DA FILOSOFO A MAESTRO:
NOTE ICONOGRAFICHE SULLA VIRGA VIRTUTIS
TRA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO
Penelope Filacchione
Sappiamo che l’educazione del mondo antico includeva, tra l’altro, anche
l’apprendimento di un sistema comportamentale e gestuale. Nelle immagini il si-
stema si cristallizza assumendo un valore simbolico che serve, di volta in volta, ad
individuare ruoli e funzioni dei personaggi rappresentati. A distanza di secoli il
linguaggio visivo può apparire criptico, ma è possibile comunque cercare di deci-
frarlo mettendolo a confronto con la letteratura e le fonti storiche. Dobbiamo co-
munque tenere presente come sia possibile trovare delle discrasie: un po’ perché i
testi non sempre descrivono tutti gli atteggiamenti gestuali, un po’ per le necessità
speciiche alla narrazione per immagini e per via di una evoluzione interna dei
sistemi iconograici, che con il tempo diventano “autoreferenziali”, può accadere
che la rappresentazione igurata di alcuni soggetti prenda una via divergente da
quella letteraria, per seguire un percorso concettuale indipendente.
Tra i tanti soggetti che hanno seguito questa sorte è l’immagine del magister
e, in particolare, dell’oggetto che dovrebbe rappresentarne l’autorità, la virga o
ferula.
La virga e il maestro non si pongono tra i soggetti iconograici di studio più
originali: tanto è stato scritto in merito e da tempo esistono degli studi pressoché
esaustivi sull’argomento;1 ciononostante è forse possibile cogliere qualche detta-
glio ulteriore ponendoci in una prospettiva diversa, che – oltre l’aspetto simboli-
co – tenga conto degli aspetti attitudinali, nonché delle necessità di rappresenta-
zione e di auto rappresentazione facenti parte della società romana al momento
del passaggio al pensiero cristiano.
Iniziamo tralasciando volutamente tutti gli aspetti magico-iniziatici della
virga, per concentrarci invece sul potere verso gli uomini simbolicamente insito
nel soggetto che la possiede.
1
U. Utro, Virga, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconograia paleocristiana, Città del
Vaticano 2000, 300-301: con completissima bibliograia precedente.
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Una rapida disamina delle ricorrenze letterarie latine2 pone la virga nelle
mani del pastore (come bastone pastorale, appunto), del cavaliere alla guida della
sua cavalcatura, e poi, come immagine di potere, si ritrova nella forma dello scet-
tro imperiale, dell’insegna del magistrato ricordata anche da Agostino e in quella
- fondamentale per la società romana - di strumento rituale del patrono all’atto
della manumissio dello schiavo. Oggetto simbolico di autorità, la virga - o radius
- è sia l’attributo del ilosofo sia lo strumento utilizzato materialmente nell’atto
di insegnare, tanto dal ilosofo che dal maestro di scuola ricordato da Marziale:
“ferulaeque tristes sceptras paedagogorum”.3 Triste, dunque, ma pur sempre scettro,
simbolo del potere del maestro sui suoi discepoli: un potere utilizzato a volte in
maniera discutibile e violenta, come viene discusso infatti da Quintiliano.4
D’altra parte, ponendoci come obiettivo quello di seguire l’evoluzione ico-
nologica della virga nella tarda antichità ino a penetrare nel linguaggio igurativo
cristiano, non possiamo tralasciare le ricorrenze nella Bibbia, ad iniziare dall’An-
tico Testamento, dove il “bastone” fa la sua comparsa in dall’Esodo, quando
Mosé riceve da Dio quella virga prodigiosa, la virga virtutis, che sarà distintiva
dell’incarico ricevuto sull’Oreb.5 Mosé compirà quindi i suoi prodigi per mezzo
della virga, retta – come spiega – dalla mano di Dio: per mezzo della mano di-
vina, rappresentata materialmente dal suo bastone, Mosè apre le acque del Mar
Rosso e fa scaturire dalla roccia l’acqua per dissetare il suo popolo nel deserto.6 Il
ruolo del bastone è talmente centrale nella storia di Mosé che l’iconograia predi-
lige precocemente le scene in cui è rappresentato con la sua virga, che lo distingue
e visualizza la volontà di Dio che si realizza attraverso di lui.7
2
hesaurus Linguae Latinae, s.v. Ferula; Oxford Latin Dictionary, s.v. Virga.
3
Marziale, Epigrammi, X,62,10.
4
Quintiliano, Institutio Oratoria I 2,14-16. Il concetto di violenza isica “necessaria”
all’insegnamento e alla formazione dei igli era difuso e ammesso in tutta l’antichità: Pr 13,24;
19,18, 22,15; 23,13; Platone, Protagora, 325; Platone, Leggi, Libro VII.
L’argomento sarà molto discusso proprio dagli scrittori cristiani che si sono occupati ed
hanno subito questo tipo di educazione: Agostino, Confessioni, I 9,14-15.
5
Es 4,1-17.
6
Es 14,15-31; 15,22-25; 17,1-7; Nm 20,2-11.
7
Il cosiddetto “Miracolo della fonte”, sintesi visiva delle diverse occasioni in cui Mosè fa
scaturire acqua dalla roccia, appare assai presto nell’iconograia cristiana: lo troviamo ad esempio
nella pittura cimiteriale del III secolo sia nella Cappella Greca del Cimitero di Priscilla che nei
cubicoli dei sacramenti nella catacomba di San Callisto. Per la bibliograia su questo soggetto cf.
A.M. Nieddu, Miracolo della fonte, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconograia paleocristiana,
o.c., 216-219, Tav. XLVIII; queste pitture sono state riprodotte in J. Wilpert, Le pitture delle
catacombe romane, Roma 1903, Tav. 13 e Tav. 46,1. Il soggetto, che non subisce variazioni di
rilievo nel corso del tempo, è presente anche nel cubicolo A della catacomba romana di via Dino
Compagni: F. Bisconti, Il restauro dell’ipogeo di via Dino Compagni. Nuove idee per la lettura
del programma decorativo del cubicolo “A”. Scavi e restauri pubblicati a cura della Commissione
Pontiicia di Archeologia Sacra, vol. 4, Città del Vaticano 2003, 62, igg. 45, 47. La scena del
Da ilosofo a maestro 121
Ed arriviamo così al Nuovo Testamento: dal momento che, come vedremo,
sono proprio le immagini neotestamentarie – e nello speciico quelle che riferi-
scono una certa categoria di miracoli di Cristo – quelle che più frequentemente ci
propongono la virga, ci aspetteremmo di trovare un’abbondanza di dettagli lette-
rari in merito laddove, invece, con la spoglia semplicità narrativa dei Vangeli, anche
il più eclatante dei miracoli si esaurisce in poche righe e non appare nessun accen-
no all’oggetto. Al contrario, i miracoli di moltiplicazione dei pani avvengono per
imposizione delle mani8 e quello delle nozze di Cana senza alcuna manifestazione
visibile,9 mentre la resurrezione di Lazzaro si realizza solo attraverso la parola.10
Fermandoci a rilettere un momento è chiaro che l’intromissione dell’ogget-
to virga nelle mani di Cristo ha una valenza simbolica speciale, creando una sim-
metria tra Mosé e Cristo,11 simmetria ben spiegata dai Padri della Chiesa e che si
fa tangibile proprio nei cicli decorativi afrescati nelle catacombe12 o scolpiti sulla
Passaggio del Mar Rosso appare tardi nella pittura cristiana, mentre in ambito ebraico è molto
precoce, dato che la troviamo nella sinagoga di Dura Europos durante la prima metà del III sec.
d.C.: C.H. Kraeling, he Excavation at Dura Europos. Final report, vol. 1. he Synagogue, New
Haven 1956, 74-86. Nei cimiteri cristiani la ritroviamo solo durante la seconda metà del IV secolo
d.C. nel Cimitero di via Dino Compagni, in ambienti architettonicamente complessi: dipinta in
tono megalograico è abbinata alla Resurrezione di Lazzaro, con la folla dei fedeli da un lato e del
popolo ebraico dall’altro. Il soggetto è qui da mettere probabilmente in relazione con una nutrita
serie di sarcofagi a fregio continuo: C. Sanmorì, Passaggio del Mar Rosso, in F. Bisconti (a cura
di), Temi di iconograia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 245-247, Tav. XXV,a.
8
Moltiplicazione dei pani: Mt 14,13-21; 15,32-39; Mc 6,32-44; 8,1-9; Lc 9,12-17; Gv
6,1-13. Per l’iconograia, che riunisce in una scena unica due miracoli distinti, cf. B. Mazzei,
Moltiplicazione dei pani, in F. Bisconti (a cura di), Temi di iconograia paleocristiana, Città del
Vaticano 2000, 220-221, Tav. XXI, a, e relativa bibliograia completa.
9
Nozze di Cana: Gv 2,1-11. M.P. Del Moro, Nozze di Cana, in F. Bisconti (a cura di),
Temi di iconograia paleocristiana, o.c., 232-234, Tav. VV,b.
10
Resurrezione di Lazzaro, Gv 11,39-44; M. Guj, Lazzaro, in F. Bisconti (a cura di), Temi
di iconograia paleocristiana, o.c., 201-203, Tav. XLVI, b.
11
M. Dulaey, Le symbole de la baguette dans l’art paléochrétien, in “Revue des Études
Augustiniennes”, XIX, 1973, 3-38: per la simmetria Mosé/Cristo secondo l’interpretazione dei
Padri della Chiesa, cf. in particolare pagine 16-19. Più speciico su questo argomento, l’altro
articolo dello stesso autore: M. Dulaey, Virga virtutis tuae, virga oris tuae. Le bâton du Christ
dans le christianisme ancien, in “Quaeritur inventus colitur”. Miscellanea in onore di U.M. Fasola,
Città del Vaticano 1989, 235-245.
12
L’abbinamento dei miracoli con la virga operati da Mosè e da Cristo è piuttosto ripetuto
nelle decorazioni cimiteriali romane: statisticamente il soggetto di Mosè che batte la rupe (che
compare 71 volte) è ricorrente quasi quanto quello della Risurrezione di Lazzaro (63 volte); per
quasi la metà dei casi (29 volte) i due temi appaiono appaiati nel programma decorativo dello
stesso ambiente. Anche la scena della Moltiplicazione dei pani è molto amata e, sembra, preferita
a quella delle nozze di Cana: ben 32 volte per la scena dei pani, contro sole 4 scene sicure in pittura
con la scena delle anfore, che sono invece più ricorrenti nella scultura dei sarcofagi. Solo in un
caso, nella catacomba dei santi Marcellino e Pietro, le due scene appaiono insieme: in pittura si
preferisce abbinare la Moltiplicazione dei pani al Miracolo della Rupe (7 casi), alla Risurrezione di
122 Penelope Filacchione
fronte dei sarcofagi.13 D’altra parte, quando gli artisti traducono un soggetto let-
terario in immagini, tengono conto della necessaria interazione tra immagini ed
osservatore, ovvero della comprensione immediata che sottintende al funziona-
mento di un sistema semantico; in caso contrario, anche la più sottile costruzione
iconica è destinata a cadere nel giro di breve tempo.
La fortuna della virga nel mondo igurativo si deve anche alla forte capacità
evocativa della vita reale insita nell’oggetto, ragion per cui essa diventa un espe-
diente narrativo che, discostandosi dal tema letterario, rende immediatamente
riconoscibile all’osservatore il sottinteso concetto testuale.
Ma torniamo alle origini, ovvero alle immagini in cui compare la virga: an-
che in questo caso tralasciamo le più ermetiche – come quelle iniziatiche dei culti
misterici, di dubbia interpretazione – per concentrarci invece sulle scene che pos-
siamo con più facilità deinire “di insegnamento”.
Dobbiamo subito premettere che le scene di insegnamento scolastico per-
venuteci dall’antichità sono piuttosto rare: non è strano perché nel mondo greco
l’educazione “bassa” non era un evento particolarmente degno di essere ricor-
dato, mentre nel mondo romano – dove a partire dalla primissima età imperiale
è molto più difusa – è uno di quegli aspetti della quotidianità che rientra nel
linguaggio igurativo soprattutto come fatto aneddotico, di cui la virga fa parte
con naturalezza.
Pochissime sono le immagini dove compaiono un paedagogus o un gram-
maticus e i suoi giovani allievi: una delle più note viene da Treviri e risale al II-III
Lazzaro (3 volte) o a tutte e due insieme (altre 7 volte). In sintesi, come è logico per più della metà
dei casi il signiicato eucaristico neotestamentario si abbina con quello della salvezza/provvidenza
del Vecchio Testamento e con quello della risurrezione. Signiicativa in questo senso la decorazione
di un cubicolo della catacomba dei santi Marcellino e Pietro la cui volta riunisce – unico caso – i
quattro miracoli “della virga”, ovvero quello della Rupe, le Nozze di Cana, la Moltiplicazione dei
pani e Lazzaro. Come abbiamo visto, in pittura la scena del passaggio del Mar Rosso è invece
molto più rara, dato che appare solo in due scene, essendo invece preferita per la plastica funeraria
(cf. nota 7). Troppo complesso riportare qui l’intera bibliograia per ciascun dipinto, si rimanda
quindi al catalogo dei soggetti in A. Nestori, Repertorio topograico delle pitture delle catacombe
romane, Città del Vaticano 1993, s.v. Cana, 195, Lazzaro, 205, Moltiplicazione dei pani, 207,
Passaggio del Mar Rosso, 211, Rupe, 214.
13
Sulla fronte dei sarcofagi gli stessi temi vengono abbinati con un criterio più funzionale al
tipo di supericie e di inquadramento compositivo, oltre che concettuale: ad esempio sul cosiddetto
sarcofago Dogmatico appaiono sia il miracolo delle Nozze di Cana (realizzato per mezzo della
virga) che la Moltiplicazione dei pani. In un angolo una igura fa sgorgare acqua da una roccia, ma
potrebbe trattarsi più di san Pietro che di Mosè. F.W. Deichmann, Repertorium der christlich-
antiken Sarkophage. Rom und Ostia, vol. 1, Wiesbaden 1967, n. 43. Della “intromissione” di un
nuovo soggetto riparleremo più avanti, ma intanto notiamo che già sant’Agostino indicava un
rapporto tra Mosè e san Pietro per via del miracolo della rupe: Agostino, Sermone 351; PL
39,1535 ss.
Da ilosofo a maestro 123
secolo d.C.14 Ad essa aggiungiamo due frammenti di sarcofago rinvenuti nella
catacomba romana di Vibia: casualmente due porzioni di coperchio di due di-
versi sarcofagi romani sono state rinvenute nella medesima catacomba, entrambe
reimpiegate in epoca tardo antica. Di queste, la prima rappresenta il maestro con i
suoi allievi, la seconda sembra lo spaccato di un ediicio adibito all’insegnamento
per i bambini.15 Si tratta di immagini semplici, riferite al mondo quotidiano e
forse attinenti ad episodi della vita del defunto, destinatario del sarcofago stesso;
ciò che colpisce i nostri occhi di educatori moderni è la crudezza delle scene, vi-
sto che in ambedue i casi il maestro usa efettivamente la virga come strumento
punitivo. Dato che normalmente queste scenette di genere sono concepite come
“vignette”, che riassumono una situazione in pochissimi luoghi comuni, verrebbe
da pensare che le discussioni degli antichi in merito ai metodi didattici avessero
un valido fondamento! Comunque sia, il maestro usa la propria ferula-virga come
strumento di un potere indotto attraverso la superiorità isica, quindi tutt’altro
che simbolica.16
Esiste inoltre un rilievo funerario trovato presso il tempio di Ercole ad Ostia,
in cui un personaggio (ilosofo?) in piedi su una sorta di podio tiene lezione ai
suoi allievi, diligentemente seduti ai banchi con le loro tavolette.17 Se escludiamo
la cosiddetta “scena di scuola” della Basilica Neopitagorica di Porta Maggiore,18
che, visto l’ambiente, potrebbe riferirsi ad un tipo di insegnamento diverso, il
nostro repertorio è praticamente completo.
Diverso è il contesto dell’insegnamento ilosoico.
Anche in questo caso le immagini delle scuole ilosoiche non sono moltis-
sime: il mondo greco classico non amava la descrizione visiva della quotidianità,
ragion per cui anche la ritrattistica – sia pure tipologica – entra a pieno titolo
nell’arte greca piuttosto tardi. Troviamo comunque un certo numero di ritratti
di ilosoi, perlopiù rinvenuti in ambito romano o nelle grandi città asiatiche, che
sembrerebbero copie o adattamenti di precedenti ritratti di epoca tardo classica
od ellenistica: in questi casi la isionomia, l’atteggiamento e l’abito erano indi-
spensabili al riconoscimento del personaggio, benché oggi non del tutto suicien-
ti a fugare il dubbio sull’identità dei ilosoi rappresentati.19
14
L. Schwinden - H. Nortmann - P. Seewaldt, Das Rheinische Landesmuseum Trier:
Einführung in die Sammlungen, Trier 1991, Relief mit Unterrichtsszene von einem römischen
Grabmal.
15
A. Ferrua, La catacomba di Vibia, II, in “Rivista di Archeologia Cristiana” 49 (1973),
133-135, igg. 2, 3.
16
J.B. Poynton, Roman education, in “Greece & Rome”, 4,10 (1934), 1-12.
17
R. Calza - M. Floriani SQuarciapino, Museo Ostiense, Roma 1962, 82-83, n. 13.
inv. 130. Tardo IV secolo d.C.
18
J. Carcopino, La basilique pythagoricienne de la Porte Majeure, Paris 1926.
19
W. Amelung, Notes on Representations of Socrates and of Diogenes and Other Cynics, in
124 Penelope Filacchione
In età ellenistica dovevano però esistere dei quadri – probabilmente ad ope-
ra di qualche pittore celebre – che rappresentavano le scuole ilosoiche: di quei
dipinti non ci è arrivato nulla, ma dovevano essere bene in voga, se ne ritroviamo
una versione musiva a Pompei, risalente probabilmente al I secolo a.C.; all’in-
terno del recinto di una scuola ilosoica (l’Accademia di Platone?) un gruppo
di sette personaggi è intento a meditare in solitudine oppure a discutere con un
collega: l’atteggiamento pensoso della mano al mento, i volumina e una virga con
la quale viene indicata la sfera armillare sono gli attributi di questi sette ilosoi,
forse riferibili ai Sette Sapienti della tradizione greca.20
Un altro mosaico con un bel gruppo ilosoico è stato ritrovato ad Apamea
di Siria e risale alla seconda metà del IV secolo d.C.: siamo nel pieno della produ-
zione artistica tardo antica ma, nonostante l’evidente trasformazione del registro
narrativo, i sette uomini sono rappresentati ancora secondo la varietà del mondo
greco. A distanza di secoli il contesto rimane invariato: si tratti dei Sette Sapienti
o di altri ilosoi, troviamo sempre un gruppo di persone in atteggiamento colto
e pensoso, ritratte con una certa varietà di volti e capigliature. Gli abiti ne identi-
icano eventualmente la scuola di appartenenza: il cosiddetto “pallio alla cinica”,
che lascia il torace scoperto, era indossato tradizionalmente dai ilosoi cinici che
ne attribuivano a Socrate il primo uso.21
Ad Apamea la didascalia CωKPATHC (Socrates) identiica il personaggio
centrale, per cui si pensa che il mosaico dovrebbe rappresentare sei dei sette sa-
pienti, con l’aggiunta del maestro della paideia, ciascuno dei quali tiene una virga
stretta nella mano destra ed un volumen nella sinistra.
Insomma, non abbiamo moltissimo, ma quel tanto che basta a confermare
una tradizione letteraria che vuole la virga come attributo distintivo del ilosofo,
al contempo scettro della sua sapienza e strumento per l’insegnamento pratico
condotto attraverso l’osservazione dei fenomeni, indicati appunto mediante il
lungo bastone.
“American Journal of Archaeology” 31 (1927), 281-296; P. Zanker, La maschera di Socrate.
L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica, Torino 2009.
20
Emblema musivo raigurante sette ilosoi, cosiddetta Accademia di Platone, I sec. a.C.
(Museo Archeolgico Nazionale di Napoli, Inv. 124545): P. Zanker, La maschera di Socrate, o.c.
nota 19, igura 193, nota 44; G.M.A. Richter, he Portraits of the Greeks, vol. 1, London 1965,
82, igg. 316, 319.
21
P. Zanker, La maschera di Socrate, o.c., nota 19, ig. 201; G.M.A. Richter, he Portraits
of the Greeks, o.c. 82, ig. 315; J.C. Balty, Nouvelles mosaïques du IVe siècle sous la “cathédrale de
l’est”, in J. e J.C. Balty (a cura di), Apamee de Syrie. Bilan des recherché archéologiques 1969-1971,
Bruxelles 1972, 163-185, Tav. 53, ig. 1. Per la relazione tra questo mosaico, il precedente e la
cosiddetta “Lezione di medicina” della catacomba di Via Dino Compagni a Roma: P. Boyancé,
Aristote sur une peinture de la Via Latina, in Mélanges Eugène Tisserant (= Studi e Testi 234), vol.
IV, Città del Vaticano 1964, 111-112.
Da ilosofo a maestro 125
A questo gruppetto esiguo, ma sicuro, di ilosoi, si aggiunge una schiera di
“ilosoi dilettanti”, che punteggia la storia dell’arte romana ino alla tarda anti-
chità.
La pittura pompeiana propone una carrellata di personaggi con stilo, tavo-
letta e volumen: si potrebbe trattare degli strumenti di qualcuno che si dedica
alle attività imprenditoriali, ma gli oggetti e l’atteggiamento delle persone ritratte
rimandano volutamente all’ambiente intellettuale.22 Ancora nel pieno del IV se-
colo, a Roma la famiglia di Trebio Giusto detto Asellus (!), esibisce il iglio “stu-
dente modello” intento alla sua occupazione: benché non i tratti di un ilosofo,
si direbbe che la formazione scolastica abbia occupato una porzione signiicativa
della breve carriera terrena del giovane defunto.23
Dal II secolo si difonde, attraverso gli imperatori ilosoi, l’immagine del
romano colto, per il quale la cura dello spirito è il giusto completamento del ruolo
sociale: i sarcofagi delle muse della tradizione pagana collocano i defunti nell’ha-
bitat ilosoico – che diventerà habitat paradisiaco per i cristiani – simbolico di
quella difusa philantropia tipica della cultura romana ellenizzante.24
In questa temperie culturale collochiamo le immagini ilosoiche nelle sepol-
ture collettive pagane e cristiane: è il caso della teoria di “ilosoi” che ci guardano
dalle pareti dell’Ipogeo degli Aureli in viale Manzoni. Assistiamo ad una silata
di ritratti idealizzati della famiglia degli Aureli, o forse solo immagini simboliche
di un clima colto ed iniziatico, dove la ripetizione ossessiva dei simboli ilosoici
– pallium, volumen, virga – diventa indispensabile alla creazione di un clima di
sospensione dalla vita vissuta per porre i defunti nel contesto dell’elevazione spiri-
tuale, che passa anche attraverso le religioni misteriche, cristianesimo compreso.25
22
Cf. ad esempio il ritratto di Terentius Neo e la moglie (cosiddetto Paquio Proculo) del
Museo archeologico di Napoli: nonostante lui fosse il proprietario pompeiano di un laboratorio
di panetteria, il ritratto che si era fatto fare nel tablino – stanza principale e di rappresentanza
della casa – lo rappresenta come un intellettuale, assieme alla moglie che tiene tra le mani tavoletta
e stilo: E. La Rocca - S. Ensoli - S. Tortorella - M. Papini, Roma. La pittura di un impero,
Milano 2009, 244, scheda VI.2.
23
F. Bisconti, Il programma decorativo dell’Ipogeo di Trebio Giusto tra attitudine e auto
rappresentazione, in R. Rea (a cura di), L’ipogeo di Trebio Giusto sulla via Latina: scavi e restauri,
Città del Vaticano 2004, 133-147, igg. 73, 80, 85.
24
H.I. Marrou, Mousikos anēr, étude sur les scènes de la vie intellectuelle igurant sur les
monuments funéraires romains, Paris 1938. Per il passaggio dell’atmosfera colta di questi sarcofagi
in quelli cristiani detti “del paradiso”: F. Bisconti, I sarcofagi del paradiso, in F. Bisconti - H.
Brandenburg (a cura di), Sarcofagi tardoantichi, paleocristiani e altomedievali, Atti della gior-
nata tematica dei Seminari di Archeologia cristiana, École Française de Rome - 8 maggio 2002,
Città del Vaticano 2004, 51-59.
25
F. Bisconti, L’ipogeo degli Aureli in viale Manzoni: un esempio di sincresi privata, in “Au-
gustinianum” 25 (1985), 261-269; F. Bisconti, Ipogeo degli Aureli: alcune rilessioni e qualche
piccola scoperta, in “Rivista di Archeologia Cristiana” 80 (2004), 13-38.
126 Penelope Filacchione
A distanza di generazioni, ma ancora secondo le stesse modalità, i ilosoi si
dispiegano sulla volta di un cubicolo delle catacombe di San Gennaro a Napoli,26
su quella della Cripta di Milziade a Roma27 e così via: isolati all’interno di un
sistema decorativo parietale di eredità pompeiana o composti ritmicamente a
raggiera sulla volta di un ambiente, sono la ripetizione di un modello visto chissà
dove – forse le volte e gli arredi delle biblioteche? – che assume un ruolo simbo-
lico, facendo della speculazione cristiana uno strumento indispensabile alla com-
pletezza dello spirito.28
La conoscenza ilosoica e la fede cristiana sono così messe a confronto e,
potremmo dire, rese complementari l’una all’altra, in quello scorcio di antichità
del IV secolo, in cui gli intellettuali cristiani sono portati a rivedere tutta la dot-
trina antica in relazione e nella prospettiva della propria fede: a prescindere dal
soggetto speciico della cosiddetta Lezione di Medicina della catacomba di via
Dino Compagni, è questa l’atmosfera che si respira nel cubicolo I.29 L’ultimo, at-
tardato ilosofo dell’antichità e i suoi allievi discutono attorno la natura del corpo
o dell’anima – in questo momento per noi non fa grande diferenza – indicando
con una lunghissima virga un corpo steso ai loro piedi: la grande pittura di sa-
pore megalograico si colloca proprio di fronte ad una analoga rappresentazione
di Cristo in trono tra Pietro e Paolo, in cui la verità ultima è senza dubbio quella
cristiana. Insegnamento socratico – questo ci suggerisce almeno l’atteggiamento
generale dei personaggi e il pallio alla cinica di quello centrale – e paideia trovano
un momento di confronto e realizzazione nel nuovo insegnamento della fede.
E torniamo inalmente ai miracoli di Cristo, dove la virga assume un ruolo
fondamentale nell’economia narrativa. Siano essi dipinti o scolpiti sulla fronte
di un sarcofago, le nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani, la risurrezione di
Lazzaro sono i soggetti prediletti: niente di strano, considerato l’evidente risvolto
soteriologico, l’allusione trasparente alle specie eucaristiche del pane e del vino
e all’annuncio della resurrezione inale, implicito nella scena di Lazzaro. Soprat-
tutto, niente di strano considerando l’ambito cimiteriale, dove la salvezza – in-
26
F. Bisconti, Il restauro della cripta dei vescovi nelle catacombe napoletane di San Gennaro,
in I. Bragantini - F. Guidobaldi (a cura di), Atti del II Colloquio dell’Associazione Italiana per
lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Roma 5-7 dicembre 1994), Bordighera 1995, 311-320.
27
C. Carletti, Gli afreschi della cripta di Milziade nel cimitero di san Callisto. Interventi
di restauro, in “Rivista di Archeologia Cristiana” 68 (1992), 141-168, ig. 3.
28
P. Hadot, Esercizi spirituali e ilosoia antica, nuova edizione ampliata a cura di A.I.
Davidson, Torino 2005, 67-86.
29
A. Ferrua, Catacombe sconosciute. Una pinacoteca del IV secolo sotto la via Latina, Firen-
ze 1990, 101, ig. 111; A. Ferrua, Le pitture della nuova catacomba di via Latina (= Monumenti
di antichità cristiana 8), Città del Vaticano 1960, 70, tav. 107; P. Boyancé, Aristote sur une pein-
ture de la via Latina, o.c., nota 21, 109-113; F. Bisconti, Ipogeo degli Aureli: alcune rilessioni, o.c.,
nota 25, 22; F. Bisconti, Il restauro dell’ipogeo di via Dino Compagni, o.c., nota 7, 11.
Da ilosofo a maestro 127
dividuale e collettiva – promessa e raccontata per immagini gioca una funzione
consolatoria nei confronti dei parenti-committenti.
Ciò che è singolare è, come annunciato all’inizio, l’introduzione della virga
in queste scene, considerando che il resto della costruzione iconograica è, seppur
sinteticamente, sempre piuttosto fedele al testo evangelico. È un argomento che
fa discutere e che merita senz’altro un’attenzione particolare, ma non prima di
annotare che anche Pietro è in possesso della virga sia nella scena del ter negabis,
che in quella del suo arresto e, inine, nel momento in cui converte i propri carce-
rieri facendo sgorgare l’acqua dalla roccia del carcere.
Le tre scene fanno parte di quel ciclo iconograico tutto romano detto “tri-
logia petrina”: si aggiungono quasi per ultime al repertorio “narrativo” cristiano,
formandosi a partire dalla Pace della Chiesa e giungendo a cristallizzarsi nel mo-
mento della deinizione del primato apostolico di Roma, avvenuta durante la se-
conda metà del IV secolo.30 Last but not least, la trilogia petrina compare preferi-
bilmente sulla fronte di sarcofagi con una certa pretesa monumentale, inserendo-
si nel panorama iconograico cristiano nel momento in cui il repertorio pittorico
delle catacombe era già formato e già comprendeva le scene dei miracoli di Cristo.
La simmetria visiva e concettuale della terna Mosé/Cristo/Pietro è eviden-
te e facilmente comprensibile anche a distanza di secoli: il miracolo si compie,
sempre e comunque, per la volontà di Dio, che opera attraverso la virga con la sua
stessa mano.31 La ritrosia di Gesù nel compiere miracoli, eicacemente espressa
dalla narrazione evangelica, sta proprio nel fatto che il miracolo non è destinato
a raccogliere nuovi adepti: l’antichità tramanda numerose biograie di ilosoi e
sapienti che compivano miracoli, ma Cristo, che i suoi stessi discepoli chiamano
Rabbi-Magister, letteralmente “il più grande”, ha la missione di distinguersi per
un insegnamento diverso.32
E qui, di nuovo, nell’iconograia ci viene in soccorso l’atteggiamento gestua-
le, che ha la capacità di sintetizzare nelle immagini i concetti più profondi della
dottrina cristiana.
Nel Pedagogo, Clemente Alessandrino spiega il ruolo e il ine dell’insegna-
mento di Cristo: “Come coloro che sono malati nel corpo hanno bisogno di un me-
dico, così gli infermi nell’anima hanno bisogno di un Pedagogo, il quale guarisca
le nostre passioni e poi ci guidi verso il Maestro, predisponendo la nostra anima ad
30
F. Bisconti, Alle origini dell’immagine di san Pietro: la memoria, la devozione, l’icono-
graia, in Aa.Vv., Pietro. La storia, l’immagine, la memoria, Milano, 1999, 129-148; F. Bisconti
(a cura di), Temi di Iconograia Paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 258-259; F. Bisconti,
Variazioni sul tema della Traditio legis. Vecchie e nuove acquisizioni, in “Vetera Christianorum” 40
(2003), 251-270.
31
Supra, nota 7.
32
O. Pianigiani, Il vocabolario etimologico della lingua italiana, Roma-Milano 1907, s.v.
maestro.
128 Penelope Filacchione
essere pura e quindi capace di conoscenza, e ad essere in grado di accogliere in sé la
rivelazione del Logos”.33
Quando, nel pieno delle polemiche eretiche, si deinisce il ruolo di Gesù
Maestro e della Sapienza, si deinisce anche la funzione del Cristo-Medico dello
spirito: la guarigione dello spirito deve avvenire prima dell’insegnamento ulti-
mo.34 Essa non avviene per mezzo di un miracolo, ma per mezzo della fede. La
virga ci libera dal peccato come lo schiavo è liberato dalle sue catene, ma l’in-
segnamento è Verbo e si esplicita per mezzo della parola: così il Cristo Maestro
rinuncia alla virga in favore del volumen, dove la parola è scritta e diventa Legge
di Dio.35 Il Cristo-Logos si traduce in un Maestro che convince con la parola, ri-
assunta visivamente da quel gesto del benedicere così noto a chiunque, nel mondo
antico, frequentasse il foro.36
Il ter negabis è un ultimo piccolo capolavoro di gestualità:37 Cristo imparti-
sce serenamente l’ultima lezione, sorride e, forte della Verità rappresentata dal vo-
lumen, con il gesto delle tre dita stese annuncia a noi e a Pietro l’ultimo tradimen-
to della debolezza umana, sintetizzato dal gallo tra i loro piedi. Pietro, aggrappato
alla sua virga, è sconcertato: corruccia la fronte e si tocca il mento, come gli allievi
delle antiche scuole ilosoiche, ma poi apprende. E inalmente è pronto per la
sua missione, che inizia attraverso un battesimo miracoloso operato attraverso la
virga che ha ricevuto da Cristo: l’eredità è completa, l’insegnamento continua.
33
Clemente Alessandrino, Pedagogo 1,3,3, a cura di D. Tessore, Roma 2005.
34
G. Dumeige, s.j., Le Christ médecin dans la littérature chrétienne des premiers siècles, in
“Rivista di Archeologia Cristiana” 48 (1972), 115-141.
35
P. Testini, Osservazioni sull’iconograia del Cristo in trono ra gli apostoli. A proposito di
un distrutto oratorio cristiano presso l’Aggere Serviano a Roma, in “Rivista dell’Istituto Nazionale
di Archeologia e Storia dell’Arte” 11-12 (1963), 230-300; F. Bisconti, Cristo, in F. Bisconti (a
cura di), Temi di Iconograia Paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 156-158.
36
R. Brilliant, Gesture and Rank in Roman Art. he Use of Gestures to Denote Status in
Roman Sculpture and Coinage, in “Memoires of the Connecticut Academy of Arts & Sciences”,
14 (1973), 9-11, 213, 216.
37
Figg. 1-2; cf. ad esempio F.W. Deichmann, Repertorium der christlich-antiken Sarkopha-
ge, o.c., nota 13, nn. 43 (qui riprodotto), 44, 241, 771.
Da ilosofo a maestro 129
Fig. 1. Il cosiddetto Sarcofago Dogmatico. Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani).
Fig. 2. La “Trilogia petrina”. Dettaglio del sarcofago precedente.