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Filologia Greca e Latina 2025 Università

La filologia studia la trasmissione dei testi antichi attraverso la tradizione manoscritta, che è stata fondamentale fino all'introduzione della stampa nel XV secolo. I supporti scrittori sono variati nel tempo, passando dal papiro alla pergamena e infine alla carta, con ogni materiale che ha influenzato la conservazione e la diffusione dei testi. La critica del testo, sviluppatasi nel XIX secolo, ha introdotto metodi scientifici per ricostruire i testi originali attraverso l'analisi dei manoscritti e dei loro errori, evidenziando l'importanza di stabilire relazioni tra i testimoni per comprendere la loro genealogia.

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Filologia Greca e Latina 2025 Università

La filologia studia la trasmissione dei testi antichi attraverso la tradizione manoscritta, che è stata fondamentale fino all'introduzione della stampa nel XV secolo. I supporti scrittori sono variati nel tempo, passando dal papiro alla pergamena e infine alla carta, con ogni materiale che ha influenzato la conservazione e la diffusione dei testi. La critica del testo, sviluppatasi nel XIX secolo, ha introdotto metodi scientifici per ricostruire i testi originali attraverso l'analisi dei manoscritti e dei loro errori, evidenziando l'importanza di stabilire relazioni tra i testimoni per comprendere la loro genealogia.

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FILOLOGIA: La filogia tenta di capire come siano giunti a noi i testi antichi.

Essi
sono giunti a noi attraverso la tradizione manoscritta. In particolare tali testi
sono arrivati tramite copie manuali fino alla seconda metà del XV secolo,
quando fu introdotta la stampa. Iniziano così a diffondersi le copie stampate, i
testi si diffondono più velocemente e il numero di copie aumenta.

SUPPORTI SCRITTORI: i supporti scrittori usati erano diversi. In età antica si


usava soprattutto il papiro, un supporto di origine vegetale. Un libro in papiro
aveva la forma di rotolo e per leggerlo si doveva srotolare, il che era anche
scomodo. I papiri somo stati ritrovati soprattutto in Egitto. Il luogo della loro
produzione, in frammenti più o meno lunghi. Sono stati trovati in Egitto sia
perché il secco clima egiziano ne permetteva una migliore conservazione sia
perché i papiri venivano spesso riciclati per fasciare le mummie e quindi sono
stati trovati nelle tombe. Questi papiri sono soprattutto in greco dato che
l’Egitto è sempre stato di cultura greca, specie dalla conquista di Alessandro
Magno e dai Tolomei in poi. I papiri trovati sono letterari, cioè papiri che
tramandano tetsi letterari, e documentari, cioè papiri che tramandano
documenti non classificabili come letteratura comr contratti, inventari, ecc. i
papiri ci danno testimonianza di una tradizione antica dei testi e diveris papiri
sono stati trovati a Ercolano, nella Villa dei papiri, in cui vi era una ricca
biblioteca con dei papiri. Questi erano papiri integri, trovati arrotolati, anche se
carbonizzati, e pggi si trovano nell’officina dei papiri ercolanesi. Anche se essi
sono stati trovati in Italia, questi papiri sono soprattutto in greco e sono testi di
scuola epicurea, il papiro era delicato. Perciò già nell’antichità si inizia a
diffondere un supporto più resistente e più facilmente reperibile rispetto al
papiro, su cui l’Egitto aveva il monopolio, ossia la pergamena, un supporto di
origine animale, in quanto fatta con pelle di pecora conciata. Anche la
pergamena era un supporto costoso, ma si poteva almeno fabbricare al di fuori
dell’Egitto. Anche la pergamena aveva forma di rotolo, in età tardo-antica
conosce una trasformazione: si passa al codice, costituito da fogli di
pergamena rilegati nella forma di libro che noi conosciamo, cioè un libro in cui i
fogli sono ripiegati su sé stessi a gruppi di 4 e ripiegati sul dorso. Questi codici
in pergamena sono anche detti membranacei dato che membrana significa
pergamena. Per tutto l’Alto Medioevo domina la pergamena, mentre nel Basso
Medioevo compare un terzo supporto più economico, cioè la carta, diffusasi
prima in Oriente e che con gli Arabi arriva nell’impero bizantino. La carta era
prodotta con un processo di macerazione degli stracci e poi diventa il supporto
per eccellenza della stampa, anche se è meno resistente della pergamena, ma
almeno più economica. Inoltre, quando in Occidente si sviluppò l’insdustria
della carta, si amava inserire nei manoscritti cartacei una filigrana, cioè un
simbolo che faceva vedere l’appartenenza di un prodotto a una precisa
cartiera. Queste filigrane sono importanti perché ci possono dire qualcosa sulla
provenienza del manoscritto e ci permettono di datarlo. Dato che spesso
nell’alto Medioevo c’era scarsità di materiali scrittori, si usava raschiare la
pergamena dei manoscritti per scriverci nuovamante sopra. Questi manoscritti
raschiati sono perciò detti palinsesti e sono molto utili perché dal testo inferiore
che è stato raschiato, perché ritenuto non importante o interessante, emergono
spesso testi di opere antiche che si ritenevano perdute, come il de re publica di
Cicerone, trovato da Angelo Mai. Tuttavia il problema dei palinsesti è la
modalità di recupero della scrittura inferiore. Per esempio Angelo Mai usò dei
reagenti chimici, il che era un metodo invasivo che rovinava il manoscritto.
Perciò oggi si usano metodi meno invasivi.

TRADIZIONE MANOSCRITTA: Come funzionava la tradizione manoscritta? C’era


uno scriba o amanuense che trascriveva da un altro manoscritto (antigrafo) che
aveva davanti e ne faceva una copia nuova (apografo). Si trattava di un
procedimento lungo e faticoso e permetteva la creazione di errori da parte di
chi scriveva, in modo più o meno inconsapevole. Ci sono tradizioni manoscritte
ricche di testimonianze perché quell’opera ha avuto molta fortuna nel
medioevo. Si tratta non solo di testi cristiani, ma anche classici reinterpretati.
Non mancano però i testi di cui abbiamo poche copie scoperte anche tardi
perché hanno avuto una scarsa circolazione è il caso di Catullo, che riemerge
solo nella seconda metà del XV secolo, cosí come Apuleio e Petronio. Di certi
autori abbiamo sia testimoni piú antichi che meno antichi. E l’avere testimoni
piú antichi ci permette di osservare un testo con meno errori perché più si
copia e più aumentano gli errori: infatti un copista che ricopia da un antigrafo
con degli errori riporterà automaticamente quegli errori e ne introddurà altri
suoi. Questo concetto secondo cui gli errori aumentano man mano che si copia
ci permette di riflettere anche sul rapporto che intercorre tra i testimoni di un
testo.

CRITICA DEL TESTO: fino all’800 non si seguivano criteri scientifici per
ricostruire i testi in modo più sicuro. Ci si basava magari sul testo più antico, su
quello più largamente diffuso e, in caso dubbi, si ricorreva ad altri testimoni.
Quindi non si cercava di costruire dei rapporti tra i testimoni. Con Lachmann,
nella metà dell’800, si inizia a evidenziare, per ricostruire un testo il più vicino
possibile all’originale, la necessità in primis di ricostruire i rapporti tra i
testimoni del testo. E per fare ciò bisogna fare un censimento dei testimoni,
vederli tutti e collazionarli, cioè confrontarli per vederne le differenze, cioè per
vedere in quali lezioni (la lezione è la forma in cui si presenta un luogo del testo
in uno o più testimoni) differiscano, cioè quali siano le varianti (cioè le forme in
cui un luogo di uno o più testimoni diverge dal medesimo luogo di un altro
testimone). Il raffronto si fa anche tra lezioni dei manoscritti e congetture, cioè
le correzioni recate da studiosi o dai copisti nei passi corrotti o ritenuti tali. Se si
tratta di opere lunghi e di molti testimoni si possono collazionare solo i passi
dove si trovano delle difficoltà. Contestualmente alla collazione, avviene
l’eliminatio codicum descriptorum, cioè la non considerazione ai fini della
constituito dei codices descripti, cioè i manoscritti che sono copiati da
manoscritti che abbiamo e che non servono perché presentano già gli stessi
errori che vediamo nei loro antigrafi, più loro. Ma anche un codex descriptus
può essere utile come copia, quando il suo antigrafo si è corrotto dopo esser
stato trascritto. Poi bisogna cercare di istituire dei rapporti tra questi testimoni
sulla base degli errori. L’errore è ciò che unisce i testimoni e, se l’errore è
significativo, è impossibile che si sia creato in modo indipendente, ma tradisce
un rapporto tra testimoni. Lachmann non a caso parlava di errori congiuntivi,
cioè errori che uniscono dei testimoni recanti lo stesso errore. Gli errori possono
anche essere separativi, perché separano un testimone da un altro che non ha
quello specifico errore. I rapporti che si delineano sono di tipo genealogico.

STEMMA CODICUM: lo stemma codicum è la rappresentazione grafica dei


rapporti tra testimoni. Per costruire lo stemma in primis bisogna dare una sigla
a ogni manoscritto. Si usano le lettere greche minuscole per indicare
manoscritti che non ci sono più, ma di cui si ricostruisce l’esistenza, mentre si
usano le lettere latine maiuscole per i manoscritti che abbiamo. Si ipotizza che
queste tradizioni manoscritte medievali derivino da un archetipo, che negli
stemmi è indicato con ω e rappresenta il vertice. L’archetipo è quel testimone
tardo-antico o altomedievale, da cui si ritiene derivi la traduzione manoscritta
superstite che abbiamo. Invece l’originale è ipoteticamente ciò che ha dettato
o scritto l’autore e differisce dall’archetipo per il fatto che nell’archetipo, di
secoli più tardi, si possono trovare degli errori che poi si tramandano. Ma se
non ho costituito il testo come posso dire cosa è giusto e cosa è sbagliato? Ci si
concentra su quei passi in cui è più evidente trovare errori, il che ci fa capire
che tali errori erano già nell’archetipo. I testimoni che derivano direttamente
dall’archetipo sono detti sub-archetipi o ipoarchetipi. Nello stemma inoltre
alcune linee sono più lunghe e altre più corte per un criterio cronologico, per
cui, se A è più antico di B, B lo metto più in basso. Spesso inoltre i codici, specie
quelli più tardi, sono datati, mentre quelli più antichi vanno datati sulla base
dell’iconografia o delle condizioni del manoscritto. Uno stemma è bipartito se è
costruito in modo che dall’archetipo derivino in modo indipendente 2
subarchetipi. Uno stemma può anche essere tripartito e in tal caso favorisce
l’editore perché si può applicare il criterio della maggioranza: infatti se 2
subarchetipi tramandano la stessa lezione contro uno che ne tramanda
un’altra, si sceglie la lezione tramandata dalla maggioranza dei subarchetipi. Si
usa questo criterio sulla base che i 3 manoscritti siano tra loro indipendenti, per
cui se c’è una maggioranza attestata di una parola è molto probabile che essa
fosse già nell’archetipo. L’indipendenza di un subarchetipo è dovuta al fatto
che non condivide con altri errori comuni. Se 2 subarchetipi hanno errori
comuni, si deve supporre che dipendano da un subarchetipo comune.
Accertate, ove sia possibile, le relazioni storiche tra codici, si tenta la
ricostruzione, nella forma più attendibile, del testo tramandato. Sono possibili
due situazioni. Quando i codici sono poco numerosi e le vicende della tradizione
riassumibili in uno stemma, si può tentare in prima istanza la ricostruzione
delle lezioni dell’archetipo perduto con l’intento di recuperare il testo
‘originale’. La lezione dell’archetipo si ricava dallo stemma sulla base della
comunanza in lezioni caratteristiche: la lezione dell’archetipo è quella
rappresentata dalla maggioranza. Le lezioni singole di un manoscritto o di una
famiglia sono dunque scartate: si opera la cosiddetta eliminatio lectionum
singularium. Situazioni come quelle appena descritte sono piane e rientrano
nella definizione di recensione chiusa, che il filologo Giorgio Pasquali diede al
caso in cui tutti i testimoni conservati derivano da un solo e medesimo
archetipo. Ciò implica, in particolare, il verificarsi delle seguenti condizioni:
ricostruzione della lezione dell’archètipo attraverso lo stemma mediante la
legge di maggioranza, grazie a trasmissione esclusivamente verticale (vale a
dire che ciascun codice è stato copiato da un solo modello) e meccanica (cioè il
copista ha trascritto meccanicamente, senza intervenire con correzioni o
cambiamenti). Simili circostanze, tuttavia, sono tanto favorevoli quanto rare.

LEZIONI ADIAFORE: spesso i testimoni tramandando lezioni diverse e tutte


plausibili. In tal caso non è evidentemente applicabile il criterio di maggioranza
perché in tutti i casi le varianti concorrenti hanno pari valore stemmatico. In
simili circostanze si dice dunque che le lezioni sono adiàfore o neutre o
indifferenti, perché sono diverse tra loro e tutte di per sé ammissibili e
rappresentate in ciascuna delle copie di un originale perduto. Il sistema di
regole grazie al quale, partendo dalle lezioni dei manoscritti conservati, si
dovrebbe desumere quella dell’archetipo non è dunque sempre efficace. Le
regole poi sono inapplicabili anche in altre circostanze. In primo luogo gli errori
o le caratteristiche possono essere tali da rendere impossibile delineare
rapporti di parentela o di indipendenza se non all’interno di singoli gruppi di
codici: di conseguenza non si può risalire ad un archetipo. In secondo luogo
quasi sempre la tradizione manoscritta è stata contraddistinta dalla collazione,
da parte del copista, di diversi esemplari. Poi bisogna tener conto degli errori
che si commettono nella tradizione.

ERRORI: Gli errori sono diversi. Se si tratta di un errore ortografico non è


significativo dato che potrebbe essersi creato in modo indipendente. Sono più
significativi errori per cui nel testo si trova una parola che non dà senso e che
non esiste, ma che potrebbe derivare da una parola copiata male dal copista.
Un altro tipo di errore è l’omissione, che si verifica quando in un testimone
mancano delle parole che troviamo in un altro testimone. Chiaramente
l’omissione porta a cambiare il senso o a non dare senso e tali omissioni
avvengono per il “salto da uguale a uguale”: cioè il fatto che una parola si
ripeta fa distrarre il copista che magari arriva a saltare alcune righe. Poi vi sono
anche i casi in cui copisti tendevano a semplifocare il testo, migliorarlo,
abbellendolo o correggendolo dove loro pareva poco chiaro. Tra gli errori ci
sono anche le interpolazioni, cioè parti più o meno lunghe di testo attinte da un
testimone, ma non presenti nell’originale, non autentiche. A essere interposto
di solito è qualcosa che sta a margine di un manoscritto, come ad esempio le
congetture proprieo altrui inserite dal copista. Poi, in una fase successiva, per
una errata interpretazione di ciò che sta a margine, il copista reintegra nel
testo ciò che sta a margine pensando che sia qualcosa che il precedente
copista aveva dimenticato o inserito dopo.

CONTAMINAZIONE: la contaminazione avviene quando si pensa che un


manoscritto discende da 2 diversi antenati. Allora si dice che la tradizione è
contaminata. Magari poteva avvenire, soprattutto in età umanistica, che il
copista avesse davanti 2 antigrafi, essendo molto interessato al testo, e che
potesse attingere ora dall’uno ora dall’altro secondo ciò che quadrava di più
secondo lui. Vediamo in particolare che un manoscritto è contaminato dal fatto
che può presentare gli errori di un antigrafo da una parte, dall’altra la lezione
corretta, presente nell’altro antigrafo. Nel Medioevo la contaminazione però
avviene in un altro modo: dal momento che sul testo si possono stratificare
altre cose scritte da altri, come glosse, scoli o varianti (l’antigrafo è una editio
variorium) poteva capitare che il codice con tutte queste varianti a margine
venisse ricopiato fungendo da antigrafo per un altro manoscritto. Allora
potevano capitare situazioni: il copista cercava diligentemente di ricopiare
tutto, con anche le varianti a margine, commettendo spesso degli errori;
conservare la lezione originaria e omettere la variante; accogliere la variante e
omettere la lezione originale; poteva intendere che ciò che era a margine fosse
una correzione, da sostituire nel testo, in cui quindi venivano trasferite queste
varianti marginali. Chiaramente la contaminazione complica lo stemma, in cui
essa va indicata con una linea tratteggiata.

CRITERI INTERNI AL TESTO: quando non si può ricostruire la lezione


dell’archetipo, perché le lezioni concorrenti sono adiafore oppure perché la
tradizione è contaminata e/o interpolata, quindi osta all’individuazione delle
parentele e, di conseguenza, alla elaborazione dello stemma, si parla di
recensione aperta. In questo caso ogni lezione di ciascun manoscritto ha
probabilità di essere autentica: nella selectio o scelta delle varianti, dunque,
non ci si fonda più sul criterio esterno, quello genealogico, ma si ricorre al
iudicium (valutazione personale), si applicano cioè criteri prevalentemente
interni, che si usano quando non si può usare il criterio della maggioranza e
sono 2: il criterio della lectio dificilior, per cui se in una testo ci sono 2 lezioni si
preferisce quella più difficile, cioè quella che crea più difficoltà al lettore o al
copista. Questo criterio si usa sulla base del presupposto che quando il copista
incontrava una parola o un costrutto ostico tendeva a banalizzare il testo; il
criterio dell’usus scribendi, per cui, se una lezione rientra nello stile di un
autore a differenza di un’altra, la lezione che è più confacente all’usus scribendi
è probabilmente quella più corretta. Quindi si sceglie la lezione che rientra
nello stile di un autore.

RECENTIORES NON DETERIORES: In passato la genuinità di una lezione si


calcolava in base all’autorità del manoscritto, secondo il criterio del codex
optimus. Tale autorità deriverebbe dall’antichità del manoscritto: una lezione
attestata in un codice antico sembrerebbe avere più probabilità di quella
attestata da uno recente. Giorgio Pasquali in risposta a “La critica del testo”
scrisse un grosso volume, in cui uno dei capitoli più noti è “Recentiores non
deteriores”. Pasqualino essenzialmente ci dice che i testimoni più recenti non
sono più corrotti degli altri, ma sono anche più importanti per la constitutio
perché sono copie di testimoni più antichi, spesso senza neanche intermediari
in mezzo. Questi testimoni sono importanti specie se l’antigrafo si è perduto o
se si è danneggiato dal momento che il copista umanista avrà infatti visto
l’antigrafo in un’epoca in cui era meno danneggiato.

TRADIZIONE INDIRETTA: per ricostruire un testo, come sappiamo, l’operazione


preliminare è la raccolta della tradizione o reperimento dei testimoni, cioè delle
fonti che hanno trasmesso quel testo. La suddivisione più adeguata risulta
quella tra testimoni diretti e indiretti ovvero tra tradizione diretta e tradizione
indiretta. Sono diretti i testimoni intenzionalmente destinati alla conservazione
o divulgazione o trasmissione di un testo. I testimoni indiretti invece sono quelli
non originariamente finalizzati alla conservazione o divulgazione o trasmissione
di un certo testo o di parte di esso, ma che, per motivi diversi, di fatto
raggiungono questo scopo. In particolare si parla di tradizione indiretta quando
un autore antico tramanda parti più o meno lunghe di un autore. Si considerano
indiretti i testimoni seguenti: Le citazioni. Si tratta di passi più o meno estesi di
un testo letterario menzionati da altri scrittori antichi. Chi cita diventa
testimone indiretto di chi è citato. Gli autori possono essere citati per rafforzare
quanto si dice, ma soprattutto gli autori venivano citati dai grammatici per
spiegare alcune particolarità linguistiche. Nel caso della citazione, possiamo
avere 2 situazioni: o di un testo abbiamo come sola fonte la tradizione
indiretta, oppure si possono citare autori che conosciamo anche per tradizione
diretta. In quest’ultimo caso la citazione può confermare il testo che abbiamo
oppure possono anche esserci discrepanze tra tradizione diretta e indiretta
perché magari il grammatica cita il testo un po’ diversamente: in tal caso o così
si possono risolvere errori presenti nella tradizione diretta oppure si possono
trovare lezioni divergenti, ma entrambe plausibili. In questo caso a favore della
tradizione indiretta c’è l’antichità, mentre contro il fatto di citare a memoria,
senza avere il testo davanti e controllarlo, il ch3 porta anche a sbagliare nel
citare. In questi casi di divergenza si ricorre a criteri interni. Commenti antichi,
sia in forma di υπόμνημα sia di scholium. Originariamente gli υπομνήματα
furono appunti, presi in aula, dalle lezioni di uno studioso; successivamente
essi indicarono interpretazioni di un autore in forma di note a passi scelti,
redatte in forma autonoma e a noi giunte attraverso i ritrovamenti papiracei. Il
metodo usato dall’esegeta consisteva nel riportare un passo dell’originale e poi
nel commentarlo. Scholium significa breve disquisizione o breve spiegazione.
Tale parola indica la breve compilazione anonima redatta sui margini dei
manoscritti medievali e destinata a fornire ai lettori una spiegazione dettagliata
del testo commentato. Gli scholia, dunque, sono ancora commenti, non
sporadici come le glosse e non completi come gli hypomnemata, dai quali però
per lo più derivano, e, anche se questi scholia si trovano in manoscritti
tardoantichi o medievali, hanno contenuto e forma che risalgono all’antichità;
Le epitomi, cioè i riassunti di un’opera, ottenuti mediante giustapposizione di
sezioni ritagliate dall’opera stessa; Le traduzioni, cioè le versioni in altra lingua.
Il valore della trasuzione dipende dalla qualità del testimone che il traduttore
aveva davanti. Se il traduttore in particolare fa una traduzione letterale
chiaramente è molto utile, meno se invece fa una traduzione più libera. Spesso
può anche capitare che nel tradurre si aggiunganocose che non c’erano.
Dunque le traduzioni sono testimonianzeda prendere con le pinze; Le parafrasi,
cioè la ripresa in forma più semplice dell’opera di un altro autore. Se si tratta di
parafrasi letterali si possono usare per ricostruire il testo; le imitazioni; Un tipo
singolare di imitazione possono essere considerati i centoni, componimenti
propri della tarda letteratura greca e latina, che consistono nella
giustapposizione di parole, frasi, emistichi, cioè mezzi versi, di un poeta illustre
combinati in modo da dire cose diverse dal modello. C’erano centoni pagani,
che trattavano di miti, e cristiani, che trattavano di sacre scritture. I centoni
possono essere utili come testimonianze, ma possono anche non esserlo dato
che comunque presentano variazioni rispetto al modello. E i centoni si
chiamano così perché cento in latino indicavauna stoffa fatta da ritagli di stoffe
precedentemente ricucite; Anche le parodie possono servire alla ricostruzione
del testo; loci paralleli, cioè i passi che trattano argomenti identici o affim a
quello del testo studiato; Infine, un tipo di testimone anomalo, ma parimenti
importante, deve essere considerata l’iconografia. Fatta eccezione per
l’iconografia, tutte le altre fonti sono indirette in relazione al testo che citano
ma dirette per il testo che tramandano in prima istanza. La tradizione indiretta
è conservata sui medesimi materiali e nelle medesime tipologie librarie (e non)
di quella diretta. Quando sono state individuate tutte le fonti dirette e indirette
relative al testo di cui si vuole dare un’edizione critica, inizia la vera e propria
critica del resto, che si articola in una serie di operazioni come recensio e
emendatio. Recensio designa processi di ricognizione dei testimoni disponibili e
di ricostruzione, data nella forma più attendibile, del testo consegnatoci dalle
fonti stesse.

EMENDATIO: finite le operazioni di recensione, si passa all’examinatio, cioè si


esamina se la tradizione ricostruita con la recensio è autentica o no. Se la
ricostruzione della tradizione presenta errori e lacune, vuol dire che essa è
passata attraverso un archetipo già recante degli errori o attraverso filoni
diversi o complessi, per cui si deve passare all’emendatio, cioè la correzione
delle lezioni di una sezione guasta e le anomalie del testo. Essa può avvenire:
ope codicum (se la correzione si basa sui risultati della recensio) oppure ope
ingenii (se si coregge senza ausilio della tradizione: la correzione è quindi così
frutto di congettura ed è anche detta divinatio). Si ricorre ai principi interni nel
formulare una congettura o nello scegliere tra varie congetture. A questo
punto, conclusa la constitutio textus, il naturale compimento del Iavoro è
l'edizione critica: cioè la presentazione a stampa del teste critico, vale a dire
del testo ripulito degli errori accumulati nel corso della sua storia e presentato
nella veste più vicina possibile a quella immaginata come originale.
EDIZIONE CRITICA: l’edizione critica di un testo si prefigge di notificare il lavoro
svolto dall’editore, consentendo al lettore di controllare le fasi della restituzione
del testo e di avere ben chiara la distinzione tra ciò che risale alla tradizione e
ciò che invece è frutto di congettura.

PREFAZIONE: L’edizione si apre con una prefazione, in origine rigorosamente in


latino, successivamente anche nella lingua originale dell’editore o della collana.
In genere la praefatio illustra la tradizione, cioè di ciascuno dei manoscritti
descrive età, caratteristiche generali, espone il contenuto, dà notizie sul valore.
Inoltre delinea la storia del testo ed espone il metodo seguito per la
ricostruzione. Dopo l’esposizione dei testimoni diretti vengono descritti anche
quelli indiretti. Se alcuni passi controversi sono di tale natura da non poter
essere discussi in apparato, vengono dibattuti nella prefazione e l’apparato, nel
luogo interessato, rimanda ad essa. Può rientrare nella prefazione anche
l’elenco della bibliografia consultata e citata in apparato: nella bibliografia si dà
perció l’elenco di tutte le precedenti edizioni dell’opera, disposte in ordine
cronologico e talora corredate di sintetiche notizie; seguono, in ordine
alfabetico, le opere degli studiosi il cui contributo è stato utilizzato
nell’apparato critico, dove esse sono però citate in forma abbreviata. Le
testimonianze antiche sull’opera e sull’autore occupano talora la parte finale
della prefazione.

CONSPECTUS SIGLORUM ET NOTARUM: Prima del testo si trova la lista dei sigla
(o conspectus siglorum o sigla codicum) dei manoscritti, cioè dei simboli
alfabetici con cui si indica ciascuno dei manoscritti utilizzati o ricostruiti
attraverso la recensio. I codici conservati si indicano generalmente con lettere
maiuscole latine scelte di solito non casualmente ma con un riferimento alla
denominazione anagrafica del codice o a una sua caratteristica. Qualche volta i
sigla sono desunti da un’edizione precedente, o perché particolarmente
autorevole o semplicemente per evitare confusioni. Gli esponenti servono per
distinguere le diverse mani che hanno copiato o corretto il manoscritto. Dopo i
sigla dei testimoni, si indicano delle notae (conspectus notarum), cioè dei segni
critici e delle abbreviaza adoperati nel testo e nell’apparato critico.

TESTO: Occupa la parte superiore della pagina: nelle edizioni corredate di


traduzione, quest’ultima appare generalmente a fronte, nella pagina di destra,
mentre la pagina di sinistra è riservata al testo in originale. Sia nei testi in
prosa, sia in quelli in poesia sono numerate le righe: per la numerazione si
adoperano i margini. La numerazione di solito va di cinque in cinque. Quando
l’edizione di un’opera si è affermata come autorevole, essa viene assunta come
termine di riferimento: perciò, nelle edizioni successive, viene affiancata alla
numerazione nuova, sempre a margine e collocata tra parentesi oppure scritta
in carattere più piccolo. Posto che il testo dell’edizione è quello consegnato
dalla tradizione, eventuali interventi di correzione o la supposizione di guasti
devono essere documentati: ogni cambiamento deve essere segnalato. Ciò
avviene per mezzo di segni diacritici, tra i quali abbiamo: gli asterischi, che
indicano una lacuna non sanabile o il sospetto di una lacuna, in prosa; in poesia
si adoperano invece i segni di quantità delle sillabe mancanti; le parentesi
tonde, che, oltre ad essere usate come parentesi ordinarie, sono usate per
sciogliere abbreviazioni; parentesi uncinate, che indicano un’integrazione
congetturale dell’editore moderno; le parentesi quadre, che sono usate per
segnalare un’espunzione dell’editore moderno, dovuta a sospetto di
interpolazione o di aggiunta; I, che in un testo poetico indica iato, ma può
anche indicare la fine di un manoscritto o di un’edizione; _ , che indica
l’anacoluto; infine c’è la crux desperationis con cui si indica una parola o un
passo irrimediabilmente guasto, per cui l’editore non accoglie né avanza
congetture.

TRA TESTO E APPARATO: Dopo la metà della pagina, prima dell’apparato critico,
specie nelle edizioni più recenti, può trovarsi una sorta di preapparato, cioè uno
spazio dedicato a informazioni di vario genere. Per esempio, la citazione dei
vari tipi di tradizione indiretta. Questo spazio prende anche il nome di apparato
delle fonti ed indica i riferimenti a passi o autori che potrebbe aver tenuto
presente l’autore.

APPARATO CRITICO: informa il lettore in quali luoghi e modi il testo stampato


diverge: a) da parte della tradizione: quando cioè esso è una lezione scelta tra
le varianti; b) da tutta la tradizione: cioè quando esso è una congettura frutto
di emendazione; in questo caso l’apparato può esporre altre attendibili
proposte o congetture. Al tempo stesso l’apparato motiva il lavoro dell’editore.
Esso è proprio il luogo in cui l’editore da conti delle sue scelte testuali.
L’apparato è stato collocato in calce ad ogni pagina del testo per facilitarne il
controllo. Esso è coordinato al testo mediante la numerazione delle righe; è
scritto in latino; i nomi degli studiosi sono riportati nella lingua d’origine; sono
latinizzati solo quelli dei filologi, solitamente umanisti. Il materiale è sistemato
in questo modo: ogni articolo inizia con il richiamo al luogo del testo di cui si
danno informazioni, seguono i vari lemmi: la lezione adottata; le varianti della
tradizione diretta e poi della indiretta, le congetture in ordine di valore.
Naturalmente ciascun dato è accompagnato dalla fonte: se si tratta di lezioni
sarà il siglum del codice o del papiro o della fonte indiretta che la tramanda; se
si tratta di congettura sarà il nome dello studioso che l’ha proposta. I due punti
separano lezioni alternative o, comunque, elementi in opposizione tra loro e si
mettono dopo la congettura che si accoglie. I, questa barra invece indica il
passaggio alla trattazione di un’altra lezione. L’editore poi palesa le eue
insicurezze usando il ?. negli apparati come prima cosa si mette ciò che si
accoglie e poi ciò che non si accoglie. I caratteri sono tondi per le lezioni e le
congetture, corsivi per le parole di commento e i sigla dei manoscritti. Secondo
il trattamento delle varianti significative si suole distinguere tra apparato
positivo e negativo. La differenza dovrebbe rispondere alla completezza o
meno di informazioni, ma in realtà si riferisce alla scelta dell’editore di ripetere
la lezione adottata nel testo: il positivo infatti contempla la lezione seguita nel
testo e ne indica le fonti; il negativo registra e documenta solo le varianti e i
rispettivi testimoni: spetta cosi al lettore dedurre per esclusione, le fonti della
lezione adottata: se infatti l’editore non cita i testimoni da cui trae la lezione
accolta, si deve dedurre che la lezione accolta è quella che si discosta da quella
dei testimoni citati. Quando un apparato in alcune parti è positivo e in altre
negativo è un apparato misto.

INDICI: Alla fine dell’edizione si trovano indici di vario genere. Non manca
quello dei nomi propri. Quando di un’opera esistono precedenti edizioni di
importante riferimento e che hanno una numerazione differente, si dà anche
una tavola di concordanza.

COLLANE: Il passaggio dal commento discorsivo degli umanisti e poi dalle note
filologiche degli editori sette e ottocenteschi all’apparato critico in calce, non
sempre ha semplificato la comprensione. Per ovviare a questi inconvenienti
sono nate le collane o collezioni, cioè le raccolte sistematiche di classici greci e
latini editi secondo criteri uniformi e comuni. La piú prestigiosa e autorevole
collana di classici è la “Bibliotheca Teubneriana” pubblicata della casa editrice
B. G. Teubner. È stata fondata nel 1824. Comprende due serie, quella latina e
quella greca, distinte nella veste esterna dai colori arancio (testi greci) e
azzurro (latini). Ha iniziato con le adnotationes criticae nella praefatio, in latino,
successivamente ha separato la prefazione, di impostazione strettamente
filologica, dall’apparato critico sistemato in calce. Abbiamo anche la Collection
Budé, ossia una collezione si testi greci e latini, molto ricca, dopo la Bibliotheca
Teubneriana, rispetto a cui ha un’impostazione diversa: il titolo e l’autore sono
scritti in francese, si parla di vita e opera dell’autore nell’introduzione e,
inoltre, la prefazione è ampia e in francese. Questa collana presenta anche la
traduzione, per cui nel testo la pagina si sdoppia: a sinistra c’è la traduzione,
mentre a destra il testo originale, per cui si trova anche la doppia numerazione.
L’apparato critico è sostanzialmente positivo e alla fine vi sono delle note
complementari, che costituiscono un vero e proprio commento. Questa collana
francese ha impostazione più divulgativa. Seguendo abbiamo la Bibliotheca
Oxoniensis, pubblicata a Oxford dal 1900. Essa comprende testi latini e greci,
ma non è tanto ricco di testi, anche se presenta edizioni importanti. La prefatio
è in latino. Queste edizioni sono molto stringate, secondo lo stile anglosassone.
Dagli anni 2000 iniziarono a uscire anche edizioni in inglese. L’apparato critico
è molto piccolo e fondamentalmente negativo, con alcune eccezioni. Specie in
casi più dubbi è positivo. Queste edizioni non hanno né traduzione, né
commenti, né note. C’è anche la Loeb classical library, una collana molto ricca
e diffusa nei paesi anglosassoni dato che ha una traduzione in inglese a fronte.
Queste edizioni hanno anche un piccolo apparato critico tendenzialmente
negativo, in cui spesso si usa l’inglese, e presentano spesso anche alcune note.
Somo edizioni molto divulgative, ma offrono un testo criticamente costituito.
Un’altra collana che col tempo si è affermata e ingrandita è “Scrittori greci e
latini” edita dalla Fondazione Lorenzo Valla. Si tratta di edizioni più curate di
quelle della Loeb che stanno a cavallo tra divulgazione ed edizione scientifica.
Queste edizioni presentano un’introduzione in italiano, traduzione, apparati
piuttosto vari e commenti accurati alla fine. Si usa il latino, ma non è una
collana proprio ricchissima.

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