(Teologia in Divenire 11) Paul Evdokimov - Lo Spirito Santo Nella Tradizione Ortodossa-Paoline (1983)
(Teologia in Divenire 11) Paul Evdokimov - Lo Spirito Santo Nella Tradizione Ortodossa-Paoline (1983)
Lo Spirito Santo
nella tradizione
ortodossa
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PÀVEL NIKOLÀJEVIC EVDOKiMOV, nato a Pietrobur•
go nel 1901 (il padre gli venne assassinato quando Pà·
vel aveva 6 anni) e morto in Francia il 16 settembre
1970, è uno dei più sconvolgenti pensatori del nostro
tempo. Iniziati gli studi di teologia a Kiev nel 1918, è
costretto all'esilio nel '21, fa il tassista a Istanbul, due
anni dopo raggiunge Parigi ove, lavorando di notte CO·
me aiuto-cuoco, porta a termine i suoi studi all'Istituto
di San Sergio, che lo annovererà in seguito tra i suoi
migliori professori. Nel 1927 sposò Natasa Brunei da
cui ebbe due figli . Fu direttore del «Centre d'Études
Orthodoxes» (Parigi}, membro del comitato direttivo
dell'« lnstitut Cecuménique» di Bossey e del «Conseil
Cecumenique» di Ginevra . Durante la seconda guerra
mondiale, mentre strappò molti ebrei alla crudeltà na•
zista e perdette la madre e la moglie, si laureò in filo•
sofia ad Aix in Provenza con la tesi «Dostoevskij e il
problema del male». Autore di libri notevoli (tra cui
Teologia della bellezza, Lo Spirito Santo nella tradizio•
ne ortodossa, Gogol' e Dostoevskij, L'amore folle di
Dio, pubblicati dalle Edizioni Paoline) collaborò al•
l'«Encyclopédie française» e a numerose riviste. Oli·
vier Clément lo considera« uno dei maestri della teolo·
gia e della spiritualità ortodossa del XX secolo».
In copertina: La Pentecoste.
Scuola di Novgorod. Sec. XVI.
Coli. De Wijenburgh, Echteld (Olanda).
Lo Spirito Samo...
PAVEL EVDOKìMOV
LO SPIRITO SANTO
NELLA TRADIZIONE
ORTODOSSA
EDIZIONI PAOLINE
Titolo originale dell'opera:
L'Esprit Saint dans la tradition orthodoxe
© Les Éclitions du Cerf, 29 Boulevard Latour-Maubourg, Paris vrr•
Versione integrale dal francese dei
Monaci di Camaldoli
5
resistenza impegnandosi inoltre per sottrarre
molti ebrei alla crudeltà nazista; oltre la madre
in questo periodo perde anche la moglie; a
questi anni risale il suo dialogo ecumenico con
i protestanti. Nel '44-45 è tra i fondatori della
CIMADE ( Comité international mouvements
auprès des évacués) e nel '46-'47 si trova a
Bièvres, direttore di un pensionato per rifugia-
ti, dove non sono rari gli 'incontri e le testimo-
nianze umane sconvolgenti. Dal 1947 al 1968
dirige, prima a Sèvres poi a Marry (nella ban-
lieue parigina), il « Foyer d'étudiants de la
CIMADE » ed esercita, nei suoi rapporti con
giovani rifugiati di tutte le nazioni e confessio-
ni, un vero ministero di paternità spirituale.
Intensa è anche la sua attività nell'insegna-
mento: dopo il '53 è professore di teologia
morale all'Istituto San Sergio di Parigi; tiene
corsi all'Istituto Ecumenico di Bossey; insegna
infine all' « Institut Supérieur Oecumenique »
fondato nel 1967 presso la facoltà teologica
cattolica di Parigi.
Essendo divenuto il suo dialogo con i catto-
lici sempre più impegnato, ed essendo il suo
pensiero penetrato in profondità negli ambien-
ti contemplativi, P. Evdokìmov non poteva
non essere presente al Concilio Vaticano II, cui
ha partecipato in qualità di « invitato » orto-
dosso alla Terza Sessione, dando un contributo
di importanti comunicazioni sulle strutture del-
la Chiesa (comunità eucaristica e libera comu-
nione nello Spirito) e sul matrimonio.
6
Il teologo russo, famoso nell'Europa cen-
trale soprattutto, e influente, grazie anche a
numerose traduzioni, in Grecia, in Russia e in
Romania, si è spento in Francia, nel settembre
1970.
Egli va ricordato come un pensatore reli-
gioso del mondo contemporaneo ortodosso, in
cui si è distinto per una profonda conoscenza
della tradizione, nello stile dei Padri, unita a
una notevole sensibilità per i « segni dei tem-
pi » e particolarmente per il problema ecume-
nico.
È stato detto che « il tema centrale delle
opere di Evdokìmov è la riscoperta dell'inse-
gnamento della dottrina cristiana sull'uomo in
connessione con la forza trasfigurante dell'a-
zione santificatrice dello Spirito Santo»; per
questo motivo ci sembra che le pagine della
presente opera, unite a quelle sulla preghiera,
siano da considerarsi tra le più belle e le più
profonde da lui scritte 1 .
IL TRADUTTORE
7
LE PRINCIPALI OPERE
DI PÀVEL EVDOKÌMOV
9
Le Christ dans la pensée russe, Editions du Cerf, Parigi
1970 (vers. it., Cristo nel pensiero russo, Città Nuova,
Assisi).
La beauté, Le sens de la beauté et !'icone, Desclée de
Brouwer, Parigi, 1970 (vers. it., La teologia della bel-
lezza, II senso della bellezza e l'icone, Edizioni Pao-
line, 1982, 3 ed.) .
La santità nella tradizione della Chiesa ortodossa, Espe-
rienze, Fossano.
La novità dello Spirito, Ancora, Milano, 1979.
L'amour Jou de Dieu, Editions du Seuil, Parigi, 1973
(vers. it., L'amore folle di Dio, Edizioni Paoline,
1983, 2 ed.).
10
PARTE PRIMA
LA TEOLOGIA TRINITARIA
E LA PROCESSIONE
DELLO SPIRITO SANTO
INTRODUZIONE
13
si può mai racchiudere in una sola formula.
Le differenze delle tradizioni locali, ancor
più grandi nei primi secoli che oggi, non impe-
discono affatto alla Chiesa di essere Una. A un
certo momento, il desiderio stesso di essere
nella completezza della verità e, sventurata-
mente, le differenti opinioni teologiche hanno
irrigidito i nodi dogmatici . Sembra che il com-
pito dei teologi attuali sia innanzitutto quello
di operare, nella misura del possibile, la « de-
dogmatizzazione » o « transdogmatizzazione »
dei punti controversi, lasciando ampio spazio
ai commenti teologici.
Il carattere trascendente del Mistero di Dio
giustifica gli « accostamenti » sfumati che se-
guono il genio proprio delle comunità ecclesia-
li. Già il Nuovo Testamento contiene « otti-
che » molteplici presso i testimoni accreditati
in seno ad una stessa fede e che condizionano
le teologie e anche le spiritualità che si possono
chiamare ad esempio : giovannea, petrina o
paolina. Il pluralismo teologico è del tutto le-
gittimo.
I dogmi invece si situano sul piano delle
verità rivelate divinamente, proclamate dai
concili e vissute nel culto. La loro integrazione
liturgica interdice di separare l'aspetto o il con-
torno intelligibile di questi stessi dal loro con-
tenuto liturgico vivente, che li mostra come
degli avvenimenti dogmatici autonomi. Nel
Credo di Nicea lo Spirito Santo è definito li-
turgicamente: egli è « adorato e glorificato con
14
il Padre e il Figlio », cosa che rimanda alla
liturgia celeste di cui parla l'Apocalisse e alla
funzione mistagogica dello Spirito, che è quella
dell'ordine liturgico. È per questo che tutti i
dogmi formulati dai concili ricevono la forma
di enunziati liturgici ed entrano tanto facilmen-
te come parti dossologiche nella trama stessa
del culto; così, ad esempio, l'inno « Figlio
monogeno » o « Trinità consustanziale e indi-
visibile» o il «Credo». Fin dal momento in
cui si integra nella liturgia ogni dogma diventa
« epifanico », rende testimonianza della pre-
senza trascendente della verità che esso espri-
me. Ciò annulla ogni distanza tra il Cristo
« dogmatico » e il Cristo « sacramentale », in-
terdice ogni disgiunzione tra la realtà sacra-
mentale del Cristo vissuta nella liturgia e la sua
rivelazione dogmatica come unica Verità. Que-
sto principio del Cristo totale è decisivo per il
problema dell'intercomunione; l'autorità dot-
trinale dell'episcopato e la validità sacramenta-
le sono inseparabili.
Il dialogo ecumenico è teso interiormente
verso il concilio futuro in cui tutti insieme sa-
remo invitati a rivedere il deposito sacro della
fede apostolica, distinguendo la Verità dalle
sue molteplici espressioni; simili alle diverse
. composizioni iconografi.che dello stesso tema,
queste convergono tutte verso l'Unico Sogget-
to e quindi verso l'accordo plenario e verso la
reintegrazione delle tradizioni alterate nell'uni-
ca regola di fede degli Apostoli e dei Padri.
15
Questo carattere decisivo dei dogmi spiega
come il loro numero sia minimo nell'Ortodos-
sia, che è contraria ad ogni dogmatizzazione
eccessiva. Essa non ha bisogno di formulare,
ha anzi in genere bisogno di non formulare, al
fine di lasciare un grande margine e una grande
libertà alle molteplici opinioni dei teologi.
Nell'oscurità delle separazioni, la Verità
non illuminava più della sua piena Luce. La
rottura dell'unità si produsse sul« mistero tri-
nitario», intorno all'anno Mille. La processio-
ne dello Spirito per Filium, proclamata dal Pa-
triarca ecumenico Tarasi o nel VII Concilio
Ecumenico, perse tutto lo splendore del suo
senso teologico all'epoca della lotta tra gli im-
peri e le nazioni in gestazione nell'anarchia
feudale; lo Spirito di Verità non aveva più sen-
so agli occhi dei polemisti dell'epoca. In Occi-
dente, l'addizione unilaterale del Filioque, per
ragioni apologetiche, è a questo riguardo parti-
colarmente sintomatica. E tempo di ritornare
ora alla riconciliazione, sottomettendoci allo
Spirito d'amore e di verità. È lui che testimonia
come sia innanzitutto il mistero della Trinità a
trovarsi alle soglie della comunione tra il pa-
triarca ecumenico e il. domnus apostolicus: le
due prime sedi che reggevano un tempo l'O-
riente e l'Occidente.
Lo storico cattolico Tuilier analizza il si-
gnificato del titolo « patriarca ecumenico » e
sottolinea con ragione che il termine « ~cume-
nico » aveva per i Greci - secondo gli atti del
16
VI Concilio - un senso non giuridico ma
dogmatico; significava cioè l'unione dottrinale
tra l'Oriente e l'Occidente, la professione, at-
traverso il patriarca di Costantinopoli, della
fede comune, tale quale era stata definita nei
concili ed accettata dalle altre sedi patriarcali,
dall'episcopato universale e dal corpo della
Chiesa Una 1 .
Si può dire, di fatto, che il « patriarca di
Roma » e il « patriarca di Costantinopoli »
erano patriarchi allo stesso titolo, perché am-
bedue professavano nei loro rispettivi patriar-
cati la fede comune alle Chiese d'Oriente e
d'Occidente e manifestavano così un accordo
dogmatico perfetto. Ma nell'XI secolo il titolo
perde in Occidente il suo senso iniziale ed è
minacciato di egemonia ecclesiastica, poiché
universalis« in latino » ha un senso giuridico e
qualifica un potere giurisdizionale. Il senso
dogmatico orientale entra così in conflitto con
il senso giuridico occidentale; ed è proprio in
funzione del suo titolo «ecumenico», titolo
essenzialmente dogmatico, che il Patriarca
d'Oriente rifiuta di modificare il Credo, un
tempo comune a tutti. Studiando quell'epoca
in cui regnava l'unità , si constata l'importanza
del dialogo che si è ora ristabilito tra Roma e
Costantinopoli al fine di rivedere le ragioni tan-
to disastrose della separazione.
17
2. Lo Spirito Santo ...
Sul piano degli incontri ecumenici, l'appor-
to orientale si situa forse in un senso assai pro-
nunciato del Mistero. Meno sensibile all'aspet-
to giuridico e razionale dei problemi teologici,
profondamente strutturato dalla liturgia, l'O-
riente non sente alcuna difficoltà a venerare il
Mistero, anche nel pieno contesto tecnico della
nostra epoca. Di fronte alla« nuova teologia»,
la reazione ortodossa è positiva, in quanto essa
è un appello a superare la teologia astratta e
arcaica dinanzi alla quale l'uomo moderno si
sente « sfasato». Si prova invece una viva in-
quietudine dinanzi allo sgretolamento del con-
tenuto evangelico della fede e del senso storico
degli avvenimenti biblici. Certi teologi non
sanno più molto bene in che cosa credano e
fanno pensare ali' espressione di Kierkegaard:
« Si arriva al punto di non saper più che cosa
sia il cristianesimo ».
Se nella sua fase d'evoluzione lo spirito
aspira a ridominare la materia, non bisogna
dimenticare la fase di involuzione dello spirito
nella materia al momento della caduta. Se si
trascura questa duplice dimensione, trascen-
dente e immanente nello stesso tempo, dello
spirito umano, si perde l'antropologia dei Pa-
dri, si scivola verso l'agnosticismo o il secolari-
smo e, infine, verso la negazione della Risurre-
zione storica del Cristo, della portata ontologi-
ca della santità e della trasfigurazione escatolo-
gica. Rifiutando ogni oggettivazione del Miste-
ro, l'Oriente salvaguarda accanitamente il suo
18
carattere oggettivo: esso non esiste senza avve-
nimento pienamente storico. La Risurrezione è
nel kérigma, ma il kérigma è nell'eucaristia, che
è il « memoriale » vivente della Risurrezione e
la sua esperienza più immediata che fa dell' as-
semblea la « sinassi degli immortali». « La
nostra dottrina è in accordo con l'eucaristia e
l'eucaristia la conferma» 2 , afferma S. Ireneo,
che aggiunge parimenti: la liturgia è la « Coppa
della sintesi » 3 •
Ali' opposizione tra le diverse confessioni,
si ·aggiunge oggi la divisione interiore centrata
sul cristianesimo secolarizzato, sul Cristo in un
mondo senza Dio, sul Cristo senza Dio, in
definitiva sull'opzione « per » · o « contro »
Dio. Quel che colpisce presso i capofila di que-
sta « nuova teologia » è l'assenza di teologia
trinitaria e di riferimento alla patristica: se-
guendo il mondo, si arriva alla secolarizzazione
della Bibbia e della Tradizione.
Ora, lo scandalo e la follia di cui parla S.
Paolo debbono perdurare; si tratta dell'alterità
assoluta delle Verità divine rispetto ad ogni
processo naturale da una parte, e della loro
presenza assai reale nella storia, dall'altra. Il
passo di Filippesi 2,6-11 - egli « annientò se
stesso ... umiliò se stesso » - parla dell' « alie-
nazione» di Dio stesso e questa bisogna com-
prenderla nell'ampiezza trinitaria: tutte le per-
19
sone divine sono impegnate nella economia
storica della salvezza. Se è vero che « l'uomo è
da solo indicativo di Dio», ciò equivale a dire
che quest'uomo è Gesù, ed è per questo che,
prima di riconoscere la presenza del Cristo in
ogni uomo, bisogna riconoscere la presenza del
Dio trinitario in Cristo. Ciò che costituisce
l'uomo non è la sola relazione con gli altri, ma
prima di tutto la relazione con il Cristo Dio-
Uomo. Se tutto è secolarizzato, come ricono-
scere che egli è il Figlio di Dio?
S. Serafino di Sarov già nel XIX secolo af-
fermava: « Certi passi della Sacra Scrittura ci
sembrano strani oggi... si può ammettere che
gli uomini possano veder Dio in un modo an-
che concreto? Sotto pretesto d'istruzione, di
«luci», noi ci siamo impegnati in un'oscurità
d'ignoranza tale che oggi troviamo inconcepi-
bile tutto ciò di cui gli antichi avevano una
nozione abbastanza chiara per poter parlare fra
di loro delle manifestazioni di Dio agli uomini
come di cose a tutti note e non affatto estra-
nee». Un fatto sintomatico: nella Russia sovie-
tica, sotto un regime totalmente secolarizzato,
la « nuova teologia » è inimmaginabile. Se la
gioventù è refrattaria ad ogni forma fossilizza-
ta, porta, però, in se stessa una sete profonda
dell'infinito e dell'assoluto, è naturalmente
aperta ad ogni manifestazione del Trascenden-
te nella Storia e nella vita degli uomini. Un
giovane credente diceva: « Il cristianesimo è
ovunque: nel cuore stesso dell'esistenza, nel
20
sacro della maternità, nell'impresa della vita
quotidiana, nella gratuità dell'amore e dell'a-
micizia ... ».
È nella Russia marxista che il poeta Men-
delstam ha detto: « Ai nostri giorni, ogni uomo
colto è cristiano». I grandi scienziati russi pen-
sano semplicemente che la vera scienza condu-
ca implacabilmente alla « integrazione religio-
sa». Per il momento , nell'attesa di un nuovo S.
Paolo ad Atene, essi hanno formulato una stu-
penda preghiera al« Dio ignoto» ... Una fede
forse ingenua in apparenza, ma che cessa di
essere tale dal momento che la sua intatta inte-
grità incomincia giustamente ad appassionare
scienziati e poeti. Questo atteggiamento è al-
1'opposto di ogni sterile conservatorismo. La
spiritualità ortodossa, per la sua dimensione
essenzialmente escatologica, si orienta - se-
condo l'espressione di S. Gregorio di Nazianzo
- verso la « metastasi » e il « seismo escatolo-
gico di conclusione». Essa coltiva una grandis-
sima libertà e si preoccupa attualmente di pu-
rificare l'idea di Dio da ogni contesto teologico
e sociologico superato. Il realismo storico e il
destino storico dell'uomo furono sempre al
centro delle riflessioni di tutti i pensatori reli-
giosi russi. Nei paesi marxisti la Chiesa prende
la figura di una Chiesa povera e serva e vive
sotto il segno del martirio e del silenzio. Altro-
ve, gli elementi patristici e liturgici dirigono la
riflessione verso una sintesi neopatristica. È
importante fare una distinzione tra l'oggetto di
21
fede e la sua presentazione in funzione di un
determinato ambiente culturale; ma questa di-
stinzione è tutt'altra cosa che l'equiparazione
degli avvenimenti storici della salvezza a dei
miti.
22
CAPITOLO PRIMO
LE PREMESSE ORIENTALI
DELLA TEOLOGIA PATRISTICA
23
spondere al desiderio divino - nota S. Massi-
mo il Confessore - « Dio ha deposto nel cuo-
re umano il desiderio di Dio » 5 • È dunque
nella sua stessa natura, creata ad immagine di
Dio, che l'uomo è predestinato alla conoscenza
di Dio. Qual è l'organo di questa conoscenza?
L'Oriente distingue tra la ragione e la sua
differenziazione discorsiva all'infinito, rivolta
verso il multiplo e il contrario, da una parte, e
l'intelligenza, il superamento degli opposti e
l'integrazione intuitiva fino all'unità e all'uno,
dall'altra. Evagrio ne rileva la differenza di
grado: « L'intelligenza risiede nel cuore, il
pensiero nel cervello » 6 • È questo un principio
veramente scritturistico, poiché gli Ebrei del
tempo dell'Antico Testamento pensavano con
il cuore: cuore nel senso biblico, centro metafi-
sico dell'essere umano, sede dell'intelligenza e
del nous. Non è affatto la negazione del pensie-
ro discorsivo, ma la conoscenza dei suoi limiti
che postula la sua integrazione nell' « intelli-
genza rinnovata in Cristo » di cui parla S. Pao-
lo. L'Oriente non ha mai coltivato l'autonomia
della ragione naturale - lumen naturale ratio-
nis. Dio, nella sua Rivelazione, rivolgendosi al-
l'uomo opera una trasfigurazione del di lui spi-
rito. La conoscenza di Dio, anche « naturale »,
è sempre carismatica. Secondo Origene, la gra-
zia della theoria eleva ogni uomo al di sopra di
5
, Ambiguorum Liber : PG 91, 1312 A B.
MASSIMOIL CONFESSORE
6
Centuriae gnosticae.
24
se stesso 7 • Gli slavofili la chiamano « cono-
scenza viva » conoscenza-vita, conoscenza-
amore e comunione.
Essi seguono la patristica orientale, che
ignora la distinzione tra una « via dell'amore »
e una « via della conoscenza». Regolarmente,
la vera conoscenza è sempre caritativa e l'amo-
re è sempre intellettivo, i due culminano in un
solo atto indivisibilmente caritativo e intelletti-
vo. È per questo che il grande principio dell' e-
sichiasmo invita a far discendere l'intelligenza
nel cuore, affinché la totalità delle facoltà dello
spirito umano, sopraelevata e illuminata dalla
grazia, effettui un faccia a faccia con i misteri di
Dio, che vuol dire a esclusione di ogni concetto
o immagine mentale suscettibile di interporsi
tra il « cuore-spirito » o « l'occhio del cuore »
e il Creatore.
Il peccato originale ha innanzitutto separa-
to la ragione dal cuore, la gnoseologia dall' as-
siologia, ciò che ha falsato la facoltà di discer-
nimento e d'apprezzamento. Questo stato di
perversione ontologica reclama un atto di pro-
fondo mutamento dell'essere - metanoia-, e
questo è appunto l'atto di fede. Bisogna sotto-
lineare fortemente il suo aspetto esistenziale e
sperimentale, che spiega perché la fede, in
Oriente, non si definisca mai in termini di ade-
sione intellettuale, ma dipenda dal mutamento
totale dell'essere umano per la « evidenza » o
7
ORIGENE, Contra Celsum, 7, 42: PG 11 , 1481 C; 44: 1484 C.
25
la « certezza » pascaliane vissute in una certa
« esperienza del Trascendente». S. Massimo
precisa: « Io chiamo esperienza il sapere stesso
in atto che awiene al di là di ogni concetto ..., la
partecipazione ali' oggetto che si rivela al di là
di ogni pensiero » 8 • È una simile conoscenza
contemplativa per partecipazione che costitui-
sce secondo i Padri una vera theognosfa. Teo-
logizzare equivale a tradurre in termini teologi-
ci la comunione con Dio, a esporre il suo con-
tenuto. La teologia comporta certamente un
elemento dottrinale, il kerigma, la didascalia e
la catechesi, ma, più profondamente, la Chiesa
coltiva la linfa stessa della conòscenza ascol-
tando i suoi santi e i suoi Padri, alimentandosi
alla loro esperienza dello Spirito Santo, al loro
colloquio con il Verbo, e questo stesso Verbo
offre a tutti nella sua liturgia.
Come mostra il titolo del trattato dello
Pseudo Dionigi l'Areopagita Peri' mystikés
theologfas (Della teologia mistica), teologia mi-
stica significa, ali' opposto di ogni conoscenza
cerebrale, teologia del Mistero che non si cono-
sce se non per rivelazione da parte di Dio e per
partecipazione recettiva da parte dell'uomo. La
trascendenza di Dio c'insegna che Questi non
si può mai conoscere dall'esterno, che non si
può mai andare verso di Lui che partendo da
Lui, che trovandoci già in Lui, che essendo
26
toccati dalla sua v1cmanza, colpiti dalle sue
energie deificanti.
Le lotte dogmatiche per la Verità, al tempo
dei concili ecumenici, non difendevano alcuna
conoscenza formale distaccata dall'economia
della salvezza, ma cercavano di precisare la via
salvatrice altamente pratica, di rispondere alle
questioni di vita o di morte. Una simile teolo-
gia, comportando semplicemente una prope-
deutica d'insegnamento e una cultura, appare
innanzitutto, e nella sua stessa aspirazione, via
sperimentale dell'unione con Dio. Si compren-
de meglio a questa luce la definizione orante
data da Evagrio della teologia: « Se preghi ve-
ramente sei teologo, e se sei teologo preghi
veramente » 9 . È una via contemplativa, gene-
ratrice di unità e che si apparenta nella sua
natura al mistero eucaristico, consumazione
eucaristica della Parola.
Così, nello spirito dei Padri la teologia si
erige a ministero carismatico, poiché « nessuno
può sapere chi è Dio, se non è Dio stesso a
insegnarglielo»; « Non vi è altro modo per
sapere chi è Dio se non quello di vivere in
Lui ». « Parlare di Dio è grande cosa, ma più
preferibile ancora è purificarsi per Iddio »,
dice S. Gregorio di Nazianzo 10 • Il tropario di
Nona lo afferma a suo modo: « Tra i due la-
droni, la tua croce apparve come una bilancia
9 De oratione, 60.
10 GREGORIO DI NAZIANZO, Orationes, Or. 32, 12: PG 36, 188.
27
di giustizia, l'uno sprofondando nell'inferno
sotto il peso della bestemmia, l'altro allegge-
rendosi dei suoi peccati per conoscere la vera
teologia». Il buon ladrone è teologo, egli ha
l'esperienza immediata di Dio, lo ha ricono-
sciuto e gli ha rivolto la sua preghiera.
La vocazione teologica invita a superare la
sufficienza di una scienza puramente enciclo-
pedica, poiché essa non è un affare della ragio-
ne naturale, ma si radica nella luce del Verbo.
Nella loro iniziaziazione, i Padri mostrano l'a-
scesi come il preliminare dell'arte teologica e
l'orazione come uno «stato» - katastasis -
dell'intelligenza, una recettività orante aperta
alle Rivelazioni sfolgoranti del Trascendente.
28
CAPITOLO SECONDO
LE DIMENSIONI CATAFATICA
E APOFATICA DELLA TEOLOGIA
DEI PADRI
29
« alla destra del Padre » non ha niente di spazia-
le ma esprime l'identità della gloria del Cristo
con quella del Padre. La teologia positiva non è
in tal modo affatto svalutata, ma precisata quan-
to alla sua propria dimensione e ai suoi limiti.
La teologia negativa invece abitua all'in-
sormontabile e salvatrice distanza. « I concetti
creano gli idoli di Dio - dice S. Gregorio di
Nissa -, soltanto lo stupore afferra qualco-
sa » 11 • I misteri semplici si rivelano al di là di
ogni conoscenza, al di là della stessa incono-
scenza, nelle tenebre più che luminose del si-
lenzio 12 . È un accostamento delle tenebre,
sponde dell'inaccessibile luce divina, ma che si
situa ali' opposto dell'agnosticismo, poiché gra-
zie a questa stessa inconoscenza, per una « in-
tuizione primordiale e semplice », si conosce
oltre ogni intelligenza. La teologia negativa
opera un superamento, ma che non si distacca
mai dalla sua base, dalla teologia positiva della
Rivelazione biblica. Più in alto è rivolta la ver-
ticale celeste, più essa è radicata nell'orizzonta-
le terrestre della storia.
Non si tratta della sola impotenza naturale
dell'uomo, ma della profondità indicibile, ra-
dicalmente trascendente, dell'essenza divina;
Dio è misterioso, inconoscibile per natura.
Nondimeno, la via negativa - sottolinea pro-
fondamente il P. de Lubac - non è negatrice;
11 GREGORIO DI NISSA, De vita Moysis: PG 44, 377 B; In Cantica
30
« neg atività non è negazione » 13. Essa costitui
sce il solo rimedio all'insufficienza obbligando
a trascendersi; è per questo che essa non è né
un semplice correttivo né un richiamo di pru
denza, ma una teologia autonoma. I suoi ter
mini « iper-buono » o « iper-esistente » sono
delle negazioni-affermazioni e portano una cer
ta descrizione dell'Inconoscibile situata nella
esperienza generatrice dell'unità. Più Dio è
inconoscibile nella trascendenza della sua Su
peressenza, più egli è sperimentabile nella sua
prossimità immanente in quanto Esistente.
Quando l'uomo cerca Dio, è lui che è tro
vato da Dio; quando egli persegue la Verità
divina, è essa che lo afferra e lo trasporta sul
suo stesso piano. « Trovare Dio consiste cer-
carlo di continuo ... , è veramente "veder Dio" il
non esser mai sazio di desiderarlo » 14. Egli è
l'« eternamente cercato », o
zetoumenos. In
quanto metodo, l'apofasi insegna l'atteggia
mento corretto di ogni teologo: l'uomo non
specula, ma si tras/orma. È in questo stato di
mutamento continuo, di « deificazione » pro
gressiva, che l'uomo contempla, attraverso gli
occhi della Colomba, la Monade una e trina
nello stesso tempo e che« rimane nascosta nel
la sua stessa epifania » 15•
13 H. DE LUBAC, Sur !es chemins de Dieu, Aubier, Parigi, 1956, p.
145 (vers. it., Sulle vie di Dio, Edizioni Paoline, 1966, 2 a ed.).
14 GREGORIO DI NISSA, De anima et resurrectione: PG 46, 97 A; De
31
CAPITOLO TERZO
LA TERMINOLOGIA TRINITARIA
32
filosofia e nella loro logica si imparentavano ad
Aristotele, bisogna affermare categoricamente
che i Padri non sono mai discepoli di Platone,
di Aristotele o di Plotino, ma si servono del-
1'apparato tecnico della filosofia là dove essi
trovano una consonanza con l'oggetto della
loro ricerca teologica. A momenti e per neces-
sità di causa, Palamas è più aristotelico che non
i suoi interlocutori latini . Facendo semplice-
mente appello , secondo le necessità, al Portico,
all'Accademia o al Liceo, la teologia dei Padri
- secondo la famosa espressione di S. Grego-
rio di N azianzo - « procedeva alla maniera
dei pescatori-apostoli, e non alla maniera di
Aristotele ».
La giovane Chiesa deve brandire le sue
armi di fronte alla marea montante delle dot-
trine eretiche: la gnosi con il suo schema d' e-
manazioni e con la sua tendenza docetista, l'a-
dozione del tipo di Paolo di Samosata , il mo-
narchianismo in cui le Persone della Trinità
sono delle forze e delle modalità del solo Dio
Padre, infine un certo subordinazianismo mol-
to netto ancora presso Origene e inerente alla
teologia di prima di Nicea . Ben presto bisogne-
rà difendere l'Ortodossia contro le eresie aria-
na, macedoniana, sabelliana, nestoriana, apol-
linarista e monofisita.
Secondo i Padri, Dio non è irrazionale ma
trascendente. In termini attuali si può dire che
esistono in Dio tre organi divini della coscienza
ma un solo centro di coscienza uni-trina. Al-
33
3. Lo Spirito Santo ...
lorché è veduto e pensato Dio è Tre; allorché
vede e pensa Dio è Uno.
Il genio di Origene apre una giusta pro-
spettiva riguardo alla generazione del Figlio: il
Padre genera e il Figlio nasce eternamente e
simultaneamente, senza principio; l'atto è al di
là della cronologia, il prius è ontologico e non
temporale. Origene sopprime radicalmente
ogni dialettica ariana secondo la quale vi sa-
rebbe stato un tempo durante il quale il Figlio
non era nato e Dio non era il Padre. Ma biso-
gnava superare i quadri biblici semitici e attin-
gere dal genio greco e latino, accordando i
termini nuovi con i dati della Rivelazione divi-
na; così sostanza, essenza, natura, oùsia, iposta-
si, pr6sopon, persona e anche distinzione radi-
cale tra la rassomiglianza e la consustanzialità,
tra homoousios e l'homoiousios. L'ellenismo
cristiano entra organicamente nella Tradizione.
Nella sua visione del Mistero, l'universo noeti-
co dei Padri integra la predicazione, la liturgia,
la dogmatica, l'iconografia, come un tutto per-
fettamente omogeneo. Alla sintesi preliminare
della cultura ellenica che armonizzava concetto
e simbolo, analisi razionale ed espressione mi-
sterica, l'Evangelo venne ad innestare l' avve-
nimento dell'Incarnazione. L'ellenismo così
battezzato si offre alla patrologia e diviene fa-
cilmente l'elemento organico di una teologia
della storia della salvezza. Ritornare a un qua-
dro esclusivamente ebraico sarebbe retrocede-
re allo stadio della visione vetero-testamentaria
34
e al suo profetismo prima del compimento.
La precisione dei termini trinitari passa at-
traverso una evoluzione molto complessa, e
una certa confusione, all'inizio, era inevitabile.
Presso Aristotele si trova lo schema classico: 1°
identici sono gli oggetti presso i quali la sostan-
za è una; 2° simili sono gli oggetti presso i quali
la qualità è una; 3° uguali sono gli oggetti pres-
so i quali la quantità è una. Partendo da questo
schema, si poteva già affermare che la Trinità è
l'Unico Dio secondo l'identità della sostanza e
che le Ipostasi perfettamente uguali sono i
modi personali di possedere la stessa ed unica
natura.
I malintesi giungono rapidamente. Persona
in latino corrisponde a pr6sopon in greco, e
significa la faccia, l'aspetto esteriore, ma anche
la maschera o il ruolo di un attore. Il pericolo
di questo termine è quello di corrispondere al
modalismo sabelliano: tre facce o tre maschere
della stessa ed unica sostanza e dunque la ne-
gazione della Trinità. Invece, il termine greco
ip6stast~per gli Occidentali, presentava la tra-
duzione esatta del termine latino sostanza e il
pericolo qui, dicendo tre ipostasi, sembrava
esser quello di affermare l'esistenza di tre so-
stanze, di tre Dèi. L'equivalenza di questi due
termini « ipostasi » e « sostanza » appare nella
formula del Concilio di Sardica (nel 343):
« L'unica Ipostasi dei Tre », il cui senso evi-
dente è l'unica sostanza dei Tre.
S. Basilio, cosciente della confusione, cerca
35
di precisare la distinzione necessaria e insegna
che la sostanza - oùsfa - è il concetto genera-
le di ogni essere, l'ipostasi invece è la nozione
di un essere individuale, di una realtà concreta.
Si tratta della relazione tra il genere, il generale
e il personale; così l'uomo è oùsia, Paolo è
ipostasi. Per evitare la frequente confusione dei
termini, Basilio confessa le tre Ipostasi consu-
stanziali e condiziona liturgicamente questa
formula: rendere gloria al Padre con il Figlio e
con lo Spirito Santo seguendo il Credo: Io Spiri-
to Santo è « adorato e glorificato con il Padre e
il Figlio». L'identità di lode è fondata sull'i-
dentità della natura divina: l'hom6timos, ugua-
le in rango e in onore, è equivalente dell'ho-
moousios, consustanziale. L'identità della natu-
ra divina si accompagna alla distinzione attra-
verso la quale ciascuno è identico e attraverso
la quale l'uno non è l'altro. Il termine ipostasi è
infine chiaramente distinto dai termini un tem-
po sinonimi: « Colui che non confessa la co-
munità dell'essenza nella divinità cade nel poli-
teismo; la natura del Padre, quella del Figlio e
quella dello Spirito Santo è una e identica;
nondimeno, l'identità della natura, nella divini-
tà, è diversificata in tre Ipostasi, in tal modo
che l'individualità delle Persone s'incontra in
una essenza e l'unica divinità si riconosce in
Tre ipostasi perfette» 16 . Parimenti S. Grego-
rio di Nazianzo è già molto chiaro:« Io dico tre
16 BASILIO, EpistolarumClassisII, Ep . 210, 4: PG 32, 733-776.
36
(Luci) come Ipostasi o come Persone: dico
una (Luce) sotto il rapporto dell'oùsia, divini-
tà» 17 _
S. Giovanni Damasceno ci dà la sintesi del-
la Tradizione: « L'oùsia è ciò che esiste o sussi-
ste per se stessa e che non ha esistenza in un
altro ... Il termine « ipostasi » ha due significati:
ora significa semplicemente l'esistenza, e in
questo caso oùsia e ipostasi sono la stessa real-
tà; ed ecco perché certi Padri dicevano: le na-
ture o le ipostasi; ora designa ciò che esiste per
se stesso e nella sua propria consistenza; in tal
caso esso designa l'individuo differente da ogni ·
altro » 18 . Lo si vede bene, l'oùsia si applica a
una sostanza comune a più, l'ipostasi alle so-
stanze individuali. Così l'oùsia è sostanza e l'i-
postasi è ciò che è particolare, noi diremmo
« una persona».
La filosofia antica non conosceva che gli
individui umani. Ora, l'ipostasi, presso i Padri,
si avvicina alla nozione moderna di « perso-
na»: un essere personale, unico, incomparabi-
le, assolutamente irriducibile agli altri. Essa
sfugge ad ogni definizione formale. È per que-
sto che la nozione della persona umana non
può farsi che alla luce della Persona divina,
Archetipo assoluto. S. Giovanni Damasceno
sottolinea: « Le persone o le ipostasi umane
17 GREGORIODINAZIANZO, Orationes, Or. 39: In Sancta lumina, 11:
PG 36,345 C.
18 GIOVANNI DAMASCENO, Fans Scientiae, Dialectica, 39 e 42: PG
94, 605, 612.
37
non sono le une nelle altre ... nella Santa Trinità
le Ipostasi sono le une nelle altre». E ancora:
« Non avendo che una sola natura, i Tre non
hanno che una sola volontà, una sola operazio-
ne»; nondimeno, le Persone divine« sono uni-
te non per confondersi, ma per contenersi l'u-
na l'altra; esiste fra esse una drcumincessio-
ne » 19_
19
, De fide orthodoxa, 1, 8: PG 94, 828-929.
IDEM
38
CAPITOLO QUARTO
LA TEOLOGIA TRINITARIA
39
dello Spirito Santo significano innanzitutto la
loro consustanzialità con il Padre, manifesta-
zione evidente della loro divinità e della perfet-
ta uguaglianza dei Tre.
1. L 'Antico Testamento
40
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo » 20 ; « essi
nominano, in tal modo, le tre ipostasi perfette,
e, allorché dicono Signore, essi mostrano l'uni -
ca essenza di Dio ». Isidoro di Pelusio spiega
l'oscurità dei testi attraverso la pedagogia divi-
na: « Dio non giudicò opportuno introdurre la
distinzione delle persone, perché i giudei non
cadessero nell'idolatria e non professassero che
vi è una natura diversa nelle ipostasi. Non l'in-
trodusse - ripeto - affinché, avendo essi
appreso sin dall'inizio l'insegnamento della
Monarchia, comprendessero a poco a poco il
dogma delle ipostasi, che scaturisce a sua volta
nell'unità di natura» 21 . Così le profezie '-relati-
ve al Messia, come pure i suoi Nomi: Emma-
nuele, Ammirabile, Consigliere, Dio forte,
Principe di Pace, Sapienza e L6gos, non saran-
no decifrati se non in Colui che li unirà nella
sua Persona: il Cristo, Figlio di Dio, Dio-Uomo
e seconda Persona della Trinità.
Per il pensiero mistico giudaico la Thorà
non è una semplice raccolta di-prescrizioni e di
leggi, ma una Persona vivente; tuttavia, se per
gli ebrei essa rimane ancora tragicamente ano-
nima, per la fede cristiana è il Cristo che la
personalizza facendo della legge, condotta alla
sua pienezza, la grazia.
41
2. Il Nuovo Testamento
22
EUTIMIOZIGABENO, Commentarium in Matthaeum 28: PG 129,
™n .
42
3. La prima formulazione dell'insegnamento
della Chiesa attraverso la teologia dei Padri
43
energia da Atanasio, dai Cappadoci, da Cirillo
di Gerusalemme, Crisostomo, Epifanio, Cirillo
d'Alessandria.
« La denominazione dell'energia - inse-
gna S. Gregorio di Nissa - non è frazionata
tra coloro che agiscono, ma poiché la potenza e
l'energia nelle tre ipostasi sono uniche, il Padre
non fa niente da se stesso senza il Figlio, e il
Figlio non fa niente da se stesso senza lo Spiri-
to. Ogni attività scaturisce dal Padre, progredi-
sce per il Figlio e si compie nello Spirito San-
to 25 . Il Figlio esiste, in pienezza di divinità,
Verbo vivente e Figlio del Padre senza difetto.
Plenario è anche lo Spirito, considerato in se
stesso perfetto e completo » 26 .
4. Dio Padre
44
surrezione, il Signore lo sottolinea chiaramen-
te: « Ascendo al Padre mio e Padre vostro»
(Gv 20,17).
5. Dio Figlio
27 , Explanatio
CTRILLOD'ALESSANDRIA in Lucae Evangelium, 10:
PG 72, 672-673.
45
re attesta chiaramente che lo Spirito Santo è
Dio per natura, un altro Paraclito, una Iposta-
si; S. Giovanni Crisostomo insegna che il Si-
gnore ne rivela « la consustanzialità, l'identità
di natura e la perfetta uguaglianza» 28 . Lo Spi-
rito« scruta le profondità di Dio» (lCor 2,10),
il che sottintende che egli è consustanziale e
uguale al Padre.
46
sis, processione, designano la provenienza dal
principio generatore e spiratore, proiezione
intima, inseparabile del Padre, che comunica
tutta l'essenza indivisibile della divinità. Così, il
Figlio e lo Spirito hanno il loro principio nel
Padre, chiamato « radice e fonte », e a causa di
ciò- come afferma S. Basilio - « la divinità è
adorabile nella monarchia » 29 . Gregorio di
Nazianzo spiega: la monarchia significa« ugua-
le dignità di natura, accordo di pensiero e iden-
tità rispetto al Padre ... , la convergenza è tale
che le persone rimangono unite e indivisibili
come un solo Dio» 30 . S. Giovanni Damasce-
no sintetizza: le proprietà personali« non sono
dimostrative dell'essenza, ma della relazione
reciproca e del modo di esistenza delle persone
della Santa Trinità» 31 ; esse non designano
alcuna differenza di essenza o di dignità, alcu-
na ineguaglianza delle persone, ma precisano le
loro proprietà intercomunicabili e personali.
S. Giovanni Damasceno insiste sul caratte-
re apofatico delle denominazioni, carattere
ingenerato, generatore, ispiratore. Una certa
luce viene dall'alto e illumina la persona uma-
na, la sua paternità e la sua filiazione, ma senza
possibilità alcuna di applicare questi concetti
umani a Dio. Dio spiega l'uomo, ma lui rimane
nascosto e misterioso. Dio è la sola esistenza
47
pienamente personale. Padre « da cui ogni
paternità, sia nei cieli che sulla terra, prende
nome » (Ef 3, 15) significa che le stesse, nel
campo umano, non sono che suoi riflessi e sue
immagini. « È soltanto nella divinità che il
Padre è sostanzialmente ed eternamente Padre
e il Figlio sostanzialmente ed eternamente Fi-
glio. Dio è semplice, senza divisione, Padre
impassibile del suo Figlio unigenito », dice S.
Atanasio 32 . La coeternità della generazione
del Verbo e la sua inseparabilità da « con il
Padre » sono definite con l'espressione: « irra-
diamento della luce eterna, senza principio né
fine ». « Immagine del Padre», « impronta
della sua sostanza », significano che « il Figlio
ha in sé il Padre tutto intero». In che modo?
« Quel che è celeste sfugge alla debolezza
umana e rimane nascosto da una nube», con-
clude S. Gregorio di Nazianzo 33 .
48
CAPITOLO QUINTO
49
4. Lo SpiritoSanto...
Gli attributi che si riferiscono alla natura
comune, quali la sapienza, la volontà, l'amore,
la santità, l'eternità, sono inerenti ai Tre senza
differenziazione. La Persona in quanto Unica è
evocata nel suo rapporto alla Fonte che è il
Padre. L'innascibilità del Padre, la generazione
del Figlio e la processione dello Spirito sono le
rel~zioni che meglio permettono di distinguer-
li. E per la naturale debolezza del nostro pen-
siero che noi li evochiamo in una maniera ne-
gativa: il Padre ingenerato non è né il Figlio, né
lo Spirito; il Figlio generato non è né il Padre
né lo Spirito; lo Spirito spirato non è né il
Padre né il Figlio.
Per l'Oriente, queste relazioni d'origine
non sono il solo fondamento delle Ipostasi che
le costituirebbe ed esaurirebbe il loro contenu-
to. S. Giovanni Damasceno afferma: « Ciascu-
na Persona contiene l'unità per la sua relazione
alle altre, non meno che per la sua relazionea se
stessa » 34 • Le relazioni soltanto designano per
eccellenza la diversità ipostatica; esse non dif-
ferenziano la natura in Persone, ma esprimono
l'identità e la diversità del Dio Uno e Trino.
Per comprenderela teologia trinitaria orien-
tale la cosapiù importante è il caratteresempre
ternario o triplice delle relazioni. Ternarie, esse
sono nel contempo tri-uniche, e questo è il mo-
tivo per cui in ogni relazione di una Persona
sono presenti anche le altre. Il Figlio e lo Spi-
34 GIOVANNI DAMASCENO, De fide orthodoxa, 1, 8: PG 94, 828 C.
50
rito Santo sono simultaneamente in rapporto
col Padre; l'innascibilità, la generazione e la
processione si implicano reciprocamente, cioè
l'una non è mai senza le altre. Questo carattere
ternario delle relazioni sopprime qualsiasi pos-
sibilità di ridurle al dualismo, alla formazione
di diadi all'interno della Trinità, il .che intro-
durrebbe l'idea razionale di opposizione al
posto della visione meta-razionale di una diver-
sità-unità trinitaria.
Di fatto, non si possono opporre che due
principi; ora, noi ne abbiamo tre, ed è per que-
sto che l'Oriente rifiuta il sistema d' opposizio-
ne di relazioni o di relazioni d'opposizione che
sono relazioni causali. La relazione attiva del
Figlio e dello Spirito al Padre è quella di co-
munione, di rivelazione, di manifestazione; allo
stesso modo, la relazione attiva tra il Figlio e lo
Spirito non è affatto quella d'origine. La rela-
zione d'origine è una negazione: il Padre non è
il Figlio, eccetera, e deve essere compresa in un
senso apofatico che trascende ogni logica di
relazioni e che non definisce ma descrive. « Il
modo della generazione e il modo della proces-
sione sono incomprensibili» 35 ; ineffabili e
nello stesso tempo concreti, essi sono sufficien-
ti per differenziare le Persone in una simulta-
neità eterna, poiché ogni rapporto è triplice: lo
Spirito procede dal Padre congiuntamente e in
rapporto con il Figlio nel quale egli riposa; il
35 GIOVANNI DAMASCENO, op. cit., 1, 8: PG 94, 820 A.
51
Figlio è generato dal Padre congiuntamente e
in rapporto con lo Spirito che lo manifesta.
Nella vita intradivina dei Tre, la Monade
chiusa è esclusa allo stesso titolo che la Diade,
poiché giustamente il numero due implica
opposizione e limitazione reciproche. Il supe-
ramento si fa nel «Tre» e al di là di ogni
connumerazione logica. Semplicemente e d'un
tratto si apre l'infinito del Dio vivente: « La
divinità non è divisa nei dividenti», scrive
Gregorio di Nazianzo 36 ; « nei Tre soli che si
compenetrano, unica è la Luce ». In tal modo,
la Trinità non è il risultato di un processo, di
una teogonia, ma un dato primordiale dell'esi-
stenza divina. Essa non è un'opera di volontà
ipostatica come neppure di necessità di natura;
Dio è eternamente, senza principio, il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo, reciprocità interna del
suo Amore.
Il dogma trinitario è assolutamente estra-
neo ad ogni speculazione metafisica. Non vi è
alcuna teogonia nell'atto della creazione del
mondo che è un atto di volontà; la processione
invece delle Ipostasi divine è un atto dell'essere
divino, dell'Esistente assoluto, al di là di ogni
dialettica di tipo hegeliano, ad esempio.
La teologia apofatica contempla il mistero
che nessuna intelligenza può raggiungere. È
unicamente per il fatto che si rivolge ai filosofi
che S. Gregorio di Nazianzo usa il loro lin-
36 GREGORIO DI NAZIANZO, Orationes, Or. 31, 12: PG 36, 148.
52
guaggio, affermando: « La monade è messa in
movimento in virtù della sua ricchezza; la dia-
de è superata e la triade si chiude nella sua
assoluta perfezione ... » 37 . Così, Dio non è né
solitario, giudaico, né multiplo, politeista; egli
è la Trinità al di là di ogni deduzione, ragione o
necessità. Tutto quel che si può dire è che la
« monade » è solitaria, che « due » è il numero
che separa l'uno dall'altro opponendoli, men-
tre il numero che supera la separazione sfo-
ciando sull'infinito è il « tre ». E nella Trinità
che si trovano come riuniti e circoscritti l'uno e
il multiplo. I Padri non cercano affatto di giu-
stificare attraverso la ragione il numero Tre;
abbagliati essi stessi dalla Luce, lasciano sem-
plicemente contemplare la pienezza sovrab-
bondante della Tri-unità divina. Ma questa
stessa contemplazione non è che« l'ombra pal-
lida della Trinità», poiché i Tre in Dio tra-
scendono ogni numero matematico. S. Basilio,
nel suo trattato sullo Spirito Santo, afferma:
« Noi non contiamo andando dall'uno al mul-
tiplo mediante l'aumento, ossia dicendo uno,
due, tre, o il primo, il secondo e il terzo; con-
fessando le Tre Ipostasi senza dividere la natu-
ra in moltitudine, noi rimaniamo nella Monar-
chia». Lo si vede bene: il numero in Dio non è
una quantità ma esso esprime l'ordine ineffabi-
le: tre uguale uno. La Triade delle Ipostasi
« unite attraverso la distinzione e distinte at-
37 GREGORIODI NAZIANZO,O_rationes,
Or. 23, 8: PG 35, 1160 CD.
53
traverso l'unione» designa una differenza che
non si oppone ma si pone ponendo le altre.
La coscienza della Chiesa ha difeso con
veemenza il Mistero trinitario contro le ten-
denze naturali della ragione, che oscilla fatal-
mente tra l'uno e il multiplo, tra l'essenza dei
filosofi e i tre modi delle sue manifestazioni da
una parte, ed è il modalismo sabelliano, e la
divisione in tre esseri distinti e ineguali dall'al-
tra, ed è l'eresia di Ario. Allo stesso modo in
Plotino, l'Uno, l'Intelligenza e l'Anima del
mondo presentano una gerarchia decrescente
delle persone per emanazione.
Di fronte a tutte queste deviazioni della
ragione naturale, occorreva una metanoia, un
radicale cambiamento dell'intelligenza posta in
Cristo, per elevarsi al di sopra dei concetti filo-
sofici e per ricevere la Rivelazione di Dio nella
sua intatta purezza. Bisognava sopprimere in
germe l'unitarismo monoteistico e il triteismo
politeistico.
Questo mutamento comporta due metodi
diversi nello sforzo della comprensione stessa
del Mistero trinitario e segna così la differenza
delle posizioni teologiche dell'Oriente e del-
l'Occidente. Il P. de Régnon, nei suoi Études
de théologie positive sur la Sainte Trinité, li pre-
cisa chiaramente: « La filosofia latina considera
dapprima la natura in se stessa e continua poi
fino al supposto (Persona), la filosofia greca
invece considera dapprima il supposto e pene-
tra poi in esso per trovare la natura. Il Latino
54
considera la personalità come un modo della
natura, il Greco considera la natura come il
contenuto della persona. L'Occidente parte
quindi dalla natura una per considerare poi le
Tre Persone, l'Oriente parte dalle Tre Persone
per considerare poi la natura una» 38 . S. Basi-
lio, ad esempio, seguiva questo metodo co-
scientemente, perché tale metodo parte dal
concreto, conformemente alla Scrittura e alla
formula battesimale che nomina il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo.
L'Oriente vede il pericolo quando non è la
Monarchia del Padre ma la natura una ad eri-
gersi a principio di unità nella Trinità. In que-
sto caso, le relazioni d'origine si identificano
con le Ipostasi e le esprimono totalmente. Se si
afferma con S. Tommaso che <<il nome di per-
sona significa la relazione» 39 , è logico dedurre
che sono i rapporti interni dell'essenza quelli
che la diversificano. Ora, secondo i greci, il
principio d'unità non è la natura ma il Padre,
che pone delle relazioni d'origine rispetto a Se
stesso, come l'unica Fonte di ogni relazione. S.
Atanasio dichiara: « Vi è un solo principio del-
la divinità, e di conseguenza vi è la monarchia
nel modo più assoluto: un solo Dio, perché un
solo Padre». Questa affermazione lapidaria
diventa l'adagio di tutti i Padri orientali. Se-
condo loro, confessare l'unità trinitaria equi-
38 DE RtGNON, Études de théologie positive sur la Sainte Trinité, I,
p. 433 .
39 s. TOMMASO, Summa theologiae, I, q. 29, a. 4.
55
vale a riconoscere il Padre come l'unica Fonte
delle Ipostasi, che simultaneamente ricevono
da lui la stessa ed unica natura. È per il .fatto
stesso che le relazioni si riferiscono al Padre
eh' esse significano l'unità e la diversità nello
stesso tempo. Le Persone e la natura sono po-
ste simultaneamente senza che l'una preceda
logicamente le altre.
« Il Greco considera la natura come il con-
tenuto della persona»: ciò vuol dire che cia-
scuna Ipostasi è la maniera personale di ap-
propriarsi la stessa natura, e di conseguenza
ciascuna Ipostasi nella sua realtà unica supera
le sole relazioni d'origine. S. Gregorio di Na-
zianzo afferma: « La natura una nei Tre è Dio;
quant .o all'unione - hénosis - è il Padre, dal
quale gli altri procedono e verso il quale si
riconducono senza né confondersi né separar-
si, ma coesistendo con lui» 40 . E il Padre che
distingue le Ip6stas( ma questa distinzione
supera il solo piano delle origini, poiché - al
dire di S. Massimo - il Padre le distingue « in
un movimento eterno d'amore» 41 . I Padri di-
stinguono la sostanza ipostatica e l'azione ma-
nifestatrice. Nell'« eterno movimento d'amo-
re», il Figlio e lo Spirito Santo sono insepara-
bili nella loro azione manifestatrice del Padre e
sono ineffabilmente distinti come due Persone
provenienti dallo stesso Padre. « Lo Spirito
56
Santo - afferma S. Basilio - da una parte è
legato al Figlio con il quale egli è concepito
inseparabilmente , e dall'altra il suo Essere è
sospeso al Padre, dal quale egli procede ... Egli
sussiste procedendo dal Padre ed è manifestato
congiuntamente con il Figlio» 42 . Presso tutti i
Padri si constata l'affermazione dell'unica Fon-
te Ipostatica del Padre e nello stesso tempo
una relazione intima tra il Figlio e lo Spirito
inseparabilmente concepiti e uniti: lo Spirito
riposa eternamente sul Figlio e lo manifesta.
Gli Orientali hanno sempre fortemente sot-
tolineato il carattere ineffabile, apofatico , della ·
processione dei Due dal solo Padre, contro una
nozione più razionale che poneva il comune
della natura al di sopra del personale. Essi non
hanno mai considerato lo Spirito Santo come
un legame (nexus amoris) fra il Padre e il Figlio
uniti nella stessa natura e non costituenti che
un solo Principio di spirazione. In questo caso,
non sono più due Ipostasi distinte ma la so-
stanza impersonale che « spira ». Ora , l'unità
d'amore è quella dei Tre.
Ci si può domandare se la Monarchia
orientale non favorisca il subordinazionismo
all'interno della Trinità. S. Gregorio di Na-
zianzo risponde: « La gloria del Principio non
consiste affatto nell'abbassamento di coloro
che procedono da Lui ... Dio è "i Tre conside-
rati insieme"; ciascuno è Dio a causa della
42 BASILIO, Epistolae, Ep. 38, 4: PG 32, 329 C, 332 A.
57
consustanzialità; i Tre sono Dio a causa della
Monarchia » 43 .
Il P. de Régnon segnala il pericolo opposto
in Occidente: « Sembra che il dogma dell'Uni-
tà divina abbia come assorbito il dogma della
Trinità, di cui non si parla che a titolo informa-
tivo». È il rischio del primato dell'essenza filo-
sofica sul concreto scritturistico delle Persone.
Non ci si rivolge più alle Persone della Trinità,
ma al « buon Dio » di cui non si sa chi preci-
samente egli sia; mentre dall'altra parte, in di-
verse forme di pietà popolare, ci si rivolge in
modo troppo esclusivo· al Cristo, attaccandosi
necessariamente alla sua umanità, e questo è
un cristocentrismo eccessivo. Il teocentrismo
senza precisione, invece, conduce alla mistica
dell' « abisso divino », la Gottheit di Maestro
Eckhart, anteriore alla Trinità.
Il troppo forte accento posto sulla natura
condiziona la nozione della beatitudine del
secolo futuro come visione dell'essenza divina.
Ora, per l'Oriente la beatitudine designa l'infi-
nito della deificazione, partecipazione alla vita
divina e visione della gloria trinitaria attraverso
l'umanità glorificata del Cristo, « fiaccola di
cristallo», essendo l'essenza di Dio trascen-
dente per sempre.
In figura, si può rappresentare la triadolo-
gia sotto forma di un angolo la cui sommità
58
designa il Padre e i due punti in cui si arrestano
i lati il Figlio e lo Spirito. Questo schema
esprime la uguaglianza dei « due », ma non
dice niente sulle loro relazioni reciproche, sal-
vo la loro relazione all'unica origine che è il
Padre. Secondo il P. Sergio Bulgakov lo sche-
ma più corretto è un triangolo inscritto in un
cerchio: il movimento è circolare, parte dal
Padre e ritorna verso di lui. Il Padre è la fonte
della Verità, il Figlio è il principio di rivelazio-
ne della Verità del Padre, lo Spirito Santo è il
principio della sua manifestazione dinamica e
vivificante, è là Vita della Verità, suo Spirito.
La relazione fra il Figlio e lo Spirito non è
causale ma è una relazione di interdipendenza
e di condizione, poiché ogni relazione intradi-
vina è sempre triplice nella circumincessione
eterna dell'amore divino. Vedremo tutta l'im-
portanza del termine condizione;termine avan-
zato dal teologo russo Bolotov, e molto illumi-
nante per il problema del Filioque.
59
CAPITOLO SESTO
LA PROCESSIONE
DELLO SPIRITO SANTO
60
za alcuna pretesa di presentarne la soluzione,
di precisare la direzione nella quale l'Oriente e
l'Occidente possono trovare un accordo.
1. La rottura
61
ariani, i quali contestavano la divinità del_C~i:
sto e quindi per affermare la consustanzzalzta
del Padre e del Figlio. Se lo Spirito procede dai
« due », è evidente che il Figlio è uguale al
Padre, è della stessa essenza divina.
Nonostante l'opposizione di Alcuino e di
Paolino, arcivescovo di Aquileia, che condan-
nò la formula nel concilio provinciale tenuto
nel 791, il grande promotore del Filioque fu
Carlomagno. Il P. Congar cita lo storico J. de
Pange: « Il conferimento del titolo imperiale a
Carlomagno segna da parte del papa l'inten-
zione di rompere con l'Impero d'Oriente » 4 1.
Carlomagno convoca nell'807 un concilio con
il progetto di scomunicare l'Impero concorren-
te dei greci. Il papa Leone III, in segno di
protesta e desiderando fermamente di salva-
guardare l'unanimità della tradizione, fa inci-
dere e porre solennemente sul portale di bron-
zo della cattedrale di Roma due scudi d' argen-
to recanti il testo del Credo di Nicea in greco e
in latino e senza addizione alcuna. Ma l'uso si è
generalizzato in Francia, in Spagna, in Italia e
in Germania, e alla fine Roma si china di fronte
alla forza; nel 1014 l'imperatore Enrico II si fa
incoronare a Roma da papa Benedetto VIII e
impone il rito germanico della messa; il Credo
interpolato dal Filioque fu cantato per la prima
volta a S. Pietro in Roma.
62
Ciò che l'Oriente rimprovera è, prima di
ogni analisi dogmatica della nuova formula, l' at-
to scismatico di modificare il testo sacro del
Credo nonostante le formali interdizioni dei
Concili Ecumenici, e di far ciò senza consultare
il luogo orientale dell'UnaSancta.Più tardi, nel
1054, il legato del papa, Umberto, nel suo do-
cumento deposto sull'altare di S. Sofia di Co-
stantinopoli rimprovera ai greci il fatto di muti-
lare il Credo « avendo soppresso il Filioque » !
63
Nel Medio Evo i trattati polemici abbon-
dano, ma essi non hanno mai convinto nessu-
no, poiché, salvo qualche rara eccezione, si
sono lasciati sfuggire la linfa stessa del pensiero
dei Padri, hanno perduto lo stile patristico,
espressione della loro spiritualità. Un ritorno
vigoroso alle fonti nella Tradizione dei Padri
s'impone dunque attualmente a tutti, al fine di
comprendere la dialettica di questi stessi dal-
l'interno, secondo la loro esperienza diretta e la
loro contemplazione dei Misteri di Dio.
Il Nuovo Testamento applica al Padre per
lo più il nome di Dio semplicemente. Questo
modo è ripreso fedelmente dai Padri antenice-
ni. Anche S. Atanasio afferma chiaramente:
« Non vi è che "un" principio, e non "due",
della Divinità: esiste dunque in Dio, propria-
mente parlando, una Monarchia; da questo
principio viene il Verbo... il Principio è
Dio » 46 . I Padri invece evitano di esprimersi
con chiarezza e precisione sullo Spirito Santo e
soprattutto sul modo della sua processione,
che rimane radicalmente ineffabile. Bisogna
dunque evitare di dogmatizzare là dove non vi
sono che approssimazioni, allusioni e suggeri-
menti.
La scuola d'Alessandria segue il metodo
anteniceno, metodo essenzialmente biblico e
soteriologico; essa afferma la divinità del Ver-
près la triadologie orthodoxe in Russie et Chrétienté, 1950, 3-4; P.-N.
TREMBELAS,Dogmatique, Parigi, 1966.
46
ATANASIO, Oratio IV contra Arianos, 1: PG 26, 468 B C.
64
bo perché da questa dipende la nostra salvezza.
Così, S. Atanasio afferma l'unità d'azione del
Figlio e dello Spirito alla luce dell'economia
della salvezza, e non entra gran che nelle rela-
zioni eterne tra le Persone divine. È il Cristo
che è il Salvatore e lo Spirito ci fa partecipare
nel Figlio all'adozione del Padre. Se Atanasio
insiste sull'unità della natura fra i "due", ciò è
per affermare la divinità dello Spirito: « Lo
Spirito è nel Figlio, come il Figlio è nel Pa-
dre» 47 .
S. Cirillo d'Alessandria combatte l'eresia
nestoriana e, sempre in funzione dell'opera
della salvezza, insiste sulla dipendenza dello
Spirito nei riguardi del Figlio: « Il Figlio, dice,
possiede lo Spirito tanto quanto il Padre; il
Figlio ci comunica lo Spirito dalla sua propria
pienezza divina » 48 . Lo Spirito è una forza
santificatrice « che proviene dai Due ». Accan-
to alle allusioni sulla duplice processione si si-
tua un'affermazione contraria: « Lo Spirito
procede da Dio Padre come da Fonte, ma è
inviato alla creatura dal Figlio » 49 .
Il vocabolario di Cirillo, poco preciso, pro-
voca dei dissensi. Una sua espressione: « lo
Spirito proprio del Figlio », suscita una critica
immediata e violenta da parte di T eodoreto di
Ciro: « Se Cirillo dice ciò nel senso che lo Spi-
47 IDEM, Epistola III ad Serapionem,4: PG 26, 632 A.
48 CIRILLOD'ALESSANDRIA,Adversus NestoriumLiber IV, 1: PG 76,
173 A, 176 A.
49 IDEM, Epistolae, Ep. 55: PG 77, 316 D.
65
5. Lo Spirito Santo...
rito Santo è consustanziale al Figlio e procede
dal Padre, siamo d'accordo con lui; ma se vuol
dire che lo Spirito trae la sua sostanza dal Fi-
glio, allora rinneghiamo questa espressione
come empia, poiché noi crediamo al Signore
che ha detto: "lo Spirito di verità che procede
dal Padre" » 50 .
Cirillo, attento ali' autorità di T eodoreto e
preoccupato dell'ortodossia della propria dot-
trina, accetta immediatamente e pienamente
l'interpretazione di Teodoreto. Soddisfatto,
quest'ultimo dichiara che ora tutto è chiaro e
corretto, poiché « lo Spirito Santo non trae la
sua sostanza dal Figlio o per il Figlio, ma pro-
cede dal Padre ed è chiamato proprio del Fi-
glio in ragione della sua consustanzialità » 51 •
L'Incarnazione si trova al centro della teo-
logia alessandrina e la condiziona al punto che
essa non distingue mai chiaramente le « pro-
cessioni eterne», vita intradivina, e le « mis-
sioni temporali», storia terrestre. Sono le ma-
nifestazioni divine nella Chiesa, nella economia
della salvezza, nella prospettiva strettamente
soteriologica, che la interessano e che spiegano
le espressioni quali « lo Spirito viene » o « pro-
cede dal Figlio » o « per il Figlio », senza che vi
sia in esse alcuna metafisica delle relazioni in-
tradivine.
La teologia propriamente trinitaria sarà
50 IDEM ,Adversus Nestorium Liber III, 2: PG 76, 132 CD; Apolo-
geticus contra Theodoretum, 9: PG 76, 432 C D.
51 TEODORETO DI CIRO, Epistolae, Ep. 171: PG 83, 1484 C.
66
opera dei Cappadoci: dei due Gregari e di S.
Basilio il Grande. Per esprimere la realtà del
Dio vivente in Tre Persone, i Cappadoci di-
stinguono in Dio l'elemento comune alle Tre
Ipostasi, la « natura » da una parte, e l' elemen-
to proprio a ciascuna Persona dall'altra. Così,
secondo S. Gregorio di Nissa, lo Spirito « non
è niente di ciò che appartiene in proprio al
Padre e al Figlio» 52 . Allo stesso modo, S. Ba-
silio ricerca l'elemento unico che caratterizza
ciascuna Ipostasi: « Si riconosce il carattere
ipostatico dello Spirito dal fatto che egli si rive-
la dopo il Figlio e con il Figlio e riceve la sua
sostanza dal Padre. Quanto al Figlio... egli non
ha niente di comune, per quel che concerne le
particolarità delle sue caratter!stiche, con il
Padre o con lo Spirito Santo, ma si fa conosce-
re solo per i suoi qiratteri ipostatici. E il Padre
possiede questo di particolare, caratteristica
della sua Ipostasi, che egli è Padre e che non
dipende da nessuna causa » 53 . Se con Basilio e
Gregorio ·di Nissa si vede apparire la nozione
di causalità, questa non si applica che al Padre
- mai al Figlio - allorché è questione della
processione dello Spirito Santo. Si vede già una
netta differenza con la concezione latina della
stessa proprietà di spirare lo Spirito, che ap-
partiene in comune al Padre e al Figlio uniti
nella stessa natura.
67
Effettivamente, secondo l'essenziale dell' af-
fermazione dei Padri orientali, è la Persona del
Padre e non la natura che è considerata come
l'origine e la fonte delle altre due Ipostasi. Se-
condo Gregorio di Nissa solo la Persona del
Padre possiede la facoltà di essere causa in Dio
- aìtia - e, quindi, principio dell'unità divina
- hénosis 54 -. L'idea di causa non si applica
mai al Figlio; Gregorio di Nazianzo lo dice
chiaramente: « Il Figlio possiede tutto ciò che
possiede il Padre, tranne la facoltà di essere
causa, e tutto ciò che possiede il Figlio lo pos-
siede anche lo Spirito, tranne la facoltà di esse-
re Figlio » 55 .
All'inizio della formazione della teologia
trinitaria, anche presso i Cappadoci, le relazio-
ni tra il Figlio e lo Spirito Santo portano ancora
l'accento soteriologico. Insieme agli Alessan-
drini, S. Basilio afferma: « Lo Spirito Santo è
legato al Padre attraverso il Figlio unico» 56 ;
ciò che significa non esservi che una sola via
verso il Padre: per il Figlio nello Spirito Santo.
Il ruolo del Figlio è sempre centrale nell'eco-
nomia della salvezza; se quest'ultima viene at-
traverso il Figlio, anche la grazia dello Spirito
Santo viene attraverso il Figlio. L'anafora della
liturgia di S. Basilio fa udire: « Il Figlio... per il
quale Io Spirito Santo è apparso ... ». Questo
« per » è l'argomento classico della consustan-
54 GREGORIODI NISSA, De communibus notionibus: PG 45, 180 C.
55 GREGORIO DI NAZIANZO, Orationes, Or . 34, 10: PG 36, 252 A.
56 BASILIO,Liber de Spiritu Sancta, 18: PG 32, 152 A.
68
zialità e dunque della divinità dello Spirito
Santo.
Ogni atto divino trova la sua fonte nel Pa-
dre, per essere realizzato nel Figlio e perfezio-
nato, compito e manifestato dallo Spirito, poi-
ché, dice S. Gregorio di Nissa: « Il Padre è
fonte della Forza; la Forza del Padre è il Figlio;
lo Spirito della Forza è lo Spirito Santo» 57 •
Partendo da questo fatto - e siamo già nell' e-
voluzione della coscienza dogmatica - i Padri
trasferiscono quest'ordine delle Ipostasi nella
stessa vita divina: lo Spirito vive attraverso il
Figlio e per il Figlio, essendo lo Spirito della
Forza; è in questa prospettiva che si situa la
formula dià Uzou, per Filium. È la testimonian-
za di S. Massimo il Confessore nel VII secolo:
nella sua lettera a Marino egli difende l'orto-
dossia della dottrina occidentale: « Gli occi-
dentali, scrive, citano Cirillo d'Alessandria; essi
provano con ciò che non si rappresentano il
Figlio come causa dello Spirito, poiché sanno
che solo il Padre è causa del Figlio e dello
Spirito Santo; ma dicendo che lo Spirito pro-
cede dal Figlio, essi esprimono la parentela e
l'unità della loro natura » 58 . Secondo Massi-
mo, Cirillo d'Alessandria non poteva in alcun
modo insegnare che il Figlio sia causa dello
Spirito.
Nel secolo VIII S. Giovanni Damasceno
57
GREGORIO DI NISSA, Adversus Macedonianos
, 13: PG 45, 1317 A.
58 MASSIMOIL CONFESSORE,Opuscolatheologicaet polemica, PG 91,
136 A B.
69
sintetizza la tradizione dei Padri e insiste sulla
monarchia del Padre che è la causa unica: « Lo
Spirito è Spirito del Padre ... ma è anche Spirito
del Figlio, non perché procede dal Figlio, ma
perché procede attraverso lui dal Padre, non
essendovi che una causa unica, il Padre, m6nos
a'itios,opatér » 59 . È la Persona del Padre che è
l'origine unica delle Ipostasi: « Noi non dicia-
mo che il Figlio è causa, non diciamo neppure
che è Padre ... Non diciamo che lo Spirito pro-
cede dal Figlio, ma diciamo che egli è Spirito
del Figlio » 60 .
Il Figlio e lo Spirito provengono insieme,
congiuntamente, dal Padre, come la Parola e il
Soffio che escono dalla bocca del Padre 61 . Lo
Spirito è la « Forza del Verbo >>che riposa sul
Figlio da tutta l'eternità e lo manifesta; per
questo egli è chiamato« Immagine del Figlio».
Si può notare già la diversità dei punti di
partenza nella formazione della teologia trini-
taria in Occidente e in Oriente. Seguendo la
tradizione occidentale da Tertulliano a S.
Ambrogio, S. Agostino nel De Trinitate parte
dall'unità della natura divina. Per distinguere
le Persone, egli formula il principio dell' « op-
posizione di relazioni » al quale praticamente si
riducono le Persone. Nondimeno, egli sottoli-
nea che è dal Padre principaliter che procede, a
titolo di principio primo e assoluto, lo Spirito
59 GIOVANNI DAMASCENO,De fide orthodoxa, 1, 12 : PG 94, 849 B.
60 GIOVANNI DAMASCENO, op. cit., 1, 8: PG 94, 832-833.
61
Sal 32,6.
70
Santo. Ma siccome il Padre e il Figlio sono Uno
e tutto ciò che ha il Padre lo ha anche il Figlio,
essi costituiscono un solo principio della pro-
cessione dello Spirito Santo. Il principio della
monarchia non è soppresso, non vi sono due
principi, due fonti dello Spirito Santo; la mo-
narchia, si può dire, è divisa fra il Padre e il
Figlio uniti nella stessa natura per non formare
che un solo principio di processione 62 . Fausto
di Riez dice chiaramente: « A causa dell'unità
di sostanza si dice che lo Spirito è lo Spirito del
Padre e del Figlio e che egli procede ex utro-
que ». Allo stesso modo, secondo S. Tommaso,
il Padre e il Figlio insieme producono « una »
spirazione, dunque non vi è che Unus Spirator.
Nello stare attenti al fatto che non vi è al-
cuno sdoppiamento del principio di processio-
ne in Occidente, bisogna riconoscere che la
tradizione orientale rimaneva totalmente estra-
nea al ragionamento agostiniano. Non si trova
affatto, in Oriente, né la dottrina sull'opposi-
zione di relazioni, né quella della processione
tamquam ab uno principio che ne scaturisce.
Nella sua teologia trinitaria l'Oriente prende
come punto di partenza la rivelazione di un
Dio vivente in Tre Ipostasi, le Persone divine,
quindi, tali e quali sono date nelle Scritture e
pensate nei simboli di fede e di battesimo.
Il conflitto scoppia nel IX secolo, al tempo
del patriarca Fozio. Questi distingue assai net-
62 Cfr. il Canone I del Concilio di Lione.
71
tamente i caratteri ipostatici che appartengono
in proprio a ciascuna Persona divina e i carat-
teri appartenenti alla natura, comuni dunque ai
Tre. La facoltà di essere causa è ipostatica e
non appartiene che al Padre; mentre, se si pen-
sa che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio
insieme, si è in presenza del carattere « essen-
ziale », « naturale », e in questo caso, in fun-
zione della natura comune ai Tre, anche lo Spi-
rito sarebbe partecipante allà sua propria pro-
cessione, « egli sarebbe promotore e promos-
so, in parte causa e in parte proveniente da una
causa » 63 . La paternità del Padre non sarebbe
più sua proprietà esclusiva e le Ipostasi del
Padre e del Figlio sarebbero confuse in una
sola Persona, e ciò rasenterebbe l'eresia di
Sabellio. Ora, il Padre fa procedere lo Spirito
in quanto Padre e non in quanto Dio, qua Pater
e non qua Deus.
Si vede qui chiaramente tutta la difficoltà
per l'Oriente di accettare la formulazione lati-
na. In effetti, la spirazione, comune al Padre e
al Figlio, porrebbe in Dio qualcosa che non è
né essenziale, naturale, ousianico, poiché lo
Spirito ne è escluso, né ipostatico, poiché è
qualcosa di comune al Padre e al Figlio.
Fozio si riferisce a Gregorio di Nissa e a
Massimo il Confessore, secondo i quali solo
l'Ipostasi del Padre è produttiva delle altre
Persone in Dio. La tradizione orientale mette il
63 FOZIO, De 5. Spiritus mystagogia,6: PG 102, 288 B.
72
più forte accento sulla nozione personalistica,
evitando ogni unità astratta della natura sola,
in cui si rischia di far scomparire il carattere
personale delle Ipostasi.
Il Concilio unionista di Lione, nel 1274,
rianima la discussione nel Xill secolo. Gli
orientali affermano: Lo Spirito Santo non di-
pende dal Figlio se non nelle sue missioni tem-
porali; nella sua vita eterna egli non dipende
che dal Padre. Nondimeno, Gregorio di Cipro,
a motivo della sua conoscenza della teologia
agostiniana, apporta una critica più sfumata.
Se egli insiste con la tradizione classica sulle
proprietà ipostatiche immutabili, insiste pari-
menti sulla manifestazione eterna del Figlio
attraverso lo Spirito, manifestazione che costi-
tuisce la vita stessa dello Spirito Santo. È un
riferimento alla espressione di S. Giovanni
Damasceno: lo Spirito è la « Forza manifestan-
te » del Figlio.
Lo Spirito, dice Gregorio, riceve la sua so-
stanza dal Padre, ma sussiste « per » il Figlio e
anche « dal » Figlio. Distinzione sottile, ma
fondamentale; con il P. J. Meyendorff si può
dire che è una distinzione tra l'idea di causa e
quella di « ragion d'essere». La causa dello
Spirito sarebbe l'Ipostasi del Padre, mentre
egli troverebbe la sua « ragion d'essere» nel
Figlio, nella sua manifestazione eterna. È per
questo che, secondo la tradizione, lo Spirito è
l'immagine eterna del Figlio e « nessuno può
dire che Gesù è il Signore, se non per lo Spirito
73
Santo ». Gregorio distingue quindi la proces-
sione ipostatica, in cui lo Spirito procede dal
Padre solo, e il piano delle manifestazioni
(ekphansis), in cui lo Spirito manifesta eterna-
mente la vita divina: dal Padre, per il Figlio,
nello Spirito Santo. Il T 6mos del Concilio del
1285, redatto da Gregorio di Cipro, afferma:
« È comunemente riconosciuto che il Paraclito
stesso risplende e si manifesta eternamente
tramite il Figlio come la luce risplende dal sole.
tramite il raggio ... ma ciò non significa che egli
possieda la sua esistenza (ipostatica) "per" il
Figlio o "dal" Figlio» 64 • La definizione impli-
ca la distinzione tra la processione ipostatica
dello Spirito e la processione manifestatrice
della natura e delle energie divine nello Spirito.
Il filioquismo trova il suo posto sul piano
della manifestazione; ma questa stessa manife-
stazione del Figlio attraverso lo Spirito Santo è
limitata dal tempo o è eterna? A questa do-
manda risponde S. Gregorio Palamas: « Lo
Spirito del Verbo è un indicibile amore del
Padre per lo stesso Verbo, che in una maniera
indicibile egli genera; e il Verbo, Figlio diletto,
usa questo stesso amore verso il Padre, ma nel-
la misura in cui essi, il Figlio e lo Spirito, pro-
cedono insieme dal Padre e nella misura in cui
questo amore riposa su di lui consustanzial-
mente ... In tal modo, lo Spirito è la gioia eterna
74
del Padre e del Figlio, in cui (tutti e Tre) si
compiacciono insieme; questa gioia è inviata
dai Due a coloro che ne sono degni ..., ma pro-
cede dal Padre solo » 65 . Lo Spirito - dunque
- procede solo dal Padre: immagine del Fi-
glio, egli lo rivela eternamente al Padre, come
nell'economia della salvezza lo rivela al popolo
di Dio. È in questa manifestazione e rivelazio-
ne che egli è "nel" Figlio e "per" il Figlio.
Secondo S. Paolo, « lo Spirito Santo scruta
tutte le cose, anche le profondità di Dio »
(lCor 2,10). Egli proviene dal Padre, riposa sul
Figlio e ritorna al Padre in una circumincessio-
ne incessante dell'Amore dei Tre. È in questo
senso che l'Oriente impiega la formula per Fi-
lium; il legame non è affatto casuale, ma di
interdipendenza e di reciprocità.
3. Bilancio teologico
75
Quest'ultimo, per la via dell'esichiasmo, giunge
al suo punto culminante nel XIV secolo e trova
la sua armatura dogmatica nella dottrina di S.
Gregorio Palamas e nelle definizioni dei Sinodi
di Costantinopoli. L'adagio patristico: « Dio si
è fatto uomo perché l'uomo possa divenire
dio » pone la « deificazione» dell'essere uma-
no, scopo dell'economia della salvezza. Esso
riceve il suo approfondimento decisivo alla
luce della teologia dello Spirito Santo e della
dottrina delle energie divine. È in questa pro-
spettiva che nel XIV secolo si situa la riflessio-
ne orientale sul Filioque della teologia occiden-
tale.
S. Gregorio Palamas è portavoce dei Sinodi
di Costantinopoli tra il 1340 e il 1360. Fu ca-
nonizzato nel 1368; la seconda domenica della
grande Quaresima ne celebra ogni anno la
memoria e la dottrina.
I Sinodi del XIV secolo operano una sintesi
della tradizione nella linea della grande patri-
stica. Il punto classico di partenza è la meta-
noia, il mutamento dell'intelligenza rinnovata
in Cristo. La teologia dei Padri non è mai un
sistema di concetti, ma un sistema di trasmis-
sione dell'esperienza liturgica di Dio e per que-
sto forzatamente antinomica. « Dio, dice Pa-
lamas, essendo trascendente, incomprensibile e
indicibile, consente a divenire partecipabile ... e
invisibilmente visibile ... 66 • Tutto intero egli si
66 Dé/ense des saints hésychastes, Lovanio, 1959, p. 128.
76
manifesta e non si manifesta ..., tutto intero egli
è partecipato e impartecipabile » 67 .
Palamas incomincia col rilevare nell'Essere
stesso di Dio una distinzione-identità dell'es-
senza e delle Ipostasi, che giustamente non in-
tacca affatto la semplicità e l'unità di Dio. La
stessa constatazione si fa in funzione del mon-
do: Dio trascende in se stesso l'alterità senza
abolirla, così egli si rende partecipabile ed è,
ciò, la distinzione-identità dell'essenza e dell'e-
nergia, che allo stesso modo non intacca affatto
la semplicità dell'Assoluto divino. L'essenza e
le energie sono i due modi dell'esistenza e della
presenza divine: in se stesso e « al di fuori »
della sua essenza. Questa distinzione si trova
già nel pensiero ebraico, che distingue, senza
né separarle né confonderle, la trascendenza e
l'immanenza di Dio. L'argomento fondamenta-
le di Palamas non è essenzialista ma esistenzia-
le: « Dio non è una cosa unica (cioè l'essenza,
la natura), ma il Vivente, l'Esistente unico».
L'esistenza primeggia sull'essenza: « Non è
"Colui che è" che proviene dall'essenza, ma è
l'essenza che proviene da "Colui che è" ».
Le Persone divine, insegna Palamas, <<si
compenetrano mutuamente in modo da non
possedere che una sola energia»; una, ma mul-
tiforme nelle sue manifestazioni. Bisogna dun-
que distinguere in Dio la natura, le Ipostasi e le
energie delle manifestazioni divine. Ora, se-
67 De la partecipation à Dieu, f. 22.
77
condo gli awersari di Palamas, ciò che non è
l'essenza non è Dio e non è che un effetto
creato, come la grazia, la gloria e la luce; vi
sarebbe quindi in quella teoria una confusione
tra la fonte e la causa, tra la manifestazione e la
produzione.
La questione è lungi dall'essere astratta, è
questione di vita o di morte quando si tratta
della deificazione dell'essere umano e quindi
della realtà della sua comunione con Dio. La
comunione creata, anche se la si nomina so-
prannaturale (grazia creata), non è affatto la
comunione con Dio stesso. Il palamismo, par-
tendo dal principio che l'Esistente primeggia
sull'essenza, afferma la comunione con le ener-
gie divine, comunione piena e reale poiché nel-
le sue energie Dio è totalmente presente, senza
lasciare la sua essenza inaccessibile. La parte-
cipazione è totale: « Dio tutt'intero viene ad
abitare l'essere tutt'intero di coloro che ne
sono degni » 68 • Lo scopo della vita cristiana è
quello di unire nella nostra persona la grazia o
l'energia increata alla nostra natura creata.
La distinzione-identità dell'essenza impar-
tecipabile e dell'energia partecipabile non
chiama affatto in causa l'unità di Dio, perché
essa è l'unità di un Vivente, di un Esistente
semplice e non di una « sostanza semplice ».
L'essenza e l'energia sono i due modi dell'Esi-
stenza divina che si dona senza frazionarsi e si
68 Dé/ense des saints hésychastes, p . 608.
78
distanzia senza rifiutarsi. L'energia è la via del-
1'espansione della Trinità ad extra che si irradia
(nel senso di irradiazione di luce) dal Padre,
per il Figlio, nello Spirito Santo. Nella loro
pericoresi, le Persone divine si compenetrano
mutuamente in modo da non possedere che
una sola energia. Una, ma multiforme come i
Nomi divini, essa scaturisce eternamente dal-
l'essenza della Trinità e la manifesta. Per mez-
zo delle energie Dio vive e regna nella sua glo-
ria eterna e si irradia in Amore, Sapienza e
Vita. Allo stesso modo, è alle energie che si
identificano le idee creatrici, gli atti di Provvi-
dei:iza e di grazia che manifestano la presenza
di Dio nella storia del mondo.
Il palamismo termiria la grande elaborazio-
ne pneumatologica del Medio Evo bizantino,
poiché, secondo Palamas, « l'energia increata è
inseparabile dallo Spirito Santo » 69 . Palamas
sottolinea lo stesso termine« processione»: lo
Spirito procede dal Padre e l'energia procede
dall'essenza di cui il Padre è la fopte. È nello
Spirito che si opera la manifestazione eterna
della gloria, è nello Spirito che Dio, per amore,
esce dalla sua essenza, perché lo Spirito Santo è
lo Spirito di comunione, lo Spirito d'amore tri-
nitario.
Nella pienezza assoluta dei Tre, lo Spirito
supera l'opposizione Padre-Figlio, egli provie-
ne dal Padre congiuntamente con il Figlio sul
79
quale riposa eternamente. Il « perfetto » equi-
librio trinitario sopprime ogni tentazione
« diadica »; nella sua processione ipostatica, lo
Spirito realizza ad intra il mistero di un'alterità
senza opposizione, e, ad extra, manifesta la
processione naturale dell'energia, l'eterno
movimento dell'amore trinitario.
La distinzione dell'essenza e dell'energia
costituisce la prima delle soluzioni possibili del
Filioque alla luce della tradizione orientale.
Essa pone la distinzione-identità dello Spirito
(tò Pneuma, con l'articolo) in quanto Ipostasi,
e dello Spirito (Pneuma, senza articolo) in
quanto energia. A livello dell'essenza comune,
lo Spirito in quanto Ipostasi procede dal Padre
solo, benché congiuntamente con il Figlio sul
quale egli riposa. In quanto energia divina, in-
segna Palamas, « lo Spirito si diffonde a partire
dal Padre per il Figlio e, se si vuole, dal Fi-
glio» 70 . La soluzione consiste dunque nella
distinzione dell'Ipostasi dello Spirito Santo e
dell'energia eh' essa manifesta ex Patre Filioque.
70
Citato da J. MEYENDORFF,Introduction à l'étude de Grégoire Pa-
lamas, p . 315.
80
di analogia ed escludeva le immagini, che se-
condo lui non erano mai adeguate ai misteri di
Dio e più che illuminare confondevano . Ora ,
S. Agostino si serve dell'analogia; essendo lo
Spirito l'amore reciproco del Padre e del Fi-
glio, « egli è, quale che sia, qualcosa di comune
al Padre e al Figlio » 71 • S. Tommaso sviluppò
questa visione: il Verbo procede per modo
d'attività intellettuale; l'amore viene dalla co-
noscenza, non si ama se non ciò che si conosce,
ed è per questo che lo Spirito procede nello
stesso tempo dal Padre e dalla sua conoscenza
che è il Verbo. Questo metodo di comprendere
la generazione per modum intellectus e la pro-
cessione per modum voluntatis o amoris, come
il suo stesso antropomorfismo , sono estranei
all'Oriente, poiché essi rischiano d'introdurre
la filosofia e la psicologia all'interno della vita
divina.
La dottrina della processione ipostatica del-
lo Spirito Santo a Patre Filioque, tamquam ab
uno principio e dall'altra parte èk m6nou toù
Patr6s con la formula intermedia dià Utoit o per
Filium ci mettono in presenza di due soluzioni
differenti del problema della diversità ipostati-
ca nella Trinità , e, di conseguenza, di due tria-
dologie rette da principi diversi.
Per l'Oriente, il Filioque rompe prima di
tutto l'equilibrio trinitario e sminuisce l'ugua-
glianza perfetta delle Tre Persone della Trinità.
71 TINO, De Tn ·nitate, 6, 5: PL 42, 928.
AGOS
81
6. Lo Spirito Santo ...
Esso intacca la monarchia assoluta del Padre,
spostando il principio dell'unità trinitaria dal-
l'Ipostasi del Padre verso la natura; in effetti, il
Padre e il Figlio si uniscono in una comune
natura per formare un solo principio spiratore,
ciò che trasforma le due Persone in una imper-
sonale deità-sostanza, matrice e fonte di spira-
zione.
La monade trina in questo caso si irradia in
due diadi: da un lato il Padre e il Figlio e dal-
1'altro il Padre e il Figlio confusi e lo Spirito
Santo. La riduzione delle Persone alla relazio-
ne d'opposizione fa vedere nel Figlio la deità
sminuita della facoltà di generare (solo il Padre
la possiede), e nello Spirito Santo la deità smi-
nuita della facoltà di generare e della virtù spi-
rativa (solo il Padre e il Figlio la possiedono in
comune). Così lo Spirito Santo si trova solo a
non aver niente in comune come ipostasi con
un'altra Persona della Trinità. Si comprende
allora Duns Scoto che si domanda come « lo
Spirito di vita » possa essere « una persona ste-
rile». L'Oriente risponde: è il risultato della
sostituzione alla nozione positiva della comu-
nione nella diversità, di quella, negativa, d' op-
posizione di relazioni d'origine.
La processione ab utroque presuppone che
le relazioni siano nello stesso tempo i fonda-
menti delle Ipostasi che si definiscono intera-
mente per opposizione reciproca: innanzitutto
la Prima alla Seconda e poi, le due insieme, alla
Terza; e ciò è logico, poiché una relazione
82
d'opposizione non può essere stabilita che fra
due termini. Per l'Oriente, una simile opposi-
zione significa la preminenza dell'unità natura-
le, dell'essenza, sulle Ipostasi. Teologo cattoli-
co, il P. de Régnon, nella sua opera già citata,
lo dimostra chiaramente: la dottrina del Filio-
que, dice egli, « suppone che nell'ordine dei
concetti la natura sia anteriore alla persona, e
che la persona si mostri come una specie di
fioritura della natura... Il latino considera la
persona come un modo della natura, il greco la
natura come il contenuto della persona ».
In effetti, per l'Oriente le « relazioni d'ori-
gine » esprimono la diversità delle Persone. Le
relazioni non fondano le Persone, poiché è la
loro diversità che determina le loro relazioni e
non il contrario. I Padri greci hanno distinto
tra gnorfsmata (proprietà delle Persone divine)
e skésis (relazioni); gli gnorismata non si la-
sciano affatto ridurre alle sole relazioni poste
dall'operazione originante; le relazioni d'origi-
ne permettono di designare le Persone divine
nella loro diversità, esse non spiegano affatto
che cosa sono le Ipostasi (l'aspetto profonda-
mente apofatico) ma sottolineano l'unicità as-
soluta di ciascuna: la Tri-unità degli Unici. La
monarchia del Padre fa vedere in Lui la fonte e
anche la causa, ma questa non è una nozione
fìlosofìca, ma piuttosto una immagine descrit-
tiva, poiché la causa qui non è anteriore ·agli
effetti e gli effetti sono uguali in dignità alla
causa. I Padri greci non impiegano mai il ter-
83
mine « causa » applicandolo al Figlio, come
non impiegano mai il verbo « procedere » e il
sostantivo « processione » a proposito del Fi-
glio in quanto principio da cui procederebbe lo
Spirito. L'identità-consustanzialità non è onto-
logicamente né anteriore né posteriore alla di-
versità: « Dio è identicamente monade e tria-
de», dice S. Massimo il Confessore.
Noi abbiamo già veduto che la prima solu-
zione possibile del Filioque risaliva alla distin-
zione tra l'esistenza ipostatica dello Spirito
Santo procedente dal Padre solo e il suo irra-
diamento « per » il Figlio e anche « dal » Fi-
glio. È la distinzione tra l'essenza e le energie,
ed anche la differenza tra i due modi: quello
della sussistenza delle Ipostasi e quello della
manifestazione. S. Basilio lo sottolinea: « La
nozione caratteristica della proprietà personale
dello Spirito è quella di essere manifestato
dopo il Figlio e con lui, ma di sussistere proce-
dendo dal Padre». Tutto il suo sforzo è quello
di passare dalla dossologia energetica « Gloria
al Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo » alla
dossologia della trascendenza: « Gloria al Pa-
dre, al Figlio e allo Spirito Santo ».
L'irrigidimento polemico della teologia,
dopo l'insuccesso dei Concili di Lione e di Fi-
renze, chiude l'Occidente alla nozione delle
energie per il timore di alterare la semplicità
divina; al di fuori dell'essenza divina non vi
sono che effetti creati. Si può sperare che l'Oc-
cidente aumenti il suo sforzo per cessare di
84
considerare la teologia bizantina e il palamismo
come una innovazione equivoca e per riscopri-
re l'antica tradizione patristica, che non manca
affatto di testimoni autorizzati; per fortuna,
questo sforzo si delinea nettamente oggi. Dopo
il Concilio Vaticano II, l'Oriente e l'Occidente
debbono ricercare insieme una nuova formula-
zione teologica, capace di sintetizzare le vere
intuizioni delle due parti.
In Oriente invece, certi teologi moderni ir-
rigidiscono le loro posizioni con una polemica
troppo spinta. Per Vladimir Lossky, ad esem-
pio, il Filioque è il punto più importante della
divergenza dottrinale tra l'Oriente e l'Occiden-
te: esso si erge in impedimentum dirimens sulla
via della conciliazione dogmatica. D'altra parte,
i manuali classici di dogmatica semplificano il
problema, affermando che la sola ragion d'esse-
re del Filioque occidentale è la confusione della
processione eterna dello Spirito con la sua mis-
sione terrestre. La formula orientale dià Ufou,
per Filium, si spiega in funzione dell'ordine nel
quale sono nominate le Tre Persone: il Figlio
occupa il secondo posto e appare come un prin-
cipio intermedio fra il Padre e lo Spirito.
Su un piano oggettivo, anche se la domi-
nante dogmatica esclude il Filioque nella sua
interpretazione latina, bisogna riconoscere l' e-
sistenza di alcuni testi patristici, molto poco
numerosi, è vero, ma che presentano una certa
difficoltà ed esigono una spiegazione. Così in
S. Gregorio di Nissa: « Il Figlio è generato
85
immediatamente dalla Prima Persona del Pa-
dre, poiché la Terza Persona, a sua volta, pro-
cede da quella che è immediatamente dalla
Prima, cioè dal Figlio». Egli utilizza anche
l'immagine delle fiaccole: « Come se qualcuno,
vedendo la fiamma divisa in tre fiaccole, sup-
ponesse che la causa del terzo fuoco sia il pri-
mo, che accese il più lontano per trasmissione
dell'intermedio» 72 • È evidente che si tratta in
questi testi della vita intradivina e non della
missione terrestre; dei testi isolati, tuttavia, non
sono mai decisivi quando si ha a che fare con
un mistero e quando si è ai primissimi inizi di
una riflessione teologica. La visione equilibrata
è al termine della riflessione totale e bisogna
citare quell'altro testo di S. Gregorio:« Adamo
ingenerato è l'immagine del Padre; suo figlio
generato è l'immagine del Figlio; Eva, che è
proceduta, significa l'Ipostasi dello Spirito
Santo » 73 • Come Eva è proceduta da Adamo
senza mediazione di suo figlio, così lo Spirito
procede dal Padre senza la mediazione del Fi-
glio. Allo stesso modo, noi leggiamo presso
Epifanio, da una parte, che lo Spirito è « lo
Spirito dei Due », cioè del Padre e del Figlio, e
in un altro testo che si riferisce alla missione
terrestre: « Lo Spirito procede dal Padre e ri-
72 GREGORIO DI NISSA, Quod non sint tres Dzi: PG 45, 133; Contra
Eunomium Liber I: PG 45, 369 A; Adversus Macedonianos, 6: PG 45,
1308.
73 IDEM, De eo, quid sit, ad imaginem Dei et ad similitudinem, PG
44, 1329 D.
86
ceve dal Figlio » 74 , e infine quell'altra espres-
sione perfettamente chiara: « Figlio generato
dal Padre e Spirito proveniente dal Padre » 75 •
La differenza fra l'Oriente e l'Occidente
non è nel principio formale della monarchia, ma
nella natura dell'unità del Padre e del Figlio. S.
Giovanni Damasceno, seguendo Gregorio di
Nissa e Massimo il Confessore, ha ben chiara-
mente formulato la tradizione orientale: la ge-
nerazione è un atto ipostatico 76 e solo l'Ipostasi
del Padre è produttiva e generatrice. La formula
per Filium, come mostra l'impiego della prepo-
sizione dià, in relazione con la Trinità trascen-
dente, non può comprendersi sostanzialmente,
poiché i Padri chiamano Dio Padre « Causa
unica», « Fonte unica», « Principio unico» e
che non è mai composto.S. Gregorio di Nazian-
zo lo precisa bene: « Il Padre è l'unione da cui
provengono e dove vanno gli altri» 77 . È la
visione evangelica vissuta nella liturgia e confes-
sata nelle formule battesimali e nei simboli di
fede; i testi rari e isolati favorevoli al Filioque
vengono da una speculazione metafisica sulla
categoria causale senza contatto con i dati bibli-
ci e liturgici.
74 EPIFANI0,Ancoratus,70: PG 43, 148; Panarion, 74: PG 42,480,
496.
75 IDEM, Panarion, 74: PG 42, 497.
76 La formula occidentale ex utroque deriva dall'idea della prove-
nienza come actus substantiae ex substantia. Essendo la sostanza la
natura totale della Trinità, ciascuna lp6stasi parteciperebbe in questo
caso alla sua propria origine. È per questo che la nascita e la processio-
ne, per l'Oriente, non possono esistere che a livello ipostatico.
77 GREGORIO DI NAZIANZO, Orationes, Or. 32, 15: PG 36, 476.
87
5. Ricerca della prospettiva comune
88
della processione dello Spirito Santo, in quanto
tale, non si è mai posta ai Padri. La processio-
ne, distinta dalla generazione, considerata
come un mistero ineffabile, è significata soltan-
to, senza alcuna spiegazione, che sarebbe del
resto impossibile. Considerare la generazione e
la processione come duae processiones è un'a-
strazione arbitraria, poiché esse non possono
esser « connumerate » in alcun modo come
due; la natura della processione non ha alcuna
analogia e rimane coperta da un silenzio apofa-
tico.
Già l'articolo VIII del Credo di Nicea-Co-
stantinopoli: « E nello Spirito Santo, Signore,
che dà la vita, che procede dal Padre, che con
il Padre e il Figlio è adorato e glorificato»,
mostra una certa insufficienza della definizio-
ne, il suo stato incompleto. Lo Spirito è de-
nominato «Signore», non Dio e consustan-
ziale. La formula liturgica « adorato » e « glo-
rificato » non dà precisazioni teologiche suffi-
cienti: essa è condizionata dai bisogni dell' e-
poca: occorreva rigettare il subordinazionismo
e affermare l'uguaglianza della terza Ipostasi
con il Padre e il Figlio: « adorato e glorificato
con essi ».
Evitando ogni formulazione diadica, la pa-
tristica orientale stabilisce le correlazioni sempre
trinitarie delle Persone divine. È per questo che
la teologia dello Spirito Santo non è limitata
alla sua relazione al Padre, ma si estende alla
sua relazione al Figlio. Tutti questi elementi
89
dottrinali si compenetrano e non è facile di-
stinguerli chiaramente.
I testi evangelici sulla processione dal Pa-
dre non sono limitativi. La relazione dello Spi-
rito Santo al Figlio si pone imperiosamente, ma
i tentativi di precisarla hanno dato i due « theo-
logoumena » orientale e occidentale designati
dalle espressioni dià eque. Con la dogmatizza-
zione del Filioque in Occidente, il punto più
delicato e misterioso venne immerso nella tor-
menta politica e polemica.
Bisognerà, finalmente, superare questo sta-
to passionale e, riferendosi ali'espressione: « È
parso bene allo Spirito Santo e a noi », riconsi-
derare insieme quel che si nasconde al centro
stesso di una certa imprecisione dogmatica: i
rapporti reciproci tra il Figlio e lo Spirito.
L'inclinazione cristocentrica mette in rilie-
vo la diade del Padre e del Figlio con al centro
l'opera della Redenzione, in cui la Pentecoste
non è che una conseguenza dell'Incarnazione.
Lo Spirito appare vicario del Cristo e la sua
azione ipostatica si riduce ali' azione imperso-
nale della grazia santificante.
Ora, la formula orientale per Filium e quel-
la del Credo « adorato e glorificato con il Padre
e il Figlio » pongono la processione dello Spiri-
to alla luce della partecipazione del Figlio e
sottolineano quindi il carattere profondamente
triplice di tutte le relazioni delle Persone divi-
ne. La formula èk m6nou toù Patr6s e il suo
opposto, il Filioque, sono ambedue unilaterali
90
e misconoscono questo carattere ternario delle
relazioni.
Tutta la difficoltà, che rompe l'equilibrio e
falsa la prospettiva trinitaria corretta, viene dal-
la concezione della generazione e della proces-
sione come risultato di produzione, di origine e
di dipendenza causale. Ora, sul piano delle re-
lazioni reciproche, le Persone divine sono iper-
causali poiché « senza principio » e dunque
senza causa nel senso tecnico e logico di questo
termine, che non si può assolutamente applica-
re alla vita intradivina senza sfiorare immedia-
tamente la dialettica del subordinazionìsmo,
dell'arianesimo e dei gineprai eterodossi 78 •
La dialettica causale deve lasciar posto alla
dialettica della Rivelazione del Padre per il Fi-
glio nello Spirito Santo, a un sistema di rela-
zione triplice dell'Amore trinitario. La monar~
chia del Padre significa che egli è il Soggetto
della Rivelazione poiché è lui che assicura l'u-
nità, la consustanzialità e l'uguaglianza perfetta
delle Tre Persone divine, in quanto Fonte e
Principio della vita divina. Non si tratta affatto
di relazioni tra il Padre e Una delle Due Perso-
ne, ma delle relazioni di Colui che si rivela e di
78 Anche sul piano causale la formula « per il Figlio » non è identi-
91
Coloro che lo rivelano. È qui che la formula per
Filium significa e spiega che il Filioque non può
essere ortodosso se non con l'essere equilibrato
dalla formula corrispondente dello Spirituque.
Il senso di queste due formule sta nell' af-
fermazione che ogni Persona deve essere con-
templata simultaneamente nelle sue relazioni
con le altre Due. Così, il Figlio nella sua gene-
- razione riceve dal Padre lo Spirito Santo, e
perciò nel suo essere è eternamente inseparabi-
le dallo Spirito Santo; egli è nato ex Patre Spiri-
tuque. Allo stesso modo , lo Spirito Santo pro-
cede dal Padre e riposa sul Figlio, ciò che cor-
risponde a per Filium e a ex Patre Filioque. Si
trova allora que, per o dià, ovunque si posa la
relazione interipostatica, sempre trina. Il Padre
genera il Figlio con la partecipazione dello Spi-
rito Santo e spira lo Spirito con la partecipa-
zione del Figlio, ed anche la sua innascibilità
comporta la partecipazione del Figlio e dello
Spirito Santo, che ne rendono testimonianza
provenendo da lui come dalla loro unica Fon-
te. Ma queste relazioni non sono affatto di pro-
duzione ma di correlazione fra Colui che si rive-
la e Coloro che lo rivelano, l'atto trino dell'A-
more reciproco dei Tre. Lo Spirito non è ridot-
to allo "strumentale" dell'Amore fra il Padre e
il Figlio, ma è colui che attualizza l'Amore in
cui i Tre si compiacciono. Questa partecipa-
zione reciproca e trina esclude ogni unità dia-
dica nella natura, poiché la più costante affer-
mazione dei Padri orientali pone l'innascibilità,
92
la generazione e la processione come degli atti
strettamente ipostatici.
Commentando i testi di Isaia 48,16; 41,1 e
di Luca 4, 18, che parlano dello Spirito del Si-
gnore il quale invia il Messia, i Padri giungono
al punto di affermare che il Figlio è stato invia-
to al mondo dal Padre e dallo Spirito. S. Ago-
stino dice: « Non pensiamo che il Figlio sia
stato inviato dal Padre in modo tale da non
essere stato inviato anche dallo Spirito San-
to» 79 ; e parimenti S. Ambrogio: « Il Padre
con lo Spirito inviano il Figlio: allo stesso
modo, il Padre con il Figlio inviano lo Spiri-
to » 80 • La relazione trina è manifestamente
sottolineata da quella patristica occidentale:
« Se il Figlio e lo Spirito, dice ancora S. Am-
brogio, si inviano mutuamente e reciproca-
mente, come il Padre li invia, ciò è dovuto alla
loro comunità consustanziale ». E ancora: « Là
dove è segnalata un'attività del Padre, o del
Figlio, o dello Spirito Santo, essa si riferisce
non soltanto allo Spirito, ma anche al Padre e
al Figlio, come si riferisce non soltanto al Pa-
dre, ma anche al Figlio e allo Spirito ». Questa
testimonianza, che viene dall'Occidente, con-
corda perfettamente con la testimonianza di S.
Giovanni Damasceno: « Lo Spirito è una po-
tenza rivelatrice del Padre, procedente dal Pa-
dre attraverso il Figlio; lo Spirito è lo Spirito
79
AGOSTINO, Contra Maximum Arianorum Episcopum, 2, 20: PL
42, 790.
so AMBROGIO, De Spiritu Sancta, 3, 1: PL 16, 811-812.
93
del Figlio, non in quanto veniente da lui, ma in
quanto procedente dal Padre attraverso di lui.
La sola fonte è il Padre» 81 . Cfr. ancora Gio-
vanni Damasceno 82 .
L'espressione: « Mio Padre è più grande di
me» non rompe l'uguaglianza ma mostra il
Padre come l'alfa e l'omega del movimento
eterno e al di fuori dunque di ogni categoria
logica di causalità o di produzione. Non esiste
nella Trinità alcun processo di divenire. La
natura e le Ipostasi possiedono ontologicamen-
te una equi-divinità eterna, ed è questo il senso
dell'espressione « senza principio». Se Dio
non diviene Padre che al termine delle sue
produzioni, c'è in un tal fatto del subordina-
zianismo raffinato, poiché in questo caso il
Principio non è il Padre ma la Deitas, principio
impersonale, pre-ipostatico, Unus Deus, oppu-
re una sostanza, una divinitas: Dio diviene
Padre nella generazione del suo Figlio. La Dei-
tas, in questo caso, precederebbe logicamente
l'apparizione delle Ipostasi, e ciò contraddi-
rebbe la monarchia del Padre. Ora, la Trinità è
la rivelazione dell'Amore trinitario, della vita di
ciascuna delle Persone nelle altre, « l'unità non
per confondersi, ma per contenersi l'una l'al-
tra » 83 , e nello stesso tempo la vita di un solo
Soggetto tri-uno.
81 GIOVANNI DAMASCENO, De fide orthodoxa, 1, 12: PG 94, 849,
821; 1, 8: 833.
82 IDEM, De Hymno Trisagio Epistola, 28: PG 95, 60.
83 IDEM,De fide orthodoxa, 1, 8: PG 94, 829 B.
94
B. Bolotov, storico imparziale e teologo,
ha preso parte agli incontri con i Vecchi-catto-
lici a Bonn 84 . Dopo un'analisi molto accurata
dei testi patristici, egli ha dichiarato che il Fi-
lioque non costituisce affatto un impedimen-
tum dirimens per un accordo dogmatico. Si
tratta per lui di due theologoumena riguardo
alla processione dello Spirito Santo; ma egli
nega categoricamente il carattere causale della
partecipazione del Figlio nella processione
dello Spirito.
Oggi, mentre ritroviamo la teologia dei
Padri e cerchiamo una sintesi neopatristica,
bisogna superare la nozione di causa, di dipen-
denza causale, che presenta un antropomorfi-
smo inapplicabile al mistero di Dio e non trova
alcun riferimento nelle Scritture. Nessuna pro-
duzione causale può aver luogo nell'eternità .
Se certi Padri hanno impiegato questo termine,
era unicamente per designare il principio mo-
narchico del Padre e in modo puramente de-
scrittivo; il Padre è radice, fonte, principio,
causa, ma essi si arrestano qui, presi dalla con-
templazione apofatica. L'interpretazione stret-
tamente causale è postpatristica, è una teologia
antifìlioquista polemica. Presso i Padri, prima
del IX secolo, la processione dello Spirito si
95
pone in un contesto dogmatico assai ampio
dell'unità e delle correlazioni sempre ternarie
delle Ipostasi. « Che procede dal Padre» si-
gnifìca prima di tutto l' equi-divinità in connes-
sione con realtà diverse da una semplice causa-
lità, poiché le Ipostasi non procedono nel sen-
so metafisico, ma esistono di primo acchito e
senza principio. La « processione » presso i
Padri ha chiaramente l'aspetto apofatico. La
Trinità esiste di primo acchito come tre centri
ipostatici del Soggetto tri-unico. L'innascibili-
tà, la nascita e la processione non producono
Ipostasi come una causa i suoi effetti. La pre-
minenza dell'Esistente sull'Essenza permette di
vedervi un solo atto tri-unico a tre espressioni,
dell'Amore mutuo « senza principio » e « sen-
za fine » esteso sull'eternità. Nessuna Persona
è « prodotta » da un'altra ma ciascuna si de-
termina da se stessa e nello stesso tempo dalle
altre, e si qualifica come Padre, Figlio e Spirito
Santo. Secondo Giacomo 1,17, nella Trinità
« non vi è né cambiamento, né ombra di varia-
zione»; nessuna dialettica di divenire o di
apparizione trova qui posto. La logica è supe-
rata da un terzo « escluso » tra i due giudizi
contraddittori.
Ciascuna Ipostasi si appropria la natura
tutta intera: essa è il modo personale della sua
possessione. Questo principio, assai fermo in
Oriente, esclude ogni fusione di due Ipostasi
nella stessa natura. La sola possibilità che ri-
mane è la fusione di due modi di possessione
96
della natura, ma sarebbe questa la fusione di
due Ipostasi, assolutamente impensabile.
Bolotov impiega il termine assai illuminan-
te di condizione: il Figlio è la condizione trinita-
ria della spirazione dello Spirito Santo dal Pa-
dre, lo Spirito Santo è la condizione trinitaria
della generazione del Figlio dal Padre. L'inna-
scibilità, la generazione e la processione sono,
senza confusione né separazione, un solo atto
tri-uno di Rivelazione, con la partecipazione
simultanea e reciproca dei Tre.
*
I Padri, nella loro pneumatologia, dànno
delle immagini descrittive, donde la diversità
delle espressioni e degli accostamenti del mi-
stero. È lo stadio predogmatico dei theologou-
mena. Ci si è trovati di fronte a una evidenza
che non ha ricevuto definizione dogmatica suf-
ficiente al tempo dei Concili Ecumenici. Più
tardi, sotto l'influsso del pensiero scolastico, la
questione della processione Iu soppiantata,
presso certi teologi, da quella della produzio-
ne. La più profonda tradizione della Chiesa
conservava una discreta imprecisione dogmati-
ca: non esiste in Oriente alcun dogma preciso
sul modo della processione dello Spirito Santo.
Secondo Bolotov, ilFilioque non è un osta-
colo per l'unione delle Chiese; ciò vuol dire
che il « Filioque » è una opinione fra le altre,
ma non è affatto un'eresia, a condizione di
97
7 Lo Spirito Santo ...
dedogmatizzarlo. L'Oriente non lo accetta nel-
la sua formulazione latina, ma la via è aperta
per riflettere insieme su una nuova formulazio-
ne capace di trovare un accordo tra l'Oriente e
l'Occidente. Se si riuscirà a superare la falsa
problematica di produzione e di causalità, le
differenti formule appariranno non come con-
traddittorie ma come complementari.
La formula foziana « dal Padre solo »
esprime la correlazione fondamentale tra l'Ipo-
stasi del Padre che si rivela e l'Ipostasi dello
Spirito che la rivela, ma è evidente che alla luce
del dogma trinitario nella sua totalità una tale
formula non ha alcun senso limitativo e ri-
chiama un'altra correlazione tra il Figlio e lo
Spirito Santo, le due Ipostasi rivelatrici. La re-
lazione al Padre include la relazione fra le altre
due Ipostasi; al di là della nozione di produ-
zione, sono le differenti immagini descrittive
della definizione trinitaria dello Spirito e del
Figlio.
Si può per il momento avanzare l'idea che
partendo dalla patristica ogni concezione della
processione come produzione causale è al di
qua del dogma futuro da definire insieme. È
necessario ammettere che per le relazioni tra il
Figlio e lo Spirito, non esistono che delle ipote-
si dogmatiche. In Occidente l'addizione del
Filioque al Credo è divenuta una tradizione li-
turgica millenaria, ma sia da parte orientale sia
da parte occidentale non si può praticamente
scoprire, nonostante il disaccordo teologico,
98
alcuna differenza nell'adorazione dello Spirito
Santo. La mancanza di conseguenze pratiche
indica una insufficienza dogmatica delle for-
mule opposte. Lo Spirito Santo, che « iposta-
tizza » l'Amore mutuo della Trinità, si è trova-
to immerso in un'atmosfera di scisma attivo,
privo di ogni carità reciproca, e proprio per
questo la controversia era votata alla sterilità. Il
dibattito dogmatico dei teologi sullo Spirito
Santo ha manifestato una mancanza flagrante
di Spirito: ed è questo il più grande paradosso
della storia!
*
La monarchia orientale vuol dire che nel
mistero della Trinità uno solo è centro e ogget-
to della Rivelazione, il Padre, e che è su di Lui
che si orientano le Ipostasi rivelatrici, il Figlio e
lo Spirito. Queste si distinguono come degli
aspetti differenti e personali di questa stessa
rivelazione: Verbo e Spirito. (Si può dire con il
P. Sergio Boulgakov che il soggetto, il predica-
to e la copula, formano la pienezza espressiva
del mistero).
È impossibile concepire l'Ipostasi senza le
altre ed è questa verità che il Filioquelatino e il
per Filium orientale esprimono, ciascuno a suo
modo, al punto da poter dire che l' « essere »
delle Ipostasi rivelatrici dipende dal Padre, ma
anche dall'altra Ipostasi co-rivelatrice. Il Figlio
nella sua generazione riceve dal Padre lo Spiri-
99
to che riposa su di lui in una coesistenza inse-
parabile, ed è in questo senso che si può dire ex
Patre Spirituque . Allo stesso modo, lo Spirito
procede dal Padre andando sul Figlio ed è il
Filioque nello stesso senso. Il que non si riferi-
sce soltanto alla relazione d'origine ma inter-
viene ovunque si deve esprimere la definizione
trinitaria di ciascuna Ipostasi.
Se Duns Scoto chiede come solo lo Spirito
di Vita possa essere sterile, S. Anselmo, al
Concilio di Bari, pone la domanda: « Non si
potrebbe opporre il Figlio all'unità del Padre e
dello Spirito? ». Ecco una ipotesi occidentale
che reca in germe la stessa ipotesi orientale che
noi abbiamo cercato di presentare qui.
Si può aggiungere ancora un argomento
tratto dall'economia della salvezza, poiché nel-
lo Spirito dei Padri una certa analogia tra la
vita intradivina e la missione terrestre non è
esclusa. Lo Spirito Santo manifesta visibilmen-
te una funzione «generatrice». Secondo il
Credo, il Cristo è « nato dallo Spirito Santo »;
è lo Spirito che genera Gesù nelle anime dei
battezzati, e al momento dell'Epifania lo Spiri-
to discende sul Figlio sotto forma di una co-
lomba, ed è ancora lui che è il soffio del parto
al momento _incui il Padre dice: « Oggi io ti ho
generato». E anche per questo che la verginale
maternità della "Theot6kosn è considerata
come una figura dello Spirito Santo.
Non si tratta affatto di intaccare il testo del
Credo; lo si può tuttavia circondare di un
100
commento teologico affinché esso possa essere
professato con un sol cuore e un'anima sola
dall'Oriente e dall'Occidente riconciliati.
Se si riesce a eliminare l'unità del Padre e
del Figlio nella natura, poiché solo l'Ipostasi
del Padre è generatrice, e se si accetta il carat-
tere ternario di tutte le relazioni intradivine, si
può, accanto alla formula per Filium, porre la
formula per Spiritum, e si può andare anche più
lontano e vedere nel Figlio e nello Spirito i
testimoni della monarchia del Padre, dicendo
insieme che in questa qualità essi condizionano
l'innascibilità del Padre. Lo Spirito Santo infat-
ti è, secondo S. Gregorio Palamas, l'amore
mutuo dei Tre, ipostatizzato, e per questo« la
gioia eterna ... in cui essi (tutti e Tre) s1 com-
piacciono insieme» .
101
PARTE SECONDA
1. Il dogma trinitario
105
intera» e che è giustamente quella della Trini-
tà divina. Lo Spirito Santo la rivela; ancor di
più, l'ufficio della domenica canta: « Lo Spiri-
to vivifica le anime... egli fa misteriosamente
risplendere in esse la natura una della Trini-
tà» 2 ; egli rivela l'essere umano, creato ad
immagine di Dio, come una icona vivente del-
la Trinità.
In accordo con questa visione, nella ricor-
renza della festa di Pentecoste la Chiesa orien-
tale celebra la domenica la Trinità, mentre allo
Spirito Santo è consacrato il lunedì successivo.
Si comincia con l'opera dello Spirito, cioè, la
rivelazione della Trinità e soltanto il giorno
dopo si festeggia Colui che la rivela. Durante la
liturgia l'icona della Trinità è solennemente
esposta in mezzo al tempio, e questo gesto li-
turgico comporta un profondo significato mi-
stagogico: guardando l'icona della Trinità, i
fedeli vi contemplano la Chiesa assoluta delle
Tre Persone divine, il loro Consiglio o Concilio
eterno. Come ogni icona anche questa « è
l'immagine conduttrice» che si pone quale
Archetipo della Chiesa terrestre degli uomini e
si erige in tal modo a norma spirituale dell'esi-
stenza umana.
In effetti, è perfettamente evidente che fra
l'Essere trinitario, il Pléroma, e l'assenza del-
l'essere, il niente, non esiste alcun terzo termi-
ne, non esiste alcuna terza soluzione tollerabi-
2 L'antifona del quarto tono.
106
le 3 • Si comprende allora l'insistenza presso i
Padri, come ad esempio in Basilio: « L'uomo
ha ricevuto l'ordine di divenire Dio secondo la
grazia » 4 , e così in Gregorio di Nissa: « Il cri-
stianesimo è una imitazione della natura divi-
na » 5 • Allo stesso modo, il canone 34 delle
Regole Apostoliche precisa la norma costitutiva
della Chiesa: « Affinché (nella sua struttura) il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano glorifi-
cati». Il dogma della Trinità fonda l'economia
ecclesiologica, la sua « cattolicità » o la sua
« sobornost »: l'unità delle molteplici persone
umane nella natura una ricapitolata in Cristo,
« comunità dell'amore mutuo » 6 ad immagine
dell'amore trinitario. Per gli slavofili il valore
del pensiero filosofico dipende prima di tutto
dal concetto che si ha della Trinità. Karl Barth,
nel IV volume della sua Dogmatica, nota pro-
fondamente: « Se si nega la Trinità, si ha un
Dio senza bellezza».
L'equilibrio trinitario lo si coglie chiara-
mente dalla preghiera del vescovo per i cresi-
mandi: « O Dio, ségnali del sigillo del crisma
immacolato; essi porteranno nel loro cuore il
Cristo, per essere dimora trinitaria ». I fedeli,
suggellati dai doni dello Spirito Santo, diven-
3 È l'idea centrale dell'opera di P. FLORENSKY, Colonna e Afferma-
107
gono quindi crist6fori (portatori del Cristo), al
fine di essere templi ripieni della Trinità.
Alla luce di questa pienezza i Padri preci-
sano la partecipazione delle Tre Persone divine
all'economia della salvezza, secondo i modi
propri a ciascuna.
2. Il Figlio
108
e della guarigione. II sostantivo yéchà, salvezza,
designa la liberazione integrale con al termine
la pace, shalòm. Nel Nuovo Testamento, sote-
ria, in greco, viene dal verbo s6zo; l'aggettivo
sos corrisponde al sanus latino e indica che è
resa la salute a colui che l'aveva perduta, che
egli è salvato dalla morte, fine naturale di ogni
malattia; sotérios è colui che annuncia la guari-
gione, che salva. È per questo che nell'Evange-
lo l'espressione: « La tua fede ti ha salvata »
(Mt 9,22; Mr 5,34; Le 7,50) significa: « La tua
fede ti ha guarita», essendo i due termini sino-
nimi dello stesso atto di perdono divino, atto
che guarisce l'anima e il corpo nella loro stessa
unità. In accordo con questa nozione, il sacra-
mento della riconciliazione (confessione) è
concepito come « clinica medica» e l'eucari-
stia è chiamata da S. Ignazio d'Antiochia
pharmacon athanasias, rimedio d'immortalità.
Il Salvatore Gesù appare così « Guaritore
divino, Generatore della salute », dicendo:
« Non i sani han bisogno del medico, ma i
malati» (Mr 2,17). La salvezza opera l'elimina-
zione universale del germe della corruzione:
« Per mezzo della morte, egli ha vinto la mor-
te», canta la Chiesa la notte di Pasqua. « Per
mezzo di lui, dice S. Gregorio di Nazianzo,
l'integrità, la salute della nostra natura è re-
staurata », poiché « Gesù rappresenta in ar-
chetipo quello che noi siamo» 7 . S. Giovanni
7 GREGOR10 DI NAZIANZO, Orationes, Or. 1, 2: PG 35, 398.
109
Damasceno conclude: « La salvezza è il ritorno
da ciò che è contrario alla natura verso quello
che le è proprio » 8 , il ritorno quindi verso il
suo stato normativo che è il corpo cristificato,
verbificato: la Chiesa, in quanto « la pienezza
di colui che si realizza interamente in tutte le
cose » (Ef 1,23).
La presenza del Cristo in ogni essere sarà
rivelata al momento della Parusia (Mt 25,
40-44), ma essa fa già dì tutti e di ciascuno
dei membri del Cristo. L'iscrizione su di un
vaso contenente i resti dei martiri: In isto
vaso sancta congregantur membra Christi (in
questo vaso sacro sono riunite le membra del
Cristo), illustra il realismo della concezione
biblica del "corpo". Questo termine « cor-
po » è del resto di origine nettamente eucari-
stica (1Cor 10, 17) e il Cristo ne è il Capo nel
senso più forte di principio d'integrazione.
Le membra si integrano in un organismo in
cui scorre la vita di Dio negli uomini; « ma il
Capo sarà colmato soltanto quando il corpo
sarà reso perfetto, quando noi saremo tutti
ca-uniti e legati insieme», dice S. Giovanni
Crisostomo 9 • Grazie all'estensione dell'In-
carnazione, il Cristo Dio-Uomo passa al Cri-
sto-Dio-Umanità, Chiesa.
« Il totus Christus è lui e noi », afferma S.
Agostino 10 , ed è nell'eucaristia che la Chiesa è
8 GIOVANNI DAMASCENO, De fide orthodoxa, 2, 30: PG 94, 976.
9 GIOVANNI CRISOSTOMO, In Ephesios, hom. 3: PG 62, 29.
10 AGOSTINO, In II Cor., hom. 8.
110
una e manifestamente Cristo: « Tra il corpo e il
capo non vi è posto per nessun intervallo; il
minimo intervallo ci farebbe morire », dice il
Crisostomo 11 . Al momento del « bacio di
pace » si canta: « La Chiesa è divenuta un sol
corpo ... l'inimicizia è stata allontanata e la cari-
tà è penetrata ovunque». « Se qualcuno guar-
da la Chiesa, guarda veramente il Cristo», af-
ferma S. Gregorio di Nissa 12 . Ciò significa che
i cristiani, nel mistero ancora nascosto della
fede, non soltanto sono uniti fra loro ma sono
uno in Cristo. Così, l' « unità dei fratelli » di cui
parlano gli Atti presenta un'autentica cristo/a-
nta, il Cristo visibile e manifestato. Nota Ori-
gene: « È soltanto nella comunità dei fedeli che
il Figlio di Dio può essere trovato, e ciò perché
egli non vive se non in mezzo a coloro che sono
uniti» 13 .
Il mistero della Chiesa è quello di essere
nello stesso tempo « la Chiesa dei penitenti, di
coloro che periscono» (S. Efrem), e la com-
munio sanctorum, la comunione dei peccatori
alle cose sante, la loro partecipazione deifican-
te al « solo Santo », Gesù Cristo. L'unità tean-
drica, divino-umana, del corpo e la cristologia
postulano la pneumatologia: la costituzione
delle ipostasi umane, affinché esse riuniscano
in sé la grazia increata alla natura creata nello
11 GIOVANNI CRISOSTOMO, In ]oannem homiliae: PG 59 .
12 GREGORIO DI NISSA, In Cantica Canticorum, hom. 13: PG 44,
1048 C.
13 ORIGE NE, Commentan·um in Matthaeum , 1: PG 13, 1188.
111
Spirito Santo e diventino in qualche modo « a
due nature » per glorificare in questa struttura
cristologica il Dio uno e trino.
112
razione della Pentecoste precisa bene che la
grazia si posa su ciascuno degli astanti, perso-
nalmente, nominativamente: « Apparvero ...
lingue come di fuoco che si dividevano e si
posarono su ciascunodi loro » (At 2,3). In seno
dell'unità in Cristo lo Spirito ci diversifica:
« Noi siamo come fusi in un sol corpo ma divisi
in personalità », afferma S. Cirillo d' Alessan-
dria 17 . I due sono inseparabili: lo Spirito si
comunica per il Cristo e il Cristo è manifestato
dallo Spirito: « abbeverati dallo Spirito, noi
beviamo il Cristo», dice S. Atanasio 18 .
Si può dire in un modo generale che l' azio-
ne santificante dello Spirito precede ogni atto
in cui lo spirituale prende corpo, s'incarna, di-
viene cristofania (manifestazione del Cristo).
Così, lo Spirito si librava sull'abisso come un
uccello che cova, al fìne di farne scaturire il
mondo, luogo dell'Incarnazione. Per bocca dei
profeti tutto l'Antico Testamento è la Penteco-
ste preliminare in vista dell'avvenimento della
Vergine e del suo fiat. Lo Spirito discende su
Maria e ne fa la Theot6kos, la Madre di Dio, e
di Gesù ne fa il Cristo, l'Unto. Dalle sue lingue
di fuoco nasce la Chiesa, Corpo del Cristo. Di
un battezzato egli fa un membro del Cristo, e
del vino e del pane il sangue e il corpo del
Signore. Nell'anima di ogni battezzato lo Spiri-
to introduce il Regno; è lui che pronuncia in
17 CIRILLO D'ALESSANDRIA, In ]oannis Evangelium, 11 , 11 : PG 74,
560.
18 ATANASIO, Epistola I ad Serapionem, 19: PG 26, 576 A.
113
8. Lo Spirito Santo ...
noi « Abbà, Padre! », affinché noi, a nostra
volta, possiamo supplicare: « Abbà, Padre, in-
via il tuo Spirito Santo onde noi possiamo dire
"Signore Gesù" e confessare in tal modo la
Trinità consustanziale e indivisibile ».
4. Lo Spirito Santo
Simone Weil ha trovato una immagine stu-
penda di verità: « Chiamare lo Spirito pura-
mente e semplicemente: un appello, un grido.
Come quando si è al limite della sete tanto da
sentirsi male, non ci si immagina l'atto del bere
in se stesso o in generale. Si vede soltanto l' ac-
qua, l'acqua in se stessa, ma questa immagine
dell'acqua è come un grido di tutto l'esse-
re» 19_
I Padri esprimono la stessa verità in termini
teologici, ma dal momento che si tratta dello
Spirito Santo rinunciano alle espressioni abi-
tuali, parlano un altro linguaggio, ricolmo di
un'ammirazione senza limiti, di una specie
d'ebrietà.
Lo Spirito discende nel mondo, ma la sua
Persona si nasconde nella sua stessa epifania
(apparizione); si manifesta solo nei suoi doni e
nei suoi carismi; il grande mistero lo ricopre.
Le sue immagini nella Scrittura sono vaghe e
fuggenti: soffio, fiamma, profumo , unzione,
19 S. WEIL, Att ente de Dieu, Parigi, 1950, p. 214 (vers. it., Roma,
1954).
114
colomba, roveto ardente. S. Simeone il Nuovo
Teologo afferma: « Il tuo Nome, tanto deside-
rato e costantemente proclamato, nessuno sa-
prebbe dire che cos'è» 20 . Al momento del-
l'Epifania lo Spirito discende dal cielo sotto
forma di una colomba e riposa su Gesù. Nelle
sue manifestazioni è movimento « verso
Gesù», al fine di renderlo visibile e manifesto.
La sua presenza è nascosta nel Figlio come il
soffio e la voce, che si fanno da parte di fronte
alla parola che essi rendono udibile. Se il Figlio
è l'immagine del Padre e lo Spirito Santo l'im-
magine del Figlio, lo Spirito, dicono i Padri, è il
solo a non aver la sua immagine in un'altra
Persona: egli è essenzialmente misterioso.
115
procità e il mutuo servizio, ma la Pentecoste
non è né una semplice conseguenza, né una
continuazione dell'Incarnazione: la Pentecoste
ha tutto il suo valore in se stessa, è il secondo
atto del Padre: Egli invia il Figlio ed ora invia lo
Spirito Santo. Compiuta la sua missione il Cri-
sto ritorna al Padre affinché lo Spirito Santo
discenda « in Persona ». S. Simeone il Nuovo
Teologo sottolinea il carattere personale della
missione dello Spirito:« Lo Spirito non rimane
estraneo alla volontà della sua missione ...,
compie attraverso il Figlio quel che desidera il
Padre, come se fosse suo proprio volere» 21 .
Nello stesso tempo egli ci « consola» dell'as-
senza visibile del Cristo. Il termine Paraclitos
significa « colui che è chiamato presso », colui
che si tiene « presso di noi» come nostro di-
fensore, avvocato e testimone della nostra sal-
vezza attraverso il Cristo.
La Pentecoste appare come il fìne ultimo
dell'economia trinitaria della salvezza. Seguen-
do i Padri si può anche dire che il Cristo è il
grande Precursoredello Spirito Santo. S. Atana-
sio afferma: « Il Verbo ha assunto la carne af-
finché noi possiamo ricevere lo Spirito Santo;
Dio si è fatto sarcoforo perché l'uomo possa
divenire pneumatoforo >>22 . Secondo S. Si-
meone il Nuovo Teologo« tali erano lo scopo e
la destinazione di tutta l'opera della nostra sal-
116
vezza mediante il Cristo, che i credenti riceva-
no lo Spirito Santo » 23 . Allo stesso modo Ni-
cola Cabasilas afferma: « Qual è l'effetto e il
risultato degli atti del Cristo? ... Nient'altro che
la discesa dello Spirito Santo nella Chiesa » 24 .
Il Signore stesso dice: « È meglio per voi che io
me ne vada ... Io pregherò il Padre mio che vi
darà "un altro Consolatore"» (Gv 16,7;
14,16). In tal modo, l'Ascensione del Cristo è
l'epiclesi per eccellenza, poiché divina; il Figlio
domanda al Padre di donare lo Spirito Santo, e
in risposta a quest~ supplica il Padre invia lo
Spirito e fa erompere la Pentecoste. Questa
visione totale delle economie non sminuisce in
nulla il carattere centrale della Redenzione eri-
stica e del sacrificio dell'Agnello, ma precisa
l'ordine progressivo degli avvenimenti e mo-
stra il Figlio e lo Spirito ciascuno nella sua
propria grandezza e dimensione, ciascuno ser-
vendo l'altro in una reciprocità e in un mutuo
servizio e convergendo insieme verso il Regno
del Padre.
Durante la missione terrestre del Cristo la
relazione degli uomini allo Spirito Santo non si
operava che « in » e « per » il Cristo, dopo la
Pentecoste invece è la relazione al Cristo che
non si opera che « per » e « nello » Spirito
Santo.
In effetti, al tempo dell'Evangelo il Cristo
23 SIMEONE IL NUOVO TEOLOGO, Sermo 38.
24 NICOLA CABASILAS,Litz.rgiae expositio, 37: PG 150, 451 (vers.
fr., Explication de la divine liturgie in Sources chrétiennes, 4).
117
era storicamente visibile, era davanti ai suoi
discepoli. L'Ascensione sopprime la visibilità
storica: « Il mondo non mi vedrà più» (Gv
14,19), e in questo la dipartita del Signore è
reale; ma la Pentecoste restituisce al mondo la
presenza interiorizzata del Cristo e lo rivela ora
non davanti ma al di dentro dei suoi discepoli.
« Tornerò a voi... io sono con voi... sino alla
fine del mondo» (Gv 14,18-29; Mt 28,20); la
presenza del Signore è altrettanto reale quanto
la sua dipartita. « In quel giorno (giorno della
Pentecoste) voi conoscerete che io sono in
voi» (Gv 14,20). Questa interiorizzazione si
opera giustamente attraverso lo Spirito Santo,
come dice S. Paolo: « L'amore di Dio è stato
diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito
Santo» (Rm 5,5). È solo mediante lo Spirito
che noi diciamo « Abbà, Padre » e pronun-
ciamo il Nome di Gesù.
Nell'espressione« un altro Consolatore» si
può intendere quasi l'identificazione che fa il
Cristo tra la venuta dello Spirito e il suo pro-
prio ritorno. Un altro Consolatore: giustamen-
te àllos e non héteros, ·altro ma non nuovo,
quasi lo stesso e tuttavia altrimenti manifestato.
Ora egli è bi-unico, poiché è a lui che si applica
la parola concernente lo Spirito: « Perché resti
con voi per sempre» (Gv 14,16), e anche la
parola concernente il Cristo: « Ed ecco, io
sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del
mondo» (Mt 28,20). Il Paraclito è nello stesso
tempo il Cristo sul quale riposa lo Spirito e lo
118
Spirito che rivela e manifesta il Cristo, il Cristo
e lo Spirito nella loro inseparabile simultaneità
e reciproco servizio.
Così, la Pentecoste inizia la storia della
Chiesa, inaugura la Parusia e anticipa il Regno.
Lo Spirito ci integra nel Corpo come i « coere-
di » del Cristo, ci fa « figli nel Figlio » e nel
Figlio ci fa trovare il Padre. Lo Spirito d' ado-
zione opera la filiazione divina, e così S. Ireneo
applica alla Chiesa il nome di« figlio di Dio»,
figlio adottivo del Padre.
Secondo 2Cor 3, 17-18 « il Signore è lo Spi-
rito, e dove c'è lo Spirito del Signore c'è liber-
tà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come
in uno specchio la gloria del Signore, veniamo
trasformati in quella medesima immagine, di
gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito
del Signore»: accanto alla Signoriadel Cristo si
situa la signoria dello Spirito. L'identificazione
del Regno allo Spirito - frequente nei Padri 25
- si riferisce a una variante della preghiera
domenicale: al posto di « venga il tuo Regno »,
si legge: « venga il tuo Spirito Santo ». Questa
invocazione segna l'ultimo atto della salvezza,
il ritorno verso il Padre e la sua Signoria su-
prema:« E quando avrà assoggettato a lui tutte
le cose, allora il Figlio stesso sarà sottomesso a
Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché
Dio sia tutto in tutti », « egli riconsegnerà il
25 EVAGRIO,De oratione, 58; GREGORIO DI NISSA,De Oratione do-
119
regno a Dio Padre» (lCor 15,28; 15,24). La
nozione della Chiesa-Corpo passa alla nozione
della Chiesa-Famiglia, Chiesa-Casa del Padre,
ad immagine della Trinità.
120
vivificante, la sua stessa energia, attualizza la
vita d'amore, la sua circolazione eterna in seno
alla Trinità. Secondo S. Gregorio Palamas lo
Spirito è « la gioia eterna » 28 in cui i Tre si
compiacciono insieme, l'unità d'amore è l'uni-
tà dei Tre Unici. Lo Spirito è ca-amante con il
Padre e ca-amato con il Figlio, egli non è l' A-
more ma lo Spirito d'Amore che ispira e fa di
ogni Persona divina il Dono ali' altra, ad imma-
gine del Donatore.
S. Gregorio Palamas purifica le alte intui-
zioni dell' agostinianesimo medievale da ogni
slittamento verso le« diadi » in seno alla Trini-
tà. Lo Spirito Santo è lo Spirito d'Amore senza
che sia tuttavia né sminuita la sua propria real-
tà ipostatica, né attenuata l'antinomia trinita-
ria. Nicola Cabasilas continua sullo stesso slan-
cio la sua riflessione teologica, insistendo sul
senso orientale della « sinergia » che trascende
il problema della predestinazione ed ogni tra-
gica opposizione della libertà e della grazia.
« La libertà e la grazia sono due ali che elevano
l'uomo verso il Regno », dice S. Massimo; que-
sta libertà regale, dono dello Spirito, non si-
gnifica affatto che l'uomo sia la causa della sua
salvezza, essa non fa che testimoniare la verità
dell'adagio patristico: « Dio può tutto, salvo
costringere l'uomo ad amarlo». Se l'agostinia-
nesimo occidentale accentua la salvezza per la
121
fede, l' agostinianesimo orientale culmina nella
salvezza per l'amore.
È per questo che nella vita della Chiesa lo
Spirito è Donatore dell'amore in noi: « Egli
infiamma l'anima senza posa e la riunisce a
Dio» 29 , la fa partecipare alla circolazione del-
1'Amore trinitario. Questa qualità dello Spirito
condiziona la preghiera della Chiesa, che è
l'appello della sua venuta, l'epiclesi; è proprio
per il fatto che egli è Donatore e Dono che
questa supplica-epiclesi è sempre esaudita. I
Padri affermano: Dio ascolta tutte le preghiere
senza garantire il loro esaudimento, salvo la
domanda dello Spirito Santo. Il Signore stesso
dice: « Se voi sapete dare ai vostri figli cose
buone, quanto più il Padre del cielo darà lo
Spirito Santo a coloro che glielo chiedono »
(Le 11,13); il rifiuto contraddirebbe la natura
stessa del Donatore.
S. Basilio riassume mirabilmente la Sua
azione universale: « Venuta del Cristo: lo Spi-
rito Santo precede; Incarnazione: lo Spirito
Santo è presente; operazioni miracolose, grazie
e guarigioni, attraverso lo Spirito Santo; i de-
moni cacciati, il diavolo incatenato, mediante
lo Spirito Santo; remissione dei peccati, con-
giunzione con Dio: mediante lo Spirito; resur-
rezione dei morti: per virtù dello Spirito. In
verità, la creazione non possiede alcun dono
29 DIADOCO, Capita centum de per/ectione spirituali: PG 162.
122
che non le venga dallo Spirito» 30 • S. Cirillo
d'Alessandria insiste sulla presenza personale
dello Spirito nell'anima da Lui santificata:
« Non è soltanto la sua grazia, dice, noi posse-
diamo lo Spirito che dimora in noi » 31 . La
preghiera è rivolta allo Spirito: « O Re del Cie-
lo, o Consolatore», a Lui s'indirizza la do-
manda: « Vieni a noi ed abita in noi».
La variante della preghiera domenicale fa
dire ad Evagrio: « Venga il tuo Regno; il Regno
di Dio è lo Spirito Santo, noi preghiamo il Pa-
dre che lo faccia discendere su di noi » 32 . In
questo senso « cercate il Regno di Dio» signi-
fica « cercate lo Spirito Santo », l'unico neces-
sario, ed è per questo che, secondo S. Serafino
di Sarov, lo scopo della vita cristiana è l'acqui-
sizione dello Spirito Santo 33 e, secondo S. Ire-
neo, « là dove è lo Spirito Santo, lì è la Chie-
sa » 34 . La bestemmia contro lo Spirito, dice
l'Evangelo, non avrà remissione, poiché con-
traddice l'economia stessa della salvezza, es-
sendo lo Spirito la Fonte, il Donatore delle
energie trinitarie deificanti che giustamente
attualizzano la salvezza.
30 BASILIO, Liber de Spiritu Sancta, 19: PG 32, 158; 16: 32, 134.
31 CIRILLO D' ALESSANDRIA, In ]oann is Evangelium Lib. V, 2 : PG 73,
757 A.
32 I. HAUSHERR,Les leçons d'un contemplatzf Le Traité de l'Oraison
123
7. Lo Spirito Santo, « fatto interiore » della
« nuova creatura »
124
noi, si fa il co-soggetto della nostra vita in Cri-
sto, più intimo a noi che noi a noi stessi. In
effetti, la colomba che riposa sul Figlio, ora
riposa su ciascuno dei « figli nel Figlio »:
« come se la grazia fosse stata della stessa es-
~enza con l'uomo », nota S. Macario d'Egitto.
E il ritorno verso lo stato normativo della natu-
ra: « Attraverso lo Spirito Santo tutta la crea-
zione è rinnovata nella sua condizione primie-
ra », canta l'ufficio domenicale. Per questo
« fatto interiore», la Chiesa, nel suo mistero
sacramentale e liturgico, è allropposto di ogni
ontologismo statico istituzionale; le energie vi-
vificanti dello Spirito la rendono fattiva, essen-
zialmente dinamica.
125
CAPITOLO SECONDO
1. I sacramenti
126
ha luogo l'ufficio episcopale della consacrazio-
ne del sacro crisma composto di olio e di bal-
samo; la preghiera sul crisma è analoga alla
epiclesi eucaristica. Afferma S. Cirillo di Geru-
salemme: « Allo stesso modo che il pane euca-
ristico non è più, dopo l'epiclesi, pane ordina-
rio ma il corpo del Cristo, così il santo crisma
non è più un olio ordinario » 36 ; e parimenti S.
Gregorio di Nissa: « L'olio e il pane dopo la
santificazione mediante lo Spirito hanno cia-
scuno la loro energia divina» 37 . È importante
sottolineare che tutti i sacramenti, allo stesso
modo che tutti gli atti ecclesiastici, hanno la
loro propria epiclesi e operano per la discesa
delle energie dello Spirito Santo. L'epiclesi del
sacramento del matrimonio ne fa la pentecoste
nuziale. Ippolito descrive l'epiclesi al momento
dell'ordinazione di un ministro. Durante l'im-
posizione delle mani si impone silenzio a colo-
ro che assistono, propter descensum Spiritus.
Tutti tacciono durante la discesa dello Spirito
Santo.
L'eucaristia comporta il rito dello Ze6n: il
diacono versa un po' d'acqua calda nel calice
esattamente prima della comunione, dicendo:
« Fervore della fede, ricolma dello Spirito San-
to». Ci si comunica al sangue caldo, pneuma-
tizzato, vivificato dallo Spirito Santo. Allo stes-
so modo, dopo la frazione del pane-Agnello,
36 CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesis 25, Mystigogica 3, 3: PG
33, 1090-1091.
37 GREGORIO DI NISSA, In Baptismum Christi: PG 46, 581 D.
127
mettendolo nel calice, il sacerdote dice: « Pie-
nezza dello Spirito Santo ». Lo Spirito si trova
presente ed è comunicato con il corpo e il san-
gue di Gesù Cristo. Nicola Cabasilas vede nel
rito dello Ze6n l'espressione della Pentecoste
eucaristica. L'acqua calda sintetizza il simboli-
smo dell'acqua e del fuoco: « Avendo i doni
eucaristici raggiunta la loro ultima perfezione,
vi si aggiunge il segno della Pentecoste » 38 .
« Colui che mangia questo corpo con fede,
mangia con esso il fuoco dello Spirito Santo »,
commenta S. Efrem Siro 39 •
2. La liturgia
128
to ... tu non cessi di fare "il tutto" per d0narci il
tuo Regno futuro », e il Regno è lo Spirito San-
to. Il Cristo ha interceduto presso il Padre, e
per la breccia nel cielo... il Donatore-Paraclito
non cessa di discendere.
La lex credendi della teologia patristica pas-
sa nella liturgia e forma la lex orandi. Lo Spiri-
to riposa sull'umanità del Cristo deificata e
saturata dalle energie divine. La Pentecoste
eucaristica ci fa comunicare a questo corpo
glorioso del Signore, e lo Spirito manifesta,
« sotto velo ancora », la deificazione dell'uo-
mo, la sua partecipazione al Cristo Pantocrator
e Cosmocrator. La Chiesa ne prende coscienza
e nell'anafora forma la preghiera dossologica
articolata sull'eucaristia: azioni di grazie al
Padre dapprima per la Creazione e la Provvi-
denza, poi per il sacrificio del Figlio offerto
nella Cena del Signore, infine per il compimen-
to della salvezza che l'epiclesi - la discesa del-
lo Spirito - compie e attualizza per tutti.
Nel suo trattato sullo Spirito Santo, S. Basi-
lio insiste sullo « Spirito di comunione». Si
tratta prima di tutto della comunione delle
Persone divine nella loro natura una; ora, fin
dalla Pentecoste, dice Origene, la Chiesa è ri-
piena della Trinità», e ciò fa di tutte le Chiese
una comunione ad immagine del Dio Uno e
Trino. È per questo che la liturgia insiste in
modo del tutto particolare sullo Spirito di
comunione, la richiesta del quale è frequentis-
sima: « Egli ci unisca nella "comunione" di un
129
9, Lo Spirito Santo ...
solo Spirito », comunione che si compie nella
benedizione piena: « La grazia del Signore no-
stro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la
comunione dello Spirito Santo siano con tutti
voi » 41 .
Alla fine della liturgia, la portata di questa
comunione si spiega chiaramente; tutti confes-
sano l'epiclesi ricevuta e cantano: « Abbiamo
ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo visto la luce
vera, abbiamo trovato la fede autentica, ado-
rando la Trinità indivisibile; è essa infatti che ci
ha salvati ». È l'accordo finale dell'Epifania
trinitaria raggiante di luce e illuminante il sen-
so ultimo della discesa dello Spirito Santo sui
fedeli: lo Spirito stabilisce e suggella la comu-
nione nel Figlio, ci fa tutti membri del Cristo,
co-eredi e dunque figli adottivi, e ci pone tutti,
così, nella comunione del Padre.
La preghiera dopo l'eucaristia domanda :
« O Cristo ... donaci di comunicare con Te più
intimamente, nel giorno senza declino del tuo
Regno». Nel secolo futuro, attraverso l'umani-
tà deificata del Cristo, « fiaccola di vetro », il
Padre comunicherà nello Spirito Santo l'irra-
diamento della gloria della sua natura inacces-
sibile. Ma già lo Spirito dice in noi e con noi:
« Abbà, Padre! » e anticipa così la pienezza del
Regno.
130
3. Uepiclesi
131
isolare l'istante preciso in cui si opera il miraco-
lo eucaristico, la metabolé, poiché la l,iturgia
tutta intera, e fin dal suo inizio, rappresenta un
solo Atto che si compie nell'epiclesi. Alla sua
invocazione globale, riceve la risposta del Dio
filantropo, amico degli uomini, e l'epiclesi è
come l'accordo finale dell'unica e intera sinfo-
nia. In questo tutto indecomponibile non si
può fissare che il momento dopo il quale il
sacramento è considerato come compiuto:
« Ecco a termine e compiuto, per quanto è in
nostro potere, Cristo, nostro Dio, il mistero ·
della tua economia». I fedeli cantando ne ren-
dono testimonianza:« Noi abbiamo ricevuto lo
Spirito celeste ».
L'epiclesi si situa alle soglie di ogni comu-
nione con Dio, poiché, secondo i Padri, se non
vi è accesso al Padre se non per il Figlio, allo
stesso modo non vi è accesso al Figlio se non
per lo Spirito Santo. « Donatore di vita e teso-
ro di grazia», santificatore nella sua essenza, lo
Spirito Santo si rivela come principio attivo di
ogni operazione divina.
L'anafora orientale si indirizza al Padre
perché lo Spirito Santo manifesti il Cristo, ed è
questa pienezza trinitaria che esige e pone l' e-
piclesi.
Il Cristo ci fa dono della comunione alla
vita stessa della Trinità, dono che esprime l'in-
no alla « Trinità consustanziale e indivisibile ».
La grande preghiera dell'oblazione si indirizza
al Padre, ma è interrotta dal Sanctus trinitario
132
poiché l'adorazione si eleva indivisibilmente
verso i Tre. Allo stesso modo, è dalla benedi-
zione del « Tre volte Santo» che vengono le
parole istituzionali (« la notte in cui fu tradi-
to»), seguite dalla elevazione:« Ciò che è tuo,
ricevendolo da Te, noi te lo offriamo "per tut-
to" e "in tutto" », e che si risolve come accor-
do finale nell'epiclesi. Il sacerdote sollecita dal
« Padre dei lumi » l'invio dello Spirito affinché
si manifesti il Figlio. È dunque tutta l'Uni-Tri-
nità sacra, sono le Tre Persone consustanziali
che agiscono e che si inseriscono qui nel qua-
dro storico dell'economia della salvezza. È per
questo che l'azione di grazie ricapitola tutti i
benefici accordati da Dio all'umanità. La Chie-
sa ringrazia il Padre che ci dona il suo Figlio
monogeno e che ci invia lo Spirito manifestante
il Figlio nel sacrificio non cruento dell'altare.
La preghiera dell'offertorio « per i preziosi
doni offerti», condensa in alcuni termini l'es-
senziale: « Affinché il nostro Dio, filantropo,
che ha ricevuto questi doni al suo santo altare
celeste e invisibile, ci invii di rimando il dono
dello Spirito Santo ».
Risalendo verso la fine del secolo IV si os-
serva che le anafore orientali invocano lo Spiri-
to Santo affinché discenda a cambiare i doni in
corpo e in sangue del Cristo 43 . S. Giovanni
43 · Questa affinità di struttura si ritrova in tutte le antiche famiglie
133
Damasceno, secondo le sue abitudini, sintetiz-
za chiaramente la tradizione patristica, che è
molto ferma: « Il cambiamento del pane in
corpo del Cristo si effettua per la potenza dello
Spirito Santo » 44 •
La necessità del suo intervento si spiega
attraverso il significato e il ruolo particolare del
sacerdozio. Per l'Oriente il solo vero sacerdote
è il Cristo: « Fa' che ci sia data la grazia di
ricevere dalla tua mano potente il tuo corpo
immacolato e il tuo prezioso sangue», prega il
sacerdote; e allo stesso modo, durante il canto
del Cherubik6n, domanda: « Ecco che io mi
accosto a te, la testa inclinata, e ti supplico:
non volgere da me il tuo volto, non mi respin-
gere dal numero dei tuoi servi, ma degnati di
accettare che questi doni ti siano offerti da me,
tuo servo peccatore e indegno; poiché sei tu
che offri e che sei offerto, che ricevi e che sei
distribuito, o Cristo nostro Dio ... ».
S. Giovanni Crisostomo dice chiaramente:
« Noi abbiamo il ruolo di servitori: chi santifi-
ca e trasforma è Lui » 45 • E ancora: « Il sacer-
dote non porta la mano sui doni se non dopo
aver invocato la grazia di Dio ... ; non è il sacer-
dote che opera qualsiasi cosa ..., è la grazia del-
lo Spirito che, sopraggiungendo e ricoprendo
con le sue ali, compie questo sacrificio misti-
134
co » 46 • D'altra parte, è tutta l'assemblea che
prega con il sacerdote: « Noi ti preghiamo, noi
ti supplichiamo ... ».
In accordo con questa concezione, il sacer-
dote non si identifica con il Cristo, egli non
pronuncia le parole: « Questo è il mio corpo »
in persona Christt~ ma si identifica con la Chie-
sa e parla in persona Ecclesiae e in nomine Chri-
sti. Perché le parole del Cristo memorizzate dal
sacerdote acquistino l'efficacia divina, il sacer-
dote invoca lo Spirito Santo nell'epiclesi. Nelle
parole dell'anamnesi « preso del pane ... lo det-
te ai suoi discepoli ... dicendo ... questo è il mio
corpo», lo Spirito Santo fa l'anamnesi epifani-
ca, manifesta l'intervento del Cristo stesso che
identifica le parole pronunziate dal sacerdote
con le sue proprie parole, e l'eucaristia celebra-
ta con la sua Santa Cena, ed è questo il miraco-
lo della metabolé, della conversione dei doni. S.
Giovanni Crisostomo spiega: « È lo stesso sa-
crificio che noi offriamo, l'uno oggi, l'altro
domani ... Credo che si produce oggi lo stesso
banchetto che si produsse nel momento in cui
il Cristo era a tavola, e che questo banchetto
non è differente da quello » 4 7 •
L'epiclesi eucaristica è la tradizione ferma e
unanime in Oriente; S. Basilio parla della sua
46 IDEM, De Sancta Pentecoste, Homilia 1, 4: PG 50, 459.
47 IDEM, In Epistola II ad Timotheum, Homilia 45: PG 62; In
Epistola ad Haebraeos, Homilia 17: PG 63; In Epistola I ad Cor.,
Homilia 27: PG 61.
135
« ongme apostolica » 48 . Senza una credenza
iniziale, anch~ in germe, nell'azione dello Spiri-
to Santo, l'epiclesi sarebbe incomprensibile e
inimmaginabile. La storia della coscienza litur-
gica non conosce nessuna rivoluzione simile né
il sorgere spontaneo di un'affermazione dog-
matica di tale importanza. L'epiclesi esprime la
« lex orandi » liturgica, alla quale rispondono
il consensus dei Padri, la loro dottrina trinitaria
e la loro teologia dello Spirito Santo.
La liturgia sira di S. Giacomo ne rende te-
stimonianza: « Come quest'ora è augusta e
questo momento formidabile, fratelli miei!
Poiché lo Spirito Santo vivificatore discende
dalle altezze del cielo e posandosi su questa
eucaristia, la consacra». Allo stesso modo la
liturgia di S. Giovanni Crisostomo: « Noi ti
supplichiamo di inviare il tuo Santo Spirito su
di noi e su questi doni ... cambiandoli per mez-
zo del tuo Santo Spirito ». E quella di S. Basi-
lio: « Piaccia alla tua bontà che venga il tuo
Santo Spirito su di noi e su questi doni, che egli
li benedica, li santifichi e manifesti questo pane
come il corpo del Signore nostro... e questo
calice come il venerabile e proprio sangue del
Signore nostro ... ».
I Padri pongono la relazione dinamica dello
Spirito Santo verso l'umanità del Cristo. La sua
pneurnatizzazione deificante continua in colo-
48 BASILlO,Liber de Spiritu Sancto, 27: PG 32, 188. Cfr. CONNOLY,
136
ro che partecipano alla « carne consacrata»;
essi sono non soltanto configurati al Cristo, ma
cristifìcati, verbificati di fatto, « associati alla
sua pienezza » (Col 2,9), « con-corporali e con-
sanguinei col Cristo » 49 . S. Giovanni Criso-
stomo nota che « i comunicanti sono come dei
leoni» 50 , figure dalla invincibile potenza. Non
si tratta della « caparra », ma della partecipa-
zione al fuoco dell'amore divino e dello scam-
bio degli idiomi: all'Incarnazione di Dio, alla
sua umanizzazione, risponde la deificazione,
« per grazia », dell'uomo. S. Massimo lo accen-
tua: « L'eucaristia trasforma in se stessa e ren-
de simile... di modo che i fedeli possono essere
chiamati "dèi", perché Dio tutto intero li
riempie interamente » 51 . Per un autentico tra-
sferimento d'energia deificatrice, afferma Nico-
la Cabasilas, « il fango si trasforma in sostanza
del Re» 52 .
Commentando l'epiclesi sui fedeli, S. Mas-
simo il Confessore sottolinea la sua azione di-
namica: « Noi tutti che partecipiamo allo stes-
so pane e allo stesso calice siamo uniti gli uni
agli altri nella nostra comunione dell'unico
Spirito Santo» 53 . « Noi domandiamo di invia-
re lo Spirito Santo, spiega S. Cirillo di Gerusa-
lemme, poiché universalmente ciò che lo Spiri-
49 CIRILLO DI GERUSALEMME,Catechesis22, 3: PG 33, 1099.
so GIOVANNI CRISOSTOMO ,In ]oannem, Homilia 46, 3: PG 59,261.
51 MASSIMOIL CONFESSORE,Mystagogia,21: PG 91, 697.
52 NICOLA CABASILAS,De vita in Christo libri septem (vers. fr., s.
BROUSSALEUX , La vie en ]ésus-Christ,p. 97).
53 MASSIMOIL CONFESSORE,Mystagogia,24: PG 91, 703.
137
10. Lo Spirito Santo ...
to tocca è mutato » 54 • Così, dopo aver mutato
i doni, lo Spirito opera il « mutamento » dei
comunicandi stessi. È questo un altro aspetto
dell'eucaristia, che gli spirituali chiamano il
« sacramento del fratello ». E S. Cirillo d' Ales-
sandria, dal canto suo, insiste fortemente sul-
l'unità che « l'eulogfa mistica» produce tra i
fedeli 55 •
« Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni, Si-
gnore! ». E il senso escatologico e parusiaco
dell'epiclesi tesa verso le nozze mistiche del
Cristo con la Chiesa ma anche con ogni anima,
personalmente, nominativamente. Come dice
Teodoreto di Ciro:« Consumando la carne del
Fidanzato ed il suo sangue, noi entriamo nella
koinonia nuziale » 56 .
138
CONCLUSIONE
LO SPIRITO SANTO
NELLA RICERCA ECUMENICA
139
S. Serafino di Sarov, il quale insegna l'acquisi-
zione dello .Spirito Santo come scopo della vita
cristiana.
L'aspirazione ecumenica verso l'unità · fa
vedere prima di tutto la disintegrazione di un
solo ceppo, un tempo comune, e invita così a
riannodarsi con la parentela originale, spez-
zando le economie confessionali chiuse. La
convergenza cercata della Verità e della Vita
non può farsi se non attraverso la riscoperta
della tradizione dei Padri. Ma non si tratta af-
fatto di una semplice erudizione, si tratta di
una conversione, per i teologi, allo stile patristi-
co. Il ritorno ai Padri significa avanzare, non
imitandoli , ma creando con essi, in fedele con-
tinuità con la tradizione. Significa, ancora, te-
stimonianza, secondo Gregorio di Nazianzo,
« alla maniera dei pescatori (apostoli), non alla
maniera di Aristotele», di Platone o di Hei-
degger. È un appello a superare ogni« fonda-
mentalismo », tanto biblico quanto patristico o
filosofico, verso lo scaturire dell'acqua viva del-
lo Spirito Santo. Questa testimonianza non è
efficace se non attraverso il « vissuto » di Dio
nell'esperienza liturgica, testimonianza della
Chiesa orante e per questo docente . Si constata
già come i luoghi ecumenici per eccellenza sia-
no le comunità monastiche.
S. Basilio insiste sullo Spirito Santo come
Spirito di comunione . L'epklesi sui doni è in-
separabile dall'epiclesi sui fedeli, dalla conver-
sione dei comunicandi. L'epiclesi insegna così
140
che la carità verticale, amore di Dio, è costitui-
ta dall'essere umano allo stesso titolo della cari-
tà orizzontale, chiamata dai Padri « sacramen-
to del fratello». È l'equilibrio perfetto tra
« l'adoratore in spirito e verità » e « il servitore
dei fratelli ». Lo Spirito Santo grida in noi:
« Abbà, Padre », e rivela in ogni uomo il volto
umano di Dio.
L'integrazione della storia nel presente
eterno, nell'economia della salvezza, inizia la
venuta del Regno e inaugura la Parusia già in
cammino. Alla sua luce, i valori della cultura
umana passano attraverso una prova apocalit-
tica, attraverso un superamento dei valori "pe-
nultimi" verso i valori ultimi dell'esistenza
umana. L'escatologia biblica è qualitativa: essa
qualifica la storia attraverso l' « éschaton » e
spezza ogni concezione chiusa e statica. La
Chiesa « in situazione storica » è sempre la
Chiesa della diaspora, comunità escatologica in
marcia verso il Regno, ma proprio per questo
giustamente in marcia attraverso la Città terre-
stre; è questo il senso dell'espressione: « Voi
non siete del mondo ma siete nel mondo».
Una mancanza di presenza nel mondo è
ugualmente una mancanza di fede evangelica.
Dio non è mai una compensazione alle debo-
lezze dell'uomo. Dio afferra l'uomo là dove egli
è forte e potente, ed è per questo che l'Evange-
lo deve essere presente in tutti i rischi e in tutte
le decisioni della condizione umana.
La Chiesa degli ultimi tempi offrirà a colui
141
che ha fame non le « pietre ideologiche » dei
sistemi o le « pietre teologiche » dei manuali di
scuola, ma il « pane degli angeli » o, secondo la
bella espressione di Origene, « il cuore del fra-
tello umano offerto in nutrimento puro ». In-
viata nel mondo, la Chiesa sacerdotale e profe-
tica inaugura il dialogo con tutti gli uomini,
dialogo che, secondo l'espressione di S. Grego-
rio di Nazianzo, si compie alla luce della
«metastasi» dell'esistenza e del« seismo esca-
tologico di conclusione ».
La Chiesa si mostrerà fedele allo Spirito
Santo tanto quanto sarà fedele agli uomini. La
sua struttura messianica e carismatica primeg-
gia sul suo statuto istituzionale e la proclama
Pentecoste perenne.
In effetti, nella sua realtà ultima, la Chiesa è
il sacramento della verità, è come un concilio
convocato in permanenza nella sua vita mistica
e liturgica. Salito alla destra del Padre, il Cri-
sto-Gran Sacerdote ha compiuto la sua inter-
cessione sacerdotale; è la sua epiclesi perma-
nente presso il Padre che giustamente fa della
Chiesa la Pentecoste perenne.
« Lo Spirito Santo è il grande Dottore della
Chiesa » 1 , afferma S. Cirillo di Gerusalemme;
dottore, poiché è lui che assicura il charisma
veritatis certum della Chiesa. In tal modo,
quando un concilio è proclamato « ecumeni-
co », è tale perché lo Spirito di Verità, per la
1 XVI Catechesi battesimale.
142
recezione e la vita stessa del popolo della Chie-
sa, ha identificato questo concilio al Cristo-V e-
rità.
Il giorno della Pentecoste, la Chiesa nasce e
si manifesta nella predicazione apostolica se-
guita dalla prima eucaristia, celebrata senza
dubbio da S. Pietro. È dall'eucaristia che stilla
e si istituisce il sacerdozio come sua condizio-
ne; il vescovo è prima di tutto testimone del-
1'autenticità della Cena del Signore ed è colui
che la presiede; egli integra tutti i fedeli nel
Corpo del Signore, li costituisce tutti in Chiesa,
in sinassi degli immortali e formula l'epiclesi da
parte di tutti. Per la tradizione orientale è que-
sto potere eucaristico, esercitato· per la prima
volta da S. Pietro, che è la « pietra » sulla quale
la Chiesa è fondata e che si trasmette nel potere
di ogni vescovo, essendo così ogni cattedra epi-
scopale la cathedra Petri in cui ciascuno e tutti i
vescovi siedono insieme. S. Cipriano a Carta-
gine, in quanto vescovo, si considera . come
successore diretto della cathedra Petrt~ la cui
funzione essenziale è giustamente il potere di
presiedere l'eucaristia 2 •
Secondo S. Giovanni Damasceno, « le tre
Persone divine sono unite, non per confonder-
si, ma per contenersi reciprocamente » 3 . Cia-
scuna Persona è un modo unico di avere la
143
stessa essenza, di riceverla dalle Altre, di do-
narla alle Altre e di porre così le Altre nell' e-
terna circolazione dell'Amore divino. Il Padre
assicura l'unità senza rompere l'uguaglianza
perfetta dei Tre, e ciò esclude ogni sottomis-
sione subordinazianista e mostra magnifica-
mente nel Padre Colui che presiede nell 'Amore
trinitario.
A questa « immagine conduttrice», secon-
do S. Ignazio d'Antiochia, nella comunione
delle Chiese perfettamente uguali in funzione
della pienezza dell'eucaristia episcopale 4, in
cui ciascuna è« Chiesa di Dio», una presiede
nell'amore. È il carisma particolare dell'autori-
tà d'onore il cui scopo è quello di assicurare
l'unità di tutte le Chiese, carisma d'amore ad
immagine della Paternità celeste. Prima della
separazione, la Chiesa-di Roma godeva di que-
sto carisma e il papa era il Padre ad immagine
del Padre celeste, ed era perciò giustamente
spogliato di ogni potere giurisdizionale sulle
altre. Tale è la fede della Chiesa ortodossa, la
fede dei suoi Padri.
Alla sua luce, lo scopo ricercato dall'ecu-
menismo sarebbe l'accordo della fede delle tre
Chiese (romana, ortodossa, protestante), la cui
unità e perfetta uguaglianza rifletterebbe come
in uno specchio il mistero delle Tre Persone
divine. Lo Spirito Santo, lo Spirito di comu-
4
Secondo S. IRENEO, « la nostra dottrina è in accordo con l' euéari -
stia, e l'eucaristia la conferma» (ContraHaereses, 4, 18: PG 7/1, 1029).
144
nione, farà Dono della sua gioia nella quale le
tre Chiese si compiaceranno insieme e di cia-
scuna Chiesa lo Spirito farà Dono alle altre.
Le Chiese saranno unite non per confon-
dersi, ma per contenersi reciprocamente. Cia-
scuna Chiesa sarà una maniera unica di avere la
stessa essenza teandrica, di riceverla dalle altre,
di donarla alle altre e in tal modo esse si por-
ranno tutte insieme nella circumincessione in-
cessante dell'Amore divino.
145
INDICE
Nota biografica 5
Le principali opere di N. Evdokìmov in ordine di
pubblicazione 9
PARTE PRIMA
LA TEOLOGIA TRINITARIA E LA
PROCESSIONE DELLO SPIRITO SANTO
PARTE SECONDA
LA PNEUMATOLOGIA DEI PADRI
NELL'ECONOMIA DELLA SALVEZZA
a cura di
Giuseppe Flores d'Arcais
L. 6.000