19 - Il Focusing e La Spiritualità - Marcella - Milano
19 - Il Focusing e La Spiritualità - Marcella - Milano
IL FOCUSING
E LA SPIRITUALITÀ
L’esistenza tra presenza
e trascendenza
19
BIOGRAFIA:
Marcella MILANO, medico chirurgo, counselor coach e specializzata
in Psicoterapia presso l’ASPIC, lavora a Rieti come medico di famiglia da
oltre 30 anni; svolge la sua attività di psicoterapeuta con percorsi indi-
viduali, famigliari, in gruppo; organizza laboratori e seminari di counse-
ling. È interessata alla psicotraumatologia ed alla ricerca nell’ambito del-
la psicoterapia transpersonale e all’integrazione tra psicologia e
spiritualità cristiana.
INDICE
INTRODUZIONE pag. 2
Il gioco di ruolo 19
La Presenza 22
Il Focusing e la spiritualità 27
CASO CLINICO 98
Box di approfondimento - Brain Gymn 106
Box di approfondimento - La comunicazione non violenta 115
Box di approfondimento - La terapia focalizzata sulla compassione 122
Box di approfondimento - La Imagery: le tecniche immaginative 126
CONSIDERAZIONI SUL CASO CLINICO 135
CONCLUSIONI 136
BIBLIOGRAFIA 141
SITOGRAFIA 154
A.S.P.I.C.
MARCELLA MILANO
IL FOCUSING E LA SPIRITUALITÀ
L’esistenza tra presenza e trascendenza
1
INTRODUZIONE
La scuola ASPIC segue diversi paradigmi tra quelli validati scientificamente e quelli
che propone di attuare tenendo presente il principio del tailoring, secondo cui
occorre fare lavoro di alta sartoria, ossia adattare il miglior trattamento che si
reputa opportuno in quel momento per il paziente con cui stiamo lavorando.
Ci sono tecniche che fanno riferimento a modelli affettivo-emotivi, affettivo-
cognitivi, comportamentali, cognitivi, ecologico-sistemici ed approccio
psicofarmacologico (Giusti, Montanari, Iannazzo, 2022).
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Nel pluralismo integrato dell’ASPIC si considerano vari modelli quali quello
dell’Eclettismo Tecnico, il modello dei Fattori comuni e quello dell’Integrazione
teoretica tenendo in considerazione che è centrale la relazione tra terapeuta e
paziente (Norcross, 2012).
Il più noto modello dell’Eclettismo tecnico è quello della Terapia Multimodale di
Lazarus (1967) in cui si adatta la terapia al paziente, tenendo presente sette
elementi sintetizzati con l’acronimo BASIC ID:
1) Behavior o comportamento; 2) Affect o emozioni ossia stati d’animo forti;
3) Sensation ossia i cinque sensi; 4) Imagery o immagini o disegni mentali;
5) Cognition o pensieri, opinioni, idee, valori; 6) Interpersonal relationship o
interazioni con gli altri; 7) Drug o farmaci, alimenti, esercizio fisico.
Il cambiamento in uno di questi aspetti può influenzare il funzionamento degli altri.
Lazarus si rifà al comportamentismo, alla teoria dell’apprendimento sociale di
Bandura (1969), alla teoria generale dei sistemi (Bertalanffy, 1968) e alla teoria della
Comunicazione del gruppo di Palo Alto sia nella terapia individuale sia con quella in
gruppo e di coppia. Si punta alla ristrutturazione della personalità.
C’è poi l’Eclettismo Sistematico di Beutler e Clarkin (1990) che si differenzia dal
modello di Lazarus per la modalità d’intervento che tiene conto di 3 fattori:
1- la fase di coinvolgimento del cliente;
2- a quali esperienze di cambiamento il cliente è pronto;
3- gli aspetti dello stadio clinico in cui si trova.
Tiene conto dei diversi livelli di bisogni su cui lavorare, cognitivi, emozionali, di
comportamento, di interazione con gli altri.
Il modello dei Fattori Comuni comprende il modello trans-teorico di Prochaska e
Norcross (1994), di Giusti e Montanari (1994), di Clarkson (1997) e di Erskine (1988).
Il modello trans-teorico considera gli stadi del cambiamento del cliente (pre-
contemplazione, contemplazione, preparazione all’azione, azione, mantenimento e
ricaduta) (Fig.5); i livelli del cambiamento (di sintomi, cognitivo, di conflitti
intrapsichici e interpersonali) e i 10 processi di cambiamento tra cui l’aumento di
consapevolezza, la catarsi emotiva, la rivalutazione dell’ambiente, il controllo dello
stimolo, la scelta.
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Fig.5 - Gli stadi del cambiamento (da Prochaska, Di Clemente, 1992)
5
- il focus sull’altro,
- la percezione interpersonale,
6
Grande rilievo sta avendo in questi ultimi anni la Psicoterapia Narrativa (Villegas,
1994; McLeod, 1997; Giusti, Lazzari, 2005) che dà spazio alla narrazione
autobiografica, degli eventi e delle esperienze da parte del cliente. È importante non
solo ciò che egli narra di sé ma anche come narra di sé, il racconto che fa di se
stesso, il modo in cui ricostruisce la sua storia (fenomenologia della narrativa). È un
approccio che si rifà al costruzionismo.
Tecniche di training delle abilità sociali, dell’ assertività e percezione sociale
rientrano nei modelli integrati.
Considero importante nell’ambito di un approccio integrato l’utilizzo di tecniche
come la Mindfulness, il Focusing, l’ACT, l’uso di approcci oltre che cognitivi anche
affettivi , esperienziali e la psicoterapia corporea.
Nel mio presente elaborato dedico uno spazio anche all’importanza di essere aperti
ad affrontare aspetti transpersonali, quella sfera riguardante la soddisfazione di
bisogno, di dare senso alla propria esistenza ed a quella del mondo, la necessità di
relazionarsi con un Io superiore e Trascendente la natura umana, che avvolga
l’Universo e ognuno di noi come dentro una sfera di luce e di amore.
Oggi la Psicologia Positiva di Seligman (1996) ha dato un grande contributo in questo
salto di qualità della psicoterapia permettendo ai clienti portatori di una fede,
qualunque essa sia, di valori culturali e credenze le più eterogenee, di sentirsi accolti
dentro il setting, di sentirsi riconosciuti nel loro bisogno di trascendenza e di
spiritualità.
Ritengo che grande merito sia da attribuirsi al confronto con le religioni orientali
dopo anni che la nostra civiltà occidentale si è sentita costretta e soffocata dalle
religioni giudaico cristiane volte a pratiche ritualistiche e a moralismi esasperati che
negli ultimi secoli dalla rivoluzione francese in poi ha trovato le persone ribelli.
Altro notevole contributo lo attribuisco alla fisica quantistica e alla visione del
mondo come, fondamentalmente, un complesso di energia.
Ciò, incontrandosi con le intuizioni delle varie conquiste filosofiche e spirituali
dell’umanità, porta “i ricercatori di senso” ad elaborare una nuova visione del
mondo in cui dall’infinitesimo piccolo al grandioso, sono un tutt’ Uno di energia, di
luce e amore da cui deriva l’impegno per una vita migliore per i singoli e l’intero
pianeta.
Il modello del Pluralismo Integrato elaborato da Giusti e Montanari, fondatori
dell’ASPIC, integra il modello dei Fattori Comuni al modello Gestaltico che considera
ed applica al processo terapeutico le fasi del ciclo del Contatto.
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Il processo terapeutico si articola in 4 fasi:
1) pre-contatto (da 1 a 3 sedute) in cui avviene la presentazione del caso e si
stabilisce il contratto sugli obiettivi;
2) avvio del contatto (da 10 a 30 sedute) in cui avviene la formulazione del caso,
analisi della domanda e si consolida l’alleanza terapeutica;
3) contatto pieno (da 40 a 80 sedute) in cui avviene il cambiamento attraverso il
soddisfacimento dei bisogni;
4) post-contatto (da 20 a 35 sedute) in cui avviene l’assimilazione dei contenuti
appresi e si interiorizza la figura del terapeuta.
Si tratta di un percorso terapeutico di ristrutturazione della durata di 2/4 anni.
Si usano strategie che derivano da vari approcci (tra cui il rogersiano, l’analitico
transazionale, il cognitivo comportamentale, il gestaltico) adattandole alle esigenze
del paziente puntando, comunque, a dare assoluta priorità alla relazione terapeutica
che sia salda, accogliente, con connotazioni di supporto e direttiva, a seconda della
resistenza e reattanza del paziente.
Importanti sono i Fattori Comuni, l’alleanza, l’empatia, la congruenza del terapeuta,
la sua capacità riparativa delle rotture, l’attenzione al qui ed ora, promuovendo la
consapevolezza e l’elaborazione esperienziale emotiva correttiva.
Importanti sono pure i feedback reciproci tra terapeuta e cliente sia durante che alla
fine di ogni seduta in quanto ad essi è correlato l’esito positivo del trattamento e si
evitano molti drop out (Giusti, Gallo, 2022).
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Il Focusing è da considerare, anzitutto, una risorsa naturale e non inventata,
scoperta negli anni ’60 dal prof. Eugene Gendlin, filosofo e professore di psicologia
all’Università di Chicago, allievo di Carl Rogers; egli lo ha applicato nella psicoterapia
ottenendo ottimi risultati e ciò suscita in me grande fiducia in questo metodo
squisitamente esperienziale.
Gendlin rilevò che i pazienti che ne traevano maggior beneficio erano quelli che
definì “natural focuser” in quanto erano in grado di connettersi con le proprie
esperienze somatiche, ossia mostravano un’abilità innata a percepire i segnali
provenienti dal corpo.
È comunque un diritto di tutti (Bonaca, 2013), è uno spazio di tempo dedicato a fare
amicizia con noi stessi, con la propria “interiorità fisica”.
Esito di questo processo è essere pieni di fiducia nelle nostre potenzialità, più
assertivi, con maggiore performance nelle varie sfere della vita quotidiana (famiglia,
lavoro, finanze, rete sociale), consolidando il senso della nostra identità riguardo alla
domanda esistenziale “Chi sono io?”.
Grazie al Focusing possiamo apprendere l’abilità di ascolto delle sensazioni sentite e
così riusciamo a diventare più autentici, scevri da dipendenze talvolta patologiche, in
grado di comunicare con gli altri senza il rischio di fonderci e di coinvolgerci in
relazioni simbiotiche o, al contrario, in cui predomina l’insicurezza, l’evitamento e i
conflitti.
Il Focusing può essere considerato un percorso esperienziale di introspezione che
parte dal corpo permettendoci di ascoltarlo, di capire la sua lingua consapevoli che
“il corpo parla e il bello è che non mente” (Bonaca, 2013).
Il rientrare in se stessi, l’essere centrati, con uno stato di grounding, ossia di
radicamento fonte di senso di stabilità e fermezza, l’ascolto del proprio corpo, delle
sue sensazioni, piacevoli o fastidiose, delle parti in tensione, contratte, con
formicolii o crampi, tutti sono preziosi segnali della propria persona nella sua fisicità
che vuole emergere ed essere ascoltata per indicarci qualcosa del nostro mondo
nascosto, interiore, inconscio. Ci vuole anzitutto fiducia nel potere espressivo del
nostro corpo, della sua valenza, del suo fondamentale bisogno di rispetto che va
oltre una semplice cura di malattie attraverso farmaci o interventi medici.
Già come medico di base e counselor ho approfondito l’importanza dell’ascolto
attivo dei pazienti che, narrando le loro situazioni dolorose corporee, denunciano
disagi profondi, blocchi emozionali, antichi traumi che giacciono nel profondo e che
si fanno sentire attraverso i sintomi più disparati.
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Il punto di forza che ho scoperto nel Focusing è la connessione con se stessi stando
profondamente in relazione con l’altro, un terapeuta o un semplice ascoltatore che
assiste e sostiene con estrema discrezione colui che svolge il processo e quell’essere
in presenza è una componente importante.
Sembra una pratica semplice e lo è ..., ma occorre esercitarsi tantissimo.
Premio di questo percorso è la salda calma interiore, un sentimento di salda
identità, di un fluire della nostra energia vitale dentro il nostro corpo che si libera dai
suoi blocchi e ciò ci procura senso di pienezza e di pace, di leggerezza, calore,
liberazione e benessere interiore.
Il Focusing o “messa a fuoco” ci permette una lettura di quei segnali di sofferenza
profonda per disidentificare parti di noi che ci disturbano oltre ad altre cui ancorarci
per affrontare la vita.
La disidentificazione è un processo ormai affermato oggi in psicoterapia, ripreso
dalle spiritualità orientali che conducono la persona verso il livello di “beatitudine”
attraverso la meditazione.
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1) Creare uno spazio interno
Si dà il benvenuto a qualunque sensazione o pensiero sopraggiunga e ci si pone in
ascolto sereno e rilassato di quello che sta capitando al nostro corpo soprattutto a
livello del petto e dell’addome; tutto avviene nel qui ed ora; si attua attraverso un
tempo di rilassamento e centraggio con la tecnica del respiro consapevole. Occorre
stare in silenzio e stare con noi stessi, occorre mettersi in ascolto del corpo e
aspettare che qualcosa provenga lentamente dall’interno di esso, specie a livello del
petto o dello stomaco. Se sopraggiunge un fastidio o un disagio non bisogna
analizzarlo bensì accoglierlo benevolmente e aspettare qualche altra sensazione.
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pag.58). Lo shift sense si accompagna ad un senso fisico di rilassamento, di rilascio di
tensioni sia fisiche che mentali.
4) Risonanza
Si dedica del tempo facendo la spola fra le parole o le immagini e il felt sense, poi si
chiede se vi sia corrispondenza o meno, eventualmente si cambia e si sta per un
minuto circa nell’esperienza di questa sensazione. Nel momento in cui si trova la
perfetta rispondenza tra sensazione e simbolo, si manifesta di solito un segnale
fisico tipo senso di sollievo o di rilassamento.
5) Fare domande
“Cosa c’è in tutto questo problema che mi fa sentire così?”
“Qual è il significato di questa sensazione?”
“Perché si presenta in questo modo?”
“Cosa c’è in questa sensazione?”
“Qual è il lato peggiore della situazione?”
“Cosa dovrebbe accadere?”
Non si risponde alle domande, si aspetta che sia il felt sense a smuoverci e a darci la
risposta.
“Cosa sarebbe se tutto andasse bene?”
Si lascia rispondere il corpo.
“Cosa impedisce che ciò accada?”
6) Accoglienza
Accogliere tutto ciò che viene, accontentandoci di ciò che emerge dal corpo senza
forzare e cercando di proteggerlo dal proprio “critico interno” che, in diverse
modalità, può cercare di interrompere la nostra connessione con l’experiencing.
Occorre dare il benvenuto a qualunque cosa emerga, evitando che la razionalità
impedisca di stare in contatto con il felt sense; si tratta di non opporsi, non rifiutare
anche ciò che emerge di strano o possa sembrare sbagliato. Questi sei passi
conducono ad una sensazione di sollievo percepito fisicamente, una sensazione di
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“giustezza”. Nel cap. 4 Gendlin spiega l’originalità del Focusing che sta nel dare
spazio a ciò che il cliente avverte come opposizione interna; ciò che lo ferisce e lo
blocca dall’interno e che definisce “pacchetto patologico” (ibidem, pag.46), una
tendenza autodistruttiva al rifiuto e all’evitamento. È opportuno chiarire ciò che io
stessa sperimento in terapia coi miei pazienti, essere la “sensazione sentita” o “felt
sense”. Essa differisce da altre esperienze comuni che sto facendo con loro usando
gli approcci corporei. Anzitutto occorre affermare che la sensazione sentita non è
un’emozione che arriva autonomamente ed è riconoscibile; mentre il felt sense
quando arriva non si sa cosa sia, è vago e solo quando si trovano le parole giuste si
evolve, si apre e si svela mentre se le parole sono sbagliate si blocca. Il felt sense è
una “impressione corporea olistica”, implicita di una sensazione corporea complessa
fatta di molti fattori ed emozioni. Esso contiene un labirinto di significati e anche un
punto focale, una specifica esigenza, direzione o tematica. Quando arriviamo a tale
punto del processo siamo in grado di dire “di cosa si tratta veramente” e “qual’ è la
cosa peggiore in tutto ciò”. Il felt sense si presenta attraverso sensazioni corporee
come: “essere pesante o leggera, agitata, tesa, vibrante, tremante“. Essa può
comportare pure l’esperienza di emozioni che in tal caso si lasciano venir fuori
insieme ad eventuali pensieri, ricordi, desideri, sogni, ecc. , per questo la sensazione
significativa è una sensazione complessa. Essa differisce dall’immagine come
esperienza visiva che possiamo avere nel nostro spazio interiore e non sono
sovrapponibili, talvolta l’immagine può portare ad una sensazione significativa se ci
si ferma a sentire cosa suscita dentro di noi. Occorre rimanere in silenzio per alcuni
secondi e attendere che emerga nel corpo in risposta a quell’immagine. Il felt sense
non si identifica con le sensazioni fisiche che proviamo, bensì è l’impressione
corporea di qualcosa, di un significato e di una complessità implicita. Le sensazioni
fisiche possono manifestarsi alla periferia del corpo mentre il felt sense si avverte di
solito al centro dell’addome, nel plesso solare, nel petto e nella gola. Se si prova una
sensazione fisica periferica essa può evocare una sensazione significativa al centro
del corpo in risposta ad essa. Se ci si concentra sul felt sense può accadere che
quella sensazione fisica, per es. un dolore alla spalla, si scioglie. Quando si sospetta
che un malessere fisico sia d’origine psicosomatica è utile il focusing in quanto la
sensazione significativa, emergendo, può far scomparire quel disturbo. La stessa
cosa accade quando si ha l’ansia.
“La priorità dev’essere sempre data alla persona e al rapporto in atto fra il terapeuta
e la persona… Una persona è un chi, non una cosa. Questa persona è sempre quella
che vive innanzi a noi. La persona si manifesta sempre in modo nuovo, è sempre di
più delle idee e delle procedure” (ibidem, pag.196).
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È questo un fatto centrale del Focusing!
Occorre integrare i vari approcci psicoterapeutici tenendo comunque sempre
presente la centralità della persona cui adattare varie procedure intese da Gendlin
come “canali terapeutici” da usare dando la priorità al nostro contatto con lei, senza
imporle nulla o perdere l’immediatezza del rapporto. L’interazione tra il terapeuta e
il paziente è un canale terapeutico privilegiato importante che ben va ad integrarsi
con altri di derivazione junghiana (esplorazione dei sogni e andare al passato con la
immaginazione), la Gestalt (lavoro con le parti del sé, il gioco di ruolo), la terapia
centrata sul cliente (ascolto, empatia, riformulazione), ecc. Si arriva al felt sense
attraverso uno o più canali d’accesso (lo scambio verbale, il canale immaginativo
delle fantasie guidate, i sogni, il gioco di ruolo, il contatto con le tensioni e de-
tensioni muscolari, gli eventi interattivi della relazione terapeutica). Ciò che conta è
il processo del cliente per cui terapeuta e cliente sono liberi di modificare e
modulare le sedute spostandosi da un canale all’altro.
Gendlin ha posto a confronto il felt sense con l’ipnosi e con la meditazione ed ha
affermato, e l’esperienza conferma, che lo stato ipnotico, come il rilassamento
profondo della meditazione, non favorisce l’esperienza del felt sense che richiede
invece solo uno stato di rilassamento vigile, in quanto il corpo in entrambi i casi è
messo a tacere e negli stati alterati della coscienza ci si distanzia da esso. Un grado
di rilassamento maggiore del necessario impedisce l’arrivo di una sensazione
significativa in quanto all’interno del corpo tutto rallenta, si acquieta e si compatta.
Focalizzare implica portare deliberatamente l’attenzione a quel livello dove nasce
l’attività e restare in contatto con qualcosa. Richiede di mantenere l’attenzione sul
vago senso di disagio, sulla sensazione significativa che emerge in risposta ad una
richiesta deliberata. Rispetto alla catarsi Gendlin afferma pure che c’è differenza con
il felt sense in quanto la prima fa riferimento a forti emozioni del passato, bloccate e
mai espresse pienamente, mentre il Focusing fa emergere nel qui ed ora tutta
l’esperienza che contiene implicitamente, sia ricordi passati sia aspettative future
che nel presente vengono ricontestualizzate. Esiste una specificità del Focusing
rispetto ad altre tecniche terapeutiche che tendono a sorvolare sulla vita attuale
incoraggiando la persona ad entrare in stati alterati (regressivi) che nulla hanno a
che fare con il suo modo di vivere. Le ritiene esperienze impressionanti ma possono
cambiare ben poco al di là di un iniziale ampliamento di prospettiva. Può trattarsi di
grandi esperienze dove però la persona resta piccola, psicologicamente disorientata
e spesso emotivamente sopraffatta.
Nel Focusing la crescita avviene a piccoli passi; il terapeuta accompagna il cliente in
ogni singola sfumatura senza fare un confronto riguardo il significato dell’esperienza
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che il cliente cerca di trasmettergli; vi è un ascolto attento per aiutarlo ad andare più
in profondità nella propria esperienza (ciò è in comune col metodo centrato sul
cliente di Carl Rogers). E poi si invita esplicitamente il cliente a lasciar formare il felt
sense ed a farlo emergere. Fare perciò domande mirate a questo scopo tipo: “Cosa
stai sentendo adesso dentro di te? Puoi sentirlo al centro del tuo corpo? Che
sensazione stai provando?”, si invita il cliente ad accogliere benevolmente e
amorevolmente qualunque cosa emerga. Ma essere amichevoli non significa negare
che ci susciti rabbia o impazienza. Non bisogna sforzarsi di essere accettanti quando
in realtà non lo si è. Occorre creare uno spazio a parte per la rabbia e l’impazienza,
comprenderle, darsi il permesso di viverle, ed al tempo stesso, dare uno spazio
protetto per il felt sense. Nel Focusing si usano quindi varie procedure unificandole
dentro l’esperienza che il cliente fa nel qui ed ora della relazione con il terapeuta.
Ciò rende questo processo attuale per noi che seguiamo il metodo del Pluralismo
Integrato.
Esamino qui alcuni canali terapeutici più usati e che io stessa sperimento di grande
valenza in terapia. Nel cap. 5 Gendlin definisce le Tecniche terapeutiche per favorire
i passi del cambiamento.
1) Ascoltare e verificare ogni sfumatura senza mettere in discussione il
significato dell’esperienza del cliente.
2) Dare risposte che aiutano il cliente a riconoscere la presenza di “qualcosa”
al confine tra il conscio e l’inconscio e soffermarvisi.
3) Trovare una parola, una frase o un’immagine che faccia da “appiglio”.
4) Accompagnare il cliente a sentire se l’appiglio ha una risonanza dentro di
sé.
5) Invitare esplicitamente il cliente a lasciar formare un felt sense, a
esplorarne la qualità e a focalizzarlo.
6) Istruire il cliente circa la modalità efficace per toccare il felt sense con
delicatezza, sentirlo, accompagnarlo, restargli accanto.
7) Invitare il cliente ad accogliere con benevolenza il felt sense anche se è una
sensazione spiacevole che suscita rabbia, paura, ostilità.
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Come si pratica il Focusing
Ci sono varie modalità per entrare nel processo di Focusing:
- da soli;
- nell’ambito di un percorso di counseling o psicoterapia con un
professionista formato al Focusing;
- attraverso uno scambio alla pari con un compagno con cui si
interscambiano i ruoli di focalizzatore e ascoltatore;
- integrandolo nelle proprie professioni d’aiuto, sanitarie, terapeutiche,
creative, di ricerca, nel percorso di crescita spirituale;
- nei gruppi Changes;
- nelle relazioni quotidiane e nei processi decisionali nelle aziende.
I gruppi Changes di Focusing sono incontri mensili gratuiti per lo scambio alla pari in
presenza oppure in modalità on line.
La partecipazione ai gruppi è aperta e gratuita per coloro che hanno concluso un
Corso base di focusing ed è condotto da un Trainer certificato dal The International
Focusing Institute.
Sono sorti negli anni ‘70 all’Università di Chicago e ora sono diffusi in tutto il mondo.
Si propongono scambi alla pari ed è l’occasione per trovare un compagno con cui
continuare sperimentarsi.
I valori di base per frequentare gruppi Changes sono: rispetto, reciproco, libertà,
autonomia, responsabilità.
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Il gioco di ruolo
Dalla Gestalt e dallo psicodramma di Moreno Gendlin applica al Focusing il gioco di
ruolo che è potenzialmente in grado di favorire un’inversione direzionale
dell’energia somatica. Ciò avviene quando si invita il cliente che comunica una
sensazione negativa, come inerzia od oppressione o fastidio interno, a
immedesimarsi in essa, a essere quella sensazione. Ciò fa stare la persona in una
posizione attiva anziché passiva di vittima ed è per lui una cosa piacevole (ibidem,
cap.13), nel suo corpo si genera un nuovo tipo di energia. È un’esperienza del tutto
nuova per cui mentre prima l’energia era contro di lui, ora la prova orientata dal
dentro al fuori, con un senso di liberazione. Questo processo che si ha
nell’inversione di ruolo o role play genera un’energia forte ed attiva, fa vivere una
sensazione in una prospettiva opposta e ciò è unico e potente nell’ambito
terapeutico. Si verifica l’integrazione di quella parte scissa perché ha invertito la sua
direzione energetica. Quella parte di inerzia, aggressività od oppressione diventa
esterna a se stesso e quindi non pervade più il cliente, non si ritorce più contro di lui
e quindi nel suo fluire da dentro a fuori diventa parte di lui. Gendlin dichiara che Il
Focusing con la sua attenzione al flusso dell’energia somatica, permette alla parte
scissa e repressa di fluire dal di dentro della persona verso l’esterno con forte
consapevolezza di ciò che sta avvenendo nel suo corpo aspettando che ciò che sta
dentro emerga piano piano. Si invita il cliente a portare l’attenzione all’interno del
suo corpo e mettere a fuoco la sensazione che si sta provando senza chiedere di
alzarsi, scambiare sedia e quindi recitare la parte scissa. ”L’accento è sull’attendere
che parole o gesti emergano dentro di sé” (ibidem, pag.220). Il terapeuta può dire al
riguardo: ”Porta l’attenzione dentro il tuo corpo e aspetta cosa succede lì”. Il gioco
di ruolo può avvenire spontaneamente partendo dal corpo. Si usa l’immaginazione
pur rimanendo al proprio posto anche se il cliente può cambiare postura, muoversi,
alzarsi in piedi. Quasi sempre il cambiamento è visibile e di frequente il ridere è una
caratteristica del flusso energetico positivo. Il gioco di ruolo permette al cliente di
muoversi nella stanza, di essere spontaneo, di srotolarsi sul pavimento o gridare.
Anche il terapeuta può lasciare la sua posizione calma e introspettiva e alzarsi e
muoversi insieme al cliente.
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viaggio affascinante” (ibidem, cap.15). Vengono fuori immagine strane, inusuali,
inattese che associate al felt sense permettono il verificarsi del cambiamento. Il
terapeuta in questa fase del processo ha un ruolo interattivo importante, aiuta il
cliente a verificare la risonanza di quella immagine emergente in quel momento con
il felt sense e se non si ha piena consonanza si invita il cliente ad aspettare che
venga fuori l’immagine più consona alla sensazione somatica.
Il terapeuta ha un ruolo importante di protezione dello stato dell’Io bambino che in
questa immaginazione è in azione, invita il cliente ad ascoltarlo a evitare di tenerlo
represso dentro di sé, come di solito si verifica nella quotidianità. È una fase delicata
e avvincente in cui si prova un senso piacevole di leggerezza e di gioia profonda
proprio per essere agevolati nel considerare il proprio bambino interiore. Gendlin
riconosce nelle immagini, anche quelle associate ai sogni, come fondamentali per il
libero fluire dell’energia somatica e afferma: “Io trovo che tale dinamismo è sempre
positivo, è sempre un graduale svolgersi verso la vita, l’interesse, la connessione e la
guarigione” (ibidem, pag.248).
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Il Super-Io o Critico interno o Cattivo Genitore
Nel Focusing.si considera importante mettere da parte quello che Freud definì il
nostro Super-Io, la nostra parte critica e giudicante che è presente dentro il cliente
teso a impedire il suo processo terapeutico. Gendlin parla di “attacchi superegoici”
che il terapeuta individua e invita il cliente a riconoscerli e a metterli da parte per
poi riprendere il contatto con la propria esperienza interna. Si tratta di una voce
interna che ci svaluta, ci fa sentire inutili e perdenti, è una voce universale che ha
“poca comprensione e nessuna compassione” (ibidem, pag.278). A volte si fa sentire
come un pugno nello stomaco o una improvvisa contrazione. Il Super-Io è
riconosciuto anche come “cattivo Genitore” in quanto ci rimanda ai richiami e
ingiunzioni che ci rivolgevano i nostri genitori, benché nella realtà il Critico Interno
sia sentito più aggressivo e distruttivo di loro. Di solito le affermazioni del Critico
interno sono sbagliate perché non considerano i vari punti di vista delle situazioni.
Mentre la terapia cognitiva cerca di confutarle a livello razionale questo approccio
esperienziale usa vari metodi per affrontarle e farle mettere da parte dal paziente.
Di fronte al Super-Io che sentiamo come un’autorità prepotente, il nostro vero sé
arretra, si contrae, si difende e si nasconde e diventiamo più deboli e con poca
energia dinamica. Le critiche del Super-Io sono semplicistiche, estremamente
ripetitive e prevedibili e non va confuso con la coscienza morale; la rabbia e la paura
sono presenti negli attacchi superegoici.
Quali metodi usare per allontanare questo fastidioso Critico interno? Occorre
trattarlo “con irriverenza”, poi non prenderlo sul serio, usando pure della sana ironia
per cacciarlo via. È opportuno svolgere anche un lavoro a lungo termine col Super-
io. Consideriamolo come la parte di noi ripiegato su se stessi, quindi occorre
ripristinare un flusso dall’interno all’esterno della nostra energia somatica,
allontanandolo da sé anche con imperativi tipo: “Basta”, “Smettila”, ”Va’ via”. Più la
persona si rafforza e più il Super-Io si rimpiccolisce. Può essere messo in scena come
un personaggio ostile, aggressivo, rabbioso, crudele, opprimente. Sotto la facciata di
Superman nasconde tanta paura, insicurezza e isterismo. È importante cogliere,
rifacendosi a Freud, lo sfondo psicosessuale che c’è dietro gli attacchi superegoici e
riconquistare il nostro lato oscuro, l’ombra come la definiva Jung.
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La centralità della relazione in psicoterapia e nel Focusing
L’interazione interpersonale è il canale terapeutico più importante ed è opportuno
chiedersi durante il processo: “Che tipo di interazione sta avvenendo?” Gendlin
afferma: ”La relazione esperita è somatica e concreta: non è ciò che si dice della
relazione. E neppure coincide con la percezione o l’opinione che ciascuno ha
dell’altro. La relazione è ogni volta l’interazione concretamente in atto”.
La prima procedura di base da mettere in pratica è: “non mettere nulla in mezzo”
tra il cliente e il terapeuta (teorie, tecniche, sentimenti, idee).
È importante riconoscere nell’altro l’esistenza di una “continuità più profonda”
anche se al momento sembra assente, essa può essere nascosta o perduta. A volte i
clienti parlano della perdita del loro vero sé, della propria parte più interna e
dichiarano di sentire un “vuoto dentro”, di aver smarrito chi sono veramente… in tal
caso una forte relazione terapeutica promuove la riscoperta di questa essenza
intima. “So che in fondo a tutto il resto ci sei tu e non ci fermeremo finché non ti
avremo trovato” (ibidem, pag.318) e occorre dirlo pacatamente senza insistere, con
gentilezza, per non spaventare il cliente. L’ascolto riflessivo, col rispecchiamento dei
sentimenti del cliente, permette un’interazione autentica, nutriente e non nociva.
Gendlin afferma che: “In terapia il rapporto (la persona lì dentro) è di primaria
importanza, l’ascolto viene al secondo posto, il focusing solo al terzo”. Non si attua
quindi un processo intrapsichico da contrapporre al rapporto interpersonale.
La Presenza
Nel processo di Focusing si punta a fare esperienza della Presenza che Ann Weiser
Cornell definisce “uno stato dell’essere” che si crea quando la nostra capacità di
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interagire non è ostacolata e il nostro sé è esperito come calmo, fiducioso, aperto,
come un flusso continuo in uno stato di benessere, radicato nel corpo (Cornell,
1996). Quando il nostro sé è in Presenza siamo in grado di agire in modo fluido, di
sentire l’intera situazione, siamo connessi con la nostra esperienza in quel
momento, con il qui ed ora, siamo in grado d’interagire liberamente con tutto ciò
che ci circonda, con l’ambiente in cui siamo. Ci sentiamo radicati nel corpo, calmi,
gentili, assertivi e curiosi, facciamo esperienza di noi stessi dall’interno (Camerlingo,
2021).
Per Gendlin la Presenza si sperimenta attraverso la “disidentificazione” che il cliente
attua rispetto a “qualcosa” di somaticamente percepito. Si realizza un sano
distanziamento che permette uno speciale rapporto di accoglienza non giudicante,
empatia ed amicizia. È una cosa sentita all’interno. È una parte con cui entriamo in
contatto, ne cogliamo il significato, ne comprendiamo gli intenti positivi e la bontà.
Si tratta di entrare in contatto con parti dentro di sé definite ”parti di costellazioni
temporanee”. Si realizza un processo evolutivo verso l’apertura al mondo, uno
sviluppo del Sé in direzione della vita. Con questo processo di disidentificazione si
produce un cambiamento importante in quanto quel qualcosa che sentiamo dentro
di noi porta un contenuto di evitamento della vita, una ”inibizione patologica” che
porta con sé “rifiuto rabbioso della vita”, una sensazione profonda di blocco, di
ferita, di risentimento e di ostilità alla vita.
Con il Focusing essa si evolve in un impulso amorevole.
Ciò accade in quanto il focuser, quando avverte dentro di sé questo qualcosa che lo
blocca, anziché opporsi l’accoglie, le dà spazio, le permette di esprimersi. Ciò
rappresenta un approccio diverso rispetto a quello avuto nel passato di fronte alla
parte negativa dentro di noi, il darle il permesso di sentirla fisicamente, di farsi
avanti accogliendola, di restare lì, di farsi conoscere meglio e lasciare che si apra per
rivelarle i significati che contiene.
Anne Cornwell e Barbara Mc Gavin (2005) hanno definito questa forma d’intervento
Linguaggio della Presenza in quanto il fine della disidentificazione è quello di
favorire la connessione con la presenza, cioè una sana consapevole identificazione
con la parte di noi in grado di riconoscere senza giudicare e di accogliere
sinceramente il felt sense. Le Autrici parlano di Sé in presenza, altri parlano di
Inside/out (come fuori così dentro e viceversa). Il fondamento del Linguaggio della
Presenza o della Disidentificazione è come ci si rapporta con quello che c’è, e ciò
procura il vero cambiamento per la teoria attualizzante di Carl Rogers di cui Gendlin
è stato allievo e seguace. Si favorisce così il Carrying forward ossia il “portare avanti”
che si verifica quando “qualcosa in noi viene ascoltato completamente” (Cornwell,
1994). Quasi sempre tutto ciò che la nostra interiorità desidera è essere ascoltata in
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uno stato di Presenza con tutto ciò che sta provando. Cornwell afferma che il “fare”
qualcosa rallenta il verificarsi del “passo in avanti” perché il fare non viene dalla
Presenza ma da un’altra parte di noi spesso spinta dall’urgenza interna di fare
qualcosa. Dobbiamo riconoscerla, non agirla, c’è un agire che viene dal Sé in
Presenza, fluisce, scorre, è efficace, trasformativo. Il problema è che c’è un’altra
parte che cerca di passare all’azione spinta dalla paura di sentire qualcosa. Ciò porta
alla polarizzazione e genera resistenza. Il “blocco interiore” quasi sempre è
l’interazione di due parti contrapposte. Se ci identifichiamo con una delle due parti
si crea il conflitto e la divisione interna. La parte che si oppone viene esiliata via e
nessuna ottiene l’attenzione di cui ha bisogno per andare avanti. Il Sé in presenza ha
alcune qualità quali: essere gentili, compassionevoli, forti, connessi, creativi.
Come possiamo coltivare il Sé in presenza? Camerlingo (2021) così suggerisce:
- radicarci bene nel corpo nel qui ed ora;
- utilizzare il Linguaggio della Presenza;
- disidentificarci dai sé parziali (appoggiando delicatamente le mani
sulle zone corrispondenti alle parti);
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- permette l’autorealizzazione;
Il Focusing e la spiritualità
“Proprio come una candela non può bruciare senza fuoco, non possiamo vivere senza
un impulso spirituale” (Buddha)
Cos’è la spiritualità?
Oltre le varie immagini e i vari pensieri che può evocare questo termine, invito a
considerare per spiritualità una dimensione transpersonale dell’individuo che
comprende una visione unitaria della vita, del mondo, un significato del nostro
essere e del nostro divenire nella storia.
La spiritualità è molto semplicemente la sensazione di far parte di qualcosa di più
grande e di eterno rispetto a noi stessi ed a ciò che è la materia.
La spiritualità ha radici nella consapevolezza che si ha di chi si è, di dove siamo e da
dove veniamo e verso dove stiamo muovendoci; è la consapevolezza che siamo
connessi con qualcosa più grande di noi.
Non è necessario essere religiosi per essere spirituali… anche gli atei sono spirituali
quando si mettono a guardare un tramonto in riva al mare… o un cielo pieno di
stelle… (Iozzi, 2018). In pratica, afferma Leo Buscaglia (2020): “il fatto che io possa
piantare un seme e che diventi un fiore, condividere un po' di conoscenza e
diventare un altro, sorridere a qualcuno e ricevere un sorriso in cambio, sono
continui esercizi spirituali”.
Cosa possiamo fare per aumentare la consapevolezza? È pensare a ciò che stiamo
facendo nel momento presente che ci fa connettere con noi stessi e con l’universo.
Occorre vivere intensamente nel qui ed ora, consapevoli di quello che stiamo
facendo, ciò ci rende pieni, soddisfatti.
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Attraverso la pratica del Focusing si apprende:
- ad entrare in contatto col proprio spazio interno;
-
- a dialogare con se stessi in maniera serena distinguendo le varie parti di sé
favorendone l’armonia;
- il Focusing,
- la ludoterapia,
La Mindfulness è una pratica fondata dal biologo statunitense Kabat- Zinn che si è
ispirato alla meditazione del buddismo Zen, elaborando una tecnica che promuove il
vivere nel momento presente in uno stato di piena consapevolezza.
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Professore emerito in Medicina ha fondato la Stress Reduction Clinic presso
l’Università del Massachusetts Medical School e il corso, in otto settimane, chiamato
MBSR: Mindfulness Based Stress Reduction.
La parola inglese mind-ful-ness è il risultato dei seguenti termini:
mind che significa mente
ful che indica pienezza
ness che indica lo stato di, la qualità di.
Mindfulness significa “stato dell’essere immerso nella qualità di cui è piena la
mente”, ”stato di piena presenza alla mente” ed essere mindful significa possedere
l’abito esistenziale di chi pratica la meditazione di consapevolezza. Si sperimenta la
mindfulness quando si abbraccia pienamente tutto ciò che si fa o che ci accade, si è
freschi, stabili, quieti e liberi, in ogni momento.
La Mindfulness non è una condizione mistica o di trance, né una tecnica di
rilassamento; si crea una dimensione di osservazione della propria esperienza
(cognitiva, emozionale e sensoriale) che può valorizzare anche la dimensione
spirituale, ovvero “che non appartiene alla mente, al pensiero, al corpo o
all’emozione, ma è beatamente priva di coordinate spaziali e temporali e
magnificamente immersa nell’esperienza dell’adesso” (pag.27-28).
È un’esperienza che trascende il pensiero e i suoi schematismi. L’osservazione è lo
strumento fondamentale a cui si aggiungono: accettazione, pazienza, perdono,
tolleranza, resilienza, pronto soccorso emotivo.
La Mindfulness è una pratica della terapia cognitiva-comportamentale e pertanto va
considerata una “facoltà cognitiva” che permette di assorbire intenzionalmente
“l’attenzione al momento presente, in maniera libera da condizionamenti passati o
da anticipazioni del futuro” (pag.28). Vi è un sottofondo di silenzio interiore e di
presenza vigile ed equanime al cospetto del proprio flusso di coscienza, un flusso
simile a quello del sangue nelle vene e arterie del corpo o quello dell’aria nei
polmoni. È un “sano stato dissociativo di coscienza” che permette a se stessi di
essere vigili al cospetto del cicaleccio o chiacchiericcio in cui la mente si trova
immersa quotidianamente. Si tratta di coltivare così “la saggezza della vita” che ci
rende aperti alla sorpresa e al dono del momento presente sempre unico,
imprevedibile, irripetibile (pag.29).
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Fig.7 - Obiettivi della Mindfulness
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- intervento neuro-modulato da citochine e altri neuromodulatori e
glucocorticoidi sull’asse ipofisario (prevenzione delle recidive della
depressione);
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Effetti benefici della pratica della Mindfulness: l’esistenza
- è più ancorata al qui ed ora;
- è meno reattiva e più responsabile (nel senso letterale di essere più abile
nel rispondere) di fronte agli stimoli interni ed esterni, relazionali,
sensoriali, cognitivi ed emozionali.
C. G. Jung afferma: “La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel
vostro cuore. Chi guarda all’esterno sogna; chi guarda all’interno apre gli occhi”.
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L’ Heartfulness è considerata da McKanzie “l’anello mancante fra i grandi e sono
grandemente fraintesi i sistemi di conoscenza della vita, come la psicologia, la
filosofia e la religione”.
L’ Heartfulness è la connessione vivente con:
- la psicologia di auto-realizzazione (Maslow, 1971);
- il buddhismo che insegna a essere illuminati;
- il cristianesimo che afferma che il regno di Dio è dentro di noi;
- la filosofia dei Vedanta, cioè “noi non siamo due”;
- l’insegnamento Yoga su connessione tra mente-corpo-spirito;
- l’andare con il flusso di Lao Tzu;
- la filosofia socratica del “Conosci te stesso” e “So di non sapere”;
- la via della consapevolezza proposta dalla Mindfulness che non
giudica e accetta le sensazioni del corpo.
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Tecchio (2020) propone la seguente definizione di Focusing: “ una speciale pratica di
mindfulness orientata al felt sense”.
Gendlin non parla mai di Mindfulness, mentre Ann Weiser Cornell e Barbara
McGavin (2015) nel loro approccio Inner Relationship Focusing ne raccomandano
esplicitamente la pratica per coltivare il Sé in presenza, il fattore che considerano
primario del processo di Focusing. Per le autrici la presenza è “lo stato dell’essere”
che implica necessariamente lo stato mentale della Mindfulness, che per altri autori
si identificano.
Robert Lee, nel suo Domain Focusing, parla della Self Empaty (ascolto empatico di
sé) come atteggiamento necessario nel Focusing e che si ritrova pure nella
Mindfulness (Self Empaty e Self in Presence si identificano) (Tecchio, 2021). Un altro
cultore di questa pratica (in British Focusing Association), Rob Foxcropt considera
l’empatia fondamento del Focusing in quanto essenza della nostra umanità (Tecchio,
2021). David Rome ha fondato l’approccio Mindful Focusing in cui unisce le pratiche
contemplative buddhiste alla metodologia del Focusing (2020,
www.masterfocusing.com, visitato il 4/05/2022). Gordon Adam, altro esponente di
spicco del British Focusing Association, considera il Focusing come “pratica di body
mindfulness con un partner” (2019, www.focusing.org, 2/19, visitato il 4/05/2022).
Salvador Moreno Lopez, psicoterapeuta e Focusing Coordinator TIFI ha scritto
“Focusing, Mindfulness and mindfulness-based cognitive therapy” (2014, in Folio,
vol.25, n.1, 99-110). Laury Rappaport, Psicoterapeuta e Focusing Coordinator TIFI ha
elaborato un approccio in cui la Mindfulness si integra con l’arteterapia: ”Integrating
Focusing with the Espressive Arts Therapies and Mindfulness”(2014).
“Il trauma è personale. Anche se viene negato, esso non scompare. Quando è
ignorato o negato, le grida silenziose continuano interiormente e vengono sentite
solo da chi ne è prigioniero. Quando qualcuno entra in quel dolore e sente le urla, la
guarigione può iniziare”.
(Danielle Bernock)
2) Image: ossia le impressioni dei cinque sensi esterni: vista, gusto, udito, olfatto,
tatto.
3) Behavior: sono comportamenti che il terapeuta può osservare direttamente;
gesti, mimica facciale, movimenti, postura, segnali autonomi dal sistema cardio
vascolare e respiratorio, comportamenti viscerali e archetipici (ossia gesti
involontari e posture che hanno un significato universale).
4) Affect: sono le emozioni e il felt sense o sensazioni sentite cui Levine dà grande
rilevanza nel suo metodo di trattamento dei traumi, sensazioni di base che ci
accompagnano nell’arco della giornata.
5) Meaning: sono le etichette che si assegnano agli avvenimenti, sono le credenze
fisse circa le esperienze traumatiche.
Levine parte dal presupposto che il trauma travolge il sistema nervoso e deve essere
affrontato partendo dal corpo per prevenirne l’elaborazione emotiva.
I sintomi traumatici non sono provocati dall’evento pericoloso in sé bensì dal fatto
che l’energia viene trattenuta a livello del sistema nervoso con conseguenze a carico
del corpo (somatizzazioni varie) e della mente (ansia, depressione, dissociazione,
disturbi di personalità).
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I traumi emotivi sono come ferite che possono guarire per un processo biologico e
fisiologico di autoguarigione insito negli animali e quindi anche nelle persone
essendo noi “animali umani”.
(Levine, 2021): “La guarigione del trauma è un processo naturale a cui si può
accedere tramite una coscienza interiore del corpo”.
Contrariamente a quello che si crede dal trauma si può guarire e non occorrono
lunghissime terapie come si faceva anni fa con la psicanalisi che va a scavare nei
ricorsi del passato, nel “lì ed allora”; Levine propone di “stare nel Presente”, nel qui
ed ora a contatto con il proprio corpo, con il felt sense, con le emozioni del
momento.
“Il passato non conta quando impariamo ad essere presenti; ogni istante diventa
nuovo e creativo. Dobbiamo solo curare i nostri sintomi e andare avanti” (ibidem,
pag.54).
“Non è un caso che le persone che sono più in contatto con il loro sé naturale
tendano a cavarsela meglio quando subiscono un trauma. Senza un facile accesso
alle risorse di questo sé istintivo e primitivo, gli esseri umani alienano il proprio
corpo dalla propria anima. Esistere in un limbo in cui non siamo né animali né
pienamente umani può causare un gran numero di problemi, di cui uno è l’essere
soggetti al trauma” (ibidem, pag.56).
A questo riguardo cito la mia esperienza.
Finché ho vissuto in una sorta di limbo esistenziale, ovattando le mie vicende
dolorose con la bambagia di una spiritualità disincarnata anche se autentica, ho
subìto un’esistenza che è andata avanti per anni carica di blocchi emotivi tremendi,
ferite profonde che si facevano sentire forti facendomi stare dentro una sensazione
di fondo di tristezza che si è andata evolvendo in disturbo depressivo con cui ora
convivo, più alleggerita da un approccio psicofarmacologico oltre che da una
spiritualità più matura perché incarnata in una personalità in via di guarigione,
amante di introspezione e di connessione con l’Essere Supremo, con gli altri e con il
mondo in cui sto.
Il felt sense è il mezzo con cui sperimentiamo la globalità delle sensazioni corporee,
per Levine il felt sense è l’equivalente dello scudo di Perseo con cui l’eroe è riuscito
a uccidere la Gorgone Medusa evitando di guardarla, mito a cui lo studioso si ispira
per spiegare il modo per abbattere ciò che ci crea immobilismo, che ci irrigidisce
come pietre, il trauma appunto.
41
Il felt sense è un procedimento di astuzia psicologica, dunque, che porta con sé “la
lucidità, la forza istintiva e la fluidità necessarie a trasformate il trauma” (ibidem,
pag.82), include un complesso assortimento di sfumature in continuo mutamento
ed è come un fiume che scorre, si muove e si trasforma di continuo portando le
nostre esperienze a livello di “consapevolezza cosciente”.
“Lasciate che il corpo parli a modo suo”: così Levine dà risalto al valore del felt sense
che aiuta ad avere i piedi per terra, più a proprio agio nel nostro corpo, donandoci
più senso di equilibrio e coordinazione; ciò migliora la memoria, aumenta la nostra
creatività, ci offre pace, benessere, connessione e l’esperienza del vero sé.
Levine invita a pensare al felt sense come uno strumento che ci aiuta a considerarci
come un organismo complesso, sia biologico che spirituale.
Il felt sense è semplice ed elegante, fatto di consapevolezza e di sensazioni, più
potente dei computer più sofisticati.
Tramite il processo di focusing si riesce a passare dall’immobilismo e rigidità che il
trauma ha causato nell’organismo umano, all’attivazione energetica e alla successiva
trasformazione.
L’immobilismo, come l’attacco e la fuga, rappresenta la risposta alla minaccia di
pericolo e determina uno stato cronico di paralisi psichica fonte di varie malattie
psicosomatiche anche molto gravi che interessano i vari apparati compreso il
sistema nervoso e la psiche.
La paura e la rigidità creano un circolo vizioso infernale che occorre sciogliere per
uscire dal trauma e, per questo, è necessario compiere una “Rinegoziazione”
graduale e delicata (ibidem, pag.130) attraverso quella che Levine presenta come
Somatic Experiencing.
Si tratta di un percorso di recupero e riscoperta che la persona fa delle proprie
risorse rimaste per tanto tempo congelate nell’immobilismo da paura e che piano
piano rivengono in luce grazie ad un lavoro col felt sense che ci fa entrare in
contatto con l’energia insita dentro di noi che riprende ad attivarsi e a promuovere
la trasformazione e la guarigione.
Ripeto, è un processo delicato e graduale che va per tappe, che esige pazienza e
rispetto dei tempi di ognuno. È un percorso in cui il contatto con le proprie
sensazioni somatiche nel qui ed ora riattiva l’energia interna, fa creare immagini che
aiutano l’attivazione e la fuoriuscita dal blocco traumatico.
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Si tratta di una strategia esperienziale efficace in cui il felt sense è lo strumento
prezioso per sganciare la paura dalla rigidità, per riacquistare quell’energia perduta,
per rimettersi in piedi e andare avanti con una “sana aggressività”, con padronanza
di sé e con il possesso di tecniche efficaci per affrontare la minaccia con fiducia di
potercela fare.
Levine ripete più volte il paragone con le ferite dei corpi animali che guariscono da
sole per un processo di autorigenerazione del tessuto che ha subito il danno fisico, e
così è per le ferite della nostra psiche che guariscono da sole aiutandole in un
processo di rigenerazione assistita attraverso il felt sense.
La bella notizia, dunque, è che dal trauma si può guarire perché avviene una
graduale trasformazione del sistema nervoso in cui si scongela l’energia rimasta
imprigionata e riprende a circolare attraverso il corpo donando pace, armonia,
benessere.
È un processo esperienziale centrato sull’attenzione a quello che si sente nel corpo e
a questo occorre educarsi; ci si concentra sul ritmo di espansione e contrazione che
sperimentiamo esistere a vari livelli nei nostri apparati (cuore, polmoni); col felt
sense si restituisce consapevolezza di questi ritmi fisiologici che ci danno vitalità e
benessere.
Che ruolo hanno i ricordi in questo processo di guarigione?
Levine ha curato molti pazienti provenienti da precedenti terapie di tipo analitico
che non manifestavano stato di calma ed equilibrio in quanto la loro terapia era
stata un rimmergersi nel passato in cui rimanevano incastrati. Ha studiato allora un
metodo che senza andare a lavorare sulle memorie passate permettesse alla
memoria “implicita”, quella fissata nel corpo e spesso inconscia, di emergere in
maniera delicata e senza sopraffare.
Nel suo libro Traumi e shock emotivi Levine usa l’immagine della tigre che si muove
e che assale la preda per spiegare cosa accade dentro di noi dopo l’immobilismo
generato dal trauma.
Si sperimenta una scarica di energia che ci fa entrare in uno stato di fuga attiva ed
efficace, come se ci fosse una tigre dentro di noi, entrando in contatto col nostro sé
istintivo e reattivo.
Per curare il trauma, liberandoci dalle nostre paure e dai sintomi che ne derivano,
occorre ridestare le nostre profonde risorse fisiologiche e utilizzarle consciamente
(ibidem, pag.45). “Se continuiamo a ignorare il nostro potere di cambiare il corso
delle nostre reazioni istintive, in modo proattivo piuttosto che reattivo, resteremo
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imprigionati e non potremo smettere di soffrire”… ”Tutti noi disponiamo della
capacità innata di curare i nostri traumi”.
Un trauma non risolto ci rende eterne vittime o clienti di un terapeuta, rimanendo
impigliati in atteggiamenti di inibizione o di eccessiva prudenza, schiavi di circoli
sempre più stretti e soverchianti. I traumi possono così distruggere le nostre
relazioni e perfino incidere negativamente nella nostra esperienza sessuale.
All’origine di comportamenti compulsivi, perversi, promiscui e inibiti ci sono forti
traumi irrisolti.
Il trauma non è una condanna a vita, occorre esplorare il nostro mondo di risposte
biologiche attraverso un percorso graduale e lento che richiede tempo ed è
comunque efficace; si tratta di entrare a vivere come in una ‘’strana nuova terra”.
Il mondo delle nostre origini primordiali che ci accomunano ai rettili, è un mondo
ancora molto vivo dentro di noi e sede di risorse personali preziose.
La tecnologia ci ha allontanato dal contatto con il mondo della natura creando
ostacoli al superamento delle difficoltà della vita e rendendoci delle persone
traumatizzate senza via di scampo. Il segreto di guarigione è invece nel riprendere
contatto con la nostra parte di animali umani, con le nostre reazioni istintive e
profonde che appartengono al nostro cervello rettiliano, secondo la concezione del
Cervello Trino di Mc Lean.
Si tratta di piani d’azione innati, usati sia dagli animali che dagli uomini come
modalità di sopravvivenza.
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Guardando gli animali impariamo da loro il modo per sopravvivere ai traumi e
troviamo la via verso la guarigione evitando l’insorgenza di sintomi cronici (sindrome
post-traumatica).
Per Levine all’origine del trauma c’è spesso lo stato d’irrigidimento e immobilismo in
cui si arriva di fronte ad una minaccia, come un animale di fronte all’assalto del
predatore.
Da un’ accurata osservazione di quello che accade negli animali si può notare che,
dopo la paralisi della “finta morte”, essi si riattivano e scappano dimenticando
l’accaduto e ritornando alla loro vita normale. Così non capita a noi uomini che ci
trasciniamo dietro gli strascichi di incontri ed esperienze minacciose che possono
generare traumi psichici cronici da cui è molto difficile tirarsi fuori. Ciò a causa della
neocortex che immagazzina e rielabora i ricordi, crea ipercontrollo e genera paura e
terrore. La rabbia implosa anziché scaricata all’esterno, con la fuga o l’attacco,
genera depressione ansiosa e vari sintomi post traumatici. A causa del nostro
cervello altamente sviluppato restiamo avvinghiati dentro la spirale della paura e
dell’immobilismo e il processo di abbandono di questo stato di rigidità si complica e
si genera un accumulo di energia congelata.
L’anoressia, l’insonnia, l’iperattività, la promiscuità, la depressione, sono solo alcune
conseguenze di questo processo patologico di blocco energetico.
Il lavoro psicoterapeutico proposto da Levine attraverso il suo metodo, punta a
recuperare la dimensione sensoriale profonda al cui livello si è stati toccati dalla
minaccia e da lì ci si può sbloccare riacquistando vitalità e forza.
“Gli animali selvatici ci forniscono uno standard di salute e vigore e ci aiutano anche
a comprendere il processo biologico di guarigione. Ci offrono un’idea preziosa di
come potremmo funzionare se le nostre reazioni fossero puramente istintive. Gli
animali sono i nostri maestri mentre ci illustrano l’equilibrio della natura… La
capacità animale di riprendersi dalla minaccia può servire da modello per l’uomo.
Dobbiamo prestare attenzione alla nostra natura umana per trovare le strategie
istintive necessarie a liberarci dagli effetti debilitanti del trauma” (ibidem, pag.112).
Il metodo Somatic Experiencing ci permette, attraverso il felt sense, di rivivere
esperienze di gioia, di istintiva vitalità e ciò favorisce l’abbandono della condizione di
paralisi e di irrigidimento generato dal trauma.
Attraverso il contatto col felt sense si scoprono gemme preziose che riemergono dal
nostro inconscio, gemme rimaste nascoste per anni, da quando abbiamo vissuto
l’immobilismo da paura.
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Il metodo di Levine permette un viaggio mitico, poetico ed eroico, una
rinegoziazione graduale a piccoli passi dei nostri traumi infantili. Il felt sense è il
veicolo usato per questo viaggio per entrare in contatto e mobilitare le potenti
energie contenute nei sintomi traumatici.
È importante comprendere che la guarigione dal trauma richiede tempo, si
attraversano momenti drammatici e intensi e altri spesso banali, alternati a
momenti spesso faticosi e noiosi, altri vivaci e creativi. È un processo per trovare in
noi stessi il modo per uscire dall’immobilità senza esserne sopraffatti.
La condensazione in una immagine è una tappa importante nel processo di
guarigione come pure ritrovare le proprie radici familiari e ambientali, di quando
eravamo piccoli.
Ritrovare la propria aggressività come se si risvegliasse la tigre dentro di noi è anche
fondamentale per superare lo stato di irrigidimento e di paura.
Altri elementi fondamentali sono il recupero del proprio potere assertivo e la
padronanza nell’affrontare la minaccia.
In questo processo è fondamentale il radicamento e possedere una certa elasticità.
È opportuno considerare, con Levine, il nucleo della reazione traumatica che
consiste di 4 componenti:
1) Iperattivazione,
2) contrazione,
3) dissociazione,
4) immobilità associata a senso d’impotenza.
C’è una nota frase di Woody Allen che esprime bene cos’è la dissociazione: “non ho
paura della morte ma quando arriva preferirei non esserci”, nel senso che quando
arriva una minaccia la dissociazione ci protegge dal dolore della morte.
Nelle sue forme più lievi essa si manifesta come mancanza di connessione .
Essa è una modalità per sopportare delle esperienze al momento insopportabili e
diventa cronica e persiste nel tempo quando l’energia accumulata durante
l’iperattivazione non si scarica.
Nei casi estremi la dissociazione porta alla sindrome delle personalità multiple.
Le persone che sono state ripetutamente traumatizzate da piccole spesso adottano
la dissociazione come modalità preferenziale di stare al mondo. Si dissociano
prontamente e abitualmente senza averne coscienza.
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Ciò dipende dalla genetica e dalla struttura di personalità di ognuno.
Tra i sintomi più comuni consideriamo:
- la smemoratezza
- la disconnessione,
- la negazione di un evento accaduto realmente,
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negli animali selvatici, nei quali l'attivazione viene spesso scaricata correndo,
lottando o con altri comportamenti attivi” (ibidem, pag.201).
Ciò che permette noi uomini di differenziarci dagli animali nel processo di guarigione
dal trauma e di conseguire quindi la sua “rinegoziazione”, è la nostra capacità di
consapevolezza di quello che sta accadendo come sensazioni e percezioni corporee
cioè attraverso il nostro felt sense che permette un lieve e potente scarico
energetico altrettanto efficace dell’azione usata dagli animali.
Il trauma agisce nel nostro corpo e quindi è lì che occorre approfondire, per guarire,
questo processo di consapevolizzazione delle nostre profonde esperienze interne.
Nel nostro corpo ci sono tutte le informazioni necessarie circa i nostri blocchi e col
felt sense possiamo lavorare gradualmente a piccoli passi per far emergere le parti
del nostro Sé frammentate dal trauma e ricomporle e integrarle conducendoci ad
un’autentica trasformazione.
Guarire dal trauma produce, dunque, una profonda metamorfosi, un cambiamento
radicale, il passaggio dalla notte al giorno, dalla paura alla serenità, dalla tempesta
alla quiete.
Questo avviene per Levine attraverso il lavoro con il felt sense.
Ogni trauma diventa occasione di una grande trasformazione.
È come noi reagiamo al trauma che lo rende punitivo e crudele come la Gorgone
Medusa della mitologia greca che trasforma in pietre chi si incontra col suo sguardo
o come i maestri spirituali saggi e carichi di vitalità che ci conducono verso spazi
inesplorati.
“Il trauma risolto è una potente benedizione” afferma Levine per cui l’espansione
domina sulla contrazione, la fluidità dell’esistenza domina sulla rigidità della paura.
Mi piace e condivido la conclusione di Levine riguardo il frutto della rinegoziazione
del trauma: si guarda il mondo da una prospettiva superiore.
Egli afferma: “Devo confessare che i miracoli della guarigione a cui ho assistito
rendono difficile la negazione di una forma superiore di ordine e di saggezza”.
Le persone che hanno superato i traumi riconoscono nella loro vita due dimensioni:
quella animale e quella spirituale. In esse c’è più spontaneità nel vivere e
percepiscono gioia.
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“Quando il trauma viene trasformato, uno dei doni della guarigione è costituito da
un rispetto e un timore reverenziale fanciullesco nei confronti della vita!” (ibidem,
pag.233).
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Il trauma psichico è alla base delle malattie, anche in una prospettiva
transgenerazionale per quanto riguardano le patologie genetiche, sia quelle note
che quelle rare. Di questo sono fermamente convinta da vari anni e perciò desidero
dedicarmi alla conoscenza di questo settore della psicoterapia e alla cura di chi ne è
vittima.
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frammentazione del sé è una forma si sopravvivenza ingegnosa e adattiva, una vera
e propria strategia anche se costosa. Per assicurarsi di tenere alla larga il bambino
“non me” occorre che, molto tempo dopo gli eventi traumatici, gli individui
continuino ad affidarsi alla dissociazione, al diniego e all’odio per se stessi per
rafforzare la disconnessione (ibidem, pag.27).
La sopravvivenza porta a disconoscere le parti più vulnerabili di sé e questo li porta a
rendersi falsi, soggetto di frode verso se stessi, persone che recitano, che fanno
finta.
Ne deriva senso di vergogna, insicurezza e risentimento.
Il trauma, quindi, continua a logorare la vittima pure in età adulta anche se può
predominare la parte che continua a procedere come se nulla fosse successo,
attraverso un buon apprendimento scolastico, una buona affermazione nel mondo
del lavoro, raggiungendo pure importanti traguardi di successo. Comunque, la parte
“cattiva” crea ricordi traumatici intrusivi ed emotivamente forti e in alcuni casi
soverchianti fatti di immagini, emozioni e reazioni fisiche disturbanti. La Fisher
definisce tutto ciò come “eredità viva del passato” (ibidem, pag.28).
È importante far riconoscere al cliente il ruolo positivo di questa frammentazione
del sé come strategia di sopravvivenza, com’è fondamentale aiutarlo a saper
riconoscere i segni delle parti strutturalmente dissociate guidate dalle risposte di
attacco, fuga, congelamento, sottomissione o grido d’aiuto.
Alcune persone hanno una frammentazione più sottile permeabile, altre più
drammatica e rigida, alcuni clienti appaiono ansiosi, altri depressi; i pazienti con
disturbo borderline passano da fasi in cui sono remissivi e dipendenti a fasi di rabbia,
aggressività e freddezza.
I pazienti con DID (disturbo dissociativo dell’identità) hanno in genere più parti
connesse al trauma, altre sotto-parti al servizio di una vita che va avanti
normalmente, un sé professionale, un sé genitoriale, un sé con particolari talenti o
abilità sociali.
Generalmente, mentre la parte “vita normale” va avanti, le altre parti al servizio
delle difese continuano ad attivarsi in risposta a stimoli connessi al trauma
producendo ipervigilanza, ansia, depressione, emozioni soverchianti, mancanza di
fiducia e speranza. Si hanno così comportamenti paradossali e ambivalenti, sintomi
somatici, amnesie, vuoti di memoria di eventi passati, comportamenti regressivi con
caratteristiche infantili, indecisioni e comportamenti auto sabotanti, pattern di
comportamento autodistruttivo e di dipendenze patologiche.
53
Come aiutare questi pazienti traumatizzati? Anzitutto è bene partire da una psico
educazione riguardo le origini della frammentazione del proprio sé e riguardo alle
conseguenze di ciò. È utile suscitare curiosità e stimolarli alla consapevolezza. È
importante poi portarli dal “lì ed allora” al “qui ed ora” attraverso un percorso di
Mindfulness che promuove l’attenzione alle sensazioni e alle emozioni del momento
presente.
Il passato esiste, non va rifiutato o negato bensì accolto, riconosciuto rimanendo nel
presente!
Il passato ed il presente vanno integrati a poco a poco, e ciò richiede un percorso a
volte lungo e laborioso sia per il cliente che per il terapeuta.
Il passato non va solo ricordato bensì occorre compiere un percorso di
trasformazione e ricostruzione della memoria traumatica, per cui si torna all’evento
traumatico senza subirne le conseguenze dolorose e soverchianti e questo avviene
avendo sviluppato un forte senso della realtà nel qui ed ora, si inserisce l’evento nel
giusto contesto, si sviluppa un livello di tolleranza rispetto agli stati generati da
stimoli scatenanti. Come afferma Van der Kolk (1995, pag.2): “L’obiettivo della
terapia è trovare un modo in cui le persone possano prendere atto della realtà di
quel che è successo, senza dover esperire di nuovo il trauma”.
La Fisher propone, quindi, che il terapeuta non eviti di affrontare col cliente il
trauma per compassione in quanto così i risultati sono molto limitati nel tempo,
mentre occorre promuovere con delicatezza e con le opportune strategie, un
percorso di attivazione della corteccia prefrontale che è stata inibita dalla sofferenza
sperimentata col trauma avendo una iperattivazione dell’amigdala dell’emisfero
destro, utilizzando la “consapevolezza duale”, cioè avere la coscienza della piena
esperienza sensoriale ed emozionale nel qui ed ora e nel contempo, stare al di sopra
senza lasciarsi coinvolgere (uso della consapevolezza secondo la Mindfulness);
mentre la percezione visiva esplora la stanza in cui si sta seduti, si permette che
un’immagine del passato emerga riportandoci indietro nel tempo.
Così si diventa più connessi e più integrati nelle parti.
Il terapeuta deve accompagnare il cliente a prendere coscienza del passato senza
entrarci dentro bensì tenendosi ad un livello di osservazione permettendo un
maggior grado di tolleranza dell’esperienza.
Fisher propone un terapeuta “neuro biologicamente competente” e ciò è favorito
dall’approccio della psicoterapia sensomotoria che tratterò in seguito. Si deve
comportare come un insegnante (che dà informazioni riguardo ai sintomi, alla
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disregolazione del sistema nervoso autonomo ed alla frammentazione delle parti del
sé ed una “corteccia ausiliare”) per cui il cliente viene rassicurato che c’è una logica
nelle sue azioni e reazioni (logica del trauma). Il terapeuta deve essere un regolatore
neurobiologico che aumenta la finestra di tolleranza del cliente uscendo dagli stati
estremi di iper e ipoarousal, ed attiva i lobi frontali attraverso la psico educazione e
la pratica della Mindfulness. Per promuovere la composizione delle parti del sé
divise è importante che il terapeuta usi procedure della terapia sensomotoria che
mira a lavorare sull’esperienza corporea del cliente .
Utile poi, per un percorso terapeutico efficace, è prendere come riferimento il
modello della dissociazione strutturale di Von der Hart (2016) che considera 2 parti:
1) parte che va avanti con la vita normale;
2) parte della personalità connessa al trauma con varie strategie difensive:
- parte attacco (vigilanza con rabbia, giudizio, controllo,
autodistruttività, tendenze suicide);
- parte fuga (evasione: incapacità d’impegnarsi, dipendenza da
sostanze, disturbi alimentari, ambivalenza, distanza);
- parte congelamento (paura: circospezione, attacchi di panico,
fobie);
- parte sottomissione (vergogna: depressione, odio per se stessi,
passività, accudimento, autosacrificio);
- parte grido d’aiuto (attaccamento: stato di bisogno, disperazione,
bisogno di avere qualcuno da cui essere salvati, con cui essere
connessi.
È importante promuovere la curiosità verso se stessi e queste parti, imparare
l’osservazione dei propri pensieri disfunzionali, di emozioni soverchianti, di
sensazioni viscerali e propriocettive, “utilizzare la mindfulness per osservare il
paesaggio interno” (ibidem, pag.96.).
Inoltre, occorre invitare il paziente ad avviare un rapporto di “amicizia” con le sue
parti e c’è la terza generazione della terapia cognitivo-comportamentale che punta
proprio a questo atteggiamento di de-fusione e accettazione, sul vivere la
Mindfulness, sul qui ed ora, la cosiddetta ACT, acronimo di Acceptance and
Commitment Therapy, maturando uno stato di meta-consapevolezza
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BOX d’approfondimento - Fare ACT ( Acceptance & Commitment Therapy)
da Harris (2020)
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2) Defusione cognitiva che significa creare una distanza tra sé e i propri pensieri,
tra sé e le emozioni, tra sé e i ricordi per non farsi pervadere da essi.
6) Impegno
Si usano strategie per orientare la persona all’azione per raggiungere i suoi
obiettivi ancorati ai propri valori.
Fig.12- L’Hesaflex
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Accettazione, defusione cognitiva, sé come contesto e contatto col momento
presente, costituiscono i processi di mindfulness e accettazione; mentre l’aggregato
composto da sé come contesto, contatto col momento presente, valori e impegno
costituiscono i processi di impegno e cambiamento comportamentale. Questo
modello rappresenta un modello comportamentale fisiologico umano che non
considera i deficit cognitivi e i blocchi psicopatologici bensì il normale
funzionamento della persona. Di qui la flessibilità che lo caratterizza.
Nell’ACT la Mindfulness viene considerata come pratica per promuovere dei
processi psicologici e si affianca ad altri metodi e strategie come l’uso di metafore, le
analogie, i paradossi, gli esercizi esperienziali, le esposizioni in vivo.
Nell’ACT l’accettazione è una forma di consapevolezza che pone i nostri valori sopra
paure e difficoltà esistenziali. Per l’ACT vivere in accordo coi propri valori è l’atto più
terapeutico che esiste e l’obiettivo di un bravo psicoterapeuta. L’impegno rende il
percorso secondo l’ACT di tipo comportamentale, si orienta il cliente ad azioni
coerenti ai propri valori. È importante promuovere l’abbandono del controllo delle
situazioni dolorose in quanto solo così si evita la frustrazione e il reiterarsi della
sofferenza esistenziale. Il controllo coincide con la rigidità psicologica e genera
psicopatologia insieme alla fusione cognitiva intesa come dominanza disfunzionale
del comportamento attraverso i pensieri e le verbalizzazioni.
La Fisher propone quattro domande per fare amicizia con le parti cosicché possano
sentirsi accolte e ascoltate.
Propone anche la tecnica della “Meditazione a cerchio” in cui si invita il cliente a
esercitarsi ogni giorno ad immaginare un cerchio che dia spazio ad ogni parte e poi
aspetta in silenzio osservando l’arrivo di ciascuna parte ed il posizionamento di
questa al suo interno.
Sono tutte esperienze riparative per le parti ferite e contribuiscono ad accrescere il
senso di sicurezza interna.
È una tecnica strutturata che agevola quei clienti maggiormente disregolati che non
riescono a impegnarsi in un dialogo interiore compassionevole, clienti fobici con
parti spaventate da stimoli quotidiani.
Finalità di questi esercizi è risanare uno stato d’attaccamento interno rendendolo
sicuro. È adatto per DID, per persone borderline e con PTSD.
La prospettiva neurobiologica sottolinea gli effetti salutari di queste pratiche in
quanto si ha potenziamento della corteccia prefrontale mediale, ridotta attività
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dell’amigdala e regolazione del sistema nervoso autonomo, rientrando nella finestra
di tolleranza dello stato di arousal.
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Si tratta di un processo di guarigione interno in cui la relazione terapeuta-paziente
funge da agevolatore di un percorso di attivazione delle proprie risorse, invitando la
persona a focalizzarsi su una qualità per volta, a metterla in atto nei confronti delle
proprie parti di sé emerse; si promuove la connessione con la propria parte della
vita normale al fine di sviluppare le doti di una “mente saggia” e dell’energia del sé.
L’attualità del Focusing si manifesta nel mettersi in ascolto delle proprie sensazioni
corporee e contribuisce, con la sua pratica costante affidata a professionisti esperti,
a tirar fuori, come anfore dal profondo del mare, vissuti al confine tra l’inconscio e la
mente conscia. Mentre il focuser comunica ciò che emerge nel qui ed ora
l’ascoltatore osserva come si svolge la seduta, attento alla mimica facciale, alla
gestualità, alla postura.
Pat Ogden e Janina Fisher (2015) affermano che: ‘’ Il corpo parla in modo chiaro a
chi sa come ascoltarlo’’.
Le espressioni non verbali rivelano visibilmente ciò che le parole non riescono a
descrivere: il terrore muto del trauma (Van der Kolk, 1996) e le eredità di relazioni,
precoci e spesso dimenticate con le figure di attaccamento. Lo sfaccettato linguaggio
del corpo illustra un’intera vita di gioie, dolori e battaglie, rivelate da schemi di
tensione, movimento, gesti, postura, respiro, ritmo, prosodia, espressioni del viso,
sensazioni, attivazione autonomica, deambulazione e altre sequenze di azioni.
Si sta affermando in psicoterapia un nuovo paradigma che considera la
predominanza dell’emisfero destro responsabile dei processi non verbali, della
creatività, immaginazione e basati sul corpo, su quelli verbali dell’emisfero sinistro
(Kurtz, 1990; Ogden, 2006).
L’azione terapeutica efficace è quella orientata alla narrazione e all’attenzione del
linguaggio verbale del paziente ma anche all’attenzione delle comunicazioni
implicite che avvengono “nell’incontro corpo a corpo”.
Il linguaggio del corpo è ricco di sfumature, misteri e sfaccettature ed è orientato
alla creazione di significato, alle proprie esperienze.
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La Psicoterapia sensomotoria esplora i comportamenti non verbali, visibili e tangibili
che fanno riferimento ai propri Modelli operativi Interni. L’esplorazione del corpo
può essere di grande aiuto nella pratica clinica.
Kurtz (2020) invita i terapeuti a rimanere “di vedetta” per cogliere gli indicatori
corporei che sono “protettivi, iper-generalizzati e obsoleti”.
Gli indicatori variano a seconda delle parti di sé che esprimono e occorre osservare
l’eventuale incongruenza tra comunicazione verbale e indicatori non verbali.
È più importante osservare ciò che sta succedendo in seduta piuttosto che
interpretare, cosicché si possono trovare indicatori collegati alle dinamiche di
attaccamento ed a traumi irrisolti; riguardo a quest’ultimi ci sono indicatori di stato
di iperattivazione (o iper-arousal) come tensione, aumento del battito cardiaco,
tremori, occhi sbarrati o di ipoattivazione (o ipo-arousal) espressione vacua, muscoli
rilassati, postura collassata, il terrore, la paura, la rabbia, segni di difesa animale di
attacco, fuga e congelamento.
Durante l’ora di seduta il terapeuta aiuta il paziente a vivere l’esperienza degli
indicatori nel momento presente con lo scopo di attivare le zone sottocorticali
(cervello limbico) dove hanno sede gli affetti e dove è stato immagazzinato il trauma
come memoria implicita e dove si sono creati gli schemi di attaccamento verbali e
non verbali. Così possono emergere memorie implicite non dichiarative ed
emozioni.
Si tratta di un approccio che favorisce più che la narrazione dei problemi la
consapevolezza dei propri vissuti più profondi attraverso uno scambio terapeuta-
paziente che crea sicurezza, comprensione empatica nel momento presente, una
posizione Mindful verso gli indicatori.
Questo nasce dalla scoperta che i pazienti iniziano un percorso di psicoterapia non
per cambiare ciò che è successo bensì per cambiare gli effetti del passato che
incidono ancora sul presente. Ciò accade mettendo in contatto elementi cognitivi,
emozionali e sensomotori della loro esperienza traumatica e di attaccamento (Van
der Kolk, 1996).
In questo approccio sensomotorio è fondamentale la Mindfulness esperita in una
maniera particolare: è la MID o Mindfulness Integrata Relazionalmente (Ron Kurtz,
1990) ossia l’attenzione nel qui ed ora degli indicatori corporei avviene dentro la
relazione diadica T-P in cui il terapeuta deve accompagnare il paziente nella
dolorosa esperienza di rivivere il passato nel momento presente, facilitare un livello
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di sufficienza di sicurezza nel qui ed ora, compiere le eventuali riparazioni di
dissonanze e compiere la negoziazione degli interventi.
In questo processo entra in attivo il sistema motivazionale dell’ingaggio sociale che
spinge a cercare un’intimità profonda tra terapeuta e paziente. Si va ad un livello
emozionalmente più profondo di intersoggettività privilegiando interventi di
Mindfulness relazionale piuttosto che pratiche di Mindfulness in solitaria.
In questo tipo di MIR il terapeuta guida il paziente a porre l’attenzione consapevole
verso elementi particolari della propria esperienza interna; se l’obiettivo è
sviluppare la sicurezza di sé la Mindfulness può essere centrata sull’allineamento e
allungamento della colonna vertebrale.
Se si ha un’immagine traumatica disturbante si orienta la Mindfulness verso il
radicamento delle gambe (Grounding); se c’è tristezza si lavora sulla testa
orientandola verso l’alto, se la postura è collassata ed esprime bassa autostima,
vergogna, inadeguatezza il terapeuta aiuta il paziente a cambiare postura
sperimentando nuove emozioni e sensazioni collegate a maggiore assertività e
sicurezza di sé. La relazione terapeutica diventa il luogo dove il paziente sperimenta
la possibilità di cambiamento in senso favorevole al suo sviluppo integrale.
Non c’è dunque solo un cambiamento verbale bensì procedurale ed il terapeuta
accompagna il paziente a compiere azioni che agevolino il superamento di vecchi
schemi somatici radicati nel passato per riorganizzarne di nuovi.
In questo processo il terapeuta aiuta il paziente a diventare curioso della propria
esperienza interna nel momento presente.
È importante non pianificare in anticipo cosa dire o fare durante la seduta, bensì il
terapeuta si affida alla propria intelligenza intuitiva ed emotiva in ascolto e in
osservazione di quanto emerge spontaneamente nel corso del trattamento. Gli
interventi somatici e il modo in cui sono applicati sono “risposte emergenti” rispetto
a ciò che traspira nel qui ed ora tra il terapeuta ed il paziente (ibidem, pag.23).
Al terapeuta occorre molta formazione, abilità ed esperienza per svolgere ad hoc
l’esperimento terapeutico idoneo in seduta nel qui ed ora.
È fondamentale che si stabilisca una salda relazione terapeutica in cui il paziente
senta sicurezza e nel contempo compia insieme al terapeuta un avventuroso
percorso in cui apprenda l’autoregolazione emotiva grazie alla sua saggia guida che
lo aiuta a stare dentro la “finestra di tolleranza” evitando iper e ipo-arousal che
compromettono l’equilibrio emotivo.
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Ogden e Fisher, comunque, raccomandano di lavorare affinché si eviti uno stato di
stallo, di una terapia troppo sicura e piatta in quanto così facendo non si può
accedere né agli stati disregolativi né ai conseguenti benefici del processo.
La terapia è paragonabile ad una danza tra sicurezza e rischio in cui possono esserci
collusioni, collisioni ed enactment (riattualizzazioni) che possono destabilizzare il
processo con momenti difficili e impegnativi per entrambi i protagonisti.
Ogden usa la metafora dei due viaggi simultanei che terapeuta e paziente compiono
insieme: uno esplicito e conscio e l’altro implicito e inconscio (Ogden, 2013).
Il viaggio esplicito riguarda ciò che vi è di consapevole nella relazione, con interventi
sulle tecniche e le procedure, con confrontazioni e narrazioni. Il viaggio implicito e
inconscio riguarda ciò che rimane inespresso e può emergere attraverso gli
enactment.
È uno scambio, un incontro corpo a corpo che avviene al di sotto delle parole e che
riflette esperienze passate di entrambi (transfert e controtransfert).
Occorre che entrambi stiano dentro quello che sta succedendo, che affrontino, con
la negoziazione, gli enactment affinché essi siano funzionali al processo di crescita e
di trasformazione.
Si verifica così un processo di co-creazione che non può essere previsto in quanto
avviene dentro il qui ed ora della relazione terapeutica. In questo tipo di viaggio che
la psicoterapia sensomotoria propone, occorre che entrambe le parti siano spinte a
tuffarsi nelle acque sconosciute della relazionalità interpersonale e del lato
vulnerabile del sé. Si tratta di possedere uno spirito d’avventura con grande fiducia
in se stessi e nel potere del processo terapeutico in corso.
In Psicoterapia sensomotoria è importante considerare le abitudini fisiche, i
movimenti e i gesti che svelano storie di vita dolorose e di traumi. Possiamo
incontrare pazienti che nutrono avversione per questo approccio quindi con essi
occorre molta delicatezza e adattabilità al loro stile e alle loro richieste.
Qualcuno potrà dire: “Non mi piace il mio corpo” in tal caso ciò nasconde vergogna
verso vecchi traumi e abusi e occorre sottolineare l’aspetto positivo che negli anni il
proprio corpo ha rappresentato per la sopravvivenza rispetto a ciò che stava
succedendo loro.
Al posto della parola corpo si può con alcuni pazienti usare le parole movimento o
esperienza.
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Se c’è resistenza circa il tema corporeità occorre affrontarla delicatamente e con
pazienza rispettando i confini e ciò può dimostrare loro quel rispetto che è stato
violato da bambini o in situazione di sottomissione.
Sarà opportuno dedicare qualche seduta alla psico educazione riguardo l’importanza
del lavoro sul corpo rassicurando i pazienti che hanno sempre il controllo della
situazione, se e come lavorare e che nulla è obbligatorio, si tratta solo di proposte
che loro possono rifiutare.
È opportuno che il terapeuta si coinvolga in prima persona a dare dimostrazione di
quello che si vuole proporre al paziente in quanto si attivano i neuroni specchio che
spingono alla imitazione dei nostri movimenti e gesti (Giusti, 2011).
Per promuovere una confidenza per il corpo occorre creare uno spazio di quiete ,
l’uso di una voce gentile, morbida, lenta in modo da calmare la mente dei pazienti e
renderli più attenti alle sensazioni corporee.
Utile è l’uso dell’incoraggiamento, delle parole di elogio e dare rinforzi positivi
riguardo il fatto che già sanno connettersi con il loro corpo per fortificarne fiducia ed
entusiasmo.
Nel corso della terapia è necessario ricorrere a frequenti tracking (monitoraggi) delle
risposte dei pazienti e feedback riguardo la nostra alleanza di lavoro.
Il lavoro dal basso verso l’alto, “bottom up”, offre sicuri cambiamenti se fatto con
ponderazione, calma e grande spirito di collaborazione, anche con persone affette
da traumi e dissociazioni.
C’è una saggezza intrinseca del nostro corpo che merita far sperimentare ai nostri
pazienti come strumento di guarigione sia di disagi sia di traumi severi.
Possiamo farlo sperimentare come un essere vivente in continua evoluzione, fonte
di intelligenza ed informazioni, un carico di energia che permette il nostro
funzionamento fisico e mentale.
Per molti purtroppo il corpo è stato oggetto di critiche, frustrazioni, lesioni e abusi
ed è difficile riacquistare fiducia nell’intelligenza innata di esso a tal punto da non
“sentirsi a casa” .
I traumi e le relazioni precoci con le figure di attaccamento condizionano il modo in
cui sentiamo il nostro corpo; se non siamo stati trattati con rispetto proviamo
disgusto, vergogna, repulsione o rabbia verso il nostro corpo.
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Ci sono persone che non accettano e criticano il proprio corpo perché portatore di
disabilità e malattie o per scadenti prestazioni atletiche o sessuali.
Un fenomeno da tener presente nel processo terapeutico è la disconnessione del
paziente dal proprio corpo. Ciò può accadere quando le sensazioni di dolore fisico o
emozionale sono forti e soverchianti, allora la disconnessione crea uno stato di
anestesia e di distacco dal dolore che però nel tempo può diventare una prassi
difensiva consolidata e ciò che era una risorsa al momento del trauma, può generare
una situazione pericolosa per la nostra identità in quanto finiamo col vedere il
nostro corpo come un problema, qualcosa da ignorare, da calpestare o un oggetto
su cui fissarci.
Occorre ascoltare i segnali di disagio e sofferenza che provengono dal nostro corpo
che richiede integrità per favorire il nostro processo di crescita e guarigione
personale da ferite.
Il processo di riconnessione col nostro corpo esige impegno e talvolta può
spaventare; in tal caso occorre invitare alla calma e a procedere ‘’a piccoli passi”
verso la comprensione e l’accettazione per promuovere il cambiamento di antichi
schemi mentali e pensieri disfunzionali che ostacolano il fluire dell’energia vitale
dentro di noi.
Come già esposto il Focusing si pone come pratica clinica nell’ambito della
psicoterapia umanistico – esperienziale caratterizzata dal considerare la persona
come un essere in divenire nella storia in cui c’è la tendenza ad attualizzarsi
realizzando ciò che porta in sé, per usare una metafora classica, come seme da
germogliare e come pianticella da far crescere per diventare un albero rigoglioso e
fruttifero. Se ne considera la propria identità di essere unico e irripetibile, dotato di
libero arbitrio, di senso di responsabilità, di volontà, di risorse da sviluppare
nell’arco della propria esistenza.
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L’approccio esperienziale considera il corpo nella sua globalità come oggetto di
osservazione clinica e di trattamento con metodi e tecniche appropriate che variano
a seconda delle varie scuole.
Inizio, perciò, ad esporre, per sommi capi, i punti salienti della psicoterapia
corporea, dai suoi primordi agli orientamenti più recenti che valorizzano la
dimensione spirituale come parte integrante della personalità.
Wilhelm Reich era stato allievo di Freud e si era staccato da lui intorno agli anni ’20
quando questi per spiegare l’insuccesso di varie psicoterapie ha proposto l’esistenza
dell’istinto di morte come responsabile dell’allontanamento dei pazienti dalla via
della guarigione.
Reich rifiutò tale ipotesi e spiegò le resistenze come atteggiamenti difensivi, difese
psichiche e anche ben inscritte nel corpo sotto forma di tensioni muscolari croniche,
resistenze che risalgono al momento della nascita in risposta a traumi e a situazioni
di abbandono e deprivazione affettiva.
Reich chiamò tali strutture difensive “armature caratteriali” e propose quindi un
intervento terapeutico non solo verbale come era la psicanalisi classica, bensì un
processo attento all’aspetto somatico dell’individuo nei suoi connotati difensivi.
Obiettivo di Reich era il raggiungimento della “potenza orgastica”, cioè la capacità di
abbandonarsi liberamente e completamente con tutto il corpo e non solo coi
genitali, al piacere sessuale (Marchino, 2014).
Un tale abbandono ai movimenti spontanei del corpo porta allo scioglimento dei
blocchi psicosomatici (che corrispondono alle tensioni muscolari croniche) attivati in
passato dai pazienti per impedire lo scorrimento dell’energia vitale (la libido
secondo Freud); si genera così un “pattern psico-neuro-muscolare cristallizzato” che
delimita i programmi di vita di ogni persona affetta da nevrosi e, così facendo, ha
rimosso le emozioni spiacevoli imprigionandole in aree del corpo contratte.
Per Reich l’uomo è dunque prigioniero di una corazza muscolare e caratteriale
formata da tutti quegli atteggiamenti sviluppati per bloccare il corso delle emozioni
e delle sensazioni organiche: quando l’energia si arresta si creano accumuli di
tensioni e contrazioni muscolari con conseguente indurimento del carattere e
ridotta capacità di comunicare, di amare e di gioire della vita.
Attraverso il corpo noi possiamo conoscere il carattere dell’individuo che si è
strutturato fin dall’infanzia come meccanismo di protezione dagli stimoli esterni.
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Reich elaborò la teoria dei segmenti del corpo, trasversali rispetto al tronco, che
costituiscono la nostra armatura come cerchi che stringono il corpo.
Abbiamo sette segmenti:
1) s. oculare, 2) s. orale, 3) s. cervicale, 4) s. toracico, 5) s. diaframmatico,
6) s. addominale,7) s. pelvico.
Quando Reich si trasferì negli Stati Uniti ebbe Alexander Lowen, medico e
psicanalista, come suo allievo per tre anni che non giunse a sperimentare nel corso
della terapia il “riflesso orgastico” come soluzione a tutti i suoi problemi relazionali.
Lowen scoprì che per sciogliere le tensioni muscolari e promuovere il flusso
energetico nel corpo occorrono esercizi che alternano momenti di rilassamento a
momenti di lavoro espressivo dei movimenti volontari che venivano agiti sotto il
controllo dell’Io.
Nasce così “l’analisi bioenergetica” in cui al colloquio introduttivo tra terapeuta e
paziente seguono esercizi pratici e di contatto corporeo.
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Punti fondamentali sono il grounding (o radicamento), la respirazione e il
movimento.
Avere grounding significa avere i piedi ben radicati sulla terra (che simbolicamente
rappresenta la realtà) e in senso più ampio “essere in contatto col proprio corpo e
quindi con la verità della propria esistenza” (ibidem pag.329).
La persona si percepisce più radicata e centrata, trova il coraggio di stare in piedi
sulle proprie gambe, aumenta la propria aderenza alla realtà e diventa più integrata
e più responsabile (Padrini, 2007). Il contatto con il terreno determina il proprio
senso di sicurezza interiore. Per Lowen avere grounding significa essere una persona
pienamente in contatto:
- con la realtà del suolo sul quale si trova,
- con la realtà del suo corpo, che è la condizione del suo sentirsi una persona,
- con la realtà della sua sessualità,
- con la realtà della situazione della sua vita.
“Stare coi piedi saldamente radicati al terreno significa in ogni momento essere
consapevoli di chi si è e di dove si è. Il concetto di grounding include il senso
interiore di sicurezza e anche l’aspetto dell’approfondimento” (pag.22). Boadella
(1986) considera il radicamento in tre modalità:
1) radicamento verticale (io faccio), in piedi, in cui si verifica l’aumento del
tono e dell’attività muscolare, controllato dai neuroni della corteccia
motoria e, a livello psicologico, corrisponde all’esplorazione
dell’ambiente, ai comportamenti di avvicinamento, di evitamento e
aggressivi;
2) radicamento interno (io sento) o orizzontale, comprende la posizione
supina, prona, sul fianco e fetale in cui sono coinvolti diversi segmenti
muscolari e, a livello psicologico, prevalgono capacità immaginativa,
sentimenti di vulnerabilità e recettività (emozioni);
3) radicamento simbolico (io penso), che si traduce a livello posturale con
lo stare seduti, a livello psicologico corrisponde all’ essere adulti, volti al
pensare e al ragionamento.
Nella psicoterapia corporea il grounding riguarda la postura ed è molto importante
perché da una particolare posizione può emergere un’immagine (memoria visiva)
oppure un suono (memoria uditiva) legati a momenti fondamentali della vita della
persona (pag.52 e segg.).
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Il lavoro di grounding è utilizzato per esplorare gli stadi dello sviluppo psicomotorio
che non sono stati interamente vissuti, per recuperarli attraverso la terapia.
Il grounding è la chiave del lavoro di bioenergetica ed è strettamente collegato con
la respirazione.
La respirazione consapevole è un altro punto cardine dell’analisi bioenergetica che
permette lo scioglimento dei blocchi emotivi attraverso il fluire dell’energia vitale
nel corpo.
Il movimento bioenergetico è collegato con le fasi del respiro e viene eseguito
prestando attenzione a ciò che si sente, entrando in contatto con eventuali tensioni
e resistenze, per individuarle e imparare a scioglierle.
Con gli esercizi di bioenergetica si punta a integrare corpo e mente, ad essere
consapevoli di quello che si sta facendo, si punta a sentire ed a percepire. Dice
Lowen: “Ogni percezione sensoriale ha inizio con una percezione del sé, cioè del
proprio corpo” (pag.33).
In questa nostra società viviamo molto mentalmente e poco nel corpo, senza
esserne consapevoli.
C’è confusione tra pensare e sentire e così anche quando vogliamo comunicare i
nostri sentimenti ci limitiamo a trasmettere opinioni e idee. Specie nelle relazioni
intime e di coppia occorre imparare a comunicare il nostro sentire. Chiediamoci:
- Siamo consapevoli del nostro respiro, se è superficiale o profondo?
- Sentiamo le nostre gambe, i piedi, il terreno sotto di essi?
- Siamo vivi con tutti noi stessi oppure sentiamo solo alcune parti di esso?
Finalità della bioenergetica è promuovere il libero flusso dell’energia vitale nel
nostro corpo aumentando il sentire, il contatto con se stessi e con la realtà
circostante.
Si tratta di esercizi che si fanno sia in sessioni di psicoterapia individuale che in
gruppo e a differenza della ginnastica tradizionale qui si è focalizzati sulle sensazioni
corporee e sulla respirazione.
L’obiettivo è il sentire tutto il corpo nella sua interezza e ristabilendo armonia delle
parti. Punti cardine sono il centraggio, il controllo dei movimenti che si stanno
eseguendo, la coordinazione respiro-movimenti, la fluidità per giungere ad un livello
di grazia naturale.
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Marchino definisce la bioenergetica un “percorso di autoconoscenza” (2014, pag.17)
e raccontando come ha conosciuto e abbracciato questa pratica, afferma che è stato
un percorso lungo e faticoso in quanto si tratta di abbandonare l’astrazione della
mente per scoprire la realtà del corpo recuperando così la sensazione di esistere ed
il diritto di tornare ad essere.
In questo momento storico la cosa più importante è ri-ottenere un profondo
contatto con noi stessi. E’ questo, lui afferma, il punto forte del lavoro di
“autoregolazione bioenergetica”, vivere delle esperienze anziché solo parlarne,
portare la persona al contatto con le basi somatiche della sua spiritualità.
Lowen propone cinque tipi caratteriali intesi come le armature caratteriali, le
strutture psicosomatiche paradigmatiche, cui far riferimento per comprendere i
pazienti con le loro resistenze.
Si ipotizza che ad ogni tipo caratteriale corrisponde un bisogno negato al bambino
nel corso del suo sviluppo; poiché l’ ”irrorazione libidica” avviene dall’alto verso il
basso, l’area somatica più sensibile nelle prime settimane di vita è quella dei tele
recettori (occhi, naso, orecchie), poi la bocca e così via fino ai genitali.
Poiché a ogni fase dello sviluppo corrisponde un diritto/bisogno, la risposta negativa
dell’ambiente ad essi colpisce il bambino nella zona del corpo che in quel momento
è psichicamente più rilevante provocando un blocco (una contrazione muscolare
cronica) in quell’area e una serie di meccanismi di difesa e di adattamento che
costituiscono la base dei cinque tipi caratteriali.
Schizoide di esistere
Masochista di imporsi
Dagli studi di Bowlby sul legame d’attaccamento è ormai nota l’importanza che ha
nel neonato e nello sviluppo del bambino il contatto fisico con la madre e/o il
caregiver (Giusti, Germano, 2013).
Questo bisogno è presente nella persona anche nelle fasi successive della sua
esistenza e pertanto pure nell’ambito della cura medica e psicologica il contatto ha
una valenza formidabile.
Come medico di famiglia da molti anni sperimento quotidianamente la positività di
questa semplice modalità relazionale e noto da parte dei miei pazienti quanto sia
gradita una visita medica che comprenda il tocco del corpo orientata a individuare
l’origine di una patologia, non limitandomi ad un distaccato rapporto verbale fatto al
di qua della mia scrivania magari tenendo gli occhi fissi al PC.
L’atto di visitare un paziente compiendo gesti concreti con le mani si svela ogni volta
come una possibilità sia di compiere una diagnosi più precisa, anche se corredata da
successivi esami strumentali, sia di per sé di compiere l’avvio verso la guarigione di
un sintomo psicosomatico.
Per me, quindi, è del tutto naturale usare il tocco nella mia professione di
psicoterapeuta ad approccio integrato. Si tratta di una impostazione del mio lavoro
che inizia fin dal momento del saluto di benvenuto e si conclude col saluto finale
che, se ne colgo l’opportunità e il desiderio da parte del paziente, comprende
l’abbraccio composto ed empatico.
73
Cosa accade durante la seduta?
Anche nelle varie fasi gestaltiche, fin dal pre-contatto tengo presente il valore del
contatto terapeutico e lo attuo attraverso micro gesti di vicinanza empatica, una
carezza, un tocco sulla spalla… Chiedo ogni volta il permesso al paziente per evitare
d’essere invadente e sgradita mentre nei feedback ricevo quasi sempre riscontri
positivi.
Durante il contatto pieno, se scelgo di lavorare secondo un approccio bioenergetico
o biosistemico o durante un lavoro gestaltico, il contatto diventa componente del
processo e sento il flusso energetico circolare tra me e il paziente in maniera
speciale ed efficace.
Possiamo considerare l’abbraccio come mezzo terapeutico speciale in quanto
segnale universale di pace e di fraternità, legato all’idea di aprirsi, di entrare in
contatto fisico ed emotivo con l’altro. Pensiamo alla sua origine nell’infanzia,
quando il bambino tende le braccia alla madre per ricevere conforto, protezione e
sicurezza. Consideriamo l’importanza della difficoltà ad abbracciare, ad aprire le
braccia come indice di delusione, una inibizione all’azione sperimentata
precocemente. Si tratta di profonde ferite che provocano rabbia e sofferenza e
quindi incapacità ad accogliere l’altro, indice di un disagio relazionale e quindi di
emozione bloccata e sofferenza.
75
“Mentre incontro il corpo con le mani ed allento le tensioni muscolari profonde
guardo negli occhi il cliente. Mentre applico pressione con le mani, chiedo alla
persona di condividere con me attraverso suoni, movimenti e parole ciò che sta
avvenendo, ciò che sente, percepisce e pensa” (ibidem).
Si lavora a strati considerando il corpo come una cipolla da pelare.
“Quando comincio a lavorare con strati di tessuto superficiali, coordino questo
lavoro facendo muovere muscoli intrinseci, mediante, per esempio, un gentile
basculamento delle pelvi con piccoli movimenti della spina dorsale.
Inoltre, quando lavoro sulla muscolatura estrinseca oltre che sugli atteggiamenti e
sentimenti esterni, può darsi che lavori simultaneamente all’interno della bocca che
contiene alcune delle più profonde strutture, emozioni e attitudini del corpo… io
vedo una massa plastica vibrante, meno viscosa, in alcune parti che in altre e
composta della stessa sostanza che si insinua dall’esterno all’interno e dall’interno
all’esterno” (ibidem).
È importante il ruolo della respirazione, si incoraggia il “respiro spontaneo” che è
essenziale per una flessibilità ed equilibrio duraturi.
“La liberazione e l’integrazione del Sé attraverso l’integrazione Posturale è
un’esperienza potente, riorientante. Ciò non significa che non avremo più difficoltà
o non sentiremo più tensioni. C’è un bisogno continuo in noi di esprimere le nostre
angosce e le nostre frustrazioni, ma ora potremo più facilmente riconoscerle,
affrontarle e lasciarle andare” (ibidem).
L’efficacia del metodo deriva dalla possibilità di lavorare contemporaneamente sui
vari aspetti del corpo e della persona, attraverso manovre e massaggi posturali e la
presa di coscienza progressiva.
Si ha un allentamento di tutta la fascia muscolare contratta e un progressivo
riallineamento dei segmenti corporei, contemporaneamente si avverte l’energia
fluire dentro di sé con leggerezza e spontaneamente.
76
Capitolo 2.4.3 - L’approccio biosistemico e la
regolazione top down e bottom up
Ci sono due modalità terapeutiche che riflettono due indirizzi di pensiero riguardo la
condizione umana e la relazione mente-corpo.
L’approccio top-down parte dal livello cognitivo per comprendere, interpretare,
affrontare il livello inferiore, cioè quello emotivo e sensoriale dell’esperienza; ad
esso si rifanno le procedure terapeutiche tradizionali quali la psicanalisi, che
considera il potere della parola, della narrazione e dell’analisi del linguaggio del
paziente come via verso la guarigione delle nevrosi e dei disturbi psicosomatici.
L’approccio bottom-up considera importante partire dall’esperienza del corpo,
l’attenzione è rivolta anzitutto alle sensazioni, al linguaggio non verbale, fatto di
movimenti, di gesti, di posture da cui partire per raggiungere la liberazione dai
blocchi emozionali in cui si è imprigionati.
Si tratta di due direzioni di elaborazione dell’esperienza, il processo top-down inizia
nella corteccia cerebrale, coinvolge il pensiero o modula e regola i livelli inferiori. Il
processo bottom-up inizia a livello sensoriale, motorio e affettivo, è evolutivamente
un processo più antico e ci accomuna alle altre specie animali.
La combinazione e l’integrazione di queste due modalità rappresentano il fulcro del
lavoro biosistemico che permette così non solo di alleviare i sintomi e il dolore del
passato traumatico ma aiuta a riorganizzare il senso di sé.
Infatti, non appena l’organizzazione del corpo cambia, in termini di postura,
movimento, livello di attivazione e tono energetico, emerge un differente e più
positivo senso di sé (Liss, Stupiggia, 2002).
L’approccio biosistemico considera le azioni, i pensieri e i sentimenti della persona
come un sistema e sono legati tra loro come i membri di una famiglia. Quando si
verifica l’unità ben organizzata di essa si ha l’emozione; per fare un’emozione ci
vuole un corpo altrimenti si è ridotti a vivere di idee, concetti, strutture logiche, un
mondo immateriale privo di corporeità e di pulsazione organismica.
Quando il corpo non partecipa integralmente alla vita, questa diventa superficiale,
mancando appunto di una dimensione fondamentale, quella delle emozioni e dei
sentimenti che partono dalle sensazioni viscerali.
77
Un percorso di psicoterapia che voglia aiutare la persona ad un radicale
cambiamento non può ignorare il corpo. Si possono distinguere due modalità
opposte di attivazione emozionale: una con pulsione all’azione (lotta o fuga) e una
orientata alla inibizione, all’azione (congelamento) e tesa alla recettività.
Laborit coi suoi studi sperimentali ha dimostrato che una prolungata inibizione
all’azione crea patologie psicosomatiche e altri disturbi psichiatrici.
Si verifica paralisi o immobilità muscolare e perfino stasi viscerale e sensitiva nel
senso di carenza, vuoto e denutrizione affettiva per arrivare ad una “interdizione ai
sentimenti”.
Occorre per questo affrontare i problemi portati dai pazienti in termini sistemici
(pensieri, azioni, relazioni) e solo aiutandoli in questo senso di “complessità della
verità” si può arrivare alla sospirata trasformazione.
Ecco la ragione per cui approcci terapeutici diversi (psicanalisi, terapia cognitiva o
bioenergetica) possono abbassare il grado d’intensità dell’ansia in pari misura…
l’importante è toccare la sistematicità del mondo del paziente.
La caratteristica della terapia biosistemica è quella di attivare le emozioni e la
consapevolezza che l’uomo è un sistema e va valorizzata la sfera corporea ed
emotiva integrandola a quella mentale. È una posizione molto vicina
all’insegnamento Zen per cui: “Dobbiamo pensare con il corpo”.
Questo processo necessita di un ingrediente importante: l’atteggiamento empatico
messo in risalto da grandi maestri come C. Rogers, ideatore della terapia centrata
sul cliente e, nell’ambito della psicanalisi, Heinz Kouth con la sua psicologia del sé.
L’approccio biosistemico consiste nel promuovere l’esplorazione e la manifestazione
verbale dell’emozione inespressa integrata con la manifestazione corporea,
muscolare e viscerale per favorire il passaggio dalla inibizione all’azione. Attraverso
ricordi, fantasie, visualizzazioni guidate oltre che col contatto fisico, gesti, posture,
odori, sapori, cambiamenti del respiro, si possono evocare forti emozioni bloccate
nell’inconscio che così vengono alla luce e possono essere risolte. Questa modalità si
rivela più efficace della semplice narrazione degli eventi.
Il contatto fisico unito allo scambio verbale genera un clima di fiducia ed è la
caratteristica dell’atteggiamento della biosistemica.
78
Capitolo 2.5 - La spiritualità del corpo
80
Per Lowen meglio usare il termine “bioenergia” o “energia della vita” da cui è nata
l’Analisi bioenergetica come tipo di trattamento, che si fonda sulla comprensione
dei processi energetici che avvengono nel corpo.
Molti ritengono che spiritualità e sessualità siano diametralmente contrapposte.
Lowen considera, invece, il profondo legame a livello appunto di bioenergia.
Solitamente si identifica la spiritualità come opera della parte superiore del corpo
(mente) e la sessualità della parte inferiore (genitali, bacino). In verità, l’individuo è
sessualmente differenziato (cromosomi XX presenti in ogni cellula della donna e
cromosomi XY nell’uomo) e la stessa spiritualità “una funzione dell’intero corpo”.
Lowen afferma: “la spiritualità dissociata dall’intero corpo diventa pura astrazione e
la sessualità dissociata dalla spiritualità diventa un puro atto fisico” (1990, pag.76).
E spiega che la dissociazione nasce dalla disconnessione del cuore dalle due
estremità del corpo. Quando dal cuore il sentimento d’amore si riversa nella testa ci
si connette con l’universo e l’universale, quando si connette con il bacino, si
connette con la terra ed il particolare.
L’atto sessuale realizza una fusione che è una profonda esperienza di trascendenza,
quindi spirituale. Gli amanti oltrepassano i confini del loro Sé per divenire una cosa
sola con le immense forze universali.
Marchino (2015) afferma: ”Gli esercizi (di bioenergetica) non spiegano cosa sentire,
non enunciano dotti pensieri, non citano il nome di Dio ma mettono in contatto il
praticante con le basi somatiche della sua spiritualità”.
“L’esperienza bienergetica ci porta in contatto con la nostra essenza attraverso il
contatto con ciò che siamo nel nostro corpo, nella mente e nel respiro. Respirazione
e spiritualità sono a mio avviso sinonimi e rilevo che in tutte le scuole di ricerca
spirituale la respirazione è centrale. Ciò che perdiamo quando perdiamo contatto
col nostro corpo e comprimiamo la respirazione è proprio la nostra spiritualità.
Qualunque esperienza che ci riporti in contatto con la vitalità ed il libero arbitrio è
quindi anche una procedura che ci riporta in contatto con quello che anticamente
veniva chiamato sentiero spirituale”.
81
Capitolo 2.5.1 - La psicoterapia transpersonale
“Sarebbe bello se la stanza di terapia divenisse un luogo d’incontro sia del visibile sia
dell’Invisibile” (Giusti, 2005).
In questi ultimi decenni la psicologia si sta muovendo verso una nuova fase a dir
poco rivoluzionaria; se Freud ha cancellato il divino come realtà con cui confrontarsi
col paziente tanto che i suoi seguaci invitavano a tenere la religione e gli argomenti
affini “fuori dalla stanza della terapia” oggi il clima è cambiato, a favore del rispetto
della dimensione spirituale della vita che può a pieno titolo essere portata in seduta
e diventare perfino elemento centrale e porta d’ingresso nel labirinto della psiche
del paziente.
Si tratta di un fatto a mio parere importantissimo che mi fa appassionare al lavoro di
psicoterapeuta aderendo con entusiasmo alla ricerca nel campo della psicologia
transpersonale e all’uso di tecniche che lavorano considerando la persona umana
come unità di corpo mente e spirito.
Grande contributo, lo dobbiamo riconoscere, ci viene dal confronto e dalla
conoscenza che gli studiosi hanno iniziato, e continuano a fare, con le spiritualità
diffuse sul nostro pianeta, con particolare interesse volto alle religioni e filosofie
orientali. La società occidentale grazie a questa apertura sta maturando molto, sta
superando steccati culturali e sta creando a poco a poco una mentalità rispettosa
del sacro e di chi ne è sinceramente alla ricerca.
Io stessa mi sento tra questi e riconosco che l’approccio transpersonale contribuisce
ad un cambiamento importante nelle impostazioni dei percorsi di psicoterapia. Già
nel Counseling ho potuto apprezzare, come professionista della salutogenesi,
quanto la fede del Counselor aiuti a creare una relazione centrata sul cliente in cui
ascolto attivo, empatia, accettazione incondizionata e autenticità vengono percepiti
ad un certo livello dall’utente come veicolo di maggior benessere psicofisico oltre
che ovviamente spirituale.
Adesso, come psicoterapeuta, sto ottenendo vari riscontri nel quadro di un
completo pluralismo integrato in cui a pieno titolo è presente e opera la chiave di
lettura trascendentale.
82
“Comprendere il ruolo del sacro nella vita e nella salute di chi si rivolge alla
psicoterapia è la nuova sfida che si prospetta agli psicoterapeuti… L’approccio
integrato può risultare quindi uno dei più validi per affrontare la dimensione
composita del benessere individuale. La persona, secondo la visione transpersonale,
è molto di più che l’unità mente-corpo (concetto già complesso e affascinante): è
l’unità mente-corpo-spirito” (Giusti, 2005).
Lo psicoterapeuta transpersonale ha una buona conoscenza nel campo delle varie
spiritualità e religioni, dovrebbe essere “ecumenico” e ricordarsi che “ogni sistema
religioso è un universo simbolico di cui alcuni aspetti possono non essere integrati
nella struttura di personalità dei pazienti. La ricchezza del terapeuta… dovrebbe
essere la capacità di accogliere e discutere qualunque credo religioso,
indipendentemente dal proprio”.
L’empatia è un requisito importante per il terapeuta transpersonale, il quale può
trovarsi di fronte sia ad un paziente con un proprio credo religioso o spirituale verso
cui nutrire rispetto e accettazione incondizionata, sia ad un paziente “in crisi
d’identità”, alla ricerca di un senso da dare alla sua esistenza che richiede una
relazione orientata ad affrontare temi esistenziali in maniera olistica, proponendo
lavori integrati su mente, corpo e sfera spirituale.
Come affrontato in altri capitoli della presente relazione, la corporeità è
fondamentale veicolo per promuovere la rinascita integrale di una persona in
sofferenza per traumi o blocchi emotivi.
Spesso giungono in terapia persone con una fede monca, dicotomica, in cui è
esaltata la parte cognitiva a discapito del coinvolgimento della sfera sensoriale e
sessuale. Lo psicoterapeuta transpersonale è esperto nel lavoro con la corporeità
per restituirne valore e sacralità conducendo per mano il paziente nel fare
esperienze in cui il divino si fa presenza nel proprio agire e sentire corporeo, si
percepisce come energia eccitante e motrice nel proprio muoversi nella
quotidianità.
“L’integrazione posturale ha messo in rilievo come il corpo, più che la mente, sia
depositario di ricordi penosi: ciò che per la mente è troppo doloroso e il linguaggio
verbale non riesce ad esprimere, viene gridato al mondo attraverso il corpo, la sua
postura, i suoi blocchi… Si tratta di un urlo muto ma non per questo meno efficace.
Il corpo diviene molto di più che Korper, compagine anatomica che sostiene e
delimita al tempo stesso la nostra esperienza: esso diviene Leib, ovvero, essere nel
83
mondo come presenza attiva, come relazione incessante corpo-mondo esterno in
una processualità dialettica in continuo divenire” (ibidem, pag.51).
Possiamo affermare che Noi siamo il nostro corpo (Giusti, Proietti, 1995) e la
meditazione, la preghiera possono essere utili per il superamento di blocchi sia di
natura corporea sia psicologica che spirituale.
Con pazienti con tratti di personalità ossessivi, meticolosi, inclini alla ritualità e ad
una fede in cui la trascendenza è un mondo pieno di doverismi morali, lo
psicoterapeuta ha da stabilire una forte alleanza operativa in cui la comprensione di
queste inclinazioni a volte morbose della persona è accompagnata da un paziente
lavoro teso a distendere la corporeità che vive in stato di tensione cronica e
limitante attraverso esercizi di rilassamento, di Mindfulness, di meditazione e
visualizzazione guidata; condividendo pure meditazioni in cui la ripetizione di
mantra venga valorizzata. Così, nel tempo, si ottiene un beneficio psico fisico
importante attraverso la porta d’ingresso della fede del paziente. La Mindfulness è
importante pure nei casi di persone con una fede distaccata dalla vita, che li rende
poco radicati nel qui ed ora; un lavoro importante è anche quello del grounding
dell’analisi bioenergetica che aiuta a scoprire la forza del radicamento sulla terra e il
senso di stabilità e concretezza.
La religione può generare persone inclini alla dimensione mistica e qui il terapeuta
transpersonale è chiamato ad essere da una parte empatico dall’altra ben
distanziato per evitare collusioni nocive: utile è l’esercizio di disidentificazione e
defusione cognitiva proposta dall’ACT e dal Focusing.
È chiaro che lo sguardo esperto del terapeuta osserva se ci sono tratti psicotici
latenti o più o meno palesi che necessitano l’integrazione farmacologica con
l’intervento psichiatrico.
La psicoterapia transpersonale rappresenta la quarta forza della psicologia che
mostra tutta la sua ricchezza e importanza in quest’epoca in cui l’apparente
materialismo cela domande esistenziali e spazi segreti di vita spirituale in molte
persone insospettabili in questa apertura alla trascendenza.
Sono contenta di poter essere una psicoterapeuta che, grazie alla mia esperienza
personale in campo religioso e grazie alle mie conoscenze nel campo psicologico e
antropologico, può dare anche seppur piccolo, un concreto contributo per una
crescita integrata della persona umana.
84
Capitolo 3 - Psicoterapia e fede cristiana
La paziente di cui porto il caso clinico mi ha scelto tra tanti psicologi in quanto mi
conosceva come cattolica praticante e quindi l’ho rassicurata che nel percorso che le
proponevo non solo avrei rispettato la sua spiritualità ma avremmo fatto di essa un
prezioso strumento di crescita personale attraverso un approccio pluralistico
integrato che considera la dimensione religiosa come un livello dell’identità molto
elevato nell’ambito dell’evoluzionismo umano che merita considerazione per
l’equilibrio che offre e l’agevolazione nel processo di guarigione da ferite e traumi
psichici anche profondi.
Mi ha dato fiducia e stiamo proseguendo a tutt’oggi con notevoli progressi. Per
questo desidero dedicare uno spazio al tema.
Inizio col narrare la mia esperienza personale.
Sono nata da famiglia cattolica, mia madre è nata a San Giovanni Rotondo e quando
andavo a trovare nonni e zii due volte l’anno (abitavamo lontano per il lavoro di
papà, chimico industriale) sentivo parlare di Padre Pio, oggi santo della Chiesa
Cattolica, come di un taumaturgo, un grande sacerdote, dedito alla penitenza, alla
messa e alle confessioni; amato dal popolo e perseguitato da tanti all’interno della
Chiesa stessa per la sua figura integerrima, il suo radicalismo e le stimmate che lo
stesso padre Gemelli ha contestato per anni per poi arrendersi poco prima di
morire.
I racconti su Padre Pio hanno colpito la mia sensibilità di bambina e di adolescente
facendomi prendere sul serio la religione. Ho studiato molti testi in maniera
autonoma, ho fatto un profondo percorso spirituale durato fino ad oggi in cui ho
maturato la convinzione che anche la scienza, attraverso la fisica quantistica, è a
favore del mistero dell’esistenza di un Entità Superiore che noi cristiani chiamiamo
Dio Padre, la cui peculiarità è essere Amore e tutto ciò che viene narrato nei
vangeli, trova proprio nelle scoperte dell’infinitesimamente piccolo e del tutto è
Energia, una seria considerazione anche dal mondo della scienza.
Ora tratto in breve di quanto riferiscono studiosi sul tema.
I rapporti tra psicologia e religione non sono stati sereni. La psicoterapia ispiratasi
alla psicanalisi di Freud e la psichiatria si sono occupati del comportamento malato;
mentre aspetti come la speranza, la gratitudine ed il perdono, essendo considerati
comportamenti sani, sono stati messi ai margini fino agli ultimi decenni in cui si è
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affermata fortunatamente la “psicologia positiva “ di Seligman (1996, 2003) e
l’apertura alla dimensione transpersonale a partire dalle considerazioni di A. Maslow
sui bisogni dell’individuo, mettendo al vertice della sua famosa piramide i bisogni di
senso e significato alla propria vita (Fig.1, pag.7).
La terza forza rappresentata dalla psicologia umanistico esistenziale ha contribuito
ad una vera inversione di rotta nei riguardi della spiritualità.
“È la vita umana in quanto tale a richiedere un contesto all’insegna del senso per
poter crescere e svilupparsi ed è a partire dalla domanda sul senso, sul perché
ultimo circa la vita e sulla morte che sorge la domanda religiosa. Si potrebbe dire,
parafrasando un noto proverbio, che finché c’è vita umana c’è religione e fede,
poiché è la stessa struttura cognitiva a richiederlo in tutti gli ambiti in cui si occupa,
mostrando come la fede sia ineliminabile dall’esistenza umana” (Cucci, 2009,
pag.11).
Oggi le credenze imperano più che mai poiché l’uomo ha sempre bisogno di credere
in qualcosa per poter vivere orientandosi ad una visione globale della vita.
“Le psicologie moderne non hanno individuato fino ad ora un modo per evitare la
fede e questa è un argomento essenziale del più comprensivo concetto di religione”
(Browning, 1997, pag.65).
È essenziale un dialogo tra esperienza religiosa e psicologia specie quando si
considera il comportamento umano nella sua globalità e c’è il rischio, quando si
affrontano le problematiche esistenziali, che lo psicologo diventi un guru, un
santone orientale, un prete secolare, il portatore di verità che possono appagare i
clienti.
È importante, dopo l’opera iconoclasta della psicanalisi, considerare ciò che
sopravvive a tale processo di depurazione da forme malate di spiritualità per
discernere le forme sane da quelle insane.
Le problematiche fondamentali dell’esistenza, così come la ricerca di un significato
globale, emergono spesso nel corso della terapia. Jung (1966, pag.139) riconosce
come alla base di un percorso di psicoterapia vi sia sempre una questione di totalità
di senso che interpella, implicitamente o esplicitamente, la dimensione religiosa.
Scott Peck (1985, pag.164) dichiara: “Cercate sempre di scoprire qual è la religione
dei vostri pazienti, anche se affermano di non averne alcuna” e a pag.192: “Con il
loro atteggiamento semplicistico nei confronti della religione gli psichiatri e gli
psicoterapeuti rendono spesso un cattivo servizio al paziente, sia quando accettano
come benefica qualsiasi forma di religione sia quando gettano via il bambino
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insieme all’acqua sporca e considerano qualsiasi religione come il Nemico, sia
quando, rifugiandosi dietro il paravento dell’obiettività, si astengono dal prendere in
considerazione la sua religione”.
Pretendere di eliminare l’esperienza di fede in nome di una supposta scientificità
conduce a ridurre l’essere umano ai suoi istinti più bassi poiché si finisce col
diventare quello che si crede di essere.
La psicoterapia può contribuire ad una vita di fede più matura scevra da deviazioni e
distorsioni mentali e affettive che spesso generano nei credenti sofferenze pure
gravi come ansia, depressione, malessere, frustrazioni per giungere a casi estremi di
schizofrenia.
L’educazione affettiva resta il punto fondamentale dell’esperienza religiosa. Così
afferma T.H. Green, noto formatore e padre spirituale gesuita (1992, pag.25):
“L’ostacolo più grande al vero discernimento e ad una vera crescita nella preghiera
non è la natura intangibile di Dio, ma il fatto che non conosciamo sufficientemente
noi stessi e non vogliamo nemmeno conoscerci per come siamo fatti veramente.
Quasi tutti noi ci nascondiamo dietro ad una maschera, non solo di fronte agli altri,
ma anche quando ci guardiamo allo specchio.”
Talvolta nella stessa persona si incontrano due immagini contrastanti di Dio, quella
teologica e quella psichica. La propria rappresentazione psichica di Dio può
diventare motivo di profonda sofferenza e pena fino ad arrivare al rifiuto a
dichiarare il proprio ateismo.
È importante, quindi, una riconciliazione affettiva, psicologica e spirituale con la
propria fede per non creare una sorta di “schizofrenia spirituale” (ibidem, pag.34).
La fede comporta uno sviluppo nel tempo ed un adattamento alla propria
esperienza di vita.
Mi ha molto interessato il testo di Giusti, Il Con-tatto con l’Assoluto (2017), che parte
dalla considerazione dell’angoscia di morte che affligge l’umanità e fa un excursus
sulla filosofia e psicologia dell’esistenzialismo affermatosi nel XX secolo come
approccio alla ricerca di “senso” che l’Homo Sapiens ha dentro di sé quando vive in
contatto con la sua finitudine, quando considera il destino di morte che l’aspetta e
non si lascia distrarre da ciò che in genere la maggior parte degli individui fa. È
quello che nel capitolo 8 del testo (pag.107 e segg.) è inteso come creatività,
descritta come “la nostra unica salvezza per dare un senso alla vita investendo
l’esistenza nel modo migliore come ingegnosità umana e che ci permette di
diventare eterni attraverso il nostro lascito inventivo e fecondo”.
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È la risposta laica che la mente saggia propone per affrontare la certezza della morte
e l’angoscia che questa suscita in noi.
La creatività è dell’uomo geniale (dalla parola greca kreion che vuol dire “colui che
genera e che fa”) di colui che possiede un’intelligenza attiva, ideativa ed esecutiva,
con una costante tensione verso il futuro e il desiderio di cambiare l’ordine delle
cose, sperimentando continuamente.
La genialità creativa è dell’uomo di talento che si applica per realizzare i suoi
obiettivi con interesse e passione, con entusiasmo ed energia, con convinzione e
determinazione (ibidem, pag.109).
Giusti dà una spiegazione neuroscientifica alla genialità creativa svelandoci che la
molecola fondamentale del genio è la dopamina che genera energia ed eccitazione e
una fortissima spinta motivazionale. Si verifica la messa a tacere della corteccia
frontale dell’emisfero sinistro superando l’ansia del vuoto del pensiero e favorendo
la nascita di “immagini spontanee evocate”.
La creatività e l’impegno permette alla persona di pianificare la vita “come se
fossimo eterni, consapevoli che essa può terminare improvvisamente in ogni istante,
fine ed inizio sono intimamente connessi, ogni fine obbliga a venire a patti con ciò
che è perduto e ad iniziare un nuovo percorso predisponendosi anche all’ignoto,
coltivando l’epistemiologia dell’incertezza, l’arte del dubbio e l’etica della speranza,
senza la presunzione di sapere com’è l’infinito e l’eternità” (ibidem, pag.119).
È la soluzione di chi rifiuta l’adesione ad una spiritualità o religione tra quelle
esistenti sul pianeta, è la posizione esistenzialista di chi affronta così, nel migliore dei
modi, la finitudine e l’angoscia di morte.
Ho grande rispetto per le personalità che impostano così la loro esistenza
rendendola feconda di bene per l’intera umanità attraverso creazioni nei vari ambiti
della vita, salute, scuola, scienza, arte, ecc..
Penso e spero che con loro chi come me è dichiaratamente credente in una
spiritualità come quella cristiana (che fa direttamente riferimento all’insegnamento
e alla vita del Maestro Gesù, uomo vissuto in Palestina circa 2000 anni fa) possa
realizzare con “creatività”, come Giusti afferma ed elogia, un percorso di
integrazione psico spirituale a favore della crescita di persone autentiche,
equilibrate, dotate di quelle qualità cui tendono le fedi religiose e le pratiche di
Mindfulness, Self Compassion , Heartfulness , il biofunzionalismo e la bioenergetica
che si ispirano alla psicoterapia corporea di Lowen.
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Siamo giunti ad un’ epoca piena di contraddizioni come le guerre disseminate sul
nostro pianeta stanno dimostrando; eppure noi persone spirituali, lavorando in
stretta collaborazione con le persone “geniali”, possiamo contribuire concretamente
a costruire società che pongono al centro l’essere umano nella sua autentica
essenza evitando le devianze culturali egocentriche.
Sono fiera di essere approdata alla scuola ASPIC che mi offre l’opportunità di fare
psicoterapia aderendo ad approcci scientificamente validati e nel contempo di
approfondire, con obiettività da ricercatrice, la sfera spirituale dell’esistenza.
Accenno ora all’interpretazione che Freud ha dato di Dio di “oggetto interno”
(Freud, 1979) presente in persone affette da disturbi nevrotici, ossessioni e fobie.
Nell’opera Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907) Freud si dedica per la
prima volta al fenomeno religioso; per lui la sacralità del cerimoniale parte dal senso
di scrupolosità esasperata e dall’angoscia con cui vengono compiuti i riti nel timore
delle conseguenze nefaste che seguirebbero ad ogni possibile errore al punto di
considerare la religione una “nevrosi ossessiva universale ” e la nevrosi una
“religione privata” (pag.152).
Per evitare il senso di colpa il rituale avrebbe una triplice funzione:
- di difesa,
- di assicurazione,
- di provvedimento per proteggerci dai divieti.
In Totem e tabù (1912-1913) Freud mette in relazione la religione con la coscienza
morale e l’etica sociale creando l’analogia tra la relazione uomo-Dio e la relazione
padre-figlio (pag.195).
Nell’Avvenire di un’illusione (1927) Freud afferma che le verità religiose, a differenza
delle affermazioni scientifiche, possiedono un debolissimo indice di convalida (Cucci,
pag.48) legato unicamente all’esperienza interiore del credente.
Nonostante ciò la religione ha una notevole influenza sull’animo umano che Freud
spiega con una “genesi psichica”: l’illusione, intesa come appagamento dei desideri
più antichi e più forti dell’umanità. La religione per Freud è un’illusione perché si
occupa di cose indimostrabili, inattingibili dall’esperienza che offrono risposte e
conforto di fronte alle crudezze della vita ma che l’individuo maturo, che crede nella
realtà, non può accettare. Per Freud l’umanità si sta orientando verso la fine della
religione come esito fatale del processo di crescita della nuova era che si sta
preparando, caratterizzata dall’assenza della religione.
89
Per Freud la ragione e l’esperienza abbinate al lavoro scientifico sono l’unica
credenza che meriti fiducia. Dio è un’imago, una produzione psichica con funzione
rassicuratrice, illusoria come le imago genitoriali illusorie cui ricorriamo di fronte ad
esperienze di vita soverchianti che riproducono la situazione emozionale
dell’infanzia (paura, condizioni di malattia, separazione, isolamento o impotenza) cui
il non credente fa a meno. Nell’opera Io e l’Es (pag.469-520) Freud rappresenta Dio
come il Super IO, il censore morale, la rappresentazione psichica di un’autorità più
forte del padre per il bambino.
Freud affronta il fenomeno religioso dalla prospettiva psicanalista e quindi accoglie i
presupposti del positivismo di fine Ottocento che si è posto con un complesso di
superiorità acritico nei confronti di altre culture. Merito indiscusso della psicanalisi è
di aver compiuto un’opera di depurazione da inquinamenti, nevrosi e deviazioni che
sono sempre stati presenti nel fenomeno religioso. Quindi non considero il
contributo di Freud indirizzato a porre fine ad ogni fede religiosa e morale.
Freud riconduce l’elemento psichico della religione alla relazione col padre in quanto
tentativo di compensare la paura di trovarsi soli di fronte ad un mondo ostile e
freddo e insieme come forma di protezione nei confronti della morte (ibidem, pag.
83).
Il padre svolge un ruolo fondamentale dai 7 anni in poi, lo aiuta a staccarsi dal
cordone ombelicale materno e lo rende più forte nei confronti della sofferenza e del
male.
“Quando l’individuo, crescendo, si accorge che è destinato a rimanere per sempre
un bambino, che non potrà mai fare a meno di tutelarsi contro potenze superiori
sconosciute, presta a queste i tratti della figura paterna, si crea gli dèi che teme, che
cerca di propiziarsi e ai quali nondimeno si affida per essere protetto.
Il motivo del desiderio ardente del padre coincide pertanto col bisogno di
protezione.
Contro le conseguenze della debolezza umana la difesa contro l’insufficienza
infantile si riflette, coi suoi caratteri, nei modi di reagire dell’adulto contro la propria
fatale impotenza, si riflette cioè nella formazione della religione” (Freud, 1978).
Ricerche compiute sulle conversioni religiose hanno riscontrato un maggior numero
di conversioni in persone con storie di conflittualità a livello familiare e bassa
autostima, quindi la fede può essere considerata come espressione e tentativo di
soluzione delle conseguenze di una paternità inadeguata (un padre assente,
rifiutante può spingere il bambino alla ricerca di strutture e protezione).
90
Freud ha dato una spiegazione psichica alla rappresentazione di Dio al fine di
liberarci da forme malate e distorte di religiosità che hanno sulla umanità
un’indubbia presa e suggestività. La psicologia delle religioni s’impegna proprio a
fare chiarezza al riguardo riconoscendo anche la sanità psichica dell’esperienza
religiosa (Aletti, De Nardi, 2002).
Per Freud Dio è un oggetto interno nella sua componente di funzione
rappresentativa e di patrimonio affettivo suscitato nel corso dello sviluppo
cognitivo, affettivo e relazionale. È un approccio si potrebbe dire “funzionale”,
attento cioè al significato e al ruolo che la rappresentazione di Dio riveste all’interno
della concezione di vita e del self. In tale prospettiva l’elemento di Dio è presente in
ogni persona, di qualsiasi cultura e provenienza geografica, indipendentemente
dalla fede o pratica religiosa.
Le rappresentazioni interne si formano sin dai primissimi anni di vita del bambino
come elemento organizzatore della realtà, decodificazione e lettura di quanto
avviene intorno a lui, il tutto con una forte risonanza emotivo-affettiva.
“L’uomo per percorrere la via della maturazione personale deve poter credere nella
propria coscienza di Dio come una persona assoluta che lo libera dalla paura
d’incontrare l’esercito delle proprie immagini” (Drewermann, 1996).
Il tema di Dio, quindi, emerge fin dai primissimi anni di vita del bambino e il valore di
tale relazione dipende dall’educazione ricevuta, dai modelli genitoriali, dalla
struttura psichica di base e molti dei traumi e della mancanza di fiducia e difficoltà a
credere nascono in questa fase dell’esistenza.
Per la rappresentazione di Dio è fondamentale pure la relazione del bambino con la
madre, quindi tutto nasce dentro una dimensione relazionale e non basta una
spiegazione causale: oltre e prima del bisogno di senso alla propria vita, si ha il
bisogno di stare dentro un rapporto per ricevere rassicurazione di fronte all’ignoto.
Dio considerato come oggetto interno può essere rimosso, represso ma mai
dimenticato perché la caratteristica peculiare della rappresentazione psichica è di
mantenersi nel tempo, agendo in modo più profondo qualora venga estromessa
dall’attività consapevole della psiche” (Rizzuto, 1994, pag.82).
È come un oggetto transizionale, un giocattolo che si può amare e disprezzare,
avvicinare o abbandonare in un angolo; c’è sempre e comunque.
Considerare Dio un’illusione? La radice etimologica della parola “illusione” non
esprime qualcosa di irreale ma ha a che fare con la dimensione del gioco.
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Winnicott nella psicologia dello sviluppo ne parla come essenziale per creare uno
spazio tra sé e la madre, differenziandosi da essa, superando la fase autistica ed
elaborando una propria identità. Come l’oggetto transizionale per il bambino così
l’illusione permette di esercitare la creatività e diventa basilare per lo sviluppo delle
capacità ideative, immaginative e affettive del pensiero, realizzando una situazione
d’ armonia tra sé e l’ambiente.
La ricerca psicanalitica è giunta a considerare l’illusione come un bisogno profondo
dell’uomo per plasmare la realtà con ricadute positive in vari ambiti della vita (sfera
cognitiva, di sviluppo psichico, di equilibrio interiore, umore, capacità e apertura a
nuove iniziative e relazioni).
L’illusione come ogni componente umana può diventare pericolosa se diventa
pervasiva cioè tende a occupare tutta la dimensione psichica della persona
diventando allucinazione e perdita del senso della realtà fino a precipitare nella
psicosi. A questo livello l’illusione danneggia la persona pregiudicandone lo sviluppo
e portandola a ritrarsi piuttosto che aprirsi alla dimensione altra da sé. Cucci
considera utile la critica che si fa alla fede e cita i maestri del sospetto come Freud,
Marx, Nietzsche quando essa contribuisce a depurarla da deviazioni che
l’allontanano da quella dimensione definita da Ricoer (1960) “la seconda ingenuità’’
detta seconda perché ha conosciuto il vaglio del dubbio e della riflessione
speculativa. Qualcosa comunque è andato irrimediabilmente perduto con la critica:
l’immediatezza della credenza.
Oggi possiamo affermare che bisogna comprendere per credere ma bisogna credere
per comprendere. Ciò non va considerato come un circolo vizioso bensì stimolante e
vivente. Oggi possiamo credere solo attraverso l’ermeneutica, con l’interpretazione.
Per credere si deve comprendere e d’altra parte la riflessione critica contribuisce a
purificare la fede. Ciò vuol dire quale Dio, quale annuncio religioso seguire
compiendo una conversione anche psicologica della stessa rappresentazione di Dio
connotandola di altri attributi diversi da quelli della paura e del giudizio sommario.
L’aspetto più interessante ed attuale della critica di Freud alla fede sta nella paura e
nella rappresentazione di un Dio giudice e punitivo che suscita un’ansietà di tipo
depressivo contrariamente alle conseguenze positive che derivano dal credere in un
Dio amore che perdona e accoglie. Frequente è incontrare persone che si dichiarano
non credenti perché non possono immaginare un dio che permette le sofferenze nel
mondo. Si nota pure una visione religiosa causa effetto che azzera il mistero o lo
riduce ad alcuni archetipi filosofici, una religiosità potente e spontanea ma molto
distante dalla fede del Vangelo. Gesù invita a respingere la concezione di un Dio
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artefice di tragedie e punizioni e invita piuttosto alla preghiera e alla vigilanza
fiduciosa in Dio Amore.
C’è una tendenza a ridurre la relazione legale con Dio per difendersi dalla paura; è
questa potente emozione che spinge l’uomo a non abbandonarsi ad una relazione
autentica di fiducia e amorevole abbandono a Dio. Per Gesù la paura e la sfiducia
sono i grandi nemici nell’uomo e lotta contro una religiosità magica sempre alla
ricerca di favori e garanzie per il futuro e Freud vi evidenziava sotto ipocrisia,
superstizione, falsità, paura e immaturità psichica.
Cucci (2009) afferma che l’uomo può considerarsi spontaneamente religioso per le
suddette modalità di credere ma non certo spontaneamente cristiano. Gesù ha
condannato tali credenze ed è stato perseguitato.
La tematica della conversione religiosa non è molto presa in considerazione dalla
psicologia benché sia interessante approfondirla da questa prospettiva per
distinguere ciò che appartiene al vero sé da quello che è invece conseguenza di
disturbi psicotici o nevrotici.
James la definisce: “il processo graduale o improvviso in cui un self in precedenza
diviso, consapevolmente in errore, inferiore e infelice, diventa unificato e
consapevole di essere nel giusto, superiore e felice in conseguenza della sua stabile
visione circa le realtà religiose” (James, 1961, pag.188).
Per la Ullmann la conversione religiosa può essere descritta come il “processo in cui
un self minacciato da intense emozioni negative sperimenta sollievo e gioia come
conseguenza del suo nuovo attaccamento ad una figura reale o immaginaria”; la
rinascita viene percepita come conseguenza di un self precedentemente fragile e
non coeso, infine la trasformazione è considerata come la ristrutturazione cognitiva
di una o più ricerche di significato (Ullmann, 1989).
James critica la maniera con cui si considera dal punto di vista solo patologico la
conversione religiosa, una modalità considerata “materialismo medico” per cui si
considera la conversione di San Paolo dovuta ad una sua lesione occipitale in quanto
epilettico; santa Teresa è considerata un’isterica, san Francesco d’Assisi come un
degenerato ereditario, ecc. (James, 1998).
L’associazione tra fede religiosa e assenza di spirito critico rimane un pregiudizio
duro a morire tra gli psicologi. Una ricerca condotta da Batson, Shoenrade e Ventis
(2001) riconosce nella credenza religiosa una certezza incrollabile che non teme
smentite. Il dubbio porta ancor più tenacemente verso la fede.
93
Per la Ullman la conversione si rifà al complesso mondo emozionale dell’individuo,
per lei si tratta di una sorta di innamoramento; è la relazione più che la coerenza
dottrinale a fare la differenza. Pur essendo presente una componente somatico
nervosa essa non è in grado di spiegare la complessa e variegata gamma di
esperienze in campo religioso.
Occorre fare una considerazione: una possibile base biologica e patologica è
presente in ogni campo della vita, anche in quello delle arti e delle scienze.
Che valore ha la corporeità nella fede cristiana? È questo un aspetto per me
importante in quanto vivo la mia esperienza religiosa con una forte partecipazione
armonica di tutta la mia persona, mente e corpo, con le sue sensazioni ed emozioni
per cui approfondendo gli approcci di psicoterapia corporea ho potuto esperire
direttamente il potenziamento della mia relazione col mistero divino attraverso la
partecipazione di tutto il mio essere nel qui ed ora dando particolare attenzione alle
percezioni corporee del momento. È una modalità nuova per me di aderire alla fede
cristiana cui sono approdata negli ultimi dodici anni circa, da quando è iniziata
l’avventura di crescita personale nell’ASPIC frequentando il Master in Gestalt
Counseling per poi continuare con percorsi formativi nel campo del counseling
espressivo e sessuologico e con percorsi di psicoterapia individuale corporea (la
Vegetoterapia di Reich e l’Analisi bioenergetica di Lowen).
Oggi, poi, come medico psicoterapeuta, mi considero arrivata ad un livello di
consapevolezza della dimensione transpersonale della mia esistenza in cui
sperimento la gioiosa armonia delle varie sfere, mente, corpo, psiche e spirito in
contatto con l’Assoluto tanto bramato fin dagli anni della mia adolescenza.
San Paolo ne parla come dimensione essenziale della persona insieme alla mente e
allo spirito.
Per tanti secoli è stato purtroppo considerato come un ostacolo per il contatto con
Dio mentre nel periodo post conciliare attuale sono molti gli approfondimenti sia in
campo teologico che psicologico che lo riabilitano come via preferenziale per
entrare nella più autentica relazione con il Padre.
Jean Claude Larchet (2006) considera tre motivi per la valorizzazione della
corporeità nella vita cristiana:
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1) presupposti antropologici: l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di
Dio come essere corporeo; tutte le facoltà sono fatte perché tramite esse egli
possa orientarsi verso Dio. C’è dunque un lavoro da fare su di sé, un cammino
necessario interiore per far crescere le virtù (possiamo considerarle qualità
positive) e avvicinarsi alla somiglianza con Dio e lavorare affinché le passioni
(per i Padri della Chiesa esse sono da considerarsi uso malvagio e perverso
delle facoltà stesse dell’uomo) vengano elaborate e risolte dentro un percorso
di guarigione psico-spirituale;
3) presupposti teologici: Il Verbo si è fatto carne, ossia corpo e non solo anima.
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Nell’opera “Apologea del cuerpo” (1959) Victor Pourcel afferma: “Siamo giunti alla
convinzione che, tra tutte le cose della terra, la prima da esporre sia la mistica del
corpo, visto che è la più sconosciuta e quella più vicina a noi. Viviamo con il nostro
corpo e attraverso il nostro corpo”.
Il senso di questa mistica rimanda alla relazione con Gesù Cristo dei Vangeli che ha
vissuto in pienezza la sua corporeità. Il corpo è dunque la via d’accesso a Dio?
Nel Vangelo di Giovanni si parla del Logos che si è fatto “carne” che designa
l’aspetto più materiale, più fisico e più concreto della persona umana, indica
l’aspetto di fragilità, di delicatezza, di sensibilità e di sofferenza. Se, dunque, Dio ha
assunto questo aspetto dell’uomo questi è capace di accedere a Dio attraverso di
esso.
Oggi noi cristiani sentiamo che il corpo non è un banale accessorio dello spirito cioè
della sfera interiore dell’uomo, ma è invece un elemento essenziale dell’essere
umano. Per questo ci adoperiamo per la sua salute, il suo aspetto, la sua immagine.
Assistiamo, comunque, a degli estremismi culturali che si contrappongono agli
eccessi spiritualistici di tanti secoli alle nostre spalle; oggi prevale una sorta di culto
del corpo, di adorazione di esso in particolare una idolatria del corpo femminile,
oggetto di seduzione per arrivare a sfruttamento, maltrattamento, violenza,
appropriazione. Che il corpo considerato in questa maniera non corrisponda
all’autenticità della persona umana lo dimostra il senso di imbarazzo, vergogna e di
pudore che ancora permangono nell’uomo di oggi. Il corpo, oggi, non è più soggetto
alle regole morali ma è una realtà normante, cioè è legge a se stesso, ed è permesso
tutto ciò che lo porta al soddisfacimento dei suoi bisogni.
Nella vita noi cristiani viviamo in pienezza la realtà del nostro corpo, abbiamo il
senso dell’offerta della vita attraverso varie attività corporali anche impegnative fino
ai limiti del martirio, si vive la relazione con Dio attraverso il corpo, si prega con
esso, la liturgia è piena di gesti materiali e corporei, si prega per la sua salute, la
sofferenza e le malattie sono occasione di crescita spirituale se vissute come offerta
e si uniscono al sacrificio di Gesù. L’uomo, dunque, ha una dimensione corporea da
integrare a quella spirituale. Il Cristianesimo è una religione che si distingue dalle
altre religioni e spiritualità per la fede nella resurrezione dei corpi e non è qui la sede
per addentrarmi in questo tema carico di mistero: vi faccio cenno solo perché ad
esso è legato il grande valore che si dà alla corporeità.
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La sanità psicologica dell’esperienza di fede
È luogo comune considerare la sofferenza sia fisica che psichica la molla che spinge
le persone a convertirsi al rapporto con Dio e a cambiare perciò radicalmente modus
vivendi. Che la sofferenza, comune a tutti gli esseri umani e animali, sia una
motivazione può essere accettata ma non spiega il fenomeno della permanenza
nello stato nuovo di esistenza, dal punto di vista morale.
Se tutto ciò fosse soltanto il frutto di una crisi psichica come mai tale cambiamento
continua a rimanere anche in seguito? Se si trattasse soltanto di autosuggestione
perché tali esperienze non accadono a chiunque si trovi in tale situazione? La rarità
di un tale cambiamento sarebbe altrettanto prodigiosa ed enigmatica da spiegare.
Nel tempo successivo alla conversione la persona non solo vive meglio ma mostra di
avere radicalmente cambiato il proprio sguardo focale operando una radicale
ristrutturazione cognitiva; l’attenzione e l’interesse sono posti fuori da sé con il
desiderio incontenibile di far conoscere ad altri la medesima grazia ricevuta (Cucci,
2009, pag.256).
I racconti di conversione presentano alcune costanti, tra cui il fenomeno del
cambiamento morale (Leuba, 1896 pag.309 e segg.). C’è poi il fenomeno della
permanenza nel cambiamento verificatosi all’inizio del processo di conversione, con
una vita serena con ferite profonde risanate (Geels ,1996, pag.234). “La visione
religiosa riporta ordine in un sistema caotico. Fondamentalmente potrebbe essere
una specie di processo adattivo, simile ai processi fisici come sudare quando il corpo
è troppo caldo e tremare quando è troppo freddo…”.
La conversione religiosa porta, dunque, ad una riforma morale, ad un aumento delle
facoltà positive della persona (virtù). Altro effetto della conversione è la maturità
affettiva propria di una personalità stabile ed equilibrata. Come si verifica in un
percorso di ristrutturazione psicoterapeutica, in cui si propone come utile la
frequentazione di un gruppo di psicoterapia per l’importanza dello spazio
comunitario in cui relazionarsi con altri membri, così nell’esperienza religiosa è
naturale l’inserimento in un percorso di comunità dove si fa esperienza di uno spazio
di scambio, di calore umano, di accoglienza e di appartenenza.
È importante rilevare la differenza tra conversione religiosa e conversione morale,
per quanto si richiamino vicendevolmente. Nella conversione religiosa al centro c’è il
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rapporto con l’Altro, l’Assoluto, Il Dio Padre per noi cristiani mentre l’agire morale
ne è solo la conseguenza; in essa prevale il “lasciar essere”, l’abbandono di sé
“piuttosto che il “dover essere”. “Non si tratta di uno sforzo o di un puro proposito
della volontà, ma l’incontro con una realtà inattesa che si mostra nei modi e nei
tempi inaspettati” (Cucci, 2009, pag.259). Lonergan così si esprime: “La conversione
religiosa consiste nell’essere presi da ciò che ci tocca assolutamente. È innamorarsi
in maniera ultramondana. È consegnarsi totalmente e per sempre senza condizioni,
restrizioni, riserve… Per il cristiano questo abbandonarsi è l’amore di Dio che
pervade i nostri cuori” (Lonergan, 1975, pag.256). Edith Stein (2005) dichiara
”Questo afflusso vitale sembra sgorgare da una forza e da un’attività che non è la
mia e che, senza fare alla mia alcuna violenza, diventa attiva in me.”
La conversione religiosa si presenta, dunque, come un evento in cui il cielo e la terra,
il tempo e l’eternità sembrano essersi incontrati e d’improvviso ci si trova capaci di
una vita diversa, ordinata, serena, gioiosa, illuminata di senso; le distorsioni
cognitive e i blocchi emotivi con conseguenti anche gravi ripercussioni sul piano
psicosomatico, si ricompongono in un’armonia duratura nel tempo.
CASO CLINICO
PRE CONTATTO
Le prime 3 sedute di pre-contatto sono state caratterizzate dal mio impegno per un
ascolto attivo empatizzando con la sua situazione problematica con la sua unica
sorella e nel contempo creando un clima di reciproca fiducia nella forza della nostra
relazione. Ho definito le regole del setting. Per l’analisi della domanda e la
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formulazione del caso ho applicato le tecniche rogersiane di riformulazione eco,
parafrasi, delucidazione e rispecchiamento dei sentimenti. Ho fatto varie domande
aperte attenta nell’evitare il VISSI. Abbiamo individuato come obiettivo primario la
cura del sintomo dell’ansia e nell’immediato, lo stato di angoscia da lei definita
“mortale”. Al 3° incontro ho iniziato richiamandola al contratto condiviso e
finalizzato a lavorare sulla gestione della sua forte ansia pervasiva.
Alla sua richiesta esplicita : ”Come posso contrastare il mio stress? ” le ho proposto
anzitutto di iniziare in modo semplice: rallentare il ritmo della voce e la gestualità; le
ho somministrato il test dello stressometro (Fig.16), metodo diagnostico semplice
che mi ha dato l’occasione di dare basi scientifiche al mio lavoro di gestione dello
stress (essendo una docente liceale ama capire prima di agire) e nel contempo ho
iniziato con esso il processo di autoconsapevolezza della sua ansia partendo dalle
sensazioni corporee, poi le emozioni e infine i pensieri che ne conseguono (nel
regolo analogico sull’ansia da 1 a 10 si pone a 8).
Fig.16 - Lo stressometro
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AVVIO DEL CONTATTO
Fig.17- Il Genogramma
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Fig.19 - Doppie immagini nascoste
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Ho dedicato l’ultima parte della seduta alla tecnica della visualizzazione guidata di
un albero (ha immaginato un pino marittimo, con arbusto alto, slanciato, proteso
verso il cielo che l’ha fatta sentire ben radicata sul suolo e con forte stabilità).
Nell’8° incontro si è presentata molto preoccupata per le minacce anticonservative
della sorella dopo l’ennesimo contrasto verbale avuto con lei per il disordine e la
trasandatezza che coinvolge pure il padre. Mi ha fatto ascoltare la audio
registrazione dell’accaduto che abbiamo esaminato nei dettagli. Abbiamo esplorato
la rigidità di N. e la sua ferma determinazione a voler essere lasciata in pace e libera
di vivere come vuole, quindi la mia paziente ha condiviso il mio invito al rispetto
della sua libertà e alla opportunità di entrare in sintonia empatica coi suoi vissuti.
Ho colto in questo aspetto l’importanza della relazione terapeutica improntata
proprio all’empatia costante sia a livello cognitivo che emozionale, dimensione che
permette al processo terapeutico di andare avanti in progress.
Ho indirizzato il comportamento della paziente all’ “esserci in presenza” con la
sorella piuttosto che nello stare a casa sua trafficando e stando nel “fare” e le ho
proposto di evitare di rivolgerle critiche e accuse riguardo il suo modo di vestirsi, di
tenere la casa e di comportarsi. Ho cercato di farle riconoscere nella sorella tratti di
rigidità legati alla sua situazione e alla sua storia.
Le ho somministrato il mini test sulla “Valutazione rapida dello stress” il cui
punteggio massimo è stato 3, e ciò è stato determinato dai malesseri fisici segnalati
nel test e legati all’ansia. Ho dedicato un tempo ad approfondire le caratteristiche
della sua ansia, la sua intensità e pervasività, gli eventi che solitamente la generano
e i pensieri che la alimentano. Sono pensieri disfunzionali catastrofici riguardanti il
futuro che vede assolutamente drammatico con sua sorella da accudire in quanto
mentalmente malata e non in grado di gestire da sola la sua vita. È il tormento che la
perseguita e la rende inquieta.
Ho ascoltato e usato molto la riformulazione e il dialogo socratico, una tecnica della
metodologia cognitivo-comportamentale molto efficace per accompagnare la
persona a scoprire le contraddizioni, le trappole, le infondatezze delle sue
convinzioni. Ho constatato che con questa paziente, letterata e quindi amante della
conoscenza, accanto ad un lavoro di autoconsapevolezza delle emozioni e sensazioni
corporee è opportuno tenere un colloquio improntato alla spiegazione dei
fenomeni, alla confutazione e alla confrontazione in una cornice empatica che
contemporaneamente le permette di contattare il suo vero Sé, la sua essenza, la sua
parte interna a lei stessa sconosciuta per vari aspetti. Il feedback è stato positivo, il
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processo terapeutico sta svolgendosi in linea con le sue aspettative e le sue
necessità.
Nel 9° incontro mi ha proposto subito la lettura del diario da cui è emersa la fatica
nell’esecuzione del compito di relazionarsi in maniera diversa. Per lei è un
“dovere” che le pesa tanto, non prova affetto per la sorella e lo vive come un
“accondiscendere ad una follia”. E ciò le provoca turbamento. Le ho spiegato la
“psicologia del campo” dando un fondamento scientifico all’opportunità di mettere
sullo sfondo i gatti e mettere in figura la relazione con sua sorella. L’ho vista molto
interessata specie nel riconoscere che è una strategia vincente, che può sembrarle
assurda; eppure, le serve per “stare bene”.
In chiusura 5’ di respiro consapevole.
Il 10° incontro è stato quasi interamente dedicato al Rilassamento poiché si è
presentata molto ansiosa.
Ho usato la Tecnica della Mindfulness del respiro consapevole poi del cammino per
imparare a rallentare “agendo e muovendosi nel mondo” e della Mindfulness dell’
“uvetta” usando una caramella, poi la visualizzazione guidata dell’albero (questa
volta ha immaginato la quercia). È stato un lavoro in cui l’ho vista molto coinvolta e
mi ha rimandato un feedback positivo per il giovamento ricevuto; anche in questa
seduta ha provato interesse e sorpresa. Mi ha espresso apprezzamento per la
varietà di tecniche e di strumenti che porto in terapia.
Ho poi proposto in piedi il grounding e le posizioni di Bioenergetica del bend over e
dell’arco allo scopo di scuotersi di dosso l’energia interna che stava contenuta
dentro il suo corpo e farle sperimentare un modo nuovo, dinamico, di stare nel qui
ed ora. Mi ha rimandato una sensazione di benessere profondo.
Ho concluso la seduta con due esercizi di Brain Gymn per connettere e integrare
emisfero destro ed emisfero sinistro, da cui ha tratto con sorpresa grande beneficio
a carico della testa.
Feedback positivo sia mio a lei sia della paziente nei confronti della nostra alleanza.
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BOX di approfondimento - BRAIN GYMN
Da Asprey D. (2018)
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Fig.20 - Movimenti principali del Brain Gymn (Da Steemiteducation)
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Fig.21- La Ruota della vita
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Con la paziente l’osservazione clinica e la raccolta anamnestica insieme all’analisi
della domanda mi hanno fornito sufficienti informazioni per la formulazione del caso
e elaborare un piano di trattamento cucito su misura (tailoring).
Nei successivi incontri abbiamo approfondito la necessità di rilassamento, di
rallentamento nel parlare e nel muoversi ed abbiamo trattato le strategie antistress;
poi abbiamo dato ampio spazio a Mindfulness e Visualizzazione guidata.
CONTATTO PIENO
Nel 22° incontro ho riconosciuto d’essere entrata ormai nel contatto pieno del
nostro processo terapeutico; avendole proposto già dei lavori sulle parti di sé da
ricontattare e da integrare come strada per l’armonia del suo vero Sé, l’ho fatta
lavorare invitandola al Rilassamento e a sintonizzarsi con suo spazio interno
(preliminari del Focusing) per poi identificare dentro di sé e dare un nome alle
emozioni e sensazioni emergenti nel qui ed ora. Sono stati individuati: insofferenza,
rammarico, paura, fastidio e infine soddisfazione nella sfera lavorativa. L’ho fatta
stare in contatto con queste parti e poi siamo passate alla fase 2 con il role playing
attraverso la rappresentazione delle sue parti utilizzando come oggetti transizionali
dei peluche. Per 30’ ha dialogato con queste emozioni con grande partecipazione,
ha gioito del coniglietto, simbolo della sua parte soddisfatta per il lavoro, l’ha
coccolato tra le braccia. Ha dialogato con la paura accusandola d’essere sempre
presente (tartaruga) che poi si è data il permesso di cacciare lontano insieme ad
un’altra parte, il rammarico costante (bambolina) e il senso d’insofferenza (pecora)
che ha accusato di rendersi presente in ogni circostanza.
Nel feedback ho rinforzato la sua parte soddisfatta che è per lei una presenza che le
dà fiducia in se stessa ed è leva su cui appoggiarsi per affrontare le difficoltà (ha
tenuto per un po’ il coniglietto tra le braccia). Il suo feedback nei miei confronti è
stato positivo, ha apprezzato come l’ho accompagnata nell’esplorazione e su questo
mi ha chiesto di tornare a lavorarci le prossime volte.
Così nel 23° incontro abbiamo fatto il lavoro gestaltico della sedia bollente su cui ha
posto la sorella fonte di ansia. Si è data il permesso di rivolgerle parole dure e
pesanti, ho osservato la sua commozione e l’ho ascoltata con voce tremula, ho
immaginato la fatica nell’esprimere tutte le emozioni che si agitavano al suo interno
e ho cercato di essere presente come guida silenziosa ed empatica, dandole qualche
tocco sulle spalle e verificando più volte il suo status. Ha sentito dentro di sé
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contentezza, sorpresa e liberazione. Ha scoperto dentro di sé un profondo affetto
per N. e abbiamo condiviso la seguente frase da lei pronunciata: “L’Amore trasforma
sia chi ama sia chi si sente amato”.
Nel 24° incontro le ho fatto svolgere un lavoro con la rappresentazione grafica delle
convinzioni disadattive e quelle funzionali per poi trarre conclusioni sui punti di forza
e le fragilità cognitive su cui ritornare in successive sedute. È stata l’occasione per
scoprire le proprie memorie traumatiche e la loro origine nella prima infanzia oltre
che nel periodo prenatale e perinatale e questa scoperta è stata per la paziente
quasi scioccante. Comunque, è stata molto contenta.
Proposito: focalizzarsi su eventi positivi e scrivere con maggiore costanza il diario
tipo “strutturato”, su pensieri, emozioni, sensazioni in un periodo di grande paura
per la pandemia. Ha individuato alcuni pensieri trappola che le provocano “asfissia”
e che si intrecciano nella sua mente a pensieri positivi.
È iniziato il lockdown quindi abbiamo concordato di fare le sedute in modalità on
line via Skype.
Nei primi incontri a distanza ha sfogato la sua ansia per la pandemia ed io ho messo
in atto procedure rogersiane e cognitiviste invitandola a considerare i suoi pensieri
catastrofici disfunzionali. Era molto tesa, ha espresso preoccupazioni per se stessa,
per le figlie…
È stato necessario tanto ascolto attivo, riformulazioni con una prosodia e un non
verbale orientati al rallentamento per creare un’atmosfera rilassante.
Nel corso del 25° incontro ho usato la Scheda per Autoanalisi Razionale Emotiva, un
questionario del metodo R.E.T. di Ellis che ho considerato utile per mettere ordine
nella confusione di pensieri e credenze che attanagliano E. creando impasse; da essa
è emersa la tendenza a pensieri ossessivi e catastrofici affermando: “Io tendo ad
amplificare il negativo a tal punto che annebbia il positivo”; ha pure una mente iper
controllante (nel regolo analogico al riguardo ha dato 8 come punteggio). Feedback
sulla nuova modalità a distanza: è un’esperienza particolare cui ci riusciamo ad
adattare entrambe creando un clima di “stare in presenza” al di là dello schermo e
questo è possibile grazie alla ben consolidata relazione terapeutica che si è andata
costruendo nei mesi di lavoro presso il mio studio.
La fase del pre-contatto, in cui anzitutto occorre sistemare bene il setting on line
verificando bene il funzionamento della rete, del video e del microfono, è parte
integrante dell’accoglienza in cui cerco ogni volta di mettere a proprio agio l’altro
anche ricorrendo al mio umorismo che vivo come risorsa positiva e a cui ricorro
111
spesso per creare un’atmosfera di serenità pur dentro un impegnativo lavoro com’è
quello dell’alleanza terapeutica. Anche per la mia paziente lo scherzare sugli eventi,
l’ironizzarci sopra, cogliere l’aspetto allegro e talvolta buffo è vissuto e scoperto
come un’opportunità per attivare la parte di sé positiva, volta all’ottimismo e alla
fiducia. L’alimentarla quindi è importante per fronteggiare le emozioni di
melanconia, di ansia e di rabbia che sono una costante nelle sedute. Alla mia
richiesta di fare un disegno libero ha infatti creato un clown, con suo grande
stupore.
Nel 25° incontro ha riportato subito il suo stato di smarrimento nelle varie aree della
vita, in particolare in quella della famiglia e del lavoro dove ha difficoltà nella
comunicazione tra i colleghi a causa della pandemia e prova frustrazione con la DAD.
Ho intuito la necessità di farla ancorare ad un “posto sicuro” e quindi l’ ho guidata
ad esplorare questa realtà con il respiro consapevole, il grounding , la visualizzazione
e invitarla poi a stare nel “qui ed ora” con i 5 sensi, con l’atteggiamento della
Mindfulness. Durante l’esercizio l’ho osservata molto rilassata e partecipe, nel
feedback ha rimandato l’efficacia di questa modalità per fronteggiare il periodo
doloroso che sta attraversando.
Il mio feedback è stato centrato sul rinforzare queste sue abilità di resilienza e
adattamento creativo e nel contempo sulla necessità di lavorare ancora sui pensieri
“trappola” e sui “dilemmi” che la trattengono e la fanno stare nel malumore e nella
tristezza.
Nel 26° incontro ci siamo soffermate sul suo senso d’ imbarazzo per quello che può
dire la gente del quartiere dove abita sua sorella col padre con quei gatti che
girovagano. Le ho somministrato il test sul senso di colpa, l’imbarazzo e la vergogna
su assi cartesiane (ponendo sull’ascisse la responsabilità e sull’ordinata l’intensità
emozionale). Ne è emersa una percentuale importante di colpevolizzazione di cui ha
preso piena coscienza ritenendosi soddisfatta del processo esplorativo effettuato in
seduta; le è risultato estremamente utile essere stata ricondotta da me al momento
presente (su questa necessità di stare nel qui ed ora abbiamo lavorato per buona
parte di altre due sedute) e alla scoperta del suo “sabotatore interno”, inteso come
un potente critico mentale insito in lei che la perseguita e la inquieta inculcando
indecisioni, sensi di colpa, pensieri catastrofici. Per fronteggiare il senso di colpa e la
vergogna (per la sorella) le ho proposto come obiettivo: avere un “sano distacco”
inteso come mettere dei confini tra la sua vita e gli altri significativi. Uno spazio della
seduta è stato dedicato alla relazione col marito con cui spesso ha da esercitare la
pazienza in quanto sono due personalità molto diverse, lui ha tratti ossessivi che la
infastidiscono alquanto.
112
Nel 29° incontro, da docente di Lettere, ha riportato una famosa affermazione di
Orazio: “Carpe diem” e alcune frasi dell’Ode “A Cloe” : “Apprezza la vita per quello
che ti dà giornalmente”; “Lascia agli dei quello che sarà”; “Cogli l’attimo nella
ricchezza che ti dà nel presente”. La paziente mi ha spiegato che queste Odi
esprimono l’angoscia di Orazio per l’incalzare degli anni e parla dell’immortalità
nelle opere, nella poesia, in quello che si lascia.
Le ho chiesto: “Cosa ti direbbe oggi il poeta?” Ha risposto: “Mi direbbe di apprezzare
le cose del presente, mi direbbe… fermati, apprezza questo momento, non ti
affannare!”. Orazio, mi ha svelato la paziente, parla di “autarkeia” intesa come
equilibrio ed autosufficienza, sarebbe la virtù dell’uomo che basta a se stesso, è
l’ideale della misura, vuol dire non esasperare gli affanni e le preoccupazioni della
vita per procurarsi benessere.
Ha concluso la paziente un po’ rattristata: “Il problema è metterlo in atto!”.
Abbiamo concluso la seduta confermando l’intenzione di perseguire questo nobile
obiettivo.
Giunte al 30° incontro ho avvertito in lei, dal modo con cui ha narrato il suo status
emotivo ed espresso la sua consapevolezza, d’essere arrivata ad una svolta, come se
si fosse concluso un lungo capitolo del nostro processo relazionale (avendo
raggiunto l’obiettivo di distacco dalla sorella e acquisizione di senso di rispetto nei
suoi confronti riconoscendole la libertà di impostare la sua esistenza come vuole) e
ne stesse iniziando un altro incentrato sullo scioglimento dei suoi “blocchi emotivi”
che le stanno pesando “come un mattone sul petto”. Desiderava rimuovere quel
“critico interno” che la tormenta e l’ho accompagnata nel ricordare delicatamente il
suo passato remoto, il periodo della sua infanzia, per scoprire l’origine della
presenza dentro di sé di questa voce che la frena, con ingiunzioni che le ripetono:
“Non farlo, fermati!”. E’ andata così a ricordare quand’era piccola, bambina di circa
quattro o cinque anni, e di quando desiderava uscire da casa per passeggiare in
campagna e dentro di sé sentiva quella voce che le diceva con forza: “Non voglio più
andare!”.
Con riferimento esplicito all’Analisi Transazionale l’ho accompagnata a considerare i
divieti e i messaggi che ha interiorizzato e che la ostacolano nell’essere se stessa nel
presente. Questa memoria l’ha stupita e l’ha aiutata a riconoscere dentro di sé una
forte presenza di freni mentali e ciò l’ha portata a desiderare di compiere finalmente
un salto di qualità verso la liberazione da essi.
113
Nel suo feedback conclusivo mi ha ringraziata soddisfatta del processo che la sta
evolvendo concretamente e in senso “irreversibile” senza rischio di regressione.
Questo fatto la entusiasma e la rende contenta della psicoterapia con me.
L’ho invitata a tenere il senso della realtà e a non sorprendersi di eventuali ricadute
data la presenza della sorella come problema.
Infatti, già nell’incontro successivo, il 31°, si è presentata giù di morale e
particolarmente provata per il marito. Ha letto dal suo diario: ”Ogni equilibrio è
precario e può comunque infrangersi da un momento all’altro”. L’ho pertanto
invitata ad esplorare le sue emozioni e le sue sensazioni corporee disidendificandosi
da esse attraverso quello che ho definito “tecnica dell’impacchettamento”
mettendole su un foglio per fissare in una rappresentazione grafica il delicato e
complesso processo in atto.
Con entusiasmo ha cominciato a disegnare pacchetti delle emozioni e delle
sensazioni e ciò l’ha aiutata a liberarsene e a guardare davanti a sé sentendosi
decisamente meglio (tra le emozioni predomina la rabbia e tra le sensazioni un
senso di oppressione al petto e mal di testa).
Questo esercizio dei pacchetti delle emozioni e delle sensazioni corporee è stato
eseguito più volte come compito a casa e ha dichiarato di averlo svolto volentieri
come allenamento per disidentificarsi da queste due componenti del suo mondo
interno che la disturbano nella sua quotidianità. Ne ha tratto grande beneficio
realizzando quello che Beck ed Ellis nel Cognitivismo hanno indicato come processo
(Beck, 1976).
Il controllo delle emozioni e sensazioni porta ad avere pensieri più funzionali da cui
derivano senso di fiducia e speranza nel perseguire i propri obiettivi e nell’agire. Sta
scoprendo che anche i suoi comportamenti stanno mutando, ha rallentato il suo
modo di camminare e di insegnare, con la sorella ha un atteggiamento improntato
all’accettazione così com’è, all’ascoltarla anziché stare distrattamente a casa
impegnata a mettere ordine e pulizia preoccupata dei gatti anziché a dialogare con
lei, orientata più al “fare“ che all’ “esserci”.
Ho dedicato un paio di sedute a esporre un metodo efficace di comunicare: la
Comunicazione Non Violenta di Marshall Rosemberg, una vera rivoluzione nel
relazionarsi tra persone in famiglia, tra i coniugi, coi figli, negli ambienti di lavoro.
Mi soffermo a spiegarne i punti cardine nel box di approfondimento.
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BOX di approfondimento - LA COMUNICAZIONE NON VIOLENTA
Rosemberg (2012, 2015, 2017)
Questa modalità di comunicare è sorta negli Stati Uniti intorno agli anni ’60 in una società
tecnologica e pragmatica dove il successo e il guadagno valgono più di altre cose e ciò va a
discapito delle relazioni umane.
Il bisogno di comprensione aumenta anzitutto verso se stessi, insieme all’incapacità
di trasmettere questo bisogno e di soddisfarlo.
L’intuizione di Rosemberg è stata quella che per comunicare efficacemente occorre
ascoltare prima di tutto se stessi, i propri bisogni inespressi e compressi dentro di sé
e che fanno sentire la loro presenza attraverso le sensazioni del nostro corpo.
È un metodo molto semplice e non facile in quanto richiede da parte del
comunicatore un percorso onesto e umile d’autoconsapevolezza e la capacità di
auto esplorazione, a cui si aggiunge la volontà di creare un ponte tra se stessi e
l’altro in un atteggiamento di win-win in cui cioè non ci sia alla fine un vincitore ed
un perdente bensì due persone che si riconoscono e si connettono con serenità e
desiderio di dialogo sincero.
Le tappe sono fondamentalmente quattro:
1) osservare i fatti (la situazione di criticità);
2) ascoltare le proprie sensazioni;
3) tradurle in bisogni;
4) porre la richiesta al destinatario.
Rosemberg distingue due tipi di comunicazione:
- quella “giraffa” o “del cuore” caratterizzata da atteggiamento empatico,
- quella “sciacallo” piena di critiche, giudizi, accuse pretese verso l’altro.
L’obiettivo è imparare la comunicazione del cuore, efficace in quanto accogliente,
benevola, attenta a se stessi e all’altro. È una pratica semplice che si è diffusa nei
corsi alla genitorialità sia per i docenti che per educatori.
115
Fig.22 - La comunicazione “giraffa” o del cuore
116
Nella prima ho messo lei come soggetto (mittente) del messaggio con le sue
preoccupazioni (pensieri catastrofici riguardo la salute di N., sensazioni corporee di
oppressione in petto, emozioni di rabbia e paura per il futuro), i suoi bisogni (di
vedere N. più attenta alla propria salute e igiene personale e della casa anche per
rispetto al padre convivente), e la richiesta in modalità “giraffa”.
Nella seconda fase ho messo N. come soggetto ricevente invitando la paziente a
“mettersi nei suoi panni”.
Ne è uscito un lavoro gestaltico molto forte e faticoso per entrambe con un
feedback positivo di entusiasmo. Ho notato nella paziente molta partecipazione e mi
ha rimandato che si trova molto bene con questa modalità di psicoterapia dove:
“ogni volta impari qualcosa di nuovo… non ti ripeti mai!”.
Nella seduta successiva, se da un lato la paziente mi ha narrato di aver applicato alla
meglio con la sorella il metodo della Comunicazione Non Violenta ricavandone
durante la settimana incontri più distesi, poi ha raccontato l’esperienza negativa
subita a scuola da parte di un collega (riguardo la DAD) che ha usato nei suoi
confronti la comunicazione “sciacallo” criticandola e procurandole fastidio e peso in
testa (sensazione corporea), tanta rabbia (emozione) e individuando come suo
bisogno insoddisfatto la chiarezza, la comprensione. Ho dedicato 15’ al Focusing da
cui ha ricavato una sensazione di benessere e rilassamento.
Nel 33° incontro ha riportato i compiti a casa riguardo il lavoro sui pacchetti delle
emozioni e delle sensazioni; sono emerse emozioni negative come tristezza e
positive di appagamento cui corrispondono sensazioni nel primo caso di un po’ di
disagio e stretta al petto, crampi nello stomaco prima e poi senso di piacere alla
pancia. Ha raggiunto un buon livello di consapevolezza emotiva e corporea che la
rende più sicura di sé e più assertiva. Ha concluso la seduta citando questa volta Ugo
Foscolo ne “I Sepolcri” che afferma l’importanza di chi ha lasciato l’eredità degli
affetti vive una forma d’immortalità e dichiarandomi che il canto dei poeti rende
tutti eterni, sia vincitori che perdenti. Sono spazi di alcune sedute dedicati al
Significato Personale della Vita (Hill, 2020) che le piace condividere con me in
quanto, come ho già rilevato, la nostra relazione terapeutica è resa più salda dalla
dimensione esistenziale spirituale cristiana vissuta da entrambe per cui prova
serenità nell’esporre il suo senso profondo della vita.
Nel 34° incontro abbiamo lavorato sullo stato reale e sullo stato desiderato e l’ho
invitata a contattare ciò che vive nell’oggi e quello che desidera essere nel futuro; è
compiaciuta dell’accettazione della sorella, ciò le provoca un profondo senso di
117
liberazione e soddisfazione. Indicatore è stato il sorriso liberatorio unito al piacere di
stare cogli altri.
Nel 36° incontro ha riportato la soddisfazione provata per essere riuscita nel
tentativo di realizzare con la sorella la Comunicazione Non Violenta, è stato
impegnativo eppure è riuscita nell’intento creando uno spazio di distesa
conversazione con N. senza critiche o polemiche e clima di tensione. Abbiamo
scandagliato il processo della CNV nelle sue fasi.
Nel 38° incontro ci siamo soffermate sulla personalità della sorella. Ho usato una
metafora rappresentata graficamente, di una cellula con un nucleo malato,
traumatizzato, come si dice in gergo psichiatrico, “psicotico”. Le ho spiegato
qualcosa riguardo le ultime conquiste delle neuroscienze che rilevano all’origine di
certi comportamenti “strani” alcuni traumi subiti durante i nove mesi di gravidanza.
Infatti la paziente ha narrato che N. è frutto di una gravidanza inaspettata e tardiva
(la madre aveva 40 anni e di questo si vergognava). È stata anche dal punto di vista
fisico una gestazione complessa con un parto travagliato. Tutto ciò è da considerare
verosimilmente all’origine remota della malattia psichica di N. che, come feto, ha
subito forti traumi che l’hanno marcata in maniera indelebile.
La paziente era molto sorpresa per queste mie rivelazioni scientifiche per cui le ho
fornito dei titoli di biblioterapia riguardanti i traumi prenatali.
Le ho spiegato poi, ricorrendo sempre al linguaggio metaforico, che a livello bio
chimico tra le cellule si creano delle connessioni necessarie per la sopravvivenza
degli organismi e così, essendo sua sorella una persona fortemente e rigidamente
sconnessa dal mondo delle persone, ha cercato in qualche modo di crearsi dei
contatti… quindi la paziente ha avuto come una sorta di insight: “se N. vive isolata
dal mondo e si rifugia nei gatti è perché non si sente compresa da noi e quindi
occorre che io crei questi ponti con lei!”.
Altro problema emerso è quello delle bugie di N.
Per questo ho proposto un altro lavoro con la sedia bollente su cui ha posto la
menzogna (la paziente ha scelto il peluche di Peppa Pig). Nel feedback conclusivo mi
ha rimandato tanta sorpresa e comprensione nei riguardi della sorella che “è
costretta a non dire la verità” per difendersi (Giusti, Barbetta, 2018).
Durante il 39° incontro ha esplorato la sua rabbia verso il marito (di lui ha parlato
molto raramente nelle precedenti sedute) e di cui la infastidisce il perfezionismo e
da cui non si sente compresa; altro tema forte l’idea di farla finita mentre
118
passeggiava lungo il fiume Velino (ha provato una grande paura perché si è
all’improvviso sentita “fusa” empaticamente con la sorella).
Abbiamo concordato come sub-obiettivo di questa fase un lavoro per un sano
processo di “disidentificazione”, di distacco emotivo dalla sorella, per riuscire a
considerarla per quello che è nella sua malattia e di considerare il positivo che ha
nella sua esistenza, questo urge perché lei non si lasci cogliere e pervadere dalla
paura.
Ho colto l’urgenza quindi di compiere un lavoro in due fasi: nei confronti del
problema che è per lei costante (la sorella con psicosi con cui è faticoso relazionarsi)
e nei confronti di se stessa, della sua vita personale di cui è importante considerare
gli aspetti positivi (le ho per questo proposto di stilarne una lista per rinforzarla) e
del rapporto col marito. Abbiamo quindi rinegoziato il contratto su questi nuovi sub
obiettivi.
Nel 40° incontro ho svolto con lei un lavoro di Mindfulness body scanner e un breve
processo di Focusing in quanto è arrivata in preda all’ansia; con la sensazione di
“piacevole sicurezza e protezione” derivate da queste procedure di rilassamento le
ho fatto fare un lavoro gestaltico sulle sue emozioni forti rappresentate da oggetti
transizionali (peluche); sono emerse la rabbia, l’ansia e il senso di colpa, tre
emozioni che predominano dentro di lei disturbandola e causando spesso sensazioni
di peso alla testa, tensione alle spalle, oppressione al petto.
Il tema della coppia e le incomprensioni col marito sono state al centro della
successiva seduta (la 41a) in cui ha esternato la sua rabbia per l’attaccamento di lui
alla suocera, figura dominante e prevaricatrice; dopo aver fatto una dettagliata
narrazione biografica dei vari periodi di vita matrimoniale in cui maggiormente ha
sofferto, le ho prospettato di considerare il grafico di Giusti sul NOI della coppia
(Fig.24) che copre solo il 33% dello spazio contro il 67% di autonomia di entrambi e il
triangolo dell’Amore di Stenberg su Intimità, Passione e Impegno (Fig.25) (Giusti,
Bianchi, 2013).
119
Fig.24 - Il Noi della coppia
121
Su questi due aspetti abbiamo lavorato già in passato ed ora ancora di più animata
da un forte desiderio di liberarsene per essere più serena.
Tra le varie tecniche di Arteterapia nelle mio lavoro ricorro talvolta all’uso delle
carte del gioco “Il mercante in fiera” che diventa un modo originale di realizzare un
divertente test proiettivo che ha successo per il coinvolgimento dei pazienti che
senza fatica sono da me guidati a consapevolizzare parti di sé a volte già note e a
volte sconosciute. L’esercizio consiste nel far scegliere a caso dalle 3 alle 5 carte (in
base al tempo a disposizione) e considerarne una alla volta. Agevolo la persona ad
entrare in contatto con l’immagine rappresentata, la invito a stare in ascolto delle
sue emozioni e sensazioni corporee comunicandomi quello che prova nel momento
presente. La invito ad entrare con la fantasia nell’immagine e verificare come si
sente; le faccio esprimere con calma puntando ad essere una presenza in ascolto e
in silenzio che favorisce la sua auto consapevolezza interna. È un esercizio di
Imagery molto potente da cui ricevo ogni volta feedback positivi.
Anche con la paziente ho usato questo test che si è rivelato utile nel 49° incontro per
alleggerire un po’ il clima reso pesante da tanta stanchezza riportata dopo una
settimana di intenso lavoro a scuola.
Nel 50° incontro dopo aver ripreso la terza parte del Genogramma da cui è emersa
che una cugina del padre aveva tratti simili a N. (era giudicata ”un tipo alternativo” e
“mezza matta”) ho introdotto il metodo della Terapia focalizzata sulla Compassione
riferita anzitutto a se stessa per poi essere compassionevole, accogliente e benevola
verso il suo prossimo, da N. al marito perfezionista e “pesante” e, a volte,
insopportabile.
123
3- Il sistema di sicurezza che porta a cercare relazioni interpersonali
nutrienti e intime.
La CFT agisce anzitutto attraverso una salda ed empatica relazione terapeutica che
diventa spazio sicuro dentro il quale il paziente può sperimentare ciò che non ha
ricevuto nell’infanzia, accudimento, protezione, contenimento e gentilezza da parte
del caregiver necessarie per crescere con equilibrio interiore e serenità anziché
diventare vittime di autocritica e sensi di colpa.
Per vincere la tendenza alla ruminazione la CFT invita ad accogliere i propri pensieri
disturbanti con gentilezza e amorevolezza e con il coraggio necessario per operare
alcuni cambiamenti riguardo le proprie credenze e i propri valori.
La Compassione si può apprendere attraverso un Compassionate Mind Training
apposito che insegna le seguenti qualità:
124
- sensazione compassionevole per cui il terapeuta aiuta il paziente ad essere
attento alle sue sensazioni quando sperimenta compassione verso di sé e
gli altri;
- emozione compassionevole che è l’esito di tutto il processo precedente e
consiste in senso di pace e serenità.
125
Box d’approfondimento LA IMAGERY: le tecniche immaginative
(Arntz A., 2012) www.stateofmind.it, 2017/02 Imagery. L’utilizzo delle tecniche
immaginative nella psicoterapia cognitiva.
126
Nel DOC c’è prevalenza di immagini mentali, particolarmente intrusive che
comportano maggiori rituali ed evitamenti e presenza di ossessioni sotto forma di
immagini.
Nei pazienti affetti da Bulimia nervosa le immagini legate all’aspetto fisico sono
vivide e disturbanti rispetto al gruppo di controllo che segue una dieta.
Nella fobia sociale le immagini ricorrenti e i ricordi associati riguardano la
sopraffazione, l’umiliazione, la critica o il rifiuto subiti nell’adolescenza.
Nel craving (voglia, desiderio) e abuso di sostanze, le immagini ricorrenti riguardano
le sostanze desiderate e di come ci si sentirebbe assumendole.
La ricerca evidence-based dimostra la validità delle tecniche immaginative oggi
impiegate negli orientamenti più diffusi come Gestalt, Musicoterapia immaginativa,
l’ACT, la Desensibilizzazione sistematica e le tecniche d’esposizione, la Schema
therapy di J. Young e la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale di Ellis. Si
lavora sulla immagine prodotta dal paziente utilizzandola sia come strumento
d’indagine sia come strumento di cura in quanto si cerca di lavorare sulle immagini
intrusive disturbanti e sulle emozioni ad esse associate per poi orientare il paziente
alla trasformazione delle emozioni in senso costruttivo e diminuendo l’evitamento o
i comportamenti di protezione messi in atto. In genere una terapia immaginativa
efficace è quella che mira ad una diminuzione della frequenza ed intensità
dell’imagery intrusiva. Scopo dell’intervento terapeutico è agevolare l’elaborazione
emozionale e trasformare in modo costruttivo le emozioni disturbanti; è quindi
diminuire così l’evitamento o i comportamenti di protezione messi in atto.
L’Imagery Rescripting è un processo ideato da Arnauld Arntz e si percorre nelle
seguenti fasi:
1- Il terapeuta invita al rilassamento opzionalmente invitando il paziente a
immaginare un Posto Sicuro.
2- Il terapeuta invita il paziente a entrare nella situazione attuale
stressante e alle relative emozioni disturbanti.
3- (Ponte dell’Affetto): viene mantenuta l’emozione mentre si spazza via
l’immagine della situazione attuale. Si accede invece all’immagine di un
ricordo emotivamente stressante associato all’emozione (solitamente
ambientato nell’infanzia).
4- Si esplora la situazione passata. (Chi c’è? Cosa sta succedendo? Quanti
anni hai? Ci sono altre persone? Come ti senti dal punto di vista di
quando eri piccolo? C’è qualcosa che dici o fai?). Il focus è sui bisogni e i
127
sentimenti del bambino del passato. In questa fase è importante fare
attenzione ai cinque sensi (Cosa senti? Cosa vedi? Che suoni o rumori
ascolti? Ci sono odori o profumi particolari? Stai toccando qualcosa?
Cosa senti toccandolo? Stai mangiando o bevendo qualcosa? Che gusto
provi?).
È bene passare poi ad esplorare le emozioni, i pensieri e infine i propri
bisogni. Durante l’esercizio è importante che il paziente viva nel passato
esprimendosi come fosse presente e nella prospettiva del bambino (Io
ho bisogno di). È possibile far realizzare al paziente una catarsi emotiva.
5- Si introduce una figura d’aiuto cui il bambino può rivolgersi e con cui
possa sentirsi al sicuro.
6- Si approfondisce la condizione di sicurezza e di protezione.
7- (Opzionale) Si può trasferire l’esperienza del passato allo stato presente
o all’immagine di una situazione presente.
128
Dato che è emerso un “non detto” alla sorella ho proposto la tecnica della sedia
bollente in cui ha potuto esternare cose sospese.
Le ho proposto feedback frequenti e al 62° incontro come punto di criticità è emerso
il rapporto con sua sorella verso cui prova sofferenza (ha espresso dispiacere per il
padre ridotto a stare con N.) e soprattutto tantissima “rabbia”.
Questa volta seguendo il mio intuito le ho proposto il lavoro esperienziale di
esplorazione del Lì e l’Allora, riguardo ai ricordi della sua infanzia, quando era
arrabbiata da piccola. Dopo il respiro consapevole l’ho introdotta nella
visualizzazione di lei bambina, alla memoria di un evento traumatizzante per lei…; è
emerso il rimprovero e l’ingiunzione imperiosa dei suoi genitori che si sono opposti
al suo uscire il pomeriggio ed andare in giro dopo la lezione di musica a scuola
quando frequentava le scuole medie. Lo ha ricordato provando nel corpo come un
peso allo stomaco “un sasso” che le faceva tanto male. Le ho proposto il regolo
analogico da 1 a 10 per valutare il dispiacere (7) e la rabbia (8) di allora messi a
confronto con il Qui ed Ora ( dispiacere e rabbia a 9) in cui avverte le emozioni più
forti con un “senso di liberazione” a 8 ,che sta scoprendo ora attraverso il nostro
processo terapeutico. Allora cercava rifugio in un “mondo alternativo” fatto di
letture di libri quali “Le piccole donne” ,”L’isola del tesoro” che ora confronta con
l’attuale “libertà tangibile e concreta”. L’ho fatta rivolgere a lei bambina: “Cosa le
vorresti dire?” e sono emerse due convinzioni di lei adulta 1) “Poverina eri piccola e
non potevi ribellarti!” e 2) “Forse qualcosa potresti fare… insistere, battere i piedi,
strillare… cosa che allora non hai fatto”.
Da questo importante lavoro sul suo stato di Bambina sottomessa, passiva,
accondiscendente, ho preso lo spunto per parlare alla paziente dell’Assertività come
posizione OK da vivere nel presente prendendo le distanze sia dalla posizione di
Passività sia da quella di Aggressività. Il senso liberatorio percepito nel Qui ed Ora è
stato valutato da lei come un punto di “conquista”.
Nel 63° incontro abbiamo affrontato la questione spinosa dei gatti cui la sorella è
tanto legata da un attaccamento malsano e verso cui la paziente nutre rabbia e
rassegnazione.
Ho fatto fare un lavoro di approfondimento in 2 fasi:
-1° fase terapia cognitivo comportamentale su ABCD di ELLIS rispetto ai gatti com’è
e come vorrebbe vivere il problema;
-2° fase con disegno libero ispirandosi allo stato nel Qui ed Ora, come si sente in
questo momento.
129
Ha disegnato dei raggi di vario colore e, applicando la tecnica gestaltica, l’ho fatta
entrare nel disegno e si è posizionata su un raggio color giallo. Nel feedback
conclusivo mi ha rimandato che è stata un’ esperienza positiva, si sente più
tranquilla e il disegno ha suscitato in lei un po’ di sorpresa.
L’incontro successivo è stato una narrazione di come ha sperimentato l’efficacia del
metodo della Comunicazione Non Violenta con la sorella. Ha cercato di stare con lei
senza lasciarsi prendere dalla foga di pulire casa dalla sporcizia, le ha dedicato un
lungo tempo per chiederle come stesse e condividere con lei argomenti che
potessero interessarla (riguardo ai gatti naturalmente!). Si è sentita molto bene,
profondamente in pace con se stessa e con una sensazione di gioia piena. Tutto
sommato non le è risultato faticoso e questo è per lei un segnale importante e un
invito a continuare così, in questa modalità, la comunicazione del cuore.
Nello stesso incontro ho messo in atto la tecnica di Focusing chiamata:
“la tecnica del Back ground feeling” o “della sensazione di fondo” che Gendlin ha
insegnato come fase di perfezionamento di un buon processo di Focusing in
psicoterapia (Marine de Freminville, 2008).
Nel caso della paziente è emersa la sensazione di “incertezza e di precarietà” come
compagna di viaggio e che sta imparando ad accettare attraverso il nostro percorso.
Accettare invece di rimuovere ed evitare ciò che è sgradevole: è ciò che insegna
l’ACT e che su cui imposto da vari incontri il processo di presa di coscienza dei vissuti
avversi. La sperimento sia su di me che sui pazienti come strategia molto salutare e,
con appropriato lavoro di accompagnamento empatico, si rivela efficace e profonda.
Nel 65° incontro la paziente è arrivata alla seduta con il bisogno di condividere la
consapevolezza d’essere molto cambiata, di aver lasciato alle spalle quell’ansia
pervasiva che vede invece molto forte in qualche sua collega. Fiere entrambe di
questo traguardo raggiunto, consapevoli che l’ansia è sempre in agguato, le ho
proposto un lavoro esperienziale centrato sul corpo:
- il continuum di consapevolezza che Perls ha inventato e suggerito per riportare i
clienti al senso di realtà nel Qui ed Ora;
- la Mindfulness ossia l’attenzione al Presente attraverso i cinque sensi.
Dopo questi due esercizi pratici ho invitato la paziente a esaminare l’ansia “dal di
dentro” ed in prospettiva “bottom up” e così sono emerse le fonti di tale ansia:
ossessioni, accelerazione del ritmo di vita, affollamento della mente circa il futuro
con tante preoccupazioni, scontentezza con conseguenti somatizzazioni.
130
Nel 66° incontro la paziente si è presentata di nuovo agitata e particolarmente tesa
per la sorella che considera folle per la sua anomala ed esagerata passione per i gatti
che lei non riesce a comprendere. Le ho proposto allora la Piramide di Maslow
confrontando la scala sua e quella della sorella.
È stata una grande sorpresa per lei nel constatare la differenza tra loro e quanti
bisogni sono insoddisfatti in N. per cui è giunta alla conclusione che la passione per i
gatti ha un grande valore per la sorella in quanto, attraverso essi, soddisfa il suo
bisogno di affetto, di darne e di riceverne, non essendo riuscita ad inserirsi nel
mondo sociale come invece ha potuto fare con lei la creazione della sua famiglia ed
il lavoro nella scuola. La conclusione sorprendente di questo lavoro è stato
incentrato sulla considerazione dell’equivalenza: passione e saggezza (Giusti, 2010)
per cui siamo addivenute alla scoperta che la follia di N. è in qualche modo la sua
saggezza! Un’ipotesi paradossale che ho potuto affermare con convinzione
considerando l’efficacia della Terapia Strategica Breve, per la quale il paradosso ha
nella comunicazione pragmatica un ruolo importante come soluzione di problemi
complessi
Nel 67° incontro l’ho invitata:
- ad un lavoro di Mindfulness ossia di attenzione nel momento presente
centrato sul tema metaforico de: “Consulta il tuo bollettino meteo”,
interessante introspezione e percorso di consapevolezza sul suo spazio
interno in cui ha preso contatto con il suo vero sé, con la sua parte più
profonda in cui ha ravvisato, usando la metafora del meteo: “tempo
variabile senza pioggia, precipitazioni assenti, un po’ ventoso… le nuvole si
muovono veloci, cambiano forma, sono candide come bambagia, vanno e
vengono nel cielo”. Ha dichiarato di sentirsi bene con questo tempo,
scorge uno spiraglio di sole tra le nuvole… sta tranquilla;
al Gioco proiettivo con le carte del mercante in fiera per contattare parti di
sé.
È stata una seduta nella quale, di fronte al desiderio della paziente di andare sempre
più verso la sua vera identità, al di là della tormentante ansia con pensieri
disfunzionali che la agitano la mente durante la giornata, ho concordato con lei ciò
che le è più congeniale, un lavoro sintonizzato ai suoi canali rappresentazionali
visivo e cinestesico, in lei predominanti. Il feedback è stato positivo con la volontà di
andare avanti in questa direzione.
131
Il 68° incontro è stato incentrato su un sogno particolare che la paziente mi ha
descritto e su cui abbiamo lavorato per l’incubo terribile che ha avuto (lavoro
gestaltico di mono psicodramma per cui ho fatta rappresentare lei stessa nel sogno).
Per gli ultimi 20’ c’è stato il Focusing da lei richiesto per rilassarsi e che le ho
riproposto anche nella seduta successiva.
Nel 70° si è presentata in profondo stato di inquietudine per uno scontro verbale
con la sorella; la notte ha avuto incubi che ha cercato di fronteggiare col Respiro
consapevole… invano, ha provato con la tecnica da me imparata dei “pacchi”
(dividere evento scatenante, pensieri, emozioni, sensazioni corporee in pacchetti su
un foglio per distaccarsi dal problema) e questa volta è stata meglio, si è
addormentata ripetendosi: “Io non sono l’ansia… Io non sono l’impotenza!” … si è
addormentata e con sorpresa la mattina seguente, passando davanti allo stendino
dei panni stesi, ha sentito il profumo di pulito del bucato. Nella stessa giornata del
nostro incontro ha perso il self control dalla sorella la quale è esplosa in una crisi che
io ho definito “isterica”, termine andato in disuso nel campo psichiatrico e che bene
intende le caratteristiche dell’esplosione comportamentale (istrionica) ed
emozionale della persona (ansia e rabbia che escono fuori con una veemenza da
attirare l’attenzione e da fare impressionare le persone presenti).
La paziente si è spaventata, la sorella ha raggiunto lo scopo.
E., in seduta, ha condiviso la conclusione importante per lei e N.:
- “mi devo allontanare da papà e da mia sorella per non essere distrutta”;
- “io ho la mia vita e la voglio afferrare”;
- “non mi sento più in colpa”;
- “o me o loro”.
L’ho fatta fare il centraggio con la Mindfulness del respiro consapevole. Dopo
qualche minuto, l’ho invitata a dare un quantum da 1 a 10 alle due sensazioni
emergenti di distacco da loro e di tranquillità e di senso di colpa (punteggio dato 3-
4). Conclusione: “Io voglio rispettare me stessa e rispettare mia sorella”.
Su questo siamo tornate nei due successivi incontri per la forte ambivalenza che vive
tra il senso del dovere nei confronti del padre e di N. e il bisogno di pensare a se
stessa (ciò le procura senso di piacere) ed emerge la conflittualità interna che le crea
fastidio fisico, cefalea, nausea… Le ho sottolineato che è il “Sabotatore o Critico
interno” che le impone il senso del “dovere” da cui è importante distaccarsi
cacciando via queste voci interne che ho paragonato a “cornacchie”.
132
Il 73° incontro è avvenuto a settembre, dopo l’intervallo delle vacanze estive vissute
con la famiglia riunita per la presenza delle figlie. La paziente ha manifestato gioia,
distensione, piacere che ho invitata a esplorare attraverso un lavoro di
Consapevolezza nel qui ed ora.
È stata turbata da un sogno fatto 7 giorni prima che l’ho fatta rappresentare con la
Sand Therapy da poco adottata come nuovo attrezzo di lavoro in psicoterapia anche
per giovani e adulti. È riuscito un lavoro auto esplorativo di parti di sé molto
interessante che ha destato sorpresa nella paziente perché le ha permesso di
“chiudere il cerchio” al sogno e quindi a renderla serena.
Nel 74° incontro c’è stato lavoro di Focusing sulla sua morte prendendo lo spunto
dalla tristezza e inquietudine per la perdita di una sua conoscente per tumore.
E. vive sotto la spada di Damocle per un tumore operato oltre 10 aa. fa ed il
pensiero è forte sulla sua finitudine. È stata l’occasione per proporle un lavoro di
mono psicodramma; l’ho fatta mettere stesa sulla poltrona come se stesse
agonizzante, scegliendo le persone che voleva accanto a sé e rappresentate da
peluche. È stata nel contatto fisico coi suoi cari e questo l’ha tranquillizzata molto.
Nel feedback conclusivo ha dichiarato: “è stato molto impegnativo. Mi ha colpito
che anziché parlare ho cercato il contatto fisico con le figlie e con mio marito. Mia
sorella stava lontano e piangeva in silenzio”.
Il 75° incontro è stato un’esplorazione delle sue emozioni attuali, il suo dolore per la
lontananza delle figlie e l’angoscia per il futuro di sua sorella. Ha effettuato un
lavoro di Sand Therapy molto efficace che ha suscitato divertimento e sorpresa.
Siamo arrivati all’85° incontro in modalità on line per il covid.
È stata una seduta leggera senza particolari problemi da affrontare sul momento,
era rilassata in quanto, costretta a stare a casa, poteva dedicarsi a cose piacevoli
come letture. Abbiamo approfondito un tema, quello delle famiglie allargate,
occasione per verificare la sua visione e che mi ha portato a chiederle un feedback
sul suo percorso di fede cristiana in questi due anni di psicoterapia. Si è svelata
serena, più maturata, liberatasi da alcuni orpelli trasmessi dalla tradizione famigliare
ed a cui è ancora legato suo marito, dai tratti ossessivi. Lei si è finalmente sganciata
da lui, si sente più autonoma ed è contenta di quello che le offro come terapeuta
credente. Ci incontriamo ogni due settimane, è una relazione ben consolidata. Negli
ultimi incontri ho proposto per caso una tecnica ulteriore: la Fiabaterapia. Tutto è
iniziato quando, stando nella sala d’aspetto del mio studio, la paziente si è imbattuta
in una raccolta di favole da tutto il mondo. Ne ha letta una che l’ha colpita per il
133
titolo: “La sorella sconosciuta”. Le ho proposto di fare un lavoro sia
d’interpretazione sia d’immedesimazione nella fiaba e nei ruoli. È risultato un
esercizio interessante per cui mi ha chiesto di continuare a lavorare con le fiabe e
anche a scriverne. Così, da allora, a casa, come compito, compone spesso una fiaba
a cui alterniamo il titolo una volta proposto da lei e una volta da me.
È davvero entusiasta di scrivere fiabe, si sorprende della facilità di scrittura e dalla
fantasia che scopre di avere. Le legge in seduta dandole prima una sua
interpretazione poi cerco di farla entrare nelle parti con cui relazionarsi. Ne ha
composte già quattro e non intende smettere!
Nell’ultimo incontro è emerso ancora più forte un blocco di insensibilità alle gioie
della vita, anche per le piccole cose… “Non godo nemmeno del fatto che mia figlia
mi ha annunciato che si sposerà entro l’anno!”. Le ho proposto di concordare un sub
obiettivo: sciogliere questo blocco interno attraverso un piano di trattamento che
consta di tre strategie terapeutiche:
1) continuare con la terapia delle fiabe;
2) usare modalità cognitivo-comportamentali;
3) usare modalità secondo psicodinamica e Gestalt (sogni e libere associazioni
anche con l’arte terapia).
134
CONSIDERAZIONI SUL CASO CLINICO
136
La pandemia, pur avendo interrotto la modalità in presenza, ci ha permesso di
sperimentare le novità della terapia on line (abbiamo usato la via Skype) e la
possibilità di sentire la “presenza” di entrambe al di là dello schermo. La paziente
non ha mostrato imbarazzo né difficoltà alcuna, anzi, ne ha valorizzato le
potenzialità pratiche nel senso di poter fare terapia anche in condizioni avverse.
Abbiamo potuto fare esercizi esperienziali come il Focusing e la Mindfulness body
scanner e respiro consapevole; l’uso di carta, penna e colori è stato pressoché una
costante.
Ha sperimentato varie volte nel corso della terapia l’emozione della sorpresa, in
particolare quando abbiamo lavorato con la Gestalt riuscendo a mettere in figura la
sorella e sullo sfondo ciò che la disturba tremendamente, quei gatti con cui lei e il
vecchio padre vivono in campagna, permettendo a questi animali di diventare
padroni di casa, creatori di disordine e di mal odori. Andare a trovare la sorella in
campagna e parlare con lei, cercando di trattenersi ad ascoltarla senza critiche e
giudizi evitando di fare una veloce comparsa per visitare il vecchio padre malato e
mettere un po' di ordine in quella casa: ciò l’ha sorpresa e le ha fatto sperimentare,
con la mia empatica sollecitudine, quell’antica relazione tra sorelle che ha vissuto da
ragazza fino a quando si è allontanata da Rieti per frequentare l’università e si è
fidanzata. Questo ha significato una rottura traumatica per N. che da allora ha dato
segni di sofferenza.
Il mio è stato un delicato lavoro di rilettura della loro storia familiare, ho voluto
evidenziare gli elementi traumatizzanti vissuti sia dalla paziente sia dalla sorella
ricorrendo alle neuroscienze e alla teoria dell’origine intrauterina dei traumi.
Ciò ha sortito l’effetto da me posto come obiettivo di questa modalità terapeutica:
farla riconciliare con un passato oscuro, con la madre e la nonna dominanti e
liberarla dai tremendi sensi di colpa che per molto tempo l’hanno tormentata
sentendosi unica responsabile della condizione cui si è ridotta la sua famiglia
d’origine.
Verso il 35° incontro ho avvertito qualcosa di nuovo nel percorso terapeutico; l’ho
rappresentato come inizio di una nuova fase, di un nuovo capitolo passando da una
prima fase incentrato sull’ansia ad un’altra caratterizzata dal ritrovamento di
serenità. Da questa seduta l’obiettivo è stato focalizzato sulla relazione nuova con la
sorella avendone acquisito gli strumenti necessari per poterla realizzare.
Alcuni incontri sono stati caratterizzati da ricadute nell’ansia del futuro e ho messo
in pratica il metodo END (Empatia, Normalizzazione e Descalation) elaborato da
137
Biondi (2014), empatizzando con questa solo apparente regressione a mo’ di
gambero e sottolineandone la “normalità” e tecniche di rilassamento e di Focusing
per la de-escalation e la de-fusione .
CONCLUSIONI
Il Focusing è stato considerato sia dal punto di vista teorico sia presentando un caso
clinico di cui mi ritengo molto soddisfatta e che sto portando avanti da circa 3 anni.
I feedback che ricevo a fine seduta sono sempre positivi.
Si profila una psicoterapia a lungo termine che punta alla ristrutturazione della
personalità che porta con sé disagi e ed emozioni che riusciamo ad affrontare dentro
una buona alleanza di lavoro.
Con la paziente riesco ad affrontare con serenità le varie aree della sua vita
compresa la sfera spirituale e questo ci permette di considerare ciò che corona
l’esperienza umana, il senso della vita, il significato che ad essa si dà e che, nel caso
in oggetto, sono condivisi da terapeuta e paziente essendo entrambe
dichiaratamente di fede cattolica praticante. Fin dai primi incontri c’è stata la
sorpresa di poter affrontare liberamente ed efficacemente diverse problematiche
della quotidianità, dall’ansia alla tristezza, dalle memorie traumatiche sue e della
sorella malata, sentendosi a proprio agio anche quando si è trattato di compiere
lavori esplorativi pesanti.
Ho scelto questo caso perché rappresenta a pennello il mio stile operativo di
psicoterapia integrata, portato all’uso di varie strategie terapeutiche e alla psico
educazione, prediligendo momenti esperienziali gestaltici e di bioenergetica insieme
a sedute completamente di stampo cognitivo, analitico ed esperienziale
(Mindfulness e Focusing) e con tecniche espressive.
Come terapeuta sto vivendo con la paziente una relazione importante in cui al forte
legame si associano chiarezza nel perseguimento degli obiettivi e rispetto del
contratto. Lavorare con lei è per me in ogni seduta un tempo di profondo
coinvolgimento di tutta la mia persona; si tratta di un accompagnamento in cui alla
parte cognitiva si associa quella emotiva ed esperienziale per cui “ sto in presenza”,
io di fronte alla paziente provando un profondo stato di gratificazione anche nei
138
momenti più impegnativi. Lo “stare con” la paziente davanti a me, ascoltarla,
accompagnarla a comprendere i suoi vissuti e ad esplorarsi in tutte le varie aree
della sua vita mi fa sperimentare un senso di benessere, un senso di soddisfazione
del mio bisogno di generatività.
La guardo a lungo negli occhi, dando al contatto visivo una grande importanza
comunicativa e penetrativa, come se attraverso le sue pupille entrassi nel suo
mondo interiore anche non espresso in quanto ancora inesplorato.
Il silenzio, poi, ha anche spazio nella seduta terapeutica. Lo pratico quando l’ascolto,
lo pratico quando lei è concentrata nel qui ed ora, con l’attenzione rivolta alla sua
essenza, al suo vero sé che piano piano si fa contattare proprio avendo me davanti a
lei, presente e appunto… in silenzio. È l’atteggiamento che sperimento ogni volta
che desidero rendere l’altro, che mi sta di fronte, consapevole della nostra relazione
forte e profonda, il mio desiderio di compiere la maieutica socratica, oltre che con
parole, domande e confrontazione, anche con questo strumento terapeutico e
trasformativo potentissimo… il silenzio.
Come professionista mi sto realizzando molto, sento che con questa paziente posso
esprimere tutte le mie potenzialità; come donna mi sento di accompagnare un’altra
donna a realizzarsi pienamente anche nella sua relazione coniugale.
L’essere entrambe madri facilita l’affrontare le problematiche relazionali con le sue
due figlie, l’autorivelazione della mia esperienza genitoriale complessa conferisce
forza alla nostra alleanza terapeutica.
Finora non ci sono stati segnali di crisi nell’alleanza tra noi, è un percorso che mi
impegna senz’altro e, nel contempo, mi gratifica e mi sprona a promuovermi come
psicoterapeuta esperta e matura, sia per l’età anagrafica, sia per la mia professione
di medico di famiglia da molti anni.
Con lei posso affermare di compiere un meraviglioso viaggio psico-spirituale, in cui
la dimensione della spiritualità fa da sottofondo a tutto il nostro lavoro.
Ringrazio la Scuola ASPIC che mi sta formando ad un approccio pluralistico integrato
che mi corrisponde e mi entusiasma.
Un ringraziamento speciale va al mio supervisore Dott. Iannazzo che fin dai tempi
della mia formazione al Counseling mi accompagna a migliorarmi come
professionista della salute competente.
Grazie al Prof. Giusti che mi dà l’opportunità di appassionarmi all’integrazione tra
psicologia e spiritualità cristiana rispettando e valorizzando la mia persona e la mia
139
storia; grazie alla Dott.ssa Montanari ed a tutta l’equipe della Scuola da cui sento
comprensione e profondo rispetto
140
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