Felice Il Divario Nord-Sud 2019
Felice Il Divario Nord-Sud 2019
Source: Meridiana , No. 95, BORBONISMO (2019), pp. 39-62Published by: Viella SRL
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Economia e società:
il divario Nord-Sud all’Unità
di Emanuele Felice
1. Introduzione
1 Per un giudizio critico sulla valenza semantica di quest’espressione, come anche per
un’ampia disamina sulle cause che hanno portato alla fine di quel regno, cfr. R. De Lorenzo,
Borbonia Felix. Il Regno delle Due Sicilie alla vigilia del crollo, prefazione di A. Barbero, Aculei,
Salerno 2013.
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Borbonismo
E poi ancora, più avanti: «Siamo uno degli Stati più antichi d’Europa, il più
esteso ed economicamente progredito d’Italia [...] Nell’industria siamo avanti
e, in molti campi, all’avanguardia» (p. 106, corsivo mio)2. Ma si potrebbero
fare molte altre citazioni, da questo volume come da altri meno noti; e natu-
ralmente pure da blog, siti internet, da pubblicazioni estemporanee e perfino
da opere teatrali. Il senso lo si è ben compreso: il Regno delle Due Sicilie
sarebbe stato, all’epoca dell’Unità, lo Stato più avanzato d’Italia; addirittura
il terzo Paese più industrializzato al mondo, dopo Francia e Inghilterra. Se
quest’ultima è un’enormità cui davvero pochi sembrano credere (e il Belgio?
E gli Stati Uniti? Il grande regno di Prussia in Germania? E poi in base a quali
parametri?)3 la prima affermazione riscuote invece un certo credito. Ma è del
tutto priva di fondamento.
Il presente saggio intende dimostrare, avvalendosi dei più recenti risultati
della ricerca storico-economica così come di altri più consolidati, che il Regno
delle Due Sicilie non solo non era il più avanzato Stato d’Italia all’epoca dell’U-
nità (tantomeno fra i più industrializzati al mondo), ma era anzi con ogni pro-
babilità il più arretrato, e fra i più arretrati d’Europa. Prima di cominciare però
mi si consenta ancora un appunto, per quanto ovvio – ma oggi tocca ribadire
finanche l’ovvio. Se un medico diagnostica a un paziente una malattia, peraltro
2 P. Aprile, Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero «meri-
dionali», Piemme, Milano 2010.
3 La storia del terzo Paese più industrializzato al mondo è talmente fantasiosa che può
essere perfino imbarazzante scriverne in una pubblicazione scientifica. Si tratta di una vera
e propria bufala. Stando a Pino Aprile, «alla Mostra del 1856, a Parigi, siamo stati premiati
come Paese più industrializzato d’Italia; terzo nel mondo» (Terroni cit., p. 106). Da lì deriva il
giudizio di Pino Aprile da noi riportato, posto a inizio dello stesso volume, il celebre Terroni
(p. 9), e che quindi ha goduto di grande risalto. A Parigi, ci fu un’«Esposizione Universale
dei prodotti dell’Agricoltura dell’Industria e delle Belle Arti» nel 1855 (dal 15 maggio al 15
novembre), non nel 1856. Sempre a Parigi, nel 1856 si tenne invece un «Concorso agricolo
universale». All’Esposizione del 1855 il Regno delle Due Sicilie partecipò con stand espositivi
solo nel settore delle Belle arti (nell’Industria non fu nemmeno presente): due napoletani
ottennero altrettanti diplomi, uno per corde armoniche e uno per stamperie. Nel concorso
agricolo del 1856, Napoli ottenne invece una medaglia per la produzione di pasta. In nessun
caso furono stilate classifiche fra Paesi. Si veda in particolare il resoconto di R. Della Rocca
e A. Casiere, Interessante: la vera storia delle esposizioni del 1855 e del 1856, 26 agosto 2010,
disponibile su https://forum.termometropolitico.it/75751-interessante-la-vera-storia-delle-
esposizioni-del-1855-e-del-1856-a.html. Per un quadro storico cfr. anche G. Fumi, Emu-
lazione o profitto? L’avvio delle esposizioni agricole nell’Italia preunitaria, in Arti, tecnologia,
progetto. Le esposizioni d’industria in Italia prima dell’unità, a cura di G. Bigatti e S. Onger,
F. Angeli, Milano 2007, pp. 197-240. Per chi voglia tornare alla fonte, rimando a Aa.Vv.,
Rapport sur l’exposition universelle de 1855 présenté à l’empereur par S.A.I. le prince Napoléon
président de la Commission, Imprimerie Imperiale, Parigi 1857.
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Felice, Il divario Nord-Sud
curabile, non viene certo accusato di fare un torto a quel paziente, o di avercela
con lui (il medico anzi di norma è apprezzato, per aver svolto il suo mestiere
con scrupolo e coscienza). Questo facevano, dovrebbero fare, i meridionalisti. Il
medico che invece racconta a un malato che sta benissimo, e che non ha bisogno
di alcuna cura, di certo quel paziente non l’aiuta. Lo condanna.
2. Il reddito
Qual era il divario di reddito intorno all’Unità, fra il Sud Italia e il re-
sto della Penisola? La domanda può apparire semplice, ma la risposta non
è facile. Stime coeve non esistono, per il mero fatto che la misura cardine
utilizzata per calcolare il reddito pro capite – il Prodotto interno lordo –
nell’Ottocento non era stata ancora inventata. Verrà concepita e comincerà
a essere utilizzata solo negli anni trenta del Novecento, negli Stati Uniti, per
approdare in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Con riferimento ai
periodi precedenti, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso statistici,
economisti, storici hanno dovuto ricostruire il Pil procedendo a ritroso, sul-
la base di ipotesi e conteggi utilizzando le diverse fonti a loro disposizione. È
inevitabile pertanto che margini di incertezza, anche significativi, si riscon-
trino per le serie storiche nazionali4; e che questi siano ancora maggiori per
le serie regionali, che generalmente vengono ricavate da quelle nazionali ma
con l’ausilio di molti meno dati. A livello regionale la prima stima affidabile
del reddito per abitante è disponibile per il 1871, realizzata da chi scrive sia
ai confini regionali dell’epoca sia, più tardi, ai confini attuali5.
4 Cfr. A. Baffigi, I conti nazionali, in L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, a cura
di G. Toniolo, Marsilio, Venezia 2013, pp. 215-55; Id., Il Pil per la storia d’Italia. Istruzioni
per l’uso, prefazione di G. Toniolo, Marsilio, Venezia 2015; E. Felice, G. Vecchi, Italy’s Growth
and Decline, 1861-2011, in «The Journal of Interdisciplinary History», 45, 2015, pp. 507-48;
E. Felice, Ascesa e declino. Storia economica d’Italia, il Mulino, Bologna 2015. Per un inquadra-
mento globale sulle stime storiche del Pil per l’età contemporanea, e per i problemi che queste
comportano, rimando a Id., GDP and Convergence in Modern Times, in Handbook of Cliome-
trics, eds. C. Diebolt and M. Haupert, Springer-Verlag, Berlin Heidelberg 2016, pp. 263-93.
5 E. Felice, La stima e l’interpretazione dei divari regionali nel lungo periodo: i risultati
principali e alcune tracce di ricerca, in «Scienze Regionali: Italian Journal of Regional Science»,
14, 2015, pp. 91-120; Id., The roots of a dual equilibrium: GDP, productivity and structural
change in the Italian regions in the long-run (1871-2011), in «European Review of Economic
History», 2018, di prossima pubblicazione, DOI: 10.1093/ereh/hey018. Per una discussione
storica più approfondita, in particolare sulle stime ai confine del tempo, rimando poi a Id.,
Perché il Sud è rimasto indietro, il Mulino, Bologna 2013, pp. 26-40. Il successivo capoverso
riassume quanto argomentato lì in maniera più distesa.
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Borbonismo
Più di quanto suggerito da Eckaus16. È da notare infine che anche i dati dispo-
nibili sul commercio suggeriscono che vi fosse una chiara disparità fra Nord e
Sud. L’avvertenza è che non si tratta, in questi casi, di indicatori diretti di pro-
duzione (e naturalmente vi influiscono anche la posizione geografica, i confini,
la popolazione, oltre che le risorse naturali); pur con tutte queste cautele, si può
ritenere che il grado di apertura internazionale, sia nelle importazioni che nelle
esportazioni, sia in qualche modo legato al livello di avanzamento economico.
Tanto più che le differenze sono davvero profonde. Secondo la più recente rico-
struzione di Giovanni Federico e Antonio Tena, negli anni cinquanta dell’Otto-
cento il valore pro capite dell’import-export nel Regno delle Due Sicilie e nello
Stato Pontificio era appena il 50% della media nazionale17.
Se poi estendiamo lo sguardo dal prodotto di agricoltura e industria alle reti di
traporto e comunicazioni – cioè alle infrastrutture fondamentali per lo sviluppo
economico – otteniamo un quadro ancora più netto. Il divario più profondo è
nelle ferrovie, la misura stessa della modernità nel diciannovesimo secolo. Il Re-
gno delle Due Sicilie aveva avuto il primato della Napoli-Portici, la prima linea
ferroviaria inaugurata in Italia, nel 1839 (collegava la capitale, Napoli, con la
residenza estiva dei Borbone). Ma al di là di quello vi era stato pochissimo altro,
nella sostanza estensioni e ramificazioni attorno alla prima linea, e nulla al di
fuori della Campania: nel 1859, benché fosse di gran lunga lo Stato più esteso, il
regno borbonico poteva tristemente vantare la più piccola rete ferroviaria d’Italia,
di appena 99 chilometri (superato dallo Stato Pontificio a 101). Impressionante,
anche in termini assoluti, il divario con Piemonte e Liguria (850 chilometri),
Lombardo-Veneto (522 chilometri), Toscana (257 chilometri), cioè con il Cen-
tro-Nord. E ancora più impressionanti erano i dati per superficie: nel Regno delle
Due Sicilie vi erano appena 0,9 metri di ferrovie per chilometro quadrato, quasi
un terzo rispetto ai territori della Chiesa (2,6 metri); abissale la distanza con la
Toscana (11,2), il Lombardo-Veneto (10,6), il Piemonte e la Liguria (25 metri).
Dalla Toscana in su le ferrovie erano ormai una solida realtà. In tutto il Meridione
e nelle isole non esistevano, ad eccezione di qualche area in Campania. Nel chilo-
metraggio stradale il divario risultava meno pronunciato in termini assoluti (ma
le strade erano presenti da secoli e millenni, naturalmente, non il frutto di scelte
politiche recenti come le ferrovie), benché fosse ugualmente molto elevato in rap-
16 Da notare che invece secondo le prime stime di Fenoaltea, quelle utilizzate da Daniele e
Malanima nella loro retropolazione, nel 1871 la produzione industriale pro capite del Sud Italia
sarebbe stata l’88% della media nazionale, cinque punti sopra il dato (ristimato) per il 1861,
Fenoaltea, Peeking backward cit.
17 G. Federico, A. Tena, The Ripples of the Industrial Revolution: Exports, Economic Growth,
and Regional Integration in Italy in the Early Nineteenth Century, in «European Review of
Economic History», 18, 2014, pp. 349-69.
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porto alla superficie: nel 1863, nel Nord-Ovest correvano 645 metri di strade per
chilometro quadrato, 538 in Toscana; appena 130 nel Regno delle Due Sicilie18.
Le telecomunicazioni erano allora, soprattutto, le lettere ricevute per abitante: nel
Regno delle Due Sicilie se ne contavano appena un quarto di quelle in Piemonte
e Liguria (1,6, a fronte di 6,1), fra un terzo e un quarto quelle della Lombardia
(5,3), poco più della metà che in Toscana (3,1).
Va riconosciuto che il Sud Italia borbonico aveva investito molto nella
navigazione marittima, anziché nelle vie di terra, e che questa aveva una certa
importanza data la conformazione geografica del Mezzogiorno. Si tratta di un
aspetto di solito sottovalutato, in queste analisi comparative. Tuttavia, non
sembra tale da modificare sostanzialmente la situazione (tantomeno ribaltar-
la). Come abbiamo visto, già solo nel chilometraggio stradale il divario per
chilometro di superficie è davvero molto ampio, di un ordine di tre-quattro
volte: ma nei fatti sarebbe ancora più ampio, dato che occorre tenere conto
della più difficile orografia del territorio a Sud, rispetto alla pianura Padana (ci
vogliono più chilometri di strade per collegare due paesi di montagna, rispetto
a due paesi di pianura). In quanto alle ferrovie, è da notare che queste arri-
varono in misura significativa al Sud proprio dopo l’Unità, nei due decenni
successivi: già nel 1863, Napoli è collegata con Roma, quindi nel 1866 con
Firenze e il Centro-Nord; da Ancona, nel 1866 la ferrovia arriva a Lecce e
poi, attraverso la costa ionica, nel 1875 raggiunge Reggio Calabria; attraverso
l’interno, Napoli e Bari sono collegate nel 1870, Salerno, Potenza e Taranto
nel 1880; anche in Sicilia, e in Sardegna, le linee essenziali vengono costruite
fra la metà degli anni sessanta e il 1880; infine, la Salerno-Reggio Calabria
verrà realizzata sotto la Sinistra storica, fra il 1883 e il 189519. Queste linee
ferroviarie si svilupparono senza che fosse, almeno inizialmente, compromessa
la navigazione di cabotaggio di epoca borbonica, che infatti sarebbe rimasta
ampiamente concorrenziale, se non più conveniente, ancora per due o tre de-
cenni. Nel complesso, si può dire pertanto che in tema di infrastrutture il Sud
Italia, davvero molto arretrato, abbia beneficiato dall’Unificazione. E come
abbiamo visto, tutto sommato (al netto di alcuni errori per le manifatture,
peraltro ampiamente riconosciuti dalla storiografia) sembra aver beneficiato
anche della nuova politica economica liberoscambista.
18 Felice, Perché il Sud è rimasto indietro cit., pp. 22 (ferrovie) e 23 (strade). Per le ferrovie e
le strade, come anche per le lettere ricevute, i dati originali per gli Stati pre-unitari sono presi da
Correnti, Maestri, Annuario statistico italiano cit.; cfr. anche Zamagni, La situazione economico-
sociale del Mezzogiorno cit., pp. 280-1; Felice, The Socio-Institutional Divide cit., pp. 45-7.
19 Felice, Ascesa e declino cit., pp. 119-20 e 162; cfr. anche S. Fenoaltea, L’economia italiana
dall’Unità alla Grande guerra, Roma-Bari, Laterza 2006, pp. 193-203, anche per il giudizio
sulla navigazione di cabotaggio.
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Tabella. Indicatori quantitativi relativi alle regioni italiane intorno all’unificazione:
stato dell’arte e problemi aperti
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Lombardia 435 238 116 34.627 80 260 123.046 4,5 1.522 550 1.909
Borbonismo
Veneto 270 128 103 20.000 33 154 30.000 0 1.250 850 2.150
Note: Per la seta, il cotone e la carta, i dati di Liguria e Sardegna sono inclusi
nel Piemonte; per la produzione agricola e il cuoio, i valori della Liguria sono
inclusi nel Piemonte.
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Felice, Il divario Nord-Sud
Nell’insieme tutti questi dati, uniti alle stime del Pil per il 1871 che ab-
biamo richiamato e alle ipotesi sul trend 1861-71, indicano con nettezza che
il Sud Italia non era affatto lo Stato industrialmente più progredito d’Italia
– tantomeno il terzo del mondo. Era anzi in assoluto il più arretrato (seguito
forse a breve distanza dallo Stato Pontificio). Le regioni più progredite d’Italia
erano il Piemonte e la Liguria (nel Regno di Sardegna), la Lombardia; seguite
dall’Emilia e dalla Toscana. Non è un caso infatti che proprio la monarchia
sabauda a Nord, benché più piccola del regno borbonico, si sia imposta come
guida del processo di unificazione.
3. Il divario sociale
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Borbonismo
Fonte: G. Cappelli, Capitale umano e crescita economica: l’evoluzione del sistema educativo italiano, in Ricchi
per caso. La parabola dello sviluppo economico italiano, a cura di P. Di Martino e M. Vasta, il Mulino, Bolo-
gna 2017, pp. 75-127 (p. 89); elaborazioni dal Censimento della popolazione del 1871.
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Felice, Il divario Nord-Sud
24 Cfr. Felice, Perché il Sud è rimasto indietro cit., Tabella A.9 dell’Appendice statistica
online; per le stime si veda anche E. Felice, M. Vasta, Passive Modernization? The New Human
Development Index and its Components in Italy’s Regions (1871-2007), in «European Review of
Economic History», 19, 2015, pp. 44-66.
25 Qui ancora alla fine dell’Ottocento gli analfabeti censiti erano il 79% della popolazio-
ne: O. Crisp, Lavoro e industrializzazione in Russia, in Storia economica Cambridge, vol. VII
L’età del capitale, I. Stati Uniti. Giappone. Russia, a cura di M.M. Postan e P. Mathias, Einau-
di, Torino 1980, pp. 383-523 (p. 478). I dati per il periodo precedente sono molto frammen-
tari, benché sembrano supportare il giudizio di cui sopra: cfr. B. Mironov, The development of
literacy in Russia and the Ussr from the tenth to the twentieth centuries, in «History of Education
Quarterly», 31, 1991, pp. 229-52. Per la Spagna, cfr. in particolare C.E. Núñez, Educación,
in Estadísticas históricas de España. Siglos XIX y XX, II ed., vol. I, a cura di A. Carreras e X.
Tafunell, Fundación Bbva, Madrid 2005, pp. 157-244.
26 Sul ruolo del capitale umano per il decollo industriale del triangolo, rimando a E.
Felice, Regional Development: Reviewing the Italian Mosaic, in «Journal of Modern Italian
Studies», 15, 2010, pp. 64-80; Id., Regional Convergence in Italy (1891-2001): Testing Human
and Social Capital, in «Cliometrica», 6, 2012, pp. 267-306; C. Ciccarelli, S. Fachin, Regional
Growth with Spatial Dependence: a Case Study on Early Italian Industrialization, in «Papers in
Regional Science», 96, 2017, pp. 675-95.
27 P. Di Martino, M. Vasta, Istituzioni e performance economica in Italia: un’analisi di
lungo periodo, in Ricchi per caso. La parabola dello sviluppo economico italiano, a cura di P. Di
Martino e M. Vasta, il Mulino, Bologna 2017, pp. 231-64; A. Nuvolari, M. Vasta, The Ghost
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Borbonismo
Fonte: J. Westberg, G. Cappelli, How did education policy shape the race towards mass education? A comparative
perspective based on France, Italy, Spain and Sweden, c. 1840-1940, 2019 (mimeo). Cfr. anche G. Cappelli, Esca-
ping from a human capital trap? Italy’s regions and the move to centralized primary schooling, 1861-1936, in
«European Review of Economic History», 20, 2016, pp. 46-65 (p. 50).
in the Attic? The Italian National Innovation System in Historical Perspective, 1861-2011, in
«Enterprise & Society», 16, 2015, pp. 270-90.
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era già evidente nel 1821: in Campania, la più avanzata regione del Sud da
questo punto di vista, il 31% dei maschi adulti sapeva leggere e scrivere,
contro il 56-57% di Piemonte e Lombardia. Poi però è cresciuto conside-
revolmente nei decenni successivi. Si pensi che in Campania la quota di
popolazione maschile alfabetizzata nel 1861 era rimasta immutata, al 32%,
mentre in Lombardia era salita al 62%, nel Piemonte di Cavour addirittura
al 70%. Ma soprattutto, nel Centro-Nord aumentarono molto più rapida-
mente i tassi di alfabetizzazione femminile: dal 1821 al 1861, in Piemonte
passarono dal 23 al 43%, in Lombardia dal 31 al 47%; in Campania, appe-
na dall’11 al 14%28. Il Sud quindi, già indietro per il sostanziale fallimento
delle riforme illuministe, perde ancora più terreno nel periodo della restau-
razione borbonica, dal 1821 all’Unità. Non stupisce: dopo la repressione
(solo grazie all’esercito austriaco) della rivoluzione del 1820-21, il governo
borbonico torna addirittura indietro sul versante dell’istruzione popolare: la
osteggia apertamente, temendone i suoi effetti potenzialmente dirompenti
per il vecchio ordine autocratico. Si tratta di risultati che gettano una luce
inedita sull’evoluzione del divario Nord-Sud nel periodo precedente l’Unità
e che, mi sembra, confermano e irrobustiscono la spiegazione delineata in
Perché il Sud è rimasto indietro29.
Anche le stime sulla longevità, piuttosto attendibili come del resto quelle
sull’istruzione, lasciano intravedere un divario nelle reali condizioni di vita
della popolazione chiaro, marcato. A quell’epoca (il 1871, per il quale ab-
biamo numeri solidi), in Italia la vita media si aggirava intorno ai 33 anni,
molto meno di adesso soprattutto perché era molto più elevata la mortalità
infantile: nel Sud continentale scendeva a 30,7 anni, nel Nord-Ovest saliva a
34,730. Chi nasceva nel Meridione viveva poi quattro anni in meno, rispetto
a chi nasceva nel Nord-Ovest: non sono pochi, se rapportati alla longevità
dell’epoca, corrispondono a circa il 12% la durata della vita media a quel
tempo (sulla metrica di oggi è come se fossero 10 anni).
È da osservare peraltro che tanto nell’istruzione, quanto nella speranza di
vita, si è registrato dall’Unità in poi un percorso di convergenza del Sud Italia:
è apparso lento, stentato; insoddisfacente se, per esempio, nei dati sull’istru-
zione andiamo un po’ più a fondo e guardiamo agli indicatori di apprendi-
mento effettivo. Chi scrive, insieme a Michelangelo Vasta, ha parlato a tale
28 C. Ciccarelli, J. Weisdorf, Pioneering into the past: Regional literacy developments in Italy
before Italy, in «European Review of Economic History», 2018 (di prossima pubblicazione).
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29 Felice, Perché il Sud è rimasto indietro cit., pp. 41-61.
30 Ibid., Tabella A.10 dell’Appendice statistica online.
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Borbonismo
31 Felice, Vasta, Passive modernization? cit.; Felice, Perché il Sud è rimasto indietro cit., p. 91; L.
Cafagna, Modernizzazione attiva e modernizzazione passiva, in «Meridiana», 2, 1988, pp. 229-40.
32 A. Giannola, Mezzogiorno oggi: una sfida italiana, in Lezioni sul meridionalismo. Nord e
Sud nella storia d’Italia, a cura di S. Cassese, il Mulino, Bologna 2016, pp. 261-96.
33 N. Amendola, F. Salsano, G. Vecchi, Povertà, in In ricchezza e in povertà, a cura di G.
Vecchi cit., pp. 271-317. Ma si veda anche la discussione critica in Felice, Perché il Sud è rimasto
indietro cit., pp. 41-6.
34 B. A’Hearn, G. Vecchi, Statura, in Vecchi, In ricchezza e in povertà cit., pp. 37-72. Su
questo cfr. anche E. Felice, I divari regionali in Italia sulla base degli indicatori sociali (1871-
2001), in «Rivista di Politica Economica», 97, 2007, pp. 359-405.
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Felice, Il divario Nord-Sud
35 R. Allen, The great divergence in European wages and prices from the Middle Ages to First
World War, in «Explorations in Economic History», 38, 2001, pp. 411-47.
36 È inoltre da notare che, nel Mezzogiorno, si registra una performance inaspettata-
mente positiva delle isole, le quali presumibilmente hanno sistema dei prezzi e mercato del
lavoro meno integrati con il resto del Paese; nel solo meridione continentale, i salari reali,
secondo il paniere di Federico, Nuvolari e Vasta, sono nel 1862 l’87% di quelli del Nord. G.
Federico, A. Nuvolari, M. Vasta, The origins of the Italian regional divide: evidence from real
wages, 1861-1913, in «The Journal of Economic History», 79, 2019, pp. 63-98. Esiste una
stima precedente dei salari reali, elaborata da Vittorio Daniele e Paolo Malanima, più favo-
revole al Mezzogiorno. Tuttavia, in questo caso la ricostruzione del paniere dei prezzi risulta
meno accurata e anche meno confrontabile a livello internazionale. V. Daniele, P. Malanima,
Regional wages and the north-south disparity in Italy after the Unification, in «Rivista di Storia
Economica», 23, 2017, pp. 117-58.
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Borbonismo
perfetta approssimazione del reddito medio, dato che non tengono conto del-
le diverse condizioni dell’economia (se l’industria e i servizi sono più o meno
presenti, ad esempio) e dell’occupazione (i tassi di partecipazione al lavoro di
donne e minori): vanno presi come indicazione di massima, che è appunto
quella di un divario Nord-Sud già presente all’epoca dell’Unità.
Proviamo a riassumere. Tutti gli indicatori sociali disponibili, che riflet-
tono le condizioni di vita della popolazione, evidenziano, in maniera con-
corde, come al Sud queste fossero peggiori che al Nord. Il risultato è asso-
dato. Tuttavia ne discende anche un’asimmetria, perlomeno apparente: in
particolare per quel che risulta dagli indicatori sociali, l’impressione è che in
questo campo il divario fosse maggiore rispetto al reddito medio (ma dove
pure era presente, l’abbiamo visto). Come si spiega? Due sono le possibilità.
Una è che le stime del Pil che abbiamo presentato nel paragrafo precedente
siano in realtà, anch’esse, alquanto ottimistiche per il Sud (ampi margini di
incertezza esistono soprattutto per il settore agricolo, le cui ricostruzioni si
basano, in parte, su dati del tempo poco attendibili; naturalmente l’agricol-
tura rappresentava all’epoca di gran lunga il settore più importante). Altro
quindi che il regno più avanzato d’Italia! Il Sud sarebbe stato il più arretrato
e di gran lunga, in linea con quanto emerge dagli indicatori sociali.
L’altra possibilità è che le nostre stime del Pil siano sostanzialmente atten-
dibili: il divario nel reddito per abitante, cioè nel Pil medio, era in effetti meno
pronunciato di quello nelle condizioni sociali. Se questo è vero, allora bisogna
concludere che nel Sud era maggiore la disuguaglianza. In particolare, quella
disuguaglianza che si polarizza fra una minoranza di privilegiati e la gran parte
della popolazione: la sperequazione fra ricchi e poveri, che comprime il ceto
medio (e che in quanto tale emerge in modo meno chiaro dall’indice di Gini,
più sensibile alle differenze nelle parti centrali della distribuzione)37.
Questa seconda ipotesi è quella avanzata in Perché il Sud è rimasto in-
dietro. Risulta in linea con una vasta storiografia, anche di tipo qualitativo
e piuttosto consolidata, circa le condizioni politiche e sociali del Mezzo-
giorno, e sulla composizione e l’orientamento delle sue classi dirigenti. Si
può parlare, a questo proposito, di un divario di tipo socio-istituzionale,
fra il Mezzogiorno e il resto della penisola: la maggiore disuguaglianza era
sostenuta, e sosteneva a sua volta, istituzioni di tipo estrattivo. Istituzioni
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Felice, Il divario Nord-Sud
38 D. Acemoglu, J. Robinson, Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and
Poverty, Profile, London 2012; trad. it. Perché le nazioni falliscono. Le origini di prosperità,
potenza e povertà, Il Saggiatore, Milano 2013.
39 K. Sokoloff, S. Engerman, Institutions, Factor Endowments, and Paths of Development in
the New World, in «The Journal of Economic Perspectives», 14, 2000, pp. 217-32.
40 D.C. North, J.J. Wallis, B.R. Weingast, Violence and Social Order. A Conceptual
Framework for Interpreting Recorded Human History, Cambridge U.P., Cambridge 2009.
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4. Conclusioni
41 P. Di Martino, E. Felice, M. Vasta, A tale of two Italies: ‘access-orders’ and the Italian
regional divide, in «Scandinavian Economic History Review», 2019 (di prossima pubbli-
cazione). DOI: 10.1080/03585522.2019.1631882. Per una rivisitazione complessiva della
spiegazione fondata sul divario socio-istituzionale, attualizzata e un po’ arricchita rispetto a
Perché il Sud è rimasto indietro, anche se naturalmente più sintetica, rimando a E. Felice, The
Socio-Institutional Divide: Explaining Italy’s Long-Term Regional Differences, in «Journal of
Interdisciplinary History», 49, 2018, pp. 43-70.
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Felice, Il divario Nord-Sud
42 Per tutti valga T.J. Hatton, J.G Williamson, The Age of Mass Migration: Causes and Eco-
nomic Impact, Oxford U.P., Oxford 1998.
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