elementi di correlazione a suo tempo indicati
dalla nota della D.I.A. del 30.7.1999, fra la Tecnofin group s.p.a., la CO.GE. s.p.a., la
Tunnedil s.c.a.r.l., nonché fra i familiari RAPPA e la Sicilia Televisiva s.p.a., Rete
quattro s.p.a. e R.T.I. s.p.a. non hanno presentato elementi utili allo sviluppo delle
indagini.
In conclusione, il materiale probatorio raccolto, pur confermando
l’ipotesi investigativa secondo la quale l’illecita gestione degli appalti costituisce uno
dei moventi dell’esecuzione della strage di Capaci e dell’accelerazione della strage
di via D’Amelio, non consente, però, allo stato degli atti, di affermare, senza tuttavia
escluderlo, che gli indagati abbiano in qualche modo contribuito alla deliberazione di
attualizzare e accelerare il progetto stragista, o abbiano quanto meno agevolato o
favorito la deliberazione medesima, ispirandola o rafforzandola. Infatti, vi è una
carenza probatoria circa il ruolo che gli indagati, pur operanti nel mondo degli
appalti, abbiano in qualche modo svolto nel tradurre in fatti e condotte specifiche e
idonee il movente, né è stata raggiunta una prova sufficiente per la trasmigrazione
dell’incarto in giudizio, sul contribuito di ciascuno alla deliberazione, organizzazione,
esecuzione del progetto stragista. In sostanza, gli elementi a disposizione di questo
Ufficio, allo scadere del termine per il compimento delle indagini preliminari, non
appaiono idonei a sostenere l’accusa in giudizio a carico degli odierni indagati.

Visti gli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p.

P.T.M.
Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis” foglio n. 45 di 45

chiede al G.I.P. in Sede di voler disporre l'archiviazione degli atti, per inidoneità
degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari a sostenere l’accusa in giudizio,
restituendo gli stessi a questo ufficio.

Caltanissetta, 9 Giugno 2003

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA


Francesco Messineo

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA AGGIUNTO


Renato Di Natale

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA AGGIUNTO


Francesco Paolo Giordano

IL S. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA


Carlo Negri

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