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barbaro College ILtbrarg
FROM THE GIFT OF THE
DANTE SOCIETY
OF
CAMBRIDGE, MASS.
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L
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DANTE
- -
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LA FILOSOFIA CATTOLICA
NEL TREDICESIMO SECOLO
DI
A. F. • OZANAM
i. ./» .#
DANTE
LA FILOSOFIA CATTOLICA
NEL TREDICESIMO SECOLO
DI
A. F. O Z A N A M ,
VERSIONE ITALIANA CON NOTE
DI
PIETRO MOLINELLI
MILANO
DALLA SOCIETÀ TIPOGR. DE' CLASSICI ITALIANI
MOCCCXLI
the Dante Society
BOUND. AUG 27 1910
PREFAZIONE
Che cosa e Dante ? Per scienza , te Ut mente degli
scrittori è interpretazione di ciò che si chiama natura ,
providenza , cielo , ec. , nessuno più di lui a' suoi tempi
si era levato all'essenza della Filosofia, Teologia, Poe
sia , ec, che vedeva distratte nell'errore , nel vizio , nella
prostituzione. Per forza operativa Dante riconosceva che
la divisione d'Italia in quelle sue fazioni la metteva in
balia di popolani, principotti , feudatari civili e religio
si ; i principi correvano dietro alle ambizioni , il vulgo
dietro ai raggiratori e ai prepotenti j tutti senza ritegno
alPodio e al sangue. Era bisogno che una forza racco
gliesse le membra sparse , e, le riunisse in un sol centro di
vita. Ora la politica di Dante è il concetto più rilevalo
nella sua Comedia , Vita Nuova, Lettere , ce. , e nello
stesso tempo il più difficile a raggiungersi non tanto per
che non sia chiaro , quanto perche è molto alto. Dante
abborriva le mutazioni popolari le imprese da ciarla
tano : anzi non badò più a suoi compagni di esilio ,
quando li vide , secondo lui , trascorrere a mollezze , c
si fece parte da sé. La politica di lui è severa , quasi
anche feroce, ma la ferocia era necessità perle fazioni
di que' tempi. Dante poi non è andato in esilio, come
hanno fatto parecchi ai nostri dì , per un viaggio politico.
— Che cosa ha fatto nel suo esilio ? — Osservò sempre se
v'era spiraglio da risorgere , se un qualche principe vo
leste farsi esecutore delle sue vendette} e se , morendo ,
ha voluto vedere il cielo , lo ha voluto perche la lam
pada del sole fu l'unico raggio che quaggiù l'illuminas
se ; se il cielo di Firenze , certo non per altro , che per
fremere di quel suo sdegno coli'estremo fiato.
IV PREFAZIONE
Checche ne sia, la scala deWedificio di Dante non la
si trova così agevolmente , e tutta forse e impossibile.
Egli è per questo che ì motti , i quali vollero applicare
V ingegno alle opere di Dante , e in ispeciale maniera
alla Divina Comedia, limitarono le fatiche ad uno o a
pochi dei grandi rapporti , onde si compone quel mara
viglioso poema. Perchè: dunque si vorrà lanciare un' ac
cusa addosso a Quelli, scrittori che , guidali dalla ten
denza particolare dell' animo , intesero ad illustrare in
Dante, quando il poeta inspirato dall'amore o dalla ven
detta , quando il teologo, quando il politico, non pro
vandosi di farci conoscere intero quel personaggio ? Non,
e questa una tacita e bella confessione della impresa
inarrivabile per umano sforzo? Forse , mercè di queste
speciali illustrazioni , disperderemo un giorno quelle tene
bre , onde più cose ancora di quel poema si avvolgono.
Col sentimento però di riconoscenza che già si merita
rono i molti , i quali studiarono il .nostro poeta , salu
tiamo qualunque lavoro che nella nostra penisola e fuori
esca in luce , fiduciosi che sempre sia un ajuto potente
a farci toccare l'apice della piramide sulla cai cima sta
Dante.
Così pensando , assai di buon grado abbiamo dato
opera a ridurre nella nostra favella questo nuovo la
voro letterario di un merito più che distìnto intorno a
Dante , nel quale è egli mostrato sommo poeta e som
mo filosofo.
L'alta poesia e l'alta filosofìa si uniscono in una mi
steriosa armonia. Sia che V uomo colla scorta della ra
gione squarci il velo che gli toglie la vista del vero nella
sua essenza ; sia che sull' ale della propria imagina
zione si elevi alla fonte del bello , egli riesce a quella
regione suprema dove il vero si confonde col bello, dove
il vero si abbellisce del suo eterno splendore. Tra tutti
i poeti antichi e moderni Dante è quello che più viva
mente personifica codesta alleanza della filosofia e della
PREFAZIONE T
poesia. Ingegno profondo , vasto , ardente percorse tutte
le regioni del pensiero col medesimo slancio , per cui i-
maginò di essere rapito pei nove cerchj dell' abisso in-
fernale. La posterità lo distinte con una parola chia
mandolo il Michelangiolo della poesia. In lui trovasi
la maravigliosa unione di ciò che la poesia ha di più
semplice e di più patetico ; la filosofia di più sublime ;
la teologia di più consolante e dì più terrìbile. Tuttavia
in onta alla grandezza ed alla popolarità del suo no
me 3 Dante è più ammirato che studiato. In faccia al
mirabile monumento ch'egli eresse colla Divina Comedia,
l'imaginazione s'arresta colpita da religioso terrore co
me dinnanzi a que' temuti santuarj dove gli antichi Dei
davano i loro oracoli.
Come filosofo Dante è poco conosciuto , in quanto che
nessuno erasi finora direttamente occupato di penetrare
ciò che egli ha pensato su tulli i più grandi problemi
di metafisica, morale, politica e teologia, che agitavano
sì vivamente gl'ingegni negli ultimi tre secoli del medio evo.
Mentre un nostro illustre scrittore , il conte Balbo ,
mamfestava nella sua Vita di Dante il voto che alcuno
sorgesse a mettere in chiaro quel pregio singolare di
Dante , un giovine scrittore della Francia , Ozanam ,
che dà non dubbio segno della più felice vocazione per
gli studj filosofici , si accinse a far conoscere la filosofia
di Dante , e a darne l'esposizione regolare e sistematica.
Bella ma difficile era l'impresa. Non bisognava soltanto
che l' interprete cercasse il filosofo sotto il velo allego
rico, con che il poeta si cela al poco allento lettore ;
ma che raccogliesse tulle le idee filosofiche di Dante dis
perse ne' suoi scritti. Colt intelligenza e colla passione
di un vero sapiente arrivò lo scrittore a formare delle
membra sparse del filosofo un tulio , un sistema , un
corpo di dottrine. — Che è la filosofia di Dante? Quale
ne è il fondo? Quale la forma? Quali ne sono gli an
tecedenti storici? — Ecco i punti svolti da Ozanam. La
VI PREFAZIONE
filosofia di Dante e quella che regnava nelle scuole del
secolo xiti; Dante e discepolo di s. Bonaventura , dì
s, Tomaso d'Aquino, d'Alberto il Grande , di tutti que
gli illustri Dottori , che furono luce e gloria della filo-
sofia scolastica, uno de' monumenti più notevoli dello
spirilo umano.
Quantunque il Dottore Angelico e il Dottore Serafico,
le aquile di quella scuola , portassero il doppio giogo
di Aristotele , e del dogma cattolico, quel giogo fu lieve
per essi; dentro que' vetusti e sacri limiti trovarono modo
di spaziare a talento. Sotto la verga dell' autorità , lo
spirilo di libertà naturale a que' tempi ingenerava la
più attiva e la più feconda indipendenza. Così in que'
tempi che precedevano di sei secoli i prodigi della eru
dizione protestante e germana , della Bibbia erasi fatta
una grande allegoria , i cui personaggi ed avvenimenti
diversi rappresentavano la sfera tutta delle verità intel
lettuali e morali. Anche la Divina Comedia e fondata
sopra un'allegoria di tal genere per modo che tutti i
personaggi che figurano nel poema hanno un carattere
reale insieme e simbolico. Beatrice, che nel senso letterale
e storico è una fanciulla amata e pianta dal poeta , nel
senso mistico e morale raffigura la teologia. Virgilio, chi
serve di guida al poeta nel suo viaggio all'inferno e al
purgatorio, rappresenta la filosofia. Le due facoltà del
l'anima , Cinlelligenza e la volontà, sono personificate in
Lia e Rachele , o in Marta e Maria ; le tre virtù teo
logali in s. Pietro, s. Giacomo e s. Giovanni. E quan
tunque da questo primo accordo della ragione colla fede
dovesse uscire il divorzio e la guerra , dovessero la pace
e ì destini della Chiesa essere compromessi; lo spirito fi
losofico aprivasi una carriera abbastanza vasta, perchè
sopra gran parte della metafisica, della fisica, nella lo
gica, e nella morale , la speculazione era libera all'in
tuito da qualsivoglia legame.
Ma P ardore che allora sorse nell' universale per le
PREFAZIONE TU
speculazioni filosofiche , per le scoperte delle scienze e
dell'arti, che fervea nel fondo de' chiostri e delle scuo
le, dotta riflettersi nel Genio che era l'eco potente del
medio evo. Con s. Tomaso d'equino e s. Bonaventura,
Dante approfondiva gli ardui problemi della metafisica,
della teologia, della morale e della politica ; con Alberto
il Grande e con Roggero Bacone, il quale ebbe la gloria
di annunciare e descrivere distintamente quasi profeta i
maravigliasi trovali de' nostri giorni (i) , applicava alle
scienze sperimentali, e scrutava gli arcani della natura.
A buon dritto pertanto Ozanam personificò la filosofia
del medio evo in Dante, siccome questi aveva personifi
cato in Firgilio la filosofia antica. Più dotto e più sin'
cero interprete potevasi diffìcilmente trovare nel pieno
convincimento del suo soggetto egli comprende col me
desimo amore il poeta e il filosofo; il suo stile grave ed
animato risponde alla sublimità dei concetti che esprime.
Noi ci siamo permessi di porre qua e là alcune note
suggerite non già dalla voglia di far contro V autorità
dell' illustre scrittore , ma dal solo amore del vero, che
abbiamo voluto sempre sancito dal consenso dell'univer-
vale. Possa tornare accetta agli Italiani la nostra fatica ,
e invogliarli sempre più al profondo studio del loro Omero/
Possa la studiosa gioventù persuadersi che Dante comin
cia a piacere, quando Byron a venir meno, se non a
dispiacere; e che a fronte di lui gli altri poeti mandano
solo voci di testa.
Il TxjDUTTOtt.
(1) De secretis operibus artis et naturae, et nullitate matrice.
Cap. I, 8.
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DANTE
LA FILOSOFIA CATTOLICA
NEL SECOLO DECIMOTERZO
OlAKAM. Dante. i
INTRODUZIONE
Culli, giunto alla meta d' un pellegrinaggio
lungamente nel pensiero vagheggiato , visita
Roma ed ascende col fremito d'una pietosa
curiosità la grande scalea del Vaticano, girato
ch'abbia lo sguardo sulle maraviglie di tutte le
età e di tutti i paesi del mondo, raccolte quasi
ad ospizio in quel magnifico palagio, si avviene
in luogo che può dirsi il santuario dell' arte cri
stiana, nelle Sale di Rafaello. In una serie di
affreschi storici e simbolici vi delineò quel pit
tore le glorie ed i benefizj del Cattolicismo. Sia
per la bellezza assoluta dell'argomento, sia per
la felice esecuzione, in uno di quegli affreschi
l'occhio si posa maggiormente ammirato. Raf
figurasi in esso il Santo Sacramento sopra di un
aliare eretto tra il cielo e la terra; il cielo, che
s'apre, e di mezzo al suo splendore lascia ve
dere la divina Trinità, gli angeli e i santi; la
terra, ed ivi un grande altare a cui fa corona
vina numerosa assemblea di pontefici e di dot
tori della Chiesa. Tra i gruppi che formano Pas*
'
4 INTRODUZIONE
semblea, emerge distinta una figura notabile per
la singolarità della sua espressione, colla testa
non già recinta di tiara o di mitra, ma di una
ghirlanda d'alloro, nobile a un tratto ed au
stera, né punto indegna di tale compagnia. Ove
ben le si ponga meute, si ravvisa in essa Dante
Alighieri.
Allora ne viene spontanea la domanda, per
qual diritto l' imagine di tal personaggio fosse
introdotta tra quelle de' venerabili testimonj
della fede, da un pittore avvezzo alla scrupolosa
osservanza delle tradizioni liturgiche, sotto l'oc
chio istesso dei Pontefici, nel seno della sede
della ortodossia.
Né troppo difficile è la risposta , la quale si
offre nella considerazione degli onori quasi
religiosi tributati da tutta Italia alla memoria
di quest'uomo, e che iu lui rivelano più che un
poeta. I pastori dei dintorni di Aquileja additano
ancora oggidì in riva del Tolmino una rupe che
essi dicono il seggio di Dante, dove benespesso
ei venne a ruminare i pensieri dell'esigilo. A Ve
rona siamo innanzi tutto condotti alla chiesa
di S. Elena, dove pellegrino indugiavasi a di
fendere una publica tesi. All'ombra delle sel
vagge montagne di Gubbio, in un monastero
iKTRODunoirer s
di Camaldolesi, il busto di lui fedelmente con
servato ci ricorda oh'ei vi passò qualche mese
nella solitudine e nel riposo (i). Ravenna cu
stodisce santamente gelosa le sue ceneri. Ma
Firenze innanzi l'altre città ha circondato di un
culto espiatorio checchè avanza di lui, la casa
che lo riparava, la pietra ancora dove egli so
leva sedersi ;. e gli decretò una maniera di apo
teosi, raffigurandolo, per opera di Giotto, in
veste trionfale, colla fronte incoronata, sotto di
un portico della chiesa metropolitana, e quasi
tra i santi tutelari della città.
Più chiara testimonianza ci danno monu
menti di genere diverso. Publiche cattedre s'i
stituirono nel xvi secolo a Firenze, Pisa, Pia
cenza, Venezia, Bologna, per la interpretazione
della Divina Comedia! Alle chiose di questo
poema diedero mano i personaggi più autore
voli, l'arcivescovo di Milano, Visconti, che a
quest'opera associò due cittadini di Firenze,
due teologi e due filosofi; il vescovo Giovanni
da Serravalle vi consacrò il tempo che gli ri
maneva libero durante il concilio di Costar*-
(>y Memorie per la vita di Dante, in seguito alle opere
di Baule, ediz. di Zutu. — Amori di Dante di F. Arri
vatane
« IHTRODUZIONE
za (i). Gl'ingegni più splendidi dell'Italia si
abbassano dinanzi a questo grande ingegno
fratello lor primogenito, e maggiore di loro: il
Boccaccio , i Villani , Marsilio Ficino , Paolo
Giovio, il Varchi, il Gravina, il Tiraboschi sa
lutarono Dante col nome di filosofo (a). E il giu
dizio dell' universale formulandosi in un verso
passato in adagio, lo ha proclamato il dottore
delle divine verità, e il sapiente a cui nessuna
delle umane cose era ignota :
Theologus Dantes, nullius dogoiatis expers (3).
A queste onorevoli voci rispose l'eco d'ol-
tr'Alpi. Uno tra* primi traduttori francesi della
Divina Comedia così favellava nella dedica
ad Enrico IV: « Sire, io non temerei di af
fermare che questo sublime poema non deve
(i) Foscolo, Edinburgh Revievv, i. XXIX. — Tiraboschi,
Storia della Letteratura Italiana, Milano, Classici, i8a3,
t. V, p. 737 e 743.
(a) Boccaccio, Vita di Dante, in fine del vol. IV delle
Opere, Milano, Classici, 1807. — Giovanni Villani , Storia,
lib. IX, voi. V, Milano, Classici, 1802. — Marsilio Ficino,
Epist., inter Clarorum Virorum Epist. , Romae, 1754. —
Paolo Giovio, Elog. e. 4» p. '9. — Varchi, Ercolano, t. II,
p. 337 e seg. Mih'no , Class. 1804. — Gravina, Della Ragion
poetica, lib. II, pag. 1 1 3 e seg., Milano, Class. 1819.
(3) Questo verso è il primo del suo epitaffio composto
da Giovanni di Virgilio.
•
INTRODUZIONE y
per alcun modo collocarsi nel numero di molte
composizioni che il divino Platone raffrontava
agli orti del vago Adone, che d'improvviso e
in un giorno solo sorti alla luce disseccano e
muojono incontanente; in questo nobile poema
egli si manifesta eccellente poeta, profondo fi
losofo, e giudizioso teologo » (i). La critica te
desca ha porta eguale sentenza. Il Bruckero ri
conosceva in Dante « il primo tra i moderni ,
presso di cui le muse platoniche, esuli da set
tecento anni, aveano trovato un asilo; pensa
tore non secondo ai più chiari tra i suoi con
temporanei; sapiente degno d'essere annoverato
tra i riformatori della filosofia » (2).
Ma siffatta è tra noi, pellegrine creature che
siamo, l'impotenza delle memorie, e la breve
durata della gloria, che a mala pena di coloro
per cui più venne d'onore all'antichità, ci ar
riva alla fine di alcuni secoli altra cosa che il
nome. E questo, come avviene, il più delle volte
passa alla immortalità, la mercè d'una ammi
razione tradizionale ed ignara, somigliante al
(1) Dedica della traduzione dell'abbate Grangier.
(2) Brucker, ffist. critic. Philos. period. 3, pari, i: 1. I,
e. 1. Vedi pure F. Schlegel, Storia della Letteratura, t. II.
Icz. 9, Milano, Classici, 1828.
t INTRODUZIONE
delfino della favola, che senza avvedersene por
tava traverso i mari ora un beffardo uccello,
ed ora un poeta delle note divine. Se per
questi oziosi tributi della posterità avvantag
giano talora personaggi di scarso merito, più
frequente è lo scapito che ne ricevono i som
mi. Pare che alla giustizia siasi soddisfatto con
un tributo di lodi vulgati, mentre i loro titoli
più preziosi restano ancora nella polvere igno
rati. Che se di un tratto potessero sollevare la
pietra delle loro tombe, non sappiamo quale
sentimento più li agiterebbe, se lo sdegno di
vedersi disconosciuti, o l'orgoglio di essere se
guo a tanti omaggi quantunque si abbia sì poca
conoscenza di loro.
Dante sperimentò queste singolari vicende del
l' umana gloria. L'opera tanto sudata e tanto
prediletta, alla quale fece sacrifizio della sua vi
ta, e per cui vinse la morte, la Divina Come-
dia, ci pervenne dopo il lasso di sei secoli, per
dendo della sua virtù filosofica, nel che forse sta
il suo merito principale (a). Tra le persone che
(a) A noi paie che il nostro A. qui dia un poco nell'esage
rato. Vera è die solo a' di nostri l'idea dell'importanza fi
losofica del divino Poema si è sparsa nell' universale , ed
è divenuta, a cosi dir, popolare; ma non è punto vera che
INTRODUZIONE . „
di colte hanno nome molte non conoscono del
l'intero Poema che l'Inferno, e di questo l'In
scrizione della Porta , e la morte di Ugolino.
E il cantore dei dolori noverati nel Purgato
rio, e delle raggianti visioni del Paradiso, ap
pare loro come una malaugurosa figura, come
un altro spauracchio tra quelle tenebre favo
lose del secolo xiii già popolate di tanti fanta
simi. Altri più illuminati non adoperarono con
più giustizia verso di lui. Così Voltaire vede
soltanto nella Divina Comedia , « un' opera
bizzarra , ma splendida di naturali bellezze ,
dove l'autore si eleva nelle diverse parti al di
sopra del cattivo gusto del suo tempo e del
suo argomento » (i). Se i critici d'oggidì si
volsero a quella lettura con disposizioni più so-
a questo singolare di lui pregio non siasi posto mente nel
lasso de' sei secoli, che corsero dal suo apparire ai nostri
tempi. Così i più antichi come i più recenti commentatori
non lasciarono di farne gran caso; se non che i più, inten
dendo a far conoscere in Dante il sovrano poeta, non atte
sero di proposito a rendergli merito come a filosofo. Né già
il dire che il pregio principale della Divina Comedia stia
nella sna virtù filosofica ci sembra asserto da potersi riso
lutamente sostenere. Gran filosofo certo fu l'Alighieri, e nes
suno meglio il chiarisce del sig. Ozanam ; ma non pertanto
i titoli dell'immortalità sua saranno sempre quei medesimi,
per cui immortali sono salutati tutti i grandi poeti. — IlTrad,
(i) Essai sur les moeurs.
1. INTRODUZIONE
de, alcuni non vi trovarono che una inspira
zione piamente erotica, altri una rivelazione poli
tica dettata dallo spirito di vendetta (a). Per essi
i moltissimi luoghi dogmatici non sono altro,
a così dire, che la vegetazione d' uno spirito
troppo fecondo, quasi la gramigna della scienza
contemporanea, che metteva dappertutto le sue
radici (i). Infine gli storici della filosofia, riven
dicando ciò che in quella vasta composizione
ad essa appartiene, si accontentarono di stabi
lire la tesi senza entrare nella controversia,
dando a credere che non apprezzarono V im
portanza della soluzione. E però ad essi, alle
intelligenze pensanti, sottratte al contagio del
l'errore, appellavasi il vecchio poeta quando,
neh' interrompere i suoi racconti , tristamente
pensava a coloro che non lo avrebbero com-
(a) Pare anzi che qui V A. alluda agli Amori di Dante ,
dolio lavoro dell' Arrivabeue, ed al Commento di Gabriele
Rossetti, pubblicalo in Londra, or fa qualche anno. Il giu
dizio ch'egli ne reca, è per molti capi fondalo nel vero,
ma forse è troppo rigoroso, massime quanto al primo. — In
torno al quale proposilu rimandiamo il lettore alle nostre
parole che abbiamo posto innanzi la Introduzione dell Autore.
— Il Trad.
(i) Ginguené, Hist. de la Hit. Hai. ti II. — M. Villemain
(t. I del suo Corso) pel primo fe' cenno del molteplice
•spetto sotto cui può essere sguardato il genio di Dante.
INTRODUZIONE ,1
preso; e d'una voce nobilmente supplichevole
usciva a dire:
O voi , ch'avete gì' intelletti sani ,
Mirate la dottrina che s'asconde
Sotto '1 velame de li versi strani ! (i)
Pertanto, proponendoci di mettere in chiaro
la Filosofia di Dante, non abbiamo la presun
zione di dar rilievo ad un fatto non avvertito,
ma di insistere sopra di un fatto posto in non
cale. Non desideriamo l'onore delle scoperte, ma
in quella vece siamo d'avviso che sia molto
per le nostre forze il prendere possesso di un
punto offertoci da rispettabili autorità, e seguirlo
nel suo svolgimento, dal quale possono deri
vare molti punti ragguardevoli di genere di
verso.
Di tutte le cose del medio evo, quella su cui
maggior numero di accuse ricadde, e a cui noi
rendemmo più tarda giustizia, è la Filosofia (3).
Contro di essa l' ignoranza suscitò il disprezzo,
e questo la sua volta incoraggiò l'ignoranza.
Essa ci venne rappresentata parlante un bar-
(1) Inferno, cant. IX, terz. a1.
(i) Questo riconoscimento, incominciato colle lezioni di
Cousin, Histoìre de la Philosophie, lezione seconda, fu di
molto accelerato dalla recente publicazione delle opere di
Abelardo e dalle dotte ricerche che vi sono unite. . •
io INTRODUZIONE
baro linguaggio , gretta negli usi suoi , mona
stica nelle sue tendenze. Guardatala sotto que
sto sfavorevole aspetto , di leggieri l' abbiamo
creduta assorta in preoccupazioni all'intuito teo
logiche, con alterna vicenda abbandonata a
speculazioni senza guadagno, o a dispute senza
fine. Ci pareva che Leibnitz avesse adope
rato verso la scuola con una somma indulgen
za, assicurando che si potea trovare tra quella
mondiglia dell'oro. — Or ecco qui una filoso
fia che parla una lingua la più melodiosa del
l'Europa, un idioma volgare inteso dalle donne
e dai fanciulli. Le lezioni che essa ci porge
sono canti recitati ai principi onde abbiano
ricreamento, ripetuti dagli operai per ristoro di
loro fatiche. Libera ci si presenta dal codazzo
della scuola, e dalla servitù del chiostro, vaga
di accompagnarsi ai più dolci misteri del cuo
re, alle più ardenti gare del fòro., è dimestica,
laica, e all'intuito popolare. Se ci proviamo di
seguirla nel corso delle sue indagini , la vediamo
muovere dallo studio profondo dell'umana na
tura , avanzarsi allargando le sue congetture
sull'intera creazione per riposare alla fine nella
contemplazione di Dio. Dappertutto si rivela
avversa alle scolastiche sottigliezze, sobria nel
INTRODUZIONE .3
l'uso delle astrazioni, le quali le sono siccome
formole necessarie pel coordinamento delle co
gnizioni positive; non punto data di troppo
alla contemplazione fantastica, e meno solle
cita della riforma delle opinioni che di quella
de' costumi. Poi, a chi ne indaga la origine, si
appalesa sorta all'ombra della cattedra de' dot
tori scolastici, levatasi a farsene interprete, giudi
ce e gloriosa rimuneratrice.— Nessuno può met
tere in dubbio che in ciò non si riscontri un
fenomeno notevole per sé stesso; ma forse ci
verrà fatto conseguire di più. Forse all'alunno
sarà concesso di ottenere ch'altri si riconciliino
co' maestri suoi, e traggano a sedersi a' lor
piedi. Si sperderanno le preoccupazioni accu
mulate, e lasceranno scorgere nella storia delle
scienze una vasta lacuna: lacuna scorta è pros
sima ad essere empita.
V'ha preoccupazioni d'altra maniera, che non
meno è giocoforza distruggere. Grande è il nu
mero di coloro che concedono alla poesia un
merito puramente estetico, né altro ci vedono
se non un bello che derivi dalla triplice ar
monia dei pensieri , dei pensieri colle parole ,
e delle parole tra loro. Del resto, codesti spi
riti limitati non fecero mai caso né del valore
OzAKAM. Dante.
•4 INTRODUZIONE
logico del pensiero, né della potenza morale
della parola. L' arte per essi è un godimento
privo di scopo ulteriore, perciocché la vita è
uno spettacolo spoglio d'ogni seria significazio
ne; prigionieri si stanno nel mondo visibile,
di cui chiudono loro l'uscita il sensualismo e
lo scetticismo. Hanno per tradizioni quelle di
alcuni poeti dell'antichità e dei tempi moderni
che celebrarono sensazioni e passioni, che re
putarono aver l'onor del trionfo, destando ne
gli animi degli ascoltanti il terrore e la pietà,
due affezioni che non producono frutto. Di qui
la trascuranza colla quale oggidì s accolgono
molti esperimenti poetici, gli sdegni degli au
tori disconosciuti, e, se possiamo dirlo, la re
ciproca impenetrabilità fra la letteratura e fra la
società, che loro divieta di unirsi, e così vivi
ficarsi a vicenda. Ma, ecco un poeta che ap
parve in un secolo tumultuante, che camminò
quasi avvolto dalle procelle. Pure dietro le
mobili ombre della vita ei presenlò immuta
bili realità. Allora, guidato dalla ragione e dalla
fede, precorre i tempi, penetra il mondo invi
sibile; se ne fa padrone, e come in sua patria
egli, che quaggiù non ha patria, vi pone stan
za. Dalla quale altezza lascia cadere il suo
INTRODUZIONE ,{
sguardo sulle umane cose, ne scopre insieme
il principio ed il fine ; e però li misura e li
giudica. Nelle sue parole abbiamo una istruzione
onde ammutisce l'umano convincimento, e s'at
tutano le coscienze, mentre ad un tempo per
mezzo del ritmo si stampano nella memoria.
E quasifun discorso continovo tenuto alle mol
titudini , cbe a sé le stringe occupando ciò che
elleno hanno di piò forte, l'intelligenza e l'a
more. E una poesia, che aggiunge alla triplice
armonia donde il bello risulta, altre due armo
nie : l'accordo del pensiero con quello che è ,
ossia la verità; l'accordo delle parole con quello
che deve essere, cioè la moralità. Così chiude
in sé un doppio valore logico e morale, con
cui risponde ai bisogni più preziosi della mag
gior parte degli uomini ; si fa comprendere da
quanti essa comprese, ed è necessariamente so
ciale. Ecco un altro fenomeno degno per verità
di un posto nella storia dell'arte} e piò che un
fenomeno, vale un esempio, il quale, ove sia
eccellente, tragge con sé la confutazione delle
teorie contrarie.
L'unione infine di due cose sì rare, una fi'
losofia poetica e popolare, una poesia filosofica
e veramente sociale, stabilisce un avvenimento
ti INTRODUZIONE
memorabile che accenna uno de' gradi più ele
vati della potenza a cui lo spirito umano sia
mai arrivato. Che se ogni potenza ha il suo
modo di essere nelle condizioni contempora
nee, l'avvenimento distinto da noi ci condurrà
alla estimazione della coltura intellettuale nel
tempo in cui esso venne a cadere. Siccome ri
verenti sostiamo innanzi la casa ove ebbe la
culla un illustre personaggio, comechè le mu
raglie siano dal tempo annerite, nè da noi
se ne comprenda 1' ordine interno ; cosi im
pareremo istessamente a rispettare la civiltà,
nel cui seno egli visse, sebbene ottenebrata dai
tempi. Alcune tra le nostre abitudini storiche
avverrà che allora prendano a modificarsi ; ci
verrà l'obbligo di rimontare a due e più seco
li per segnar l' epoca del risorgimento dall'u
niversale segnata per modo che calunniosa
mente se ne presuppone una totale rozzezza di
dieci anteriori generazioni. Si dovrà confessare,
che l'arte di pensare e di esprimersi conosce-
vasi anche allora che sapevasi credere e pre
gare. Presteremo il giusto omaggio a quell'età
cattolica, alla bella adolescenza della umanità
cristiana, verso di cui in questi tempi di pro
cellosa virilità, abbiamo bisogno tal fiata di ri
INTRODUZIONE t7
volgere il nostro sguardo. Ben è vero che di
siffatte tarde confessioni non abbiamo penuria
oggidì; ma se ci è permesso di sperare alcun
tratto da questo lavoro, è quello di crescerne
il numero. Un affetto di pietà filiale ci dominò
nel raccogliere i fatti e le idee che qui si por
gono al lettore; toccava a noi spargere altri
fiori sulle tombe de' nostri padri che furono
buoni e grandi, offerire altri grani d'incenso
sulle are di Colui che nel suo consiglio buoni
e grandi li fece.
Questi motivi, onde determinossi la scelta del
punto di veduta filosofica a cui ci siamo col
locati, non ci faranno sdimenticare i limiti del
l' orizonte abbracciato. Non c'attenteremo di
comprendere l'immenso quadro, di scoprire i
misteriosi labirinti della Divina Comedia. Sap
piamo che le memorie del passato, le scene del
presente, le passioni politiche, altre di più tenera
natura, le tradizioni nazionali, le credenze re
ligiose, il cielo e la terra ebbero parte a quel
l'ammirabile creazione :
Poema sacro ,
AI quale ha posto mano e Cielo e Terra (i)l
(t) Paradiso , e. XXV, ter. ».
,g INTRODUZIONE
Vi riscontriamo gli elementi epico, elegiaco,
satirico, didattico, raccolti in una savia com
binazione. A sua volta l'elemento didattico ci
pare divisibile in altri due; il primo puramente
cattolico, il secondo veracemente filosofico. Ma
la Divina Comedia rassomiglia i vasti retaggi
venuti alle mani di una posterità debole, e am
miserita cbe li smembra per coltivarli. Noi ci sia
mo tolta la parte più incolta, se non cbe forse
è una delle più feconde; ma senza collocarci
a dirittura fuori da' suoi limiti, malamente ado
pperemmo per lavorarla.
Ciascuna cosa invero vuol essere studiata nel
suo mezzo. Anche allorquando proviamo di
isolarne taluna per meglio averne il possesso,
non potremmo sottrarla affatto dalle influenze
esterne. In qualunque astrazione rimane sem
pre alquanto di reale, come nel vuoto artifi
ciale si contiene sempre alquanto di aria. Nè
un sistema filosofico è un fatto a sè, ma il
prodotto del concorso di tutte le facoltà del
l'animo, le quali servono ad una educazione pri
mitiva, agli impulsi esterni. Cosa utile imper
latilo è di studiare da principio l'aspetto gene
rale dell'epoca di Dante, le fasi della scolastica
contemporanea, i caratteri speciali della scuola
INTRODUZIONE 19
italiana a cui appartenne, gli studj e le vicende
che l'occuparono nella vita, e l'azione di que
ste cause riunite sulle sue dottrine.
Nella Divina Comedia di fermo s' informò
il genio del suo autore. Ma il genio non sa
prebbe lutto racchiudersi in una forma, per
quanto vasta essa fosse. È d'uopo ch'ei la tra
passi, e che, o preludendo alla sua opera di
letta, o talvolta interrompendola, altrove la
sci sfuggire quanto trabocca nelle sue inspi
razioni. Così la mano che disegnò la Divina
Comedia , vergò quasi ricreandosi altri scritti
che ne sono il commentario e il naturale com
plemento. Noi procureremo da questi docu
menti tra loro avvicinati, attenendoci soprat
tutto ai concelti che s'incontrano nel poema,
di derivare una analisi completa della Filosofia
di Dante.
Tracciati i segni di questa filosofia, ne faremo
rilevare il tutto insieme: ci trasporteremo nei di
versi ordini delle idee, nel di cui centro ci ap
pare collocata ; esamineremo quali punti si ri
feriscano alle une od alle altre, come s'accosti
alle memorie dell'Accademia, o del Liceo, alle
dispute de' realisti e dei nominali, alle recenti
contese del sensualismo e dello spiritualismo.
2o INTRODUZIONE
Ci solleveremo con essa al di sopra de' si
stemi che si distruggono, e la seguiremo al piede
del tribunale immutabile della Religione. Abban
donandoci a controversie pur dianzi ripetute ve
dremo se debbasi annoverare il poeta italiano
tra la turba tumultuante degli spiriti eterodos
si, o averlo tra i più nobili discepoli dell' fi-
terna ortodossia.
L' ordine logico di tali ricerche suppone lo
scioglimento di molti problemi storici, che lun
ghe digressioni richiedono per un esame pro
fondo. Essi formarono l'oggetto di alcuni studj
che porremo di supplemento; e il libro final
mente avrà fine con una serie di estratti di
S. Bonaventura, di S. Tomaso, d'Alberto il
Grande e di Roggero Bacone, che, abbrac
ciando in on quadro ristretto i punti prin
cipali della loro istruzione, manderanno luce
sulla dottrina di Dante per mezzo di quella de'
suoi maestri, e gioveranno a far conoscere la
Filosofia cattolica del xitt secolo.
Venuti a questo termine, se ci rivolgeremo
a mirare la via percorsa , non sapremo dissi
mulare la insufficienza delle nostre ricerche. La
Divina Comedia è di qualche maniera il pro
dotto di tutte le concezioni del medio evo ,
INTRODUZIONE a1
ciascuna delle quali alla sua volta deriva da
una lenta elaborazione seguita a traverso le
scuole cristiane, arabe, alessandrine, latine, gre
che, e incominciata nei sanluarj dell'Oriente,
Sarebbe prezzo dell'opera ripetere questa lunga
genealogia 3 sapere qrfanti secoli e quante gene
razioni, quante veglie ignorate, quanti pensieri
a stento concepiti, caduti dalla memoria, ri
chiamati, trasformati, abbisognarono per dar cor
po a questo lavoro; sapere che cosa esso co
sti, e quindi che valga. Ma studj di questo ge
nere non avrebbero fine. Se Bernardino di Saint-
Pierre scoprì un'infinita moltitudine di insetti
sopra di una pianta di fraghe , e dopo venti
giorni passati nella meditazione stette confuso
innanzi le meraviglie dell'umile pianta, farà stu
pore che un graud'uomo, un solo libro di lui,
un solo aspetto sotto cui presentasi questo li
bro basti alle fatiche di molti anni ? Ed anni
passati di questa maniera sarebbero senza rim
pianto?.... Come al nostro poeta, pellegrino
nelle regioni interminate della storia, circondato
da tutte le imagini del passato, non ci è con
cesso che un breve inlertenimento con alcuna
di esse, senza che si possa venire a contatto
aa INTRODUZIONE
colle altre. A noi, come ad esso, pare che gridi
una voce:
E già la Luna è sotto i nostri piedi:
Lo tempo è poco omai che n'è concesso,
Ed altro è da veder che tu non vedi (i).
(i) Inferno, XXIX, ter. 4.
s a & s a £ ai a sa a
CAPITOLO PRIMO
COEDIZIONE RELIGIOSA, POLITICA, INTELLETTUALE CELLA CRISTIANITÀ
DAL SECOLO XIII AL XIV j CAUSE CHE FAVORISCONO LO SVOLGIMENTO
SELLA FILOSOFIA.
JLja divina Previdenza e l'umana libertà, due po
tenze , ognuna delle quali concorre a spiegare la storia ,
tal fiata si accompagnano per mettere mano all' opera
più solennemente, e per tutto rinovare. Allora le ten
denze unanimi e spontanee, che sono la rivelazione alla
moltitudine del volere di Dio , mutano il cammino. Le
istituzioni sociali esprimenti lo svolgimento delle facoltà
dell' uomo cedono allo sforzo di uno svolgimento ulte
riore. Queste sono le epoche di transizione 5 una delle
quali abbiamo nel medio evo dalla metà del secolo xm
fino ad oltre i primi anni del secolo quattordicesimo.
1. La Chiesa stessa in quel tempo, comeché immutabile
nel compimento de' suoi eterni destini, ebbe a modificare
la sua potenza sulle cose temporali della cristianità. Se
due volte ancora discese nell'arena, se contro Federico II
e Filippo il Bello s'impegnò nella difesa delle libertà gene
rali, la seconda volta, alla vista delle sciagure del suo capo
Bonifazio Vili, avvisò altri tempi essere venuti. Allora fu
presta ad abbandonare la tutela politica esercitata sui po
poli che prima , fanciulli, si erano fatti forti per la difesa
della propria causa; e a gradi si restrinse nel dominio spi
rituale. Quattro concilj ecumenici, uno di Laterano, due
a Lione, e l'ultimo a Vienna, tenuti in meno di un se
colo, avevano già allargato la intelligenza dei donimi,
ristretta la disciplina, proveduta la riforma dei costu
*4 PARTE I.
mi. Quattro ordini religiosi fondati in quell'epoca, que'
di S. Domenico e di S. Francesco , gli Agostiniani e i
Padri della Misericordia, moltiplicarono in tutti i luoghi
da essi percorsi i lumi della istruzione , e le opere mi
rabili dell'amore. Men di frequente il pensiero religioso
spaziò sopra i campi di battaglia e tra i consigli dei prin
cipi, ma più intimo sedette al focolare delle famiglie,
penetrò più innanzi la solitudine delle coscienze; e vi
suscitò le virtù, che si meritarono l'aureola dei Santi*
nel fatto pochi secoli al pari di questo collocarono tanto
numero di uomini sugli altari.
D'altra parte, sulle plaghe dell'Africa, andavano fallite
due crociate, sforzi supremi ed eroici della cristianità per
nvanzarsi'oltre alle frontiere dell'Europa, cui doveva
già difendere al nord contro le orde Mongoliche, e met
tere al sicuro dai Mori al mezzodì. Paga di conservare
la sua esterna indipendenza, essa concentrò le sue forze
nell'interno. L'era faticosa de' politici ordinamenti tenne
dietro all'era onorevole delle conquiste. Al Sacro Impero
di Roma , disonorato dai delitti degli Hohenstaufen, ve
nivano meno gli omaggi de' feudatarj più illustri, e gli
antichi suoi titoli di universale supremazia. Le nuove na
zionalità, toltesi alla centralizzazione onde erano minac
ciate, si stabilivano, si liberavano le une dalle altre, con
tendevano pei loro confini anche per via di molte guer
re, di ripetuti tentativi diplomatici, che furono i primi
rudimenti del diritto delle nazioni.— L'aristocrazia feudale
più non essendo quel potere assoluto, a cui umilmente
avevano piegato diverse generazioni, dovette cozzare, o
discendere a trattative colla regia podestà, che su di essa
innalzavasi, col clero e col popolo i quali altamente re
clamavano le loro franchigie. Si tennero assemblee rap
presentative col nome di Stati, Parlamenti, Diete, Corti,
dove i tre ordini apparivano siccome patrocinatori degli
interessi proprj, de' costumi, della milizia e dell'industria
delle nazioni. Ma il terzo stato soprattutto originato dalla
CAPITOLO I. j5
emancipazione dei communi, moltiplicato coll'affrancarsi
di un gran numero di servi, avveduto nel mantenere ne'
suoi ordini l'unione, che forma la forza , destro nell'as-
sociarsi ai poteri di data più antica , allargava gradata
mente il posto occupato colla reintegrazione del publico
diritto. — Gli usi locali ed arbitrarj si assoggettarono al
l' autorità generale de' comandi dei principi, alla savia
autorità della giurisprudenza romana. Le leggi di nuovo
compilate ebbero effetto pel ministero di una magistra
tura ferma, che accolse ne' suoi tribunali anche i plebei.
Da questo punto dovea segnarsi il risorgimeuto del di
ritto civile.
Pacifici rivolgimenti si compirono nello stesso dominio
del pensiero. La teologia signoreggiava ancora le scienze
ma le vedeva senza gelosia grandeggiare attorno di sé.
I viaggi di Marco Polo , le missioni di alcuni poveri
religiosi traverso i deserti dell'Asia settentrionale, i va
scelli genovesi sospinti dai venti alle piagge delle Cana
rie avevan disteso i confini della terra conosciuta. La sco
perta della bin-sola , delle lenti, della polvere da can
none, portava gli uomini al conoscimento di forze nella
natura non mai prevedute. Da tutte le parti si aprivano
scuole diverse, speciali; quelle di Salerno e di Montpel
lier! per la medicina, di Pisa per la giurisprudenza. Nelle
prime provincie del mondo cristiano sorgevano univer
sità veramente degne di siffatto nome pel carattere en
ciclopedico delle loro lezioni, e per la moltitudine degli
studenti che affluivano dalle contrade più remote. Pa
rigi ne aveva pòrto l'esempio; né un secolo era passa
to, che Io imitarono Oxford, Bologna, Padova, Salaman
ca, Napoli, Upsala, Lisbona e Roma. — I progressi delle
arti avevano preso una mossa ancora più celere. Era
passato il tempo delle grandi inspirazioni sintetiche, e
aveva cominciamento quello delle fatiche analitiche. Alle
epopee cavalleresche e ai poemi lirici succedeva una
poesia vaga dell' allegorico e del satirico , didattica ,
Ozakam. Dante. 3
a6 PARTE I.
benespesso pedantesca, e che, divisa dalla musica, più
ad altro non si atteneva che al ritmo. La prosa poi to
glieva la parola scritta dalle leggi del ritmo perchè ser
visse alle regole di una grammatica ancora incerta. Essa
applicava i suoi primi e timidi sforzi nel raccogliere leggi
e storie, e fissava l'indole delle lingue moderne. Cosi pro
cedevano le cose intorno alle arti del disegno. L'archi
tettura, arrivata al più alto grado possibile di perfezione
nello stile gotico, procurò di guadagnare nella ricchezza
quanto perdeva della purezza. La pittura e la scultura
riparate all'ombra di quella, servendone le disposizioni,
considerate fino a quell'epoca siccome cose accessorie,
più non goderono di dar vita alle vetriere , e popolare
le nicchie delle basiliche; davano saggio delle loro prime
originali composizioni negli affreschi onde si vestivano
i muri, e negli ornati de' sepolcri. — Il commercio infine,
che col favore delle crociate aveva allargato il circolo
delle sue intraprese marittime, occupavasi allora d'e
splorare le strade, e moltiplicare i punti di communica-
zione. L'industria delle manifatture prosperava nelle città
protette dalle libertà municipali. E il mutamento delle
servitù in vassallaggio animava l'agricoltura, come al
tra volta quello della schiavitù nel servaggio l'aveva ri
generata (i).
In queste nobili forme dell'umana attività, la filosofia,
una delle migliori, non poteva sola star ferma al suo posto.
L'agitarsi del mondo esteriore penetrava di necessità le
solitudini più profonde, rivolgeva il corso, e prolungava
la durata delle più serie meditazioni. Le anime generose
(i) Qui non si parla che delle vicende dell'arte nelle regioni
settentrionali dell' Europa. In Italia, altre cause le prepararono
una prosperità più pronta e durevole. — Del resto gli avvenimenti
che si richiamano , si riflettono per via di frequenti allusioni dal
poema di Dante, mentre ad un tempo le loro conseguenze emer
gono dalle dottrine di lui.
CAPITOLO I. aj
non vogliono restare al di qua dai fatti di cui sono te
stimone e la grandezza dei casi provoca la grandezza dei
concepimenti. Ma il moto si operava per rientramento,
ed era di una interna organizzazione, nella quale gli ele
menti eterogenei fino allora mischiati si discioglievano, o
riunivano a sé altri elementi della stessa natura fino allora
divisi. Questo moto, riproducendosi nella filosofia, si
risolveva in esame, astrazione, ricomposizione, o, che
importa lo stesso, negli atti onde è costituita! Così i
tentativi del secolo premevano sopra ad essa determinan
do l'esercizio di tutte le sue forze.
II. Gli uomini vi concorsero pure insieme alle circo
stanze; e primi furono i sovrani Pontefici. Innocenzo IV,
che coll'indomito suo coraggio dominò il secolo xiii. volle
anche il regno dell'intelligenza. Costretto a fuggire di
città in città, ed a riparare il suo capo sotto tetto stra
niero, seco traeva come solo ornamento dell' esilio un
corteo di sapienti che formavano una completa università.
Più tardi curando tutte le scuole dei regni cristiani ,
s'adontava di vedere le turbe stipate intorno alle catte
dre di giurisprudenza, e deserte le scuole della filoso
fia. Adoperava a riconciliare gli spiriti a questi studj, cui
faceva importanti , costituendoli qual condizione indi
spensabile pel conseguimento degli onori e de' benefizj
ecclesiastici (i). Urbano IV ordinò che a Roma e sotto
la sua vigilanza san Tomaso d'Aquino dettasse lezioni di
fisica e di morale, ed egli slesso, dopo il pranzo, agitava
tra' suoi Cardinali filosofiche dispute. Questa onorevole
protezione confortava la scienza, e le era compenso al
superbo disprezzo degli istrioni coperti d'oro, e degli
ignoranti coperti di ferro (2). Sul trono papale e nella
(1) Tiraboschi, t. IV, lib. I, cap. II. — Duboulay, Hìstoire de
f Universitè , an. 1254.
(2) Tiraboschi, t. IV, lib. II, cap. II. — Ltltere di Campano
di Novara al papa Urbano If.
aS PARTE I.
persona di Clemente IV, Roggero Bacone trovò l'unico
prolettore di sue fatiche disconosciute (i). Altri, infine,
nou solo portarono sotto la tiara benevole disposizioni,
ma un merito scientifico personale e un nome a buon
diritto acquistato; Pietro di Tarantasia, oratore, dot
tore in ragion canonica e metafisico , ebbe poi nome
d'Innocenzo V, e Giovanni XXI fu più conosciuto sotto
il nome di Pietro lo Spagnuolo , autore di una logica
accolta con unanime approvazione, e che per lungo
tratto di tempo classica si mantenne (2).
Molti tra' principi temporali imitarono questi esempj.
Federico II, imperatore d'AIemagna, che cinse quattro
corone, che passò in continua guerra i quarant'anni del
suo regno; legislatore, e a quando a quando tiranno;
vandalo sotto le tende in Lombardia , voluttuoso sul
tano negli harem di Puglia e di Sicilia, fu alcune volte
trovadore, e benespesso filosofo. nelle ore d'ozio svol
geva nella sua ricca biblioteca manoscritti greci od ara
bi. Volle dotarne l'Europa e in un manifesto a cui lavorò
il suo cancelliere Pietro delle Vigne, annunziò la tra
duzione di molte opere e tra le altre degli scritti di
Aristotile. Tal dono magnifico fatto alla scienza segnò
un' epoca memorabile ne' suoi annali (3). D' ugual fa
vore le furono larghi il re Roberto di Napoli, che dopo
morte ebbe piena lode di sapiente (4), Alfonso di Ca-
stiglia che meritò il titolo di erudito, e perfino la corte
d'Inghilterra, dove le turbe adulatrici stipavansi intorno
a Dunstano Scott quando faceva lezione (5). Il trono di
(1) Biog. Univ. Roggero Bacone.
(a) Brucker, Hist. critic. philos. t. Ili , period. a , part. II ,
lih. II, cap. III, sect. a. — Dante, Paradiso, cant. XII, terz. 45.
(3) Brucker., ibid. cap. Ili , sect. 1 .
(4) Tiraboschi, t. V, lib. I, cap. II. Egli cita Petrarca e Boc
caccio.
(5) Bruekcr, ibid. sect. 1. — Degerando, Hist. comp. des Systi.
mes, t. IV.
CAPITOLO I. a?
Francia più degli altri illustrossi coll' influenza esercitata
copra la coltura dell'umano intelletto. Troppo lunga sa
rebbe la commemoraziooe di lutto: san Tomaso d'A
quino è convitato alla mensa di san Luigi che comanda a'
suoi segretarj di notare su fogli le improvvise inspira
zioni di lui ; Vincenzo Bellovacense è ammesso come let
tore nell'intimità di quel Re; la Sorbona è fondata;
Filippo l'Ardito fa maestro di suo figlio il celebre
Egidio Colonna (i). E basti il ricordare che i benefizj
de' nostri Re condussero a prospera condizione la Uni
versità di Parigi. Perciocchè la circondarono di quel pre
stigio che attrasse alle sue lezioni quaranta mila allievi
d'ogni nazione, fe' ambire le sue cattedre dagli stranieri
più illustri, facendosi degna di essere detta dai Papi fonte
della verità, centro di tutte le cognizioni (»). Sicchè nel xm
secolo se noi ci collochiamo sull'umile collina di santa Ge-
nevieffa, miriamo affrettarsi quali tributarj a' di lei piedi
tutte le glorie intellettuali del mondo cattolico, udiam
agitarsi innumerevoli dispute, scopriamo da lontano gli
esercizj dello spirito ; possiamo da quel posto abbrac
ciare la intera storia della filosofia contemporanea.
La potenza spirituale pertanto e quella secolare, sì di
frequente l'una vòlta contro l'altra, si combinarono nel-
F azione sulle fatiche del pensiero, ed entrambe accer
tavano di sicurezza, libertà e commodi gli stucr| coscen-
ziosi; e publicamente consacrando l'istruzione, le- impo
nevano la rinunzia a rivalità personali, e voleano farla ca
pace di abitudini autorevoli e ad un tempo conciliatrici,
III. Uno degli effetti più: distinti di siffatta protezio
ne de' grandi, era la moltiplicazione più rapida de. li
bri e delle versioni ; il conoscimento che più facile ne
(1) Brucker, ibut. — Degerandb ., ibìd. — Michelet, Hist. de
France , t. II e III.
(2) Bolla d'Alessandro IV riportata da Rainald» continuatore
di Baronie*
3*
3o PARTE I.
scaturiva dell'antichità e delle dottrine orientali. Gli ul
timi scrittori sfuggiti alle rovine di Roma erano stati, in
sieme all'Organon d'Aristotile e ai libri di s. Dionigi l'a-
reopagita, i soli iniziatori dei primi scolastici (1). Di poi
per mezzo delle Crociate, i Latini si erano fatte familiari
le lingue della Grecia e dell'Oriente. Le opere di s. Gio
vanni Damasceno vennero tradotte, e Guglielmo, abbate
di san Dionigi , trasportò da Costantinopoli alcuni ma
noscritti tra cui la Fisica , la Metafisica e la Morale di
Aristotile (2). Le versioni del monaco Costantino africano,
e l'Alcorano tradotto sotto gli auspicj di Pietro il Ve
nerabile aveauo pòrta la conoscenza delle dottrine Ara
be (3) ; ma nel tempo soprattutto che adesso ci occupa,
l'Ellenismo e l'Orientalismo intervennero nelle filosofiche
vicende dell'Occidente , con Uno svolgimento di forze
inaspettate. La diversità delle lingue non era più osta
colo all'età che aveva veduta la conquista dell'impero
bizantino, e l'invasione dell'Egitto fatta dall'armi fran
cesi. Le opere di Avicenna e di Averroe apparvero
(1) Intorno atla storia dell'Organon nel medio evo vedi la
Memoria di Bartolomeo Saint-Hilaire, t. II. — Vedi pure Brucker,
loc. cit., 1. II , cap. •>. (a).
(a) Il matrimonio di Ottone II con Teofania aveva contributo
a ristabilire il commercio d'Occidente colla Grecia. Bartolomeo
Saint-Hilaire ha provato la continuazione degli studj greci nel
medio evo. Brucker, Ilist. crit. t. Ili , lih. II, cap. IIL scct. ij
Dcgerando, llist. comp. t. IV, hanno enumerato i commentarj e le
traduzioni che fecero conoscere Aristotile e Platone agli scolastici.
(3) Degerando, IV, 2.5. — A torto si disse del libro de Cau
si* , semplice traduzione di un trattato di Proclo, essere una sa
via compilazione dove si compendiavano le idee d'Alpharabi, d'A
vicenna e di Algazel.
(a) Qui basti il dire che con questa parola , a cut certo Aristotile non a.
.cva pendato , si chiamano tutti i lavori di lui intorno. alla logica, ai quali
nulla di essenziale poterono aggiungere i secoli. — Buhle. (Aristot. Op. t. lt
pagina ^31 in Argumento categoriarum i/ut. dice i Certe probabile est , li
bro* organo vutgu accenseri solitos et Categorias , librutn de Interpreta
zione , Analytica priora et postcriora, Topica et Elenchos sophisticos r singu
lnre et absolutum fjuoddam opus componere t, ec.). — 11 Trad.
CAPITOLO I. 5,
nella lingua latina. Mosè Maimonide fece conoscere le
opere dei dottori Mussulmani e i sogni della cabala
giudaica. Contemporaneamente l'Amalgesto di Tolomeo,
il Timeo di Platone, i libri di Proclo, ed altri ancora
di minor fama rinvennero interpreti ; in ispeciale ma
niera Aristotile fu allora onorato; le opere di lui, già
tradotte sopra arabe versioni , lo furono di nuovo sul
testo originale. Alla traduzione ordinata da Federico II
un' altra fece seguito intrapresa da Guglielmo da Mor-
becca, consigliata da san Tomaso d'Aquino e forse vo
luta da Urbano IV. Alcuni trattati passarono anche nelle
lingue volgari. La opposizione minaccevole da principio
dell'Università di Parigi, che con un concilio provin
ciale aveva ottenuto la condanna delle dottrine peripa
tetiche, aveva trovato un moderatore nella saviezza del
pipa Gregorio IX; presto fu costretta di ammettere delle
eccezioni, e quindi adottò una tolleranza generale , e in
fine dileguò all'intatto innanzi l'esempio dei dottori più
venerati, che presero a sostenere lo Stagirita, e non più
sul limitare, ma nel centro stesso della scuola lo vol
lero collocato (i). Aprendosi il secolo xiv, l'antichità
e l'Oriente vengono solennemente ospitate nella Re-
publica cristiana , quando nel concilio di Vienna si
dà 1' ordine di istituire nelle quattro principali univer
sità, e dove risiederà la corte romana, le cattedre delle
lingue ebraica, caldea, araba e greca (2). Né tale au-
(1) Launoi, De Varià Anstotelis fortunà. — Degerando, t. IV.
(2) Tiraboschi, t. V, lib. III, cap. I (a). — Giovanni di Salisbury,
Roberto Grossc-Téte , Ruggero Beure , Alberto Magno ed Eloisa,
pare abbiano conosciuto il greco e l'ebraico. Vedi Brucker, loc. cit,
(n) Cosi il Tiraboschi a pag. 674 : u Tra le leggi che da Clemente V in
esso furono publkate , e the veegonsi ancora inserite nel Corpo del Diritto
Canonico (Clement. ut. de Magistris ) , baivi quella con cui si ordina che
Be' luoghi ove la romana curia avrà residenza , e inoltre nelle università di
Parigi, ri' Oxford, di Bologna, di Salamanca siano due professori di lingua
ebraica, due di arabica, due di caldaica, i quali esercitandosi in traslatare
i libri di quelle lingue nella latina , in esse ancora istruiscano i loro scolari. n
~ Il Trad.
Si PARTE I. CAPITOLO I.
torità, attribuita ai popoli antichi ed agli Arabi, era punto
tirannica nel suo principio; ma dovevasi a una lunga se
rie di uomini laboriosi, tal fiata sublimemente inspirati ,
che rappresentavano la tradizione sapiente dell'antichi
tà, la quale tradizione se non può essere accettata senza
esame, sarebbe imprudenza porre in non cale. Il segreto
invero del progresso scientifico delle generazioni sta in
una savia economia delle esperienze del passato per i
bisogni dell'avvenire; sciagurate quelle generazioni che,
private del retaggio dell'istruzione, o avendone fatto il
rifiuto, sono costrette, deboli e caduche, di ricominciare
l'opera de' secoli l
Così, mentre gli avvenimenti contemporanei communi-
cavano alla filosofia un moto durevole, cui dirigeva la
buona volontà di uomini potenti, essa nel risorgimento
delle dottrine antiche e straniere vedeva segnato il punto
di sua partenza.
CAPITOLO II.
DELLA FILOSOFIA SCOLASTICA DEL XIII SECOLO
I. JLia barbarie, che distendendosi sulle contrade d'Eu
ropa cancellava le tracce della civiltà latina , aveva ri
strette le poche cognizioni disperse da quella gravissima
calamità in un angusto circolo , povera Enciclopedia ,
che riduceva le arti liberali a sette, divise in trivium e
quadrìviutn (i). La filosofia vi era compresa nella dia
lettica, la parte di minore importanza; e sola inoperosa
al fondo del santuario stava la teologia, a cui non si era
dato alcun luogo.
Ma giorni meno tenebrosi erano succeduti. Dal fondo
del santuario, e di mezzo alle pompe ispiratrici del cul
to e ai rumori della predicazione, la teologia erasi ri
scossa; e data al concepimento delle cose invisibili che
proponeva da credere, originò la metafisica. Da questo
punto la dialettica soverchiava i limiti del trivium. Stanca
di accozzare parole, tentò i legami dei concetti che si
producevano, elevandosi all' ufficio di logica. Dall'u
nione della metafisica e della logica derivò una filosofia
dogmatica. Le condizioni del quale accordo dipendevano
da un primo problema: sapere se passa alcuna corrispon
denza tra le esistenze invisibili presupposte dalla meta
fisica, e le nozioni dedotte logicamente; tra le cose rea
li, e le idee? Era il famoso problema degli universali, che
in una frase di Porfirio alessandrino l'antichità tramanda
va in legalo al medio evo. Sant'Anselmo ne diede la solu
zione col dedurre dalla nozione di Dio l'esistenza di Dio;
(1) Questa divisione delle scienze , uscita probabilmente da un'o
rigine pitagorica , trovasi in Filone de Congressu ; in Tzetzés ChiI.,
ix, 377: e s'introdusse nell'Occidente la mercè degli scritti di
Cassiodoro e di Marziano Capella.
-
34 PARTE I.
e stabilendo la realtà necessaria dell'idea di perfezione, e
delle idee generali facendo cose reali, si eresse così capo
scuola de' realisti. Altri in quella vece, con Roscelin, vol
lero spogliate di qualunque valore obbiettivo le idee ge
nerali, e nei generi e nelle specie ravvisarono soltanto
arbitrarie creazioni del linguaggio (a) ; di qui i nominali.
La contrarietà di queste due scuole rinovava la intermina
bile lotta dell'idealismo e del sensualismo. Tra' più chiari
contendenti, Guglielmo di Champeaux e Abellardo si fe
cero spettacolo alla intera Cristianità colle vigorose e
contrarie lor prove. La disputa crebbe le divisioni ,
onde le sette de' reali salirono a quattro, quelle de' nomi
nali si limitarono a tre (i). Nelle quali contraddizioni
della ragione pare si rinvenga un' accusa della sua im
potenza. Molti disdegnarono l'ajuto incerto della logica,
e avvisarono di elevarsi alla scienza colla intuizione,
all'intuizione colt'ascetismo. Di qui una filosofia mistica,
i cui principj presero forinola negli scritti di Goffredo,
di Ugo , di Riccardo , religiosi dell'Abbazia di san Vit
tore (2). — La teologia scuotendo dal loro sonno gli studj
razionali li aveva chiamati in un campo ove l'ortodossia
confina coll'opinione, il qual confine, siccome difficile ad
essere determinato, benespesso fu errato. Alcune dottrine
condussero il sospetto; altre come quelle di Amaury di
Chartres, di Davide di Dinant, provocarono solenni ana
temi. Dal cozzo violento della libertà Scientifica e dell'auto
rità religiosa doveva uscire il dubbio; e le reminiscenze
(a) Era pili proprio il dire dell' intelletto. — Il Trad.
(i) La controversia de' realisti e de' nominali già esposta da
Brucker, cap. Ili, sect. 3, e da Degerando, t. IV, fu analizzata,
con tale profondità eh e non lascia altro a desiderare, nella pre
fazione all'edizione delle opere di Abellardo publicate da Cou-
sin. — Giovanni di Salisbury nel suo Metalogicus citato da Bru
cker, ibid.j enumera le quattro opinioni diverse del realismo.
(a) Cousin, Cours d'Histoire de la philosophie, ti. — Dege-
rando, t. XV.
capitolo ir. ss
confuse della letteratura pagana, e le prime influenze dei
dottori saraceni animavano lo scetticismo (1). — Così tutte
le tendenze dello spirito umano si erano appalesate, e
anche nella loro divergenza attestavano all' aprirsi del
secolo xm la loro energia.
II. In questo secolo già splendido di tante glorie an
che la filosofia scolastica toccò l'apogeo.
E primamente la teologia preluse nell'ordine intellet
tuale all'abdicazione che la Chiesa era per fare del suo
potere nell'ordine politico. Emancipò la filosofia che omai
poteva reggere di per sè; nè altro riservossi che una tu
tela mnterna, e relazioni di vicendevole ajuto: perciocchè
si erano divise, ma non all'intutto e non per sempre;
non era no un rinegarsi a vicenda, a La scienza della
Fede , dicevano i dottori , considera gli esseri creati
per questo , che riflettono una imagine imperfetta di
Dio; la filosofia umana li considera nel modo loro pro
prio di essere. Il filosofo si propone la investigazione
delle cause secondarie e speciali : il fedele medita la
causa prima. L' insegnamento filosofico parie dalla co
gnizione delle creature, per arrivare alla idea di Dio,
che è il fine: quello della Fede incomincia coll'idea di
Dio, e scoprendo in Esso l'ordine universale di cui è il
centro, termina colla cognizione delle creature. Questo
metodo è più perfetto, perciocchè assimila l'intelligenza
umana all' intelligenza divina, che in sè contempla tutte
le cose. E però la scienza de' teologi può giovarsi tal
volta dell'opera de' filosofi, non per bisogno, ma per
mettere in maggior luce i dogmi che propone alla no
stra fede (2). »
(1) Cousin, ibid. Brucker, cap. HI, sect. 1. Precis de Chili, de la
philosophie , publicato dai direttori del Collegio di Juilly, p. 2^5.
(2) S. Tomaso Cantra gentes, lib. II, cap. IV. Summa Theolo-
gìae, |>. I. q. 1. art. 4-
36 PARTE I.
Oramai sicura di una esistenza indipendente ed ono
rata la filosofia in libero modo si dispiegò, e cosi definen
dosi, questi larghi limiti assegnava a sè stessa: « La filosofia
è lo studio delle verità intelligibili ; è razionale, naturale
o morale, perchè queste verità si riferiscono alle parole,
alle cose o ai costumi. Nella sua razionalità comprende
la grammatica , che ha per oggetto 1' espressione delle
idee; la logica, la cui mercè le trasmette ; la retorica
perchè ingeneri gli affetti. Essendo naturale , è d' uopo
che abbracci la fisica dove siano discusse la generazione
e il corrompimento delle cose, le matematiche per consi
derare le forme astratte e le leggi generali, la metafisica
per ricondurle alla causa, al loro tipo, al loro fine. Final
mente essendo morale, piglia i diversi nomi di monastica,
economica o politica, secondo che procura il bene dell'in
dividuo, della propria familia, o dello Stato (1) ». On-
d'è che per siffatta enumerazione la filosofia coslituivasi
una scienza universale, siccome appunto gli antichi l'a
vevano concepita racchiudendo nella sua sfera l'eloquenza
e la poesia , la geometria e la legislazione , e chiaman
dola soprattutto la cognizione delle cose divine ed uma
ne (2). Che se toglievansi la grammatica, la retorica e
le matematiche, le quali, già comprese nella classifica
zione delle sette arti, aveano una speciale istruzione, la
logica, la fisica, la metafisica e la morale rimanevauo
ancora a comporre il corso filosofico della scuola, for
mante un completo sistema di spiegazioni intorno a Dio,
alla natura e alla umanità, quasi il termine necessario
degli studj anteriori. Ma stando in questo corso innanzi
gli altri studj la logica , e facendosi attento esame de'
(1) S. Bonaventura, De reductione artium ad Theologiam. I-
dem: Breviloquium: ce philosophia est medium per quod theologus
.fabricat sibi speculum ex creaturis ex quibus tanquam per scalatn
erigitur in coelum ».
(2) Cicerone, Tuscul. lib. V; de Offìciis, II.
CAPITOLO II. 87
fenomeni intellettuali , prima che fosse dato di abbando
narsi alla investigazione del inondo esteriore, nelle idee
veramente si studiavano le cose, alla luce della coscienza
apparivano le venia d'ogni maniera, e un d'allora, senza
che fossevi il nome, vigeva la psicologia, nella quale
dovevano concentrarsi le ricerche filosofiche de' moder
ai ; sicchè di tutte le definizioni che della filosofia fu
rono date e prima e poi, quelle più estese, e ad ua
tempo le più profonde , convengono alla scolastica.
E faceva mestieri che la filosofia, per operare nella nuo
va sfera ch'erasi aperta, raccogliesse interamente le sue
forze, e per modo si coordinasse da ricondurre ad efficace
concorso gli sforzi del pensiero. Già abbiano fatto cenno
delle cause politiche le quali favorivano al ravvicinamento
de' sistemi. Fra le numerose gradazioni del realismo e
del nominalismo, alcune quasi venivano a confondersi
insieme. Cosi la opinione di Gilberto de la Force, che
ammetteva la generalità delle sole leggi di natura, pa
reva accomodarsi a quella di Giovanni di Salisbury, il
quale confessava la legittimità delle idee generali for
mata dalla astrazione di qualità communi a molti indi
vidui (1). E nel fatto avvenne tale fusione. E mentre
dall'anno 1200 all'incirca i pensatori cristiani andavano su
perbi del nome di realisti , nel fondo della loro istruzione
avevano dato ricetto al concettualismo originato dai nomi
nali (2). Così si conciliarono le due scuole che avevan diviso
il dogmatismo attaccandosi senza riguardo alla esperienza
dei sensi e all'infallibilità della ragione. Seppero del pari
far conto della importanza del misticismo, da cui tolsero
le percezioni intuitive delle quali soltanto ad esso spetta il
segreto Nel tempo stesso le tentazioni scettiche suscitate da
una cognizione imperfetta, e perciò pericolosa, delle dot-
(1) Brurker, c. Ili, sect. 3.
(2) Degerando, t. IV.
Ozakam. Dante.
38 PARTE I.
trine pagane e mussulmane, disparvero mercè una erudi
zione completa, grave e sapientemente moderatrice. Av
venne pertanto un vero eclettismo, che strinse in alleanza
la ragione, i sensi, la intuizione, la tradizione del pas
sato , tutte le grandi potenze dell' intelletto. In luogo
delle sette che nell'età precedente si escludevano a vi
cenda, si elevarono illustri dottori, ciascuno dei quali
era un distinto rappresentante di alcuna tra tali poten
ze, generoso apprezzatore degli altri.
111. Alano des lìes, Alessandro di Hales, Vincenzo Bel.
lovacense, Guglielmo di Alvergnia furono i precursori.
Apparve finalmente Alberto Magno (i 195-1280), no
vello Atlante, il quale portò sopra sé il mondo delle scien
ze, né punto venne meno sotto quel peso: addentratosi nelle
lingue dell'antichità e dell'Oriente, mercè queste due fonti
tradizionali emergeva distinto di forze straordinarie. Dalla
scuola dell'Università di Parigi, dove umile alunno si era
seduto, emigrato a Colonia vi stabilì la sua cattedra, sulla
quale apparve il jerofante iniziatore dell'Alemagna. Quan
tunque il merito principale di lui voglia essere posto nel
l'immensità delle sue cognizioni, non trascurò tuttavolta le
questioni psicologiche, che per essere sciolte domandano
l'esercizio diretto della ragione; e fece manifesti i suoi
pensamenti intorno la origine e il valore delle idee , la
divisione delle facoltà dell'anima. Né disdegnò d'inter
rogare la natura, e, con una osservazione continua, d'in
dagare per entro i fornelli e i crogiuoli forze allora
ignote, siccome quella di trasmutare i metalli. E più
lungi si spinse nel suo ardimento: avvisò di scoprire in
regioni inaccessibili all' occhio , impenetrabili alla indu
zione, agenti soprannaturali, capaci di modificare l'or
dine regolare dei fenomeni ; sicché fu detto che egli
stesso dava fede al titolo di mago onde i suoi discepoli
lo avevano distinto. Egli ottenne nella memoria dei po
CAPITOLO II. • 39
steri la popolarità di un essere quasi mitologico e so
vrumano (i).
In altra parte, e in una celletta d' un oscuro mona
stero dell'Inghilterra, sorse, dotato di quella inspirazione
che produce le grandi scoperte , un povero religioso ,
Roggero Bacone (1214-1294). Fatti gli studj a Oxford
e Parigi , e maravigliato della misera condizione delle
scuole in quel tempo, ne indagò le cause, e seppe deter
minarle: provando la necessità di una riforma, ne propose
i mezzi, e ne diede egli stesso l'esempio. Stette fermo so
prattutto all'esperienza che , illuminata e calcolatrice, non
si accontenta di osservare i fenomeni, ma li tenta e ripro
duce. Allora uella solitudine del suo laboratorio ignorato,
egli spinse il suo occhio nell'avvenire. « Possiamo, sono
parole di lui, formare col bronzo folgori più spaventevoli
di quelli della natura : una scarsa quantità di materia
preparata produce una orribile esplosione accompagnata
ad un vivo splendore. Questo fenomeno per modo si
moltiplica che basti alla distruzione di una città e d'un
esercito. Dall'arte si possono costrurre siffatti istru menti
per la navigazione, la cui mercè i più grandi vascelli ,
governati da un unico uomo, corrano i fiumi ed i mari
con maggiore rapidità che se fossero zeppi di remigan
ti. Così possiamo avere de' can i che senza l'aiuto di ve-
run Ciò
animale
non sipertanto
movano Bacone
con incommensurabile
sapeva togliersicelerilà
da ricerche
(2).»
(t) Cousin, Cours d'Hist. de la phìlos.,t. I. — Degerando, t. IV.
Alberto , De animd ^ lib. I, trat. 11, Libellus de Alchimia1. —
Dante, Paradiso, X, 34.
(3) Roggero Bacone de secretis Arlis et Naturae. La polvere da
cannone pare sia stata adoperata un secolo prima dai Mori di
Spagna. Ma Bacone fu senza dubbio uno de' primi dotti europei
che ne abbiano dichiarato gli effetti maravigliosi. Non si saprebbe
maggiormente con una completa certezza attribuirgli la invenzione
del telescopio. Intorno alle sue dottrine filosofiche , veggasi De-
gerando, loc. citai.
4o PARTE t.
sì piene di allettamento per entrare nell'altre parti della
filosofia. Risolvette da eclettico la controversia degli
universali. Oltre l'esperienza esterna e le concezioni ra
zionali, ammise min esperienza interna che riposa nel
commercio dell' anima con Dio: ne levavasi contro l'au
torità della sapienza antica , ma I' assoggettava ad una
critica severa : oggetto di sue continue meditazioni era
stata la filologia. Lunga vita avevagli concesso la Pro-
videnza, e da lui aspettava la scienza un secolo intero
di progresso; ma la maraviglia de' suoi contemporanei,
che lo dicevano Doctor mirabili*, si volse in odioso so
spetto. Egli trasse gli anni della vecchiaja in una pri
gione , e la luce gli venne meno alle estreme fatiche.
Più tardi, ai tempi della Riforma, i suoi manoscritti
vennero arsi nell'incendio di un convento del suo ordine,
da uomini, la cui discendenza, in nome dell'industria pro
testante, trionfa oggidì coi battelli a vapore e con le strade
di ferro che il vecchio frate cattolico aveva predetle (i).
Verso quel tempo, sotto cielo men tristo, alle falde de'
monti della Toscana e della Calabria , donde uscì bel
numero di grandi uomini , apparvero due splendidi m
gegni; la stessa età li ravvicinava, lo stesso giorno li vide
uniti a Parigi per ricevere insieme gli onori academici;
stretti col vincolo d'amicizia nella vita, calarono lo stesso
anno nel sepolcro, e dello stesso culto ebbero onore sopra
gli altari ; sicché nella storia s. Bonaventura e s. Tomaso
d'Aquino non possono stare disgiunti. — S. Bonaventura
(1221-1274) dotato di una intelligenza meno attiva, ma più
aperta all'affetto, piegava alle dottrine contemplative, e
adoperavasi per conciliare con esse l'esercizio legittimo
delle umane facoltà. «Da Dio, secondo l'avviso di lui,
viene qualunque luce; ma questa luce è molteplice nel
suo modo di communicazioue. La luce esterna, o la tra
dizione, rischiara le arti mecaniche; la inferiore, che t
(1) Précis de Vhistoire de la Philosophie , p. 293.
CAPITOLO II. 4,
de' sensi, suscita in noi le nozioni sperimentali: quella
interna , che si dice ragione , ci apprende le verità in
telligibili ; e la superiore move dalla grazia e dalla
Sacra Scr1ttura, e rivela le verità sant1ficatrici. Que
sti generi diversi di cognizione sono tra sé coordi
nati, e formano una progressione ascendente. L'anima,
che si volse allo studio degli oggetti esterni, deve con
centrarsi in se stessa , dove vedrà manifesto il riflesso
delle eterne realtà , alle cui regioni salita, perviene alla
contemplazione del primo principio , di Dio. Vedrà in
allora sgorgare da quel principio le forze che ad ogni
grado della creazione si manifestano ; e nel discen
dere da quell'altezza ravviserà le tracce divine in quan
tunque cosa fu concepita, sentita ed insegnata. Così tutte
le scienze hanno in sé alcun che di misterioso , ma dove
si afferri il filo conduttore del mistero , nel più recon
dito luogo si penetra. » Fu grande sciagura pe' suoi
discepoli che il Doctor seraphicus si elevasse troppo per
tempo, e per una via troppo limitata, a quell'altezza mi
steriosa, a cui dal basso aveva accennato. Egli morì nel
mezzo del secondo concilio di Lione, onorato nei funerali
dai rappresentanti riuniti della Chiesa universale. Né man
cavano alla sua memoria altri omaggi meno pomposi e
più tardi, quando cento cinquanta anni dipoi i suoi scritti
consolavano nella sua solitudine il pio Gersou , stanco
degli spettacoli d'un mondo corrotto e delle controversie
di una scuola degenerata (t).
S. Tomaso d'Aquino (i224-,374) aveva udito dal suo
maestro definire lo spirito umano « un tutto potestativo n
e noi possiamo dire che fu egli stesso questo lutto per
sonificato. Facoltà più eccellenti non furono mai riunite
in un uomo con più felice armonia , signoreggiate ad un
(O Prèdi de l'histoire de la Philosophie. — Deaerando, Hist.
camp. IV. — S. Bonaventura, de Reductione artium ad Theolo.
giam. — Gerson, apud Bruckev, toc. cit. — Dante, Paradisa, XII.
4*
4a PARTE I.
tempo da una ragione alta, solenne, e potentemente ca
pace di meditazione. Perciò i suoi maestri accettarono
l'augurio per lui, quando da' suoi compagni negli studj
egli era detto il Gran Bue della Sicilia. I suoi pen
sieri volgevansi dunque massimamente alla metafisica,
scienza la più razionale, che domina e coordina le altre (i).
Al termine di tutte le speculazioni,, egli vedevasi in
nanzi l'inevitabile problema degli universali, doveva por
tare la sua sentenza intorno la realtà obiettiva delle
concezioni razionali, stabilire la conformità fra le idee e
le cose. San Tomaso ammise in Dio l'esistenza delle i-
dee archetipe della creazione ; ma 1' uomo non gode
la visione diretta di questi archetipi. Nelle sue cogni
zioni forma imagini ricevute dai sensi, e percezioni a-
stratte che da quelle si svolgono al lume della ragio
ne (2). — Questa logica conciliatrice, che una parte
convenevole attribuiva all'intervento de' sensi, era scórta
a san Tomaso nelle sue ricerche fisiche. Egli confutò la
opinione che escludeva dal piano primitivo dellu crea
zione i corpi; e collocandoli nella classe degli esseri,
scopri in essi un concorso nell'ordine universale, una ten
denza continova alla perfezione, un vestigio di Dio. Tut-
tavolta le sue preoccupazioni teoriche lo conducevano alle
cose pratiche, e allora dava formola ad una legislazione,
che nella sua preveggenza abbracciava l'uomo, la fami-
lia e il corpo dei cittadini ; riconosceva l'eccellenza della
contemplazione , entrava nella via per cui una sublime
virtù può condurre alla contemplazione immediata della
verità eterna (3). — Ma poca cosa egli stimava esercizj
(1) S. Tomaso, Proloq, ad Mitaphys.
(a) Summa thcologiae , p. I , q. xv, art. i3. — Opuscul. de
sensu respectu particularium et intellectu respeclu umversalium.
(3) Dcgerando, t. IV. — Prècis de l'Hìstoire de la Philosophie.
— Cousin, Cours d'Hist. de la Philosophie, X. I. — Erasmo,
Leibnitz, Fontenelle , ingegni si diversi, unironsi a dar lodi a
s. Tomaso. — Dante , Paradiso , X-XIII.
CAPITOLO II. .,3
tauto diversi, ed ebbe ancora ricorso alle lezioni de' suoi
predecessori; la copia degli scritti di Aristotile, il Timeo
di Platone, il Maestro delle sentenze furono l'oggetto di
coscienziosi commenti. Allora concepì un'opera degna di
se; una vasta sintesi delle scienze morali, dove ogni cosa
fosse detta intorno a Dio, all'uomo, ed ai loro rappor
ti; una filosofia veramente cattolica, Snmma totius theo-
logiae. Questo monumento, pieno d'armonia in onta alla
apparente asprezza delle sue forme , colossale nelle sue
dimensioni, magnifico nella sua base, restò incompleto,
somigliante perciò alle grandi creazioni politiche, lettera'
rie, architettoniche del medio evo; cose tutte che il de
stino soltanto accennò, né permise che avessero compi*
mento . . .
.... Ostendent Fata , nec ultra
Esse sinent
Un lungo grido di ammirazione tenne dietro all'Angelo
della scuola (Doclor angelicus) richiamato in cielo.
Alberto Magno, Roggero Bacone, san Bonaventura e
san Tomaso d'Aquino, formano congiunti una completa
rappresentanza di tutte le potenze intellettuali; sono i quat
tro dottori che sostengono nel medio evo la cattedra della
filosofia, colla missione di rinnovare le scienze, senza che
queste potessero da loro ricevere un assoluto compimento.
Non andarono però liberi dall' ignoranza e dagli errori
del tempo, perciocché la Providenza permette gli er
rori del genio, onde gli uomini non abbiano a credere
che dopo esso non più cosa alcuna a farsi rimanga; chi
anzi la maestà bene.spesso, la bellezza delle loro conce
zioni scompare oscurata dal velo delle loro espressioni.
Ma di tali mende erano largo compenso altri meriti. La
prima cosa, questi filosofi cristiani non presentavano in
sé quel divorzio, divenuto poi s"i frequente, tra l'intelligenza
e la volontà; e la loro vita fu sempre una laboriosa appli
cazione delle loro dottrine. Fecero pienamente reale quella
pratica sapienza che gli antichi tanto avevano vagheg
44 PARTE I.
giata ; l'astinenza dei Pitagorici, la fermezza degli stoi
ci, l'umiltà, la carità che essi non avevano conosciuto.
Alberto Magno e san Tomaso, dai castelli di nobili an
tenati avevano riparato ne' chiostri di S. Domenico: il pri
mo abdicò, l'altro non volle gli onori della Chiesa. Rog
gero Bacone e san Bonaventura si cinsero le reni del cor
done di S. Francesco, e la storia dice a quale oscuro mini
stero applicasse l'uno di essi, quando venne cercato perché
vestisse la porpora romana. Oltre a ciò non si avvilupparo
no dunque ne' superbi misteri di un insegnamento esoteri
co , ma schiudevano le porte delle loro scuole ai figli dei
pastori e degli artigiani, e del pari che Cristo, loro mae
stro, dicevano : «Venite tutti ». Diviso il pane della paro
la, distribuivano quello dell'elemosina. I poveri li cono
scevano, e benedicevano al loro nome ; ed oggi ancora,
dopo seicento anni, a Parigi si prostrano davanti gli al
tari del Dottore angelico; e gli operai di Lione portano
a gara una volta l'anno solennemente le reliquie del
Dottore serafico.
IV. La scolastica però aveva tocco alcune accuse. In
tempi si procellosi chi non poteva maneggiare la lancia
e imbrandire la spada, disfogava il suo ardore nelle con
tese della parola ; dati di continue vivamente alle con
troversie, perfino vecchi presso alla tomba, si agitavano
negli angoli delle città discutendo ciascuna sillaba e let
tera di un discorso o di uno scritto (i). Distendevano
le loro argomentazioni a guisa di reti, appostavano i
sillogismi quasi fossero lacci in cui si dovesse cadere ,
moltiplicavano le combinazioni delle parole come la na
tura fa delle cosu; e, mercè in unnerevoli distinzioni,
provavano e negavano a quando a quando la veri
tà, la falsità, e l'incertezza della medesima sentenza (a).
(1) Salisbury, Metalogicus , lib. I, cap. vi1.
(2) Gautiero di san Vittore , apud Brucker. — Ugo di san Vit
tore, Eruditionis didasealicae, lib. III, 19. — Riccardo di san Vit
tore, de gralid contemplationis, lib. II, 2.
CAPITOLO II. 45
Ma come quella moltitudine riottosa, di cui parla il
poeta, sta muta davanti un personaggio illustre pe' suoi
bent.fiij e per le sue virtù, e solo intende alle parole di
pace chc le sono indiritte , così questa turba dispu
tante di giovani e vecchi scolari parve d' un tratto di
menticasse la propria foga e il proprio sdegno, al com
parire nel mezzo di essa de' grandi maestri del pensie
ro: perciocché presi da maraviglia si tacquero. Ma non
appena essi furino passati . che il disordine si rinnovò.
Sorse un'altra generazione, e in luogo degli uomini di
genio vennero gli uomini di talento.
Raimondo Lullo (i?4i~i3i5), Dnnstano Scott (iiy5-
i3o8) e Occam (morto nel 1 345) diedero cominciamento
all'era della decadenza. Dall'una parte Raimondo adu
lava alle pericolose tendenze dei dialettici di quel tempo,
offrendo loro nella sua artificiosa combinazione un giuoco
mecaoico , da cui dovevano presto e facilmente dedursi
tutte le conseguenze dei posti principj. D'altra parte que
sto dottore, nato sotto il cielo di Majorica, e presso ai
luoghi dominati dal Turco, tratto in lunghi viaggi sulle
coste dell'Africa ed a Levante, aveva partecipato del
l'ardore del misticismo arabo e alessandrino, che poi com-
municava alla moltitudine stipatagli intorno compresa
d'ammirazione per la sua vita sì ricca di variate avventu
re. — L'inglese Dunstano Scott, forse d'animo più riposato
non meno impaziente però di rimettere in problema le
dottrine de' suoi predecessori, negò la possibilità di avere
la certezza nelle cognizioni acquistate per la via de' sen
si. Il genere e la specie, secondo lui, erano realtà pri
mordiali, e popolò la scienza d'esseri ragionevoli conce-
pili ad arbitrio, e rinnovando le opinioni degli antichi rea
listi , ridusse a forinola il più ardito idealismo. — Oc-
ennj, che passò la vita nelle dispute religiose, politi
che, letterarie, a Oxford nella sua gioventù, a Parigi
sotto Filippo il Bello, in Alemagna presso Luigi il Ba-
varo, quasi cavaliero errante della controversia, per la
46 PARTE I.
causa de' nominali ritornò nella lizza. Dall' assioma che
senza necessità non si moltiplicano gli esseri, fu tratto a
negar non solo gli esseri ragionevoli come se fossero fan
tasimi, ma la stessa forza obiettiva dell'idea di sostan
za, e ad essere dubbio perfino nella distinzione tra lo spi
rito e la materia, portandosi così al confine del sensuali
smo. Da queste dubbiezze abbiamo chiaro segnale dello
scetticismo che presto deve risorgere, eccitato dall'estre
mo ardimento de' sistemi dogmatici , a cui non si può
dar fede, o risposta (t).
Così dalla loro caduta emergevano le scuole esclusi
ve, che riempirono il secolo xiv della loro contrarietà.
La logica, savia ginnastica onde lo spirito europeo pren
deva la sua vigoria, degenerava in una gara di sofismi,
in un giuoco puerile e pericoloso; le questioni divise al
l'infinito si elevarono come la polvere sotto i passi de'
lottatori (i). La metafisica perdevasi in una sterile on
tologia, dove le Formalità, le Ecceilà , ed altre biz
zarre creazioni dell' umano intelleito , presero il posto
delle creature viventi di Dio (3). Nè più si venne ad in
terrogare l' esperienza troppo lenta nel dar le risposte ,
e poco ligia alle opinioni agitate; nelle lezioni dell'an
tichità si ricorse ad oracoli più facili ad essere cor
rotti, che si dichiararono infallibili. Allora nel mezzo
di un'assemblea quasi unanime di dottori cristiani fu ce
lebrata l'apoteosi di Aristotile. Ma la divinità pagana
non stette sempre contenta agli incensi; essa volle de'
sacrifizj, la immolazione cioè di qualunque dottrina in
dipendente (4). In queste orgie ebbe fine la scolastica,
clie può avere un riscontro nel Re d'Israele, la cui sa
pienza in gioventù aveva colmo il mondo di moravi-
(1) Bnicker, Degerando, Cousin, loc. citat.
(2) Bacone, De diluitale et augmentii scientiarurn.
(3) L. Vives apud Brucker.
(1) Petrarca, citato da Tiraboschi, t. V.
CAPITOLO II. 47
glia, e che in templi sacri ad idoli stranieri trasse la
vecchiaja disonorata.
V. Verso la metà del periodo da noi descritto, all'av
vicinarsi del i3oo, tra l'apogeo ed il principio della de
cadenza, in uno di quelli istanti in che la stessa prospe
rità diventa melanconica , perciocché è presso al suo
fine, a quest'ora del canto del cigno dovette avere la
filosofia del medio evo il suo poeta. Mentre la prosa ,
e specialmente quella di una lingua morta, propria della
scuola, messa alla prova del tempo presto corrompesi, né
lascia più travedere, che sfigurata, l'idea che vi stava rac
chiusa, la poesia è come un corpo glorioso sotto cui incor
ruttibile, e facile ad essere riconosciuto, s'accoglie il pen
siero. E una forma che penetra facilmente le masse, che au-
che ne' punti più lontani si manifesta. Di due doni sono fatti
dispensatori i poeti: della vita immortale e della popo
larità. La filosofia greca jn Platone ebbe il suo Ome
ro: la scolastica, meno avventurosa sotto altri rappor
ti, minacciata di più rapida caduta, sentiva ancora di
più il bisogno di eguale conforto. Il futuro poeta aveva
dunque il suo posto segnato nel tempo; vediamo quali
cause glielo seguarono nello spazio ; e giacché il secolo
ne è conosciuto, mettiamo in luce la condizione intellet
tuale del suo paese.
CAPITOLO III
CARATTERI PARTICOLARI DELLA FILOSOFIA ITALIANA
I. Da Ire cose inseparabili , il vero , il bene ed il bello
è agitato l'animo umano pel sentimento dell' attuale di
fetto di esse , e per la speranza ad un tempo di po
terle raggiungere. I savj de' primi tempi volsero da prin
cipio la mente al desiderio del bene, e nella sua origine la
filosofia, come lo attesta il suo nome (yiW<ro«pta),fu l'opera
dell'amore (i). Ma non potendo essere il bene senza che
prima come vero non sia conosciuto, la pratica nella sua
incertezza cercò l'ajuto della speculazione: e bisognò fare
lo studio degli esseri per determinare le leggi del loro
accordo. Né potevamo al vero accostarci senza che il suo
splendore, che appunto si è il bello, vivamente non ci
colpisse ; perciocché l'accordo degli esseri riflettendosi
nelle concezioni de' dotti, doveva riprodursi perfino ne'
loro discorsi. Fu pertanto la filosofia dei primi tempi
morale nella direzione , e poetica nella forma.
Tale apparve nel seno della scuola pitagorica per la prima
volta in Italia. Allora le città a quella domandarono leggi, e
più tardi i metafisici d'Elea ed Empedocle d'Agrigento can
tarono i misteri della natura nella lingua de' Numi. — Ro
ma sorse dopo, e, secondo il suo nome (P<»pj), Roma fu la
forza : e questa forza messa in azione, divenne l'impero del
mondo. Il popolo romano doveva dunque essere soprat
tutto dotato del genio dell' azione ; né tuttavolta difettò
del sentimento dell'arte, chè armoniose parole volevansi
per la sua tribuna, e cauti pe' suoi trionfi. La filosofia,
accolta nelle mura di quella città, si presentò straniera
sotto gli auspici di Scipione e di Ennio , presta a ser-
(i) Il vocabolo latino studium ebbe pure due significati , l'ano
intellettuale, l'altro morale.
PARTE I. CAPITOLO III. 49
vire ed a piacere (i); nò mai lasciò di prevalersi del
predominio sì degli nomini di stato, sì de' poeti. Visi
tava Cicerone nel suo ritiro, faceasi compagna a Seneca
nell'esilio, moriva con Trasea, dettava a Tacito, e ave
va regno con Marco Aurelio, sedeva nella scuola de' giu
reconsulti che ristringevano tutta la scienza delle cose
rliviue ed umane olla determinazione del bene e del ma
le (a). Aveva invitato alle sue lezioni Lucrezio, Virgilio, O-
razio, Ovidio e Lucano (3). I sistemi di Zenone e di Epi
curo, facili a risolversi in moralità, le tradizioni di Pita-
gora improntale di una ineffabile bellezza, ottennero ve
ramente sole il diritto di cittadinanza romana. — Il Cri
stianesimo venue poi a fecondar di nuovo il terreno
d'Italia, che per tante illustri produzioni pareva sfrut
tato. Dopo Pantenio, l'ape della Sicilia, primo fondatore
delle scuole cristiane di Alessandria , dopo Lattanzio e
sant'Ambrogio, il genio vigoroso ed artistico degli antichi
romani rivisse nel sesto e nel settimo secolo in Boezio e
in san Gregorio, due tra' più nobili loro discendenti. L'u
no, martire del coraggio civile, seppe dare alla filosofia il
linguaggio di una armoniosa consolazione ; l'altro, pon
tefice instancabile, lasciò i suoi libri ammirabili sulle di
vine Scritture, e il sistema di canto che porta il suo no
me, monumenti nella storia dello spirilo umano. — Ne
gli ultimi tempi, non cessò di risplendere il sole d'Ita
lia sopra generazioni di filosofi moralisti, giureconsulti,
publicisti, e di poeti che si stimavano onorati col mostrarsi
filosofi. Così avemmo Marsilio Ficino, che nel suo entu
siasmo lieo pia tonico confonde la scienza, l'arte e la vir
tù; Machiavelli, nome che per sé solo vale qualun
que elogio; Vico e Gravina, che tracciano le leggi fon-
(1) Polibio, Exempl. virt. et vit. cap. LXXIII.— Pers. sat.Xl, io.
(a) L. I. Digest. De Jusiiiid et Jure: « Veram philosophiam ,
Don rimulalam, adfertantes ».
(3) Virg. JEiuid. I et VI. — Horat. lib. I, ep. 4; II, ep. a.
— Ovid. Metam. lib. XV. — Lucani , fharsal. lib. I et II.
Ozakam. Dante. S
I
Si PARTE !.
damentali della società, quegli con simboli, questi colla
penna istessa che più tardi scriverà gli statuti dell' a-
cademia degli Arcadi; e fra i poeti, Petrarca, che di
scende incoronato dal Campidoglio per meditare nel
suo ritiro « i rimedj dell' una e dell' altra fortuna » ;
Tasso, che riposa in maravigliosi dialoghi dalle battaglie
della Gerusalemme liberata; e, se è permesso di citare
glorie più recenti ma non meno dilette, Manzoni e Pel
lico (a).
Possiamo pertanto ravvisare tra i filosofi d'oltremonti
un doppio carattere, antico, permanente, e, per cosi dire,
nazionale; perciocché la continuità delle abitudini, che
forma la personalità negli individui , stabilisce del pari
tra i popoli la nazionalità. Possiamo dire che v'ha una
filosofia italiana, che seppe mantenere nella sua primitiva
alleanza la tendenza morale e la forma poetica ; o che
in questa terra benedetta dal Cielo, con una natura tanto
attiva e tanto soave, anche l'uomo porti negli atti suoi
maggiore vivacità e più seconda fortuna ; o che per
consiglio di lassù debba essere l'Italia la sede principale
del Cattolicismo, dove abbia ricetto una filosofia pratica
e poetica per eccellenza , le idee cioè riunite e fatte reali
del vero, del bene e del bello.
II. Nel medio evo la filosofia italiana non era meno
fiorente, o meno fedele al suo duplice card Mere. Pas
sati i secoli della barbarie, il B. Lanfranco e sant'An
selmo, usciti di Pavia e d'Aosta per occupare l'uno in
seguito all'altro il seggio di primate di Cantoibery, inau
gurarono nel settentrione d'Europa gli studj rigenerali.
Pietro Lombardo per universale ammirazione fu portato
dalla sua cattedra di professore, al vescovado di Parigi.
Mentre Giovanni Italo nella scuola di Costantinopoli ren
deva chiaro il suo nome, Gherardo di Cremona inter-
(<0 Avverti il lettore che chi scrisse è francese. — Il Trad.
CAPITOLO III. Sl
rogava a Toledo la scienza degli Arabi , ed arricchiva
gli Spagnnoli delle spoglie scientifiche de' loro nemici.
Bologna era stata la sede di un insegnamento filoso
fico, che non mancò di splendore, innanzi che udisse
le lezioni di giurisprudenza , onde venne si celebrata.
La logica e la fisica non cessarono punto di essere nel
secolo xiii assiduamente professate. Né Padova aveva ca
gione di invidiare all'emula sua (i). In Milano ascen
deva quasi a duecento il numero dei maestri di gram
matica , logica , medicina e filosofia (a). La fama in
fine de' pensatori della Penisola era si grande in tutte
le provincie del continente, che diede origine alle molte
nuove dottrine apparse; e di fatto Amami di Villeneuve,
per citare un esempio, avevaM per adepto di una setta
pitagorica diffusa nelle principali città della Puglia e
della Toscana (3). — Ma il vigore esuberante della filo
sofia italiana si appalesa principalmente nella memora
bile lotta che s'impegnò, e che, pari a quella tra il sa
cerdozio e l' impero, durò più di due secoli, tra i siste
mi ortodossi ed i contrarj. Nelle dottrine de' Fraticelli,
di Guglielmina da Milano, de' Fratelli Spirituali, dove
l'assoluta communanza dei corpi e dei beni, la eman
cipazione religiosa delle donne, la predicazione d'un
eterno evangelo , ritra1 rebbero gli sforzi recenti del
sansimonismo , forse avremmo argomento di impor
tanti ricerche. Ma limitandoci ai fatti puramente filo
sofici , ne troviamo altri , che più ci comprendono di
maraviglia. Dall'anno iii5 gli epicurei erano a Firenze
in numero sufficiente perché vi formassero una fazione
formidabile, e provocassero sanguinose contese (4): da poi
vi appariva il materialismo come publica dottrina de' Ghi-
(i) Tiraboschi, t. IV, lib. II, cap. 2.
(a) Fiamma, cronicista milanese, citato da Tiraboschi, ibid.
(3) Vincenzo Bellovacense e Colomesio, citati da Brucker, Hi$t.
critic. , t. III, lib. II , cap. 3.
(4) Giovanni Villani, Storia , lib. IV.
5», PARTE I.
bellini. I nipoti di Avcrroe furono accolti alla corle ita
liana degli Holu.nstaufen , nel tempo istcsso che fondavasi
a Nocera una colonia saracena che incuteva a Roma gran
de spavento (i). Federico 11 si circondava di tulti i difen
sori delle opinioni perverse, dando a vedere che costituiva
una scuola antagonista dell' insegnamento cattolico. La
quale scuola, caduta la dinastia onde era stata protetta ,
ridotta per qualche tempo al silenzio, riprese vigore al ca
lare dalle Alpi di un altro imperatore, Luigi il Bavaro, che
moveva a ricevere la corona dalle mani di un anti-papa.
Il Petrarca poco di poi perché citava ne' suoi discorsi
san Paolo e sant'Agostino, chiamava un sorriso sdegnoso
sulle labra de' dotti che gli faceano corona, adoratori
d'Aristotile e degli arabi commentatori (2). Siffatte irre
ligiose teorie si riducevano assai volentieri a dotte volut
tà ; onde vennero poscia i poeti a cantarle. — Tutta-
volta il vero non difettò di campioni ; e per esso si ele
varono due uomini, che noi abbiamo già accennato tra
i più chiari del loro tempo, san Tomaso d'Aquino e
san Bonaventura, che qui ne piace di ricordare come
due glorie d'Italia. Profondi moralisti, furono pure poe
ticamente inspirati, l'uno componendo gli inni, onde un
giorno doveva disperarsi Santeuil; l'altro scrivendo il can
tico tradotto da Corneille. Egidio Colonna combattè l'a
verroismo con quella stessa penna che scriveva le le
zioni pei re. Albertano da Brescia fece di publica ra
gione tre Trattati d'etica in lingua volgare (3). E altri
potremmo citare, Giacomo di Ravenna, Alessandro di
Alessandro, ec. , tutti chiari all'epoca loro, e che fecero
(1) Dcgerando, Hist. comparée , t. IV.
(n) L'autore dice « Alors Pétrarque ». — Fra Luigi il Bavaro
calato in Italia, e le dispule di Petrarca cogli Avcrroisti, v'ha
l' intervallo di circa 4° anni. — Nota del Trad.
(2) Petrarca, citato da Tiraboschi , t. V.
(3) Dell'amore e dilezione di Dio. Della consolazione del con
siglio. Ammaestramento di dire e di tacere.
CAPITOLO 111. . 53
esperienza delle fallaci promesse clie sono negli applausi
degli uomini.
Ma tra tutte le città poste alle falde dell'Appennino ,
la bella Firenze emerse altera di più avventurosa fecon
dità. Straziata dalle guerre intestine, quantunque di mezzo
ai dolori fosse feconda, portava tuttavia frutti immortali.
Per tacere di Lapo Fiorentino clie professò la filosofia a
Bologna, e di Sandro di Pipozzo, autore di un trattato di
economia che ebbe un successo popolare, aveva questa
città veduto nascere Brunetto Latini e Guido Cavalcan
ti (i). Il primo, notajo della Republica , aveva giovato
la scienza, senza venir meno ai suoi doveri di cittadino ;
aveva voltato in italiano la Morule di Aristotile: compilò,
col titolo di Tesoro j una enciclopedia delle cognizioni
del suo tempo , e porse nel suo Tesorello I' esempio di
una poesia didattica, bella dell'aggiustatezza del pensie
ro e della grazia dell'espressione. Guido Cavalcanti fu
salutato principe della lira ; un canto da esso composto
intorno all' amore , ottenne le lodi di molti commenti ,
a cui i teologi avuti in maggior conto non disdegnarono
metter mano; e se la ortodossia di lui non avesse avuti
lati riprovevoli, sarebbe stato ammirato come filosofo (2).
Due cittadini di tanto merito bastavano ad illustrare
una città già ricca di fama ; ma un terzo doveva ve
nire, che avrebbe coperto gli altri di oblio.
HI. Pertanto la filosofia del secolo xui aveva bisogno
di un poeta, che l'Italia dar le doveva, segnato della im
pronta nazionale, ricco delle facoltà contemplative non
meno che di quelle attive, dotato dell'istinto morale e
ad uu tempn del sentimento letterario in altissimo grado.
Un'anima volevasi, nella quale siffatte disposizioni unite
(1) Tiraboschi , t. IV.
(1) Boccaccio , citato da Sismondi, Hist. des riputi, hatiennet.,
t. IV, 199.
5»
5$ PARTE I. CAPITOLO III.
con bell'armonia dalla natura, avessero il loro svolgi
mento nelle prove di una vita predestinata dalla pre
videnza, e che, facile alle impressioni esterne, conser
vasse pure l'energia necessaria per raccogliere le sue
impressioni , e a sua volta produrle.
CAPITOLO IV.
VITA, STUDJ, GEMO DI DANTE. DISEGNO GENERALE DELLA Dir 114
COMEOIA. COME L'ELEMENTO FILOSOFICO VI SI TROVI.
I. [Nell'anno 1265, sotto sinistri auspicj e nella casa
di un esule, veniva alla luce un fanciullo, che fu Dair-
te. Avvenimenti memorabili circondarono la sua culla: al
l'orecchio di lui da principio suonarono soltanto discorsi
eccitati dalla Crociata di Tunisi, dalla fine del grande
interregno colla elezione di Rodolfo di Habsburg, dal se
condo concilio di Lione, dai Vespri Siciliani, e dalla
morte di Ugolino. Egli aveva veduto la sua patria di
visa tra i Guelfi ed i Ghibellini * quelli, rappresentanti
della indipendenza italiana e delle libertà de' communi;
questi, difensori dei diritti frudali e della antica sovra
nità del Santo Impero. Per le tradizioni della sua (umi
lia e per le proprie teudeuze attaccato alla causa de'
Guelfi (1), prese la toga virile combattendo nelle loro
Gia a Campaldino , dove essi ebbero vittoria (1289).
Poi fu presente alle discussioni della parte vincente,
quando, sotto il procelloso tribunato di Giano della Bel
la (i292), vennero modificate le costituzioni di quel com-
nuine, ai nobili tolte le magistrature, e gli interessi della
republica ritornati nelle inani de' plebei (2). Incari
cato più tardi di molte legazioni , di ritorno in patria lo
aspettavano i supremi onori e gli estremi pericoli. As
sumendo l'uffici j di Priore (t3oo) si avvenne nei nobili
e ne' plebei, che rinnovavano la lotta sotto i nomi di Neri
e di Bianchi: e si fece nemico de' primi per seguire l'al
tra parte. Intanto che egli portavasi a Roma perché ve.
(1) Memorie per la vita di Dante. — Lionardo Aretino, Vita
ài Dante.
(a) Giovanni Villani, lib. VII, ann. 1292. — Dino Compagni,
in Muratori.
S6 PARTE L
nisse meno la influenza dei Neri, Carlo di Valois, fratello
di Filippo il Bello, fu da questi chiamato a Firenze: nè in
quell'occasione parve troppo ricorrere ad un principe di
casa reale, perchè lottasse contro l'autorità di un grande
cittadino (a). Quel principe vinse, ma con una sentenza di
proscrizione contro i capi de' Bianchi, coprì di disonore
sè stesso ed il nome francese. All'ombra de' nostri gigli
due solenni iniquità nello spazio di alcuni mesi si aggra
varono sull' Italia , 1' esilio di Dante e il rapimento di
Bonifacio Vili (i). Dante maledisse a' suoi giudici, non
alla patria; ramingo di città in città, nella casa de'
marchesi di Lunigiana, degli Scaligeri di Verona, dei si
gnori da Polenta, ne conservò la memoria, sempre tri
sto e sempre trovando amaro il pane dell'ospitalità. Ora
colla forza , ed ora colla preghiera , con tutti i mezzi ,
onde però non potesse mai avvilirsi (i) , tentò di rien
trare in quelle mura dilette, ovile de' suoi primi anni (3).
Caduti i suoi tentativi, disperato di ajuto , parve che
passasse nel campo de' Ghibellini, o perchè avesse avvi
sato di trovarvi la causa della libertà, per la quale aveva
contro di essi preso le armi ; o perchè l' intervento
francese, sollecitato dalla imprudenza de' Guelfi, minac-
(a) Qui l'Autore esagera l'autorità di Dante. Non era il capo
della parte bianca , ma uno de' più moderati. — Nota del Trad.
(i) Giovanni Villani e Dino Compagni, //. ce.
(a) Memorie. — Fauriel publicò nella splendida biograGa di
Dante (con cui abbellì la Reme des dtux monde») la lettera mira
bile colla quale il poeta rifiutasi di entrare in patria a condizioni
umilianti.
(3) Paradiso, XXV (*), ter. 2:
Det bello ovile, ov'io dormii agnello.
(*) V'ha biografi e commentatori di Dante rui parve nelle tre prime ter*
zine[[di questo canto sentire il tuono della minaccia e la sicurezza che aveva
V autore, quando egli scrisse, di rientrare per viva forza c a dispetto del
Governo io Firenze J la qual conghietlura è affatto gratuita , avvegnaché al-
loraquaudo scriveva Dante que' versi più non aveva la menoma probabilità di
rientrare in Firenze in onta alla parte che allora la governava. — // Trad.
CAPITOLO IV. 5,
nasse l'Ilulia di nuovo pericolo. Sebbene questi due nomi
ili fazioni avversarie più volte nel mezzo delle lotte inte
stine avessero mutato consiglio, restavano come due pa
role di sinistro augurio scritte sopra stendardi, sotto cui
non si raccoglievano più che interessi, passioni e delitti.
Ma Dante non cessò di riprovare istessamcnle gli eccessi
delle due parti (i), e di cercare in più alta regione le
dottrine sociali, a cui vivamente applicava. Perciocché egli
sempre senti quel bisogno d'intervenire nelle cose del suo
tempo, onde crasi avvolto in tauto strane venture: aveva
appena soddisfatto in Venezia ad una missione diplo
matica, quando la morte lo colse a Ravenna (i32t). An
che gli ultimi giorni della sua vita furono pieni del ro.
moroso agitarsi degli uomini e delle cose: le rivoluzioni
che mutarono in signorie la maggior parte delle repu-
bliche italiane; i popolari trionfi della Fiandra e della
Svizzera; le guerre d'Alemagna, di Francia e d'I nghih erra:
la maestà pontificia offesa in Attagtii, la condanna de' Tem-
plarj, il trasferimento della Santa Sede ad Avignone. —
Spettacoli di tanta forza, che avrebbero di fermo lasciata
profonda impressione nella memoria di Dante quando ne
fosse stato soltanto testimonio , dovevano , essendone
egli parte, commuovere potentemente la sua coscienza;
perciocché il senso morale, che ridestasi innanzi la giustizia
e la iniquità, attaccandosi a quella si esalta, nel punto
che dall' altra sentesi oppressa. Dante aveva appreso il
male co' suoi patimenti, a quella scuola dove unicamente
lo possono imparare gli uomini virtuosi; aveva appreso
il bene nella compiacenza che si sente nel farlo , e lo
( i ) Paradiso, VI , ter. 34 , 35.
1/iino al publiro segno i gigli gialli
Oppone, e l'altro appropria quello a parte ,
Si <b'!' forte a veder qua! più si falli.
Farrian li Ghihellin', facciau lor arte
SotPaltro segno; che iu.il segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte*.
_ a
r
:,( PARTE I.
aveva voluto di una maniera ardentissima, e perciò coni-
municativa. Quindi gli era stalo necessario l'adoperarsi
per beneficare la società , condotto da quelle tendenze
a generalizzare, che formano l'uomo di stato. E più
tardi la memoria delle sue generose intenzioni gli era
quasi un compagno d'esilio, usando col quale trovava
la discolpa della sua condotta politica, e la scusa insieme
e il conforto delle sue sciagure (i).
II. Ma nascere e morire nell'esilio, sobbarcarsi ad alte
cariche, ed essere oppresso da sciagure indicibili . fu
destino di molti; perciò Dante »i confonderebbe con altri
se, nel mezzo de' tumulti della vita publica, condizioni
diverse non gli avessero fatta una vita intima , di cui
bisogna penetrare i misteri. E nel fatto, secondo le leggi
onde il mondo spirituale si regge, per elevare un'anima
fa bisogno dell'attrazione di un'altra; la quale attrazione
sta nell' amore , che pure nella lingua della filosofia si
dice amicizia, e in quella del Cristianesimo carità. Dante
provò alcun che di somigliante. A note anni, in quella
età innocente che non dà luogo a sospettare cose im
pure, egli s'avvenne, ad una festa domestica, in una fan
ciulla piena di decoro e di grazia (3), che in lui risvegliò
un'affezione senza nome in terra, cui anche nel bollore i-
stesso dell'adolescenza più tenera e più casN mantenne. Non
erano se non sogni ne' quali Beatrice si mostrava raggian
te; un desiderio inesprimibile di trovarsi sul luogo per dove
passava; in un saluto di lei, in un lieve chinar di testa aveva
posto la sua felicità; con timori e speranze, con tristezza
e gaudii eccitava ed appurava Dante la sua sensibilità
fino ad una estrema delicatezza, liberandosi a gradi dalle
abitudini e dalle cure volgari. Ma quando Beatrice si
tolse di quaggiù in tutto lo splendore della giovinezza e
(1) Inferno, XXVIII, 39.
(a) Boccarcio , Vita di Dante. — Dante , Vita nuora.
CAPITOLO IV. 59
della verginità (n). allora princip ìlmente ei la seguì col
pensiero in quel mondo invisibile di cui ella erasi fatta
abitatrice, e andò lieto di ornarla di tutti i fiori dell'im
mortalità; la circondò degli inni degli angeli, e la col
locò sul più alto gradino del trono di Dio. Contemplan
dola in tale gloriosa trasfigurazione ne dimenticava la
morte (i). Così questa bellezza, che gli si era mostrata
sotto forme reali , facevasi un tipo ideale onde veniva
per modo compresa la sua imaginazione , che questa
aveva bisogno di uno sfogo al di fuori. Perciò egli seppe
esprimere checché passava in se, significare i canti intimi
dell'amore, e Dante fu poeta (2). E quando una volta
sentissi inspirato, nelle favorevoli condizioni in che si tro
vava, gli era difficile contenersi; egli contemporaneo di
Guido Cavalcanti, di Giacopo da Todi, di Dante da
Majano, di Cino da Pistoja, le cui poetiche note si pro
vocavano e si rispondevano come un concerto infinito;
egli amico del cantore Casella, dell'architetto Arnolfo,
del pittore Giotto; egli in un tempo che Firenze erigeva
tre monumenti, onde è detta la bella, il Palazzo vec
chio , Santa Croce, la Cattedrale; egli nel mezzo di
un'atmosfera incantata, d'ogui arte feconda.
111. Ma Dante doveva offrirsi all'ammirazione de' po
steri anche sott'altro aspetto. Brunetto Latini, che lo a
(0) Dicasi piuttosto castità, prrchc Beatrice morì il 9 giugno
1 290 a rcntisci anni di età , accasata da qualche tempo con un
personaggio della nobile famiglia de' Bardi. — Il Trad.
(1) Vita nuova:
Ita n' è Beatrice all'alio rido,
Nel reame ove gli angeli hanno pace ;
E sia eoD loro ....
Ed èssi , gloriosa , in loco degno, ec.
(a) Purgatorio, XXI V, ter. 18.
lo mi son un che , quando
Amore spira, noto , ed a quel modo
Cile delta dentro, «o significando.
/
f,o PAH TE I.
veva veduto nascere e ne nveva fatto l'oroscopo, volen
do render veraci i presagi, gli si fece maestro e gli tenne
luogo di un padre immaturamente perduto ; gli apprese
i primi elementi delle diverse scienze da cssolui accolte
nel suo Tesoro (1). Dante, mercè le sue cure, fu da
principio iniziato alla cognizione delle lingue. Non ignorò
affatto il greco , e se in questo studio tanto non pro
gredì da leggere facilmente i testi originali, non difettò
di versioni (.>.). Aveva molta pratica della letteratura la
tina , e annoverava tra gli scrittori di cui nella solitu
dine sua faceva quotidiana lettura, Virgilio, del quale
conosceva tutta l'Eneide, Ovidio, Lucano, Stazio, Plinio,
Frontino e Paolo Oroso (3): applicava ai diversi idiomi
romanzi: citava di buon grado versi spagnuoli, e ne scri
veva in provenzale (4> : ebbe senza dubbio conoscenza
del francese, « doni la parleure passoit déjà pour plus
délittafcle à ouì'r et plus commune a toutes gens (5) ».
Ma soprattutto con infaticabile perseveranza aveva vòlto
le sue cure ai dialetti d'Italia, e la forma stabile da lui
data alla lingua scritta non fu tra le sue l'opera meno
gloriosa (6). La retorica e la storia, la fisica e l'astro-
(i) Inferno, XV. ter. 19, 28, 4°:
Se tu segui tua stoll1,
Non puoi fallire a glorioso porto,
Se ben m' accorsi nella vita bella.
or mi accuora
La cara e buona imagine paterna
» Di voi
S1eti raccomandato 'I mio Tesoro.
(2) Egli cita etimologie greche abbastanza buone nella sua de
dica del Paradiso a Can Grande, e nel Convito, lib. IV, cap. t1.
Vedi pure il sonetto:
Ponti, 'sera e mattin , contento al desco, ec.
(3) Dante, de fulgori Eloquenlid, lib II, e. v1.
(4) Ibid. passim. La Canzone 11 del II libro della sua raccolta
è iu provenzale, in latino e in italiano.
(5) Prèface du Trèsor de Brunetto Latini
(6) E 1' oggetto speciale del suo trattato de fulgori Eloquenti^.
CAPITOLO IV. 61
nomia, a cui tenne dietro fino alle scoperte più inoltrate de
gli osservatori arabi, erano a gara l'oggetto de' gravi suoi
studi. Costretto a scegliere tra le arti diverse onde erano di
stinti i cittadini di Firenze, erasi messo nel corpo dei medici.
Ne usurpava tale qualità: ed avrebbe anche nella varietà
delle sue cognizioni potuto prendere meritamente il titolo
di giureconsulto (1). Cosi trascorse la gioventù tra que
ste feconde preparazioni ; la morte di Beatrice lo trasse
a cercar pensieri consolanti negli scritti di Cicerone e
di Boezio : ne' quali trovò i primi vestigi di una scienza
ove non aveva ancor posto i piedi, e che lo aveva, in
certo modo, aspettato al termine degli studj preliminari,
voglio dire, della filosofia. Allora le tenne dietro nelle pu
biche discussioni di coloro che avevano nome di filosofi
e nelle scuote de' religiosi; nelle letture, su cui tanto
pertinacemente insisteva da soffrirne negli occhi ; nelle
meditazioni alla fin fine donde ninno esterno tumulto po
teva distrarlo (2). Le due versioni d'Aristotile, alcuni dia
loghi di Platone , sani' Agostino e s. Gregorio Magno ,
Avicenna e il libro eie Causis , san Bernardo, Riccardo
di San-Vittore, san Tomaso d'Aquino, Egidio Colonna;
ecco le guide colle quali vivamente esercitava l'infatica
bile suo pensiero. Entrando nondimeno nella metafisica
lungo tempo il trattenne il mistero della creazione, per cui
volse fervoroso gli studj alla morale (3). Al termine di due
anni e mezzo la filosofia lo padroneggiava esclusivamente,
ed erasi fatta, per usare il suo linguaggio, la dorma de' suoi
pensieri. Fu allora che troppo angusta gli parve la sfera
intellettuale di Firenze; alle università d'Italia e d'oltre-
monti cercò quel commercio della parola vivente , quel
benefizio dell' istruzione orale che, meglio che la lettera
(1) Memorie per la Vita di Dante. — Purgat. XXV. — Vedi la
dissertazione del Varchi su questo passo; e l'intero libro de
Monarchia.
(2) Dante, Convita, lib. II, càp. i3; III, 9.
(3) Convito, IV, 1.
OZAMAM. Dante. C
6l PARTE I.
morta degli scritti più celebrati , può fecondare gli 1b-
gegni. Per l'istessa ragione i savj della Grecia trae
vano alle scuole dilla Fenicia e del1' Egitto. Tutta-
volta non possiamo fissare con sicurezza gli anni ed i
confini dei viaggi di Dante. Molte città della penisola,
Padova, Cremona, Bologna e Napoli furono gelose del
l'onore di annoverarlo tra i proprj alunni ; e le più il
lustri provincie della cristianità, l'Alemagna e la Francia,
la Fiandra e P Inghilterra vollero dirsi visitate da quel
personaggio. Noi avvisiamo che negli scritti di lui si ab
biano tracce di un itinerario, per cui veduti Arles, Pa
rigi , Bruges e Londra , egli siasi fermato ad Oxford (i).
Ma non può nascere dubbio della sua dimora in Pa
rigi. Nella contrada di Fouarre, là sullo strame dove
sedeva la turba degli studenti, egli, alunno immortale,
intervenne alle lezioni del professore Sigieri , cui salvò
dall' oblio (3). Dopo lunghe veglie , quando pensò di
aspirare meritamente agli onori della scuola , venne di
fermo a sostenere colle usate solennità una disputa teo
logica de quolibel, rispondendo senza interruzione a quat
tordici domande intorno a materie diverse e proposte
cogli argomenti pr0 e contro da esperti dottori. Ei lesse
e commentò in publico il Maestro delle sentenze e la
sacra Scrittura, e si assoggettò a tutte le prove volute
dalla facoltà teologica. Ammesso al grado supremo , gli
mancò il denaro necessario per esservi accolto t3j. In
nanzi a' suoi passi si chiusero le porte della Università
come quelle della patria , e per esso anche la scienza
(1) Inferno, IX, 38; XII, 4o; XV, 2. — Paradiso, X, 46, oc.
(2) Paradiso, X , 46 '.
.... Sigieri
Che , leggendo nel vico degli Strami ,
Sillogizzò invidiosi veri.
(3) Boccaccio, Vita di Dante. — Giovanni di Serravallc, vescovi!
d'Imola, nel suo Commentario citato dal Tiraboschi, t. V.
CAPITOLO IV. 61
ebbe rigori : ma se lasciò Parigi senza riportarne il titolo
meritato, gli restò almeno una incontestabile erudizione
e 1* amore agli studj serii; e se, come ci è permesso di
credere, non fu indifferente allo splendore de' trionfi
academici (a) , ottenne più tardi il compimento de' suoi
voti. Dopo 20 anni di proscrizione (i3ao), canuto per l'età,
grande di maestà e per la fama e per le sciagure, sostiene
nella chiesa di sani' Elena a V erona, alla presenza di uu
uditorio compreso di ammirazione, una tesi de duobus eie-
mentis aquae el terrae. Uu anno di poi, celebrandosi iu
Ravenna i suoi funerali, Guido Novello, signore di Po
lenta, che ultimo prese a proteggerlo, collocò una co
rona d'alloro sulla sua tomba (i). — Dante aveva dunque
vissuto, per cosi dire, una terza vita devota alle fatiche
scientifiche, che ebbe pure le sue fasi ineguali, i giorni
tristi e sereni. Le passioni politiche e gli affetti del cuore
non avevano preso interamente possesso di lui : gli ri
maneva un ampio posto inaccessibile al tumulto delle
opinioni, alle attrattive dei sensi, dove il suo intelletto
(a) Correva allora un' usanza in Italia così per le republiche
come per le signorie assolute, di decretare agli uomini distinti
nella eloquenza e nella poesia gli onori del trionfo poetico e la
corona d' alloro. I quali onori e corona erano stati offerti a
Dante in più d'una città e da più di una Potenza. Guido No
vello glieli offerse, cosi almen si assicura, a Ravenna; e vuoisi
por mente che in tali profferte v' era per lui qualcosa di parti
colare e di nuovo che le rendea più notabili. Non avevasi infin
d'allora decretata la corona d' alloro se non a poeti eruditi che
avessero scritto in latino, continuatori supposti de' poeti della
classica antichità; e il primo che per un poema volgare si volesse
incoronare era Dante. Laonde il suo trionfo era quello dell'ita
liana favella e letteratura , per cui cominciavano e un'era novella
e novelli destini. — II Trad.
(i) Memorie per la Vita di Dante (*).
(*J Egli osservò così la promessa all' estioto che fatta gli aveva da vivo;
ma furono i funerali di Daute il tetro e freddo simulacro di un trionfo poe
tico, il Boccaccio siccome quegli che solo ha potuto saperne, e dir qual cosal
li descrisse. // Tratt.
64 PARTE I.
riparava come in un santuario, prestando alla verità un
culto esclusivo, il quale non limitavasi dentro un solo
ordine di cognizioni , ma comprendeva la verità assoluta
e completa. L'universalità e l'altezza del sapere non sono
forse i dae elementi costitutivi dello spirito filosofico ?
IV. Così Dante, mercè di una triplice esistenza , andò
fornito delle tre facoltà che, congiunte in una certa pro
porzione, creano il genio; cioè dell'intelligenza per conce
pire, dell'imaginazione per lo ideale, della volontà per
attuarlo. Sarebbe ora a dirsi per forza di quali vincoli
misteriosi vennero quelle facoltà per modo ad unirsi , da
comporre una perfetta unità: come un triplice destino
gravasse sopra di una testa sola la quale potè sotto di
esso piegarsi, non esserne però schiacciata. Mentre una
educazione volgare curando le nostre facoltà separata
mente, e in modo benespesso esclusivo, le disgiunge e
le indebolisce, Dante, genio indipendente e fiero, avea
lasciato che crescessero assieme, s'ajutassero a vicenda,
e talvolta una facesse le veci dell'altra fino a produrre
curiosi contrasti. Ora è l'uomo di Stato, che nella lin
gua de' dotti o delle muse parla ai principi che furono
sordi alla voce degli usati consiglieri (i). Ora è il poeta,
che non ha perduto nelle austere indagini della scienza
il sentimento delicato delle bellezze della natura, la fa
cilità delle generose emozioni, la semplicità della fede che
ne chiama sulle labra il sorriso ; va lieto di credere all'ec
cellenti virtù di Catone, agli scudi che Numa vide cadere
dal cielo ed alle oche del Campidoglio (2). Ma principal
mente è il filosofo , che porta una religiosa gravità al com
pimento del suo lavoro poetico; che, raccolto allo studio,
cerca la inspirazione; che asconde o una erudita reminiscen-
(1) De Monarchici. Purgatorio, VI. Paradiso, VI, ce.
' (a) Purgatorio, I. Convito, IV, 5, a8, « 0 sacratissimo petto di
Catons, chi presumerà dite parlare? » De monarchici, II.
CAPITOLO IV. 6S
za, o deduzione di un lungo ragionamento, sotto le imagini
più ardite, pronto a dar ragione di ciascun verso che dalla
penna gli cada; tanto scrupoloso da spiegare ex profes
so, con rigorosa analisi logica, i sonetti e le ballate in
che la sua giovine fantasia primamente si era provata (i).
— Dante era dotato di quella forza verace che non è
inflessibilità, che è docile perchè vivente, che sa acco
modarsi al dovere ed al bisogno , e ricondurre quindi
tutte cose alle sue costanti preoccupazioni. Egli non
aveva mai pensato essere il culto delle lettere un sacer
dozio sciolto dalle publiche cure, né mai per egoistici
dilettamenti si tolse dal servire alla patria. La sua elo
quenza che non era tuttavia facile ad espandersi , così
volentieri versava nei consigli de' cittadini, come le fati
che e il suo sangue erano sempre a pro della patria. Per
tale bramosia di far le veci di molti affine di procurare il
bene generale, il più delle volte affidato ad uomini incapaci,
un giorno, nel!' incertezza ci" accettare una missione diplo
matica, gli scoppiavano dal petto queste parole: S'io sto chi
va? e s'io vo chi sta? (2) Osservò Dante anche gli ufficj
della privata società; perciocché l'amicizia lo aveva fedele
a' suoi convegni; e la sua fronte melanconica schiaravasi
nella compagnia delle donne e de' giovani, tra cui avevano
lode la grazia delle sue maniere e la cortesia de' suoi
discorsi. Non avvolgendosi per entro un orgoglioso mi
stero, non trincera vasi in un geloso egoismo, né disde
gnava di coltivare le arti della musica e del disegno do
vunque ne rinvenisse i maestri (3).
(i) Vita nuova, passim. — Lionardo A1etino, Vita di Dante.
(2) Boccaccio , Vita di Dante.
(3) Ibid. — Villani disse si in alcuna parte , parlando di lui
(Storia, t. V, p. 137, ediz. de' Glassici ) : « Filosofo' mal grazioso ».
Ma noi pensiamo che egli accenni a tristi momenti del poeta, quan
do p. es. gli era forza trovarsi coi cortigiani e i buffoni alla corte
di alcun signore. — Vedi pure 1« Memorie per la vita di Dante.
6'
66 PARTE 1.
Intanto mercédi una rara moderazione, di una pron
tezza di spirito che prendeva al volo le più fuggevoli oc
casioni di sapere, di una attenzione a cui nulla poteva
strappare quanto aveva afferrato, di una memoria infine
che non sentì mai la dolorosa necessità di ritornare sugli
studi già fatti , gli era permesso di continuare ne' suoi
prediletti lavori e di avere meno avara per sé la misura
del tempo. Cosi fu veduto sulla via principale di Siena, in
lento alla lettura di un libro, durare impassibile ne! tempo
di una publica festa, della quale non si fu neppure accor
toci). Ma siccome l'umana natura deve di qualche maniera
dar segno della piaga originaria da cui fu tocca; cosi le
belle doli di Dante talvolta si macchiarono per alcuni ec
cessi. Nel fervore delle lolle civili, l'odio ch'ei portava al
l'iniquità diventò una collera cieca che punto non seppe
frenarsi. È fama che allora nel trasporto de'suoi pensieri
lanciasse sassi contro donne e fanciulli che udiva sparlare
della sua parte. Allora in una filosofica discussione preve
dendo le obbiezioni de'suoi avversar), sclamava: u Rispon
der si vorrebbe non colle parole ma col coltello a tanta be-
stialilà n (2). Così nella sua estrema sensibilità, quantunque
difesa dalla memoria di Beatrice, mal sapeva resistere alle
attrattive della bellezza: e nella raccolta de'suoi compo
nimenti lirici lasciò segno degli affetti passaggieri , cui
invano adoperò di ascondere tra ingegnose interpreta
zioni (3). Anche lo studio infine, rifugio delle anime tor
mentate, ebbe insidie per lui. La conoscenza di sé stesso,
tanto raccomandata dall'antica sapienza , non va senza
pericoli pei grandi uomini, ma gli espone a pressentire
l'ammirazione della posterità. Si dolsero gli amici di Dante
(i) Boccaccio ibid.
(?) Id. Ibid. — Convito, IV, i4.
(3) Canzoni, passim. Convito , II. — Dionisi sostenne gravemente
la ipotesi che fa allegorici gli amori di Dante, e di Gentucca una
semplice figura della parte Bianca.
CAPITOLO IV. 67
cli'ei non avesse loro lasciato la cura della sua gloria;
e noi con pena lo vediamo avido di onori indegni di lui.
E cosa impossibile disconoscere negli scrini di Dante un
sapere talfiata importuno, che vuole guadagnarsi l'am
mirazione per sorpresa , e col mezzo di locuzioni a bello
studio annebbiate per umiliare la semplicità del lettore.
Ma siffatte mende hanno con sé la pena; perciocché l'au
tore che meno si accosta alle intelligenze communi va
privo cos'i di quelle lodi schiette e sentite che si ricevono
dalle labra della moltitudine {a). Tuttavolta per far di-
(a)T'are a noi che non sia mai venuta meno a Dante la lode
pienamente sentita della moltitudine; avvegnaché per rispetto ai
contemporanei possente fosse di fermo l'attrattiva che la Divina
Comedia ritraeva dalla storia contemporanea: le controversie tra
Roma e l'Impero, le fazioni che poncano sossopra le città libere
d'Italia, e Firenze più che tutte, offrendo a Dante ricca messe
di episodj , improntando gagliardamente le scene da lui cantate
del suggello delle passioni non potevano non interessare vivamente
la moltitudine. L' onnipotenza poi della religione nel secolo di
Dante, le superstizioni stesse che vi apriano più vasto campo alla
poesia faceano sì che la moltitudine accogliesse con grandissimo
favore quanto di que' regni d'oltre la tomba il poeta delineava,
e le maraviglie che ne diceva.
Le quali ragioni d'interesse per quanto si vogliano scemate
nella loro forza , commossero anche nelle età successive la mol
titudine, la quale, per tacere di molti altri rapporti , a cui non
può farsi straniera , non potrà per Io meno disconoscere nell'O
mero de' bassi tempi la lode di aver al più alto grado aggiunto
nell' Inferno il nero ed il terribile , di aver significato nel Pur
gatorio la pia malinconia della penitenza soffrente e rassegnata ,
nel Paradiso la calma, la serenità e l'estasi religiosa. Ove infine
si aggiunga che il Cinquecento ebbe quaranta edizioni di Dante,
mentre il Seicento tutto addottrinato e fastoso di Collegi e di
Academie ne ebbe tre sole ; trentaquattro il Settecento , ed ora
ne' soli 38 anni che corsero di questo secolo se ne ebbero più
di settanta edizioni , si avrà indubbia prova del favore con che
la Moltitudine sempre accolse
il Poema sacro ,
Al quale ha posto mano e Ciclo e Tetra.
— Nota del Trad.
6« PARTE I.
menticare queste mende ha Dante un mirabile secreto ,
il pentimento. Poco nel secolo xm conoscevasi l'arte,
oggitfi tanto diffusa, di far legittimo il vizio, mercè di
ligie dottrine. Presto o tardi alla religione domandava»
1' espiazione e la grazia di che è dessa immortale dis
pensatrice. Così adoperò il poeta, e in uno de' canti più
belli se stesso rappresentò « gli occhi vólti alla terra ,
quasi fanciullo che ravvisa il suo fallo » confessando di
nanzi ai secoli raccolti gli errori della sua gioventù (i).
Più tardi lasciò per testamento l'inno alla Vergine , nel
quale offriva le lagrime del suo cuore a riscatto de' giorni
malamente vissuti (2). Sopra il funebre letto volle essere
ricoperto dell'abito di s. Francesco (a). Il resto è il secreto
di Dio che solo potè conoscere quanto avea di strano
quel carattere , uno de' più notevoli che mai fossero
quaggiù. Gli stessi contemporanei non lo compresero;
e ne espressero le maraviglie con favolosi racconti, sicché
Dante fu pure soggetto di una leggenda. Parlavano del
sogno profetico avuto da sua madre il giorno innanzi la
nascita di lui; assicuravano la realtà de' suoi viaggi pel
regno de' morti ; attribuivano a un doppio miracolo l'in
tegrità del suo poema due volte smarrito; più giorni
dopo la dipartita di quaggiù egli era apparso cinto di
aureola luminosa (3). E se non gli fu concesso di par
tecipare all'omaggio de' santi, non però gli venne meno
quello de' poeti.
(1) Purgatorio, XXIV, i4; XXX, 36 e segg. ; XXXI, 12, sa, ce.
Ei si ravvisa propenso all'orgoglio, iV«jXIII, 46; a1ila collera ,
XV verso il fine.
(a) Vedi il sonetto « O madre di virtute ». Vedi pure Memorie
per la vita di Dante.
(a) Così raccogliesi da una Cronaca Francescana, né a quei tempi
era cosa singolare. Re, Duchi, e gran feudatarj , si facevano, se pii,
in vita ascrivere al terzo ordine di que' frati , ed anche se gran pec
catori , in morte , vestire della lor tunica. — Il Trad.
(3) Boccaccio, Vita. — Benvenuto da Imola, Praefatio ad
Divin. Comoed.
"
CAPITOLO IV. 69
Dante fece manifesta la sua infaticabile attività in tre
maniere di lavori che sono in perfetta corrispondenza colle
vicende politiche, poetiche e scientifiche, per mezzo alle
quali ei passò: i ° il trattato de Monarchia, saggia teo
ria delle costituzioni del Santo Impero, che riunendo
l' ordinamento dell' Europa cristiana alle tradizioni del
l' antico impero Romano, cercava alla fine nella pro
fondità de' consigli previdenziali le ultime origini del
potere e della società: a.0 le Rime, o componimenti li
rici; la Vita nuova, schietta confessione della gioventù
dell'autore, e i due libri de bulgari Eloquentid, schizzo
dei lavori filologici , per cui seppe della lingua volgare
disprezzata fino a' suoi giorni fare uno strumento degno
di servire alle più belle inspirazioni ; 3.° finalmente il
Convito, dove si propone di rendere commune alla mol
titudine il pane troppo raro della scienza , e dove con
benevola e libera effusione diffonde le idee filosofiche
raccolte presso i sa vii dell' antichità e i moderni dotto
ri (i). Ma questi non altro erano che preludj od episodj;
e l'unità del genio doveva riprodursi in un'opera unica,
nella Divina Comedia.
V. Gli usi dell'epoca, gli esempj degli antichi, o me
glio tutto quanto il passato della poesia dovevano for
nire la materia della Divina Comedia. — La poesia nel
grado più alto della sua potenza è la intuizione dell'in
finito; è Dio veduto nella creazione, la immutabile desti
nazione dell'uomo presentata tra le vicende della storia.
Perciò essa fin dall' origine appare ornata di un carat
tere sacerdotale , mista colla preghiera e coll' insegna
mento religioso: perciò anche nel tempo di decadenza,
(ì) Bisognerebbe aggiungere le sue Egloghe latine publicate
da Dionisio e la sua tesi de Duobus Elementis, edita due volte
in Venezia nel i5o8 e 1 708. 1 quali opuscoli non vennero compresi
nella edizione di Zatta.
7o PARTE I.
il maraviglioso dura come uno dei precetli dell'arte poe
tica. Così il paganesimo, le grandi composizioni orientali
come il M:ihabarata; i cicli greci come quelli di Ercole,
Teseo, Orfeo, Ulisse, Psiche; le epopee latine di Virgilio,
Stazio, Silio Italico: le opere infine che possono dirsi
poemi filosofici; la Rcpublien di Platone e quella di Ci
cerone ebbero i viaggi nei cieli, le discese all inferno, i
morti risuscitati o apparsi per disvelare i misteri dell* av
venire. Il Cristianesimo più ancora giovò l'intervento del
le cose soprannaturali nella letteratura, che si formò sotto
i suoi auspicj. Alle visioni onde abbonda l'antico ed il
nuovo Testamento si inspirarono le prime leggende. Vi
sioni profetiche visitarono i martiri nel loro carcere; gli
anacoreti della Tebaide, e i monaci del monte Athos
avevano racconti, che nei monasteri d'Irlanda e nelle
cellette del monte Cassino trovarono un eco. I Trova
dori della Provenza , quelli di Francia e d'Alemagna e
gli ultimi Scaldi scandinavi si fecero padroni delle no
tizie date dagli Agiografi, e vi aggiunsero lo splendore
del ritmo e del canto. Avevano acquistata una somma
celebrità i sogni di santa Perpetua e di san Cipriano ,
il pellegrinaggio di san Macario Romano al paradiso
terrestre, l'estasi del giovine Alberio, il pozzo di san
Patrizio , le corse miracolose di san Bradau. Laonde e
l'autorità degli esempi e le tendenze letterarie contempo
ranee si accordarono colla fede che ci addita le re
gioni eterne come la patria dell'anima, come la stanza
naturale del pensiero. Dante comprese lutto ciò; e so
verchiando i limiti dello spazio e del tempo per entrare
nel triplice regno a cui la morte dischiude l'adito,
collocò da principio la scena del suo poema nell' infini
to (i). Qui egli trovavasi al convegno delle generazio-
(i) Sull'antecedente idea poetica della Divina Comedia, si ha una
interessante ma troppo breve dissertazione di Foscolo. Edimburgfi
Review, t. XXX.
CAPITOLO IV. ,,
ni, spaziando entro quell' orizonte che sarà quello del
giudizio universale, e che tutte abbraccierà le familie
del genere umano ; assisteva allo scioglimento defini
tivo dell' enigma delle rivoluzioni sociali. Giudicava i
popoli e i capi dei popoli; si collocava al posto di Colui
che un giorno, cessando dall' essere paziente , nella sua
giustizia darà la mercede condegna. Così colla magnifi
cenza dell'epopea potea dispiegare le sue teorie politi
che, ed esercitare colla verga della satira non disdegnata
dai profeti le inesorabili sue vendette (i). In esso, del
pari che il pellegrino aspettato alla meta, incontrava Bea-
trice , che Io avea di qualche giorno preceduto , e tale
vedevala quale l'aveva formata ne' più bei sogni ; pos-
sedevala nel suo trionfo, il quale era forse stato l'idea
primitiva e generatrice della Divina Comedia, concepita
come un' elegia nella quale si rifletterebbero le tristezze
e le consolazioni di un amore pietoso (i). Finalmente
ei là si riconosceva come dal centro normale di tutte
le cose ; di là dominava la creazione della quale niun
angolo oscuro gli poteva sfuggire ; gli veniva fatto invito
di manifestare la varietà prodigiosa delle sue cognizioni
e la profondità de'suoi concetti; e poeta didattico vi po
teva tracciare V intero sistema d' una mirabile filosofia.
Ma la filo.-ofia non altro poteva occupare colla austerità
delle savie sue forme che uno spazio limitato, ned uni vasi
felicemente cogli altri elementi del poema: era mestieri di
ud mezzo, la cui mercè ella si trasformasse e si diffondesse
con una fusione intima sopra i diversi punti del tutto. Tal
mezzo fu trovato co' simboli, modo di procedere filosofico,
giacché posa sulla legge dell'associazione delle idee, legge
(1) Salmi, passim. — Isaia, X, XLIV, 12, ec.
(2) Dante, Vita nuova, in fine: « Apparve a me una mirabil
visione nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non
dir più di questa benedetta (Beatrice) in fino a tanto che io non
potessi più degnamente trattar di lei ».
ja PARTE F.
incontestabile, ed insieme eminentemente poetica. Con-
ciossiachè mentre la prosa colloca immediatamente il pro
posto pensiero sotto il segno della parola , la poesia vi
stampa le imagini, segni per sé stessi di più alto pen
siero. Ma 1' imagine destinata a servire per tale ma
niera di termine medio tra la parola e il pensiero non
deve trascegliersi a caso , e meno comporsi di tratti fan
tastici raccolti a capriccio. Questa imagine vuol essere
tolta nell' ordine delle cose reali , deve presentare una
fedele analogia coll' idea che raffigura , avere , secondo
la forza originaria di questa voce, un simbolo ( oiip-Poiov ),
Tale a dire un rapporto. Numerosi nella natura sono i
rapporti di siffatta maniera. Il canto degli uccelli è il
segnale del giorno ; il fiore novello quello della sta
gione; l' ombra di un roseto sulla sabbia misura l'al
tezza del sole nei cieli. 1 poeti antichi avevano il senti
mento di questa armonia universale : ogni cosa appariva
ad essi attegnente a' suoi varj rapporti: ogni confronto
era un grave soggetto ; e faceano professione de' miti ,
come di credenze positive, a cui davano ingegnose inter
pretazioni. Così nella sacra Scrittura ogni avvenimento
ba una esistenza reale ed un significato figurativo; o-
gnuno de' suoi più chiari personaggi vi ha una parte
storica e insieme una profetica. Il genio di Dante, nu
di.ito delle tradizioni della Bibbia, doveva procedere i-
stessamente. I personaggi che mette sulle scene sono
reali nel suo pensiero , e simbolici nella sua intenzione;
sono idee incarnate, figure viventi (i). Le azioni che
(1) Cosi Rachele e Lia, Maria e Marta rappresentano per esso
la contemplazione e l'azione (Purgat. XXVII, 34 e 35. Convilo,
IV, 17). Cosi Pietro, Giacomo e Giovanni figurano la Fede,
la Speranza e la Carità ( Paradiso, XXIV-XXV). Così anche negli
scritti in prosa, nel Convito, p. e., ama di formulare il suo pen
siero prendendo per tipi alcuni personaggi poetici, e toglie da
Stazio, Virgilio, Ovidio e Lucano, quattro eroi per riassumere
in essi la qualità delle quattro età della vita. ( Convito, IV, a5-^8).
CAPITOLO tV. 73
Dante fa loro operare , esprimono i rapporti della idea,
dal loro nome raffigurata. Tutta infine la sua Divina
Comedìa è piena di una istruzione allegorica che ne forma
la inlima vita. Egli stesso la appalesa nella sua dedioa a
Can Grande della Scala. «E da sapere che semplice non è
il senso di quest'opera, ma moltiplice. Il primo senso è
quello che si ha letteralmente; 1' altro si asconde sotto le
cose significate colla lettera; dicesi il primo letterale, alle
gorico l'altro o morale. Dopo tali considerazioni è chiaro
che il soggetto deve essere duplice perché si presti alterna
tivamente ai due sensi accennati. — Il soggetto dell'opera
compreso alla lettera è lo stato delle anime dopo mor
te; imperocché versa intorno a ciò il processo di tutta
l'opera. Nel senso allegorico il poeta tratta dell'inferno
di questo mondo, nel quale come pellegrini possiamo
meritare e demeritare; e il soggetto è l'uomo in quanto
che pei suoi meriti o demeriti è sottomesso alla giusti
zia divina rimuneratrice o vendicatrice » (i). — Il genere
filosofico a cui si appoggia 1' autore è la filosofia morale,
o l'etica, perciocché lo scopo prefisso è la pratica, non
già la speculazione oziosa; e se in alcuni luoghi a que
sta pare che si dia, lo fa con uno scopo di applicazio.
(1) Epìst. Dedicat. ad Cangrand.
Ad evidentiam itaque dicendorum sciendum est quod istìas operis
non est simplex sensus : imo dici potest polysensuum , hoc est piu-
rium sensuum. Nam primus sensus est qui habetur per luteran1 j
alias est qui habetur per significata : per Utteram et primus dicitw
litleralis , secundus vero allegoricus sive moralis. His visis , mani
festim1 est quod duplex oporlet esse subjeclum circa quod currant
alterni sensus. Et ideo videndum est de subjecto hujus operis prout
ad litieram accìpitur j deinde de subjecto prout allegorice sentia-
tur. Est ergo subjectum totius operis litleraliter accepti status a-
nimarum post mortem simpliciter sumptus. Nam de ìlio et circa
illun1 totius operis versalur processus. Si vero accipiatur allegorice
ex istis verbis colligere potes quod secundum allegoricum sensum
poèta agit de infèrno isto in quo peregrinando ut viatores mereri
et demereri possumus.
Ozanam. Dante. .}
M PARTE L
ne, secondo il detto del filosofo ( Aristotile) nel II li
bro della Metafisica: « I piatici taUolta si abbandonano
alla speculazione, ma ben per poco, e collo scopo di
una vicina applicazione ».
<Giacopo di Dante, erede delle tradizioni paterne, con
maggiore chiarezza sviluppa la morale intenzione del
poema nella prefazione del commento intrapreso , della
cui esattezza ci fa pegno la pietà filiale : « L' opera
intera dividesi in tre parti , delle quali la prima dicesi
Inferno; l'altra, Purgatorio; l'ultima, Paradiso. Io ne
spiegherò a dirittura in modo generale il carattere al
legorico, col dire che il disegno principale dell' autore
è di mostrare sotto colori figurativi le tre mamere di
essere doli' umana razza. Nella parte prima toglie a con
siderare il vaio , che dice Inferno , per chiarire che il
vizio fa contro la virtù siccome contrario ad essa; luogo
di pena ohe prende quel nome per la sua profondità op
posta all'altezza del cielo. La parte seconda ha per sog
getto il passaggio dal vizio alla virtù, che dice Purga
torio per additare la trasmutazione dell' anima che si
purga de' suoi falli nel tempo, perciocché il tempo è
il mezzo nel quale s'opera ogni trasmutazione. Neil' ul
tima parte mira gli uomini perfetti, e la dice Paradiso
per esprimere l'altezza delle loro virtù e la grandezza
della loro felicità, che sono due condizioni, senza le quali
non si saprebbe riconoscere il supremo bene. Così l'au
tore procede nelle tre parti del poema camminando sem
pre, traverso le figure di cui si circonda, verso la meta
proposta ». I più antichi commentatori adottano tale
spiegazione (i).
(ì) Giacopo di Dante comprese nel suo Commento la sola parte
prima della Divina Comedia. Pure tal commento, prezioso per le
.notizie biografiche , meriterebbe di essere messo alla luce. Noi ne
abbiamo raccolto la prefazione, importante per più rispetti, nel
manoscritto che trovasi nella biblioteca del re, al numero 7765.
CAPITOLO IV. j5
VI. Prima di spingerci avanti, volgiamo addietro uno
sguardo. Abbiamo veduto come il moto generale di tran-
« Aceioche '1 frutto universale novellamente dato al mondo per
lo illustre filosofo e poeta Dante Alighieri fiorentino con più a-
gevolezza si possa per coloro in cui il lume naturale alquanto
risplende, sanza scientifica riprensione , Giacopo suo figliuolo di
mostrare intendo del suo profondo e autentico intendimento
Cile principalmente si divide in tre parti. Delle quali la prima
figuratamente Inferno si chiama, la seconda Purgatorio, la terza
ultima Paradiso delle quali generalmente la allegorica qua
lità per questo proemio dichiarerò dicendo che '1 prin
cipio alla 'ntenzione del presente autore è di dimostrare sotto al
legorico colore le tre qualità dell'umana generazione. Delle quali
la prima considera di Vizio ne' mortali , chiamando lo Inferno ,
a dimostrare che '1 mortai vizio opposito all' altezza della virtù,
siccome al suo contrario sia. Onde chiaramente s'intende che il
luogo determinato da lui è detto Inferno per lo basso luogo ri-
moto del cielo. La seconda considera di quelli che si partono dà
Vizii con procedere nella Virtù , chiamandola Purgatorio a di
mostrare la passione dell' animo che si purga nel tempo , ch'è il
mezzo dell'uno operare all'altro ... La terza ultima considera de
gli uomini perfetti, chiamandola Paradiso, a dimostrare la bea
titudine loro e 1' altezza dell'animo congiunta colla felicità, sanza
la quale non si discerne il sommo bene. E cosi figurando per le
parti sopradette come conviensi sua intenzione procede. ,-•
In un manoscritto di una bellezza non ordinaria , col n.° 7002,
sta la Divina Comedia preceduta da prefazioni di Benvenuto da.
Imola, e unita al commento di Giacopo della Lana , i due inter
preti più antichi che abbiano assunta una completa spiegazione
del poema: i brani che riportiamo si riferiscono alla questione
che ci occupa.
Benvenuto da Imola: Materia sive subjectum hujus libri est status
anima; liwnance tam vivente corpore quatu a corpore separata. Qui
status umversaliter est triplex sicut auctor facit tres partes de toto
opere. Qutedttm enim anima est cum peccatis j et Ma , dum vivit
cum corpore, est mortua moraliter loquendo, et sic est in Inferno
morali: dum est separata a corpore est in Inferno essentiali ^ si
obstinata insanabiliter moriatur. Alia anima est qua; recedit a vitiis:
ista dum est in corpore, est in Purgatorio morali , seu in actu
pomitentiat in quo purgfU sua peccata: separata vero est in Fui-
7« PARTE I.
sizione nel mezzo delta società europea del secolo xm
al xiv doveva farsi risentire nell' andamento dello spirito
umano; come la filosofia, giunta alla maggiore altezza
del suo periodo scolastico, ebbe il bisogno di farsi po
polare ed eterna per opera dei canti di un poeta;
come essa trovò l'aspettato poeta, tra gli alunni di quella
vecchia scuola italiana, dove il culto del vero non fu
mai diviso dal culto del bello e del bene; come infine
le vicende della vita di Dante svilupparono in lui il tri
plice senso morale, estetico ed intellettuale. Questo tri-
gatorio essentiali. AUa anima est quce est in perfido habitu vir-
tulis , et jam vivens in corpore est quodammodo in Paradiso quia
est in quaderni felicitate quantum est possibile in hoc vitd miseria :
separata autem est in Paradiso caelesti ubi est vera et perfecta Je-
Ucitas , ubi fruitur visione. Dei.
Giacopo della Lana : « E perche '1 autore nostro Dante consi
dera la vita umana essere di tre condizioni . come è la vita di
viziosi , e la vita di penitenti, e la vita di virtuosi, per tanto
di questo suo libro ne fa tre parti, cioè lo Inferno e '1 Purga
torio, e 'l Paradiso ».
Potrebbe alcuno senza dubbio opporre a queste testimonianze
l'esempio del Tasso, il quale esso pure volle alle finzioni della Ge
rusalemme liberata dare un senso allegorico, giustamente rifiutato
da' suoi ammiratori. Ma questo pensiero del Tasso posteriore all'o
pera, figlio bizzarro della sua vecchiaja, non saprebbe raffrontarsi
colle abitudini perseveranti che dominarono il poeta del secolo xm;
che si tradiscono negli scritti della sua giovinezza ( Vita nuova ),
si manifestano ad evidenza eoa quelli della virilità ( Convito ) , e
che affettano di ricordare sé stesse più volte nel poema (biferno, IX.
Purgatorio, VIli), quasi affine di prevenire con felice sollecitu
dine qualunque dubbio dei lettori avvenire.
Non daremo fine senza riparare una dimenticanza, ché sarebbe
ingiustizia. Supponendo le intenzioni filosofiche di Dante quasi
affatto sconosciute alla critica francese , non avevamo veduto la
dissertazione del fu Bach sullo stato delle anime dopo morte, se
condo Dante e s. Tomaso; né l'interessante capitolo di Delecluze
sopra Dante tolta a considerare come poeta filosofo ( Florence et
ses vicissitudes „ t. II ).
CAPITOLO IV. J7
pFice germe crescendo sotto una indefèssa. coltura , doveva
portare il suo frutto più bello, la Divina Comedian e
questa, nelle mani dell'analisi, doveva dal suo involucro
brillante ed odoroso far uscire la sementa filosofica che
conteneva. Cosà abbiamo assistito alla nascita di un gran-
d'uomo. A noi egli apparve come una di quelle Divinità
a due faccie, che i Romani adoravano riguardando dal
l' una parte il passato, di cui è il rappresentante, dal
l'altra T avvenire, di cui è il precursore. E una natura
generosa che rende più, di quanto ricevette. Egli riassume
un'epoca ed un paese; ed ecco., per parlare il linguag
gio scolastico, la materia onde si compone; ma egli lo
riassume in una personificazione potente, ed ecco la forma
che lo costituisce. Noi abbiamo osservato diligentemente
la formazione di uno di que' libri che sono immortali ,
che durano. quanto l'umanità, che non cessano d'essere
importanti, perciocché esprimono una fase intera delle
sue rivoluzioni , e si congiungono a quanto v'ha in essa
di pensieri e d'affetti immutabili. Accennando ad alcuna
delle origini della Divina Comedia , le abbiamo veduto
perdersi Belle profondità della storia.; ma facile cosa
gli è soprattutto riconoscervi V espressione di tutte le pre
occupazioni politiche, letterarie, scientifiche della società
contemporanea. Finalmente in quest'opera principale,
e negli altri scritti che ne sono il compimento, abbiamo
avvertito la presenza di una vasta filosofia , la cui mi
nuta esposizione ora forma l'oggetto de' nostri studj , e
di cui possiamo a dirittura determinare i caratteri generali
dietro i fatti correlativi che furono Io scopo delle no
stre ricerche preliminari. Sarà eccletiea nelle sue dot
trine, come furono le dottrine più illustri di quel tem
po; poetica nella forma e morale nella sua direzione,
quale volevasi per obedire alle abitudini nazionali ; sarà,
del pari che lo spirito dell'autore, ardita in suo volo,
enciclopedica nell'estensione abbracciata. Conciossiaché
una dottrina filosofica può raffrontarsi con un liquore ;
78 PARTE I. CAPITOLO IV.
il genio di lui che la professa è come il vaso in cui
quello s' accoglie e da cui piglia la sua configurazione.
Le condizioni di tempo e di luogo somigliano l'ambien
te , di cui quello riceve la temperatura , e le cui agita
zioni ne increspano la superficie.
ESPOSIZIONE DELLE DOTTRINE FILOSOFICHE DI DANTE
CAPITOLO PRIMO
PROLEGOMEKI
dulle soglie di qualunque dottrina filosofica riscon
trasi una quistione inevitabile: ed è la definizione stessa
della filosofia. Definirla, è determinare il posto che ella
occupa nell'ordine delle nostre cognizioni, i rapporti che
la legano con quelle che sembrano lepiù, vicine, le parti
ood'è composta, il metodo che abbraccia.
I.
Massima divulgata dai sapienti di tutti i tempi, e so
prammodo cara ai poeti e nella quale Dante ebbe fede,
fu questa: esistere un'armonia prestabilita, tra le opere di
Dio e gli umani concetti; l'uomo essere un compendio del
l'universo. Egli non ricusava punto tutta la sua confidenza
alle speculazioni dell'astrologia, la quale cercava svolgere
questa idea, verificando le numerose corrispondenze tra
le fasi delle rivoluzioni celesti e quelle della vita terrestre.
Come nel sistema di Tolomeo nove cieli, gli uni sovra
gli altri , cerchiano la terra , illustrando del loro lume
le sensibili cose, diversi influssi esercitando sulla gene
razione degli esseri, sulla tempra, sui caratteri, sulle
passioni e gli altri fenomeni del mondo morale ; per tal
modo, giusta il sistema enciclopedico di Dante, nove
scienze avvolgono lo spirito umano, rischiarano le cose
intelligibili, e spandono la fecondità e la varietà nelle
regioni dell'intelletto. Ai sette cieli, stanza dei sette pia
neti, per analogia cui sarebbe soverchio di rapportare,
8o PARTE II.
rispondono le sette arti del Trivio e del Quadrivio. L'ot
tava sfera colle sue fulgide stelle, e la sua via lattea,
i suoi due poli I' uno visibile e l'altro invisibile , e il
suo duplice movimento, ricorda la fisica e la metafisica
che insieme si confondono , malgrado il Ior ineguale
chiarore e le loro differenti tendenze. Il cielo cristallino,
o primo mobile, che tutti gli altri attrae, si rassomiglia
alla morale, onde prendono le mosse tutte le altre sfere
intellettuali. E come mano a mano al di sopra di que
sti cerchj materiali s'allarga il cielo empireo, pura luce,
immobile nella sua quiete* così di là da tutte le pro
fane scienze , trovasi la teologia ove il vero riposa in
sua raggiante e pacifica chiarità. La fisica, la metafisica
e la morale sono pertanto gli estremi gradi della scala
scientifica cui le nostre forze possano pervenire ; quelle
egli ha compreso sotto il nome di filosofia (i). Pure la
filosofia, nel suo più esteso significato etimologico, suona
ancor meglio: è una santa affezione, un amor sacro, if
cui scopo è la sapienza. E perchè la sapienza e l'amore
non esistono' altrove più perfettamente congiunti che
nello stesso Dio, egli ne è dunque concesso dire che la
filosofia è parte della divina essenza, l'eterno pensiero,
l'eterna compiacenza che in sé medesima si riflette, la
figlia, la suora, la sposa del sovrano signore dell'uni
verso (a).
(i) Convito, Tratt. II, i4.— Dico che per cielo intendo la scien
za , e per li cieli le scienze, per tre similitudini che i cieli hanno
colle scienze, massimamente per l'ordine e numero i»che pajono
convenire. — La prima si è la rCToluzione dell' uno e dell'altro
intorno ad un suo immobile. Che ciascuno cielo mobile si volge
intorno al suo centro ; e cosi ciascuna scienza si muove intorno
al suo suggettoi — La seconda similitudine si è lo illuminare del
l' uno e dell' altro. Che ciascuno cielo illumina le cose visibili ;
e cosi ciascuna scienza illumina le intelligibili. — E la terza simi
litudine si è lo inducere perfezione nelle disposte cose, ec. ce.
(2) Convito, II, 16; III, 12, .4, !&• — Filosofia è uno
CAPITOLO I. 8,
II.
Questa nozione della filosofia si rafforza ancor piti po
sta d'incontro alla teologia, e lascia meglio scorgere ciò
che la ravvicina e ciò che la distingue.
A mezzo il cammino della vita, in una selva selvag-
vaggia e tenebrosa, dove lo smarrimento de' sensi il
fece traviare; a piedi di una montagna della quale tre
mostri gli contrastano il passo, il poeta è tutto preso
da spavento: la regina de' cieli il vede e ne resta com
mossa; avvertisce l'avventurosa Lucia che si rivolge a
Beatrice; questa discende dal cielo, e Virgilio, da lei in
vitato, esce dall'inferno, ed entrambi metteranno in salvo
lo smarrito poeta, conducendolo in giro a traverso quelle
eternali regioni (i). I precipui elementi di questa narra
zione sono istorici, cioè a dire, lo smarrimento di Dante,
il suo culto di predilezione per la Vergine Madre e per
Lucia, uu tempo si cara alla pietà italiana, i suoi affetti a
Beatrice consacrati e la stima in che egli teneva Virgilio.
Ma pure queste realtà sono anch' esse figurate. Il poeta
rappresenta l' imagine la più compiuta dell'umanità colle
sue sublimi tendenze, e colle sue indicibili debolezze.
La beata Vergine, cosi teneramente misericordiosa, rap
presenta la divina clemenza. L'esempio de' sacri scrittori
a lui contemporanei , usi cercare nei nomi de' santi mi
steriose virtù, autorizzavalo ad esprimere sotto it nome
di Lucia la grazia illuminante (2). Ma sopra tutto Bea-
roso uso di sapienza ; il quale massimamente è in Dio , peroc
ché in lui è somma sapienza e sommo amore . . . Sposa dello
imperadore del cielo, e non solamente sposa , ma suora e figlia
dilettissima. — Cf. Ugone da S. Vittore, Eruditiorùs didascalicae ,
1.1, 3; II, ,.
(1) lnferno,\ e II. Convito, IV, it\\ La selva erronea di que
sta vita.
(2) Questa è l' interpretazione di tutti i commentatori.
b PARTE II.
trice, la quale per un felice ascendente aveva signoreg
giata l'anima di Dante , ed alzatolo al di sopra Fa folla
degli spiriti vulgati; che, morendo, l'avea col peri.siero
allacciato al soggiorno degli eletti , e che a lui era ap
parsa come un raggio della divina beltà, Beatrice non
dovea più per lui essere una semplice figlia degli uo
mini, ma una intelligenza inspiratrice* per lui la decima
Musa, la Musa che a quel tempo dominava su tutte le
altre, la teologia (r) (a). Infine Virgilio, considerato a que
st'epoca sotto un aspetto che non ci é punto familiare,
parte a cagione della sua quarta egloga , come 1' uno
dei precursori della verità religiosa in mezzo al mondo
Pagano ; parte, per le esagerazioni de' suoi commentatori,
come il depositario di tutte le cognizioni dell'antichi
tà (2) ; Virgilio era agli occhi di Dante il rappresen
tante della scienza umana portata alla sua più alta poten-
(1) Veggasi quel tratto dore Beatrice è presa per simbolo della
teologia: Inferno, II, 26, 35. Purgatorio, VI, i5; XVIII, 16:
O donna di virtù, sola, per cui
L1 umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel
Beatrice
che ha, loda
minori
di iDio
cerchi
vera.sui !
• quella noi ti dice
Che lume ila tra il vero e V intelletto.
da indi in là l1 aspetta
Pure a Beatrice, ch1 è opra di fede.
Veggasi eziandio Purgatorio, ViII, 34; XXX, 11; XXXI, n,
37, 4i; XXXII, 3a ; XXXIII, 49. Paradiso, 1, 19, 24; IV, 22 ,
39; XVIII, 6; XXVIII, 1; XXXI, 28.
(a) Ben disse il eh. autore essere questa la commune interpre
tazione ; né assai è diversa da quella del C. Balbo , se per teo
logja s'intende la teosofia, la cognizione di Dio e delle cose di
vine , la quale derivata dalla fede , fa gustare in terra un prin
cipio di beatitudine, e sulla quale, cangiata in visione, è fondata
la beatitudine degli eletti e delle beate genti. — // Trad.
(2) Veggasi un frammento di un commentario di Bernardo di
Chartres sopra i sei primi libri dell'Eneide, in seguito agli scritti
di Abelardo publicati da Cousin.
CAPITOLO I. 83
za, cioè della filosofia (i). Per tal modo, nelle correlazioni
di questi due poetici personaggi , converrà riconoscere
quelle dei due diversi ordini di idee che in loro sono
personificati.
Ora nelle divisioni della scienza umana avviene quello
che nella natura : è una catena di cui ogni anello si
connette a quello che fu già prima annodato. Evvi una
naturale teologia che entra negli studj filosofici, v'ha
degli studj filosofici de' quali la teologia prende a pre
stanza soccorsi. O piuttosto la filosofia ha due parti ;
J'una è la prefazione, l'altra il commentario della teolo
gia; l'una l'anticipazione, l'altra lo svolgimento della fede
per mezzo della ragione. Nell' istoria dell'uomo come in
quella dell'umanità, la fede è il fatto primitivo; dessa
scende col mezzo della parola nel bujo della nostra igno
ranza ; dessa vi risveglia la ragione, e la fa valicare
dalla potenza all'alto; dessa in processo la sostiene con
un'azione insensibile e continua nel suo vacillante cam
mino ; poi, quando la ragione è pervenuta al termine
di sua naturale carriera , la fede rendendosi visibile ri
ceve da quella, in uno co' suoi omaggi, le sue nozioni
procacciate e suoi usati procedimenti. In questa manie
ra, per un concorso maraviglioso, si compie Peducazione
dell'intelligenza; e, giusta tale più largo concetto della
filosofia , si spiega d'un modo soddisfacente l'officio di
•(i) Virgilio rappresenta la filosofia: Inferno, I, 3o; IV, a5 ;
VII,, i; XI, 31. Purgatorio, VI, io; XVIII, 1, 16.
famoso saggio.
O tu, che onori ogni scienza ed arte.
. quél Savio genti), che tutto seppe.
•O Sol , che .sani ogni vista turbata.
O luce mia
L1 alto dottore
Quanto ragion qui Tede
Dir ti poss' io .
Spiegazione dei sensi profetici della VI egloga. Purg. XXII, a<.
84 PAHTE II.
Virgilio e di Beatrice. Di qui si comprende perchè Bea
trice, fornita dell'autorità della fede, scenda nella notte
infernale per farne uscire Virgilio che rappresenta la ra
gione ; di qui intendiamo il ministero di quel Savio gen
tile, o sia ch'egli penetri nella profondità degli abissi, o
sia che ascenda la sommità del purgatorio- o pure ch'egli
si arresti alle soglie delle regioni celesti; o veramente
che i secreti del mondo materiale e della vita morale gli
sembrino familiari, riconosca e proponga i problemi d'un
ordine superiore, e ne sfugga ordinariamente la soluzio
ne, o non possa astenersi di lasciarla qualche volta in-
travvedere. Di qui scorgesi perchè la pia donna esercita
una secreta e costante assistenza fino a che ella si mo
stra in tutto il suo splendore sugli estremi confini della
terra e del cielo; e perchè alzandosi attraverso lo spa
zio, appressandosi sempre più alla divinità, ella non ri
fiuta punto di interrompere le sue contemplazioni e ri
solvere le quistioni proposte da colui che l'ha precedu
ta. Alla fine comprendesi questa colleganza maravigliosa
di Virgilio e di Beatrice per condurre il poeta, cioè
l'uomo, alla pace, alla libertà, alla salute spirituale, che
è il principio della futura immortalità (1).
HI.
In pari tempo che si dimostrano le affinità esteriori
della filosofia, si determina la sua interiore costituzione.
Si è già veduto che essa comprende la fisica, la meta
fisica e la morale : ed effettivamente le lezioni dei due
allegorici personaggi risguardano 1' uomo , la natura e
gli esseri soprannaturali. In questa enumerazione la lo
gica è lasciata da parte; e sembra che l'ardito poeta la
disdegni, alzandosi egli contro tali oziose quistioni di che
la scuola amava un tempo di trastullarsi. « Qual è il nu
li) Inferno, II, 17. Purg. 1, 18; VII, 8; XXI, 19; XXIII, 44;
XXVII, 46; XXX, 17. Parad. II, 21; XXXI, 29.
CAPITOLO L SS
mero de' celesti motori ? se il necessario e il contin
gente essendosi conceduti nella maggiore e nella minore
proposizione, il necessario trovar si possa ancora nella
conseguenza? se egli convenga ammettere l'esistenza d'un
primo movimento ; se in un mezzo cerchio inscriver si
possa un triangolo diverso da un rettangolo? ec. » (r)
Egli estima liberamente il valore di quelle forinole di
ragionare onde tanto si piaceva la più parte de' suoi
contemporanei; egli distingue la connessione delle verità
da quella de' termini che ne sono i segni ; e se il vero si
scorge nella conclusione di un sillogismo, secondo l'o
pinion sua, lo si scorge per accidente, e per ciò ap
punto perchè esso esisteva nelle parole della premes
sa (1). Lascia l'arte di ragionare, relegata sotto il nome
di dialettica , al secondo grado del Trivio : e seguendo
il sistema d'analogia precedentemente indicato, la para
gona al secondo pianeta, Mercurio; perciocchè questo
pianeta è il più piccolo degli astri , e più per intero s'a
sconde sotto i raggi del sole ; come la dialettica , fra
tutte le scienze , è quella che fu ridotta alle più strette
proporzioni, e che più volontieri si appiatta sotto lo spe
cioso velo del sofisma (3). Finalmente , con amara iro-
(1) Paradiso, XIII, 33.
(2) De monarchià, 1. II, io: Si ex syllogismis verum quodam»
modo concluditur, hoc est per accidens in quantum illud verum
importatur per voces illationis. Per se enim verum nunquam se-
quitur ex falsis. Signa tamen veri bene sequuntur ex signis quae
sunt signa falsi.
(3) Convitagli, E '1 cielo di Mercurio si può comparare
alla dialettica per due propietà; che Mercurio è la più piccola
stella del cielo; che la quantità del suo diametro non è più che
di 23a miglia: l'altra propietà si è che più va velata de' raggi
del sole, che null'altra stella. E queste due propietadi sono nella
dialettica; che la dialettica è minore in suo corpo che null'altra
scienza , e va più velata che null'altra scienza, in quanto procede
con più sofìstici e probabili argomenti più che altra. — Cf. S. Ber-
, nard. Serm: Il in Pentecost.
Ozaham. Dante. I
86 PARTE II.
ma , spregia questa scienza siccome propria degli spiriti
perversi, chiamando logico un diavolo (i). Per altro
non gli sfuggirono menomamente quei savj precetti i
quali debbono temperare le faliche de' pensamenti; ma
li acoommuna cogli studj dei fenomeni intellettuali onde
traggono origine, colla psicologia e tutta l'antropolo
gia, sotto la denominazione di Morale, vero essendo che
la parte pratica è quella alla quale tutte le sue ten
denze lo riconducono. Agli occhi suoi la morale è
la ordinatrice dell' umano intendimento ; dessa ne re
gola l'economia; dessa gli apparecchia il rispettivo po
sto, gli dischiude la via alle altre scienze, che senza di
quella non potrebbero sussistere, a quella guisa che la
giustizia legale , ordinatrice delle città , vi protegge la
coltura delle aiti utili (2). Egli è nella morale che si
rivela 1' eccellenza della filosofia , egli è da quella che
ne risulta la beltà: perciocchè beltà è armonia, e la
più completa armonia di quaggiuso è quella delle virtù:
dal piacere che ne ridonda a conoscerle, è originato il
desiderio di metterle in atto; e tal desiderio ribatte
le passioni , strugge le abitudini viziose e produce la fe
licità interna che accompagna mai sempre l' esercizio
legittimo delle facoltà dell' anima. Di là quelle abitudini
a vicenda umili e coraggiose onde sarà il vero sapiente
rivestito; di là quella docilità e semplicità che ricercherà
dal suo discepolo, quell'orrore ad ogni immondezza, e
quella lotta contra la voluttà di cui porrà in chiaro la
(1) Inferno, XXVII, 4i:
Forse
Tu non pensavi eh1 io ioico fossi!
(a) Convito, II, 15: Cessando la morale filosofia, l'altre scien
ze sarebbono celate alcun tempo, e non sarebbe generazione
ne vita di felicità. Ibid. III, i5: E da sapere che la moralità è
bellezza della filosofia, {la quale) risulta dall'ordine delle virtù
morali] ec.
CAPITOLO I. g7
secreta corruzione (i). Di là le verità morali considerate
come il più bel retaggio che lasciarono alla terra « Color
che ragionando andàro al fondo » delle cose (2). Di là
questa massima infine che certe nozioni giacciono inac
cessibili al genio fino a tanto che egli non sia passato
per le fiamme dell'amore (3).
IV.
Queste idee sopra la genesi e I' oggetto della filoso
fia, doveano influire sulla scelta di un metodo. Se nella
legislazione dell' intelligenza a Dio si appartiene l' ini
ziativa, se egli agisce col mezzo della grazia, della quale
iu noi è primo effetto la fede, non è dunque per un dubbio
metodico imaginario che la ragione troverà la condizio
ne de' suoi progressi. Tutte le verità a lei furono im
plicitamente appalesate col mezzo d' una superiore in
spirazione ; essa non ha che a districarle dalla confusione
dall'errore e dall'incertezza; essa non cerca punto, ma
verifica; e non togliendosi a risolvere de' problemi , va
piuttosto dimostrando de' teoremi ; e procedendo per sin
tesi , le sue conclusioni souo tutte reminiscenze. D' al
tronde , se il genio del poeta dispregia 1' andamento di
una logica ordinaria, se egli varca senza sforzo dallo
studio del mondo soprannaturale a quello della natura,
e dallo studio della natura a quello dell'umanità, ap
punto per ciò questi ordini diversi di idee gli sembrano
correlativi. L'uomo specialmente è per lui un vero micro
cosmo, un riassunto della creazione ed un' imagine del
Creatore; ciascun istante della sua vita, gli è il risultato
de' suoi giorni trascorsi e l'ombra della sua futura esi
stenza. Da qu^el punto , tutta la scienza non sembra più
che un seguito di arditi raffronti e rapide deduzioni; tutto
(O Inferno, II, i5. Purg. I, 3a; II, 3; XIX, io.
(a) Purgatorio, XVIII, a3.
(3) Paradiso, VII, ao.— Cf. S. Bernard. Sermo, De Deo diligendo.
88 PARTE H.
vi si spiega per via di approssimazioni e comparazioni ;
gli esseri vi sono considerati nella loro viva e concreta
realtà, e l'astrazione più non vi appare se non a lontani
intervalli. Infine, giacchè l'utilità pratica è il termine
di tutte le sue investigazioni , giacchè gli tarda troppo
di operare, giacchè lo studio medesimo è presentato co
me una morale obligazione , e la scienza come un do
vere, non converrà andarne maravigliati se tutte le co
gnizioni acquistate vengono sotto la nozione del bene o
del male classificate. Vi avrà un complesso di dottrine
che abbraccierà primamente il male, quindi il male in lotta
o in rapporto col bene, da ultimo il bene di per sè stesso
nell'uomo, nella società, nella vita avvenire e negli es
seri posti fuori delle influenze cui l'umana natura è sot
toposta. Il mondo invisibile sarà il teatro principale di
queste investigazioni, però che là unicamente i problemi
del mondo visibile trovano la loro soluzione definitiva ;
là faccia a faccia si contemplano le sostanze e le cause
ammesse costaggiù sulla fede de' loro fenomeni e de'
loro effetti. Così i sapienti concetti della ragione entre
ranno essi pure nella materia poetica presentataci dalla re
ligiosa tradizione: l'Inferno, il Purgatorio, il Paradiso (i).
Un simigliante metodo potrebbe offrire a primo aspetto
tutte le apparenze del paralogismo; perciocchè se esso
del lavoro intellettuale fa un precetto, donde emergerà
la prova di un tal precetto, se non dal lavoro medesi
mo? Esso ascende, e s'abbassa a traverso la serie degli
esseri; esso dal tempo finisce all'eternità, come dal seno
dell' eternità argomenta le cose del tempo. Accetta a
priori il dogma della vita futura, e formane il perno
di tutto intero cotesto studio che dedur dovrebbe a
posteriori. Pertanto in origine il concetto di Dante ha
circolo ma non vizioso : un circolo pari a tutte le ori
gini: in logica, pari a quello della certezza; in morale.
(i) Gravina, Ragion poetica , lib. II, i, i3.
CAPITOLO I. 89
a quello dei doveri; in politica, a quello del potere; iu
letteratura, a quello della parola; perciocché io tutte le
origini si riscontra quello che è il principio e il fine ,
l'alfa e l'omega, il circolo di cui il centro è dovunque
e la circonferenza in niuua parte apparisce.
CAPITOLO II.
IL MALE
Sul punto di entrare nella regione del male, l'anima si
sente compresa da terrore; ella sta in forse all'idea della
sua fralezza. Comprende tutto ciò che v' ha di tristo o di
pauroso in questa iniziazione ai misteri dell'umana per
versità , e che gli è un privilegio e una prova che la
fede ha riserbato a coloro cui un grande e raro desti
no attende (i). Ella sostarebbe adunque, se due rifles
sioni non la soccorressero, ricordandole l'impossibilità
di uscire dai propri! traviamenti , se 1' uscita non è al
trimenti che per questa via, e l'assistenza divina assi
curata all'esecuzione di un disegno divinamente inspira
to (2). Egli è per coloro i quali , già morti alla verità
e alla giustizia, avvicinano questa scienza del male e
scendono ne' suoi abissi , strascinati da una colpevole a-
vidità; egli è per costoro solamente, che sta scritto sulla
porta in negri caratteri: » Lasciate ogni speranza, voi,
che 'ntrate » (3).
11 male non è solamente la lontananza del bene; egli -
ne è la privazione. 11 bene è la perfezione. La perfezio
ne assoluta è l'essere portato alla sua più sublime po
tenza; è Dio. Dio chiama le creature ad avvicinarsi a
lui secondo le diverse proporzioni , e secondo la diver
sità stessa delle tendenze che loro ha compartito : cioè
la misura delle loro relative perfezioni. La loro resistenza
a questa divina chiamata, il divagamento delle loro na-
(1) Inferno, II, 4-
(a) Ibid. I, 38. Purgai. I, ai; XXX, 46. — Cf. Virgil. Mntid.
VI, .3o.
(3) Inferno, III, 3.
PARTE II. CAPITOLO II. ni
turali tendenze, è ciò che costituisce !a loro perversità.
Questo fatto, facile a conoscersi nell'uomo considerato
per sè stesso, si presenta sopra una scala più grande
nella storia delle società ; cresce ancora riproducendosi
fuori delle condizioni della vita terrestre, e da ultimo si
riassume in maniera suprema in esseri più che umani.
I.
i.Come la verità è il bene supremo dell' intelligenza (1),
il male intellettuale è 1? ignoranza e I' errore. L'ignoranza
e l'errore variano come le loro cause, e queste o sono
dentro l'uomo, o fuori di lui.
La prima classe si parte in quattro categorie. Innanzi
tratto avvi i difetti della persona , dei quali è forza di
stinguere due specie : i disordini dell'organismo che pro
vengono dalle sorgenti misteriose della generazione ; e
le alterazioni del cervello, determinale da fatti acciden
tali. .Quindi la mulolezza e la sordità, la frenesia e l'a
lienazione mentale (2). Vengono appresso le infermità
native e universali dell'anima: debolezza de' sensi , de
bolezza della ragione. Se la testimonianza della vista o
dell' udito sulle qualità sensibili che sono di loro spet
tanza, alcuna volta inganna, le moltiplici sensazioni che
un solo oggetto fa nascere , clie conviene assembrare ,
non mai con felice armonia si veggono associate (3). 01-
trecciò la sfera de' sensi è ristretta , e se la ragione vi
(1) Infernoj III, 6.
(2) Convitoj 1 , 1 : Veramente da questa nobilissima perfezione,
molti sono privati per molte cagioni che dentro dall'uomo, e di
fuori da esso, lui rimuovono dall'abito di scienzia, ec. Ibid. IV, i5.
(3) Convito, IV, 8: Conciosiacosachè '1 sensuale parere, se
condo la più gente, sia molte volte falsissimo, massimamente nelli
sensibili communi , là dove il senso spesse volte è ingannato. —
Purgai. XXIX, 16:
. . l'obietto commun, che '1 senso inganna.
Cf. Aristot. De animdj II, 6.
g» PARTE II.
si rinchiude, ha ben corte le ali. Ma ancor che prenda
tutto il suo volo, ella arriva a tali confini cui le è con
teso di valicare: al termine del suo faticoso cammino
essa vede a sé dinanzi schiudersi l'interminata strada de'
misteri che monta e si sublima all'altezza di tutti i cieli (1).
— Avvi altre maniere d'infermità men generali, ma più
gravi perchè volontarie: la millanteria, la pusillanimità,
la volubilità. La jattanza fa che molti presumano delle
loro forze , fino a prendere i loro concetti personali per
misura di tutte le cose; sdegnino d'apprendere, d'a
scoltare, d'interrogare; sognino sogni sublimi senza dor
mire, e vadano filosofando per sentieri pericolosi che
ciascuno a suo talento si schiude, fuggendo compagnia
per essere dimostri a dito (2). Soltanto per la ragione
della pusillanimità un gran numero reputa la scienza al
di là dalle forze dell'uomo: incapaci di cercarla persè
stessi, incuriosi delle ricerche altrui , pertinaci nella pro
pria inerzia non altrimenti che animali ombrosi, e dispe
rando della verità, si avvolgono nel materialismo di una
vita grossolana (3). La leggerezza tragge seco quelle ima
(1) Paradiso, II, 19:
dietro a' sensi
Vedi che la ragione ha corte P ali.
Purgai. XXXIII, 3o:
E veggi vostra via dalla divina
Disiar rotanto , quauto si discorda
Da terra 'I ciel che più alto festina.
(2) Convito, IV, i5: Secondo la malizia dell'anima tre orribili
infennitadi nella mente degli uomini ho vedute, ec. — Cf. Ugone
da S. Vittore , Eruditianis didascalica , lib. V, 9.
Paradiso, XXIX, 28., 29:
.... laggiù non dormendo si sogna ....
Voi non aodate giù per un sentiero
Filosofando ; tanto vi trasporta
L'amor cicli ' apparenza e '1 suo pensiero.
Cf. S. Tomaso , Cantra geni. 1,5.
(3) Convito, ivi; Inferno, II, i5.
CAPITOLO II. 03
ginazioni troppo facili che soverchiano i limiti della lo
gica, conchiudono innanzi d'aver ragionato, passano ce-
leremente da una conclusione all'altra, negano od affer
mano senza distinzione, e si avvisano d'avere acutezza,
perciocché sono superficiali (i). Se infine vogliamo pe
netrare addentro l'umana corruzione, troviamo i vizj del
cuore avversi ai buoni pensamenti; vediamo inverecondi
diletti i quali seducono per modo l'anima che questa re
puti vile ciò che non procuri dilettazioni di quella natura:
vediamo l'intelligenza stretta nei lacci del senso levatosi
a ribellione (a).
La seconda classe degli impedimenti esteriori può di
vidersi in due distinte categorie. — Bisogna prima far
conto delle necessità della vita domestica e civile, della
difficolta de' tempi e de'. luoghi, del difello de' mezzi
per lo studio, dei consigli e degli esempj : delle opinioni
volgari (3). Ma al di là di tali circostanze a così dire
materiali , e facili a riconoscere , le quali ci velano la ve
rità , stanno ascosi altri avversarj , perfidi , inarrivabili ;
spiriti gelosi di una scienza per essi perduta , invidiosi
di dividere con altri le tenebre loro. L'azione di quelle
forze straniere e malvagie sola spiega que' fatti involon-
tarj, inevitabili, che sembrano fuori della providenza ,
avendo sempre con sé alcun che di funesto, e che ten
tazioni si dicono. La tentazione nell'ordine logico assume
(1) Convitoj ivi; Paradiso, XIII, 39 :
Che quegli è Ira gli stolli bene abbasso,
Che senza distinzione afferma o niega.
(2) Convito, I, 1: L'anima si fa seguitatrice di viziose diletta
zioni , nelle quali riceve tanto inganno che per quelh; ogni cosa
tiene a vile. — Cf. S. Bonaventura, Compendìum theologiae , III ,
5. — S. Tomaso, 1. 2. q. 85, art. 3.
(3) Convito, ivi; IV, 8. Paradiso, XIII, 4o:
più volte piega
L'opinion corrente in falsa parte.
94 PARTE II.
due forme. Ora nelle investigazioni che noi facciamo del
vero, suscita fantasmi che ce ne chiudono il cammino,
e sveglia timori , tristezze senza ragione e un doloroso
scoraggimento che ritraendoci sui nostri passi ci porte
rebbe di nuovo nel bujo vergognoso dell'ignoranza. Ora
se uon le è dato di spegnere il desiderio che abbiamo di
sapere, s'attenta di fuorviarlo con menzognere appa
renze, ci avvia là dove al termine troviamo l'errore (i).
«Ora la fine di queste malattie diverse dell'intelletto
è la morte; perciocché la vita è il modo d'esistere de
gli esseri viventi; vegetativo nelle piante, sensitivo negli
animali, essenzialmente razionale nell'uomo. E siccome
le cose pigliano nome da ciò che elleno hanno di essen
ziale, vivere per l'uomo è ragionare; e dipartirsi dall'uso
legittimo della ragione è morire (2). » E se alcuno dice:
i< come è morto e va? — Bisogua rispondere che è morto
uomo ed è rimaso bestia » (3;.
2. La perfezione della volontà consiste nella virtù. Il
male morale è dunque il vizio, che è la disposizione della
nostra volontà contraria a quella divina.
(1) Inferno, ViII, 28; XXIII, 4?. Al canto IX (terz. 18) le furie
minacciano Dante dell'apparizione di Medusa; ed egli stesso ci
avvisa del senso allegorico che dà a questo mito (terz. 21). Gia-
copo di Dante compiè il pensiero di suo padre spiegando nel com
mento inedito le tre Gorgoni per tre sorte di paure, l' ultima
delle quali, la più terribile, rappresentata da Medusa, pel ri fica
in qualche modo le facoltà dell'anima, e le colpisce talvolta di
una eterna immobilità. — Del resto, questo passo offre una certa
reminiscenza della Nechmanzfa dell' Odissea, lib XI , v. 633.
(2) Convito, IV, 7: E perciocché vivere è per molti modi ; e
le cose si deono denominare dalla più nobile parte ; manifesto è
che vivere negli animali è sentire.... Vivere nell'uomo è ragione
usare. Dunque se vivere è l'essere dell'uomo, e così da quella
uso partire è partire da essere , e cosi è essere morto.
(3) Ibid. ivi; II, 8: asino vive.
CAPITOLO H. o5
Il Cielo non sopporta tre disposizioni : incontinenza, ma
lizia e bestialità (r). Sotto l'incontinenza stanno la lus
suria e la gola, che fanno la ragione serva agli appetiti
della carne ; l'avarizia e la prodigalità provenienti dall'uso
sregolato dei beni temporali; la collera e l'abbattimento
colpevole, che snerva l'anima e la costringe ad una ver
gognosa inazione. La malizia è ancora più esosa, percioc
ché ha per iscopo l'ingiustizia, e per mezzi la violenza
e la frode. Contro tre sorta di persone, ed in due mo
di, la violenza può esercitarsi: contro Dio, sè stesso ed
il prossimo ; attaccandoli o nella loro esistenza o nelle
cose a loro pertinenti (a). La violenza contro il prossimo
è omicidio o ladroneccio ; quella vòlta contro sè stesso
è suicidio o dissipazione ; 1' altra controDio sta nella be
stemmia, che è un deicidio morale, nelle azioni lubriche
oltraggiane la natura , infine uell' usura che importa il
disprezzo dell' industria figlia della natura , come la
natura è figlia di Dio (3). La frode, anche più rea per.
(1) Inferno^ XI, 27, 28 :
Non ti rimembra di quelle parole , *'
Colle quai la Ina Euca pertratta
Le tre disposizion' che 'I Ciel non vuole,
Incontinenza , malizia e la matia
Beitialitade ? •
Cf. Aristot. Edi. lib. VII, cap. 1.
(2) Inferno, XI, 8, 11:
D'ogni malizia, ch'odio in cielo acquista,
Ingiuria è il fine , ed ogni fin cotale
O con forza o con frode altrui contrista ...
A Dio, a sè, al prossimo si puone
Far forza, dico iu loro e in le lor' cose ....
Cf. Cicerone, de Officiis, 1, 12. — S. Bonaventura, Compen-
dium, III, 6.
(3) Inferno, XI, 33, 34 =
Filosofia, mi disse, a cui la intende,
Nota non pure in una sola parte,
Come natura lo suo corso prende
Dal divino intelletto e da sua arte, ec.
Cf. Arist. Phys. 1.
g6 parte ir.
che niun'altra creatura ne dà l'esempio all'uomo, può
adoperarsi contro coloro che a noi sono stretti o pel
.vincolo generale dell' umanità, o per quello più forte
della parentela, della patria, del benefizio, della legale
subordinazione; giunta così la frode al grado più abo
minevole, è detta tradimento. — Finalmente abbiamo
veduto che l'uomo, abdicando la sua ragione, discende
nella classe dei bruti. E non è forse abdicare il rinunciare
all'impero di sé medesimo per essere schiavi delle pas
sioni? Siccome fuori de' limiti ordinar) dell'umana na
tura ci ha un punto sublime, dove la virtù diventa eroi
smo, cosi uno infimo ci ha dove il vizio diventa bestialità.
Tale è il significato della favola di Circe sì celebre nel
l'antica poesia. Ma quelPincantatrice, fatta invisibile, non ha
lasciato d'essere presente, o, per lo meno ella continua con
altre sembianze le sue magiche trasformazioni. Le basse
e malvagie tendenze degli animali si svolgono sotto fi
gure, dietio cui pare debba trovarsi un animo che pen
sa : ned è bisogno penetrare bene addentro i costumi
dei popoli , perché si ravvisino questi tipi schifosi : le im
monde abitudini del porco, la rabbia facile del cane,
la perfidia della volpe (i).
Abbiamo una nuova e più savia divisione degli effetti
del vizio quando si risalga alle cause. L'amore, princi
pio necessario d'ogni attività, può errare o nel st*o og
getto , dirigendosi al male ; o nell' eccesso o vero nella
insufficienza della sua forza, rimanendo tuttavia diretto
verso il bene. Siccome l'amore non lascerebbe di tendere
alla conservazione dell'essere in cui ha sede, così ninno
(1) Purgatorio, XIV, 4:
Onda banno sì mutata lor natura
Gli ul11tato11 della misera valle,
Che liur che Circe gli avesse in pastura.
Cf. Ciccr. de Ofjiciis, 1, l2. — SoprattuUi Boezio, de Conto-
lattone, lib. I V, pros. 3. — Riccardo da S. Vittore, de Eruditione
interioris nomina, lib. III, cap. 2.
CAPITOLO 11. 97
può odiare sè stesso; e niuno essere potendosi concepire
affatto disgiunto dall' essenza eterna donde tutto emana,
l'odio di Dio è per buona ventura cosa impossibile. Al
tro male non possiamo amare clie quello del prossimo ,
il qual amore corrotto formasi nel cuore perverso in tre
modi: ora è la speranza di elevarsi, per cui si desidera
che altri si umilii ; ora è la tema di perdere potenza ,
onori e fama, per cui ci contristiamo del buon successo
degli altri; o piuttosto è la ferita lasciata nel fondo del
l'anima da iniqua offesa. Orgoglio, invidia, sdegno, ecco
i tre modi dell'amore del male. — L'amore che presente
in maniera confusa l' esistenza di un bene verace nel
quale esso avrebbe riposo, si sforza di ottenerlo; ora,
se lo sforzo non basta^ ha nome di ignavia. — Ci ha
infine altri beni che non formano la felicità: ricchezze,
piaceri sensuali, godimenti che coprono di vergogna la
fronte. L'amore che ciecamente vi si dà diviene colpe
vole; e allora è avarizia, gola e lussuria. Ma discendendo
questi peccati capitali dallo stesso principio 3 traggono
seco, per ragione di funesta genealogia, la moltitudine
dei peccati secondarj (i).
(i) Purgatorio, XVII, 3a, 38, 43, 44, 45, 46:
( Z' amore*) puote errar per male obietto,
O per troppo o per poco di vigore.
4 '] mal che s'ami è del prossimo, ed esso
Amor nasce in tre modi in vostro limo ...
Ciascun confusamente un bene apprende ,
Nel qual si quieti P animo, e desira ...
Se lento amore in lui veder vi tira ,
O a lui acquistar, questa cornice
Dopo giusto pentir ve ne inariira.
Altro ben è che non fa Puom felice ...
I/amor, eh' ad esso troppo abbandona 4
Di sovra noi si piange per tre cerchi.
Questa classificazione dei peccati capitali , diversa da quella
communemente ricevuta, e da quella pure di san Tomaso, p. 2.
q. 84, art. 7, trovasi presso san Bonaventura, Compendium^Jll,
i4- — Ugone da S. Vittore, Allegoriae in Matthaeum, 3, 4, 5. —
S. Gregorio, Moraliunì, XXXI, 3 1; e con piccola differenza, Cas-
siano, de Institut. caenob. lib. I, cap. i.
OzAkam. Dante. 9
99 PARTE II.
Ma l'amore, anche nelU pienezza della sua libertà, ha
un primo moto che non gli appartiene, il quale, se non
è virtuoso, dicesi concupiscenza; tre ne sono le sorta:
la concupiscenza dei sensi, o la voluttà ; quella dello
spirito, o l'ambizione; e l'ultima, partecipante dell' una
e dell'altra, perciocché ha per oggetto i mezzi di soddis
farla, la cupidigia. Ecco i tre mostri minacciosi che l'uo
mo incontra quanto più avanza il piede nella selva della
vita. La voluttà, simile alla pantera lieve e lasciva, che
di contioovo seduce gli sguardi quando una volta a sé
li trasse; l'ambizione, che può raffrontarsi col superbo
leone; la cupidigia, somigliante alla lupa , che nella sua
magrezza accusa i desiderj insaziabili; e che ha un nu
mero maggiore di vittime. Ma tali fiere spaventevoli non
hanno origine nel mondo, dove menano tanto guasto;
figlie dell' inferno, l'invidia ne schiuse loro le porte (i);
o, per parlare un linguaggio più rigoroso, la concupiscen
za è pure uno di que' fatti impersonali, universali, co
stanti , la cui presenza rivela una straniera podestà; che
si esercita inegualmente, prima come semplice inspira
zione, contro cui è facile cosa resistere; poi come pre
occupazione dominante, quando la volontà vi si diede
all' intutto. Trascinata questa volontà negli ultimi abissi
del vizio, pare che ivi la colga la morte; innanzi cioè
che la vita fìsica abbia compiuto l'ultima ora, manca la
vita morale; e l'anima è già chiusa nel carcere inferna
le, a cui venne dannata. Quindi il suo corpo è come
in possesso di altra anima, di altra vita , d'altra volontà
satanica. Né solo è la morte , è una condanna antici-
(1) Inferno, I, 17, 37:
Ed una lupa , che di tutte brame
Seminava carca, nella sja magrezza,
E molte geuti fe' già viver grame.
•,• • • nello 'nferua
Là oode invidia prima dipartilla.
Vedi pure Parad. XX, 1,
CAPITOLO II. 99
pata; in luogo dell'uomo non è più un animale che ri
mane, è un demonio (i).
II.
La moltiplicazione del1' individuo nello spazio forma
la società, e lo svolgimento della società nel tempo, è
l'oggetto della storia. Pertanto gli stessi fatti che si stu
diano dal lato psicologico, devono trovarsi da quello
storico, ma in più vaste proporzioni. Il male dell'intel
letto e quello della volontà, l'errore ed il vizio vi pre
sero forma V uno nelle dottrine filosofiche e religiose ,
l'altro nel governo temporale e spirituale delle nazioni.
i. I traviamenti del genere umano han principio al
suo uscire dalla culla , e nel turbamento svegliato in
esso dal peccato del primo padre. Allora l'uomo ca
duto dal bene di parlare quaggiù al cospetto di Dio,
cercò Dio negli astri del firmamento, dei quali risentici
la influenza mentre ne ammirava lo splendore. Perciò i
nomi di Giove e di Mercurio, di Marie e di Venere,
furono salutati con voti e sacrifizj. Ecco P origine della
idolatria, il primo errore dei primi popoli (2). Poi il
(1) Purgatorio, XIV, 4q:
l'amo
DelPantico avversario a sè vi tira.
Inferno, XXXIII, 43 , M :
.... Tosto che Pan-ima trade
Come fec' io, il corpo suo Pi tolto
Da un dimonio, fin' poscia il governa.
Cf. S. Tomaso, p. 2. q. 1 14 3 a» 1 , — S. Bonaventura, Serm,
in feriam IV Pentecoste*.
(2) Paradiso, ÌV, ai; Vili, I, i3 3:
Questo principio male inteso torse
Già tutto '1 mondo quasi ' sì che Giove f
Mercurio e Marie a nominar trascorse.
Solca creder lo mondo in suo perirlo
Che la Leila Ciprigna il folle amore
Raggiasse, volta nel Lerao epiciclo;
iob PARTE H.
bisogno della .verità prese alcuni nobili intelletti. Dopo
i sette famosi della Grecia che ricevettero il titolo di sa
pienti; ci avveniamo in un altro che, penelrato vieppiù
del sentimento dell'umana debolezza, si fa chiamare /Imi-
co dulia Sapienza. Si formano le scuole, sorge la filoso
fia (i). Né questi conati sono senza effetto, ma vani di
nanzi alle questioni che maggiormente importava risol
vere , non sanno varcarle. La ragione suprema attende
per rivelarsi V avvenimento del Figlio di Maria (a). Dio,
disconosciuto dalla maggior parte , non ha gli ouia°gi
che gli sono dovuti nemmen da coloro a cui si lascia
tanto o quanto vedere (3). Mentre le scuole cosi giac
ciono avvolte nelle tenebre , molti si circondano di al
tre tenebre loro proprie. Lungo sarebbe far menzione
de' loro traviamenti : da Parmenide e da' suoi superbi
eleatici che si gettano nella profondità del ragiona
mento senza conoscere dove diano di capo , fino ad
Epicuro e a' suoi seguaci , che insieme col corpo vo
gliono morto lo spirito (4); da Pitagora, che fa discen-
Perche non pure a lei faccr.no onore
Di sacrifici e di votivo grido
Le genti antiche nell'antico errore)
Ma Dione onoravano e Cupido ....
(i) Convito, t. HI, ti.
(a) Purgatorio, HI, i3:
State contenti, umana gente, al quia)
Che se potuto aveste veder tutto
Mestier non era partorir Maria:
E disfar vedeste senza frutto
Tai , che sarebbe lor disio quetato,
Ch 1eternamente è dato lor per lutto.
Io dico d'Aristotele e dì Plato,
E di molti altri:
(3) Inferno, IV, i3, 43. Purgai. VII, 9.
(4) Inferno, X, 5:
Con Epicuro tutti i suoi seguaci ,
Che l'anima col corpo morta fanno.
Ibid. XII, 14. Paraci. XIII, 4a:
Parmenide, Melisso, Brisso e molti
1 quali andàio e non sapevan davo.
CAPITOLO II. ,0,
dere le anime traverso tutti i gradi della creazione , sino
a Platone, che le vede risalire alle stelle donde emana
rono (i). Né il mondo moderno volle lasciare all'antico
il tristo privilegio di credere ed insegnare il falso. Questo
ha la sua espressione teologica nell'eresia, e la sua espres
sione razionale in numerosi sistemi. I grandi cittadini delle
republiche cristiane, i Sovrani del santo Imperio e i car
dinali stessi che ne erano i consiglieri, professarono empie
dottrine (2). La moltitudine, abbandonando lo studio delle
arti, dette liberali perciocché il loro culto è senza inte
resse, sordida ed ignorante si affolla alle lezioni de' legali ,
o de' medici, che le additano il cammino della fortuna (3).
La Scrittura ed i Padri giacciono involti nella loro pol
vere. La favola, la speculazione audace, s'insinuano per
fino sulla sacra cattedra, ed ambiscono la mercede di
una stupida maraviglia o di un riso sacrilego da un
uditorio degno soltanto di loro (4).
1. Ma per quanto dolorosi sieuo, allo sguardo del
poeta filosofo, i traviamenti della ragione publica, con
una specie di consolazione ne trova almeno una causa
nella fragilità della natura decaduta ; e riserva la tri
stezza e lo sdegno per deplorare la corruzione de' co
stumi, di cui vide la origine nella corruzione delle leggi
e delle podestà. Osserva i pastori de' popoli condurre la
greggia a pascoli grossolani, dove essa dimentica la giu
stizia onde era ghiotta (5). Conta Io scarso numero di
(1) Convito, IV, 21, farad. IV, 8:
Ancor di dubitar ti da cagione
Parer tornarsi l'anime alle stelle ,
Secondo la sentenza di Platone.
(2) Inferno, X, 8, 4°.
(3) Convito, IV, 1i. Parad. IX, 1, 5; XI, a; XII, 28.
li) Parad. XXIX, 28.
(5) Purgatorio, XVI, 34.
9*
IM PARTE II.
buoni re, e i tumulti delle città democratiche, le stragi
intestine, e il sangue versato a torrenti (i). E come se
la sua parola messa a disfida fosse vinta da sì funesti
spettacoli , usurpa il linguaggio dei profeti dell' uno e
dell'altro Testamento. — Il governo delle nazioni, con
siderato nelle successive sue modificazioni, è somigliante
alla visione di Daniele. E la statua gigantesca di un ve
gliardo colla testa d'oro, il petto e le braccia d'argen
to , il busto di rame , le gambe di ferro , i piedi di
creta. Rizzato su' pie' in un antro del monte Ida, volge
il dorso all'Egitto e guarda Roma. Ciascuna delle parti
onde è composto ha una fessura donde gocciano la
grime , le quali insieme aprendosi un varco traverso
i lati dell'antro, formano nell'interno della terra i quat
tro fiumi infernali. La statua è la Monarchia, tal quale
cattivi principi l' hanno fatta : l' Egitto è la imagine
delle istituzioni del passato, Roma è il tipo de' nuovi
tempi. La successione de' metalli raffigura quella degli
imperi, delle forme politiche, delle età che vanno dege
nerando. Le ferite del corpo sociale sono veramente sor
genti di delitti e di dolori, onde si riempie l'inferno (2).
(1) Inferno, XII, 36.
(2) Inferno, XIV, 3a, 35, 36:
In mezzo 'I mar siede un paese guasta...
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio
Che tien vòlte le spalle in vèr Damista,
E Roma guarda sì , come suo speglio.
La sua testa è di fin' oro formata ...
La spiegazione che noi diamo di questa allegoria fu proposta
dal Costa nel suo Commento della Divina Comedia. Abbiamo pen
sato di ammetterla , quando trovammo il sogno di Nabuccodc-
nosor spipgato in modo quasi identico da Riccardo da S. Vittore,
de Erudii, int. hom. lib. I , cap. i. Ed ogni dubbio disparve trovato
nel Commento manoscritto di Jacopo da Dante quanto segue:
« Da considerare è che questo vecchio significa e figura tutta
l'etadc e '1 corso del mondo, e tutto lo 'mperio e la vita degl'ina
% CAPITOLO ». io3
Né la decadenza religiosa ci si offre sotto aspetto meno
funesto. La Corte romana è fatta somigliante alla donna
veduta dal Profeta evangelista , seduta in riva alle acque
che si prostituisce ai re. Il pontefice, suo sposo, fedele
altrevolte alle norme della virtù, seppe contenere la be
stia dalle sette teste e dalle dieci corna, il peccato che
oggidì non ha freno (i). L'oro e l'argento sono eretti
in idoli a cui non mancano sacerdoti. Le chiavi apo
stoliche si tramutarono in armi ; e le si videro sopra
stendardi che combattevano contro credenti. Oggidì la
guerra si fa coli' allontanare dai popoli cristiani il pane
spirituale che il Padre celeste ha preparato per tutti (i).
Ma chi s'aecuora per questi scandali, aspetti l'ora della
previdenza, che vi deve por fine. Lo scisma strazia e non
sana ; e si preparano eterni rimorsi quanti mai profittano
delle tenebre onde pur troppo si oscura la Chiesa, per
seminare nel campo di essa la zizzania (3). Ma la depra
vazione delle due potenze ecclesiastica e secolare è meno
pericolosa che la loro unione. Il pastorale e la spada si
giunsero in mani violente , onde per viva forza il reci-
peratori e de' principi dal cominciamento del regno di Saturno
infino a questi tempi ... Vuol l'autore dimostrare come lo 'mpe-
rio essendo tra gli pagani e nelle parti d'Oriente fu transportato
tra gli Greci ... poi fu transportato lo 'mperio dagli Greci nelli
Romani ; e però dice l'autore che questo vecchio volge il dosso
inver Damiata la quale è in Oriente, e guata Roma cioè verso
Occidente ».
(1) Infèrno, XIX, 36:
Di voi, pastor', s'accorse il Vangelista.
Dallo stesso Costa togliamo la spiegazione di questo luogo dif
ficile. — Cf. Riccardo da S. Vittore , sup. Apocalyps.
(?) Inferno, XIX, 38. Paradiso, IX, 44; XVII, i5; XXVIII, 4i.
(3) Inferno, XXVIII, ta. Vedi una completa spiegazione che
temprerà l'amarezza de' precedenti rimproveri nella III parte,
rap. 5.
I04 PARTE U.
proco rispetto ne va perduto (i). Se 1'erdine è il supremo
bene della società, la confusione, il trasordine è per essa
F ultima espressione del male.
III.
Sino a questo punto il male si appalesò in modo im
perfetto , limitato nell'uomo per la libertà che mai non
s'estingue all'intuito, nella società per le proteste sem
pre vive della publica coscienza. Ora dobbiamo vederlo
libero dagli impedimenti posti dal possibile ritorno e
dalla simultanea presenza del bene ; vederlo universale
ed immutabile. La città dei malvagi , invisibile in que
sto mondo, dove si mischia con quella di Dio, si fa
visibile nel mondo de' mot ti.
i. La tradizione popolare, forse inspirata dai fenomeni
vulcanici, ha posto l'inferno nelle viscere del globo ter
restre. L'antica scienza rappresentava questo luogo come
il più basso dell'universo e il più lontano dall'Empireo;
egli era naturale che vi si relegassero le anime allon
tanate per sempre dal soggiorno di Dio per la ragione
del peccato (2). Tuttavolta V inferno conserva i segni
deWImmensità divina. Il potere, la sapienza e l'amore
lo prepararono sin dal principio; diciamo l'amore, per
ciocchè è giusto che eterni dolori sieno la parte di quelli
che posero in non cale l'amore eterno! (3)
(1) Purgatorio, XVI, 37, 38:
è giunta la spada
Col pastorale; e l'uno e Paltro insieme
Per viva forza mal convien che vada ;
Perocché, giunti, Tuo l'altro non teme.
(2) Inferno, passim. — Questa opinione fu pur quella del medio
evo. — Cf. Ugone da S. Vittore , Erudit. didascal. 1,3. — S. Bo
naventura, Compendium Theologiae , VII , 2 1 .
(3) Inferno, III, 2 :
Giustizia mosse it mio alto fattore :
Fecemi la divina potestate,
La somma saplenia e il primo amore.
CAPITOLO 11. I03
Se l'inferno è un compimento dell'opera di riprova
zione, lo schizzo della quale è già tracciato sulla terra,
communi devono essere i tratti principali, e convenienti
le stesse divisioni. I reprobi dell' altra vita si colloche
ranno quindi nelle medesime categorie dove stanno ì
peccatori di questa. L'abisso ha nove cerchi di profon
dità che si ristringono mano mano che si discende. Il
primo accoglie nella sua larga circonferenza gli uomini
che mai non furono vivi , che passarono quaggiù senza
infamia e senza lode, indifferenti tra Dio ed i nemici
di lui , che vissero solo per sé. Sotto di essi si stipa
la folla di quelli che vissero incolpati privi della luce
del cristianesimo , ma che non ebbero o la cognizione
della verità, o il coraggio di servirla. La mancanza di
un bene infinito, acuì anelano senza speranza, getta un
velo di tristezza sul loro destino , che del resto non è
né senza consolazione, né senza onore. I quattro cerchi
seguenti racchiudono le vittime della incontinenza ; sui
confini della incontinenza e della malizia é castigata l'e
resia, che partecipa dell'una e dell'altra. Il settimo cer
chio, suddiviso in tre zone, raccoglie i violenti. L'ottavo
ha dieci fosse larghe, dove è punita la frode. Nell'ul
timo gemono i traditori (i).
a. In tale spazio progrediscono le pene fisiche, intellet
tuali, morali. Il dolore, ingenerato dal peccato, ritiene il
suo carattere primitivo, e resta un male quando non é
per espiazione. Ma la sofferenza fisica suppone l'esistenza
de' sensi, che sembrano alla loro volta non concepirsi
divisi dai loro organi. Così, prima che la universale ri-
InJtritOj IIl, aa. Paradiso, XV, 4 :
Ben è che sema termine si dogtia
Chi, per amor di cosa che non duri
Eternaiaiente , quelP amor si spoglia.
(i) Inferno, passim; ma sopra tutto XI, 6:
Figliuol mio, dentro da cotesti sassi ....
io6 PARTE IL
surrezione abbia ridonato ai reprobi la carne, nella qua
le si contaminarono altre volte, ricevono altri corpi ;
ombre se le paragoniamo alle membra vive alle quali
sono sostituite, e pure visibili realtà' che non rimovono
gli oggetti che incontrano , e che tolgono la vista di
quelli innanzi ai quali si collocano: vanità per sè stessi ,
rea capaci di tormenti. Talvolta perdono essi la forma
umana per vestirne altre più funeste , strisciano sotto
figure di serpenti , si ramificano sotto una corteccia in
gannatrice, si aggirano in vortici di fiamme (i). D'allora
quanto vi ha di più terribile nella natura, quanto di più,
spaventoso potè creare la imaginazione degli uomini .
quanto dovette riservarsi di indicibili pene la vendetta
divina, si riunisce per formare i supplizj , ciascuno de'
quali rappresenta, simbolo infernale, il vizio corrispon
dente. Queste pene cresceranno quando le tombe dis
chiuse avranno ridonato i morti ad una vita senza fine;
perciocchè quanto più completo è un essere, più compiu
tamente si esercitano le sue funzioni; e quanto più stretta
è l'unione dell'anima e del corpo, più viva si fa la sen
sibilità che ne deriva (2).
(1) Inferno, VI, 6, 12; XII, 27; XVII, 3aj XIX, l5, 43>
XXIII, i35 XXIV, 8; XXXII, 26, ec. :
Graffia gli spirti, gli scuoia ed isqitatra
ponevam le piante
Sopra lor vanita che par persona ...
Disse ai compagni : Siete voi accorti
Che quel di retro move ciò ch'ei tocca?
Così non so^'ion Tire i pie' dei morti.
Con le bneria m'avvinse e mi sostenne.
passeggiando tra le teste
Forte percossi il pie nel viso ad una ...
S. Agostino (de Civit. Deij XXI, io) pare che dubiti se i dan
nati abbiano corpo.
(2) Inferno, VI, 36: .
Ritorna a tua frfénza ,
Che vuol, quanto la cosa è più pcrfelta,
Più senta il Itene e cosi \* doglierwa.
Questa massima è tolta da S. Agostino, che la prese in Aristotile.
CAPITOLO ti. 10J
« Ora, come esprimere le pene degli intelletti ? Rimane1
loro la memoria del passato; ma la memoria del delitto
senza il pentimento è un tormento di più (t). Stranieri al
presente quantunque si scopra a' loro sguardi l'avvenire;
somiglianti a que' vecchi la cui vista indebolita discerne'
le cose lontane, le quali più si avvicinano, tanto più gli
diventano oscure. Ma questa profetica chiarità, solo ri
flesso che arriva insino ad essi della luce eterna, si ec-
clisserà quando, consumati i tempi, si chiuderanno le
porte dell' avvenire. Allora ogni conoscenza in eisi sarà
spenta (2). Quelle stesse idee che qui durano ancora
sono confuse , tenebrose, né punto al livello della scien
za , e meno a quello della filosofia, la quale è formata
dall' amore , e I' amore vi è estinto. Pertanto gli spiriti
dell' inferno sono privi della contemplazione di sì bella
cosa, che è beatiludine dell'intelletto, la cui privazione
è amarissima e piena di ogni tristezza (3).
La mancanza dell' amore è I' ultimo supplizio delle
voloutà colpevoli. Quindi quell'odio reciproco per cui a
vicenda si maledicono (4), quell' odio contro sé stesse
(1) Inferno, X, 16, 26; XV, 19, ec. -*. Cf. S. Tomaso, Summa
theol. p. i. q. 89, art. 6.
(2) Inferno, VI, 225 XV, ai; XXVIII, 26; X, 33, 34:
E' par che voi vegliate , se ben' otto ,
Dinanzi quel che il tempo seco adduce,
E nel presunte tende alno modo.
Noi veggiam , come quei e' ha mala luce,
Le cose, disse, che ne snn lontano;
Cotanto ancor ne splende il sommo Duce.
Cf. S. Tomaso, he. cit. art. 8.
(3) Convito, III, i3 : Le intelligenzie che sono in esilio della
superila patria filosofare non possono; perocché amore in toro è
del tutto spento , e a filosofare è necessario amore ; per che si vede
che dello aspetto di questa bellissima sono private;e perocché essa
è beatitudine dello 'ntelletto , la sua privazione é amarissima e
piena d' ogni tristizia.
(4) Inferno, passim.
,o8 PARTE II.
die le incita e le precipita contro i tormenti (i), quel
la odio contro Dio disfidato nel mezzo delle loro pe
ne (2). Quindi le bestemmie contro il Creatore , contro
il genere umano, il luogo, il tempo, i parenti; quel
desiderio del nulla , che non mai sarà soddisfatto (3).
Agitati ancora dalle passioni che ebbero al mondo, avidi
ancora di lodi, di voluttà' e di vendette, non cessano
di meritare e soffrire castighi interminati (4), dolori in
finiti nella durata e nella intensità, perché tutti ingenerati
dalla perdita del bene supremo, ossia di Dio.
IV.
Negli errori e nella iniquità della vita abbiamo rav
visato l'origine delle pene dopo la morte. Il male si é
appalesato quando causa e quando effetto, sotto la for
ma e volontaria e penale. Oltre questa alternativa della
morte e della vita v1 ha degli esseri in cui si cougiun-
gono più strettamente la causa e l'effetto, la malizia e
la pena, che dominano la umanità colpevole pel lor di
ritto d' anzianità nella colpa ; provocatori di delitti in
questo mondo, esecutori di pene nell'altro, tipi completi
della perversità, insomma i demonj.
Pare che, caduti dall'altezza del mondo spirituale dove
avevano il primo posto, questi angeli decaduti abbiano
subito vergognosamente una trasformazione materiale, e
abbiano del pari ricevuto forme corporee (5) ; nel men
tre che loro si concede un impero quasi supremo sulla
natura. Ad essi sono soggette le tempeste, i fulmini, e
(1) Inferno, III, 40>
(2) Inferno, XIV, 18; XXV, 1.
(3) Ibid. III, 34.
(4) Ibid. V, 26; XXXI. 26. — Cf. S. Tomaso, 2. 2. q. li, art. 5;
Summa contro gentes, IV, 92, 95.
(5) Inferno, passim. Sopratulto XII, XVII, XXXI. — Cf. S, A-
gostino, De Cullale Dei, IX, cap, 18 ; et Sup. Genesim.
CAPITOLO II. ,09
al loro cenno si raccolgono le acque (1), appagano tal
volta la loro vendetta sulle reliquie de' morti, se l'ani
me ad essi sfuggirono. AI quale intervento soprannaturale
si legano i colpevoli imprendimenti della magia; ma essi
esercitano una azione più generale e più costante sugli
umani destini : la tentazione è 1' opera loro. Noi li ve
demmo tendere insidie lungo l'arduo cammino della
scienza. Li vedemmo aprire alle tre sorta di concupi
scenza le porte dell'inferno. Somiglianti a pescatori che
mai non si stancano, ascondono sotto ingannevole esca
l'amo che attira le volontà ondeggianti (a). Inseguono la
preda fino oltre la tomba, né temono di .contenderla agli
angeli, e di rinovare così le lotte de' primi giorni (3).
Nella punizione sta il loro secondo ufficio. Essi re
gnano sulla gente perduta nei luoghi infernali , a cia
scuno de' quali presiede uno di essi. Così sulla soglia
tra la turba dei disgraziati si scontrano quegli angeli
indifferenti che al tempo della ribellione celeste stettero
neutri (4). Cos1, per una reminiscenza della poesia pa
gana che la teologia cattolica non disconfessava , Ca
ronte , Minosse , Cerbero , Pluto , Flegia , le Furie , i
Centauri, le Arpie, Gerione, Caco, i Giganti , mutati in
demonj, sono fatti guardiani delle bolgie successive (5).
Legioni innumerevoli stanno o ai luoghi elevati della
città dolente , o in diverse parti , e ricevono dilettamento
dallo spettacolo terribile che reciprocamente si danno (6).
Ma queste legioni dipendono da un solo padrone, che
è il primogenito , già il più bello tra gli spiriti , e che
(i) Purgatorio, V, 37. — Cf. S. Tomaso, 1. q. no, art. 3.
(2) Vedi sopra pag. 99.
(3) Inferno, XXVII , 38. Purg. V, 36.
(4) Inferno, III, i3.
(5) Inferno, III, V, VI, ViII, IX, XII, XIII, XVII, XXV, XXXI,
XXXIV. —Cf. Virgil. Mnnid. VI. — S. Tomaso, 2. 2., q. 91.
(6) Inferno, VIII, 28; XXI. — Cf. S. Tomaso, 1. q. 63, art. 9.
Ozakam. Dante. ">
,,o PARTE II.
ora è la pura volontà, che cerca soltanto il male, la
fonte d'ogni dolore, il vecchio nemico della umanità (1).
Trista e bugiarda parodia della divinità, imperatore del
regno dei dolori, egli ha il suo trono di ghiaccio in uo
punto che è il mezzo e il fondo dell' abisso, attorno al
quale stanno in diversi ordini le nove gerarchie de' re
probi; sul quale posa tutto il sistema della iniquità (3).
(i) Inferno, XXXIV, 6.
(2) Purgat. XIV, 49. Inferno, XXXIV, io, i3, i5:
L'imperador del doloroso regno
Da mi.zzo il petto nscia fuor della ghiaccia ...
O quanto parve a me gran maraviglia ,
Quando vidi Ire facce alla sua testa !
L'una dinanzi , e quella era vermiglia ...
E la destra parea tra bianca e gialla 1
La siuistra a vedere era tal, quali
Vengon di là ove 'I Nilo s' avvalla.
In questa ardita imagine che Dante tracciarli Lucifero, dob
biamo notare le tre facce che gli attribuisce e che richiamano
la triplice Ecate dell' antica mitologia. Pure , una più profonda
intenzione pare si riveli nei tre colori che dà a questa triplice
figura, opposti ai tre colori dei cerchj misteriosi dove vedremo
raffigurata la divina Trinità. Il commento di Jacopo da Dante
offre su questo punto una spiegazione simbolica , che nella sua
originalità ci parve degna d' interesse :
« Queste tre facce significano le tre impotenzie che ha Luci
fero, da cui nasce ogni male , e sono contrarie alle tre parti che
ha Iddio. La prima parte che ha Iddio si è prudenzia, per la quale
provede e coordina ogni cosa: contra questa ha Lucifero igno
ranza, cioè che niuna cosa conosce e discerne ; e questo significa
la faccia nera. La seconda parte che ha Iddio si è amore, lo quale
gli fece fare tutto il mondo e reggere e mantenere: contra que
sto ha Lucifero odio e invidia per la quale tutto il mondo cor
rompe a mal fare ; e questo significa la faccia rossa. La terza cosa
che ha Iddio si è la potenzia, colla quale l'eterne cose e tutte
quelle del mondo governa come a lui piace e siccome vuole ra
gione e giustizia : contra questa si ha Lucifero debilezza e impo-
tenzia, cioè che non può fare niente...; e questo significa la faccia
tra bianca e gialla. »
CAPITOLOI!. in
II peccato e il dolore che per le anime sono ciò che è
la gravezza pel corpo , lui hanno precipitato dove è il
centro istesso della terra, a cui tendono tutti i corpi. La
generale gravitazione Io avvolve , pesa sovr' esso, da tutte
parti lo stringe ; il suo delitto fu di voler attirare a sè
tutte le creature; la pena è di essere oppresso sotto il
peso della creazione (1).
(1) Inferno, XXXIV, 2, 7, io, 3o:
E s' io divenni allori travagliato ,
La genta grossa il pensi , che non vede
Qual era il punto cV P avea passato.
Paradisoj XXIX, 19:
colui che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
Cf. S. Bonavent. Compendium, II, a3. — S. Tomaso, 1 . q. 64,
art. 4.
CAPITOLO III.
IL MALE ED IL BEBiE NEL LORO RAVVICIHAMEITTO "
E NBL LOBO CONTRASTO
T •
11 male in tutto il suo orrore, il bene nella piena sua
purezza non potrebbero rivelarsi fuorché nel loro prin
cipio e fine, collocati come sono amendue oltre l'orizonte
del tempo. Ma in questo come sopra un libero terreno si
scontrarono quando opposti e quando commisti. È ne
cessario lo studio delle condizioni e degli effetti di tale
incontro o sia nelle vicende* della vita individuale o so
ciale, o sia nel prolungamento della vita in cui si com
piono efficaci espiazioni, o veramente nella natura, che
è il teatro de' fatti temporali , e che sempre si risente
in qualche modo del loro passaggio.
' I.
1. Qui faremo conoscere l'intima costituzione dell' uo
mo, commune sostanza di tutti i fenomeni funesti o ven
turosi ch'esso presenta, condizione necessaria di tutti i
problemi che possono a lui riguardare. Né qui e' è dato
retrocedere innanzi a qualsiasi segreto, né della genera
zione, né dell'unione dell'anima col corpo, né pure del
loro vicendevole disgiungimento.
Tre forze concorrono all'opera della generazione. Pri
ma gli astri esercitano la potenza del loro raggiare sulla
materia, e disciolgono dagli elementi combinati sotto fa
vorevoli condizioni i principj vitali onde s' animano le
piante e le bestie. Nell' uomo poi vi ha una potenza di
assimilazione, che si communica agli alimenti digeriti,
si distribuisce col sangue per tutte le membra, e spande
esternamente la fecondità. La donna infine ha in sé una
forza di complessione che dispone la materia destinata a
ricevere il benefizio della nascita. — Le vene agitate non
PARTE II. CAPITOLO III. n3
assorbono punto nell'opera della nutrizione tutto il sangue
che loro si dà. Una parte di questo liquido alimentario,
appurato, sta nel cuore, acquista più intensamente una
forza assimilatrice; bolle, discende per canaletti dove ha
fine la sua elaborazione; e quando si compie il mistero
conjugale, il sangue del padre attivo ed organizzatore fe
conda il sangue passivo e docile che si asconde nel seno
della madre. Ivi si formano gli elementi del corpo fu
turo , sino a tanto che una sufficiente preparazione li
accommodi alla influenza celeste che in essi produce la
vita. «Tale vita, da principio vegetale, ma progressiva,
prende incremento nel suo proprio esercizio: essa fa pas
sare l'organismo dallo stato di pianta a quello di zoofito
per giugnere alla completa animalità. A questo si limita
l'azione delle forze della natura, la madre dà la materia,
il padre la forma, gli astri il principio vitale. — Per
ché la creatura valichi lo spazio di mezzo che divide
l'animalità dalla umanità, bisogna ricorrere a Colui che
è il primo motore. Non appena l'organizzazione del cer
vello è compiuta, Dio volge uno sguardo pieno d'amore
sulla grande opera che si compie , e manda sopra di
lui un soffio potente ; il quale attira a sé il principio
d'attività che trova nel corpo dell'infante; di due so
stanze formasi tuia sola, un'anima sola, che vive, sente,
e pensa (i).
(0 Cornalo , IX, ai : « E però dico che quando 1' umano seme
cade nel suo ricettacolo, esso porta seco la vertù dell' anima ge
nerativa, e la vertù del cielo. E la vertù degli elementi legata,
cioè la complessione, matura e dispone la materia alla vertù for
mativa la quale diede 1' anima generante , e la vertù formativa
prepara gli organi alla vertù celestiale che produce della potenzia
del seme l'anima in vita; la quale incontanente produtta, riceve
della vertù del Motore del cielo lo intelletto possibile».
Questa dottrina è svolta più largamente nel celebre passo del
Purgatorio, XXV, |3:
Sangue perfetto, che mai non si beve, ec.
Cf. Aristot., De General, animai. II, 3. — S. Tomaso, i. q. 1 19,
art.v a. — S. Bonaventura, Compendium, lì, 3*.
,14 PARTE II.
L'anima dunque è unica nella sua essenza, perciocché
1' esercizio di una delle sue facoltà che acquisti un certo
grado d'intensione basta per assorbirla interamente (i).
In essa, e distinte tra loro, ma tuttavia unite, e l'ima
reggendosi su l'altra , esistono tre forze, vegetativa, a-
nimale e razionale , che nel loro complesso si possono
paragonare al pentagono formato di tre triangoli sovrap
posti (2). L'anima, che si trova nelle membra, in tutti gli
atomi della polvere vivente onde sono formate, rivelasi
collo stesso esercizio delle loro funzioni. Si congiugne al
corpo come la causa all'effetto, l'atto alla potenza, la for
ma alla materia (3). La si dice Forma Sustanziale , per
ciocché per essa esiste l'uomo, tolta la quale, questa mira
bile composizione perde esistenza e nome (4). Ha la sua
sede nel sangue (5); cionondimeno fa del cervello come un
(1) Purgatorio, IV, t, 2:
Quando per dilettanze ovver per doglie,
Che alcuna virtù nostra comprenda,
L? anima hene ad essa si raccoglie ,
Par cbe a nulla potenzia più intenda;
E questo è contra quello error che crede
- Che un1 anima sopr1 altra in noi s'accenda.
Cf. S. Tomaso, 1. q. 76, art. 3. L'argomento è propriamente
lo stesso.
(2) Purgatorio , XXV, 25 :
. . vive e sente, e sè in sè rigira.
Convito , III, 8 ; IV, 7 : Le potenzie dell' anima stanno sopra
sé come la figura del quadrangolo sta sopra lo triangolo e lo pen
tagono sta sopra lo quadrangolo. — Cf. Aristot. De anima , II ,
3; III, 12. — S. Tomaso, 1. q. 78.— S.Bonaventura, Compen-
jlium , II , 33.
(3) in/èrao^XXVII , 25. Paradiso, II, 45:
Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe.
Convito, III, 6. — Cf. Aristot. De anima, II, 1. — S. Tom.iso ,
1. q. 75, 1.
(4) Purgatorio, XVIII, 17. — Cf. S.Tomaso, 1. q. 76. 4.
(5) Purgatorio, V, 25:
il sangue in sul quale io sedej.
CAPITOLO III. It5
tesoro dove depone le imagi ni che vuol ritenere. È la
faccia là dove ama manifestarsi al di fuori; ivi essa spi
ritualizza la carne per renderla trasparente alla luce in
terna del pensiero; disegna con infinita delicatezza i tratti,
crea la fisonomia , fa gli ultimi sforzi per adornare ed
abbellire le due parti donde soprattutto rivelasi : eli oc
chi e la bocca. 1 quali due luoghi si possono appellare
i due balconi, dove la sovrana che abita nell'edificio del
corpo spesso si dimostra, avvegnaché quasi velata (1).
Suoi ministri infine sono gli spiriti animali, vapori che
si formano nel cuore e si diffondono per tutte le mem
bra, fluidi sottili che mantengono le cotnmunicazioni del
l'organo cerebrale cogli organi de'sensi (2). Ma la regina
può farsi una schiava. V ha difetti di complessione che
si oppongono al libero perfezionamento dell' anima : vi
ha nature oscure e grossolane dove non entra il raggio
di Dio (3). Anche le rivoluzioni del cielo e delle stagioni
acquistano , per mezzo delle fisiche disposizioni che ne
derivano, una certa influenza sulle morali facoltà. E sic
come alle quattro età della vita corrispondono per ri- "
spetto al corpo quattro temperamenti che risultano dalla
combinazione dell'umido, del caldo, de! secco e del
freddo; cos"i l' anima ha le sue quattro fasi , ciascuna
delle quali ha il suo carattere speciale, le sue debolezze
(1) Purgatorio, XXXIII, 27. Paradiso, I, 8. Convito, III, 8 :
Quelle massimamente adorna (l'anima) e quivi pone lo intento
tutto a far bello se puotc .... Li quali due luoghi per bella si
militudine si possono appellare balconi della donna che nello e-
dificio del corpo abita, cioè l'anima; perchi quivi , avvegnaché
quasi velata, si dimostra, i/iid. 9. — Cf. Brunetto Latini, Tesoro,
lib. I, cap. io; e soprattutto S. Bonaventura, Compendium, II,
37-59, dove si trovano curiose anticipazioni di Lavater e di Gall.
(2) Convito, II, 3, i4; III, 9. Vita nuova, 3,6. Parad. XXVI, 24.
(3) Convito, IV, 20.
1,6 PARTE II.
è le sue tristezze, i vizj più usati e le sue virtù predi
lette (i).
« La morte rompe a mezzo una tale armonia. —vMa
tra tutte le opinioni bestiali diffuse negli uomini stoltis
sima vilissima e dannosissima quella è che nega l'esi
stenza di un' altra vita (2). Essa trova la sua condanna
nella dottrina di tutti i savii più illustri , di tutti i poeti
dell' antichità, di tutte le religioni del mondo, di tutte
le società che vivono soggette a leggi; in quella spe
ranza di un'altra vita che la natura depose nel fondo di
ogni anima, che non potrebbe essere menzognera senza
accusare una contraddizione impossibile nell'opera più
perfetta della creazione; nella esperienza dei sogni e delle
visioni, onde communichiamo cogli esseri immortali ;
finalmente ne' dontmi della fede cristiana, la cui cer
tezza ogni altra soverchia , perciocché emana da Colui
che ne rende immortali. — Pertanto quando l'anima si
disgiunge dal corpo disciolto, seco adduce tutte le fa
coltà divine ed umane che le appartennero ; le prima
rie cioè la memoria, l'intelligenza e la volontà fatte
più attive; le seconde, cioè quelle tutte che si raccol
gono sotto il nome di sensibilità , inerti all' intutto. Il
suo merito o demerito, quasi forza che la trascina, de
termina il suo luogo di pena, di espiazione o di ricom
pensa. Giunta appena al luogo assegnato , esercita in
torno di sé la potenza informatrice onde è dotata. E co
me l'atmosfera umida si colora de' raggi che vi si ri-
Ci) Ibid. IV, 2, 23.28. — Cf. Alberto Magno, Metauromm, IV.
— Egidio Colonna, De regimine princip. 1. I, p. 1, cap. 6.
(2) Convito, II, 9: Dico che di tutte le bestialità quella è stol
tissima, vilissima e dannosissima che crede, dopo questa vita,
altra vita non essere, perciocché se noi rivolgiamo tutte le scrit
ture , sì de' filosofi come degli altri savii scrittori , tutti concor
dano in questo, che in noi sia parte alcuna perpetuale, ec
Ancora n'accerta la dottrina veracissima di Cristo ...
CAPITOLO III. ii)
flettono, cos'i l'aria prende la nuova forma che le viene
impressa , e ne risulta un corpo sottile in cui ciascun
senso ha l'organo suo proprio, ciascun pensiero la sua
esterna espressione, in cui l'anima ripiglia gli ufficj della
sua vita animale , e appalesa la sua presenza colla pa
rola , col sorriso, o colle lagrime (r). Ecco quanto gli
antichi indicavano colle ombre, di cui popolarono il
regno della morte ; è la opinione di molti filosofi più
recenti , che non concepiscono la possibilità di pene e
di gioje fuori di un inviluppo corporeo (2). Ma l'ombra
deve un giorno sfumare innanzi alla realtà , e questi corpi
caduchi devono cedere a quelli che rianimati usciranno
della tomba, perchè la corruttibilità se è la legge com-
mune delle creature, è legge di quelle creature soltanto
che sono l' opera di altri esseri creati ; cosi hanno fine
(1) Purgatorio, XXV, 27, 28, 3o , 32, 34:
Solvesi dalla carne, ed in virtute
Seco ne porta e P umano e '1 divino. . ,•
L1 altre potenzie tutte quante mute;
Memoria, inlelligenzia e volontade,
In atto molto più che prima acute ....
Tosto che luogo lì la circonscrive,
La virtù formativa raggia intorno,
Così e quanto nelle memhra vive ...
Così Pac1' vicin qu1vi si mette
In quella forma che in lui suggella
Virtualmente Palma che ristette....
Perocchè quindi ha poscia sua paruta ,
È chiamai1 ombra; e quindi organa poi
Ciascun sentire insino alla veduta.
(2) Convito, II, 9: E dico corporeo e incorporeo per le diverse
opinioni ch'io trovo di ciò. — Cf. S. Agostino, Epist. i3, 159,
162, rifiuta questa opinione come ardita, lasciandone sussistere
il dubbio. — Vedete pure Origene e sant' Ireneo, citati da Bru-
cker {Hist. Crit. Phil., in Platone), che ammisero la esistenza
di un corpo sottile che accompagnava l' anima dopo morte. La
si trova con spiegazioni curiose nei frammenti del commento di
Procolo sul X libro della Republica di Platone, publicati dal
cardinale Mai, 4uctores clastici, 1.
n8 PARTE II.
le cose prodotte dal concorso della materia prima, e della
influenza degli astri ; ma sono eterne quelle che vengono
immediatamente dalle mani del Creatore. L'Eterno non
dà una vita caduca., l'umanità è opera sua; l'intera uma
nità, e anima e corpo, si formò dalle sue mani , animata
del suo soffio, il sesto giorno del mondo; nell'ultimo
intiera, e corpo ed anima, risorgerà (i). »
2. Un'analisi più minuta ne farà penetrare più ad
dentro nella conoscenza di noi medesimi.
Tra i fenomeni intellettuali, i primi che chiamar si
possono elementari, sono le sensazioni; e tra queste le
più complicate son quelle della vista. Gli obietti stessi
non giungono realmente a ferir l'occhio: sono le forme
loro, che per una specie d'impulso, attraversando l'aere
diafana, vi pervengono; essi si arrestano nell'umore della
pupilla dove si riflettono come dentro uno specchio. Ivi
sono accolti dagli spiriti animali , destinati ai servigi della
visione, i quali a vicenda li trasmettono e li appresen-
tano al cervello , ed è per tal guisa che noi veggiamo.
Tutte le sensazioni si compiono a un modo per una coni-
municazion dell'oggetto al cervello per uno o più mezzi
continui (2). La parte anteriore del viscere cerebrale è
la sorgente commune della sensibilità. Là risiede quel
senso commune dove tutte le impressioni ricevute per
gli organi si uniscono e si paragonano. Quantunque volte
(1) Paradiso, VII, a3, 49:
Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine , ec.
E quinci puoi argomentare ancora
Vostra resurrezion , se tu ripensi
Come P umana carne féssi allora
Che li primi parenti entrambo fùnsi.
Cf. S. Bonaventura, Compendium , I, i.
(a) Convito, III, 9, Descrizione minuta del fenomeno della ten
tazione.
CAPITOLO IH. 119
il predominio dell' una di queste impressioni cancella le
altre; l'anima occupata dalle attrattive d'uno spettacolo
che incanta gli occhi, non s'accorge punto della fuga del
tempo che l'orologio fedele annuncia all'orecchio (1). La
sensibilità si prolunga in certo modo pel soccorso dell'i
maginazione; e nullameno l'imaginazione francata dalle
impressioni della terra, può essere illustrata da una cele
ste chiarezza. Sovente ella ne rapisce fuor di noi stessi
fino a restarcene sordi allo strepito di mille trombe che
ne squillano presso (2). Infine le sensazioni altro non
mostrano al primo tratto che qualità sensibili; e nondi
meno esse fanno indovinare certe disposizioni nell'obietto
onde provengono; esse sono accompagnate d' un senti
mento d'utilità o di pericolo. Avvi dunque una facoltà
che di esse s'impadronisce, che svolge e coglie i l'ap
porti implicitamente veduti, e li propone alle operazioni
dell'intelletto; la qual facoltà, riconducendo noi al suo
valor primitivo un nome da lunga pezza svisato, chia
miamo apprensione (3). — Così il fatto sensibile è l'e
lemento necessario d' ogni nozione intelligibile. Questa
iniziativa dei sensi nelle operazioni dello spirito umano
è una delle fatalità di nostra natura, la causa principale
(1) Purgatorio, IV, 3:
E però, quando s' ode cosa o vede,
Che tenga forte a aè l'anima vólta,
Vasiene il tempo, e Puom non se n'avvede.
(2) Purgatorio, XVII, 5, 6:
O imaginativa , che ne rube
Tal volta sì di fuor ch'uom non 3' accorge 9
Perchè d'intorno tuonin mille tube,
Chi muove te, se ^l senso non ti porge?
Muoveti lume, che nel ciel s'informa.
(3) Purgatorio, XVIII, 8:
Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega y
Sì che P animo ad essa volger face.
no ' PARTE 11.
di nostra debolezza; e nel medesimo tempo, maraviglia
a dirsi! la condizione del nostro perfezionamento razio
nale, e per conseguenza della nostra grandezza (i).
L'imaginazione e l'apprensione segnano due punti di
transizione tra la passività e 1' attività. Al di sopra di
questa prima e bassa regione dell' anima, intorbidata da
importune e spesso menzognere apparizioni, si solleva
la regione superiore dove tutto è spontaneo, puro e rag
giante. Gli antichi l'appellarono mente : per essa 1' uomo
si distingue dagli animali (2). Vi si possono scoprire di
verse facoltà: quella che costituisce la scienza, quella che
consiglia, quella che trova e quella che giudica. Così si può
tra lor contrapporre e l' intelletto che procede ardita
mente alla ricerca dell'ignoto, e la memoria che ritorna
sulle orme della mente , suo infaticabile corriere, senza
poter mai seguirle fino alla fine (3). lPuossi ancora di
stinguere l'intelletto attivo e l'intelletto passivo. Il primo
veglia e combina le ricevute percezioni; le alza allo stato
di nozioni, e le nozioni medesime alla loro volta combina.
Il pensiero ancor esso concepisce sé stesso, ma sé stesso
tuttavolta al suo nascimento non comprende (4); e non
(1) Paradiso, IV, i4:
vostro ingegno ,
...... solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d1 intelletto degno.
Cf. per tutto questo paragrafo. — Aristot. De anima, II, 75 III,
3, 4> 8. — S. Tomaso, 1. q. 78, 4; 1. 84, 5, 6— Boezio, lib. V,
metr. 4. — S. Bonaventura, Compendium, II, 45.
(2) Convito, III, 2.... Solamente dell'uomo e delle divine sus-
eistenzie questa mente si predica ... — Cf. Boezio, lib. I, pros. 4.
(3) Convito, ibid. Inferno, II , 3. Paradiso, 1,3:
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Cf. Aristot. De anima, III, 3, 4.
(4) Paradiso, X, 12:
Non m'accors1 io, se non com'uom s'accorge ,
Ampi primo pensier, del suo venire.
CAPITOLO III. in
avviene se non per una operazione continuata che egli
prende conoscenza e possesso di sé: l'attività, portata
al suo più alto grado, si fa riflessione. L'intelletto pas
sivo contiene in potenza le forme universali come esistono
in atto nel pensiero divino. Per lui tutte cose possono
esser comprese ; ond' è che rimanendo necessariamente
indeterminato, suscettibile di diverse modificazioni, si
può chiamare l' intelletto possibile (i).
Nello spirito umano è mestieri riconoscere ancora altri
elementi che presentano un carattere passivo , dove e
idee primitive vi si scorgono delle quali mal sapremmo
spiegare l' origine , e verità evidenti , che si credono
senza uopo di dimostrazione (3). Le quali se uomo ri
fiuta di confessare innate , almeno è giuocoforza am
mettere come tali le facoltà che compongono V intimo
deli1 esser nostro (3). Esistono pertanto de' principi che
non ci vengono dal di fuori , e che noi non ci siamo
punto procurati. Avvi una creazione interiore continua
che ne annuncia la invisibile presenza della divinità (4).
(1) Purgatorio, XXV, aa, Allusione a un errore d'Averroe :
Sì che, per sua dottrinai fe' disgiunto
l)alP anima il possibile intelletto.
Convito, IV, 21. — Cf. Aristot. De anima, III, 5, 6; e per la
Confutazione d'AverroP, S. Tomaso, Sum. e. Gént. II, fi.
(a) Purgatorio, XVIII, 19:
Però, la onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie , uomo non sape, ec.
Cf. Arist. Anal. post. I, 31. — Paradiso, II, i5i
..•■ per sè noto ,
A guisa del ver primo che Puom erede*
Cf. Aristot. De anima, III, 9. Topic. I, 1.
(3) Purgatorio, XVIII, an
Innata v'e la Virtù che consiglia.
(4) Convito, IV, ai: In questa cotale anima è la virtù sua pro
pria , e la intellettuale , e la divina. — Cf. Platone. — Cicerone,
De Senectute, a1.— Lib. De Causis, 3 : Omnis anima nobilis habet
tret operaliones ... operatio animalis, intellectualij et divina.
Ozakam. Dante. "
la» PARTE It.
All'alto del pari che al basso, colla ragione, come col
ministero de' sensi, l'uomo perviene a cosa che non è sé
medesimo, e trova limiti che inceppano la propria in
dipendenza.
Questi fatti comprovati serviranno ad additare la strada
che dall'1 ignoranza e dall' errore condurrà alla verace
scienza. 11 primo atto di uno studio couscienzioso sarà di
(issare i limiti al di là de' quali sarebbe temerità volere
tener dietro alla ragione delle cose : coli' altro faremo
rinunzia assoluta de' pregi udizj già ammessi; perciocché
chi è vergine ancora di tale istruzione , arriva ad abi
tudini veramente filosofiche meglio che non altri che,
mercè di un lungo insegnamento, accolsero false opinio
ni (i). Soddisfatte queste condizioni preliminari, è con
cesso di dar mano ad efficaci ricerche. Il savio primamente
attingerà alle fonti dell'osservazione; poi lento avanzerà
nelle vie del ragionamento; avrà piombo ai piedi' senza
I' appoggio di una distinzione abitatrice non valicherà i
due passi diffìcili del s'i e del no (2). Né si lascerà distrarre
lunghesso il cammino: ché se nuovi .pensieri sorgono in
qualche modo ad attraversare i primi, l'un l'altro s'impe
discono e s' allontanano dallo scopo (3). In tre parole si
(1) De monarchia, Iib. I: Facilius et perfeclius vcmunt ad ha.
bitum philosnphicae veritatis qui nihil unquam audiverunt , guani
qui audiverunt per tempora et Jalsis opinionibus imbuti nini ... —
Paradiso, XIII, 41.
(a) Paradiso, il, 3a; XIII, 38:
E.spc1fenza
C (Tesser suol fonte a1 rivi di vostre arti ...
E questo ti fi a sempre piombo appiedi,
Per farti muover lento, com'uom lasso,
Ed al sì ed al no che tu non vedi.
(3) Purgatorio, V, 6:
Chi; sempre l'uomo, in cui pensier rampolla
Sovra pensier, da se dilunga il segno,
Perchè la foga l'un dell'altro insolla.
Cf. Ugone da S. Vittore, Insta. Monast. IV.
CAPITOLO III. ,i3
riassumono questi precetti: esperienza, prudenza e perse
veranza. — Così perviensi al pacato possesso del vero onde
si costituisce la certezza. Questa riposa sopra basi diverse,
secondo gli ordini diversi delle cognizioni in cui essa
s' avviene E nel testimonio de' sensi quando essa ap
plica sopra oggetti proprj a ciascuno di quelli ; è negli
assiomi pur dianzi accennati che non domandano di
mostrazione; è nell' unanime consenso degli uomini sulle
controversie dell'impero della ragione; perché la ipotesi
di un inganuo universale che avvolgerebbe il genere u
mano in un accecamento invincibile , sarebbe una be
stemmia orribile a dire (i). Tuttayolta come a piedi de
gli alberi pullulano nuovi rampolli, cosi dalle verità co
nosciute sgorgano sempre nuovi dubbj. La certezza resta
sempre circondata di tenebre umane : la sola luce sen
z'ombra è quella della fede (?.).
3. Nell'ordine morale, i primi fatti che si riscontrano
sono ancora del novero di quelli in cui l'anima si mo
stra passiva ; e gli è per questo che per eccellenza sono
nomati Passioni. Lungo sarebbe il numerarle; ma tutte
si riducono a disposizioni anteriori che diconsi appetiti.
Di questi appetiti ve n'ha tre sorte : il primo, naturale, che
non ha coscienza alcuna di se, e che è la inclinazione irre
sistibile di tutti gli esseri fisici a soddisfare i proprj biso
gni; il secondo, sensitivo, che ha il suo movente esterno
nelle cose sensibili, e che è concupiscibile a vicenda
ed irascibile; il terzo, intellettuale, il cui obietto si ap
prezza dal solo pensiero. Questi appetiti ridur si possono
(1) Convito, IV, 8, ti: Che se tutti fossero ingannati, seguite
rebbe una impossibilità , che pure a ritraine sarebbe orribile. —
Ci. Aristot. Topic. lib. I, e. i. — S. Tomaso, i. q. 85, art. 6.
(a) Farad. IV, 44. — Convito, II, 9; IV, io: La cristiana sen
tenzia è di maggior vigore , ed è rompi! rice d' ogni calunnia ,
mercè della somma luce del cielo che quella allumina.
r
iM PARTE II.
anch'essi a un sol principio commune, l'amore (i). Dal
creatore sino alla più umile delle creature, nulla sfugge
alla gran legge dell'amore (a). — I corpi semplici, per l'at
trazione, la quale è una specie d'amore, tendono al punto
dello spazio che loro fu destinato. I corpi composti .sono
forniti di una simpatia, d'un amore del medesimo genere
che il precedente, pei luoghi dove essi si formarono : ivi
acquistano la pienezza del loro incremento, quindi trag
gono tutte le loro facoltà. Le piante manifestano anch'esse
una preferenza, un amor più spiegato pei climi, per le
posizioni e pel suolo più favorevole alla lor complessio
ne. Gli animali danno segno di più vivo attaccamento,
d'un amore agevolmente riconoscibile, che li ravvicina
tra loro, e che talvolta li accosta all'uomo. L'uomo in
fine è dotato d'un amore che gli è proprio per le. cose
oneste e perfette ; o piuttosto, siccome la sua natura par
tecipa della semplicità e immensità della natura divina,
così l'uomo riunisce in sé tutti questi generi di amore : del
pari che i corpi semplici, cede all'attrazione che so
pra lui opera col peso; egli toglie ai corpi composti la
simpatia che li domina pei luoghi del lor nascimento ;
e cosi come le piante preferisce gli alimenti favorevoli
alla sua sanità, e ad esempio degli animali si appiglia
alle apparenze che lusingano i suoi sensi; per ultimo, e
questa è la sua prerogativa umana, o per meglio dire,
angelica, egli ama la verità e la virtù (3). Ora le tre
(1) Convito, IV, ai, a6. — Cf. S. Tomaso, i. a. q. a6, i.
(a) Purgatorio, XVII, 3i:
Né creator, né creatura mai
....... fu santa amore ,
U naturale o d' animo; e tu M sai,
Cf. Platone, Convivium. — Boezio, lib. Ili, pr. a; lib. IV, met. 6.
(3) Convito, III, 3: Onde è da sapere che ciascuna cosa, come
detto è di sopra, ha suo speciale amore, come le corpora sim-
plicj hanno amore naturato in sé al loro luogo propio, e però
CAPITOLO III. 11S
prime maniere di amore sono I1 opera della necessità ;
solo nelle due ultime che provvenguno dai sensi e dalle
intelligenze, l'essere morale si ritrova; là solo una in
dagine più accurata farà discoprire il punto dove finisce
la passività, dove l'attività comincia.
Non prima un oggetto ne si presenta capace di piace
re, egli ne scuote con una piacevole sensazione. La fa
coltà che nomasi apprensione si mette in esercizio ; ella
percepisce il rapporto dell' obietto co1 nostri bisogni , e
lo svolge fino a fare che l'anima torni verso di lui e
vi si inclini. Or questa inclinazione è l'amore, e il pia
cer nuovo onde questa modificazione è accompagnata ,
ne lo rende gradito e in uno durevole. Poi l'anima scossa
entra in movimento , e questo movimento spirituale è
desiderio, questo desiderio non trova quiete fuorchè nel go
dimento, cioè nel possesso del soggetto amato (1). Tale è
il fatto universale, tale è, per parlare il linguaggio della
scuola, la materia dell'amore, sempre buona in sé stessa,
perchè è l'opera d'una disposizione specifica, naturale, la
quale rivelasi solamente da' suoi effetti, e di cui il primo
atto, istantaneo e irriflessibile, non è degno né di lode né
la terra sempre discende al centro, ec. Gli uomini hanno lor
propio amore alle perfette e oneste cose , e perocché l' uomo (av
vegnaché una sola sustanza sia tutta sua forma) per la sua no
biltà ha in sé della natura divina, tutti questi amori puote avere,
e tutti gli ha.
(1) Purgatorio, XVIII, 7,9, li:
L'animo, ch1 è creato ad amar presto,
Ad os^ni cosa è mobile che piace ,
Tosto che dal piacere in atto è desto . . .
E s.., riTollo, in vèr di lei si piega,
Quel piegare è amor, quello è natura
Che per piacer di nuovo in voi si legl . . •
Così l'animo preso entra *n disire,
Cirè molo spiritale , e mai non posa
Fin che la cosa amata il fa gioire.
Cf. Ariatot. De anima, III. — S. Tomaso, 1. 2. q. a6, 2.
- PARTE ».
di biasimo (i). — Ma l'amore diviene virtuoso o colpevole
secondo la scelta che egli fa tra le cose che lo sollecita
no. Prima che l' anima rivestisse le forme corporali sotto
le quali essa dovea divenir fanciulla, Dio la riguardò
con compiacenza. Felice già per sé , egli a lei communicò
l'impulso che la fa tornare a lui cercando la felicità,
egli non cessa di attirarla ancora, facendo a lei splen
dere davanti i raggi della sua eterna chiarezza. Ella, a
vicenda, non saprebbe impedire a sé stessa d'amarlo, più
che non saprebbe odiare sé stessa (a). Se ella partecipa più
che alcun altro essere terrestre della natura divina, e
se egli è della natura divina voler esistere, l'anima del
pari vuol esistere, e con tutta l'energia che è in lei, lo
vuole: e come la sua esistenza dipende tutta da Dio,
ella vuole naturalmente essergli unita per assicurare la
sua esistenza (3). Poi, riflettendosi gli attributi di Dio
(1) Purgatorio, XVIII, 17, 18:
Ogni forma sustanzìal , che setta
È da materia ed è con lei unita ,
Spec1fica virtude ha in sè colletta,
La qual senza operar non è sentita. . .
...... e questa prima voglia
Merto di lode o di biasmo non cape.
Jbid., XVIII, i3:
.... forse appar la sua matera
Sempr1 esser buona; ma noo ciascun segno
È buono, ancor the buona sia la cera.
(2) Ibid., XVI, 29, 3o:
Esce di mano a lui, che la vagheggia,
Prima che sia , a guisa di fanciulla
Che piangendo e ridendo pargoleggia
L'anima semplicetta, che sa nulla,
Salvo che, mossa da lieto fattore,
Volentier torna a ciò ihe la trastulla.
(3) Convito, IH, 2: L'anima umana più riceve aVlla natura di
vina. E perocché naturalissimo è in Dio volere essere , 1' anima
umana esser vuole naturalmente ... e perocché il suo essere di
pende da Dio naturalmente , disia e vuole con Dio essere unita . . .
Platone, Phaedrus. — S. Tomaso, 1. 2. q. 10, 1.
CAPITOLO 111. ia7
nelle virtù e nelle umane qualità , quando l'anima li
scorge in altra anima a sè simiglianle, le si unisce spiri
tualmente, e per tal modo essa l'ama (i). Infine la crea
zione tutta a lei apparisce come il campo che serba le
tracce dell'eterno coltivatore, e ciascuna creatura come
degna di essere amata giusta la misura del bene che in
quella ha prodotto (a). Tale è la forma legittima del
l'amore, la quale è posta in questa eguale proporzione
dei nostri affetti, che li spinge d'un tratto verso il bene
supremo, e a pareggiarsi co' beni a sè inferiori (3). —
L' amore può prendere forme men pure , ed ecco :
l'anima ignorante a' primi e più vili godimenti che tro
va, vi si inganna, e li segue con temerario ardore (4).
Talvolta ella si rallenta nella ricerca del vero bene, o,
più infelice ancora, s'inchina verso il male. Già s'è ve
duto come da queste tre sorte d'aberrazioni procedono
le sette colpe capitali (5). — Vero è dunque adirsi, che
amore è commuu seme di giustizia e di peccato (6). Come
dire tutti i frutti buoni o malvagi che ei porterà? La
gelosia, la cura delia conservazione dell' oggetto amato,
lo zelo della sua gloria, l'unione infine con esso lui,
l'unione che assimila fra loro due esseri, e in un solo
(i) Convito j ivi.
(a) Paradiso, XXVI, 11. — Cf. Ugone da S. Vittore, Adnotatio-
rtts in Ecclesiastem.
(3) Purgatorio, XVII , 33 :
Mentre ch'egli è ne' primi ben' diretto,
E ne' secondi sè stesso misura ,
Esser non può cagioa di mal diletto. .
(4) Purgatorio, XVI, St.
(5) Vedi sopra , p. 96. ,
(6) Purgatorio, XVII, 35:
esser conviene
Amor sementu in voi d'ogni virtute,
E d'ogni operazion che merta pene.
Cf. Platone, Corwivium. S. Agostino: Boni autmali mores stt/U
boni aut mali amore*.
rI8 PARTE II.
li confonde? (i) Come descrivere la benefica azione, ri
generatrice d'una casta tenerezza? Come spiegare il con
tatto reciproco delle sensuali affezioni ? (a) Operando
nel secreto de' cuori cosi maravigliosi rivolgimenti, l'a
more, benché passivo in origine, dimostrasi attivo ne'
risultati.
Ma se questa attività non si determina fuorchè dagli ec
citamenti del mondo esteriore, si potrà egli asserire che
sia libero? — Un'opinione commune e ingannevole attri
buisce tutti i nostri atti agli astri , come se il cielo spin
gesse tutti gli esseri ad una necessaria direzione. Il cielo
certamente esercita una specie d'iniziativa sulla più parte
dei movimenti di nostra sensibilità; ma questa iniziativa
può in noi trovare una resistenza la quale, faticosa da pri
ma, diventa invincibile dopo aver fedelmente combat
tuto (3). Una potenza più grande, quella di Dio, opera
in noi senza costringerci. Ha egli in noi creato questa
porzione migliore di noi stessi, che non è per nulla som
messa alla potenza del cielo: egli ci ha compartito libera
la volontà; e questo dono, il più eccellente e il più degno
della sua bontà, il più prezioso agli occhi suoi, tutte e sole
(1) Purgatorio, XXX, i3. — Convito, III, a; IV, i... Onde
Pitagora dice : Nell' amistà si fa uno di più. — Cf. Cicerone de
Oflfìciis, 1, 16. — S. Tomaso, 1. 2. q. 28, 1.
(2) Inferno, V, 31. Purgatorio, XXX, 4i; XXXI, 8. — Convito,
III, 8. Vita nuova , passim. — Cf. Platone, Convivium, Phaedrus.
(3) Purgatorio, XVI, 23, 25, 26:
Voi, che vivete, ogni ragion recale
Pur suso al cielo , sì rome se tutto
Movesse seco di necessitate . . .
Lo cielo i vostri movimenti inizia ,
Non dico tutti: ma, posto ch'io '1 dica,
Lume v' è dato a bene ed a malizia,
E libero voler ; che, se fatica
Nelle prime battaglie col ciel dura,
Poi vince tutto se ben si notrica.
Cf. Platone, Timaeus. — S. Tomaso, 1. q. 83, 1; l. 2. q. 9. 5.
CAPITOLO III. ity
le creature intelligenti lo hanno ricevuto (i). La volontà
non saprebbe piegarsi che per la propria determinazio
ne, pari ad una fiamma cui gli sforzi replicati di una
fona straniera non possono costringere sì che discenda
quando la sua naturale tendenza la fa salire. Egli è vero che
la volontà talvolta sembra cedere alla violenza, ma que
sto ancora dipende dalla propria elezione; gli è un male
che ella patisce per la paura d'un mal peggiore (2). Vero
è ancora che i movimenti istintivi sfuggono al suo do
minio, e che spesso, a mal suo grado, il sorriso e le la
crime tradiscono i più secreti pensieri (3). Ma fuor di
queste circostanze, la volontà padroneggia la propria ele
zione. In fra due oggetti che egualmente la movessero,
si rimarrebbe eternamente indecisa (4); dunque è biso
gno ammettere colla volontà una facoltà che la consigli
e vegli il principio del consentimento per accogliere o
respingere le buone o le malvagie affezioni (5). Per tal guisa
(1) Purgatorio, XVI, 97; XVIII, a3. Paradiso, V. 7 :
A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete , e quella cria
La mente in voi che M cìel non ha in sua cura.
Lo maggior don che Dio per sua larghezza
Fèsse creando , ed alla sua bontate
Più conformato, e quel ch' ci più apprezza,
Fu della volontà la liberiate ,
Di che le creature intelligenti,
E tutte e sole furo e son dotate.
Cf. Aristot. Ethic., III, 5. — Boezio, 1. V, pr. a. — S. To
maso, t. q. 59, 3.
(a) Paradiso, IV, a6-34.
(3) Purgatorio, XXI, 40:
Ma non può tutto la virtù che vuole, ec.
(4) Paradiso, IV, 1:
Intra duo cibi , distanti e moventi
D' un modo , prima ti morria di fame ,
Che liher'uomo I' un recasse a' denti.
(5) Purgatorio, XVIII, ai:
, •*... la virtù che consiglia ,
E dell' assenso de' tener la soglia.
Cf. S. Tomaso, i. a., q. 14, a.
'
(
13o PARTE li.
supponendo una fatale necessità che presiegga al nasci
mento dell' amore, è in noi egualmente una potenza ca
pace di impedire il trabocco.
Ora il consiglio che assiste alle nostre decisioni, è il
discernimento. Questo, che ravvisa le differenze degli atti
in quanto sono coordinati ad un fine, potrebbe chiamarsi
l'occhio dell'anima, il più bel ramo che germogli dalle
radici della ragione (i). Per lui l'ordine morale si rav
vicina all'ordine intellettuale; la volontà non può effet
tivamente operare senza il soccorso dell'intendimento;
ma questo soccorro mal potrebbe esser perfetto senza
una perfetta eguaglianza delle due potenze, la quale nella
nostra decaduta natura non si incontra (2). Il discer
nimento, quando si applica alla distinzione del bene e
del male, ha il nome di coscienza, e in allora lascia os
servare non so che di passivo, straniero all'umana per
sonalità. Per lo malvagio v'è un vero rimordimento che;
non gli concede tregua di sorte; una macchia che ei vor
rebbe, ma invano, detergere; per l'uom dabbene il sen
timento della sua innocenza è come un solido usber
go, o un fedel compagno la cui presenza nel mezzo de'
pericoli lo rassecura (3).
Qui ancora fa di mestieri accelerare le osservazioni
che far si possono, e dedurne pratiche conseguenze. Il
contrasto del vizio e della virtù era il soggetto d'una fa
vola la quale, coine simbolo, fu cara ai mitografi del
l'antichità, come lezione a' suoi filosofi. Il poeta italiano
se ne impadronisce e falla ringiovenire. — A lui due
(1) Convito , II, 3; IV, 8: Lo più bel ramo che dalla radice
razionale consurga, si è la discrezione. Ché conoscere l'ordine
d'una cosa ad altra è propio atto di ragione. — Cf. S. Tomaso,
proloq. in Ethic. Aristot.
(a) Paradiso, V, 2; VII, 20; XV, 27.
(3) Inferno, XXVIII, 39. Purgatorio, XIII, 3o. — Cf. Pla
tone, Bepubl. passim. — Cicerone : Mea mihi conscientia pluris
quan1 omnium sermo. — S. Tomaso, 1. q. 79, |3; 1.2. q. 0,4, 1.
CAPITOLO III. 13f
donne appariscono, delle quali l' una pallida, deforme,
balba: ma lo sguardo fisso sopra di lei, sembrava ren
derle la beltà, il colorito e la voce: ella cantava, e,
sirena armoniosa, già cattivava le orecchie imprudenti.
L'altra mostravasi per lo contrario semplice e veneran
da J gettando uno sguardo superbo sopra la sua rivale,
e squarciandole dinanzi la veste ne rivelava le brutture
di che tutta era contaminata. L' una di queste femiue
era la voluttà, l'altra la saggezza (i).
Ma la lotta è facile a chi non è ancora caduto 5 per
contemplarla nello stato che più c'interessi, bisogna sor
prenderla nel suo istante dubbioso, a quel punto in cui
lunga pezza rattenuta nel cieco impero del vizio, l'anima
per una felice liberazione esce e si sforza rientrare nel
dominio della virtù. Al poeta piacque descrivere, sotto
un velo allegorico di cui è facile penetrare il tessuto (2),
questo pellegrinaggio di espiazione, questa via, aperta dalla
misericordia, che congiunge fra loro la città de' malvagi
e la città di Dio. — L' uomo nella sua conversione al
bene può essere da diversi ostacoli trattenuto; il primo
de' quali è la solitudine. Questa è la sorte di colui che
per la sua caduta si è discostato dalla società religiosa,
sola capace di offrirgli quell' appoggio esteriore cosi ne
cessario perchè s'abbia a rilevare. Indi viene la negli
genza che gli fa diferire fino al punto estremo i salute
voli sospiri; indi la morte, la quale inattesa apparisce,
e tronca lo sterile lamentarsi. D'altra parie evvi la mol
titudine delle temporali preoccupazioni che alle cure spi
rituali appena lasciano un posto angusto e conteso. Ciò
non pertanto questi ostacoli riuniti non saprebbero giu-
0) Purgatorio, XIX, 3 :
Mi venne in sogno una femina balba , ce.
(2) Purgatorio* VIli, 7:
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
Cbè il velo è ora ben tanto sottile ,
Certo che il trapassar dentro è leggiero.
i3t PARTE II.
(titicare la disperazione; che (ino all' ultima ora della vi
ta, dura verde il ramo della speranza, e il fiore del pen
timento vi può sbucciare (i). Tre condizioni principali
formano come i tre gradi che conducono alle soglie del
l' espiazione : una coscienza fedele la quale ricordi tutte
le colpe passate; un dolor potente ad aprire e rammol
lire la durezza del cuore; una severa risoluzione di sod
disfare alla giustizia eterna col mezzo di una spontanea
punizione. Ma il colpevole mal saprebbe essere giudice
della propria sincerità, arbitro delle misure delle lagrime
che dee versare, esecutore delle pene che egli ha me
ritato. Quindi é la necessità d'un ministero esteriore,
d'un tribunal delle anime, il cui giudice riducendosi in
sua mano le due chiavi della scienza e dell'autorità,
possa dischiudere e serrare, secondo il merito, la porta
della riconciliazione (2). Questa porta apre il varco d'un
aringo umiliante e faticoso, ma dove la fatica va sce
mando e l' ignominia si cancella grado a grado che
il peccatore s'avvicina al termine. Guai se alcuno ri
guardi in dietro I per lui verrebbe meno il frutto delle
sostenute prove (3). — Quegli che vorrà camminare sino
al termine della via, s'applicherà da prima alla medita
zione degli esempj che l'istoria profana e le sante scrit
ture gli presenteranno sui vizj ond' egli s' è purgato e
sulla virtù a loro contraria. Così il vizio e la virtù,
(0 Purgatorio, IH, 45; IV, 38; V, i9; Vii, 3i:
........ sì non si perde,
Che non possa tornar l' eterno amore ,
Mentre che la speranza ha fior di verde.
(2) Purgatorio, IX, 26 :
Vidi una portai e tre gradi di sotto,
Per gire ad essa j di color' diversi,
Ed un portier che ancor non Cacca motto, ec-
Cf. S. Gregorio, Homilia XVI in Ezechielem. — S. Bonaven
tura, Compendiami VI, a5.
(3) Purgatorio, ivi, 38, 44 :
• • . di fuor torna chi indietro sì guata-
CAPITOLO 111. 133
considerate in tipi viventi dove ebbero la loro più com
pleta espressione, non saprebbero paragonarsi senza die
nello stesso tempo non determinassero una energica
preferenza (i). Da quel punto s'appiglierà senza esitare
alla pratica degli atti opposti a quelli dei quali vuol in
sé distrugger le tracce. L' abitudine con egual forza di
struggerà le disposizioni perverse formate dall'abitudine,
e, divenuta una seconda natura ella stessa neutralizzerà le
malvage inclinazioni della natura (a). Questi sforzi e le re
sistenze che s'incontrano, conducono all'esercizio della
spontanea sofferenza come mezzo di reprimere, o, per
parlare il linguaggio ascetico, di mortificare e annul
lare gli sregolati appetiti. L'imagine di Dio che riem
piva l'anima innocente, disparve per lo peccato, la
sciando in sua vece un vuoto cui solo il dolore puote
a riparazione riempiere (3). Tultavolta i molti soccorsi
che la scienza più profonda del cuor umano può più
prestare al più austero coraggio , sarebbero ancora
insufficienti ; imperciocché v' hanno dei secreti orrori
che si levano a intorbidar la memoria , e il demo
nio del terrore si mette ancora a traverso al cam
mino della penitenza (4). E d'altra parte l'opera della
rigenerazione morale è una seconda creazione , la quale
(1) Purgatorio, passim, soprattutto XIII , |3.
(2) Purgatorio, passim. Convito, III, 8: Questa differenza è
intra le passioni connaturali e le consuetudinarie, che le consue
tudinarie, per buona consuetudine del tutto vanno via... Ma l1.
connaturali . . . del tutto non se ne vanno quanto al primo mo
vimento ; ma vannosene bene del tutto quanto a durazionc,
perocché la consuetudine è equabile alla natura ... — Cf. Ari
stotile, Ethic. II, 1.
(3) Purgatorio, XIX, 31. Paradiso, VII, 28:
Ed in sua dignità mai Don riviene ,
Se non riempie dove colpa vota ,
Contra mal dilettar con giuste pene.
Cf. S. Bonaventura, Compendium, VII, 2.
(4) Purgatorio, VIII, 31.
OzabAm. Dante. 11
134 PARTE II.
non potrebbe compirsi senza l'intervento della divinità.
Perciò verrà sollecitandone l'adempimento colla pre
ghiera ; la preghiera che fa dolce forza alla stessa on
nipotenza, la quale si è fatta una soave legge di lasciarsi
vincere dall'amore, per vincere poi alla sua volta colla
bontà (i). Infine al termine del corso espiatorio come al
suo principio, così per uscirne come per entrarvi, converrà
sonimettersi ancora ad un'autorità religiosa, ed accettare
quelle medesime condizioni senza le quali Dio non tratta
punto con noi: la confessione per l'oblio delle colpe, le
lacrime per la consolazione, e il pentimento perla ria
bilitazione definitiva (2). La riabilitazione restituisce al
l'uomo la serenità della primitiva innocenza; e lui ri
torna quale egli era all' uscire dalle mani del Creatore,
e ricostruisce nella letizia della coscienza una specie d'E
den morale, una beatitudine che la maggiore non si può
gustar sulla terra. Questa beatitudine terrestre è posta
nell'esercizio virtuoso dell'umana facoltà, e in una at
tività costante che a sé rende testimonianza della legit
timità delle proprie azioni ^3) ; eppure questo non è l'ul
timo confine.che fu segnato al ben essere dell'uomo:
che anzi la ragione l'avea posto fin là, e la rivelazione
lo ha portato più lungi (4).
(1) Purgatorio, VI, >o; IX, 28; XI, 1, ec. Paradiso, XX, 3a :
Regnum coelorum vloleuzia pate
Da caldo amore e da viva speranza,
Che vince la divina volontate,
Non a guisa cl1c l'uomo all' uom sobranza;
Ma vince lei, perchè vuole esser vinta,
E vinta vinco con sua heninanza.
Boezio, 1. V, pros. 6.
(2) Purgatorio, XXXI, 1, ec. — Cf. S. Tomaso, 3. q. 84-90.
(3) Purgator1o, XXVII e seg. — De Monarchia, III...: Beatitu-
dinem hujus vitae quae in operatione propriae virtutis consistit ,
et per terrestrem paradisum Jìguratur . . .
Convito, IV, 17: Felicità è operazione, secondo virtù, in vita
perfetta. — Cf. Aristot. Ethic. 1, 8.
(4) Convito, IV, 22. — Cf. Platone, Epinom., Republ. VI.
CAPITOLO III. i35
II.
Il medesimo dramma che si svolge nell'individuo,
con altre peripezie si rappresenta per l'istoria, e sotto
più solenni forme. Il poeta in una magnifica visione (1)
ha contemplato i destini religiosi, e perciò i destini in
tellettuali e morali del genere umano.
La scena si apre nel paradiso terrestre, luogo di
delizie ineffabili, primizie delle compiacenze di Dio,
soggiorno di quella età dell'oro della quale una smorta
ricordanza dilettava ancora i sogni degli antichi. Ma nel
cospetto delle recenti maraviglie della creazione, e della
universale obedienza che la terra e il cielo tributavano
al loro autore, sola una femina, e pur mo' nata, non
ha voluto soffrire il velo della felice ignoranza che co
private gli occhi. L'uomo fu suo complice: esiliato, fece
getto di gioje senza mistura d' amarezza per pigliarsi i
malanni e il pianto. Pure un'altra età dell'oro dovea ri
fiorire, e la schiatta decaduta rientrar doveva nella sua
eredità (2). — Questo trionfai ritorno è figurato sotto il mi*
racoloso corteggio che va a prender possesso del ritrovato
Eden. A mezzo le pompe dell'Apocalissi, preceduto da
ventiquattro vegliardi che sono gli scrittori dell'antica
legge, cinto da quattro animali profetici imagine dei
quattro Evangelisti, seguito da sette altri personaggi In
cui si riconoscono gli autori degli altri libri della nuova
legge (3) , Cristo si avanza sotto le sembianze d" un
(1) Purgatorio, XXIX-XXXIII.
(2) Purgatorio, XXIX , 9:
... là dove ulmtia la terra e '1 cielo ,
Femioa sola e pur teste foimata,
Non sofferse di star sotto alcun velo.
Paradiso, XXVI, 39. — Cf. Ugone da S. Vittore, Erudii,
tlteolog. 1, 6. — S. Bonaventura, Compendiaru, II, 65.
(3) Purgatorio, XXIX, a8, 3i, 45. — Cf. Riccardo da S. Vit
tore , super Apocalypsim.
i36 PARTE II.
grifone, di cui il corpo terrestre e le ali aeree rammen
tano l'unione ipostatica delle due nature umana e di
vina (i). Egli conduce un carro, emblema della Chiesa,
sul quale è ferma in piedi una vergine ornata di sim
boliche vestimenta ; questa è la teologia (2) : alla sua
diritta, tre ninfe, e quattro alla sinistra, camminando d'un
passo misurato, rappresentano le virtù teologali e car
dinali. All'armonia degli inni dagli angeli cantati, il cor
teggio si avanza e si difila verso l'albero della scienza
del bene e del male, divenuto, giusta una bella tra
dizione, l'albero della salute, la croce redentrice (3). 11
carro vi sta attaccato, e mentre che la vergine gloriosa,
colle sue sette compagne, veglia sopra di lui, il grifone
co' vegliardi si allontana: Cristo, abbandonando la terra
lascia la Chiesa sotto la guardia della scienza e della
virtù (4). — Ed ecco che un' aquila piomba come una
folgore sopra l'albero di cui svelle la scorza, e sopra il
carro che si piega sotto il suo peso. Vedi accostarsi una
volpe che si studia di penetrarvi; vedi che una parte
è già schiantata da un dragone che sbuca dalla terra in
che si appiattava. Fin qui è facile riconoscere le perse
cuzioni degli imperatori che travagliarono la Chiesa, l'e
resia che la desolò, e gli scismi che le squarciarono il
(1) Purgatorio ivi, 36. — Cf. S. Bonaventura, in Psalm. 90;
in Lucani , XIII , 34.
(2) Purgatorio j XXX, li:
Sovra candido vel, cinta d'oliva,
Donna m'apparve, sotlo verde manto,
Vestita di color di fìanmu viva.
(3) Purgatorio j XXXII, i3. — Gf. S. Bonaventura, Serm. l,
de Invent. s. Crucis.
In questa allegoria è una memoria dell'albero della vision di •
Dautele , che è ancora un' imaginc della croce. — S.Bonaventura,
Compend. IV, 21.
(4) Purgatorio, XXXII, 3a:
Sola sedeasi in su la terra vera .
(Jome guardia lasciata lì del plaustro.
CAPITOLO III. ,37
seno. — Ma già l'aquila, meno minacciosa e non però
meno funesta, era riapparsa; avea scosso le sue piume
sopra il sacrato carro, il quale tutto a un tratto subì
una mostruosa trasformazione. Sopra le sue diverse parti
sette teste spuntarono armate di dieci corna ; una me
retrice s' assise sopra quello , e un gigante le si pose di
costa scambiando con esso lei impure carezze, cui solo
interrompeva per flagellarla fieramente. Poscia staccando
il carro cosi trasformato, egli ne lo conduce e si perde
con esso nel fondo d'una foresta. Non è là ancora la
Chiesa, arricchita dalla generosità dei principi divenuti
suoi protettori, tristamente svisata, generante nella sua
corruzione i sette peccati capitali, dominata da pontefici
adulteri? Non è questa la corte romana, scambiante colla
podestà temporale colpevoli mome seguite da crudeli in
giurie ; e la santa Sede infine strappata dai piè della croce
del Vaticano per esser trasferita in remota contrada ,
alle rive di fiumi stranieri? (i) Questi mali però non sa
ranno eterni né invendicati : non si tocca impunemente
l'albero che perdette e salvò il mondo ; e la Chiesa è
stata fitta quaggiù militante solo colla possibilità di mo
mentanei infortunii , ma colla certezza di finale vittoria (2).
III.
Seguendo questa maniera d'induzione alla quale dob
biamo familiarizzarci, e che da fatti svariati del mondo
visibile monta alle invariabili leggi del mondo invisibile,
siamo condotti col pensiero in que' luoghi ove le espiazioni
cominciate quaggiù con infinite interrotte molestie si com-
(1) Purgatorio, XXXII, 37-53. — Ricordiamo ancora che noi
siamo ben lungi d' ammettere la severità di questi giudizj det
tati dalla collera, scritti nella tristezza.
(a) Purgatorio, XXXII, i5; XXXIII, ta. — S. Bonaventura,
in Ps. ij in Lucam, XIII, 19: la Chiesa militante è raffigurata nel
paradiso terrestre.
,38 PARTE II.
piono con una regola inalterabile. Nel mentre che ivi le
anime si purificano delle macchie terrene, sono anche ini
ziate alle delizie celesti; e le pene, per quanto rigorose
sienoj nella loro intensità, trovano inestimabile conforta
nella certezza che un di finiranno.
i. Il Purgatorio può figurarsi come una montagna le
cui radici affondano nell'Oceano, e la vetta arriva al
cielo; di figura conica, essa si divide in nove parti. La
prima è una specie di vestibolo i cui abitanti espiano
per un tempo proporzionato gli ostacoli incontrati per
il loro tardo pentimento. Si succedono quindi sette zone
concentriche , sovrapposte , sempre più strette a misura
che s'innalzano , e nelle quali si purgano i sette peccati
capitali, le sette colpevoli forme dell'amore. In cima G-
nalmente, ed al termine delle prove, stende il paradiso
terrestre le sue ombre deserte, sotto le quali solamente
le anime rigenerate vanno a bere a due sorgenti l'oblio
delle colpe e la rimembranza de' loro meriti (i).
a. Gli abitatori di queste tristi regioni vi si mostrano
rivestiti di corpi sottili, di cui si è già spiegata la forma,
corpi impalpabili, sfuggenti all'abbraccio, non intercet
tanti la luce, eppure organizzati in modo che il soffrire
sia possibile al di dentro e visibile nell'esterno (a). On-
d' è che sono loro preparate delle pene materiali, analo-
(1) Purgatorio, passim.
(2) Purgatorio, li, 27:
O ombre, vane fuor che nell' aspetto \
Tre volte dietro a lei te mani avvinsi T
£ tante mi tornai eoa esse al petto..
Ibid. V, 9r
Quando s' accorser cfc' io. non dava loco
Per lo mìo corpo al trapassar de' raggi t
Mutar lor canto in un O lungo e roco,
Ibid. XXI , 495 XXV, 35; XXVI, 4.
CAPITOLO III. ,3,
ghe tutte alle colpe die riparano: enormi pesi incurvanti
le spalle ai superbi ; cilicio e cecità per gli invidiosi :
fumo che inviluppa i collerici: incessante correre per gli
accidiosi; ignominiosa positura per gli avari, sdrajali sulla
terra di cui ainarou troppo i tesori ; la fame che dimagra
il volto dei golosi: e la fiamma ond'esciranno mondi i vo
luttuosi. Aggiungi a queste pene gli altri mezzi peniten-
ziarj di cui I' ascetismo cristiano fa già prova in questa
rita: la meditazione, la preghiera, la confessione (i).
3. In questa condizione severa in cui fur posti dalla
morte, hanno conservato i giusti soffrenti la rimembranza
di loro vita passata, e se loro manca la scienza del pre
sente, un'opinione rispettabile, perchè popolare, loro at
tribuisce la conoscenza dell'avvenire. Si trovano essi dun
que colle facoltà, le tendenze, le affezioni d'una volta,
salvo tutto quanto potrebbe incontrarvisi di perverso (2).
Le rivalità terrestri per loro disparvero colle terrestri di
stinzioni ond'ebbero origine. Se conservano qualche inte
resse per le cose di quaggiù, è solo per reciproco com
mercio di pietà e di preghiere. Ammaestrati alla scuola
del dolore, pregano che il Cielo ce li risparmi) j e da
parte nostra, le orazioni e le opere pie da noi fatte,
salgono verso Dio, lo muovono a pietà, e ricadono in
benedizioni su quei giusti di cui abbreviano la peniten
za (3). La coscienza però, messa nel cuore umano a fre
nar l'impazienza de' suoi desiderj, giustifica ai loro oc
chi i rigori che comportano e fa loro aggradire , e di
rei quasi amare questi mali riparatori (4). Il pensiero
( 1 ) Purgatorio , passim. — Cf. S. Bonaventura , Compendim1 >
VII, 2, 3. — Cf. Boezio, lib. IV, pros. 4.
(2) Purgatorio, II, 36; VIII, 42; XIV, 24, 33.
(3) Purgatorio, III, 48; IV, 40; V, 25; VII, 46; XI, 7; XIX,
45, ec. — Cf. S. Bonaventura, Compendium, VII, 4.
(4) Purgatorio, XIX, 26; XXI, 27; XXVI, 5.
,4» PARTE "•
del compimento degli eterni decreti; la certezza della fe
lice impossibilità in cui sono di non più peccare; la spe
ranza del glorioso retaggio, il cui possesso non può es
ser loro differito oltre al giorno finale; l'amore infine
che non mai li abbandona; arrogi i cantici fraterni cantati
in coro; i testi sacri ripetuti in frequenti interteninaenti ;
la pace di giorni serenissimi ; le notti passate sotto la cu
stodia degli angioli (i); l'unione della Chiesa soffrente con
quella che milita e quella die trionfa; sono bastanti con
solazioni per attendere 1' ora della liberazione. — L' a-
nima allora si troverà d'un tratto col sentimento di sua
purità ricuperata e di sua conquistata libertà; ne vorrà
fare la prova, e sarà contenta d'averlo voluto; e nel
mentre che scuoterassi il monte sacro e si innalzeranno
innumerevoli acclamazioni , portata dalla sola volontà,
salirà essa verso le sfere del gaudio eterno (2).
IV.
Accompagnata l'umanità in tutte le fasi di questa esi
stenza mista di beni e di mali da essa attraversata, bi
sogna conoscere il mondo in cui queste differenti fasi
hanno compimento, che esercita su di esse e ne subi
sce inevitabili influenze. Perchè se l'uomo riflette in sé
la natura come un' imagine scorciata sì , ma vivente ,
lascia pure alla sua volta nella natura come un riflesso
di sé medesimo, più smorto e meno animato, ma più
vasto. Sono due fuochi che si mandano reciprocamente
0) Purgatorio, VIII, 9. — Cf. S. Bonaventura, Compendium ,
VII, 3. In magistr. sent. lib. IV. Dist. 20, p. 1,q. 5: Gli angeli
ed i demoni presentì in purgatorio,
(a) Purgatorio XXI, 20, 21 :
quando alcuna anima monda
.Si sunte, si che surga , o cl1c si muova
Per sjlir su
Detta mondizia il sol voler fa p1 uova,
Che, tutta libera a mutar convento,
L'alma sorprende, e di voler le giova.
CAPITOLO III. 141
i raggi luminosi ; il primo li concentra , 1' altro li dis
perde.
1. Lo stato imperfetto delle cognizioni contemporanee,
riduceva a piccol numero le spiegazioni veramente scienti
fiche dei fatti della natura. La pioggia, il fulmine, i vulcani,
il flusso e riflusso del mare (1), tutti gli spettacoli che per
la loro grandezza o pel frequente ritorno richiedono
un' attenzione più viva , davan luogo ad ipotesi più o
meno soddisfacenti , unite ben di rado con un nesso lo
gico e non formanti tra loro un corpo di dottrine. Per
lo contrario, l'insieme dei fenomeni fisici, la posizione,
i rapporti , l'azione reciproca dei grandi corpi della crea
zione, il sistema del mondo infine, facilmente si prestano
a generali considerazioni , alle deduzioni dell' analogia ,
ai presentimenti d' un'alta metafisica, ai raziocinj appog
giati alla scorta delle cause finali. La filosofia si trovava
là nel suo vero dominio.
2. Una cosmografia inesatta , ma universalmente am
messa , fissava le dimensioni del globo terrestre dando
gli 6,5oo miglia di diametro, quindi 30,4.00 di circon
ferenza (2). — Né era meglio conosciuta la configura
zione di questo globo. Gerusalemme, centro morale del
l' umanità, consideravasi pure co.me il centro geogra
fico del continente consacrato all'abitazione degli uomi
ni (3). Dalle sorgenti dell'Ebro alle foci del Gange, dalle
estremità della Norvegia a quelle dell'Etiopia, la terra
formava quasi un emisfero (4); l'altro era coperto dal
(1) Purgatorio, V, 38. Paradiso, VIII, a5; XVI, 28 :
E come 'I volger del ciel della luna
Cuopre ed iscuopre i liti senza posa ...
Paradiso, XXIII, a1.
(2) Convito, II, 7, infine.
(3) Purgatorio, II, i; XXVII, 1.
(4) Ivi. Inferno, XXXIV, 4a.
,4, PARTE II.
mare; e però un pensiero divinatore faceva sognare al
di là delle colonne d'Ercole altre regioni lontane, pro
tette da un superstizioso terrore nudrito da vecchie leg
gende contro l'audacia dei navigatori (i). Messe fuori
dall'esplorazione positiva, queste contrade antipode di
ventavano dominio ed asilo delle allegoriche imagina
zioni. Era ben naturale di indicar ivi situato il paradiso
terrestre, omai inaccessibile; era bello il contrapporre il
luogo in cui nacque il primo padre per perdere la pro
pria stirpe, a quest'altro luogo sacro ove il Figliuolo
dell'uomo morì per salvarla. Così il monte Eden ed il
monte Sion erano come i due poli del mondo e soste
nevano l'asse sul quale si compiono le sue religiose ri
voluzioni. Ed era bene il popolare di nuovo , metten
dovi le pene del purgatorio espia trici del peccato, que
sta terra primitiva , fatta deserta per il peccato mede
simo. Conveniva quindi rappresentarla, come si è fatto,
un cono elevato, diviso in più zone, al cui piede vengo
no meno tutte le alterazioni atmosferiche che potrebbero
interrompere la calma della penitenza ; nel mentre che
la vetta si perde nella regione dell'aere puro, dove la
gravità cessa d'esercitare il proprio potere e donde è fa
cile l'innalzarsi ai cieli (2). — Al rovescio, sotto al suolo
(1) Inferno, XXVI, 27. Paradiso, XXVII , 28.
(2) Purgatorio, IV, 23, 24; XXI, i5, 16:
imagina Sion
Con questo monte in su la terra stare,
Sì che amendue hanuo un solo orizon ,
E diversi cmisperi....
Libero è qui da ogni alterazione ;
Di quel the '1 cielo in se da se riceve
Esserci puote, e non d'altro, cagione:
Perche non pioggia, non grando , non neve,
£ion rugiada, non hrina più su cade, ec.
Paradiso, I. 3i. — Cf. Sulla posizione geografica e meteorologie»
del paradiso terrestre vedi Beda citato da S. Tomaso, i. q. 102,
I. S. Gio. Damasceno citato da S. Bonaventura, Compendium, II,
64, e Isidoro, hiymol. XIV, 4-
CAPITOLO III. .43
calpestato dai nostri pie, s'aprono i baratri infernali. Si
trova in fondo il punto a cui tendono tutti i corpi (i). Là
noi abbiam visto il genio del male risedere in un am
masso di ghiaccio che esclude l'ipotesi del fuoco centra
le. Un simil vuoto attraversa quanl' è profonda 1' altra
metà del globo. Questi sotterranei abissi attestano anti
chi rovesciamenti, di fermo anteriori alla specie umana
e nondimeno conservati nella sua memoria. Forse quando
l' angelo ribelle precipitò dal cielo , inorridì la terra
dell'altro emisfero testimonio di tale caduta e si fece co
me un velo col mare ; sfuggendo quindi sotto i piedi
del reprobo scavò questi vuoti interiori, rifuggissi verso
il nostro emisfero e formò il continente su cui noi vi
viamo (2).
3. Le nozioni astronomiche erano giunte omai a largo
svolgimento; per lo manco, le apparenti rivoluzioni che
cangiano l'aspetto della vòlta celeste si trovavano già de
scritte nei libri di Tolomeo ; gli osservatori arabi ave
vano scoperto molte costellazioni vicine del polo antarti
co (3). Alcuni fatti particolari, come a dire gli eclissi,
le macchie lunari, la via lattea, avevano ispirato felici
concepimenti (4). Anche non conoscendo qual posto oc-
(1) Vedi più sopra, pag. 110.
(2) Inferno, XXXIV, 41, 42:
Da questa parte cadde giù dal cielo :
E la terra che pria di qua si sporse,
Per p.iurn di lui fe' del mar velo ,
E venne all'emisperio nostro ; e forse
Per fuggir lui lasciò qui il luogo vólo
Quella che appar di qua, e su ricorse.
(3) Purgatorio, 1,8; Vili , 28 :
Io mi volsi a man destra , e posi mente
All'altro poto , e vidi quattro stelle , ec.
Cf. M. Btagioli , commentario su questo passo.
(4) Paradiso, II, 21; XIV, 34. Convito, II, i4, i5. Diverse no
zioni astronomiche, Inferno, XXVI, 43. Purgatorio, IV, 21; XV, a.
Paradiso, I, i3j XXVII, 27. — Cf. Aristot. de Coelo et Mundo,
passim.
r
,44 PARTE II.
cupi il sole nel sistema planetario, non si poteva a meno
di presentirne la grandezza del volume e P importanza
delle funzioni; era salutato padre dell'umanità, primo
ministro della natura ; in lui si scorgeva l' imagine di
Dio (i). Né più contemplavansi le innumerevoli orbite
sospese nell'immensità senza un'impressione di religioso
timore ; e quanto meno davano agli astri di distanza
e di dimensione, attribuivano loro altrettanto più di in
fluenza. Presedevan essi alla generazione degli esseri;
da loro emanava la vita sparsa in tutte le familie delle
piante e in tutte le specie degli animali (a). Come il sug
gello impronta la docile cera , cosi la virtù loro im
primeva incancellabile carattere alle anime degli uomini
nel giorno di loro nascita: continuavan essi ad interve
nire in quegli istintivi movimenti che precedono l'eser
cizio della volontà; onde toccava loro parte degli onori
dell' ingegno, e del inerito delle azioni buone o cattive.
Bisognava, vorrei dire, un ardimento per limitare il loro
impero e preservare la forza della libertà ; ne v' era
alcun temerario che osasse negare la potenza degli o-
roscopi o contendere la parie dei movimenti celesti ne
gli eventi che agitano la terra (3). — Già si sa quali e
(i) Paradiso, X, 10-18; XV, 26:
Lo ministro maggior della natura ,
Che del valor del cielo il mondo imprenla.
Ibid. XXVII, 46. — Cf. Platone, Timaeus , Iiepub. ri. — Ari-
stot. Physic. II, 1.
(2) Purgatorio, XXXII, 18. Paradiso, VII, 47:
L1 anima d'ogni bruto e delle piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e H moto delle luci sante.
(3) Inferno, XV, 19. Purgatorio, XVI, a5 ; XX, 5; XXX, 37.
Paradiso, IV, ao; XIII, 34, 44; XXII, 38:
O gloriose stelle , o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto , qual che si sia , il mio ingegno.
Convito, II, 7. — Cf. Platone, Timaeus. — Aristot. de Gen. II, 3.
CAPITOLO HI. ,43
quanti ci'ano i cieli, secondo le opinioni di quel tempo.
Il bisogno di spiegare la rotazione universale da est ad
ovest aveva fatto aggiungere alte otto sfere dei pianeti
e di stelle fisse, un nono cielo chiamato il primo mo
bile (i); il quale supponevasi che alla sua volta rice
vesse il proprio moto dall'attrazione esercitata su tutti i
suoi punti dal cielo empireo che comprende l'universo
ed è soggiorno della Divinila, pieno di luce, di calore
e d'amore (2). L'amore è l'ultima parola del sistema del
mondo; è desso che produce quest'armonia delle sfere sì
celebre nelle dottrine dell'antichità, e che risolverassi
nelle leggi matematiche della scienza moderna (3).
4. Ma l'oggetto di questo amore immenso e multi
forme, Quegli che muove di continuo i mondi tirandoli
a sé , non è altri che Dio stesso (4). Egli ha messo
la sua augusta rassomiglianza nell'ordine ammirabile,
che è la forma della creazione; egli ha lasciata la pro
pria impronta negli esseri che la compongono , dando
loro, secondo il grado di perfezione, un istinto che gli
fa contribuire per una parte proporzionale all'ordine ge
nerale. Così un potente impulso fa correre ciascuna
creatura in una determinata direzione attraverso al gran
mare dell'esistenza, dilata il fuoco, condensa la terra,
(1) Paradiso, XXIII, 38; XXVII, 34. Convito, II, 3, 4. — Cf.
S. Tomaso, 1. q. 68, 4.
(2) Purgatorio, XXVI, 20. Paradiso, XXX, i4. — Cf. Cicerone,
Somnium Scipionis. — Platone, Phaedrus. — S. Tomaso, 1. q. 66, 2.
(3) Paradiso, I, 26. — Cf. Platone, Rep. X; Convivium. — Ci
cerone , Somnium Scip. — Boezio, lib. II, pros. V.
(4) Paradiso, I, 25, 26:
Amor, cl1c M riel governi ...
. • . . la rota , che lu sempiterni ,
Desiderato, a sè mi fece atteso
Con l'armonia che temperi e discerni.
Cf. Aristot. Melaphys. XII. — Boezio, lib. I, metr. 5. — S. To
maso, 1. q. 2, art. 3.
Ozanam. Dante. 13
M6 PARTE li. CAPITOLO HI.
fa battere i cuori, risveglia gli spiriti (1). Così la natura
può essere riguardata come un'arte divina che esercita
l'eterno artista. L'arte può considerarsi sotto tre rap
porti: nel pensiero dell'artista, nell' istru mento che ado
pera, nella materia cui dà forma. La natura del paro
è prima nel pensiero di Dio, è Dio stesso, e sotto que
sto riguardo è inviolabile, irreprensibile, indefettibile.
Essa è poi nel cielo, come nell' istrumento pel cui mezzo
la suprema bontà si riproduce all' esterno ; ed essendo
questo istrumento perfetto , così la natura è senza di
fetti. Essa è infine nella materia formata; ed è là sola
mente che l'azione divina ed una celeste influenza in
contrano un principio radicale d'imperfezione che esse
possono correggere sì, ma non distruggere ; è unicamente
là che trovasi nella natura l'antagonismo del bene e del
male (2).
(1) Paradiso, I, 35, 38:
Le cose tutte quante
rlam1' online tra loro, e questo è forma
d1e P universo a Dio fa simigliarne ...
Orni,. si muovono a diversi por,li
Pur lo gran mar dell'essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti.
Iblei. Vili, 4. — Il gran mare dell'esistenza è un' espressione di
S. Gio. Damasceno. — Cf. S. Tomaso, 1. q. 5. art. 3.
, (2) Paradiso, I, 1; VIII, 39; X, 4; XXXI, 8. Inferno, XI, 33. —
De Monarchia , 1 1 : Qttemadmodum ars in triplici gradu invenitur,
in mente scilicet artifteis, in organo et in materia formatti per
artem j sic et naturam possumus intueri. Est enlm natura in mente
primi Motoris , qui Deus est ; deinde in coelo tanquam in or
gano j <jruo mediante similitudo bonitatis aeternae In Jluctuanlem
materlam explicatur. Et quemadmodwn perfecto existente arti/ice,
atque optlme se habente organo, si contingat peccatum in forma,
nrtis, materiae tantum imputandum est ; sic , ec. — Cf. Platone ,
Theaetetus, Timaeus. — Calcidio, in Timaeum, 4 , ^99 , 408. De
Causis, 20: « Diversifìcautur bonitates et dona ex concursu reci-
pientis ...» Ibid. 24.
CAPITOLO IV.
Nel corso di queste ricerche il bene si è lasciato tra
vedere parecchie volte sotto differenti aspetti. Or è tempo
di farne apposito discorso e di andare a lui , passando
grado grado dal cognito all'incognito, dall'uomo alla so
cietà, dalla vita mortale all'immortalità, dalle creature
legate nelle condizioni della materia e del tempo , agli
esseri superiori che ne furon francati per sempre.
I.
1. 11 bene per l'uomo è ciò che deve essere, è l'ultimo
fine della sua esistenza. Il qual fine può essere succes
sivamente considerato e come esteriore, poiché vi si ten
de; e come interiore poiché un giorno vi si arriva. 11
bene, oggetto esterno, al cui possesso ognuno si sforma
di pervenire, è la felicità * il bene, tipo interno che si
realizza in sé stesso, è dqlto perfezione.
Il fine dell'uomo gli è manifestato da un istinto, de
posto in lui come un germe dalla divina bontà, oscuro
nel principio e facile a confondersi coi bassi appetiti de
gli animali (i). Ei percepisce dapprima l'esistenza d'una
cosa ignota alla quale aspira, e nella quale sola ripose
ranno i suoi desiderj. Quindi la cerca: fra gli esseri on-
d'è circondato, ei si distingue e preferisce sé medesimo.
Distinguendo poi in sé molte parti , preferisce la più no
bile, che è l'anima; e come è naturale il compiacersi nel
godimento della cosa amata, ei si compiace soprattutto
(1) Convito, IV, 11: Della divina bontà in noi seminata e in
fusa dal principio della nostra generazione , nasce un rampollo
che li Greci chiamano hormen, cioè appetito d'animo naturale, ce.
M8 PARTE II.
nelTusare delle facoltà, onde l'anima sua è adorna (i).
Comprende quindi di non esser nato per la vita mate
riale dei bruti, sibbeue per amare e conoscere (2). Or
bene, se le due precipue facoltà dell' anima sono l'in
telligenza e la volontà , è forza attribuirle due maniere
di funzioni : speculative e pratiche. Perciò P uomo ha
due destini quaggiù; l'uno attivo pel quale si sforza di
operare egli stesso, contemplativo l'altro in cui consi
dera le operazioni di Dio e della natura. I quali destini,
figurati nell'antico Testamento in Lia e Rachele, nel nuo
vo da Maria e Maria, sono rappresentati nel poema da
Matilde, la grande ed energica contessa, e da Beatrice
la santa ispirata (3). La vita attiva, sviluppando la vo
lontà dell'uomo, il conduce ad un primo grado di per
fezione ; e la coscienza avuta da questa perfezione , gli
dà una prima misura di felicità. Ma la miglior parte è
la vita contemplativa, poiché consiste nell'esercizio della
più eccellente facoltà , l' intelligenza. Ora , l'intelligenza
non saprebbe arrivare in questo mondo al suo più com
pleto esercizio , quello cioè di contemplare I' essere so
vranamente intelligibile, Iddio. Dunque, il vero ultimo
fine, la perfezione e la felicità veramente tali, non si
(1) Purgatorio, XVII, 43. Convito, IV, 22: Dico adunque che
dal principio sé stesso ama , avvegnaché indistintamente; poi viene
distinguendo ... e conoscendo in sé diverse parti , quelle che in
lui sono più nobili più ama ... Dunque se la mente si diletta
sempre ncll' uso della cosa amata ... 1' uso del nostro animo è
massimamente dilettoso a noi. — Cf. Platone, Co1wivium, Phaedriu.
— S.Tomaso, 1. 2. q. 10, art. 1.
(2) Inferno, XXVI, 4o:
Considerate la vostra sementa;
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir vtrtute e conoscenza.
(3) Purgatorio, XXVII, 33; XXVIII, i5; XXX, l1. Convito, IV,
17; II, 5, ec. — Cf. Aristot. Ethic. I, 6; VII, 14 ; X, 8. — Lia e
Rachele, in Riccardo da S. Vittore, de Praepar. ad contempi. 1 .
CAPITOLO IV. ,49
ottengono quaggiù. — Le tre donne che andarono a visi
tare il Salvatore al sepolcro, nol trovarono, ma al suo
posto v'era un angelo che loro disse : Non è qui ; voi
lo vedrete altrove. Parimenti le tre scuole, d'Epicuro,
di Zenone, d'Aristotele, vanno a cercare in questa tomba
terrestre da noi abitata il sommo bene e nol ritrovano.
Ma il sentimento interiore che viene dall'alto come mes
saggero celeste, ci avverte che questo bene ci aspetta
in un'altra vita (1).
Così, il confuso istinto di cui abbiam distinta la na
scita, non è altro che l'amor del bene, la sete innata
e perpetua d' una felicità infinita. Ei neutralizza in noi
il potere delle leggi della natura che ci tengono legati
sulla terra ; ci porta in una sfera più alta e più pura;
ci toglie dalle ordinarie condizioni dell' umanità , e, ad
esprimere con nuovo vocabolo la esistenza nuova alla
quale ci inizia, esso ci trasumana (2). Noi non siamo
più che difettosi insetti; ma compiendosi un giorno la no
stra formazione, ci verranno date ali per volare verso il
(1) Convito, IV, 22: Per queste tre donne si possono intendere
le tre sette della vita attiva, cioè gli Epicurei, gli Stoici e gli
Peripatetici, che vanno al Monimento, cioè al mondo presente
rh' è ricettacolo di corruttibili cose , e domandano il Salvatore ,
cioè la beatitudine, e non la trovano; ma un giovane trovano in
bianchi vestimenti, il quale... è questa nostra nobiltà che da
Dio viene ... e dice a ciascuna di queste sette , cioè a qualunque
va cercando beatitudine nella vita attiva , che non è qui ... —
Cf. Platone, Epinomis. — S. Tomaso, i. a. q. 3, art. 8.
(2) Paradiso, I, 24; II, 7:
Trasumanar significar per verba
Non si poria ....
La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
Veloci quasi , come '1 ciel vedete.
Ibid. IV, 42; XXXIII, io. — Cf. Boezio, lib. IV, metr. i. —
S. Bonaventura, Itin. mentis ad Down.
i 3'
,5o PARTE II,
bene supremo. Noi siamo vermi; ma vermi da cui usci
ranno angeliche farfalle (i).
2. Se la scienza è la sovrana beatitudine dell'intelli
genza non mancherebbe d'attirare tutti gli uomini, de
stando in loro l'insaziabile bisogno di conoscere; e d'al
tra parte, deve essa soddisfare questo bisogno, diffon
dendosi senza mai venir meno, coinmunicandosi senza
dividersi giammai. Non saprebbe dunque lasciarsi acqui
stare che n patto di far di sé parte al di fuori ; per
maniera che dà luogo a due sorta d'esercizj del pensie
ro: lo studio e l'insegnamento (2). Ora lo studio e l'in
segnamento, per giungere al loro scopo, hanno bisogno
d'una direzione che possono avere solo da una lunga
abitudine. Le abitudini dirigenti il pensiero prendon no
me di virtù intellettuali. Trovan esse la loro ricompensa
nel possesso della verità a cui conducono: e più queste
verità sono sublimi, più ne è dolce e prezioso il posse
dimento. Così le rare ed incerte nozioni che si possono
avere delle cose invisibili riempiono lo spirito umano di
maggior gioja che non le numerose e certe cognizioni
avute dai sensi (3). — Noi abbiam detto altrove degli
(1) Purgatorio , X, 42j 43:
Non v1 accorgete voi che noi siam vermi
Nati a formar Pangelica farfalla
Che vola alla giustizia senza schermi :'
Di che l'animo vostro in allo gtlla ? ,
Voi siete quasi entomata in difetto ,
Sì come verme in cui formazion falla.
(2) Paradisoj II, 4:
Voi altri pochi, che drizzaste M collo
Per Irmpo al pan degli angeli , del quale
Vivesi qui, ma non zen vien satollo ...
Convito, I, 1. — Cf. Aristot. Metaphys. 1.— S.Dionigi l'Arespa-
gita, de Coeletti Hierarchid, VII.
(3) Convito, II, 3; IV, 17: Quello tanto che l'umana ragione
ne vede , ha più dilettazione , che '1 molto e '1 certo delle cose,
delle quali si giudica per lo senso. — Cf. Virtù intellettuali , A-
ristot. Etnie. Il, i; VI, passim.
CAPITOLO IV. !5,
scoraggiamenti e delle illusioni che sembrano vietarci
l'accesso delle verità filosofiche ; ma non bisogna dimen
ticare la meravigliosa assistenza che ci fa trionfare di
tali ostacoli: l'improvvisa luce che illumina l'intendi
mento oscurato, le ispirazioni che ravvivano la spossata
imaginazione, e quella potenza che si manifesta in al
cuni, inattesa, impersonale, irresistibile, e che gli uo
mini credettero discesa dal cielo, poiché l'hanno chiamata
col nome di genio (i).
3. Risponde al bisogno di conoscere, quello di ama
re. O meglio, quel medesimo germe d'amore che sotto
l'efficacia d'una coltura intellettuale si volge verso il ve
ro, per una coltura morale si diligerà verso il buono (2).
Senza nostra saputa s'inizia in noi per divina previdenza
il sentimento del bene, che si manifesta dalle felici dispo-
sizioui che variano con le età della vita. La giovinezza
ha per lei l' obedienza e la grazia , la modestia e la
beltà: la modestia, che comprende l'umiltà, il pudore e
la vergogna; la bellezza, consistenta nella proporzione e
sanità di tutte le parti del corpo, fedeli a rendere le
impressioni dell' anima ed al subirne gli impulsi. Sono
ornamento della gioventù: la tenerezza, la cortesia, la
lealtà, la temperanza e la forza: e può dirsi essere le due
ultime freno e stimolo di cui si serve la ragione per go
vernare la concupiscenza appunto come lo scudiero guida
un generoso cavallo. La vecchiaja è l'epoca in cui devono
communinarsi al di fuori i faticosi acquisti degli anni di
leguati; è l'ora in cui la rosa s'apre e spande i suoi o-
lezzi. Le sono proprie: la prudenza, la giustizia, la be
neficenza e l'affabilità. L'ultima età alla perfine si riposa
nella pia e serena aspettazione della morte, in un grato
ritorno sui giorni trascorsi, in una affettuosa aspirazione
(1) Vedi sopra, Paradiso, XXII, 37. byferno, IX, 22, ce.
(2) Convito, I V3 22. — Cf. Cicerone , TuscuL III.
l5» PARTE li.
verso Dio che s'avvicina (i). — Fin qui noi abbiamo solo
stabilite quelle semplici disposizioni che ponno trovarsi
innate nell'anima. Ma, d'una parte, quand' esse non vi
si trovano deposte come una semente, vi ponno essere
innestate dall'educazione (2); e dall'altra la volontà co
opera alla loro efflorescenza e definitiva fruttificazione.
Essa le fa passare con atti ripetuti, dallo stato di sem
plici disposizioni a quello di abitudini. Ora, una volon
taria abitudine che fa scegliere la via di mezzo fra vizj
opposti, è appunto ciò che forma la virtù (3). Se ne ponno
contare undici morali : il coraggio , la temperanza , la
liberalità, la magnificenza, la magnanimità, l'amor mo
derato delle publiche cariche, la mansuetudine, l'affabi
lità, la veracità, la piacevolezza, ed infine la giustizia (4).
Si può ancora , tenendosi a più celebre classificazio
ne, distinguere le virtù in cardinali e teologali. Le pri
me sono quattro; prudenza, giustizia, fortezza e tempe
ranza: hanno radice nella natura, e ricompensa nella fe
licità di quaggiù. Esse furon dunque fra gli uomini di
tutti i tempi; foriere della rivelazione, preparanti le vie
dinanzi a lei (5). Le altre tre virtù, sconosciute a quelli
. (1) Convitoj IV, 24-28: L'ordine debito delle nostre membra
rende un piacere non so di che armonia mirabile .... L'appetito
conviene esser cavalcato dalla ragione ... la quale quello guida col
freno e con isproni ... Conviensi aprir l'uomo quasi com'una rosa
che più chiusa stare non può.
(2) Convito, IV, 21, 22: Se di sua naturale radice uomo non.
acquista sementa, bene la può avere per via d' insettazione.
(3> Convito, IV, 17. — Cf. Aristot. Eihic, II, 6. — S. Tomas»,
1. 2. q. i345 art. 3.
(4) Ibid. — Cf. Aristot. Ethic. III, 6; IV, passim.
(5) Purgatorio, XXIX, 44:
quattro facean festa,
la porpora vestite , dietro al modo
D'una di lor rh'avea tre occhi io testa.
Paradiso, X, XIV, XVIII, XXI, passim. De Monarchia, III.
Convito, IV, 22. — Cf. Platone, de Legibus, 1. — Cicerone, de Of-
ficiis, 1.
CAPITOLO IV. ,53
che non conoscono la rivelazione, con essa discesero dal
cielo, destinate a ritornarvi un giorno. Sono: fede, spe«
ranza e carità (1). La fede può definirsi : la sostanza
delle cose che bisogna sperare, l'argomento delle verità
invisibili : sostanza , perchè esse in questo mondo non
hanno altra realtà che quella loro data dalla nostra cre
denza ; argomento , perchè esse credenze diventano le
essenziali premesse d' ogni ulteriore sillogismo (2). La
speranza è la certa aspettazione della futura ricompen
sa, fondata sul conoscimento della bontà divina e sulla
coscienza dei meriti acquistati (3). Viene ultima la carità,
l'amore di quel bene ineffabile che il raziocinio filosofico e
la sacra autorità s'accordano a far riconoscere come ne
cessario oggetto delle nostre affezioni. l'amore di quel be
ne vivente che corre spontaneo dinanzi all'amore come la
luce corre innanzi al corpo capace di rifletterla ; che
scompartendosi si moltiplica e si dona con tanta mag
gior effusione con quanto più d'ardore viene ricercato,
e si fa maggiormente amare quanto più sono quelli che
Io amano (4). Ma quest'amore, il solo che senza gelosia
(4) Purgatorio, XXIX, 4t; XXXI, 37. De Monarchia, III. —
Cf. sopra le sette virtù , Ugone da S. Vittore , Sermo 39, e S.
Tomaso, i. a. q. 61-6a.
(1) Paradisoj XXIV, 22, 25, 26:
Fede è sustanzia di rose sperate,
Ed argomento delle non parventi ...
Che P esser loro v^c in sola credenia ...
E da questa credenza ci conviene
Sillogizzar
Cf. S. Tomaso, i. a. q. 4> 1•
(2) Paradiso, XXV, 2 3 :
Speme , iliss' io, è uno attender certo
Della gloria futura , il qual produce
Grazia divina e precedente merto.
Cf. S. Tomaso, i. a. q. 62, 4.
(3) Paradiso, XXVI, 9, 10:
, Per filosofici argomenti,
E per autorità che quinci scende,
Cotale amor comico che 'n me s'impronti;
/"
/
,54 PARTE II. ,
sia anche senza inganno, e la speranza e la fede che ne
vanno compagne, virtù divine, non sono scintille d'una
fiamma ordinaria. Sono raggi puri venuti immediata
mente da lui che è il sole delle anime, che le illumina
e le riscalda quaggiù, aspettando di tirarsele più dap
presso e di rivestirle dei suoi splendori. Quest'azione so
prannaturale e gratuita, generatrice e rimuneratrice della
virtù, che bisogna pur riconoscere dopo un serio esame
dei misteriosi fenomeni del gran mondo morale, è ella
stessa un mistero: si chiama la Grazia (i).
II.
1. Dal principio, l' individuo sì confonde colla specie-
e le perfezioni qui sopra descritte si trovano riunite nel
primo uomo, tipo del genere umano di cui doveva es
sere il padre. Così, l'onnipotenza creatrice volle spargere
in lui tutto quanto di scienza può contenersi in un petto
di carne. Il pensiero esuberante aveva bisogno di pro
dursi al di fuori ; gli era d'uopo d'una espressione com
prensibile allo spirito e trasmissibile coi sensi. Questa
Che'! bene, in quanto ben, rome «Motende,
Così accende amore, e tanto maggio,
Quanto più di bontate io sè comprende.
Purgatorio, XIV, 29; XV, 23-s5:
Quello infinito ed ineffabil bene
Che lassù è, cosi corre ad amore,
Come a lucido corpo raggio viene.
J'anto si dà, quanto trova d'ardore;
Sì che quantunque carità si s'ende,
Cresce sopra essa l'eterno valore.
E quauta gente più lassù s'intende,
Più .i ila bene amare, e più vi s'ama,
E come specchio Puno all'altro rende.
Cf S. Bernardo, de Deo diligendo. — S. Tomaso, 1. 2. q. a3, 45, 2.
(1) Purgatorio, VilI, 32. Paradiso, X, 29; XXVIII, 37:
Lo ragi;io della grazia , onde s'accende
Verace amore, e che poi cresce amando, ec.
S. Tomaso, 1. 2. q. no, 1.
CAPITOLO IV. 155
necessità produsse il linguaggio. Ed il linguaggio primi
tivo, creato colla prima anima, fu perfetto al pari di lei;
nominò tutti gli esseri non con regole arbitrarie, ma con
parole portanti con sé la loro definizione (i). — Ma dopo
la caduta, insieme si perdettero la scienza e la lingua pri
mitiva ; gli idiomi, abbandonati ai capricci delle razze di
verse, variarono e si rinnovarono come i fo1diami delle
foreste. E solo, siccome la prima parola, radice del lin
guaggio originale, efa stato uno slancio verso Dio ed il
nome di Dio stessp (El)\ così la radice delle lingue de
cadute è un sospiro, un'interiezione di dolore (Ah!) (2).
— Noi abbiam visto del paro moltiplicarsi i sistemi e le
scuole, senz'altro di commune che la loro insufficienza.
La pienezza della scienza non poteva trovarsi che in un
uomo novo ; essa abitò nel petto sacrosanto che fu. a.
perto sul Calvario dalla lancia d'un soldato (3). — Di
là doveva spargersi fra i saggi del .santuario , padri e
dottori della Chiesa; in quella scuola cattolica dove do-
veano incontrarsi tanti nobili spirili; quali furono Dio
nigi l'Areopagita, quegli che con occhi mortali penetrò
il più addentro nelle cose celesti ; Boezio, che alla vigilia
del martirio tutti insieme svelava e consolava i dolori
nascosti sotto le illusioni del mondo: Isidoro, Beda, Ra-
bano il Moro, Anselmo, Bernardo, Pier Damiano; e
(1) Paradiso, XIII, i3, 18:
Tu credi che ne! petto, onde la costa
Si trjsse per formar la Leila guancia ,
Il cui palato a tutto '1 mouJo costa...
Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso...
Cf. S. Bonaventura, Compendium, II, 62. — Dante, nel Paradiso,
XXVI, 42, 44, suppone 1' origine naturale del linguaggio e 1' c-
stinzione della lingua primitiva. Al rovescio, nel libro de V1dgari
Eloquentid, dice essere stata la prima lingua creata coli' uomo ,
e che fu l'ebraica, lib. I, 3-5.
(2) Paradiso, XXVI, 45. De bulgari Eloquentid, lib. I, 4.
(3) Paradiso, XIII, 14.
,56 PARTE II.
Pietro Lombardo, che si trovava felice, ei diceva, di get
tare il suo libro delle sentenze come il denaro della
vedova nel tesoro del tempio; Ugone e Riccardo da S. Vit
tore, clie nelle loro contemplazioni mostraronsi da più
che uomini. Tali furono ancora, in tempi più vicini, Pie
tro Io Spagnuolo ed Alberto il Grande; e Bonaventura,
che portò nelle funzioni d'un ministero attivo, l'alta pre
occupazione della saggezza cristiana; e Tomaso d'Aquino
il cui nome è oltre ogni lode (i).
2. Nè meno ha fatto la Providenza pel regno di giu
stizia che per quello della verità. — Il diritto è una
delle forine del bene, e come il bene risiede in Dio stes
so , e Dio il vuole oltre ogni permanenza del suo esse
re, egli vuole il giusto. E poiché ciò che è voluto da
lui forma una cosa sola colla sua volontà, è forza con
chiudere essere il giusto nella sua essenza non altro che
la volontà divina. Nella sua temporale apparizione quaggiù,
il giusto è la conformità dei fatti contingenti con questa
immutabile volontà. Infine, se si prende la parola nel
suo più stretto significato, il diritto è il complesso delle
relazioni reali e personali dell'uomo coll'uomo , dall'os
servanza delle quali dipende il mantenimento dell'ordine
sociale (2).
Difatti l'uomo è stato posto ai confini dei due mon
di, come l'orizonte che dividei due emisferi: il mondo
(1) Paradiso, X, 34-45; XII, 43-47.
(2) De Monarchid , II : Jus cum sit bonum in mente Dei est.
Et cum omne , quoti in mente Dei est, sit Deus, et Deus maxime
seipsum velit, sequitur quod jùs a Deo, prout in Deo est, sit vo-
litum: et cum volitum et voluntas in Deo sii idem, sequitur ul-
terius quod divina voluntas sit ipsum jus ... Et jus in rebus nihil
est aliud quam similitudo divinae voluntatis ... Jus est realis et
personalis hominis ad hominem proportio quae seivata servai so
cietatem. — Cf. S. Tomaso, 1. 2. q. 91, 1.
CAPITOLO IV. ,57
degli esseri corruttibili e quello dell'incorruttibilità (1).
Coordinato in un necessario rapporto con questi due
mondi , egli ha dunque una doppia missione. L' una è
di realizzare tutta la somma del ben essere possibile in
questa vita; vi si giunge adempiendo i precetti della fi
losofia e praticando le virtù intellettuali e morali. L'al
tra è di giungere alla beatitudine eterna ; e vi si arriva
con una docile obedienza agli insegnamenti della rive
lazione, coli' esercizio delle virtù teologiche (2). Tuttavolta
questa mirabile economia sarebbe ben presto turbata dalle
passioni ribelle, se un freno non le rattenesse , se una
mano non le dirigesse, se circostanze esteriori non le
modificassero: il freno è la legge; la mano, l'autorità:
le circostanze esteriori , la società. Alle due missioni del
l'uomo corrispondono due sorta di legge, legge d'auto
rità, legge di società; temporale l'una, l'altra spirituale ;
convien considerarne la natura più da vicino (3).
L'unità del genere umano è un fatto messo fuori d'o
gni controversia da tutte le credenze antiche e moder
ne (4). Vi ha dunque una sola destinazione terrestre pel
genere umano, ed è quella di ciascun uomo individua
le. Questa è di ridurre in azione tutto il potere d'intel
ligenza ond' è dotato, proponendosi per oggetto princi
pale la speculazione, per oggetto secondario la pratica.
(1) De Monarchia , III. — Cf. de Causis, 2. — S. Bonaventura,
Serm. I, in Hexamer.
(2) De Monarchia, III.
(3) Ibid., Purgatorio, XVI, 3a, 33:
Onde convenne legge per fren porre ;
Convenne rege aver che discernesse
Della vera cittade almen la torre.
Le leggi son f ma chi pon mano ad esse?.,.
Convito, IV, 9. — Cf. S. Tomaso, 1. 2. q. 9?, 1.
(4) Cornato, IV, i5.
OZAKAM. Dante, fjf
■ 58 PARTE II.
Tale è il fine supremo di tutta intera la civiltà (i). D'al
tra parte, se l'uomo è necessariamente socievole, se il
bisogno di vivere in società unisce gii individui in fami-
lie , le familie in città, le città in nazioni; lo stesso
bisogno ravvicina le nazioni fra loro. Questo ravvicina
mento, abbandonato all'ambizione dei principi ed ai ca
pricci della sorte , diventa collisione ; è V origine della
guerra : e la guerra accusa la mancanza insieme e l'im
portanza d'un ordine legale che riunisca pacificamente
le nazioni per formarne una società universale (2). L'i
nevitabile forma di una società cosi concepita sarà l'u
nità; perchè l'unità costituisce l'essenza divina ad ima-
gine della quale la natura umana fu fatta ; essa è la
legge che presiede al governo del mondo; essa è la con
dizione dell'esistenza, della perfezione, dell'armonia. Per-
lochè bisogna ancora che regni una sola volontà per pro
curare l'unanimità, quindi il buon accordo e la pace
fra quelli che obediscono. Elevata a un grado di po
tere da non lasciar più luogo uè a desideri nè a pas
sioni, quest' unica volontà sarebbe costretta ad essere
giusta e costringerebbe del paro quelle che diventereb
bero perverse. Svanendo allora le rivalità dei principi e
dei popoli , si farebbe un bel sereno sotto il cielo , si
stabilirebbe una generale sicurezza in grazia della quale
progredirebbe l'attività intellettuale e morale degli spi
riti. Queste induzioni del raziocinio, confermate dall'au-
rità della sapiente antichità, d'Aristotele e d'Omero, sono
(i) De Monarchia, I ... Proprium opus humani generis totatiter
accepti est actuare semper totani potentiam intellectus possibilis ,
per prius ad speculandum et secundarió propter hoc ad operan-
dum per suam exlensionem ...
(2) Paradiso, Vili, 39:
. sarebbe il peggio
Per Puomo in terra se non fosse cive.
Convito, IV; 4 Cf. Arist. Politic. I, 2, 5.
CAPITOLO IV. 159
anche appoggiate alle testimonianze della Sacra Scrit
tura. E questo non è bastante per conchiudere essere la
mornarchia universale, voglio dire il dominio di un solo
sugli uomini e sulle cose nell'ordine del tempo, neces
saria al ben essere del mondo? (i)
Ma e chi sarà mai il capo di questa monarchia , e chi
potrà reclamare il dritto d'imporlo agli uomini? Rico
noscendo il diritto come la volontà divina, ed i pensieri
invisibili di Dio come tradotti in caratteri visibili nelle
sue opere, non resterà che a cercare attraverso la sto
ria i segni d'una providenziale vocazione che abbia con
dotto una razza privilegiata all' impero della terra (2).
E segni prodigiosi s'incontrano nella storia del popolo
romano; poichè avviene dei popoli come degli uomini;
gli uni nascono schiavi, gli altri re. Se il potere appar
tiene alla nobiltà , e se la nobiltà nella sua origine si
confonde coll'eroismo; qual popolo fu più eroico e può
vantare una serie delle più maschie virtù cominciando
dai Torquati , i Cincinnati, i Decii ed i Camilli,fino ai
Scipioni, ai Catoni, ai Pompei? Se l'equità delle inten
zioni , la solennità delle dichiarazioni , la moderazione
nella vittoria, la saggezza nel governo legittimano le
conquiste, dove si trovaron esse queste condizioni più
splendidamente riunite? Se è mestieri di prodigi, i fatti
di questo genere s'incontrano per fermo assai numerosi
negli annali della città per la quale piovevano dal cielo
gli scudi, per la quale vegliavano gli uccelli quando dor-
(1) Convitoj IV, 4: Perchè manifestamente veder si può che
a perfezione dell' universale religione della umana spezie , con
viene essere uno quasi nocchiere, clic considerando le diverse
condizioni del mondo, e li diversi e necessarii ufficii ordinando,
abbia del tutto universale e irrepugnabile ufficio di comandare.
E questo ufficio è per eccellenza Imperio chiamato ... De Mo-
narcliidj lib. I tutto intiero. — S. Tomaso, de Regimin. Princip.
lib. I, cap. 1, 2.
(a) De Monarchid, lib. II, in princ. — Convito, IV, 4-
160 PARTE II.
mivano i difensori. Se vi ha un giudizio di Dio nella
soi'te dei concorsi e dei combattimenti, Roma venne a
concorso per l'imperio delle nazioni colrAssiria, l'Egit
to, la Persia e la Grecia; essa le lasciò di lunga mano
dietro a sé; pugnò come in un duello giudiziario con
tro Cartagine, le Spagne, le Gallie e la Germania, essa
riportò l'onore dello steccato. E se bisogna infine qual
che sanzione ancor più augusta, quegli che era l'aspet
tazione della terra e che per comparire aspettava egli
stesso che la terra fosse preparata, quegli che veniva ad
offrire una soddisfazione legittima per le iniquità di tutti
i tempi, e che non poteva compirla se non sottomettendosi
a legale castigo; il Figliuolo di Dio venne allorquando la
terra si riposava in una generale sommissione alla po
tenza umana; egli accettò la condanna, l'autorità di un
giudice romano , delegato da un Cesare. Siccome era
stato un Cesare il ministro delle divine vendette sulla
persona dell' Uomo-Dio , un altro lo fu di quelle che
scoppiarono sul popolo deicida (i). Da Cesare in Cesa
re, la vocazione sovrana doveva passare fino a Costan
tino, e da Giustiniano rivolgersi a Carlo Magno; e la
(1) Paradiso, VI, 12-3i:
Vedi quanta virtù P ha fatto degno
Di riverenza, e cominciò dall'ora
Che Pattante morì per dargli regno ...
Onde Torquato e Quintio , che dal cirro
Negletto fu nomato, e Deci e Fabi
Ebber ta t'ama che volentier mirro.
• • . la viva giustizia
Gli concedette
Gloria di far vendetta atla sua ira...
Poscia con Tito a far vendetta corse
Detla vendetta del peccato antico.
Convito, IV, 4: E perocché più dolce natura signoreggiando,
e più forte in sostenendo, e più sottile in acquistando né fu, né
fìa che quella della gente latina ... Iddio l' elesse a quello uffi
cio, ec. Ibid. cap. 5. De Monarchia, lib. II tutto intiero. — Cf.
S. Tomaso, de Redimin, Princip. III, 4 e seg.
CAPITOLO IV: ,61
monarchia universale rigenerata dal cristianesimo, rice
vendo con un nuovo nome una novella esistenza, dive
niva il santo Impero romano (i).
Ora, il Santo Impero fondato pel benessere tempo
rale degli uomini, avendo le fondamenta di propria esi
stenza nelle necessità sociali che del pari hanno il loro
fondamento nelle leggi corrispondenti della natura fisi
ca, rimontò cosi senza intermediar] all'autore stesso della
natura. Egli ha il suo posto nell'ordine della creazione,
egli s'è realizzato per una serie d'atti provvidenziali,
egli tien forza da Dio solo (2).
L'autorità monarchica ha tuttavia dei limiti in mezzo
alla sua suprema indipendenza. L'ordine sociale non esiste
fuorchè nell' interesse del genere umano; quelli che obe-
discono alla legge, non sono stati creati per beneplacito
del legistatore., il legislatore al rovescio è stato fatto per
loro bisogno. E un'assioma incontrastabile essere il mo
narca considerato come il servo di tutti (3). Quindi la
potenza publica cessa d' essere il retaggio d' un piccol
numero di uomini, di quelli che usurpano le alti condi
zioni del mondo politico, a titolo di nobiltà. Egli è que
sto titolo che bisogna discutere. — La nobiltà, a inten-
(1) Paradiso, VI, 1-4; 3a:
E quando dente Longobardo morse
La santa Chiesa, solto alle sue ali
Carlo Magno vincendo la soccorse.
Purgatorio, VI, 3i.
(2) De Monarchia', lib. III... dunque disposino mundi hujus
disposilionem inhaerentem caelorum circumlationi sequatur, ne-
cesse est, ad hoc ut utilia documenta libertatis et pacis commode
applicentur , ista dispensari ab ilio curatore qui totalem coelorum
dispusitionem praesentialiter intuetur. Hic autem est solus Ille qui
hanc praeordinavit ... Quod si ita est , solus elegit Deus , solus
ipse confirmat.
(3) De Monarchici , II: Secundum legem viventes non ad legis-
latorem ordinantur sed magis ille ad hos . . . Monarcha minister
omnium procul dubio habendus est. — Cf. S. Tomaso, 1. 2. q. 96, 4.
14 •
16» PARTE ».
derla bene, consiste in una lunga serie di ricchi avi. Ma
non si saprebbe riconoscere un diritto in queste ricchezze
dispregevoli per tre ragioni , per le miserie annesse al
loro possedimento, i pericoli del loro accrescimento, l'i
niquità della loro origine. La quale iniquità , alla sua
volta è manifesta, o sia che le ricchezze vengano dal cieco
caso, oppure ch'esse siano prezzo di colpevoli raggiri;
o sia che procedano da lavori interessali e quindi esclu
denti ogni pensiero generoso, oppure che derivino dal
corso ordinario delle eredità. Perchè l'ordine delle suc
cessioni legali non saprebbe conciliarsi coll'ordine legit
timo della ragione che vorrebbe chiamare all'eredità dei
beni i soli eredi delle virtù (i). D'altra parte, se il dritto,
dei nobili sta nella lunga serie delle generazioni che mil
lantano, la ragione e la fede riconducendo tutte le ge
nerazioni ai piedi d' un primo padre , è forza che sia
stata nobilitata in lui tutta la discendenza, o che in lui
sia stata improntata di perpetua ignobilità. Così , 1' esi
stenza d'una aristocrazia ereditaria, supponendo l'ine
guaglianza e la moitiplicità primitiva delle razze umane,
fa contro il dogma cristiano (2). — Vera nobiltà è per tutti
gli esseri la perfezione che possono acquistare nei limiti di
loro natura; per l'uomo in particolare è quel complesso
di felici disposizioni di cui la mano di Dio depose i ger
mi in lui, e che, coltivati da una volontà laboriosa, di
ventano ornamenti, talenti e virtù (3). Quegli da cui e-
manano, le varia secondo la varietà stessa delle funzioni
(1) Canzone 3, lib. IV. — Convito, IV, 11, 12, i3: Cosi fosse
piaciuto a Dio ... che chi non ereda della bontà perdesse il re
taggio dell'avere t ... — Cf. sopra le Ricchezze, Cicerone , Para
dox. — I. Boezio , II , mei. 2,5..
(a) Convito, IV, 14, 15. — Cf. S. Tomaso, de Erudii, princip.
1, 4. — S. Bonaventura, Sern1. III, Domil1. XII post Pentecost.;
Serm. I , de S. Martino.
(3) Convito, IV, 16, 19, 20. De Monarchia, II. — Cf. S. Bona
ventura, loco citalo.
CAPITOLO IV. ,63
necessarie alla vita sociale* egli dà agli uni la parola
per il consiglio, ad altri l'energia pel comando, ad altri
il cieco coraggio per l'esecuzione : ed eccone l' inegua
glianza fra gli uomini. Dio imprime dunque in noi quelle
qualità che gli piacciono, col mezzo delle influenze ce
lesti che agiscono nelle sue mani come un sigillo per
marcare la cera di nostra natura. Queste influenze, che
visitano senza distinzione le case insigni ed oscure, neu
tralizzano gli effetti delle leggi della generazione che fa
rebbe rivivere l' imagine perfetta del padre ne' suoi fi
gliuoli ; interrompono esse la successione dei caratteri
nelle familie e vi dovrebbero anche interrompere l'ere
dità dei publici onori ( j ). Fu necessario non trovasse l'uo
mo in sé stesso meriti' ereditarj perchè cercasse farsene
dei personali colla fatica e li domandasse colla preghie
ra (a). Bisognerebbe pure che le funzioni fossero indi
viduali come le vocazioni:, bisognerebbe metter d'accordo
la natura e la fortuna, sì spesso contrarie nei loro do
ni. La prosperità del mondo è inerente alla soluzione di
questo problema (3). Non si saprebbe tuttavia negare la
perseveranza delle stesse virtù in un piccol numero di
familie illustri. Ma allora è l' unione delle qualità di
ciascuno che fa il lustro di tutti. La nobiltà è come un
(1) Paradiso, VIli, 4o-4a :
E può egli esser, se già non si vire
Diversamente per diversi ufici ?
No , se "I maestro vostro ben vi scrive.
. .* Dunque esser diverse
Convien de* vostri effetti le radici :
Perche un oasce Solone ed altro Serse ...
Cf. Aristot. Polìtic. 1,5,6.
(a) Purgatorio, VII, 4 t •
(3) Paradiso, VIli, 47 :
Sempre natura, se fortuna truova
Discorde a sé , come ogni altra semente
Fuor di sua reglou , fa mala pruova.
Convito, IV, ti.
j.§4 PARTE II.
mantello cui avrebber presto raccorciato le cesoje del '
tempo se ciascuna generazione non ci aggiungesse qual
che cosa (i).
Una tale società temporale non saprebbe completamente
realizzarsi quaggiù. Ma il poeta ha trovato il tipo delle
sue idee in un mondo migliore. Il cielo s'è aperto di
nanzi a lui; egli ha contemplate le anime dei giusti che
una volta sedettero su troni distruttibili, riunite ora in
una regalità senza fine. Ei le ha viste formanti, coi loro
splendori insieme raggruppati, queste parole scritte in
lettere di fuoco come legge fondamentale delle città poli
tiche: Dilìgile justiliam qnijudicatii lerrant (a). Dappoi la
lettera M resta sola e coronata da una fiammeggiante
aureola, iniziale e simbolo della monarchia. Ed un'ul
tima trasformazione fece comparir l'aquila al di lei po
sto , I1 uccello di Dio , l' emblema del santo Impero
romano.
Parallela alla monarchia universale, ove sono rego
lati gli interessi terreni, s'innalza la Chiesa universale
dove hanno compimento i religiosi destini dell'umani
tà. La Chiesa non saprebbe pretendere la signoria sul
l'Impero, essa non ebbe alcuna parte al di lui stabili
mento , nessun titolo legale l'autorizza a rivendicarne l'o
maggio. Essa non può farsi un regno in questo mondo
senza agire contro la propria costituzione, operando con
tro l'esempio di Cristo in cui essa trova il tipo immu
tabile della propria condotta. Un altro impero le appar
tiene, ben più degno di lei, quello dell'eternità; essa è
depositaria degli insegnamenti divini che sono superiori
a tutte le opere della ragione, essa è arricchita di gra
f1) Convito, IV, ao. Paradiso, XVI, 3:
Ben se' in manto che Iusto raccorce ,
Sì che, se non s^ppon di die in die,
Lo tempo va dintorno con le force.
(2) Paradiso, XVIII, 3o-37.
CAPITOLO IV. ,65
zie che fanno germogliare virtù estranee alla natura ;
cattolica, essa abbraccia più nazioni che non ne abbrac
ciò mai nessuna società secolare. Essa è anche monar
chica; poiché di mezzo ad una tal moltitudine ed a si
grande varietà di uomini, l'armonia sarebbe costante
mente alterata dall'impetuosità delle volontà individue
senza l'intervento moderatore e regolatore del sovrano
Pontefice (i). Ed a preparare una sede necessaria a que
sto pontificato, Iddio mise mano alla fondazione di Roma
e del romano potere (a). Ecco perchè la città di Ro
molo divenne un luogo santo ; e le pietre delle sue
mura degne di rispetto , ed il suolo su cui è fondata
degno di un tal culto che gli uomini di simile non gliene
hanno reso giammai (3). E sull' orizonte dei sette colli
che si levarono per tanti secoli i due soli; il sole im-
periale che illuminava le vie della vita, ed il sole pon-
(i) De Monarchia, III...: Has igitur conclusione! et media...
humana cupiditas prosternerei , itisi homines tanquam equi , sud
bestialitate vagantes , in chamo et freno compescerentur in vid.
Propler quod opus fuit nomini duplici direttivo ... Scilicet summo
Pontifice, qui secundum revelata humanum genus perduceret ad
vitam aeternamj et imperatore , qui secundum philosophica docu~
menta genus humanum ad temporalem Jinem dirigeret ... — Pa
radiso, V, 26:
Avete M vecchio e '1 nuovo Testamento,
E '1 Pastor detla Chiesa che vi guida :
Questo vi basti a vostro salvamento.
S. Tomaso, i. a. q. 112, a.
(2) Inferno, II , 8 :
La quale e il quale (a voler dir lo vero)
Fùr stabiliti per Io loco santo,
U' siede il successor del maggior Piero.
(3) Convito, IV, 5: Perchè più chiedere non si dee a vedere
che speziai nascimento e speziai processo da Dio pensato e or
dinato fosse quello della santa città. E certo sono di ferma opi
nione , che le pietre che nelle mura sue stanno siano degne di
reverenzia; e '1 suolo dov' ella siede sia degno oltre che per li
uomini e predicato e provato. ,
J
,66 PARTE i1.
tificio che illuminava il cammino del cielo. Si videro
questi dae astri uscire dalla loro orbita, urtarsi l'un con
tro l'altro, e si credette si fossero spenti (i). Si videro
i combattimenti che aspettano quaggiù la milizia di Cri
sto , ed il disordine introdotto nelle sue fila malgrado
gli sforzi del suo capo immortale per riordinarla intorno
a sè (2). La città di Dio adunque non saprebbe mag
giormente aspettare la sua completa realizzazione sotto
le leggi del tempo. La vera Roma è quella onde Cristo
è romano ; la società allegorica è quella di cui Cristo
è il capo visibile: chi vuol comprendere le vicissitudini
della Chiesa in tutte le sue lotte presenti, la deve prima
considerare nel suo trionfo (3).
IH.
Al di là delle sfere celesti dove si seguitano le rivolu
zioni degli astri, oltre il nono cielo che inviluppa gli
altri nel suo vortice immenso, si trova il cielo empireo,
pura luce, luce intellettuale pieua d'amore, amore del
vero bene, fonte d'ogni gioja, gioja che avanza ogni
dolcezza (4).
(1) Purgatorio, XVI, 36 , 37 :
Soleva Roma , che 'I buon mondo feo ,
Duo soli aver che V una e V altra strada
Facean vedere , e del mondo e di Deo.
L' un P altro ha spento....
(a) Paradiso, XII, i3.
(3) Purgatorio, XXXII, 34:
. . quella Roma , onda Cristo è Romano,
Ibid. XXVI, 43:
chiostro ,
Nel quale e Cristo abbate del collegio.
(4) Paradiso, XXX, i3.
Noi seino usciti fuore
Del maggior corpo al ciel ehj è pura luce g
Luce intellettùal piena d'amore |
Amor di vero beo pien di letizia y
Letisia che trascende ogni dolzore.
CAPITOLO IV. 167
Questo è il soggiorno commune delle anime purificate
dalle prove della vita o dalle espiazioni che le conse
guitano. Se talvolta si riscontrano a disuguali altezze uei
cerchj innumerevoli onde il firmamento è pieno, questa
imagi ne contemperata alla fralezza dello spirito umano,
altro scopo non ha che di farci comprendere l'inegua
glianza di loro ricompensa , proporzionata all' inegua
glianza de' meriti loro. Sentono esse medesime la giu
stizia di questa proporzione; e la coscienza che ne hanno
si fa un elemento costitutivo della loro felicità; percioc
ché l'amore che le rende beate, concentra le volontà
loro nella volontà divina, dove si perdono come le acque
che mettono nell'Oceano. Per tal modo, in differenti
condizioni, trova ciascuna il termine de' suoi desiderj,
cioè la somma della felicità onde essa è capace ; e dalla
medesima varietà del ben oprare ridonda un concerto
meraviglioso a lode del supremo Rimuneratore (1).
a. Giusta la legge che s'adempie nei tre regni del
mondo invisibile, e che sopperisce alla temporaria as-
(1) Paradiso, III, 24, 25, 27, 29, 3o.
Frate, la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel ch'avemo , e d'altro non ci asseta.
Se disiassimo esser più superne ,
Fóran discordi gli nostri disiri
Dal voler di colui che qui ne cerne ...
Anzi è formale ad esso beato esse
Tenersi dentro alla divina voglia ,
Perch'una (ansi nostre voglie stesse...
E la sua volontade è nostra pace ;
Ella è quel mare al qual tutto si muove
Ciò ch' ella cria e che natura face.
Chiaro mi fu allor com' ogni dove
In cielo è paradiso, e sì la grazia
Del sommo ben d'un modo non vi piove.
Convito, III, i5. Paradiso, VI, 39, 4,.
i68 PARTE II.
senza de' corpi, le anime avventurate rivestono forme
sensibili ; e queste forme splendono d' una mirabile
chiarezza, sempre ragguagliata alla grandezza della
virtù che essa corona. Primamente non è che un velo
di luce, faci sfavillanti, astri infiammati; l'elemento
materiale si spiritualizza; e l'anima non è già più
un'ombra, ma una gloria, una vita, un amore (i). —
Gli organi pertanto cessarono di essere i ministri im
mediati dell'intelligenza; il pensiero si tramuta senza il
soccorso del linguaggio, più non conosce gli ostacoli che
altra volta il tempo e lo spazio mettevano alle sue in
dagini, l'avvenire è per lui come il passato; e così
senza sforzo dall'altezza de' cieli si adima sino all'umile
globo ch' egli abitò (a). — Allora le ricordanze della
terra, e soprattutto le sante affezioni ivi concede, non
si cancellano nelle anime le quali per un miglior sog
giorno faveano abbandonata. Quelle lasciano su noi ca
dere benigni risguardi, ne servono d'interpreti e me
diatrici presso l'Onnipotente, il quale alla sua volta se
ne forma altrettanti ministri; quelle sono i canali per
cui la preghiera s'innalza, e ne discende la grazia (3).
Ma sono queste, per cos'i dire, circostanze accessorie
della beatitudine, ed ora ne è forza ravvisarne bene
l'essenza. — Se la beatitudine suppone l'impossibilità
d'ogni ulterior desiderio, dessa ritrovar non si può
che nella perfezione e nella completa soddisfazione delle
umane facoltà ; e conciossia che la ragione vantag
gia su tutte queste; così la ragione non si sazia che
nella contemplazione della verità; e ogni verità riposa
nella divina intelligenza. La beatitudine dunque è ri-
fi) Paradiso, III, 8; V, 36; Vili, 75 X, XXI, et passim.
(2) Ibid. XV, 19, 3i. — S.Tomaso, i. q. 89, 7, 8. — S. Gre
gorio, Maral. XII, i3.
(3) Paradiso, XIV, aa. Intercessione de' santi, XXI, 24.
CAPlTOtO IV. 169
posta nella visione di Dio (1); a questo immenso spec
chio, in una sola e fissa veduta, scoprono gli eletti ciò
che fu, è, o sarà, e prima ancora della parola la quale li
esprima, e del fatto che li verifichi, scoprono anche il con
cetto e il desiderio. La loro vista tanto più vi sprofonda,
quanto ne sono maggiori i meriti (2). L'atto per cui veg
gono è dunque la base e come la materia della loro felicità ;
l'atto per cui essi amano ne è la forma; i decreti eterni
nel punto che si lasciano dai beati comprendere, li sfor
zano ad accettarli e ad eseguirli (3). E per quella guisa
che l'intuizione appartiene all'intendimento, e la dilet
tazione alla volontà; cosi conoscenza e amore è beati
tudine, ossia I" uomo innalzato alla più alta potenza.
Considerata poi sott' altro rapporto, la beatitudine è
Dio stesso che si dà altrui a godere; e l'uomo e Dio,
il soggetto e l'obietto, si toccano senza confondersi, e
il finito sussiste distinto in cospetto dell' infinito.
3. Un giorno tuttavia verrà a interrompere nella loro
felice uniformità l'esistenza de' santi, e sarà quello in cui
(0 Paradiso, XXVIII, 36:
Quinci sì può veder come si fonda
L'esser beato nelPatto che vede j
Non in quel ch'ama, che poscia seconda!
E del vedere h misura mercede ....
Convito j III, i5. Epist. dedicat. ad Can. Grand., in fine. —
Cf. S. Tomaso, i. 2. q. 3, 4.
(2) Visione di Dio, Vili, 3i ; IX, ai, a5j XI , 7 ; XV, 21 j
XXI, 3o; XXIX, 3. — Conoscenza dell' avvenire , passim, so
prattutto XVII, 5:
. . . come vfggion le terrene menti
Non capere in triangolo du' ottusi,
Cosi vedi le cose contingenti ,
Anzi che sieno in sé, mirando il punto
A cui tutti li tempi son presenti.
Cf. Cicerone , Somnium Scipionis.
(3) Paradiso, III, 27,
Ozakam. Dante, '*
i-o PARTE II.
rivestiranno la loro carne, quando la loro persona, ri
stabilita nella sua primitiva integrità, tornerà più gra
dila a! Creatore, il quale con più larga misura li col
merà di sua grazia; sarà moltiplicata la chiarezza della
loro visione, e insieme crescerà I' interno ardore che essa
accende, e per conseguente l'esterno fulgore che ne debbe
sfavillare. Come carbone di mezzo alle fiimme, così i
corpi risuscitati appariranno cinti dalle proprie aureole (i).
Allora gli invitati al convivio dell'immortalità prenderanno
i rispettivi loro seggi, e comincierà la fe^a che non ve
drà tramonto.
Il poeta hn riunito, per ben ritraila, i più soavi e più
maravigliosi colori. Egli ha veduto nel centro dell'em
pireo un immenso serbatojo di luce stendersi in forma
circolare, e riflettere gli splendori della gloria divina;
dintorno troni sfivillanti alzarsi in anfiteatro, e là se
dere bianco vestiti gli ordini affollati delle anime avven
turate: siccome una bianca rosa che si apre in foglie in nu
merabili: la lelizia e la lode sono i profumi che va
porino dal suo ealice. Angeli con ali d'oro scendono a
sitoiglianza di sciami di pecchie in questo gran fiore, e
rimontano verso l'eterno vSule, senza clie la loro folla
ne impedisca i raggi. Ei solo realmente soddisfa e cattiva
la contemplazione e le affezioni di questi milioni di spi
riti, astro cui niuna nube vela giammai, che non pati-
(i) Paradiso, XIV, i5:
Carne la carne gloriosa e santa
Pia tivestita , la nostra persona
Più grata fìa per esser tutta quanta *
Perchè s'accre.cerà ciò che ne dona
Di gratuito lume il sommo Bene;
Lume eh-' a lui veder ne ronJiiiona :
(Inde la vision crescer conviene ,
Crescer Pardor che di quella s'accende,
Crescer lo. raggio che da esso viene, ec.
— Cf. S. Agostino, de Civit. Dei. — S. Tomaso, Contr. Geni.
'V, 79 — S. Bonaventura j Compendiiun, VII, 28 , 29.
CAPITOLO IV. ,;,
sue tramonto ne alcuna vicissitudine, francato dalle leggi
della creazione che egli stesso ha stabilite (i).
IV.
i. Nell' accompagnare la natura umana fino a quelle
sommità dove essa si trasfigura, siamo condotti a rico
noscere altre nature superiori ; e se ammettesi che le
opere di Dio non possono esser vinte in magnificenza
dall'imaginazione dell'uomo, ne basta concepire miriadi
di spirituali possibili creature, perchè concluder possiamo
che esse ci sono (2). La loro esistenza e i loro mini
steri furono presentiti dagli uomini di tutti i tempi ,
tutto che imperfettamente li abbiano dimostrati. Così Io
splendore del giorno fa sensibile la sua presenza agli
occhi ancora che chiusi. I pagani le nomarono Dei;
Platone le chiamò Idee; nel linguaggio commune sono
gli Angeli, e i filosofi si piacquero chiamarle piuttosto
col nome d'intelligenze (3). La fede ha squarciato il
velo che ne separava da queste creature eccellenti.
Seminate nell'universo, con cui esse nacquero, per man
tenervi l'ordine e la vita, il loro numero va di paro
colle loro perfezioni (4). Il loro intendimento, fermo nella
costante visione della verità, non conosce questa alter
nativa, a noi propria, di oblio e di reminiscenza. La
grazia illuminante cui meritò la loro fedeltà nel giorno
(1) Paradiso, XXX, 33; XXXI, passim:
O isplendor di Dio, per cu' io vidi
L'alto trionfo del regno verace,
Dammi virtù a dir com' io lo vidi.
Lume è lassù, ec.
(2) Convito, II, 5.
(3) Convito, ivi. E chiamale Plato idee, eh' è tanto a dire
quanto forme e nature universali. — Cf. Brucker, Hist. crilic.
in Platone.
(4). Paradùo, XXIX, i3, 44. — Cf. S. Dionigi l'Areopagita, de
Coeletti Hierarch. XIV.
«7» PARTE II.
della tentazione, conferma per sempre la loro volontà
la quale non cessa mai d'esser libera nell'abitudine della
giustizia (i). In quelle dunque la potenza non si di
stingue punto dall'atto; l'atto semplice costituisce il
loro modo di essere, esse sono intelligenze, sono amo
re (a). — Ciò non pertanto, ineguali tra loro, esse
si dividono in tre gerarchie, ciascuna delle quali in
tre ordini. A ciascuna gerarchia è attribuita la con
templazione speciale d'una delle tre persone della Tri
nità; a ciascun ordine un'attribuzione differente, cia
scuna persona divina potendo essere considerata in sé
stessa o ne' suoi rapporti colle altre due (3). A queste
attribuzioni contemplative corrisponde un ministero at
ti) Paradiso, XXIX, ao-26 :
Perchè le viste lor furo esaliate
Con grazia illuminante , e con lor merlo, I
Si e' hanno piena e IVrma volontate.
Queste sustantie, poiché Air gioconde
Della faccia di Dio, non volser viso
Da essa, da cui nulla si nasconde;
Però non hanno vedere iuterciso
Da nuovo obietto, e però non bisogna
Rimemorar per concetto diviso,
Ibid, XXI, 25:
« . . libero amore in questa corte
Baila a seguir la Previdenza eterna.
- Cf. S. Dionigi l'Areop. de Divin. nomin. IV.
(2) Paradiso, XXIX, 11:
.... quelle furon cima
Nel mondo, in che puro atlo fu produtto.
Jbid., XXIII, 35.
(3) Paradiso , XXVIII, 9-3a. Convito, 11,6... Ed è potissima
ragione della loro speculazione, e il numero in che sono le Ge
rarchie., e quello in ohe sono gli ordini. Che conciossiachè la
maestà divina sia in tre persone che hanno una sustanza, di loro
si può triplicemente contemplare .... e ciascuna persona nella
divina Trinità triplicemente considerare... . Cf. S. Dionigi, de
Coeletti Hier., VI-IX. — S. Tomaso, i. q. 108.
N
CAPITOLO IV. 173
livo. I nove cori degli angeli ( avvegnachè questo nu
mero nove, quadrato di tre, Ila una misteriosa signifi
cazione (1), sono i motori delle nove sfere dei cieli; loro
coromunicano una celerità proporzionata agli ardori di cui
essi medesimi sono infocati , e intervengono a tutti i
fenomeni del mondo fisico (2). Ma soprattutto la loro
azione si esercita nel mondo morale. 1 nove ordini della
scienza umana s' informano a queste gerarchie , e sul
loro modello si costruiscono (3). Per loro mezzo il seme
della virtù s'infonde e si svolge nelle anime. Se nelle
gioje del paradiso si mescono coi beati, nel purgatorio
invece si mostrano giudici , guardie e consolatori dei giu
sti sofferenti. Le loro apparizioni terribili nell'inferno, vi
rischiarano le tenebre quando vogliono fiaccare l'auda
cia dei demonj. Sulla terra riscontrano i medesimi ne
mici, e li combattono con esito alterno, perchè la sa
lute e la perdita delle anime sono il prezzo delle loro
contese (4)- — Anche i beni transitorj della vita non sono
dati in balia a quell' azzardo che la nostra ignoranza
ha imaginato. Quegli che creò gli spiriti per muovere i
cieli, e far risplendere su tutto il globo una luce egua
le, ha del pari stabilito una intelligenza dispensatrice dei
temporali splendori, la quale tramutò i beni di questo
mondo di familia in familia, e di nazione in nazione,
ad onta delle previsioni e precauzioni umane. Essa pro
vede, giudica e governa colla medesima saggezza che
(1) Vita Nuova, passim. Dante trova questo numero nelle più
vive circostanze di sua gioventù: nove e diciott' anni furono le
due epoche che lo avvicinarono a Beatrice : ci la perdette presso
a ventisette anni. — Cf. Ugo da S. Vittore. Erudit. Didascal. II, 5.
(2) Paradiso, II. Vili, i3, a8; IX, 9.1, ecc. Convito, II, 5.
— Cf. Platone, Epinomis, Tiinaeus. — S. Tomaso, 1. q. 1 10, art. 1.
(3) Convito, II, i4, i5. — Cf. S. Bonaventura, Serm. 12, in
Htxamer.
(4) Paradiso, XXXI, passim. Purgatorio, V, 36; Vili, 3a; IX,
26 e passim. Inferno, IX, 29 — Cf. S.Tomaso, i.q. ila.
i;4 PARTE II.
gli altri spiriti a lei simigliami; felice come quelli essa
gira la sfera che le fu assegnata , e si piace del suo mo
vimento. Ella non ode le bestemmie di coloro che la
dovrebbero lodare, e che invece la oltraggiano del nome
intitolandola di Fortuna (i). Per questo sistema tutti i
luoghi e tutti gli esseri e tutte le condizioni della loro
esistenza, e la vita e la morte, e infine tutte le cose
hanno i loro angeli che rappresentano la divina onni
presenza
2. Resta ancora un passo, e il pellegrinaggio intellettuale
intrapreso tocca al suo termine; ma questo passo è im
menso; che dalle estreme altezze del finito sino all'in
finito, dalle più sublimi creature sino al loro autore v'ha
un abisso, cui le forze riunite della ragione e della fede
mal possono penetrare.
I mondi che noi abbiamo percorsi appalesano l'arte
meravigliosa che li creò. Fin sulla porta dell'inferno noi
abbiamo xeduto l'impronta della potenza, della sapienza
e dell'amore. Il cielo, proseguendo al di sopra del no
stro capo il corso de' suoi rivolgimenti, ne mostra le sue
eterne bellezze come per invitarci a riconoscere l'arte
fice che le ha fatte. 11 movimento universale che il fir
mamento va rotando, suppone un primo motore im
mobile che agisce sulla materia con una morale attra
zione (2). D'altra parte, si prenda anche l'essere il più
trascendente della natura, è forza che abbia ricevuto
(1) Inferno, VII, 3i, 3a :
Queit' è rotei cb'è tanto posta in croce
Pur da color' che le dovrian dar lode,'
Dandole biasmo a torto e mala voce.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode:
Con l'altre prime creature lieta
Volve sua spera , e beata si gode.
— Cf. Aristot. Phyac., II, 4. _ Boezio, 1. IV, pros. 7.
(a) Purgatorio, XIV, 5o. Paradiso, I, 25. — Cf. Platone, 4»
Legibus, X. — Aristot. Methaph. XII.
CAPITOLO IV. - ,js
l'esistenza da qualche altro; e questo la terrà alla sua
volta da sè stesso o da altrui. S'egli esiste da sè stesso,
egli è il primo principio; quando no, bisogna poggiar
più in alto e moltiplicare all' infinito le cause effi
cienti onde pervenire a un principio primordiale, solo
essere che possa concepirsi come necessario, per questo
che da lui solo, mediatamente o immediatamente, tutte
le esistenze scaturiscono. Col mezzo dunque di prove fisiche
e metafisiche Iddio ne si dà a conoscere; ma più manifesto
e più chiaro egli ci si mostrò piovendo la celeste rugiada
dell' inspirazione sopra i profeti, gli evangelisti e gli apor
stoli (i). — Unico in sua sostanza; la potenza, la sapienza e
, l'amore pigliano in lui una triplice personalità, per modo
che nel linguaggio deyli uomini consente esser chiamato
col plurale e col singolare (2). Egli è spirito, egli è il cen
tro indivisibile ove s' appuntano tutti i luoghi e tutti i
tempi (3). Egli è il circolo che circonscrive il mondo, e
(1) Paradiso, XXIV, U-
...... Io credo in uno Dio
Solo ed eterno, che lutto M ciel muore,
Non molo, con amore e con disio j
Ed a tal creder non ho io pur prove
Fisice e metafìsico, ma dalmi
Anche la verità che quinci piove.
Per Moisc, per profeti e per salmi,
Per P evangelio, ec.
Epistj ad Con Grand. : Omne quod est aut habet esse a se aut
ab aliis Sed constat quod habere esse a se non conventi nisi unij
scilicet primo, seu princìpio qui Deus est. Si ergo accipiatur ulti
mimi in universo, manifestum est quod id habet esse ab aliquo*:
et illud a quo habetj habet a se vel ab aliquo. Si a sej sic est
prùnttntj si ab aliquo . . . esset sic procedere in infinitum in cau
si* agentibus: aut erit devenire ad primum qui Deus est, — Cf.
Aristot. Metaph. III.
(2) Inferno, III, 2. Paradiso, XIV, io; XXIV, 4$:
-. . .Che sofferà congiunto sunt et este.
(3) Paradiso, XXIX, 4 tj. . ; .< . ì .. * . >-
Ove s'appunta ogni ubi ed ogni quando.
1j6 PARTE ».
che per nulla è circoscritto (i). Immenso, eterno, immu
tabile egli è il primo Vero fuori il quale è tutto tene
bre (a). Nel suo pensiero tutte le creature si trovano pre
viste e coordinate al loro fine. I. fatti stessi contingenti vi
si riflettono anticipatamente senza divenir perciò necessa
ri così la vista dello spettatore seduto sopra la sponda se
gue il corso del naviglio sulle onde, e non lo dirige (3). Egli
è la bontà senza confini; e come bene supremo (4) ? egli
è l'invariabile oggetto della sua propria volontà, la quale
diventa la sorgente e la misura di tutta giustizia. Pure
questa giustizia ha tali profondità a cui non saprebbe per
venire la curla nostra ragione , come il fondo del mare
cui l' occhio impotente del nocchiero mal può scanda
gliare (5). Da ultimo tutti i suoi attributi, levati al me
desimo grado di pe1fezione suprema, durano in un equi-
(1) Purgatorio, XI, I. Paradiso, XIV, 10:
Non circonscritlo e tutto circonscrive.
— Cf. S. Bonaventura, Compendium, I, 17.
(a) Paradiso, IV, 3a; XIX, 22; XXXIII, 23. — Cf. S. Toma
so, 1. q. 16, 5. — Aristot. Metaph. XII.
(3) Paradiso, XVII, i3:
La contingenta, che fuor del quaderno
Della vostra materia non si stende ,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno.
Necessità però quindi non prende,
Se non come dal viso in elle si specchia
Nave che per corrente giù discende.
— Cf. Boezio , lib. V, pros. 4* 6. — S. Bonaventura , Compen
dium, 1, 31.
(4) Paradiso, XXVI, 6. Convito, IV, 12. — Cf. Platone, Rep.
VI. — S. Tomaso, 1. q. 6, 4.
(5) luferno , XX, io. Paradiso, IV, 23; XIX, 29, 3o :
La prima volontà, ch'è per sè buona,
Da se, ch1 è sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto è giusto quanto a lei consuona.
Parodito, XXXII, 17. — Convito, IV, 22. S.Dionigi PAreopagita,
de Divin. nominib. — S. Tomaso 1. q. ai.
CAPITOLO IV. ,77
librio indistruUibile, per guisa che , adoperandovi il lin
guaggio de' numeri, ne sarebbe conceduto definire Id
dio la prima Egualità (i).
Questo Dio , che nella solitudine della sua esistenza
bastava a sé stesso, dovea creare, non per accrescere la
propria felicità, ma perchè la sua gloria, risplendendo
nelle sue opere, rendesse a sé medesima testimonianza (2).
Nel seno dell' eternità, fuor il confine di tutti i tempi,
senza altra legge che il suo volere, quegli che è trino
ed unico si mette in azione; la potenza eseguisce quello
che la sapienza aveva divisato, e l'amore infinito si sco
pre e si manifesta in nuovi amori. Né già si può affer
mare che prima della creazione egli si giacesse ozioso.
Questi vocaboli di prima e dopo sono banditi dal lin
guaggio delle cose divine. La forma e la materia, iso
late e riunite, si slanciarono a un tempo, come da un
solo arco una triplice saetta , dalla profondità del pen
siero creatore, e in uno colle sostanze fu creato l'ordine
che lor conveniva. Le forme pure, come gli angeli, oc
cuparono la più sublime parte ; la materia, abbandonata
al proprio peso, sortì le più basse regioni; e nel mezzo
la materia e la forma furono congiunte d'indissolubil
legame (3). Le cose create sono lo splendore della idea
CO Paradiso, XV, 25 :
Come la prima Egualita v'apparse.
— Cf. Platone, Phaedo.
(2) Paradiso , X, ij VII, 22.
(3) Paradùo, XXIX, 5:
Non per avere a se di bene acquisto,
Ch' esser non può, ma perche suo splendore,
Potesse, risplendendo, dir: Sussisto;
In sua eternita di tempo fuorc ,
Fuor d'ogni altro comprender, com'ei piacque ,
S'aperse in nove Amor' P eterno Amore.
Ne prima quasi torpente si giacque ;
Che né prima ne poscia procedette
Lo discorrer di Dio sovra quest'acque, ec.
— Cf. Platone, Timaeus. — S. Tomaso i. q. 44 > 4.
I7g PARTE If.
immutabile che il Padre genera ed ama senza fine: idea,
ragione, Verbo sacrato, lume che, senza spiccarsi da quel
principio che lo fa rUplendere, e senza uscire della sua
propria unità, raggia di creatura in creatura, di cause
in effetti, fino a produrre non altro che fenomeni acci
dentali e passaggeri ; questa è chiarezza che si riproduce
di specchio in Specchio, e si fa pallida a misura che si
allontana (i). Di qui avviene che in tutte le cose è un
elemento ideale e incorruttibile J ma in quelle che na
cquero soggette a distruzione , ha un elemento grosso
lano e caduco. La materia che è in quelle presenta certe
disposizioni , e subisce influenze diverse che la rendono
più o meno diafana alla divina face, die la fanno più
o mcn fedelmente accomodarsi al suggello di cui debbe
ricever l'impronta; e l'impronta è sempre oscurata o
smunta (2). E pur questi imperfezione è necessaria; per-
(0 Paradiso, I, i; XIII, 18:
Ciò che non muore e ciò che può morire
Non è se non splendor di quella idea
Che partorisce , amando , il nostro Sire:
Chù quelb! vira luce che si mea
Dal suo lucente | che non si disuna
Da lui, uè dall'Amor che \i lor s'iutrea,
Per sua bonta te il suo raggiare aduna,
Quasi specchiato , in nove sussistenze ,
Eternamente rimanendosi una.
Quindi discende alP ultime poteoze
Giù d'atto in atto Unto divenendo ,
Che più non fa che brevi contingente.
Ibid. Vili, 34 :
E non pur le nature provvedute
Son nella mente ch' è da so perfetta ,
Ma esse imi<me rou la lor salute.
Convito. — Cf. Platone, ParmeniJ., Rep. VI, VII. — Boezio, 1. IH,
mrtr. 9. — S. Tomaso, i. q. 3a, i.
(2) Paradito, XIII, a3 :
La cera di costoro, e chi la duce,
Non sta d'un modo , e però sotto 'I segno
Ideale poi più e meo tralure ;
CAPITOLO IV. ,n
ciocché quegli, di cui il compasso descrisse le estremità
dell'universo, non potè aprire un circolo così vasto che
il suo Verbo vi si potesse contenere. La natura è spazio
troppo angusto a rinchiudere il bene infinito che è mi
sura a se stesso, né basterebbe a realizzare tutti i di
segni dell'inesausto artefice (i). — Infine se è difficile
comprendere la creazione de' corpi eseguita da un Dio
puro spirilo , convien notare che l'effetto pub essere emi
nentemente nella causa contenuto, e che la nozione di
causa, vale a dire di forza spontanea, è adequata a
quella dello stesso spirito, e che in questo senso a buon
dritto si disse: ogni intelligenza è piena di forme (2).
In queste opere innumerabili, ve n" ha poche in cui Dio
abbia messo più di compiacenza che nell'uomo, di cui
l'anima libera ed immortale serbava i tratti più a lui si-
raiglianti, e sollecitava più vivamenle la sua predilezione. Il
peccato, svisando questa rassomiglianza, degradò l'uomo
dalla condizione in che trovavasi negli affetti del suo au
tore. Egli non potea tornarvi fuorché per due vie, o per
una laboriosa riparazione che da lui medesimo procedes
se, o per una riabilitazione gratuitamente da Dio con
ceduta. Ma l'uomo, coll' umiltà della sua obedienza,
non potendo così basso discendere come avea preteso al
zarsi col suo ribelle ardimento , trovavasi fatalmente in
capace di soddisfare. Bisognava pertanto che Dio stesso
Convito, III , 6. Epist. ad Can. Grand.: Causa secwida ex eo
quoti recipit a prima injluit super causanmi, ad modum recipienti*
et respicientis radium . . . Cum virtus sequalur essentiam cujus est
virtus; si essentia sit intellecliva, est tota et unius quod causat: et
siCj quemadmodum priusquam deveniret, erat ad causam ipsius es
sej sic nunc assentine et virtutis. Propter quod patet quod omnis
essentia et virtus pvocedit a prima. — Cf. S. Dionigi l'Areop. de
Coel. Hierar. IV.
(1) Paradiso ., XIX, 14. Epist. ad Can. Grand.
C2) Paradiso, XXXIII, 29. — Cf. de Causis, 9: Omnis iulelli-
gentia piena est formis.
r
iBo PARTE li.
oprasse in suo favore o coll' usare misericordia, o col-
P usare misericordia insieme e giustizia. Egli diede pre
ferenza al secondo mezzo in cui meglio manifestavasi il
cumulo delle sue infinite perfezioni; l'opera è tanto più
cara agli occhi dell'artefice, quanto vi riconosce più esat
tamente la sua mano. Opera fu più generosa il dare sé
stesso e subire la pena per rendere all' umanità la forza
di rilevarsi, piuttosto che senza merito rimettergli la pena
meritata. Pel solo atto del suo immenso amore, il Verbo
si associò la nostra natura inferma, prostrata e proscrit
ta. Questa umiliazione diede all' iuflessibil giustizia una
vittima degna di lei; né mai, dal primo giorno fino al
l'estrema notte del mondo, si vide, né si vedrà compiersi
più profondo e più magnifico disegno (i).
Ma la redenzione non si compie che col perfeziona
mento successivo delle generazioni che appajono sulla
terra, e per la loro incoronazione su in cielo. Questo
è lo scopo di quella Previdenza particolare alle nostre
menti ognora incomprensibile, o se predestini gli elet
ti, o se li favoreggi di non ugual guiderdone, o se
permetta il male a trionfo del bene, o veramente se ir
removibile ne' suoi decreti, si lasci ciò non pertanto muo
vere dalle preghiere e dal merito della virtù (2), o pure se
ella stessa tragga a sé la nostra intelligenza e la volontà
di cui vuol concentrare tutti gli sforzi. Perché 1' alfa è
in pari tempo l'omega: il Dio che si è rivelato come
(i) Paradiso, VII, 38, 39 :
.Ni.. Ira P ultima nutte e '1 primo die
Si alto e sì magnifico processo
O per P una o per l' altro fue o fie.
Che più largo fu Dio a iiar sé stesso
la far P uom sufficiente a rilevarsi ,
Che s'egli avesse sol ila se dimesso.
— Cf. S. Bonaventura, Compendium , IV, 6.
CO Paradiso, IX, 36; XX, 33, 45 5 XXI, 3aj XXXII, aa. Pur
gatorio, VI, 41.
CAPITOLO IV. 1S1
Creatore, si è a noi promesso come Rimuneratore: egli
è la causa, egli ne sarà l'effetto (!).
Qui il poeta sembrava doversi arrestare, fedele al suo
modo di procedere sistematico in cui ciascuna serie di
concetti ha la sua forinola in una visione corrispondente ;
sembrava che V imagine non potesse più altro fuor che ma
terializzare il pensiero ; ma quel sommo ingegno accettò la
disfida, il pensiero intraprese a spiritualizzare l' imagine, e
giammai forse, nè prima, nèpoi l'espressione poetica si levò
a una purezza più perfetta, nè con più audace energia.
— Il cielo era aperto: un punto luminoso apparve che
raggiò d'una chiarezza che l'occhio non sosteneva. Tra
tutte le stelle quella che costaggiù ci apparisce la più pic-
ciola, posta con questo punto indivisibile, sarebbe sem
brata pari alla luna. Quasi alla stessa distanza dove
l'aureola a sette colori si forma, intorno l'astro di
cui ella riflette i raggi, intorno a questo punto immo
bile un cerchio di fuoco rotava cosi rapido che sorpas
sava in celerità la rotazione de' cieli. Altri cerchj concen
trici si volgevano intorno a questo, nove di numero, sem
pre più vasti nelle loro dimensioni, ma meno pronti nel
loro corso, meno puri nel loro splendore. Or siccome a
questo spettacolo il poeta si giaceva sospeso tra lo stu
pore e il dubbio, gli fu detto: « Da questo punto
pende il cielo e tutta la natura ». Era Dio. E in que
sti cerchj , che mutuamente si traevano verso il loro
centro, riconobbe i nove ordini delle creature spirituali
che, attratte dall'amore, attraggono anch'esse il mondo
tutto. Queste erano gli angeli (2). Poi, quando la sua vi-
(1) Paradiso, I, 3j IV, 42 ; XXXIII, 16.- Cf. Boezio, lib. IH,
pros. 10.
(a) Paradiso, XXVIII, 6:
Va punto vidi che raggiava lume
Acuto si, che '1 viso ch'egli affuoca,
Chiuder conviensi per lo forte acume.
Ozanam. Dante. »*
.8, PARTE II.
sta miracolosamente rafforzata potè penetrar questo punto
che al primo tratto l'aveva abbagliato, ei vide stretto
in un solo fascio, e ridotto allo stato d'una semplice fa
ce, lutto ciò che si mostrava nell'universo, sostanza, modo
e accidente : queste erano le idee tipiche della creazio
ne. Nel medesimo punto, a più grande profondità, egli
vide tre giri, eguali nella misura, diversi di colore, pa
reva che il secondo ricevesse lo splendore dal primo, e
il terzo fosse un vapore emanato dagli altri due. Cosi
manifestava»1 la Trinità. Il cerchio secondo diligentemente
considerato, pareva, senza rimettere del suo primitivo co
lore, pinto d' una umana effigie , simbolo dell' Incarna
tone del Verbo (i). E mentre egli adoperava a com-
E anale stella par quinci più poca
Parrebbe luna locata con esso,
Comu stella con stella si colloca.
Forse cotanto, quanto pare appresso
Halo cigoer la luce che 'I dipigne, ^
Quando M vapor che '1 porta più è spesso,
Distante intorno aj punto un cerchio (Pigne
Si girava
da quel punto
Depende il cielo e tutta la natura.
Questo luogo non fu (a) compreso dagli interpreti ; la parola halo
trascritta erroneamente alo, allo portò molti errori. —• Gf. S.Dio
nigi TAreop. de Caelest. Hierarch. — S. Bonaventura, Compendiami
II, i5. — Aristot. Mètaph. XVII.
0) Paradiso, XXXIII, 29, 39, 43:
Nrl suo profondo fidi che s'interna,
Legato con amore in un volume ,
Ciò che per V universo si squaderna;
Sustanzia, ed accidente, e lor costume,
Tutti conflati insieme per tal modo.
Che ciò eh' io dico, è un simplice lume ...
Nella profonda e chiara sussistenza
Dell' alto lume parventi tre giri
Di tre colori e d' una continenza :
(a) Pare che l'autore francese sia il primo vero interprete di questo luo
go. Gli interpreti hanno inteso Hallo per quello che è, e che D. volle si
gnificare j la sola differenza fu nell'ortografia della parola. — Nota del Trad.
CAPITOLO IV. .83
prendere spettacoli sì prodigiosi, il poeta gustò la gioja
di averli compresi; tale si senti, che gli era impossibile
rivolgere gli occhi via da quel punto dove stava l' in
tero bene, a cui può aspirare il desiderio degli uomi
ni ; colla volontà dolcemente attratta in mezzo all'armo
nioso movimento dell' ordine universale. L' opera della
santificazione gli si faceva sensibile. In una immediata
intuizione gli si dispiegavano tutti i misteri. Era un pen
siero senza sforzo, che quindi escludeva il raziocinio e
la memoria- era una condizione dell'intelligenza che tra
gli uomini non ha nome: una completa partecipazione
a quella filosofia, la sola verace, che è propria dei santi
e degli angeli, che trovasi in Dio stesso, amore infinito
di una sapienza infinita (i).
E Putì dall'altro come Ili da In
Parea reflesso; e M tcrxo parea fooco,
Che quinci e quindi egualmente si spiri . . .
Quella circulazion, che sì concetta
Pareva in te, come lume riflesso,
Dagli occhi miei alquanto circonspetta,
- , Dentro da sè del suo colore stesso
Mi parve pinta della nostra effige:
Perche '1 mio viso in lei tutto era messo.
— Cf. Platone, Timaeus, Epinomis. — S. Bonaventura, Compen-
dium, i, a5. — S. Tomaso, t. q. i5.
(t) Paradiso, XXXIII, 49- Convito, III, 1 3: E cosi si vide come
questa donna (Filosofia) è primieramente di Dio, secondamente
delle altre intelligenzie separate, per continuo sguardare. . .
ipa a a a aaa^À
CAPITOLO PRIMO
ESTIMAZIONE DELLA FILOSOFIA DI DAKTE. • ANALOGIE
COLLE DOTTRINE ORIENTALI
Li uomo non saprebbe riconoscere 1' ordine che re
gna nella creazione senza provare in qualche maniera la
gioja d'un figlio che ritrovasse traccia del proprio pa
dre. Il motivo si è che le nozioni più esclusivamente spe
culative l' interessano solo per questo che si rapportano
ad altre cognizioni acquisite o innate; perchè l'attraente
non è altro in noi se non se il sentimento dei rapporti.
Le stesse produzioni dello spirito umano non hanno pre
gio ai nostri occhi se non che a patto di legarsi fra loro
nelle nostre memorie. Un sistema senza analogie sarebbe
pure senza valore. — Ma lungi dall' esser così, tutti i con
cepimenti dei filosofi sono dominati da un certo numero
di problemi principali, i quali pure non hanno se non
che un certo numero di risposte possibili; le quali ne
cessariamente ripetute diventano altrettanti punti di riu
nione intorno ai quali si ordinano in iscuole i pensatori
di tutti i tempi, e come altrettanti caratteri opportuni a
classificare ciascuna dottrina , e necessarj a riconoscersi
per definirla. D'altra parte ogni dottrina raccoglie ine
vitabilmente le fatiche delle età precedenti che le ser
vono di premesse; essa ne deve tirare delle conseguenze
che alla loro volta saranno le premesse dei tempi avveni
re , ed è ciò che le dà il carattere di causa ed effetto, ciò
che ne costituisce il merito esteriore. In fine, nello stesso
tempo che una dottrina si pone di questa maniera, a ti
PARTE HI. CAPITOLO I. 185
tolo di figliazione e di paternità in alcuna delle grandi
familie di idee sussistenti nella storia, ora rivali, ora al
leate, ma sempre viventi, essa partecipa a quelle verità
che sono in esse, e che le fanno vivere; allora diventa
facile il penetrare fin uella sua essenza per sapere quanto
rinchiuda di vero. Così, quando noi avremo fatto confronto
fra la dottrina di Dante e quella che regnò nelle illustri
scuole d'Oriente e della Grecia, del medio evo e degli
ultimi tempi; l'avremo dapprima classificata ricondu
cendola a' tipi conosciuti ; avremo stabilito ciò di' essa
prese dagli altri e che trasmise , la sua origine ed il
suo grado; potlassi pronunciare agevolmente della giu
stezza di sue massime trovandovi quelle ci' altri sistemi
già giudicati. Quest'estimazione storica nella sua forma
sarà dunque critica pel fondo; il punto di diritto e quello
di fatto si confonderanno assieme. Finiranno col farne
un solo, indivisibile ai nostri occhi , quando noi arrive
remo alla quistionc suprema, quella dell'ortodossia, dove
essendo misurata la filosofia di Dante ad un regolo in
fallibile , dal suo conformarsi a questo, ne seguirà peu
noi la legittimità.
i. Stavano aperte a Dante due vie, l'una a mezzodì,
l'altra a settentrione, che il potevan condurre alle fonti
del vecchio Oriente; erano le relazioni allora frequenti del
l'Europa coi Saraceni e coi Mongoli. Si è già visto come,
in mezzo al cozzo della cristianità coll'islamismo nella Spa
gna ed in Palestina, le scienze, poste sotto una salva
guardia ospitale, erano passate da un campo all'altro, e
av evan formata un'attiva corrispondenza che s'estendeva
da Bagdad e Cordova in tutti i paesi cattolici e special
mente in Italia. Circolando in tutte le mani le traduzioni
d'Avicenna, d'Algazel e la compilazione col titolo Libro
delle Cause, non avevan potuto a meno di passare an
che per quelle di Dante: del che fanno fede le ripetute
ifi-
1gfi PARTE III.
citazioni ne' suoi scritti (i). Nel giudizio che porta sulle
idee religiose dei Mussulmani si ravvisava la di lui pro
fonda conoscenza del loro stato intellettuale.' Nel men
tre che la maggior parte de' suoi contemporanei ave
vano i discepoli dell'Alcorano come altrettanti pagani, e
Mohon per un idolo, ei considerava l'islamismo come
setta ariana, e Maometto come capo del più grande sci
sma ch'abbia desolato la Chiesa, punito alla sua volta per
la divisione dei suoi adepti sotto le bandiere d'Omar
e d'Ali (2). Or bene, questi stessi Saraceni, ultimi eredi
del sincretismo alessandrino, iniziati d'altra parte ai de-
lirii del sofismo persiano, s'avvicinavano così da due parti
all'antica saggezza indiana che pareva avere sparse fe
conde emanazioni sulla Persia e l'Egitto. Si trovava essa
pure co' suoi dogmi fondamentali nella religione diBudda,
il quale, cacciato dopo lotte sanguinose dalla penisola
indostana, aveva invaso l'Asia settentrionale e strascinato
sotto le sue leggi le orde mongole disperse fra l'Aitai ed il
Caucaso. Que' popoli si scossero; spaventevoli irruzioni
verso la metà del secolo decimoterzo desolarono le con
trade slave e germaniche. Più tardi, la saggia politica
della Santa Sede le arrestò ; rapporti pacifici si stabili
rono fra i principi cristiani ed i nipoti di Gengis-Ran.
Comparvero gli ambasciatori del buddismo nella capi
tale ed al convegno della cattolicità, a Roma ed al XII
(1) Convito, II, 14. — Avicenna, de Intellig. IV. — Algazel, Logic.
et phil. 1,4.
Ibid. IH, |j{. — Avicenna, de Anima, III, 3.
Ibid. IV, |3. — Avorroe, in Aristot. de Anima, III.
Ibid. IV, 21. — Avicenna, de Anima, aphorism. 38. — Alga
zel, II, 5.
Ibid. III, 2, 6, 7; IV, 21, ec. E/nst. ad Can. Grand. — Lib.
de Causis.
(2) Inferno, XXVIII, 1 1 . Ibid. XVII, 6 : Allusione al commercio
di Europa coi Turchi. Convito, 11,9: Le credenze dei Saraceni
ritate in testimonio dell' immortalità dell'anima.
CAPITOLO I. ,87
concilio di Lione; di ricambio, Roma e la Francia man
darono loro nuove bande di missionarj incaricati di
portar loro con la pace la fede. Anche l'industria s'ebbe
le sue missioni avventurose. Le vie tracciate da Plan-
Carpin e Rubruquis , furono seguite dai mercanti vene
ziani : si sparsero numerose relazioni, scritte o verbali,
di viaggiatori, e in un secolo più che il nostro preoc
cupato dagli interessi della vita futura, le opinioni teo
logiche dei Mongoli non poterono restar sconosciute alla
curiosità dei dotti d'Europa. Dante soprattutto, avido di
sapere , sempre in cerei di tradizioni e sistemi che po
tessero trovar posto nella vasta tela della sua composi
zione poetica, egli, che d' altra parte aveva dovuto più
d'una volta incontrare alla corte dei principi i deputati
tartari , non aveva potuto a meno di informarsi di loro
credenze. Egli però li ricorda, li cita a testimonio delle
proprie asserzioni (r). Un doppio commercio adunque
lo metteva in relazione coi preti filosofi delle rive del
Gange. E quando si ponga mente essere stata più volte
la loro scienza, sì vantata nell'antichità, consultata dai
dotti della Grecia, ed aver essa lasciata qualche traccia
anche negli scritti di alcuni Padri della Chiesa, dovrassi
forse riconoscere in ciò un terzo mezzo di communica-
zione.
2. Notevoli analogie si incontrano a tutta prima fra
le nozioni indiane e quelle del poeta fiorentino intorno
alla figura esteriore della terra ed i misteri nascosti nelle
sue viscere (a). Mentre i Bramini rappresentano il monte
(1) Allusione all'industria dei Tartari, Inferno, XVII, 6. —
Loro credenza all' immortalità dell' anima , Convito, II, 9.
(a) Ne sembra doversi qui accennare che un nostro scrittore,
Tullio Dandolo, in un lavoro sui rapporti della poesia colla filo
sofia, e colle scienze, parlando specialmente di Dante, notò il
ravvicinamento di alcune dottrine di lui con quelle dei Bramini.
Vedi Indicatore, tomo II, serie sesta, 1837. — Nota del Trad.
t8g PARTE IH.
Merou come perno del mondo — risplendono ai suoi
piedi le contrade abitate dagli uomini e dai genj ; in
cima è fissata la dimora terrestre degli Dei : — la mon
tagna del Purgatorio , descritta nella Divina Comedia ,
fu il centro del continente destinato da principio all'abi
tazione dell' uomo ; essa è coronata dalle deliziose om
bre del paradiso terrestre (i). L'oscuro impero di Yàma,
come il regno di Satana, è scavato in profondi sotterra
nei, composto di molti cerchj discendenti l'uri sotto l'al
tro in interminabili abissi, il cui numero, diversamen
te riferito dai mitologi, è spesso nove od un multiplo
di nove. Vi si trovano le stesse peue inflitte agli stessi
delitti: tenebre, arene infocate, oceani di sangue in cui
sono attuffati i tiranni, regioni ardenti e dopo regioni
ghiacciate (2).
Oltre questi punti superficiali di contano, si scopro
no più intimi rapporti. Tale è la singolare opinione di
Dante, per la quale le anime disgiunte colla morte dai
corpi che abitavano, sono rivestile d'un corpo aereo.
Rinnovata molte volte questa ipotesi nella filosofia cri
stiana e tolta dal paganesimo, in nessun luogo si trova con
uno svolgimento più completo e con tratti di rassomiglianza
più costanti che nei sistemi dell'India, — Se l'anima, vi
è detto, ha praticata la virtù e di rado il vizio, rivestita
d' un corpo che prende dai cinque elementi , essa assa
pora le delizie del paradiso. Ma se essa si è abbandona
ta di frequente al vizio e di rado alla virtù, essa prende
un altro corpo, a formare il quale concorrono i cinque
elementi sottili, destinato alle pene dell' inferno. Quando
le anime hanno gustato le gioje o subiti i castighi loro
(1) B. IJcijjmann , Esquisses du système religieux des Mongols.
nel suo Voynge chez les Kalmouks. — Guigniaut, Symboliq. t. I.
— Dante, Purgatorio , passim.
(a) Ibid. e Leggi di Manou, 1. IV, si. 87; XII, si. 4o, 76. —
Dante, Inferno, passim.
CAPITOLO I. 18q
riservati, le molecole elementari si separano e rientrano
negli elementi dond' erano uscite (i). —
Altre volte ha luogo lo scontro, ma esso è ostile; le
idee orientali si presentano al pensiero del poeta cristia
no, ma per essere combattute. Così uno dei più gravi
errori della dottrina di Brama, e che più s'avvicina al
panteismo, è quello che suppone nell'uomo due anime
distinte, l'una individuale, costituente la personalità di
ciascuno, ma anche ristretta alla conoscenza dei f1tti e
delle individualità; l'altra per cui s'acquista la cono
scenza della verità universali, ragione immutabile, ani
ma del mondo, Dio stesso. D'onde viene che scopo
della scienza essendo di condur sempre il particolare al
generale, è anche quello di confondere l'anima indivi
duale colla infinita e di perder la persona dell' uomo
nell' immensità divina. Questa teoria , riprodotta da A-
verroe , aveva menato romore fra le dispute scolastiche;
era dessa senz'altro uno di quei semi di corruzione che
aveva procurato la scuola anticristiana di Federico II di
raccogliere e propagare. Essa aveva chiamata a se lo spe
ciale zelo dei dottori cattolici. Dante s'unì con loro a bat
terla e mantener l'unità, l'indivisibilità e quindi anche
la dignità dello spirito umano (a*.
Ma sembra che le due dottrine rivali non abbiano coz
zato che per far prova d'indipendenza; esse di nuovo si
ravvicinano con tratti di somiglianza tanto più singolari,
(1) Leggi di Manou, XII, 16-21. — Dante, Purgatorio, XXV,
27. Convito, II, 9.
(2) Leggi di Manou, VI, 65 ; XII, i4-i8: Che il saggio rifletta
con l'applicazione di spirito più esclusiva suli' essenza sottile ed
indestruttibile dell' Anima suprema e la sua esistenza nei corpi
degli esseri più elevati e più bassi. — Vengono dalla sostanza
dell' Anima suprema, come scintille da fuoco, innumerevoli prin-
cipii vitali che incessantemente communicano il moto alle crea
ture , ec. — Colebrooke, Essai sur la philosophie des Ilindous ,
traduzione di Pauthier, p. 56. Oupnek-halj passim. L'anima indi
viduale è detta Dijv.atma. L'anima universale, l'aram.atrna (radice ,
Pjiv, vivere. Para, sovrano ). — Dante , Purgatorio , XXV, 31.
,9o PARTE III. CAPITOLO I.
quanto più ci sfugge il mezzo onde s'accostano. Noi
abbiamo riconosciuto che il bene ed il male , o soli , o
messi l'uno contro l'altro, sono le tre grandi categorie in
cui si coordinano le concezioni di Dante: aver egli pen
sato, nel descrivere l'inferno, il purgatorio e il paradiso,
di dipingere sotto colori allegorici le tre qualità, i tre modi
d'esistere dell'umanità, e sono: il vizio, la passione, che
è la lotta della virtù e del vizio, infine la virtù. Ecco ora
ciò che insegnano i libri sacri, scritti ad epoche imme
morabili, all'ombra delle pagode d'Ellora e di Benarés.
«L'anima dell'uomo ha tre qualità: bontà, passione,
oscurità. — Segno distintivo della bontà è la scienza,
dell'oscurità è l'ignoranza, della passione il desiderio e
l' avversione. — Appartengono alla qualità della bontà
lo studio dei libri santi, la divozione austera, la scienza
religiosa, la purità, l'adempimento dei doveri e la me
ditazione dell'Anima suprema. — Non agire per altro che
per la speranza di una ricompensa, cedere al capriccio
dei sensi, abbandonarsi allo scoraggiamento, sono i segni
che qualificano la passione. — La cupidigia, l'indolenza,
l'ateismo, l'ommissione dei doveri prescritti, annunciano
l'oscurità. «Questa triplice divisione non si limita ai feno
meni della vita morale, ma si stende a tutto intero il crea
to, di cui l'uomo è imagine. « Le tre qualità sono di tutti
gli esseri. » Per esse si distinguono sulla terra i genj , gli
uomini e le innumerevoli familie degli animali e delle
piante. E, oltreciò, varcauo esse i limiti del nostro pas-
saggero soggiorno; abbracciano e si dividono i tre mondi ;
alla bontà appartiene il mondo degli Dei, alla passione
è abbandonato quello degli uomini, e l'oscurità regna
in quello dei demoni. — Moltiplicaronsi all' infmito le
sette indiane: in tutte, la distinzione delle tre qualità è
restata come principio essenziale che dà forma a tutta
la dottrina classica (i).
(l) Manou, XI 1. 1 i e seg. , 26-39. — Dante, Epist. arlCan. Grand.
e specialmente la prefazione del Commentario di suo figlio , citata
più sopra.
CAPITOLO II.
RAPPORTI DELIA FILOSOFIA DI DANTE COLLE SCUOLE DELL ANTICHITÀ .
PLATONE ED ARISTOTILE. — IDEALISMO E SENSISMO
i. .Li Asia non poteva essere ancora per Dante, come
è per noi, se non se una contrada involta nelle ombre
del mistero. Era sull' orizonte della Grecia ch' ei vedeva
innalzarsi per la prima volta la luce della filosofia in tut
to il suo splendore. Assisteva egli alle sue fasi principali
che trovava descritte in molte eccellenti opere dell'anti
chità, ma specialmente in quelle del primo e forse più per
fetto storico della scienza , in Aristotile (i). — Senza dub
bio, la traduzione della Morale fatta da Brunetto Latini,
di lui maestro, l'aveva presto familiarizzato collo Stagirita,
Più tardi, due versioni complete e numerosi commenti
gli avevan permesso non solo di penetrare uell' immenso
edificio delta dottrina peripatetica, ma ben anco di scan
dagliarne scrupolosamente tutte le parti (2). Né senza effetto
erano queste feconde esplorazioni; e nel solo Convito tro-
vansi, oltre le semplici allusioni, settanta formali citazioni
della Metafisica, della Fìsica, del Trattalo dell'Anima,
dell' Etica, della Politica , dei varj scritti ond'è compo
sto V Organon e di molti altri meno celebri. Queste re
miniscenze servono anche di autorità all'ombra delle
quali Dante ripara : ei dà loro tanto di forza sulle sue
persuasioni quanto di posto nella sua memoria. Aristotile
è da lui chiamato coi nomi più onorevoli : il dottore della
(1) Dante difiatti , apprese da Aristotile a riferire le opinioni
dei filosofi più antichi. Ei toglie molto anche dalle opere storiche
di Cicerone. Vedi Convito, passim.
(2) Convito, II, i5. Ei cita duo traduzioni d'Aristotile, l'an
tica e la nuova : forse quelle di Giacomo da Venezia e di Fede
rico II; forse quest'ultima è quella di Guglielmo da Morbecka.
— Convito j IV, 8, citazione del prologo di S. Tomaso sull'elica.
i9a PATITE III.
ragione; il saggio per cui la natura ebbe meno segreti}
il maestro di quelli che sanno. A sentir lui, la società
temporale, per vivere lunghi secoli di prosperità, do
vrebbe solo sottomettersi alle due potenze filosofica e
politica, Aristotile e l'Imperatore. Dopo aver sì alta
mente esaltati i successori dei Cesari , dà loro a collega
nel governo del mondo il precettore d'Alessandro , egli
lo fa sedere, unico immortale, sul trono su cui i prin
cipi non sono che di passaggio. Va anche più oltre • e
ricordando gli errori dei filosofi dei primi tempi i quali
con le loro ricerche anelarono al sommo bene, fine ul
timo dell'esistenza umana, ei mostra che questa verità
fu iutravveduta da Socr.ite e da Platone, ma solo per
cura di Aristotile sgomberata da tutte quelle oscurità
che ancora la coprivano. E come la direzione dei mezzi
appartiene a lui che conosce il fine , come i naviganti
si riposano sulla fede del pilota; cosi quelli che ondeg
giano sul mar burrascoso della vita, devono abbandonarsi
alla condotta della guida ispirata, loro inviata dal cielo.
Cosi nella dottrina peripatetica si comprendono i destini
scientifici dell' umanità. Sommamente degna di fede e
d' obedienza , consacrata da una universale adozione ,
essa acquista un carattere religioso : la si può proclamare
cattolica (i).
In faccia a questo autentico riconoscimento d'un sovrano
Dottore innanzi a cui doveva piegarsi ogni intelligenza,
sembra che dovesse essere mantenuta la promessa fedeltà-
fa dunque maraviglia, di primo tratto, l'udir gravi te-
stimonj collocar Dante, vassallo infedele, in ordini con
trarli e rappresentarlo come uno dei più illustri discepoli
(i) Convito, I, 9; III, 5; IV, 2, 17, 27. Inferno, IV, H. Con
vito, IV, 6. Vedi 1' intero capitolo. — Dante nondimeno rico
nosceva l' insufficenza d' Aristotile in molti punti di teologia e
d'astronomia. Convito, II, 3, 5; IV, i5, 22.
CAPITOLO II. ,93
di Platone (i). Ma noi ahbiam visto annoverato Platone
fra i precursori dell'aristotelismo, ed assicurato d'un' alta
preminenza sopra i capi delle altre scuole. Spesso ancora
Dante il rammenta onorevolmente e come uomo eccel
lente ; ei si prevale del suo esempio : se lo confuta , lo
fa dopo rispettosi preliminari 5 se il condanna, s'affretta
di indicare una possibile giustificazione (2). Si potrebbe
assicurare ch'ei conobbe il Timeo di cui al suo tempo
eranvi due commentar] principali, di Calcidio l'uno,
impiegato favorevolmente nell'insegnamento scolastico;
l'altro di s. Tomaso d'Aquino, di cui noi dobbiamo de
plorare la perdita. Ma specialmente Cicerone , Boezio ^
s. Agostino ed alcuni altri dottori cristiani ,. i cui scritti
tramandano ancora i profumi dell'Academia , dovettero
esercitare su lui un'azione irresistibile, e tirarlo forse,
involontario proselite , alle idee platoniche (3).
Qui è il luogo d'esaminare quali elementi possano per
diritto le due grandi scuole greche attribuirsi nella fi'
losofia di Dante.
1. Parevaci dapprima che molti tratti generali ci do
vessero caratterizzare il genio filosofico del poeta italia
no: e la minuta esposizione delle sue opere ce li ha
resi facilmente riconoscibili. E un pensiero ardito e natu-
(i) Marsiglio Ficino , Clarorwn Ptrorum Theodori Prodro
mi, ec. Epistola ei CoJd. MSS. Collega Romani. Roma:, 1754. —
Brncker, Hist. Crit. Philosoph. ter. HI, pars ì, lib. I, cap. i. —
Memorie per la vita di Dante , et.
(a) Convito, II, 5, i4; III, 9; IV, i5. Paradiso, IV, 8-19. —
Epist. ad Can, Gran, ... Multa namque per intelléctttm videmus
quibua sigiii vncalia desunt , quod iatis Plato insinuai ih suis li'
bris per assumplinnem metaphorismorum. Multa namque vidit per
lumen intellettuale , quae sermone proprio nequit exprimere.
(3) Borzio, de Consolatone, lib. I, pros. 3j lib. IH , pros, 9j
lib. V, pros. 5. — S. Agostino, De Civit. Del, lib. VIII. Confisi.
VII, 9 e passimi
OlIkKAM< Dante. 17
IJM PARTE III.
ralmente metafisico, che si pone d'un tratto nel mondo
invisibile, al di sopra del tempo e della terra; un'espres
sione metaforica, non per capriccio ma per sistema, e che
s'impadronisce di tutte le imagini della creazione, poiché
tutte sono un riflesso delle verità eterne che per quella
voglionsi manifestare; un'aspirazione profonda verso due
cose quaggiù lontane, ma che almeno in parte vi si pos
sono riprodurre: la perfezione e la felicità. — Ma questo
triplice sollevamento al vero, al bene ed ul bello, non è
ciò che forma il principale onore del genio di Platone?
Egli pure abbandona il mondo dei fenomeni e delle ap
parenze, la caverna in cui si disegnano pallide ombre,
per contemplare in quella vece le realtà assolute alla viva
luce della metafisica (1). Uso a non distinguer più altro
nelle cose visibili fuorchè una rappresentazione dei divini
concetti, ei non vedeva altro nella natura che un magnifico
linguaggio parlato dall'Altissimo; provavasi anch' egli a
parlarlo, ed il suo stile s'ornava di quei mirabili colori
che chi è poeta non può non invidiare. E tuttavia egli
sdegna di perdersi in oziose speculazioni o di scordare se
stesso al lusinghiero rumore dei proprii discorsi; la sua pa
rola esige risultati positivi e salutari riforme; ogni scienza
per lui si risolve nella scienza del bene. Questo è l'oggetto
annunciato in tutte le sue lezioni; e maravigliati i suoi
discepoli d'udirlo, con questo scopo, scientificamente di*
scorrere di geometria e d'astronomia, di ginnastica e di
musica, lo comprenderanno alla fine quando svilupperà da
queste svariate nozioni le leggi che devono presiedere al
perfezionamento ed alla felicità degli uomini (2). — Facoltà
(1) Cousin, Cours d'Histoire de la phìlosophie, tomo I, lezione 7.
— Platone, Republica, lib. VII. — Citando nelle note i Dialoghi
ili Platone , non intendiamo supporre che Dante abbia testual
mente , immediatamente conosciuto i passaggi indicati : si traila
i\ stabilire delle analogie , non delle reminiscenze.
(2) Platone, Reput1. VI: 'H r»ù àya9où itiiat fisytJro» fiaStifia.
— Vedi anche i frammenti d:Aristoxene citati da Kavaisson., Estai
sur la Mètapjtysique d'Aristotc, pag. 7 1 .
CAPITOLO II. 195
sì uniformemente assortite per l'ima parte e per l'altra
promettono già una singolare rassomiglianza nelle loro
produzioni.
Fra tutte le congetture per le quali tentarono i filo
sofi greci crii innalzarsi fino alla conoscenza della divinità,
quelle di Platone, per incomplete che si fossero, s'e
rano, più che mun" altra, incontrate colle rivelazioni del
cristianesimo; ed avendo esse ottenuto il suffragio de'
nostri più gravi apologisti , Dante non aveva dr1tto di
essere più severo. Il Dio che il discepolo di Socrate
adora è dimostrato non solo dalle forze mecaniche
della natura, ma dall'ordine generale che vi domina.
Vien dunque imaginato come potente non solo, ma
ben anco intelligente e buono (1): egli è incorporeo,
egli l'Uguaglianza primitiva, il Bello assoluto, l'Uno
assoluto , quegli che non conosce uè mutazione né
pentimento (2). Re della città del mondo, per nulla si
confonde col mondo (3): egli sta indipendente esolita-
rio, bastando egli stesso alla propria beatitudine. Al bui.
lume però di alcune espressioni che per avventura tra
discono il secreto dell' insegnamento esoterico, si crede
trovare in questa nozione dell'unità di Dio una trac
cia del dogma della Trinità, o sia che il fondatore del-
l'Academia fosse stato iniziato nei suoi viaggi ai misteri
degli Ebrei, o meglio sia ch'egli abbia raccolto gli avanzi
sparsi delle tradizioni primitive (4). Checché ne sia, non
s) saprebbe non riconoscere l'importanza della sua teoria
sul Verbo, di cui senza dubbio ignorò l'eterna generazio
ne e l'incarnazione futura, ma che ei riconobbe come or-
(1) Platone, de Leg. X; Repub. VI.
(2) Idem, Phcedn : Auto to To.ov, auro to xa^òv, auro éxasroy,
S iari tò ó"v, ft.lmore fteraSoX^v xaì àvrjvovv ivJéjfer«1. — Cf.
Dante , Paradiso, XV, a5.
(3) Idem , Politicu:
^4) Epistola Dionysio. Timceus, passim.
PARTE III.
dinatore della natura ed illuminatore della ragione. Là
sta il nodo della celebre dottrina platonica delle idee;
ed è pur là dove sembra siasi attenuta dapprima la dot
trina di Dante.
All'origine delle cose, come la spiega il Filosofo gre
co, appariva la Bontà divina, inaccessibile all'avarizia
ed alla gelosia, e die volle, se era possibile, circon
darsi d'opere buone e perfette come sè stessa (i). Que
ste opere non potevano compirsi senza un modello pre
esistente, un disegno fatto prima, la parola proferita dal
l'artista in lui stesso per condursi nel proprio lavoro, e
che non è altro se non se la stessa ragione, applicata ad
un dato oggetto (2). La si può anche chiamare un'idea
universale (3). La qual idea si suddivide in altrettante
idee distinte, in quanto che essa corrisponde alle diffe
renti classi degli esseri che l'universo comprende. Le
idee godono d'una suprema realtà, sia che stiano come
semplici attributi dell'intelligenza divina, sia che si di
stacchino come emanazioni viventi. Spirituali ed immu
tabili, prestano la loro essenza a lutto ciò che passa e
che si vede; e gli individui sussistono per una costante
partecipazione all'idea che è il tipo della loro specie (4).
Ma presso questo elemento di vita e di perfezione , vi
ha negli individui un germe di necessaria corruzione; e
(1) Timams: 'AyaSò; 3iv, otyaSii Sè ax/Sut mpi où5svò{ oùJsttots
iyyiyvsia y8óvo;. Toótou 5'sxtò; wv jravra óre (taXiTra èSouìriQr)
yevéadat mxpanXYiata avrà. — Cf. Dante, Paradiso, XXIX, 5.
(2) Timceus: Totowrta Ttvì wpo<T^jOwfievo{ notpxSeiyiuxTi , tAv
iSéav ocùtoù xoù ouvaftm ànepyàrevai ,.. e in più altri luoghi —
Cf. Paradiso, X, 1; XIII, 19.
(3) Plutarco, de Plucitis philosophorum.
(4) Timceus ; Bepub. X; Parmenide* : T<ùv etJùv éxaorov tou.
twv ri voi5f«a, xaì oùSapsù aÙrw npovhxy iyyvtia8at £Mo9t 5i
sv faxì i — 1" r**v *^ ùvnsp notpciSuyiiortCc iaravai
Cf. Paradiso, VUL 35. Convita, HI, 6,
CAPITOLO li. ,97
non avvien mai che nell'opera sia eseguito il disegno
primitivo nella sua integrità. Di che bisogna cercarne la
causa in una forza cieca e fatale, in questo ricettacolo di
tutte le esistenze, che noi chiamiamo materia, da Pla
tone supposta increata, e quindi invincibile nella sua
resistenza (i). — Ora, surrogando alla parte d'ordinatore
quella di creatore, non si trovan qui tutti i concetti
di Dante sull'origine delle cose; i motivi determinanti
l'azione dell'Onnipotente; l'idea che genera il padrone
supremo che riflette sé stesso a tutti i gradi del mondo
e sostenente con un'interna energia le più passaggere
creature, e la sorgente dell'imperfezione posta nella
materia , cera ribelle che si rifiuta alla postavi impron
ta, o meglio serbalojo incapace a contenere tutto quanto
potrebbe produrre l'infinita fecondità? — Quest'ultimo
tratto è notevole soprattutto per ciò che vìen accettata
la conchiusione senza le premesse , e che la materia è
supposta causa del male quantunque spogliata della sua
pretesa eternità.
Ma passando dall'ordine fisico al morale, le idee si
presentano sotto un altro aspetto; presiedono esse all'o
rigine delle cognizioni. La Ragione Suprema da cui pro
cedono tutti gli esseri, si rivela così a tutte le intelli
genze, prima ai geni superiori, quindi all'uomo; è come
un raggio che lainbe le sommità dell'anima; essa vi fa
rilucere le nozioni generali fatte ad invagine delle idee
eterne onde prendono il nome. Queste nozioni , prese
insieme, costituiscono, la ragione individuale; forniscono
esse l'elemento scientifico, invariabile delle cognizioni
umane; l'altro elemento incerto e fuggitivo si cava
(1) Thecetetus: TivJ* Svvjtìv 1pwa.tv xaì tóv5: tÓ7tov (rà xxxà)
TrjpjjroXsì ì\ dvayxvK. Tinum1s: Noù 3s àviyxq; &p%ovrO( , rù
miQnv aÙr.iv, twv yjyvofjsvo)v TA I1AE12TA eVt to ^sXriav
Syj1v .. nXavwpiJvv); 51*5o; aìrt'a;. — Cf. Calciti io , Cou1nunt. ad
himc locunt, p. 399. — Dante, Cf. Paradiso, XIII, 23 Convito,
III, G. de Monarchia, II.
19» PARTE HI.
dalla testimonianza dei sensi (i). — Se tali sono le dot
trine delI'Academia, potevan esse trovare eco più fedele
di questa filosofia poetica, in cui tutta la luce viene dal
seno della Divinità per rischiarare le contemplazioni de
gli spiriti beati, per diffondere ancora un ultimo crepu
scolo sui tristi abitatori dell'inferno? E non ne vanno
privi i viventi; trovan essi nel fondo della loro anima
una potenza che viene dall'alto, che regna da sovrana,
e che non permette si sconosca la verità.
Metà de' nostri destini sta nel conoscere, l'altra nel-
l'operare. Il principio d'attività è l'amore; ei riempie di
sua presenza l'intero universo, ne muove l'ordinamento, e
fa concorrere tutte le parti ad un mirabile accordo (2). Ma
è nell'uomo che di preferenza s'esercita la sua influenza.
Lo risveglia colle lusinghe, lo mette in movimento colla
vista dell'oggetto proposto; e nol lascia riposare che
nell'unione. Né sterile è l'unione; essa non produce solo
dei parti transitorj, ma talvolta insperate scoperte, capo
lavori d'arte, azioni generose (3;. Ond'è che moltiforme e
flessibile, l'amore non potrebbe esser chiamato buono o
cattivo in sé stesso, perocché egli trae merito dal fine a
cui ci dirige. Una innata inclinazione ci strascina a basse
voluttà; un volo più felice, favorito dallo studio e dalla
educazione, ci conduce alla virtù. Quest'amore è il solo
conosciuto dall'anima del vero filosofo; alla vista della
beltà, essa non prova alcun desiderio impuro (4); il
(1) Alcibiad1s, Timceus;Repub. V, X , ec. — Cf. Purgatori»,
XVIII, 19, a1. Paradiso, II, i5. Convito, III, 1; IV, a1.
(2> Convivam1, Eiyxim. collaud. — Più innanzi Socrate si vanta
eli non saper altra cosa che l* amare : tì ipvrtxi.
(3) Convivium, Aristonh. laud : Fx £uotv sj? ysviaOx1. — A^a-
ihonis cnllaud Rac 70ÙV irournà; y/yvsrat , x?v àaouao; r] xì
7rpiv, ow a» "Epa; àipyjrat — Cf. Dante, Convito, III, 3; IV, 1.
Purgatorio, XVIII, 7; XXIV, 19.
(4) Convivium , Sacratis oratio : Ov~£ a:rXoùv ÌTtw ójtsp sj;
&p%*ii «XiX®''i °'rS X5!^ò» etuai x'jtq xat'avtò, outj *Ì9%pir, —...
CAPITOLO II. Iga
bello per lei non è che lo splendore del vero, 1' om
bra d'un ideale invisibile verso il quale vorrebbe vo
lare; l'ammirazione le rende le ali perdute nella sua ter
rena cattività (i). — Sta in dubbio la penna nel tracciar
queste linee; nèsa se le rimembranze che la guidano siati
quelle del Fedro e del Convivio, o quelle della Divina
Comedia e del Convito.
Vedremo moltiplicarsi le analogie, a misura che si strin
geranno le conseguenze. Questo sublime istinto che con
duce alla virtù, approssimandosi al suo fine si divide. La
virtù unica nella sua essenza riveste quattro forme prin
cipali : prudenza, temperanza, fortezza e giustizia, clas
sificazione divenuta celebre (2). Ma la virtù implica la
fuga del male; ed il coraggio del fuggire, il primo di
cui s'abbia bisogno nella lotta della vita, viene solo dal
cielo (3). Implica del pari uno sforzo per compiere il be
ne, ed è ancora al cielo, che questo sforzo deve tendere.
Ogni uomo sente in sé slesso un vago desiderio, il cui
oggetto ancora indeterminato è ciò che si chiama bene.
Ora, fra le cose che sembrano soddisfare i suoi deside
rj, le une non gli lasciano che una gioja breve ed in.
completa; solo le altre sono capaci di cagionargli una
durevole felicità. Importa dunque far distinzione fra i
beni umani e secondarj, che sono le qualità corporali
ed i favori della fortuna, ed il sommo bene, ossia la
1
Cf. Pwgatorio, XVIII, i3. Il misterioso commercio di Dante e Bea
trice è il primo esempio moderno di quell'amore cantato dal Pe
trarca, e meritamente chiamato amor platonico.
(0 Phwdrus. — Cf. Paradiso, passim.
(3) De Leg. I: 'Hysfxovoùv ìaxiv iyzQòv >f opóv>ivt; • Sjvts/wv
Sè... aufp<ùv $v%f,s Z%if ex Sì tovtwv fitz ivSp1ia; xpu6tvrWj
rptrO» 5v eivi Sixziowvi) tstx^tov Ss àvSpiix. — Cf. Paradisa,
passim. Purgatorio, XXIX, 44. f« Monarchid, III.
(3) Alcibiadi* 1: 2 OitOx ouv Trà>; àTroysu^/ì tovto;, — A. Ili;
.%ph — 2. "Ori iiv Osi; iSsX>j. ~- Cf. Paradiso, X, 1tgj
XXVIII, 37.
aoo PARTE M.
perfezione, quale la si può ottenere dalla scienza e colla
virtù, quale esiste suprema ed incomparabile in Dio
stesso (t). Dio è dunque quegli da cui vengono e cui ri
tornano i beni inferiori, Dio è quegli cui chiamano tutti i
desiderj o meglio tutte le rimembranze dell'anima. Perché
fu un tempo in cui essa lo contemplò di fronte; essa
godeva di lui prima d'abitare la terra; nè può riavvi
cinarsi a lui che innalzandosi, divenendo libera e pura,
simile a lui e per questa rassomiglianza accettevole ai
di lui occhi (2). Ma un si grande destino non saprebbe
compirsi negli stretti confini della vita presente. Bisogna
dunque che s'apra al di là della tomba la brillante pro
spettiva dell'immortalità, che sia rifugio di nostre disin
gannate speranze, termine dei nostri insaziabili voti, mer
cede dei nostri meriti rimasti quaggiù senza ricompen
sa (3). — A queste estreme altezze dove lo sguardo non
può arrivare, librano ancora di concerto le ali il cigno
dei giardini d'Academo e l'aquila di Fiorenza, e vanno
a perdersi nei medesimi splendori.
(1) Convivium, Socratis oratio. Republic. VI: "O Sii 3lity.it
flit ina.nx $vyrìi , xai toutou èvsxn nàvrx irpimt , àjroitav-
rcvofJSv77 ri levai , ànopovsx Ss xai où^ s^ouaa XaSsìv txavu;
ri ttot' STrtv. — De teg. ' : Atirla Sì dyxBi s'ari • ri p.èv àv.
O^wTrtva, ri Sè Ssìa • òprìirat ó^sx twv Sst'wv 9irspx. Philebusj
Jitpnblica, VI : Toùto tgk'vuv rr>v toù àyaSoù iSèav <fiQi Eivai,
KtV/ay S''interri p../n ouaav xai àX>jSsiac. — Cf. Purgatorio, XVI,
3t; XVII, 33; XVIII. 7. Paradiso,XXVl, fi. Convito, IH, 1, IV. 12..
(vi) The,rtetuM Ilei piaQtxt y^pii ivQivS1 ixsiae «psùyeiv ori rart
ara. yvyii Ss óftoiWic 9iàt xarà rò ouvaròv. Phcedrus, passim;
Minosj Convivium , Socratis oratio. — Cf. Purgatorio, XVI, a9.
Paradiso. VII . u4.
'" '(3) Où <p^f« clvai JuvarÓv ivBpimot? p.x*apiot% xai eùaWaoTi
yjvsafiai Tr).J)v ò\h/u>., u.éyrpiirsp av ^uu;i ... xaXÀ 51 sXTrtj ts-
)..uriJeravri rw/svi àffàvrwv, uv tvexa ti; tt^oSujxoìt' av ... £^i>
nomis.— Cf. Convito, IV, 21. Si potrebbero notare altre minute
analogie. Il celebre confronto della Ragione e dei Sensi collo scu
diero ci cavalli. Pliaednis. Convito. IV, 26). Il Sole considerato
come imagine di Dio (tlepublica, VI Paradiso, passim. )
CAPITOLO II. idi
Riconosciuto Dio a priori per spiegare il mondo, le
idee per far comprendere le realtà, la ragione per do
minare l'esperienza, la vita futura per coordinare la
vita presente, le verità intelligibili precorrenti nell' or
dine logico le sperimentali, non sono tutti questi i linea
menti dell'Idealismo?
3. Non dimentichiamo però che Dante , accettando
sì gran numero di dogmi platonici intorno a Dio, la na
tura e l'umanità, non pensava di tradire la fede del
suo primo maestro, Aristotele. Libera difatti come è la
musa nel suo procedere è impossibile di non accorgersi
come essa trascini ai piedi gli avanzi d' una catena ,
senza dubbio dorata , ma che sotto l'uro lascia indovi
nare il ferro ; segnale d'una schiavitù appena finita. Noi
vogliam dire di quei termini tecnici, attoniti di tro
varsi ordinati in strofe armoniose, di quelle simmetri
che classificazioni in cui il pensiero si dispone con per
fetta esattezza, ma in cui non v'entra per niente l'en
tusiasmo; della terminologia infine e del metodo di cui
Dante non si è mai interamente liberalo, malgrado i
suoi sforzi. E agevole il riconoscervi la potente impronta
dello Staguita, il primo che abbia creata la lingua della
scienza e che insieme le abbia dato un lessico e una
sintassi, dandole la definizione e la divisione per principj
constitntivi.
Nulla si attiene sì intimamente al linguaggio quanto le
nozioni astratte che senza di esso svanirebbero; e che a.
prima vista sembrano aver nessuna realtà fuori di esso.
L'ontologia non è scienza di sole parole, ma per altro
senza parole essa è nulla. Dante ricorreva alle espressioni
d'Aristotele per conservare la tradizione delle sue idee
ontologiche: ei teneva il filo per entrare a suo benepla
cito nel labirinto. Quindi quelle profonde considerazioni
sull'essenza e la causa, quella distinzione spesso ripe
tuta della sostanza e dell'accidente, della necessità e della
'
2oi PARTE III.
contingenza, del potere e dell'atto, della materia e della
forma. Le quali astrazioni non sono spoglie d'ogni valo
re: il genere è realmente nella specie, la specie nel
l'individuo ; esse formano come una sotlil trama su cui
si disegnano tutte le realtà viventi. Così ha parlato il
maestro, co-ì intende lo scolaro (i).
Da qui innanzi non sarà da meravigliarsi se ambe
due riducono la fisica tutta quanta al giuoco di tre prin
cipe la materia, la forma e la privazione. Dall'opposi
zione di queste due ultime, risulta il molo; ed il moto
nella sua varietà e moltiplicilà, produce e spiega i fe
nomeni del mondo visibile. Dalle molecole elementari
fino alle organizzazioni animate, tutto si muove o per
impulsione o per spontaneità; le rivoluzioni degli astri
e la generazione degli animali ne sono i due più spe
ciosi esempli. Tu ttavolta l'astronomia e la fisiologia erano
rappresentate nell'antichità da due uomini, Tolomeo e
Galeno, le cui teorie, più estese ed esatte, soddisface-
van meglio alla curiosità di Dante (2). La sua confi
denza nello Stagnita , scossa su due punti, stava immo
bile sulle questioni veramente filosofiche; quelle riguar
danti la costituzione, le facoltà, il destino dell'uomo.
L'uomo, come lo definisce la dottrina peripatetica, è un
composto che ha il corpo per materia, e l'anima per
forma. Ma siccome la forma non può sussistere che im
prontata nella materia, l'anima così, quantunque ben di
versa dal corpo, non potrebbe conservarsi fuori di lui (3).
Queste deduzioni che urtano col dogma dell'immortalità
CO Vedi Rav.iisson, Essai sur la Mitaphyàqiu d'Aiistote, 1. I,
p. i54. — Cf. Paradiso, "XXIX, la, 18; XXXIII, ao.
(2) Plysic. I, ij III, 1; IV, 11.— De Cash, I, II, IV.— De
General, animai. II, 3. — Cf. Inferno, XI, 34. Purgatorio, XXV,
i3. Convito, II, 3, 4; IH, 9, 1 ij IV, 2, 9, 14, ai.
(3) De Anima. Il, 1, a: Oùx fortv »J ipu^À yapiarri toù ff«l-
fixro; ... Joxsì u.fiTi 5v£u ffolftarof elvat , pine itwuzti tyvyìt. —
Cf. Inferno, XXVII, a.r>.
N
CAPlTOt.0 II. »o3
dell'anima, sembra die abbiano illusa la perspicacia
del Filosofo italiano; l'anima gli appariva ancora come
l'atto constilutivo, la maniera essenziale d'esistere della
natura umana, per quanto la concepisse separabile, e
la facesse slar separata (a). Analizzando quindi le di lei
potenze, egli, come Aristotele, ne accenna tre princi
pali: vegetativa, sensitiva, razionale; ne spiega l'unità
ed il soprapponimento; e per farsi intendere, toglie a
prestito le sue similitudini dalla geometria (i). Se de
scrive le operazioni dei sensi, e specialmente quelle della
vista, ei segue tutti i tratti sbozzati da Aristotile, facendo
giungere la figura dell'oggetto all'occhio passando per un
corpo diafano, e dall'occhio al cervello coli' impressione
communicata (2). Ma in nessun' altra parie si mostra più
scrupoloso imitatore che nell'esplorazione delle regioni
superiori del pensiero, quando caratterizza il timore,
l'imaginazione, la memoria (3), quando fa distinzione
(a) Pare a uoi che tale accusa ricada piuttosto sopra i mae
stri di Dante, i primi filosofi scolastici, i quali adottavano le dot
trine aristoteliche, che non su lui, che li seguiva. Dante poi chiamo
con tutto il suo secolo 1' anima umana forma del corpo :
Munire ch'io forma fui d'ossa e ùi polpe
Cl1c la madre mi die....
Inforno, XXVlI, v. .;3.
E pensava sicuramente con a. Tomaso che 1' anima intellettiva e
forma del corpo secondo la sua essenza, ma non secondo il suo
Htto d'intendere, poiché t'intendere è atto che si fa al lutto senza
l'istrumenio dell' organo corporeo j e giudicava in conseguenza
1" anima più noiil parte dell'uomo privata della materia, potere
ancora intendere, benché sia un essere incompleto, e brami na
turalmente di ricongiungersi al corpo. — Nota del Trad.
(1) De Anima, H, 3; III, 19, — Cf. Convito, IV, 7.
(5) De Anima, II, 7; TÒ fjèv ^jOàoa jcivet to Suztpxvèc 0T0V
,tók 5sea. ino toutou Sé tuvsjjoù; ó'vto; x1vstrat .rò aì<r0>irÌ;a1«v.
— Cf. Convito, III, 9
(3) De Anima, HI, 3, !%. —' Cf. Purgatorio, IV, 3; XVII, 9;
XVIII, 8. Paradiso, I, 3, ec.
so., PARTE I ir.
tra l'intelletto attivo e l'intelletto passivo (t); quando
scorge dei principj immutabili non dati dall'esperienza ,
e che si sostengono da sè medesimi (2). Così ogni co
noscenza suppone due perfette condizioni ; fatti perce
piti al di fuori, una verità generale rivelata nell'interno.
Per cui essendo la sensibilità principio delle cose visibili,
l'intelligenza quello delle invisibili, l'anima in cui esse
s' uniscono è compendio dell' universo (3).
Se il fondatore del Liceo aveva consacrate le sue piò:
laboriose meditazioni allo svolgimento della logica, e se
questa fu la prima sua gloria nella commune opinione
della posterità, la morale aveva anch'essa spesse volte
chiamate le sue ricerche; esse formavano il suo più bel
titolo all'ammirazione di Dante (4). Ei vi trovava il feno
meno dell'amore osservato in tutte le sue parti , con una
delicatezza cui nulla sfugge; ma considerato più special
mente sotto una nuova forma, quella cioè dell'amicizia :
le condizioni nelle quali questo sentimento nasce, le pro
porzioni che esige fra quelli che unisce, l'inevitabile
egoismo che si cela alU di lui radice, i benefici frutti
che può portare, niente era ommesso (5). Anche lutti
gli altri elementi dell'umana moralità trovavan posto in
questa larga analisi; il piacere ed il rapporto di mutuo
eccitamento che unisce il piacere coll'azione, e la libertà
(1) De Animà , IH, 6: "Effttv ò pè» toioOto; voù; rà jràvTa
yivso9at, ó Sk rà nivrx mulv. — Cf. Purgatorio, XXV, 22.
Convito, IV, ai.
(2) Analytic. poster. I, 3i: Tó5e xdSoXov xai sVl n&tjiv àS-j-
varov attn9a»«<rflae. Topic. I, 1: 'Euri yàfi à)l>i0>j fttv xai npatx^
SC iaUTÙv t^v niativ. De Animà, 11, 8. — Cf. Purga
torio, XVII t, 19. Paradiso, li, i5; IV, 21.
(3) De Animd, III, 9: 'H ipu^i rà Svtx 7rw{ ture jravra. 'O
vou; e*So( sljwv, xai 1} oùaQritjtq -ISo; xia9tru>ii. Ibid. Ili, 5. —
Cf. Convito, passim.
(4) Vedi più sopra, pag. 19i.
(5) Ethic. Vili, passim, IX, 4 : *Eim fxp ò <fAef avràf,
— Cf. Convito, III, 2.
CAPINOLO It. 3o5
die resta ferma in mezzo di loro e che spesso li sepa
ra, resistendo al godimento, precedendo il dolore: il
vizio e la sua divisione in tre categorie: intemperanza,
malizia, brutalità (i): le virtù intellettuali e morali for
manti per così dire due (umilio (2); co-ì due vite fra le
quali restava all'uomo la scelta , quella della contempla'
zione e quella della pratica, più nobile la prima, l'al
tra pfù facile (3). Con questi dati , potevasi ben risol
vere il problema della felicità. I vantaggi della sanità,
della forza, della ricchezza, vi avevano parte come con
dizioni essenziali ma insufficienti; il vero bene a cui do
vevano coordinarsi gli altri, era l'attività dell'anima e-
sercitata entro i limiti della virtù. E questa virtuosa
attività, quando sia applicata alle pacifiche funzioni della
vita contemplativa, dà il colmo della beatitudine cui possa
giungere I' umanità (4).
Giunto infine al sommo della gerarchia degli esseri,
Aristotele raduna i principali risultati raccolti nella sua
salita; l'idea della causa, che appartiene all'ordine delle
astrazioni; il molo che si vede sparso nell'universo; la
riflessione e la felicità che sono privilegio dell'uomo.
Da, questi risultati messi assieme egli tragge la no
zione di Dio. Le forze mecaniche dei corpi suppon
gono un motore chele mette in azione, immobile egli
stesso, e quindi immateriale (5). Egli è dunque forma
pura, atto senza (ine. Ma quest'atto non sarebbe altro
(i) Eihic. Ili, 5; X, 5. — Cf. Purgatorio, XXII, 7. Paradiso,
V, 7. — E«hic. VII, 1 : Twv nepl fa 58)} fsu/rÉwv tpia. ieri*
stiri • xaxt'a, ùipuaia, 6>)/31ótvk. — Cf. Inferno, XI, 27.
(2) Ethic. II. 1: Acttìs Ss rvk àperhs, avarie trie p.èv Six-
vOTjrixrf? txis &* >j9ix»i; ... x. r. >. — Cf. Convito, IV, 17.
(3) Ethic. X, 7. — Cf. Purgatorio, XXVII, 33. Convito, IV, 22.
(4) Ethic. I, 8: Tò àvOjOwffivov àyaSòv ^w^i; ivépyìtx taxi
ìii^àperiìv ... Iti Si èv pia reist'w. — Cf. Convito, IV, 17, aa.
— De Monarchia , III.
(5) Mvtaph. XIV, 8. — Cf. Paradiso, I, a5; XXIV, 44.
Ozakam. Dante. »•>
2o6 PARTE III.
fuorché quello della contemplazione, la quale è pure
sovranamente felice. Dio dunque può definirsi : una
mente che si medita eternamente , intorno alla quale
gravitano il cielo e la natura (i). E agevole lo scorgere
le lacune e gli errori di tale teoria : essa suppone l'e
ternità non solo della materia, ma del mondo; essa non
lascia al primo motore né providenza, né libertà, né
personalità (2) ; non può dunque accettarsi che con
infinite restrizioni , ed il poeta filosofo non le hi di
menticate ; le vu però debitore di concetti profondi e di
formole singolarmente espressive.
Ora , i punti passati a rassegna compongono nel loro
ordinamento ciò che, forse impropriamente, si chiama
il sensismo peripatetico, che fa dell'esperienza acquistata
coi sensi la base necessaria , ma non unica , di ogni
scienza.
4. Resta a determinare come si couciliino nella mente
di Dante le opposte dottrine dell'Academia e del Liceo,
e per quale strano prodigio ai suoni della lira abbiano
sospeso le loro secolari conlese quelle due scuole rivali:
.... jTcnuilque inhians tria Cerbirus ora.
Platone, uella storia dello spirito umano, rappreseuta
l' idealismo e quindi la sintesi; egli si volge specialmente
alle anime dotate di quella maravigliosa potenza <f in
tuizione che chiamasi anche entusiasmo; siccome queste
anime predilette sono rare e non si succedono che ad
intervalli irregolari, le tradizioni platoniche hanno po
tuto interrompersi ; non essendo d'altra parte riunite
dal legame di un metodo rigoroso, erano esposte a dis
co Metaph. XII: AOtov à\pz vosi tlmp io-ri rÒ x^artorov ...
'Ex rotaur/j; àpx Apx'ni >5/)rijrat ó ovpzvòt xxi >} fiaif. — Cf.
Convito, III, 2. Paradiso, XXVIII, 14.
CO Brucker, Bist. Critic. , in Aristotele. — Cicerone , de Nat.
Dior. I, i3.
CAPITOLO li. 2oj
perdersi ed a lasciarsi assorbire da altri sistemi. Aristo
tele rappresenta il sensismo e quindi I' analisi. La sua
opera è proporzionata a tutti gli spiriti operosi ; e sic
come di questi tali ne nasce ogni di, essa ha potuto
per loro cura conservarsi e trasmettersi come un' ere
dità fra mani conosciute; le opinioni infine ond' essa
si compone, potentemente sistematiche, dovevan star
sene inseparabili e conservare la loro commune indi
pendenza. Il genio poetico avrebbe dunque condotto
Dante ai piedi di Platone; ma non aveva egli imme
diato accesso a questo grand'uomo fuorchè per un piccol
numero di scritti mal interpretati; olire ciò ne ritrovò
le più eccellenti idee, modificate, purificate nella teolo
gia cristiana; egli le riceveva con religioso rispetto senza
saper ricondurle alla loro origine e nomin u ne I' auto
re. Per lo contrario, dacchè passò la soglia della scuo
la, ei vi mirò immutabilmente assisa l'autorità dello
Stagnita; e ricevendone le lezioni da interpreti che schiet
ti si confessavan per tali e non aspiravano che al me
rito della fedeltà, dovette piegare in faccia all'idolo
delle scuole, e subire un'influenza dinanzi alla quale
niente resisteva. Neil' ammirare i due filosofi rivali, po
teva egli in sè ricettare due simpatie, le quali se siano
giuste, non sono mai incompatibili. Di fermo il discepolo
di Socrate ed il precettore di Alessandro hanno riempita
la storia del romore di loro controversie; e non si sa
prebbe negare che l'esagerazione di loro dominanti pre
occupazioni non li abbia condotti a gravi dispareri. Ma
è pur vero che in apparenza nulla v'ha di più opposto
che l'analisi e la sintesi in essi personificata; e tutta
via niente meglio s'accorda nella generale armonia della
scienza. Essi si pongono ai due punti contrarli , e per
così dire, ai due poli del mondo intellettuale; ma un'asse
commune li riunisce ed essi godono del medesimo ori-
zonte. I loro dogmi, ridotti a più moderate espressioni,
si completano e si sostengono a vicenda. E si potrebbe
aoS PARTE III. CAPITOLO II.
anche dire le idee, che sono la chiave della vòlta del
l' edifizio academico, toccar da vicino alle forme peri
patetiche. L' t'Sea in quei dialoghi in cui è magnifica
mente decantata, prende spesso il nome di etSot che
in latino suona forma (i). Se I' idea è insieme tipo
e causa, anche la forma è insieme l'elemento per cui
le cose sono conosciute e per cui esse sussistono. Non
è provato aver Platone assegnato alle idee una esistenza
distinta dagli oggetti che vi partecipano e dalla mente
divina in cui risiedono (%). Aristotele riconosceva la
presenza delle sue forme negli oggetti da esse modi
ficati, e nello spirito che le astrae (3). Dante sembra
aver comprese queste analogie quando si sforza di rav
vicinare con alterne citazioni i due filosofi greci (4).
La sua intenzione conciliatrice si mamfesta d' una ma
niera ancor più evidente, quando li fa comparire am
bedue nei Campi Elisi, posti all'entrata del suo in
ferno, e che li mostra, l'uno circondato d'onori come
maestro di quei che sanno, l'altro sedutogli da canto e
partecipante con lui della sovranità dell'intelligenza (5).
Egli aveva dunque trovata , forse in grazia della di
stanza , quella propizia posizione tanto cercata dagli
eclettici alessandrini, dove vediamo intersecarsi e con
fondersi le opposte tendenze dell' idealismo e del sen
sualismo. Del resto, le sue relazioni coli' antica filosofia
sembrano essersi ristrette nei limiti da noi tracciati. S'e
gli combatte l'epicureismo, è quello che specialmente
regnava ai suoi tempi; egli non conosceva che imper
fettamente dai libri di Seneca la morale dello stoicismo
da lui immensamente esaltata nella persona di Catone (6).
(1) Cicerone.
(a) Cousin, Cours d'flist. da la Philosophie, t. I, p, J.
(3) Idem, iùid. — Aristotele, De Anima, III, 5.
(4) Vedi soprattutto il Convito, IV, 6.
(5) Inferno, IV, U.
(6) Convilo, IV, 28. Purgatorio, I.
CAPITOLO III
RAPPORTI DELLA FILOSOFIA DI DAKTE COLLE SCUOLE DEL MEDIO EVO.
9. BOMAVEHTURA E S. TOMASO D*AQUINO. MISTICISMO E DOMMAT1CISMO ( I )
i.Il secolo che vide nascere la Divina Comedia non
aveva assistilo a quella generale ristaurazion? del pa
ganesimo che doveva poi subito operarsi nelle lettere
e nelle arti. Già si intraprendeva con calore Io studio
dei capi lavori dell' antichità ; ma non ancora si affet
tava per essi una venerazione esclusiva, tanto meno
costosa all'orgoglio umano in quanto che è rivolta ad
oggetti più lontani; e d'altra parie largamente compen
sata dal disprezzo dei contemporanei e degli antecessori.
I più dotti professori di Parigi e di Bologna , i più
celebri artisti di Firenze e eli Pisa sapevano profittare di
modelli classici senza abbandonare le sorgenti dell'ispi
razione cristiana; la lampada delle loro veglie rischia
rava spesso le pagine della Scrittura e dei Padri. Spesso
la loro pietà veniva a cercare più pure meditazioni ai
pie dell'altare o nella solitudine del chiostro; e qualche
volta, uomini semplici e dabbene, aroavan pure mi
schiarsi nelle riunioni popolari , dove le leggende e i
canti tradizionalmente ripetuti rivelavan loro verità e
bellezze che indarno avrebbero cercato altrove.
Il giornaliero commercio in che trattenevasi Dante co
gli scrittori greci e latini non l'aveva distolto da una piti
intima communicazione coi dottori del cristianesimo. Ei
li vedeva darsi la mano dai tempi delle Catacombe fina
al suo secolo, e formare una lunga e doppia catena. D'una
(i) Bisogna ricordarsi non esser per niente affatto s. Bonaven
tura e s. Tomaso capi esclusivi delle due scuole rivali ; ma solo
i più fedeli rappresentanti di due tendenze filosofiche distinte
ma nondimeno facilmente conciliabili.
2,0 PARTE III.
parte la scuola greco orientale di cui per mezzo di s. Dio
nigi PAreopagita aveva conosciuto le estatiche visioni ;
dall'altra, la scuola latina occidentale, da lui studiata in
tutte le sue fati: s. Agostino, Boezio e s. Gregorio Magno
che ancora appartengono alla letteratura romana; s. Mar
tino di Braga, Isidoro di Siviglia, Beda e Rabano Moro,
uomini dei tempi barbari; s. Anselmo, s. Bernardo, Pietro
Lombardo, Ugo e Riccardo da S. Vittore che inaugura
rono le fatiche del medio evo (i). Tutti ei ricorda con lode
e di frequente li cita o nominatamente o per allusione.
Fra quelli insieme a cui passò la sua vita, pareva averne
molti distinti che oggi vanno confusi nella folla dei nomi
oscuri : Egidio Colonna, Pietro lo Spagnuolo, e Sigiero,
celebre nelle cattedre dell'università di Parigi, dimen
ticato nei suoi annali (2). E però notevole l' assoluto
silenzio da lui tenuto riguardo a Raimondo Lullo,
Dunstano Scott ed Occam che aprono una nuova era
scolastica al cominciare del secolo ut. E dunque il Xill
colla sua calma e maestosa grandezza, con quell'alleanza
che allora si fece delle quattro potenze del pensiero :
erudizione, esperienza, raziocinio, intuizione; ecco ciò
che si deve trovar riprodotto nella filosofia di Dante.
L'immensità di sue letture e de' suoi studj si è potuta
giudicare dalle infinite reminiscenze che si trovano ne'
suoi scritti ; egli seguiva in questa maniera Alberto il
Grande, di cui molte volte aveva consultato i varii reper
tori'1. Quantunque sia rimasto straniero ai lavori di Rog
gero Bacone, le descrizioni e i paragoni astronomici o
meteorologici di cui spesso fa uso con una specie di
simpatia, le osservazioni che propone, lo inoltrano ini
ziato alle scienze sperimentali. Cionondimeno, le erudite
ricerche e l'esplorazione della natura non bastavano al
ti) Paradiso, X, XII, passim. Epitt. ad Can. Grand. Convito,
passim,
(a) Paradiso, X-XII.
I
CAPITOLO III. i,1
l' instancabile energia delle sue facoltà ; trova van esse un
campo più largo e più libero nelle speculazioni razionali
e speculative di cui avevan dato esempio s. Tomaso d'A
quino e s. Bonaventura. Tutte le simpatie del filosofo
poeta erano per questi due insigni personaggi. Ave
van essi vissuto abbastanza per lasciarlo testimonio del
lutto che accompagnò la loro morte. Egli incontra
va nel mondo sapiente la loro memoria sempre viva
e potentissima , i loro insegnamenti e le loro virtù con?
fuse ancora in una sola e vivente ricordanza; e quindi
ancor pieno d'amore il. rispetto da essi ispirato. Cosi
s' intratteneva egli con loro come con nobili ma bene
voli amici , citando, a conforto delle sue opinioni , con
una sublime familiarità il buon fra Tomaso (i). E tntta.
volta anticipava e sorpassava anche col suo criterio filo
sofico la solenne apoteosi che gli avrebbe un dì decretata
l'autorità religiosa; collocava in una delle più belle sfere
del suo Paradiso i due angeli della scuola; li rappre
sentava dominanti con fraterna sovranità la fortunata
moltitudine dei dottori della Chiesa.
Così le dottrine di Dante offrono senza dubbio la
traccia dell' influenza che avevano avuta su lui i due
grandi maestri della sua epoca, i quali erano i rappresen
tanti di quanto v'aveva di più saggio e di più puro
nella scolastica anteriore.
2. E primamente, la maggior parte delle segrete tenden
ze che tiravan Dante alle dottrine di Platone, dovevano
piegarlo anche verso S. Bonaventura e gli altri mistici
più antichi , come i monaci di s. Vittore, s. Bernardo e
s. Dionigi l'Areopagita. Una singolare affinità aveva il
serafico francescano col capo dell' Academia, cui tra i
filosofi dell'antichità egli nominava con maggior pre
dilezione, e lo difendeva con una specie di pietà fi.
(i) ConvilOj IV, 3o: Il buon fra Tomaso.
sia PARTE 111.
liale contro i suoi avversarj (i). Ma soprattutto, il mi
sticismo si avvicinava all' idealismo per numerosi le
gami ; considerato il misticismo sotto il rapporto filo
sofico, altro non era se non se l'idealismo sotto una
forma più elevata e brillante. Ambedue consideravano
l'unione colla divinità come il principio dei lumi e la fine
delle azioni dell'uomo. L'uno aveva segnato il punto di
questa sublime unione nella ragione, cui dimostrava come
una regione superiore a quella dei sensi. L'altro credeva
vederla compirsi nella spontanea ispirazione cui metteva
al di sopra della ragioue. L'uno proponeva la teoria
delle idee come un'ipotesi cui prestava fede, la soste
neva con tutto il calore d'un profondo convincimento;
l'altro usciva dall'estasi , avvampante d'amore, impa
ziente di riprodursi al di fuori con tutta l'autorità della
virtù (2). Ambedue, ma l'ultimo di preferenza, avevan
dato gran potere al cuore sullo spirito, ed all'imagina
zione le chiavi del cuore; quindi un bisogno reale, un'a
bitudine costante di espressioni allegoriche e di allusioni
da leggenda. Contemplativo, ascetico, simbolico, fu
sempre il misticismo, e tale è il triplice suggello onde
esso marchiò la filosofia dì Dante.
La contemplazione proponesi per oggetto Dio stesso;
ed i mistici non potevan trovare mezzo più sicuro per
confondere la ragione individuale e farle confessare la
propria insufficienza, che quello di iuetle.la immediata
mente a confronto eolla natura divina e i suoi due at
tributi che sembrano i più incontrastabili ed insieme
più incompatibili, l'immensità e la semplicità. — Dal
l'una parte Dio si rivela come necessariamente indivisi
bile, incapace perciò di prestarsi a quelle astrazioni di
(1) S. Bonaventura, In Magist. sentint. lib. II, d. 1, p. 1, a. I,
a. 1 . — Serni. 1 e 7, in Hexaemer : « Aratoti Us incidit in multos
errori .5 ... exccralus est idi as Plutoni? et perperam ».
(a) Vedi, pei caratteri del misticismo, Cousin, Ilist. dt la Phi-
loso/ihie, t. I, 1. 4.
CAPITOLO ìri. s.3
qualità e quantità per le quali noi conosciamo le crea
tu1e; indefinibile, poichè ogni definizione è una analisi
che decompone l'oggetto definito; incomparabile, perchè
mancan termini di paragone; per cui si può dire, dando
a queste parole un significato vago, che è infinitamente
piccolo, che è niente (i). — Ma, d'altra parte, ciò che è
senza estensione si muove anche senza resistenza ; ciò
che è inarrivabile non potrebbe essere contenuto; ciò che
non può rinserrarsi entro alcun limile reale o logico è
per ciò stesso infinito. L' infinitamente piccolo è anche
infinitamente grande, e si può dire in qualche modo
che è tutto. Nel fatto, se negli esseri immateriali l'es
senza e la potenza non possono andare disgiunte, es
sendo la causa prima mercè la sua potenza dappertut
to, deve essere dappertutto anche la sua essenza. È la
forza che sostiene le cose inanimate, la vita di tutto
che vive, la saggezza d'ogni intelligenza. L'unità di
vina si moltiplica dunque per una serie d'emanazioni,
ma essa è superiore, isolata, distinta e non communica
le sue perfezioni incommunicabili (2). Al disotto si or-
(i') Dionigi l'Areopagita , de Divin nomin. 9: OCtw; ouv ini
flsoù tò ZMIKPON éxta]7rr£ov, &,; ini nivra xxt Six iravTuv
dve/iTroStarw; ^Wjooùv xxì èvepyovv ... toùto ri <rp.ix.pov auroiròv
s'art xai àmjitxov, àx/saTs;, inupov^ dòpiatov, zr:jA>jnTixòv
jtóvtwv. Id. ibid. passim — S. Bonaventura, Compendiam, I, 17.
— Cf. Paradiso^ XIV, 10; XXIX, 4. — Del resto, le espressioni di
Dionigi l'Areopagita e dei suoi imitatori, sforzi sempre impotenti
del linguaggio umano per far comprendere le cose divine , non
possono prendersi in 'senso rigoroso , e devono spiegarsi col pen
siero generale degli scrittori cui appartengono.
(?) Dionigi l'Areopagita, de Divin- nomin. 1 1: 'EjtsiSà w» sVt/v
ó 8eòs ùjrepouTios • Stùpsircu Ss rè sivat rote outi, xz't nxpiyst
Ta; óXots oùiTta;. IIoXXa;rXacrta£èT9sct XiysTai to tv 5v èxsivo tj
aÙToO nAPArOTH twv noWùv ovtwv, jxsvovto; Ss ovdsv ^ttov
èxst'vau xat èvie tv tm n\nOxi<ip.K>. — Jd., de Ccelrst. Hù rarch.
IV. -•— S. Tomaso s' è servito anche della parola Emanutio; ma
esclude formalmente ogni opinione favorevole al panteismo. —
S1 4 PARTE III.
dinano a diversi gradi tutte le creature insieme unite
da una forza continua. Le tre gerarchie degli angioli ,
per P intermediario della triplice gerarchia della Chiesa,
diffondono sopra il genere umano la forza , la vita e la
saggezza; e divisi in nove cori, agiscono, mercè le ri
voluzioni delle nove sfere celesti , fino sulle più umili
esisterne perdute ai confini del nulla (i). Queste ma
gnifiche visioni a\evan spesso visitato gli anacoreti nel
deserto, e i dotti del chiostro nelle loro meditazioni;
ma rapide e fuggitive eian passate come il lampo. Dante
seppe afferrarle e costringere a far bello per sempre del
loro splendore il maraviglioso edilìzio della Divina Co-
media.
L'asceticismo è lo studio pratico dell'uomo, la scienza
della santificazione. Abbiamo già veduto contenersi nel
poema italiano un sistema ascetico compiuto; ma non
sapremmo più dubitarne quando lo si raffronti coi lavori
dello stesso genere di cui non fu avaro il medio evo. La
favola che riempie l'inferno, il purgatorio, il paradiso
è l'uomo lontano dalla selva tenebrosa degli affetti e
delle passioni terrestri, e ricondotto, mercè la considera
zione di sé stesso, del mondo e della divinità, sulla strada
della salute. La scienza cristiana siccome quella del pa
ganesimo comincia dal vu3i osavrov- essa analizza tutto
il procedere del peccato, della penitenza e della virtù.
Se essa getta i suoi sguardi sul mondo fisico e sociale,
è per trovarvi pericoli per noi e gloria per Dio. Infi
ne, se essa scopre il Creatore , è meno per gli sforzi
del pensiero che per il merito del desiderio; le inter-
S. Bonaventura, Compendium , I, 16: ulta Deus est in irrationa-
bìlibus creatura ut non capiatur ab ipsis ». — Cf. Epist. ad Con.
Grand.
(i) Dionigi PAreopagita , de Celesti Hierarch. et de Eccles.
Hierarch., passim. — Cf. Paradiso, XXVIII, XXIX, passin1. II,
42. ec. Convito, lì. .r>, oc. — Vedi intorno a questa trascendente
filosofia, le Précis de l'histoire da la philosophif, pag. 217.
CAPITOLO Iti. 11S
ne rivelazioni che avvengono allora non soddisfanno
solo l'intendimento, ma scuotono la volontà e la con
ducono a progressi infiniti (i). L'opera di Dante ridotta
così ad un significalo severo ma certo, altro non fa
che riprodurre le lezioni di coloro che professarono la
medicina delle anime; dai padri della Tebaide, di cui
Cassiano ci ha raccontate le conferenze, fino a s. Bo
naventura, le cui lezioni riducevano in dottrina quanto
si diceva dei trasporti e delle estasi di s. Francesco. —
E alla medesima scuola Dante aveva raccolto molti
de' suoi più luminosi concetti; i rapporti dell'errore
e del vizio; della virtù e del sapere; I' online genea
logico dei peccati capitali (2); la reciproca azione del
fisico e del morale, d'onde risultano due teorie paral
lele spieganti le rivelazioni della fisionomia e gli effetti
della mortificazione (3). Le analogie infine si trovano
anche nella forma generale della Divina Comedia, che,
descrivendo il pellegrinaggio del suo autore per le sfere
(1) S. Agostino, de Qualità. Animce. — S. Bernardo, de Con-
sideratione , de Interiore Domo. — Riccardo da S. Vittore, de
Gratili Contempi. — S. Bonaventura, Itintrar. mentis ad Deum.
— Cf. Inferno, I, il, Purgatorio, passim.; XXXIII.
(2) La classificazione dei peccati capitali, che implica in sè
stessa la questione dell' origine del inai morale , ha variato per
lunga pezza nell'insegnamento teologieo( Vedi Cassiano, CollatioV,
e s. Tomaso, 1.2. q. 84). Essa si trova come l'ha esposta Dante
in s. Gregorio Magno , Moral. XXXI , 3 1 . — Ugone da S. Vittore ,
in Matlh. 3-5. — S. Bonaventura, Compendium , iII, 14. — Cf.
Purgatorio, XVII, 3q.
(3) S. Bonaventura, Compendium, II, 57-59. Questi tre capi
toli couteugono tutti gli elementi d'un sistema fisionomico e cra-
nioscopico. Sarebbe curioso ravvicinarlo a quello di Gali ,e di
Spurzheim ( Cf. Convito, I, 8, ce). Ma se la frenologia vuol
sfuggire al fatalismo , non potrebbe non condurre alla mortifica
zione. Se le passioni possono esse e tenute entro giusto limito,
questo non avviene che coli' impedire mercè di mezzi igienici e
ginnastici lo sviluppo estremo dei loro organi.
atft PARTE III,
del cielo, soggiorno di altrettante virtù distinte, fino ai
piedi dell'Onnipotente, richiama i titoli favoriti degli o-
puscoli di s. Bonaventura: « l'itinerario dell'anima verso
Dio; la Scala dorata delle virtù; le sette Viedell'eternità(i)».
Nel fatto questi pii personaggi , dati alla contempla
zione, che sembravano doversi essere irrevocabilmente
spogliati d'ogni debolezza umana, consentivano però
d'ornare di tutte le grazie dello stile l'austerità delle
loro idee, o sia per una misericordiosa condiscendenza ai
loro discepoli, o veramente per quella naturale attrattiva
che sentono i buoni per ciò che è bello. Conservavan
essi una affettuosa simpatia per tutto il creato, che non
considerava!! più nello stato di attuale depravazione, sib-
bene nella primitiva purità del concetto divino. Esso ap
pariva loro come il fogliame che il turbine trasporterà,
ma che diffonde ombra e frescura, e che ancora dà se
gno della Providenza (2). Più sovente ancora vedevano
nel creato come un fratello che, in altra maniera, espri
meva gli stessi loro pensieri e cantava lo stesso amore.
Per questo tolsero da lui molte similitudini, vi scopri
vano sacri accordi, indicavano non mai viste analogie
fra cose apparentemente estranee, gettate alle estremità
dello spazio. Lo stesso facevano nel dominio del tempo:
i secoli, gli avvenimenti e gli uomini non erari per loro
se non se profezie e compimenti, voci che interrogano
e rispondono, figure che mutualmeute si ripetono. Le
distanze scomparivano; il passalo e l'avvenire sconvolti
si confondevano in un presente senza fine. Di qui quella
mirabile allegoria cristiana che abbraccia d' un trattola
natura e la storia e lega insieme tutte le cose visibili,
(1) S. Bonaventura, Itinerarium mentis cui Di um. Formula au
rea de gradibus vjrtutum. De VII ilineribus aternitatis.
(a) Ugone da S. Vittore, in Ecclesiast : « Species rerum visibi-
lium falia sunt qua; modo quidem pulchra apparita sed cadenl
subito curu turbo exieril ... Dum stam tanten umbram facitmi et
habent refrigerium suum ». — Cf. Paradiso, XXVI, aa.
CAPITOLO III. 217
prendendole per le ombre di quelle che non si vedono(i):
favella energica in cui ogni termine è realtà, e tutte le pa
role sono altrettanti fatti significativi; lingua dotta e sacra
avente le proprie tradizioni e le proprie regole, parlata nel
tempio; che la pittura, la statuaria e l'architettura traduce
vano talvolta sulla tela e la pietra. Il poeta l'aveva appre
sa dalla bocca dei sacerdoti, ed ora ch'ei la ripete alle no
stre orecchie profane, noi comprendiamo appena, e con
sideriamo come altrettante temerità del suo grande inge
gno quelle imngini che per lui non erano che rimembran
ze. Quindi Dio rappresentato, ora come circonferenza,
da un mare immenso che circonda P empireo, ora come
centro, da un punto indivisibile intorno a cui si muove l'u
niverso (2); le creature paragonate ad una serie di spec-
chj in cui cadono e si riflettono i raggi del sole increa
to (3): — personificati i diversi stati dell'anima; personi
ficate le virtù teologali dai tre apostoli Pietro, Giacomo
e Giovanni; le due vite attiva e contemplativa, da Marta
e Maria , Lia e Rachele (4); — gli emblemi dell'aquila e
del leone in cui si riconoscono le due nature di Cristo;
l'albero della croce confuso con l'albero del paradiso
terrestre; l'Eden, figura della Chiesa militante; la sta-
(1) S. Paolo, ad Rom. I, 20: « Invisibilia enim ipsius a creatura
mundi per ea quee facta sunt, intellecta conspiciuntur ».
(a) S. Giovanni Damasceno : jréXayo; t»?; ovaia;. — S. Bona
ventura, Compendium, II, i5. — Cf. Paradiso, I, 38; XXVIII, 6.
(3) Dionigi l'Areopagita, de Divin. nomin.: Eìxùv san tou SeoO
è $772X05, favs^wfft; toù àyanoO; <fwto; , éeompov àx/>aiyvÉ;.
— S. Bernardo, de inler. Domo, XIII : « Pratcipuum et principale
specuhmi ad videndum est animus rationalis inveniens seipsum ».
— Cf. Paradiso, XIII, 9. Ep. ad Con. Grand.
(4) S. Bernardo, de Jssumpt. Serm. III. — Riccardo da S. Vit
tore, de Pra.paratione Anima , I. — S. Bonaventura, in Lucani,
Vili : « Petrus qui interpreuttur agnoscens designai fidemj Jacobus
qui luctator, spemj Johannes qui, in quo est gratia, [charitatem.
— Cf. ConritoAV, 2a. Purgatorio, XXVII. Paradiso, XXIV, XXV.
OZAKAM. Dante. 19
n8 PARTE III.
tua di Nabucco, tipo della progressiva decadenza dell'u
manità (i). Questo stile ardito della musa fiorentina è
quello con cui la Chiesa, dall'alto de' pergami attutava
il feroce coraggio dei nostri avi ; è quello con cui s. Ber
nardo e s. Tomaso da Cantorbery scuotevano i popoli
e facevan tremare i re.
3. Tutta volta, noi l'abbiamo già veduto, se la scienza
del medio evo divise il suo culto fra s. Bonaventura e
s. Tomaso, quest'ultimo, vuoi pel suo merito, vuoi per
la riputazione di superiorità intellettuale di cui godeva
l'ordine di san Domenico, aveva ottenuto una influenza
più decisa sulla moltitudine degli spiriti dati agli studj
severi. San Tomaso presentava come una moderna inda
gine di Aristotele, per l'universalità delle sue attitudini
e del suo sapere; per la pesante ma solida gravità del
suo carattere; pel suo talento analitico e di classifica
zione, per l'estrema moderazione del suo dire. Il di lui
intervento aveva assicurata l'autorità per lungo tempo
contrastata dello Stagirita a cui lo conduceva, indipen
dentemente dalla sua naturale inclinazione, tutta quella
familia dogmatica, d'Alberto, d'Alessandro d'Hales, di
Giovanni di Salisbury, dei quali era il discendente. Diffatti,
le stesse radici del dogmatici.uno scolastico erano Del
l' ontologia e nella logica peripatetica. Ma i germi vi
gorosi della rivelazione cristiana, innestati su queste ra
dici, avevan prodotto frutti novelli; l'aridità primitiva
del sensismo eravi corretta da un miglior sugo; vi cir
colava il sentimento religioso, vivificante insieme i ra
zionali concetti e le sensibili verità. Non potevan essi
sfuggire agli sguardi di Dante, e le spine ond' erano
ravvolti non bastavano a trattenere la sua mano robusta.
(0 S. Bonaventura, in Psalm. I, 90. — In Lucan1, i3. — Sermo
de Invent. Crucis. — Riccardo, de Erudii, int. hom. I , I, —. Cf.
Inferno, XIV. Purgatorio, XXVM-XXXII.
CAPITOLO HI. jiq
La filosofìa di s. Tomaso e della sua scuola consisté
meno nelle principali tesi appartenenti alla teologia, che
nelle prove a cui vanno appoggiate, nella connessione
che le riunisce e nelle conseguenze che ne derivano; cose
tutte difficili a comprendere iu un rapido riassunto. Pos
siamo scorgervi tuttavia una costante progressione dal
l'astratto al concreto, dal semplice al multiplo, la quale
naturalmente si divide in quattro serie: scienza dell'es
sere, scienza di Dio, scienza degli spiriti, scienza del
l' uomo (1).
La scienza dell'essere prendeva in generale le sue mosse
dalle nozioni di sostanza, di forma, di materia, ec, sa
viamente elaborate dai peripatetici; ma essa non vi si
arrestava, e ne faceva derivare nozioni più espresse e
più vive. L'essere, passando per una serie di dedu
zioni rigorose, diveniva successivamente bontà, unità,
verità. Omai nella nebulosa atmosfera delle astrazioni
cominciavano ad apparire, e a disegnarsi gli attributi
divini. L'unità, condizione commune di tutte le esisten
ze ; il vero, supremo bene degli spiriti; il bene, ter
mine di tutte le tendenze della natura e di tutte le vo
lontà pensanti, essenzialmente distinto dal male, il quale
non è solo la mancanza del bene , ma la privazione ,
la perdita (2).
(i) Qucst' analisi è a un tal circa quella della Summa contro.
Gentes di s. Tomaso e della prima metà {prima et prima secundo!')
della Summa Thcologice. La metafisica vi si trova in qualche modo
dispersa fra la Teodicea, ossia che prima di provare la bontà di
Dio , vi si tratta del bene in generale ; prima di dimostrare la
veracità, si definisce il vero: ciascuna delle qualità astratte viene
esaminata in proposito d'un attributo divino. La pneumatologia
del pari si mischia talvolta coll'antropologia; si occupa dell'anima
unita al corpo prima di considerarla separata. L' ordine logico
tuttavia vi è in generale diligentemente osservato, e le idee si suc
cedono come noi indichiamo.
(2) Summa Theologicej 1. q. njq. 16, 1 : « Verum est terminus
intellectus sicut bonum appetitus. — q. 5 , 3 : Omne ens , in quan-
290 PARTE III.
Così fra il panteismo e il dualismo si apriva una via
sicura nella quale poteva entrare la teologia naturale.
Appoggiata insieme agli assiomi della causalità e della
necessità, ed ai fenomeni della quotidiana osservazione,
essa arrivava alla dimostrazione dell'esistenza di Dio (i).
Pareva difficile T'andare più oltre, che non permetteva
l'indivisibilità di Dio di isolare le sue perfezioni per far
ne lo studio successivo; ma per un ardito rivolgimento,
questa stessa indivisibilità era presa come principio ge
neratore di tutte le perfezioni che insieme ne derivava
no: immutabilità, eternità, bontà, giustizia, beatitudine;
ed eran queste considerate come altrettanti termini d'u
na equazione continua che rappresenta sempre, sotto di
verse denominazioni , tutta intera P essenza divina (2).
Evitavansi dunque i pericoli dell'antropomorfismo e del
politeismo che attaccano a Dio tutte le infermità e le
incoerenze dell' individuo umano; in pari tempo si avvi
cinavano al dogma della Trinità, in cui vengono perso
nificati d'una maniera tutta misteriosa il Padre , il Verbo
e lo Spirito, la potenza, la sapienza e l'amore. Questo mi
stero, per quanto incomprensibile, si legava con quello
della creazione, di cui spiegava il modo e la causa : la
causa, perchè l'amore indusse la potenza a realizzar ciò
che la sapienza aveva concepito; il modo, perchè tutte
le cose , per questo solo che esistono , che obediscono
ad una legge, che concorrono ad un ordine determinato,
portano come un vestigio del Padre, del Verbo e dello
tum ens , est bonum. — q. 6, 1: Omnia, appetendo proprias per-
Jèctiones, appentiti ipsum Deum. — q. i4, 10: Mainin non est ne
gano pura sed privatio boni». — Cf. Infernoj III, 6. Paradiso,
XXVI, G. Convito, IV, 12, 22, ec.
(1) Stimma Theologiae, 1. q. a, 2, 3. — Cf. Paradiso, XXIV,
44- Epist. ad Can. Grand.
(2) Ibid., 1 . q. 3 , 4 : « Deus cum sit primum ejjiciens et actus
purus et ens simpliciter primum , essentiam indistinctam ab esse
habtt ». q. 4, 2j q. i3. E Summa contra Gentes, lib. I, passim.
CAPITOLO ni. ,„
Spirito. Nelle creature intelligenti, questo vestigi», di cui
esse hanno coscienza, è più riconoscibile e diventa inda
gine (i).
Fra le quali creature, quelle sole che sono distaccate
dalla materia, ossia gli angeli buoni e cattivi e le anime
separate, indipendentemente dal loro destino d'espiazio
ne, di castigo o di ricompensa, divenivano oggetto d'uno
studio speciale. Non si saprebbe di soverchio ammirare
con quale audacia, colle sole forze del raziocinio, senza
il concorso dei sensi e della imaginazione, la teologia
naturale s'attaccava alla serie di quegli esseri sconosciuti,
li accompagnava attraverso tutte le condizioni della lor
vita incorporea, determinava i loro caratteri, le loro fun
zioni, i loro rapporti e si spingeva oltre gli ultimi confini
della certezza, nella regione delle probabilità (2).
L'uomo, risultato composto d'anima e di corpo, in
compiuto quando gli mancasse una di queste due parti,
bastava per occupare una scienza intera , e la si chia
mò antropologia; s'avveniva questa scienza dapprima in
due errori da distruggere, l'uno tendente a moltiplicare
le anime in ciascun individuo, l'altro a non ammetterne
che una sola commune alla specie (3). S'occupava jessa di
poi nell'analisi dei fatti complessi dell'attività umana, e
nel distinguere le diverse potenze che essi manifestano.
Ed ora ne riconosceva tre: nutritiva, sensitiva e razio-
(1) Summa Theol., i.q. 44, 4: "Primo agenti non conventi agere
propter adquintionem alicujusfinis, st d intenda solimi communicare
suam perfectionem ». — q. ^5; 6, 5 : In rationalibus creaturis est
imago Trinitatis, in carteris vero creaturis est vestigium ». — Cf.
Paradiso, VII, 25; XIII, 19; XXIX, 5 e 6.
(2) Ibid., i.qq. 5o-64; 106-114. — Inferno, I, 39. Purgatorio
e Paradiso, passim.
(3) Ibid., i. q. 76, 3: u Impossibile est in nomine esse plures
animus. Apparet per hoc quod una operalio anima; cum Jiierit
intensa impedit aliam ». — q. 79, 5. — Cf. Purgatorio, IV, 2, 8;
XXV, 22.
»9'
a»» PARTE III.
naie; ora le divideva in due, chiamandole apprensiva
ed appetitiva. La potenza apprensiva era l'intelletto che
si vedeva , ora passivo ed ora attivo , rischiararsi dal
l' alto ai raggi della ragione divina ed inferiormente
al lume delle sensazioni (i). La potenza appetitiva
comprendeva l'appetito naturale, che ignora sé stes
so; l'appetito sensitivo, che è irascibile o concupisci
bile; l'appetito razionale, che è la volontà: a queste
tre specie d'appetiti corrispondevano le tre specie d'a
more. La volontà, necessariamente obligata a cercare
il bene, ossia la felicità, aveva in questo senso rice
vuto da Dio stesso un primordiale impulso ; ma i mezzi
per giungere al termine desiderato erano lasciati al li
bero arbitrio , non costringibile né pei consigli della
ragione, né per le seduzioni della sensibilità, né per
influenza dei corpi celesti (2). Il libero arbitrio, essenziale
a tutte le nature intelligenti , esercitava dunque la pro
pria scelta, che era o peccato o virtù. L'allontana
mento dal peccato, l'acquisto della virtù era l'opera
di tutta la vita; ma quest'opera a tutti commune do
veva compirsi nel seno della società , all' ombra quindi
delle leggi. La legge eterna e suprema risedeva nella
mente divina che regola le relazioni delle cose e le
coordina al loro fine. Da questo fonte veniva l'autorità
delle leggi umane, giuste ed oblig.itorie, col triplice patto
di non eccedere i confini del potere, di procurare il
ben essere della commuuità , di ripartire proporziona
tamente i diritti e i carichi; perché l'equità politica
era conseguenza della fraternità naturale , e altamente
(i) Summa TheoL. i. <[f{. 78, 79: u Ratio superior est quce intenda
rettrnis conspieiendis. — 12, ta: Naluralis nostra cognilio a sensu
principium suinit ». — Cf. Purg. XVIII, XXV. Paradiso, IV, i.j.
(2) Ibid., 1. qq. 8o-85, 11 5; i. a. q. 27, a: « Appetibile mo
va appetinva Jacient quodammodo in eo ejus inlentionem , ec. »;
passo letteralmente tradotto. — Purgatorio, XVII, 3i; XVIII, 8.
Convito, III. 3.
v
-
CAPITOLO III. vii
si diceva non aver Dio creato due Adami, l'uno di me
tallo prezioso, da cui i nobili; l'altro di fango, padre
dei plebei (i). La città del cielo si mostrava al di sopra
della società della terra quasi consolante prospettiva. Il do
gma della futura immortalità e la definizione dell'uomo
come era data per fondamento, formavano due premesse
per cui si doveva conchiudere ad una conseguenza su
prema « gloriosa, alla risurrezione della carne (2).
Ora, di queste quattro grandi serie di filosofici concepi
menti, le due prime si trovano, benchè a brani e confuse,
nell'opera di Dante; supposte o citate, dovunque pre
senti, ne sono l'anima. Le due ultime ne costituiscono
a così dire il corpo. La materia stessa del poema, che
altro è mai se non un' esplorazione del mondo imma
teriale ; dove figurano tutti i suoi abitanti colle loro te
nebre e i loro lumi, le passioni e gli affetti , il loro pro-
videnziale ministero, dal re degli abissi e il suo popolo
di reprobi , fino ai più sublimi cori dei serafini? E d'altra
parte, un continuo rivolgimento non conduce il poeta dal
le apparizioni della vita a ritornare alle cose dell'esistenza
terrestre; e non abbiamo noi riportato assai lungamente
i tratti del sistema antropologico ch'egli ha saputo ser
rare nel ciclo delle sue favolose pellegrinazioni?
(1) S. Tomaso, de Erudi1. Princip. I, 4 : « Ab uno omncs ori-
ginem habemus. Non legilur Deus Jecisse unum hominem argenteum
ex quo nobileSj unum luteum ex quo ignobiles ». Summa Theolog.
1. 2. qq. 91.96. Questi principj arditi sono parimenti quelli di S.
Bonaventura, Sem1. III, Domìnio. 12 post Pentecost. E curioso
trovarli svolti diffusamente in un'opera politica scritta dal pre
cettore di Filippo il Bello, che male ne profittò: B. jEgidii Co.
lumnce, de Regimine principjm1. Vedi specialmente lib. III. p. 2,
cap. 8 e 35, due capitoli notevolissimi sull' istruzione e sulle
classi medie. — Cf. Dante, de Monarchia. Convito, IV, 14, i5.
Paradiso, ViII.
(2) Summa cantra Gentes , lib. IV, 79. — Cf. Paradiso, VII,
23-49; XIV, 15. Inferno, IV, io..
ai4 PARTE III.
4. Mettendosi ad un tempo sotto gli auspici di s. Bo
naventura e s. Tomaso, Dante seguiva quella fortunata
propensione, che già l'aveva condotto a tutte subire le in
fluenze del platonicismo e dell'aristotelismo. S'egli aveva
creduto alla possibilità d'un ravvicinamento fra i due
capi delle scuole greche, lo vedeva completamente ve
rificato fra i più venerati maestri del misticismo e del
dogmaticismo. Ei li vedeva mondi da tutte le rivalità
dell'orgoglio, incoraggiati dalle serie e benevoli abitu
dini del loro secolo , metter fine alle rancide dispute
dell' epoca e risolvere con una conciliante decisione il
famoso problema degli universali , per molti rispetti
rappresentanti le discussioni degli academici e dei pe
ripatetici. Gli universali, le forme o le idee, poiché
nella lingua di s. Tomaso e di s. Bonaventura questi
tre termini sembran fatti sinonimi , ponno considerarsi
in Dio, nelle cose e nello spirito umano. Le idee esi
stono in Dio come disegni e come tipi , come principi
d'esistenza e di conoscenza. Esse sono eterne, e sono
nell'essenza divina come i.rami sull'albero, l'ape nel
fiore, il mele nel favo, e può dirsi in qualche modo
ch'elle sono Dio stesso (i). Nelle cose, l'idea o la forma
universale si trova soltanto ridotta allo stato d'indivi
duo , essa è obiettivamente inseparabile dalle materiali
condizioni che la fanno individuale; ma la materia per sé
stessa sarebbe inutile e l'individuo non esisterebbe, senza
la forma universale che gli dà una maniera d'esistere
e lo classifica in una specie e in un genere. Infine , lo
(1) Stimma Theol. 1. q. i5: « Necesse est ponere in mente di
vina ideas. Cum idea a Platone ponerentur principia cognitionis
rerum et generalionis ipsarum, ad utrumque se habet idea prout
in menu divina ponitur...». — S. Bonaventura, Compendiam1 I,
25 : « Idea; sunt forma; principales rerum qua; in mente divina
continentur. Idea, moraliter loquendo, est multipliciter in Deoj
scilicet sicut ramus in arbore, apis in flore, mei in favo, avicula
in nido, quatlibet res in sibi propria ».
CAPITOLO HI. »»5
spirito umano può astrarre l'universale dalla materia de
terminata in cui è contenuto; l'intelletto prende il ca
rattere d' universalità in pari tempo che la rappresen
tazione dell'oggetto individuale colpisce i sensi (i). Dan
te, aderendo a questa teoria, era ad un tratto un sag
gio realista, il quale evitava la sterile moltiplicazione
degli esseri ragionevoli, ed un concettualista d' un largo
vedere che non poteva imprigionarsi nello stretto cer
chio delle verità palpabili.
Tuttavia mal si giudicherebbe di Dante e de' suoi mae
stri se in loro non si vedesse altro che i continuatori
ed i mediatori delle sette filosofiche del paganesimo. Senza
dubbio il cristianesimo coli' inflessibilità de' suoi dogmi
ed il rispetto che professa verso la libertà delle opinioni
umane, dava un criterio sicuro e la facoltà d'una vasta
scelta, due condizioni eminentemente favorevoli per fon
dare un vero ecletticismo. Ma v'ha di più; il vizio ed in
(i) S. Bonaventura, tra Magistr. Sentent. I, d. 5, art. 2, q. 1:
« Universale de se non generatur nisi in individuo; est tamen ipsum
universale secundum quod principaliter intenditur a generante. »
— S. Tomaso, Opuscul. de sensu respectu particularium j et in-
tellectu respectu universalium. Questo brano capitale per la storia
della filosofia, dovrebbe essere più conosciuto. Possiamo giudicarne
dal breve estratto che segue :
« Individuano naturai communis in rebus materialibus et corpo-
ralibia est ex materia corporali sub determinatis dimensionibus
contenta. Universale autem est per abstraclionem ab ejusmodi ma-
terid j et materialibus conditionibus individuanlibus. Patet ergo quod
similitudo rei quce recipitur in sensu reprcesentat rem secundum
quod est singularis, sed recepta in intellectu reprcesentat rem se
cundum rationem natura; universalis ... Ipso autem natura cui ac-
cidit intentio universitatis habet duplex esse: unum quidem ma
teriale j secundum quod est in naturd materialij aliud autem im
materiale , secundum quod est in intellectu. Primo quidem modo
non potest advenire intentio universitatis , quia per materiam in-
dividuatur. Advenit ergo universalis intentio secundum quod abs-
traliitur a materici individuali : non potest autem abstrahi a materid
individuali realiter sicut platonici posuerunt ».
s,6 PARTE III.
pari tempo la scusa dell'antica sapienza era nel profondo
dubbio cui supponeva. Le verità essenziali, Dio, il dovere,
l'immortalità non le pervenivano che attraverso le reli
quie della tradizione e il guasto della coscienza, tra
visate, ridotte allo stato di semplici congetture; bi
sognava dunque che ne facesse soggetto di lunghe, pa
zienti e penose ricerche; le quali, appoggiate a un man
chevole ragionamento, non conducevano che a risultati
incerti. Donde venne quella diffidenza di sé medesime
che si appalesava nelle più belle dottrine, quel bisogno di
rimettere in discussione i principii mal fondati, e quindi il
tempo e l'ingegno assorbiti da un piccol numero di pro
blemi metafisici e morali e perciò lasciate in dimenticanza
le questioni particolari e le scienze secondarie. Al rove
scio, il cristianesimo riproduceva le verità sì arden
temente investigate nelle meditazioni dei dotti , le ri
produceva non solo nella loro primitiva purezza , ma
dotate di novella energia, precise, rigorose, immuta
bili. Accettate dalla fede, la ragione non poteva più
dubitarne senza colpa: conosciute da tutti, nessuno più
pensava a ricercarle ancora ; non altro restava dunque
che studiare la loro mutua armonia, premerne lo svol
gimento e riconoscere le verità d'un ordine inferiore;
la sicurezza acquistata sui principii, ridonava all'intelli
genza la libertà necessaria per occuparsi delle applicazio
ni, e la sicurezza delle credenze religiose permetteva di
avanzare con passo sicuro e senza volgersi in dietro fino
nei più remoti sentieri delle scienze profane. Così la fi
losofia pagana è una filosofia d' investigazione che si
perde in interminabili generalità, nei prolegomeni d'un
sistema enciclopedico sempre incompleto. La filosofia
cristiana, tutta dimostrativa, ha prodotto delle feconde
specialità; sciogliendo da tutti i legami dell'errore le
due idee principali di Dio e dell' anima , essa ha fon
dato la teodicea e la psicologia : ha preparato dilet
tevoli occupazioni a quelli che vorrebbero un giorno os-
CAPITOLO IH. 32j
servare la natura, istruzioni per coloro che sarebbero chia
mati a riformare le società; essa ha veramente compito
ciò che Bacone chiamava la grande istaurazione delle
umane cognizioni. Se dunque sotto qualche rapporto i
sistemi dell'antichità parvero continuarsi nel dogmaticis-
mo e nel misticismo in mezzo ai realisti ed ai concet
tualisti ; fu solo per ravvicinarsi e rianimarsi sotto l'a
zione conciliante e vivificante della fede novella. Le dis
posizioni generali del secolo favorivano questo risul
tato : Dante, espressione fedele del suo secolo, doveva
essere eccletico cristiano.
CAPITOLO IV.
ANALOGIA DELLA FILOSOFIA DI DANTE COLLA FILOSOFIA DELLA NATURA.
EMPIRISMO E RAZIONALISMO
r, senza dubbio un bello spettacolo quello delle dotte
scuole dell'Asia, della Grecia e dell'Europa occidentale,
intorno al poeta italiano ricche delle loro memorie ed au
torità, simili a quelle ombre illustri colle quali, sui
primi passi di sua visita al bujo regno, si mostra intratte
nendosi in misteriosi discorsi (i). Piace il vedere quel
l'esule chiamare a sé, colla magia della sua memoria,
quel magnifico corteggio; né mai stanchezza ci prende
Dell'ammirare come il suo spirito potè comprendere e
ritenere, unire e coordinare tanti concepimenti , tante
massime e simboli di mezzo agli ostacoli che ancora fa
cevano lo studio sì faticoso e meritorio; ci piglia quasi un
senso di spavento nel veder così ammassati sopra una sola
testa il passato intellettuale del medio evo, e forse dell'in
tera umanità.— Tuttavia ivi non è che la metà delle fun
zioni d'un grand'uomo; bisogna ch'egli riassuma il pas
sato colla forza d1 un pensiero originale e che reagisca
sull'avvenire. E come uno di quei veggenti dal cielo altre
volte suscitati , depositarli delle tradizioni e delle pro
fezie, per insieme unire le età trascorse con quelle che
erano per cominciare. Riunendo i tempi , egli li domi
ci ) Inferno, IV, 33, 34, 35:
Da ch1 ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno ;
E il mio Maestro sorrise di tanto.
E più d1 onore ancora assai mi fon no,
Ch'essi mi fecer della loro schiera,
SI ch' io fui sesto tra cotanto senno.
Cosi n'andammo infino alla lumiera,
Parlando cose che il tacere è bello a
Si com'era il parlar colà dot' era.
PARTE IH. CAPITOLO IV. as,
na, si sottrae all'oblio che tiene loro dietro, e per ciò
diventa immortale. — Qual è dunque la lode personale
di Dante, qual è il valore originale della sua filosofia,
che la distingue dalle dottrine anteriori e la raccoman
da agli studj della posterità? ci attenteremo di dirlo.
i. Due sorta di genj han lasciato traccia del loro pas
saggio nella storia dello spirito umano; i genj di dire
zione, se ci si passa l'espressione, ed i genj di scoperta.
Gli uni hanno segnalato alcuni metodi e proposto al
cune ricerche ; gli altri hanno trovato falli, leggi e cau
se. Questi aggiungono nuove cognizioni a quelle dei
loro tempi e le fanno accrescere per via d' addizione.
Quelli le fecondano per molti secoli e le fanno progre
dire per via di moltiplicazione. Siccome le scienze par
ticolari debbono fermare certe verità loro proprie, cosi
è per giovare ad esse che d'ordinario nascono i genj di
scoperta ; e siccome la filosofia pare specialmente de
stinata a condurre le scienze stesse nel loro commune
sforzo verso la verità, cosi debbono a lei principal
mente appartenere i genj di direzione. Bisogna anno
ve1are fra questi i nomi dei più famosi : Bacone, Car
tesio, Leibnitz; i tre autori del nuovo Organo, del
discorso del Metodo e dello scritto sull'Ammenda della
filosofia primitiva. Tale fu anche Dante, e per quanta
luce abbia sparso su varii punti , merito principale
quello è d'aver operato su tutti i punti in una volta ,
facendo uscire la filosofia dalle angustie logiche, ov'erasi
intricata , ed imprimendole una direzione pratica, il cui
vigore non era mai stato agguagliato. E bensì vero,
come già abbiamo veduto, esservi sempre stato nel ca
rattere italiano una doppia tendenza verso il buono ed
il bello, verso la forma poetica e l'applicazione morale.
Ma questi istinti, ancor paurosi, dubitavano di soddisfarsi.
Cedevan qualche volta i filosofi alle seduzioni della mu
sa; ma allora deponevano la toga dottorale; e quando
Ozinaii. Dante.
a3o PARTE III.
i poeti filosofavano, gettavano via la corona d'alloro } o
veramente rimavano sentenze tecniche nel metro di Virgi
lio, e introducevano un'idea platonica furtivamente sotto
le stanze fuggitive di un sonetto. Abbiamo veduto che
la lingua della scienza era quella d'Aristotele; ed essa
non aveva cessato, anche dopo Carlo Magno, di regnare
nella scuola, severa, imprigionante il pensiero nelle sue
categorie e la parola ne' suoi sillogismi. Le quattro fi
gure e diciannove maniere di raziocinio sillogistico e-
rano i soli ritmi da lei ammessi , e la monotona ca
denza delle premesse e della conseguenza, formava l'u
nica armonia di cui essa poteva compiacersi. D'altra parte,
se alcuni trattati d'economia o d'etica erano usciti da
penna italiana, se i dottori scolastici avevan fatto molto
pel perfezionamento dell' individuo , e molto anche i
savj dell'antichità per la prosperità delle nazioni, que
sti lavori parziali restavano senza nesso. In questo sta
dio del medio evo che può paragonarsi ad una bol
lente adolescenza, l'entusiasmo delle teorie faceva curar
poco l' azione , e la scienza meravigliata dei proprli
progressi, dimenticava sè nella contemplazione di sè
medesima. Abitudini si generali e profonde non po
tevano essere scosse dalle velleità passaggere di al
cuni spiriti eletti. Bisognava una violenta scossa , per
conseguenza un impulso ardito, prolungato, esteso, quale
Dante solo era capace di dare.
2. E da principio, s'ei fu costretto di conservare
qualche resto della terminologia e delle classificazioni
peripatetiche per non rinunciare all'essere inteso dagli
uomini che vi si erano attaccati per un lungo uso , fu
rono questi i soli sacrifizj che offerse all'idolo adorato
da tutti intorno a lui , sotto il nome di logica. Com
battè il di lui culto in ciò che aveva di superstizioso.
Impugnò l'infallibilità assoluta del sillogismo; la verità
delle conclusioni gli parve accidentale e dipendente
CAPITOLO IV. a3i
dall'esattezza delle due proposizioni donde si tirava (i).
Di qui cadevano sotto la sua critica quelle maggiori, e
quelle minori, menzogne del sillogismo che correvano
per le bocche di tutti, come altrettanti assiomi indubi
tabili e fatti costanti. Lo studio delle parole doveva dun
que cedere a quello delle cose. Bisognava quindi far di
scendere la dialettica ad un posto inferiore, angusto,
oscuro, nella gerarchia delle umane cognizioni e rive
lare gli abusi introdotti con essa nelle scuole (2). Ma,
perciocché i vizj dell'insegnamento e della dialettica ri
fluivano tutti dai vizj communi della natura umana,
era necessario combattere anche questi ultimi, sia che
avessero origine nello spirito sia nel cuore ; presunzio
ne, pusillanimità, frivolezza, passioni orgogliose o sen
suali. Erasi di fronte alle cause permanenti degli errori
di tutti i tempi (3). — Dante lasciossi indurre a queste
coraggiose conseguenze, e dopo averle seguite fino al
termine, dovette riconoscere che, riprovando le regole
ricevute, s'era obligato a indicarne di migliori; e lo
fece; e dettò, non in ordine sistematico ma sotto la ca
pricciosa ispirazione del momento, quelle massime brevi
e feconde in cui prescrisse dapprima la precisa deter
minazione dei limiti della ragione e l'estirpazione di tutte
le radici del pregiudizio; quindi l'osservazione dei fatti,
la prudenza del ragionamento, la pertinacia d' una me
ditazione intensa, infine il discernimento dei varj modi
di certezza proprj ai varj ordini delle idee (4). — Ma
forse questo non basta per attribuire al poeta il concetto
formale e completo d'una rivoluzione intellettuale; ma
è più del bisogno per indicare un notevole tentativo, un
addentellato che, reso più fermo di poi pel concorso
di Gerson, d'Erasmo, di Ramo, di Luigi Vives, potè
(1)~Vedi più sopra, pag. 85, nota (a).
(2) Vedi più sopra, pag. 85 e 100.
(3) Vedi più sopra, pag. 92 e 93.
(4) Vedi più sopra, pag. 121.
»3» PARTE 111.
servire di punto d'appoggio agli sforzi più avventurosi
del cancelliere Bacone. Cos'i poco somiglianti nella loro
vita politica come nella credenza religiosa, il fiero pro
scritto di Firenze ed il disgraziato cortigiano di Veru-
lamio, ebbero tuttavia una stessa parte di sciagura
e di gloria. Ambedue condannati dalla società, alla lor
volta la giudicarono; ne trafissero gli idoli, accusaro
no i suoi traviamenti e le annunciarono i mezzi che
dovevano condurla a risultamenti scientifici più grandi
delle loro speranze. Se il primo dei due fu meno ascol
tato, è perchè il mondo tormentato spesso da false ap
prensioni ha da lungo tempo preso il consiglio di non
rispondere che all'ultimo appello.
Dante doveva fare di più. Come quell'antico che per
confondere le obiezioni dei sofisti contro la possibilità
del moto, camminò loro dinnanzi ; egli mostrò col pro
prio esempio esser possibile alla filosofia il muoversi
fuori dei lacci clie fin allora l'avevan tenuta stretta.
Egli la spogliò delle forme sbiadite, aspre e spesso la
boriose della scolastica, per rivestirla di tutto lo splen
dore dell' epopea e darle la pieghevolezza e il franco
andamento della lingua popolare. Né si ritrasse dinnanzi
alla necessità di creare egli stesso quell' idioma poetico
di cui l'Italia non aveva fatto che balbettare qualche
parola , immensa opera e bastevole per onorarne in e-
terno la memoria. Così, egli metteva la sua legittima
ribellione sotto la tutela dell'amor proprio nazionale.
Egli dava vita al pietoso desiderio di fare che il pane
sacro dell'istruzione potesse esser porto anche a quelli
che appena erano tolti alla mammella (i), a quelli cui
l'umiltà della nascita, la moltiplicità degli affari, la de
bolezza del temperamento morale tenevan lontani dal
banchetto dei dotti. Ma sopra tutto egli stabili vittorio-
(1) Convito, 1, 1. —Veggasi parimente la lettera di Fr. Ilario a
(Jguccione della Faggiola che si trova in più edizioni di Dante.
CAPITOLO IV. a33
samente la libertà del pensiero, facendo che esso si
gnoreggiasse a suo talento la parola cui per troppo
lungo tempo egli aveva ubidito. Provò l'indipendenza
reciproca delle dottrine e delle forme della scuola, e
così prevenne il disprezzo che potrebbe un giorno ca
dere sulle prime in grazia di loro pretesa solidarietà colle
seconde. Cosi allontanava d'un tratto le esagerazioni del
presente e le ingiustizie della posterità.
L'ispirazione, anima dei poeti, li riconduce al cielo
donde è quella discesa. Per essa i poeti poggiano qualche
volta senza calcolo e senza pene alle estreme altezze della
metafisica. Ora, siccome tutte le scienze riposano su fatti
variati all'infinito e s'elevano per gradi fino alla causa
prima ed unica, così può dirsi che esse formano tra loro
una piramide, di cui la metafisica è cima. Dall'alto di
questo punto, in cui tutte ad un'occhiata si abbracciano,
si toccano tutti i loro Iati ed appariscono communi i prin
cipi là dov'erano differenti i fenomeni. Per ciò la maggior
parte delle scoperte si sono fatte, a priori, per una im
provvisa intuizione, perla considerazione delle cause fina
li, per analogia, per ipotesi che i loro autori trovarono
buono di non giustificare. Per ciò i mistici ragionando da
Dio all'uomo, dall'uomo alla materia, colsero benespesso
in loro il presentimento di quelle leggi della natura
la cui rivelazioue completa era riservata alle età ven
ture. Quegli che scrisse la Divina Comedia sembra ab
bia provato qualche cosa di simile. Molti commentatori,
tratti forse un po' lungi dall'attrattiva di origini me
ravigliose, credettero trovare nei suoi versi il germe
dei più fecondi concepimenti della fisiologia; la circo
lazione del sangue, la configurazione del cervello e le sue
lesioni organiche messe in rapporto coli' ordine ed il
perturbamento delle facoltà dell'anima (i). Ma non po
tremmo contrastargli più meravigliosi incontri. Quan
di) Vedi più sopra, pag. 114 e n5.
»3* PARTE IH.
do mostra l'universalità degli esseri inviluppati, attirati
da tutte parti e dilatati per cosi dire dall'amore che
loro imprime una rotazione infinita, la mutua azione e
reazione dei cieli; la pesantezza onde contraesi il glo
bo terrestre e fa precipitatisi i corpi gravi; direbbesi
che stava sul travedere le combinazioni mecaniche delle
forze che muovono il mondo e la legge d'attrazione uni
versale che Newton leggerà nei cieli (i). Il bisogno d'una
costituzione simmetrica gli fa supporre un altro emisfero
di terre sconosciute ove arriverà Cristoforo Colombos(2).
Le sue congetture il condurranno ben anco ad antichi
rovesciamenti che avrebbero cambiato la faccia del mon
do, a rivoluzioni antidiluviane dell'oceano, a vulcani che
riscalderebbero il suolo sotto ai nostri piedi. Egli Jnon
va però fino all'ipotesi del fuoco centrale, perché dà al
globo un nocciolo di ghiaccio, ridendosi così trecen-
t'anni prima dei sistemi principali che produrrà la geo
logia tra Buffon e Cuvier (3).
Il saggio d'una riforma logica, e l'abbozzo d'un no
vello metodo; la libertà dell' intelligenza riconquistata e
il r suo primitivo esercizio premiato dalla previsione di
molte verità da cui dipendevano tutti i progressi delle
scienze fisiche; ecco per quai mezzi Dante associossi ai
successi dell'empirismo moderno; ma egli ne seppe e-
vitare i traviamenti; lasciò lungi da sé le strade per
cui andò più tardi a perdersi la folla, nel fango delle
dottrine materialiste e utilitarie.
3. Una stella migliore lo dirigeva, o dirò meglio,
egli era occupato in cure piò degne. La religione e il
dolore, questi due saggi consiglieri che sì facilmente
s'accordano, gli facevan portare lo sguardo oltre le scene
(i) Vedi più sopra, pag. i44 e ifó.
(2) Vedi più sopra, pag. 142.
(3) Vedi piu sopra, pag. i43.
CAPITOLO IV. a35
della terra e dei bisogni materiali verso le cose della
vita futura. Era qui eh' ei vedeva la ragione dell'esi
stenza attuale, la sanzione dei decreti della coscienza,
la verificazione della felicità e della sciagura secondo i
meriti e demeriti di quaggiù , il termine fatale infine
di tutte le umane azioni. La condotta delle azioni do
veva da quel punto sembrargli il solo termine ragione
vole delle cognizioni. Non solo dunque alle visioni mi
steriose del suo poema egli rappiccò tutta una teoria
ascetica del perfezionamento morale; ma fermò su di
questa gli studi più svariati ed apparentemente più a-
lieni. Partendo dal pensiero della morte, egli aveva
formato il concetto d' una filosofia della vita , fece di
questa il centro e il punto d'unione di tutte le sue ri
cerche ulteriori; ne fece una scienza universale. — O-
ra, questa sapienza pratica, questa parte positiva del sa
pere è precisamente ciò che distingue le due celebri
scuole del secolo xvii : quella di Cartesio d'onde usci
rono Pascal, Nicole, Bossuet, Fénélon; e quella di Leib
niz, dove lo spirito germanico doveva acquistare la gra
vità e profondità onde va orgoglioso.
Ma i pensieri di Dante, benché spesso si riportassero
alla morte, non erano accompagnati da quell'egoismo
che di frequente si nasconde sotto sembiante della me
lanconia. Dall'altro lato, l'estrema vastità di sue vedute
non gli permetteva di ignorare i rapporti pei quali la sorte
eterna degli individui si lega alle temporali vicissitudini
delle società. Pie sollecitudini il conducevan dunque sul
terreno delle questioni politiche sul quale l'avevan presto
trascinato le passioni di sua gioventù. In nessuna parte
le sue idee si svolsero con maggior energia ed origi
nalità; mentre intorno a lui i glossatori di Bologna si
perdevano tra le minuzie nell'interpretazione dei testi le
gislativi, ei risale ardito all'origine divina ed umana del
diritto e ne riporta una definizione alla quale non po
trà mai farsi un'aggiunta. Senza dubbio egli toglie dai
»«6 PARTE III.
publicisti del suo secolo molti argomenti ai quali appog
gia la monarchia del Santo Impero. Ma l'impero da
lui concepito non è più quello di Carlo Magno, coro
nando della sua alta sovranità universale i regni partico
lari, che alla lor volta ritenevano sotto la loro coalizione
tutti gli ordini inferiori dell' aristocrazia feudale. E un
nuovo pensiero che ricorda da una parte l'impero roma
no primitivo, in cui il principe, investito del potere tri-
bunicio rappresenta nel suo trionfo la plebe vincitrice
dei patrizi; dall'altra, la monarchia francese elevantesi
coli' alleanza dei communi sulle rovine della nobiltà. Il
depositario del potere, anche col nome di Cesare e la
fronte cinta di diadema, agli occhi di Dante non è che
l'agente immediato della moltitudine, il livello che u-
guaglia le teste. Fra tutti i privilegi, il più odioso per
lui è quello della nascita; egli scuote la feudalità fin
dalla base, e la sua rozza polemica , attaccando l'eredi
tà degli onori, non risparmia punto l'eredità dei be
ni. A.veva egli cercato nelle più alte regioni della teo
logia morale i principj generatori d'una filosofia della
società , e ne doveva seguire fermamente le deduzioni,
fino alle massime più democratiche ed impraticabili.
Egli solo aveva corsa tutta la via già prima calcata
da Machiavello, che primo tentò di ridurre in savie
forme l'arte di governare, fino a Tomaso Leibnitz e
Wolf che vivificarono le idee astratte della metafisica
trasportandole nel diritto publico e civile; e da Mon
tesquieu, Beccaria e gli enciclopedisti, fino alla san
guinosa rivoluzione che produsse le ultime conseguenze
dei loro insegnamenti. Ed anche poco fa, quando i più
recenti ed arditi novatori annunciavano a ciascuno secon
do la propria capacità, a ciascuna capacità secondo le
proprie opere, essi non eran che l'eco dei voti espressi
in giorno di malcontento dal vecchio cantore del me
dio evo.
Da ultimo gli interessi dei popoli , sempre ristretti in
CAPITOLO IV. 257
certi confini di spazio e di tempo non offrivano ancora
un campo abbastanza vasto alle sue meditazioni. Il catto-
licisrao in cui era nato gli aveva insegnato ad abbrac
ciare nel medesimo sentimento di fraternità gli uomini
di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Questa generosa pre
disposizione nol lasciò in mezzo dei travagli scentifici ,
ed il suo pensiero come l'amore s'estese a tutta intera
l'umanità. Difatti, sia che nel Convito si sforzi di av
valorare il dogma dell'immortalità dell'anima con prove
irrefragabili j prima di tutto egli invoca l'unanime cre
denza del genere umano ; sia che voglia rifiutare i su
perbi pregiudizj dell'aristocrazia ereditaria, rimonta alla
culla commuue del genere umano. Se nel trattato De
Monarchia crede di proporre una forma perfetta di go
verno , In vorrebbe vedere verificata su tutta la faccia
della terra per sollecitare l'opera della civiltà, che al
tro non è se non se lo svolgimento armonico di tutte
le intelligenze e di tutte le volontà. Se narra le con
quiste del popolo romano, le mostra rientrando nell'e
conomia dei disegni providenziali per la redenzione del
mondo. Anche la Divina Comedia è l'abbozzo d'una sto
ria universale. In mezzo a questa grande galleria della
morte, nessuna figura un po' grande vi sfugge; Adamo ed
i patriarchi, Achille e gli eroi, Omero ed i poeti, Aristo
tile ed i sapienti , Alessandro, Bruto e Catone , Pietro e gli
apostoli, e i Padri e i Santi , e la serie di quelli che porta
rono con obbrobrio o con onore la corona o la tiara, fino
a Giovanni XXII, Filippo il Bello ed Enrico di Lussem
burgo. Le rivoluzioni politiche e religiose apparivano rap
presentate da allegorie che si traducono in severi giudizj.
Mentre così vedesi l'umanità attraverso le trasforma
zioni esteriori che incessantemente subisce, la si scopre
anche in ciò che ha di costante; in mezzo alla diver
sità rivelasi l'unità; in mezzo al cambiamento la per
manenza. In fondo alle zone infernali, sulla dolorosa
via del purgatorio, negli splendori del paradiso, è sem-
238 PARTE III.
pre l'uomo che s'incontra, decaduto, purgantesi, purifi
cato; e quando in 6ne al poema I' ultimo velo che si leva ]
lascia contemplare la Trinità divina, si vede nella sua
profondità ilVerbo eterno unito alla natura umana. Que
sta dunque non è più come dicevano gli antichi un mi
crocosmo, un compendio dell'universo; ma essa riempie
lo stesso universo, lo sorpassa e perdesi nell'infinito. Ecco
un'intera filosofia dell'umanità che è pure una filoso
fia della storia. — Sappiamo di qual favore gode ancora
questo studio inaugurato dal vescovo di Meaux, arric
chito dalle veglie di Vico e di Herder, e destinato a
raccogliere i frutti di tutte le fatiche che una istanca.
bile erudizione imprende intorno a noi.
Dante può dunque esser annoverato fra i più note
voli precursori del razionalismo moderno, perchè primo
diede alle scienze filosofiche una direzione morale, poli
tica, e, se non ci si contende questa espressione, uma
nitaria. Egli non si spinse però agli eccessi de' nostri
giorni. Egli non divinizzò l' umanità rappresentandola
sufficiente a sé medesima, senz'altro lume che la pro
pria ragione né altra regola che il proprio volere; egli
non la chiuse nel circolo vizioso de' suoi destini terre
stri , come fanno quelli pei quali tutti gli avvenimenti
storici non sono che cause ed effetti necessarj d'altri av
venimenti passati o futuri. Egli non collocò l'umanità né
sì alto né si basso. Ei vide che non é tutta intera nel
mondo, dove passa, per cosi dire, in forma di succe-
dentisi carovane , e andò primamente a cercarla al ter
mine del viaggio dove vanno per sempre a raccogliersi
gl'innumerevoli pellegrini della vita. — Si è detto che
Bossuet , colla verga di Mosè alla mano, caccia le gene
razioni alla tomba. Si può dire che Dante ve le attenda
colla bilancia del giudizio finale. Appoggiato alla verità
ch'esse dovettero credere, e sulla giustizia che dovettero
osservare, egli pesa le loro opere sulla bilancia dell'e
ternità. Accenna a destra ed a manca il posto loro pre-
CAPITOLO IV. a3g
parato dai delitti o dalle virtù; e la moltitudine, per di
lui comando si divide e mettesi per la porta dell'inferno
o sulle vie dei cieli. — Sicché col pensiero degli eterni
destini, entra la moralità nella storia; l'umanità, umiliata
sotto la legge della morte, si rileva colla legge del do
vere, e se non debbe avere gli onori d'una superba a-
poteosi, le si risparmia anche l'obbrobrio d'un fatali
smo brutale.
4. Per la qual cosa si accordavano le tendenze logiche
e pratiche del poeta filosofo colle nostre, senza lasciarsi
trarre nei medesimi errori. Ora vi ha in noi un amor
proprio che ci fa amare al di fuori la nostra rassomi
glianza, e ci fa anche accetta la superiorità altrui come
una consolazione, perciocché ci insegna a non disperare
di nostra natura. Quindi vennero quelle ammirazioni e
simpatie universali che in questi ultimi tempi hanno ri
chiamato dall'oblio il grand' uomo di cui noi abbiamo
studiato l'opera. «Dante, ha detto il sig. de Lamartine,
sembra il poeta de' nostri tempi, perchè ciascun' epoca
a quando a quando adotta e ringiovanisce alcuni di quei
genj immortali che sono sempre anche gli uomini a
tempo; essa vi si riflette, vi trova la propria imagine
e tradisce così la propria natura colle proprie predile-
tioni » (i).
(i) DUcoun de reception à l'Acadimie /rangait*.
CAPITOLO V
Obtodossia di Dante.
A rascorsi successivamente i principali periodi dell' i-
storia della filosofia per trovare, di mezzo ai sistemi che
sorsero , termini di paragone colla dottrina di Dante ,
rimane a considerarla sotto un rapporto superiore, in
dipendente, immutabile, quello cioè della fede. — Dan
te, per rispetto alle sue dottrine, appartiene egli al
l'ortodossia cattolica? — Tal problema già da tre secoli
risvegliò gravi discussioni.
I. Il Protestantismo, fin dal suo nascimento, sentì il
bisogno di crearsi una genealogia che lo ravvicinasse ai
tempi apostolici, e in sé giustificasse l'adempimento delle
promesse d' infallibilità fatte dal Salvatore alla sua
Chiesa. Andò egli pertanto smovendo le pietre di tutte
le mine e di tutti i sepolcri, interrogando i morti e le
già spente instituzioni , creandosi una familia delle eresie
di tutti i tempi , i più liberi e più arditi ingegni investi
gando dell' età di mezzo per riposarsi sopra la loro au
torità. Egli fu certamente poco severo nella scelta delle
prove; bastavagli qualche parola pungente, caduta dalla
penna di qualche uomo celebre, sugli abusi contempo
ranei, per darle incontanente luogo nella lista delle sue
vantate testimonianze della verità (i). Dante non potea
sottrarsi a questi postumi onori. Il suo estro satirico e-
rasi più fiate provato contro i costumi del clero e contro
la politica de' sommi pontefici; e parecchi tratti del suo
poema, artificiosamente elaborati, sembravano, siccome
correva la voce, avere in sé derisorie allusioni ai più sacri
(0 Francowitz (Flaccus Illyricus): Catalogus testim1 ventati:,.
PARTE III. CAPITOLO V. »4,
misteri dell'antica liturgia (i). Ma sopra ogni allra cosa
citavasi l'ultimo canto del Purgatorio, in cui trovasi predet
to un inviato dal cielo che punita avrebbe la meretrice
assisa sulla bestia dalle sette teste e dalle dieci coma:
designato dalle cifre che formano il motto latino Drx, e
che indicano forse uno de' capitani ghibellini della Lom
bardia o della Toscana. Questo inviato, dicevasi non es
sere altri che Lutero ; perciocché quelle cifre danno il
numero di 5i5, a cui dall'una parte aggiungendo mil.
l'anni, e due dall'altra, formasi la data del mille cin
quecento diciassette, che è l'egira dei riformati (2).
Tali furono i precipui argomenti di coloro che sino
dal quindicesimo secolo tentarono di far popolari in
Italia le novelle opinioni all'ombra di un nome venera
to (3). Il patriottismo italiano rispose dignitosamente per
mezzo del cardinal Bellarmino; e questo famoso contro-
versista, che sobbarca vasi al peso di tutte le religiose di
spute, che avea per cliente il papismo, e re per avver-
sarj come fu Giacomo I , non disdegnò consacrar la
(1) Purgatorio, XXXIII , 12:
Che vendetta di Dio non teme suppe.
La nullità o la malizia di alcuni commentatori vide in questo
verso una grossolana bestemmia contro il santissimo sacrificio
della Messa. Eppure si sa che quel verso allude all'uso fiorentino
di porre pane e vino sulla tomba di quelli che erano stati con
dannati a morte ; awisavasi per tale maniera di ^deprecare la
vendetta de1 loro parenti.
(2) Purgatorio, XXXIII, ij:
Ch' io veggio certamente , e però '1 narro ,
A darne tempo già stelle propinque,
Sicuro d'ogni 'nloppo e d'ogni sbarro ,
Nel quale un cinquecento diece e cinque ,
Messo di Dio, anciderà la fuia.
(3) Avviso piacevole dato alla Bella Italia da un nobile giovine
Francese.
OZAKAM. Dante. «
2..,t PARTE IH.
sua penna a difesa del poeta nazionale (i). Le stesse di
spute s'agitarono in Francia, se con meno romore,
certo con non minore erudizione, tra Duplessis-Mornay
e Coeffeteau (3); e forse fu sopra una incompleta co-
gnizion della disputa che il padre Arduino pronunciò la
bizzarra sentenza con che dichiara la Divina Comedia
opera d' un discepolo di Viclefo. Più tardi , quando la
letteratura italiana, purgata dalla funesta influenza de'
secentisti , tornò a migliori tradizioni , il culto che si
diffuse per gli antichi poeti della patria fu accortamente
messo a profitto dalle società segrete , e andò confuso
colle loro politiche e religiose teorie. E a' dì nostri in
fine, quando i capi di una fazione abbattuta cercarono
un rifugio nell' Inghilterra , il bisogno di confortare il
tristo ozio dell'esilio, e fors' anche il desiderio di sod
disfare generosamente all'ospitalità protestante, inspira
rono il nuovo sistema proposto da Ugo Foscolo e so
stenuto dal Rossetti, non senza un ampio corredo di
scienza e di imaginazione (3). Udiamoli: E d'uopo pri
mamente richiamare al pensiero che, dopo l'estinzione
della eresia degli Albigesi, le sue ceneri, disperse per
tutta cristianità, fecero pullulare le numerose sette che
sotto il nome di Pastorelli (a), di Flagellanti e di Fra
ticelli prepararono la strada ai Viclefiti ed agli Ussiti,
precursori anch'essi di Lutero, di Enrico Vili e di Cal
vino. Ma, ei soggiungono, più prudente di queste di
verse sette, e pur dominata dallo stesso spirito antipa
pale, una misteriosa società sarebbesi formata, a cui Dan
te, Petrarca e Boccaccio avrebbero prestato il lor giura
ci) Bellarmino, Appendix ad Libros de Summo Pontificej Re-
sponsio ad Librum quemdam anonymum.
(2) Duplessis-Mornay, le Mystère d'Iniquitè, p. 4 19. — Coeffe
teau, Riponse mi livre intitulé le Mystère, ec. , p. io3a.
(3) La Comedia di Dante Alighieri, illustrata da Ugo Foscolo.
— Rossetti , Sullo spirito anti-papale che produsse la Riforma.
(a) Patarini forse? — Nota del Trad.
CAPITOLO V. »43
mento e dedicato l'ingegno. Da quel punto tutti gli scritti
loro racchiuderebbero un senso enigmatico di cui è per
duta la chiave. Le donne celebri che fecero argomento
de' loro carmi, Beatrice, Laura, Fiammetta, sarebbero
le figure della civile ed ecclesiastica libertà onde pen
savano stabilire il regno. La Divina Comedia , le Rime
e il Decamerone ad un tratto sarebbero il Nuovo Te
stamento e la Carta costituzionale destinata a mutar
la faccia all'Europa. Dante particolarmente, costitui
tosi capo di questo apostolato, se ne sarebbe arrogata
la missione speciale in una di quelle visioni ove si rap
presenta interrogato , applaudito , benedetto dai tre di
scepoli privilegiati di Cristo, Pietro, Giacomo e Giovan
ni. Per tal modo il povero proscritto non ha punto tro
vato nel suo feretro quel riposo che, là almeno, atten
de gli altri mortali. Ei ne fu tratto, così ancora coperto
del funebre lenzuolo, e spinto nella lizza delle fazioni,
per ispaventare, come con un fantasma, gli spiriti dap
poco. Avventurosamente mani pietose vennero a sottrar
lo a questa profanazione. Foscolo ebbe a fronte un vit
torioso avversario in Monti, già suo rivale (j); e non
ha guari l'oracolo della critica alemanna, A. W. Schle
gel, riprovando i paradossi del Rossetti, lavò per sempre
il marchio di slealtà che impressero sulla fronte a que'
tre uomini grandi (3).
(1) AH' edizione padovana del Convito di Dante, Prefazione
degli editori milanesi (*).
(2) Lettera di A. W. Schlegel su l'opera di Rossetti, Revue des
deux Mondes, i5 agosto 1 836.
(') Questi furooo il marchese Gio. Giacomo Trivulzio , Vincenzo Mouti
• il eh. Gio. Aut. Maggi; ma la dotta Prefazione è lavoro del sig. Maggi,
e duo di Monti, come suppone il nostro Autore. Le opinioni del Foscolo
sono state recentemente di bel nuovo confutate dalP abbate Zinelli Intorno
allo spirito religioso di Dante; e meglio ancora, benché indirettamente,
da Cesare Balbo nella sua fitn di Dante, opera diligentemente elaborata
da colto ingegno, e con giudizio imparziale, ancorché l'autore professi di
essere guelfo j credo , perch' ei lo dice , ma se l'opera stessa ne desse indizio,
« poco o nulla ne dà, sarebbe questa una macchia: perocché GuulBsmo e
parte, ed uno storico non deve mai parteggiare. — Nota del Trad.
344 PARTE HI.
2. A questo punto se, dopo s'i gravi autorità, ne è con
ceduto aggiugnere il nostro suffragio, noi non faremo
che riprodurre sommariamente i testi che ne sembrano
decisivi, lasciando all'accusato medesimo la parola, e in
lui fidandoci per la propria apologia.
E in sulle prime noi l'abbiamo veduto sceverarsi asso
lutamente dal moderno naturalismo , quando proclamò
la rivelazione, siccome il supremo criterio della verità
logica e della legge morale; allorquando, secondo il suo
vedere, la più nobile funzione della filosofia è di con
durre, col mezzo delle maraviglie che essa dispiega ai mi
racoli inesplicabili sui quali è fondata la fede ; allora
quando finalmente egli rende gloria a questa fede ve
nutaci dall' allo, per la quale solo ne è dato filosofare
eternamente nel seno della celeste Atene, dove i sapienti
di tutte le scuole sono concordi nella contemplazione
della infinita intelligenza ( 1 ). — Più severo ancora
verso l'eresia e lo scisma, loro destina i più Ceri sup-
plicj del suo inferno. Le simpatie politiche, le virtù
guerriere e civili nol ponno rammollire; egli chiude in
sepolcri infuocati Federico II e il cardinal Ubaldini, i-
doli della parte imperiale; Farinata e Cavalcanti, due
de' p1ii gloriosi cittadini di Firenze : egli procede ancor
più oltre, e, quasi per ribattere vie meglio i detrattori
della sua memoria, predice la fine malaugurata e pro
nuncia l'eterna condanna di fra Dolcino , capo princi
pale di que' Fraticelli dei quali si è voluto ch'ei parteci
passe gli errori. Se il poeta, veracemente fornito di quel
la seconda vista che talvolta egli finge , avesse scorto nel
l'avvenire, in luogo di quell'oscuro frate, il professo
re di Vittemberga nell' atto che getta tra le fiamme la
bolla della sua condanna , certo egli avrebbe segnato il
suo posto tra i seminatori di scismi e di scandali, e noi
leggeremmo con un fremito d'orrore maravigliati l'epi-
(1) Convito, III, 7, ii; IV, |5. De Monarchia, III.
CAPITOLO V. ufi
sodio di Lutero presso a quello del' conte Ugolino (i).
Se queste generali indicazioni non fossero ancor ba
stanti , e fosse mestieri d' una professione di fede e-
spressa sovra ciascuno dei punti disputati , siffatta esi
genza sarebbe soddisfatta. Pietro di Bruys, Valdo, Dol-
cino e gli altri novatori contemporanei avevano assalito
la gerarchia ecclesiastica , le forme de' sacramenti , il
culto prestato alla croce, e le preghiere pe' defun
ti (2). Dante in quella vece rende omaggio alla Chiesa,,
sposa di Gesù Cristo, incapace di menzogna e di erro
re (3). Mette di costa la tradizione alla santa Scrittura ,
e ad entrambe attribuisce del pari l' impero delle co
scienze (4); riconosce il poter delle chiavi, il valore del
le scommuniche e quello de' sacri voti (5). Descrive con
una cotal compiacenza il procedere della penitenza, né
dubita tampoco della legittimità delle indulgenze, ne
del merito delle opere espiatorie (6) ; egli stesso giusti
ficò il culto delle imagini , né tralascia di raccoman
dare ai suffragi dei viventi le anime de' trapassati; la
sua confidenza nella intercessione de' santi si fa piti
viva addirizzandosi alla Beata Vergine- (7). Che più?
gli ordini religiosi, e l'istituzione ancor essa del santo
Officio trovano grazia a' suoi occhi, e s. Domenico è
celebrato nella sua Cantica siccome « l'amante geloso
della cristiana fede, pien di dolcezza pe' suoi. discepoli ,
formidabile a' suoi nemici (8) ». Riparando per tal mo-
(1) Inferno, IX e XXVIII, passim.
(2) Vedi Pietro di Blois. — Bossuet , Hist. des Variations. —.
TUinaldo, continuatore al Baronio, Am1ales Eccles. 1 1 00- 1 200.
(3) Convito, II, 4, 6.
(4) Paradiso, V, a5.
(5) Purgatorio, III, 46 ; V, 19; IX, a6.
(6) Purgatorio, II , 23; IX, passim. — Paradiso, XXV, 23;
XXVIII , 37.
(7) Purgatorio, passim. — Paradiso, IV, i4; XXXIII, u
(8) Paradiso, XI e XII , passim.
j46 PARTE III.
do sotto il patrocinio del santo Dottore, il quale, pri
mo col nome di Maestro del sacro palazzo , ebbe V in
carico del ministero della censura, doveva egli il poeta
aspettarsi che noi, tardi suoi posteri e poco dati alle cose
teologiche , avremmo discusso un giorno l'esattezza e la
sincerità della sua credenza?
Ma finalmente un rimproccio sussiste contro di lui,
ed è la pervicacia con cui fa bersaglio delle sue invet
tive la corte romana e i sovrani pontefici, con piene le
mani scagliando ingiurie sulla testa di coloro di cui do
vrebbe baciare le piante. — Puossi primamente rispon
dere distinguendo il supremo pontificato, indefettibile e
divino, dalla persona sacra, ma pur fragile e mortale,
che ne è rivestita. Non furono giammai i cattolici astret
ti a credere impeccabili i loro pastori. I campioni più
ardenti dei diritti del sacerdozio, s. Bernardo cioè e
san Tomaso di Cantorbery , non dissimularono punto i
vizi onde talvolta i pastori erano machiati. La Chiesa, am
mantata d'una inviolabità più grave di quella onde vanno
oggidì vestiti i regnanti , non saprebbe farsi mallcvadrice
della iniquità de' suoi ministri. Certo che sarebbe atto
più pio torcere i nostri sguardi , e come i figli del Pa
triarca , gittare un manto sovra le turpitudini di coloro
che nella fede ci dènno essere maestri; ma se Dante il
dimenticò, se, nei giorni infelici ch'egli passò lungi dalla
sua patria, egli accusò i capi di una fazione che gli chiu
se la via del ritorno ; se , nella foga d'una indignazione
cui credeva virtuosa, egli sovente ha ripetuto le calun
nie della fama; se egli mal seppe pregiare la pietà di
s. Pier Celestino, lo zelo impetuoso di Bonifacio Vili,
la scienza di Giovanni XXII, fu imprudenza e stizza, fu
errore e , se volete , colpa , ma non eresia. D'altra parte
è forza condonar molto al genio, essendo che esso, come
tutte le grandezze di quaggiù , ha tentazioni più forti e
pericoli ad incontrare più numerosi. — Cionondimeno bi
sogna osservare che Dante, contemporaneo di quattordici
CAPITOLO V. , 147
papi, a due fu largo di lodi, sette passò in silenzio' e che
negli altri cinque intese biasimare le mende dell'umanità;
nè si rimase per questo di venerare la santità del mini
stero (i). Per immolare Bonifacio Vili alle sue poetiche
vendette, comincia a spogliarlo d'un carattere augusto
cui teme di profanare; e con una temerità la quale non
è però priva d'un resto di rispetto , dichiara la Santa
Sede vacante del suo capo (2). Poi ad un tratto , quan
do questo medesimo Papa gli appare circondato dalla
grandezza dell'infortunio, e prigioniero tra gli emissarj di
Filippo il Bello, non vede più in lui che il vicario e Im
magine di Cristo la seconda volta confitto in croce (3).
Innanzi alla papale autorità egli s'inchina sempre devoto
come dinanzi ad una sacra magistratura , ad un potere
che Pietro ha ricevuto dal cielo e trasmesso a' suoi suc
cessori ; egli ne fa 1' obietto precipuo dei disegni della
Providenza , il secreto dei grandi destini di Roma , l'a
nello che lega l'antichità dei tempi novelli (4). Insiste sulla
necessità della monarchia religiosa, che egli mette a fronte
della monarchia temporale; e tutto che riclami P indi
pendenza reciproca del sacerdozio e dell' impero , egli
brama che nell'ordine spirituale, l'erede de' Cesari pro
fessi pel successor degli Apostoli una deferenza filiale (5).
Se questo è il linguaggio che lusinga i nostri fratelli
della riforma, e li conduce a porre il poeta tra loro, par-
(1) Adriano V nel purgatorio: Giovanni XXI in paradiso. Vedi
per gli altri, Inferno, XIX, 34- Purgatorio, XIX, 45-,
(2) Purgatorio, XXXIII, .12.
(3) Purgatorio, XX, 29.
(4) Inferno, II, 8. Paradiso, XXIV, 12; XXX, 48.
(5) De Monarchid , III. — Il libro De Monarchid fu messo
all' Indice come favorevole alle eccessive pretensioni del potere
temporale. Ma tale condanna non involse anche la Divina Comedia.
Un gran Papa aveva per un ingegno dappoco chiunque non am
mirava la bellezza di quel poema. Vedi la storiella riferita da
Arrivabenc, Amori di Dante.
»48 PARTE III.
lino anch'essi istessamente , e a questa voce di concilia
zione il mezzodì ed il settentrione piegheranno l'uno verso
l'altro ; i figli di Londra e di Berlino si troveranno in
sieme alle porte di Roma; il Vaticano allargherà i suoi
portici per accogliere le generazioni riconciliate, e nel
l'allegrezza di un'alleanza universale avrà compimento la
profezia scritta sull'obelisco di s. Pietro : Christus vincit,
Christus regnat, Christus imperàt.
3. Così ci liberammo dal nostro assunto. A noi pare che
la ortodossia di Dante, stabilita interamente dalle prove
raccolte, in modo più lucido risulti dall'opera, a cui diamo
termine. È la verità sublime nella quale riposano le no
stre induzioni e ricerche. Studiando le condizioni in cui
fu posto il poeta, lo vedemmo nascere, direi quasi, sul
l'ultimo confine dei tempi eroici del medio evo, quando
la filosofia cattolica aveva toccato il suo apice, in una
contrada dove più puri mandava i suoi raggi. Nel mezzo
di tempi sì favorevoli, tra le vicende di una vita colma
d'infortunj, d'emozioni morali, di studj profondi, che in
sieme dovettero svolgere in lui potentemente il senti
mento religioso , ei concepì un' opera magnifica , il cui
disegno cavato dalle abitudini della poesia di leggenda,
doveva comprendere i misteri più sublimi della fede, e
i più bei concetti della scienza. Un'analisi scrupolosa
pose in chiaro questa unione di dottrine che . sotto le
tre categorie del male, del bene in contrasto col male,
e infine del bene , comprende I' uomo individuale , la
società, la vita futura, il mondo esteriore, gli spiriti
incorporei. Dio medesimo. Se numerosi rapporti lo lega
no ai sistemi dell'Oriente, all'idealismo e al sensismo
greco, all'empirismo e al razionalismo degli ultimi tem
pi , egli appartiene specialmente alle due grandi scuole
mistica e dommatica del secolo xui, dalle quali docile
accetta non solo i donimi essenziali , ma anche le idee
accessorie, e talvolta le espressioni predilette. Si dis
CAPITOLO V. M9
se che Omero era il teologo dell'antichità pagana, e
Sante fu rappresentato a sua volta come l'Omero dei
tempi cristiani. Ma tale raffronto che onora il suo ge
nio offende alla sua religione. Il cieco di Smirne fu a
dritto accusato di aver fatto discendere gli Dei troppo
presso dell'uomo, ma in quella vece nissuno meglio che
il Firentino seppe sollevare l'uomo, e farlo salire verso
la divinità. Perciò, per la purezza, l'immaterialità del
suo simbolismo, per la infinita vastità del suo concetto
lasciò ben di molto al disotto i poeti antichi e moder
ni, soprattutto Milton e Klopstock. Se vogliamo pertanto
stabilire un confronto , che stampi nella memoria due
nomi associati per richiamarsi , e definirsi 1' un 1' altro ,
si può dire, e sia questo il riassunto del nostro lavoro:
la Divina Comedia è la Somma letteraria e filosofica del
medio evo; Dante è il san Tomaso della poesia.
Cosi ci troviamo ricondotti là donde partimmo, a
quel mirabile affresco del Vaticano , dove Dante sta
fra i dottori, e tra gli omaggi solenni e popolari, che
l'Italia gli ha tributato; ora conosciamo la ragione
della sua gloria. La coscienza che egli aveva delle sue
prodigiose facoltà non lo ha fatto dimentico della fatalità
commune della natura condannata sino alla fine a sof
frire ed ignorare, e quindi a credere e servire. Come-
chè di tanto sollevato al di sopra degli altri uomini, ei
non pensava punto, che minore fosse per lui la distanza
che tutti li disgiunge dal cielo; troppo li amava, e troppo
ne aveva rispetto, né voleva certo soggiogarli colla tirannia
delle sue opinioni personali , né separarsi da essi in quan
to hanno di più caro, le loro credenze : egli restò nella
conimunanzii delle opinioni eterne, dove si trova la vita
e la salute del genere umano : ei fece sì che i più umili
de' suoi contemporanei, e i più lontani de' posteri loro
potessero dirlo fratello , e allegrarsi de' suoi trionfi. —
Passarono sei secoli da che il vecchio Alighieri dorme
35o PARTE III.
l'eterno sonno a Ravenna sotto il marmo sepolcrale. Da
quel tempo si succedettero venti generazioni d' uomini
parlanti , secondo la energica espressione dei Greci ; e
le parole uscite loro di bocca, più ancorche la pol
vere de' loro passi , rinnovarono la faccia dell'universo.
Il Santo Impero Romano non è più; le dispute che agi
tavano le republiche italiane, si sono spente colle re-
publiche stesse. Il palazzo dei Priori di Firenze è de
serto, e sulla sinistra riva dell'Amo una dinastia, che la
mercè dei benefoj fece dimenticare l'origine straniera,
porta pacificamente lo scettro della Toscana eretta in
gran ducato. Più non ravvisasi il luogo dove riposano
le ceneri di Beatrice , e il nome istesso della sua fami-
lia sarebbe perduto, quando non fosse stato inscritto
tra i fondatori di un oscuro ospitale. Ammutirono le cat
tedre dove disputavano i maestri della scolastica. I na
vigatori esplorarono quei mari lontani , già chiusi da
superstizioso timore; e invece del monte del Purgatorio,
e de' suoi immortali abitatori, essi vi ravvisarono lidi,
e popoli simili ai nostri. Il telescopio penetrò i cieli ; e
le nove sfere, che snpponevansi mosse in perfetto accordo
intorno a noi, si sono perdute nel vuoto. Così venne me
no l'interesse d'ogni maniera, il politico, l'elegiaco, lo
scientifico, di che il poema di Dante era debitore alle
cose caduche di quaggiù; né più vi sarebbe che il merito
di un documento storico, difficilmente apprezzabile, se non
p er aver cavato da più alta parte un valore costante uni-
v ersale. Que' misteri della morte, che preoccupavano gli
uomini di un tempo, non cessarono dal sollecitare le
nostre meditazioni; ned altra luce, tranne quella del catto-
licismo, è venuta a schiararli. In quella guisa che il cattoli-
cismo guidava le ardenti imaginazioni dei nostri padri,
conduce ancora le nostre intelligenze adulte e ragioua-
trici; domina tutti gli svolgimenti delle umane facoltà, im
mutabile in mezzo alle rovine della scienza antica e agli
edificj della moderna : non ha perciò a temere i Colombi e
CAPITOLO V, aSi
i Copernici dell'avvenire. Perciocché, siccome questi due
uomini famosi, scoprendo la vera forma e le condizioni del
globo, fissarono, una volta per tutte, le opinioni incerte su
questi due punti principali del sistema del mondo, né la
sciarono agli astronomi ed ai navigatori venturi che sco
perte parziali $ così il cattolicismo , facendo conoscere
l'uomo , e i suoi rapporti con Dio , rivelò per sempre
il sistema del mondo morale: più non lascia luogo a
scoprire nuova terra e nuovi cieli ; ma soltanto verità
isolate, leggi subalterne, picciolo pascolo per soddisfare
l'orgoglio , ma bastante ad inceppare ancora 1' assiduità
laboriosa dello spirito umano.
il..
, .i1 /
RICERCHE E DOCUMENTI PER SERVIRE ALLA STORIA DI DANTE
E DELLA DIVINA COMEDIA
I. IxVESTIGAZIOM STILLA VITA POLITICA DI DaKTE.
Se fc Guelfo o Ghibelliko?
Abbiamo veduto il poeta fireatino prendere parte alle
discordie civili della sua patria; gli storici pertanto do
vettero* adoperarsi per attaccarlo ad una delle due fa
zioni che si divisero l'Italia nel medio evo; l'opinione
generale lo pose dalla parte de' Ghibellini (i). Tutta-
volta, perchè pareva che appartenesse a' Guelfi per ra
gione di familia , e de' suoi primi impegni ; molti cri
tici distinsero nella vita politica di lui due periodi, nei
quali si sacrificò alla difesa di due parti contrarie: periodi
fra loro divisi dal giorno fatale del suo esilio (2). Senza
che punto si disprezzi l' autorità della critica e dell' opi
nione, non possiamo arrestarci dell'esprimere qualche no
stro dubbio : noi temiamo che la questione sia difficile a
sciogliersi per l'incertezza dei termini nei quali fu ristretta;
esamineremo sulle prime quali diverse significazioni eb
bero successivamente questi nomi rivali di Guelfi e di
Ghibellini, quindi per quale titolo Dante avrebbe meri
tato l'uno dei due.
I.
1. Adelberto I, marchese di Toscana (85o), fu il capo
della nobile stirpe dei Welf, la quale, più tardi dotata
(1) F. Schlegel (Storia della Letteratura, t. II, p. i3. Milano,
Class. 1828 ) move rimprovero a Dante della « rabbia ghibellina
diffusa in tutto il poema a.
(2) Vedasi specialmente il dotto opuscolo del conte Troja :
D»l feltro allegorico di Dante.
PARTE IV. DOCUMENTI a53
del marchesato di Este^ divenne abbastanza potente per
dare nel 1071 duchi alla Baviera. Verso l'epoca stes
sa (1080) il ducato di Svevia erasi conlerito ai conti di
Hohenstauffen , originarj del castello di Weibling, nel
paese di Wurtetnberg. L'avvenimento di Corrado di Sve
via all'impero, e la rivolta di Enrico il Superbo ( 1 1 38)
diedero principio ad una sanguinosa contesa tra le due
familie, la quale per alcun tempo interrotta, più tremenda
si rinnovò sotto Federico Barbarossa ed Enrico il Leo
ne (1 180); e finì colla divisione dell'Allemagna tra Fi
lippo ed Ottone IV, competitori alla corona imperiale.
Welf e Weibling furono i gridi di guerra, al suono de'
quali si raccolsero gli eserciti delle due case nemiche:
dicesi che per la prima volta abbiano eccheggiato nella bat
taglia di Winberg 1 1 14°) ^ presto si ripeterono dalla riva
del Baltico a quella del Danubio', ma, trattenuti dall'Al
pi, ancora non avevano commossa la penisola dell'Italia.
2. Da lungo tempo questo paese era il campo di lotte
più solenni, quella del sacerdozio e dell'impero. — Il
papato, per esercitare con maggior sicurezza la sua a-
zione santificante e civilizzatrice sul mondo cristiano in
cui si agitavano tanti barbari istinti , aveva bisogno di
occupare un punto centrale indipendente : ecco in teo
ria la legittimità del suo dominio temporale. IVon difet
tava di titoli giuridici. Dal tempo (706) in cui il popolo
di Roma erasi posto sotto il patrocinio di Gregorio II,
la donazione dell'esarcato di Pentapoli (75i), l'omaggio
di Roberto Guiscardo pel ducato della Puglia (io5g), il
lascito della contessa Matilde (1 1 15) (a) arean consolidato
(a) Così il testo, ma la data ci sembra inesatta; poichè la con
tessa Matilde, che avea già donati i suoi beni alla Chiesa fin
sotto papa Gregorio VII , smarritosi lo strumento , ne confermò
la donazione il 17 novembre 1102 (e non 1 1 1 5 ), per mano del
cardinale Bernardo, abbate di Vallombrosa, nunzio di papa Pa
squale II presso la sua corte. — Vedi Muratori, Annali, voi. IX,
p. 711, ediz. de' Classici Italiani — Nota del Trad.
OZAKAM. Dante. 22
iS$ " PARTE IV.
il potere della Santa Sede. Per soprappiù essa contava an
che per se le virtù eroiche di molti pontefici, la saga
cia e mitezza delle leggi ecclesiastiche, la naturale incli
nazione delle coscienze a ricevere nell'ordine civile un'au
torità già riconosciuta in materia di religione. Essa infine
aveva tutto ciò che può creare il diritto anche là dove
ancor non vi sarebbe: il rispetto, l'amore e l'ammira
zione dei popoli. — D'altra parte, gli imperatori erano sa
lutati re dei Romani; cingevano la corona ferrea dei Lon
gobardi; avevano in Italia distribuiti feudi senza trovar
ostacoli, ed i decreti della dieta di Roncaglia (ii58) ac-
cordavan loro la pienezza dei diritti imperiali. Oltracciò
essi allega van l'atto preteso onde Ottone il Grande (963)
avrebbe ottenuto, per se e per li suoi successori , il pri
vilegio d'intervenire nella elezione dei papi. Né sdegna
vano essi omai l'appoggio delle tradizioni e delle dot
trine; e mentre si mostravano come i guardiani ed i
capi del feudalismo, si spacciavano per i continuatori
del vecchio impero romano, di cui invocavano le leggi,
rimesse in onore dai giureconsulti di Rologna. L'impe
ratore germanico e successore d'Augusto {semper An
gustivi) diventava a giusto titolo il padrone della ter
ra (1). — La questione delle investiture, prima tutta re
ligiosa, mise in lotta questi due sovrani poteri della cri
stianità nelle persone di Enrico IV e Gregorio VII. As
salito il pontefice dalle armi, .trovò un sostegno inaspetta
to in Welf \, duca di Baviera (1077). Welf II poi sposò
la contessa Matilde benefattrice della Chiesa. Quando Fe-
(1) Noi abbiamo un curioso monumento delle pretensioni della
monarchia, nella costituzione d' Enrico VII, inserito nel Corpus
juris civilii, e che comincia così: Ad reprimendum multorumja-
ciuora qui ruptis totius Jidelitatis habenis, adversus Romaiwm Im-
perium, in cujus tramprillitene totius orbis regularitas reipiictcit ,
/instili animo armati, conantur nettum h umana, verum edam di
vina praecepta, quibus jubetur quoti oi&ms anima Romasosvm
Principi sit svb«ecta, demoliri, ec.
DOCUMENTI aS5
derico Barbarossa, superando per la terza volta le Alpi,
minacciava di annientare di un colpo Alessandro 111, e la
Lega lombarda formata sotto i suoi auspicj , l'abbandono
d'Enrico il Lione alla battaglia di Legnano (1176) sal-
volli d'una perdita sicura ; e la riconoscenza d'Innocen
zo III sostenne il figliuolo di questo principe , Ottone IV,
nelle sue pretensioni al trono. In pari tempo , non re
starono i marchesi d'Este dal rendere colla loro fedeltà
rispettabile e caro alla parte papale il vecchio nome di
Welf. D'altra parte, la dominazione imperiale non sem
brò mai più sicura in Italia che sotto il regno degli Ho-
henstauffen, soprattutto quando entrò nella loro faini-
lia la corona di Sicilia pel matrimonio d'Enrico IV con
Costanza (1 190). Le insegne dei Weibling riunirono allora
i nemici della Santa Sede; e cosi, modificate conforme
alle analogie della lingua italiana, popolarizzaronsi le de
nominazioni di Guelfi e Ghibellini , che appropriate ai
difensori del sacerdozio e dell'impero, conservarono que
sta nuova significazione fino all'epoca in cui Federico II,
nell' orgoglio di sue vittorie, fu còlto dagli anatemi del
concilio di Lione (i245). Vinto anch' egli alla sua volta
il tiranno, perseguito da una fatalità vendicatrice, finì
a morire soffocato tra i guanciali per mano d'uno dei
suoi bastardi (i25o). Il trionfo del sacerdozio interruppe
per lunghi anni la lotta.
3. Ma si è già vista la monarchia del Santo Impero
rappresentarsi come il necessario compimento del sistema
feudale, le cui larghe basi coprivano quasi tutta la super
ficie d'Europa. Ora, la feudalità fondata oltr'Alpi dai Lom
bardi, che divisero in 36 ducati i loro possedimenti, for
tificata dalle concessioni dei feudi , di cui gli imperatori
non furono per niente avari , perpetuossi mercè la costitu
zione di Corrado il Salico che stabilì per sempre l'ere
dità dei beneficj militari. Tuttavolta queste istituzioni ve
nute dai popoli del Nord, non potevano incontrare fra gli
j56 PARTE IV.
Italiani un'intera simpatia. Conservavan essi la memoria e
gli avanzi del1' ordinamento municipale, introdotto al
tempo dei Romani in tutte le città della penisola. Ad e-
sempio delle città marittime per tempo affrancate, quelle
di Lombardia, di Romagna e della Toscana riclamarono
libertà che il principe vendette loro a prezzo d' oro.
Esse , trovando pio disinteressata protezione nella per
sona del sommo pontefice , si confederarono in potenti le
ghe, di cui era centro la Santa Sede, e che più d'una volta
difesero il suolo nazionale contro le invasioni dei Tede
schi. La pace di Costanza (i 1 83), effetto dei loro coraggio
si sforzi, assicurò loro il diritto di fortificarsi, di levar de
nari, di nominarsi dei magistrati, di far la guerra o la
pace , e le innalzò al grado di potenze indipendenti. Da
quel punto la nobiltà trovavasi impegnata al servizio della
monarchia, e combattè sotto la bandiera ghibellina' gli in
teressi popolari militavano in favore del papato, e con
tribuirono al predominio dei Guelfi. Quindi, finita la lotta
dei due poteri, spirituale e temporale, l'aristocrazia e
la democrazia restarono armate e vogliose di combat
tere da sola a sola • esse dovettero custodire le loro ban
diere e la parola d'ordine. La parte guelfa divenne quella
delle franchigie communali: la ghibellina, quella dei pri
vilegi feudali (i). Queste novelle discordie durarono la
seconda metà del tredicesimo secolo e si prolungarono
(i) Si può vedere nell'ammirabile discorso di papa Gregorio
a' Fiorentini qual fosse già (1273) la confusione delle parti e
l'incertezza del senso dei loro nomi: Gibellinus est; at Christia-
mtSj at civis , at proximus. Ergo haec tot et tam valida conjun-
ctionis nomina Gibellino succumbent ? .... et id unum atque inane
nomen (quod quid signifìcet nemo intelligit) plus valebit ad odium
quam ista omnia tam darà et tam solide expressa ad charitatem?...
Sed quoniain haec vestra partium studia pro Romanis pontijicibus
contra eorum inimicos suscepisse asseveratisj ego Iiomanus Ponti-
fex lws veslros cives, etsi hactenus qffenderint^ redeuntes tamen
ad gremium recepii ac» ismissis injuriisj pro Jìliis habeo.
DOC01WENTT 25.7
fino al decimoquarto ben inoltrato. Conservo dapprima
la democrazia le proprie conquiste: ma doveva ben pre
sto comprometterle co' suoi eccessi. I nobili furono col
piti d'incapacità politica nelle città di Bologna, di Bre
scia, di Padova (i285.i2C)5). Banditi dalla piazza publica ,
essi si chiusero nella minacciante solitudine dei loro pa
lazzi, e vi giurarono la perdita di quella libertà gelosa
che non era per essi. In grazia delle dissensioni intestine
suscitate per loro cura , fu loro facile l' impadronirsi
nuovamente del potere, e colranno i3oo, le republiche
videro sorgere nelle loro mura signorie ereditarie. Ma
i signori, la più parte dei quali s' erano dapprima in
trodotti sotto nome di podestà , di gonfalonieri , di ca
pitani del popolo, ritennero alcun che di quelle magi
strature municipali usurpate per velare la loro dispo
tica ambizione. Al di sotto di essi mantennero l' ugua
glianza, che consola i popoli nella loro schiavitù; al di
sopra, non riconoscevano alcun potere sovrano. Altro però
non restava di quell'ordine gerarchico che da sé solo co
stituiva tutta la feudalità; l'aristocrazia non aveva potuto
regnare se non per mezzo di una transazione, cioè a dire,
modificando le proprie leggi.
4> Fin qui noi abbiam seguito in mezzo alla mischia i
principi intorno a cui s'aggruppavano le passioni nemiche.
Egli è facile di presentire che le passioni, dopo essersi ag
guerrite in seguito ai principj, dovettero venire per propria
conto alle mani. Sotto gli interessi generali dell'aristocra
zia e della democrazia, s'agitavano gli interessi particolari
che dividevano fra loro le città, le borgate e le familie.
Ed erano Venezia contro Genova; Firenze contro Pisa; Pi
stoia contro Arezzo; erano i Caputeti ed i Montecchi a Ve
rona; a Bologna i Geremei ed i Lambertazzi; i Torriani ed
i Visconti a Milano; gli Orsini ed i Colonna a Roma; erano.
le guerre private, voglio dire l'assassinio, l'armamento
di tutti contro tutti , il ritorno al caos sociale. — Cosi
a58 PARTE IV.
stando le cose, non poteva essere un male piti grave l'in
tervento straniero; poteva anzi parere un benefizio. Ora,
tre grandi nazioni erano allora in grado di metter mano
negli affari d'Italia. Gli Alemanni oltre alla vicinanza ave
vano l'abitudine d'essere ricevuti come padroni insieme
coi loro imperatori. Ned erano punto lontani i France
si, mentre militavano per essi la popolarità della lin
gua e del carattere, e la memoria ancora recente di
s. Luigi. Per ultimo gli Arragonesi , il cui dominio
si stendeva dalle porte di Valenza fino a quelle di Mar
siglia, dovevano agognare l'impero del Mediterraneo
e per conseguenza delle spiaggie che ne formano il ba
cino. L'usurpazione del regno di Sicilia per parte di Man
fredi, figliuolo naturale di Federico II, fece sì che il papa
Urbano IV persistesse nell'esercizio del proprio diritto di
signoria su quella corona, e vi chiami» Carlo d'Angiò.
Capitano della Chiesa romana, vincitore di Manfredi e di
Corradino, gli ultimi dei Weibling, pareva che il prin
cipe angiovino continuasse l'opera degli antichi Guelfi;
e questo nome si estese agli amici di Francia e restò
loro anche dop'o il sacrilego attentato d'Anagni. Ma Cor
radino trovò un erede in Pietro d'Arragona, che fondò
dall'altra parte del faro una dinastia spagnnola (1282).
Trent'anni di poi, Enrico VII di Lussemburgo ricondusse
in Lombardia ed in Toscana le Aquile germaniche ( 1 3 1 1).
Tutti quelli che s'unirono alla loro fortuna, tutti quelli
cni riunì l'odio dei Francesi, ebbero nome di Ghibel
lini, ed il conservarono anche dopo che le loro schiere
si furono ingrossate della folla degli oppressi maledicenti
alla tirannia dei signori, e sognanti il ritorno delle isti
tuzioni republicane.
Cos\ nel corso di un secolo queste due magiche pa
role di Guelfi e Ghibellini , ebbero quattro successive si
gnificazioni. L'Italia le tolse dalle contese domestiche del-
l'Allemagna. Allora si applicarono ai difensori del sacer
dozio e dell' impero; si ridussero poi ad una parte più
DOCUMENTI »59
umile nella lotta dei communi contro il sistema feudale,
e giunsero da ultimo ad indicare perfino gli imprudenti
alleati della dominazione straniera. Per somma sciagura
della penisola, quest'ultimo significato fu il più durevole(i).
»•
E però, se noi vogliamo determinare il posto di Dante
in mezzo ai tumulti politici che abbiamo accennati, ba
sterà l' interrogare le sue azioni ed i suoi scritti. <;
i. Il futuro esule di Firenze « dormiva ancora, pic
colo agnello, nell'ovile della patria »; egli toccava appena
il suo quarto anno, quando con Corradino s'estinse la
familia imperiale degli Hoheristauffen (1368). L'antica
rivalità di questi principi e dei duchi di Baviera non era
più dunque che una ricordanza istorica. Le lotte secolari
della monarchia e del papato, già terminate sul campi
di battaglia, non si trattavan più che dalle cattedre dei
canonisti e dei giureconsulti. Al contrario, i due principj
municipale e feudale, padroni del campo, riunivano gli uni
a fronte degli altri i Guelfi edi Ghibellini di Toscana. Il gio
vine Alighieri testimonio di questi scontri, vi dovette prender
parte, e servì alla causa popolare. Per essa portò le armi
a Campaldino: per essa esercitò le funzioni d'ambascia-
dore all'estero, mentre Giano della Bella pretendeva .colle
sue riforme di rassodarla nel paese. Ma i rigori di questo
inflessibile tribuno urtarono le familie nobili rimaste fi
no allora fedeli alla parte guelfa , associate agli interessi
(1) In questo sommario della storia d'Italia al xm secolo, noi
abbiam seguita la scorta di Dante stesso, Guido Compagni, Ma
chiavelli, Sismondo Sismondi, e Rainaldo continuatore del Baro
nie Per maggiori notizie si può vedere un articolo inserito nel
N.° d'ottobre i838 dell' Universitè catholique. La disputa del sa
cerdozio e dell* impero é stata oggetto d'un esame speciale nel no
stro opuscolo Deux chanceliers d'Angleterre (Parigi, Debéeourt),
seconda parte, S. Tomaso di Cantorbery.
160 PARTE IV.
communi della città. Fecesi in loro favore ima reazione y
e Giano della Bella fu bandito (1294). Verso lo stesso
tempo, gli abitanti di Pistoja, avviluppatisi nelle discor
die intestine d'una familia potente della loro città, eransi
alla lor volta divisi sotto i nomi di Neri e di Bianchi. I
capi delle due parti mandati a Firenze, vi portarono
ciò che ancora mancava, nuove denominazioni per le
fazioni novelle. Il color bianco fu dei popolani, il nero
pei patrizj. La mediazione del cardinal d'Acquasparta,
legato di Bonifacio Vili , fallì contro la pertinacia dei
sediziosi. Infine, il sangue era già sparso quando Dante
fu nominato uno de' sei priori cui per due mesi era af
fidato il governo supremo (i5 giugno i3oo). Per opera
de' suoi consigli , i capi de' Bianchi e de' Neri furono
confinati. I primi ottennero un pronto richiamo ; i se
condi, meno fortunati, inviarono come deputati a Ro
ma uno dei loro per reclamare giustizia. Dante ebbe
1' incarico di combattere presso la Santa Sede queste
mene pericolose; ma Bonifazio Vili aveva già invitato
Carlo di Valois , fratello di Filippo il Bello, a ricon
quistar la Sicilia invasa dagli Arragonesi ; e in pari
tempo l'aveva incaricato di ristabilire in passando la
pace in Italia, accordandogli il doppio titolo di capitano
della Chiesa e di paciere. 11 \ novembre i3oi, Carlo di
Valois fece il suo solenne ingresso in Firenze; ma infe
dele alla sua gloriosa missione, egli lasciò entrare con lui
i Neri , e con essi la vendetta e il disordine. I Bianchi
vennero esiliati in numero di 600; e due successive sen
tenze date da un giudice prevaricatore, condannarono
Dante per contumacia ad una multa di5ooo lire, al bando
ed alla pena del fuoco ( 27 geunajo e io marzo i3o2) (1).
(1) La seconda sentenza d'esilio contro Dante, rimasta gran
tempo inedita , fu publicata dal Tiraboschi ( tom. V, p. 720, edii.
de' Class. Ital. ). Ci sembra prezzo dell'opera il riprodurla qual sin
golare monumento di barbarie politica e letteraria: uNos Conte de
DOCUMENTI v
— Da qui ne venne per ambedue le parti una notevole
trasformazione. I vincitori, campioni della nobiltà e di-
GabrieUibusde Eugubio Potestas civitatis Florentie infrascriptam con-
demnationis summam damus ac proferimus in lume modum.—D. Art-
dream de Gherardinis, D. Lapum Salterelli Judicem, D. Palmerium
de Altovilis, D. Donatum Albertwn de Sextu Porte Domus, Lapum
Dominici de Sextu Ultrarni, Lapum Blondum de Sextu Sancii Petri
Majoris , Gherardinum Diodati populi Sanati Martini Episcopi ,
Cursum Domini Alberti /Ustori, Junctam de Biffolis , Lippam Bec
chi, Djìstem Ai. ichib.hu , Orlanduccium Orlandi, Ser Simonem
Guidalotti de Sextu Ultrarni, Ser Ghuccium Medicum de Sextu Por'
te Domus, Guidonem Brunum de Falconeris de Sextu Soncti Pe
tri. — Cantra quos processimus et per inquisitionem ex nostro of
ficio et curie nostrefuctam super eo et ex eo quod ad aures no-
stras et ipsius curie nostre pervenerit, fama publica precedente,
quod cum ipsi et eorum quilibet nomine et occasione Baracteriarum
iniquarum , extorsionum et illieitortini lucrorum fuerint condanna
ti, ut in ipsis condemnationibus docetur apertius, condemnationes
easdem ipsi vel eorum aliqui termino assignato non solverint. Qui
omnes et singuli per nuntium communis Florentie citati et requi
siti fuerunt legiptime, ut cerio termino j'am elapso, mandatis no-
stris parituri venire deberent, et se a premissa inquisitane proti-
ìms excusarent. Qui non venientes per clarum durissimi publicum
Bapnitorem postasse in bapnum communis Florentie subscriterunt
(sic), in quod incurrentes eosdem absentis (sic) contumacia innoda-
vitj ut lue omnia nostre curie latius acta teneni. Jpsos et ipso-
rum quemlibet ideo habitos ex ipsorum contumacia pro confessis j
seciindum fura statutorum et ordinamentorum communis et populi
civitalis Florentie, et ex vigore nostri arbitrii, et ornili modo et
jure, quibus melius possumus, ut si quis predictorum ullo tempore
in farliam dicti communis pervenerit , talis perveniens igne combv-
ratuh sic quod moriatur, in hiis scrìptis sententialiter condemna- ,
mus. — Lata, pronuntiata et promulgata fuit dieta condemnationis
summa per dictum Cantem Potestatem predictum pro tribunali se-
dentem in Consilio generali civitatis Florentie, et lectum per me Ho
norum Notarium supradictum, sub anno Domini mcccu, Indictio-
ne xr, tempore Domini Bonifatii Pape Vili, Die x mensis Mar-
tu' , presentibus testibus Ser Masio de Eugubio, Ser Bernardo de
Camerino, Notarili dicti Domini Potestatis , et pluribus aliis in co-
dem Consilio existentibus.
96, PARTE IV.
seriori dell'antica parte guelfa, ne conservarono però
il titoloche giustificarono colla loro alleanza coi principi
francesi. Difatti essi brigarono l'amicizia di Roberto di
Napoli, da cui in varie riprese ebbero soccorsi d'uomini
e di denaro (i3o8-i3ii), sollecitarono la di lui presenza
nella loro città, ( i3o4-i3io) , e finirono col decretar
gli per cinque anni gli onori della signoria (i3i3). Dal
canto loro i vinti, obedendo a quell'inevitabile simpatia
che nasce dalla communanza d'infortunio, s'unirono coi
•vìnti d'altro tempo, e si confusero nelle file della parte
ghibellina, dove fra le ricordanze dell'impero e il rimpian
to della feudalità, dominava sopratutto l'odio contro la
Francia. Dante dapprima segui i suoi compagni d'esilio, e
prese parte al loro infruttuoso tentativo (i3o4) per farsi
riaprire a mano armata le porte della patria. Stanco di
poi del loro sconcertamento e dei loro njalcondotti di
segni , tornò nell'inazione, da cui non uscì che all'avve
nimento dell'imperatore Enrico VII ( i3io), per scrivere
un eloquente manifesto in favore di quel principe e per
richiamare contro Firenze le sue armi vittoriose. Lettera
per sempre deplorabile, e che lascerebbe una macchia in
cancellabile nella vita del poeta se non l'avesse in qualche
modo purgata coll'epistola patriotica che inviò poco di
poi ai cardinali perchè eleggessero un papa italiano ( 1 3 1 4.).
In questo lasso di tempo egli aveva usato le case dei
più nobili difensori della causa ghibellina, ed era dive
nuto l'amico di Uguccione della Faggiuola, di Malaspina
della Lunigiana e di Can Grande della Scala. Ma le fiere
abitudini di queste potenti familie gli resero talvolta pe
nosa l'ospitalità che ne ricevette. Egli la trovò più dolce
presso due illustri guelfi , Pagano della Torre , patriarca
d'Aquilea, e Guido Novello, signor di Ravenna fra le cui
braccia egli doveva morire. Le affezioni de' suoi ultimi
anni, venivano facilmente a rannodarsi alle prime ami
cizie di sua gioventù (i).
Ci) Molti storici fecero cadere sulla Santa Sede la risponsabilitk
DOCUMENTI a63
2. Questi fatti saranno interamente spiegati se si vor
ranno avvicinare alle dottrine di cui sono V espressione.
delle sciagure che desolarono Firenze durante il deplorabile periodo
dà noi qui sopra descritto. Ma se la politica dei papi si deve giu
dicare dai loro atti, non può sorgere dubbio intorno alle loro
intenzioni conciliatrici; basti lo scorrere la Cronaca del Villani,
che su questo riguardo non è contraddetta da alcun autore con
temporaneo. — 1273. Il papa Gregorio X portandosi al secondo
concilio di Lione, passa per Firenze e sollecita dai Guelfi una gene
rale amnistia in favore dei Ghibellini, e per il loro rifiuto mette
la città all' interdetto. — 1275. Nuovi tentativi dello stesso ponte-:
fice per il ristabilimento della pace. — 1277. Nicolao III manda in
Toscana il cardinal Latini per riprendere le interrotte negoziazioni;
riconciliazione generale, ammissione dei Ghibellini ai publici im
pieghi i3oo. Prima legazione del cardinal d'Acquasparta., inca
ricato da Bonifacio VIli di prevenire le collisioni dei Neri e dei
Bianchi.— i3oi.Lo stesso cardinale, legato la seconda volta di Boni
facio VIli , corre a Firenze per mettere freno ai disordini che ave
vano accompagnato l'entrata di Carlo di Valois.— 1 3o4. Benedetto XI
affida al cardinal Prato la cura di ricondurre in patria i Bianchi
esiliati; il cardinale non può vincere la pertinacia della fazione
vittoriosa, e pronuncia contro di essa la scommunica.— i3o7.Nuova
e sempre inutile mediazione del cardinale Napoleone Orsini, legato
di papa Clemente V. ec. ec. — Ecco le ultime righe della lettera
pontificale che conferiva al cardinal d' Acquasparta la sua se
conda missione : « Ut haec salubrius et efficacius impleantur cum
quiete et pace, te, de cujus legalitate, bonitate, circumspectione, et
experientid matura confidimus, ad partes easdem providimus desti
nare, in eadem provincia nostra tibi aucloritate concessdj per cu
jus dictus Comes ( Valesensis ) favorem protectus, directus Consilio,
et maturitate adjulus, commissum sibi officìum juxta divinum bene-
placitum et nostrum, cum moderatione ac mensurd tranquillius et uti-
lius possit debitae executioni mandare. Quocircafralernitatem tuam
rogamus, monemus et hortamur attente per apostolica tibi prcecepta
mandantes quatenus celeriter te accingens, et ad partes illas per-
sonaliter Jestinus accedas,.... et tam tu quam ipse vestra studia con-
vertalis ad seminandum .scmen charitatis et pacis, ut sedatis guer-
rarum et dissensionum turbinibus, qui nimis invaluerunt ibidem, pro
vincia ipsa, tot impulsibus agitata j quasi post noetis tenebras , Jlo-
ridum dici lumen aspiciat....
i64 PARTE IV.
E primamente, Dante non si abbandonò mai a quel cullo
entusiasta che rendevano i suoi vecchi partigiani alla casa
di Hohenstauffen. Egli infamò col meritato nome d'ere
tico l'imperatore Federico II, e lo diede agli eterni mar
tiri insieme co' suoi più celebri complici, il cardinale Ot
taviano, Pier dalle Vigne ed Ezzellioo da Romano. — Per
certo egli costituissi l'apologista del santo impero: se ne
fece d'un tratto lo storico, il giureconsulto, ed anche il
teologo; ma la sua dottrina non è quella dei servili pu-
blicisti, la monarchia ch'egli s'intende non è il dispo
tismo d'un capo militare, rappresentante supremo del si
stema feudale, riunente nel suo dominio le contrade al
tre volte conquistate dalla spada germanica; essa è una
sovranità pacifica, civilizzatrice, universale: instituita nel
l'interesse di tutti, essa conserva la libertà di ciascuno; ap
piana le inuguaglianze tendenti a distruggere il livello gene
rale; essa infine non pretende alcun dritto sul foro interiore
delle coscienze, né sulla costituzione esterna della Chie
sa. La Chiesa, in quelle vece é riconosciuta come una po
tenza distinta, d'origine divina, inviolabile nelle proprie
funzioni; il sacerdozio e l'impero, indipendenti l'un dall'altro
nelle loro rispettive attribuzioni, sono l'un all'altro subor
dinati nei loro rapporti: il pontefice è il vassallo temporale
di Cesare; ma l'imperatore è pecora spirituale di s. Pie
tro. Così in questa celebre contesa che già da quasi 3oo
anni divideva i dottori e gli uomini di stato, il poeta filo
sofo tentava la diffidi parte di conciliatore (i). D'altra par
te egli attaccava con una logica violenta i privilegi della
(i) Noi sappiamo che gli andò fallito questo onorevole disegno.
Il trattato de Monarchia dovette esser colpito dalle censure ec
clesiastiche. Difatti, un sistema che stabiliva la sovranità assoluta
del principe nell'ordine temporale, che l'affrancava da ogni cen
sura e non lo faceva soggetto ad alcun tribunale terreno, che ne
gava al pontefice la facoltà di sciogliere i sudditi del giuramento
di fedeltà, non era egli pericoloso ai popoli, in tempi ancor ti
vicini a Federico II ed a Filippo il Bello ?
DOCUMENTI i65
feudalità, l'eredità delle funzioni e quella stessa dei be
ni. Mentre che si piaceva di marchiare le signorie na
scenti , non poteva contenere l' effusione del proprio
amor filiale verso la libera città che l'aveva proscritto.
Ma era dessa la vecchia Firenze con la gravila del suo
governo, la severa innocenza de' suoi costumi, la vita
felice e riposata del suo popolo; era là quella patria ideale
di cui conservava in cuore la cara imagine in mezzo alle
più desolanti realtà. Ei faceva poco conto degli uomini
nuovi e delle nuove istituzioni; la corruzione del vec
chio sangue fiorentino per opera degli stranieri; l'ir
ruzione nelle magistrature di gente d'un tratto cresciuta
a grandezza; l'instabilità delle leggi, la foga della mol
titudine a voler immischiarsi nel maneggio dei publici
affari , tutte queste condizioni inseparabili della de
mocrazia diventavano per lui soggetto di incessanti la
menti e di sarcasmi senza pietà. Uscito egli stesso da no
bile familia , conservava in fondo del cuore istinti ca
vallereschi e indole patrizia, che spesso fa travedere nel
suo poema un singolare contrasto col radicalismo ragio
nato de' suoi scrini filosofici (i). — Infine s'egli si mo
strò il nemico dei Francesi, fu per un motivo che torna
a di lui giustificazione ed a nostro onore. Egli aveva me
ravigliosamente còlto quel tratto distintivo del nostro ca
rattere nazionale, quella tendenza espansiva che in tutti
i tempi portò troppo lungi al di fuori le nostre armi e
le nostre idee, e che sempre minacciò l'indipendenza po-
(i) Vedi qui sopra pag. 162 e tutto il libro IV del Convito,
non che i passi seguenti: Inferno, XV, aij Purgatorio, VI, 44; Pa
radiso, XVI, i, 17. Qui non bisogna dire con Foscolo (la Comedia
di Dante illustrata) che il Convito, scritto nell'amarezza dell'esi
lio, chiuda alcune pagine in adulazione alla parte guelfa per farsi
riaprire le porte della patria. La canzone spiegata al libro IV del
Convito, è lavoro della gioventù del poeta; il Commentario fu com
posto fra il i3o2 ed il i3o8. Vi è dunque là una seria convinzione
due volte manifestata sotto forme diverse.
Ozakam. Dante. iS
a66 PARTE IV.
litica e morale dei nostri vicini. Ei vedeva, nel corso del
tredicesimo secolo, le cinque corone di Gerusalemme e di
Costantinopoli, d'Inghilterra, di Sicilia e di Navarro, poste
con varie fortune sulla testa dei nostri guerrieri e dei no
stri principi (i). Egli si spaventò di tanta gloria e segnalò
alla diffidenza dei contemporanei questo tronco reale dei
Capetingi i cui rami gettavano la loro ombra usurpatrice
su tutta intera la cristianità (3). Il suo geloso patriotismo si
sdegnava specialmente delle imprese che compromettevano
la libertà italiana, come sarebbero la conquista di Napoli,
il ratto di Bonifacio Vili, la traslazione della Santa Sede
al di là dell'Alpi. In vista di tali ripetute aggressioni, se
invocò la potenza imperiale, se salutò con sue lodi l'ap
parizione d'Enrico VII, non ismenti per questo la propria
antipatìa verso la dominazione straniera, e non pensò di
riconoscere nei Tedeschi quel diritto che rifiutava ai loro
rivali d'oltre-Reno. Ei professava del pari poco rispetto
per questa grave nazione, ed odiava la ghiottoneria te
desca non meno che la francese vanità (3). Ma, fedele
ai suoi principj, considerava egli nella persona dell'im
peratore il capo dell'umana familia, non d'un popolo
isolato; il re dei Romani , re essi medesimi del mondo;
quindi il naturale protettore d'Italia. Ecco perchè l'in
vitava a visitare « questo giardino dell' impero desolato
dalla guerra, a finir la vedovanza di questa nobile sposa
che notte e giorno piangeva il suo abbandono ».
Dante così, per il suo rispetto verso la Chiesa e i si
stematici assalti contro la feudalità, inclinava alla par
te guelfa; le teorie monarchiche di cui faceva professione
(1) Baldovino, «conte delle Fiandre, imperatore di Costantino
poli ( 12i4 ); Gio. di Bricnne, re di Gerusalemme ( 1209): Luigi
viu, chiamato al trono d'Inghilterra dai baroni ribellati (121 5);
Carlo d'Angiò, re di Sicilia (1265); Filippo il Bello, erede della
Navarra ( 1284 ).
(2) Purgatorio, XX, i5.
(3) Inferno, XVII, 7; XXIX, 4i.
DOCUMENTI 567
e le inimicizie che nutriva contro la Francia, l'avvicina
vano ai Ghibellini. Ma l'effetto di queste diverse tendenze
non fu quello di trascinarlo a volta a volta nei due sensi
opposti; egli seguì la linea risultante dalla loro simulta
nea azione. Irresoluto disertore, egli non errò fra i due
campi rivali; piantò la propria tenda sur un terreno in
dipendente non per tenersi in una indifferente neutrali
tà , ma per combattere solo colla potenza del suo genio. E
quando le fazioni sembravano invilupparlo nei loro tu
multuosi movimenti e renderlo mallevadore dei loro de
litti, egli protestava altamente contro di esse; le sue severe
parole discendevano come alterni colpi d'una mazza in
faticabile sulla testa degli autori e dei compagni di suo
esilio, sui Neri ed i Bianchi, sui Ghibellini ed i Guelfi (i).
Egli non temette di moltiplicare fra i contemporanei il nu
mero dei proprj nemici, onde conservare il suo nome puro
da ogni alleanza umiliante agli occhi della posterità. —
La posterità ba delusa per gran tempo questa legittima
speranza; ma l'attuale progresso degli studj storici lascie-
tebbe inescusato il pregiudizio volgare. E giunta l'ora di
rendere al vecchio Alighieri quella ambita testimonianza
ch'egli si fece rendere prima dall'avolo Cacciaguida nella
meravigliosa conferenza descritta nel Paradiso ; non aver
egli confusa la propria causa con quella d'una razza em
pia, ed aver avuta la gloria di crearsi una parte speciale
a lui stesso, a lui solo:
A te fia bello
Averti fatta parte per te stesso (a).
(1) Paradiso, VI, 34; XVII, 31.
(2) Paradiso, XVII, a3.
II. BEATRICE. — dell' influenza delle donne nella società
CRISTIANA, E DEL SIMBOLISMO CATTOLICO NELLE ARTI,
SANTA LUCIA, LA BEATA VERGINE.
Il personaggio di Beatrice ha esercitata spesso la pe
netrazione dei biografi e dei commentatori. Per alcuni,
essa è una semplice fanciulla amata d'amor umano e facile
a confondersi tra la moltitudine di quelle graziose donzelle '
che noi vediamo celebrate nei canti elegiaci di tutti i paesi
e di tutti i tempi. Per altri, è una creatura allegorica,
riproducente sotto tratti sensibili un'idea astratta, che po
trebbe essere, secondo le varie interpretazioni, la Teo
logia, la Grazia o la Libertà. Molti infine attribuiscono
alla bella Fiorentina un doppio ufficio, reale nella vita
del poeta, figurativo nella favola del poema. Tenendoci
a quest'ultimo avviso, noi non abbiam fatto altro che
indicare incompletamente le nostre prove J ora è d'uopo
di svolgerle con maggior estensione e ricondurle ad al
cune nozioni generali che ci potranno forse somministrare
nuovi lumi. Cosi una compendiosa estimazione dell'in
fluenza ottenuta dalle donne nella società cristiana ci la
scerà comprendere ciò che per Dante fu Beatrice ; e d'al
tra parte, il rapido esame degli aiuti che ebbero le arti
dalla teologia cattolica ci lascerà facilmente presentire
ciò che potè far Dante per Beatrice.
I.
I. La condizione delle donne dell'antichità sembrava
legarsi ad una tradizione primitiva raccolta nei libri
della China e della Grecia non meno che in quelli della
Giudea: « La compagna dell'uomo esser divenuta la di
lui tentatrice ed esser per lei entrato il male nel mondo ».
Bisognò che l'anatema cadesse più grave sulla testa di
colei che l'aveva provocato. Essa fu dunque esclusa dalla
PARTE IV. DOCUMENTI »ff9
società civile le cui leggi la colpivano dT incapacità
perpetua; rilegata agli ultimi gradi della familia, avvi
lita nella persona con la cattività, la poligamia ed il di
vorzio; ridotta a non esser più che schiava e roba del
l'uomo. Quindi, allorché essa cercava di francarsi da
questo crudele destino e sforzava le porte della prigione
domestica, e che, dispiegando le sue attrattive, credeva
di soggiogare alla sua volta i guerrieri , i filosofi e
gli artisti , non riusciva che a degradarli con sé stes
sa; fatta padrona, in questo titolo trovava un'onta di
più; essa allora veniva chiamata Elena, Aspasia o Frine.
Di mezzo alla schiavitù e a questo colpevole imperio non
v'era asilo per lei che all'ombra dei templi e sotto il
velo della virginità, fra le sacerdotesse e le vestali. E
chi potrebbe dire se anche là non si rivelasse qualche ricor
danza tradizionale dell' oracolo che faceva intervenire
una vergine alla futura redenzione dell'universo?
E per verità, mentre il Cristianesimo restaurava tutto
intero il genere umano col dogma dell' incarnazione,
con quello della maternità divina rilevò le donne dal loro
obbrobrio speciale. E quantunque esso non abbia distrut
to, né per loro né per noi, le materiali conseguenze della
caduta, ne riparò le sciagure morali. Infatti, era impos
sibile nella religione il disconoscere l'ineguaglianza dei ses
si; ma fu nel diritto professata l'uguaglianza delle anime.
La fragilità delle figlie d'Eva avrebbe piegato sotto il
carico sacerdotale; ma esse partecipRrono alla potenza
della preghiera ed agli onori della virtù. Elleno furono
portate sugli altari e dinnanzi alle loro imagini s' inginoc
chiarono i pontefici circondati da tutte le pompe liturgi
che. Nella città, rimanevano estranee alle cure ed ai pericoli
del potere ; ma godettero di tutte le libertà civili. Esse
formarono i costumi che sono più che le leggi; ebbero
l'iniziativa dell' educazione da cui dipende l'avvenire dei
popoli; venne loro accordata la santa magistratura della
limosina; e il loro dominio abbracciò l'infanzia, il dolore
a3*
xjo PARTE IV.
e la povertà, che è quanto dire la maggior parte delle
cose umane. Gli stessi cambiamenti avvennero nella fami»
lia. La madre sedette regina al focolare de' suoi figliuo
li: la sposa fu incaricata d'un pietoso apostolato ai fian
chi del suo sposo: le sorelle diventarono gli angeli tu
telari dei loro fratelli. Fin in fondo dell'isolamento a cui
le poteva condannare la sventura o la penitenza, queste
fragili creature conservaron non solo la loro dignità per
sonale, ma, se si può dire, il loro valore sociale. Esse
poteron dare il dolce nome di figlio al neonato che ave-
van portato fra le loro braccia alle fonti dell' espiazione ;
esse trovarono nel sacerdote un padre che asciugò le
loro lagrime. La fede le univa coi legami d'una vera
fraternità, con un coutinovo commercio, a milioni di cre
denti.
Si direbbe dunque che da quel punto niente si dovette
fare di grande in seno alla Chiesa, senza che una donna vi
prendesse parte. E primieramente, molte di esse discesero
negli anfiteatri coi martiri; altre disputarono agli anacoreti
la stanza del deserto. Poco di poi Costantino inalberò
il Labaro sul Campidoglio e s. Elena innalzò la croce
sulle rovine di Gerusalemme. Clodoveo a Tolbiac invocò
il Dio di Clotilde. Nel medesimo tempo le lagrime di Mo
nica redimevano gli errori d'Agostino : Gerolamo dedicava
la Volgata alla pietà di due dame romane, Paola ed Eu-
stochia ; s. Basilio e s. Benedetto, i primi legislatori della
vita cenobitica in Oriente erano secondati dalla cooperazione
delle loro sorelle Macrina e Scolastica. Più tardi, la con
tessa Matilde sostiene con la sue caste mani il trono va
cillante di Gregorio VII; la saggessa della regina Bianca
domina il regno di s. Luigi; Giovanna d'Arco salva la
Francia \ Isabella di Castiglia presiede alla scoperta del
nuovo mondo. In ultimo si vede, in età più vicina,
s. Teresa mischiarsi a quei vescovi, dottori, fondatori
d'ordini, pei quali s'operò la riforma interiore della
società cattolica : s. Francesco di Sales coltiva l'anima
DOCUMENTI a?l
di madama di Chantal come un fiore prediletto ; e s. Vin
cenzo da Paola confida a Luigia di Marillac il suo di
segno più ammirabile, la fondazione delle figlie della
Carità.
2. Fin qui noi abbiam veduto l'influenza delle donne
cristiane esercitarsi coperta da ogni sospetto entro l'in
flessibile circolo del dovere. Ora essa si mostrerà sotto
forme meno austere, modificata secondo il bisogno delle
circostanze, ed anche docile qualche volta alle esigenze
delle passioni umane per dirigerne gli slanci pericolosi.
E agevole il riconoscere qualche cosa di simile a ciò nei
costumi cavallereschi del medio evo prima che fossero
degenerati in una insignificante o colpevole galanteria. Sul
principio la cavalleria era un' istituzione sacra, un ordine
che obligava i suoi professi a voti solenni , ad infinite
osservanze. In ricompensa, essi ricevevano la missione
delle battaglie, divenivano quaggiù i ministri del Dio
forte, e dovevano verificare fra le indomite popolazioni
l'idea eterna del Bene. Difensori d'ogni genere di debo
lezza, protessero con zelo maggiore quella che si presenta
va sotto i tratti più commoventi ; la vedova spogliata, la
sposa tradita, l'orfanella esposta alle violenze di sleale
signore, l'accusata la cui innocenza reclamava un difen
sore. Fra queste belle clienti, spesso ve n'era una che
fissava la preferenza del paladino; ma era dessa , ora
un'illustre principessa verso la quale non si sarebbe osato
levare gli occhi; ora una sconosciuta di cui mai non si era
appreso il nome; allora uno sguardo, un sorriso ricom
pensavano i loro lunghi servigi. E tuttavia, questa rispet
tosa tenerezza, sentimento sì delicato che si crederebbe
di avvilirlo chiamandolo con nome più profano , agiva
potentemente sul cuore. Certo che non rinnovava tutto
il barbaro sangue che vi circolava ancora, ma ne cal
mava il bollore. L'orgoglio militare s'umiliava; il me
stiere delle armi si nobilitava per una ragione disinteres.
n* PARTE IV.
sata: gli istinti sensuali si dissipavano alla voce dell'o
nore, l'onore, virile modestia che vietava ai valorosi ogni
cosa che potesse far arrossire la fronte della loro dama.
Ed essi non la chiamavano invano la signora dei loro
pensieri; presente alla loro memoria, li faceva trionfare di
frequente su loro stessi , ed a più forte ragione sui loro
nemici. Più d'una nobile castellana dal fondo del pro
prio oratorio contribuì in questa maniera a ricondurre
la disciplina negli eserciti efors'anco la" vittoria sui campi
di battaglia.
Ma la cavalleria poteva considerarsi ben anco come
una publica istituzione che formava il primo grado della
gerarchia feudale: sotto questo riguardo essa non ottenne
in Italia che una dubbia popolarità. Quando fu pronun
ciato in molte città l'ostracismo contro le familie no
bili, sotto questo nome vennero comprese anche quelle
che contavano un cavaliero. La sola distinzione per
sonale cui potesse aspirare l'ambizione dei cittadini in
mezzo all'uguaglianza commune ; la sola gloria nazionale
che dovesse restar esclusiva all'Italia fra i popoli d'Eu
ropa, era quella delle arti. L'arte diventa pure, per
quelli che vi si dedicano con fede, un ministero augu
sto: loro missione è quella di cercare in mezzo al caos
della natura decaduta, gli avanzi dispersi d'un disegno
primordiale, di riproduci quindi in nuove opere; di com
prendere ed esprimere l'idea divina del Bello. Ora, fra
tutte le opere di Dio, ve ne fu una che sembrò coro
nare tutte le altre, che abbellì la solitudine dell'Eden
ed incantò il primo padre al suo primo svegliarsi. 11 me
raviglioso incanto da lui allora provato , non cessò
di farsi sentire nell'anima de' suoi figliuoli. Ma la com-
mune degli uomini non apprezza la beltà che dal lato
sensibile, e non le si avvicina che per fuggitive unioni,
da cui nascerà una posterità condannata a morire. L'ar
tista invece la scopre dal lato intellettuale; egli vede in
essa un riflesso d'un raggio dall'alto; le tien dietro e
DOCUMENTI a73
la possiede con la contemplazione ; e nella sua estasi fe
conda, crea produzioni immortali. Ecco ciò che fu chia
mato l'amor platonico; Platone ne aveva scritta la teo
ria nei libri del Fedro e del Convivio. Ma la perversità
del mondo pagano non permise l'applicazione di queste
dottrine. — La società cattolica nel xiii secolo presen
tava condizioni più favorevoli. Già si levava un concerto
di voci poetiche dalle rive dell'Adige al faro di Messina.
In mezzo alle montagne dell'Umbria s. Francesco d'As
sisi improvvisava inni, in cui la sua ardente carità si
versava fin sulle più umili creature ; il Beato Gia
como da Todi componeva canti religiosi nella sua pri
gione; e fuori del chiostro una maggiore libertà auto
rizzava Guitton d'Arezzo a celebrare a quando a quando
la Regina degli angeli e le figliuole degli uomini. Guido
Cavalcanti componeva la famosa canzone che definisce
la natura dell'amore, e il cui pensiero tutto filosofico
attirò l'attenzione dei dottori. Le rime di Dante da Ma-
jano si guadagnarono il cuore di Nina la Siciliana eh' e-
gli non vide giammai. Subito poi doveva levarsi la
stella di Petrarca. — Tale fu l'epoca cui si riferisce la
seguente narrazione; è l'introduzione della Vita Nuova
prima opera di Dante, e forse la prefazione della Divina
Comedia.
3. a Nove fiate già appresso al mio nascimento era tor
nato lo cielo della luce quasi ad un medesimo punto, quan
to alla sua propria girazione: quando alli miei occhi ap
parve prima la gloriosa Donna della mia mente , la quale
fu chiamata da molti Beatrice, i quali non sapevano che
si chiamare. Ella era già in questa vita stata tanto, che nel
suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d' O-
rieute delle dodici parti 1' una d'un grado: sì che quasi
dal principio del suo anno nono apparve a me , e la vidi
quasi dalla fine del mio anno nono. Ella parvenu vestita
d'un nobilissimo colore umile ed onesto sanguigno, cinta
e ornata alla guisa che alla sua giovanissima etade si con-
venfa. In quel punto dico veracemente che lo spirito della
vita, il quale dimora nella segretissima camera del cuore,
cominciò a tremare sì fortemente che apparta ne' me
nomi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole:
Ecce Deus fortior me qui veniens dominabitur mihi. In
quel punto lo spirito animale , il quale dimora nell'alta ca
mera nella quale tutti gli spiriti sensitivi portano le loro
protezioni , si cominciò a maravigliare molto, e parlando
specialmente a gli spiriti del viso, disse queste parole: Ap
panni jam beatilulo vestra. In quel punto lo spirito natu
rale, il quale dimora in quella parte ove si mostra il nutri
mento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse que
ste parole: Heu mixer! quiafrequenler impedilus ero dein-
ceps. Da ind' innanzi dico che amore signoreggiò l'anima
mia, la quale fu sì tosto a lui disponsata... Ed avvegna
che la sua imagine, la quale continuamente meco stava,
fosse baldanza d'amore a signoreggiar me \ tuttavia era di
sì nobilissima virtù che nulla volta sofferse che amore mi
reggesse senza il fedele consiglio della ragione » (i).
(i) Le espressioni scientifiche prodigate in questa prima pagina
della Vita Nuova , non devono assolutamente essere considerate
come lo sfoggio d' inutile dottrina. Per lo contrario bisogna ricono-
«cere il mistico valore che il poeta attaccava alle emozioni della pro
pria fanciullezza , la sua sollecitudine a respingere le apparenze d'un
amore vulgare, il desiderio infine di render più solenne l'appa
rizione di Beatrice. — 1)' altra parte diventa impossibile il ridurre
la donna di questo nome ad una parte esclusiva d idea astratta,
con tante indicazioni precise. Un5 idea astratta a nove anni! La. teo
logia uscente dalle fasce appena, alxm secolo dell'era cristiana! Boc
caccio (Vita di Vaine) narrò il momento del primo vedersi Ira i due
fanciulli j e benvenuto da Imola ne ha riportati i principali tratti :
ci quum quidam Fulcus fortiuarius , honorabUÙ tivù FlorentÙBj
de more J'aceret celebrati convivium Catendis majij convocatis vi-
ciuis cum dominabus eorum , Vantes , tuuc puerulus ix annorum,
sequutus patrem suum Aldiglicrium qui erat unus e numero con-
vivarum , vidil a casu iiUer alias puellas puellulam filiarn prcefaù
DOCUMENTI s75
A datare da questo giorno maggio 1274), Dante
segue la storia della sua vita interiore e ci fa assistere
allo svolgimento simultaneo della sua coscienza e del suo
genio. — Beatrice era per lui un tipo di perfezione, una
cosa celeste cui bisognava arrivare liberandosi dal fango
delle affezioni viziose, elevandosi collo sforzo sostenuto
da una instancabile volontà. Ancor fanciullo, una voce se
greta lo spinse di sovente a visitar la casa vicina in cui
cresceva la giovinetta; e sempre se ne partì migliore. Più
tardi, all'età delle passioni, in mezzo alle violenze d' un
temperamento impetuoso, in mezzo agli esempi di tanta
gioventù dissoluta che non si arrestava tampoco alla vi
sta del sangue, bastava a lui per ridurlo all'impotenza
del male, per ridonargli l'energia del bene, bastava l'a
ver visto da lungi la pietosa figura della sua diletta. Circon
data dalle compagne, essa gli appariva come una im
mortale discesa fra le donne di quaggiù per onorarne
la debolezza e proteggerne la virtù. Inginocchiata a piè
degli altari, ei la vedeva cinta dell'aureola , partecipante
al poter dei beati, mediatrice pei peccatori; e sentiva
venirsi sulle labra la preghiera più confidente e più
facile. Ma quando al ritornare egli l'aspettava per istrada
e ne riceveva il benevolo saluto della fraternità cristiana,
egli solo può esprimere ciò che allora sentiva. « Dico
che quando ella apparta da parte alcuna, nullo ne»
mico mi rimanea, anzi mi giungea una fiamma di ca-
ritade, la quale mi facea perdonare a qualunque m'avesse
Fulci , cetatis ri11 annorixm , mirce pulchritudinis , sed majoris ho-
nestatis. Quce subito intravit cor ej'us , ila quod postea nunquam
recessit ab e.o donec Ma vixit , swe ex conformitate complexionis
et morum ., sive ex singolari influentid cceli. Et cum aitate continuo
mulliplicatce sunt amoroso; flammae j ex quo Dantes , totus deditus
Mi. quocumque iret pergebat, credens in oculis ejus videre sum-
mam beatitudinem » — . Folco Portinari è iscritto fra i benefat
tori dell'ospitale di S. Maria Novella su di una tavola di pietra
conservata anche oggidì nell'interno di quel bell'edificio.
vfi PARTE IV.
offeso... e quando ella fosse alquanto propinqua al sa
lutare, uno spirito d'amore distruggendo tutti gli altri
spiriti sensitivi, pingea fuori i deboletti spirti del viso,
e dicea loro: Andate ad onorare la donna vostra. E chi
avesse voluto conoscere amore, far lo potea mirando Io
tremore degli occhi miei. E quando questa gentilissima
salute salutavi , uon che amore fosse tal mezzo che po
tesse ob uni bia re a me la intollerabile beatitudine... sì
che appare manifestamente che nella sua salute abitava
la mia beatitudine, la quale molte volte passava e re-
dundava la mia capacitarle. » Del resto questa impres
sione era s"i viva e disinteressata, che Dante credeva
avvenisse anche in molti altri e se ne godeva. « Quando
questa gentilissima donna passava per via, le persone
correano 'per veder lei ; onde mirabile letizia me ne
giugnea : e quando ella fosse presso ad alcuno, tanta
onestà giugnea nel core di quello, che non ardia di le
vare gli occhi, né di rispondere al suo saluto. Ella co
ronata e vestita d'umiltà s'andava, nulla gloria mo
strando di ciò ch' ella vedeva ed udiva. Dicevano molti
poiché passata era: Questa non è femina, anzi è de' bel
lissimi angeli del cielo! — Ed altri dicevano: Questa è
una maraviglia; che benedetto sia lo Signore che sì mi
rabilmente sa operare! »
Ma la volontà non può prendere il volo, senza por
tarsi seco l'intelletto: non saprebbero nobilitarsi gli af
fetti senza che s'arricchissero le idee, e l'ebrezza del
l'intelletto, l' abondanza delle idee si manifestano colla
fecondità della parola. Così la potente attrattiva che do
minava lo spirito di Dante nol tenne in una cieca schiavitù.
La imagine di Beatrice illuminava le sue veglie, ne in
coraggiava i lavori e non bandivagli dalla memoria le dotte
lezioni di Brunetto Latini. Egli aveva da costui imparato
gli elementi delle scienze e delle arti; e riceveva da quella
l'ispirazione che le ravvicina e le anima. Giovine pre
destinato, tra il grave segretario della republica e la dolce
DOCUMENTI a77
figlia di Porti nari , mettevasi agevolmente sul cammino
della gloria. — A diciott'anni, il bisogno di communicare
le segrete emozioni a piccol numero d' amici gli dettò
i primi versi, che furono presto seguiti da lunga serie
di sonetti, canzoni, serventesi e ballate: sempre più viva
effusione del suo casto amore , sempre più chiara ri
velazione del suo avvenire poetico. Dapprima non erano
che enigmi e giuochi di parole, sogni bizzarri di cui bi
sognava indovinare il senso; sessanta nomi riuniti in un
solo componimento per porvi senza tradirlo il nome pre
diletto; speranze senza scopo, timori senza motivi. Era
la puerile disadattaggine d'una passione nascente e d'un
novello scrittore. Presto all'impazienza d'esser compreso
si unì il timore di profane interpretazioni; erano allora
illusioni velate ma non coperte; circostanze destramente
colpite; parole di gioja, armoniosi sospiri per tutte le
gioje, per tutti i dolori della persona amata; confidenze
preparate da lungi e taciute per metà. Il pensiero e la
parola si purificano e si raggentiliscono; hanno acqui
stata una grazia, una delicatezza verginale. Questo senti
mento infine, poc'anzi Vi timido, provato ora coll' espe
rienza e colla riflessione, sicuro di sua legittimità, va a
sfidare la publicità. A colei cui per tanto tempo pre
stò culto segreto, Dante vuol preparare un trionfo pu-
blico, e da quel punto più nulla gli costa né l'arditezza
dei concetti , né lo splendore delle figure , ne il con
trasto dei colori , né la severità del ritmo. Si riconosce il
genio virile cui deve obedire la capricciosa lingua d'Italia
e a cui presteran mano e cielo e terra. Il passo seguente
segna, a così dire, il passaggio dalla seconda alla terza
maniera, il momento forse il più degno d' interesse nella
storia del poeta: — « Donne che avete intelletto d'amore,
io voglio dire con voi della mia donna, non perchè creda
di bastar alla sua lode, ma per isfogare la mia mente.
Perchè pensando alle sue virtù, amore mi si fa sentire sì
dolce, che se allora non mi perdessi d'ardire, parlando
Ozaium. Dante. 14
»j8 PARTE IV.
farei innamorare la gente .... Un angelo s' è rivolto alla
saggezza divina: Signore, ei dice, nel mondo si vede
una maraviglia che viene da un'anima che risplende fin
quassù. In cielo altro non manca che d'aver lei; esso ve
la domanda, o Signore, e tutti i Santi la domandano ad
alta voce. La sola pietà però parla in nostro favore, e Dio,
che sa ben di chi si parli, risponde in queste parole: Diletti
miei, soffrite in pace che la vostra sorella rimanga in terra
finché piace a me, là dove consola un tale che s'attende a
perderla e che un giorno dirà ai malnati dell'Inferno: Io
vidi la speranza dei beati .... Cosi la nobil dama è deside
rata nel sommo cielo. Ora vo' farvi sapere di sua virtù. E
dico che quando va per via l'amore getta nei cuori volgari
un gelo, perchè agghiaccia e distrugge ogni loro triste
pensiero: e chiunque si fermerà a vederla diventerà no
bil creatura o si morrà. E quando trova alcuno degno
di vederla, quei prova la sua virtù, perché essa dà la
pace, umilia l'orgoglio, fa obliare le offese. E per mag
gior grazia Dio le ha dato che non può far mala fine
chi le ha parlato -. (a)
(a) L'autore ha ritratto con molta precisione e leggiadria nella
sua splendida prosa i pensieri della famosa Canzone Dantesca, i
quali in un'edizione italiana meritano di comparire nella lor forma
originale. — Nota del Trad.
Donne, ch'avete intelletto d'Amore,
Io to' con voi della mia donna dire,
Non perchè io creda sue laude finire,
Ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore,
Amor si dolce mi si fa sentire ,
Che s'io allora non perdessi ardire,
Farei , parlando , innamorar la gente
Angelo chiama nel divino intelletto
E dice : Sire , ne] mondo si vede
Maraviglia nell1 atto , che procede
D'un' anima che insin quassù risplende.
Lo ciel , che non aveva altro difetto
Che d' aver lei , al suo Signor la chiede ,
E ciascun Santo ne grida mercede.
DOCUMENTI - SJ9
E i tristi presentimenti che a siffatti trasporti si me
scolavano, dovevano presto verificarsi. « Lo Signore della
giustizia chiamò questa nobile a gloriare sotto l'insegna
di quella reina benedetta virgo Maria, Io cui nome fue
in grandissima reverenza nelle parole di questa beata
Beatrice». Beatrice mori il nono giorno di giugno, Panno
di Cristo 1292. Come dire quale in allora fu il dolore
del poeta? Nella foga de' suoi pensieri egli scriveva a
tutti i principi della terra, per annunziar loro quella per
dita quasi presagio minaccioso dell'avvenire del mondo,
ed i suoi occhi inessiccabili pareva che più non fossero
se non che « due desiderj di piangere ». — Nolladime-
no , quando il tempo ebbe sgombrato le tristi memorie
del letto di morte e del sepolcro , e disparvero i lugubri
apparati; la donna amata da Dante ritornò alla sua me
moria, raggiante, immortale, più bella, più potente che
mai- ella visse in lui una seconda vita; lo ricondusse
alla luce ed alla inspirazione (1). Da quel punto inco-
Sola pietà nostra parte difende,
Che parla a Dio, che di Madonna intende:
Diletti miei , or soffe rile in pace
Che vostra spene sia quanto mi piace
Là ov'è alcun che perder lei s' attende ,
E che dirà nell'inferno a' mal nati:
lo vidi la speranza de' beati.
Madonna è desiata in sommo cielo :
Or vo' di sua virtù farvi sapere-
Dico: qual vuol gentil donna parere
Vada con lei ; che quando va per via
Gitta ne' cuor' villani Amore un gelo.
Per che ogni lor pensiero agghiaccia e pere .
E qual soffrisse di starla a vedere
Diverna nobil cosa , o si raorria.
E quando trova alcun che degno sia
Di veder lei, quei prova sua virtule;
Che li avvien ciò che li dona salute,
E si l'umilia eh' ogni offesa oblia.
Ancor le ha Dio per maggior grazia dato,
Che non può mal finir chi le ha parlato.
(1) Convito, II, 2 : Quella Beatrice beata che vive in ciejo
con gli angioli, e in terra colla mia anima.
a8a PARTE IV.
minciarono di bel nuovo i canti interrotti; qui essa vi
era celebrata contenta di lasciare l'esilio di quaggiù pel
soggiorno dell' eterna pace , là era 1' anniversario del
giorno in che ella fu posta a fianco della Vergine nella
sfera de' cieli abitata dagli umili; altre volte erasi la
sciata mirare alla somma altezza dell' Empireo infinita
mente onorata (i).
Ma questi fuggevoli preludj annunciavano un' opera
maggiore; un'apparizione maravigliosa ne suggerì l'idea:
ecco dove ha fine la Vita nuova : « Appresso a questo
Sonetto apparve a me una mira visione nella quale vidi
cose, che mi fecero proporre non dir più di questa be
nedetta , infintanto ch' io non potessi più degnamente
trattar di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso,
sì com'ella sa, veramente. Sì che, se piacere sarà di
Colui per cui tutte cose vivono, che la mia vita per al
quanto perseveri , spero dire di lei quello che mai non
fu detto d'alcuna. E poi piaccia a Colui eh' é sire della
cortesia , la mia anima se ne possa ire a vedere la glo
ria della sua donna, cioè quella benedetta Beatrice che
gloriosamente mira nella faccia Colui qui est per omnia
saecula benediclus n.
Da questa semplice esposizione risulta senza dubbio
1' esistenza storica di Beatrice , non che la purezza del
l' amore ch'ella inspirò; ma vediamo in pari tempo il
principio per essa di un destino nuovo e poetico, il
primo splendore della sua apoteosi. Spiegheremo la vi
sione, e vedremo quanto l'arte ajutata dal Cristianesimo
poteva per glorificare la natura umana.
II.
i. E qui il luogo di risalire all'origine razionale del
simbolismo cristiano di cui abbiamo qua e là indicato
(i) Vedi la canzone: Gli occhi dolenti; e i sonetti: Era ve
nuta i Oltre la Spera.
DOCUMENTI 2g,
le traccie (i). L'antica filosofia aveva, senza risolverlo,
mirato a un difficile problema, qual era quello di con
ciliare ed unire i due principj della conoscenza e del
l'esistenza ; l'ideale ed il reale. I platonici ammettevano le
idee, ma si perdevano in vani sforzi per dar loro una
vita indipendente, e furono indotti a divinizzare le astra
zioni che avevano imaginato ; di qui il paganesimo di
Plotino e di Proclo. I peripatetici si fermavano allo stu
dio delle realtà; ma si stancavano in inutili fatiche per
ridurle a categorie che non avevano se non se un valor
logico e spesso arbitrario: lasciavano la scienza aperta al
materialismo. La teologia dei Padri riguardò la quistione
dal lato religioso, lasciando in piedi alcune difficultà fi
losofiche che più tardi dovevano essere un retaggio delle
scuole. Essa mostrò il reale e l'ideale confusi dapprima
nell'unità primitiva, e uniti dappoi a tutti i gradi della
creazione, a tutte le fasi della storia. — Difatti, il Verbo
eterno è la parola che Dio volge a sé medesimo, l'imagine
ch'egli genera, l'idea infinita ch'ei concepisce: egli è del
pari una realtà distinta; una divina persona. Ciò che il
Verbo è in sé stesso, lo riflette nelle sue opere. Così tutti
gli esseri creati hanno una sostanza che è loro propria,
un'essenza incommunicabile; non si saprebbe ridurli, come
fa il panteismo orientale, a non esser più che fantasmi
ed ombre : e tuttavia si leggono nelle forme visibili i pen
sieri invisibili del loro autore ; la uatura è un linguag
gio vivente. Le divine scritture del pari contengono in
segnamenti figurati con atti, e verità personificate sotto
nomi d' uomini ; tutta intera la rivelazione si spiega in
una serie d'avvenimenti che sono altrettanti segni. Ne
venne quindi quel sistema d'interpretazione disceso dalla
sinagoga nella Chiesa, da s. Paolo a s. Agostino, e da
s. Agostino a s. Tomaso: e che sempre riconobbe nei li-
(1) Vedi qui sopra le pag. 71, 216, ec.
■4*
»8j PARTE IV.
bri santi due sensi, l'uno letterale e l'altro mistico (i).
II senso mistico si suddividera ancora a misura che si
riportava alla venuta di Cristo, alla vita avvenire, ai vari
stati dell'anima nella sua attuai condizione. I filosofi del
medio evo trovavan dunque ad ogni pagina della Bibbia
dei tipi per determinare, dipingere ed animare i loro
più astratti concetti; ed un cospicuo esempio se ne ha
nel trattato di Riccardo da s. Vittore De praeparatione
ad conlemplationem , in cui la familia di Giacobbe serve
d'emblema alla familia delle facoltà umane. Rachele e
Lia vi fauno le parti dell'intelligenza e della volontà :; i
due figliuoli di Rachele, Giuseppe e Beniamino, sono
presi del pari per le due precipue operazioni principali
dell'intelligenza, cioè la scienza e la contemplazione; e
pare incredibile con quanta finezza e seduzione il con
fronto continui fino a' suoi ultimi termini (2).
Questa doppia funzione istorica ed allegorica , attri
buita ai personaggi dell' antico Testamento , conveniva
ancor più ai santi deHa legge novella. Un santo, agli oc
chi della fede, è un uomo grande; ossia, riproduce emi
nentemente nella propria persona alcuni dei più eccel
lenti attributi dell'umanità; egli ha sbandito da sé gli af
fetti e le passioni egoistiche per lasciar posto a ciò che
è di tutti i tempi e di tutti i luoghi, la giustizia, la ca
rità, la sapienza. L'io, sparisce in lui davanti alla no
zione morale al culto della quale si è dedicato , ne di
venta l'esempio e per conseguenza il tipo. — Ma i giusti
del cielo non sono solamente tipi immobili dati all'am-
(i) S. Paolo, I ad Cor. io; ad Galat. 4; ad Heb. io. S.Pie
tro 1,3. — Origene , de Principiis , 4. — S. Gerolamo, in O-
team, 2. — Cassiano, Collat. XIV, 4. — S. Agostino, De Utili.
tate credendi, 3. — S. Euchero , Liber formularum. S. To
maso, Summa, p. q. 1, a. la; Quodlibeta, 7, a. 16.
(2) Così, nell'estasi contemplativa, l'intelligenza umana sva
nisce; è Rachele che muore dando alla luce Beniamino. De
praeparatione animae ad conlemplationem, cap. 54.
DOCUMENTI a8J ,
mi razione degli uomini; essi prendon parte a' loro de
stini con un misterioso potere detto il patrocinio. Né
solo si limita il patronato ad una semplice individuale
relazione determinata da un nome di battesimo, spesso
scelto dal capriccio; esso si esercita sopra un campo più)
vasto, a norma di leggi più sicure. Le familie, le cit
tà , i regni hanno gloriosi intercessori che loro appar
tennero per sangue, o che la riconoscenza adottò; per
lungo tempo gli ordini dello Stato , le dotte compa
gnie, le corporazioni di artigiani celebrarono con amore
quelli che avevan santificato le loro fatiche. Tutti gli
stati e tutte le età hanno ancora i loro privilegiati pro
tettori. Hanvi luoghi protetti da una venerata memoria;
per tutti i giorni dell'anno vi è un santo da invocare
che li consacra. I santi dividonsi pure l1 impero della co
scienza : gli uni hanno cura delle virtù che amarono di
preferenza; gli altri compatiscono alle debolezze da cui pur
essi non andarono esenti ; vi sono consolatori per tutte
le afflizioni, custodi per tutti i pericoli; vi sono pietosi
auspici per ciascun genere di studj , per ciascun' opera
dell'ingegno (i). Per modo che questi eletti del Signore
rappresentano tutti gli aspetti della umana natura ; li
rappresentano non più in grazia d'una semplice associa
zione d'idee, ma in virtù d'un potere speciale che fa
parte di loro gloria e felicità. S'andrebbe troppo per le
l'mghe enumerando le belle armonie che suggerirono
la scelta dei Santi patroni i più cari alla pietà cattolica.
Basti il citar s. Luigi, divenuto l'imagine della regalità
cristiana; s. Giuseppe, onore della povertà laboriosa;
Giovanni Battista a significar l'innocenza, e Maddalena
la penitenza ; il disegno e la musica glorificati sotto i
nomi di s. Luca e s. Cecilia; s. Catterina per ultimo ,
chiamata a personificare la filosofia. E certo che era un
(i) Vcggasi l'ultimo capitolo dell' //irtoire de s. Elisabeth, del
conte di Montalembert.
»84 PARTE IV.
grazioso pensiero che fra tanti illustri dottori aveva fatto
preferire per questo ministero la vergine martire. Erasi
creduto di raggentilire la rozzezza degli scolastici , do
marne l'orgoglio e confermarne la fede, dando loro a
patrona una giovinetta; una donzella d'Alessandria, che
aveva confusa la scienza dei sofisti pagani, e che, dopo
aver difeso il Vangelo nel Museo, l'aveva confessato sul
patibolo.
Cosi, nella teologia ogni cosa ha il suo valore obiet
tivo e rappresentativo; tutto è positivo e tutto è simbo
lico ; le realtà e le idee s'incontrano ad ogni punto, e
questo avvicinamento costituisce il simbolismo (i). Ora,
agevol cosa è il prevedere qual soccorso ne trarranno
le arti. E per verità , la sorte delle arti dipende tutta
intera dal problema qui sopra indicato. Se esse si met
tono in traccia d'un modello ideale non esistente quag-
(1) Dal che, a nostro giudizio, risulta l'illegittimità dei due
metodi storici opposti e che riuniscono numerosi fautori. L'uno,
appoggiandosi al senso letterale dei libri, al carattere comme
morativo dei monumenti, ricusa di riconoscervi un'ulteriore si
gnificazione; i suoi proseliti argomentano dalla realtà contro il
simbolo; e così ragionarono gli Evemeristi di tutti i tempi. L'al
tro coglie il lato poetico delle tradizioni, il grado morale delle
opere d'arte; interpreta i miti astronomici e i dogmi religiosi
avvolti nelle tradizioni del mondo antico ; ma ne contrasta il
valore positivo, e quelli che l'adottano argomentano dal simbolo
contro la realtà , com'è per esempio tutta la polemica di Strauss
contro il cristianesimo. — Ora, ambedue questi metodi sembrano
movere ed avvolgersi in un circolo vizioso, mentre questi due
dementi , l' ideale ed il reale , di cui suppongono l' incompati
bilità , formano al contrario colla loro unione l' essenza mede
sima del vero simbolismo. Il robusto intelletto degli uomini d'al
tri tempi, era capacissimo d'afferrare contemporaneamente due
concetti sotto uno stesso segno. Le nostre abitudini analitiche ci
permettono appena di comprendere l'uno o l'altro; simili a quegli
eroi degenerati dell'Iliade, che ornai non potevano senza grave
«fono sollevare la metà di quelle masse pesanti che orano pal
leggiate dai loro padri.
DOCUMENTI 285
giù, degenereranno in processi matematici, in regole su
perstiziose, la cui applicazione non altro produrrà che
bellezze bugiarde; se si danno alla completa imitazione
degli oggetti reali , traviei anno nel disordine della natu
ra, ne giustificheranno le deformità con capricciose teo
rie, il cui risultato sarà la riabilitazione della bruttezza.
Bisogna che sappiano riconoscere i tipi eterni del bello
fra la moltitudine vivente delle creature, e mercè le sue
impronte imperfette ricomporre i caratteri della mano di
vina; bisogna che facciano risplender lo spirito sotto i ve
lami della materia e discendere raggiante il pensiero in
mezzo al quadro dei fatti. 11 simbolismo cristiano ne ri
vela loro il secreto ; e fa di più , somministra loro un
mirabile soggetto d' esercizio. — Fin dai primi secoli ,
la pittura, chiamata a consolar la tristezza delle cata
combe, attinge alla Sacra Scrittura, per riprodurre, con
pietosa prodigalità, imagini di rassegnazione e di spe
ranza. Noè nell'arca sulle acque inondanti, significa la
fede sicura del proprio avvenire in mezzo al sanguinoso
diluvio delle persecuzioni : Giobbe sul letamajo predica la
pazienza; Daniele in mezzo ai leoni, è l'uomo dei desiderj
che fiacca colla preghiera le potenze del male: Elia por
tato in alto su d'un carro di fuoco, annuncia il trionfo
dei mdi tiri. La moltiplicazione dei pani , la Samaritana
al pozzo, la guarigione dei paralitici e dei ciechi, pro
fetizzano la propagazione della parola santa , la guari-
gion dei Gentili , la rigenerazione intellettuale e morale
dell'universo (1). Mille e cent'anni di poi , quando la
Chiesa celebra la sua vittoria dove già pianse la schia
vitù, le arti accolte in Roma vi lavorano quelle monu
mentali decorazioni che le fanno , a così dire , una fe
sta infinita. Allora, nel palazzo dei successori di s. Pie
tro, Raffaele traccia una serie di stupende pitture che
(l) Court d'hieroglyphique chretienne^ di Cipriano Robert, nel-
Y Università Catholique, tomo VII, pag. 198.
ag6 PARTE IV.
in alcune pagine riassumono la gran tesi del papato ,
quella tesi da sì gran tempo dibattuta, ora trionfante,
poco di poi esposta da Lutero a nuove contraddizioni. La
Liberazione del principe degli apostoli ; il Castigo d' Elio
doro, Leone il Grande che arresta le armi degli Unni,
il Miracolo di Bolsena , sono altrettanti magnifici capi
toli in cui si stabili la divina missione del sovrano pon
tificato , la santità del suo carattere , la forza invincibile
del suo operato, l'infallibilità delle sue più impenetrabili
dottrine. La sua benevola protezione estesa ad ogni ordine
di cognizioni è espressa dal felice contrasto della scuola
d'Atene, e della disputa del SS. Sacramento, di Giusti
niano e di Gregorio IX. Tutte le nozioni astratte si rea
lizzano: la filosofia è figurata dai suoi più nobili disce
poli , la giurisprudenza dai legislatori, la teologia dai
Confessori e dai Padri; — e, se non m'inganno, la teolo
gia vi si vede pure dipinta sotto le forme di una donna.
Ma questa donna, facilmente riconoscibile alla foggia on-
d'è vestita, è quella stessa che noi ritroveremo nella vi
sione di Dante; è Beatrice (1).
2. La visione di Dante , sia che abbia veramente il
luminato qualcuna delle sue notti dolorose, o sia l'opera
de' suoi sogni poetici, gli aveva per certo svelato di
strane meraviglie, dacché mirava con occhio di pietà i
suoi primi canti ed annunciava per l' avvenire finzioui
inaudite. E tuttavia egli aveva più d' una volta rappre
sentato Beatrice in mezzo agli splendori celesti ; e d' al
tra parte è una facile e dolce illusione il mettere io
trionfo in cielo quelli per cui portiamo il lutto quag
giù; i poeti specialmente non furono mai avari di onori
divini; essi consacrarono altre volte la capigliatura di
(1) Anche nelle Camere di Raffaele si possono vedere frequenti
allusioni agli avvenimenti contemporanei ; ma non sono incom
patibili colle intenzioni più gravi da noi indicate.
DOCUMENTI »8j
Berenice, essi canonizzarono in seguito molte memorie
sospette. Bisognava dunque che in quest'ultima appari*
zione la vergine fiorentina si fosse mostrata con nuovi
attributi che la distinguessero dalla moltitudine dei santi;
per lei era troppo poca cosa la palma e la corona con
sueta , essa doveva avere un posto elevato nella ge
rarchia degli eletti , un' ampia parte a quell' impero
che loro è dato su tutte le cose terrestri. — Ora si è
veduto che la pietà del medio evo si piaceva di sce
gliere per gli ufficj più duri le figure più graziose, si è
veduto ciò ch'essa aveva fatto di Beniamino e di santa Cat-
terina. E Dante non era straniero a questa tendenza de
gli spiriti del suo tempo, se però è lecito il giudicarne
da alcuni luoghi del Convito (II, 2, i3) ove commenta
la canzone : Voi che , intendendo , il terzo del movete.
Stando al senso letterale egli candidamente confessa che
dopo la morte della sua prediletta, la vista giornaliera
delle sue lagrime parve intenerire una giovinetta vici
na , la cui compassione non fu senza attrattiva per lui,
né forse senza pericolo. Nel senso allegorico , fu la filo*
sofia che sola consolò la vedovanza di sua gioventù. Ed
egli , secondo si esprime , imaginava la filosofia fatta
come una nobil dama dal volto compassionevole ; le dir
mostrazioni di cui s' illumina erano gli sguardi , ed un
incantevole sorriso era la persuasione de' suoi discorsi
(III, i5). Se dunque la di lui imaginazione , di fermo
cortese , era giunta a confondere la prima delle scienze
umane colla bella sconosciuta che aveva preso un posto
secondario e passaggero ne1 suoi pensieri, che mai restava
per colei che occupò sempre la cittadella della sua a-
nima, che restava, se non di spingersi all'ultimo confine,
e di farla il tipo della scienza divina ? — II concorso di
molte circostanze davan qualche prestigio a questo rav
vicinamento. Con un po' di superstizione ( e che v' ha
di più superstizioso dell'amore ? ) era facile il trovare al
quanti misteri nel personaggio di Beatrice. E primiera
rtS PARTE IV.
mente egli aveva il mistero dei numeri. Dante l' aveva
conosciuta a nove anni, cantata a 18, perduta a 27, ed
essendo egli coetaneo con la sola differenza di pochi mesi,
ciò dava al fatto un doppio valore. Dappertutto si trovava
il numero nove, e se uopo fosse, la collusione ajutava la
coincidenza ( 1 ). Ma nove è pure il quadrato di tre, e tre
è il numero delle persone divine. 11 destino cui presie
dette questo numero, sembrava dunque una speciale ma
nifestazione dell'augusta Trinità. — Eravi poi il mistero
del nome, considerazione importante a quell'epoca e ben
di rado trascurata dagli scrittori di cose sacre. Beatrice
significa colei che dona la felicità. Ora, la somma feli
cità, cercata indarno da tutte le scuole della sapienza
antica, non si scopre che alla luce della santa dottrina,
discesa dopo quattro mille anni per rigenerare la (erra.
Eravi infine il mistero di quell'influenza ottenuta con
facilità sullo spirito ed il cuore del poeta, sugli studj «
i costumi di lui. Era per lui come un'imaginc della re
ligione che è ad un tratto ardore e luce, e che insie
me rischiara e purifica. Il benefico potere di Beatrice,
di cui egli aveva fatta l'avventurosa esperienza, ch'egli
aveva creduto di veder agire su tutti quelli fra i quali ave
va vissuto, consacrato ora colla morte, gli sembrava do. '
versi esercitare in un cerchio più vasto e cambiarsi in
un vero patronato. E ciò s'intende, quando, prendendo
gravemente le analogie indicate, egli aveva fatto della mi
steriosa figlia di Portinari la patrona e quindi la figura
della teologia.
Queste congetture si verificano, e la visione meravi
gliosa sembra trovarsi negli ultimi cinque canti del Pur
gatorio. Là si spiega una scena, da noi già descritta
(1) Così, nel Serventese dai sessanta nomi proprj, di cui d è
detto più sopra, quello di Beatrice dovette esser posto il nono.
Cosi il mese di giugno che fu il mese di sua morte , era il nono
dell'anno giudaico. Vedi la Vita Nuova, qua e là.
DOCUMENTI sSq
(pag. i35 e i36) e di cui basta rammemorare i tratti prin
cipali. — In seguito ai i4 vegliardi dell'antico Testamento,
in mezzo ai quattro Evangelisti rappresentati dai quat
tro animali, un grifone, emblema di Cristo, tira il carro
della Chiesa; vengon dietro gli altri scrittori del Nuovo
Testamento, le sette virtù, compiono il corteo. Su que
sto carro appariva una vergine ; essa si chiama da sé stes
sa; essa è ben Beatrice, è bene quella della Fila Nuova,
di cui richiama le più vive rimembranze; colei che già vesti
si belle membra per tosto scambiarle con una bellezza
ideale, incorruttibile (1). — Ma non si può scoprire in
lei qualche cosa di più quando la si vede cinta dell'u
livo della saggezza, adorna del candido velo della fede,
del verde manto della speranza, della tunica ardente
della carità; quando mano mano si riflettono ne' suoi
occhi le due forme del grifone; quando ha per messag-
gieri le virtù cardinali e non può essere contemplata in
faccia che per mezzo delle virtù teologali; quando in
fine i vegliardi ispirati ne celebrano le lodi , ed uno
d'essi la saluta Ire volte con queste parole: Veni}sponsa
de Libano? V'ha di fermo una ben lieve presunzione nel ri
conoscere a questi segni la scienza che insegna ad ama
re , a sperare ed a credere ; i cui insegnamenti , tutti
risvegliano l'idea di Cristo, considerato in ciascuna delle
sue due nature. Prima ch'essa venisse dai cieli , le virtù:
umane le avevano preparata la strada; le virtù sopran
naturali per essa giù discese, le stanno d'intorno e la
sciano penetrare la profondità di sue dottrine. Essa è
rivelata negli scritti dei profeti e degli apostoli: essa,
secondo l'interpretazione di Dante, è la mistica sposa di
(1) Purgat., XXX., 25. u Ben, ben eon Beatrice. » — Ibid., 39:
— Questi fu tal nella sua Vita nuova. » Non si deve qui sospettare
l' intenzione di congiungere la Divina Comedia a questo opuscolo
in cui n' è deposto il germe ?
Ozakam. Dante. a5
igo PARTE IV.
Salomone (i). Poi continua il sacro dramma; si divi
de il corteggio ; la vergine resta sola alla custodia del
carro, minacciata a quando a quando dall'aquila, dalla
volpe e dal dragone; ed -essa melte in fuga il secondo
di questi allegorici nemici. Essa è fatta attrice nella
storia della Chiesa, custode della tradizione, vittoriosa
dell' errore. La giovinetta di Firenze sparisce in mezzo
all'azione d'un personaggio che non può esser che quello
della teologia. La realtà si trasfigura nel simbolo (2).
Or ecco, senza opposizione, ciò che ha neppur sognato
alcun poeta dei tempi andati e che Dante stesso non a-
veva scorto nella sua prima estasi: ecco probabilmente
l'apparizione di cui si riserbava il segreto per alcuni
anni ancora, per esporla un giorno, abbellita di tutto
l'incanto della poesia, alla meraviglia della posterità. —
D'altra parte, quando si consideri lo spazio occupato nel
poema da questa strana scena, vedrassi ch'essa a un bel
circa ne è al centro e vi riempie un'estensione di lunga
mano superiore a quella dei piò interessanti episodj, co
me sarebber quelli di Francesca, d'Ugolino, di s. Do
menico, di s. Francesco e di Cacciaguida; osservazione
forse troppo minuta, ma non inutile trattandosi d'o
pera di così sapiente orditura, di così rigorose propor
zioni. Là è pure l'apogeo, a dir cosi, del personaggio
principale. La trionfatrice del purgatorio , presentita da
lungi fra gli orrori dell'inferno, oscurasi alquanto tra
(1) Contato, II, |5: DI costei (la divina scienza) dice Salomo
ne: « Sessanta sono le regine, e ottanta l'amiche concubine; e
delle ancelle adolescenti non è numero: una è la colomba mia,
e la perfetta mia ». Tutte scienze chiama regine e drude e an
celle; e questa chiama colomba, perchè è sanza macola di lite;
e questa chiama perfetta ., perchè perfettamente ne fa il vero ve
dere, nel quale si cheta 1' anima nostra.
(2) Vedi più sopra pag. 1 36. Questa è l'interpretazione di Vil-
lemain, Cours de Littèrature, quadro della letteratura nel medio
evo, pag. 378, 38a.
DOCUMENTI agi
gli splendori del paradiso: la surroga Virgilio al prin
cipio del viaggio e le succede s. Bernardo alla fine. E
in questa fermata di mezzo che essa brilla d' uno
splendore senz'ombra e senza macchia; ch'essa siede
da regina; che per lei sola si riuniscono tutti gli o-
maggi , e che le più imponenti imagini del Cristianesi
mo sono adunate a' suoi piedi. L' apoteosi di Beatrice
sembra dunque il punto più elevato e il tema primitivo
della Divina Comedia (i). — Cosi, quest'opera magnifica
avrebbe subita la legge che pesa su tutte le opere uma
ne; essa sarebbe stata partorita nel dolore, per crescer
quindi col sudore della fronte. La prima ispirazione sa
rebbe venuta dall'amore. Ma siccome il poeta cristiano
sapeva riconoscere sotto i tratti prediletti il riflesso del
pensiero creatore; siccome per lui, più ancora che per
Platone, il bello era lo splendore del vero, confuse in
un medesimo culto e doveva confondere in una mede
sima gloria T amore e la scienza. Più tardi , quando,
caduto al fondo nel mezzo delle lotte civili , si fe' il
campione d'una grande idea, quella del Bene ; quan
do ebbe vista questa santa idea oltraggiata e snatu
rata dalla perversità delle fazioni , si accinse a vendi
carla colla paiola, e fece posto alla giustizia nell'epo
pea dell'amore e della scienza. Questi tre grandi lumi
del mondo morale, la giustizia, la scienza e l'amore,
rischiarano le tre parti del poema; esse formano a dir
così la triplice aureola onde Dante volle incoronare la
(1) Si crede aver abbastanza provato (pag. 82 e seguenti) che
nel corso del poema Beatrice continua a sostenere il suo carat
tere simbolico) essa va dommatizzando per tutti i cieli del Para
diso ; e nel secondo canto dell'Inferno, st. 26, Virgilio la chiama
con queste parole espressive : « O Donna di virtù, sola, per cui
— L'umana spezie eccede ogni contento — Da quel ciel, che
ha minori i cerchi sui a. Essa è anche '.< la loda di Dio vera, il
lume interposto fra l'intelletto e la verità ». Sono questi gli attri
buti d'una giovine a 2; anni?
agi PARTE IV.
sua diletta. Oscura fanciulla delle rive dell'Arno, co
nosciuta appena da' suoi concittadini, presto dimenti
cata nella sua tomba prematura , egli aveva promesso
di darle perpetua celebrità. Compì il suo voto; e se la
lettera che scrisse per lei ai Principi di quei tempi non
giunse dove era diretta , la Divina Comedia è ben an
data più lungi ; il nome di Beatrice arrivò in tutti i
luoghi in cui non è straniera la dolce lingua d' Italia ,
e si ripeterà in tutti i tempi che non avranno perduta
l'eredità della letteratura cristiana. — Ora, in faccia a
questa miracolosa potenza del genio che com parte a
suo talento la vita e l'immortalità, ci prende gran ma
raviglia, e domandiamo che farà Dio pei proprj eletti,
quando l'arte sa sì bene incoronare i suoi?
3. Ci resta ora a proporre alcune spiegazioni su al
tri due personaggi, che, sul principio dell' Inferno, in
tervengono nelP azione del poema , spariscono di poi e
sembrano sfuggir sempre dinnanzi alle ricerche dei com
mentatori. — Beatrice iucarica Virgilio di andare in soc
corso di Dante smarrito nella foresta. Ecco come s' e-
sprime: « In cielo è una donna gentile, la cui compas
sione frange ogni duro giudizio di lassù; questa si volse
a Lucia dicendole: Ora il tuo fedele ha bisogno di te,
ed io te lo raccomando. Lucia , nemica di ciascun cru
dele, si mosse, e venne al luogo ov'io m'era seduta, vi
cino all'antica Rachele. Disse: o Beatrice, chè non soc
corri colui che t'amò tanto?... Alle quali parole io venni
giù dal mio seggio beato per sollecitare il soccorso della
tua parola....» E Virgilio alla sua volta, incoraggiando
il poeta spaventato a guadagnar la soglia del mondo in
visibile: « Perchè dunque, soggiunse, tu non hai ar
dire e franchezza , poscia che
tre donne benedette
Curan di te nella corte del ciclo? (1).
(i) Inferno, II, 9t. 42 e passim.
DOCUMENTI 393
Di queste tre donne , la sola terza noi conosciamo ;
dobbiam dunque studiarci di svelare le altre due.
E dapprima Lucia ritorna al Purgatorio ; prende tra
le sue braccia il poeta addormentato e lo porta all'in
gresso della via dolorosa. Egli la incontra ancora al ter
mine del viaggio, nel primo cerchio del luminoso anfitea
tro dell'Empireo, vicino a s. Giovanni Battista ed a s. An
na (1). In essa dunque ha voluto ritrarre una figura vi
vente, una. figlia degli uomini, simile alle altre benedette
di cui essa partecipa la felicità, una santa alla quale di
fermo la sua riconoscenza attribuiva qualche speciale fa
vore. Ora, Giacopo di Dante, autorità competente in
fatto di biografia, ci dice come l'illustre suo padre
professava una particola!' divozione per santa Lucia, ver
gine e martire di Siracusa (2). Inscritta nella liturgia ro
mana nel canone della messa, riceveva già da gran tempo
in Italia omaggi solenni ; nelle grandi città sorgevano
chiese a lei dedicate , ne era celebrata la festa e il suo
nome restò popolare fino a che nuovi nomi , più di
letti perchè di più fresca ricordanza , oscuraron d'al
quanto le antiche memorie. Molti prodigi ne attesta
vano il potere; fra i quali va contato uno onde mara
vigliò Verona nel i3o8, epoca nella quale molti fissano
il soggiorno del proscritto fiorentino in quella città. —
Ma la sua pietà aveva altro movente negli istinti e per
sino negli errori della pietà contemporanea. Si raccontava
di santa Lucia l'atto eroico ti1 un'altra cristiana, la quale,
messa alle strette dalla libidine d'un magistrato roma
no , si cavò gli occhi , e li mandò in una tazza d' oro
al suo persecutore ; la si dipingeva con in mano la tazza
depositaria del sacrifizio. D'altra parte, una tenera abitu
dine traeva gli uomini d'allora per ciascun genere di
(1) Purgatorio, IX, 17. Paradiso, XXXII, 46.
(a) Giacopo di Dante , Commentario manoscritto , « Beata Lu
cia la quale egli ebbe in somma devozione ».
ì9f4 * PARTE IV.
dolori agli altari dei martiri che ne avevan fatta volon
taria esperienza. Santa Lucia fu dunque invocata da co
loro i cui occhi soffrenti non godevan più il benefizio
della luce (i). Ne venne per una facile transizione ch'essa
fu considerata come la dispensatrice della luce spirituale
che dissipa i dubbj dell'intelletto e le tenebre della co
scienza. La leggenda dorata, ricca di mistiche etimolo
gie, non si lasciò sfuggir questa: Lucia a luce; Lu
cia, quasi lucis via (2). Dante, il cui intelletto aspirava
con tanto ardore agli splendori eterni della verità; la cui
vista, stanca dalla lettura e dalle lagrime versate per la
morte della sua diletta , aveva subito una lunga e pe
ricolosa alterazione (3), poteva a doppia ragione vota
re la sua candida confidenza alla vergine illuminatrice.
Egli s' inginocchiava dinanzi alle sue imagini col teologo
del chiostro e il cieco della strada. Esaudito, appese la
sua offerta votiva non in una oscura cappella, ma nel-
Pedifizio poetico innalzato dal suo genio.
Ci resta ora a conoscere colei cui obbedisce la stessa
Lucia, alla quale sola appartiene l'iniziativa del mira
coloso pellegrinaggio. Noi non sapremmo accostarci al
sentimento generale degli interpreti i quali qui non veg
gono che la clemenza personificata; un'allegoria astratta
non potrebbe esser confusa in una medesima finzione
con due fetnine storiche. Anzi noi sospettiamo do
versi trovare la sconosciuta come le sue due compa
gne, verso la fine del Paradiso; così vuole la simme
trica disposizione della favola. Ma qual è la nobil signora
dei cieli, che non ha bisogno d'un nome, la cui inter
cessione piega P immutabile giudice ; se non colei che si
chiama Nostra Signora nell1 antica favella delle nazioni
(1) Cajetau. Vitae SS. Siculorum , acta sanctae Luciac syracu-
sanac martyris. — Baillet, Vies des Saiuts.
(2) Jacob, de Voragine, Legenda aurea, vita sanctae Luciac.
(3) Convito, III, 9. Vita Nuova, in One.
DOCUMENTI 295
cristiane? E quella che il poeta vede seduta da sovrana
al primo posto della corte beata; vede gli angioli far
piovere sur essa tutte le contentezze dell' eternità ; nel
di lei augusto aspetto, più risplendente che mai, egli
contempla la rassomiglianza divina; egli le volge la su
blime preghiera per la quale comincia il suo ultimo can
to. — Ora, egli è per certo cosa naturale ch'egli si as
sociasse così a questo culto della madre di Cristo , sì
dolce e sì bello , caro a tutti i popoli del medio evo ,
rimpianto in silenzio dai Riformati. Tuttavolta , meglio
si comprende il personaggio della Vergine Maria, quando
la si trova qua e colà descritta nella Vita Nuova, come og
getto delle pie compiacenze di Beatrice, come modello di
sue virtù, come l'avvocata da lei prediletta. Maria aveva
per lei esercitato il benefico ministero che Lucia adem
piva per Dante (1). Egli stesso ha tolto gli ultimi dubbj
su questo proposito in un frammento filosofico finora
poco conosciuto. Si mette a spiegare l'annuale rivolu
zione del sole; e per dare più solida forma alle sue ipo
tesi, egli imagina ai poli del globo terrestre due città i cui
abitanti diventano gli spettatori dei supposti fenomeni. Ma
invece d'indicare questi due punti con un segno alge
brico, alla maniera degli odierni astronomi, chiama Ma
ria la cillà posta al polo del Nord sotto la stella che
non ha tramonto, e Lucia la città del polo Sud. Oltre a
ciò nello intreccio del discorso , Maria s' incontra nove
volte in tre pagine (sempre il numero misterioso), e Lucia
comparisce solo sei volte (2). Queste parole predilette in-
(1) Vita Nuova. Così una delle scene più interessanti di que
sto libro avviene in una chiesa in cui si cantavano le lodi della
Vergine. Così abbiano visto il nome di Maria venerato profonda
mente da Beatrice , e posta questa giovin santa a' fianchi della
sua protettrice nella sfera celeste dell'umiltà.
(2) Convito, III, 5: « Invaginando adunque, per meglio vedere ,
in questo luogo eh' io dissi, sia una città, e abbia nome Maria....
imaginiamo un' altra città che abbia nome Lucia , ec. » — Dante
1
s96 PARTE IV. DOCUMENTI
trecciate molte volte nei nessi del discorso, come due cifre
insieme impresse, abbastanza rivelano l'intenzione che
le creò. E una di quelle piacevoli puerilità che noi amia
mo nei grandi uomini; una distrazione del cuore in mez
zo alle fatiche del pensiero. E ad un tempo un ingegnoso
pudore che, non osando metter vicini i nomi dei due
protetti, vi supplisce con quelli delle sante loro protet
trici. E infine una cura religiosa di mettere i suoi casti af
fetti di quaggiù sotto la salvaguardia, sotto la responsabili
tà, a così dire, delle due vergini celesti. Vi ha, in mezzo
alle spine dell'erudizione scolastica, il fiore della più de
licata sensibilità che si schiude ai raggi della fede. Vi
ha un' intera rivelazione del carattere di Dante, la spie
gazione del personaggio di Beatrice, il segreto primitivo
del poema. Per cui si comprende il perchè, al secondo
cauto dell' Inferno ha luogo tra Maria e Lucia quella
prima conferenza, che fa discendere in soccorso del poeta
la sua diletta, e da cui dipende tutta intera la finzione
e i' suoi ulteriori svolgimenti.
ha celebrato la santa Vergine in un Sonetto, che dobbiamo qui
riprodurre, come uno de' più belli omaggi che i figli degli' uo
mini abbiano tributato alla Madre di Dio :
O madre di viriate, luce eterna,
Che partoriste quel frutto benegoo ,
Che l'aspra morte sostenne sul legno
Per scampar noi dall'oscura caverna.
Tu del ciel donna, e del mondo superna ,
Deh ! prega dunque il tuo Bgliuol ben degno,
Che mi conduca al suo celeste regno,
Per quel valor che sempre ci governa.
Tu sai ch'in te fu sempre la mia spene,
Tu sai eh' in te fu sempre 3l mio diporto :
Or mi soccorri , o infinito bene I
Or mi soccorri, ch'io son giunto al porto,
Il qual passar per forza mi conviene;
Deh! non mi abbandonar, sommo conforto!
Che se mai feci al mondo alcun delito ,
L'alma ne piange, e '1 cor ne vien contrito.
IH. Primi studi filosofici di Dante. — Come fu condotto alle
QUISTIONI MORALI E POLITICHE. SoO RISPETTO PER L1 AUTORITA*
d'Ar1stotele. — Estratti dal Convito, II, i3; IV, i , 6, (1).
1. « Cjome per me fu perduto il primo diletto della
mia anima, io rimasi di tanta tristizia punto che alcuno
conforto non mi valea. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la
mia mente, che s'argomentava di sanare, provide (poiché
ne il mio ne l'altrui valea consolare) ritornare al modo che
alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi. E misimi a leg
gere quello non conosciuto da molli libro di Boezio ,
nel quale, cattivo e discacciato, consolato s'avea. E u-
dendo ancora che Tullio scritto avea un altro libro nel
quale trattando dell'amistà, avea toccate parole della
consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, nella morte
di Scipione amico suo, misimi a leggere quello. E av
vegnaché duro mi fosse prima entrare nella loro sen
tenza, finalmente v'entrai tant'entro quanto l'arte di gram
matica, ch'io avea, e un poco di mio ingegno potea fa
re; per lo quale ingegno molte cose, quasi come so
gnando già vedea : siccome nella Vita Nuova si può ve
dere. E siccome esser suole che l'uomo va cercando ar
gento, e fuori della 'ntenzione trova oro, lo quale occulta
cagione presenta, non forse sanza divino imperio; io, che
cercava di consolare me, trovai non solamente alle mie la
grime rimedio, ma vocaboli d'autori e di scienze e di li
bri ; li quali considerando, giudicava bene che la filo-
(1) Avremmo voluto far conoscere con estratti più considerevoli
questo bel libro del Convito, ma da quanto abbiamo scelto, ap
parirà chiaro che Bouterwpck a ragione paragona questo opuscolo
di Dante ai migliori trattati filosofici dell'antichità ( Geschichte
clcr icheenen fVisscuchaften , t. I, p. 61).
298 PARTE IV.
sofia, che era donna di questi autori, di queste scienze
e di questi libri , fosse somma cosa. E imaginava lei
fatta come una donna gentile : e non la potea imaginare
in atto alcuno se non misericordioso; per che sì volen
tieri lo senso di vero l'ammirava, che appena lo potea
volgere da quella. E da questo imaginare cominciai
ad andare là ov'ella si dimostrava veracemente cioè nella
scuola de' religiosi e alle deputazioni de' filosofanti; sic
ché in piccol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a
sentire della sua dolcezza, che '1 suo amore cacciava e
distruggeva ogni altro pensiero (i)... Perché questa donna
fu figlia d'Iddio, regina di tutto, nobilissima e bellissima,
filosofia. »
2. u A.more, secondo la concordevole sentenzia delli savii
di lui ragionanti , e secondo quello che per isperienza
continuamente vedemo , è che congiugne e finisce l'a
mante colla persona amata; onde Pittagora dice : nell'a
mistà si fa uno di pit1. E perocché le cose congiunte
communicano naturalmente intra sé le loro qualità, in-
tantoché talvolta è che l'una torna del tutto nella na-
(1) Da questo brano sembra risultare che Dante fino alla fine del
terzo anno dopo la morte di Beatrice, non studiò filosofia che alle
scuole fiorentine. L'epoca del suo viaggio a Parigi non potrebbe
quindi rimontare oltre il 1296. D'altra parte non può essere dopo il
i3oo, poiché questo è l'anno in cui ha luogo l'azione supposta
della Divina Comedia , e poiché si trova già in paradiso l'anima di
Sigiero , professore di Parigi , alle cui lezioni il poeta aveva assi
stito. Bisogna dunque ch'egli abbia visitato la Francia nei quattro
anni che corsero dal 1296 alla fine del 1299. La quale induzione, se
condo noi incontrastabile j è ancora appoggiata a due fatti: le an
tipatie di Dante contro la Francia dopo il giorno del suo esilio, ed
il, silenzio che conserva sopra Dunstano Scott 11 cui nome, nei primi
anni del secolo, riempiva la nostra Università. — Ledere ha ben
voluto accennarci un Sigiero citato da Échard (script, ord. Proed.), '
come antico decano dell' Università , morto verso il 1 299 e che po
trebbe essere il professore tanto vautato nel Paradiso.
DOCUMENTI a 99
tura dell'altra, incontra che le passioni della persona a-
amata entrano nella persona amante, sì che l'amor del
l'una si communica nell'altra, e così l'odio e'1 desiderio
e ogni altra passione ; per che gli amici dell' uno sono
dall'altro amati, e li nemici odiati; per che in greco
proverbio è detto : Degli amici esser deono tutte le
cose communi. Onde io , fatto amico di questa donna ,
di sopra nella verace sposizione nominata, cominciai ad
amare e a odiare secondo l'amore e 1' odio suo. Comin
ciai dunque ad amare li seguitatori della verità, e odiare
li seguitatori dello errore e della falsità, com'ella face.
Ma perocché ciascuna cosa per sé è da amare, e nulla
è da odiare, se non per sopravvenimento di malizia, ra
gionevole e onesto è, non le cose, ma le malizie delle
cose odiare, e procurare da esse di partire. E a ciò se
alcuna persona intende, la mia eccellentissima donna in
tende massimamente; a partire, dico, la malizia delle
cose, la qual cagione è di odio; perocché in lei è tutta
ragione, e in lei è fontalmente l'onestade. Io, lei segui
tando nell'opera, siccome nella passione, quanto potea,
gli errori della gente abbominava e dispregiava , non
per infamia o vituperio degli erranti , ma degli errori j
li quali, biasimando, credea fare dispiacere, e, dispia
ciuti , partire da coloro che per essi eran da me odiati.
Intra li quali errori , uno massimamente io riprcndea ,
il quale , non solamente dannoso e pericoloso a coloro
che in esso stanno, ina eziandio agli altri che lui ri
prendono , parto da loro e danno. Questo è l'errore
dell'umana bontà, in quanto in noi è dalla natura se
minata , e che nobilitade chiamar si dee; che per mala
consuetudine e per poco intelletto era tanto fortificato,
che F opinione di tutti quasi n' era falsificata ; e della
falsa opinione nasceano i falsi giudicii , e de' falsi giu
dici.! nasceano le non giuste reverenzie e vilipensioni ;
per che li buoni erano in villano dispetto tenuti , e li
malvagi onorati ed esaltati. La qual cosa era pessima
Ino PARTE IV.
confusione del mondo; siccome veder può chi mira
quello che di ciò può seguitale sottilmente. E, conciofos
secosaché questa mia donna un poco li suoi dolci sem
bianti trasmutasse a me, massimamente in quelle parti
ove io mirava e cercava se la prima materia degli e-
lementi era da Dio intesa , per la qual cosa un poco
da frequentare lo suo aspetto mi sostenni, quasi nella
sua assenza dimorando entrai a riguardar col pensiero il
difetto umano intorno al detto errore.... Per mia donna
intendo sempre quella che nella precedente Canzone è
ragionata, cioè quella luce virtuosissima filosofia, i cui
raggi fanno i fiori rinfronzire , e fruttificare la verace
degli uomini nobiltà. »
3. <> Autoritade vale tanto quanto atto degno di fede
e d' obedienza. Che Aristotele sia degnissimo di fede e
d' obedieuza, cosi provare si può. Intra operarli e ar
tefici di diverse arti e operazioni , ordinati a una ope
razione o arte finale, l'artefice, ovvero operatore di
quella , massimamente dee essere da tutti obedito e
creduto, siccome colui che solo considera l'ultimo fine
di tutti gli altri fini. Onde al cavaliere dee credere lo
spadajo, il frenajo e 'I sellajo e lo scudajo, e tutti quelli
mestieri che all'arte di cavalleria sono ordinati. E pe
rocché tutte le umane operazioni domandano uno fine ,
cioè quello della umana vita, al quale l'uomo è ordi
nato , in quanto egli é uomo, il maestro e l'artefice,
che quello ne dimostra e considera, massimamente u-
bidire e credere si dee: questi è Aristotelej dunque esso
è dignissimo di fede e d'obedienza. Ed a vedere come
Aristotele è maestro e duca della ragione umana , in
quanto intende alla sua finale operazione , si conviene
sapere che questo nostro fine , che ciascuno disia na
turalmente, antichissimamente fu per li savii cercato:
e perocché li desideratori di quello sono in tanto nu
mero , e gli appetiti sono quasi tutti singolarmente di
DOCUMENTI * 3o1
versi, avvegnachè universalmente sieno, pur malagevole
fu mollo a scerner quello dove dirittamente ogni umano
appetito si riposasse. Furono filosofi molto antichi, delli
quali primo e principe fu Zenone (i) che videro e cre
dettero questo fine della vita umana essere solamente
la rigida onestà; cioè rigidamente, sanza rispetto al
cuno, la verità e la giustizia seguire; di nulla mostrare
dolore; di nulla mostrare allegrezza; di nulla passione
avere sentore. E difiniro così questo onesto: quello che
sanza utilità e sanza frutto per sé di ragione è da lau
dare. E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici:
e fu di loro quello glorioso Catone , di cui non fui di
sopra oso di parlare. Altri filosofi furono , che videro
e credetlono altro, che costoro; e di questi fu primo e
principe uno filosofo, che fu chiamato Epicuro, che,
veggendo che ciascuno animale tosto ch'è nato è quasi
da natura dirizzato nel debito fine, che fugge dolore,
e domanda allegrezza , disse questo nostro fine essere
voluptade ; non dico voluntade , ma scrivola per p ,
cioè diletto sanza dolore; e però tra '1 diletto e '1 do
lore non ponea mezzo alcuno; dicea che voluptade non
era altro, che non dolore; siccome pare Tullio recitare
nel primo di Fine de' Beni. E di questi , che da Epi
curo sono Epicurei nominati, fu Torquato, nobile Ro
mano, disceso dal sangue del glorioso Torquato , del
quale feci menzione di sopra. Altri furono, e comincia-
mento ebbero da Socrate, e poi dal suo successore Pla
tone, che, ragguardando più sottilmente, e veggendo
che nelle nostre operazioni si potea peccare e si pec
cava nel troppo e nel poco , dissero che la nostra o.
perazione , sanza soperchio e sanza difetto, misurata col
mezzo per nostra elezione preso, ch'è virtù, era quel
fine, di che al presente si ragiona; e chiamarlo opera
zione con virtù. E questi furono Academici chiamati ,
0) Pare confonda Zenone di Cisico con Zenone d'Elea.
OzAHAH. Pani». Hi
3o> PARTE IV. DOCUMENTI
siccome fu Platone e Speusippo suo nipote; chiamati
per lo luogo così, dove Platone studiava ; da Socrate
non presono vocabolo, perocché nella sua Filosofia nullo
fu affermato. Veramente Aristotele, che da Stagua ebbe
soprannome, e Senocrate Calcidonio suo compagno,
per lo 'ngegno quasi divino , che la natura in Aristo
tele messo avea, questo fine conoscendo per lo modo
Socratico quasi ed Academico limàro e a perfezione
la filosofia morale ridussero, e massimamente Aristote
le (i).;. E perocché Aristotele cominciò a disputare andando
qua e là , chiamati furono ( lui , dico , e li suoi com
pagni ) Peripatetici , che tanto vale, quanto Deambu
latori. E perocché la perfezione di questa moralità per
Aristotele terminata fu , lo nome delti Academici «i
spense; e tutti quelli che a questa setta si presero,
Peripatetici sono chiamati , e tiene questa gente oggi
il reggimento del mondo in dottrina per tutte parti :
e puotesi appellare quasi cattolica opinione. Per che
vedere si può, Aristotele essere additatote e conducitore
della gente a questo segno. E questo mostrare si volea. *
(i) Questa speciale estimazione che rappresenta Aristotele come
il continuatore di Platone, giustifica i cenni fatti nel capitolo se
condo della nostra terza parte. Essa non è inconciliabile colla lette
ra di Marsilio Ficino, citata alla pag. 193, e di cui non possiamo t
meno che citarne qualche linea. « Dante Alighieri, per patria cele
ste, per abitazione Fiorentino , di stirpe angelico, in professione fi
losofo poetico, benché non parlasse in lingua con quel sacro padre
de' filosofi, interprete della verità, Platone, niente di meno in ispi-
rito parlò in modo con lui, che di molte sentenzio platoniche
adornò i libri suoi. E' per tale ornamento massime, illustrò tanto
la città fiorentina, che così bene Firenze di Dante, che Dante
di Firenze si potrebbe dire. Tre regni troviamo scritti nel nostro
rettissimo duce Platone: uno de' beati, l'altro de' miseri, l'al
tro de' peregrini. Beati chiama quegli che sono alla città di vita
test itutij miseri quegli che per sempre ne sono privati; peregrini,
quegli che fuori di detta città sono , ma con giudicati in sempi
terno esilio. In questo terzo ordine pone tutti i viventi, e de"
morti quella parte che a temporale purgazione è deputata. Que
sto ordine platonico primo segui Virgilio: questo segui Dante di
poi, col vaso di Virgilio bevendo alle platoniche fonti. »
IV. Del ciclo poetico e leggendario
CUI APPARTIENE LA DIVINA COMEDIA
La Divina Comedia fu considerata per lunga pezza come
un monumento solitario in mezzo ai deserti intellettuali del
medio evo. Dall'una parte non si trovava per lei alcun ter
mine di paragone tra le leggiere produzioni dei trovadori,
le sole che ancor si conoscano di quest'epoca disprezzata
e quindi mal compresa. Dall'altra, se vi si trovavano delle
frequenti imitazioni dell'antichità classica, queste remini
scenze sembravano arrestarsi ad alcuni particolari ; chè
quanto al tutto del poema, esso non poteva ridursi a' tipi
ricevuti; non se ne poteva fare, secondo le esigenze della
scuola, un'opera rigorosamente epica , lirica o drammatica.
L'assoluta originalità della favola dantesca era dunque di
venuta pei filologi italiani testo alternativo d' elogi e di
critiche. Oggidì studj più profondi non lasciano conside
rare la Divina Comedia nel suo isolamento imaginario; e
sarebbe facile l' unire intorno ad essa numerose finzioni
dello stesso genere, sparse nella letteratura di tutte le
età, e la cui costante presenza a grandi intervalli, attesta
senz'altro qualche grande preoccupazione nello spirito u-
mano. Ma questo lavoro troppo esteso non avrebbe qui
luogo; e noi tenteremo solo di tracciarne uno schizzo e
comporremo una semplice tavola delle materie ove si
porranno non tutti gli esempi che sarebbe possibile rac
cogliere , ma quelli soltanto che bastano a stabilire una
successione continua dal secolo di Dante rimontando tra
verso i tempi barbari, fino all'avvenimento del Cristia
nesimo (i).
(0 Vedi più sopra a pag. 69. La dissertazione di Foscolo, la
•ola che vi sia su questo punto, non dà che piccol numero di
3<4 PARTE IV.
Periodo primo — Dal secoz.0 xir all'xi.
I. Fatti generali.
Le principali composizioni poetiche del medio evo si
dividono in cicli. Il ciclo è uno spazio indeterminato in cui
si collocano molti avvenimenti storici o favolosi , insieme
congiunti per l'identità dei personaggi o P analogia dei
fatti , narrati da una serie di scrittori di prosa e di versi.
Si possono distinguere (re sorta di cicli, corrispondenti
alle tre classi della società contemporanea; gli uni, sa
tìrici e popolari hanno il loro più perfetto modello nel
romanzo del Renard ; eroici gli altri e cavallereschi,
celebrano le avventure di Carlo Magno e de' suoi pari,
le prodezze della Tavola Rotonda , le imprese sfigurate
d'Alessandro e della guerra di Troja; altri infine, leg-
gendurii e religiosi, comprendono gli evangeli apocrifi,
i poemi sulla vita di Cristo e dei Santi, e quella mol
titudine di narrazioni maravigliose di cui si piaceva
la pietà dei nostri antichi. Ora, fra i cicli leggendarii,
bisogna riconoscerne uno, composto di viaggi al mondo
indicazioni; essa non s'estende oltre i tempi cristiani cui giudica
con tutta la durezza del secolo xvin; essa finisce con queste pa
role : « Allora era stabilita nella credenza popolare una specie
di visionaria mitologia , che Dante adottò in quella stessa maniera
con cui la mitologia del politeismo era stata adottata da Omero ».
— Sarebbe troppo lungo l'enumerare le antecedenze poetiche della
Divina Comedia nell' antichità latina , greca ed orientale., la qual
materia forma l'apposito oggetto d'una tesi latina da noi presentata
alla Facoltà delle Lettere in Parigi: Defrequenti apud veteres poetai
heroum ad infero* descensu. D'altra parte qui le analogie sono più
conosciute ed anco meno importanti. Il VI libro dell' Eneide e il
Sogno di Scipione sono i soli modelli antichi cui Dante s' avvi
cina per una imitazione sistematica. La minaccia di Medusa al IX
canto dell' Inferno, incontrastabile reminiscenza del II canto deh
l'Odissea, non basta a stabilire che le opere d'Omero fossero nelle,
mani del poeta cattolico.
DOCUMENTT 3b5
invisibile, di sogni e d'apparizioni, in cui si trovano
descritti, insieme o separatamente, sotto forme or severe
ed ora bizzarre, il cielo, il purgatorio e P inferno ; qual
che volta vi si trova anche il paradiso terrestre: le me
morie della culla si confondono con quelle della tomba.
II. Rappresentazioni plastiche; narrazioni staccate; novelle in versi
I bassirilievi che decorano la facciata delle cattedra
li, le vetriate che ne chiudono il santuario, riprodu
cono spesso le scene maestose dell'immortalità. Esse ri
comparivano nei misteri , ed il teatro allora si divi
deva in tre spartimenti per mostrare agli sguardi della
moltitudine il triplo soggiorno de' reprobi, delle anime
purganti e degli eletti. Uno spettacolo di simil genere,
dato in Firenze il i.° maggio i3o4, costò la vita a
molte centinaja di curiosi , il cui peso fece piombare
il ponte Alla-Carraja (i). 11 favore in cui erano questi
quadri li faceva entrare sotto forma d'episodii nelle pa
gine delle più gravi cronache ; Joinville racconta la
visione d'un principe tartaro, miracolosamente traspor
tato nella corte del cielo per apprendervi i destini del
suo popolo. Ma soprattutto i trovadori prendevano di
mira un soggetto in cui le loro graziose fantasie potevano
vagare a tutto agio, ed il loro umor critico avea largo
campo di spaziarsi dietro a facili allusioni; le raccolte
di novelle ne contenevan molte che bisogna citare : il
Sogno d'Inferno, la Via di Paradiso, il Cammino di
Paradiso , il Giullare che discese all' Inferno , la Corte
(i) Villani (i3o4). — Non bisogna credere col Drnina che que
sta funesta solennità abbia suggerito il primo pensiero della Di
vina Comedia, intrapresa già da otto anni; è solamente una delle
frequenti circostanze in cui si manifesta lo spirito del secolo che
la fe' nascere.
■6»
3o6 PARTE IV.
di Paradiso, il Villano che guadagnò il paradiso per
protezione (i).
III. Grandi visioni.
Prolungate ricerche farebbero conoscere senza dubbio
un certo numero d' opere di lunga lena in tutte le
lingue che si scrivevano allora. Noi ne abbiamo scelte
cinque, i cui testi originali appartengono alla Scandi
navia, all'Irlanda, alla Francia, all'Italia, e le cui tra
duzioni si sono sparse in Allemagna e nella penisola
iberica. Se ne giudicherà dietro brevi compendii.
i.° Purgatorio di S. Patrizio. (a) — Questa leggenda pu-
(i) ffistoire litlèraire de France, t. XVIII, pag. 787, 790, 793.
— Legrand d'Aussy, Fabliaux , t. II, pag. 22, 3o, 36.
(a) Non avvisiamo inutile cosa il far qui breve cenno del Dram
ma di Pietro Calderon della Barca, che Tersa appunto intorno a
questo soggetto, Il Pozzo di San Patrizio. Quell' insigne dramma
turgo, nel quale , secondo lo Schlegel , si trova non che una sovrana
altezza d'ingegno, l'intiera perfezione dell'arte, prometteva»
di fermo la sua maggior gloria dai drammi sacri che portano sem
pre fedelmente l' impronta del linguaggio biblico e delle pie nar
razioni del leggendario , e che dagli altri si rendono singolari ,
mercè 1' entusiasmo religioso e l'evidenza dell' allegoria.
Tra questi va senza dubbio distinto il dramma sunnominato ,
dove Calderon porge non dubbia prova che la religione era il
verace suo amore , l' anima dell' anima sua : illuminato dai raggi
di essa egli penetra tutti i misterj dell'umano destino; il dolore
non è più per lui un enigma , « ed ogni lagrima della sventura
gli appare simile alla rugiada de' fiori, la cui minima stilla ri
flette la luce del cielo ».
La rappresentazione di un luogo famoso di espiazione spiri
tuale, detto Purgatorio di San Patrizio, in cui , entrate, secondo
la volgare credenza , le persone, vi facevano, ancor vive, il loro
Purgatorio, offriva tale una grandezza di soggetto, specialmente
in que' tempi in cui la nazione spagnuola era data alle super
stizioni, che il poeta non dubitò di mostrarlo, con una serie di
animate pitture, al teatro.
DOCUMENTI Joy
blicata nel 1 14<> dal monaco Enrico di Scaltry, ripetuta da
Vincenzo di Beauvais e Matteo Paris (n53), fu messa in
Tersi da Maria di Francia e da due altri trovadori anglo
normanni (i). — Un cavalier inglese, chiamato d'Oweins,
intraprende il pellegrinaggio del purgatorio in espiazione
de' suoi peccati. Egli si reca alla caverna miracolosa,
già aperta per la preghiera di s. Patrizio, in un'isola del
lago di Dungal. Dopo lunghi digiuni e fervide orazioni ,
illuminato dai 'consigli di religiosi vicini, egli s'inoltra
nella via sotterranea (2) , e tosto si trova in un luogo
che è ad un tempo quello dei patimenti temporali e
delle pene eterne. Né dà indietro per le minacce dei
demonj • ed ora respinto, ora trascinato da quelle schiere
tumultuose , passa per innumerevoli supplizj (3). Sono
reprobi crocifissi per terra, legati, divorati dai serpenti,
esposti nudi al soffio d'un vento gelato, sospesi pei
piedi a cataste di fuoco che non si estinguono mai, at
taccati a una ruota che gira continuamente , attuffati
entro fosse in cui bolle il metallo fuso, portati in alto
dalla tempesta e precipitati in un fiume sotto le cui a-
Sarebbe far torto alla versione che , elaborata con rara dili
genza ed arricchita di savie prefazioni sì di questo come degli
altri Drammi del Calderon , ora publico il eh. sig. Pietro Monti,
se pel desiderio di soddisfacenti notizie intorno a san Patrizio,
e per la curiosità di un vivo riscontro tra il racconto di quella
espiazione spirituale fatto dal Cavaliere Inglese nel libro del no
stro Autore, e quello di Ludovico Ennio sulla fine del Dramma
di Calderon , a tale versione non 1nandassimo il cortese lettore (*).
— Nota del Trad.
(i) OEuvres de Marie de France, tosa. II. — Delarue , Essais
historiques sur les BardeSj ec. , tona. III, pag. a45.
(2) Dante attraversando il Purgatorio si purifica de' suoi pec
cati. Purgatorio passim.
(3) Dante è anche arrestato dai demonj all'entrare della città
di Satana. Inferno, IX.
(*) Il Patto di San Patrizio , nel voi. Il delle Comeiie di Pietro Cal
deron della Barca, tradotte da Pietro Monti con tlluslra1ioui. Milano, tipo
grafia, de1 Clanici Italiani 1840.
3o8 PARTE IV.
eque li rattengono i demonj armati d'uncini di ferro. In
(ondo di sì lugubre stanza un pozzo infuocato inghiotte
e rivomita a volta a volta le anime, inviluppate in una
veste di fuoco (i). Oweins riconosce molti de' suoi com
pagni d' armi ; il suo coraggio si smarrisce ; guadagna
tutto tremante un ponte gettato sull'abisso; la stretta ta
vola s' allargò dinnanzi a' suoi passi , ed il condusse ad
una porta che s'apre, e lascia vedere magnifici giardini (2).
Egli è 1' Eden perduto per il peccato del primo padre,
abitato però dai giusti prima d'entrare in cielo. Una
lunga processione viene ad incontrar l'ospite novello ed
il eonduce fino ad un punto d' onde si vede la gloria
del cielo. Lo Spirito Santo ne è disceso, e si diffonde
sull'intera assemblea : Oweins si ritira purificato (3).
(0 Ricordiamo la crocifissione di Caifas, i concussionarìi op
pressi sotto la pece bollente , e i giuochi grotteschi dei loro
carnefici, i voluttuosi strascinati da una tempesta eterna, il pozzo
de' Giganti. Inferno, XXIII, XXIV, XXXI.
(a) Il ponte della Prova , tolto dalla mitologia persiana , si ri
troverà nelle due seguenti visioni; Dante ne ha conservato una
traccia in fine del canto XXIII.
(3) Gens erent de religiun
Qui fireut la processit1r! ...
Cunlre le chevalier alerent
Sii recureul e le menereot
Od duj chant e dna melodie
Et od le son de Pbarmonie ...
Si cum uds prts fust citt pars
De flors è d'arbres planlèis...
Icìst pals e cist estre
C° est paradis terrestre.
Questa scena offre una sorprendente rassomiglianza con l' ul
tima del Purgatorio di Dante; il Paradiso terrestre al termine
delle espiazioni , la processione dei vecchioni e delle sette virtù,
i canti , i profumi , e perfino le lezioni che Dante riceve da Bea
trice. I santi non risparmiano i loro avvisi al cavaliere Oweins;
SVI siede vivez léaumeDl
Siez seur certeinemeat
Après votre mort va1 vendree
Ea la joie que vus reiej.
DOCUMENTI 309
2.0 Pistone d'Alberico. —- E la stessa narrazione del
visionario, scritta sotto la sua dettatura a Monte Cassino
sul principio del xu secolo ; e non ebbe mai l' onore
d'esser messa inversi (i). — Il giovane Alberico, colpi
to da grave malattia, restò per nove giorni nell' immo
bilità della morte. Tuttavolta, condotto da s. Pietro,
e in compagnia di due angeli, egli visitò la regione de'
tormenti, ed ha visto i lussuriosi errare in una vallata
di ghiaccio, le donne peccatrici strascinate attraverso a
una densa foresta d'alberi spinosi , i rei d'omicidio sepolti
sotto onde di bronzo ardente , i sacrileghi in un lago
di fuoco , i simoniaci in un pozzo senza fondo. L'abisso
nascondeva nelle sue estreme profondità un verme di
lunghezza infinita, il cui respiro divoratore assorbiva e
rigettava come tante scintille sciami di dannati (2). Sul
fiume che serviva di confine a questo triste impero, un
ponte che s'impiccoliva od allargava al bisogno, riteneva
le anime non ancor monde , e lasciava sfuggire quelle
la cui piova era finita. Abbandonato per qualche istante
al furore dei demonj, Alberico passava per le fiamme;
poi, ripigliato dalla sua celeste guida, d'un tratto egli
si trovava dinnanzi al tribunale d1vino. Un peccatore vi
aspettava la propria sentenza, i suoi delitti erano scritti
in un libro che presentava l'Angelo della vendetta. Ma
una lagrima di carità sparsa dal colpevole negli ultimi
giorni di sua vita, raccolta dall'Angelo del perdono,
cancellava la scritta condannatrice. Quindi in mezzo ad
una pianura, ad un campo coperto di fiori, e pieno
di luce, s' elevava la montagna del paradiso terrestre ,
dominata dall'albero del frutto vietato: una moltitudine
(1) Essa fu pubhcata la prima volta dall' abbate Cancellieri.
Roma, 18i4.
(2) E sempre l'alternativa del fuoco e del ghiaccio che Dante
non ha mancato di osservare. Egli pure chiama Satana II gran
ferme. La stessa simigUanza per il supplizio dei simoniaci.
J,o PARTE IV.
avventurata ne popolava un'immensa superficie (i). Il
giovine monaco nondimeno, levato da una colomba era
salito più alto ancora; egli aveva attraversato le sfere dei
pianeti e '1 cielo stellato per andar a contemplare le ma
raviglie dell' Empireo. Là s. Pietro gli aveva fatto co
noscere i peccati degli uomini , e l'aveva congedato col-
l'ordine di publicare le sue rivelazioni (3).
3.° Discesa di s. Paolo all'inferno. — Una tradizione,
la cui origine non si trova nelle scritture apòcrife , scrit
ta in latino avanti la metà dell' xi secolo da un Fran
cese delle provincie meridionali, somministrò il soggetto
di questo poema al monaco anglo.normanno Adamo di
Ros (3) — . L' arcangelo s. Michele condusse I1 Apostolo
delle genti in questo luogo di cui egli deve predicare i
terrori. Davanti alla soglia s' innalza un albero infiam
mato, forca di mille braccia, a cui sono sospese le anime
degli avari. Più lungi abbrucia una fornace circondata
da neri vortici. Un largo fiume ravvolgente demonj ne'
(1) Visione d'Alberico, cap. 2o. — Dante è obligato a passar
per le fiamme. Purgat. XXVII.
(2) Qui specialmente l'analogia è decisiva: qualiier a columbd
et beato Petra ductus est in coelum, ec. (Alberico, § 33. — Dante,
Paradiso, XXVII). Se Foscolo vi avesse ben osservato, nonja-
vrebbe argomentato da questo passaggio del Paradiso per istabilirc
le intenzioni riformatrici di Dante : o meglio vi avrebbe associato
l'umile monaco di Monte Cassino, il quale certamente non ebbe
mai di simili tentazioni.
(3) Dclarue , Essais lùstoriques , t. III, pag. i3a. — Fauriel ,
Cours inèdit. L' autore annuncia la sua opera come una tradu
zione :
.... Aidex.moi a transiger
La vision saint Poi le ber.
E probabile che Dante ne conoscesse la traduzione o l'originale,
poiché al canto II dell' Inferno, pare supponga che s. Paolo il pre
cedette. Ora la Scrittura, che narra il rapimento dell'Apostolo in
cielo, non lo fa discendere tra i dannati.
DOCUMENTI Su
suoi flutti , si sprofonda sotto gli archi del ponte fata
le valicato dai giusti riconciliati, ma sfuggente sotto i
passi de' peccatori. Piombati a differenti profondità se
condo la gravezza de' delitti, apparivano gli invidiosi,
gli adulteri, gli scialacquatori, i settarii armati in rovina
della Chiesa (i). Altri tormenti aspettano gli usurai, gli
esattori, e tutti quelli che né ebber cura di Dio né com
passione dei poveri. Le vergini infedeli vestite a nero
sono abbandonate agli spaventevoli abbracciamenti dei
dragoni e dei serpenti. I giudici iniqui errano fra due
fuochi sempre avvampanti ed una muraglia di ghiaccio.
Dolorose catene caricano le mani dei preti prevaricatori.
Da ultimo il pozzo chiuso da sette sigilli tiene nella sua
infetta sepoltura quegli che negarono i misterii della fe
de : all' intorno, in fondo d' una fossa , altri miserabili
servon di pasto ai più vili animali (2). A frammischiarsi
a si tristi spettacoli viene l'apparizione d'un' anima e-
letta portata dagli angeli nella gloria. La corte celeste
intuona giulivi cantici: i dannati rispondono coi loro
gemiti. S. Paolo e la sua guida si muovono e comin
ciano una preghiera che vien ripetuta da tutti i Santi.
La giustizia eterna si lascia piegare, ed accorda ai re
probi la regolare interruzione dei loro patimenti , ciascuna
settimana, il giorno del Signore: la tregua di Dio si
stende fin sopra i suoi nemici (3).
(1) Il testo sembra qui accennare a società segrete in cui si sa
rebbe giurata la distruzione del Cattolicismo :
A saintc Igltse firent guerre...
Et par sa .mort se parjurouent.
Dante (Inferno > XII) rappresenta anche i violenti , attuffati
in un lago di sangue la cui varia profondità era in rapporto alla
loro colpabilità.
(2) È inutile segnare le analogie già presentate nelle visioni
precedenti : osserviamo solo l' ultimo tratto riprodotto al can
to XXIX dell' Infimo.
(3) Questo poema, interessante pel nerbo e la sobrietà dello
Sia PARTE IV.
4-° Canto del Sole. — Questo canto cristiano, solo fra
gl'inni del paganesimo scandinavo, si trova in fiue del-
VEdda di Scemund. Le male estinte tradizioni dell'antica
religione del Nord vi gettano ancora sinistri riflessi, ma
agevolmente vi si riconoscono le tradizioni cattoliche e
molte graziose reminiscenze dell'arti del mezzodì (1). —
Un padre violò le leggi della morte per istruire il proprio
figlio; lo visita in un sogno e gli racconta le cose del
l' eternità. — Egli ha percorso dapprima le sette zone
del mondo inferiore. Uccelli neri di fumo, ch'erano al
trettante anime, si ravvolgevano come una nube di mo-
scherini all'entrata dell'abisso. Le donne impudiche stra
scinavano piangendo macigni insanguinati. Uomini coperti
di ferite camminavano sopra sabbia arroventila (2). Stelle
minaccianti erano sospese sulla testa degli scommunica-
ti. Sul petto degl' invidiosi si leggevano caratteri runici
di sangue. Coloro che corsero dietro alle vane Felicità
della vita andavano senza posa in un campo senza fine. I
ladri carichi di peso di piombo andavano in folla alla
casa di Satana. Rettili velenosi foravano il cuore degli as
sassini, ed i corvi del Tartaro divoravano gli occhi dei
mentitori (3). — Ma il vecchio s'è visto poi trasportare
stile, il movimento drammatico dell'azione, l' ingenuità del sen
timento , pei numerosi confronti in fine che suggerisce , ci parve
degno d'uscire dalla oscurità in cui giacque fin qui, e poi lo
publichiamo come un brano giustificativo.
(1) Edda Saemundar, t. I, Solar-liod. Lo scaldo islandese fa
certamente sconosciuto dal Fiorentino; ma le rassomiglianze sono
abbastanza numerose per far credere eh' essi attinsero alle mede
sime fonti.*
(2) Solar-liodj 58, 59 : Cruenta saxa — Nigrae illae feeminae «-
Trahebant tristi modo. — Multos homines ridi — Sauciatos ire;
— In illis prima obsitis viis.— Cf. La pena degli avari, dei so
domiti, e dei scismatici, Inferno, VII, XIV, XXVIII.
(3) Solar-liod, 63 , 64 : Catervatim ibant UH — Jd, Plutoni*
arcem — Et gestabant onera e plumbo. —• Homines vidi illos —e
Qui multos pecunid et vitd spolidrant : r— Pectora — Baptim per-
DOCUMENTI 313
alle più alte regioni del Cielo. Ivi angioli luminosi
leggevano il Vangelo sulla testa di coloro che quaggiù
fecero l'elemosina. Quelli che digiunarono erano circon
dati da spiriti celesti prostrati ai loro piedi 5 i figli pie
tosi vaneggiavano sui raggi degli astri; gli oppressi, le
vittime dei forti , portati su carri di trionfo, come re si
libravano in mezzo alla folla venturata (i).
5." Viaggio di S. Brendano.'— È una specie d'Odis
sea monacale del sesto secolo, di cui v'ha una redazione
latina dell'undecimo e molte traduzioni irlandesi, inglesi,
tedesche, francesi e spagnnole (2). — 11 santo monaco
ha lasciata l'isola d'Erin per andar a cercare attraverso
ai mari occidentali la terra promessa dei Santi. Dopo
le infinite avventure d'una lunga navigazione arriva al
paradiso degli uccelli, dimora degli angeli semicaduti,
i quali senza prender parte alla rivolta di Lucifero non
s'associarono tampoco alla difesa delle milizie fedeli (3).
vadebant viris istis — Validi venenati dracones. — Cf. La casa di
Satanasso , le cappe di piombo dell' ipocrita , i serpenti che in
seguono i ladri. Inferno, VIII, XXIII, XXIV. L'ultima di queste
analogie è si evidente che si stenterebbe a crederla fortuita.
(1) Questa serena e dolce imagine di paradiso sostituita ai
brutali godimenti del Walhalla , questa apoteosi della carità ,
dell' astinenza , della rassegnazione presso le spaventevoli tribù
del Nord , non è egli il Cristianesimo còlto sul fatto nella sua
virtù rigeneratrice?
(2) La legende de S. Brandaines publicata da Achille Jubinal.
Parigi , i836.
(3) 1 Nous somes de ceus
Qui jus calrent des sains cieui ;
Mais ne nus consentimes pas
A leur pècies , mais par leur cas
Avint nostres trébucemens.
Quasi come gli angeli neutrali di Dante (Inf. III, st. i3. )
che non furon ribelli,
Nè fur fedeli a Dio, ma per sè fóro.
OZANAM. Danta. 27
3i4 PARTE IV.
Più lungi havvi la montagna dell'Inferno la cui cima
vulcanica domina l'Oceano: l'abitano neri fabbri, i cui
instancabili martelli cadono notte e giorno sulle incudini
in cui si torcono i reprobi. In tali funeste spiaggie, il
solo Giuda, in mezzo al1'acque, gode del riposo settima
nale che gli accordò la infinita mansuetudine di Cristo.
Il passaggio di S. Brendano prolunga d'un giorno que
sta sospensione di patimenti (i). Egli quindi s'allontana,
e poi ch'ebbe salutato l'eremita Paolo, ritirato già quasi
da un secolo in un'isola solitaria, egli tocca la spiaggia
desiderata. Ivi fu già il Paradiso terrestre, deserto al
presente ma destinato a diventare un giorno l'asilo dei
Cristiani, quando ricomincerà il tempo delle persecuzioni.
Cosi fu predetto da un angelo del cielo che manda nella
loro patria i miracolosi viaggiatori (2).
(1) Une isle virent près assise
Ruiste, rukeuses, sans verdures,
Partout pleine de forgéures ...
Dont orrent souflc's venter
Et tonoire et martiax: ferir
Sur englumes de grand air....
ttJe suis, fait-il, li fel Judas...
n ... por paor deP Sauveour
ti Ci sui au dimeoce en l'onor
» De la misé'ricorde Crist
ti C'ati diraence surrexìt n.
Nulla di più commovente che questo perdono parziale; il solo
che Dio possa accordare ai dannati. Vi si riconoscono meraviglio
samente le abitudini di dolcezza che la religione introduceva nella
società moderna. Dove si poteva trovare una pietà che discen
desse fino a Giuda? ' •
(2) La terre voient plaine tempre ,
Les pumnaiers si cura en septembre.
Environ prisent à aler
C'ainc nuit ni visent fors jor clerc...
Après mains aas ert descoverte
Ceste isle et du tout ouverte
A ceux qui après ci veuront,
Quant persècution aront
Crestien qui font sor PEvangile.
I
DOCUMENTI 3,5
Molte altre citazioni ci sarebbono diventate nojose per
monotonia; ma questo ritorno delle medesime figure sotto
combinazioni diverse non dispiaceva ai nostri padri , e la
loro intelligenza, più conseguente della nostra, non dis
metteva mai dal meditare ciò che dovea durare in e-
terno.
Periodo secondo. —Dal secolo x al ri.
Ai tempi barbari disparve la poesia ; ma vi si trova
la leggenda, semente feconda e vivace che dorme sotto
la gleba e che al primo apparire del sole produrrà i
suoi frutti. Le rivelazioni del mondo avvenire si molti
plicano specialmente nell' aspettazioue della prossima fi
ne del mondo presente. Il x ed il ix secolo ce ne danno
numerosi esempi e per noi basta accennarne tre tolti
dalla letteratura ascetica della Germania, dell'Inghilterra
e dell'Oriente nei tempi che corsero tra Carlo Magno
e Maometto.
1. Il primo è lavoro ancora notevole, tarda produ
zione della scuola cariovingia, nella quale si fa sentire
un ultimo soffio d' inspirazione sotto forme il più delle
volte corrette , e a quando a quando sapienti. iNoi vo
gliamo accennare al poema latino di Strabo Walafrid ,
che pose in versi (825) il racconto in prosa dell'abbate
Helto, sotto le lezioni di s. Wettin. (1) — Due giorni in
nanzi la sua morte, fu quell'avventuroso rapito in ispi
rito , e colla guida del suo angelo custode tratto a vi
sitare il triplice soggiorno delle anime. Ei vide i dan
nati nel mezzo di tormenti indicibili 5 aggirati in un tor-
I navigatori spagnoli hanno per lungo tempo cercato l'isola di
s. Brendano. Essa è compresa nel trattato d' Evora nella cessione
fatta dalla corona di Portogallo a quella di Castiglia.
0) Acta Sanctorum ordinis S, Benedica, seculum ìv, pars 1,
p. 263.
3i6 PARTE IV.
i-ente di fuoco , chiusi in arche di piombo ; stretti tra
muri insuperabili circondati da denso fumo; e in quella
moltitudine ravvisò molti prelati , preti e religiosi (i).
Ascese poi il monte del Purgatorio , dove i vescovi ne
gligenti espiavano la loro mollezza' i conti, la rapacità:
e il grande imperatore d' occidente , il figlio di Pipino ,
la sfrenata incontinenza della sua carne (i). Gli vennero
dischiuse le porte della celeste magione, e passò per
mezzo gli ordini de' confessori, de' màrtiri e delle vergini;
giunse sino al trono dell'Eterno, e grazia vi ottenne col
patto però di farsi messaggier quaggiù, delle divine ven
dette (3).
2. Beda, nel V libro de' suoi Annali, riporta il ma-
raviglioso risorgimento di un Northumbriano, avolo forse
legittimo del cavaliere Oweins, di romanzesca memoria.
11 risorto narrava come avesse passato tenebrose vallee
sotto 1' alterno dominio del caldo e del freddo , ch'erano
un tormento intollerabile; come dall'abisso infernale si
lanciavano fiamme animate da spiriti perversi ; come la
milizia di Satana lo aveva inseguito, quando un angelo
era disceso affine di toglierlo al pericolo. Aggiugneva i
campi smaltati di fiori distesi al di là per accogliere le
anime purificate, e per formare la soglia del paradiso;
(i) Quem plumbea possidet arca
Judicu usque diem dubio sub Jine vomendum.
Cf. Il supplizio degli Eretici ( Inferno, IX ).
(a) Bis visìs celsum montem cceloqne propinquum
Adspiciunt ibidem
jibluit incauto quidquid neqlexcrat aclu.
(3) Unde libi jubeo auctoris da nomine nostri
Ista palam refcrens ut darci voce revolvas.
Il carattere politico di questa visione la distingue dalle prece
denti , due delle quali soltanto, quelle di Alberico e d'Adamo di
Ros, appalesano alcune intenzioni satiriche. Perciò il poema di
Walafrid avvicinasi alla Divina Comedia.
DOCUMENTI 3*7
la luce onde essi splendevano aveva' abbagliato il suo
sguardo nel punto che armoniosi concenti gli risonavano
dolcemente all' orecchio (i).
3. Finalmente un greco opuscolo, che nell'attuale sua
forma non può risalire oltre la invasione de' Turchi ,
contiene la stòria dello strano pellegrinaggio impreso da
tre monaci dell'oriente per iscoprire il punto « nel quale
si toccano terra e cielo», cioè , secondo la opinione com-
mune, il Paradiso terrestre (2). Essi passano l'Eufrate,
traversano la Persia e la Battriana , soverchiano gli ul
timi confini delle conquiste di Alessandro , di cui una
colonna ancora in piedi conserva la memoria. Succedono
vasti deserti, solitudini popolate di mostri , coperte d'om
bre eterne. Un lago di zolfo vi fece il suo bacino. Ser
penti di fuoco ne agitano la superficie, per di sotto si
ode un mormorio pari a quello d'innumerevole molti
tudine ; ed una voce del cielo gridò : « E qui il luogo
di pene ». I pii pellegrini nondimeno seguitano la via
per soddisfare al proprio voto. Spossati da lunghe fa
tiche giungono alla caverna di san Macario Romano.
Il quale tratto già da tempo in quelle regioni da somi-
(1) Beda, Historia Eccles. gentis anglic. 1. V: e. i3. Sono e-
videnti i rapporti col purgatorio di s. Patrizio. Vi si ricorda del
pari Dante soccorso da un angelo {Inferno, IX) e le fiamme par
lanti, ricetto delle anime de' perfidi consiglieri (XXVI, XXVII).
(2) Rosweid, Vitae patrum. Vita sancti Macarii Romani, servi
Dei, qui, inventus est juxta paradisum. — Segnasi l'anno dalla
interrogazione di san Macario che domanda a' suoi ospiti notizia
de' Saraceni. — In questi versi di Avito è dichiarata la opinione
secondo la quale il Paradiso terrestre tocca il cielo :
Quo perbibent terram conjinia jungere cotlo
Lucus inaccessa cuncns mortnlibus arce
Permanti
Dante vi si conforma, e l'Eden, per lui, domina la sfera del
l'acre, e tocca quella del fuoco.
•7'
3U PARTE IV.
gliante desiderio, pervenne sino alla porta dell'Eden,
ma vi sostò impedito dalla spada del Cherubino che
veglia al limitare, e, ritirato in un antro dei dintorni ,
passò un secolo nella preghiera e nella penitenza. Gli
ospiti di lui edotti dal suo esempio rinunciano alla vana
ricerca del giardino delle delizie, ricalcano la via che
mena al loro convento, fatti certi di goder in quel luo
go dell'unico bene concesso all'uomo quaggiù, che è
quello della virtù. — In questo bizzarro racconto non
potremmo disconoscere la controprova dei viaggi di san
Brendano, colle sole differenze dei luoghi, de' costumi,
e del colore letterario. Là gli spettacoli dell'Oceano, la
misericordiosa dolcezza della Chiesa latina, il vago ne
buloso delle descrizioni ossianesche. Qui le sabbie ardenti
dell'alta Asia, P oscuro esaltamento del misticismo orien
tale, la grettezza dello stile bizantino. Ma sì pei religiosi
greci, sì pei monaci irlandesi abbiamo i medesimi incon
tri, il medesimo disegno , diremmo quasi lo stesso pre
sentimento dell' ignoto. Perciocchè la China era sul passo
di san Macario Romano; e non potrebbe la navicella di
san Brendano aver lasciato sui mari uno di quei vestigi
memorabili che più tardi trassero l'avventuroso Geno
vese a scoprire l'America ?
Terzo periodo. — Dal r secolo al i.
La leggenda spesso è opera d'arte : lo studio ne com
pone gli elementi, l'imaginazione li coordina, una pie
tosa intenzione dà loro la vita; del che abbiamo potuto
farci capaci tra le reminiscenze della sacra Scrittura e
dei poeti profani, nelle allusioni morali e politiche de'
racconti che si pigliano a considerare. Però non hanno
generalmente sostenuta la prova che la Chiesa fa sen
tire alle cose miracolose innanzi che le raccomandi alla
fede dei popoli. La maggior parte degli scrittori ascetici
DOCUMENTI 319
moderni gli esclusero dalle proprie raccolte (i). Così non
andò per rispetto ai prodigi inseriti tra gli atti e gli scritti
de' santi de' primi tempi , che non si possono mettere
in dubbio senza disconoscere punto tutte le leggi della
critica. La vita di s. Gregorio Taumaturgo e le lettere
di s. Cipriano, le storie della Tebaide e delle catacombe
narrano ad ogni pagina le celesti apparizioni che forti
ficano la virtù nelle prime sue lotte. Noi accenneremo
soltanto quelle descritte nel primo libro della Passione
di santa Perpetua martire. La generosa cristiana , la
vigilia del suo sacrifizio, ricorse colla memoria al suo
giovine fratello morto da poco tempo; lo vide coperto
di un'ulcera spaventevole, avido invano di spegnere la
sete nell'acque profane del Purgatorio. Ella pregò ; e
la notte successiva il fratello riapparve in tutto lo splen
dore della adolescenza, che trastullavasi sotto l'ombra del
Paradiso, e attingeva con una coppa dorata alla fonte
dell'immortalità. Ad esso del pari sembrava ch'essa mon
tasse una scala luminosa in cima della quale il buon
Pastore le tendeva la mano. E i compagni del suo sup-
plicio pensarono nel medesimo tempo che essi avevano
trovato il riposo sotto gli eterni tabernacoli. Tali erano
le visioni di quelli che di lì a qualch' ora dovevano es
sere gettati agli orsi ed ai leopardi (2). — Ma queste inda
gini consolatrici erano ben al di sotto delle profetiche
visioni di Paolo e di Giovanni , quando il primo rapito
nel cielo, vi contemplò cose inenarrabili nella lingua de
gli uomini; l'altro misurò le mura della nuova Geru
salemme, e scrutò le profondità dell'abisso infernale.
E come bisogna che tutti i prodigi del Cristianesimo si
riassumano nella persona divina del suo Autore, Egli
(1) Così il fiume di fuoco che riappare dappertutto, ha senza
dubbio origine nel Flegetonte degli antichi ; i campi fioriti , dove
le anime si riposano dalle loro pene, richiamano alla memoria i
Campi Elisi , mentre la profondità dell'abisso , il lago di zolfo ,
ed il drago sono altrettante imagini bibliche.
(2) Acta Martjrrum sincera.
ìio PARTE IV. DOCUMENTI
pure volle visitare l'inferno non già in estasi, ma real
mente; non per assistere al trionfo della morte, ma per
istrapparle la sua preda.
Intanto , se il corso naturale di queste ricerche ci
trasse fino ad uno de' più augusti misteri del simbolo
e per così dire a piedi della croce, non facciamoci
punto la maraviglia. La croce è come la colonna mil-
liaria dove mettevano capo tutte le vie dell'impero ro
mano ; è il punto di convegno, al quale siam tratti o
presto o tardi da tutte le vie delle umane cognizioni.
Avventurosi' quelli che nel loro cammino non mai la
perdettero di vista!
Così adoperavano gli uomini del medio evo. .— Così la
favola poetica della Divina Comedia risale per una tra
dizione non interrotta alle libere invenzioni del ciclo
leggendario, ai racconti degli scrittori ascetici, alle
testimonianze della storia primitiva , al dogma infine
considerato come tipo dell'arte. E il pensiero filosofico
del poema per simile tradizione legasi a' sistemi delle
scuole contemporanee , alle lezioni dei Dottori e dei
Padri, al dogma considerato come principio della scien
za. L'unità logica, la ortodossia, la erudizione si ap
palesano nella forma sì bene che nel fondo; Dante gran
deggia per un ravvicinamento , il quale benespesso in
cusse terrore agli stessi suoi ammiratori. Vili terrori !
Le opere dell' intelligenza, come tutte le cose di quag
giù, non si misurano che raffrontandole , non interes
sano che ne' loro rapporti. Non bisogna punto che il
genio faccia obliare la sua propria origine , per quan
tunque umile sia. « Il genio, secondo la felice espres
sione di un dotto scrittore (i) , non deve essere un di
scendente che disprezzi gli avi ignobili ; sia come un fi
glio pietoso, che, fatto possente e celebre, non discono
sce parenti ingloriosi ».
(i) J. J. Ampère, Histoire liitàraire de la Francesi. Il, p. 365.
V. LA VISIONE DI SA» PAOLO.
Poema inedito del XIII secolo (»).
Seignors frères , ore escoutez,
Vos qui estes à Deu nummez,
Et aidez-moi à translater
La visiun saint Pol le ber.
Deu, par sa doucor
Et par la soue grant amor ,
Ait merci et memoire
Des almes qui sunt en purgatoire
11 prist un angre del ciel
Qui est apelé saint Michel, io
(*) E il terzo componimento di una raccolta manoscritta di
leggende in rima, che esiste nella Biblioteca del Re, sotto il ti
tolo di Vis de S. Laurent, e sotto il n.° i858, già 256o. Lo scritto
è lavoro di valente penna del secolo xuu Manca il nome dell'au
tore. Ond' è che sopra la sola autorità del signor Delarue , e
finchè non si provi il contrario , noi abbiamo indicato Adam ,
monaco inglese originario di Kos in Normandia. 11 benevolo ajuto
del signor Raymond Thomassy addetto ai Lavori Storici , ci ha
facilitato la trascrizione e V interpretazione di questo poema, nel
quale si trova , con qualche differenza , la lingua di Maria di
Francia.
Vers. i . Seignors, ec. Basti ammonire una volta per tutte che
l o tiene luogo spesso dei dittonghi cu e ou; che esso è ordina
riamente sostituito dall'u innanzi le liquide me n; che l e r, b e g
si mutano a vicenda; che ei e ou si scrivono per oi, i per/', e per ù
2. A Deu nummez ^ a Dio volati.
4. Saint Poi le berj il barone, cioè il bravo ed il potente."ll
medio evo piacevasi di avvicinare la milizia del cielo e quella
dei re : più sotto ( verso a5a ) troveremo gli apostoli divenuti i
dodici pari, les doze pers.
6. Soue j sua.
9. Angre, angiolo, angelus; come lo spagnolo sangre e il fran
cese sanglant; come l'italiano grado e l'inglese glad, ec.
I
3»» PARTE IV.
A un saint home l'eri voia,
Et en aytes lui cummanda
Que en enfer le menast
Et les peines lui mostrast.
Icil s'entorne volentiers;
Car a ceo ert li suens mestiere;
Et vint al serf, si l'esveilla,
En s'oreille lui conseilla :
u Sevez mei, buens hom, senz esmeance
« Senz poor et senz dotance; 2o
u Car Deu veut qu'ieo t'enmeine
a En enfer veir la peine
a Et le traveil et la trrstor
« Que suefrent iloc pécheor ».
Saint Michel s'eri vait avant,
Saint Pol le seut, salmes disant,
Et prie Deu le creator
Que par la sone douce amor
leèle chose lui mostrast
Dunt sainte iglise revisitast. 3o
Devant la porte infernel ,
(Ohi Seignorsl si mal oste)),
Un arbre i vit piante ;
De feu fu tout alumé.
Iloc pendoient les ames des cors
Qui en cest ciecle funt trésors
Et le fals jugement
Por confundre la gent.
Les unes pendent par les lamges,
Et les altres par les jambes, 4°
12. Aytes j fretta.
1 6. Ert, era , erat.
26. Salmes , salmi.
35. Iloc , là , illuc.
39. Lamges , reni , Jumbi. La rima vorrebbe lambes.
-
DOCUMENTI 3»3
Et par les chiefs, et par les cous.
Oez Seignors, cum il furent fous
Qu'il ne voloient Deu amer:
Por ce'e les estuet et i brusler.
Puis revit une fornaise
Où jà ame n'aura aise.
Li feus est plus neirs que mors,
Par set flambes isseit fors;
Sos ciel u'est nule color
Que cist feus n'ait le jor. So
Iceles ames i esteient
Qui totes par i ardeient.
Puis vit un flun orible et grant,
Ou les déables vunt noant
A la guise de peisun;
Mais lor faiture fu de leun.
Desoz le flun a un grant punt
Qui bien est ball contremunt.
Mult est li puns lune et estreit,
N'i a laor de plain deit. 60
Qui bien paser le porra
Ignelepas o Deu sera.
Et qui nel porra passer
En l'eue l'en estuet aler,
Et si fera iloc sa peine
Que li déable demeine.
42. Oez, udite.
44. Estuet, è bisogno, da stetit, statutum est.
53. Flun, fiume , Jlumen.
54. Noant, nuotando; peisun, leun, pesce, leone"; fatture , fi
gura , fattezza.
60. N'i a laor de plain deit ; non vi ha la larghezza di un
pieno dito.
6a. Ignelepas, e più avanti, ignelement, tantosto, sùbito} forsethe
ignei da ignis?
Ivi. O Deu , con Dio.
64. Eue, acqua.
3«i PARTE IV.
Plusors i remaignent
Por la lei Deu qu'il enfreignent.
Ceo que chascun a ci fait
Hoc lui est sempres retrait. 70
Hoc vit saint Pol le ber
Les ames en l'eue aler:
Les unes i vit desque as genoilz,
Et les altres tresque as oilz .
Les unes tresque al numblil,
Et les altres tresque al sorcil.
Ileques a multes maisuns
Aprestées as feluns.
Par ces témoigne de nostre sire
Qui en l'Evangile veut dire: 80
a Mains et pez les me liez,
« Et en obscurté les jetez,
« Et a déable les me livrez:
a Car à ardeir sunt tuit jugez.
« Les semblanz o les semblables
* Les avoitres o les péchables ».
Saint Pol commence à plorer
Et mult forment à souspirer,
Et à l'angre Deu a demandé
Qu'il lui die la vérité 90
Des ames qui en le eue erent
Et les cors tant i penerent.
Saint Michel lui respunt:
« Amis, esi la Deu cumpunt.
733 74- Desque, tresque, sino.
79. Tèmoigne, testimonianza. L'e muto è soverchio nel testo
e dà una sillaba di più al verso.
86. Avoitres , adulteri.
94. Amis, ec. Questa forma di descrizione in dialogo è affatt»
Dantesca.
Ivi. Esi la Deu cumpunt, così Dio punisce, compunga.
DOCUMENTI 325
« Cil qui sunt as genous plungez,
« Unqes jor ne furent liez ,
11 Ains qu'il eusserit alcun mal dit
» A lors voisins en despit,
« Cil qui sunt al numblil
« Et suefrent cel fort perii, 100
« Porgesoient altrui moilliers,
« En fornication furent fiers;
« Et à eux meismes firent tort
« Kil ne repentirent devant la raort.
« Cels qui pattuii i sunt,
« En tèle guise lor pénitence funt ;
« Car dementiers qu'il furent en terre
« A sai n te iglise firent guerre,
« Les tencuns i cummeiiceieut
ii Et entre els se eumbateient, iio
» Et par sa mort se pariurouent,
« Jà Verbe Deu refusouent.
« Les altres plungez dequ'al sorcil
« Cil eurent lor pruesme vii,
« Quant les virent destorber aveir
« Ou meserer par mal tsquier,
« Liez furent et joieus:
« Por ceo sunt ore dolereux ».
Pois revit un altre torment
Qui trestot eri plain de gent. 1 20
Le mains liées et les jambes
Eschinant mainouent lors lamges.
Et prist l'angre Deu a demander
Por quei lor estut si pener.
96. Liez, giulivi, lieti, Iteti.
101. Porgesoient altrui moilliers, procacciavano l'altrui moglie.
107. Dementiers, mentre.
109. Tenguns, discordie, tenzoni.
114. Pruesme, prossimo.
11 5. Destorber, scompigliare, deturbare.
Ozakah. Dame. 28
6 PARTE IV.
Saint Michel quant ceo o'f
Ignelepas lui respundi:
u Sers Dea, à mei cntent;
« Jel te dirai jà vairement.
« Cil furent en terre gableor
« Onques vers Deu n'ourent amor, i3o
« De lor aveir pristrent usure,
« N'ourent onqes vers Deu mesure,
« De poure gent n'ourent merci :
a Por ceo l'estuet pener ici ».
Saint Pol passa un poi avant
Un torment vit orible et grant;
Totes les peines d'enfer i sunt
Li maleure mult se doudrunt.
Pucèles là plus de cent
Vestues d'un noir vestement: 14.0
De feu est de soufre et de peiz:
Tot est ruez curame reiz;
Où les draguns et les serpens
Lor char depiecent o lors denz.
Saint Poi a l'angre roué
Kil lui desisi la vérité.
Saint Michel lui a ceo dit:
Que Deu ourent en despit,
Lor chastée ne garderent
Ne dampne-Deu n'amèrent, i5o
Unt n'eschevèrent lor parent
Plus qu'il faisoient altre gent
127. Sers Deu, servo di Dio.
129. Gableorj esattore della gabella.
1 38. Doudrunt , soffriranno, dolebunt.
■ 42. Ruez camme reiz, pieno come raso.
i45. Rouè, domandato, rogatus.
1 50. Dampne-Deu, Signore Iddio, Domine Deus.
151. Unt, giammai, unquamj eschevèrentj temettero, esquwer.
DOCUMENTI
Lors enfans estranglouent
Et por pucèles s'en alouent.
Par les fenestres fors les lancèrent
Et les porcs les dévorèrent,
Après en un altre torment
Vit saint Poi une gent:
Li feus est d'une part
Qui si les brusle curame sart:
D'altre part si est le freit
Kis met en muli grani destreit
Senz vestemens èrent nuz,
Et senz parole èrent muz.
Cil furent en terre jugeors,
Une n'eurent vers Deu amors;
Mais muli faisoient males fins
As veves et as orfenins. . •
D'altre part vit un jouvencel,
El col aveit un ferme anel;
Et o lui un viel pleurant;
Et vunt grant duel demenant.
Et trente-quatre malie i sunt
Qui jà jor nes esparneirunt
As cols lor metent chaenes
Dunt il lor funt granz peines.
Cil furent en terre prestre
Et de la lei Deu furent mestre;
Mais il la garderent malement:
Por ceo sunt en cest torment.
De lors cors mult furent guai
D'omes et de pucèles vai.
160. Sart, sarmento.
1 72. Duel, duolo.
173. Malfa, demonj. Dante: malnati.
182. Vai, male, va.
3»8 PARTE IV.
Saint Pol a l'aogre demandò
Porque furent onkes né
Quant doivent estre si tormente
Et si forment emprisoné.
Ceo respunt saint Michiel
L'angre nostre sire del ciel :
« Vous lineai porvient as dolours.
u Uncor veras peines mejours ». ... 190
Puis lui a un puis mostre
De set seals est séelé
Les sereures defferma,
Et le serf Deu apela :
« Sta plus en loing, por Deu amor!
u Cum pues.tu soffrir la puor ? »
La bouche del puiz ouri ,
Et tele puor en issi,
Re soz ciel n'est hueme né
Ri sace dire la vérité. 200
Saint Pol lui a demandé
Qui sera iloc pose.
Saint Michel lui a di t
Ignelement senz contredit:
« Ri ne xtroient que Deu fust néz ,
« Ne que sainte Marie l'eust portez ,
« Ne que por le pueple vousist morir,
« Ne que peine deignast soffrir ».
Et puis si vit une altre gent:
En une fosse senz vestement, 210
Li un gisoient desus l'altre
Et volvoient comme pealtre :
18G. Dante fa quasi la stessa dimanda a Beatrice; ma la ver
gine fiorentina è più valente teologhcssa , che non il san Michele
anglo.normanno.
189. Huen1j uomo. Vous porvient as dolours, voi nascete per
i dolori.
190. Mejours, più grandi, majores.
212. Volvoient j giravano, volvebanU
DOCUMENTI 3*9
La vermine est muli grande
Ri n'a cure d'altre viande,
Nunt altre riens a porpenser
Fors ces chétifF a dévorer.
Puis vit un déable en l'eir voler
Et mult grant joie démener.
L'alme portout d'un péchéor
Qui fu mort meismes le jor. 22o
Li uns la boutent de là ,
Li altre Penpeignent de cà,
u Faui tei chetive maleurée!
u A quele oure dolereuse fus unkes nee?
« Dampne-Deu refusas
u Et envers nos t'aproismas ». ; .•
Saint Michel a demandé
Saint Pol l'apostre dampne-Dé :
u Créez bons huem que véez ici ;
« Nel celer mie, jel te di. 23o
a Créez : ceo qui bien fera
u Selunc iceo si recevra ».
Saint Poi respunt : u Oil io bien ,
« Ne vos contredi de rien ».
Et puis regarda saint Pol le ber
Et vit deus angres en l'eir voler,
Dampne-Deu a plain loant
Et Fame d'un juste hom portant :
Et menerent la en Parais
Où Deus a mis ses amis. - 240
A l'ame disoient : « Bien vengiez
« Car néz estes senz péchez:
21 5. Nunt, nè mai, nee unquam.
aa3. Faui, fi!
226. T'aproismas, t' avvicinò. La scena dei peccatore portato
sulle spalle d'un demone si trova nel canto XXI dell' Inferno.
23o. Ordine di publicare la visione.
241. Bien vengiez, siate la benvenuta.
a»'
33. PARTE IV.
u Ame douce beneurée ,
u Beneite soit l'eure que fuz néel
« Tote joie auras o nos ,
« Jà merci Deu le glorious ».
Deu en loent parfitement :
Et tuit li angre ensement. v '.'.'
La voiz des aDgres e l'amor '. ;
Receit Jesus par douce amor .,; i : 1S0
Et prient saint Michel le ber, .
Et saint Pol et les doze pere,; •..
Ke priassent le Creator, . i t'f .
Ke por la soue douce amor
Le getasi fors de la tristor
Et de cele grani dolor < ; !
Saint Michiel li respundi: .''• .'.
u Deu le set, jeo nel vos ni:
u Ore plorez angoisseusement,
u Et nos le ferum ensement; 2bo
« Saveir, se en nulle manière
« Oreit Deus la nostre prièré ,
u Et eust merci de vos
u Qui si estes angoissous ».
Saint Pol et saint Michiel
Et tuit li angre del ciel
Commencent forment a plorer
Et les chetifs à regreter :
« Ohi Jesus le fiz Marie
« Ne nos mesoir tu mie. ifo
« Par ta sainte redempciun
« Recevez nostre oroisun ;
s5i. Qui sembra rivelarsi una lacuna di alcuni versi, o fbrsi
una ellissi , alla quale suppliva la pantomima ; sono i condan
nati che si rivolgono a commiscrare san Paolo e sau Michele.
360. Ensement, così, del pari.
2G2. Oreit, udirebbe.
2jc Mesoir, non udire, respingere una preghiera.
DOCUMENTI 33«
« Et aiez merci des pécheors
u Qui sostienent ces grans dolors ».
Dampne-Deu par sa mèrci'''
La lor proiere a olj : '•.'....
Et vis del ciel descendi
Et as chaitis respundi :
« Car me dites dolerous
« Quele honor me feites vous? a8o
u Et eomment fustes une si os
» Que queister a mei repos? . : ' ,
« Jeo fui por vos a mort jugiez .'
u Et en ap'rès crucefiez :
u Les mains et les piez oi cloués
« Et de la lance fui forez :
« Sellme umanité fui mort V'1,1
« Et vos raenz de la meié mort;
« Et vos conveitastes a faire
u Quanque me fu a contraire ». ; ' . 2go
Saint Pol agenoilla
Saint Michiel pas nel refusa
E tot le céléstien covent
Prient Deu comnnalment
Et par la soue sainte doucor
Repos lor douast sevials un jor.
Dampne-Deu soue merci" .'
Benignement lor respundi :
« Amis frères por vostre amor
« Et meismement por ma doucor, 3oo
« Vostre prière vos otri
« Que li chetif aient merci ,
« Aient merci et suatume
« Toz tenz muis par costume,
.188. Vos raenz de la mete mort , vi riscattai dalla gran morie.
296. Repos lor douast sevials un jor, loro desse riposo talora mi
giorno; leverai, alcuni, più; sevials, ad intervalli: di tempo in tempo?
3oi. Otri, accorda, fr. octroie. .'.•.,. '..' ." •
3o3. Suatume j salute. . . .: • '",
33» PARTE IV. DOCUMENTI
u De la nmine al samedi
1. Desi Le vienge le lunsdi ».
Tot le covent célestien
Deu en loent sus tote rien ,
Et li ol1étif ensement,
Ki anceis furent muli dolent. Zio
Saint Poi le ber a demandè
,,... Saint Michiel l'angre De:
« Di mei , Sire por Deu amor * ;
a Et por la soue grant hooor,
a Quantes peines infernaus sunt
« Qui jà jor ne faldrunt ? »
Saint Michiel lui respundi :
« Beals amis , jeo nel te ni :
a Quarante-quatre millier et cent
» A peines 'en cel lieu pullent. 32o
« Mes souz ciel n'en a hueme
<• Qui tos sace dire la some
» De celes peines et des dolors
« Des travnls et des tristors.
» Dampne-Deu omnipotent , . i
a En deffende tote sa genti w
Seignors frères, por Deu amor
Gardun nos di tel labor;
Et eschevun nos de toz mais
Et de toz péchez criminals ; 33o
Et a Dampue-Deu convertuns . ,
Et nos ensemble o lui vivuns.
Amen , Deus par ta merci
Otrie nos que soit issi !
317. La risposta di san Michele accusa una singolare Ignoranza
del dogma cristiano. Ci spiace assai che tale accusa disonori la
Une di questa bella composizione ; ma non vi si saprebbe vedere
il carattere dell'eresia; la buona fede dell' autore., e l'ortodossia
delle intenzioni di lui risultano evidentemente da' suoi anatemi
contro lo scisma e l' incredulità.
DOCUMENTI
PER SERVIRE ALLA STORIA DELLA FILOSOFIA
NEL TREDICESIMO SECOLO
1 '
I. Bolla D Ii'kociszo IV.
Per il rìstabilimeato degli studj filosofici (i).
Innocenzo, vescovo servo de' servi di Dio, a tutti i
prelati de' regni di Francia, d'Inghilterra, Scozia, delle
Gallie, d'Ispagna e d'Ungheria, salute e benedizione a-
postolica.
Un deplorabile grido si è diffuso, e, ripetuto di bocca
in bocca, venne al nostro orecchio per accuorarci: Si dice
che la turba degli aspiranti al sacerdozio, abbandonando,
anzi ripudiando gli studj filosofici , e però le stesse lezioni
della teologia, move interamente alle scuole delle leggi
civili. Si aggiunge, e ciò soprattutto provoca la seve
rità della giustizia divina, che in molte contrade i ve
scovi riservano le prebende, gli onori e le dignità ec
clesiastiche per quelli che occupano cattedre di giurispru
denza, o che fanno valere il titolo di avvocato; mentre
queste qualità, quando da altre non fossero compensa
te , sarebbero a considerarsi siccome titoli bnstevoli al
l' esclusione. Gli alunni della filosofia accolti al suo seno
con tanta tenerezza, alle sue dottrine con tanta soler
zia informati, per le sue cure tanto efficacemente edotti
dei doveri della vita, languiscono in una tale miseria,
che nè loro lascia il pane di ciascun giorno rnè il copri -
mento della nudità, e li costringe a fuggire gli sguardi
(i) Duboulay, Histoire de l'Università de Paris, l'anno 1254.
|34 - PARTE IV. DOCUMENTI
degli uomini, in cerca soltanto delle tenebre a modo di
uccelli notturni. E intanto i nostri uomini di Chiesa,
fatti gente di legge, cavalcando superbi cavalli, coperti
di porpora, di giojelli, d'oro e di seta, riflettendo i raggi
del sole scandolezzato del loro splendido acconciamento,
fanno dappertutto mostra orgogliosa di sè; e nelle loro
persone, in luogo di vicarj di Cristo, si appalesano e-
redi di Lucifero e provocano l'ira del popolo non solo
contro sè stessi, ma contro la sacra autorità, della quale
sono indegni rappresentanti .... Sara dunque è schiava ;
Agar si è fatta padrona (1).
Noi abbiamo voluto porre un rimedio a questo nuo
vo ordine: abbiamo voluto ricondurre le menti alle le
zioni della teologia , che è la scienza della salute; o per
lo meno agli studj filosofici , ne' quali non troviamo
per vero dire le dolci emozioni della pietà, ma si dis
coprono i primi raggi della verità eterna, e l'anima
vi si fa libera delle misere prevenzioni della cupidità ,
che è radice di tutti i mali , e quasi il culto degli
idoli. Im pertanto noi stabiliamo che d'ora in poi alcun
professore di giurisprudenza , alcun avvocato , qualun
que sia il posto o la fama di che godrà nella facoltà
del diritto, non potrà movere pretensioni sulle prebende,
sugli onori e dignità ecclesiastiche , e nemmanco sui
benefizi inferiori , se non abbia dato le prove di capa
cità voluta nella facoltà delle arti , e se non raccoman
dasi per la integrità della sua vita e la purezza de' suoi
costumi... E quando alcuni prelati , per colpevole pre
sunzione, si permettessero in qualche maniera di atten
tare a disposizione tanto salutare; per lo fatto e di pieno
diritto saranno privati la prima volta del potere di con
ferire il benefizio vacante ; chi è recidivo incontrerà il
divorzio spirituale, che noi pronunceremo contro il pre
varicatore spogliandolo della sua prelatura.
Dato iu Roma, l'anno dell'Incarnazione 1254-
(1) Questa eloquente invettiva ricorda e forse scusa le parole
severe di Dante contro gli abusi c gli scandali del suo tempo.
II. Classificazione generale delle umane cognizioni. —
S. Bonaventura, De Reductioxu artivm ad Theologum (1).
« Ogni grazia eccellente ed ogni dono perfetto ci
viene dal Padre de' lumi, eh' è lassù.». Così parla l'a
postolo s. Giacomo; e questa parola, che accenna la
fonte d'ogni luce intellettuale, già lascia presentire che
la luce emanata da fonte tanto feconda deve essere mol
teplice. Avvegnacché ove si ammetta, che qualunque
luce si compie in noi nelP istessa maniera, cioè dire,
la mercè dell'interna percezione del vero, noi possiamo
tuttavia distinguere una luce esteriore che rischiara le
arti mecaniche; una luce inferiore che si riflette nelle
cognizioni acquistate coi sensi; una luce interiore, ov
vero quella del pensiero filosofico; una luce superiore,
ovvero quella della grazia e della santa Scrittura. Colla
prima cogliamo le forme artificiali ; colla seconda , le
forme naturali della materia; la terza ci rivela le ve
rità intelligibili; l'ultima, quelle della salute.
i. La luce delle arti mecaniche rischiara le operazioni
artificiali , per mezzo di cui usciamo in qualche modo
fuori di noi stessi per soddisfare alle esigenze de' sensi ;
(i) Questo frammento trovasi anche nel Prècis d'histoire de la
Philosophie , publicato dai sigg. Direttori di Juilly. Ma i confini
della loro fatica gli hanno obligati a molte ommissioni, c noi
abbiamo dovuto tentare una traduzione meno incompleta. — Del
resto , siffatti tentativi enciclopedici di san Bonaventura, prece
duti da Ugo e Riccardo di san Vittore, imitati da Vincenzo Bel.
lovacense, Brunetto, ec, attestano l'altezza dove [sapevano col
locarsi per una larga prospettiva questi dottori ne' quali tanto si
accusò l'angusta filosofia j mentre per più di tre secoli precedevano
Bacone di Verulamio.
336 PARTE IV.
e siccome queste sono opere servili, derogatorie straniere
alle' funzioni speculative del pensiero, la luce che loro
è propria può dirsi esteriore. Dividesi in sette raggi ,
corrispondenti alle sette arti riconosciute da Ugo di san
Vittore, cioè, il tessere, i lavori in legno, pietre e
metalli, l'agricoltura, la caccia, la nautica , la dramma
tica e la medicina. La legittimità di questa classifica
zione dimostrasi come segue. — Tutte le arti mecani.
che si propongono lo scopo o di riparare ai nostri
mali, lo che si ottiene escludendo la tristezza ed il bi
sogno; o la moltiplicazione de' nostri beni, cioè di quan
to può servire o piacere , secondo i versi di Orazio :
Aut prodesse volunt aut delectare poetite ...
Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci ...
Il sollievo e il piacere dello spirito sono scopo della dram
matica, che puossi definire «l'arte de' divertimenti «.
Essa comprende tutti gli esercizj opportuni a ricreare: il
canto, la musica istrumentale, le finzioni drammatiche e
la mimica. I beni che servono a soddisfare i bisogni ma
teriali dell'uomo esigono lavori differenti, secondo che
trattasi di coprirlo, nutrirlo, o completare questi due
benefizj con mezzi accessorj. Se adoperasi per coprirlo,
possiamo usare di materie flessibili e leggiere, il che
è proprio dell'arte di tessere; o di queUe solide e resistenti,
ed ecco l'arte di chi fabbrica opere di metallo, pietra, o le
gno. Se vuolsi nutrirlo, vi possiamo provedere in due
modi: il cibo derivasi o dai vegetali o dagli animali: i pri
mi appartengono all'agricoltura, i secondi si ottengono dal
la caccia. Possiamo aggiungere che l'agricoltura restrigne-
si alla produzione delle sostanze alimentari, e che le attri
buzioni della caccia si allargano agli apparecchi di ogni
specie'che queste sostanze possono subire, senza escludere
gli umili ufficj del forno, della cucina e del celliere. Qui una
delle parti dell'arte dà il suo nome alle altre per forza del
la sua preminenza su tutte e de' suoi rapporti cou oguu-
DOCUMENTI 337
na. Finalmente se ci occupiamo de' mezzi accessorj che
devono assicurare e prolungare il ben essere così ri
dotto ad effetto, si ravvisa che bisogna quando supplire
alla insufficienza de' mezzi , quando superare il pericolo
degli ostacoli. Uno di questi ufficj è quello della Nau
tica , a cui si legano i diversi generi di commercio ,
tutti destinati a fornire nutrimento e veste. L'altro spetta
alla Medicina, sia che abbia per oggetto speciale la con
fezione e r amministrazione degli elettuari , dei balsami
e delle bevande: sia che si occupi del rimedio delle fe
rite, e prenda il nome di Chirurgia. V ha dunque luo
go a conchiudere che la classificazione delle sette arti
è legittima.
2. La luce sensibile ci permette di cogliere le forme
naturali della materia ; la si dice inferiore , perchè le
cognizioni acquistate coi sensi vengono dal basso , né
si ottengono che mercè della luce fisica. Ora è dessa
suscettibile di cinque diverse modificazioni, che corri
spondono alla divisione de' cinque sensi , i quali alla lor
volta formano un sistema completo; ciò che provasi dalla
seguente argomentazione tolta da sant'Agostino. — La
luce elementare che ci fa distinguere le cose visibili può
rimanere in tutta la purezza della sua essenza, e allora
è il principio della vista; o si unisce all'aria, ed è il
principio dell'udito; si aggrava di vapori, ed è la causa
dell' odorato ; si impregna di umidità, donde deriva il
gusto ; si combina colPelemento terrestre, ed eucone il
tatto. Perciocché lo spirito sensitivo è pure di natura
luminosa; risiede nei nervi , la cui testura è trasparente:
si moltiplica negli organi dei sensi, dove perde per
gradi la sua natia limpidezza. Conciossiachè pertanto i cor
pi semplici sieno in numero di cinque, vale a dire i quat
tro elementi, e la quinta essenza; l'uomo fu prove
duto dei cinque sensi che vi si riferiscono, perchè gli
fosse possibile di percepire tutte le forme de' corpi. Nel
Ozakam. Dante. 29
338 PAKTE IV.
fallo, non si saprebbe aver percezione senza una corri
spondenza , un concorso tra P organo e Poggetto , per
procurare la sensazione che loro è propria (i). Altre
prove esistono , per le quali pur si concluderebbe che
i cinque sensi costituiscono un sistema completo ; ma
quelle da noi qui prodotte riuniscono in loro favore l'au
torità di sant'Agostino e il suffragio della ragione ; dis
piegano tutta la perfezione dell'umana sensibilità dimo
strando l'esatta corrispondenza dei dati diversi da cui
essa dipende: l'organo, l'oggetto, e il mezzo per cui so
no in commuuicazione.
3. La luce del pensiero filosofico ci trae alla scoperta
delle verità intelligibili; la si dice interiore, perchè si
lega alla ricerca delle cose occulte, e inoltre deriva da
principj generali, e da nozioni prime che la natura ha
posto dentro dello spirito umano. Questa luce si distri
buisce nelle tre parti della Filosofia , che sono : la filo
sofia razionale , naturale e morale. Dimostrasi in più
modi la esattezza di questo triplice riparto. E primamente
la verità si può considerare o nel discorso, o nelle cose, o
nei costumi. Ora quella maniera di studio, che dicesi
razionale, cerca di mantenere la verità nel discorso; la
naturale adopera a cogliere la verità nelle cose; la mo
rale si applica a far regnare la verità nei costumi. In
secondo luogo, siccome la Divinità può essere contem
plata successivamente come causa efficiente, formale,
tipica, vale a dire come principio dell'essere, ragione
spiegativa della maniera d'essere, tipo e regola dell'a
zione; cosi alla chiarità interiore del pensiero si rive
lano le origini di tutte le esistenze, ed ecco P oggetto
(i) Queste idee, sotto la loro forma antica, presentano singo
lari analogie coi presentimenti più arditi della scienza moderna;
la luce considerata come universale e primitivo elemento delle
cose ; il fluido nerveo assimilato al fluido elettrico, la cui natura
luminosa non potrebbe mettersi in dubbio. '. .
DOCUMENTI 339
della fisica; la economia dello spirito umano, ed ecco
l'oggetto della logica; la condotta della vita, ed ecco
l'oggetto dell'etica. Infine la luce della filosofia ris
chiara l'intelletto nelle sue tre funzioni ; perchè gover
na esso la volontà, ed ecco allora la filosofia del dovere ;
in quanto che si dirige per sé medesimo , e portasi al
di fuori, è la filosofia della natura; per ciò che si fa
servire dalla parola, si può dire filosofia del linguag
gio; per modo che l'uomo possiede la verità sotto la
triplice forma di pratica applicazione, di scienza ragio
nata e d'insegnamento communicabile. In tre modi pos
siamo usare il servigio della parola : per far conoscere
semplici concelti, per determinare l'altrui convincimento,
per eccitare le passioni ; e perciò la filosofia del linguaggio
si suddivide in tre parti: grammatica , logica e retorica;
delle quali la prima si propone di esprimere, la secon
da di provare, l'ultima di commovere. La prima con
sidera la ragione come facoltà apprensiva, la seconda
come potenza giudiziaria, la terza come forza motrice ;
perché le tre arti della parola si riferiscono di neces
sità a questi tre ufficj della ragione, che apprende per
mezzo di un linguaggio corretto, che giudica col soc
corso di un linguaggio esatto, che cede sotto l'in
canto di un fiorente linguaggio. — Se l'intelletto volgesi
verso le cose esterne, è sempre per dispiegarle ricon
ducendole alle ragioni formali, che le fanno essere ciò
che sono (1). Ora le ragioni formali delle cose possono
considerarsi, o nella materia, e le si dicono seminali;
o nelle nozioni astratte dello spirito umano, e le si di
cono intelligibili; o nella Sapienza divina, e allora so
no dette ideali. Perciò la filosofia della natura si divide
in tre rami: la Fisica propriamente detta, la Matema-
(1) Traducete ragioni formali per leggi essenziali, seminali per
fisiche , chimiche e fisiologiche : sono le stesse idee astratte sotto
una diversa terminologia.
,.„ PARTE IV.
tica e la Metafisica. La Fisica studia la generazione e
la corruzione degli esseri dietro le forze naturali e le
ragioni seminali che sono in esse. La Matematica con
sidera le forme che possono astrarsi e le combina tra lo
ro secondo le ragioni intelligibili. La Metafisica abbrac
ciando tutte cose, le riduce secondo l'ordine delle ra
gioni ideali al principio unico donde uscirono, cioè a
Dio, causa, fine, tipo universale. E poco importa che
queste ragioni ideali abbiano formato tra i metafisici un
soggetto di controversia. — Infine il governo della vo
lontà può restringersi nelle condizioni della vita indivi
duale; può svolgersi nel cerchio della familia e allar
garsi sopra la moltitudine innumerevole di un popolo
che bisogna reggere. Perciò la filosofia morale si sud
divide in tre parti: la Monastica, l'Economica e la Po
litica. Gli stessi nomi bastano per indicare il loro rap
porto con le tre distinte provincie che formano il loro
apanaggio.
4. La luce della Sacra Scrittura ci inizia alle verità
di salute ; la si dice superiore perchè ci eleva alla cognizio
ne delle cose poste al di sopra della nostra naturale intelli
genza, oltrecchè discende dal Padre dei lumi per via di
inspirazione immediata e non per via di riflessione. Ma seb
bene la luce della Sacra Scrittura sia una se si guardi
dal lato letterale, triplice è tuttavolta dallato mistico e
spirituale. Perciocché tutti i l1bri sacri racchiudono ol
tre il significato letterale presentato dalle parole un tri
plice sigmficato spirituale che si r1vela sotto la lettera,
cioè: quello allegorico, dove si discopre ciò che si ha
a credere, o sia della divinita, o sia dell'umanità; quello
morale, dove si apprende come bisogna v1vere. quello
anagogico, dove si ravvisano le leggi secondo le quali
bisogna che l'uomo si unisca a Dio. Così tutto l' inse
gnamento de' sacri scrittori si riferisce a questi tre punti:
la generazione eterna e la incarnazione del Verbo; le
DOCCWElVTr 341
norme della vita, e l'unione dell'anima con Dio. Il pri
mo punto interessa la fede; il secondo, la virtù) l'ul
timo , la beatitudine che è fine del1' una e dell' altra. Il
primo forma tutto lo studio dei dottori; il secondo quello
de' predicatori ; il terzo quello degli spiriti contemplativi.
La dottrina di sant' Agostino versa sul primo; quella di
s. Gregorio sul secondo; e quella di s. Dionigi sull'ultimo.
Sant' Anselmo segui sant' Agostino ; s. Bernardo è il di
scepolo di s. Gregorio ; Riccardo di S. Vittore preferì
san Dionigi; perchè Anselmo è dedito alla discussione,
Bernardo alla predicazione, Biccardo alla contempla
zione. Ugo di S. Vittore abbraccia insieme le tre dot
trine, e si fa alunho dei tre maestri.
Dalle cose precedenti è conceduto conchiudere che la
luce che ci appariva venuta dall'alto per quattro vie
può considerarsi sotto un nuovo aspetto come formante
sei diverse irradiazioni. Possiamo nel fatto distinguere la
luce della Sacra Scrittura , quella delle cognizioni acqui
state coi sensi , quella delle arti mecaniche; la luce della
filosofia razionale, quella della filosofia naturale e quella
della morale. Così in questa vita abbiamo sei apparizioni
delia luce intellettuale; e sono altrettanti giorni che
hanno il loro tramonto: perciocchè ogni scienza di quag
giù deve finire; e il settimo giorno vi succede, quel giorno
di riposo che non avrà fine, cioè la illuminazione del
l' anima nella gloria del cielo. Così le sei illuminazioni
passaggere si lasciano facilmente paragonare a' sei giorni
della creazione del mondo, per modo che la cognizione
della Sacra Scrittura corrisponde alla prima creazione
che fu quella della luce fisica , e del pari per le altre
secondo l'ordine indicato. E siccome le cinque creazioni
successive si legavano alle prime , così tutte le cogni
zioni si coordinano con quelle della Sacra Scrittura, vi
si riassumono , perfezionano , e vanno a terminare alla
illuminazione sempiterna. Impertanto tutte le scienze li
mane devono convergere verso la scienza che la Scrit
S42 PARTE IV. DOCUMENTI
tura contiene specialmente quando la si interpreti nel
senso più elevato, avvegnacchè è di là che i nostri lumi
ritorneranno a Dio donde sono venuti. Allora il circolo
incominciato si chiuderà, il numero sacro sarà comple
to, e l'ordine divinamente stabilito si realizzerà col com
pimento delle sue armoniose proporzioni.
III. Dio.-— Esistenza, attributi di Dio. — Unita' di essenza,
Trinita' di persone. — S. Bonaventura , Itiuerìrivu mentis
ad DauM. e. V e VII,
Dio si manifesta in tre modi : fuori di noi , per i ve
stigi che la sua azione creatrice ha lasciato impressi nel
mondo; in noi per la sua imngine che si riflette addentro
della natura umana; al di sopra di noi per la luce, onde ri
schiara la regione superiore dell'anima. Que' che la con
templano nella prima di queste manifestazioni sostanno
alla soglia del tabernacolo : que' che si elevano alla se
conda sono entrati nel santuario ; que' che arrivano alla
terza penetrarono nel Santo de' santi , dove posa l'arca
dell' alleanza , su cui si distendono I' ale di due cheru
bini, i quali figurano alla loro volta i due punti donde
possono contemplarsi gli invisibili misterii della Divinità,
cioè l'unità di essenza e la pluralità di persone; 1' una
che si può conchiudere dalla nozione stessa dell'Essere ;
1' altra dalla sola idea del Bene (i).
(i) Ecco come il santo Dottore nei capitoli 2 e 4 del medesi
mo opuscolo riassume i principali tratti, per cui Dio si fa rico
noscere o sia nella natura, o sia nell'umanità:
« Le cose materiali considerate generalmente sono soggette a
tre condizioni: il peso, il numero e la misura; esse mostratisi
sotto il triplice aspetto del modo, del genere e dell'ordine. Vi
si discopre infine la sostanza, la forza e l'azione, donde si può
risalire , come da fedeli vestigi fino alla Potenza , Sapienza e
Bontà creatrici ... (•)
« Rientrate in voi, e vedete che l'anima vostra non Saprebbe
impedir a sé stessa d'amarsi con estremo ardore. Tuttavolta essa
non si amerebbe quando non si conoscesse ; né si conoscerebbe
quando non ricordasse, perciocché la intelligenza non coglie che
le azioni presentate dalla memoria ... V ha dunque nell' anima
vostra tre potenze, nelle quali potete trovare l'imagine della Di
vinità come riflessa in uno specchio ».
(') Dottrina su cui La Mennais fonda la teoria dal primo volumi; Esquiise
diurni p/iiloiophie. — ./Vota M Trail.
344 PARTE IV.
Sulle prime collocandoci al punto d'onde si considera
unità di essenza, bisogna osservare che la nozione dei-
Tessere porta in sé la certezza irrepugnabile della sua
propria realtà. Perciocché l'essere esclude la presenza
del non.essere, come il nulla implica l'assoluta man
canza di esistenza. E siccome il nulla non tiene punto
né della esistenza, né delle sue condizioni , cos'i Tessere
non può tenere del non-essere , né nell' atto , né nella
potenza, né nell'ordine delle verità obiettive, né nel
l'ordine arbitrario dei nostri giuclizj ; non si saprebbe
supporre che I' essere non sia. — Ora il nulla che im
plica la negazione della esistenza, non si concepisce che
per l'esistenza; e questa per lo contrario non si può
concepire altrimenti che per se. Nel fatto, ogni cosa è
concepita o come non-esistente, o come possibile o pre
gente. Se dunque il non-essere non si concepisce che
per l'essere, e l'essere in potenza per l'essere in atto,
questa diviene la prima nozione che cade sotto il pen
siero. — Ma 1' oggetto di questa prima nozione non è
1' essere particolare che é limitato nel suo svolgimento,
e che sta sotto questo rapporto nello stato di potenza:
ned è 1' essere generale astratto, spoglio di vera realtà:
bisogna dunque ch'egli sia l'Essere Divino. — Qui poi
abbiamo luogo di ammirare 1' accecamento dell' intelli
genza che non s' avvide dell'Essere assoluto, quando
essa Io conosce prima di tutte cose (a), e quando senza
di lui non saprebbe conoscerne alcuna ; somigliante al
l'occhio che, lenemente abbagliato dalle gradazioni dei
colori, sembra non vedere la luce in grazia di cui ha
saputo scoprirli ....
Che se 1' Essere puro non può concepirsi che per sé
medesimo, egli per conseguenza non emana da un al
tro. Egli é il primo di tutti. S' egli esclude il nulla ,
(a) Dottrina su cui fondasi tutta la teoria Rosminiana. — Nota
del Trad.
DOCUMENTI 345
s' egli non vi arriva per alcun punto, non ha né prin
cipio né fine, egli è eterno. S'egli non racchiude in sé
stesso alcun 'altro elemento che I' Essere , non é com
posto, ossia é estremamente semplice. Egli non ha il
carattere della potenza inattiva, poiché la potenza inat
tiva tiene in qualche modo del nulla : egli è dunque
sempre in azione. Non comporta alcun difetto ; però
suppone la perfezione suprema. E siccome non con
tiene principio alcuno di divisibilità, si può dire che
è assolutamente uno. Così, l'Essere puro è tutt' insieme
il primo di tutti, eterno, estremamente semplice, sem
pre in azione, sommamente perfetto, contenuto in una
indivisibile unità. E questi diversi attributi sono talmente
certi, che uom non ne saprebbe neppure imaginare la pri
vazione, e d'altra parte ciascun d'essi si lega necessaria
mente ai precedenti ed a quelli che vengon dopo; per
maniera che l' intelletto considerandoli si sente come
fornito di lumi celesti. — Ma ecco ciò che deve metter
colmo alla meravigli.1. L'Essere per sé stesso appare an
che come F ultimo di tutti, come sovranamente presente,
infinito, immutabile, immenso, universale. Egli è l'ul
timo, perché è il primo; perché il primo degli esseri
ha necessariamente creato tutti gli altri; egli ne é di
venuto la line perché ne era il principio; l'Alfa diventò
Omega. Egli è sempre presente perché eterno. E per
verità l'eterno non può esser chiuso nei limili del tem
po; egli non può occupare successivamente i diversi in
tervalli della durata ; egli dunque per sé stesso non ha
né passato, né avvenire, ma un continuo presente. E
infinito perchè è semplice; difatti , ove è più semplice
I' essenza, è più intensa la forza, e quanto più intensa
è la forza , tanto più il suo sforzo accostasi all'infinito.
Egli è immutabile perchè sempre in azione; l'essere in
azione altro non è che l'atto puro; ora, l'atto puro
nulla può acquistare di nuovo , e nulla perdere di ciò
che è in lui; non può quindi subire alcun cambiamen
346 PARTE IV.
to : egli dunque è immutabile. E immenso perchè è
perfetto; se è perfetto non può nulla concepire che non
sia eccellente; l'eccellenza in grandezza vien detta im
mensità. È universale perchè è uno ; giacché l'unità è
1' elemento primo d' ogni moltitudine ; essa è causa ef
ficiente, esemplare, finale d'ogni cosa: l'Essere di cui
parliamo è dunque universale, non come essenza di tutto
ciò che esiste, ma come principio, come ragion suffi
ciente , come autore benefico di tutta la natura.
Ora è omai tempo di passare alla seconda distin
zione, la trinità delle persone, la quale deve derivarsi
dalla sola idea del bene. L'Essere assoluto è infinitamente
buono, poiché perfetto, e tale che nulla potrebbe essere
migliore. E per conseguenza reciproca, non si può sup
porre che l'essere infinitamente buono non esista, poiché
è miglior cosa l'esistere che il non esistere. Ora, non si
saprebbe contemplarlo nella pienezza della sua esistenza,
senza arrivare a conoscere che come è triplo è anche
uno. — 11 sommo Bene difatti deve essere anche som
mamente communicativo. Ma da parte sua non vi a-
vrebbe somma communicazione, s'egli non communi-
casse a quello, in cut tutto intero e' si spande, la propria
sustanza. La communicazione debb' essere sustanziale e
personale, attuale ed interiore, naturale e volontaria,
libera e necessaria, incessante e completa. Tale non è
però quella che avviene nella creazione; poiché essa è
ristretta nello spazio e nel tempo, che non sono che uu a-
touio in confronto dell' immensa e perpetua Bontà. Biso
gna dunque che vi sia da tutta l'eternità, nel seuo stesso
del sommo Bene, uua produzione consubstanziale come
quella che si opera in via di generazione e di procedi
mento ; d'ondo risulta l'eguaglianza delle persone pro
dotte. Bisogna dunque che il principio eterno , agendo
ab eterno , generi un priucipio uguale a lui , e che da
ambedue proceda un terzo , e questi tre sono il Padre,
il Figliuolo e lo Spirito Santo. Bisogna realizzarla que-
"
DOCUMENTI 34 7
sta intera effusione di sé medesimo, perfezione essen
ziale e senza cui non sarebbe il sommo Bene. — Cos1,
nella contemplazione della Bontà suprema, che è Patto
senza fine, l'espansione infinita di un amore volontario
insieme e necessario , nell' idea stessa di questo Bene
sommamente communicativo , si trovano le premesse
d'onde si può dedurre il dogma della divina Trinità (1).
(1) Il santo Dottore in questo frammento, che non può essere
una dimostrazione , sibbene una giustificazione del dogma cristia
no, riassume senza svolgerle le prove sparse negli scritti dei Padri.
Non bisogna dunque meravigliarci se non indica perchè la coin-
municazione divina s'arresta allo Spirito Santo. I teologi ne danno
molte ragioni, di cui 1' una è che la Potenza, 1' Intelligenza e
l'Amore constituiscono nella loro triplicità l' essenza intera degli
spiriti; per modo che non vi si potrebbe aggiungere né levare
cosa alcuna.
IV. V
l . Natura dell'anima. — S. Bonaventura, Breviloqiriiun.
La dottrina teologica è qui riassunta in poche pino
le. — L'anima dell'uomo è una forma esistente, intel
ligente, viva e libera. — Esistente, non per sé stessa, né
dome emanazione dell'essenza infinita, ma per opera di
Dio, che dal niente la trasse all'esistenza; — Vivente,
non d' una vita mortale e tolta dal mondo esteriore ,
sibhene d'una vita che le è propria e senza fine* —
Intelligente, perchè concepisce le cose create, ed il Crea
tore stesso di cui porta l'imaginc: — Libera, ossia e-
sente d'ogni legame nell'esercizio della propria ragione
e della propria volontà ....
Or ecco lo svolgimento filosofico di queste dottrine. Il
primo principio, sommamente felice e buono, vuole per
sua bontà communicare la propria felicità a tutte le
creature, né solo a quelle che fece spirituali e più vi
cine a lui , ma benanco a quelle che sono perdute ne
gli ultimi abissi della materia. Ed egli non agisce sulle
creature infime che per intermediarj che le legano alle
più elevate : egli stesso si è prescritto quest' ordine ge
nerale. Egli ha dunque resi capaci di felicità non solo
gli spiriti puri che formano i cori angelici , ma anche
lo spirito unito alla materia, ossia l'anima dell'uomo.
— E siccome il possesso della felicità non è glorioso
che quale titolo di ricompensa, siccome la ricompensa
suppone il merito, ed il merito non vi potrebbe essere
senza l'azione libera; bisognò dare all'anima questa
libertà che nessuna violenza può distruggere. Difatti li
volontà è inviolabile dagli assalti esterni , benché di
venuta debole e soggetta al peccato in conseguenza
della prima colpa. — Se 1' anima è capace di felicità .
N
PARTE IV. DOCUMENTI 349
è dunque capace anche di posseder Dio. Bisogna dun
que che lo comprenda colle facoltà che possiede, e pri
ma colf intelligenza la quale, dopo aver concepito l'in
finito, comprenderà agevolmente le cose finite. — E
carattere della vera felicità di non potersi perdere; non
può spandersi quindi che in nature incorruttibili. Ciò
che è felice, è immortale; l'anima dunque deve vivere
d'una vita senza fine. — Da ultimo, dacché essa tiene la
sua felicità da una causa estranea e che nondimeno essa
è immortale, essa è dipendente e variabile nella sua ma
niera d'esistere, restando al tutto incorruttibile nel suo
essere. Ne segue ch' essa esiste né per sé stessa , né co
me emanazione della Divinità, poiché allora sarebbe
immutabile, né per l'azione di cause secondarie o del
mondo esteriore , perchè allora sarebbe corruttibile. E
dunque dall'operazione creatrice che essa ha ricevuta
l'esistenza... — Cosi la felicità, considerata come fine
supremo dell'anima, necessita in lei l'unione di tutti gli
attributi compresi nella definizione testé proposta. E
per ispiegarne ancora il primo termine che potrebbe
sembrare oscuro, bisogna dire che l'anima , dotata d'im
mortalità, può separarsi dal corpo marcescibile da lei
abitato; che se é chiamata forma, non è per questo
un concetto astratto , ma una realtà distinta , che non
è dunque solo unita al corpo come l'essenza alla so
stanza, ma come motore alla cosa mossa.
' r
2. Veliefacoltà dell'aròma in generale. — S. Bonaventura , Ibid.
L'anima, unita al corpo, forma l'intero uomo: essa
lo fa esistere, Io fa vivere, sentire e comprendere. Si
può dunque riconoscere in lei una triplice potenza ve
getativa, sensitiva, intellettiva. — Per la sua potenza
vegetativa, essa presiede alla generazione, alla nutrizione,
all'accrescimento... — Per la sua potenza sensitiva essa
comprende ciò che è sensibile, ritiene ciò che ha com-
Ozanam. Dante. 3o
35o PARTE IV.
preso , combina ciò che ha ritenuto. Comprende coi
cinque sensi esteriori che corrispondono ai cinque ele
menti del mondo materiale; ritiene colla memoria; u-
nisce e divide coll'imaginazione, in cui si trova già il
potere di combinare le impressioni ricevute. — Colla
sua potenza intellettiva, essa discerne il vero, scaccia il
male e tende al bene. Discerne il vero coll' istinto ra
gionevole; scaccia il male per l'istinto irascibile; e
tende al bene per l'istinto concupiscibile.
Ma il discernimento suppone la conoscenza ; l'avver
sione e il desiderio sono veri affetti', l'anima sarà dun
que sempre quando cognitiva quando affettiva. — Ora, il
vero può considerarsi sotto due risguardi: come vero
e come bene. Il vero e il bene sono eterni o transitori!;
quindi la facoltà di conoscere, chiamata intelletto o ra
gione, si suddivide in intelletto speculativo e pratico, in
ragione inferiore e superiore. Questi nomi indicano ^piut
tosto funzioni diverse che potenze distinte. — Gli affetti
possono operare in un medesimo senso in due manie
re : per un moto naturale o per scelta deliberata. Il
perchè la facoltà del volere, si divide in volontà natu
rale ed in volontà elettiva. — E siccome la libera ele
zione risulta da una deliberazione in cui si esercita il
discernimento , ne viene che il libero arbitrio è l'opera
combinata della ragione e della volontà; per modo che
riunisce in sè tutte le forze intellettuali dell'uomo. L'a
veva detto sant' Agostino: « Quando noi parliamo del
libero arbitrio, non è una parte dell'anima che indichia
mo, sibbene P anima intera ».
3. La memoria, l'intelletto e la volontà considerati nelle loro
funzioni speciali. — S. Bonaventura , Itinerarium mentis ad
Dewn, cap. III. .
I. E ministero della memoria il ritenere, per rappre
sentare al bisogno , non solo le idee delle cose attuali,
DOCUMENTI 3Si
corporali, periture, ma anche quelle delle successive,
semplici ed eterne. — E prima di tutto, la memoria
ci conserva le ricordanze del passato, i concetti del
presente, i prevedimenti dell'avvenire. Poi essa custo
disce le più indecomponibili nozioni , come sarebbero
gli elementi delle quantità discrete e continue, l'unità,
il punto , l' istante , senza i quali sarebbe impossibile
richiamarsi i numeri, lo spazio e la durata di cui sì
compongono. Essa infine conserva invariabilmente gli
invariabili assiomi delle scienze; poiché non si saprebbe
talmente dimenticarli, che, tranne il caso di demenza,
nel sentirli appena proferire non vi si dia tosto il pro
prio assenso, come a verità riconosciute, familiari, e
si direbbe naturali. E ciò che avviene quand' uno è
chiamato a dare il proprio parere su d' una proposi
zione come questa: il tutto è più grande della sua par
te. — Or bene, in primo luogo, te la memoria abbrac
cia presente, passato e futuro; porta imagine dell' eter
nità che contiene tutti i tempi in un presente indivi
sibile. Secondariamente, siccome essa contiene delle no
zioni indecomponibili , bisogna che non sia modificata
solo dalle impressioni materiali del mondo esteriore ,
ma che in essa vi sieno delle forme semplici che le so
no impresse dall' alto e che non possono entrare per le
porte dei sensi, né rivestir tratti sensibili. Interzo luo
go, risulta dalla sua fedeltà nel ritenere gli assiomi,
che è assistita da una luce che non s' intorbida e che
le ha sempre fatte vedere sotto il medesimo aspetto le
verità invariabili.
II. La funzione dell'intelletto è di comprendere i termi
ni isolati, le proposizioni , i ragionamenti. — L'intelletto
comprende ih senso dei termini quando ne sa la defi
nizione. Ora la definizione di ciascun termine si deve
fare con un altro più generale che si definirà alla sua
volta con un terzo ancor più esteso, finché si arriva a
351 PARTE IV.
quelli che sono i più larghi e senza i quali sarebbe
impossibile il definire alcuna cosa. Se dunque noi fos
simo sprovvisti della nozione generale dell'essere, non
comprenderemmo la definizione d' alcun particolare . . .
Ma l'essere può concepirsi difettoso o perfetto, relativo
od assoluto, in potenza o in atto, passaggero o perma
nente, dipendente o libero, secondario o primitivo,
semplice o composto ... E siccome i difetti sono ter
mini negativi che non si capiscono che per mezzo dei
termini positivi corrispondenti , l' intelletto non sapreb
be analizzar l' idea d' alcun essere creato , difettoso, re
lativo, composto, transitorio, senza la nozione d'un
essere completo, assoluto, semplice, eterno, in cui si
contengono le ragioni delle cose .... — L' intelletto com
prende le proposizioni, allora specialmente che le rico
nosce con certezza come vere; ossia quando sa non po
tersi ingannare nell' adesione che vi presta. La quale
infallibilità suppone che la verità non può essere altro
ve , che la verità non cambia di posto e che è immu
tabile. Ma l'intelletto, sottoposto egli stesso a cambia
mento, uon può assicurarsi di questa perfetta immuta
bilità che colla scorta d'una luce inalterabile che illu
mina incessantemente e che non può essere una sem
plice creatura, quindi della luce, che illumina ogni uo
mo vegnente in questo mondo , che è il Verbo divino.
— L'intelletto, infine, è sicuro di comprendere un ra
ziocinio quando vede la conclusione risultare necessa
riamente dalle premesse. Ora, la necessità della con
clusione resta la medesima, ancorché le premesse ripo
sino su fatti necessarj o contingenti , reali o semplice
mente possibili.» Se l'uomo corre, dunque si muove.»
La conseguenza non cessa d'esser vera, ancorché l'uo
mo non corra od anche non vi sia più. Cosi la neces
sità logica non dipende dall' esistenza reale e materiale
delle cose in natura ; essa non dipende neppure dalla loro
esistenza imaginaria nel pensiero umano ; ma esige la
DOCUMENTI 353
loro esistenza ideale negli esemplari eterni su cui lavora
l'Artefice divino e che si riflettono in tutte le sue opere.
Così , secondo il detto di s. Agostino , la fiaccola che
rischiara i nostri ragionamenti s'accende al focolare della
verità infinita ove ci riconduce il suo splendore. — Ne
segue che V intelletto è in rapporto colla verità infini
ta ; poiché senza l'assistenza che ne riceve, non po
trebbe ottenere alcuna certezza. Dunque noi possiamo
scoprire la verità che ci insegna, se gli appetiti inte
riori e le apparenze esterne non vengono ad interporsi
fra i nostri sguardi ed il Padrone supremo, sempre pre
sente nel fondo delle anime nostre.
III. La volontà nella sua libera azione percorre suc
cessivamente tre gradi: la deliberazione, il giudizio ed il
desiderio. — La deliberazione ha per iscopo d'esaminare
quale dei due oggetti è il migliore. Ma di due oggetti,
1' uno non potrebbe chiamarsi migliore che in ragione
d'una più grande rassomiglianza con un terzo che è
assolutamente buono; d'altra parte la rassomiglianza si
estima pel confronto, che suppone alla sua volta una
conoscenza qualunque degli oggetti posti a confronto ...
Dunque la volontà che delibera prende per punto di par
tenza una nozione innata della Bontà perfetta. — 11 giudi
zio non si pronuncia che sopra una legge; ma non si può
giudicare con sicurezza sul testo d' una legge , se non
si è già certi della giustizia delle sue disposizioni ; altrimen
ti bisognerebbe differire e giudicar prima la legge stessa.
Ora l'anima è improprio giudice di sé stessa. Dunque la leg
ge secondo la quale bisogna che essa giudichi e la quale
non è sottoposta adessere giudicata da lei, questa legge che
è in lei ma che è distinta da lei , questa legge le viene dal
l'alto. Ma siccome nulla è più alto dell'anima, se non è Que
gli di cui essa è opera; è lecito di conchiudere che la vo
lontà, al momento che essa giudica, prende per punto d'ap
poggio la legge divina. — Il desiderio infine si misura dal
354 PARTE IV.
l'inclinazione che esercita la cosa desiderata. Di tutte le co
se, quella che esercita la più viva attrattiva, è la felicità; e
la felicità non si acquista che col compimento dell'ultimo
fine, ossia col possesso del sommo Bene. Il desiderio tende
dunque al sommo Bene, o, per lo manco, a tutto ciò
che vi ha rapporto per qualche analogia , a tutto ciò
che lo rappresenta per alcuni tratti.
4. Mutui rapporti del fisico e del morale. — Compendimi!
Theologicae veritatis, lib. IL cap. 58, 59 (1).
La disposizione delle parti il cui insieme costituisce
il corpo umano, offre numerose varietà che, convene
volmente interpretate, sembrano corrispondere alle di
verse disposizioni dell' anima .... Nostri maestri in que-
st' arte d'interpretazione sono Aristotele, Avicenna, Co
stantino , Palemone , Losso , Palemozio. Noi seguiremo
le loro traccie.
E per cominciare dalle complessioni, bisogna ricono
scere i melanconici portare l' impronta della tristezza e
della gravità; le qualità contrarie essere dei sanguigni;
i biliosi mostrarsi inclinati a collera ; i flemmatici alla
sonnolenza ed all'oziosità. — Il sesso non manca d' e.
sercitare una potente influenza; l'uomo è impetuoso ne'
suoi movimenti , amico delle fatiche intellettuali, fermo
dinnanzi al pericolo. Le donne sono timide e misericor
diose.
La grossezza della testa , quando è smisurata , è in-
(i) Quest'opera ebbe l'onore d'essere successivamente attri
buita ai più illustri dottori della scuola: Alberto Magno, san
Tomaso d'Aquino, Tomaso Sutton, Ugo di Strasburgo (vedi
Vffistoire litléraire de la France, t. XIX ). L'opinione che ne
vuol autore san Bonaventura è fondata, 1.° sulla similitudine
delle idee e delle espressioni del Compendium con quelle del
Breviìoquiumj 2.0 sulla testimonianza di due antichi manoscritti
del Vaticano.
DOCUMENTI 355
dizio ordinario di stupidità; l'estrema piccolezza mani
festa la mancanza di giudizio e di memoria. Una testa
piatta ed infossata in cima, annunzia l'incontinenza dello
spirito e del cuore; allongata e della forma d'un mar
tello, dà tutti i segni della previdenza e della circo
spezione. — Una fronte stretta accusa un'intelligenza
indocile ed appetiti br1llali; troppo larga, indicherebbe
poco discernimento... Se è quadrata e di giusta dimen
sione, sarebbe improntata del marchio della sapienza e
fors'anco del genio.
Gli occhi cilestri e brillanti indicano l' audacia e la
vigilanza. Quelli che pajono scuri e vacillanti , rivelano
l'abitudine di bevande forti e di grossolane voluttà. I
neri, senza alcun' altra gradazione di colori, mostrano
un'indole debole e poco generosa... Quelli che, rossi
e piccoli, si sporgono a fior di testa, accompagnano per
l'ordinario un corpo senza fermezza ed una lingua senza
freno. Ma quando lo sguardo è acuto , benché velato
da leggera umidità , annuncia la veracità nel discorso ,
la prudenza nel consiglio , la prontezza nell' azione ....
Una bocca dal bel taglio , chiusa da labra sottili , il
superiore dei quali avanzi un pocheltino l'inferiore,
esprime sentimenti nobili e generosi. Una bocca piccola
le cui estremità assottigliate si stringono per reprimere
il movimento, lascia travedere la malizia, sol it' arma
della debolezza. Le labra mezzo aperte e pendenti sono
simbolo dell' inerzia e dell' incapacità. Questa osserva
zione può ripetersi su molti animali.
L' energia e 1' abilità si palesano colle mani brevi e
delicate. Le dita lunghe e curve segnano l' intemperanza
del mangiare e della parola ... Gli uomini che cammi
nano a lunghi passi sono quasi tutti gente d' un ca
rattere elevato e d'una instancabile attività. Quelli che
vanno a passi accelerati, curva la persona e la testa bas
sa, hanno le apparenze certe dell'avarizia, dell'astuzia
e della timidezza ... >
J5S PARTE IV. DOCUMENTI
In generale , quando tutte le parti del corpo conser
vano le loro proporzioni naturali e che regna tra loro
una perfetta armonia di forme, di misure, di colori,
di posizioni, di movimenti, è lecito supporre una non
meno felice disposizione delle facoltà morali; e per con
seguenza reciproca, la sproporzione delle membra lascia
facilmente sospettare un simile disordine nell'intelletto e
nella volontà. Si potrà anche dire con Platone che spesso
i nostri lineamenti portano la somiglianza di alcuni ani
mali, di cui la nostra condotta riproduce anche i costumi ...
Ma bisogna soprattutto ricordarsi non marcare necessa
riamente le forme esteriori i caratteri interni loro cor
rispondenti ; né poter esse distruggere la libertà dell'a
nima di cui indicano le tendenze. Anche il valore di
questi indizj è di mera congettura e qualche volta incer
to; per modo che in simil materia sarebbe temerità l'av
ventare il proprio giudizio. Perchè l'indizio potrebbe es
sere accidentale j e se è opera della natura, T inclinazione
che rappresenta può cedere all'ascendente di un'abitu
dine opposta, o raddrizzarsi sotto il freno moderatore
della ragione.
V. Là società.
i . Filosofia del diritto. — Politica generale. — S. Tomai»
d'equino, Stjmma, l. 2. qq. 90.97, De legibus (1).
I. Delle leggi considerate nella loro essema. — Q1iaest. 90.
Si propongono quattro questioni: — 1. Se la legge
è una dipendenza dalla ragione? — 2. Qual è il fine
della legge? — 3. Quale ne è l'origine? — 4. Quale
ne deve essere la promulgazione ?
1. La legge è una regola, una misura che s'impone
ai nostri atti ; è un motivo che ci determina o ci dis
toglie dal fare. Difatti , si chiama legge da legare (Lex
a ligare), perché essa ci lega e ci stringe ad una de
terminazione eh' essa rende necessaria. Ora la regola e
la misura degli atti umani è la ragione, che ne è pure
il primo principio, perchè appartiene alla ragione il
dirigerne lo sforzo verso il fine; e la considerazione del
fine cui si vuol arrivare è precisamente, come dice A-
ristotele , il primo principio dell'azione. Ma in ciascun
ordine di cose, il principio è anche la regola e la mi
sura; così l'unità misura i numeri, così il moto degli
astri misura il moto di quaggiù. — Si può dunque con
chiudere essere la legge una dipendenza della ragione.
(1) Qui abbiamo dovuto mutilare questo trattato de Legibus ,
che nell' assieme forma per avventura il più bello sistema di fi
losofia del diritto tracciato da penna cristiana. Saranno scrupo
losamente accennate le lacune ; le quali per lo meno ecciteranno
il lettore a ricorrere al testo, che sarà così assolto di tutt' i rim
proveri che potrebbe meritare la traduzione.
J58 PARTE IV.
2. Siccome la ragione è il principio degli atti umani,
cosi deve trovarsi nella ragione stessa un' idea che sia
alla sua volta il principio degli altri atti e da cui la legge
dipenda in una maniera più assoluta. Ora 1' idea che
presiede a tutte le nostre azioni , che domina e dirige
tutte le decisioni della vita pratica , è l' idea d' un ul
timo fine. Ma I' ultimo fine dell' esistenza umana è la
felicità o la beatitudine. Bisogna dunque che la legge
tenda a realizzare le condizioni della felicità. D' altra
parte, se l'imperfetto deve subordinarsi al perfetto, e
la parte al tutto; se l'uomo isolato non è che una parte
della società in cui sola risiede la perfezione , sarà pro
prio della legge di realizzare le condizioni della felicità
commune. E ancora in questo senso che Aristotele, al
libro quinto della Morale , proclama giuste e commen-
devoli tutte le istituzioni che procacciano o conservano
la felicità in mezzo alle relazioni politiche .... Per con
seguenza , il bene generale è il fine supremo cui sono
necessariamente coordinate tutte le leggi.
3. Ma riconoscendo che è destinazione della legge il
procurare il bene generale, si deve anche ammettere
che appartiene alla moltitudine, od a chi ne fa le veci,
la cura d'assicurare questa destinazione. Le leggi dun
que saranno opera di tutto il popolo, o della persona
publica incaricata degli interessi del popolo ; giacché l'io.
carico di disporre tutte le cose al compimento del fine
generale, incumbe dappertutto e sempre a colui che vi
si trova specialmente , immediatamente , completamente
interessato.
4. Si è detto che la legge s'impone a maniera d'una
regola e d'una misura: ora la regola e la misura ven
gono imposte applicandole agli oggetti che debbono es
sere a loro sottoposti. Dunque, per ottenere questa forza
obligatoria che la caratterizza, bisogna che la legge sia
DOCUMENTI 35i)
applicata a coloro ch'essa deve regolare. Ma questa ap
plicazione, questo primo saggio della legge sugli spiriti,
avviene per mezzo della conoscenza che a tutti ne è data
col mezzo della promulgazione. Ne segue dunque che la
promulgazione è necessaria per dar forza alla legge. —
Così dalle quattro precedenti considerazioni si può de
durre una soddisfacente definizione, e dire : essere la
legge una disposizione ragionevole, tendente al bene com-
tnune, emanata da colui che è incaricato degli interessi
del publico, e promulgata per sua cura (1).
II. Delle varie specie di leggi. — Quaest. 92.
Si tratterà successivamente:— i. Della legge eterna;
— 2. Della legge naturale', — 3. Delle leggi umane.
i. La legge, com' è qui sopra provato, è P espressione
della ragione pratica nella mente del sovrano che go
verna una società completa. Ora, supponendo essere il
mondo regolato dai consigli della Providenza, ipotesi di
cui la verità fu abbastanza stabilita , è evidente che la
ragione divina governa la gran società dell' universo. E
perciò I' economia del governo delle cose tale come e-
siste in Dio, sovrano dell'universo, ha veramente il ca
rattere di una legge. E come i concetti della ragione
divina non sono punto subordinati alla successione dei
tempi, ma godono di immutabile eternità, secondo ciò
che è scritto nel libro de' Proverò]', avviene che questa
legge debba dirsi eterna.
( i ) Rationis ordinatio ad bonum commune ab eo qui curaru com-
munitatis habet promulgata. — Ratio, Obdisjtio, due profondis
sime parole usate nel linguaggio della scuola ad indicare la legge,
e che ne esprimono mirabilmente il doppio valore intellettuale e
morale. La seconda l'hanno conservata i Francesi , Ordonnance;
e la prima l' abbiamo noi Italiani, Ragione. Nota bene nel senso
di Diritto ed anche Dottrina e Scienza delle leggi.
36o PARTE IV.
2. Se la legge è regola e misura, può essere consi
derata tutt' insieme e dal Iato di chi la impone , e dal
lato di chi la debbe eseguire, perocchè se in qualche
cosa non tenesse della regola e della misura , nè misu
rata esser potrebbe nè regolata. Se dunque tutto ciò
che è sommesso alla Providenza divina regolato è e mi
surato dalla legge eterna , è chiaro che tutti gli esseri
tengono in qualche maniera di questa suprema legge; ossia
dalla sua applicazione ricevono un impulso naturale verso
gli atti che loro sono proprj, verso i fini che loro sono
assegnati. Ma tra tutte le creature, la creatura ragione
vole in modo più eccellente è sommessa alla Providenza,
in quanto che ella coopera all'azione providenziale, pre
vedendo per sè stessa e per gli altri. Ella dunque è
ammessa ad una partecipazione più abbondevole della
ragione eterna, che le imprime una tendenza continua
verso il suo vero destino ; la quale partecipazione della
ragionevole creatura alla legge eterna, Legge Naturale
si dice.
3. Già più volte si è ripetuto che la legge è l'espres
sione della ragion pratica: or la ragion pratica e la ra
gione speculativa seguono ne' loro svolgimenti presso a
poco il medesimo corso. L' una e l'altra vanno scen
dendo mai sempre dai principj alle conclusioni. Come
dunque la ragione speculativa ha principj indimostrabili
naturalmente conosciuti e dai quali deduce le conclusioni
delle diverse scienze , la conoscenza delle quali non è
punto data dalla natura, ma per lo studio faticosamente
acquistata; così i precetti della legge naturale sono al
trettanti principj generali , evidenti per sè medesimi ,
donde la ragion pratica deve cavare speciali disposizioni.
£ queste essendo l'opera dello spirito umano s'appelle
ranno Leggi Umane, purchè riuniscano i caratteri , co
stituenti la legge. Perciò appunto Cicerone, nel libro
della Relorica, asserisce che il diritto ebbe i suoi pria
DOCUMENTI 3fii
cìpj nella natura; che più tardi alcune osservanze de
terminate dalla ragione s'introdussero nel costume, e
che infine le istituzioni fondate sulla natura , approvate
dal costume, furono sanzionate dal terror delle leggi e
dalla religione consacrate.
III. Della legge eterna. — Quaest. g3.
Domandasi : — i. Quale è in sè stessa la legge eterna?
— 2. Se tutte le leggi temporali ne debbono derivare ?
1. Come l'artista porta nel suo intelletto il disegno
delle opere che usciranno dalle sue mani, cos'i nell' in
telletto di colui che governa deve innanzi tratto prender
forma 1' ordine che egli stabilirà in mezzo alla moltitu
dine confidata alla sua tutela. Il disegno preconcetto
delle opere d'arte si chiama regola o modello; l'ordine
prestabilito del governo sociale prende il titolo di legge...
Ora Dio, creatore di tutte cose, è rispetto a quelle, ciò
che l'artista è rispetto all'opere sue ; egli le governa del
pari e le dirige in certa guisa in tutti i loro movimenti ed
atti. Dunque il disegno della sapienza divina, in quanto
ha presieduto alla formazione delle creature , prende
nome di modello, di tipo o d'idea; in quanto egli de
termina lo sforzo degli esseri verso il compimento del
loro destino, prende titolo di legge; donde seguita che
la legge eterna altro non è che l'ordine secondo il quale
la divina sapienza fa muovere tutte le forze della crea
zione. .. .
2. La legge è l' ordine nel movimento ; ora , in una
serie di movimenti coordinati , d' uopo è che la potenza
d'un secondo motore derivi dalla potenza d'un primo,
perchè il secondo non entra in atto se non in quanto
egli medesimo è mosso. Per ciò in ogni gerarchia l' e-
conomia del governo si trasmette dal poter sovrano
OziKAM. Dante. t 3i
36» PARTE IV.
ai poteri secondarj ; e come nelle opere dell' arte 1' idea
cui uopo è dar corpo discende dall'artista che conduce
il lavoro agli artefici che lo eseguiscono, così l'ordine che
duopo è servare nei movimenti della vita civile, discende
dal re ai magistrati inferiori. Se dunque la legge eterna è
l'economia del governo universale nel pensiero di Dio
in cui il supremo potere risiede, ella è la sorgente donde
tutti i sistemi di governo diretti da subalterni poteri,
tutte le umane leggi , in una parola, debbono scaturire.
E questa effettivamente è la dottrina di sant'Agostino,
nel libro II del Libero arbitrio.
IV. Della legge naturale. — Quaest. 94.
Domandasi: — t. Quali sono i precetti della Legge
Naturale? — 2. Se questa legge è una per tutti gli uomini.
t. I precetti della Legge Naturale hanno per la ra
gion pratica il medesimo valore che gli assiomi indimo
strabili della ragione speculativa; sono il risultamento delle
osservazioni speculative.... Ora il primo assioma indimo
strabile è questo: che una stessa proposizione non puossi
nel medesimo tempo affermare e negare. E questo as
sioma è posto nella nozione dell'essere, la prima che si
presenta al pensiero... Ma come la nozione dell'essere
è la prima che si presenta alla ragione speculativa, la
nozione del bene è quella che si appresenta innanzi tutte
le altre alla ragione pratica ... — Il primo precetto della
legge naturale è dunque questo: è d'uopo procacciare il
bene, fuggire il male. E v'ha altrettanti precetti nella
legge di natura, quanti vi ha casi in cui la ragion pratica
riconosce spontaneamente la presenza del bène e del ma
le ... Ma se il carattere del bene è di essere fine naturale
delle cose , la ragione scorgerà questo carattere in tutti
gli oggetti ai quali la nostra natura ne inchina... L'or
dine di queste inclinazioni innate determinerà dunque
DOCUMENTI 363
l'ordine che regna nei precetti della legge naturale. —-
Vi ha innanzi tutto nell'uomo una inclinazione elementare
Tenuta da questa infima natura che egli ha cnmmune con
tutte le creature. Tutte le creature tendono alla conser
vazione di sé, e però i mezzi necessarj per conservare la
"vita, per allontanare la morte, rientrano nel dominio
della legge naturale. In secondo luogo, 1' uomo è inclinato
ad atti più complicati, attributi distintivi di quell'altra
natura che ha commune cogli altri animali; e gli è per
questo che comprendesi sotto la legge naturale l'unione
dei sessi e l'educazione de' figliuoli. In terzo luogo, l'uo
mo si sente portato verso un'altra sorte di bene corri
spondente a quella natura superiore, intelligente, ragio
nevole, che è in lui solo. Egli sente il bisogno di co
noscere Dio, di vivere in società ; e la legge naturale
provede alla soddisfazione de' suoi bisogni col segnare
d'ignominia l'ignoranza volontaria, col raccomandare
una vita innocente, col moltiplicare infine saggi ordina
menti che troppo lungo sarebbe il noverare.
2. La legge naturale sanziona tutte le inclinazioni pri
mitive della natura umana ; ma , tra tutte quella prin
cipalmente ci distingue e ci onora , la quale ci porta a
prendere la ragione per guida delle nostre operazioni.
Ora il proceder costante della ragione è dal generale al
particolare. Tuttavolta, mentre la ragione speculativa,
esercitandosi sopra fatti necessarj , incontra infallante"
mente la verità, così nei principi che stabilisce come nelle
conclusioni che ne deduce, la ragion pratica si occupa
degli atti umani che sono nel novero delle co*e con
tingenti; e, benché s'attenga ancora alla necessità me
tafisica per le sue massime generali, tosto ch'ella si ab
bassa alle applicazioni , ella vi trova la contingenza. Così
nella speculazione, la verità è sempre una per tutti, tutto
phe essa non sia sempre egualmente conosciuta ... Nella
pratica, la giustizia, le cui massime generali sono identiche,
364 PARTE IV.
immutabili, evidenti per tutti, può cedere ed oscurarsi
per le sue numerose applicazioni. Dunque la legge na
turale, se a' suoi principj ci atteniamo, è per tutti la
stessa in sé e nelle idee che ce ne formiamo; ma se si
considerano le regole particolari che ella detta secondo
la diversità delle circostanze , ella potrà variare. Ma po
trà variare primamente in sé stessa piegandosi a condi
zioni novelle che modificheranno il suo rigore ordinario;
poi ancora nelle idee che ce ne faremo, secondo che la
ragione si lascierà più o meno intorbidare dalle pas
sioni , dalle abitudini perverse e da una mala disposi
zione degli organi. E facile citarne degli esempj : la legge
che prescrive la restituzione d'un deposito, soffre re
strizione nel caso che chi lo ha fatto lo ridomandasse
per farne un uso malvagio : quella che vieta il furto
non conosce presso noi eccezioni ; ma fu ignorata presso
alcuni popoli: i Germani, al dire di Cesare, non repu
tavano colpevole la rapina de' beni altrui.
V. Delle leggi umane. — Quaest. 95.97.
Si verrà discutendo successivamente: — t. P utilità ;
— 2. l'autorità; — 3. la mutabilità.
i. L uomo ha da natura ricevuto una felice altitu
dine per la virtù ; ma non saprebbe pervenire alla per
fezione della virtù che coll" assoggettarsi ad una disci
plina. Avviene de' suoi bisogni morali quello che delle
sue materiali necessità; non può soddisfarle che sotto
ponendosi ad un lavoro regolare, di cui sono gli stru
menti, intelligenza e mani; mentre gli animali trovano
senza calcolo e senza pena intorno e sopra di sé pa
scolo e vestimento. Ora, è difficile che l'uomo basti a
se stesso per l'esercizio di questa benefica disciplina;
perchè essa ha per oggetto principale di trarlo da il
leciti godimenti verso i quali si sente inclinato, soprat
docbttekti jey
tutto nella giovinezza, cioè a dire., nell'età in cui la
corruzione è più efficace, e la tendenza più durevole.
Bisogno è dunque ricevere da altrui la disciplina che
sola può condurre alla virtù. Per quelli cui una favo
revole complessione, una saggia abitudine, o meglio an
cora , la grazia divina fa inclinare facilmente al bene ,
basta la disciplina paterna che procede in forma di con
siglio., ma per le disposizioni, viziose, che non si lasciano
scuotere dalla parola, alle seduzioni del male, è forza
opporre le minacce della forza. Contro questo salutare
ostacolo rompendo le malvagie volontà, cesseranno di tur
bare la commune tranquillità; prenderanno una miglior
direzione, e per abitudine terranno la condotta tracciata
dal timore, e faranno ritorno alla saviezza. Ora la sola
disciplina che ha la potenza di infrenare , perciò che è
accompagnata dal terror delle pene, è la disciplina della
legge; di che è mestieri conchiudere che le leggi uma
ne erano necessarie pel mantenimento della pace e per
la propagazione della virtù tra gli uomini. E a conforto
di questa proposizione si può citare la testimonianza di
Aristotele, al libro I della Politica ....
». Le leggi di umana istituzione sono giuste od in
giuste. Le leggi giuste obligano nel foro interno; e questa
fòrza obligatoria prendono dalla legge eterna onde sono
originate .... Ora, le leggi meritano esser appellate giuste
quando adempiono le condizioni della giustizia pel fine
che si proposero, per l'autore donde derivano, per
le forme che osservano; cioè quando tendono al ben
generale , né eccedono il poter del legislatore , e di
stribuiscono con un' eguaglianza proporzionata i carichi
che pell' interesse di lutti debbono essere da ciascuno
portati. L' uomo effettivamente , se è membro della
società , le appartiene come la parte appartiene al suo
intero ; e la natura vuole alcuna volta che una parte
soffra, perchè il tutto sia salvo. Del pari le leggi divi
366 PARTE IV.
dono su ciascun membro della società i carichi neces
sari Per la conservazione dell' ordine sociale, e se ciò
fanno in equabili proporzioni , sono giunte e obligatorie
per la coscienza; nel qual caso si possono dire leggi le
gittime. Le leggi possono essere ingiuste in due manie
re : per opposizione al bene relativo dell'uomo, o per
opposizione al bene assoluto , che è Dio. Nel primo caso
esse peccano pel loro fine, pel loro autore, o per la
loro forma : pel loro fine, quando il principe le ha cai-*
colate per l' interesse del proprio orgoglio o della pro
pria cupidità, senza riguardo al ben publico; pel loro
autore , quando colui che le ha imposte ha varcato la
somma del potere di che è depositario ; per la loro
forma, se i carichi imposti, benché per la commune
utilità, pure sono inegualmente sopra ciascuna persona
ripartiti. Leggi così fatte non sono altro che violenze ;
essendo che, secondo il pensiero di sant'Agostino, non
si possono onorar del nome di leggi quelle che ingiuste
sono. Per conseguenza esse non obligano punto nel foro
interno, se non fosse per avventura in vista dei torbidi
e dello scandalo che conseguitano dalla trasgressione, mo
tivo sufficiente per determinar l'uomo a cedere al suo
diritto; ecco il consiglio del Vangelo; « A. chi ruba la
vostra tonaca , cedete anche il mantello ». Nel secondo
caso , e quando le leggi sono contrarie al bene assoluto,
cioè a Dio, come 'erano quelle dei tiranni che dell' ido
latria facevano un precetto , non è assolutamente per
messo di osservarle . , . « Bisogna piuttosto obedire a Dio
che agli uomini ».
3. Le leggi umane sono altrettante disposizioni per le
quali la ragione cerca dirigere le azioni degli uomini ;
e quindi due cause giustificano i cangiamenti nelle le
gislazioni di quaggiù. La prima di queste cause è la
mobilità della ragione stessa ; la seconda è la mutabi
lità delle circostanze tra cui vivono gli uomini dei quali
DOCUMENTI J6y
bisogna indirizzare le azioni. E primamente è delta na
tura e della ragione 1' andar per gradi dall' imperfetto
al perfetto ; cosi nelle scienze speculative noi veggiamp
che i primi filosofi hanno lasciato dottrine difettose, che
si sono poi emendate e completate nelle scuole sorte
più tardi. Cosi doveva essere delle pratiche cognizioni ;
i primi che applicarono il proprio ingegno al servigio della
società, non potendo abbracciare d'un solo sguardo tutti
ì bisogni da soddisfare , dovettero lasciare instituzioni
insufficienti. V ebbe dunque luogo a modificarle in se
guito, e mutarle con altre che lasciarono meno lacu
ne; le quali tuttavia non cessano di essere riformabili
per l'avvenire ... In secondo luogo , giuste innovazioni
si possono introdur nella legge nel medesimo tempo che
altre correlative si operano nella condizione degli uo
mini ; perchè alla diversità delle condizioni deve cor
rispondere la varietà delle instituzioni. Sant'Agostino ne
porge un eccellente esempio. Se il popolo a cui s'im
pongono leggi è pacifico ne' suoi costumi , grave ne' suoi
pensamenti, vigile al mantenimento de' suoi veraci van
taggi , in lui si riconoscerà con ragione il diritto di sce
gliere i magistrati cui spetta il carico della publica am
ministrazione; ma se questo popolo si va in modo cor
rompendo da render venale il suo voto, si riduce a con
fidare le cure del governo ad uomini diffamati, il legis
latore gli toglierà accortamente il potere di conferire le
cariche per rimetterlo interamente tra le mani d'un pic-
ciol numero di persone dabbene.
«. Politica speciale, — S. Tomaso: Snmma, 1. 2. q. to5; ?. «.
q. 42 j De Eruditione princip1mt, 1. 1, 4j VI, 3.
I. Della miglior forma di governo.
Due cose sono necessarie per fondare un ordine du
revole nelle città e nelle nazioni. La prima è I' ammis
sione di tutti a una parte del governo generale, affin
chè tutti si trovino interessati al mantenimento deIIa
pace publica divenuta opera loro; la seconda è la scelta
d'una forma politica in cui le autorità siano opportuna-
mente combinate. Esistono effettivamente , come lo in
segna Aristotele, più forme di governi. Tuttavolta pri
meggiano tra tutte la real dignità, che è la sovranità d'un
sol uomo, soggetto egli pure alle leggi della virtù; e l'a
ristocrazia, che è l'autorità de' migliori cittadini, eserci
tata parimente nei limiti della giustizia. Così, la più felice
combinazione del potere sarebbe quella che facesse capo
della città o della nazione un principe virtuoso , che
ordinasse al disotto di sé un certo numero, di grandi
dignità per governare secondo le norme dell'equità; e
che, scegliendoli da tutte le classi, somme! tendoli a tutti
i suffragi della moltitudine , associasse I' intera società
alle cure. del governo. Un tale stato nel suo benefico
ordinamento riunirebbe la monarchia rappresentata da
un unico capo; l' aristocrazia , naturata nella pluralità
de' magistrati scelti tra i migliori cittadini; e la demo
crazia , ovvero la potenza popolare manifestata nelT e-
lezione di questi magistrati , che si farebbe nella classe
del popolo, e dalla sua voce. — Quest'ordine è preci
samente quello che la legge divina ha stabilito in Israele.
II. Della sedizione.
L'inevitabile effetto della sedizione è di attaccare
l'unità del popolo della città o dell'impero. Or,
PARTE IV. DOCUMENTI $69
se prestasi fede a s. Agostino, il popolo, giusta la de
finizione dei saggi, non è già il fortuito accozzamento
d'una moltitudine qualunque, ma una società formata
dall1 osservanza d' un medesimo diritto e dalla com-
munanza de' medesimi vantaggi. Il perchè è Punità di
diritto e d' interessi che la sedizione minaccia di scio
gliere; e ne seguita che la sedizione, contraria alU giu
stizia e all'utilità communc , dovrebbe essere condan-'.
nata come una colpa mortale di sua natura, e tanto
più grave quanto il bene generale è preferibile al bene
particolare. Ora, il peccato della sedizione. grava special
mente sopra quelli che se ne fecero gli instigatori ; poi
sugli uomini turbolenti che ne furono gli strumenti ed
i complici. Quelli al contrario che opposero resistenza
e combatterono pel ben publico, non debbono mai es
sere disonorati del nome di sediziosi, così come non po
trebbero dirsi accusatori quelli che respingono l'attacco
d' un'accusa ingiusta.
IH. Dei doveri del principe (1).
La società non può pervenire al fin supremo che le
è assegnato senza il concorso di tre sorta di mezzi : le
virtù, le cognizioni, i beni esterni. — Il principe deve
dunque primamente vegliare con saggia sollecitudine
perchè fiorisca ue' suoi Stati la coltura delle lettere, per
moltiplicarvi il numero degli scienziati e dei letterati.
Perchè ove la scienza è in fiore, dove la sorgente degli
studj zampilla, là, tosto o tardi V istruzione si spanderà
tra il volgo. Dunque per dissipare le tenebre dell'igno
ranza che infelicemente avvolgerebbero 1' aspetto della
monarchia, incumbe al re d'incoraggiare con favore
vole attenzione le lettere. Tanto più che se egli dinie-
(1) Questo frammento non appartiene a s. Tomaso d'Aquino;
è tratto da un libro de Regimine principim1 (lib. III, p. 2, e. 8),
scritto dal B. Egidio Colonna, cardinale, arcivescovo di Bourges,
e discepolo del Dottor angelico.
370 PARTE IV.
gasse il necessario incoraggiamento, se egli non volesse
che i suoi sudditi si istruissero, cessando di esser re,
si farebbe tiranno. — In secondo luogo necessarj sono
al popolo costumi puri e virtù. Perciò che poco è il
conoscere il fine della vita umana col lume dell' inten
dimento, se colla forza della volontà non si correggono
i disordinati appetiti per riconduci1 al loro scopo. Egli
è pertanto dover del principe l'insinuare tra suoi sud
diti virtuose disposizioni. — Infine i beni esterni pos
sono servire d' istrumenti per procacciare la felicità della
vita civile; e però conviene che il re e i principi gover
nino i loro stati e le loro città per modo che loro
procurino 1' abbondanza di quelle ricchezze che al bene
generale contribuiscono.
IV. Della Nobiltà.
Egli è un errore frequente tra gli uomini quello di cre
dersi nobili perchè sono discesi da nobili familie. Questo
errore può essere combattuto in più maniere. — E pri
mamente, se si considera la causa creatrice della quale
noi siamo le opere , Dio , facendosi 1' autore di nostra
progenie, l'ha tuttaquanta senza dubbio annobilita....
Se si esamina la causa seconda e creata, i primi pa
renti da cui discendiamo ; sono pure i medesimi per
tutti; tutti da Adamo e da Eva hanno ricevuto la me
desima nobiltà, la medesima natura. Né si legge che
il Signore abbia fatto al principio due uomini: l'uno
d'argento per essere il primo progenitore de' nobili; l'al
tro d'argilla per essere il padre de' plebei. Ma egli ne ha
fatto un solo e di fango e per cui siamo fratelli .... La
medesima spica dà in un tempo e il fior di farina e la
crusca. La crusca è miserabil pasto che si getta a' ma
jali, e del fior di farina s'impasta un pane degno della
mensa d'un re. Sopra un medesimo ramo nasce la rosa
e la spina. La rosa è un nobile oggetto benefico a chi
le si avvicina ; ella spande con dolce profusione i suoi
DOCUMENTI 371
profumi intorno a sé: la spina per lo contrario è una vile
escrescenza che punge le mani che imprudenti la sfio
rano. Così d" un medesimo ceppo due uomini possono
nascere, l'uno villano, l'altro nobile. L'uno, come la
rosa, farà del bene a chi l'avvicina, e così sarà nobi
le: l'altro, come la spina, ferirà quelli che gli si acco
stano, fino a che sia gittato, come quella, al fuoco, ma
al fuoco eterno ; e costui sarà villano ... Se tutto ciò che
procede da un nobile ereditasse la sua nobiltà, gli ani
mali che s'annidano fra i suoi capegli , e le altre super
fluità naturali che in lui si producono, sarebbero no
bili alla loro maniera... Anche i filosofi hanno deciso che
nobiltà non s'acquista per discendenza. Che cosa è ca
valiere, schiavo, affrancato? Questi, risponde Seneca,
sono titoli creati dall'orgoglio e dall'ingiustizia. Platone
il disse: Non v'ha re che non conti degli schiavi tra
suoi maggiori , né schiavo il quale non sia nipote di
re. Egli è bello il non essere mai venuto meno agli e-
sempli de' nobili antenati; ma gli é ancor meglio d'aver
illustrato con grandi azioni un umile nascimento ... Io
ripeto adunque con san Girolamo, che nulla mi par de
gno d' invidia in questa pretesa nobiltà ereditaria , se
non fosse che i nobili sono avvinti alla virtù dalla ver
gogna di disonorarsi. — La vera nobiltà è quella del
l'anima, secondo le parole del poeta:
Nobiltà sola è quella
Che di virtù ci abbella (1).
(1) San Tomaso, che scriveva tali cose, apparteneva alla il
lustre familia dei conti di Aquino , una delle prime delle Dne
Sicilie. Lo spazio non ci permette di qui inserire un capitolo
notevole del trattato de Regimine principimi ( diverso da quello
sopra citato ), che generalmente gli si attribuisce. Ivi stabilisce i
doveri del popolo in faccia alla tirannia: « Il tiranno, se sta en
tro certi limiti, deve essere tollerato pel timore di un male più
grave; se valica ogni misura, può essere deposto e giudicato da
un potere regolarmente costituito, ma gli attentati contro la sua
persona, che sarebbero V opera del fanatismo personale' o della
vendetta privata, resterebbero delitti inescusabili ».
371 PARTE IV.
V. De' publici aggravj.
L' empietà de' principi e de' signori che impongono
a' loro sudditi esorbitanti imposte si scorgerà agevolmente
se si pon mente che essi si rendono colpevoli d' infe
deltà verso gli uomini, d'ingratitudine verso Dio, e di
disprezzo inverso gli angeli. — Il signore debbe a' suoi
sudditi la stessa fedeltà che gli è permesso esigere da
loro; è fellonia il mancarvi... Udiamo molte volte i
nobili scusarsi e dire : « Se quest' uomo non m1 apparte
nesse , mi avviserei di peccare nel maltrattarlo; ma uel
maltrattare chi mi appartiene, non ci posso veder pec.
dato , o almeno peccato grave ». Si potrebbe rispon
dere che un siffatto potere sarebbe uguale a quello
del demonio. Perchè il demonio è un crudel signore,
che paga di afflizioni la divozione de' suoi soggetti , e
tanto peggio li tratta, quanto meglio ne fu servito....
E qual uomo di senno crederà mai che sia men delitto
far la guerra a' suoi che non agli stranieri? Chi dun
que ignora che vi ha tradimento nell' abbandonare la
causa dell'amico? Or, secondo le parole del Saggio,
il principe deve riguardare i suoi sudditi come poveri a.
mici che il Cielo gli ha dato. Prima che egli avesse rice
vuto l'omaggio del povero, gli doveva fede come ad un
fratello di religione; e questi rendendogli alla sua volti
omaggio , non ha esonerato il principe dalla sua obli .
gazione primitiva; ma piuttosto l'intervento del nuovo atto
ha ristretto il vincolo anteriore. Come può dunque difen
dersi dall'accusa d'infedeltà colui che opprime i suoi sud
diti? — Fa parimente prova d'ingratitudine contro Dio:
perchè Dio ha onorato l'uom potente elevandolo al di
sopra di tutti; ed egli al contrario disonora Dio ne' po
veri ch'egli avvilisce. Imita i soldati che il carico ave-
van di condurre il Salvatore alla morte, i quali piglia
vano la canna postagli nelle mani per colpirgli la te
sta. La canna è la imagine del potere temporale che
DOCUMENTI 3ji
i grandi ricevettero dalla mano dell'Altissimo, e di cui
si servono poscia per colpirlo nella persona de' poveri.
ono — Infine, vi ha il disprezzo degli angeli. Nel fatto,
ente se la Previdenza ha confidato i deboli ed i piccoli
'"k' alla guardia de' forti del secolo, non volle punto che i
e "'' primi fossero in balia de' secondi ; ma diede loro ce-
sut lesti custodi. Ciascun uomo ha il suo angelo alla cura
>' * del quale è affidato. Sopra di questo angelo ridondano
i'"' le offese prodigate agli infelici di quaggiù; e dall' an-
if* gelo risalgono allo stesso Dio , del quale è desso il mi-
ia d nigtro.
iore,
ti.'
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Idilli
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eri *
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Ozanam. Dante. 32
VI. La satura.
I. Presenza di Dio in tutti i gradi della creazione. — Unità e
diversità. — Attrazione universale . — Alberto Magno: De causis
et processu Universi, lib. uy tr. ir; cap. i e 2.
i. Eccoci a spiegare come la causa prima regga tutti gli
esseri creati senza confondersi con essi; poichè, se alcuni
di questi sembrano reggerne altri che loro sono sommessi,
lo fanno a cagione di una potenza data loro a prestanza.
— Infatti il reggere gli esseri non è il condurli a quella
pienezza d' esistenza che è il loro fine? Ora, per ognun
d'essi la pienezza dell' esistenza consiste nell'unione delle
condizioni senza le quali egli non potrebbe giungere alla
sua perfezione relativa, compiere il proprio destino , eser
citare la funzione particolare della quale egli è capace.
Ma condurre un essere alla perfezione, ma dalla potenza
farlo passare all'atto, ella è questa opera del principio
generatore, che trovasi in lui , e che gli dà la sua for
ma specifica. Cosi la potenza creatrice che viene dal
padre forma P embrione nei fianchi materni e gli dà
la figura vivente dell' umanità ; quindi rassoda e svi
luppa il corpo del figlio , onde condurlo alle perfette
proporzioni della virilità, in cui il completamento degli
organi permetterà 1' azione completa delle facoltà cor
rispondenti .... Nella serie delle cose la precedente si
spiega sempre dalla antecedente; la seconda s'informa
della prima. Tutte si legano necessariamente fra loro, e
risalgono alla Causa suprema, in cui non son che una
cosa l'esistere, e l'essere, e la quale operando intorno a
sè stessa, forma , perfeziona, e governa tutto l'universo.
— La Causa suprema opera in virtù propria , e non in
PARTE IV. DOCUMENTI 375
virtù d'una forza tolta a prestanza: ella non è dunque
divisa in due parti, I' una attiva, l'altra passiva; non
perde dunque nel suo agire queir inalterabile unità, la
quale sta nella sua natura. Non accade così degli agenti
secondarj composti di esistenza e di essenza, di potenza
e di atto, e però divisibili. Ma un agente composto non
può modificare gli oggetti che gli sono sommessi, che
dando loro la sua forma, facendo lóro parte della sua
esistenza, sebbene ritenga in sé tutta la sua essenza. In
fatti l'azione suppone il contatto, il contatto esige la
communicazione ; e non potrebbe esservi altra commu-
nicazione se non quella dell'esistenza, essendo affatto
impossibile il communicare l'essenza. Siccome adunque
la Causa prima opera per la sua essenza, bisogna con
cludere che essa non si communica , ossia non si mi
schia punto alle cose che essa crea , forma e regge.
Dunque queste cose derivano da lei , ma non sono essa
causa , laonde si può ben con ragione accusare coloro
che estendono gli attributi divini alle creature... Così
Dio, che è la Causa prima, sta nell'immutabile sua unità
senza confondersi colle sue opere; e non per questo le
abbandona, ma le accompagna iu certo qual modo e
le mveste da ogni parte coll' immensità della sua es
senza, colla presenza della sua luce, colla potenza della
sua azione.
2. Dalle considerazioni che abbiamo svolte è d'uopo
concludere che la causa prima esercita su tutte le
cose una sola ed uguale influenza; e, confondendosi in
essa l'esistenza e l' essenza, non saprebbesi concepirla
divisa dalle infinite sue perfezioni. Le sue perfezioni sono
dunque mutuamente identiche, e non si potrebbe variare
P effusione che se ne fa esternamente. Ma se questa effu
sione è invariabile procedendo dall'alto, ella non è perciò
ricevuta quaggiù in eguale misura fra gli esseri diversi
su cui ella si sparge. Essa li riempie secondo la misura
376 PARTE IV.
ineguale della loro capacità, la quale sta in proporzione
della distanza in cui si trovano ; poiché gli uni gravi
tano in vicinanza della sorgente, gli altri si agitano in
distanze immense. Tutti partecipano adunque secondo
le loro forze all'effusione della bontà e dei lumi divini,
e sono penetrati dall'essenza, dalla presenza, dalla poten
za del creatore. Ora, queste diverse distanze, questi gradi
in cui sono poste le creature, costituiscono un ordine
gerarchico in mezzo al quale il numero si riduce all'u
nità; per modo che bisogna ivi riconoscere l'opera della
Saggezza eterna; ma se è tale la grandezza delle per
fezioni divine che nessuno fra gli oggetti creati poteva
contenerle intieramente.... Almeno egli ha voluto che
discendessero sino al fondo delta creazione e che nulla
vi restasse di si oscuro ed infimo che non entrasse in
qualche modo in rapporto coll' essere divino (1).
3. E se si domanda donde viene la tendenza univer
sale delle cose verso l'Essere divino, egli è facile il
rispondere partendo dalle verità ora dimostrate. Infatti ,
si è ora bastantemente stabilito che Iddio penetra tutte
le cose colla sua luce, e questa luce, penetrandole,
trasfonde in esse una rassomiglianza imperfetta con Dio
stesso. Ora , secondo quanto dice Boezio , il simile at
trae il suo simile, perchè egli è da lui che riceve la
forza di sussistere, l'accrescimento, la perfezione. Di
(0 Lo stesso pensiero è svolto forse più lucidamente ne) ca
pitolo XIV dello stesso libro. « Dio si conosce da sé , ed egli
espande la sua luce che rischiara tutte cose, e che riQettendovis
lascia come un'imagine della Divinità. Egli stesso vuole sé, come
principio universale, perciò solo egli suscita in tutte le cose un
certo amore che le fa propendere verso la Divinità. Egli opera,
e. colla sua potenza dà a tutte cose la forza di muoversi verso la
Divinità. Questa imaginc, questo amore, questa forza determinata
sono dunque in tutte cose, benché in diverse condizioni , secondo
che trattisi di corpi bruti, di vegetali, di auimali', dell'uomo,
di pure intelligenze ».
DOCTJMKNTr £77
qui tutte le cose tendono a Dio come al sommo. dei beni,
come allo scopo supremo a cui concordemente si ripor
tano tutti i fatti. V'ha nulla che valga nd esercitare in
sé stesso una forza d'attrazione se non vi concorre una
forza divina. Quando alcuno muove lamento di non aver
potuto raggiungere il sommo dei beni, s'inganno; s'in
ganna per essersi attaccato per forza di appetiti impru
denti agli indizj ed alle apparenze dello stesso sommo
Bene. E veramente tai segni e tali apparenze ritraggono
una qualche imagine della realtà suprema, ed è perciò
che svegliano ed acquistano 1' affetto degli uomini (1).
II. Polenta della natura j impotenza della magia. — Progressi pos
sibili dell'industria j scoperte de' tempi moderni. — Ruggero Ba
cone: De sccretis operibus artis et natura? et nullitate magia?.
cap. i.m.
1. Quantunque la natura sia ammirabile nelle sue o-
perazioni , l' arte , che la modifica e che ne usa come
d'uno strumento, mostrasi più potente che I1 is tessa
natura. Fuori delle opere della natura e dell'arte, più
Don havvi che prodigi che sono superiori all'intelligenza
dell'uomo, ovvero prestigi al disotto della nostra dignità ...
Pari sono essi a prestigiatori che ingannano i nostri oc
chi colla prestezza delle loro dita ; sono come pito
nesse che, traendo docile la propria voce dal ventre,
dalla gola o dal palato, fanno a lor grado intendere pa
role lontane, accenti strani, quasi che il loro organa
fosse dominato da uno spirito invisibile. Ma ben più di
questa setta d' impostori sarebbe a condannarsi quella
di coloro che in onta d'ogni filosofia, d'ogni ragione.
(1) L'idea precisa di attrazione è perfettamente espressa in que
sto confronto di san Dionigi l'Areopagita: « Dio si chiama Amore
in quanto che muove gli esseri e li attira in alto, come la ca
lamita immobile attira a sé il ferro ».
3»*
378 PARTE IV.
invocano lo spirito del male ad ottenere il compimento
della loro impotente volontà; pensano chiamare od al
lontanar quest'essere spirituale mediante mezzi naturali;
fauno a lui preghiere e sacriflzj. Certamente la sarebbe
cosa assai più facile e sicura il domandare a Dio ed a
gli angioli il conseguimento de' nostri giusti desiderj :
giacchè se tal volta questo spirito maligno mostrasi in
apparenza propenso alle nostre cure, è per la pena dei
nostri errori , viene dal permesso di quel Dio che regge
solo e indivisibilmente l'economia degli umani destini.
2. Adesso io narrerò qualcuna delle meraviglie che rac
chiude natura, o 1'arte produce, alle quali la magia non
ha parte veruna; affine di provare che esse assai di gran
lunga sorpassano le invenzioni magiche, nè punto le
rassomigliano. — Si possono costruire pei bisogni della
navigazione machine tali da far si che il più grande na
viglio, retto da un uomo solo, trascorra fiumi e mari
più rapidamente che se fosse stivato di rematori; si pos
sono fare eziandio carri che, senza essere trascinati, cor
rano con tal velocita da non aver la pari.
Egli è pur anco possibile formare un apparecchio,
per mezzo del quale un uomo seduto che muova con
una leva certe ali artificiali, viaggi come un uccello per
l'aria. — Un istrumento della lunghezza di tre dita, e
dell' ugual larghezza , basterebbe a sollevare un carico
enorme : parimenti servirebbe a toglier prigionieri dalle
loro carceri lasciando che a lor grado sormontino le più
grandi altezze. V'ha ancora un'altra machina, per mez
zo della quale una sola mano potrebbe tirare un peso con
siderevole s' anco mille braccia vi s'opponessero. — Al
tre machine potrebbero forse anco portare il palom
baro senza pericolo al fondo del mare... Queste cose le
si sono vedute e dagli antichi e da noi; eccetto però
l'appaiato per volare, mentre ne ha invaginato il dise
gno un sapiente ch'io ben conobbi. Ed una quantità
DOCUMENTI 379
di altri congegni e d'utili artifizi s' Puo ritrovare ; —
come sarebbero dei ponti ad attraversare i fiumi più
larghi senza piloni e senza un appoggio intermedio.
3. Ma fra tutti gli oggetti che si attraggono a gara
la nostra ammirazione, egli è d' uopo notare i giuochi
della luce. — Noi possiamo combinare dei vetri diafani
e degli specchi in tal guisa che l'unità sembri moltipli
carsi, che un uomo solo appaja come un' intiera arma
ta, e ci appajano tanti soli e tante lune, quanti voglia
mo. Imperciocché i vapori condensati nell'aria si dispon
gono talvolta in modo da far che per un bizzarro ri
flesso si vegga duplicato ed anche triplicato il disco della
luna e del sole ... E potrebbe tornar vantaggioso col
mezzo di tali improvvise apparizioni lo spargere terrore
in una città od in un' armata nemica. Ma ancor più fa
cile giungerà quest' artifizio a chi sappia potersi costruire
un sistema di vetri diafani che possono avvicinar all'oc
chio le cose lontane, e allontanar le vicine; e, per quanto
vengano le loro imagini spostate , sarà dato di vederle
ovunque si vorrà. Parimente, a lontananza incredibile si
leggeranno i caratteri più minuti, si conteranno le cose più
impercettibili. Così dall'alto d'una spiaggia della Gallia,
è fama che Cesare scoprisse, mercè di immensi specchi,
alcune terre della Gran Brettagna. Con processi analo
ghi si renderanno più voluminosi o più piccoli i corpi, se
ne sconvolgeranno le forme; si farà inganno allo sguardo
con tante illusioni da non finir mai. I raggi del sole rac
colti in fascio, e da esperta mano condotti per l'effetto
della rifrazione, valgono ad accendere ad una voluta di
stanza gli oggetti sottomessi alla loro attività.
4. Altri risultati si possono ottenere "a minor costo ,
e non meno curiosi. Tali, a mo' d' esempio, sono i fuo
chi d'artifizio che si spingono lontano e si compongono
di nafta , di sai gemma e di petrolio. Tale è pur anco
38o PARTE IV.
il fuoco greco , ad imitazione del quale si compone un
gran numero di combustibili ... 1 mezzi per far lampane
non mancheranno, giacché il lucignolo non si consume
rà punto; perchè noi conosciamo dei corpi che ardono
senza consumarsi, il talco, p. e. e la pelle di salaman
dra. — L' arte ha i suoi fulmini più terribili di quelli
del cielo. Una lieve dose di materia della grossezza
d'un pollice produce un orribile scoppio accompagnato
da un ardente bagliore, e questo si può replicare fino
a distruggere una città e delle intiere armate.. — L'at
trazione che la calamita esercita sul ferro è per sé sola
feconda di meraviglie ignorate dal volgo, e note a quelli
solo che la scienza inizia a sì portentosi spettacoli. Ora
la proprietà della calamita trovasi altrove ; essa vi prende
una importanza sempre crescente; l'oro, l'argento e gli
altri metalli si lasciano attirare dalla pietra di parago
ne. V ha ravvicinamento spontaneo tra le masse mine
rali , tra le piante, tra gli organi disseccati degli ani
mali. Testimonio di tali prodigi della natura, nulla sor
prende più la mia fede , né nelle opere dell' uomo , né
in quelle di Dio.
5. L' ultimo grado della perfezione a cui possa giun
gere l'industria umana sostenuta da tutte le forze della
creazione , è la facoltà di allungare la vita. La possibi
lità di un allungamento considerevole è stabilita dall'e
sperienza. Un mezzo infallibile consisterebbe nella per
petua e scrupolosa osservanza di un regime, che desse
norma pel cibo e per la bevanda , pel sogno e per la
veglia , per l' azione e pel riposo , per tutte le funzioni
del corpo , le affezioni dell'anima, e perfino le condizioni
dell'atmosfera ambiente. Tale regime è rigorosamente
determinato da' precetti della medicina . . . perciocché i
savj cercarono con sollecitudine di risospingere indietro
da cento anni e anche più i limiti ordinarj della vita
umana , ritardando , o almeno attenuando i mali della
DOCUMENTI 381
vecchiaja. Tuttavolta essi non disconoscono punto la e-
sistenza di un termine fatale, irrevocabilmente fissato
dal giorno della prima caduta: è questo termine sol
tanto che trattasi di riacquistare togliendo gli ostacoli
accidentali che arrestano il corso ... E se si oppone
che uè Platone, né Aristotele, né il grande lppocrate ,
né Galeno seppero giungere a questo maraviglioso pro
lungamento .della vita, risponderemo che questi grandi
uomini non sono arrivati a molte cognizioni di un in
teresse secondario, riconosciute da altri pensatori venuti
in appresso. — Aristotele poteva dunque non aver pe
netrato gli ultimi segreti della natura , come i sapienti
d'oggidì ignorano molte verità , che saranno familiari
agli alunni più novizj dell' avvenire.
F INE
INDICE
Prefazione dei, TrADUTTOBE pag. ui
Introduzione » 3
PARTE PRIMA
Cap. I. Condizione religiosa , politica , intellettuale della
Cristianità dal secolo xiu al xivj cause che favo
riscono lo svolgimento della Filosofia » 23
II. Della Filosofia scolastica del xm secolo » 33
III. Caratteri particolari della Filosofia italiana .... » 48
IV. Vita, studj, genio di Dante. Disegno generale della
Divina Comedia. Come l'elemento filosofico vi si
trovi ■ » 55
PARTE SECONDA
ESPOSIZIONE DELLE DOTTRINE FILOSOFICHE DI DANTE
I. Prolegomeni » 79
II. Il male . . » 90
HI. Il male ed il bene nel loro ravvicinamento e nel
loro contrasto » 112
IV. Il bene » i4;
PARTE TERZA
I. Estimazione della Filosofia di Dante. — Analogie
colle Dottrine orientali w 184
II. riapporti della Filosofia di Dante colle Scuole del
l' antichità. — Platone ed Aristotele — Idealismo
e Sensismo » 19'
III. Rapporti della Filosofia di Dante colle Scuole del
medio evo. — San Bonaventura e san Tomaso
d'Aquino. — Misticismo e Doinniaticismo ...» 209
IV. Analogia della Filosofia di Dante colla Filosofia
della natura. — Empirismo e Nazionalismo ...» 228
V. Ortodossia di Dante » 240
PARTE QUARTA
Ricerche e documenti per servire alla storia, di Dante
e della Divida Comedia.
I. Investigazioni sulla vita politica di Dante» — Se fu
Guelfo o Ghibellino pag. 252
II. Beatrice. — Dell' influenza delle Donne nella società
cristiana , e del Simbolismo cattolico nelle arti. —
Santa Lucia , la beata Vergine » 266
III. Primi studj filosofici di Dante. — Come fu condotto
alle quistioni morali e politiche. — Suo rispetto
per 1' autorità d' Aristotele. Estratti dal Convito ,
II, i3; IV, i, 6 » »97
IV. Del ciclo poetico e leggendario cui appartiene la
Divina Comedia ...» 3o3
Periodo i.°. Dal secolo xiv all' si » 3o4
I. Fatti generali » ivi
II. Rappresentazioni plastiche ; narrazioni stac
cate j novelle in versi « 3o5
HI. Grandi Visioni » 3o6
Periodo a.0 Dal secolo x al vi » 3i5
» 3.° Dal secolo v al i » 3i8
V. La Visione di s. Paolo, poema inedito del xm secolo » 32i
Documenti per servire alla storia della filosofia nel xm secolo » 333
I. Bolla d'Innocenzo IV per il ristabilimento degli studj
filosofici » ivi
II. Classificazione generale delle umane cognizioni . . » 335
III. Dio< — Esistenza , attributi di Dio. — Unità di
essenza, Trinità di persone » 343
IV. L'Uomo.
1 . Natura dell' anima » 348
a. Delle facoltà dell' anima in generale .... » 349
3. La memoria , 1' intelletto e la volontà consi
derati nelle loro funzioni speciali » 35o
4. Mutui rapporti del fisico e del morale ...» .354
V. La società.
i. Filosofia del diritto. — Politica generale.
I. Delle leggi considerate nella loro essenza » 357
II. Delle varie specie di leggi » 359
III. Della legge eterna » 36i
IV. Della legge naturale » 36a
V. Delle leggi umane » 364
"
2. Politica speciale.
I. Della miglior forma di Governo . . . pag. ;
II. Della Sedizione »
III. Dei doveri del Principe » ;
IV. Della Nobiltà « :
V. De' publici Aggravj . . » :
VI. La Natura.
I. Presenza di Dio in tutti i gradi della crea
zione. — Unità e diversità. — Attrazione
universale
II. Potenza della Natura; impotenza della
Magia. — Progressi possibili dell'Indu
stria; scoperte de' tempi moderni. . . » i
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Dn 464.1.7
Dante e la filosofia cattolica nel
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