293-Passio Protomartiri Francescani
293-Passio Protomartiri Francescani
PRESENTAZIONE
Nel momento attuale, di una società sempre più multirazziale, multi etnica e multi religiosa la
vicenda dei Protomartiri francescani risulta assai imbarazzante e così, rispetto al più confacente
incontro di san Francesco con il Sultano1, la si ignora, o si cerca di esorcizzarla, oppure di espellerla
dalla tradizione e storia francescana con affermazioni più o meno riducibili al fatto che non
compresero la novità del Santo d’Assisi. Tuttavia nella vicenda non solo della storia minoritica, ma
persino degli anni in cui visse frate Francesco vi sono anche questi frati Minori uccisi in Marocco
nel 1220 circa e appare abbastanza scontata la contrapposizione tra il presunto atteggiamento
dialogante di Francesco d’Assisi con la vicenda dei Protomartiri francescani finita in modo
cruento2.
Studi recenti hanno mostrato che nella più antica narrazione della Passio Sanctorum Martyrum
fratrum Berardi, Petri, Adiuti, Accursii, Othonis in Marochio martyrizatorum3 il punto focale è
l’affermazione che i cinque frati, dopo che fu emessa nei loro riguardi la sentenza di morte, si
ripetevano l’un l’altro: «Orsù fratelli! Abbiamo trovato quello che cercavamo: siamo costanti e non
temiamo di morire per Cristo!». Quindi l’intenzione dell’agiografo non è tanto quella di mostrare la
crudeltà degli infedeli e neppure un metodo di predicazione ai saraceni, ma che i “nuovi martiri”
provenienti dagli ordini mendicanti, e più precisamente dai frati Minori, non hanno nulla di meno
da quella radicalità evangelica dei primi secoli cristiani4.
Oltre alla puntualizzazione di tale prospettiva con cui la narrazione della loro vicenda è stata
scritta – che contribuisce a evitarne letture anacronistiche, con cui il passato è letto secondo i
bisogni del presente, indirizzati a giustificare uno scontro di civiltà o ad esorcizzarlo – certamente
non è possibile misconoscere che la posizione verso gli infedeli è tipica del tempo. E davanti a ciò,
1
Cfr. San Francesco e il Sultano. Atti della Giornata di Studio (Firenze, 25 settembre 2010), in Studi Francescani
108/2 (2011), pp. 425-565.
2
Cfr. ad esempio quanto scrive F. CARDINI, Conclusioni, in Dai Protomartiri francescani a sant'Antonio di Padova.
Atti della Giornata Internazionale di Studio (Terni, 11 giugno 2010) a cura di L. Bertazzo - G. Cassio, Ed. Centro Studi
Antoniani, Padova 2011, p. 203-213.
3
Passio Sanctorum Martyrum fratrum Berardi, Petri, Adiuti, Accursii, Othonis in Marochio martyrizatorum, in
Analecta Franciscana, III, Ad Claras Aquas, 1897, pp. 579-596; trad. italiana di p. Alberto Ghinato, La scimitara del
Miramolino. Relazione medievale della passione dei primi martiri francescani in Marocco (1220), Edizioni
Francescane (Via Merulana, 124) Roma 1962.
4
C. FERREO HERNÁNDEZ, Inter Saracenos. Mártires franciscanos en el Norte de África y en la Península Ibérica (ss.
XIII-XVII), in Frate Francesco 77 (2011), pp. 261-277.
più che un chiedere perdono per tale atteggiamento, contribuisce maggiormente a una onestà
intellettuale quanto affermato da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Operosam diem
indirizzata al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, in occasione del XVI centenario
della morte di sant'Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa5. In questo documento, Giovanni
Paolo II, pur elogiando il pensiero del Santo, afferma che «inadeguato si rivelò» l'atteggiamento
avuto da Ambrogio riguardo agli ebrei. Infatti il Pontefice parlando del rapporto di Ambrogio con le
autorità civili scrive:
Era una strada difficile da percorrere, tutta da inventare; ed Ambrogio dovette di volta in volta
precisare meglio modalità e stile. Se gli riuscì di coniugare fermezza ed equilibrio negli
interventi già menzionati — nella questione cioè dell'altare della Vittoria e quando fu richiesta
una basilica per gli ariani — inadeguato si rivelò invece il suo giudizio nell'affare di Callinico,
quando nel 388 venne distrutta la sinagoga di quel lontano borgo sull'Eufrate. Ritenendo infatti
che l'imperatore cristiano non dovesse punire i colpevoli e neppure obbligarli a porre rimedio al
danno arrecato, (Cfr. S. AMBROSII, Ep. extra coll. I, 27-28: SAEMO 21, p. 188) andava ben oltre
la rivendicazione della libertà ecclesiale, pregiudicando l'altrui diritto alla libertà e alla
giustizia6.
Leggendo questo brano si rimane ammirati dal profondo senso della storia che viene colta nella
sua contraddittorietà drammatica, senza piegarla alle esigenze o categorie contemporanee, ma nel
frattempo la capacità di un giudizio evangelico su di essa. Potremmo dire che Giovanni Paolo II ha
saputo unire, tenendoli distinti, il giudizio descrittivo della realtà dal giudizio valutativo. Prima
viene la descrizione della realtà storica, in aderenza alle fonti, e poi con la sua autorità morale ne dà
un giudizio valutativo7. Ciò gli permette in contemporanea di essere attento alla dimensione storica,
ma senza edulcorarla o rimanerne prigioniero. Così noi possiamo ammirare la totale affezione a
Cristo dei Protomartiri francescani, fino a versare il proprio sangue, ma nel frattempo riconoscere
come inadeguato – per la consapevolezza attualmente raggiunta dalla Chiesa ed espressa nel
concilio Vaticano II – il loro giudizio nei confronti della fede altrui8.
PIETRO MESSA
5
GIOVANNI PAOLO II, Operosam diem. Lettera apostolica in occasione del XVI centenario della morte di sant'Ambrogio
(1 dicembre 1996), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX,2 (1996, luglio-dicembre), Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1998, pp. 803-852.
6
GIOVANNI PAOLO II, Operosam diem, p. 838.
7
Cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione. La chiesa e le colpe del passato, in
Enchiridion Vaticanum, 18, Editrici Dehoniane, Bologna 2002, nn. 2310-2406 in cui il paragrafo quarto è dedicato
proprio allo studio della storia: «4. Giudizio storico e giudizio teologico».
8
Pubblicato in P. MESSA, Siamo costanti e non temiamo di morire per Cristo. La passione dei primi martiri francescani
in Marocco, in La Marca francescana. Terra dei Fioretti V/2 (marzo-aprile 2012), pp. 37-38.
PASSIONE DEI SANTI FRATI MARTIRI BERARDO, PIETRO, ADIUTO, ACCURSIO, OTTONE,
UCCISI IN MAROCCO
I- Introduzione
Allorché il beatissimo nostro padre Francesco si accorse che era destinato – come il patriarca
Giacobbe – a dare origine a un grande popolo, e che i suoi figli sarebbero diventati numerosi come
le stelle del cielo, cominciò a desiderare di giungere, mediante i suoi frati, a tutte e quattro le parti
del mondo, come già gli era stato rivelato, e a pensare che la sua religione avrebbe steso i suoi rami,
come un albero robusto, fino alle estremità della terra. Perciò, in un capitolo, mandò i suoi frati a
tutte le regioni della terra dove si venerava la fede cattolica.
Ma fino a quel momento la loro regola non aveva avuto alcuna bolla pontificia, né portavano
con sé alcuna lettera apostolica che garantisse dell’approvazione del loro ordine; per cui –
specialmente al di là delle Alpi – molte volte furono sospettati di errore e eresia dai fedeli e,
soprattutto, dal clero.
In quel tempo si diffuse in Spagna una grande quantità di eretici. Il beato Francesco, per
opporsi al loro dilagare, mandò alcuni frati a combattere l’eresia e a confortare i fedeli nella fede
cattolica. Questi frati giunsero fino n Portogallo. Ma la gente, vedendoli tanto dissimili dagli altri
religiosi – scalzi, poveramente vestiti, di lingua forestiera – temette che fossero eretici, e non
concessero ad essi di dimorare tra loro.
Regnava allora, in Portogallo, Alfonso, terzo re della dinastia cristiana, figlio del re Sancio II,
di buona memoria. Sua moglie si chiamava Urraca, regna assai pia, onesta, umile e devota. I frati,
avendo sentito parlare della sua bontà, andarono a lei e la supplicarono umilmente per amore di Dio,
a voler porre opportuno rimedio alle loro tribolazioni, che le raccontarono distesamente.
Essa allora esaminò diligentemente la loro condizione, perché erano venuti, che intenzioni
avevano; e si rese conto che erano fedeli servi del Signore, e impetrò dal re che potessero prender
dimora in due luoghi del suo regno, a loro piacimento.
Con grande soddisfazione e gioia, i frati scelsero Lisbona e Guimarraens; e con il favore e
protezione della regina – che li amava ormai come una madre – edificarono iv due piccoli luoghi, in
cui servivano al Signore.
In quello stesso tempo, nel luogo di Alanquer, in Portogallo, viveva un’altra signora timorata di
Dio, figlia del re Sancio di gloriosa memoria e sorella di Alfonso, attuale re, e dell’Infante Pietro
che, per discordia con il fratello Alfonso, era fuggito in Marocco, e combatteva in aiuto di quel
regno contro altri infedeli.
Questa signora si chiamava regina Sancia, benché non si fosse mai sposata, ché anzi era una
vergine purissima, la quale per amore della verginità non volle mai saperne di nozze; anzi una volta
disse che non avrebbe preso marito neppure se avesse saputo che con ciò sarebbe entrata subito in
paradiso. Ella nutriva molti poveri, e macerava la sua carne con digiuni e un aspro cilicio, e dormiva
assai poco, coricandosi su sarmenti e scorse d’albero. Pregava le notti intere ed era tutta dedita alle
opere di pietà.
Questa signora senti parlare della santità di quei frati Minori, e desiderò di vederli, con tanto
ardore che incominciò a chiamarli a sé frequentemente, onde ascoltare dalle loro labbra le parole i
vita; e contrasse con loro tanta famigliarità che teneva in casa sua degli abiti da frate, perché
potessero cambiarsi quando giungevano inzuppati di pioggia.
Tra i frati con i quali aveva tanta dimestichezza ve n’era uno devotissimo, molto solitario,
dedito interamente all’orazione e che sfuggiva a tutto potere di conversare con donne. A questo
proposito si racconta che una buona ragazza, di nome Maria grazia, andava frequentemente da lui
per sentire qualche sua parola. Ma egli non solo non voleva parlarle, ma neppure vederla, e fuggiva
rapidamente da lei. Una volta, mentre così solitario stava in orazione, venne detta fanciulla,
pregandolo con una certa insistenza e importunità di parlarle. Il frate allora le disse: «Vuoi sapere
perché non ti parlo?». «Dimmelo» rispose prontamente. «Portami qui», soggiunse il frate, «fuoco e
paglia, e te lo dirò ben chiaramente».
La ragazza gli portò quanto chiedeva e al suo invito diede fuoco alla paglia in sua presenza.
Allora il frate disse: «Quanto ci guadagna questa paglia con il fuoco, altrettanto ci guadagna l’uomo
di Dio a parlare con le donne. Quando invece parla con il Signore, allora sì che fa veramente gran
frutto».
Quando quel santo frate, pieno di virtù, giunse al termine della sua vita, Dio – per mostrare a
tutti, mediante prodigi, di quanto merito fosse – fece sì che dal luogo ove era il suo corpo
splendesse tanta luce da meravigliare quanti videro, che furono molti.
Nella stessa ora, un canonico del monastero di Santa Croce in Coimbra, di nome Fernando
Martino – il qual poi entrò nell’ordine dei frati Minori sotto il nome di Antonio, e dopo la morte fu
ascritto al catalogo dei santi – mentre celebrava la Messa, vide l’anima di quel frate, sotto forma di
bellissimo uccello, volare velocemente, passando appena attraverso il purgatorio, e salire al cielo.
II- Come il beato Francesco mandò i primi frati in Marocco
Nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1219, undicesimo dall’inizio dell’Ordine dei frati
Minori, fu ispirato per rivelazione divina al beato Francesco di mandare nuovamente i suoi frati in
tutte le parti del mondo, non solo tra i fedeli, ma anche tra gli infedeli. Ed egli eseguì quanto gli era
stato ispirato, e in un capitolo generale nominò dei Ministri Provinciali e assegnò loro le varie
provincie da raggiungere.
E siccome due erano le parti della terra dove i Saraceni più furiosamente combattevano contro i
Cristiani – e cioè verso Oriente nelle parti di Siria, e verso Occidente nell’Africa settentrionale – il
beato Francesco scelse per sé di andare, con dodici frati, verso Damiata, mentre pensò di mandare
in Marocco altri sei frati di grande perfezione, e cioè i frati Vitale, Berardo, Pietro, Adiuto,
Accursio e Ottone.
Prima di spedirli li chiamò a sé e disse loro: «Figlioli miei il Signore, mi ha comandato di
mandarvi alle terre dei Saraceni a predicare, a confessare la sua fede e a combattere la legge di
Maometto. Anch’io andrò, per altra via, agli infedeli ed altri frati manderò per il mondo intero.
Orsù, dunque, figlioli, preparatevi a compiere la volontà del Signore». Ed essi, umilmente
chinandosi innanzi a lui, risposero: «Padre, siamo pronti ad obbedirti in ogni cosa».
E il beato Francesco, lietissimo della loro pronta obbedienza, si rivolse loro con grande soavità:
«Figlioli carissimi – disse – perché possiate compiere il comando divino nel miglior modo
possibile, per la salute delle anime vostre, fate attenzione specialmente a queste cose: abbiate
sempre fra voi pace e concordia, e il legame di una indissolubile carità; fuggite l’invidia, che fu il
principio della rovina dell’umanità; siate pazienti nelle tribolazioni, umili nelle prosperità, e così
sarete vincitori in ogni battaglia. Imitate Cristo benedetto nella povertà, nell’obbedienza, nella
purità: chè nostro Signore Gesù Cristo nacque povero, visse povero, insegò la povertà e nella
povertà spirò l’anima sua; e per mostrare come amava la purità volle nascere da una Vergine, si fece
precedere dall’esercito dei piccoli innocenti, consigliò e conservò la verginità, e passò di questa vita
circondato da vergini; e anche l’obbedienza egli conservò dalla sua nascita fino alla morte di croce.
La nostra speranza sia riposta unicamente in Dio il quale ci dirigerà e aiuterà. Portate con voi la
santa Regola e il breviario, e recitate con perfezione l’ufficio divino. Obbedite tutti a frate Vitale,
vostro fratello maggiore. Figlioli miei, benché io goda assai della vostra buona e generosa volontà,
pure il mio cuore sente una grande amarezza, cagionata dal grande affetto, per la vostra partenza e
per la vostra separazione; ma bisogna preferire sempre il comando del Signore alla nostra volontà.
Vi prego di tenere sempre davanti agli occhi la passione del Signore, che vi fortificherà e animerà a
soffrire da forti per lui».
Allora quei santi frati risposero umilmente: «Padre, mandaci dove vuoi, chè siamo pronti a
compiere la tua volontà; ma tu, Padre, aiutaci con le tue preghiere a compiere l’obbedienza. Chè noi
siamo giovani, e non siamo ancora usciti dall’Italia; e il popolo verso il quale andiamo ci è ignoto,
ed è animato da grande odio contro i Cristiani. E noi siamo ignoranti e non conosciamo nulla affatto
della loro lingua. E quando ci vedranno vestiti di abito tanto vile e cinti da una corda ci derideranno
come fossimo dei pazzi e al tutto incapaci di seminare parole di vita. Per tutto questo abbiamo
bisogno dell’aiuto delle tue preghiere. Buon padre, ma noi dove andremo senza di te? Come ci
potremo separare da t? E come potremo noi – che ora diventiamo orfani e tristi senza di te – fare ciò
che piace al Signore, se egli non ci rende forti con la sua grazia?». Con dolcezza, disse lo con
grande fervore: «Andate, figlioli, e confidate in Dio, perché Lui che vi chiama vi darà la forza e la
capacità di fare ciò che a lui piace».
Allora tutti e sei, inginocchiandosi, gli baciavano le mani e chiedevano la sua benedizione. E
san Francesco, tutto bagnato di lacrime alzò gli occhi al cielo e li benedisse dicendo: «La
benedizione di Dio Padre discenda sopra di voi, come discese sugli apostoli, e vi fortifichi, vi diriga,
vi consoli nelle tribolazioni: non abbiate timore, perché il Signore è con voi come un irresistibile
combattente».
IV- Come predissero alla regina di Portogallo il loro martirio e il tempo della sua
morte
Dunque, quei santi fraticelli, lasciato in Aragona frate Vitale, giunsero finalmente in Portogallo.
Arrivati a Coimbra, la devota regina del Portogallo Urraca, di cui abbiamo parlato sopra, li fece
chiamare a sé. Li interrogò sulla loro condizione, la loro patria e dove andavano. Essi risposero per
ordine a tutte le domande, manifestarono il loro proposito e parlarono con grande fervore di Dio.
La regina, vedendo in loro tanto disprezzo del mondo e tanto fervore di desiderio di morire per
Cristo, ne concepì una grande stima, come di perfettissimi servi del Signore, e li pregò con grande
insitenza affinché chiedessero a quel Signore, per il quale tanto desideravano di subire il martirio,
che si degnasse di manifestarle il giorno della sua morte.
I frati però, che erano veramente umili, si accusavano dicendo che erano dei poveri peccatori e
che non potevano presumere di pregar Dio perché rivelasse i suoi segreti a persone tanto indegne,
quali essi erano. Ma la regina, allora, forse ispirata da Dio, prese nuovamente a pregarli con le
lacrime agli occhi a volersi rivolgere al Signore perché le rivelasse il termine della sua vita.
E i frati, non potendo più resistere a tanta devozione, promisero finalmente di pregare per lo
scopo. Ed ecco che mentre stavano pregando con grande fervore per lei e per la sua intenzione, fu
loro rivelato da Dio ciò che domandavano. Tornati dalla regina le dissero: «Signora, non vi
dispiaccia quello che Dio intende disporre a vostro riguardo, ma rallegratevi invece nel Signore,
poiché non c’è nessuno al mondo che ci ami quanto Lui. Egli dunque per mezzo nostro vi annuncia
che fra breve vi toglierà da questo mondo, ma prima del signore vostro, il re. E questo sarà il segno
certissimo della vostra prossima morte: sappiate con certezza che noi i quali ora siamo qui alla
vostra presenza – fra breve moriremo per la fede di Cristo: e di ciò noi ci rallegriamo vivamente,
perché Il Signore, che tanto ha patito per noi, vuole unirci al numero dei suoi martiri. Perciò,
quando avremo finito i nostri giorni con il martirio in Marocco, i Cristiani porteranno con grande
devozione i nostri corpi in questa città, per esservi sepolti e voi uscirete incontro a noi fuori delle
mura per accoglierci con onore e devozione. Allora ricordatevi di quanto stiamo ora svelandovi, e
sappiate con più sicurezza che quanto abbiamo detto si avverrà senza dubbio».
Tutto poi avvenne come avevano predetto, e perciò la regina in seguito fu ancor più devota a
loro e all’ordine.
VII- Come i santi in una grande siccità ottennero dal Signore un’abbondante sorgente
d’acqua viva
Dopo ciò il predetto Infante e altri baroni cristiani e molti Saraceni, raccolsero un eseercito e
andarono ad espugnare alcuni Saraceni che si erano ribellati al re. I detti cinque frati seguirono
l’esercito.
Vi era qui un certo saraceno che era considerato molto devoto e sapiente dagli altri Saraceni.
Egli frequentemente disputava con i santi frati e sempre essi lo vincevano con i loro argomenti, per
cui egli non potendo sopportare tanta confusione, si allontanò dalla sua patria; e da allora non fu più
visto nell’esercito, né in Marocco.
Mentre Cristiani e saraceni ritornavano dalla guerra, giunsero in un certo luogo in cui non si
trovava acqua da bere né per sé né per le cavalcature. E avendo già fatto tre giornate di cammino
senza incontrare acqua, l’esercito si trovò talmente assetato che dovunque incontravano un po’ di
terra umida si gettavano bocconi al suolo per succhiarla; e facendosi ancor più forte la sete,
cominciavano già a disperare di poter sopravvivere.
Allora frate Berardo, premessa una fervente orazione, prese un bastone, scavò alquanto la terra
e tosto zampillò tant’acqua che poterono bere a sazietà uomini e giumenti e riempirono anche gli
otri. Alla vista di così grande manifesto e utile miracolo, tanto i Saraceni che i cristiani baciavano i
piedi e gli abiti dei santi frati e da allora li ebbero in maggior venerazione e riverenza.
Dopo che si furono saziati gli uomini e gli animali, e furono riempiti gli otri, la fonte ch’era ivi
zampillata si disseccò completamente.
X- Come dopo il martirio gli infedeli straziarono i santi corpi e insorsero contro i
cristiani
Dopo questo macabro spettacolo le donne del Sultano gettarono fuori del palazzo i corpi e le
teste fracassate dei martiri, e il popolo imbestialito prese delle corde, legò piedi e braccia delle
vittime, e li trascinarono fuori del palazzo e delle mura della città, e colà giunti, strapparono le teste
e le membra dai corpi, e le portarono qua e là, correndo, attraverso la città, con uno schiamazzo
infernale.
Dopo aver così straziati e dispersi i corpi e le teste dei martiri per tutta la giornata, al
sopraggiungere della notte le abbandonarono per la campagna circostante, quasi ebbri di tanta
crudeltà, e quasi non si fossero saziati neppure dopo la loro morte nella sete della loro malizia.
Tra i cristiani invece, visto che i santi martiri avevano finito con sì glorioso martirio, alcuni,
levando al cielo le braccia lodavano Dio, altri si aspettavano di poter raccogliere di nascosto le loro
reliquie disperse. Ma i Saraceni, visto ciò, si radunarono in grandissima moltitudine e con gran furia
incominciarono a gettare contro di essi una tal quantità di pietre e sassi, da formare come una
grandinata che oscurava il sole.
Tuttavia, i cristiani – per merito dei santi martiri – riuscirono tutti a fuggire nelle proprie
abitazioni senza subire alcun male. E per timore della morte, rimasero chiusi, nelle proprie case per
tre giorni: tanto più che l’Infante Pietro quel giorno stesso aveva mandato due suoi scudieri sulla
piazza – e cioè Pietro di Fernando e Martino di Alfonso – e i Saraceni li avevano uccisi.
XII- Come vennero puniti alcuni che presumevano toccare le sacre reliquie dopo aver
commesso peccato
Alcuni Saraceni poi, sia per amicizia sia per guadagno, come anche alcuni cristiani schivi
raccolsero le reliquie dei santi, e le offrirono al signor Infante. Questi le accolse con grande
venerazione e le affidò a Giovanni di Roberto, canonico di Santa Croce in Coimbra, suo cappellano,
uomo di riconosciuta pietà, e ad altri tre innocenti giovanetti, fra quelli che erano stimati più
innocenti e puri del suo seguito: ché anzi li faceva custodire con molta diligenza, perché uscendo di
palazzo non si incontrassero con donne capaci di macchiare la loro purità.
Costoro, per ordine dell’Infante si ritirarono in una stanza alta e solitaria, ove trattarono le
reliquie dei santi Martiri, separarono la carne dalle ossa, e le disseccarono al sole.
Nel frattempo, mentre le reliquie venivano così preparate e i sopraddetti custodi stavano in quel
luogo, un certo Pietro, di soprannome Rosario, volle salire a quella stanza ove si conservavano le
sacre reliquie. Questo soldato aveva un’amante di Burgos, di nome Rosaria, cui era molto
affezionato, e poiché erano vissuti lungamente insieme, egli aveva tratto da lei il suo soprannome.
Questi mentre nel salire era giunto si e no alla metà della scala che conduceva alla sopraddetta
terrazza, restò immobile e non poteva più né salire né scendere. Incominciò allora a gridare a gran
forza: «Aiuto! Aiuto! Chiamatemi il confessore!».
Venne allora il detto canonico, ascoltò la sua confessione, dopo la quale il soldato lasciò per
sempre quella donna. E in seguito a ciò ricuperò le forze e poté discendere dalla scala; ma non
poteva parlare finché, d’ordine dell’Infante, il detto canonico non pose sopra il suo petto il teschio
di uno dei martiri e allora recuperò integralmente la perduta loquela e la salute del corpo, come per
l’innanzi.
XIII- Come la sacre reliquie, levatesi in aria, non si lasciarono toccare da un peccatore
Una volta, uno scudiero, di quelli addetti a trattare le reliquie dei santi, sul cui scudo stavano
disseccando, si macchiò con un atto impuro. Di ritorno, volendo come la solito mettere a posto le
reliquie, lo scudo su cui si trovavano si levò improvvisamente in aria così che non poteva toccarle.
Pentitosi, appena si fu confessato le reliquie scesero al solito posto e si lasciarono toccare dalle
mani del detto scudiero.
Per questi miracoli e per molti altri che furono operati, le sacre reliquie cominciarono ad essere
prese in maggiore riverenza sia dall’Infante sia dagli altri della famiglia; e nessuno più che avesse
qualche colpa sulla coscienza ardiva entrare nel palazzo ove erano custodite e sacre reliquie.
Un certo cavaliere, per nome Stefano di Pietro, soprannominato Margarido di Santarem, che fu
presente a molti miracoli e ne rese testimonianza con giuramento davanti al Vescovo di Lisbona,
confessò che molte volte egli stesso si trattenne dal commettere qualche colpa per paura di venir
sorpreso in fatto come l’altro cavaliere di cui si è detto, per virtù delle sacre reliquie che doveva
custodire e talvolta trattare.
XIV- Come l’Infante Pietro per loro merito fu liberato da molti pericoli ed insidie
Dopo ciò l’Infante fece due urne d’argento, e nell’una depose i teschi con la carne disseccata,
nell’altra le ossa. E teneva queste reliquie nella sua cappella ove frequentemente si recava a
supplicare con grande umiltà i santi Martiri, a volergli ottenere la grazia di potersi ritirare dalla terra
dei Saraceni e tornare in patria, perché da molto tempo era trattenuto colà contro voglia.
E avvenne che il re Miramlino un giorno fece chiamare a sé l’Infante e gli diede generosamente
la libertà di partire, aggiungendo che vi era qualcuno che gli suggeriva di ucciderlo, ma che egli non
riteneva giusto di mandare a morte un tant’uomo, a prescindere dai grandi meriti acquistati per i
servizi resi.
L’Infante avuta licenza dal re, partì dalla città di Marocco con suo seguito; e dopo un giorno e
una notte di cammino giunse a un luogo ove i sentivano da vicino ruggiti di leoni e spaventosi
ululati. Un immane terrore prese tutti, e, spinti dalla fede, collocarono dalla parte ove vedevano
raccogliersi i leoni la cassa di legno in cui erano state riposte le urne argentee con le reliquie. Da
quel momento non videro più i leoni, né udirono i loro ruggiti.
Il giorno seguente giunsero sul far della notte ad un luogo ove incrociavano molte strade; ma
nessuno sapeva quale fosse la via più sicura, perché non avevano con sé alcuna guida. Allora
l’Infante, confidando molto nell’intercessione dei santi Martiri, ordinò che si mandasse innanzi la
mula che portava le reliquie dei Santi e che tutti seguissero la via ch’essa avrebbe scelta.
Così, nel dubbio, con piena fiducia nelle reliquie, si affidarono tranquillamente alla scelta di un
animale irragionevole. La mula poi, guidata dalla Provvidenza, si voltò subito dalla via nella quale
erano state preparate e tese inside all’Infante per opera di molti Saraceni. come gli fu riferito in
seguito – ché allora né lui né gli altri del suo seguito sapevano niente di ciò. E la mula passò per una
via poco praticata e aspra, attraverso monti e valli. E così un animale irragionevole li condusse per
la strada più sicura fino a Ceuta.
Giunti a Ceuta trovarono, per disposizione divina, delle navi già pronte per salpare. Vi si
recarono tosto e concedendo il Signore venti favorevoli, navigarono tranquillamente fino alle parti
dei cristiani, secondo il desiderio di ognuno.
Nella prima sera di navigazione, al sopraggiungere delle tenebre, temettero che le due navi
sulle quali erano saliti non andassero a sbattere e infrangersi sugli scogli. Allora tutti quelli che si
trovavano sulla nave ove era la cassa delle reliquie dei Martiri si prostrarono davanti ad esse e
supplicarono con gran devozione i santi Martiri a liberarli da sì gran pericolo. Ed ecco scendere
improvvisamente dal cielo una gran luce, con la quale i marinai potevano ben vedere il mare da una
parte e dall’altra.
E allora poterono accorgersi chiaramente che le navi erano veramente dirette contro alcuni
scogli che apparivano in alto mare; ma per l’aiuto provvidenziale di quella luce poterono dirigere le
imbarcazioni, evitare gli scogli, sfuggire il pericolo di morte e giungere finalmente sani e salvi nelle
persone e nelle cose ai porti desiderati di Algesiras e Tarifa, e infine a Siviglia.
Ma il re del Marocco, pentito di aver permesso all’infante di tornare, mandò colà dei suoi
emissari in tutta fretta con rapide imbarcazioni, per ricondurli in Marocco anche contro lor volontà.
Ma l’Infante e i suoi furono tempestivamente avvertiti da alcuni cristiani, che per mare avevano
preceduto i corrieri del re; per cui si diressero con tutta la velocità che fu loro possibile al regno di
Castiglia.
I marinai avevano appena inalberate le vele, ed ecco giungere i soldati del re di Marocco, che
volevano far prigioniero e riportare indietro l’Infante e tagliar la testa a tutti i suoi compagni. Ma
liberati anche da questo pericolo per i meriti dei santi Martiri, giunsero sani e salvi in Spagna.
XV- Come la regina di Portogallo con tutto il poplo di Coimbra rese onore alle reliquie
dei santi martiri
Allorché finalmente l’Infante Pietro entrò in Portogallo, la fama delle sopradette reliquie si era
sparsa dovunque. Mentre l’Infante con le reliquie si avvicinava a Coimbra, Urraca, regina del
Portogallo, di cui abbiamo parlato all’inizio del nostro racconto, con tutto il popolo andò incontro ai
sacri tesori e con grande devozione e solennità li accompagnarono fino al monastero di santa Croce
in Coimbra, e ivi li deposero con i dovuti onori, e a lode e a glorificazione di Dio rifulsero di molti
miracoli.
Allorché poi il beato Francesco, ch’era ancora in vita, udì il martirio dei detti frati, asultò di
tutto cuore, e con gioia esclamò: «Adesso posso dire veramente di avere cinque frati Minori!».
XVI- La gloria dei santi dopo la morte e come si adempì la loro profezia della morte
della regina
Affinché si adempisse la profezia fatta dai santi frati e rivelata alla regina – della quale abbiamo
parlato più sopra – poco tempo dopo l’arrivo delle reliquie in Coimbra, la regina Urraca, piena di
virtù, una notte passò di questa vita.
Nella stessa ora, don Pietro Nunez, canonico e sacrista del monastero di santa Croce – uomo
ornato di ogni santità e confessore della regina – vide una processione interminabile di frati Minori
entrare nel coro dei canonici, e cantare il Mattutino con una melodia ineffabile. Si stupì assai della
cosa, e cominciò a pensare tra se come mai una così grande moltitudine di frati aveva potuto entrare
mentre le porte del monastero erano chiuse; né credeva che a quel tempo potessero esserci tanti frati
Minori in tutto il mondo; e ancora si meravigliava come mai avessero cantato Mattutino in maniera
tanto insolita senza neppur suonare le campane.
Mentre era così soprappensiero, entrò nel coro e lo vide pieno di frati. Si avvicinò a uno di loro
e chiese per dove e perché tanti frati erano entrati a quell’ora. Ed egli rispose: «Noi tutti che vedi
qui presenti siamo stati in vita frati Minori, e ora regniamo gloriosi con Cristo. Per questo – non
essendo noi di questo mondo – le porte non hanno potuto impedirci di entrare, come vedrai anche
alla nostra uscita».
Allora il canonico Pietro l’interrogò, perché erano venuti a recitare il mattutino con tanto
concento di voci. E quel frate rispose: «Sappi, che or ora è morta la regina Urraca. E siccome di
tutto cuore amò il nostro ordine e il beato Francesco, nostro Signore Gesù Cristo ci ha mandati qui a
recitare con tutta solennità il Matutino in onore suo. E siccome tu era il suo confessore e
specialissimo amico, Iddio volle che tu vedessi tutto questo».
Allora il canonico Pietro esclamò con gran sentimento: «Piacesse a Dio che potessi vedere in
questo mondo il beato Francesco!». E tosto quel frate gli mostrò il beato Francesco risplendente di
una gloria indicibile. Al vederlo, il canonico Pietro ne fu indicibilmente consolato, e continuava a
ringraziarne Dio. Allora quello stesso frate gli indicò altri cinque frati che camminavano circondati
di gloria particolare in quella processione, e gli disse: «Quelli sono i frati che in Marocco subirono
un glorioso martirio per Cristo e sono sepolti in questo monastero».
Ma il canonico Pietro, benché godesse di una grande dolcezza spirituale per la visione avuta,
rimaneva alquanto incerto sul fatto della morte della regina. A lui disse il frate: «Non dubitare della
morte della regina, ma credi che quello che ti ho detto è vero. E questo sarà il segno che ti do: fra
poco, mentre noi ripartiremo da questo monastero, verranno subito a battere alla porta e sentirai la
nuova della morte della regina».
Allora tutta quella processione di frati uscì, a porte chiuse dal monastero, ed ecco che nello
stesso momento alcuni messi della famiglia della regina bussarono alla porta e annunziarono che la
regina era spirata. E così si compi la profezia, e nello stesso tempo fu mostrato quanto era stata
gradita a Dio la devozione che la regina aveva avuto per l’Ordine dei frati Minori.
APPENDICE
1. Vita del beato Antonio
La vicenda dei Protomartiri francescani si interseca nella agiografia antoniana, ossia le
narrazioni della vita di sant’Antonio di Padova canonizzato da papa Gregorio IX nel duomo di
Spoleto nel 1232. Così la Vita del beato Antonio, detta anche Legenda Assidua, narra:
Quando l’infante don Pedro trasportò dal Marocco le reliquie dei santi martiri francescani, fece
sapere per tutte le province della Spagna com’era stato liberato in modo prodigioso per loro
intercessione. Udendo il servo di Dio i miracoli che si compivano per i meriti dei martiri, sorretto
dal vigore dello Spirito Santo e stringendo i fianchi con la cintura della fede, irrobustiva il braccio
con l’armatura dello zelo divino. E diceva in cuor suo: «Oh, se l’Altissimo volesse far partecipe
anche me della corona dei suoi santi martiri! Se la scimitarra del carnefice colpisse anche me,
mentre in ginocchio offro il collo per il nome di Gesù! Avrò la grazia di veder questo? potrò godere
un giorno così felice?». Questi e simili detti ripeteva tra sé tacitamente.
Non lontano dalla città di Coimbra, in un luogo chiamato Sant’Antonio, abitavano alcuni frati
Minori, i quali sebbene illetterati, insegnavano con le azioni la sostanza delle Scritture divine. Essi,
secondo le norme del loro istituto, venivano molto spesso a chieder l’elemosina al monastero dove
viveva l’uomo di Dio. E un giorno essendosi Fernando appartato, secondo il solito, per salutarli,
conversando, disse tra l’altro: «Fratelli carissimi, con vivo desiderio vorrei indossare il saio del
vostro ordine, purché mi promettiate di mandarmi, appena sarò tra voi, alla terra dei Saraceni, nella
speranza di esser messo a parte anch’io della corona insieme con i santi martiri». I frati, pieni di
gioia nell’udire le proposte di un uomo così insigne, fissarono l’indomani per recargli il saio,
troncando ogni indugio fomentatore di pericoli. Mentre i frati se ne tornavano lieti al convento, il
servo di Dio rimase, dovendo chiedere all’abate la licenza per quanto aveva stabilito. La strappò a
fatica, a forza di suppliche. Di buon mattino, memori della promessa, i frati giungono e, secondo il
convenuto, vestono in fretta nel monastero il servo di Dio con l’abito francescano9.
9
Vita prima di sant’Antonio o Assidua (c. 1232), a cura di V. Gamboso (Fonti agiografiche antoniane, 1), Ed.
Messaggero Padova, Padova 1995, pp. 287-293.
10
Processo di canonizzazione di Chiara d’Assisi, VI,6, in Fonti Francescane. Nuova edizione, a cura di E. Caroli,
Editrici Francescane, Padova 2004, n. 3029.
11
Processo di canonizzazione di Chiara d’Assisi, VII,2, in Fonti Francescane. Nuova edizione, n. 3042.
l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione e in altri simili cose, e per questo hanno
ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno
compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle»12.
Dei frati, poi, che passarono per la Spagna, cinque furono coronati del martirio. […] Quando
furono riferiti al beato Francesco il martirio, la vita e la leggenda dei suddetti frati, sentendo che in
essa si facevano le lodi di lui e vedendo che i frati si gloriavano del martirio di quelli, poiché egli
era il più grande disprezzatore di se stesso e sdegnava la lode e la gloria degli uomini, rifiutò tale
leggenda e ne proibì la lettura dicendo: «Ognuno si glori del proprio martirio e non di quello degli
altri»13.
12
FRANCESCO D’ASSISI, Ammonizioni, VI, in Fonti Francescane. Nuova edizione, n. 155.
13
GIORDANO DA GIANO, Cronaca, 7-8, in Fonti Francescane. Nuova edizione, n. 2329-2330.
14
EGIDIO D’ASSISI, I Detti, 25, traduz. di N. Vian, in I mistici francescani, secolo XIII, vol. I, Editrici Francescane,
Bologna 1995, p. 135.
Aggiungendo alcuni particolari alla vicenda di san Francesco, menziona proprio i primi frati Minori
martirizzati:
Per tre volte [Francesco] volle andare [nelle terre d’]oltre mare et non vi riuscì a causa d’un
naufragio, e si mise in cammino verso [la terra del] Miramolino in Spagna e in Marocco, dove
successivamente i nostri frati furono martirizzati15.
15
SAINT BONAVENTURE, Sermons de diversis, éd. J.-G. Bougerol, II, Paris 1993, p. 762.
con il sigillo dell'ordine o con certificazione del vicario generale dei frati Minori, questa festa
Cristiana si diffonda e sia diffusa qualora la presente Bolla sia mostrata in originale.
Dato a Roma in San Pietro, sotto l'anello del Pescatore, nel giorno 7 Agosto 1481, ... anno X16.
16
SISTO IV, Cum alias, in Bullarium Franciscanum, n.s. III (1471-1484), ed. J. Pou Y Marti, Ad Claras Aquas 1949,
p.740; traduzione italiana di Fausto Dominici.
Fame e sete tolleraste
Vento e sol così scampaste
Dalla sabbia acqua gustaste
Voi pregando con ardore
maltrattati e insultati
predicaste ostinati
torturati, flagellati
tutto a lode del Signore
G. CASSIO, Oltre Assisi. Con Francesco nella Terra dei Protomartiri attraverso l’Umbria
Ternana, Velar-ElleDiCi, Gorle 2010.
San Francesco e il Sultano. Atti della Giornata di Studio (Firenze, 25 settembre 2010), in Studi
Francescani 108/2 (2011), pp. 425-565.