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Evola - Loperaio Nel Pensiero Di Jünger

Il documento analizza la figura di Julius Evola come promotore culturale nel contesto del pensiero tradizionale e rivoluzionario-conservatore, evidenziando il suo ruolo nel recupero di autori dimenticati e nella diffusione di nuove idee in Italia nel primo Novecento. Viene discussa la sua interazione con Ernst Jünger e le difficoltà editoriali che ha affrontato nel tradurre e presentare opere significative. Inoltre, il documento include una lettera di Evola a Jünger e un'introduzione di Marino Freschi.

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Evola - Loperaio Nel Pensiero Di Jünger

Il documento analizza la figura di Julius Evola come promotore culturale nel contesto del pensiero tradizionale e rivoluzionario-conservatore, evidenziando il suo ruolo nel recupero di autori dimenticati e nella diffusione di nuove idee in Italia nel primo Novecento. Viene discussa la sua interazione con Ernst Jünger e le difficoltà editoriali che ha affrontato nel tradurre e presentare opere significative. Inoltre, il documento include una lettera di Evola a Jünger e un'introduzione di Marino Freschi.

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NEL PENSIERO DI •• . - . .

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AR NO FRESCHI

1EDITER A ,_
cop_ righ
Opere di Juliu:s Evola.
a cura. di Gianfranco, de Turri
JULIUS EVOL ·.

L'"Operaio''
nel pensiero di Emst Jiinger
Terza edizione· c·orr,etta ,c,on u·na Lettera· e un.a Appendi,c.e
Saggio i.ntrodu_ tivo di Marino1 Freschi
1

Bibliografia a cura di Fra·nces,c,o Fiorentino


L u,Qp RA.IO . N � - P 1 •• .S]ERO t l , R ST J G -R

:� ,ed.: Ar1nan.do A.nnand.o BdiittM - . · dizioni .. vio,. R,oma. l · 60.


Il ed.1· GJov.anni ·volpe Editore-i Ro:ma 197 4.

In ope.rlitu,:
Julius Evo.fa.fotagra/ato da .S1.a11irlao · _ie.PO (1969·
,. anifesto ori ·mn'le ,del/Um _.· tropo�i di Fnrz lan · (J92
L �a:n'droide · ;ineco111-orfò·. creato dallo . cienz.ialo Ro.twa·ng p · r . tregare · ondtz.ioiruu·1
Je nu1.s · • merge til:anico. contro .i · silhouett: - : d i gttl'ltat:i li .d IJà Vetropolf fumrQ_
Eterno prin ipia ,m ,.,,r i.dco e femmùdle d Ila· ·Potenza ·, s.usc.rtata CO'ltf, ,n,toma
h pr.r.md.'e fo�ma di donna d.a'i' ma· . hird·"mi dflfanim·a.ti · dall' · · t , -,1,.ologie al/u,cinalo-ri
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di'. "I'''. · - l' èra· ultiina de.Il ''un an·ilà: ,in' o.ndo .r'l Voll,o, della ,\loder.n·ità'.

1·o_pyrig.ht 1998 by Edtzion·i .Medit ·rran .e ... Roma - Via Flam.-inia :i 09


1

P rin t ,ed i. n Il al y S . T � A . R. �- -i a. ':� u i, g i .A :r a ·ti , I .2 - O O l 5 1 R. o ma


Indice

Pag�

N'ota del Curatore 7


J. unger
... .
e E. ·vo l1a: un lllCOfl _1 ··" penco
tro . I OSO"
di Marino Freschi 15:
U a lettera a Ernst J iln.ger�
di Juliu .. Evola 29
L' ··OP -'IRAr ,� . • E'L PE. . SIERO DI ERN:ST J .. _. G'ER
1

Presentazione 33
/ntroduzione- 35
't
L.A .FIGURA D. LL ÙPERA.J:-0 41
Volto e limiti della civiltà bo�hese, ._-].
L''irruzione dell 'e.lem.,entar,e nello spazio borgh,ese, 46
11 concetto di lavoro 54
La dottrina della figura, 57
L'Operaio e il Supe·ruomo, $9
Sul.la. fase di transizione, 62

lL MO·· DO D·ELLA Tl3. _ . 'I. A 65


II lavoro e la t:ecnica come fo:r._ .. rivoluzionari . ·, 65
L attacco contro :l':individuo. ]I Tipo. 70
L at ··.,eco con _ . le mass L - ,co- truzioni or - rucbe.
1. •

. 1 ,gradi deUa nuova ger.arch··. 78


L uomo,� la. t c-ni :a. Il prublema de:1 lìmite, ·s
Il. pa .- a.,- .·io da canti,ere;, , '8

S . - .RANiT. �. D EL '·Qp · .RAIO


1
97
L ·art_ la cultura ·e · a Gestaltung n.el inondo de·1 Tipo 1 7
·_s-· .-u"1 v···.a 11 ,o.,1
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. fon.ne politiche" Lo s.pazio total · d._ I lavoro 105,
Il t,ennine ultim.o t 13

"Ola l .7

A··p NDIC::
.Altri scritti di Julius E ola su. Emst Jiin.ger (] 943-J 97 )

L'·Hoperaio'' ,� ·1e Scogliere di Marmo (1943 13l


Una ri.voluzi,on,_ mancata (1·952 143,
L· ultin10 Jimger: �l nodo gordiano . 1956 1491
.Al muro del tempo (1960--]9'74) 153

B ibli,o , rafia. jiln. er.iana,.


a cura d�, Frane ..sco Fiorentino 13

Indice d. · i :no i . . dei testi cita.ti 173

6
Nota del Curatore

Un aspetto della personalità e dell'attività (una non può essere


disgiunta dall'altra) di Julius Evola, che non è stato ancora bene
messo a fuoco ed analizzato a fondo, è quello deJ promotore culturale,
del!' organizzatore culturale: in realtà c.iò che in un certo settore fu e fece
Giuseppe Prezzolini, in un altro - quello del pensiero tradizionale e rivo­
luzionario-conservatore - fece Evola: entrambi, dai rispettivi punti di
vista, cercarono di svecchiare e sprovincializzare la cuJtura dell'Italia
della prima 1netà del Novecento recuperando autori tralasciati o dimen­
ticati, presentando quanto di nuovo e di anticonformista avveniva fuori
dei nostri confini, senza pregiudizi, divulgando nuove tendenze, indi­
viduando le novità degne di rilievo. Per E vola, da un lato si dovrebbero
elencare tutte le opere e/o gli autori che segnalò nelle edizioni origi­
nali in centinaia di articoli e recensioni o che indicò nelle note biblio­
grafiche dei suoi libri e che poi vennero tradotti soltanto dopo decine
d'anni, dall'altro esaminare con metodo tutte le traduzioni di libri che
effettuò, col proprio non1e o con pseudonimo, per vari editori, e cercare
di rendersi conto se in essi si può individuare qualche filo conduttore
culturale o ideologico. Un settore ancora quasi tutto da esplorare.
L' argon1e11to si pone in occasione di questa edizione, nuova e accre­
sciuta di altro materiale, de I,' "Operaio" nel pensiero di Ernst
.Jiinger, e lo si può li1nitare all'area di lingua tedesca o "1nitteleuropea".
Con1'è noto Evola promosse, o cercò di proxnuovere, tradusse, presentò

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Bachofen, Weininger, Meyrink, Spengler, Jiinger, Schmitt, per citare
soltanto i più importanti. Che in alcuni casi non sia riuscito del tutto nel
suo scopo, o che i risultati siano stati raggiunti dopo parecchio tempo,
nulla toglie alle sue intenzioni e alla sua preveggenza e, per contrasto,
pone in evidenza la sordità se non l'ottusità di una certa cultura edito­
riale italiana, sia durante il fascismo sia nel dopoguerra democratico.
In entran1bi i casi, anche se per ragioni diverse, veniva visto con osti­
lità tutto quel che a torto o a ragione poteva essere etichettato co1ne
"mitologico", "irrazionale", "occultistico" e per ultimo come "nazista".
Tipico, tanto per fare un esempio scoperto dopo molti decenni, il rifiuto
di Laterza di stampare negli Anni Cinquanta il saggio del professor Rei­
ninger Nietzsche e il senso della vita, che Evola aveva tradotto nel
periodo ospedaliero e proposto, a causa del parere negativo di Croce
che aveva bocciato non le tesi dell'opera n1a l'argomento: dopo che
Franco Laterza l'aveva definito "ottimo", esso venne "respinto dalla
direzione letteraria del.la Biblioteca di Cultura Moderna", cioè dal
filosofo e da1la figlia Alda, perché "fu ritenuto inopportw10 che uoi, cbe
dei frutti della ftlosofia di Nietzsche per 20 anni avevan10 sofferto, con­
tinuassimo ad occuparci di quel filosofo" (lettera di Franco Laterza
del 20 febbraio 1950, in La Biblioteca ern1etica, a cura di Al.essandro
Barbera, Fondazione J. Evola, Roma 1997). li saggio dovette aspet­
tare così oltre vent'anni per essere stampato dall'editore Volpe.
Tornato in Italia negli ultimi mesi del 1948 e dopo un iniziale periodo
di incertezza circa le sorti future, Evola si rese conto che la sua attività
dottrinaria e "rettificanice" doveva proseguire nonostante le menomate
capacità fisiche: «E s e avessi il senso, cbe io fossi richiesto, se vedessi
la possibilità di innestare le mie disponibilità interne in un'azione supe­
rindividuale spirituale, davvero nulla vi sarebbe di mutato» (lettera
del 20 aprile 1948 a Girolamo Comi). Oltre a rivedere i propri libri, a
cominciare a scrivere articoli "dottrinari" per la stampa "nazionale", a
progettare opere più adatte per la situazione italiana venutasi a creare
con la sconfitta, Evola cercò di riprendere antichi contatti o ad allac­
ciarne dei nuovi, sen1pre allo scopo di fornire nuove idee-base, nuovi
spunti, nuovi autori per chi voleva sopravvivere in quel "mondo di
rovine". La sua naturale predisposizione di pro1notore e organizzatore
culturale si adattava ai tempi tanto rnutati rispetto agli Anni Trenta. Ecco
la ragione per cui, nell'arco di poco te1npo, riprese o tentò di riprendere
i contatti con Guénon ( I947), Eliade ( 1951 ), Schmitt ( 1951 ), Ji.inger
( I953) e Benn ( 1955): spesso l'intenzione era proporre la traduzione di
qualche opera di questi autori che a suo giudizio era particolarmente

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significativo o irnportante presentare in quella nuova e desolante
realtà italiana.
Non sempre vi riuscì, e per diversi motivi. Il primo era l'avversione,
più o 1neno palese, d i certa importante editoria italiana per autori
all'epoca visti con sospetto o anche ostilità a causa delle loro idee o
del loro passato politicamente "co1npro1nettente". Il secondo, la cau­
tela di alcuni degli interpellati: è il caso di Sch1nitt e Jiinger. La loro
non-riposta alle richieste di Evola di tradurre in italiano certi loro spe­
cifici testi, o le difficoltà e obiezioni frapposte, sono collegabili - e non
è difficile inn1irlo - al fatto di non 1noltiplicare i problemi che già ave­
vano in patria (prigione, ostracismo, proibizione di pubblicare, pole­
miche di ogni genere) e in parte anche aU'estero, e riconducibili, in que­
st'ultimo caso, sia al nome che fàceva loro da tra1nite (cioè Evola, che
si portava appresso il loro stesso "111archio"), sia probabihnente alle case
editrici presso le quali avrebbero potuto essere tradotti in Italia.
Così Evola non riuscì a raggiungere un accordo con Schmitt per tra­
durre - assai prima della sua "riscoperta" da parte della intellighenzia
ufficiale italiana - alcuni suoi scritti per la casa editrice che Giovanni
Volpe varò nel 1963-4, così co111e un decennio pri111a non era riuscito
ad ottenere da Jiinger il permesso di tradurre Der Arbeiter. E rnentre
di Sch1nitt non djce alcunché nella sua autobiografia Il ca,n,nino del
cinabro ( 1963), ecco cosa scrive iJ1vece Evola circa il tentativo jiinge­
riano: "Da ternpo 1ni ero proposto di fàr conoscere il libro [Der Arbeiter]
in Italia mediante una traduzione. Ma nel rileggerlo mi sono convinto
che con una traduzione non si sarebbe raggiunto lo scopo che avevo
in vista. In effetti, nel libro le parti valide appaiono co111miste con
altre che per un lettore non capace di discriJninazione possono pregiu­
dicarle, perché risentono di situazioni locali tedesche di ieri, né tengono
conto di esperienze di cui nel frattempo è apparsa tutta la problemati­
cità. In più, vi erano alcune difficoltà editoriali. Cosi ho lasciato cadere
l'idea di una traduzione sostituendola con quella di una vasta sintesi
basata in larga misura su estratti del libro, con separazione delle parti
accessorie o spu1ie, per 1nettere in evidenza l'essenziale e il durevole:
aggiungendo un minimo di inquadra1nento critico e illustrativo".
Sono le stesse cose scritte, più in sintesi, nella introduzione del 1960
a L '"Operaio" nel pensiero di Ernst Jiinger, con l'aggiunta delle
"difficoltà editoriali", che diventano genericamente dei "vari motivi"
in un articolo apparso nel 1960 e poi nel I974 (riportato in Appendice).
Quali? Forse quelli di opportunità (dal punto di vista di Jiinger) da noi
ipotizzati, dato che del carteggio che dovrebbe essere esistito fra
Evola e lo scrittore tedesco esiste nell'.Archivio Jtinger una sola let-

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tera di Evola, non altre e non le copie delle risposte dello stesso Jilnger:
almeno è questa l'unica missiva che ci è stata gentilmente fornita
dalla segreteria dello scrittore pritna della sua scotnparsa.
La lettera del pensatore italiano allo scrittore tedesco, datata 1 7
novembre 1953, e che più oltre si riproduce integralmente nell'origi­
nale e nella traduzione di Marino Freschi, pone non pochi problemi.
Infatti è in netto contrasto con una intervista, rilasciata durante
'
un suo
viaggio in Italia, in cui Jiinger affermava circa Evola: "E stato un paio
di volte a trovarmi in Germania e ho avuto con lui una lunga corri­
spondenza. Evola sosteneva l'importanza del mito e la sua supre­
mazia sulla storia: questo è stato il dato più interessante della nostra
affinità" (Il Secolo d'Italia, 1° novembre 1986). Le righe iniziali ("il
1nio non1e Le dovrebbe essere noto") e conclusive ("l'occasione sempre
rimandata di avere l'onore di prendere un contatto con Lei anche di per­
sona") sono inequivocabili ed escludono una conoscenza sia diretta che
epistolare fra i due prima di quel I953. Le domande che ci si deve
corretta1nente porre sono allora le seguenti: I) possibile che Jiinger abbia
avuto un "falso ricordo" così preciso nel I986? 2) oppure si trattò di
llll errore di traduzione, e 1nagari fu lo scrittore tedesco ad incontrare
Evola nella sua casa di Roma dopo il 1953? 3) o anche, invece, si
trattò di una invenzione, 1na quale allora lo scopo? 4) o vi fu per dav­
vero 1111 incontro: ,na allora si deve immaginare un viaggio di Evola
paralizzato in Germania dopo il 1953, cosa non impossibile (in quegli
anni il ftlosofo era, nonostante tutto, in buone condizioni fisiche e faceva
spesso viaggi in treno a Bologna, in provincia di Modena e in altre loca­
lità di soggiorno), ma altamente improbabile, dato che non se n e ha
traccia né riscontro alcuno; 5) e la "lunga corrispondenza"? esiste o
non esiste? e se esiste, cbe fine ha fatto? Gli interrogativi restano però
sospesi, e non sarà possibile risolverli a meno che non si rintracci
qualche docurnento o testirnonianza probanti che sciolgano il dile1nma.
Per Jiinger e Evola, come nota Marino Freschi nel saggio introdut­
tivo, si può parlare quasi di due vite parallele, almeno sino ad un certo
punto, e cioè la svolta trau1natica del 1945: da quel mo1nento in poi
Evola cercherà in Ji.i.nger solo quanto gli se,nbrerà più valido, e senza
ipocrisia: non solo lo dice in vari suoi interventi, rna lo scriverà anche
nella lettera ora citata. Nello stesso ten1po le sue riserve su alcuni
punti teoretici ed esistenziali postulati dallo scrittore tedesco non
nascono all'in1provviso. C'è, in questo volu1ne, sufficiente rnateriale
per effettuare un confronto sul testo-chiavejì.ingeriano, cioè l'Arbeiter:
si vedano le riserve evoliane del 1943 e quelle del I960, o anche I' e f ­
ficace sunto dell'opera quando esarnina Al rnuro del ternpo: le pritne

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influenzate dalla guerra in atto e le cui sorti sono incerte; le seconde
dall'atmosfera del dopoguerra (ed ecco i riferimenti all"'arrnistizio",
alla "guerra fredda", agli "opposti blocchi di potenza", all'ipotesi di
un "uso bellico" dell'"èra atomica"), ma sostanziahnente uguali; anzi
già nel 1943 emerge l'immagine - om1ai canonica - delle "rovine del
mondo borghese del Terzo Stato". Le vie, dunque, divergono dopo la
sconfitta: 1nentre Jiinger continuerà a scrivere secondo i suoi consoli­
dati interessi (romanzjere, osservatore scientifico ed "esterno", lette­
rato, filosofo esistenziale), Evola si assunse il cotnpito di indicare quel1e
vie, interiori e metapolitiche, personali e di posto nel mondo, che
potevano condurre ad una "salvezza" rispetto alla società nata dalla
catastrofe del '45. In fondo, entrambi avevano di fronte la Modernità:
e quello che Evola rimproverava a Jtinger era proprio di aver ceduto
su quel fronte: come scrive nel 1956, la sua ultin1a produzione, "se rap­
presenta un progresso dal punto di vista letterario, accusa però una visi­
bile caduta di livello quanto a tensione spirituale, a orizzonti politici,
a visione della vita". Quello, appunto, che al contrario Evola proponeva
nei suoi scritti della stessa epoca.
Sicché, si deve tener conto di "quando" venne elaborato L' "Ope­
raio" nel pensiero di Ernst .!iinger: la seconda metà degli Anni Cin­
quanta, cioè insie,ne alla stesura defi,ùtiva di Cavalcare la tigre (già
scritto in parte, o forse anche tutto, all'inizio del decennio) sotto l'in­
fluenza pessimistica della situazione politico-esistenziale italiana e delle
delusioni prodottegli dagli ambienti giovanili a lui vicini, impastoiatasi
in quella che oggi si definirebbe la "politica politicante". È ovvio,
dunque, ritenere che Evola considerasse questa sua fatica - pur "minore"
rispetto ad altre - come comple,nentare a certi suoi testi, e che avesse
riassunto e adattato Der Arbeiter ponendo in risalto quanto egli stesso
considerava "positivo" e ancora fruibile, elimu1ando il superfluo e il
non più attuale, proprio per 1netterlo in sintonia con certe sue posi­
zioni già note o che lo sarebbero diventate presto. E da questo punto
di vista appare singolare la sua critica al Waldgiingerjiingeriano che ha
rnolti punti in con1une con la "apolitia", e del resto "la via della sala­
n1andra che passa attraverso il fuoco", cioè la l'v1odemità, di cui parla
lo scrittore tedesco nell 'Arbeiter, è un esatto parallelo con I'"uomo dif­
ferenziato" evoliano di Cavalcare la tigre, la cui non-compro1nissione
spirituale con la �lodemità lo fa passare indenne da ogni prova.
Pur respingendo l'impostazione "ottimistica" di Jiinger e amman­
tando tutto il suo con1mento di un'aura scettica, anche se non totalmente
pessin1istica, il punto di vista da cui ci si pone è identico: cosa fare,
co1ne comportarsi, nel mondo della tecnica moderna, tecnica che non

1L
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ha "carattere neutro, di semplice 1nezzo". Il problema che si pone allora,
secondo Evola, rispetto all'"ottimismo" jiingeriano che vede nell'"Ope­
raio" un nuovo tipo tunano capace di padroneggiarla, è il seguente: "Che
spazio lascia la tecnica e il presupposto di essa,'la scienza, ad una visione
non solo attivistica o agonistica del inondo? E evidente che la scienza
di tipo moderno comporta una cotnpleta desacralizzazione della visione
del inondo (... ). [n che modo, in che temùni possa tornare a rivalersi e
a farsi valere concretamente una din1ensione spirituale, sacrale e
metafisica della società in una umanità che concepisce l'universo in
puri termini di scienza moden1a e di tecnica, quindi in un mondo disa­
nimato, è difficile irnmaginarlo".
L"'Operaio" jiingeriano, così come "rettificato" da Evola, cioè
spogliato dalle sue caratteristiche non più attuali, o superflue, o uto­
piche, può allora dal punto di vista del filosofo trad.izionalista essere
ancora utile co1ne rnodello esistenziale per i "tempi ultin1i", per i tempi
in cui la Tecnica è l'espressione più totalizzante della tvtodemità, anche
se essa ha onnai assunto aspetti non certo ipotizzabili negli Anni Ses­
santa: si pensi soltanto agli sviluppi della cibernetica (computer e "realtà
virtuale" soprattutto) che, pur nella loro "astrazione", non sono meno
concreti e coinvolgenti. Anche di fronte a queste nuovissin1e espres­
sioni della Scienza e della Tecnica la lezione di Jiinger (e di Evola) risulta
illuminante e quindi utile: sempre di "una epoca della dissoluzione" si
tratta, anche se in forn1e non in1n1aginate ...
Del resto, ci si rende conto di quali idee jiingeriane, e addirittura
espressioni, siano state da Evola riprese esatta1nente, o ri1neditate e rie­
laborate in modi più congeniali: dal "realis.1no eroico" (che non è per
nulla un materialis1no, co1ne sottolinea più volte il pensatore tradizio­
nalista), al concetto delle é/ites portato anche su un piano esistenziale
(e cbe non è una "selezione della razza"), alla insistente precisazione
della differenza fra "libertà da qualcosa" e "libertà per qualcosa",
all'idea co1nune sulla necessità di costituire "Ordini" invece di "par­
titi", e così via, sino alla sottolineatura che "tutta la problematica
dello Jiinger verte sul volgere il negativo nel positivo per mezzo di un
ca1nbia1nento di segno": è, com'è noto, il filo conduttore di Cavalcare
la tigre, ispirato al detto orientale della "trasfom1azione del veleno in
f•·arn1aco".
Tutto ciò, al di là delle incomprensioni contingenti, consente di
leggere proficuamente in parallelo certo .liinger e certo Evola come
interpreti della Moden1ità e come loro antidoti, il primo anche dal punto
di vista letterario (narrativo). Di questo E vola - lo evidenzia bene
Marino Freschi - si era accorto, forse il solo, per tempo: la sua recen-

12

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sione di Sulle scogliere di 111arn10 è esemplificativa dato che in questo
"ro1nanzo sin1bolico" Evola evidenzia il fatto - siamo nel 1943 non
dimentichiatnolo - che "una chiaroveggenza lo pervade, superiore di
certo a quella del periodo di Der Arbeiter, adeguata alla serietà di questi
tempi" (Der Arbeiter, ricordiamolo, che non fu tradotto in italiano
durante il fascismo, bensì oltre mezzo secolo dopo).
Di questa particolare attenzione, anche critica, del pensatore italiano
per il multifon11e scrittore tedesco, il presente volu1ne vuol essere una
testiinonianza. Infatti, oltre a L '''Operaio" nel pensiero di Ernst Jiinger,
rivisto e corretto con un confronto fra le edizioni 1974 e 1960, anno­
tato e con riferirnenti bibliografici, si sono aggiunti quattro altri inter­
venti evoliani nell'arco di un ventem1io, 1943-1960, cbe diventa un tren­
tennio se si considera l'ultima apparizione de Al ,nuro del te,npo (1974):
anche la ripetitività che alcuni di essi presentano è utile per confrontare
da un lato l'evolversi dell'opinione che Evola aveva di Jiinger, dall'altro
invece la confenna di determinate riserve. Riserve che, cotne si è già
notato, l'italiano non nasconde al tedesco, pur con il tatto dovuto,
nella lettera inedita che qui pubblichian10 e dalla quale risulta un ele­
rnento importante: Evola e Ji.inger non pare si siano conosciuti mai di
persona negli Anni Trenta e Quaranta, anche se nutrivano (pur nelle dif­
ferenze) uu reciproco rispetto (vedi Heliopolis ii1viato - a quattro anni
dalla sua prirna pubblicazione, fatto invero singolare - con dedica) e
frequentavano atnbienti con1uni.
La puntuale bibliografia jiingeriana approntata da uno specialista
come Francesco FiorentÌllo sarà utile a coloro i quali von·anno adden­
trarsi nell'universo dello scrittore di Heidelberg, mentre un accenno
rnerita l'inunagine scelta per la copertina; l'affiche originale di Metro­
JJolis (della cui segnalazione ringrazio Alessandro Grossato) è un'i1n­
magine si1nbolica che ben rappresenta la Moden1.ità, nei suoi aspetti sia
scientifici che tecnici: il suo volto per cosi dire "femminile", i suoi lati
positivi e quelli negativi. In fondo, il filrn di F1itz Lang, o meglio la sce­
neggiatura-romanzo della moglie Thea von Harbou, apparsi cinque anni
prima dell'Arbeiter, vogliono rappresentare proprio questo: i pericoli
del rnondo moderno ipertecnicizzato e la possibilità d i dominarli
senza farsene travolgere o inglobare se si ha con essi un approccio
nuovo, diverso, non nel senso 1narxista della lotta di classe.

13
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Metropolis è, in fondo, proprio come l'Operaio, una visione del
futuro del mondo in chiave di una antiutopia positiva.
G.o.T.
Ron1a, novernbre 1997

Per la realizzazione di questa edizione il curatore ringrazia


Luciano Arcella, Massùno Ciullo, Alessandro Grossato e Quirino Prin­
cipe, oltre ovviamente I' Archivio Jiinger.

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Jii11ger e Evola: u.n incontro pericoloso
Marino Freschi

I. Jiinger

In un seminario con sc1ittori e critici tedeschi, dopo accese djscus­


sioru su scrittori d'avanguardia, chiesi di Emst Junger. Michael Kruger,
un giovane e già affermato poeta, n1i replicò ironicamente: «Perché,
vive ancora?», incontrando la divertita co1nplicità dei suoi colleghi. Era
l'agosto 1980. Nel frattempo abbiamo archiviato alcuni di quegli
scrittori, n1entre Jiinger continua a essere ali'ordine del giorno, sia come
"caso", provocazione, sfida, sia quale autore sorprendentemente pro­
lifico che sa ancora stupire con opere imprevedibili- come il romanzo
poliziesco, ambientato nella Parigi della belle époque, Un incontro peri­
coloso del 1985 per festeggiare i suoi novant'anni. Quando il vegliardo
di \Vilfingen divenne ultracentenario si riaccese ancora la polemica. La
sua opera e il suo pensiero continuano ancora adesso a inquietare. Jiinger
non viene accolto nella schiera degli scrittori e dei pensatori de.Ila nostra
epoca con quel distacco ed equilibrio che lo scorrere del ten1po sugge­
rirebbe. Vi è nei
• suoi confronti un nodo che non si scioglie, un'anirno-
sità che non trova più il suo fondamento nelle accanite lotte e contrap-
posizioni ideologiche del prin10 Novecento quando lo scrittore di Hei­
delberg si schierò decisan1ente con gli avversari della Repubblica di
Wein1ar, a fianco dei guastatori dell'esile democrazia tedesca in nome
di una ntitologia paradossale che univa l'entusiasmo dei volontari del

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1914 con la passione sociale esplosa nel 1917. Jtinger con Ernst
Niekisch fu l'esponente più agguerrito di quella pattuglia ili nazional­
bolscevichi che rappresentava l'ala più estremista, pittoresca della Rivo­
luzione Conservatrice. Era una esigua schiera ili giovani reduci, spre­
giudicati, amanti della provocazione, delle sfide intellettuali più para­
dossali e assurde. Erano giovàni che avevano abbandonato i banchi di
liceo per lanciarsi nell'ebbrezza della Grande Guerra, in cui scoprirono
l'orrore e il terrore della morte causata dalle tecnologie avanzate, e fon­
darono nella resistenza psicologica e morale alla "guerra dei materiali"
il nuovo modello u1nano - l'uomo nuovo - che credettero di ricono­
scere attraverso le varie armate, sotto le diverse uniformi e nei mani­
poli degli operai rivoluzionari nell'Europa sconvolta del 1918, che assi­
stette al crollo degli ultimi Imperi tradizionali, alla dissoluzione della
Mitteleuropa asburgica, alla spavalda, temeraria espugnazione del
Palazzo d'Inverno zarista, alla fuga senza onore dalle residenze itnpe­
riali degli Hohenzollem e degli Asburgo, alla nascita in trincea del­
l'arditismo e del dannunzianesitno all'origine del fascis1no italiano.
Lo sconvolgimento della vecchia Europa fu avvertito sismografi­
camente da intellettuali raffinati co1ne Tbomas Mann, autore della
sunirna del pensiero neoromantico e conservatore con le Considerazioni
di un impolitico, o quale Oswald Spengler, che nella stessa città di
Monaco, negli stessi ,nesi, scriveva il suo capolavoro Il tramonto del­
/ 'Occidente, utilizzando lui pure le stesse catego1ie storiche della morfo­
logia manniana con l'in·iducibile opposizione polare tra Kultur e Zivi­
lisation, mutuata dalla Kulturkritik ottocentesca, quella della grande
stagione intellettuale tedesca con Nietzsche e Burckhardt. La storia era
diventata il campo di esercitazione mitografica, it1 cui si compone­
vano strabilianti costellazioni spirituali quali l'uomo faustiano spen­
gleriano o - da tutt'altra prospettiva - il Geist der Utopie, lo spirito del­
l'utopia di Ernst Bloch, vivacissimo filosofo che riani1nava con
l'ansia messianica il progetto positivista della sociologia n1arxista. In
quei 1nesi della disfatta la Germania era il grandioso laboratorio della
1nodernità, in cui già nel 1920 veniva pubblicato il celebre libriccino
di appunti che il volontario E111st Jii.nger si era ficcato nello zaino e
che ora con il suggestivo titolo di Tempeste d'acciaio inaugurava -
con anni d'anticipo - l'ondata della letteratura documentaiistica sulla
Grande Guen·a, fondata sulla 1nemorialistica autobiografica dei reduci
che da varie, spesso contrapposte scelte ideologiche tentavano di ren­
dersi conto di quella svolta epocale che era stato il pri1no conflitto mon­
diale. Si. ebbe una vera rnarea di rùnembranze dal fronte, tra cui il celebre
best-seller pacifista All'Ovest nulla di nuovo di Re1narque del 1929,

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preceduto nel I 928 da un altro successo della diaristica dei reduci:
Guerra dello scrittore con1unista .Ludwig Reno, che è l'autentico
antagonista letteratio di Jiinger. Renn è lo pseudonimo di Amold Frie­
drich Vieth von Golssenau, un aristocratico di antica schiatta che di
fronte alla guerra e alla Rivoluzione del Nove1nbre 19 I 8 intese, con
personale generosità, che la storia mondiale si apriva a una nuova antro­
pologia con la fondazione di una nuova u1nanità, quella del reduce,
del rivoluzionario, ,na anche dell'operaio, dell'Arbeiter, che rappre­
sentò la figura centrale del!'opera di J-iinger negli anni della Repubblica
di Weimar. Una frase con1e la seguente risulta significativa di quella
rovente atn1osfera di ricerca, di confronto e di spregiudicati scotnpa­
ginamenti ideologici, per cui i tennini tradizionali della de1nocrazia par­
lamentare di destra e sinistra si trovarono inadeguati a rispecchiare
quella vitalissin1a officina intellettuale che era la Germania dell'epoca:
«La razza non ha nulla a che fare con i concetti razziali di natura bio­
logica», afferma Jtinger nell'Operaio, il suo principale saggio teotico,
pubblicato nel 1932. <�La forrna dell'operaio mobilita, senza di.stinzione,
l'intera condizione umana».
Questa "cultura" trasversale si riconosce nell'arte della Neue Sach­
lichkeit, della Nuova Oggettività, che reagisce all'esasperazione sog­
gettivistica dell'espressionismo e del suo sfaldato pathos di sentin1en­
talis1no pseudofrancescano di Werfel. La rnodernità, il nuovo secolo
si facevano gradatan1ente strada attraverso un coacervo di comporta­
menti, rnentalità, modi di pensare, agire, reagire sempre meno condi­
zionati da le stupide X/Xsiècle, come l'aveva definito Léon Daudet nel
suo libro 01noni1no del I 922, susseguente ali'esaltazione futurista,
cubista e al "novecentismo" italiano di Massimo Bontempelli. A Vienna,
intanto, Musi! si confrontava con il suo gigantesco progetto letterario
dell' Uorno senza qualità, costruito sull'ossi1noro, provocatorio eppur
possibile, di "anima ed esattezza", mentre la Gennania scopriva con
stupore i ro1nanzi, pubblicati postumi, di Katka, incentrati su una scon­
volgente rappresentazione delle figure dell'ansia, anonima e pervasiva,
della contetnporaneità. Henna1u1 Hesse, che con Siddharta nel 1922
aveva inaugurato il si1nbolis1no esotico dei pellegrinaggi letterari in
Oriente per le inquiete anime occidentali, pubblicava nel 1927 con il
lupo della steppa un romanzo in sintonia con il clitna di ricerca spi1i­
tuale e di abissali sguardi sul nichilismo contemporaneo, esaltando
trasgressioni, esperienze sregolate al limite della coscienza, aperte
al! 'uso di droghe e del sesso quali rotture dei confini consueti della p e r ­
sonalità storica per recuperare la dimensione atavica di una presunta
autenticità originaria dell'uomo, fioahneote disancorato dai 111odelli

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sociali. Nello stesso anno Franz Tunda, l'eroe rotbiano di Fuga senza
fine, percorreva i continenti dalla Siberia a Parigi, ostile alla ideologia
bolscevica, cotne pure alla società borghese e alla retorica nazista, in
nome di una assoluta Libertà interiore. Eppure quell'enorme 1narea stava
ormai tracin1ando gli argini della precaria sicurezza e solidità borghese,
travolgendo impietosamente gli esponenti più fragili del reducismo, ben
presto arruolati e sedotti dalle nuove retoriche totalitarie, incolonnati
nelle schiere annate e osannanti capi dal caris1na populistico. Furono
pochi a restare immuni dai vari contagi ideologici, a non accettare gli
onori e gli orpelli, a non lasciarsi irregilnentare nelle squadre che dietro
nuovi gagliardetti e bandiere, con camicie dai vari colori, servivano,
in ultin1a istanza, vecchi interessi economici. Jiinger - · come in Italia
Evola, che non aderì mai al PNF pur senza identificarsi nelle frange del­
!'opposizione crociana o comunista - seppe 1nantenere la sua neutra­
lità, la sua libertà spirituale. Già nell'Operaio aveva individuato la
differenza tra la rivoluzione dei partiti e quella dell'Arbeiter. Furono
pochi i tedeschi che nel 1932 scrissero simili giudizi:
«Dovunque in Germania si credette di compiere un Lavoro rivolu­
zionario, in realtà si recitò a soggetto, si giocò a fare la rivoluzione.
Gli autentici rivolgi1nenti avvennero in maniera invisibile, nel
silenzio di camere tranquille e appartate, oppure celati dietro gli
incandescenti sipari della battaglia. f\.1a ciò che è veran1e11te nuovo non
ebbe bisogno di manifestarsi attraverso la rivolta. La sua maggiore peri­
colosità consiste semplicemente neJla sua esistenza».
Siffatta perspicua saggezza, un simile distacco dall'intrigante gro­
viglio della crisi di Weimar riposavano su un'esperienza spirituale, il
cui segreto solo rararnente affiora nell'opera jungeriana, come avveru1e
nella seconda edizione, runpia1nente rivista, di Das abenleurliche Herz.
Figuren und Capriccios (Il cuore avventuroso. Figure e capricci) del
1938, distribuita nelle successive edizioni ai soldati tedeschi al fronte
e parzialmente tradot1a in appendice a Sulle scogliere di 111ar1no,
curata per la prestigiosa collana mondadoriana della "Medusa" nel 1942
da Alessandro Pellegrini. In quelle rammeruorazioni autobiografiche,
Ji.inger sollevava, con estrema discrezione, il pesante sipario del mistero
della sua iniziazione ad una remota sapienza:
«Nigrornontanus rn'iniziò al metodo. Egli era un eccellente tnaestro,
del quale purtroppo solo a fatica mi ricordo. Forse io n1e ne sono dimen­
ticato quasi intera1nente, perché a1nava far sparire le tracce dietro di sé,
come alcuni ani1nali che dimorano nel profondo della foresta. Ma la
similitudine non è ben scelta, e sarebbe più opportuno assomigliarlo

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al raggio proveniente da una fonte di luce che faccia visibile quanto è
nascosto, 111entr'essa permane nell'ambito dell'invisibile».
Ciò che sorprende nella produzione di Jtinger è quella sua straordi­
naria capacità d i passare da un piano a un altro: dagli orizzonti dell'u­
topia tecnica dell 'Arbeiter alla raffinata eleganza, alla sottile allusione
a una presenza esoterica, a una suggestione pitagorica, che a mo' di
catena iniziatica ripropone l'elusività degli arcani ennetici, proprio nella
terra dei misteriosi n1aestri rosacrociani:
«Nigromontanus sapeva dire di spiriti solitari, la cui dimora
sen1bra essere fra di noi, e tuttavia è inaccessibile. Costoro, abituati al
puro ardore del fuoco, nei suoi alti gradi, solamente quando la vicinanza
del supremo pericolo faccia sopportabile l'uscire dalla solitudine, allora
si fanno innanzi».
Quell'esperienza spirituale doyette subire una brusca interruzione.
Simile all'incauto apprendista di Zanoni -· il romanzo iniziatico di
Bulwer Lytton -, anche Ji.inger si smarrì nella selva oscura all'inse­
gui1nento degli idoli fascinosi e infidi del suo tempo:
«Purtroppo è vero che io ben presto dimenticai i suoi insegna­
menti; ed invece di insistere nei rniei studi, entrai a far parte dell'Or­
dine dei Mauretani, questi subalterni della potenza>>.
Come un filo rosso l'Ordine dei Mauretani, dei Mauretanier, per­
corre l'intera opera jiingeriana senza aver destato l'indiscreta curio­
sità nei critici. La fenomenologia dell'Ordine, presente in tutti i luoghi,
in tutti gli schieramenti, anche se contrapposti sul piano delle lotte poli­
tiche e sociali, attento a perseguire il potere e a usare spregiudicata­
mente la potenza, potrebbe far pensare a una onnipotente associazione
segreta, a una sorta di inflazionata e sublin1ata metafora della masso­
neria, i cui aderenti in tedesco si chiamano Maurer, un nome che offre
una certa assonanza con Mauretanier. Nigro1nontaous può essere un
uomo pa1ticolanuente saggio, inunune al canto suadente delle sirene
mauretane, con1e pure può raffigurare un insegnamento, un simbolo
di tenuta interiore, un'aspirazione spirituale, uno stile, un messaggio,
una missione e un imperativo, oppure alludere a un contatto - vivente
e/o ideale, esterno e/o interno - con la (o una) tradizione esoterica:
«Nigromontanus m'insegnava la certezza che una scelta schiera fra
di noi, da gran tempo toltasi dalle biblioteche ed anche dalla polvere
delle arene, nelle più segrete stanze è al lavoro, in un oscurissùno 'fibet.
Egli mi parlava di uomini che siedono in nortu111e stanze, solitari, immo­
bili co1ne la roccia donde proro1npe la fiamma che muove laggiù la ruota
ed ani1na l'esercito delle macchine; ma la fia1nma è in loro estranea
ad ogni i1nrnediato scopo, raccolta nei cuori, che tolti per sempre ad

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ogni luce esteriore sono però calda trepida culla di tutte le forze e di
ogni potenza».
Rimane aperta la questione se queste figure siano rimembranze di
estatiche frequentazioni, estratte dai risvolti più segreti dell'espe­
rienza vissuta, o lucenti raffigurazioni poetiche. O forse queste visioni
sono l'annonica co1nposizione letteraria di suggestioni fantastiche, di
incanti onirici e di spunti autobiografici, goethianamente di poesia e
verità. Del resto negli ambienti 1nassonici, con1e pure nei circoli gra­
vitanti intorno alla cultura della Rivoluzione Conservatrice, si aggira­
vano ricercatori indipendenti che proponevano suggestivi cammini di
saggezza operativa. Lo stesso Evola ai tempi di Imperialismo pagano
e dei fascicoli di Ur frequentò personalità vicine all'esoterismo mas­
sonico, come Arturo Reghini, e aU 'enuetiso10 pitagorico delle acca­
demie krem1nerziane.
L'esote1ismo è la vena aurea e gelida della produzione jiingeriana.
La suggestione esoterica scorre copiosamente nel romanzo Sulle sco­
gliere di rnarnzo, come pure nelle opere più tarde, traducendosi spesso
in fulminee annotazioni diaristiche o dando corpo alle figure, alle
Gestalten jiingeriane, dal!'Arbeiter al saggio abitatore del! 'Eremo della
Ruta, dal recente Anarca alla spregiudicata metafora del Waldgiinger,
l'attraversatore della foresta, il ribelle. Anche nella produzione più
vicina riaffiora la traccia esoterica, che talvolta esibisce sprazzi di
pratiche occulte corne nell'epilogo del romanzo Eumeswil del 1977,
quando il protagonista accenna alla magica operazione dello spec­
chio, ben nota all'esoterisn10 occidentale e atnpian1ente attestata nella
letteratura occultistica:
«In questi giorni, per prepara1mi alla foresta, ho Lavorato intensa­
n1ente davanti allo specchio. Sono così riuscito a raggiungere ciò che
ho sempre sognato: il completo distacco dal!'esistenza fisica. Mi
scorgevo allo specchio cotne aspirante alla conoscenza sovrasensibile
- - - 1ne stesso, in confronto, co1ue suo fugace riflesso. Tra noi due
ardeva, come se1npre, una candela; rni china.i su di essa finché la fianuna
1ni ba bruciato la fronte: vidi la ferita, 1na non avvertii il dolore».
Manuel Venator, caduto in deliquio, viene rian.iir1ato dall'aiutante
cinese Kung, che gli giura il silenzio sull'avvenuto. Questa è l'oltin1a
comunicazione del protagonista che scompare nel Wald da autentico
Waldgéinger, at1oni1no abitatore della selva oscura, mentre dalla Foresta
Nera nell'Alta Svevia di tanto in tanto il suo autore lanciava un mes­
saggio che cadeva nel frastuono delle pole1nicbe sempre indaffarate
nello stabilire se e in quale misura lo scrittore si fosse compromesso
con il nazionalsoc ial.isn10. Una do1nanda inquietante, ma che è

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oramai, dopo un dibattito di oltre cinquant'anni, alquanto esaurita se
non fosse, siftàtta interrogazione, w1a delle ,naschere con cui lo sva­
gato spirito del ten1po, a mo' di n1oderno guardiano della soglia, vieta
l'accesso nel cuore recondito dell'opera ji.ingeriana, salvaguardandola
dagli sguardi e dalle frequentazioni profane.
Tuttavia, pur non volendo riaprire una polemica annosa e artificiosa,
consegniamo alla meditazione del lettore curioso una preziosa testi­
monianza dj uno scrittore tedesco, Alfred Anderscb, ferocemente anri­
nazista, con un trascorso co1nunista che gli causò l'intemarnento nel
Lager di Dachau. La coerenza antifascista e l'onestà intellettuale det­
tarono ad Andersch questa riflessione, legata ali'e1nozione procurata
dalla lettura delle Scogliere di n1arn10 in quei giovani che, corne lui,
avevano deciso di opporsi alla dittatura:
«Questa narrazione ultraromantica e simbolistica è stata per noi tutti
la parabola della necessità della resistenza. L'abbia,no letta, ce la sia1no
letta a vicenda ad alta voce, abbia,no capito e anticipato in essa il nau­
fragio del Reich di Hitler; essa è stata forse più potente di tutto ciò che
è sorto nell'emigrazjone, perché era possibile "averla" in Germania. Se
ciò 'era possibile in Germania, la speranza sfiorava la certezza».
E questa una tra le più partecipate ed esemplari rivalutazioni del
ro.1natlZO ji.ingeriano all'interno della letteratura della Innere Ernigra­
tion, ossia della "e1nigrazione interna" che è il tennine con cui la cri­
tica letteraria indica, acco1nunandoli, quei letterati che nel 1933 deci­
sero di non abbandonare la Ger1nania, 1na di opporsi con i mezzi a
loro disposizione alla dittatura. Alla fine della guerra alcuni scrittori
tedeschi "collaborazionisti" tentarono penosamente di proclan1are la
loro appartenenza a siifatta "resistenza interna", sollevando le giusti­
ficate ire di Thornas Mann che estese la sua indignazione indiscrimi­
natamente contro tutti coloro che erano restati:
«Sarà superstizione, ,na ai 1niei occhi dei libri che hanno con1unque
avuto la possibilità di uscire in Gennania fra il '33 e il '45 sono del tutto
privi di valore, e non si dovrebbe neppure prenderli in esan1e. Sono
i1npregnati tutti di un certo odor di sangue e di vergogna; meglio var­
rebbe 1nandarli tutti al rnacero. Non era lecito, non era possibile fare
della "cultura" in Germania, mentre tutt'intorno accadeva quello che
sapp1a1no».
Thomas Mano parlò, in una lettera di quel periodo, di Jlinger inge­
nerosam.ente corne di un "gelido gaudente della barbarie"; forse l'in­
transigente durezza si giustificava anche in relazione ai suoi propri scritti
durante la Grande Gue1Ta, assai poco u1nanistici e calorosi. L'animo­
sità contro Junger da parte di Thornas Mann nascondeva, come abbiamo

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accennato, le scomode simpatie manniane per un conservatorismo nuli­
tante. La querelle tra Thornas Mann e gli scrittori della lnnere E,ni­
gration è orn1ai consegnata agli atti della storia letteraria tedesca, come
pure il fatto che in quel gruppo - mai costituitosi, mai forn1alizzatosi
- furono inseriti autori tra loro radicahnente diversi. Jiinger può
essere correttamente avvicinato al fratello Friedrich Georg (in Italia sco­
nosciuto, ma che varrebbe la pena di tradurre e di studiare) e soprattutto
a Gottfried Benn. ·rutti e tre scelsero l'esercito quale forma aristocra­
tica di e1nigrazione, come si espresse Benn. Ed è ancora Andersch a
rendere giustizia a questi protagonisti della civiltà letteraria tedesca
quando affenna che Emst Jiinger è «l'ultimo della grande serie dei Maiu1
(1875), Kafka (1883), Benn (1886), Brecht (1898)».
Anche altre voci si sono levate per una comprensione storicamente
più equilibrata dell'operajtingeriana. Un altro ribelle delle lettere del
nostro tempo, Bruce Chatwin, in un saggio provocatorio, Asthete under
Hitler, apparso su The Ne�v Yorker Review ofBooks del 5 1narzo 1981,
concludeva osservando che Jiinger «scrive in una prosa dura e lucida
che spesso lascia nel lettore un'impressione di dandismo, di sovrana
freddezza e, alla fine, di banalità. Ma anche le pagine meno promettenti
s'illwninano all'improvviso per un lampo di genialità aforistica, e le
descrizioni più strazianti sono sempre ottenute da un desiderio di valori
wnani in un inondo disun1anizzato».
Siamo ora giunti al nucleo di quest'opera, alla-sua luminosità improv­
visa, che ha fatto dire a Leone Traverso, uno dei più autorevoli germa­
nisti italiani, nel 1964, che Jiinger è «il più grande scrittore che viva in
Gennan.ia».
Sulle scogliere di ,nar,no, il suo capolavoro narrativo, il più auten­ ,• •.
tico ro111anzo siinbolico del Novecento tedesco, tennina con l'abban­
dono della .Marina, in preda alla devastazione da parte delle orde sl're­
nate del Forestaro. Prin1a d'imbarcarsi il protagonista e Fratello Otto
conducono in salvo la testa - consacrata da padre Laropro prima di
morire - del principe Surunyra, estremo discendente di un'antica e
nobile stirpe, di cui aveva riscattato l'onore sacrificandosi nella lotta
contro la brutale violenza scatenata dal Forestaro. Quella reliquja di un
principe, di un eroe di schiatta aristocratica, viene incastonata nella
prima pietra durante la riedificazione del Duomo della Marina.
Questo gesto rituale riflette il senso della tradizione, così vivo nell'au­
tore tedesco. La sua opera raffigura la testin1onianza poetica per la con­
tinuità tra i valori del passato e quelli del presente e del futuro, anche
nel mondo dell 'Arbeiter, anche nell'universo dell 'Anarca, anche nel
solitario cosmo interiore del Waldgiinger, del moderno ribelle. La sua

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scrittura 1nitologica entra in consonanza con una annotazione di Karoly
Kérenyi che spiega ogni tentativo di approdare alla narrazione mitolo­
gica nella nostra epoca: «La mitologia, come la testa di Orfeo, continua
a cantare anche dopo la sua morte, anche a lunga distanza dal tempo
della sua rnorte».
Jiinger si rivela quale cauto trasportatore di icone preziose, che non
si riduce alla pur utile opera di conservare o di restaurare con la sensi­
bilità dell'antiquario perché lo scrittore non ha mai perso di vista che
quelle rare reliquie sono indispensabili cellule nella ricostruzione del
tempio, della casa sacra alla comunità n1ontaoa.

2. Evo/a

Julius Evola può considerarsi un sodale intellettuale di Jiinger, non


solo perché, nato nel 1898, era grosso modo della stessa generazione,
ma anche perché le loro biografie spirituali corrono parallele, presen­
tando significative analogie che possiamo riconoscere nell'incidenza
che per entrambi ebbe la Grande Guerra e la svolta epocale del pruno
dopoguerra. Entrambi vissero intensa,nente la temperie spirituale del
reducisrno, di quella esperienza di cameratismo e di spregiudicatezza
antiborghese che in entrambi s i concretizzò nell'impegno artistico e
intellettuale attraverso una radicale resa dei conti con l'arte e la cul­
tura borghese, ossia positivista, nonché con le 1norbose tendenze del
soggettivismo neoromantico. Il dada evoliano è paradossalmente più
vicino al "realismo eroico" delle Te,npeste d'acciaio jiingeriane piut­
tosto che al patetismo espressionista o alla retorica dannunziana. Ma
laddove i loro destini fanno affiorare le più profonde, ancorché oscure
affinità, è nella fascinazione che entratnbi avvertirono verso la cultura
esoterica, verso l'operatività del risveglio interiore. Il Nigromontanus
ji.ingeriano -1naestro o insegnamento poco importa - co1Tisponde a quei
più asconditi contatti che il viandante sul Cammino del cinabro
ricercò e concorse a elaborare e a radicare nel suo destino e nella sua
vasta opera. Gli a1u1i segnati dall'attività del Gruppo di Ur sono quelli
più intensamente segnati da una prospettiva esoterica di magia prati­
cata. Nella prima annata della rivista Ur del 1927 veniva pubblicato
un saggio di operatività ennetica, intitolato Il Caduceo Er,netìco e lo
Specchio, a cura di un autore che si fmna con lo pseudonimo di Abraxa
(dietro cui si è voluto vedere un autore di formazione k:ren1merziana).
che si condensa proprio su quel misterioso oggetto così centrale nella
scrittura jiingeriana: lo specchio e la la1npada -doni di Nigromontanus

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- sono gli unici arnesi che Fratello Otto pone in salvo dati 'incendio
dell'Eremo della Ruta, 1nentre le fia1nme divorano gli esiti di anni di
dura, silente ricerca.
Accanto alla suggestione esoterica i due intellettuali ebbero in
comune anche l'apertura verso l'adattamento della tradizione spirituale
nel nuovo te1npo senza lasciarsi mai avvinghiare dal sentin1entalis1no
e dalla nostalgia per le fonne assW1te dalla tradizione nelle varie epoche
e che loro avevano pur imparato a conoscere, ricercare, frequentare e
amare, senza confondere mai il contenuto con i suoi rivestin1enti sto­
ricamente condizionati. Cavalcare la tigre del 1961 corrisponde a
tutta un'ampia messe di saggi e interventi jiingeriani aperti alla pro­
gettualità futura: dall'Arbeiter ai contributi successivi alla catastrofe
europea del '45 con Ober die Linie (Oltre la linea) del I950, con Der
Waldganger (Trattato del ribelle) del 195 l , fmo aAn der Zeitmauer del
I 959 che Evola (con lo pseudonitno di Carlo d'Altavilla) tradusse nel
1965 col titolo Al rnuro del ten1po, nonché con i romanzi utopici
Heliopolis del 1949 e Eu111es�vil del 1977 (quest'ultimo però Evola non
fece in tempo a leggerlo).
Per decenni E vola si occupò dell'opera di Jiinger, di cui fu uno dei
prin1i conoscitori italiani e che contribuì a diffondere con un saggio del
1943, dedicato a L'Operaio e le Scogliere di mar,no, pubblicato su
Bibliografia Fascista (a. xviii, n. 3), e poi nel 1960 con un volumetto
di 118 pagine: L' "Operaio" nel pensiero di Ernst Jiinger per i tipi Avio
di Armando Armando, noto editore romano di testi didattici, che ospitò
il saggio _evoliano nella collana "I problemi della pedagogia", volume
cinquantaduesimo, diretta dal pedagogista Luigi Volpicelli, genti­
liano, successivamente comunista. L'anno successivo Vanni Scheiwiller
pubblica Cavalcare la tigre con una fascetta rossa che proclamava pro­
gra1mnatican1ente "Orientamenti esistenziali per un'epoca in dissolu­
zione". In entrambi i testi Evola, venendo a parlare di Jiinger, prende
anche le distanze dall'opera del tedesco, notando in Cavalcare la tigre
che lo scrittore dopo l'Arbeiter: «doveva passare regressivamente a tutto
un altro ordine di idee». li voluinetto del 1960 - che qui si ripropone
- è w1 'ampia esposizione, parafrasi e cotn1neuto dell'Arbeiter di Jiinger,
che Evola sottopone a una critica serrata, affermando polemicamente
che l'attività successiva dello scrittore tedesco «è abbastanza scesa di
livello, sia per la prevalenza del n1omento letterario e estetistico, sia per
l'influenza subita da parte di un ordine di idee di carattere diverso, tal­
volta perfu10 antitetico rispetto a quelle informanti la sua prin1a pub­
blicistica: quasi che la carica spirituale creata in lui dalla guerra e poi
applicata al piano intellettuale, si fosse a poco a poco esaurita».

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Si tratta di un giudizio senza possibilità d'appello della più coe­
rente intransigenza evoliana. E tale giudizio l'aveva insistentemente
precisato in diversi articoli (anch'essi pubblicati in questo volu111e) con
la recensione del 1956 al saggio jiingeriano li nodo gordiano, che è forse
l'intervento più critico con la pole111ica ingenerosa e disinformata sul
dibattito tedesco, che aveva solJecitato quella riflessione di Junger. Evola
denuncia le «idee confuse, inquadra1nenti unilaterali e discutibili» che
connoterebbero le opere dello scrittore tedesco dopo il 1945. li disap­
punto evoliano prosegue anche nell'ainpio articolo per L'italiano del
1960, che recensisce il volu1ne jilngeriano Al ,nuro del te,npo, in cui
torna l'accusa per <run sensibile sfaldamento spirituale» e per una sor­
prendente apertura del tedesco «perfino a motivi non lontani dalla rie­
ducazione "democratica" o almeno "umanista" del nuovo dopoguerra».
Più equilibrato, ma anche n1eno concentrato su Jilnger, è l'intervento
evoliano a proposito dell'edizione tedesca di La l�ivoluzione Conser­
vatrice in Gerrnania 1918-1932 di Armin Mohler, lo studioso sviz­
zero che è stato anche segretario personale di Jiinger dopo la Seconda
Guerra mondiale. Ciò che a Evola proprio non piace è la scrittura let­
teraria di .lilnger, verso la quale formula apprezzamenti seve1i, lasciando
l'opera artistica del tedesco, come si esprime causticamente nella recen­
sione a proposito di Al ,nuro del te,npo, alle «note cricche di critici
letterari e di intellettuali dilettanti» che hanno «in vista solo gli aspetti
delle opere dello Junger che rientrano nei loro orizzonti e che van110
incontro ai loro gusti, aspetti, che a noi (e, speria1no, anche ai nostri let­
tori) interessano invece assai poco». Il saggio, tuttavia, viene letto con
n1aggiore indulgenza poiché «spirituabnente, rispetto alla produzione
or ora accennata, rappresenta dunque un risolleva111ento», ancorché assai
distante dalla meditazione del primo dopoguerra. Qui è lo Evola mae­
stro di vita e pensatore sapienziale che parla, di1nentico della sua
esperienza giovanile di pittore dada e del suo poema, per altro notevole,
di quegli anni. Si potrebbe riflettere anche sull'estetismo di questi
giudizi che oggettivan1ente trascurano il n1essaggio spirituale delle
rnetafore poetiche jiingeriane. Ma a Evola nel secondo dopoguerra di
Jilnger interessa soprattutto L'Operaio (anche se non si è 1nai conciliato
con questo titolo così "infelice"). Nell'unica lettera nota allo scrittore
tedesco del I 952, in cui gli propone la traduzione del libro, Evola è
estreman1ente franco, affennando che delle sue opere «mi sono spe­
cialmente vicine quelle del primo periodo, diciarno fino aJ!e "Scogliere
di Manno"».
Questa riflessione ci riconduce a quel romanzo centrale nella pro­
duzione jiingeriana che Evola aveva segnalato nell'articolo del 1943,

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mostrandosi in questo caso particolannente attento ai sottili percorsi
deUa criptica scrittura poetica del ron1anziere. E intàtti proprio in questo
saggio egli aveva saputo apprezzare il tedesco, trovando toni ben diversi
nei confronti del!' attività «letteraria ed estetistica».
A proposito delle Scogliere di n1armo, appena pubblicato in Italia,
Evola osservava infatti in conclusione:
«Il nuovo libro dello Jiinger ha dunque un contenuto profondo.
Una chiaroveggenza lo pervade, superiore di certo a quella del
periodo di Der Arbeiter, adeguata alla serietà di questi tempi. [ ...].
Un temibile destino non sarà prevenuto, fino a che come controparte
non si avrà appunto la tradizione spirituale nel senso più alto, un Ordine
non nella prima assunzione soltanto attivistico-guerresca dello
Jiinger, rna appunto con riferimento a valori trascendenti, alle file segrete
di qualcosa "che non è di questa terra" e che forse fino ad oggi è stato
ancora custodito».
Queste considerazioni sooo nettamente a favore della produzione
letteraria di JUnger, a quella successiva all'impegno "attivistico-guer­
resco", culminato nell'Arbeiter e nell'ideologia naziooalbolscevica,
professata fino agli inizi degli Anni Trenta. L'approssimarsi della
sciagura suggerisce a Evola nel 1943 una valutazione di equilibrio
critico sull'apertura simbolica del romanzo jiingeriano, che lo scrit­
tore tedesco continuò fedelmente a proporre, ancorché con esiti più sfo­
cati, nelle opere narrative del secondo dopoguerra. La prospettiva di
Jlinger - come del resto la stessa decisione di ritirarsi a vivere isolato
nei boschi a Wilfrngen- era ormai quella che più si avvicina alla figura
spirituale del Waldgiinger con forti analogie al progetto evoliano esposto
in Cava.lcare la tigre o in Orientall1enti, nonostante le critiche rivolte
a quel testo.
Negli ultimi dece1mi la n1editazione apocalittica di Jtinger si è con­
centrata su una interpretazione n1itologica della storia nel grande
solco della tradizione gennanica, quella che unisce Holderlin a Nietz­
sche per giungere a Heidegger. Il 1uondo è ormai la ditnora dei titani e
un lacerante dolore soffoca l'anima degli uomini che non sanno dare
un nome alla nostalgia, alla tristezza che vela il loro orizzonte. Vi è
per Jiinger una crescente dissoluzione di ogni valore lirico: «I dèmoni
sono venuti ad abitare gli altari abbandonati». L'apocalissi della Marina
aveva preannunciato la disintegrazione della gioia nell'opera, eppure
proprio la 1nalinconia lascia presagire il nuovo: il ritorno degli dèi - per
usare un'antica metafora-, ossia il cammino degli uomini verso gli dèi.
Le parole umane nell'ultimo Jiinger tornano a essere discorso sulla mito­
logia con figure e si1nboli antichi, ripresi dall'arcaicità degli Elleni,

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ma che risultano gli unici ancora capaci di raffigurare l'oscura, confusa
genesi del nuovo. La tensione è verso le più ardite costruzioni future,
verso il Weltstaat, lo Stato planetario, che oggi sembra già meno assurdo
di quando Junger lo propose nel 1960, creando all'interno di quella pro­
posta utopica una dialettica tre1nenda fra la struttura oggettiva e l'in­
dotnito spirito del ribelJe, dell 'anarca, che è poi la figura distillata e
sublimata dell'avventuriero novecentesco che ]unger impersonò in gio­
ventù dalla fuga in Africa nella Legione Straniera alle gesta eroiche
della Prima Guerra Mondiale che gli valsero la supretna onorificenza
gennanica. Era una apparizione straordinaria, ma non tmica, con1e dirno­
strano altri scrittori alla ventura, per terra e per tnare, con1e D'Annunzio,
fle1ningway, T.E. Lawrence, Malraux e Saint-Exupéry.
A più di trent'anni dai giudizi lin1itativi di Evola e alla luce della coe­
rente e appartata attività letteraria di Jilnger, sempre fedele a una strenua
ricerca di stile, si può avanzare l'ipotesi che l'apprezzan1ento evo­
liano del '43 sia sostanzialmente più equo nei confronti dell'opera com­
plessiva e della peripezia spirituale di ]unger.
Evola e Jilnger, due solitari, due ricercatori indipendenti, attratti
dal pericolo e dall'insidia, e lontani dall.e mode, dalle facili sugge­
stioni del potere, dalle seduzioni dell'industria culturale, dalle tenta­
zioni di agevoli successi, restano due scrittori molto letti, meditati e allo
stesso tempo ancora paradossalmente emarginati dalla discussione cul­
turale attuale, cbe, recuperandoli, può soltanto arricchire la propria capa­
cità c1itica e progettuale. Le loro ricerche culturali sono intente a trac­
ciare sentieri, ancorché ardui e inattuali. E in questi percorsi si sono
avvicinati più di quanto loro stessi avessero compreso e avvertito. A
siffatta prospettiva ideale, nel senso più universale, alludeva già nel
1938 Ji.inger, scrivendo:
«La fede nei solitari risponde alla nostalgia di una fraternità senza
nome e di un rapporto spirituale più profondo di quanto sia possibile
fra uomini».
MARINO FRESCHI

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Una lettera a Ernst Jiinger
Julius Evola

Roma, 17 JU. 1953


Illustre Signore!
il mio nome Le dovrebbe essere noto perché - forse grazie al
dott. Mohler - da non 1nolto ho ricevuto un esernplare con dedica di
"Heliopolis" e anche perché nel Reich abbiamo avuto molti comuni
conoscenti - ad es. il prof. C. Schmirt e il barone von Gleicben.
Da tempo seguo con particolare interesse la Sua attività, avendo
spesso niodo di richiamanni alle Sue opere. Di queste mi sono spe­
cialmente vicine quelle del primo periodo, diciamo fino alle "Scogliere
di Marmo". Ed è in questo contesto che nu permetto di rivolgerrni a Lei.
Credo di poter approntare una traduzione italiana de "L'Operaio". A
causa della analogia del prin10 col secondo dopoguerra la problematica
prospettata in quel libro è secondo me di nuovo attuale. D'altronde le
soluzioni, che si è creduto di trovare nel Reich e in Italia tra le due
guerre, erano in massima parte pseudosoluzioni, surrogati e manife­
stazioni congiunturali. Credo che oggi il libro potrebbe esercitare ancora
un effetto di "risveglio".
Ora, abbiamo da con1battere un ostacolo poiché non posseggo il libro
citato ed è molto difficile procurarselo. Il dott. Mohler oli ha scritto che
persino Lei ne possiede un solo esemplare per il Suo archivio. Ma forse
Le è possibile trovare nella cerchia dei Suoi conoscenti qualcuno che
possa vendere o prestare il libro - con l'assicurazione fonnale e per­
sonale di restituirlo dopo averlo esaoùnato e all'occasione tradotto.
E inoltre: a chi ci si deve rivolgere per i diritti di traduzione?
Scusi questa richiesta che mi ha tuttavia offerto l'occasione sempre
ri1nandata di avere l'onore di prendere contatto con Lei anche di per­
sona.
Con particolare stima
il suo devoto
J. Evola
J. Evola
Corso Vittorio Ernanuele l 97
Roma

Traduzione di Marino Freschi

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..
E Jtl'!G[�:
ARCI ii\.'

Rom, den 17-Xl,1953··

Verehrter Herr I
14e1n Nalllen dflrf te lhnen belr.annt se1n, wei.l 1ch -
v1elle1cht durch Ver1111t telung von Dr. Il o h l e r -
unl/lngst eln gew1dmetea Execnplar von "Hellopolla"
erhalteo habe und aucb w ell w 1r 1111 Re1cb v1ele ge­
me1nasme Beltannt-en natten - z.B, l)rot', C,8ct,m1tt
und Frh• von Glel chen.
Ioh habe ae1t 1,..ngea> lhre Tllt1glte1t mlt )1esonàe­
rem Interesse verfolgt uod batte ort Gelegenhelt,
m1 on aur Ihre Werke zu berufen, Von d1eaen l1egon
mlr nabe elgenUlch d1e àer erete o Per1ode, sageo 1'1r
b1 a "llannor Kl1ppen". U11d ea 1st 1n dl8sem Zuaa111111en ­
hang,dass 1ch lll1r erls\Jbe, ,nlcb an S1e zu wenden.
lch gleube, elne ltallenlscho Uebersetzung von "Der
Arbelter" versnlassen zu kllnnen, Wegen der Analogie
der ersten mlt der zwelten Naohkr1egsze1t 1 s t m.i,.
d1e 1n Jen em Buch eutworfene Problemat1k 11lader ak­
tuell - Ubrlgeos dle Ll!sungen,dle man ln der Zwlachen­
zelt 1m Relch uod 1n !talleo zu flnden geglaubt bet­
te, 1'aren 7.U!ll grHseten Tell nur Scbe1nl�sungen,Er­
slltze und KonJunkturersche1nungen. Icn glaube eleo,
dass dao Bucb heute nocb e1ne "erweclteode " 1'11rlr.1.1ng
a u ai/ben ktloo t8.
Nun w1r naben mlt elne111 handicap zu k/Jmpt'en,,.ell
leh da s erw ilbnte B1.1 eh 11 l o ht bes ltze und e a aehr ac n-� er
aufzutrelbeo Let, Dr, l(ohler sohrleb mlr aogar,daee
Avch bel Ihnen nur eln Arcblv-Exe111pl ar davoa vorhan­
deo 1st. Aber e s 1st lhnen v1elle1cht mtlgllch, lo
Ihre111 Bekanntenkre1s Jemil'sod zu flodeo, der das
Buch ent,.eder verksufeo Oder bl oas l elben - fUr dle
Zelt der PrOt"uog uod der gelegentllchen Ueberaeteuog
unter t'0!"111eller· peraHollcher vers1cherung der ZurUcker­
etattung - kllnnte.
Dar{/ber hlnaus: ao wen sollte 111an slch w'lgen der
Uebe!"oetzungsrechte "' enden ?
;;:otacnuldlgen S1e bltte d1.3ae Avance; dle aller­
dlogs mlr dle lmmer wleder ver�chobene Gel egenhelt
geboten het, dle Ehre zci haben, mlt •hoen nud:l per­
ellnllch �'Unlung zu nehmen.
1n beaonclerer Hochsohtung

'
J ,Evola l '
corso Vlttorlo ;;:manuqle 197
R0111a

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L'''Operaio''
nel pensiero di Emst Jiinger
'

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Presentazione

Ernst Ji.inger viene considerato co1ne uno dei 1naggiori scrittori tede­
schi viventi, ed è noto anche in Italia per diverse sue opere tradotte e
pubblicate da importanti case editrici. Però qui si tratta soprattutto dei
libri del suo secondo periodo, di carattere letterario e saggistico.
Il presente saggio espone e analizza invece l'opera principale dello
Jtinger del prin10 periodo, nella quale era ancora viva l'eco delle espe­
rienze esistenziali di lui corne co1nbattente pluridecorato, e che affronta
essenzialmente il proble1na della visione e del senso della vita nell'e­
poca 1nodema, e soprattutto nell'èra della tecnica. L'"Operaio", per lo
Jiinger,
'
non è una
'
classe sociale e ancor n1eno il "lavoratore proletario".
E un sirnbolo. E il simbolo di un nuovo tipo un1ano capace di volgere
a suo vantaggio, di trasfonnare in forza spirituahnente forrnatrice, tutto
ciò che di apparentemente distruttivo e di pericoloso presenta l'epoca
ultima.
Acuta e accurata diagnosi del inondo contemporaneo, questa ricerca
è quindi lontana da ogni pessimismo di maniera o da otti.Jnismi acritici,
e viene espressa con la forza della drammatizzante fantasia di un grande
artista. Ed è analisi di vivo interesse non solo per l'epoca in cui apparve
( 1932), 1na quanto 111ai attuale, tanto da potersi affennare che, contro
ogni fonna di evasione dalla tenace guerra fredda, nella quale i ter­
nrini di "oriente" ed "occidente" assutnono un significato cosn1ico, lo
Ji:inger indica agli uomini più responsabili d'oggi, ai veri antibor-

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ghesi, la via necessaria cli un eroismo capace di risollevarti dallo stato
di abbandono in ctù sembra siano precipitati con l'avvento del quarto
stato, del mondo della tecnica, della macchina. Un libro, cioè, che sul
piano polemico si oppone al n1aterialisruo econornico, agli ideali di una
prosperità da "bestiame bovino", alla borghesizzazione degli stessi
gn1ppi che ostentano la divisa della antiborghesia, rnentre sul piano
costruttivo intende affennare, sia pure con tonalità talora inaccetta­
bile, la necessità di una educazione volta a forrnare un nuovo tipo di
uon10, disposto a dare assai più che a chiedere, al fine di superare la
crisi da cui è sconvolto il mondo moderno.
A suo tempo, l'opera dello Ji.inger ba destato una vasta risonanza, e
la discussione si è riaccesa nell'occasione della ristampa in corso
delle opere co1nplete di tale autore. I problemi trattati non potranno non
interessare anche il pubblico italiano, per le prospettive delineate sia
nel campo della critica e della prognosi dei nost1i tempi, sia in quello
delle nuove categorie intellettuali, etiche e spirituali che si propongono
per delle nuove élites.
J. E.
Ro,na, 1960

Questa ''presentazioue" pur datata come "Roma 1960'' nou è presente uella priiua edi­
zione del libro pubblicata da Armando nel settembre dì quell'anno. Poiché sembra impro­
babile che Evola l'abbia redatta cou tale data per la secouda edizione Volpe del 1974, si
deve ritenere che fosse stata approntata per la priiua, Li ooo corupresa, quindi riproposta
per la seconda. Il riferimento polemico alla "borgbesizzazione degli stessi gruppi che osten­
tano la divisa della antiborghesia". vale a dire certa Destra della seconda tnetà degli
Ann.i Cinquanta, coofern1erebbe tale ipotesi. (N.d.C.).

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Introduzione

Nel periodo compreso fra le due guerre n1ondiali uscì in Germania,


in due edizioni, un'opera che ebbe vasta risonanza e che suscitò varie
discussioni. Aveva per titolo L'Operaio: la sua figura e il suo
do,ninio (Der Arbeiter: Gesta//. und Herrschafi) e il suo autore era Emst
Ji.inger. Già allora l o Ji.inger era noto per diversi scritti che, in con­
trasto con la letteratura disfattista e pacifista del primo dopoguerra (egli
fu chiamato lo "anti-Re1narque"), mettevano in risalto le dimensioni
spirituali che la stessa guerra 1noden1a può contenere. A tale riguardo
lo Jiinger non si presentava co1ne un se1nplice scrittore. Aveva appena
finito le scuole medie quando, insofferente del clin1a borghese e sta­
gnante dell'ambiente in cui viveva, fuggì dalla casa paterna per
entrare nella Legione Straniera. Scoppiata la prima guerra mondiale, si
arruolò come volontario, fu ferito sette volte, si guadagnò, per il suo
ardire e per speciali i1nprese che definirono addirittura una tattica i n e ­
dita nelle azion.i d'assalto, numerose decorazioni, compresa la massi1na,
la pour le rnérite, che egli fu l'urùco ttfticiaJe inferiore a ricevere in tutto
l'esercito tedesco di allora. I libri del primo periodo. Fra tenzpeste d'ac­
ciaio (In Stahlgewittern), Il co,nbauere co111e esperienza interiore (Der
Kampf als inneres Erlebnis), Il boschetto I25 (Das Wi:ildchen i 25) e
soprattutto Fi,oco e Sangue (Feuer und Blut) (I), riflettevano queste
esperienze direttamente vissute dallo Jiinger.

(I) Per le eve.ntuali traduzioni italiane, si veda la bibliografia finale (N.d.C.).

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Ora, una i11ti1na continuità collega questa pritna produzione all'o­
pera suaccennata, L'Operaio, nei seguenti tennini: nella guerra u1oderna
si scatena I'ele,nentare, I'ele1nentare legato al materiale, cioè a un
sistema di mezzi tecnici di·estrema distn1zione ("battaglie del mate­
riale"). È co1ne una forza non umana 1nessa in n1oto dall' uom.o e alla
quale il singolo co1n.e soldato non può sfuggire; egli deve 1nisurarsi con
essa, farsi strumento della 1neccanicità e, iu pari ten1po, usarla, tenervi
testa: spiritualtnente, oltre che cnaterialtnente. Ciò è possibile solamente
rendendosi capaci di una nuova fonna d'esistenza, nella quale è co1n­
presa anche l'eventualità della propria distruzione; eventualità, che tut­
tavia finisce con l'apparire irrilevante rispetto ai momenti di un esser
totalrnente in atto e della realizzazione di un senso assoluto del vivere.
Questi significati, Ìl1 origine scoperti dunque là dove regna "la tnorte
meccanica", nelle esperienze delle "battaglie del rnateriale", dallo Ji.inger
sono stati successivamente estesi alla vita nel inondo 1noden10 della tec­
nica e della 111eccanizzazione, mondo in cui, in forme diverse, va mani­
festandosi paiin1enti l'elen1entare e si svolgono processi distruttivi, ritor­
cendosi quasi contro di lui, lo stru1nento che l'uorno aveva creato pel
dominio della natura, la tecnica, a guisa di un Gole1n. A questo m.on­
do l'uomo om1ai non può più sfuggire; così poco, quanto in guerra al
n1aleriale in atto e alle te111peste di ferro e di fuoco che egli. stesso sca­
tena. La situazione si ripete: per far fronte a siffatta realtà, creata nel
punto di rendersi signore della terra e di realizzar quasi il biblico: «Sarai
sirnile a Dio», 1na scioltasi da lui, occorre che prenda forma una
nuova figura umana. È quella di chi, dinanzi alla sfida della distruzione
e della 1neccanizzazione, risponde con un atto inten10 assoluto, fa
proprie una nuova etica e una nuova visione dell'esistenza. La for-
111ula che dalla vita di guerra dovrà estendersi a quella di pace in un
inondo che volge verso la cornpleta n1otorizzazione e n1eccanicizza ­
zione è la mobilitazione totale, presa ora in senso anzitutto inten10. In
tale senso essa vuole appunto dire i1npegno totale della vita, l'essere
interamente in atto e corne un tutto nell'atto, di là dai vmcoli, dalle con­
dizionalità e dalle antitesi della semplice esistenza individuale. Tale
orientamento, dallo Jiinger è stato anche chiamato "realismo eroico".
Questa è dunque la geuesi ideale del 'Operaio e il senso ultimo del-
1' ordine di idee in esso svolto. Il libro già da tempo ci aveva colpito
con1e una testirnonianza delle più significative del te1npo nostro. Così
aveva1no divisato di farlo conoscere in Italia traducendolo. In effetti, al
proble1na centrale ora accennato se ne associano vari altri non meno
importanti. li primo di essi riguarda la crisi della civiltà borghese, o
civiltà del Terzo Stato, e può formularsi così: si può riconoscere la

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crisi irreparabile del inondo borghese, anzi salutare ogni attacco contro
quanto resta di esso e associarsi alla polernica antiborghese, senza dover
fin.ire nel n1arxisrno, avendo invece in vista un realisrno e un antindi­
vidualisn10 di segno assoluta1nente opposto? E il inondo della tecnica
in cbe ternuni può contribuire a questo orienta1nento antiborghese posi­
tivo, libero dalle pre1nesse n1aterialistiche e "fisiche"? Al che si associa
direttan1ente il probletna circa l'individuaLismo e il collettivismo, l a per­
sonalità e l'impersonalità, in un ideale differenziato della fonnazione
u1na.na, adatto ai tetnpi ù1 cui viviamo e a quelli che si preparano. Non
n1eno iinportante è il proble1na della stnunentalità e dei limiti della tec­
nica e quello dei rapporti tra sviluppo ù1def1nito e dinamismo puro, da
una parte, e dall'altra l'esigenza di una stabilità, ù1 vista di un mondo
nel quale, di là dal sen1plice 1novimento, regnino di nuovo l'essere e
1a.for,na intesa ù1 quel senso superiore, quasi metafisico, a cui vedremo
corrispondere il tennine tedesco Gestalt usato dallo Ji.inger. Il proble1na
centrale, quello del passaggio di là dal nihilistno, dal "punto zero dei
valori" (dei valori, s'intende, propri alla civiltà in crisi), e il problema
della 111isura e delle forme in cui n1olti processi dissolutivi possono avere
un valore catartico, cioè propiziare una liberazione, costituendo soltanto
la premessa per una èra costruttiva, non è meno ùnportante, non solo
per iI singolo 1na anche in sede di n1orfologia e di prognosi della
storia. In effetti, per tal via, possono essere rin1esse in discussione le
prospettive divenute note ad ognuno attraverso il Tra111011to del/ 'Occi­
dente di Oswald Spengler: si tratta di vedere se il feno1neno della "civi­
lizzazione" (Zivilisation è, nella terminologia spengleriana, la civiltà
1neccanica, antitradizionale, cosmopolita, razionalistica, donùnata dal­
l'economia e dalle n1asse), fase ultin1a e senile, secondo lo Spengler,
con cui si tennin.a regressiva1nente il ciclo di una civiltà in senso pro­
prio e qualitativo (Kultur, nell'accezione spengleriana) (2), nel nostro
caso segni davvero una fine, comporti una radicale soluzione di conti­
nuità rispetto ad un eventuale nuovo ciclo positivo, ovvero prepari
tale ciclo attraverso trasfonnazioni esistenziaLi che possono essere scorte
soltanto da chi ha un senso della "n1etafisica" del processo co1nples­
s1vo.
Se, dunque, per via dei rapporti che il contenuto del libro dello Ji.inger
ha con problemi così i1nportanti, aveva,no ritenuto opportuno che

(2) Si tenga presente il senso specifico ora indicato di "civilizzazione" in opposto a


"civiltà" in senso vero, qualitativo e organico. Questa terminologia spengleriana è
spesso usata dallo Junger, e noi n1ettere1no fra virgolette quelle espressioni quando d e b ­
bono essere prese nel senso ora indicato.

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esso fosse tradotto, nel rileggerlo dopo un certo ternpo ci siamo con­
vinti che con ciò non si sarebbe veratnente raggiunto lo scopo. Infatti,
nel libro le parti valide appaiono co1nnùste con altre che, per un let­
tore incapace di discrinùnazione, le pregiudicherebbero, perché risen­
tono di situazioni locali, tedesche, di ieri, e non tengono conto di
esperienze di cui nel frattempo è apparsa la problematicità. D'altra patte,
L'Operaio si è, per così dire, staccato dal suo autore, l'attività succes­
siva ciel quale se ha accresciuto notevolinente la sua fama (tanto che
egli oggi è considerato come uno dei maggiori scrittori tedeschi), dal
punto di vista spirituale è abbastanza scesa dj livello, sia per la preva­
lenza del 1no1nento letterario e estetistico, sia per l'influenza sublta da
parte di un ordine dì idee di carattere diverso, talvolta perfino antitetico
rispetto a quelle infonnanti la sua prùna pubblicistica: quasi che la carica
spirituale creata in lui dalla guerra e poi applicata al piano intellet­
tuale, si fosse a poco a poco esaurita. Peraltro, lo Junger aveva pen­
sato ad una nuova stesura e magari ad un com.pletamento del libro,
che resta certa1nente la sua opera fondrunentale; n1a nulla è avvenuto,
né noi siamo sicuri che, se quella nuova stesura fosse stata eseguita,
posizioni valide non sarebbero state pregiudicate, dato il suo diverso,
più recente orientamento e data una specie di shock da lui subìto,
come da non pochi suoi compatrioti anche cli una certa levatura, per via
degli eventi più recenti.
E così che L'Operaio lo si può prendere come un documento per sé
stante, e per raggiungere lo scopo che aveva1no in 1nente, abbiamo
lasciato cadere l'idea di una traduzione, passando a quella di
tu1 'ampia sintesi basata in larga misura su degli estratti, con separazione
delle parti accessorie e spurie, per 1nettere in evidenza l'essenziale.
Aggiungendo un 1nini1no di inquadramento critico e illustrativo,
abbiamo creduto che questo sia il 111iglior modo per far conoscere al let­
tore italiano ciò che v'è di davvero interessante in tutto ciò che lo Jilnger
ha l_)rospettato in ordine ai probletni sostanziali dianzi accennati.
E possibile che, in relazione al inondo 1noderno della tecnica, una
certa categoria di lettori consideri anacronistico l'orientamento del "rea­
lis1no eroico", non scorga, cioè, la necessità della conversione e del­
l'applicazione nella vita ordinaria di disposizioni che riflettevano il
cli1na di alta tensione di alcune esperienze della guerra n1oden1a. In certi
ambienti oggi regna infatti deJI 'euforia e si parla di una "seconda
rivoluzione industriale" che dovrebbe creare condizioru generali di
benessere e di vita facile e sicura, in opposto a tutto ciò che f1no a ieri
molti critici del nostro tempo avevano n1esso a carico della tecnica. A
tale riguardo non si può però fare a n1eno di ricordare che un analogo

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clirna euforico nel segno del mito progressista e u1na11itario-sociale si
era già formato nel periodo della prima "rivoluzione industriale", con
la quale tuttavia le crisi sociali, politiche e spirituali dell'Occidente han
finito solo con l'acutizzarsi. Inoltre, come si sa, le prospettive luminose
dell'èra atomica hanno anche l'altra faccia, sinistra, connessa all'uso
bellico dei mezzi da essa offerti e al fatto che anche la nuova pace ha
tutti i caratteri di un arn1istizio, che opposti blocclti di potenza si dispu­
tano il dominio del mondo, tanto che alcuni indulgono perfino a visioni
apocalittiche di una distruzione dell'umanità sul nostro pianeta. Se
dunque è bene considerare ogni eventualità e se, in genere, non con­
viene cuJlarsi in fisime aventi per presupposto l'idea della natura essen­
zialmente razionale e buona, anziché runbivalente, proble1natica e scissa
dell 'uo1no, concezioni,
'
co1ne quelle de L'Operaio, conservano un
loro valore. E bene, cioè, che si abbia anche in vista la fonnazione di
un tipo umano capace di essere all'altezza di ogni eventualità, quelle
estreme comprese. Non si debbono nemmeno dimenticare gli aspetti
della problematica tratti dallo Jiinger, che han relazione non con distru­
zioni in senso proprio, fisico, ma con un clima di livella1nento e di
unifonnizzazione che, da ciò che ci è dato di giudicare in base a quanto
si è già verificato, soprattutto oltre Oceano, appare esser parte insepa­
rabile dall'altra prospettiva, di quella progressistica e idilliaca di una
tecnica in funzione di redentrice universale e di creatrice di paradisi ter­
restri senza serpenti.
Così per quanto la formulazione delle idee de L 'Operaio risenta in
parte di sin1azioni che, altneno per quel che riguarda I '"Occidente" (in
senso politico), sono alquanto diverse da quelle del mon1ento, molti
punti di riferin1ento mantengono il loro valore: se si vuole, "ad ogni
evenienza", in relazione, almeno, ad una delle vie possibili che potrà
anche prendere la razza del nostro pianeta nei tetnpi a venire.

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La figura dell'Operaio

Volto e limiti della civiltà borghese

Lo Jiinger parte da un esarne dell 'èra del Terzo Stato, cioè della bor­
ghesia, rnette in luce il carattere apparente del suo dominio, parla
della crisi della sua civiltà e delle sue idee di base, passa quindi a descri­
vere una nuova figura umana che egli si propone di «rendere visibile
co1ne una grandezza (in senso n1ate1natico) in atto che si è già inserita
potente1nente nella storia e già detennina in 1nodo preciso le strutture
di un mondo trasfonnato». A questo riguardo, non si tratterebbe «di
nuove idee o di un nuovo sistema, ma soprattutto di una nuova
realtà», da cogliere con un occhio libero da prevenzioni, e il cui carat­
tere rivoluzionario più profondo sarebbe dato dalla sua sen1plice esi­
stenza. La capacità di riconoscere il nuovo appunto in termini esisten­
ziali di pura realtà, 1nettendo da parte ogni valutazione, adeguandosi
attivamente ad esso, verrà indicato corne uno dei tratti essenziali del­
l'atteggiamento di "realis1no eroico".
Il mondo del Terzo Stato viene presentato come un modo di sovra­
strutture artificiali e precarie, «il cui dom.inio non è mai riuscito a rag­
giungere il più profondo nucleo da cui dipendono il vigore e la pienezza
di ogni vita». In questa èra «dovunque si è più profondamente e più
audacetnente pensato, dovunque si è sentito in 1nodo davvero vitale,
dovunque si è più inesorabilmente colpito, è riconoscibile chiara-

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mente una rivolta contro i valori esaltati nella grande proclamazione
di indipendenza della ragione»; si vuol dire: nel credo razionalistico
affermatosi con l'avvento del lèrzo Stato, dopo essersi preannunciato
coreografica1nente col culto giacobino della Dea Ragione, di là dalle
esercitazioni astratte degLi Enciclopedisti. <{Perciò gli esponenti di quella
responsabilità diretta che viene designata co1ne genialità, mai furono
così isolati, la loro opera e la loro attività 1nai furono cosi pregiudi­
cate, lo sviluppo puro del tipo eroico n1ai trovò un nutrimento così
scarso. Le radici dovettero spingersi ben nel profondo attraversando
una a1ida argilla, per poter raggiungere le sorgenti dove risiede quella
111agica unità di sangue e di spirito che rende irresistibile la parola>>.
<<Così questa èra è stata ricchissi1na di grandi anime, l'estre111a ribel­
lione delle quali fu il soffocare la propria natura; fu ricchissima di alte
menti, alle quali una pace da mondo delle ombre sembrò la benvenuta ...
fì.1 ricca di battaglie nelle quali fu il sangue, più che lo spirito, a dar prova
di sé in vittorie e in disfatte». «Onore a questi caduti, spezzati dall'a­
troce solitudine dell'amore o del sapere, o che l'acciaio stroncò sulle
alture arroventate del combattimento!» dice lo Jilnger.
Il mondo borghese è anzitutto caratterizzato da un concetto spe­
ciale della libertà, da quello di una libertà astratta, generale, indivi­
dualistica: «forma fissa in sé, vuota ' d'ogni contenuto, che si può
applicare a qualsiasi grandezza>>. E l'opposto dell'idea, destinata ad
esser ripresa, «che la libertà di cui una forza dispone è esattatnente pro­
porzionata alla grandezza del compito che le è assegnato e che l'am­
piezza della libertà senza vincoli corrisponde a quella della responsa­
bilità che la giustifica e che le conferisce un valore». Il borghese conosce
«la libertà da qualcosa», non «la libertà JJer qualcosa>> (è, questa, una
nota distinzione che si trova già in Nietzsche); non sa del mondo in
cui «la libertà si manifesta nelle sue forme più possenti solo quando è
compenetrata dalla coscienza di esser concessa infeudo»; non sa di
«quell'obbedienza che è un'arte dell'udire, e di quell'ordine che vuol
dire esser pronti per la parola, esser pronti pel comando che co1ne una
folgorazione corre dalla cima fino alle radici»; ignora le situazioni in
cui «si riconosce chi è guida dal suo essere il primo servitore, il primo
soldato, il pruno operaio»; non sa, infine, che «le condizioni per la mas­
sima potenza sono presenti, allorché non esistono più dubbi su chi deve
guidare e su chi deve seguire».
Unità di libertà e di servizio, di libertà e di ordine: «l'era del Terzo
Stato non ha 1nai conosciuto la forza rneravigliosa di questa unità perché
ad essa gioie troppo facili e troppo un1ane sono sen1brate le sole
degne di esser ricercate». La controparte dell'idea astratta, individua-

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listica, privatistica della libertà è 1 'idea societaria, il sistema determi­
nato dal principio del contratto sociale. Al borghese è proprio il d i s ­
solvere ogni unità organica, il «trasformare ogni impegno basato sulla
responsabilità in una relazione contrattualistica suscettibile di revoca)),
in base, appunto, all'anzidetto concetto della libertà astratta. Pel vivere
associato, la categoria specifica e valida della 1nentalità borghese è
quella della "società", in opposto alla categoria propriamente politica
dello "Stato": pertanto, lo Stato viene concepito in termini di "società".
A tale riguardo lo Jiinger si rifà a una dottrina abbastanza coerente negli
scrittori politici tedeschi; essa riguarda appunto l'antitesi che si pensa
esistere fra i sistemi aventi per punto fondamentale di riferimento e
per ideale la "società" e quelli che invece per base e per ideale hanno
lo "Stato": lo Stato essendo qui inteso con1e un principio sopraelevato
in sé reale, non riconducibile ai se1nplici fatti associativi empirici e
utilitaristici della massa inorganica e atomica degli individui che esso
comprende.
Cosi nella civiltà borghese tutto viene concepito in termini di
"società", su di uno sfondo razionalistico e moralizzante. I 1nezzi più
sottili sono ,nessi io opera a che ogni grandezza venga ricondotta a
tale forma. Al limite, cotne "società" viene concepita la stessa popola­
zione complessiva della terra, <<presentata teorica1nente come una uma­
nità ideale la cui divisione in Stati, nazioni o razze si baserebbe su di
un errore: errore, che sarà però eli1ninato con l'andar del tempo grazie
a trattati, ad un'opera di illu1ninazione delle mentì, all'incivilimento
o, infine, più se1nplicemente ancora, grazie allo sviluppo dei mezzi di
trasporto e di comunicazione».
In particolare, «il borghese conosce solo la gue1Ta difensiva, il che
vale quanto dire che non conosce affatto la guerra, e ciò già per il fatto
che la sua natura esclude qualsiasi elemento guerriero ... E quand'anche
egli per un'evidente utilità chiama in suo aiuto il soldato o si traveste
lui stesso da soldato, non rinuncerà mai a pretendere che egli lo fa
solo .per difendersi, o, se può dare ad intenderlo, solo per difender l'u-
'
rnanrtà>>.
La scoperta più preziosa della 1nentalità borghese, che in pari tempo
«ha costituito l'oggetto inesau1ibile di una con·ispondente fantasia arti­
stica», è dunque stata una «irnagine strana e astratta dell'uo1no»: l'in­
dividuo. Però, in pratica, «l'individuo vede di contro a sé la ,nassa,
che è il suo esatto riflesso». «Massa e individuo sono le due facce di
una stessa medaglia>>, in essenza sono una stessa cosa. Sono i due
poli, solo in apparenza opposti, della "società". E «da tale unità è
derivato lo stupefacente, duplice spettacolo offertoci da tutto un secolo:

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da un lato, la più caotica anarchia, dall'altro il prosaico ordinan1ento da
azienda della de1nocrazia». Con il che lo Jiinger riprende un altro noto
motivo del pensiero politico d'orienta1nento tradizionale: nel punto in
cui il concetto astratto della libe1tà trasforma in atomo la persona con­
creta, la riduce a individuo, a unità ntunerica, sciogliendola da ogni
nesso organico, nasce contrappuntisticamente e dialetticamente come
inevitabile controparte la massa, il puro regno della quantità.
Vedremo perciò che, secondo lo Jìinger, la crisi della civiltà borghese
colpirebbe in egual misura e11tra1nbi i poli di essa, sia l'individuo che
la n1assa, e che categorie nuove sarebbero destinate ad affermarsi di là
dall'uno e dall'altra.
La concezione contrattualistica dell'unità sociale fa sì che il regi­
me preferito dal borghese, i l regime, anzi, che egli sente esser essen­
ziale per il sussistere suo e dei suoi ordinamenti, sia quello delle discus­
sioni, delle transazioni e delle negoziazioni. Finché vi è possibilità di
discutere e di trattare, il borghese è al sicuro; e per tal via egli intende
eliminare ciò che di pericoloso per tutto il sisten1a può derivare dai con­
flitti all'interno della "società", cioè dai conflitti di classe. Egli sa
riaffer,nare il principio della "società" perfino contro gli apparenti
attacchi contro di essa, col far si che essi prendano sempre le mosse
da quel principio e dal suo concetto della libertà; e ogni presa di
potere finisce col presentarsi co1ne una particolare 1nodificazione del
contratto sociale. fn opposto a quella virile dello Stato, «la natura
femminile della "società" si tradisce nel suo cercar non di eliminare 1na
di assorbire tutto ciò che le è antitetico. Dovunque essa incontra una
esigenza opposta dai tratti precisi, il suo metodo più sottile di subor­
nazione consiste nel presentarla come lu1a espressione del suo concetto
della libertà, legittimandola così dinanzi al foro della sua legge di base:
cosa che equivale a paralizzarla».
Si è accennato che tutto questo sistema per lo Junger parte dalle idee
di razionalità e di 1noralità; in più, vi è l'idea della sicurezza, con lo
sforzo dj escludere !"'elementare" e il pericoloso dallo spazio vitale:
punto essenziale, quest'ultimo, nella concezione complessiva de L 'O­
peraio. Non viene però trascurato un altro elemento concomitante, cioè
la sovranità che il pensiero econotnico esercita nell'area borghese. «II
tentativo di un'aritinetica volta a trasformare il destino in una grandezza
risolvibile con calcoli ... lo si può far risalire al tempo in cui a Ohaiti e
nell'Ile de France fu scoperto il tipo originario dell'uomo ragionevole
e virtuoso, epperò felice, al tempo in cui lo spirito corninciò ad occu­
parsi del dazio sui grani e la 1natematica fu uno dei passate1npi prefe­
riti di cui l'aristocrazia si dilettò alla vigilia della sua fine. A quel tempo

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fu cercato un 1nodello a cui poi si dette una precisa interpretazione eco­
no111ica, in quanto la rivendicazione della libertà da parte dell'individuo
e delle n1asse fu presentata con1c una rivendicazione economica entro
un mondo economico». Qui «l'ideale razionalistico e moralizzante coin­
cide con una concezione utopistica, ed è a delle istanze econo1niche che
si va a riferire ogni problema». Questo è un pw1to importante, per capire
ciò a cui lo Jiinger 1nira: perché col far rientrare ogni rivolgimento deter­
minato dalla semplice econotnia nel! 'area ideale della civiltà del
Terzo Stato si indica il carattere solo apparentemente rivoluzionario,
quindi irrilevante, d i ogni dialettica rivoluzionaria sociale quale è
concepita dagli stessi schieratnenti di sinistra, e si postula un diffe­
rente spazio per la figura che, secondo lo Jiinger, caratterizzerebbe l'era
nuova. «E inevitabile che iJ1 questo inondo di sfruttatori e di sfruttati
non sia possibile alcuna grandezza che per ultima istanza non abbia il
fatto econo1nico. Vengono bensì contrapposte due specie di uomini,
di arti, di morali, n1a non occorre aver molto acume per accorgersi che
unica è Ja sorgente che le ali1nenta. Cosi è anche da tm n1edesimo tipo
di progresso che i protagonisti della lotta econo1nica traggono la loro
giustificazione. Essi s'incontrano nella pretesa fondamentale d i essere
ognuno il vero fautore della prosperità sociale, per cui ognuno è con­
vinto di poter 1ninare le posizioni dell'avversario quando riesce a con­
testargli ogni diritto di presentarsi co1ne tale». Lo Junger conclude: «.Non
è il caso di fermarsi ulteriormente su tutto ciò, perché ogni partecipa­
zione alla discussione varrebbe non a porvi tennine 1na a protrarla inde­
fini tan1ente. Da riconoscere è dunque una dittatura del pensiero eco­
nornico preso in sé stesso, tale da riafferrnarsi su ogni altra possibile
dittatura e da litnitare tutto ciò che essa può favorire. In effetti, entro un
tale mondo non è possibile alcun movimento che non vada ad agitare
la sporca rnota degli interessi n1ateriali, né vi è posizione, partendo dalla
quale si possa venire ad uno sfondatnento ... Quale pur sia, delle due
parti, quella che si assicura il dotnittio, essa sernpre dipenderà dall'e­
conomia come da un più alto potere». In pari tempo, si precisa questo
punto i1npo11ante: «Col negare il inondo econo111ico come quello che
determina la vita, cioè conte un destino, se ne vuol contestare il
rango, non già l'esistenza». Non si tratta di patrocinare un estrania-
1nento dello spirito da ogni lotta econon1ica; potrà anzi esser bene che
la lotta econon1ica «assurna una estrema asprezza». Ma «non dovrà esser
l'econo1nia a dettar le leggi del giuoco», questo deve «esser ordinato
ad una più alta legge della lotta>>. Il supera1nento del mondo borghese
richiede «la dichiarazione d'indipendenza di un uomo nuovo dal mondo
economico», dichiarazione che «non significherà la rinuncia a tale

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mondo bensì la sua subordinazione alla pretesa di esercitare un più alto
dotninio».
Per ora, tutto questo ordine di idee viene però svolto dallo Jtinger
al solo fine di illustrare che la riduzione di ogÙi istanza rivoluzionaria
alla sfera economica, esaurendola in essa, è una delle tecniche usate per
mantenere in vita il principio della "società", per riconfermare, mal­
grado tutto, il mondo del Terzo Stato. Resterebbe da vedere entro
quali li.rnitì tali idee dello Jiinger sono esatte. A noi la "demonia del­
J' economia" (il mito dell'ho,no oecono,nicus: «l'economia è iJ nostro
destino)>) se1nbra essere il pw1to di transizione fra mondo del Terzo Stato
e mondo del Quarto Stato. Come "categoria", l'economia appartiene di
certo al pensiero borghese, e la trasformazione (o interpretazione) delle
antiche articolazioni sociali organiche tradizionali (caste, ordini, corpi:
è ciò che è compreso nel termine tedesco difficile a tradurre, e spesso
usato dallo Jiinger, Stiinde) in semplici classi economiche è di certo una
caratteristica della civiltà borghese. È però visibile e evidente che attra­
verso l'economia si sono destate forze "elementari", le quali in molte
aree sfuggono al controllo del borghese, e che talvolta sono il sub­
strato di unità nuove, collettivistiche.

l'irruzione de/l 'ele,nentare nello spazio borghese

Ciò porta effettivamente ad aspetti della crisi del inondo borghese,


per studiare i quali, secondo lo Jiinger, bisogna rivolgere l'attenzione
a quel tratto del borghese che corrisponde al suo ideale di 1ma co,noda
sicurezza e all'esclusione dell'ele1nentare dalla sua vita.
li concetto dell'elementare ba una parte centrale nel libro dello
Jiinger. Come in altri scrittori tedeschi, il termine "elen,entare" qui non
viene usato nel senso di primitivo; designa piuttosto le potenze più
profonde della realtà, che cadono fuor dalle strutture intellettuali­
stiche e moralistiche e che sono caratterizzate da w1a trascendenza, posi­
tiva o negativa che sia, rispetto all'individuo: coine quando si parla delle
forze ele1nent:ari della natura. Nel rnondo interiore, sono quelle potenze
che possono irrornpere nella vita sia personale che collettiva da uno
strato psichico più profondo. Quando lo Jiinger parla dell'esclusione
dell'elementare dal mondo borghese, è evidente che egli si associa
alla polernica svolta da diverse correnti contemporanee, dall'irrazio­
nalismo, dall'intuizionismo e dalla religione della vita fino alla psica­
nalisi e ali'esistenzialis1no; contro I' irnagine razionalistico-n1orali­
stica dell'uon10 fino ad ieri predomi.nante. Vedre1no però co1ne la posi-

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zione dello Jiinger abbia un carattere originale; egli concepisce forme
attive, lucide, non regressive, di rapporti dell'uomo con l'elernentare,
cosa che lo differenzia dall'orientamento problematico, proprio alla
gran parte delle tendenze or ora rnenzionate.
La preoccupazione costante del mondo borghese è stata dunque
«di chiudere enneticamente lo spazio vitale all'irruzione dell'elernen­
tare», di «crearsi una cinta di sicurezza di fronte ad esso». Appunto la
sicurezza nella vita è stata l'esigenza di quel n1ondo, che il culto della
ragione doveva consolidare e legittin1are: di una ragione, «per la
quale tutto ciò che è elernentare è identico all'assurdo e all'insen­
sato». Includere l'elementare nell'esistenza, con quanto d i problema­
tico e di rischio esso può implicare, ciò al borghese è apparso cosa incon­
cepibile, ovvero una abetTazione da prevenire mediante adeguate tec­
niche pedagogiche. Dice lo Junger: «Il borghese non si sente mai spinto
a rnisurarsi col destino nella lotta e nel pericolo, perché l'elementare
cade fuori dal suo mondo ideale; esso per lui è l'irrazionale, quindi
senz'altro l'immorale. Cercherà perciò di tenerlo sempre a distanza, sia
che esso gli appaia sotto specie di potenza e di passione, sia che egli si
1nanifesti nelle forze di natura, nel fuoco, nell'acqua, nella terra, nel­
I'aria. Da quest'ultimo punto di vista le grandi città sorte all'inizio del
secolo ci appaiono con1e le cittadelle della sicurezza, come il trionfo
delle rnura, che da te,npo hanno cessato di essere quelle antiquate delle
cinta fortificate, e che come pietra, asfalto e vetro ora circondano la vita,
in strutture simili a favi, penetrando fm quasi nelle trame più intime di
essa. Qui ogni conquista della tecnica è un trionfo della comodità e ogni
ingresso degli elementi è regolato dall'economia».
Per lo Jiìnger il carattere di a1101nalia dell'era borghese non sta
però tanto nella ricerca della comodità «quanto nel tratto specifico asso­
ciatosi a tale tendenza: nel fatto, che l'elementare si presenta con1e l'as­
surdo e che quindi le mura di cinta dell'ordine borghese si presentano
silnultaneamente come mura di cinta della razionalità>>. Questo è il punto
in cui si inserisce la polemica antiborgbese dello Junger. Egli distin­
gue fra razionalità e culto della ragione e contesta che un ordine e una
formazione rigorosa della vita siano possibili e concepibili solo secondo
lo schema razionalistico, partendo da una in1permeabilizzazione del­
l'esistenza di fronte all'elementare. Fra le tattiche usate dal borghese vi
è appunto quella di «presentare ogni attacco contro il culto della ragione
come un attacco contro la ragione in sé stessa, tanto da poterlo ban­
dire nel dominio dell'irrazionale». La verità è invece che solo secon­
do la visuale borghese, cioè solo in base «alla concezione specifica­
mente borghese della ragione, caratterizzata da una sua inconciliabì-

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lità con l'.ele1n.entare», l'un attacco può identificarsi all'altro. Questa
antitesi non può esser ritenuta valida da un nuovo tipo umano: del resto,
essa è superata di fatto da figure «co1ne per esernpio quella del credente,
del guerriero, dell'artista, del navigatore, del cacciatore, dell'operaio
e perfino del delinquente», tutte figure per le quali, anche a prescindere
dall'ultima, il borghese nutre una più o n1eno aperta avversione perché,
«per cosi dire, già nelle vesti portano dentro le città l'odore del peri­
coloso, perché già con la loro se1nplice presenza rappresentano una
istanza contro il culto della ragione».
Ma «pel guerriero la battaglia è una vicenda in cui si realizza un
supremo ordine, pel poeta i conflitti più tragici sono situazioni in cui
si può cogliere i n modo partic0Jarn1ente netto il senso della vita»,
nella stessa delinquenza può esplicarsi una lucida razionalità, «il cre­
dente partecipa alla più vasta sfera di una vita piena di significato. Sia
con la sventura e il pericolo, sia col miracolo, il destino lo inserisce
direttamente in una più possente vicenda. Gli dèi amano manifestarsi
negli ele1nenti, negli astri infuocati e nel fulmine, nel roveto che la
fia1nma non consu1na». Il punto decisivo da riconoscere è piuttosto che
«l'uomo può stare con l'ele1uento in rei.azioni di tipo sia superiore, sia
inferiore e che rnolteplici sono i piani sui quali tanto la sicurezza che
il pericolo rientrano nell'ordine. Invece neJ borghese va visto l'uomo
che come valore supren10 riconosce soltanto la sicurezza, detenninando
in base a ciò la sua condotta di vita». «Le condizioni per la sicurezza
che il progresso cerca di realizzare si legano al dominio universale della
ragione borghese, la quale dovrebbe non solo lirnitare, ma alla fine
distruggere le fonti del pericoloso. E per venire a tanto che, alla luce
della ragione, il pericoloso viene presentato come l'irrazionale, tanto
da togliergli ogni diritto di fare parte della realtà. È assai importante,
in tale mondo, vedere l'assurdo nel pericoloso: questo se1nbra elimi­
nato nel punto in cui allo specchio della ragione esso appare con1e un
errore>>.
«Negli ordìna1nenti sia spirituali che oggettivi del mondo borghese
si può constatare tutto ciò», continua lo Junger. «In grande, lo si può
vedere nella tendenza a concepire lo Stato, il quale si basa essenzial­
mente sulla gerarchia, in termi1ti di società, cioè di una forma cbe per
principio fondamentale ha l'eguaglianza e che si è costituita n1ediante
un atto della ragione. Si rivela nell'organizzazione co1nplessiva di un
sisten1a di sicurezza che dovrebbe ripartire ogni rischio non solo nel
carnpo della vita politica interna ed estera ma anche in quello della
vita individuale, nella tendenza a dissolvere il destino attraverso un cal­
colo delle probabilità. Si rivela infine nei 1nolteplici, complessi tenta-

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tivi di riportare la vita dell'anima a rapporti di causa ed effetto, tanto da
trasferirla dal dominio dell'imprevedibile a quello del calcolabile,
epperò di inserirla nella sfera illun1inata dalla coscienza esterna». In
tutti i ca,npi, la tendenza è di evitare i conflitti, di dimostrare l'evita­
bilità dei conflitti. E dato che questi malgrado tutto intervengono, pel
borghese «l'i1nportante è din1ostrare che essi sono un errore di cui l'e­
ducazione o l'illun1inazione delle 111enti dovrà impedire il ripetersi>).
Tutto questo sarebbe però un inondo di o,nbre, e l'illuminismo
sopravvaluterebbe le forze di cui dispone nel credere che esso possa
tenersi in piedi. In realtà, «il pericoloso è se,npre presente; come un ele-
1nento della natura esso cerca di continuo di infrangere la diga con cui
l'ordine lo chiude, e per le leggi di una 1natematica occulta ma infalli­
bile, esso si fa tanto più minaccioso e mortale quanto più l'ordine cerca
di escluderlo. Infatti, esso vuol essere non soltanto un ele1nento di quel­
!'ordine, n1a anzi il principio di una superiore sicurezza, che il borghese
non potrà 1nai conoscere». In genere, se si potrà anche escludere l'ele­
mentare da un dato genere di esistenza, «a ciò sono poste certe leggi,
perché l'ele1nentare non esiste soltanto nel mondo esterno ma è anche
inseparabile dalla vita di ogni individuo>). L'uomo vive nella elemen­
tarità sia in quanto è un essere naturale, sia in quanto è un essere
mosso spiritualmente da forze profonde. «Nessun sillogismo potrà.mai
sostituire il battere del cuore o l'attività dei reni, né esistono grandezze,
a partir dalla stessa ragione, che di tempo in ten1po non soggiacciano
alle passioni, nobili o ignobili che esse siano». Infine, riferendosi al
inondo economico, lo Jiinger nota che <<per bello che sia il modo co11
cui vengono impostati i calcoli, l'unico risultato dei quali dovrebbe
essere la felicità, ri1nane pur se111pre un residuo che si sottrae ad ogni
analisi e che l'essere umano avverte per via di un sentimento di
depauperazione e di crescente disperazione)>.
L'ele1nentare ha perciò una duplice scaturigine. «Per un lato, ha la
sua fonte in un mondo che è sempre pericoloso, così con1e il mare
cela in sé il pericolo anche quando non è mosso da un alito di vento.
Dall'altro, le sue sorgenti si trovano nell'anitna u1nana, la quale
bran1a il giuoco e l'avventura, l'amore e l'odio, i trionfi e le cadute,
sente il bisogno del rischio non n1eno che della sicurezza; ad essa w10
stato assolutamente ' sicuro appare, a ragione, cotne uno stato di
incomJJletezza'i>. E però abbastanza evidente che con tali parole lo Jtinger
si rife.risce di già ad un tipo umano diverso da quello da cui ha preso
le 1nosse il inondo borghese, e che, a sua volta, tale mondo alleva.
11 dominio dei valori borghesi lo si può dunque 1nisurare «dalla
distanza in cui l'elen1entare sembra essersi ritirato dall'esistenza>). Lo

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Jiinger dice "sembra", perché l'elernentare, servendosi di rnolte
n1aschere, trova modo di annidarsi al centro stesso del mondo borghese,
ne mina gli ordiJ1ainenti razionalizzanti e emerge ad ogni crisi di esso.
Per ese1npio, viene rilevato come già nel passato siano stati caratteri­
stici, nel segno della Rivoluzione francese, dei connubi cruenti fra
borghesia e potere. Il pe1icoloso e l'elementare si sono riaffermati «per­
fino di fronte alle astuzie più sottili con le quali si è cercato di circon­
venirli; anzi si introducono in modo in1prevedibile in queste stesse
astuzie, per trarne dei travestimenti, il che fa sì che tutto ciò che è civiltà
[in senso borghese] abbia un volto ambiguo; sono note ad ognuno le
relazioni esistenti fra ideali di fratellanza universale e patiboli, fra diritti
dell'uomo e rnassacri». Non che sia stato lo stesso borghese a volere
tali situazioni contraddittorie, perché quando egli parla di razionalità e
di moralità si prende terribi!Jnente sul serio: «il tutto è stato piuttosto
un terribile riso sarcastico della natura nei confronti delle 1nascbere in
termini di 1noralità, un frenetico esultare del sangue contro l'intelletto
dopo che si era concluso il preludio dei bei discorsi». Quel che invece
inerita di essere rilevato è «l'ingegnoso giuoco dei concetti con cui il
borghese cerca di veder riflesse dappertutto le sue virtù e di togliere alle
parole nnto ciò che banno di duro e di necessario affinché vi traspaia
una n1oralità che ognuno è tenuto a riconoscere». Per esempio, ciò è
palese sul piano internazionale, «che si tratti di presentare la con­
quista di una colonia come una penetrazione pacifica o come un'o­
pera civilizzatrice, l'iucorporazione di una provincia di un'altra nazione
come effetto della libera autodecisione dei popoli o, infme, la rapina
esercitata dal vincitore come riparazioni». E ovvio che cotesta ese1n­
plificazione dello Jiinger potrebbe essere facihnente accresciuta con
fatti propri a tempi più recenti. Fra i casi più tipici potrebbero essere
1nenzionate le nuove "crociate", i tribunali dei vmcitori, i cosidetti "aiuti
ai paesi sottosviluppati", e via dicendo.
In questo stesso ordine d i idee è anche esatto ciò che dice lo
Jiinger, quando rileva che proprio nell'epoca in cui si sono ufficiabnente
e rum.orosamente banditi i valori borghesi della "civiltà", si è assistito
a fatti che non si sarebbe creduto più possibili in un mondo illumi­
nato: fenoineni di violenza e di crudeltà, delinquenza organizzata,
scatena1nento di istinti, massacri. Essi rappresentano «la riduzione ali'as­
surdo dell'utopia della sicurezza borghese». Come un buon esempio,
lo Jiinger mdìca le consegue11ze che in Arnerica già ebbe il proibizio­
nisrno: tentativo moralizzatore che, pro1nosso da una letteratura di
utopisn10 sociale, sen1brava convincente come misura di sicurezza; esso
in realtà valse solo ad attizzare forze elementari del liveUo più basso.

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Dovunque lo Stato, seguendo rigidamente i1 principio borghese, si
rifà ad astratte categorie razionali e rnoralizzanti, ed esclude l'elemen­
tare, in realtà fa sì che quest'ulti1no si attivi al di fuori di esso. «11 n1orale
e il razionale non essendo leggi primordiali ma solan1ente leggi dello
spirito astratto», dice lo Jiinger, «ogni autorità o dominio che voglia
basarsi su di essi è solo apparente, e nell'area corrispondente la sicu­
rezza borghese non tarda a palesare il suo carattere utopico e effunero».
Sarebbe difficile contestare la realtà di questa dialettica anche nel
periodo dopo che L'Operaio fu scritto. Ad essa si legano uno dei fat­
tori principali della crisi del mondo borghese e l'altra faccia, infon11e,
oscura e pericolosa, delle strutture societarie moderne ordinate e rego­
late solo in superficie, prive sia di un Si!,'11ificato sopraordinato, sia di
radici negli strati psichici più profondi.
Già quando fu scritto L'Operaio, dopo la prima guerra inondiate, era
apparso chiaro co1ne un analogo fenon1eno di contraccolpo fosse stato
provocato sul piano internazionale dall'applicazione di analoghi prin­
cipi, in pa11icolare del concetto borghese della libertà astratta: nella
1nisura in cui al principio della den1ocrazia nazionale è stata ricono­
sciuta una validità universale e indiscri1ninata, esso ha contribuito ad
uno stato di anarchia mondiale creando nuove cause di crisi dell'or­
dine antico, cotne nella rivolta dei popoli coloniali e di tutte le forze a
cui, in Europa e fuori, il principio dell'autodecisione dei popoli ha dato
una sovranità politica anche quando si trattava di ceppi e di popolazioni,
dice lo Jiinger, «il no111e delle quali ci era noto non attraverso la storia
politica ma al massitno attraverso i rnanuali di etnologia. Di ciò la natu­
rale conseguenza è la penetrazione di correnti puramente elernentari, di
forze appartenenti meno alla storia che non alla storia naturale, nello
spazio politico». Oggi tutto questo appare esatto in ancor più alto grado.
Per noi è però più i1nportante esarninare la crisi del siste1na nei
suoi aspetti spirituali. Lo Jiinger parla anzitutto di fonne di difesa o di
co1npensazione già 1nanitestatesi in margine alla società borghese col
fenomeno romantico. «Vi sono periodi nei quali ogni relazione del­
l'uorno con l'elementare si n1anifesta i.n propensioni romantiche nelle
quali f,,jà si cela un punto di frattura. Dipende da.ll'una o dall'altra cir­
costanza che cotesta frattura si faccia anche visibile, in un perdersi nelle
lontananze, nell'ebrezza, nella follia, nella miseria o nella morte.
Sono tutte fonne di una fuga nella quale il singolo, dopo aver cercato
invano una via d'uscita in tutta l'area del inondo spirituale o 1nate­
riale, cede le arn1i. Però talvolta la capitolazione può aver anche le appa­
renze di un attacco, come quando una nave da guerra che già affonda
spara alla cieca un'ultima bordata».

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«Abbian10 saputo riconoscere il valore delle sentinelle cadute su
posizioni perdute», continua lo Jii.nger. «Molte sono le tragedie a cui
si legano grandi no1ni, ma ve ne sono anche di anoni1ne, in cui a interi
gruppi, a interi strati sociali, è venuta rneno l'aria necessaria alla vita,
quasi che li avesse investiti una folata di gas tossici». Quel che il. nostro
autore aggiunge ha anche una base autobiografica, riflette quelle sue
esperienze giovanili cui abbiamo accennato al principio: «li borghese
era quasi riuscito a persuadere il cuore avventuroso (1) che il pericolo
non esiste, che una legge econotnica regge il mondo e la storia. Ma ai
giovani che di notte o nella nebbia abbandonarono la casa paterna, l'in­
timo sentiJ·e disse che essi dovevano andar lontano alla ricerca del pe1i­
colo, oltre oceano, in America, nella Legione Straniera, nei paesi ove
cresce l'albero del pepe. Così sorsero figure che non ebbero quasi il
coraggio di esprimersi nella propria, superiore lingua, fosse essa quella
del poeta che si sente sirnile alla procellaria le cui ali possenti create per
la tempesta divengono solo oggetto di una i1nportuna curiosità in un
ambiente estraneo e senza vento, fosse essa quella del guerriero nato,
che sembra un buono a nulla perché la vita del mercante lo riempie di
disgusto».
Però il punto decisivo della frattura lo si è avuto con la pri1na
guerra 1n.ondiale. «Nella gioia con cui i volontari l'hanno salutata (scrive
lo Ji.inger, riferendosi visibilmente a ciò che lui stesso visse) vi è stato
più del senti,nento di liberazione di cuori ai quali d'un tratto si rive­
lava una nuova, più pericolosa vita. In essa si è anche ce.lata una pro­
testa rivoluzionaria contro antichi valori irritnediabihnente scaduti. A
partire da questo punto, nella corrente dei pensieri, dei sentimenti e degli
avvenimenti si è infuso un colore nuovo, elementare». L'in1po1iante
però è vedere come, per la forza stessa delle cose, qui anche un nuovo
rnodo d'essere abbia cominciato a differen.ziarsi. Lo Jiinger rileva la
parte che nella gioventù combattente, presa nel suo coo1plesso, avevano
egualmente entusiasmi, idealità e valori di un patriottismo convenzio­
nale riconnettentisi al mondo borghese. Ma presto apparve chiaro che
la guerra richiedeva 1iserve di forze assai diverse da quelle nutrite da
tali fonti: secondo la stessa differenza che vi fu fra i sentin1enti di
entusias1no delle truppe quando partivano dalle stazioni e «le loro azioni
fra i crateri, il fe1To e il fuoco di una battaglia del n1ateriale». Allora,
come ad una prova del fuoco, apparvero i tennini nei quali la protesta

(I) Cfr. l'omonimo scritto jungeriano: // cuore avventuroso. Guanda, Parma, I 994
(N.d.C.).

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romantica aveva una giustificazione. Tale protesta «è condannata al
nihilismo là dove, per essere una fuga, una pole1nica contro un mondo
cbe affonda, da questo resta pur sempre condizionata. Diviene una forza
solo quando dà luogo ad uno speciale tipo di eroismo». Qui si annuncia
il tetua centrale de L'Operaio: attraversare tuia zona di distruzione senza
essere distrutti. La stessa esperienza in tuia stessa generazione ha avuto
effetti del tutto opposti: «gli uni si sono sentiti spezzati da essa, gli
altri hanno paitecipato ad una salute 1nai pri1na conosciuta, grazie all'e­
strema vicinanza con la morte, col fuoco, col sangue». n divario, qui,
è costituito dall'aver avuto co1ne unico appoggio i valori borghesi,
che si basano sull'individuo e sulla esclusione dell'ele1nentare, o del-
1 'esser stati capaci di una nuova libertà. Pel prin10 caso, lo Ji.inger
avrebbe ben potuto riferirsi alle parole che E.M. Remarque mise in testa
al suo fan1oso Ad occidente nulla di nuovo (2): «Questo libro non vuole
essere né una accusa né la diJnostrazione di una tesi; vuol solo dire quel
che fu tuia generazione, spezzata dalla guerra anche quando le granate
l'hanno rispanniata». Per l'altro caso, entra in questione una anticipa­
zione di colui che verrà chia1nato il "tipo": un uorno che si tiene in piedi
perché si fa capace di un rapporto di carattere attivo con l'ele1nentare,
parallelo a forme superiori di lucidità, di coscienza e di autodominio,
di disindividua1izzazione e di realismo, perché conosce il piacere di pre­
stazioni assolute, di un massirno di azione con un 1ninin10 di " p e r ­
ché?" e di "a che scopo?". Qui «le linee della forza pura e della mate-
1natica s'incontra110»; nell'area di una accresciuta coscienza «si rende
possibile un inaspettato, ancor rnai sperirnentato potenziamento dei
1nezzi e delle energie prime della vita».
«Nei centri occulti della forza, in virtù della quale si dotnina la
sfera della 1norte, s'incontra una nuova u111anità, fom1atasi attraverso
le nuove esigenze», dice lo Jtinger. «In questo paesaggio solo con grande
difficoltà si può ancora scorgere l'individuo, il fuoco vi ha calcinato
tutto ciò che non ha un carattere oggettivo>>. I processi che vi si svol­
gono sono tali che ogni tentativo di accordarli ancora col romanticismo
e l'idealisn10 dell'individuo finisce senz'altro nell'assurdo. Per supe­
rare vittoriosamente <<un paio di centinaia di n1etri dove regna I.a
1norte 111eccanica» i valori astratti rnorali o spirituali, la libera volontà,
la cultura, l'entusiasmo o la cieca ebrezza del disprezzo del pericolo
non bastano. È richiesta una energia nuova e precisa, mentre «la forza

(2) Pubblica10 nel 1929, divenne famoso anche grazie ad lUJ fìln1. Noto anche con altri
titoli - Ad Ovest 11111/a di 1111ovo e Niente di nuovo sulfronte occidentale - è con que­
st'ulti,no che è stato ris1runpato per l'ultima volta da Mondadori nel 1986 (N.d.C.).

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combattiva nell'insieme della vicenda assume un carattere meno indi­
viduale che funzionale». Inoltre si scoprono corrispondenze fra il punto
della distruzione e l'àpice spirituale di una esistenza; e qui scaturiscono
presentimenti della persona assoluta. I rapporti con la morte si trasfor­
mano e «la distruzione può cogliere il singolo in quegli attirnj preziosi
in cui a lui si richiede un massimo di in1pegno vitale e spirituale». Allora
«nella fine può esser anche riconosciuta la più alta libertà». Tutto ciò
diviene una parte naturale, voluta in anticipo, di un nuovo stile di. vita.
Si presentano infine «imagini dì una supre1na disciplina del cuore e
dei nervi, prove dì una estrema, lucida, quasi metallica freddezza, nelle
quali la coscienza eroica sa usare il corpo come un puro strumento,
imponendogli una serie di azioni complesse di là dall'istinto di con­
servazione. Fra le fianm1e di w1 aereo colpito, nelle can1ere d'aria di un
so1runergibile affondato si compie ancora un lavoro che, propria1nente,
trascende la sfera della vita e dì cui nessun co1nunicato darà 1naì notizia».
I due termini che in questo "tipo" si uniscono sono dw1que l'elen1en­
tare in atto in sé e fuori di sé, e la disciplina, l'estrema razionalità e
oggettività,
. un controllo astratto assoluto nell'attivazione totale del pro-
pno essere.
È così che, secondo lo Jlinger, già nel corso della pritna guerra mon­
diale si è preannunciata una nuova "forma inten1a", e noi abbiamo già
detto che in essa egli vede quella che, a parte le estrinsecazioni guer­
riere e le accennate, eccezionali culminazioni, sarà decisiva per una
Utnanità in divenire. La crisi definitiva del mondo borghese e di tutti gli
antichi valori, per Io JUnger è dovuta alla civiltà della tecnica e della
tnacchina, con tutte le forme di ele1nentarità che vi si legano. Sostai1-
zialmente identico sarebbe il tipo dì colui che spiritualmente è non il
vinto ma il vincitore, sia sui moderni ca1npi di battaglia, sia in un mondo
assolutamente tecnicizzalo. Sostanzialmente identico sarebbe il genere
di superamento e di formazione interiore che in entrambi i casi è
richiesto. È così che si delinea la figura di colui che lo Jiinger chiama
l'operaio, der Arbeiter, e che una continuità idea.le unirebbe «al soldato
vero, invitto, della grande guerra».

Il concetto di lavoro

Diciamo subito: la scelta del termine "operaio" per designare ciò di


cui si tratta, nello Jiinger non è stata felice. Essa può facilmente dar
luogo all'equivoco, anche se l'autore avverte subito che nel corso

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dell'esposizione il significato attribuitogli subisce notevoli ,nutarnenti,
e che il lettore di questi dovrà tener conto.
L'Operaio jtingeriano non si identifica allo strato sociale cui viene
abituahnente riferita tale designazione. li "lavoro" che lo definisce
include, sì, le attività corrispondenti alle fonne moden1e della produ­
zione e del dominio della materia, ,na anche le trascende ed esprime un
modo generale di essere. Lo Jiinger in un punto parla perfino, kantia­
namente, di un carattere non empirico, rna "intelligibile" (noumenico)
del lavoro, e poi, esplicitamente e ripetutamente, di una ",netafisica" di
esso. Nell'epoca del lavoro, egli dice, non v'è nulla che non possa venir
concepito sotto specie di lavoro. Lavoro «è l'attacco e il tener fe,mo su
posizioni perdute» non ,neno del produrre. È lavoro «la velocità del
pugno, del pensiero, del cuore, della vita diun1a e nottun1a, la scienza,
l'atnore, l'arte, la fede, il culto, la guerra: lavoro è la vibrazione del­
l'atomo e la forza che muove gli astri e i sistemi solari». L'"Operaio"
è una figura inedita che co,npenetra di un nuovo significato ogni estrin­
secazione dell'esistenza, come in altri tempi accadde, per esempio,
per la figura del cavaliere e pel sentilnento cavalleresco. In genere, come
lavoro nel senso dello Juuger si può intendere la categoria dell"'essere
in atto", con relazione ad un tipo umano caratterizzato da rapporti attivi,
inattenuati, efficienti con le forze pure, oggettive della realtà, da un
nuovo connubio con l'elementare in sé e fuori di sé. Tuttavia resta anche
un riferimento specifico al inondo mode1no della tecnica, una fonnula
preferita dello Ji.i.nger essendo che «la tecnica è il 1nodo con cui la figura
dell'operaio 1nobilita il inondo», e lo stato finale essendo associato alla
tecnicizzazione e motorizzazione totale, per quanto in vista meno
delle realizzazioni materiali che non in funzione del co1nando, dell'esser
in atto, dominando la propria creatura e la propria opera, a cui la
natura si piega. Pertanto qui il "lavoro" appare come una grandezza
auto1101na, non derivata, non subordinata alla economia, alla politica e
alla cultura; vale come un modo d'essere, che non è quello dell'ho,no
faber semplicen1ente, nia di chi sente di stare nell'essere e di parteci­
pare all'essere in quanto è assolutamente in atto. È cosi che, come
vedremo, vengono anche distinti due gradi del lavoro, corrispondenti,
nella ten11i.nologia dello Jiinger, al "carattere speciale" e al "carattere
totale" di esso. Nei suoi aspetti speciali (o meglio, specializzati), il
lavoro subisce la condizionalità del suo oggetto; nel suo aspetto totale
ha la qualità i11divisibile di un unico n1odo d'essere, e si riferisce al tutto.
Del resto, che l'operaio dello Jiinger non sia una grandezza econo­
mica, lo si poteva già desu1nere da quel che il nostro autore ha detto a
proposito dell'economia e dell'impossibilità di venire ad uno sfonda-

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,nento e ad un vero superamento dello spazio borghese, partendo da
essa. Così egli tiene anche a precisare che per quanto nel lavoratore
industriale si deve riconoscere un tipo u1nano particolannente temprato,
«la cui esistenza ha contribuito a di1nostrare in modo chiaro l'irnpos­
sibilità di continuare a vivere nelle antiche fonne», pure riferirsi sol­
tanto a tale tipo «significherebbe scorgere non la figura ma una delle
sue particolari manifestazioni». L'operaio jiingeriano non costituisce
una classe nel senso della dialettjca rivoluzionaria del XIX secolo; ancor
n1eno corrisponde al proletariato, al «tipo del borghese senza col­
letto». Non si identifica con un Quarto Stato. Del resto, "classe" per
lo Junger non è che una categoria borghese, e nel tentativo di far con­
cepire in ftu1zione di classe le istanze rivoluzionarie operaie, s mdica
un espediente di cui il borghese si è servito per cercar di riportare nel
suo mondo e nel quadro della "società" gli esponeuti di una umanità
nuova, in un regime di transazioni, di compromessi e di contratta­
zioni. Dice lo .I unger che dell'operaio si è effettivamente cercato di «far
l'oggetto di un nuovo senti111entalismo, diverso dal precedente solo per
la sua maggiore meschinità». E, «in chiunque sa ben vedere, resterà solo
dello stupore nell'accorgersi come si sia creduto di scalzare i l mondo
borghese affennando proprio le istanze che lo hanno più univocamente
consolidato», cioè le istanze econoiniche, le rivendicazioni di classe
basate su di una estensione del concetto della libertà borghese. Là dove
l'operaio nel senso corrente incarna l'operaio nel senso jungeriano, si
ha invece l'affacciarsi di una nuova realtà, rivoluzionaria non per i suoi
caratteri di ribellione e per la sua antiteticità, ma per la sua essenziale
diversità rispetto alle forme e ai valori preesistenti. Essenziale dovrebbe
essere non «la reazione ad una oppressione ma un nuovo senso di
responsabilità». Allora si potrebbero riconoscere dei «1nascherati movi-
1nenti di signori» i11 quelli che il borghese considerò come dei movi­
menti di schiavi, sia quando gli ha avversati che quando li ha assecon­
dati.
Tutto ciò confenna, dunque, che il tern1ine "Operaio" nello Junger
ha un senso affatto particolare. E anche quando il riferitnento non
esclude Io stesso tipo del lavoratore moderno, si deve tener presente
quanto lo Jiinger dice cir·ca «la necessità di un atteggiamento tale da
render degni di attribuirsi il titolo di operaio», di contro alla borghe­
sizzazione di tale tipo. Questo punto ci sen1bra i1nportante. Se infatti
si fa astrazione delle situazioni, a noi nou sufficienten1ente note, pro­
prie all'area sovietico-co1nunista, sta di fatto che oggi nei "paesi liberi"
la propaganda n1arxista si basa sul prospettare al lavoratore la mèta di
un tenore borghese di vita, cioè l'accessione co1npleta a quelle corno-

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dità e a quel livello economico-sociale così privilegiato che fino ad
ieri erano preclusi al tipo dell'operaio quale sfruttato e diseredato; la
forza motrice di quella propaganda non procede per nulla dall'idea di
forme diverse e antitetiche di vita, le quali possano perfino compor­
tare maggiori durezze, un 111aggior impegno, una maggiore attiva­
zione del proprio essere, partendo da un diverso significato dell'esi­
stenza. ln pari te1npo, nei paesi non co1nunisti dell 'Occjdente, specie in
America, la borghesizzazione dell'operaio e delle sue aspirazioni è visi­
bilissima e in continuo sviluppo, nella 1nora costituita dall'attuale situa­
zione di congiuntura economica e di provvisorio equilibrio politico inter­
nazionale. Per contro, l'operaio jiingeriano respinge gli ideali dell'esi­
stenza borghese, non evita la vita dura e perfino rischiosa, è pronto ad
accettarla, ha in proprio uno stile di impegno totale e disindividuale.
Realizzazione della persona assoluta, questa è, forse, la fo1mula più
acconcia per le fonne supre1ne del lavoro quale lo Jiinger lo concepisce.
Vedremo che il vertice del mondo jiingeriano del lavoro sta nel segno
di una nuova i.nterezza esistenziale, <<di là dalle contrapposizioni di idea
e materia, di sangue e spirito, di individuo e collettività, di potenza e
diritto>>. L'operaio scopre che «vita a cultura fanno tutt'uno» e che «vi
sono cose assai più ituportanti che non principio e fine, vita e morte».
Sono i terni di base meglio definiti dalla formula del <<realismo eroico»,
«lontano sia dal 1naterialismo che dall'idealismo».

la dottrina dellafigura

Lo Jiinger parla del nuovo tipo co1ne di una figura, Gestalt. Nel sigru­
ficato speciale in cui qui viene usato, questo terrnine è preso dalla
filosofia organica, o dell'interezza (Ganzheitslehre). Il principio di
questa dottrina, che in Gennaoia ha vari esponenti, è che «il tutto è
più della somma delle parti che lo co1npongono», e in essa alla "figura"
viene dato il significato di un tipo p1imordiale o archetipo, quasi di idea
platonica, che si crea una propria fonna vivente nello spazio visibile
«corue un sigillo la sua impronta». Dice lo Junger che il 111ondo bor­
ghese «non ha avuto alcun rapporto col mondo delle figure. Esso rusfece
tutto in idee, in concetti o meri feno1ne:ni, e di questo spazio fluido i poli
furono la ragione e la sentimentalità». Nel inondo nuovo, si tornerà
invece a pensare in funzione di figura. Solo così si «potranno conoscere
gli esseri in tutta la ricchezza e l'unità della loro vita». Le figure non
sono storicamente condizionate; invece sono esse a condizionare la
storia, la quale è la scena del loro rnanifestarsi, del loro succedersi,

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incontrarsi
'
o lottare. «La storia non produce le figure ma si muta con la
figw-a». E l'apparire di una figura a dare ad ogni civiltà la sua irnpronta.
Le figure non divengono, non evolvono, non sono i prodotti di processi
empirici, di rapporti orizzontali di causa ed effetto. "frattandosi di puri
modi dell'esistenzialità, ad esse non si possono applicare valori
1norali e estetici. li loro valore è la loro realtà. Ogni loro apparire si tra­
duce in una rivoluzione sans phrases, silenziosa e irresistibile, dice lo
.funger. Il quale scrive: «L'individuo si trova inserito in una grande gerar­
chia di figure, di poteri che non potranno rnai esser concepiti in 1T1odo
abbastanza reale, plastico, necessario. Di fronte ad esse, egli diviene un
simbolo, un rappresentante, e la possanza, la ricchezza e il significato
della sua vita dipendono dalla misura in cui egli partecipa all'ordine e
alla lotta delle figure». «Si riconoscono le fi !:,'1.lre autentiche dal fatto
che ad esse si possono consacrare tutte le proprie energie, che esse pos­
sono divenire l'oggetto sia di un supremo culto che di un odio estre­
tno. Poiché contengono in sé il tutto, esigono anche il tutto. Ond'è che
l'uo1no insieme alla figura scopre la propria destinazione, il proprio
destino, ed è questa scoperta a farlo capace di sacrificio, di u n sacrificio
la cui espressione più significativa è quello del sangue». «In quanto
figura, l'uonio è più della somn1a delle sue energie e delle sue facoltà,
è più profondo di quel che può credere di essere nelle sue cogitazioni
più profonde, è più potente di quel che può dimostrare nelle sue imprese
più grandi». Lo Jiinger aggiunge: «L'incarnare una figura nulla pro­
mette; al massimo, è segno che la vita è di nuovo in una fase ascendente,
ha un rango e si crea nuovi simboli».
In essenza, in quello di figura possiamo dunque ravvisare un
potenziamento del concetto della "persona", in opposto all'individuo­
atomo. Per lo Ji.inger, esso conduce ad «una nuova e più ardita vita, alla
distruzione dei valori dello spirito distaccato divenuto sovrano e della
pedagogia applicata all'uon10 durante l'era borghese», ad una «revi­
sione della vita in base all'essere», alla <<certezza che le istanze della
giustizia astratta, della libera indagine, della coscienza artistica deb­
bono giustificarsi con una istanza superiore a tutte quelle cbe, in genere,
si possono concepire nel mondo della libertà borghese».
L"'Operaio", per lo Jlinger, ha questo rango di "figura". Il mondo
della tecnica annuncia la nuova figura, !'"Operaio"; questa n e è la
base e la giustificazione e essa tende a crearsi ,m proprio tipo per incar­
narvisi secondo un processo necessario. Come operaio, I'uo1no, si con­
cepisce corne figura in t11.1a gerarchia di figure. Ed apparirà che, cotne
ogni altra, la figura dell'operaio «si trova inserita nell'essere in modo
più profondo e cabno di tutti i simboli e gli ordina1nenti da cui può trarre

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confenna, più profondamente delle costruzioni e delle opere, degli
uornini e delle loro co,nunità, che sono con1e i tratti mutevoli assunti
da un volto il quale resta identico nel suo carattere fondamentale».
Cosi la dottrina della figura, Gestalt, può chiarnarsi la "metafisica"
del 1nondo dell'operaio.

l'Operaio e il Superuo,no

E abbastanza visibile l'influenza che sullo Jiinger ha avuto il pen-


siero di Federico Nietzsche. fn effetti, anche nel quadro storico per il
nostro autore la nuova era sarebbe preparata da due processi, conver­
genti malgrado la loro apparente contraddizione, cioè «sia dagli estremi
potenziamenti del singolo quali già per tempo furono presentiti nel supe­
ruomo, sia da quelle società viventi co,ne formicai nel segno del lavoro,
nel quadro delle quali la pretesa ad una forma propria appare come
una illegittùna espressione della vita privata». Perciò sarà opportw10
accennare ai rapporti effettivi che la concezione co1nplessiva dello
Jiinger ha con quella nietzschiana.
li tratto co1nune a superuon10 e "Operaio" è l'aver entrainbi dietro
di sé «il punto-zero dei valori» (s'intenda: dei valori borghesi). Però il
superuomo si trova in una via senza uscita. Lo Jiinger riconosce che la
corrispondente dottrina nietzschiana della volontà di potenza ha rap­
presentato, nella nostra cultura, un rivolgin1ento decisivo. Senonché
praticamente «la vita non avrebbe potuto sostare più di un momento
in quell'atmosfera, più forte e più pura, ma anche mortale, di WlO spazio
panarchico se subito dopo non si fosse gettata nella più i1npetuosa marea
come esponente di una volontà di potenza specifica, avente propri fini».
Allora si in1pone «il proble1na dellagiustifìcazione, di una speciale, non
arbitraria, necessaria relazione dell'uo1no con la potenza, definibile
anche come compito. È cotesta giustificazione a far apparire Wl essere
non più come una forza elen1entare rna come una forza storica». Per
lo Jilnger <<una potenza in astratto esiste così poco quanto una libertà in
astratto». Il grado della giustificazione è anche quello della "sovranità"
(Herrschaft) raggiungibile con la volontà di potenza, per sovranità inten­
dendo lo Jiinger «uno stato in cui lo spazio illin1itato della potenza viene
riferito ad un punto, in funzione del quale esso appare con1e spazio
del diritto». «Per contro, la pura volontà di potenza è così poco giusti­
ficata quanto la semplice volontà di credere; non è un sentimento di pie­
nezza, ma di privazione, ad espritnersi in questi due atteggiamenti in
cui si divise il rornanticisn10». Si può dire che nel tipo dell'operaio,

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superuomo e volontà di potenza perdono le loro dimensioni anarchjche,
nihilistiche e individualistiche; è bensì conservata la corrispondente
dimensione "ele1nentare", tna nel quadro di fonne oggettive precise,
impersonali, di estrinsecazione. Il punto finale di riferimento per lo
Jiinger sarà infatti un mondo dell'ordine e dell'essere, non della potenza
informe.
Lo .funger ha riconosciuto che l'orientamento del superuo1no non
si esaurisce nell'episodio costituito dalla filosofia nietzschiana. Lo
ritrova «nella storia delle scoperte geografiche e cosrnografiche, in
quelle invenzioni il cui senso riposto è una volontà di onnipotenza, di
onnipresenza e onniscienza, il più temerario degli eritis sicut Deus»; lo
ritrova altresì nelle stesse teorie del progresso, ove si prescinda dai loro
aspetti illununistici e rnaterialistici. Vi è, nel progressis1no, un «fondo
nascosto», «una ebrezza del conoscere la cui 01igine è più che logica,
un orgoglio della invenzione tecnica, dell'accesso al dominio illimitato
dello spazio, che contiene il presentin1ento di una più profonda volontà
di potenza, rispetto alla quale tutto ciò è solo annatura per insospet­
tate lotte e rivolte, e proprio per questo essa è così preziosa e degna di
una cura più an1orosa di quella che mai guerriero abbia dedicato alle
sue armi». Ma qui torna a porsi il proble1na della giustificazione o, co1ne
Jùnger lo chiama, della legittimazione. La legittimazione del nuovo tipo
sarà da din,ostrarsi con la sua reale capacità di controllare tale mondo,
dato che «Io spirito, per così dire, ha sopravvanzato sé stesso nell'ac­
cun1ulare un 1nateriale il quale attende ancora un potere che lo ordini.
Così è nato un caos di fatti, di stru1nenti di potenza e di possibilità di
1novimento», e l'attuale situazione proble1natica dipenderebbe dal fatto
«che questo dorninio non si è ancora realizzato, che quindi viviamo in
un'epoca in cui i 1nezzi sen1brano più importanti dell'uomo».
La seconda differenza fra la teoria del!'operaio e quella nietzschiana,
sta nella subordinazione. propria alla prin1a, della potenza ad un
"essere", cosa che appare nan1rale conseguenza del rigetto della con­
cezione astratta e anarcmca della volontà di potenza. Lo Jiinger postula
«la connessione inseparabile della potenza con una unità di vita salda
e ben determinata, con un "essere" indiscutibile; l'espressione di un tale
essere è appunto ciò che si 1nanifesta come potenza, e senza di esso
portar delle insegne è cosa priva di senso». Perciò «la diversa natura
dell'operaio, quel suo speciale essere che abbiamo chiamato la sua
figura, è assai più i1nportante delle forme di una potenza voluta. Questo
essere è potenza, in tutt'altro senso; è un capitale originale che investe
sia lo Stato che il inondo e che si crea propri concetti e proprie orga­
nizzazioni>). L'eliminazione del mo1nento individualistico è poi con-

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fenr1ata da questo passo: <<Ogni atteggiamento avente una effettiva rela­
zione con la potenza è anche riconoscibile dal suo concepire l 'uo1no
non co1ne scopo 1na con1e 111ezzo, con1e un portatore sia della potenza
che della libertà. L'uomo si desta alla massima forza quando è in ser­
vizio. Il segreto della vera lingua del co1nando non è il promettere 1na
l'esigere. L'uoino trova la sua felicità più profonda nel sacrificarsi, e
l'arte suprema del comando consiste nell'additare scopi degni del suo
sacrificio». È abbastanza visibile la relazione fra questo nietzschiane­
simo pltrificato e la direzione che viene indicata pel vero superatnento
del concetto borghese della libertà: nel mondo dell'operaio «il diritto
alla libertà si 111anifesta corne diritto al lavoro [lavoro, da intendersi
se1npre non nel senso corrente, econo1nico, come mezzo pel semplice
sostenta1nento, ma in quello jungeriano]. Nulla è più evidente del
fatto che in w1 inondo in cui il notne di operaio designa una dignità, il
lavoro venga sentito co1ne una necessità profonda, e la libertà si 1nani­
festi con1e diritto al lavoro. Solo nel pw1to in cui il diritto alla libertà
presenterà tale fonna, si potrà parlare di un dorninio e di un'èra del-
1'0peraio».
Così, a volersi portare anche su cti un piano più condizionato, sociale
e politico, «l'irnportante non è che una nuova classe venga al potere,
ma che una nuova un1anità, allo stesso livello di tutte le altre "figure"
della storia, rie1npia secondo un significato lo spazio della potenza. Per
questo, ci si è ricusati di vedere nell'operaio l'esponente di una nuova
"società" e di una nuova economia. L'Operaio o è nulla, o è qualcosa
di più di tutto ciò: il rappresentante di una determinata figura l a quale
agisce secondo proprie leggi, segue una propria vocazione, partecipa
ad una peculiare libertà ... O la vita dell'operaio sarà autono1na, espres­
sione diretta del suo essere, epperò sovranità, ovvero non sarà altro che
lo sforzo per assicurarsi una pa1te nel can1po dei vecchi diritti e degli
insulsi piaceri di un'epoca esaurita».
Vi è da notare, qui, l'interessante trasposizione di piano che subi­
sce una formula così banale dell'ideologia sociale conten1pora11ea, co1ne
quella del diritto al lavoro. In più, i punti positivi fissati dallo Jiinger
sono i limiti del concetto di volontà di potenza, la sussunzione della
potenza al concetto di essere e di figura, il passaggio al principio del
servizio, per via del quale l'operaio viene presentato come l'unico erede
possibile dell'etica prussiana del dovere, concepita come quella in cui
l'elementare è do1nato. Può dirsi che nell'operaio resta la materia prin1a
del superuomo nietzschiano, tendendo però a portarsi dal piano del­
l'infonne a quello della fonna, di là dalla grande crisi dei valori. Così
può perfino parlarsi di «una più serena anarchia identica all'ordine

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più rigoroso, spettacolo, questo, che già si preannuncia nelle grandi bat­
taglie e nelle giga11tesche città le cui imtnagini stanno al principio del
nostro secolo». «Passato attraverso la scuola dell'anarchia, della distru­
zione degli antichi lega1ni, (l'Operaio) deve realizzare il suo diritto alla
libertà in un'èra nuova, in un nuovo spazio e attraverso una nuova ari­
stocrazia».

Sullafase dì transizione

Da quanto si è detto appare abbastanza chiaro che lo Ji.i11ger consi­


dera ora l'uno e ora l'altro di due domini distinti: quello di una realtà
esistente, che egli interpreta, e quello di una realtà in divenire, di cui
crede di poter fissare i tratti. L'epoca attuale viene presentata come un'e­
poca di transizione. Dove si tratta di una realtà già esistente, il processo
presenta una carattere coattivo; il nuovo tipo per un lato lo subisce, dal­
l'altro lo assume e vi fa corrispondere esattarnente una sua libertà, tra­
spone l'essere in un "dover essere". Come uno dei contrassegni della
nuova libertà viene infatti indjcata «la certezza di aver parte nelle forze
germinali più intirne del ten1po, certezza che darà un rneraviglioso
impulso a pensieti e ad azioni, e grazie alla quale la libertà di chi agisce
riconoscerà di essere una particolare manifestazione del necessario.
Questo sapere, in cui destino e libertà s'incontrano come su di un fil
di coltello, è il segno che la vita è ancora in atto, che essa sente di essere
il soggetto di una potenza e di una responsabilità storiche». Nel punto
in cui si sente tutto questo, «l'irruzione dell'elernentare si presenta come
una di quelle fmi cbe determinano il passaggio a qualcosa dj nuovo. E
quanto più profonda e spietata sarà la fiamma che distrugge una realtà
esaurita, tanto più mobile, non i1npedito e deciso sarà il nuovo slancio».
Lo Ji.inger riconosce che «oggi viviamo in condizioni in cui, se non
ci. si tiene paghi di se111plici parole, è assai difficile dire che cosa sia dav­
vero degno di essere desiderato». Così, «si deve passare per un punto
in cui il nulla apparirà più desiderabile di qualsiasi cosa che anunetta
un qualsiasi dubbio». «Pel singolo assumere il giusto atteggiamento è
reso difficile dal suo trovarsi sulle posizioni avanzate del combattimento
e del lavoro. Occorre tuttavia tenere tali posizioni senza perdersi in esse,
essendo non soltanto l'oggetto 1na anche il soggetto del destino, e
concepire la vita corne il campo non solo del necessario, ma altresì della
libertà ... Nel punto stesso in cui l'uomo scopre di essere il signore e il
soggetto di una nuova libertà ... il suo stato, qualunque sia la situazione
in cui si trova, ca1nbierà radicahnente. Una volta compreso ciò, molte

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cose ancor oggi desiderabili appariram10 insignificanti». Si aggiunge:
«Come solo in un secondo tempo e solo attraverso l'arte del poeta si è
potuto riconoscere che la vicenda bellica tra un fuoco infernale ali­
mentato da strumenti di precisione poté avere un proprio senso di là
da ogni proble1na, del pari non è facile riconoscere di già le relazioni
esistenti tra la figura dell'operaio e il mondo del lavoro di cui quel­
l'a1nbiente infuocato è stato il simbolo sul piano guerriero». «Quel
che oggi è visibile è non già l'ordine definitivo, bensì un disordine dietro
a cui si può indovinare una grande legge», dice lo Jiinger. Questo è
l'aspetto dranunatico del nostro te1npo, non colto dai molteplici tenta­
tivi di interpretarlo in funzione cli forze materiali e di urti di interessi.
«Impressiona vedere quale rigore dell'intelletto, quali forze della
fede, quale quantità di vitti1ne siano consumate nei combattimenti
parziali: spettacolo sopportabile solo se si presuppone che ognuno di
questi abbia un senso nell'azione co1nplessiva. Di fatto, ogni spinta, per
cieca che sia, è come un colpo di scalpello che trae decisamente dal­
I'amo1fo uno dei tratti preformati del volto del nostro ten1po. Le dimen­
sioni del bisogno e del pericolo, le distruzioni degli antichi legatni e la
velocità di ogni attività sciolgono sempre di più le singole posizion.i le
une dalle altre, dando all'uo1no il senso di essersi smarrito in una ine­
stricabile selva di idee, di fatti e di interessi. Ciò che qui appare quan­
to a sistemi, a profezie, a incita1nenti a credere, rasson1iglia al lam­
peggiare di un riflettore che rivela fugacemente delle forme per far
subito dopo regnare una ancor maggiore incertezza e oscurità... E oggi
una delle esperienze più sorprendenti è quella che si ha nel conoscere
qualcuna delle cosiddette menti direttive del nostro tempo: qui ci si
accorge dell'alto grado di direzione e di conformità ad una legge che,
loro tnalgrado, questo nostro tempo possiede>>.
Qui dunque si precisa quale sia la pietra angolare di tutto l'ordine
di idee svolto dallo Jiinger: la fede in u11a 1netafisica, in w1 senso posi­
tivo riposto di tutto il mondo moderno, nelle sue stesse,
forme dissolu-
trici, tneccanizzate e distruttive. Egli si chiede: «E possibile giungere
a questa coscienza di una nuova libertà, alla coscienza di trovarsi in
un punto decisivo sia nel dominio del pensiero che dietro le macchine
e nel tu1nulto delle città 111eccanizzate?». E risponde: <<Non solo vi sono
indizì che ciò sia possibile, 111a noi credian10 anche che questo sia il pre­
supposto per ogni vera azione e il cardine di trasformazioni quali nessun
redentore ha mai concepite». «È, certo, assai difficile raggiungere una
sicurezza di fronte a una situazione che in apparenza è di puro dina-
1nismo, dove non si scorge nessun asse; ma ciò è appunto il contras­
segno di ogni atteggiamento cui sia ancora riservato un futuro». Nel

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particolare riguardo del inondo 1neccanizzato lo Jiinger aggiunge:
«Osservando questo tnovimento, tnonotono .
malgrado tutto, che fa .pen-
sare ad un ca1npo di mulini tibetani da preghiera, questi ordinamenti
che rassomigliano alla geometria delle Piranudi, la quantità di vitti1ne
che, maggiore di quelle che nessuna Inquisizione o nessun Moloch mai
richiese, cresce di giorno in giorno con mortale certezza, nell'osservare
tutto questo, quale occhio che sappia verarnente vedere non riconoscera
che un destino e un culto agiscono dietro le cause e gli effetti che velano
le lotte dei nostri tetnpi?». L'elemento metafisico è una immobilità
che si nasconde dietro il 1novi1nento: «Quanto più si corre tanto più inti­
mamente dobbiamo sentire che nel movimento si cela un essere i.mn10-
bile e che ogni accelerazione della velocità è solamente la traduzione
di una lingua pri,nordiale eterna». Lo Ji.inger crede di percepirne «la
calma, preformata potenza in alcuni 1no1nenti i.n cui intenzioni e scopi
non turbano il sentire. Così talvolta, quando into1110 a noi tace la tem­
pesta dei 1nartelli e delle ruote, sembra che ci si faccia incontro in modo
quasi corporeo la cabna che si nasconde dietro l'eccesso del movimento,
ed è una buona usanza del nostro te1npo che, per onorare i morti o per
itnprimere nella coscienza mo1nenti di particolare significato, si
sospenda per alcuni minuti il lavoro, come per un superiore co1nando.
Quel movimento è infatti solo un si,nbolo della forza più interna ... Lo
stupore per l'arrestarsi di esso è, in fondo, lo stupore dell'udito che
per un n1omento crede di percepire le più profonde sorgenti che ali­
mentano lo svolgersi del rnovin1ento nel ternpo: il che eleva quell'atto
alla dignita di un rito)>.

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Il inondo della tecnica

Il lavoro e la tecnica co,ne_forze rivoluzionarie

l'Operaio è diviso iJ1 due parti. La pritna riguarda le idee generali


fui qui riferite. La seconda ha un carattere speciale. Vi sono precisate
le fo1me in cui il lavoro tende a costituirsi come la categoria fonda-
1nentale del mondo n1oderno; si esamina la natura specifica degli scon­
volgimenti prodotti dal nuovo principio; infine si studiano le strutture
secondo le quali dovrebbe esser ordinato l'mtero processo. L'esposi­
zione purtroppo non ha un carattere sistematico, le ripetizioni sono fre­
quenti, la constatazione di ciò che esiste spesso si confonde con la postu­
lazione d i possibilità problematiche. Cercheremo di raccogliere nel
modo migliore le idee essenziali di questa seconda parte del libro.
Sappiarno già che per lo Jiinger il lavoro è una forma di vita, un modo
d'essere ( «l'operaio rimarrebbe tale anche quando fosse gettato da
una tempesta su d i una isola deserta, allo stesso 1nodo che in essa
Robinson è rimasto un borghese)>), che esso non ha un carattere sociale­
morale, come nel detto del «sudore della propria fronte», che esso pur
potendo essere mterpretato econo1nica1nente «non si identifica con I'e­
conornia, anzi trascende decisamente tutto ciò che è economia». Ora
si aggiunge che non esiste quel lavoro in astratto che fu considerato
dalle sociologie ottocentesche. Oggi "lavoro" significa qualcosa di spe­
cifico: «non è la semplice attività, ma l'espressione di un particolare

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essere che cerca di rie1npire un suo spazio e un suo te1npo e di crearsi
una sua legge». Così ci si presenta un aspetto del lavoro in cui, per
esen1pio, esso non ha più come opposto il riposo e l'ozio, ed un caso
particolare ci viene indicato nel modo in cui oggi ci si diverte: o con
lo sport, il cui carattere di "lavoro" è evidente, ovvero con forme ricrea­
tive le quali, pur assu1nendo aspetti di giuoco, non sono delle vere anti­
tesi del lavoro ma mantengono una relazione con esso, con1e fonne par­
ticolari dell'essere in atto. Pertanto, si rileva la sempre minore diffe­
renza fra i gion1i di lavoro e i giorni festivi, intesi nel senso tradizio­
nale.
Il principio del lavoro oggi non vige soltanto nella vita pratica ma
anche io quella del pensiero e nei sistemi scientifici. «Se ci si rende
conto, ad ese1npio, come la fisica 1nobiliti la 1nateria, come la biologia
cerchi di scoprire l'energia potenziale della vita dietro le proteifonni
n1anifestazioni di essa, come la psicologia si sforzi di vedere forme d.i
attività nel sogno e nello stesso sonno, si dovrà riconoscere che in
tutto ciò non opera il conoscere puro, ma una forma specifica del pen­
siero. Questi sistemi si preannunciano già come sistenù dell'operaio>>,
ed è il carattere dell'Operaio «a determinare la loro imagine del
mondo ... Essi hanno cambiato di significato; nella misura in cui
diminuisce l'importanza del loro puro aspetto conoscitivo essi sono
improntati da un carattere di potenza>>. Cotne è noto, queste idee dello
Junger potrebbero essere ulterionnente corroborate da quanto è stato
accertato dall'epistemologia e dalla recente critica delle scienze, in
ordine al carattere pragmatico, pratico, attivo, presentato anche dai pro­
cedin1enti più astratti della scienza moderna; diretta1nente o indiretta-
1nente, essi sono infonnati dal principio non di un conoscere disinte­
ressato, ma a quello dell'azione e dell'efficacia, quindi, nella termino­
logia dello Jiinger, dal pòncipio del "lavoro".
Naniralmente, fra il principio moderno del lavoro e il mondo della
tecnica esistono relazionj essenzialissime. Lo Jiinger rileva però che per
intenderle bisogna respingere il concetto di una tecnica in astratto. La
tecnica moderna va spiegata in funzione della speciale volontà e
figura che sta dietro di essa e senza la quale i 1nezzi offerti «sarebbero
soltanto dei gingilli». La fonnula preferita dello .funger già la cono­
sciamo: <<la tecnica è il mezzo con cui la figi.ira dell'operaio mobilita
il mondo». A tale stregua la tecnica acquista un significato ben
diverso che nei sistenù sociologici progressistici dell'Ottocento e del
primo Novecento; essa ha un carattere profondamente ed "esistenzial­
mente" rivoluzionario, la sua marcia trionfale «lascia dietro di sé una

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scia di cadaveri, di si1nboli spezzati», crea aree di distruzioni in corri­
spondenza al graduale, invisibile affermarsi della nuova figura.
Ci si parla dello spettacolo offerto dalle grandi città, «che è quello
di un ,novimento crescente svolgentesi in un rigore i1npersonale. Questo
movilnento è tninaccioso e uniforme; trasporta tàsce di masse mecca­
tùche le une vicino alle altre, in una mareggiata monotona regolata da
segnali luminosi e acustici. In questi insiemi scivolanti e rotanti che fan
pensare al 1noto di un orologio o di un mulino, l'ordine rappresenta il
suggello della coscienza, del lavoro razionale preciso ... Il genere del
1novi1nento, di cui si tratta, non regna soltanto nel ritn10 dei freddi e
luminosi cervelli 1neccanici che I 'uon10 si è creato. Lo si percepisce
dovunque l'occhio arriva: non solo nei mezzi di comunicazione, in
cui il superamento meccanico delle distanze cerca di raggiungere la
velocità dei proiettili, ma anche in ogni attività», nei campi, nelle
n1iniere, sulle dighe, dalla più modesta banca operaia fino ai grandi
distretti della produzione; non esula dai lavoratori della scienza e
dagli uffici com111erciali. «Vige dove si pensa e si agisce, così come
dove si combatte e ci si diverte ... In esso si_ esprime la voce del
lavoro, tanto prilnitiva quanto onnicomprensiva, che tende a tradurre
nei suoi termini tutto ciò che può essere pensato, sentito o voluto». La
natura di tale lingua è essenzialmente 1neccanica. Ma per lo Jiioger è
assai importante rilevare che nello spazio nuovo <<l'antica distinzione
tra forze meccaniche e forze organiche cade in difetto». «Qui tutte le
frontiere si confondono stranamente e sarebbe ozioso chi.edersi se la
vita avverta un crescente irnpulso ad esprimersi in tennini 1neccanici
ovvero se speciali potenze rivestenti ,naschere 1neccaniche stiano ripren­
dendo la realtà vivente nella loro orbita», l'una cosa potendo, del
resto, non escludere l'altra. «Ma quali pur siano le ragioni, partendo
dalle quali si produce lo sfondamento, e quale pur sia l'atteggiamento
che si prende di fronte ad esso, non può esservi dubbio circa la sua
ineluttabile realtà».
Lo Junger dà dunque adeguato rilievo ad un punto non sufficiente­
mente riconosciuto dalla critica al nostro tempo, la quale partendo
dall'idea del preteso carattere neutro, cioè di semplice mezzo, della tec­
nica moderna non approfondisce le fatali implicazioni di essa. Ogni vita
ha una sua tecnica che, sola, le è adeguata e congeniale, dice lo
Jiinger. Così «accogliere una tecnica estranea è un atto di vassallaggio
le cui conseguenze .sono tanto più gravi, in quanto esso si compie
anzitutto nello spirito». La tecnica moderna, che è quella della mac­
china, «va compresa come il simbolo di uno speciale tipo umano, per
cui quando è un tipo diverso a servirsene è come se si riprendesse un

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rituale da un culto straniero». 11 centro dell'argomentazione dello Jiinger
è appunto che se tale tecnica ha un rapporto organico e naturale con la
figura dell'Operaio, essa è distruttiva per ogni diversa figura, comporta
un attacco, visibile, contro tutti gli antichi legami Ciò spiega l'avver­
sione per la tecnica, in origine istintivamente provata dagli tùtimi rap­
presentanti delle caste principali (Ursti:inde) in cui le società tradizio­
nali si articolano prima dell'èra borghese: sacerdoti, guen·ieri e conta­
dini: «li vero guerriero usa malvolentieri i nuovi mezzi bellici messi a
sua disposizione dalla tecn.ica. Negli eserciti moden1i dotati degli ultin1i
mezzi tecnici non è più il guerriero come esponente di w1a casta a com­
battere allorché li usa, ma quegli eserciti sono la fortna guerriera in
cui appare la figura dell'Operaio. Analogamente, nessun sacerdote cii­
stiano dovrebbe aver dubbi sul. fatto che la lampadina elettrica al
posto della fia1n1na perpetua non è più qualcosa di sacro, n1a soltanto
di tecnico. Ma se non esiste una tecnica neutra, astratta, è certo che
qui agisce una diversa influenza; quei religiosi cbe ancora identifi­
cano il re1:,1110 della tecnica con quello di Satana diinostrano un istinto
più sicuro di quegli altri che mettono il 1nicrofono vicino al corpo del
Cristo. Del pari, dovunque il contadino usa rnaccbine e motori, non si
può più parlare di una casta contadina. li contadino che comincia a lavo­
rare i ca1npi con la forza rnotrice, anziché coi cavalli, non appartiene
più ad una casta. È un operaio in speciali condizioni, e contribuisce alla
distruzione dell'ordine sociale articolato in corpi o caste non 1neno di
quanto vi contribuirono i suoi padri passati direttamente all'industr i a ­
lismo. Per cui, non meno che per l'operaio industriale, il nuovo p r o ­
blema che .
gli si pone è di incarnare la figura dell'operaio oppure di
sco1npanre».
Che la tecnica colpisca le unità storiche e tradizionali, appare
anche nel caso particolare della guerra. Dice lo Jiinger che nella loro
di1nensione metafisica i veri fronti della guerra rnodema sono stati
diversi da quelli che hanno diviso i combattenti, ed è con1e se i bom­
barda1nentj contro gli opposti fronti si fossero diretti contro un unico
fronte essenziale. Considerata come un processo tecnico, I.a guerra
moderna spezza qualcosa dì più della sernplice resistenza della nazione
vinta. Essa in1plica un attacco invisibile contro coloro che usano i mezzi
tecnici. In guerra le nazioni e gli Stati non corrispondono che molto
poco a quel che erano nell'èra precedente; essi assu1nono la forma di
unità del lavoro. Vengono evocate, rnobilitate e attivate forze che vanno
assai oltre gli scopi voluti. «E se al centro della vicenda, cioè nel
punto da cui si irradia la disnuzione, rna ad essa non soggiacendo, scor­
geremo la figura dell'operaio, ci si rivelerà il carattere unitario, la logica

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precisa della stessa distruzione». Non fa dunque 1neraviglia che già per
effetto della grande guerra gli ulti.rni resti degli antichi sistemi, in ispecie
di quelli monarchici e dinastici, siano crollati con1e castelli di carta, e
che insieme alle corone tran1ontino gli antichi privilegi di casta o di
corpo sociale, mentre la stessa possibilità di condurre una vita borghese
si fa se1npre più problen1atica.
In genere, non appena appaiono i simboli tecnici, lo spazio si svuota
di ogni diversa forza, del grande e del piccolo n1ondo degli spiriti che
vi risiedeva. La tecnica, dice lo Jiinger, «è distruttiva a tal segno per
ogni precedente fede, che tale suo aspetto è divenuto addirittura
secondario». <<I vari tentativi della Chiesa di parlare la lingua della
tecnica servono solo ad accelerarne il tra1nonto, in un processo di com­
pleta secolarizzazione». E dopo che la tecnica ha rnostrato il suo viso
bifronte, da Giano, non presentandosi più come Io stiumento di un pro­
gresso che dovrebbe far raggiungere all'un1anità la perfezione morale
e razionale; dopo che si è 1nanifestata la sua possibilità di star al ser­
vigio sia del buono che del malvagio e, con l'uso bellico dei rnezzi da
essa offerti, di spingere l'umanità verso distn1zioni senza nome, la stessa
religione laica del XIX secolo, il culto ottimistico del progresso, non è
stato meno colpito delle religioni tradizionali.
Nei te1npi attuali quello della tecnica è l'unico dominio che non
accusi sinto111i di declino, il che «fa chiaramente apparire come essa
appartenga ad un diverso, pilÌ essenziale sisterna di riferimenti», al
mondo nuovo centrato nella figura dell'Operaio. Nel breve tempo tra­
scorso dalla prima guerra mondiale, grazie alla lingua seduttrice della
co1nodità, della razionalità e della potenza «i suoi sin1boli si sono dif­
fusi negli angoli più riposti della te1Ta pilÌ rapidamente di quanto 1nille
anni fa lo poterono la croce e la ca1npana tra le foreste e le paludi
della Germania». «E dovunque penetra la lingua oggettiva di questi sirn­
boli, cade l'antica legge della vita; esclusa dalla sfera della realtà, tale
legge è confinata in quella di un puro ro,nanticismo».
Concludendo, lo Ji.inger scrive: <<Tutta la superficie te1Testre è rico­
perta dalle rnacerie di imagini spezzate. Assistiamo allo spettacolo di
una fine paragonabile alle catastrofi geologiche. Sarebbe un perder
te1npo associarsi al pessunis,no dei vinti o al superficiale ottimismo dei
vincitori>>. È invece importante scoprire il «luogo ,dove si può affer-
rare l'arma altrimenti che dalla parte della lama». E importante saper
vedere. «Si ha a che fare con una di quelle rivoluzioni materiali che
coincidono con l'apparire di razze, a disposizione delle quali stette la
1nagla di nuovi mezzi, quali il bronzo, il ferro, il cavallo, la vela.
Corne il cavallo prende tu1 significato solo attraverso il cavaliere, il ferro

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attraverso il fabbro, la nave attraverso il tipo del navigatore, del pari
la metafisica dello stJumentario tecnico si paleserà solo nel punto in cui
apparirà la razza dell'operaio con1e una grandezza ad esso sopraordi­
oata».

l'attacco contro l'individuo. Il Tipo

Nel loro aspetto più visibile i processi dell'epoca colpiscono a morte


entrambi i poli del mondo borghese, sia l'individuo che la massa. Soprat­
tutto questo lato negativo attira l'attenzione, perché ai più sfugge la dire­
zione ultima dell'insieme, e lo sguardo si porta su ciò che viene col­
pito o che si tiene in posizioni di disperata difesa, non su ciò che attacca
e che avanza. Per questo «oggi non ,nancano s.istenti, priocìpi, maestri
e concezioni del mondo, rna il lato sospetto è che tutto ciò è rnerce a
troppo buon n1ercaro. Il loro numero aumenta nella' misura in cui la
debolezza sente il bisogno di una dubbia certezza. E lo spettacolo di
ciarlatani che pron1ettono più di quel che possono 1nantenere, di
inalati ai quali se1nbra desiderabile w1a salute artificiale da casa di cura.
Infine, si teme il bisturi, a cui pur non si può sfuggire. Dobbia1no rico­
noscere di essere nati in un paesaggio fatto di ghiaccio e di fuoco. Ciò
che è di ieri è tale che non ci si può più attenere ad esso, e ciò che è in
divenire è tale che ad esso non ci si può ancora adattare». Tale situa­
zione' 1icbiede, con1e attitudine, una intrepidezza realistica.
E essenziale, appunto, portarsi in quei settori del fronte in cui non
ci si difende ma si attacca, creandosi «riserve più invisibili e sicure di
quelle nascoste in ridotte blindate. Non
' vi sono aJtre bandiere oltre quelle
che si portano sul proprio corpo. E possibile possedere una fede senza
dogmi, un mondo senza dèi, un sapere' senza massi.me, una patria che
nessuna potenza potrà mai occupare? E chiedendosi questo che il sin-
golo oggi può saggiare la resistenza della sua annatura», conside­
rando quanto «si sia ancora lontani da quella unità che può garantirci
una nuova sicurezza e una nuova gerarchia nella vita».
Circa il tramonto dell'individuo, lo Jiinger comincia col notare che
chi percorre questo n1ondo in trasfor1nazione spesso si stupisce
perché dopo averlo attraversato, per lo più nessuna particolare persona,
nessun particolare volto gli resta i.mpresso nella men1oria. In esso «come
il singolo non riveste più la dignità di una persona, altrettanto poco esso
si presenta co1ne individuo, né la massa ci appare con1e una data
quantità di individui». QuaJltO alla rnassa, dovunque ci si imbatte in
essa, nella vita politica, pratica o professionale, negli stessi divertimenti,

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e «anche là dove si vedono colonne come di fon11iche il cui 1noto in
avanti non avviene a piacere 111a obbedisce ad una automatica disci­
plina», non si può disconoscere che «essa comincia a presentare una
diversa struttura».
«Anche a prescindere dal fatto che l'epoca riduce ad un minimo la
differenza fra gli individui, può constatarsi una particolare inclinazione
al rittno con1une dei pensieri, dei sentimenti e dei 1novi1nenti». Tutto
ciò che ancora si lega alle articolazioni, ai corpi delle società tradizio­
nali (vesti, gesti, rnodo di parlare, comporta1nenti) appare anacronistico,
ha il carattere dei residui e delle fon.ne vuote. «Distinguere ancora gli
individui secondo classi, caste e perfino secondo professioni è, perlo-
1neno, divenuto difficile)). E dovunque sul piano etico, sociale o poli­
tico, ci si sforza ancora di venire ad un ordinamento partendo da
quelle antiche articolazioni, si finisce col trovarsi non nei settori deci­
sivi del fronte «ma in una provincia del XlX secolo che il liberalismo,
in un lavoro di decenni, col suffragio universale, la coscrizione gene­
rale, l'istruzione obbligatoria, la mobilitazione della proprietà fondiaria
e altri principi ancora, ha livellato a tal segno che ogni sforzo in quel
senso, e ricorrendo a quei ,nezzi, appare come uno scherzo. Quel che
però non risulta ancora in ,nodo altrettanto chiaro è il modo in cui la
diversità delle occupazioni sta venendo meno a poco a poco», pel
fatto che tutto assume un carattere di "lavoro". «Mentre cresce la
divisione dei singoli dominì e, quindi, anche il nurnero delle profes­
sioni, dei tjpi e delle possibilità di attività, questa stessa attività si
unifonnizza e in ognuna delle sue varietà va quasi ad esprirnere uno
stesso 1novi1nento elementare. Ne risulta una stupefacente uniformità
dei procedimenti che può essere colta in tutta la sua estensione solo da
colui a cui fosse dato di guardare dall'esterno il nostro mondo. Tutto
questo tramenìo rasson1iglia alle imagini mutevoli di una lanterna
1nagica che proietta un'unica luce».
Al che va anche riferito il fatto, che lo stesso concetto della presta­
zione personale sta profondamente mutandosi. «La ragione specifica di
tale fenomeno è che oggi il centro di gravità dell'attività si è spostato
dal lato individuale del lavoro al lato totale di esso. Pertanto, diviene
secondario a quali persone, a quali nomi, si leghi il lavoro. Ciò vale non
soltanto per le azioni in senso proprio, n1a anche per ogni specie di atti­
vità. Ci si può riferire al fenomeno del milite ignoto)). Ma, dice lo Jiinger,
oggi non esistono soltanto militi ignoti, esistono anche stati maggiori
ignoti. «Dovunque si porti lo sguardo, s'incontra un lavoro prodotto
in questo senso, anonitno>>.

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Nello stesso dominio delle moderne conquiste tecnico-scientifiche
le cose non vanno altrimenti. «Spesso l'origine effettiva delle più i1npor­
tanti invenzioni scientifiche e tecniche 1noden1e è oscura. La situazione
fa pensare ad una trama dove ogni nuova maglia è prodotta da fili
1nolteplici. Si possono, sì, indicare dei nomi, 1na essi hanno qualcosa d.i
accidentale. Sono quasi lampeggianti anelli di una catena, i presupposti
della quale restano nel bnio. Vi sono prognosi di scoperte che conferi­
scono un carattere puramente casuale al felice contributo di indi­
viduo: materie della chimica organica ancora mai viste eppure già
note in ogni loro proprietà, astri accertati dal calcolo ma non ancora
scorti da alcun telescopio>>. A tale riguardo lo Jiingcr rileva che sarebbe
superficiale ascrivere in attivo a enti collettivi, istituti di ricerca, labo­
ratori tecnici o complessi industriali ciò che va perduto per .l'individuo.
In realtà il carattere totale del lavoro abbatte le frontiere sia indivi­
duali che collettive ed è ad esso che nel nostro ten1po si rifa ogni pro­
duttività.
«Il grado raggiunto dal processo di dissoluzione dell'individuo lo
si può riconoscere ancor 1neglio dal modo in cui cotninciano a trasfor­
m.arsi le relazioni fra i due sessi>>. Quando l'èra borghese scoprì l'in­
dividuo, fu anche concepito un nuovo tipo di amore romantico, idea-
1 izzato e sentimentale, che orn1ai appartiene al passato: Werther e
Carlotta rientrano nei bei tempi antichi co1ne, a sua volta, il mondo della
Nuova Eloisa e di Paolo e Virginia era apparso scaduto. In questo, con1e
in altro campo, è visibile un processo di dissoluzione e di impoveri­
mento. l\tfaggiore spazio di quel che lo Jiinger vi abbia dato in un rapido
accenno, potrebbe essere infine concesso ali'osservazione del I' at­
tacco contro l'individuo insito nei ritorni alla natura: rito1ni, i quali
hanno un carattere assai diverso da quello idilliaco e pittoresco del
periodo borghese. Vi è un elemento nihilistico, primitivizzante e livel­
latore, nota giustamente lo .Jiinger, sia pure senza sviluppare a suffi­
cienza questo punto, in tutto ciò che oggi è cultura del corpo, sport,
igiene, banale culto del sole da spiagge estive, «vita nella natura».
Cosi il morire dell'individuo presenta oggi forme 1nolteplici: da
quelle che sono ancora argo,nento di una letterah1ra crepuscolare, fino
a quelle grigie della "n1orte econon1ica", con «processi che, come
l'inflazione, mietono innu,nerevoli vite anoni,ne». Queste trasfonna­
zioni colpiscono l'essere, colpiscono «sia ciò che è più visibile, sia
ciò che è più nascosto». Cosi per lo Jiinger è cosa indifferente, secon­
daria, che la fine dell'individuo coincida, o meno, con la morte del
singolo. A tale proposito egli non manca di riferirsi nuovamente all'e­
sempio della guerra rnoderna, le esigenze della quale eliminano tutto

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ciò che è individualistico, le esperienze tipiche e eccezionali ad essa
proprie, di cui già si è detto, presentando solo in forma drastica e con­
densata il processo che sta realizzandosi ancbe altrove e che in tutto
un secolo si è potuto osservare nel!'esistenza di individui rappresenta­
tivi, «nei possessori di quegli organi più sensibili, che già per te1npo
perirono aspirando un'aria dalla quale, invece, la coscienza generale
traeva ancora tn1 sentimento di salute». «Ciò che muore è l'individuo
quale esponente di un ordine esausto e destinato a scomparire. li sin­
golo deve passare attraverso questa rnorte, a tale riguardo essendo indif­
ferente che con essa abbia o no tennine la sua vita terrena visibile».
Dopo di che lo Jiinger cerca di individuare il nuovo che si prean­
nuncia in quest'area. Di là dall'individuo comincia a prender forma
quello che egli chia1na il "Tipo", presente in due aspetti distinti, attivo
l'uno, passivo l'altro, definito da trasformazioni che riguardano non
solo il lato esten10 tna perfino le caratteristichè esterne, il comporta­
mento generale, la fisionomia.
Anzitutto lo Jiinger ricorda quanto gli era accaduto di notare in
fatto di trasformazioni del volto fra combattenti appartenenti a corpi
scelti, specializzati e particolarmente provati. Osserva che il loro viso
«ha perduto la varietà dei tratti individuali
'
mentre ha guadagnato quanto
a decisione e durezza dei lineamenti. E divenuto più 1netallico, quasi
galvanizzato alla superficie; l'architettura delle ossa ha più risalto, vi
è una semplificazione e una tensione delle linee. Lo sguardo è fenno e
calmo, addestrato
'
alla osservazione di oggetti da cogliere in stati di alta
velocità. E, per questo, il volto di una razza che comincia a trasfonnarsi
per le esigenze speciali di un nuovo ambiente, nel quale l'individuo non
rappresenterà più una persona o un individuo, ma un tipo». «L'influenza
di tale ambiente>>, continua lo Jtinger, «la si può riconoscere con la stessa
sicurezza con cui si discen1e quella di detenninati cieli, di foreste pri­
migenie, di montagne o di coste. 1 caratteri individuali passano se1n­
pre più in secondo piano di fronte a quelli detenninati da una legge supe­
riore e da precisi compiti)).
Finora si tratta di anticipazioni, in un numero ristretto di casi, di rap­
presentanti attivi del processo del lavoro, del tipo che prende fonna «in
punti focali dove si condensa il senso dell'accadere». Ma si deve anche
considerare tutto ciò che in modo passivo riflette un analogo processo
nella vita rnodema in genere. Ciò che colpisce l'occhio, qui è un eflèt-
tivo impoverimento. «E però in1porta11te assun1ere il punto di vista che,
a tale riguardo, può far apparire la perdita come quella delle parti
della pietra che cadono quando si scolpisce una starua».

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Di fatto, «la pritna impressione destata dal nuovo Tipo è di una certa
vuotezza e uniformità. E la stessa uniformità che rende così difficile
distinguere gli individui di razze animali o anche di razze umane diverse
dalla nostra. Dal punto di vista fisioi:,rnomico colpisce anzitutto una certa
rigidità da 111aschera del volto, sia connaturata che sottolineata e
accresciuta da mezzi esteriori: viso rasato, pettinatura, ecc ... Che questi
tratti di maschera, i quali negli uomini danno una impressione metal-
1 ica, nelle donne una in1pressione cosmetica, corrispondano ad un
processo incisivo, lo si può già riconoscere dall'attenuarsi delle stesse
forme in cui si esprime fisiognomicamente la differenza dei sessi. Oltre
che nella fisionomia, il tratto da maschera lo si può osservare in tutta
!a figura del singolo. Si può rilevare, qui, la speciale attenzione por­
tata alla cultura del corpo e, propriainente, co1ne una ben detenniJ1ata,
n1etodica cultura a training».
«La direzione di questi processi appare chiaramente dalla trasfor-
1nazione della foggia di vestire. Forse non vi è stata epoca in cui ci si
è vestiti in modo così brutto e assurdo come nel primo periodo borghese.
Si aveva l'impressione che gli articoli di un immenso negozio da
rigattiere fossero stati riversati nelle vie e st11le piazze in una n1olteplice
e sciatta varietà e ivi fossero stati portati con una dignità grottesca».
Anche ciò sta trasfo1111andosi, dovunque l'individuo ba contatti diretti
col carattere speciale del lavoro, il quale, con1e si è visto, per l o
Ji.inger non ha nulla a che fare con la professione o i l mestiere nel senso
antico, ma ha il significato di un nuovo stile, di un nuovo modo con
cui la vita si presenta. Dove tale stile si delinea e l'uomo di oggi si dedica
i1npegnativamente ad una attività, non s'incontra quasi più l'abito
"civile". «Si può parlare, qui, di un tipico vestito da lavoro, di un vestito
avente il carattere di una uniforme, dato che la linea del lavorare e quella
del con1battere tendono a confondersi. Ciò, forse, lo si può osservare
in particolare nella trasformazione subita dalle stesse divise militari,
dove agli antichi colori vari e vivaci si sono sostituiti quelli delle tenute
unifonnizzate da combattirnento. È un simbolo che, come tutti gli
altri del te1npo nostro, si afferma portando la 1naschera della adegua­
tezza massima allo scopo. Lo sviluppo procede nel senso, che oggi l'u­
nifonne 1nilitare si presenta sen1pre più come lm caso particolare del­
l'unitonne da lavoro; e qui viene anche meno la differenza fra uniformi
di guerra, di pace e da parata».
Anche a prescindere da questi casi specifici, la nuova foggia di vestire
tende meno a dar risalto ali 'individualità, come nel periodo borghese,
che non a sottolineare un tipo: segno di una rivoluzione silenziosa, <<la
si incontra dovunque si formano nuove unità, nel can1po sia del co1n-

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battere che dello sport, del cameratismo, della poljtica, oltre che in quei
luoghi in cui l'uomo ha stretti rapporti, rapporti quasi da centauro, coi
mezzi tecnjci ... Come l'habitus in genere, la foggia di vestire è più pri­
mitiva, pritnitiva nello stesso senso delle caratteristiche di razza. La
caccia e la pesca, la vita sotto deterrninati cieli, l'aver a che fare con
an.itnali, in ispecie con cavalli, creano un analogo unifonnisn10. Cotesto
unifonnismo è uno dei segni del rafforzarsi e del moltiplicarsi dei nessi
oggettivi che oggi inlpegnano l'individuo».
In genere, il Tipo segna il passaggio dall"'unico" aJl'"univoco". L'.in­
dividuo borghese si presenta con un carattere unico, irripetibile (ein­
malig), il Tipo con un carattere univoco (eindeutig). Questo punto
sarà approfondito più oltre. Lo JUnger torna spesso a questa contrap­
posizione, che qui gli serve per lumeggiare la trasforn1azione subita dal
concetto di qualità. Nell'ultima fase del periodo borghese il "qualit a ­
tivo" aveva strette relazioni con l'individuale e, nel campo delle cose,
si riferiva a quel che è proprio ad un'opera o ad un oggetto unico, p r o ­
dotto a sé. Oggi il suo significato è diverso. Rileva lo JUnger che, ad
esempio, ai nostri giorni chi guida una macchina non penserà mai di
possedere un n1ezzo fabbricato in vista di ciò che egli è, come partico­
lare individuo. Quel che egli tacitarnente intende per qualità è la marca,
il modello, un dato tipo. La qualità individuale dell'oggetto gli vale
come una semplice curiosità addittiva, o come cosa da museo. A suo
luogo, lo Jii.nger farà delle riserve, distinguendo ciò che è "tipico" da
ciò che è standardizzato. Si può pensare che l'uno e l'altro siano però
le due facce, positiva e negativa, della stessa medaglia, due n1anifesta­
zioni dello stesso processo.
Osservazioni analoghe vengono fatte nel do1ninio del teatro e del
cine1na. Al centro del teatro vi era l'attore come individuo, e a un lavoro
· drrunmatico si chiedeva che rappresentasse l'individuo. Invece nel film
si richiederebbe che l'attore rappresenti piuttosto un tipo. E il film
ooo conosce differenze di esecuzione, interpretazioni che non si ripe­
tono più; un fihn viene riproiettato con precisione 1natematica in qual­
siasi quartiere di una città e in qualsiasi paese; il suo pubblico non è
un pubblico paiticolarc, una comunità estetica, ,na un pubblico uniforme
quale lo si può trovare dappertutto.
Ha relazione col carattere a 1naschera del Tipo, di cui si è detto, I' i m ­
portanza crescente che ,
nella vita ,node.ma ha il nu1nero, proprio i n ter-
mini di precise cifre. E, di nuovo, un processo corrosivo per l'individuo,
che però prepara nuove strutture, quelle che lo Jiinger chiamerà le
"costruzioni organiche". Se in precedenza il singolo «nella stessa deter­
tninazione della sua individualità si era riferito ai suoi valori partico-

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lari, il 1'ipo tende invece a definirsi con ele1nenti cadenti al di fuori della
sua esistenza particolare». Oggi si ha una caratteriologia a base "scien­
tifica", mate1natica, si ha l'antropologia e così via, fino alla determi­
nazione e al calcolo dei corpuscoli sanguigiù. l'i.itto ciò che è cifra ba
una parte sernpre maggiore nella vita pratica, in relazione alle cifre e
alle designazioni che vanno a sostituire i nomi. «Come si moltipli­
cano le occasioni in cui il singolo appare in una maschera, del pari
aurnentano i casi in cui il nome ha strette relazioni con una cifra», nelle
comunicazioni, nei servizi, nella distribuzione dell'energia. Inoltre, «la
tendenza ad esp.rimere ogni relazione in cifre appare chiaramente
nella statistica. In essa la cifra ha la funzione di un concetto atto a fis­
sare una realtà da qualsiasi punto di vista e si sviluppa in una specie di
argomentazione in cui alle cifre viene riconosciuto un valore proba­
tivo». Quanto al lato positivo (tutti questi feno1neni della fase di tran­
sizione, non dimentichiamolo, hanno un aspetto negativo e uno posi­
tivo), lo .Jiinger rileva che qui J'i1npo1tante «è che il metodo non si lirnita
a considerare il singolo come parte di una somma, 1na si sforza di
inserirlo in una totalità di fenomeni».
Dopo aver anche accennato ali' itnportanza che ha il numero nel con­
cetto moderno di record, che è una valutazione in cifre delle prestazioni
un1ane e tecniche, lo .Jiinger rileva con1e la stessa concezione dell'in­
finito si sia trasforn1ata. «Si n1anifesta la tendenza a fissare in cifre sia
!'infinitamente piccolo che !'infinitamente grande, sia l'atorno che il
cosn10, "il cielo stellato sopra di me" (Kant)». E anche qui l'istanza più
profonda non sarebbe il numero in sé, bensì una ripresa del principio
della "figura" come categoria. Infatti, la comprensione in funzione di
"figura" esclude il concetto astratta1nente spirituale del!' infinità, richiede
invece quello particolare e organico della totalità. «Cotesta conchiu­
sezza fa sì cbe qui la cifra assuma una diversa dignità; ha, cioè, un
rappo110 diretto con quel che è metafisico». Per cui, nel considerare ciò
a cui questo orienta1nento potrà condurre nel futuro, lo .Jiinger si chiede:
«Non si deve forse riconoscere che a tale stregua la stessa fisica dovrà
trasfonnarsi, che essa dovrà rivestire un carattere ,nagico?».
Il nuovo fatto dell 'mtegrazione antindividualistica del siJ1golo in una
totalità si delinea anche su di un piano più alto. Mentre l'individuo
per cogliere il senso di sé e trovare la propria confern1a, sentiva il bi­
sogno di contrapporsi al mondo, il "Tipo" si sente parte di esso e si muo­
ve a suo agio in un nuovo spazio che solo ad un occhio esterno può
apparire meraviglioso o terribile. Ciò si realizza anche per via dei nessi
oggettivi e itnpersonali cbe nella esistenza moden1a iu1pegnano sempre
di più le energie del singolo, in un insieme in cui le scoperte più

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straordinarie
. non stupiscono più e subito si inseriscono nella vita ordi-
nana.
Per lo Jiinger rientra in questo stesso contesto il fatto che il morire
è divenuto più facile, che la 1norte oggi ha perduto buona parte del
suo antico significato. Ciò lo si può soprattutto rilevare dove in azione
è il "Tipo", più che l'individuo. Le innumerevoli vittin1e di accidenti
non ostacolano in alcun 1nodo lo sviluppo della vita moderna. La scia­
gura ha asstmto un senso diverso. Ieri veniva riferita a fattori impre­
vedibili, all'idea di una fatalità; oggi ha invece strette relazioni col
inondo delle cifre. «.Lo si può constatare in sé o in altri», ril.eva lo Jiinger,
«specie nei punti in cui la vicinanza della 1norte si unisce ad alte velo­
cità. La velocità genera una specie di ebrezza lucida, e un gruppo d i
piloti in una gara automobilistica, ognuno seduto al volante come un
fantoccio, dà l'ilnpressione di una strana ,nescolanza di precisione e
di pericolo, mescolanza che è caratteristica nell'intensificarsi dei mo­
vimenti del Tipo».
Co1ne è evidente, situazioni del genere possono essere più preci­
puamente osservate nella guerra 1nodema, che è stata l'anticipazione in
fonna condensata anche del principio generale or ora accennato, del­
l'integrazione del singolo in un tutto. Infatti, nella guerra moderna «non
esiste più una vera differenza fra con1battenti e non-con1battenti; in essa
ogni città, ogni fabbrica è una fortificazione, ogni bastÌlnento è una nave
da guerra, ogni genere alunentare è merce di contrabbando, ogni misura
attiva o passiva ha carattere militare)). Che il singolo venga colpito come
soldato, diviene secondario; essenzialmente, egli è colpito dall'at­
tacco portato contro l'area a cui appartiene. Da questi casi-limite di
inserzione inevitabile in una totalità, si giunge senza una vera discon­
tinuità fino a quelli corrispondenti a 1nolti processi oggi in pieno svi­
luppo nella stessa vita d i pace. «Non si può disconoscere>>, dice lo
Jiinger, «che in questo spazio ciò che si 1ichiede dal singolo cresce in
proporzioni in precedenza inconcepibili. Nelle situazioni che qui si
creano si è ripresi esistenziahnente, più che per una Ì11tesa revocabile.
Nella stessa misura in cui l'individuo si dissolve, ditninuisce la resi­
stenza che può opporre alla sua 1nobilitazione. La protesta che s i
eleva dalla sfera privata dell'uorno è sempre più inane. Che lo voglia
o no, il singolo diviene responsabile in rapporto ai nessi oggettivi
dove è inserito». Ciò che è stato proprio alla guerra, il non esservi dif­
ferenza fra combattenti e non-combattenti, tende cosi ad avverarsi Ìll
altri domini, nell'economia e nel resto. «Questo genere di inserimento
non soffre eccezioni. Colpisce il bambino nella culla, anzi già nel
grernbo n1aterno, non 1neno del 1nonaco nella sua cella o. del negro

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che nelle foreste tropicali incide l'albero della gomma. J-la dunque carat­
tere totale e si distingue dall'inserimento teorico del singolo nella
sfera dei diritti universalistici dell'uon10 per il suo carattere assoluta-
1nente pratico e necessario. Se si poteva scegliere di essere, o meno,
un borghese, una uguale libertà non è più data riguardo ali'esser operai.
Ciò delimita di già l'ambito complessivo di una diversa gerarchia: è
quello di una appartenenza esistenziale inevitabile al tipo, in una to r -
1naziooe interna, in una impronta unpressa dalla figura; iinpronta che
si realizza per la forza di una ferrea legge».
Qui, di nuovo, è ancora difficile separare con esattezza le fonne pas­
sive da quelle attive e positive. Nel secondo caso sono richieste altre
qualità, altre virtù, altre vocazioni di quelle a cui fu e spesso ancora
viene riconosciuto un valore. Di contro al precedente isolamento indi­
vidualistico, l'uo,no nuovo dovrebbe sentire che la libertà «non è più
il principio per la formazione di una esistenza a sé, ma consiste nel grado
in cui nell'esistenza del singolo si esprime la totalità del inondo in cui
è inserìto».
L'univocità del Tipo, di cui si è parlato, ha strette relazioni con la
funzionalità di esso. E un altro aspetto del nuovo mondo del Tipo
sarebbe, che il singolo «non è insostituibile, ma assolutamente sosti­
tuibile». Anche questa è una prova di resistenza da superare, nel pro­
cesso della spersonalizzazione attiva o passiva. A d una parte di un
n1otore che si spezza o logora se ne può sostituire un'altra, purché
risponda all'identica, rigorosa funzionalit.-'1 oggettiva.

l'attacco contro le ,nasse. le costruzioni organiche. .lgradi della nuova


gerarchia

Da molti i processi che nella civiltà 1noderna colpiscono l'individuo


vengono messi in relazione con l'avvento delle masse. La veduta dello
.Junger è diversa. Avendo riconosciuto l'interdipendenza genetica del
concetto di individuo e di quello di massa nella civiltà del Terzo Stato,
egli ritiene che i processi che portano verso il nuovo mondo dell'ope­
raio colpiscono e colpiranno le masse non rneno che l'individuo. Egli
dice: «Al processo di dissoluzione che investe l'individuo non può sfug­
gire lo stesso complesso degli individui in quanto si presenta co,ne
massa». La massa come forza determinante scornpare nelle città non
meno di quanto sia scomparsa sui 1noderni can1pi di battaglia. L'èra
delle ,nasse apparterrebbe già al passato, quanto coloro che pensano
di contare sulle masse come sul fattore decisivo. Un paio di esperti com-

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battenti dietro ad una 1nitragliatrice non si lascia impressionare dal­
l'approssimarsi d.i un intero battaglione nen1ico; sa di poterlo tenere a
bada. Lo stesso accade ormai nel dominio sociale e politico. «Presa in
sé stessa, la rnassa oggi non è più capace di attaccare, anzi nemmeno
di difendersi». In realtà, a tale proposito alcuni fatti sono evidenti e di
dominio pubblico. Ad esempio, le rivolte e le rivoluzioni oggi non sono
più fatte dalle masse, i colpi di Stato non hanno più un carattere
turnultuoso e barricadiero, ma tecnico, da "operaio": pochi gruppi ben
organizzati e specializzati s'impadroniscono, secondo un piano ben ela­
borato, di edifici pubblici, di centrali elettriche, telefoniche e radiofo­
niche, di stazioni, ecc., in ogni altro caso la polizia, coi suoi nuovi mezzi,
potendo aver ragione della piazza in pochi 1ninuti. Oltre a questo lo
Jiinger nota co1ne feno111eni, quali «la salita anoni1na dei prezzi, la caduta
della tnoneta, il misterioso magnetismo delle correnti d'oro», oggi non
siano di certo determinati da decisioni delle masse; se oggi la massa
ha un valore, non lo ba i n senso positivo 111a solo in relazione ai pro­
cessi che colpiscono l'individuo e gli tolgono ogni senso. Infine, con
speciale riguardo al mondo politico, non è difficile riconoscere la misura
in cui le masse vengono "fabbricate". Si formano in base a processi d'or­
ganizzazione e di propaganda controllati da pochi uomini, i quali in
genere non sono della massa, «ed esprimono un tipo diverso da quello
degli individui che fonnano la 1nassa».
Passando ora a considerare il positivo co1nmisto col negativo nella
fase di transizione, secondo lo Jilnger come l'individuo borghese dà
luogo al Tipo, così di là dalla massa sta delineandosi <<un nuovo ordi­
ne di grandezze del inondo del lavoro», che egli chiama costruzioni
organiche (organische Konstruktionen). Per ora, il processo è solo
agli inizi. Si tratta di strutture che si staccano in modo ancora confuso
dalle forme di unità del XIX secolo 1na che n1ostrano già una propria
fisionomia. La loro nota comune è il carattere speciale del lavoro già
visibile in esse, il carattere speciale del lavoro essendo «il modo con
cui l'Operaio si esprime sul piano organizzativo, il n1odo con cui d i f ­
ferenzia e ordina la sostanza u1nana». Nelle costruzioni organiche
comincia dunque ad agire su di un piano diverso «la stessa potenza meta­
fisica, la stessa figura che con la tecnica 1nobilita la materia>>. Sono
nuove unità adeguate al Tipo e in seno alle quali il Tipo si sta in pre­
valenza formando. Co1ne anticipazioni, lo Jilnger cita alcune nuove
organizzazioni politiche o partitiche, certi corpi specializzati nella guerra
n1odema, certe associazioni cameratesche e altri schieramenti «che si
diversificano dalle antiche associazioni non meno di quanto la platea
di un teatro del 1860 è diversa dalle fila degli spettatori di un cine1na

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o dì un ring». La differenza viene chiarita col fatto che mentre la 1nassa
è essenzialmente inforn1e, sì che ad essa può bastare l'eguaglianza
astratta, pura1nente teorica degli individui, al contrario «le costruzioni
organiche del XX secolo sono tonne di tipo cristallino e come tali richie­
dono un. ben diverso grado di strutturazione nel Tipo che vi figura».
Praticarnente, a tutto ciò, a quanto oggi si preannuncia con1e
costruzione organica, si appartiene meno per una decisione della libertà
borghese, che non in forza di nessi oggettivi detern1inati daJ carattere
speciale del lavoro. Dal piano banale, riferendosi al quale lo Jiinger,
esemplificando, rileva che «se è facile entrare in un partito di vecchio
tipo e uscirne, non è altrettanto facile staccarsi dal gntppo di cui si fa
parte quale utente dell'energia elettrica», si va fino alle partecipazio11i
fw12ionali; per un analogo carattere di appartenenza oggettiva, «auche
un sindacato può innalzarsi al rango di una costruzione organica». Lo
Jiinger ritiene che «nel suo senso nascosto ogni lotta economica del
nostro ternpo tende ad elevare la stessa economia, presa nel suo c o m ­
plesso, al rango di una costruzione organica, che come tale sarà sottratta
all'iniziativa sia dell'individuo isolato che dell'individuo quale sem­
plice parte di una ,nassa».
Riassu1nendo, il processo co1uplessivo dei te,npi moderni si pre­
senterebbe dunque nei seguenti termini: l'individualisrno ha dato luogo
dissolutivan1ente alla massa portando verso l'uniforme, verso il puro
regno della quantità; però la fase collettivistica (fase che lo Jtinger
non ha però considerato in tutta la sua importanza, nei suoi aspetti anche
psichici) sarebbe destinata a dar luogo a unità oggettive funzionali
ben differenziate, caratterizzate, fra l'altro, dal superan1ento del!'op­
posizione tra fonne organiche e fonne ,neccaniche. L'espressione scelta,
"costn1zioni organiche", si rifà palesemente a questa caratteristica, in
apparenza paradossale. ln essenza, sernbrerebbe trattarsi di una orga­
nicità non avente una base naturale, naturalistica e, in genere, data, come
nel caso dei corpi o delle caste delle società tradizionali, ma creata da
un associarsi di volontà nel quadro di processi necessari e oggettivi, col
"lavoro" come sfondo specifico, e di pari passo con la spersonalizza­
zione insita nel valore funzionale proprio al Tipo. Per le forme più
alte, Io Jiinger parlerà di Ordini e, in genere, traccerà lo schema di una
nuova gerarchia destinata a prendere il posto di quella fondata sui valori
individualistici o sul concetto borghese di "classe".
�fa tonliamo allo studio dello stadio di transizione. Scrive lo Jiinger:
«In relazione all'uon10 il lavoro può essere considerato corue un
modo di vita, in relazione alla di lui attività con1e un principio, in rela­
zione alle forme come uno stile>>. Ogni rnutamento dello stile si maui-

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festa più tardi di quello dell'uomo e delle sue attività, perché presup­
pone una consapevolezza, una assunzione attiva. Oggi il nuovo stile
come sigillo di una mutata coscienza, lo si può soltanto presentire, l'at­
tuale situazione essendo che «ciò che appartiene aJlo ieri non è più reale
e ciò che appartiene al dotnani non è ancora n1anifesto. Così è scusa­
bile l'errore di chi ritiene che l'unifornuzzazione del mondo antico sia
la caratteristica essenziale del nostro tempo. Ma questa u11iformizza­
zione riguarda esclusivan1ente l'area della dissoluzione... La nuova cor­
rente per un certo tempo scorre ancora pigramente fra gli antichi àrgini,
così come ancor per un certo teinpo si costruirono ferrovie suI tipo delle
corriere, auto1nobili sul tipo delle carrozze a cavalli e fabbriche nello
stile delle chiese gotiche. Ma ogni spazio devastato e evacuato è a poco
a poco occupato da nuove forze e i ri1npianti pei bei tempi tramontati
esprimono soltanto la voce della senilità». Lo Ji.inger paragona lo
stato attuale ad un intermezzo: «Il sipario è calato, si sta preparando la
trasfonnazione delle persone e delle scene. Su tutta la terra le trasfor­
mazioni distruttive per le forme naturali e spirituali colpiscono lo
sguardo più dei preparativi delle nuove scene: le 1nasse e gli individui,
i sessi, le razze, i popoli, le nazioni, i paesaggi non meno delle persone,
delle professioni, dei sistemi ideologici e degli Stati subiscono un 'a­
zione che a tutta prima sembra comportare la completa distruzione delle
I.oro leggi». Qui si tratta di educare un diverso sguardo, capace invece
di capire «i preparativi di una nuova unità del tempo, del luogo e delle
persone, di una nuova unità dram1natica il cui avvento può essere pre­
sentito di là sia dalle rovine della civiltà (Kultur) che dalla 1naschera
mortale della civilizzazione>> (1 ).
A voler cogliere il nuovo, ciò che comincia a riflettere il Tipo, bisogna
cercare là dove di solito rneno si guarda, cioè nella vita corrente. Bisogna
convincersi che oggi gli uomini sono interessanti non già quando si pre­
sentano con1e nature proble1natiche, bensì quando sono "se1nplici",
senza problemi. Più che nelle biblioteche e nei centri culturali si deve
andare «nelle strade e sulle piazze, nelle case e nei cortili, sugli aero­
plani e nella n1etropolitana, dovunque l 'uon10 vive, combatte o si
diverte, in breve: dovunque è al lavoro». Esemplificando, lo Jiinger si
chiede: «Cosa vi è di più banale e di più prosaico, anzi di più noioso,
dell'automatismo del traffico di una grande arteria? Ma non vi è forse
anche un segno, un simbolo del modo con cui oggi l'uomo co1nincia a
rnuoversi per silenziosi, invisibili comandi? Lo spazio vitale gua-

(I) Pel significai.o di questi termini, si veda la nota 2 dell'lurroduzione.

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..

dagna in univocità e in naturalezza, mentre cresce la disinvoltura e I'in­


nocenza con cui si va in tale spazio>>. Qui si cela già la chiave di un altro
inondo. «Dietro le rnaschere del tempo si scopre qualcosa di più della
morte dell'individuo che rende rigida la fisionomia, qualcosa di più
della cesura fra due secoli». La disintegrazione dell'anima antica, ini­
ziatasi già da tempo, al concludersi di condizioni generali, precede l'ap­
parire della persona assoluta.
Già nel trattare delle caratteristiche esteriori del Tipo si è parlato di
tutto ciò che, per ora, può essere sentito soltanto corne in1poverimeoto
o perdita. Tale perdita la si può osservare <<partendo dalle forme supreme
del sacrificio fino a quelle di un intristimento vegetativo, della morte
borghese. Il rappresentante eminente dell'individuo, iI genio, è il prirno
ad essere colpito da questo clirna di fine». Dopo l'individuo, l'obiettivo
è la massa. «Il processo si conclude con w1 assalto della morte contro
le masse, assalto svolgentesi senza interruzione in forme sia invisibili
che visibili e catastrofiche». Una volta riconosciuta la direzione, non
v'è bisogno di fennarsi su dettagli e su esemplificazioni, o di atten­
dere che esperienze in corso forDiscano ulteriore materiale, dice lo
Jiinger. Egli passa perciò a considerare brevemente la gerarchia che si
prepara di là dalla fase negativa.
Il modo d'essere dell'Operaio e il singolo come l'ipo, rappresentano
la sostanza elementare del nuovo inondo. In più, vengono distinti tre
gradi. JI grado più basso è quello in cui libertà e obbedienza fanno
tutt'uno nello stile di vita, di là dalla fase in cui i processi che condu­
cono al tipo vengono se1nplicemente sublti. Nel mondo del lavoro questa
è dunque la forrna più generale, la base della piramide. «Ma di là da
questo gradino co1nincia a differenziarsi un altro, più attivo tipo, un tipo
in cui una razza in senso proprio assume tratti 1naggior1nente precisi».
(Parlando di razza, lo Jiinger tiene a precisare che non intende nulla di
biologicamente condizionato: «La figura dell'operaio mobilita indiffe­
rentemente qualsiasi materia umana», cioè quella di qualsiasi popolo
o razza in senso stretto; se irl certi casi essa può produrre forme più alte,
più tipiche, più pure, che non in altri, ciò non pregiudica però l'essen­
ziale iJ1dipendenza del processo forn1ativo ). Come è naturale, il tipo
attivo, esponente del secondo gradirlo della piramide, è rappresentato
da un numero di individui che è tanto più ristretto per quanto più si pro­
cede verso l'alto: «Lo si incontra dovunque il carattere speciale del
lavoro si rende evidente»; esso è caratterizzato dal suo non trovarsi ad
essere ciò che è per forza 1naggiore, pei processi oggettivi che colpi­
scono il mondo borghese, «di aver anche una direzione, di star già in
relazione con la 1netafisica del mondo del lavoro». Per lo Jiinger,

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«uno dei primi esempi di rappresentanti del tipo attivo è il soldato
sconosciuto, incarnazione di un 111assi1no di virtù attive, di coraggio,
di prontezza all'azione, di spirito di sacrificio». La virtù di tale tipo con­
siste <<nella sua sostituibilità: dietro ad ogni caduto sta in riserva chi lo
sostituirà. La sua misura è la prestazione oggettiva, senza inutili parole»,
og11i altro punto di vista, perfino il particolare fronte su cui ci si batte,
passando in secondo piano; per questo, si osserva, si è incontrato un
tipo unico con un unico stile, di là dalla stessa opposizione dei fronti,
anche qualcosa co1ne '
una fratellanza, «che al pensiero umanitario sarà
sempre preclusa>>. E a questo livello che lo Jiinger parla altresì di Ordini,
chiarendo così ciò che egli propriamente intende per "raz1.,a". Ven­
gono ricordati gli ese1npi già offerti dal pn1ssianesi1no, dagli ordini
cavallereschi e infine da certi ordini religiosi, co1ne i Gesuiti: qui una
uguale formazione spirituale e una uguale disciplina sono la base di par­
ticolari tipi di unità. Del secondo grado, cioè del tipo attivo, si trove­
rebbero anticipazioni anche neU'àmbito del inondo tecnicizzato. «Già
oggi accade talvolta di penetrare nella cerchia di tali esseri, intorno a
cui si cristallizza un ordine nuovo. In piena indifferenza per le antiche
divisioni, qui una potenza e una energia radiante rivelano chiaramente
che nel nuovo spazio il lavoro ha il rango di un culto. E anche qui
s'incontrano dei volti segnati, i quali dimostrano che il carattere di
maschera è suscettibile di un potenziamento, di un potenzia1nento che
può definirsi come una qualità araldica».
La gerarchia non terntina a questo punto; qui viene indicato ciò che
propriamente si riferisce al vèrtice della pira1nide. A differenza dei
due primi gradi, della fonna passiva e della forrna attiva del tipo, già
preannunciatesi sia in guerra che nel mondo moderno in genere, qui si
tratta di figtire che, dice Lo Jiinger, non sono ancora apparse. Nell'ul­
timo grado della gerarchia «il singolo si presenterà in un rapporto diretto
col carattere totale del lavoro, e solo con l'apparire di tali esseri si
renderam10 possibili l'arte dello Stato e la sovranità in grande stile. Tale
sovranità (della figura) è parziahnente preparata dall'apparire del Ti­
po attivo, che in modi molteplici spezza le antiche fonne. li Tipo attivo
non è però in grado di oltrepassare i confini posti dal carattere spe­
ciale del lavoro: sia come uo1no dell'economia che con1e tecnico, sol­
dato o nazionalista, gli abbisogna una integrazione, un comando che
parta direttamente dal principio capace di conferire un senso alla realtà».
Soltanto in questo vèrtice si accorderanno «le molteplici antitesi che
con l'oscillazione dei loro termini producono la luce incerta e insta­
bile propria alla nostra epoca. Sono le antitesi di vecciùo e nuovo, di
potenza e di diritto, di sangue e spirito, di tecnica e arte, di cono-

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scenza e religione, di mondo organico e mondo meccanico... L'unità
di questi opposti si manifesterà in una umanità cresciuta di là dagli
antichi dubbi».
Riassumendo, lo Jiinger scrive: (<La gerarchia del XIX secolo era de­
finita dalla misura in cui si possedeva una individualità. Nel X.X secolo
il rango sarà invece definito dalla 1nisura in cui si rappresenterà il carat­
tere del lavoro ... Non ci si deve dunque lasciar trarre in inganno dal
generale livellamento che oggi colpisce uomini e cose. Tale livellamento
altro non significa che il realizzarsi del gradino più basso, della base
del mondo del lavoro, e dipende dal fàtto che oggi il processo viene vis­
suto in prevalenza in modo passivo. Ma quanto più procederanno la
distruzione e la trasfonnazione, tanto più si preciserà la possibilità di
una nuova costruzione, di una costruzione organica>>. Già oggi le stesse
supre1ne possibilità sopra indicate non sarebbero del tutto escluse, però
si legherebbero a situazioni drarmnatiche, a casi paragonabili a quelli
«in cui solo la 1norte segna l'estre1na vittoria>>. <(Il nostro te1npo è
ricco di martiri sconosciuti, ad esso è propria una profondità del sof­
frire non ancora vista sino in fondo da nessun occhio. La virtù adeguata
a questo stadio è il realis1no eroico, l'attitudine spirituale che fa conti­
nuare ad agire perfu10 quando si prospetta la distruzione o si delinea
la vanità dei propri sforzi. Così la perfezione umana nella nostra
epoca è diversa da quella di altri tempi, ed è forse presente al mas­
simo proprio dove è n1eno appariscente ... Comunque oggi non la si
trova nel dominio della cultura, dell'arte, dell'affettività o dei valori
morali. In tale do,ninio il discorso o è finito o deve ancora inco1nin­
ciare». Esistono ancora !)l)azì residuali di una vita spirituale, il cui valore
è garantito da esperienze di un passato secolare, e dove ci si potrebbe
ritirare. Ma gli antesignani del mondo nuovo sono in piena fase di espe­
rin1ento; quel che intraprendono non è fondato su precedenti esperienze,
su precedenti valori. «Figli, nipoti e pronipoti dì senza-Dio che nutrono
sospetto per lo stesso dubbio», dice drasticarnente lo Ji.inger, riferen­
dosi visibilmente all'enciclopedismo quale antecedente della rivolu­
zione tecnica, al nihilismo nietzschiano e ad analoghe con·enti di fi n
di secolo, «n1arciano attraverso paesaggi in cui temperature più alte e
più basse di quelle nonnali minacciano la vita. Quanto più i singoli e
le 111asse saranno divenuti stanchi, tanto maggiore sarà la responsabi­
lità di pochi. Né di lato né indietro esistono vie d'uscita; occorre invece
accrescere la possanza e la velocità dei processi in cui ci si trova presi.
E allora è bene presenti.re che dietro agli eccessi dinan1ici si cela un
centro im1nobile». In tali termini si definiscono, per l'epoca di transi­
zione, i rapporti dell'uorno con l'elementare e il suo connubio con esso.

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l 'uorno e la tecnica. Il problerna del liniite

Dopo aver indicato il senso della gerarchia complessiva del nuovo


rnondo del lavoro, nei suoi tre gradi, lo Ji.inger torna su alcuni problemi
particolari. Per primo, vengono esaminati più da presso i rapporti fra
uomo e tecnica propri alla fase costruttiva.
Secondo lo Ji.inger ciò che i nostri contemporanei hanno saputo
dire sulla tecnica si riduce a povera cosa, non eccettuati gli stessi tec­
nici. «Si è che il tecnico rappresenta bensì il carattere speciale del lavoro,
rna non sta in relazione col carattere totale di esso». L'interpretazione
è sbagliata sia quando i rapporti dell'uomo con la tecnica vengono con­
cepiti pessimisticamente come quelli «dell'apprendista stregone che
evoca forze a cui non sa tener testa», sia che ci si riferisca ottimistica­
n1ente «ad un progresso continuo avviato verso un paradiso artificiale».
Riferendosi alla prima veduta, .lo Ji.inger dice che non esistono uomini
meccanizzati, ma esistono macchine e uornini, e che «vi è un nesso
profondo nel! 'apparire si1nultaneo di nuovi mezzi e d i una nuova
umanità». Tale simultaneità «non è un caso, ma obbedisce ad una supe­
riore necessità». «Così l'unione dell'uomo e dei suoi mezzi sarà l'e­
spressione di una unità sopraordinata». La tecnica è una nuova lingua.
«Una nuova lingua viene improvvisamente parlata, e il rispondere
dell'uorno, o il suo restar muto, decideranno di lui». Abdica «chi
crede di poter non fare attenzione ad essa o di respingerla perché
assurda». Bisogna invece «coglierne la legge segreta e servirsi di essa
come di un'arma. Importa padroneggiare questa lingua». Ciò che induce
a interpretare negativamente gli effetti della tecnica sull'uomo e che è
effettivarnente la causa dell'anarchia e della crisi da essa deterrninate,.
si lega al fàtto che è l'uo1no di ieri ad usare e a cercar di dominare il
mondo della tecnica, sperando di poterlo ordinare a valori, tonne e leggi
di vita ad esso non adeguate, partendo dall'errato concetto che il dominio
della tecnica sarebbe neutro, riguarderebbe unicarnente il campo dei
mezzi. La situazione cainbierà radicaltnente quando alla figura del bor­
ghese e dell'uomo del XIX secolo si sostituirà quella dell'operaio; questi
nella nuova lingua riconoscerà la sua propria lingua e la parlerà «in ter­
rnini non di mera razionalità, di progresso, di utilità e di con1odità, bensì
nei termini di una lingua pri1nordiale». «Sarà possibile mettere real­
mente e senza contraddizione la tecnica al servizio dell'uorno quando
nei singoli e nelle collettività che la usano si incarnerà la fi1:,rura del­
l'operaio», e questa figura «paleserà i suoi tratti eroici)>.
L'idea dello Ji.inger si precisa attraverso la critica dell'altra inter­
pretazione della tecnica, di quella progressistica, quasi sempre pre-

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supposta da chi non si schiera contro di essa. Lo Jii.nger nota giusta-
1nente che «quand'anche il mondo venisse ricostruito sino in fondo dalla
tecnica attuale», caratterizzata da uno sfrenato specialismo, «nessuno
dei suoi più importanti problemi sarebbe risolto». L'orgoglio con cui lo
spirito un1ano considera i suoi illin1itati orizzonti, le relazioni sup­
poste fra progresso spirituale e tecnica, la prospettiva di <<una con­
tinua marcia in avanti in un clima di congiuntura, in un mondo in cui
alla religione, e segnatamente alla religione c1istiana, si sostituirà in
funzione di redentrice la scienza, in uno spazio in cui gli enigmi del
mondo essendo svaniti, alla tecnica sarà assegnato il compito di libe­
rare l'uo1no dalla maledizione del lavoro e di rendergli possibili cose
più degne», tutto quest'ordine di idee secondo lo Jilnger forse già fra
breve sembrerà incomprensibile.
La tesi da lui affermata è che il processo tecnico può e deve avere
dei lin1iti: è la logica conseguenza dell'idea che l'uo1no nuovo sarà non
più l'oggetto ma il sog&etto di quel processo, lo dominerà, lo ade­
guerà al proprio essere. E una reazione contro lo svincolamento dello
sviluppo tecnico dall'uomo, contro il protendersi di esso verso l'illi-
1nitato, «come una sfera che entra in contatto con se1npre nuovi co.m­
piti via via che la sua superficie si dilata». Volendo cercare l'origine
cli tale situazione, non è difficile riconoscerne La relazione con quel con­
cetto astratto dell'infinito co1nc illimitato che, proprio esclusivamente
ali'epoca illuministica, prima mai esistito e tale che «a generazioni future
apparirà inintelligibile», è l'opposto del principio della figura, questa
portando invece all'idea dell'universo come un tutto, «con1e una tota­
lità conchiusa e ben delimitata». Dal lato qualitativo «il genere e
l'ampiezza di ogni sviluppo sono determinati dall'essere. Ciò vale anche
per la tecnica.». Lo sviluppo della tecnica è ordinato a sih1azioni ben
defmite; perciò si concluderà «nel punto in cui la tecnica, co1ne 1nezzo,
risponderà
'
alle esigenze specifiche ad essa poste dalla figura dell'ope-
ra10».
Si è visto che proprio in ciò, secondo lo Jii.nger, dovrebbe palesarsi
il diritto, il titol.o di legittunità della figura dell'operaio alla sovranità:
nella capacità di fissare un limite, di imporre una stabilità ad un sistema
di n1ezzi e di sviluppi, divenuto strapotente e anarchico. Che portata,
che carattere paradossale abbia tutto ciò, lo si può capire non appena se
ne considerino le implicazioni concrete più dirette. Non si tratterebbe
tanto di arrestare "il gigante scatenato" di cui ha parlato Werner Som­
bart nell'esaminare le ultirne fonne assunte dall'alto capitalisn10 e dalla
super-produzione, quanto di spegnere quella febbre avveniristica che
ha fatto esclamare al Bernanos: «Oùfuyez-vous en avant, imbécils?».

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È evidente che tnai il borghese potrà essere da tanto, perché occorre­
rebbe pensare in tern1ini diversi da quelli deU'utilità, del progresso mate­
riale e sociale, della comodità, della fàcilità e via dicendo. Finché ad
usare la tecnica sarà il borghese come tale, non il tipo con le sue voca­
zioni eroiche, in una certa misura anche ascetiche, l'arresto del processo
tecnico apparirà come una assurda utopia e le prospettive seduttrici delle
sue continue "conquiste" celeranno "la fuga in avanti" dell'uo1no
moderno. Questo è dunque uno dei punti interessanti della concezione
dello Jiinger: di là dalla dissoluzione del inondo borghese operata
dalla tecnica, di là dal regi1ne di puro dinamismo di forze quasi auto­
nomizzatesi, subentrato a tale dissoluzione, ci si deve avviare verso
un mondo nuovo della stabilità e del li1nite, quindi, in un certo modo,
verso un nuovo classicismo dell'azione e del dominio, dove signifi­
cati d'un ordine superiore dovranno esprimersi attraverso la t1uova
lingua 1neccanica integrata, divenuta univoca perché fissata in uno stato
di perfezione.
In questo stadio la lingua della tecnica «non sarà rneno importante
o meno profonda di qualsiasi altra, avrà non solo una sua granunatica
,na anche una sua 1netafisica»; apparirà che la macchina come tale ha
una parte non meno secondaria di quella dell'uomo co1ne se1nplice indi­
viduo: essa sarà soltanto uno degli stru1nenti d'espressione. In questo
contesto, la mente, naturaltnente, non può non portarsi anche su
quello che sen1bra esse.re il caso-li,nite di una tecnica discioltasi dal­
l'uomo, ossia allo sviluppo dei mezzi tecnici che in guerra offrono pos­
sibilità totali di distruzione. Da quando l'Operaio è stato scritto, queste
prospettive si sono rese sempre più evidenti in relazione alla faccia
oscura della cosidetta èra atomica. Lo Jiinger notava già che «Io spi­
t rito segue con legittitna apprensione l'apparire dei nuovi 1nezzi», e se
anche a tale riguardo ci si trova in una situazione precaria, ciò è pari­
n1enti dovuto al sussistere della contraddizione fra la tecnica da un lato,
daU'altro di una contropa1te non adeguata, legata allo ieri, al XIX secolo,
riguardante il tipo umano, i siste,ni, le ideologie. Si cercano soluzioni
a buon 1nercato che sono se1nplici palliativi, illudendosi che una cata­
strofe possa essere evitata mediante trattative e discussiorù, tenendosi
se1npre nell'area della categoria borghese del "contratto" e della
"società", la premessa tacita continuando ad essere quasi sempre l'an­
tropologia razionalistica e illun1inistica, l'idea che «l'uon10 è buono per
natt1ra, mentre non è buono, ,na buono e malvagio ad un tempo, per cui
nessun calcolo è all'altezza della realtà se non parte dal principio, che
non vi è nulla di cui l'uomo non sia capace». Anche in questo domi­
nio il punto decisivo è dunque dato dall'avvento e dalla sovranità di

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un uo1no nuovo, del Tipo, affennante il proprio modo di essere e la pro­
pria legge in uno spazio che di necessità si stenderà all'intero pianeta.
Tutto il resto è conseguenza; in quel presupposto perfino le estreme
alternative appariranno secondarie. l.'ordine e l'unità sussisteranno,
la fase anarchica, contradittoria e rivoluzionaria (nella quale rientre­
ranno eventuali conflitti ancora da venire) sarà infatti idealmente con­
clusa e esaurita. Così pe11sa lo Jiinger.

Il paesaggio da cantiere

Non sarà privo di interesse accennare a quel che lo Junger mette in


luce quanto agli effetti particolari del nostro vivere in uno spazio
provvisorio ove gli sviluppi tecnici non obbediscono ad una legge
.

sopraordinata, non volgono ancora verso forme organiche e conchiuse,


ma fanno pensare ad una piran1ide capovolta, le cui facce partendo
dal basso si allargano indefinitamente, invece di partire dalla base, e
restringersi sempre di più e finire entro un tempo detenninato in un ver-
. '

tice, come nel loro naturale terrninus ad que,11: mentre l'area è ingo1nbra
dei residui di forme e di attività appartenenti al passato.
Dove non si tratta di un paesaggio da 1uuseo (come varì autori
tedeschi, lo Jlinger usa il tennine paesaggio, Landschajt, per desi­
gnare un dato ambiente e il clima che gli corrisponde), si può parlare di
un paesaggio di transizione avente caratteri da fucina o da cantiere.
«Non vi è, in esso, stabilità di forme, tutto vi viene incessantemente
ri1nodellato secondo un inquieto dina1nismo». Nulla vi viene costruito
per durare, come ne era il caso per gli antichi edifici e per la lingua
valida delle forrne già creata dall'arte tradizionale. «Ogni mezzo ha
un carattere provvisorio ed è destinato ad usi dalla durata limitata)>.
Come nell'architettura, così anche nell'economia e nella condotta di
vita non vi è stabilità alctu1a. «Il singolo vive vegetativan1ente in n1ezzo
a questo paesaggjo dove gli si chiede il contributo di un lavoro parziale
il cui carattere effi1nero non gli è dubbio». In economia la mutevo­
lezza dei mezzi ba per conseguenza «1 'incessante investimento del capi­
tale e del lavoro che, dietro la maschera della' libera concorrenza, è in
contrasto con tutte le leggi dell'economia. E così che si succedono gene-
razioni le quali non lasciano dietro di sé né monumenti né risparn1i,
ma sen1plicemente un certo grado della n1obilitaziooe del inondo». <<La
legge ccono1nica viene sopraffatta da altre leggi che ricordano quelle
della guerra; non solo sui campi di battaglia ma anche in economia si
delineano tonne di lotta nelle quali, in tondo, nessuna delle due parti

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è veramente vincitrice». «Questa situazione di provvisorietà», continua
lo Ji.inger, «è anche visibile nella confusione e nel disordine che da
più di un secolo contrassegnano il paesaggio tecnico. E uno spetta-
colo che ferisce lo sguardo e di cui è causa non soltanto la distruzione
del paesaggio naturale o culturale 1na anche il carattere incompleto della
tecnica. Queste città coi loro fili e con le loro esalazioru, col loro fra­
stuono e con la loro polvere, con la loro confusione da fonnicaio e il
loro caos di architetture antiche e moderne che ad ogni decennio danno
loro un volto se1npre diverso, sono dei giganteschi cantieri di forme,
ma esse stesse sono informi. Manca loro uno stile, a meno che non si
voglia considerare l'anarchia con1e un particolare stile».
<<Per lo stato di incessante movimento in cui ci troviamo, le energie
e le riserve della vita vengono sempre di più accaparrate ... Ciò impe­
disce che in uno qualunque dei suoi don1inì l'esistenza possa fissarsi
in ordina1nenti precisi e indiscutibili. L'esistenza rassomiglia piut­
tosto ad una 1nortale 1naratona in cui bisogna irnpiegare tutte le
energie se non si vuol restare sul terreno». «Per chi non appartiene al
nostro spazio l'insieme deve presentare qualcosa di incomprensibile,
anzi di pazzesco. Dietro la maschera spietata dell'economia e della con­
correnza avvengono cose inaudite. Per esempio, il cristiano dovrebbe
vedere qualcosa di satanico nelle forme assunte dalla pubblicità con­
temporanea. Le evocazioni astratte e le gare d i luci al centro delle
città fanno pensare alla muta e spietata lotta delle pia11te per assicu­
rarsi terra e spazio. Un Orientale [qui sarebbe bene precisare dicendo:
un Orientale di ieri] dovrebbe avere una impressione penosa nel vedere
che ogni persona, ogni passante delle nostre vie ha tutte le caratteri­
stiche di un conidore in gara. Le installazioni più moderne hanno breve
vita: dopo un dato periodo vengono trasfonnate o s1nontate. Cosi non
esiste più nemmeno un capitale nel senso antico, statico; lo stesso valore
dell'oro è divenuto incerto». «A tutto ciò si unisce l'indiscriminato susci­
tamento di nuovi bisogni, la creazione di comodità senza le quali I 'uo1no
orinai crede di non poter più vivere 111a che accrescono se1npre più la
sua dipendenza e i suoi obblighi ... A loro volta, i nuovi bisogru sono
tanto vari quanto mutevoli. I l senso della durata quale si esprimeva
nel piacere di possedere certi beni i1nmobili sen1bra che stia sco1npa­
rendo; altrimenti apparirebbe incon1prensibile, per ese1npio, che per un
auto, il quale ha pochi anni di durata, oggi si spendano son1me suffi­
cienti per acquistare una vigna o una casetta di carnpagna». «Non esiste
più un artigianato in cui si possa conseguire una abilità definitiva da
.maestro: si è tutti eterni apprendisti. Il traffico e la produzione hanno
qualcosa di illirnitato e di ì1nprevedibile; quanto più rapidamente si

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va, tanto meno ci si avvicina alla mèta ... Anche gli strumenti della
potenza sono mutevoli. Sui grandi fronti della "civilizzazione" la guerra
si lega ad un febbrile sostituire le formule della fisica, della chimica e
dell'alta 1naternatica con altre più efficaci. Così i giganteschi arsenali
della distruzione non garantiscono sicurezza alcuna; e forse già doman.i
si scopriranno i piedi di argilla del colosso. Di stabile, non vi è che il
muta,nento, e ciò stronca ogni sforzo fatto per raggiungere un possesso,
una• soddisfazione, una sicurezza».
E evidente che col fatto stesso di accusare tutti questi tratti proble-
matici della civiltà contemporanea lo Jiinger conferma, che nella sua
idea gli aspetti dinamici e attivistici del mondo del lavoro hanno un
carattere provvisorio, appartengono soltanto ad una fase di transizione.
Dovrà subentrare, come si è detto, uno stato di equilibrio, d.i "costanza
dei mezzi".
«La caratteristica della situazione attuale è che i mezzi di cui
disponiarno non solo bastano ad ogni esigenza della vita, ma danno più
di quel che ad essi si era richiesto)). Viene riconosciuto che esistono già
tentativi di arginare la crescenza dei rnezzi mediante accordi, ovvero
mediante misure autoritarie. «Vi sono di già domini in cui si cerca di
portare a conclusione lo sviluppo tecnico, tanto da creare zone sottratte
all'incessante mutarnento». Ma cotesti tentativi potranno rendere pos­
sibile solo una regolazione provvisoria, non un ordine vero e definitivo.
Lo stato di equilibrio e di costanza richiede invece la condizione anzi­
detta, l'avvento e la sovranità di un nuovo tipo umano. L'uomo nuovo
porterà la tecnica a quella perfezione che significherà anche il suo limite.
Allora

dal "paesaggio da cantiere" si passerà al "paesaggio pianificato".
E però importante il riconoscimento, da parte dello Junger, che «la per-
fezione, corne perfezione tecnica, non sarà che uno dei segni del con­
cludersi della 1nobilitazioue in corso. Essa può condutTe la vita ad un
più alto l.ivello organizzativo, ,na non ad un più alto livello di valore,
co1ne pensa invece il progressis,no. Essa segnerà il subentrare dj uno
spazio statico altarnente ordinato ad uno spazio dinamico e rivoluzio­
nario. Si tratta dunque di un passaggio dal 1nutamento alla costanza,
le conseguenze del quale saranno tuttavia irnportantissime».
«La costanza dei 1nezzi porterà ad una stabilità nel]a vita di cui si è
quasi perduta ogni idea. Questa stabilità non va intesa con1e una rnao­
canza di attriti sulla linea r<1.Zionalistico-u1nanitaria o come il supretno
trionfo del confort, bensì nel senso, che uno sfondo stabile oggettivo
farà riconoscere la misura e il rango delle prestazioni umane in modo
più chiaro e preciso di quel che non sia possibile in una situazione ricca
di fattori imprevedibili, dinamici ed esplosivi. Si può esprimere ciò

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dicendo che la figura dell'operaio renderà possibile alla vita di avere
essa stessa una figura>>. La fase ultima sarà, peraltro, la Gestaltung, l ' a ­
zione formatrice in senso superiore, con un nuovo stile il quale in
ogni dotninio avrà tratti naturali, spontanei e necessari.
Lo Jiinger giudica che in una forma o nell'altra «si giungerà ad una
conclusione dello sviluppo tecnico e, quindi, ad una stabilità. Io
effetti, in epoche 1nolteplici la stabilità è stata se,npre la regola,
rnentre il rit1no febbrile dei cambiamenti del nostro tempo è senza
esempio nella storia». «La 1nutevolezza dei ,nezzi non esiste in sé; essa
è soltanto un segno che la tecnica non sta ancora, rispetto all'uorno, in
un chiaro rappo1to di servizio, in altre parole: che non si è ancora rea­
lizzata una vera sovranità su di essa>>. Per tutte le crisi, i conflitti e gli
sconvolgimenti avvenuti o ancora da avvenire viene data l'i.magine degli
scoppi o dei nunori della fase di avviatnento di un tnotore di vecchio
tipo, alla quale seguirà il 1novirnento regolare e quasi silenzioso.
Il nostro, sarebbe dunque «uno strano pe1iodo di sovranità tramon­
tate e di sovranità non ancora sorte». Tuttavia si sarebbe già «oltrepas­
sato il punto zero». «La prima fase della tecnica, della tnobilitazione
del mondo attraverso la figura dell'operaio, avente necessaria1ncnte un
carattere distruttivo, sta già dando luogo ad w1a seconda fa,;e, nella quale
la tecnica sta al servigio di grandi e audaci piani>>. Ancora lontana è
però la terla fase, la fase decisiva, in cui la figura dell'Operaio si pre­
senterà come quella di un costn1ttore in senso superiore, e nel nostro
spazio si manifesterà ciò che appunto gli manca, «la figura, la metafi­
sica, quella autentica grandezza che non si può raggiungere forzata­
mente, con la volontà di potenza o con la volontà di credere».
Intanto, per quel che riguarda lo stile si nota che nel dominio più
esterno sono già visibili fom1e etnbrionali di costruzione organica, cor­
rispondenti ad una fusione annonica dell'uomo e degli strun1enti a
sua disposizione. Già oggi «non si può non 1iconoscere un iJnpulso non
solo verso una maggiore utilità ma anche verso una 1naggiore se1nplici­
tà di linee. E noi sentiamo che tali sviluppi soddisfano non soltanto la
ragione 1na anche l'occhio e, a dir vero, secondo l'inintenzionalità
caratteristica in ogni forma organica di crescenza». «Almeno in certi
scorci parziali il XX secolo presenta di già una ,naggiore purezza e deci­
sione di linee, tradisce di già una incipiente chiarificazione della volontà
tecnica fonnatrice ... Si comincia ad avere un senso delle alte tetnpe­
rature, delle fredde geotnetrie delle luci e dell'incandescenza del metallo.
Il paesaggio diviene più costruttivo e più pericoloso, più freddo e più
infuocato; in esso scompaiono gli ultimi resti del "carino" e della cor­
dialità che parla all'anitna. Vi sono già dei settori che si possono attra-

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versare come delle regioni vulcaniche o delle rnorte lande lunari dove
regna una presenza lucida e invisibile». Lo stato di perfezione che certi
strwnenti hanno già raggiunto può essere anche osservato in alcune parti
dello spazio tecnico, «dove si affenna una crescente unitarietà e tota­
lità. A tutta prima i rnezzi tecnici penetrano come una malattia in dati
punti, rappresentando quasi dei corpi estranei nella sostanza in cui
appaiono. Nuove invenzioni investono i domini più diversi, come colpi
sparati a caso. In egual 1nisura cresce il nurnero delle distruzioni e dei
nuovi problemi da risolvere. Però si potrà parlare di uno spazio tec­
nico solo quando questi punti si uniranno, con1e tante 1naglie di un w1ico
tessuto. Soltanto allora apparirà che non esistono prestazioni partico­
lari prive di rapporto le une con le altre. fn una parola, attraverso la
so1n1na dei caratteri speciali del lavoro apparirà il carattere totale di
esso>>. E allora che si affcnnerà completamente lo stile delle costruzioni
organiche, perché si accorderanno due fatti: quello, che il "Tipo" per
agire ha bisogno di mezzi a lui adeguati, e quello che in tali mezzi si
cela una lingua elementare che soltanto il "Tipo" può parlare.
Co,ne è evidente, a questo pw1to si ripresenta il problema dell'o­
rientamento interiore più conveniente all'epoca di transizione, in rela­
zione, anche, al inondo della cultura e alla tenuta interna. A giudizio
dello Jiinger, oggi esiste una cultura borghese residuale che «è una specie
di stupefacente>>, «un lusso che non ci si può permettere nelle attuali
condizioni, in cui non si tratta di discotTere i.ntorno alla tradizione ma
di crearla». «Viviamo in un periodo storico in cui tutto dipende da una
intensa 1nobilitazione e concentrazione delle energie disponibili.
Forse i nostri padri avevano ancora tempo per occuparsi degli ideali
di una scienza oggettiva e di un'arte coltivata per sé stessa». lnvece noi
ci trovere1nmo in una situazione in cui sia nel campo esterno, materiale,
che in quello interno, spirituale, deve porsi il crudo problema di ciò che
è necessario e in cui deve essere il necessario a indicare i compiti ad
ogni energia creativa, dalle più semplici alle più elevate. A tale riguardo
lo Jiinger si con1piace di espressioni abbastanza drastiche. Per esempio,
egli dice che quanto più la condotta di vita avrà «1.tn carattere cinico,
prussiano, spartano o anche bolscevico [nel qual riguardo egli si rife­
risce evidenten1ente al tipo dei "pw·i" vagheggiato dal pri1no con1u­
nis1no], tanto meglio sarà»; che «un taglio abbastanza profondo da libe­
rarci dal.l'antico cordone on1belicale» può effettuarlo soltanto una
coscienza energica incarnantesi in ele1nenti giovani e risoluti, «e quanto
1neno cultura vi sarà in tale strato, tanto meglio sarà». Purtroppo l'e­
poca della cultura generale ci ha privati di una riserva di analfabeti
capaci; allo stesso 1nodo, se oggi è facile trovare migliaia di persone

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che discutono sulla Chiesa, invano si cercherebbero gli antichi santi
delle rocce e delle foreste>>. A parte questi paradossali spunti polemici
antintellettualistici, quanto al carattere spartano, lo Jiinger associa effet­
tivarnente al tipo dell'operaio una linea virile e quasi ascetica di vita.
rI principio è che importa «non già migliorare le condizioni di vita
dell'operaio ma attribuir loro un significato superiore, decisivo». «Il
primo passo è non pensare e non sentire più nelle antiche for1ne, il
secondo è non agire più secondo esse». «Si può prevedere che pel sin­
golo in un puro inondo del lavoro i gravami non din1inuiranno 1na
perfino cresceranno; però nel conten1po si libereranno forze nuove,
del tutto diverse, alla loro altezza. Ogni nuova coscienza della libertà
conduce verso nuove gerarchie, e in ciò starà il principio di una più
profonda felicità, annata per la stessa rinuncia: quand'anche di feli­
cità sia ancora il caso di parlare>>. Lo Jiinger aggiunge: «Come fa pia­
cere vedere libere tribù del deserto che, vestite di cenci, per unica ric­
chezza hanno i loro cavalli e le loro anni preziose, così pure piacerebbe
vedere il grandioso e prezioso arrna1nentario della "civilizzazione"
(2) servito e diretto
'
da un personale vivente in una povertà monacale
o soldatesca. E, questo, uno spettacolo che dà una gioia virile e che si
è rinnovato dovunque, in vista di grandi co1npiti, all'uo1no sono state
poste esigenze superiori. A tale 1iguardo fenomeni, cotne l'Ordine dei
Cavalieri Teutonici, l'esercito prussiano, la Con1pagnia di Gesù sono
dei 1nodelli, e si deve rilevare che a soldati, a sacerdoti, a scienziati e
ad artisti è proprio un rapporto naturale con la povertà>>. Cosa analoga
dovrebbe apparire possibile e naturale nel «paesaggio da fucina in cui
la figura dell'operaio mobilita il mondo», in stretta relazione con l'o­
rienta1nento verso il reale, l'essenziale e il necessario. Così si presenta
anche una «imagine dello Stato non come un piroscafo da passeggeri
o da crociera ma co1ne una nave da gue1Ta in cui deve regnare la mas­
si1na se1nplicità e sobrietà e ogni atto deve essere compiuto con una
sicurezza istintiva».
Ritrovia1no infine il terna nietzschiano dell'ascesi della potenza,
quando lo Jiinger, parlando dei mezzi di chi potrà co1nandare alle ric­
chezze di province e di rnetropoli, dice che costui «potrà con1andare ad
esse in modo tanto più sicuro quanto più egli saprà disprezzarle». Torna
così a confem1arsi quel che abbiamo già ripetutamente rilevato: l'an­
titesi fra l'ideale dell'operaio jiingeriano e quello del benessere vege-

(2) Pel significato di questo tennine, riandare di ouovo alla uota 2 dell'lnh·oduzione.

93
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tativo e della sen1plice prosperità, che vi.ene tuttora associato aJlo scopo
di ogni progresso tecnico e sociale.
Come si è visto, lo JUnger ha paragonato lo stato attuale ad un
intennezzo in cui, dopo che il sipario è sceso, si stanno preparando
nuovo scene per i personaggi. I temi elementari permarrru1no, nuova
sarà la lingua in cui si tradurranno, «l'assegnazione delle parti nel
ripetersi del grande drarnn1a>}. «Gli eroi, i credenti e gli arnauti non
muoiono n1ai; ogni epoca li scopre sen1pre di nuovo», essi corrispon­
dendo ad altrettante "figure" di un piano "n1itico", cioè superstorico. Si
porrebbe allora il problema specifico delle forme umane proprie all'e­
poca dell'Operaio, o del Tipo, e allo spazio tecnicizzato. Dato che qui
co,ne categoria fondamentale è stato indicato l'essere con1e esser in
atto, in un rapporto attivo con l'elementare, con energie pure, essenziali
e, eventualmente, perfino pericolose, per la forma nuova in cui i tipi pri­
mordiali riappariraru10 sulle diverse scene in preparazione, dovrebbe
dunque pensarsi ad una estensione di cotesto modo di essere al carnpo
della vita personale in senso proprio, cioè a quella privata. Se questa è
certrunente l'idea dello Ji.inger, egli però non tratta partitarnente l'ar­
go.,nento; ad esempio, non ci dice nulla di dettagliato circa la forma che
nel mondo del Tipo assumeranno le relazioni fra i sessi, la famiglia, le
principali relazio1ù wnane.
Quanto alla fede, il Tipo lascerebbe indietro le antitesi proprie al libe­
ralisrno laico, sarebbe caratterizzato «non dal non avere una fede ma
dall'averne una diversa. È destinato a riscoprire una grande verità andata
perduta, ossia la vita e culto fanno tutt'uno». Si è visto che lo Jiinger
parla ripetutarnente di una nascosta dimensione "cultuale" (kulti.sche)
del lavoro. Però nemmeno questa veduta viene precisata. La "vita"
essendo una realtà dalle facce molteplici, una assunzione " cultuale" di
essa può avere significati diversi, anche naturalistici e problen1atici.
Sen1brerebbe che la formula ora accennata dallo Junger si riferisca ad
un atteg1,riamento che, senza escludere uno sfondo metafisico, sia di
irnpegno totale nella vita e escluda ogni specie di evasione. ln effetti,
in un punto viene detto che un pensiero nuovo, formatosi in funzione
del principio della figura, «si può riconoscerlo dal suo saper scorgere
gli universalia in re», cioè, secondo il senso di questa espressione
scolastica, i p1incip1 trascendenti, superindividuali, in quanto sono in
atto nella realtà. Perciò ogni dualisn10 speculativo, al Tipo appari­
rebbe come una specie di "eresia" o di "alto tradimento spirituale". Dal
dualismo, dice lo Jiinger, derivano <<tutte le antitesi di potenza e di diritto,
di sangue e di spirito, di idea e di n1ateria, di arnore e di sesso, d i
anima e di corpo, di uomo e di natura, di spada spirituale e spada

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secolare, antitesi appartenenti ad una Lingua che dovrà esser sentita come
straniera)>. Secondo il nostro autore, coteste antitesi alimentano anco­
ra un interminabile discorso dialettico, hanno una azione corrosiva e
alla fu1e conducono al nihilismo «perché, con esse, tutto si trasforma in
via di evasione». Ciò dunque conferma l'idea, che lo Ji.inger pel com­
porta1nento umano abbia essenzialmente in vista un ideale di inte­
rezza attiva, anche se a tale riguardo egli si ferma al se1nplice enunciato,
mentre partendo da esso avrebbero dovuto essere chiariti molti probÌemi
essenziali della vita interiore, e prevenute deviazioni e sfaldamenti a
cui non poche correnti spirituali del nostro tempo ha dato luogo lo
sposare una confusa religione irrazionalistica della vita.

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Sovranità dell'Operaio

L'arte, la cultura e la Gestaltung nel inondo del Tipo

Lo Jiinger si soffenna più a lungo sul problema dell'arte o, per dir


n1eglio, di quella che egli chiama Gestaltung, termine tedesco che
designa ogni attività creatrice di fonne, oltre all'arte in senso stretto,
tradizionale.
Si è già accennato che nel diorama dell'attuale epoca di transi­
zione, tracciato dallo Ji.inger, il paesag1;,rio da cantiere o da fucina avrebbe
per controparte una "attività da museo" (musealische Téitigkeit). L'e­
spressione è stata cortiata per tutte quelle forme culturali e artistiche che
forrnano il retaggio residuale dell'èra borghese. Per il fatto che il prin­
cipio del lavoro non si è ancora creato un proprio stile univoco, è l'at­
tività da museo a rie,npire in prevalenza lo spazio intellettuale del nostro
te1npo.
L a veduta dello Ji.inger è la seguente: esistettero opere e fonne gene­
rate a suo tempo da una forza creatrice inti1namente legata alle figure
di base di vere civiltà. La connessione essenziale, viva, elementare del­
l'artista con queste figure è andata onnai perduta; ciò non pertanto ci
si sforza dj riprodurre quelle forme e di conservarle come criterio di
misura per tutto ciò che è arte. Ci si dovrebbe invece chiedere, se non
siano intervenute nuove situazioni prirnordiali, la cui realtà non ha
ancora trovato una espressione tangibile nell'arte, e non ci sia dunque

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stata già data una libertà di cui s i deve unicamente apprendere l'uso. Lo
Jiinger spiega con questo stato di fatto l'improduttività e la non-crea­
tività spesso rinfacciate alla nostra epoca nel dominio estetico. Egli parla
anche di «un feticisn10 storicistico che sta in rapporto diretto col difetto
di forza creatrice}>, giudicando che tutto quanto riguarda «la conserva­
zione e la riproduzione dei cosidetti valori della cultura ha assunto tali
propor.tioni da far apparire necessario un alleggerimento del bagaglio».
Egli aggiunge: «La cosa peggiore non è che intorno ad ogni guscio
già rivestito e smesso dalla vita si formi una cerchia di critici, di inten­
ditori e di collezionisti, perché ciò, in fondo, in n1aggiore o 1Tiinore
1nisura è sempre accaduto. Più preoccupante è invece il fatto, che questo
traffico genera un complesso di valori stereotipi il quale cela una apatia
profonda. Qui si giuoca con l'ombra delle cose e si fa pubblicità al con­
cetto di una cultura estraniatasi da ogni forza primigenia: tutto questo,
in tempi in cui l'elementare sta di nuovo penetrando nello spazio
vitale con le sue inconfondibili esigenze>>.
Alcuni ritengono che la creazione originale oggi venga ostacolata
daJle situazioni e dai 1neZ7j specifici dell'epoca tecnica. Ma per lo Jiinger
«tali mezzi non sono impedimenti, bensì pietre di prova della forza crea­
tiva, la misura della quale sarà data dalla capacità di impiegare unita­
riarnente proprio quei 1nezzi: cosa impossibile finché sussisterà l'idea
dell'antitesi fra inondo organico e inondo meccanico. Tale idea tradisce
soltanto una .fiacchezza, la perplessità suscitata dall'entrata in azione di
leggi diverse, ma per nulla puramente meccaniche. Si indulge in ten­
tativi i quali, in fondo, manifestano la volontà di esser originali nel senso
individualistico. Invece si deve riconoscere l'esistenza di uno spazio in
cui oggi vige una originalità assai maggiore di quella del mondo del­
l'individuo». Si torna quindi ad accusare quell'arte contemporanea che
non partecipa affatto agli antichi valori di una qualche "figura" ma ne
vive da parassita mentre svolge una polemica contro il clima e i 1nezzi
di oggi, pole1nica dettata dalla volontà di distogliere lo spirito «da quello
spazio più duro e più duro che sarà il teatro dell'attività decisiva}}.
Questa attività avrà per oggetto forme aventi un carattere non più
soggettivistico ma "tipico". Evidentemente, è la stessa direzione
lungo la quale l'individuo dà luogo al tipo, incarnazione della nuova
figura. Lo Jiinger rileva che parallelamente ali'avvento della borghesia
e della democrazia mentre l'arte si era assolutizzata e generalizzata, sì
era anche affermata l'idea che essa è essenzialmente una manifesta­
zione individuale. Tale orientamento ha culminato nel culto del genio
proprio al XIX secolo. «Così la storia dell'arte si è essenzialmente
presentata come una storia delle personalità e le stesse opere d'arte sono

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valse corne tanti docun1enti autobiografici. In con·elazione con ciò sono
venuti in primo piano i generi artistici in cui il fattore soggettivistico e
individuale predo1nina, con un regresso di generi oggettivi, corne la
scultura e l'archjtettura». Più in generale, il concetto stesso della cul­
tura è stato influenzato da quello di individuo: «la cultura è stata rife­
rita ad uno sforzo individuale, al sentirnento di una esperienza unica e
ali'importanza di essere autori... L'opera creativa si svolgerebbe in
uno spazio speciale e eccezionale, nella superiore sfera dell'idea­
lis1no, in ro,nantiche evasioni dalla vita giornaliera o nelle zone esclu­
sivistiche di una attività astrattarnente estetica. In corrispondenza, come
soggetto di cotesta attività si è presentato chi possiede facoltà uniche,
straordinarie, non norn1ali perfino in senso patologico. Tale rango è
tanto più elevato, quanto più cresce l'importanza della 1nassa, data la
con·elazione esistente fra questi due poli del n1ondo borghese: nulla
accade nell'un polo che non si ripercuota sull'altro. Quanto più la massa
cresce, tanto più si sente il bisogno di grandi individualità, nelle quali
le particelle di essa vedono la loro confenna. Questo bisogno ha finito
col produn·e uno strano fenon1eno dei nostri giorni: l'invenzione del
genio artificiale che, sostenuto dai mezzi della pubblicità, ha il compito
di incarnare la parte avuta in altri te1upi dalle grandi personalità. Anche
a queste figure viene tributato un culto particolare, in cui ciò che è
personalità vien riportato alle prospettive del semplice individuo. Così
si spiega il sorprendente successo avuto da certa letteratura biografica
contemporanea, la quale in fondo tende unicamente a dimostrare che
non esistono degli eroi 1na soltanto degli uomini, cioè degli indi­
vidui».
Tutto ciò è di pertinenza della fase terminale del precedente periodo.
Pel nuovo inondo sarebbe caratteristico un orientamento del tutto
diverso, l'idea che «in una vera cultura la vita e l'attività estetica for-
1natrice sono troppo intimamente connesse, perché il possesso della
forza creativa possa essere considerato come qualcosa di unico, di straor­
dina1io e di miracoloso. Qui il meraviglioso si trova dappertutto, rientra
nell'ordine. Non esiste perciò una cultura nel senso oggi divenuto
correote».
Lo Ji.inger aggiunge: «Come il sentimento moderno della natura
attesta una scissione avvenuta fra l'uomo e la stessa natura, del pari quel
concetto di cultura è segno della distanza dell'uomo moderno dalla crea­
tività vera. Non si riesce più a concepire che delle forine possano
esser create senza sforzo, con un movi1uento che è già espressione e
rappresentazione di una n1isura; che qtùndi possa esistere una cultura

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le cui opere sorgano come piante dal suolo o ricevano la loro i1npron­
ta da leggi cristalline».
Qui si ha un curioso 1icorso, di là dall'individualismo borghese, circa
ciò che è positivo e che dovrebbe caratterizzare l'arte e, in genere, la
Gestaltung: nel futuro inondo dell'operaio si finisce con l'attribuire
all'arte gli stessi caratte1i di quella tradizionale, presa nel suo senso più
rigoroso, cioè di quella delle origini, avente in proprio, cotne si sa,
uno stile di anonin1ia e di tipicità sunbolica. Per illustrare la sua idea
lo Ji.inger rimanda proprio, co1ne ad un esempio persuasivo, ai «pae­
saggi di tombe e di templi in cui rapporti costanti e semplici, monu-
1nenti, fom1azioni di colonnati, on1amenti e simboli ricorrono in una
solenne unifomtità e coi quali la vita si circonda di unagini ben deter­
minate, univoche. Tutto ciò presenta una pienezza e una conchiusa
unità». Egli inoltre rileva che la tipicità, l'impersonalità tradizionale, la
mancanza di originalità in senso individualistico proprie a tali paesaggi
nel loro insieme si ritrovano nei particolari. Ricorda come i visi delle
statue greche si sottraggano alla fisiognomica, così co1ne al dram,na
classico esulano le motivazioni psicologistiche; rievoca le civiltà
nelle quali gli attori si presentavan.o con maschere, gli dèi con teste di
animali, in cui «una caratteristica della forza formatrice era il pietrifi­
care certi simboli fissi in una eterna ripetizione ricordante quella dei
processi naturali». Dinanzi a tale mondo "tipico", dice lo Jiinger, «l'e­
straneo prova non già dell'arnmirazione ma del tin1ore, e ancor oggi la
visione notturna della grande Piramide o quella del tempio solitario di
Segesta sotto il sole della Sicilia non possono non continuare a
destare un sentimento del genere».
Orbene, «a tm tale mondo, che ha la satura intensità dei circoli magici,
si avvicina anche .il Tipo incarnante la figura dell'Operaio... Le forme
di cui il Tipo è il rappresentante non hanno di certo nulla in comune col
concetto corrente della cultura: n1a esse presentano una incomparabile
unitarietà la quale ci dice com.e operi qualcosa di più della coscienza
riflessa». In questi tennini viene dunque definito l'à1nbito proprio all'at­
tività a1tistica nel mondo dell'Operaio. «Il diverso rango di tale atti­
vità sta nel suo non aver nulla in comune coi valori individualistici.
La rinuncia all'individualità è la chiave che apre all'uomo nuovi
spazi, la nozione dei quali da tempo era andata perduta». Se tutta la p r o ­
ble1natica dello Ji.inger verte sul volgere il negativo nel positivo per
mezzo di un carnbiamento di seguo, di ciò troviamo un ese1npio carat­
teristico in queste vedute. Anche nel dominio estetico lo Ji.inger ha in
vista un processo che colpisce l'individuo per condun·e non verso il sub­
personale (come nelle forme livellate e standardizzate del periodo di

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transizione), bensì verso il super-personale: lo confènna appunto il pren­
dere per esernpio l'arte tipica e simbolica delle civiltà tradizionali, dove,
ancor fino al periodo gotico, in pri1no piano stava l'opera nella sua
oggettività, nel suo potere di esprin1ere nessi universali, e non l'autore
coi suoi problenli e la sua soggettività.
Peraltro lo Jtinger non trascura di accusare l'equivoco di chi n1et­
tesse in relazione le fonne tipiche e oggettive da lui intese, con quelle
create in un rapporto diretto con la rnassa e con l'industrializzazione;
delle quali i prodotti di tàbbrica in serie sono l'ese1npio. Questi ultimi
«hanno in con1une con le forme tipiche soltanto il carattere dell 'u­
niformità, e questo stesso tratto riguarda unica1nente l'esteriore. Vi è
una precisa differenza fra l'univocità propria' ai ciottoli di una marina
e l'univocità delle forme di tipo cristallino. E la stessa differenza che
intercorre fra l'atomo del XIX secolo e l'atomo del XX secolo,
ovvero fra le grandezze meccaniche e la costruzione organica». La tipi­
cità sitnbolica non deve esser dunque confusa con la vuota unifor­
mità. «Le forn1e tipiche sono incomprensibili, impossibili, irrealizza­
bili senza un preciso 1iferin1ento alla figura, con la quale esse stanno
in un rapporto da impronta a sigillo>>; appunto per il loro carattere rap­
presentativo e simbolico, esse, sebbene non riflettano nessuno dei valori
individualistici, «si distinguono dall'insignjficanza propria a quel che
si ritèrisce alla ,nassa astratta>>. E se per la fase finale della sovranità
dell'Operaio potrà anche concepirsi un affermarsi e ditiondersi dap­
pertutto delle forme tipìche, questa universalità non deriverà dal loro
corrispondere ad una società cosmopolita livellata secondo la fisima
razionalistica, bensì dal fatto che la figura umana ben determinata, uni­
voca, da cui esse derivano, è assurta ad una potenza formatrice dalle
dimensioni universali.
In opposto al concetto di arte e cultura come un dominio staccato
viene, in genere, aflem1ato ancor una volta che la vera forma non ha
nulla di straordinario; essa non può apparire isolatarnente, in recinti
chiusi e preziosi; deve 1nanifestarsi eguahnente in quanto rientra nella
vita ordinaria. Come ben si vede, anche questo è un ritorno a quanto
fu proprio a cìviltà tradizionali, dove non vi era do1ninio che in una certa
misura non recasse l'impronta dei temi elementari specifici caratteriz­
zanti ciascuna di esse. <<A creare la cultura e la fonna più alta nel inondo
del lavoro sarà chia,nato il Tipo, nella cui azione si esprimerà diretta-
1nente il carattere totale del lavoro. Una lingua di simboli immobili in
cui sì sensibilizzerà ìl puro essere andrà a testimoniare che la figura del­
)' operaio contiene più del semplice movirnento, che essa ha anche un
significato culturale».

l OI
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Con tutto ciò, dal dominio delle arti in senso ristretto si passa
ovviamente a quel più vasto donùnio a cui abbiamo detto corrispondere
l'espressione Gestaltung. Sì porrà il proble1na della Gestaltung di
un'area totale, nello stesso senso della potenza che l'avrà resa possibile
materiabnente. Se la n1obilitazione totale riguarderà «la trasformazione
della vita in energia quale si manifesta nella tecnica, nell'econornia e
nel traffico, col frullìo delle ruote o sui campi di battaglia come fuoco
e movi1nento», riferita invece alla potenza della vita «la Gestaltung
esprimerà l'essere e dovrà dunque servirsi di una lingua non di movi­
tnenti 1na di fonne».
Oltre che nei domin'ì speciali dell'arte, la Gestaltung in senso etni­
nente riguarderà lo spazio terrestre. «Non mancheranno di certo com­
piti adeguati ad una volontà che nella terra vede i l suo nlateriale ele­
mentare. Saranno compiti nei quali anzitutto si paleserà lo stretto nesso
che, dovunque la vita è in ordine, esiste fra arte e arte dello Stato. La
stessa forza che sul piano politico si 1nanifesta nella sovranità, nell'arte
si manifesterà come Gestaltung. L'arte dovrà ditnostrare che nei suoi
aspetti più alti la vita è da concepirsi come una totalità. L'arte non
sarà nulla di staccato dalla vita, e avente un valore autonomo, né vi sarà
dominio che non possa venir considerato anche conte rnateriale del-
1 'arte». fl cornpito più alto che nell'èra dell'Operaio può proporsi la
volontà artistica, è la for1nazione del paesaggio. «La formazione del
paesaggio in funzione di una idea è una delle testunonianze proprie ad
ogni epoca che conobbe una indiscutibile, inoppugnabile sovranità. Gli
esernpi più irnportanti ci vengono offerti dai grandi paesaggi sacrali
dedicati al culto degli dèi e dei morti, disposti intorno a fiumi e a
monti sacri». A tale riguardo, dalla leggendaria Atlantide con le sue
i,nmense costruzioni si va sino ai paesaggi della valle del Nilo, a
quelli dell'antico Messico, ai parchi nei quali imperatori cinesi tra­
sformarono intere provincie, ai giardini moreschi di Granada e alle resi­
denze di Bagdad. «Sono tutti esempi di una perfezione che suscita
una gioia quasi dolorosa. Sono testimonianze di una volontà bra1nosa
di creare paradisi terrestri. Tale volontà opera partendo dalla unità di
rutte le energie, delle energie tecniche, sociali e ,netafisiche ... Qui nulla
è isolato, nulla viene considerato troppo grande o troppo piccolo per
non stare al servigio del tutto. Chi ha un senso di questa tm.ità e di questa
identità dell'arte con una altissima energia vitale investente tutto lo
spazio, non potrà non riconoscere quanto siano assurde le nostre atti­
vità da n1useo».
Come è ovvio, il presupposto di queste prospettive del inondo del-
1'0peraio è sempre l'ipotesi di una occulta metafisica conte suo sub-

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strato. Solo cosl è possibile non ritenere paradossale, che paesaggi asso­
lutamente dominati dalla tecnica, nudi e matematici, pianificati, quali
si preannunciano in alcuni settori del rnondo conten1poraneo, posseg­
gano anche quell'anilna, quella diinensione spirill1aJe, simbolica e "cul­
turale" che è essenziale in tutti gli ese1np1 di Gestaltung tratti dallo
Jiinger dalle civiltà tradizionali del passato e presentati come rnodello.

Sui valori del Ti/JO

Prima di abbandonare questo carnpo e di considerare brevemente


le trasformazioni che sul piano politico-sociale dovrebbero preparare il
dominio dell'Operaio, vale fennarci ancor un 1nomento su ciò che lo
Jiinger adduce a difesa dei valori propri al Tipo.
Egli riconosce senz'altro che, per chi sia abill1ato a giudicare in fw1-
zione dell'individuo e della sua 01iginalità, non è facile riconoscere il
rango proprio all'uomo nuovo, al Tipo. Gli stretti rapporti che esso ha
col numero, la rigorosa univocità della sua condotta di vita e delle sue
istill1zioni, strutturate come costruzioni organiche, sembrano contrap­
porre nettamente il suo inondo a quello in cui si pensò che l'uomo
partecipa vera1nente, quale individuo, alla «superiore nobiltà della
natura». <d tratti metallici della fisionomia del Tipo, il suo amore per
le strutture 1nate1natiche, la sua scarsa differenziazione psicologica e la
sua stessa salute fisica poco corrispondono alle irnagini che molti si
fanno dei rappresentanti della forza creatrice. Il Tipo se1nbra legato alle
fo11ne della "civilizzazione", fonne divergenti sia da quelle naturali, sia
da quella di una "civiltà" (I) per una loro caratteristica n1ancanza di
valore».
Un argomento contro queste assunzioni e a difesa dell'idea, che
ciò che è tipico può avere un rango non inferiore ma perfino superiore
a quanto è individuale e individualistico, lo Jiinger ritiene di averlo
già addotto nel carnpo della cultura, ricordando lo stile proprio alle
antiche civiltà tradizionali. Un ulteriore argo1nento egli ora lo trae dal
inondo della natura, e noi lo riferiremo perché vi si palesa un interes­
sante spostamento di prospettive. Lo Jiinger rileva dunque che «là dove
la natura agisce formativamente essa manifesta una cura assai maggiore
per la definizione e la conservazione di forme tipiche che non per la dif­
ferenziazione dei singoli rappresentanti di coteste forme ... Nell'im-

( l) Pel significato cli ques1i 1ermini, si veda di nuovo la nota 2 dell'Introduzione.

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mensa varietà delle specie che popolano il nostro mondo vige una legge
rigorosa che cerca di garantire nette strutturazioni e la costanza scru­
polosa di ogni fonna, in ciò apparendo assai più 1nirabile che non in
quelle eccezioni su cui invece si po1ta generalmente l'attenzione. Non
vi è nulla di più regolare della disposizione degli assi dei cristalli o dei
rapporti architettonici di quelle piccole opere d'arte calcaree, cornee o
silicee che popolano il fondo dei 1nari; e non senza ragione vi è stato
chi ha pensato di fare una wùtà di misura del diametro d i una cella di
alveare. Nello stesso uomo quale essere di natura, cioè considerato nella
sua razza, sorprende l'alto grado di uniformità e di inevitabilità rive­
lantesi sia nel suo esteriore che nei suoi pensieri e nelle sue azioni».
Se non si vede tutto ciò, se si crede di riconoscere la vera forza f o r ­
matrice della natura non nelle figure conchiuse e tipiche 1na nelle varia­
zioni, nelle oscillazioni e nelle deviazioni, è perché alla natura è stata
applicata la stessa mentalità individualistica che ha fatto nascere il con­
cetto astratto della libertà. Da questa mentaJità deriva anche la teoria
biologica dell'evoluzione, che è una controparte della teoria economica
della concorrenza e di quella sociale del progresso nella storia; così
«la vita viene dappertutto concepita in funzione di finalismi e di
intenzionalità, 1nai come cahna espressione di sé stessa, nella perfe­
zione insuperabile delle forme tipiche», dove essa obbedisce non a un
meccanismo causale ma alla legge di sigillo e i1npronta. Ci si astenga
dall'applicare le categorie riflettenti l'individualismo: allora non sarà
difficile riconoscere quanto più adeguata alla realtà della natura, che
non l'evoluzionistno del XIX secolo, sia la dottrina della "evoluzione
vivente", della «evolu.zione intesa quale proiezione, nello spazio sen­
sibile, di archetipi», di forme originarie che esistono in sé e per sé (quasi
come le idee platoniche) e che, qualunque spiegazione e1npirìca venga
data al loro tnanifestarsi empirico, derivano da uno speciale atto crea­
tivo. (Qui lo Jiinger rileva, corne a questa teoria, in parte goethiana, che
con troppa disinvoltura il darwininis1no ha ritenuto superata, in fondo
si riaccosti la 1noden1a teoria delle "variazioni" del Driesch) (2).

(2) Hans Driesch (1867-1941 ), biologo e filosofo tedesco, iosegnò alle Università di
Heidclberg, Colonia e Lipsia. Continuatore delle ricerche e1ubriologicbe di Haeckel, viene
considerato dal punto di vista filosofico il 1naggior rappreseotante del vitalis1110 del XIX
secolo, che ebbe una notevole influenza sulla cultura dei pri1n.i decenni del Novecento.
Sostenne l'esistenza d.i un principio i11U11ateriale, che chiamò "entelechia", esercitante una
azione regolatrice sulla n1ateria. A suo parere la spiegazione fisico-cbitnica dei processi
biologici è insufficiente a spiegarli: è quindi uecessario ricorrere ad un agente individua­
lizzante di origine super-individuale (N.d.C.).

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Jn questa diversa prospettiva il criterio del valore è esso stesso
diverso. Non solo l'esempio delle civiltà tradiz1onali ma anche quello
di ciò che corrisponde alla forza creatrice più profonda della natura
andrebbe dunque a confermare il superiore rango proprio al tipico;
per contro, la concezione della civiltà, della cultura della perfezione
u1nana e del valore che si lega all'individualis1no borghese apparirebbe
come una anomalia: né il mondo tradizionale né il mondo della natura
la giustificherebbe. Secondo queste diverse prospettive il superiore
valore del singolo non starebbe dunque nell'esser individuo, ma appunto
nell'incarnare ed esprimere, in sé e fuori di sé, una "figura", presso ad
un alto grado di spersonalizzazione.
Per conto nostro, abbiamo già accennato al punto decisivo cli una
posizione del genere: è da vedere ben chiaro in quali situazioni ciò
che colpisce l'individuo o che lo esclude conduce non nel sub-perso­
nale ma nel superpersonale. In via di principio, il tipo e tutto ciò che
egli crea dovrebbero portarci di là sia dall'individualismo che dal col­
lettivisino, sia dall'Io isolato che dalla 1nassa: 1nanìfestazìoni, l'uno e
l'altra, del senza-fonna.
Riguardo all'uomo, si può aggiungere che lo Jtinger avrebbe potu­
to trarre ancor un argo1nento da un ulteriore riferimento all'antico mondo
tradizionale, orientale e occidentale: ricordando i caratteri "tipici" che
quasi se1npre hanno avuto, in quel n1ondo, le figure rappresentative: il
saggio, il guerriero, l'asceta, l'aristocrate e via dicendo. ln effetti, in
esse tutte il superpersonale e l'itnpersonale appaiono strettamente
congiunti.

Le forme politiche. Lo spazio totale del lavoro

Sulle parti del libro ove lo Jiinger considera gli sviluppi politico­
sociaJi, ci soffenneremo assai brevemente, percbé esse hanno un carat­
tere accessorio, provvisorio e talvolta perfino problematico, dovuto al
fatto che il libro fu scritto prima che si definissero alcune esperienze
politiche del più recente passato e cbe da esse si avesse il senso pre­
ciso delle deviazioni che possono determinarsi ove si assumano indi­
scriminata1nente posizioni in apparenza simili a quelle de L'Operaio.
Del che, lo Ji.inger del secondo periodo si è reso conto, anzi, direnuno,
quasi fm oltre il segno.
Riprendendo io esame il periodo di transizione, lo Jiinger rileva
cbe i processi che vi corrispondono tendono già ad abbracciare tutta la
Terra. Benché ci si trovi ancora nella fase rivoluzionaria, le dimensioni

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planetarie di essi sono già visibili. «li paesaggio da cantiere, tipico pel
nostro ten1po, cbe si suole designare corne paesaggio industriale, 1icopre
già in 1nodo unifonne la superficie ten·estre con le sue costruzioni e le
sue installazioni, le sue città e i suoi distretti. Non vi è più nazione su
cui non si stenda la rete delle strade e dei binari, dei cavi e delle onde
radiofoniche, delle linee aeree e di navigazione. Diviene sempre più
difficile discen1ere a cbe paese, anzi a che continente, si riferiscano le
irnagini fissate da un obiettivo fotografico ... Circa il paesaggio, ci si
trova dinanzi aJle stesse distn1zioni che hanno colpito la società umana,
dapp1ima nelle sue caste e nei suoi corpi, poi nelle forme della vita bor­
ghese. E noi sappiamo che distruzioni di tal genere sono troppo profonde
e hanno cause troppo fondate a che possano essere contenute, a che nuo­
ve armonie possano essere raggiunte prima di passarvi attraverso». «Non
vi è spazio o vita che possa sottrarsi a questo processo, processo che
da te1npo presenta tutti i tratti di una invasione barbarica nelle sue mol­
teplici forme di colonizzazione, di occupazione di continenti, di accesso
a deserti e a foreste vergini, di distruzioni sia di popolazioni primitive
che di culti e di antiche leggi di vita, di attacco visibile o invisibile contro
strati sociali e nazionali attraverso azioni di carattere rivoluzionario o
nùlitare. È pauroso il numero dei sacrificati che s'incontra in tale spazio,
e grande è la responsabilità. Ma chiunque sarà a vincere o a perire,
fme o trionfo annunceranno egualJnente il dorninio dell'Operaio».
La scena è dunque rnondiale: «Ha carattere di rivoluzione 1nondia­
le la tecnica, 1nezzo con cui la figura dell'Operaio rnobilita il mondo;
uguale carattere ha il Tipo, con cui questa stessa figura sta creandosi
una razza dominatrice. Nella loro natura segreta i mezzi, le anni, le
scienze tendono ad un dominio dall'uno all'altro polo, cosi co1ne gli
scontri fra le grandi unità vitali assun1ono il carattere di conflitti mon­
diali». In corrispondenza, anche lo spazio proprio alla figura e alla sovra­
nità dell'Operaio non potrà non avere dirnensioni planetarie. «È la super­
ficie terrestre, la quale verrà intesa co1ne una unità, in base ad un nuovo
sentin1ento in via di svilupparsi, sentimento abbastanza audace da spin­
gere a grandi costruzioni e da abbracciare tutte le tensioni esistenti in
quello spazio».
Allo stato att11ale, tali tensioni sono evidenti e si osserva uno strano
coesistere delle anticipazioni di un nuovo ordine con elementi di anar­
chia e di disordine. Per lo Ji.inger la causa principale di ciò andrebbe
ricercata nel fatto che le resistenze opposte da idee e forme di vita del­
l'epoca precedente non sono state ancora del tutto eli1ninate. Così nel
campo n1ateriale non solo le tensioni rna anche i disordini, le crisi e I.e
catastrofi di ieri e di oggi sarebbero derivate dalla circostanza, che il

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processo di industrializzazione e di tecnicizzazione ha avuto per suo
primo organo esecutivo l'individuo borghese e si è realizzato nel segno
della libertà borghese, cioè di una libertà astratta e senza vincoli; da qui,
il selvaggio regùne della concorrenza, della lotta econo1nica, dello sfrut­
tan1ento indiscrimÌilato di ogni risorsa. Ivla onnai appare sempre più
chiara la necessità di nlisure di carattere totale, di cui può essere capace
soltanto lo Stato, e, propriamente, un determinato tipo di Stato, il
quale si sostituirà alla democrazia liberale e sociale. Lo Junger
chiama democrazia del lavoro (Arbeitsde,nokratie) o Stato del lavoro
(Arbeitsstaat) il nuovo tipo di unità politica, nel quale si dovrebbe
ravvisare la forma che da un lato concluderà la fase sovvertitrice,
rivoluziona1ia e dina1nica, dall'altro preparerà quella statica e positiva
della sovranità universale dell'Operaio. Il lettore sapendo ormai del
senso dato dallo Jiinger al tennine "lavoro" è superfluo rilevare che la
stessa designazione "Stato del lavoro" non deve far pensare al siste1na
a cui ai nostri giorni si suole applicarla. E lo stesso vale, co1ne vedrerno,
anche pel termine "de1nocrazia".
Per lo Jiinger nazionalismo e socialisn10 sarebbero i prù1cìpi secondo
cui sono destinate ad orientarsi le forme politiche del presente periodo
transiz.ionale. Entrambi presentano un doppio volto. Per un lato, banno
il carattere dinanlico e livellatore tipico Ì11 tanti processi di tale periodo,
per cui vanno valutati alla stregua non degli scopi positivi prospettati
dalle corrispondenti ideologie, bensì dalla loro pura azione mobilizza­
trice preparatoria. Nazionalismo e socialismo hanno questo senso
quando continuano a basarsi sul concetto di individuo e di massa; come
sistemi appartengono, in tal caso, al XIX secolo. L'altro volto essi lo
mostrano là dove vi si trarusce anche la tendenza ili un nuovo tipo umano
a impadronirsi del potere. A tale riguardo, si tratterebbe della forma
attiva del Tipo, dell'uomo che desidera di esser libero non da qual­
cosa rna per qualcosa, e la cui esigenza è di «raggiungere una sicurezza
più profonda di quella che può dare tutto ciò che è pura armatura», di
avviarsi dunque «verso una supre1na definizione delle singole istitu­
zioni, scienze e attività in base ad una vita giunta a conoscere con
esattezza le proprie possibilità». Allora «le tonne fisiche si presente­
ranno come un sistema dalle caratteristiche completamente elaborate,
precise e adeguate, attraverso il quale la "figura" si rifletterà io w1a realtà
rnobile e rnolteplice. E non vi sararu10 attività parziali, d'ordine sia intel­
lettuaJe, sia artigiano, che non verranno ad essere delùnitate e, sirnul­
taneamente, potenziate dal loro svolgersi Ìil un regin1e ili servizio».
Nella misura Ì11 cui preparino tutto ciò, nazionalisrno e socialismo
sono qualcosa di più di due idee appartenenti al XIX secolo e, quindi,

107

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idealmente, al passato. li contributo al mondo del lavoro viene offerto
non dove si rivendica una libertà contro lo Stato, 1na dove si affenna
il noto concetto della libertà, in cui dominio e servizio fanno una sola
cosa. Lo Junger aveva indicato alcune tonne in cui si era preannunciato
tale orientamento accanto ad una trasformazione essenziale dei princìpi
politico-sociali professati in un primo tempo da nazionalisn10 e socia­
lismo. Così anche quando lo Jiinger non esclude che nella fase prepa­
ratoria per infrenare le forle messe allo stato libero dal processo di mobi­
litazione e di dissoluzione delle precedenti unità sorgano forme auto­
ritarie, non ritiene che sia il caso di parlare di dittatura. Non può esservi
dittatura, egli dice, dove libertà e servizio fanno una sola cosa. Dato che
i termini "democrazia del lavoro" o "Stato del lavoro" possono solo
creare degli equivoci per via del senso che essi onnai hanno assunto,
per indicare ciò di cui si tratta sarebbe forse acconcio parlare di Stato
organico o gerarchjco-funzionale. Per ese1npio, per quel che riguarda
la proprietà lo Jiinger dice che non tratterà di affermarla o di negarla
partendo da premesse ideologiche o tnorali, bensì di valutarla in rap­
porto alla misura in cui essa contribuisce alla mobilitazione totale.
«Nulla vi è da eccepire contro l'iniziativa privata nel punto in cui le si
assegna il rango di un carattere speciale del lavoro nell'ordine com­
plessivo», ordine che non dovrebbe essere quello di una burocrazia di
Stato, anche se lo Stato viene concepito come il soggetto della mobili­
tazione totale e del carattere totale del lavoro. Si accenna anche ad
una riforma dell'istituto parlamentare in un senso più o meno tecnico­
corporativo. Nel complesso, malgrado la parte che, come si è visto, nella
terminologia dello Jiinger ha l'espressione "totale", l'orientamento non
appare indirizzato verso il "totalitaris1no". «La costruzione organica
dello Stato», dice lo Jiinger, «non può essere arbitraria, non può
essere la realizzazione di una utopia, né accadrà che ad una persona o
ad un gn1ppo siano assegnate funzioni o compiti pei quali non siano
adatti. Verrà determinata dalla metafisica del .mondo dell'Operaio, e qui
l'elemento decisivo sarà la misura in cui le forze responsabili ne
esprimeranno la figura, come una affennazione del Tipo, di là dai valori
sia dell'individuo che della massa». Di rigore, non sarà nemmeno il
caso di parlare di una "conquista del potere" nel senso violento; il nuovo
stile sarà di per sé stesso rivoluzionario e rappresenterà una potenza.
Per questo lo Jiinger aflenna che il tipo di Stato previsto pel periodo
transizionale «non va confuso con una dittatura nemmeno qualord usasse
la tecnica dei plebisciti. Qualsiasi forza può esercitare un potere pura­
mente dittatoriale: invece il sistema che si ha in vista può essere rea­
lizzato soltanto dal Tipo nella sua fonna attiva. Al 1'ipo non è dato pren-

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dere misure arbitrarie. li suo potere è delimitato dai 1nezzi e dai co1n­
piti del mondo del lavoro e il suo avvento è legittimato da tutte le situa­
zioni che onnai contraddicono di fatto il concetto borghese della libertà
e i modi di vita basati su di esso>>.
Quanto alla fonna in cui, a seconda delle circostanze, potrà com­
piersi il passaggio al nuovo tipo di unità politica, essa, per lo Jiinger, è
secondaria; il passaggio potrà avvenire per opera di un ministro o di
un capo-partito in cui d'un tratto si manifesti il Tipo nella sua fonna più
alta, oppure attraverso un movimento nazionale o social-rivoluzionario,
attraverso l'ele1nento militare o, ancora, per l'iniziativa di un corpo di
funzionari, organizzatosi seguendo la nuova legge delle costn1zioni
organiche. «Nemmeno farà differenza che la conquista del potere si
compia sulle barricate o nella fredda forma di un dato piano di lavoro.
Infine, sarà irrilevante che il rivolgimento avvenga fra le acclama­
zioni delle masse e pel trionfo di una concezione collettivistica, o che
chi acclama vi veda la vittoria della personalità, dell'uomo forte».
Importa solo il punto di arrivo secondo il significato oggettivo che esso
avrà nell'insieme dello sviluppo: l'istituzione di un sistema organico
e non più "societario", di un sistema in cui il piano di lavoro si sosti­
tuisca al contratto sociale e alle carte costituzionali, in cui, poi, viga il
principio dell'essere in atto in posizioni ben precise e adeguate, con la
gioia e la libertà di questo esser i11 atto. «Il Tipo si sentirà responsabile
di fronte alle sue supreme possibilità, cioè di fronte al carattere totale
del lavoro, quanto più unitarie saranno le nuove strutture».
Il fattore essenziale pel rivolgimento auspicato sarà dunque «l'o­
rientarsi del Tipo attivo verso lo Stato», vale a dire una sua vocazione
politica. Allora si avrà «il passaggio di partiti, di 1novi1nenti e di isti­
tuzioni alla forma delle costruzioni organiche, in unità di nuovo tipo
che si potrebbero anche chiamare Ordini, e la caratteristica delle quali
sarà il loro avere un rapporto culturale con la figura dell'Operaio. Su
tale base un 111ovi1nento di ex-combattenti, un partito sociale rivolu­
zionario, un esercito possono egualmente trasfonnarsi in una nuova ari­
stocrazia in possesso di ,nezzi tecnici e spirit11ali decisivi. La differenza
fra tali grandezze e un partito del vecchio tipo è evidente: qui si tratta
di fonnare e di selezionare la sostanza umana, mentre un partito si sforza
sol.tanto di reclutare una ,nassa». Appunto nel parlare d i "Ordini", lo
Ji.inger si riferisce ancor una volta alla possibilità di una fom1azione del­
l'uomo tale da riflettersi perfino nei tratti somatici, possibilità a t t e ­
stata da tradizioni sia rnilitari, sia religiose, avendo però cura di preci­
sare che, nella sua idea, si tratta di cosa del tutto diversa «da quelle fan­
tasie di selezione e di 1niglioramento della razza che già fecero parte

109
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delle prime utopie politiche». ln essenza, possiamo dire cbe qui si tratta
del concetto delle élites portato su di un piano anche esistenziale. L'a­
zione fonnativa dovrà avere u11a carattere rigoroso. Dovranno anche
esistere scuole «in cui il lavoro deve rendersi visibile aJl'uorno come
stile di vita e come potenzà, mentre il momento soltanto econornico
avrà un rango subordinato, passerà in secondo piano». In un punto, è
detto che <(JlOn si tratta di disprezzare l'intelletto rna di averlo in sog­
gezione)>. Per esempio, fra l'altro si dovrà avere «un più preciso
istinto circa le cose che si vogliono sapere e quelle che non si voglio­
no sapere>>. Altrove si parla della élite «come di una specie di guardia)>.
A tale riguardo si presenta naturalmente aJla mente l'analogia con quel­
l'ordine dei "custodi" dello Stato platonico che qualcuno ha definito
come «la coscienza armata dello Stato». Uno dei cotnpiti essenziali di
questo gruppo selezionato sarà «La costruzione organica nel quadro delle
masse e delle energie prese in un n1ovirnento illi1nitato, che il pro­
cesso di dissoluzione della società borghese ha liberato». Qui viene
anche considerato un uso adeguato, coerente, antindividuaJistico e antia­
narchico degli stntmenti di formazione dell'opinione pubblica perfe­
zionati e potenziati dallo sviluppo della tecnica «in uno spazio in cui
la simultaneità, l'u11ivocità e l'oggettività delle esperienze crescono»
(grande sta1npa, radio, cinema, ecc.). In effetti, in 1nolte aree cotesti
mezzi sono oggi "in libertà", nel senso che sono nelle mani di gruppi
particolari e di forze spesso irresponsabili che ne abusano (può essere
istruttivo, noteremo, uno sguardo a ciò che accade in America). Così
viene ripetuto ciò che era stato già detto per la tecnica in genere, ossia
che un uso diverso, orga1lico, dei nuovi rnezzi «è possibile solo al Tipo,
perché lui solo ha una relazione metafisica, conforme alla figura, con
la tecnicro> e può considerate naturale la diversa lingua oggettiva cor­
rispondente a quei 1nezzi. Si apriranno allora prospettive per «un'azione
fonnatrice quale la libera opinione non è stata mai capace di attuarla,
parallelamente a quella che potrà estendersi alla stessa espressione dei
visi e al timbro delle voci». Circa la doppia, pericolosa faccia di pos­
sibilità del genere,
, attestata da esperienze di ieri e di oggi, non ci sof-
fem1ere1no. E evidente che tutto il sisten1a dello Jiinger poggia su di
una assunzione ottimistica, cioè sull'idea che le strutture conternplate
non portino oltre il mondo della libertà astratta e individualistica bor­
ghese solo per stare al servigio di forze assai diverse da quelle di una
civiltà del tipo detenninando una regressione. Torneremo breve1nente
su questo punto nelle nostre considerazioni conclusive.
Lo Ji.inger non crede che per la fase costruttiva possa avere un qual­
che senso riprendere precedenti tradizioni pre-borghesi, ad ese1npio quel-

11 O

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le connettentesi alla monarchia. «Certe forme sono troppo vulnerabili
perché possano essere ristabilite, una volta che siano state colpite».
Egli ripete, che «il dominio della situazione è da attendersi solo da
forze che, passate attraverso la zona della distruzione, in essa hanno rice­
vuto una nuova legittimazione». Lo Stato, o democrazia, del lavoro (che,
non dimentichiamolo, ha un carattere traosizionale e di n1ovimento, clliu­
derebbe un periodo e ne aprirebbe un altro) potrà anche avere alcuni tratti
simili a quelli degli Stati che esistettero prima della rivoluzione del Terzo
Stato, 111.a se ne differenzierà per un controllo di tutte le forze liberatesi
in seguito a tale rivoluzione.
Attualn1ente la situazione di fatto sarebbe che per un verso si
osservano io molti centri tendenze potenziali al don1inio, che dal­
l'altro oggi può parlarsi di un vero dominio meno che in qualsiasi
altra epoca. Si può seguire lo Ji.inger nel distinguere la realtà dalle
illusioni e dalle idee per quanto riguarda ciò a cui si è insensibilmente
giunti nell'epoca della "libertà" e delle conquiste socia.Li. Un socialismo
di fatto, da non con.fondersi con quello ideologico a programma in.ter­
nazionalistico-proletario, sta svolgendo un lavoro di mobilitazione dis­
solutiva «quale nessuna dittatura avrebbe mai potuto sognarlo» ed è
particolam1ente efficiente perché riscuote un consenso generale e si
richiama senza sosta al concetto borghese della libertà. La direzione
complessiva viene indicata dallo Ji.inger nei seguenti termini:
li singolo è un atomo determinato da influenze dirette. Non esistono
più articolazioni sociali organiche, di cui faccia parte; i legami esistenti
sono semplice1nente quelli di associazioni estrinseche e contrattuali,
nate come funghi dopo la pioggia, una volta che le divisioni dell'ordine
antico sono state distrutte. La diversità dei partiti è fittizia. Sia il
materiale u1nano che i n1ezzi di tutti i partiti sono sostanzialn1ente omo­
genei, così corne unico è il risultato cui conduce la con1petizione fra i
partiti. Ogni apparente diversità serve solo per dare al singolo la p o s ­
sibilità di mi can1biamento illusorio di prospettive e il senti1nento di una
libera scelta. ln realtà, qui le alternative non implicano vere decisioni,
ma appartengono alla tecnica stessa del sistema. Proprietà e lavoro sono
in regime di protezionis1110, quindi hanno li1nitate possibilità di n1ovi-
1nento. Alle 1noratorie, agli aiuti, alle sovvenzioni e ai finanziainenti,
alle n1isure assistenziali e previdenziali corrispondono altrettante forme
di controllo e di irreggimentazione. L'istruzione pubblica è schema­
tizzata. Dalle scuole e dalla università esce un materiale umano formato
in tnodo quanto 1nai nnifonne. La stan1pa e i grandi organi di infor­
mazione, lo sport e la tecnica perfezionano questa formazione unifor­
n1izzata dei singoli. Esiste, sì, una critica, 1na anche qui s'incontra una

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diversità di mere opinioni, non una differenza sostanziale. Non vi
sono istanze rivoluzionarie che oggi possano qualcosa sul corso della
scienza e della tecnica; non si è in grado di escludere l'uso di una sola
vite o di un solo dispositivo cinen,atografico. Una in.dipendenza e un
potere nei confronti del sapere, come quelli che si affennarono coi grandi
roghi di libri ordinati da sovrani orientali oggi appaiono inconcepibili.
Le donne har.mo lottato per prender parte al processo produttivo. Quanto
alle zone ufficialmente e aperta1nente socializzate, un socialista del 1900
oggi si stupirebbe nel constatare che I' i11teresse prù1cipale non si rife·­
risce ai salari 1na agli indici di produzione, che i.n esse per sabotaggio
del lavoro si può essere fucilati con1e il soldato che abbandona il posto,
che da anni i viveri sono razionati come in una città assediata. Queste
e tante altre cose che ancor neJ 1914 avevano un carattere di utopia, pei
nostri cootetnporanei sono divenute correnti. Nelle dette zone i n
modo drastico, altrove in ,nodo più attenuato, rna non diverso, il socia­
lismo ideologico si capovolge, perché, una volta venuto gradatamente
meno l'ostacolo, cioè la società ordinata in corpi e caste, e perfino in
classi, le posizioni sgombrate dall'avversario vengono occupate, e il
socialista non è più l'avvocato degli oppressi e degli sfruttati ma colui
che s'inserisce nello Stato e esercita il comando, le idee sociali origi­
narie conservando una se1nplice funzione di facciata.
Tale quadro, tracciato dallo Junger in base alla situazione già deli­
neatasi quando scrisse il suo libro, potrebbe essere validamente inte­
grato attraverso l'osservazione di fatti più recenti. Oggi si usa dare gran
risalto all'opposizione fra il cosidetto "inondo libero" ove nominal­
mente vigono ancora i sistemi derivati dal concetto borghese della
libertà, e il mondo controllato dal co1nunismo. Tale opposizione riguarda
assai più le ideologie di cornice che non la realtà pratica. «II socialismo
senza socialisti» (con1e qualcuno l'ha definito), la socializzazione e l 'u­
nifom1izzazione di fatto, il sistema di vincoli non sentiti tali, solo perché
divenuti ormai naturali in un clima generale di conformistno, riflettono,
negli stessi "paesi liberi", l'identico processo che in forme cn1de e coat­
tive si può osservare nell'area "non libera". A parte le sovrastn1tture
ideologiche, vi è da pensare che più si andrà avandi, più queste analogie
e queste convergenze, che in altra sede abbiamo studiato più da presso
(3), si accentueranno.

(3) Cfr. Julius Evola, Rivolta conrro il mondo moderno (I 934), Edizioni Mediterranee,
Roma' 1969, 11, § 16; e Il ciclo si chiude, a cura di Gianfranco de TU1TiS, Fondazione J.
Evola, Ron1a, 1991 (N.d.C.).

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Tale spettacolo, offerto dalle condizioni generali gradatarnente sta­
bilitesi dopo il crollo dell'ordine antico, tradizionale, e per effetto dei
princìpi livellatori del XIX secolo, è, per lo Jiinger, quello di un terreno
arato, che aspetta solo la semina. Le resistenze essendo insensibilJnente
le premesse per il nuovo tipo di Stato. Anche qui si tratta solo del pas­
saggio dalla fase passiva alla fase attiva, la fase passiva essendo appunto
quella "sociale", l'attiva quella dello Stato del lavoro. A tale riguardo
tutto dipenderà dal!'avvento del tipo attivo nello spazio spirituale vuoto
e privo di un vero principio d'ordine. Allora tutti i vincoli "sociali"
avranno un senso co1npleta1nente diverso e una diversa, reale legitti­
mazione. Al Tipo, perfino situazioni corne quelle della guerra, della
disoccupazione, dell'incipiente automazione, che imprimono il sug­
gello del senza-senso al singolo quale individuo, si presenteranno simul­
tanea1nente co1n.e fonti di forza per un'azione potenziata. Ed egli
saprà interpretare la nostalgia che, 1nalgrado tutto, «esiste nei sogni
dei cittadini del mondo cosi co1ne nelle dottrine superuomisticbe,
nella fede nelle virtù 1niracolisriche dell'econornia così come nella morte
cui va incontro il soldato sui campi di battaglia»: «l'unità d.i un dominio
cbe, dovere di fronte al Supremo, disponga di quella spada della potenza
e della giustizia cbe, sola, garantisce la pace dei villaggi, lo splendore
dei palazzi, l'unione delle genti». Corne è ovvio, il punto decisivo qui
è la legittimità del principio su cui deve gravitare il sistema dei vin­
coli virtuali della fase passiva, sociale, catnbiando segno. A questo
riguardo è importante il monito contenuto nelle seguenti parole dello
Jiinger: «Vi sono dei poteri dai quali si può accettare cosi poco un ordine
legale quanto si possono accettare doni da un truffatore senza divenirne
il complice».

Il termine ultù110

Si è già detto che lo Stato del lavoro particolare, a base nazionale,


per lo Jiinger non corrisponde però alla fase fmale; esso è da conside­
rarsi solo per quella transizionale. Si potrebbe anzi esser portati a rife­
rù·lo a situazioni eccezionali sùniLi a quelle per cui, nella Roma repub­
blicana, per un periodo limitato veniva contemplata l'istituzione spe­
ciale della dittatura, dice lo Jiinger. Ma anche se si tratta di condizioni
eccezionali, a suo parere esse sono tali da escludere un qualsiasi ripro­
dursi delle forme precedenti. I mutamenti delle cose e dell'uon10 tenuti
a prodursi nel can1po di forza dello Stato del lavoro incidono troppo nel
profondo, perché si possa concepire un ritorno al punto di partenza.

I 13
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Si deve andar oltre, ma il processo ulteriore sarà più ur1a estensione
che non una rimozione del nuovo principio. Potrà anche accadere che
l'affermarsi di Stati del lavoro nazionali porti a forme chiuse di orga­
nizzazione le quali, in vista del carattere planetario preconizzato per
la nuova civiltà, potranno sernbrare un regresso rispetto alla inten1a­
zionalizzazione e alla liberalizzazione proprie a molti aspetti dell'at­
tuale periodo transizionale. «Ma questo sarà come iJ retrocedere di chi
prende la rincorsa per un salto>>. L'attacco che all'interno delle
nazioni si porta contro le caste e le classi, contro la massa e l'i.ndividuo,
si estenderà alle stesse nazioni nella rnisura in cui esse concepiscano
ancora sé stesse secondo un rnodello "borghese": o atomicamente
sovrane, co1ne già fu pensato l'individuo del XIX secolo, oppure aggre­
gate estrinsecamente in forme societarie, senza nesSlUl principio sostan­
ziale e superiore di autorità e di ordine, corne nel XIX secolo all'interno
di ogni nazione fu concepita la vita pubblica conforn1e al contratto
sociale. Lo Ji.inger rileva che esistono già tendenze e inizi di formazioni
costruttive supernazionali, co1nportanti un attacco contro il principio
delle assolute sovranità nazionali. Si tratterebbe però di fonne imper­
fette, perché ancora non vi si realizza «l'identità di potenza e diritto,
con uguale accentuazione dei due termini»: o si è sulla linea dell'im­
perialismo con un sussistente sottofondo nazionalistico, si che la potenza
sopravva11za il diritto, o si tratta di strutture societarie nelle quali la
definizione teorica di una data area del diritto non ha la controparte di
una adeguata potenza e autorità (lo Jiinger aveva in vista, per questo
secondo caso, la ginevrina Società delle Nazioni; gli sviluppi futuri ci
diranno fino a che punto il ripullulare di essa sotto specie di ONU
cada sotto la stessa critica) (4). Nondin1eno coteste iniziative ancora
embrionali e imperfette rifletterebbero un fatto di portata più gene­
rale, cioè il fatto che al livello più alto, al livello proprio alla figura
dell'operaio, i singoli paesaggi pian.ificati, malgrado la loro conchiu­
sezza o chiusura, appaiono con1e tanti do1ninì particolari in cui si svolge
un unico processo fonda1nentale. Così si preparerebbe un dominio su
tutto il nostro pianeta di quella figura, e nella tendenza delle fon11e nazio­
nali che tuttora esistono a trasfonnarsi in unità che si avvicinano al 1·ipo
dello Stato del lavoro, si delineerebbe già la loro futura inclusione nello
spazio unificato di una irrunensa costruzione organica. La mèta sarebbe

(4) Com'è noto dagli esen1pi degli Anni Ottanta e Novanta (dal Libano alla Sonialia,
dall'Iraq alla Bosnia all'Albania) il rapporto fra "diritto" e "autorità" da un lato, "potenza"
dall'altro, è stato per l'ONU diverso a motivo di ragioni non solo pratiche 01a soprat­
tutto ideologiche e politiche (N.d.C.).

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effettivamente il dorninio del nostro pianeta, come supremo si1nbolo
della nuova figura. Solo ciò darebbe la misura di una sicurezza di là
da tutti gli sviluppi del "lavoro", pacifici o guerrieri che siano.
Sappiamo che per lo Ji.inger il carattere totale del lavoro corrisponde
anche al regin1e di una attivazione senza residuo delle energie. La guerra
moderna ne ha presentato l'esempio, come una istanza che si estende
a tutti i domini, facendo passare in sott'ordine ognj distinzione tra fronte
e patria, esercito e popolazione civile. La guerra come feoorneno pri­
rnordiale, e.lementare, ha fatto scoprire uno spazio nuovo, la dimensione
della totalità, disponibile per i movimenti dell'Operaio. I pericoli che
si celano in questo processo, dice lo Jiioger, sono ben noti. Si tratta di
superarli senza lasciar venir meno la tensione, il presupposto essendo
quella diversa formazione spirituale dell'uorno che è stata sufficiente­
mente cruarita nelle pagine che precedono.
Attuahnente vi sono punti della Terra in cui «Ja tendenza ad ab­
bracciare la vita nella sua totalità e a inetterla in fom1a è manifesta»,
anche se nel segno di idee contrastanti. Al che si accompagnano
ambizioni egemonistiche nell'organizzazione econo1nica e tecnica, in
un regime di competizione. L'accesso ad un inondo sicuro e con­
chiuso nelle forme non sarebbe da attendersi prima che, in un 1nodo o
nell'altro, si sia venuti ad una decisione, prima che ad Ltnità pluriine di
uno stesso rango sia subentrata una unità sovrana di rango superiore.
<<Non si può ancora sapere per quale via en1piri�a il problema di tale
sovranità sarà risolto», dice lo Jiinger, «appunto perché si è in regime
di competizione; n1a qualunque sarà la soluzione, a chi la attuerà, si trat­
terà sempre di una realizzazione legata alla figura dell'Operaio». Per
conto nostro, riteniru110 però che uno sguardo realistico dato al n1ondo
attuale e anche a quanto può attenderci nel più i1nmediato futuro non
può non lasciarci dubbiosi circa quest'unico, necessario esito: lo accen­
neremo nel concludere.
L'unità dello spazio del lavoro è il tennine ftnale. Da essa dipende­
ranno «la regolazione delle funzioni dell'economia e della tecnica, la
produzione e la distribuzione dei beni, la deli1nitazione e l'assegnazione
dei compiti per le nazioni». «Solo partendo da quell'tu1jtà saranno pos­
sibili azioni formatrici e sin1boli, grazie ai quali ogni sacrificio avrà il
suo co1npi1nento e la sua giustificazione: i.Jnagini dell'eterno, nella legge
ru111oniosa dello spazio e in 1nonun1enti che sfidano il te1npo».
Quanto al clirna generale, lo sfondo di esso ci è già noto: «L'atti­
vità fervida e il riposo, la vita seria e la vita lieve, ciò che è di tutti i
giorni e il clima da fest-a qui non potranno essere tennini opposti o, al
rnassimo, potranno esserlo solo subordinatarnente, presso ad un senti-

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1nento unitario della vita»: di una vita improntata dal lavoro concepito
come quell'
. <<elemento di pienezza e di libertà la cui scoperta deve ancora
avvenire».

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Co11siderazioni finali

Corne si è detto al principio, il nostro intento era di far conoscere le


idee de L'Operaio e non già prenderle ad oggetto di un esrune critico.
Cosi, per concludere, ci limiteremo ad alcune brevi considerazioni gene­
rali. Del resto, dei principali problemi considerati dallo Jiinger noi stessi
ci siamo occupati, e a dover passare ad una disamina critica dovre1nmo
in gran parte ripetere cose da noi già esposte i11 altra sede (1).
Più di un lettore avrà riportato l'impressione, che lo Jiinger forza le
tinte, quanto a diagnosi e prognosi dei tempi, perché oggi non sembrano
esistere in tale ntisura le tensioni, le distruzioni e i processi elen1entari
che fanno da sfondo alla dottrina dell'operaio. Sotto un certo aspetto,
ciò può essere vero; fra l'altro, si deve mettere in conto il fatto, che lo
Jiinger è anche un artista, e che in ciò cbe egli scrive la fantasia dram­
matizzante ha la sua parte. Per il resto, bisognerà riportarsi a quanto si
è già accennato nell'lntroduzione. Limitatamente all'area detta "occi­
dentale", se la concezione de L'Operaio può setnbrare controcorrente
o non necessaria, si è perché ci si trova come in un intermezzo, il

(1) Principahncnte in Rivolta contro ìl mondo moderno, cit., e Gli uomini e le rovine
(1953), Edizioni Setti1110 Sigillo, Rorna•, 1990. La problematica, riferita ai vari domini, di
un inondo in dissoluzione, insierne a quella degli atteggia,nenti che si propongono ad un
tipo urnano differenziato, è esaminata io Cavalcare la tigre (1961), Edizioni Mediterranee,
Rorna', 1995.

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clirna euforico del quale non dovrebbe tàr nascere troppe illusioni. Non
si può disconoscere la misura in cui anche in tale area si vive più o meno
alla giornata e in cui una fonda1nentale insicurezza si cela dietro
rnolte confortevoli prospettive o tacciate di progressistiche facilità 1nate­
riali. Naturaln1ente, ciò vale in prima linea con riguardo alla situa­
zione politica internazionale; e se qui si tratta anzitutto del regime di
tenace guerra fredda fra "Oriente" e "Occidente" con tutto ciò in cui
essa può anche sboccare, in più sul nostro pianeta tnolteplici sono i punti
in cui covano altri focolai di possibili esplosioni e, quindi, di attivazione
dell 'elen1entare.
Per quel che invece riguarda la vita i11 genere, ciò che lo .lunger ha
ricordato circa le emergenze dell'ele1ncntare con1e reazione agli ordi­
namenti razionalizzanti e confonnisti della società borghese non può
dirsi scontato. Og&>i vi sarebbe solo l'imbarazzo della scelta per rac­
cogliere una docu1nentazione adeguata e aggiornata di forme molteplici
di cornpensazione, di evasione o di rivolta, di nevrosi paudealiche, di
un regime di stupefacenti, di criminalità gratuita, di aperture anche col­
lettive verso il primitivistico e il sessuale (basterebbe ricordare il signi­
ficato deljazz, musica e danza, ai nostri giorni, e fenomeni analoghi)
(2). ·rutto sembra dire che il problema dell'eleo1eotare è tuttora attuale,
quindi anche quello di una vita integrata dì là dalle scissioni che sono
la causa dei fenorneni or ora accennati. Molte delle cose dette dallo
Jtinger sembrano esagerate solo perché una più acuta, non anestetizzata
sensibilità gli ha fatto cogliere quel che è coperto dalle apparenze e
nei casi in cui una crisi da 1nolti non è più sentita solamente perché dallo
stato acuto e sporadico è passata a quello cror1ico e generale.
Però, quanto alla definizione delle categorie specifiche per la for-
1nazione dell'uomo nuovo, antiborghese, il contributo dello Junger è
incompleto. Egli indica una direzione complessiva in relazione, soprat­
tutto, alla formula del realismo eroico e della civiltà del "Tipo". Di là
da ciò, con1e già si è rilevato, vi sarebbe da affrontare e da approfon­
dire tutta una serie di proble1ni umani specifici. Così occorrerà richia­
marsi a quel che il nostro autore scriveva nella prefazione, dicendo al
lettore che egli avrebbe dovuto andar oltre per conto suo, l'essenziale
non essendo l'una o l'altra 1nateria particolare trattata, rna «la sicurezza
istintiva della presa».
Precisato questo punto, possiamo fissare che significato è propria­
mente da ascriversi alla teoria ji.ingeriana del lavoro e del!'operaio nella

(2) Cfr. Cavalcare la tigre cit. (N.d.C.).

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visione con1plessiva dei te1npi. Qui è necessario riferirci alla conce­
zione tradizionale del corso involutivo della storia, da noi stessi illu­
strata nelle opere dianzi citate. 11 potere e il tipo predominante di civiltà
sono discesi dall'uno ali' altro dei quattro principali livelli in cui, di mas­
si.ma, si articolavano funzionahnente le antiche società: autorità spiri­
tuale, aristocrazia guerriera, borghesia, lavoratori. A parte i dettagli, è
ovvio cbe le società poggianti sul sacrale e sulla pl1ra autorità spirituale
ci sono ormai lontanissiine, e così si è chiuso anche il ciclo delle grandi
dinastie guerriere, mentre la rivoluzione del Terzo Stato, unitamente a
borghesia e a industrialis1no, ha mi.nato e scalzato ogni ordinamento o
legge di vita rifacentesi a quei più alti livelli. Infine, presso alla crisi
della civiltà borghese sta venendo in pri1no piano, in quadri generali
"sociali" o collettivistici, il Quarto Stato, quindi anche il principio ad
esso proprio, il lavoro, e il corrispondente tipo, il lavoratore, I 'ope­
raio. Per chi sia libero di pregiudizi, tutto ciò si presenta non come una
parti.colare speculazione o interpretazione, 1na co1ne la cruda realtà.
Uno dei sintonli del fatto che oggi ci si trovi più o 1neoo nella
quarta fase, è una generalizzazione del concetto di lavoro, che in qual­
siasi altro periodo sarebbe apparsa i11concepibile e aberrante. Quasi O!,'llj
attività oggi viene pensata e presentata sotto specie di lavoro. Mentre
nelle antiche civiltà tradizionali lo stesso lavoro poté spesso avere il
rango di un'attività creativa e di un'arte, oggi si è inclini a vedere frn
nelle arti e nelle attività intellettuali un genere particolare di lavoro, cioè
del tipo di attività che in altre epoche si connetteva unica,nent.e agli
strati sociali più bassi.
Ebbene, si sarebbe portati a pensare che nello scegliere i tenuini
"lavoro" e "operaio" e nel ricondurre al cornun deno1ninatore
"lavoro" tutte le forme di attività defmitesi con l'avvento della tecnica
e coi corrispondenti processi di mobilitazione attivistica del 1noodo,
lo Jiinger abbia subìto il cli,na del te1npo, sposando anzi quell'auten­
tica deviazione, per cui il lavoro viene concepito come scopo a sé stesso
e come chiave di una visione generale della vita. Ma se teniamo p r e ­
sente il diverso contenuto che il terinine "lavoro" ha nel suo libro, se
consideriamo che in esso il lavoro non ha più un significato econontico
e 1nateriale, che esso si associa al realismo eroico, che esso non è più
una grandezza sociale o collettivistico-proletaria, che ad esso ven­
gono riferiti nuovi, nudi rapporti dell'uomo antiborghese con l'ele­
mentare; infine, cbe nello Jiinger lo Stato del lavoro non corrisponde in
nulla a quel che oggi tale tern1ine designa, 1na si presenta co1ne una
struttura organica rigorosan1ente articolata dove si riaffaccia perfu10 il
concetto tradizionale di Ordine: se si tiene presente tutto questo, appare

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evidente il diverso senso che ha la teoria di .Ji.inger, quanto alla sua dire-
zione, al suo essenziale orientamento. E come se, prendendo le mosse
dallo stato di fatto, cioè da un mondo che sta tendenzialmente nel segno
del lavoro; ci si proponesse la via di un risollevarnento, di là dal punto
più basso del processo discendente. In effetti, presi nel senso jiinge­
riano, lavoro, operaio e Stato del lavoro non sono più categorie del
Quarto Stato, appaiono integrati con valori di carattere eroico, attivi­
stico e, in un certo senso, anche ascetico-guerriero. Peraltro, abbiamo
visto che anche genetican1ente I'attualis1no de L'Operaio non deriva né
da esperienze filosofiche, co1ne quello di certi epigoni dell'idealismo
assoluto, né da applicazioni del rnarxismo, com.e quello concepito in
certi settori dell'area comunista; è un attualismo "esistenziale" scoperto
per la prima volta da un tipo u1nano altan1ente differenziato fra le
esperienze della grande guerra. Cosi è come se ai processi potenzialmen­
te distruttivi per la civiltà del 'ferzo Stato, o civiltà borghese, venisse ri­
conosciuto soltanto un valore tattico, avendo come 1nèta positiva non
una civiltà del Quarto Stato, n1a strutture e leggi di vita affmi come spi­
rito a quelle proprie a civiltà del Secondo Stato. Non per nulla nello
Ji.inger, accanto al modernismo più spinto, ricorrono tuttavia re1nini­
scenze prussiane, cioè di una tipica tra.dizione del Secondo Stato. Non
solo: per gli accem1i molteplici alla "metafisica" del mondo del lavoro
e alla figura a esso sovraordinata, per gli esempi scelti da civiltà tradi­
zionali a sfondo malgrado tutto sacrale quando egli ha voluto dare una
suggestione delle forme ter1ninali, non più dinamiche, rivoluzionarie
e attivistiche, del mondo del Tipo, lo Jiinger si è spinto ancor più oltre
verso le origini. Questo è dunque il luogo e i l significato della teoria
dello Jiinger nella problematica del nostro tempo.
Quale sia l'istanza positiva più attuale del 'Operaio, lo abbiamo
accennato al principio: proporre un tipo di etica, di formazione del-
1'uomo (incidente perfino sulla sua sostanza vitale), uno stile e una
visione della vita che, pur essendo realistiche e decisamente antibor­
ghesi, sono di segno opposto rispetto a quelli del marxismo e del cotnu­
nismo. Il Tipo riprende ciò che di accettabile ha potuto presentare un
certo ideale u1nano attivo e realistico, alieno dal culto dell'individuo,
quasi ascetico, immunizzato contro il "decadentismo borghese", che
le ideologie estremiste di sinistra avevano già abbozzato: staccandolo
però nettarnente dal quadro del materialismo storico marxista. Nel con­
tempo esso raccoglie anche alcu1ù elementi di stile affacciatisi presso
correnti opposte, anticomuniste e nazionali, della rivoluzione mondiale,
ma pregiudicati da miti e da punti di riferimento non adeguati e non

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vagliati. In ciò sta, anzitutto, il particolare significato del libro dello
Jilnger.
Una volta riconosciutolo, si potrebbe essere portati a chiedersi se
lungo la direzione indicata non si delineino i tennini di una diversa alter­
nativa, di una terza via, rispetto all'antitesi di Oriente e di O ccidente
(il che vale quanto dire: dei massimi centri di potenza attuali della civiltà
del Terzo e del Quarto Stato), e in che misura cotesta terza via possa
avere un fun1ro.
Quanto al futuro, conviene far entrare in conto fattori problematici
che poco figurano nelle prospettive del libro da noi esaminato. Come
si è visto, lo Jiinger d à quasi per certo che, obbedendo alla sua
nascosta metafisica, l'èra della tecnica e del lavoro condurrà al mondo
del "Tipo" e alla sua sovranità. Ciò equivale a dire che non ci sarebbe
dubbio circa una futura civiltà universale, in cui l'elementare ridestato­
si nei tempi ultimi non sarà escluso 1na anzi assunto e fatto parte
integrante e positiva di una esistenza potenziata e perfino trasfigurata,
cli là da tutte le categorie, i valori e gli ideali di tipo borghese. Sta però
di fatto che l'elementare può anche prorompere conservando le sue
valenze negative, perfino demoniche; e questa possibilità, sufficiente­
mente attestata dai tempi ultimi, con inclusa la seconda guerra 111011-
diale, ne L'Operaio non è affatto considerata. Come si è visto, lo Jiinger
parla di una competizione in corso fra centri di potenza mondiale ani­
mati da un i1npulso ege1nonico, tanto da non escludere ulteriori con­
flitti; ritiene però che qualunque sia l'esito di tali scontri, chiunque sia
il vincitore o il vinto, sarà sempre la figura dell'operaio che alla fine si
affermerà e ordinerà Io spazio te1Testre. Tutto ciò e poco più di un ano
di fede. Bisogna pur considerare il caso, che fra gli antagonisti in lotta
vi sia invece chi possa rappresentare l'elementare proprio nelle sue
valenze negative e oscure, facendo un corr:i.spondente, terribile uso di
tutte le possibilità offe1te dal inondo della tecnica io ordine al soggio­
gamento non pure delle forze materiali ma anche dell'uo1no. ln un punto
lo Jiingerriconosce che deve ancora risultare quale delle varie forn1e di
volontà di potenza che si sentono vocate ad un'azione rivoluzionaria
mondiale «possegga una legittinutà». Ora, il criterio di legittimità per
l'operaio, che quasi soltanto v.iene addotto, quello del dominio sui 1nezzi
e sullo sviluppo tecnico, appare, a tale riguardo, ovviamente insuffi­
ciente.
Si e detto perché non è il caso di occuparsi delle opere più recenti
dello Ji.inger. Ma se si volesse considerare il libro che, in un certo modo,
fa da linea di demarcazione fra i due periodi dell'attività di questo scrit­
tore- è una vicenda romanzata si111bolica, a chiave, che si intitola Sulle

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scogliere di n1arn10 (Au,f"den Marmorklippen, Han1burg, 1939) (3) - si
dovrebbe riconoscere che lo Jtinger ha ben finito col considerare la pos­
sibilità negativa dianzi accennata. In effetti, l'ambiente di quel libro è
da ragna-rok, da "crepuscolo degli dèi". li mondo delle bassure e
delle selve, il n1ondo dei "Verrni del Fuoco" il cui capo viene chia­
mato l'Oberforster, in quel libro rappresenta effettivamente il mondo
dell'elementare nei suoi aspetti inferiori e distruttivi, di violenza, di
ignominia, di disprezzo di ogni valore urnano. E nella vicenda simbo­
lica, lo scatena1nento di esso travolge l.'opposto mondo delle Sco­
gliere di Marn10 dove sussistevano i sirnboli d i discipline umani­
stiche, del!' ascesi, di una vita patriarcale; lo travolge, malgrado la
resistenza organizzata dal rappresentante di una nobiltà ormai esausta
(il principe di San1nyra) avente al suo fianco quello di una astratta
volontà di potenza (Braquemart) inteso ad usare le stesse anni del­
l'avversario e, infine, colui cbe ancora aveva raccolto intorno a sé. quanto
restava di intatto, di non 1ninato, nelle forze di una gente legata alla terra
(Belovar). Si parla, sì, di scampati alla catastrofe e di una cattedrale che,
quando i te1npi saranno venuti, sarà costruita avendo incastrata nelle
fondamenta una reliquia da essi portata. Ma per quel ciclo, riferito
alle simboliche Scogliere di Marmo, il trionfo delle potenze suscitate
dall'Oberforster, cioè dell'elementare in senso assolutamente negativo,
è l'ultima parola, e si finisce con l'indicare corne unica speranza, che
«l'esperienza del fuoco distruttore sia valsa al singolo come la soglia
per cui si passa ad lLn mondo incorruttibile».
Se infine dovessimo esarninare scritti ancor più recenti dello Jiinger,
difficilmente vi si ritroverebbero le massime del cavalcare la tigre, dello
scoprire il luogo dove I'anna può essere afferrata dalla parte che non
taglia, del portarsi non nei settori dove ci si difende ma in quelli dove
si attacca. Anzi ne La via del bosco (Der Waldweg, Frankfurt, 1945)
(4), accanto ad un curioso riaffiorare di valori che il pri1no Jiinger
avrebbe certamente stigmatizzato come "borghesi", si finisce addirit­
tura con lo studiare il modo con cui l'individuo può occultarsi e resi­
stere invisibilmente in un mondo controllato da poteri totalitari, il che
vale quanto dire, accanto a strutture sul tipo dello Stato del lavoro,
ove però l'elen1entare si tnanifesta nei suoi aspetti negativi.

(3) Si veda in appendice l'articolo che Evola dedicò al libro quando apparve nel 1939,
e la bibliografia per l e varie edizioni (N.d.C.).
(4) lapsus per Der Waldgang. Cfr. Bibliografia (N.d.C.).

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Di fatto, i significati superiori che possono esser latenti nella ele­
n1entarità del inondo della tecnica e della macchina, e in tutta la vita
1noden1a, restano ipotetici. TI ca1nbia1nento di segno ritenuto, a ragione,
assolutan1ente necessario per rendere positive le trasfonnazioni speci­
fiche già in corso, deve ancora avvenire. Non si può essere per nulla
sicuri che, come dice lo Jiinger, con un certo pathos, alla fine del
libro, l'uotno oggi <<fra zone caotiche si dedica a temprare le anni e i
cuori, sapendo perfino rinunciare all'espediente della felicità»; in molti
casi, ciò che si vede è piuttosto il contrario. Quelli descritti, sono svi­
luppi soltanto possibili, dunque non tanto da constatare quanto even­
tuabnente da postulare e da detern1inare.
Inoltre, per assu1nere le posizioni de L'Operaio in ter1nini positivi
e per considerarle con,e il punto di partenza di una possibile via costrut­
tiva bisognerebbe cominciare col riconoscerne il litnite e, quindi, la
necessità di una integrazione. Il liJrute, può dirsi che lo stesso Jiinger lo
abbia avvertito quando in un'altra sua opera, Strahlungen (5), dice
che L'Operaio avrebbe dovuto essere completato con una parte "teo­
logica" e quando usa, per le idee in esso contenute, I 'imagine di una
rnedaglia che ha una faccia forterrtente coniata mentre il suo rovescio
è informe, piatto. Come il lettore ha potuto vedere, nello Jiinger ricor­
rono di certo i riferimenti ad un ordine che trascende quello soltanto
eroico-attivistico, ordine che, in fondo, costituisce la condizione affinché
quest'ultimo possa avere un senso profondo e una giustificazione:
perché se il lavoro nel senso co1Tente, materiale, non può essere con­
cepito corne fu1e a sé stesso, in fondo si può chiedere a cbe serva tutta
la rnobilitazione propria allo stesso lavoro, nel senso non corrente ma
jiingeriano. E il realismo che viene attribuito al tipo dovrebbe escludere
ogni pseudo-giustificazione in base ad una confusa, ebbra mistica del­
l'azione e della vita.
Il lato più suggestivo delle prospettive de l'Operaio rigua.rda un
mondo assolutamente n1oden10, tecnico, realistico, essenzializzato, libe­
rato dalle nebbie e dai vincoli individualistici, oggettivo, e pur avente
una sua rnetafisica. La presenza, o rneno, di quest'ulti1na, è il punto
decisivo per i 1naggiori problemi affrontati. Cosi se si deve considerare
corne semplicen1ente preparatoria l'azione probletnatica esercitata, nei
termini a suo luogo esaminati, dall'attuale socialis1no di fatto e da
altri fenomeni del genere, e se si deve passare alla fase attiva, dichia­
randosi per il nuovo tipo di Stato, è decisivo il problen1a del fondao1ento

(5) Pubblicato nel 1920. Si veda anche la bibliografia finale (N.d.C.)

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ultirno dell'autorità, di quel crisma o sigillo che, co1ne dice lo Jiinger,
«per essere direttamente dato reca anche i segni che chi è pronto ad
obbedire sa subito leggere>). Il problema si fa ancor più grave quando
lo Ji.inger dice che alle superpotenze mondiali in competizione dovrebbe
subentrare un potere sovraordinario di rango diverso: cosa che è quasi
un riproporre un tipo di autorità sul genere di quella che nel Medioevo
rivendicò il Sacro Romano ltnpero di fronte alle sovranità particolari.
Il piano proprio ad una giustificazione superiore, cioè alla altezza
di questi e di altri proble1ni, non può essere che il piano puramente
spirituale . Ma che spazio lascia la tecnica e il presupposto di essa, la
scienza di tipo moderno, ad una visione non soltanto attivistica o a g o ­
nistica, 1na veramente spirituale del mondo? È evidente che la scienza
di tipo moden10 comporta una completa desacralizzazione della visione
del tnondo. La sua unica giustificazione è proprio quella pragmatica
accennata dallo Ji.inger dicendo che i siste1ni di essa sono si.sterni del-
1 'operaio e 1nirano alla 1nobilitazioue e al do1ninio delle potenze della
realtà. In che 1nodo, in che termini possa tornare a rivelarsi e a farsi
valere concretamente una ditnensione spirituale, sacrale o metafisica,
della realtà in una umanità che concepisce l'universo in puri tennini
di scienza rnoderna e di tec1ùca, quindi in un modo disanimato, è dif­
ficile itnrnaginarlo. Ma il punto essenziale è proprio questo; altrimenti
quel parlare di "metafisica" finisce quasi col ridursi a un puro suono.
Dì "teologia" lo Jiinger, nel passo citato, ba peraltro parlato in senso
generico, anzi analogico, senza riferirsi ad una particolare religione
positiva, quindi nemmeno al cristianesimo. Circa quest'ultimo, egli anzi
in un punto de L'Operaio dice che I'orienta1nento spirituale dell'ope­
raio non è meno distante da quello di un'anima cristiana di quanto questa
lo sia stato dagli dèi dell'antichità classica. L'aver scelto «la via della
salamandra, che passa attraverso il fuoco>> e il «taglio del cordone 01nbe­
licale» insito nel realisn10 eroico, fanno si che l'uomo nuovo si trovi,
in ordine al problen1a dei significati e delle giustificazioni ultime, in
una posizione difficile; egli non può contare su ciò cbe il mondo tradi­
zionale (tnolti motivi del quale, come si è visto, pur si tradiscono nelle
sue rnigliori nostalgie, paradossaltnente associati alla più spinta,
cruda modernità) potrebbe offrirgli per integrarsi in tennini tali che
sia anche prevenuta in anticipo la possibilità di cedimenti e di cadute
e sia stabilita una netta differenza qualitativa, di rango, fra il suo
diritto e quello di coloro che potranno essere i suoi antagonisti. Il tipo
ha dunque dinanzi a sé uno spazio spirituale vuoto. Il suo problema cen­
trale sarebbe di tener fenne le posizioni e di trovare, nel conte,npo, una

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"teologia" adeguata, diversa solo nella forma, non come livello, da
quelle proprie alle grandi correnti tradizionali di precedenti civiltà.
Se prescindiamo dalle prospettive finali ( che tuttavia dovrebbero
essere chiarite fm dall'inizio, perché soltanto esse possono differenziare
già in partenza i vari orientamenti), il valore delle teorie dello Jiinger
in relazione al n1ondo d'oggi può essere riconosciuto in tennini di etica.
Di fronte al materialisrno econotnico, di fronte agli ideali di una pro­
sperità banale quasi da bestiame bovino e alla corrispondente borghe­
sizzazione degli stessi gn1ppi che avevano ostentato la divisa dell'an­
tiborghesia, é indubbio che l'operaio jiingeriano rappresenti un tipo più
alto: vi si riflette, ahneno, l'atteggiamento spirituale antiedonistico e
anche antieuden1onistico del con1battente di rango della grande guerra,
nei tern1ini di una forza positiva1nente, in1personahnente fonnatrice.
Uomini pronti a seguire non chi pro,nette ma chi esige, questa
sarebbe certamente la pre1nessa di una superiore civiltà. Se un tale
tipo u,nano fosse poi anche da tanto, da controllare lo sviluppo illirni­
tato dei mezzi, da imporre ad esso un limite, affinché essi stiano real-
1nente al servizio di quel che è davvero degno di essere perseguito,
un'altra auspicabile premessa per un ordine nuovo sarebbe realizzata.
Essenzializzare, "alleggerire il bagaglio" mettendo da pa11e quel che
si è riconosciuto essere soltanto vuota, sopravvivente forma, tenuta in
vita dai pregiudizi e dal confonnis,no, eleggere dunque tm realismo per
nulla sinonimo di materialismo, è, di nuovo, un tratto positivo. Inftne,
se si ha in vista lo spazio che nei paesi detti liberi ha una generazione
da dirsi non bruciata, secondo l'abusata, scontata formula, 1na piuttosto
franata, disgregata o traumatizzata, se si hanno presenti tutte le forme
di compensazione derivate dalla carenza di un senso profondo dell'e­
sistenza e di leggi di vita capaci di organizzare gli strati più profondi,
elementari dell'essere; se si tiene conto di tutto ciò, il principio del
"lavoro" nel senso jiingeriano, cioè in quello di un esser completamente
in atto di là dal.le antitesi dell'individuo, in una insofferenza per le
evasioni e in una nuova libertà, ben diversa dall'anarchia benché pas­
sata attraverso l'anarchia, anche questo principio si presenta come un
punto positivo di riferimento, e se nel inondo d'oggi si annunciassero
tendenze in una tale direzione, secondo ciò che a suo te1upo lo Jiinger
aveva creduto di ravvisare in alcuni settori della nuova generazione
(anche se «cotne bandiere tattiche destinate ad indicare la direzione di
1narcia ad eserciti ancora lontani>>), ciò potrebbe solo valere come un
sintomo favorevole.
Raggiungere tali linee, sarebbe il ptimo passo. La fase ulteriore,
legata ai problemi e ai significati ultimi di natura specificamente spi-

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rituale poco su accennati, sen,bra difficile ad i1runaginare (per le ragioni
dette) senza partire da qualche fatto itnprevedibile d'ordine non sem­
plicemente umano. Anche in un n1ondo che non fosse quello del
1naterialisn10 contemporaneo rna già quello dell'Operaio e del Tipo, non
si vede infatti come possa inserirsi, a rettificarlo e innalzarlo, la di1nen­
sione del non se1nplice1nente u1nano, la dimensione metafisica,
sacrale o trascendentale che dir si voglia: inserirsi, beninteso, in termmi
esistenziali e non già corne una qualche teoria o nuova credenza m a r ­
ginale.
Nel cainpo delle civiltà spesso si ripete quel che, secondo la teoria
delle mutazioni, accade in biologia: una certa, imprevedibile rottura
di livello è il principio che imptime un nuovo orientamento e dà una
nuova entelechia alla n1ateria vitale esistente. In parte, ciò lo ha anche
presentito lo Jiinger quando ha ripreso la dottrina della "figura": le
"figure", che non sono generate dalla storia, ma che col loro manifestar­
si determinano la storia. Bisognerebbe assumere tale idea su di un piano
superiore, realn,ente 1netafisico, senza però illudersi che si tratti di più
che una postuI azione in ordine ad una condizione che, ora co,ne ora,
nulla può dirci se e quando sarà realizzata: perché, ad attenersi ad una
considerazione oggettiva, già il passaggio dalle forme passive,
problematiche e dissolutive, del mondo moderno della tecnica e del
ntunero a quelle attive e legittime del "Tipo", è ancora lungi dall'esser
garantito.

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Nota

li presente saggio era stato interamente scritto e passato in tipografia


( l) quando è uscita una nuova opera dello Jiinger, intitolata Al niuro del
te,npo (An der Zeit,nauer). A differenza delle altre più recenti, di spi­
golature varie, essa in una certa 1nisura riprende le idee de L'Operaio:
tanto che nella .ristan1pa delle opere complete del!' A., annunciata dal-
1'editore Emst Klett di Stoccarda, essa sarà pubblicata insieme a tale
libro in uno stesso volu1ne.
Qui alla nuova opera accennere1no soltanto (2), perché essa poco
aggiunge a quel che a noi interessa. Infatti è particolannente di tneta­
fisica della storia, se non pure di escatologia, che essa essenziailnente
tratta, con vedute di carattere abbastanza ipotetico e spesso fanta­
sioso. Noi ci avvicineremo ad una "civiltà cosmica", l'azione dell'uomo
(dell'"operaio") essendo orinai in via di incidere sulle forze del
rnondo (sviluppi ultilni della scienza e della tecnica), rnentre il "fondo
primordiale" del reale co1nincerebbe a muoversi per generare nuove
struttule dell'essere. Da qui, una angoscia e una inquietudine "anteica"
(da Anteo) qua e là annunciantesi. Da qui il senso di "doglie di una

(I) Ciò si riferisce naturahnente alla prinia edizione che reca come data di stainpa il
23 settembre 1960 (N.d.C.).
(2) Una disan1ina più arnpia dell'opera - che lo stesso Evola tradusse per l'editore
Volpe - è nella Appendice (N.d.C.).

127
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iniziazione" da dare a tutte le crisi e le distruzioni provocate dalla civiltà
ultima e quello quasi di una oscura offerta per tutte Je sofferenze e i
sacrifici dell'ultima umanità. Da qui, infine, l'assoluto venir meno del
significato che già avevano tutti i precedenti concetti della vita
u1nana. ''Muro del te,npo" è inteso in n1odo analogo a "rnuro del suono",
cioè nel senso di un lirnite destinato ad essere infranto e trasceso. Lo
Ji.i11ger dice che come i te,npi preistorici e "mitici" non furono u11a parte
del nostro stesso te1npo (del tempo "storico"), rna ut1 tempo qualitati­
vamente diverso (l'idea era stata già sviluppata dal secondo Schelling),
del pari ciò che è tempo storico sta per finire, e un limite ci separa da
qualcosa d.i parimenti nuovo e di imn1inente, di trans-storico, discon­
tinuo rispetto a tutto ciò che abbiaino conosciuto come "storia" e alle
corrispondenti categorie.
Lo Ji.inger accenna anche a quel che noi dicevamo nelle nostre consi­
derazioni finali, in due punti. Anzitutto la "fine del mondo" è da lui intesa
come la fine di un mondo (di un ciclo), in un senso che potrà essere sia
catastrofico, sia positivo (con superamento della soluzione di continuità
e della cesura). In secondo luogo, in relazione a ciò, parla di una prova a
cui sarà messo l'uomo, per via di un processo necessario: quella di esser
capace di saltare il "muro del tempo", sboccando libero nel nuovo mondo.
In un certo modo, anche lo Ji.inger si riferisce alla necessità di quella impre­
vedibile "mutazione", di quella modificazione essenziale, spirituale e esi­
stenziale, da noi indicata come la condizione a che il mondo dell'"ope ­
raio" riceva un superiore cris1na nel suo eventuale affennarsi. In più egli
accenna ali'idea che nuove potenze ("metafisiche'') si celino dietro le forze
astratte e meccaniche del nostro tempo, come "presenze" già evocate, con­
troparte invisibile delle trasfon11azioni in corso.
Il libro contiene qua e l à intuizioni e considerazioni valide, 1nesco­
late però a fantasie e a dubbie speculazioni. Con1e sistematicità e con­
chiusezza non è al livello de L '0/Jeraio. Soprattutto, per affrontare seria­
rnente la metafisica della storia (concezione del tetnpo, dottrina delle
quattro età del mondo, escatologia ecc.), non possono bastare vedute
personali, anche se di una mente sagace e da artista; occorre invece
rifarsi a un sapere oggettivo, tradizionale, corne ha tàtto per esempio
un René Guénon e il suo gruppo e corne noi stessi abbiamo cercato di
fare, trattando analoghi problemi. Come si .è detto, i problemi essenziali
su cui abbia1no portato l'attenzione del lettore nelle precedenti
pagine, cioè quelli della formazione immanente di un superiore tipo
un1ano di fronte alle situazioni liminali, anche distruttive, del mondo
moderno, in Al ,nuro del te111po non hanno invece avuto ulteriori svi­
luppi. Senza l'ipotetico sfondo escatologico e diagnostico, questa pro­
blematica è stata da noi ripresa particolarmente nel libro già accennato,
Cavalcare la tigre.

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APPENDICE

Altri scritti di Julius Evola su Ernst Jiinger


(1943-1974)

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L'"Operaio" e le Scogliere di Marmo

Già da tempo è uscito un libro di Ernst Jilnger, uno scrittore che sem­
pre più doveva affermarsi con1e uno dei più signifi.cativi deHa G e r ­
mania contemporanea. Il libro s'intitola Der Arbeiter, cioè "Il lavora­
tore" o, se si preferisce, "L'operaio": esso s'intende a individuare il volto
delle forze che cercano di crearsi rivoluzionariamente un inondo nuovo.
In questo periodo, in cui n1olte cose assumono di nuovo un carattere
problematico, non è privo di interesse riprendere le considerazioni dello
Jilnger e presentire anche il nesso con cui esse stanno con le idee
espresse in forma romanzata in un'altra sua opera assai più recente,
uscita ora anche in traduzione italiana: Sulle scogliere di ,narmo (1).
Il centro del precedente libro dello Jilnger è costituito dall'esame
delle forme, nelle quali si co1npie, secondo una fatale, incoercibile neces­
sità, il superan1ento dell'èra borghese e individualistica presso a un
nuovo irrompere, nel mondo moderno, di ciò che egli chiama I"'ele-

(I) li libro Der Arbeìter è uscito presso la Hanseatiscbe Verlagsanstalt di An1burgo,


così pure l'edizione tedesca di Sulle scogliere dì 111ar1no (Aufden Marmorklippen), l'ot­
tima traduzione italiana del quale. curata da ,�lcssandro Pellegrini, e recante in appen­
dìce frammenti di altre opere dello Jiinger, è uscita quest'anno presso Mondadori.
(L'appendìce di un centinaio di pagine-poi eliminata nelle successive edizioni Rusconi
e Guanda del romanzo-comprendeva estratti da Soggiorno in Dalmazia e// cuore avven­
t11roso. Il ro1nanzo ebbe in Italia straordinario successo: uscito nel l 942, ebbe una ristampa
all'anno sino al 1945- N.d.C.).

131
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1ncntare", vale a dire delle forze più profonde della vita e della realtà
in genere. La preoccupazione costante del mondo borghese era di creare
una ennetica cinta di sicurezza contro tali forze. Appw1to la "sicurezza"
nella vita era il suo n1ito, che la religione della "ragione" doveva legit­
tin1are e consolidare: la ragione, per la quale l'elementare s'identifica
con l'assurdo e con l'irrazionale. Amare e volere il destino, la lotta, il
pericolo, tutto ciò appariva al borghese privo di senso, co1ne una aber­
razione da eli1ninare per mezzo di una adeguata pedagogia. Ma forze
più profonde ha1u10 ripreso il sopravvento. L'elementare, che come
un fuoco vulcanico se1npre cova sotto le contingenti costruzioni di
coloro che vogliono il vivere comodo e sicuro, si è riaffermato nel
mondo 1nodemo e, presso a esso, sorge un nuovo tipo umano, W1a nuova
generazione e una nuova civiltà, priva di rapporti con la precedente
(pp. 4 5 -46, 50-53).
Tale nuova generazione è appunto caratterizzata dal fatto di cono­
scere I "'ele1nentare" e di stare con esso in un rapporto, di cui il borghese
e la civiltà del l'erzo Stato non ebbero nemmeno un sospetto (p. 14).
Essa costituisce W1a specie di protesta realizzantesi direttarnente in una
azione che cerca la vita pericolosa. La sua parola d'ordine è un "rea­
lismo eroico''. 11 suo stile è la totalitarietà, la "mobilitazione totale" della
vita, su tutti i piani. Nel suo nuovo rnondo, appunto !'"elementare" è
una parte integrante. Esso produce una specie di catarsi, di purifica­
zione, nelle sue molteplici distruzioni. Impone all'uorno un impegno
assoluto. Enuclea gradatamente, di là da tutto ciò che sia "individuo",
sia "n1assa", quel che I.o Jiinger chia1na !"'assoluta persona" (p. 132).
Resosi palese l'alto tradimento che lo "spirito" ha consumato contro
la vita, si rende ora palese che esso ha trovato la sua sanzione in un
alto tradimento dello spirito contro lo spirito stesso, attraverso un pro­
cesso cli autoconsunzione (p. 40). Mobilitazione totale è, per lo
Jiinger, il portarsi di là dalle contrapposizioni di idea e materia, di sangue
e spirito, di potenza e diritto, di individuo e collettività, che sono tutti
concet1i legati 'a questa o quella prospettiva parziale del precedente
secolo (p. 42). E anche l'aver scoperto di nuovo che vita e culto fanno
tutt'uno (pp. 43, 154), e che vi sono cose assai più vicine e importanti,
che non principio e fine, vita o 1norte (p. 79).
Si tratta dunque di una "sostanza eroica", la quale è passata attra­
verso la scuola dell'anarchia, che ha vissuto la distruzione degli antichi
vincoli e che quindi può realizzare la sua pretesa di libertà in una nuova
èra, in W1 nuovo spazio e attraverso una nuova aristocrazia (p. 66).
In tema di libertà, questo nuovo tipo u1nano sente - di contro alle
vedute predominanti nella civiltà del Terzo Stato- che potere e servizio

132
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sono una stessa cosa. Obbedire, per esso, vuol dire arte di udire;
ordine significa prontezza all'azione, al comando, che con1e un raggio
folgorante corre dalla cuna alla radice. Così esso riferisce l'ordine e la
libertà non alla "società", bensì allo Stato. Per la sua articolazione, il
modello è costituito non dal "contratto sociale", bensì dallo stile del­
l'esercito. E il grado supren10 della sua forza è raggiunto, quando non
vi è più dubbio nei riguardi della funzione del guidare e del seguire, del
Fuhrertu,n e della Gejòlgschaft (p. 13). Il nuovo tipo non appartiene
più a una associazione o a un "partito", bensì a un "1novimento" o a
un "seguito", non conosce co1nizi, 1na marce (p. 97). Morire, per esso,
è divenuto cosa più facile, meno itnportante, meno tragica (p. 141 ). Nel
suo nuovo inondo il carattere di totalitarietà si esprirne anche nel
tàtto, che il singolo, lo voglia o no, ha una sua responsabilità nel tutto,
in cui è ripreso (p. 144).
Per caratterizzare questo nuovo tipo lo Jlinger usa il tennine Arbeiter,
cioè lavoratore o operaio. Benché egli avverta che un tale termine va
inteso in modo "organico" e che nel corso della esposizione esso assume
un vario significato (p. I 5), pure v'è da domandarsi, se esso non si
basi su di un equivoco fonda1nentale. L'Autore sottolinea che non si
tratta dell'avvento di un dato strato sociale, 1na di una nuova figura,
la quale compenetra di un nuovo senso ognj aspetto particolare della
esistenza, così come in altri ternpi tutte le forme della vita erano con1-
penetrate, per esempio dal senso cavalleresco (p. 64). Egli aggiunge che
come "lavoro" egli intende «la velocità del pugno, del pensi.ero, del
cuore, della vita di giorno e di notte, la scienza, l'amore, l'arte, la
fede, il culto, la gue1Ta: lavoro è la vibrazione dell'atomo e la forza
che ,nuove le stelle e i siste1ni solari» (p. 65). Si tratta dunque - con1e
forse direbbe Burzio - di "de1niurgicità", di una figura caratterizzata
appunto da una relazione diretta, attiva, totale con le forze della realtà,
con !'"elementare" in sé e fuori di sé. Non è però che con ciò l'equi­
voco cessi: anzi esso è confem1ato da precisi riferimenti al mondo
moderno della tecruca, così come subito vedremo. E lo Jlinger dice chia­
ra1nente che vi sono, onnai, due soli criteri: quello che ha per punto di
riferimento il "rnuseo" e quello che per punto di riferirnento ba invece
I '"officina" (p. 166).
Pur non identificando il tipo generale del "lavoratore" all'operaio
mdustriale, lo Jlinger riconosce che l'apparire di quest'ultirno ha con­
tribuito a'render palese I' unpossibilità del protrarsi delle vecclue fonne
(p. 74). E nel inondo della tecnica che egli vede più precisan1ente
prender fonna il nuovo tipo e il nuovo inondo. Il mondo della tecnica
per lui è appw1to da intendersi co,ne il simbolo di una figura partico-

133
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lare, di quella dell"'operaio": è il modo, «col quale la figura del lavo­
ratore mobilizza il mondo>> (pp. 72, 150). Il "lavoro" diviene così un
simbolo totalitario, è il corpo nel quale si manifesta oggi l'elementare
e la
.
potenza
'
con la quale un nuovo tipo u1nano, tuta nuova razza dovrà
m1surars1.
Lo Jiinger vede bene le distruzioni che l'ele1nento meccanicistico e
tecnico realizza. Ma ciò per lui costituisce solo l'aspetto contingente di
un fenomeno assai più vasto e, in ultima istanza, positivo. L'uomo -
egli dice - non deve cercare di scusare la sua impotenza col mettere in
rilievo il carattere disanimato dei mezzi di cui si serve. I mezzi pale­
seranno un significato nascosto nel punto in cui essi saranno pienamente
dominati, sì da farsi simbolo di un potere sopraordinato (pp. 192-3).
Allora si paleserà anche la legittimità della rivoluzione da essi provo­
cata. Allora la tecnica, con tutte le sue conquiste, apparirà come
un'armatura per insospettate rivolte e insospettate lotte, da avere non
meno cara di quel che l'antico cavaliere ebbe la sua spada (p. 44). La
fase della distruzione sarà sostituita da un ordine reale e visibile con
l'avvento di quella nuova razza, che saprà parlare la lingua nuova
della tecnica non nel senso del n1ero intelletto, del progresso, della
utilità o della co1nodità, 1na come una lingua "elementare", intensiva­
mente reale: e tale sarà anche il punto, in cui il volto dell '"operaio" rive­
lerà i suoi tratti eroici (p. 162). Il titolo di legittimità delJ'"operaio" con­
sisterà appunto nel padroneggiamento di forze divenute strapotenti e
nel controllo del movimento assoluto (p. 76). Bisogna rendersi capaci
di presentire le fom1e spirituali e la "metafisica" da cui sono n1osse le
1naschere metalliche e un1ane del te,npo nostro (p. 124).
Di "1naschere u1nane", peraltro, lo Jiinger parla anche in un senso
specifico. Un carattere fondarnentale del mondo nuovo, del mondo
del!"'operaio", infatti, sarebbe dato dal sostituirsi del tipo ali' individuo;
Mentre la gerarchia del XIX secolo aveva per 01isura l'individualità,
il criterio del secolo nuovo è la 1naggiore o minore corrispondenza a un
tipo, che si afferma dappertutto attraverso una rivoluzione si.lenziosa.
A tale tipo appartiene l'impersonalità. Esso non è insostituibile: è tale,
che un caduto può essere subito sostituito da altri, nello spirito di una
stessa tradizione o ftmzione (pp. 144-148). Corne scon1pare l'individuo,
così pure scompare, del resto, la massa come mera quantità - si va invece
verso nuove forn1azioni organiche e perfino qualitative. Vi è si da
constatare un irnpoverimento, un certo vuoto, una certa uniformità, visi
che assumono appunto i caratteri di maschere, distacco dal "colore",
dalla "varietà" perfino nei vestiti, nei gesti, nei riti, spazio sempre mag­
giore che l'elemento "uu1nero" e geometria prendono nella vita: .rna

134
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tutto ciò esprime una essenzializzazione, un potenzia1nento realistico
(pp. I J 0-122). Il criterio è ora l'azione oggettiva, senza grandi
parole, la rivoluzione senza retorica. E anche corne rivoluzione vera,
sociale, non si tratta orn1ai più di masse che si riversano confusa­
mente nelle piazze, ma di un gruppo di uomini decisi che s'impadro­
niscono dei gangli vitali di una città seguendo una tecnica precisa (p.
110). Gli uomini sono nuovamente tipici e importanti là dove essi, per
l'assenza di complicazioni intellettuali o sentitnentali, 1neno credevano
di esserlo: nella vita reale, nelle strade e nelle piazze, nelle case 'e nei
cortili, sugli aeroplani e nelle ferrovie sotterranee, dove si lavora. E qui
che si comincia a presentire una umanità che già si 1nuove seguendo
una comando invisibile e .senza parole (pp. I 31-2).
Si voglia o no parlare di nuova barbarie - dice lo Jiinger (p. S6) -
l'importante, tuttavia, oggi, è il constatare la nuova, indomita corrente
di forze elementari che si è i1npadronita del nostro mondo. Presso alle
ingannevoli sicurezze dei vecchi ordinamenti, esse sono troppo vicine
e troppo distruttive a che se 11e possa intendere il senso ultimo. La
loro forma di apparire ha dell'anarchia, è come il prorompere di un sot­
tosuolo vulcanico. Chi però crede, che un simile processo possa
essere frenato con ordinamenti dell'antico stile, appartiene alla razza
dei vinti, di coloro che sono condannati alla distruzione. Sorge invece
la necessità di ordinamenti nuovi, di ordinamenti basati non sulla esclu­
sione del pericolo, ma su di un nuovo connubio della vita col pericolo.
Il nuovo mondo dell'"operaio" per il singolo potrà significare non un
alleviamento, rna un aggravamento: n1a gli saranno anche date tor.le
nuove per padroneggiare il uuovo peso (p. 6S). Non ci si deve nem1neno
lasciare ingannare dal livellamento al quale oggi uomini e cose sog­
giacciono. Esso altro non significa, che la realizzazione del grado più
basso, della base del inondo del "lavoro". Dipende da ciò, che il pro­
cesso oggi appaia spesso, in un aspetto prevalentemente passivo,
come una cosa subita. Ma per quanto più la distn1zione e la trasfonna­
zione procederanno, di altrettanto si renderà visibile la possibilità di una
nuova costruzione organica (p. 148).
Lo Junger, in realtà, non solo parla di "rniliti ignoti" quali simbolo,
ma altresì di "duci ignoti" (p. I 00). Nel mondo che lui chiama del
"lavoro" si realizzano nuove prove, nuove selezioni: prove di un'e­
strema, nuda, quasi metallica freddezza, nelle quali la coscienza
eroica padroneggia il corpo come uno strun1ento itnponendogli una serie
di azioni complesse di là dai li1niti dell'istinto di conservazione. Ciò
che si compie anonimamente in tal senso, in azioni di cui nessuno saprà,
in un aeroplano in fiarnrne o in un sommergibile affondato, porta gli

13S
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stessi caratteri di altre prove che, in vario grado, si estendono a tutto il
mondo del "lavoro" e della nuova "elementarità", come nuda, silen­
ziosa selezione delle essenze (p. I 07). Per tal via lo Junger pensa a
una nuova aristocrazia. Il proble1na del potere per lui è quello di una
salda, esatta unità di vita, d i un "essere" inequivocabile; il potere è
l'espressione di questo "essere", senza di che le insegne e i simboli sono,
nel nuovo mondo, privi di significato. Potere è essere: lo si riconosce
in chi ha una statura esattamente adeguata ai mezzi e alle armi di cui
si serve (pp. 69-70). 11 segreto del vero comando non sta nel promet­
tere, ma nell'esigere. Sacrificarsi, per l'uomo, è una gioia: e la più alta
arte di comando consiste nel! 'additare scopi, che siano degni di un
tale sacrificio (p. 71 ). Lo Jtinger ba pensato a una élite quale conden­
sazione essenziale e attiva del modo d'essere dell'"operaio" nei termini
di una specie di guardia, di nuova spina dorsale di fom1azioni guerriere,
come una selezione, che si può chiamare anche un Ordine (p. 109): e
infatti negli antichi Ordini l'impersonalità, il primato del fine sulla per­
sona e il .principio della selezione erano elementi costitutivi strettrunente
connessi.
Il carattere di "totalitarietà" del inondo del "lavoro" rende, per lo
Ji.inger, aftàtto relativa ogni distinzione fra "città" e "ca1npagna", tende,
anche a tale riguardo, a un'unificazione di tipi. Del pari relativa è, alla
sua stregua, la ,nobilitazione in tempo di pace e quella in tempo di
guerra, e, in questo, la distinzione fra il con1battente e il non co1nbat­
tente (proprio allo Ji.inger, notiamolo di passata, si debbono le prime
vedute in fatto di "guerra totale"). Il mondo del "lavoro" impegna
tutto l'essere, tutta la vita. E ama, vuole questo impegno totale, fino al
limite, fmo alla distn1zione.
Si parla così anche di una fede che può vincere pur non avendo dei
dogn1i o in un mondo, che non conosce dèi; di un sapere, che non ha
bisogno di principii; di una patria, che da nessuna forza al mondo può
venire occupata (p. 92). Considerando il moto uniforme delle nuove
forze, le forrne precise, geo,netriche di ordu1runenti simili a piramidi,
e i sacrifici e le vittime, più numerose di quelle che una qualsiasi Inqui­
sizione o un qualsiasi Moloch abbiano ,nai richieste e il cui numero si
accresce con mortale certezza per ogni passo avanti; considerando tutto
ciò lo .ltinger si chiedeva come si possa non presentire qualcosa di fatale
e di degno di venerazione dietro al velo delle cause e degli effetti (p.
45). Non si tratta di opporsi alla nuova realtà, ma di travolgerla, di
portarla più innanzi. È come un esser in piena traiettoria. Figli, njpoti
o pronipoti di uomini che perfino di fronte al dubbio nutrirono diffi­
denza, si ,narcia su terre in cui la vita è minacciata da temperature

136
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estreme. Per quanto più i singoli e le ,nasse saranno spossate, di tanto
maggiore sarà la responsabilità che tocca solo a pochi. Non vi è dove
evadere, dove scartare, dove indietreggiare. Bisogna invece intensifi­
care la violenza e la velocità dei processi nei quali si è presi. Ed è allora
bene presentire che dietro alla immane dinamica di questi tempi si
cela un centro invisibile (pp. 193-194).
ln ordine alla organizzazione del mondo del lavoro sul piano più
iminediato, dove questa parola ha il suo senso normale, lo Jiinger è stato
fra i primi a parlare di uno "spazio in1periale" - ùnperialer .Raum - come
del luogo proprio a un "piano" poggiante essenziahnente sul principio
politico, sullo Stato (p. 277).
In un altro punto del libro, egli aveva parlato di tre principali fasi
di svolgimento del nuovo mondo dell'"operaio": la prùna si sarebbe
sviluppata attraverso la guerra mondiale 1914-18; la seconda corri­
sponderebbe alla "rivoluzione mondiale" (in senso generale antibor­
gbese); per la terza fase, aveva pensato possibile il riprecipitare in tonne
guerriere (p. 153).
La printa edizione del libro in parola è uscita nel 1932. Si può dunque
dire che lo Jiinger sia stato un buon profeta. Importante sarebbe
quindi una disamina delle sue idee alla luce del bilancio della stessa
storia di questi ultimi anni. È possibile che lo stesso Jiinger l'abbia fatta
nel suo libro recentissimo: Sulle scogliere di marmo, di cui brevemente
diremo, dopo qualche rilievo critico all'ordine di idee fm qui esposto.
Lo Jiinger era certamente ottimista nei riguardi del mondo che egli
sentiva venir su e a cui aveva legato il simbolo del "lavoratore". Ge­
neralizzato, come si è detto e si è visto, il significato di "lavoro" e di
"operaio", egli aveva affermato esplicitamente che i movimenti ope­
rai non sono, come i "borghesi" pretendono, dei movi1nenti di schiavi,
·bensì nascosti movimenti di signori, verkappte Herrenbewegungen
(p. 41). Abbiamo visto che egli non vuole identificare I'"operaio" a una
data classe sociale, ma farà di esso un tipo generale, centro di una data
visione del mondo. Con ciò, nulla del lato ambiguo della sua veduta
resta però rimosso. Infatti nel mondo tradizionale come all'aristocrazia
spirituale, all'a�stocrazia guerriera e poi alla stessa borgbesia,.come
caste gerarchic�mçnte ordinate, corrispondevano vari �pi e varie vi�ioni
del inondo, così anche l "'operàio" non era una astrazione classista nel
senso moderno, bensì una figura ben definita. Il fatto, dunque, che lo
Jiinger sia stato· indotto proprio a scegliere,il simbolo e la· designa­
zione di "operaio" per la più recente civiltà di là dalle rovine del inondo
borghese o del Terzo Stato, questo fatto non ci sembra accidentale o
arbitrario, ma una conferma in più di una verità presentita da vari autori,

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cioè: oggi cerca di prendere il sopravvento una fon11a di civiltà (con una
sua corrispondente visione del n1ondo), legata a ciò che fmo a ieri fu
il Quarto Stato, civiltà caratterizzata, pertanto, non dalla soppressione
degli altri strati sociali e di ogni don1inio di attività diversa da quella
del Quarto Stato (cioè del "lavoro"), bensì da una trasformazione in
senso di "lavoro" di ogni esplicazione umana. È esattamente quel che
dice lo Jiinger, quando parla del «carattere totalitario del lavoro, che è
il modo con cui la figura dell 'Opcraio co,nincia a compenetrare il
mondo» (p. 99). TI che significa che, lungi dal!'essere un mondo "nuovo"
in senso positivo, quello cbe lo Jiinger aveva preveduto è piuttosto un
mondo crepuscolare, lo stadio al quale si giunge dopo la dissoluzione
delle civiltà incentrate o nel capo spirituale, o nel monarca guerriero,
o nel Terzo Stato.
La dissoluzione e il livellamento - dice lo Jiinger - non sono che
aspetti contingenti e iniziali. Siamo d'accordo. Anche il mondo del
Quarto Stato può conoscere una gerarchia e una selezione. Può cono­
scere anzi, perfino, una disciplina, una ascesi, un eroismo. Si consi­
deri il fenomeno bolscevico, ora che sono visibili vari aspetti di esso
prima celati da una propaganda troppo ingenua, e di ciò si potrà avere
senz'altro la conferma. Ulteriori sviluppi in tale senso sono anche
pensabili in quadri diversi da quello propriamente bolscevico-comu­
nista. Ma la sostanza resta la stessa. Ogni valore va ad avere l'impronta
di quello che, in un edificio gerarchico normale, corrispondeva agli e l e ­
menti più bassi, al Quarto Stato.
Il fenomeno della irruzione dell'"elementare" nel mondo rnoden10
è reale, e reali sono varie delle conseguenze acutamente messe in luce
dallo Jiinger. Importa però non perdere di vista, qui, i giusti punti di rife­
rimento. Non ci si debbono cioè fare delle illusioni circa la qualità
predominante nella sostanza "eroica", attivistica e tragica che è affio­
rata spezzando le effimere costruzioni e il 1nito della "sicurezza" del-
1'èra del Terzo Stato. Per quanto egli non sia che un "filosofo da salotto"
ossessionato dall'importanza della propria persona, pure è del tutto
esatto ciò che il Keyserling ha scritto nel libro La rivoluzione mondiale
e la responsabilità dello spirito (uscito anche in una traduzione italiana,
presso l'editore Hoepli) intorno al carattere "tellurico" e "infero" di
questa rivoluzione, epperò anche di tutti i sacrifici, gli eroisrni, le disci­
pline, le ascesi che essa implica. Così anche accettando in pieno la gene­
ralizzazione del concetto di "operaio", eliminando, per il n1omento, ogni
riferimento diretto o indiretto a un avvento del Quarto Stato, se1npre
ci troviamo dinanzi - in questa nuova en1ergenza dell"'ele1nentare" e
di coloro che in esso hanno spostato il centro della loro vita - a qual-

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cosa di ambiguo e d i preoccupante. E oggi lo si vede chiaro quanto n1ai,
perché si ba il senso di grandi forze che sono già organizzate "totalita­
riamente" e "totalitariamente" sono ",nobilitate" - nel senso dello
Jiinger -, che quindi hanno ormai dietro d.i loro la fase del caos e della
distruzione rivoluzionaria, ma che tuttavia appaiono come lasciate a
sé stesse, scagliate in una vicenda tragica che non si vede come potrà
essere completamente controllata e ricondotta a un significato dav­
vero superiore.
Invece, come si è visto dalla nostra esposizione, è nella speranza di
questo significato superiore, portato da una vicenda tempestosa e i:,rrave
di destino, e dall'"elementare" latente nel mondo della tecnica e della
1nacchina, che la concezione dello Junger e la sua prognosi della nuova
civiltà di là dal Terzo Stato avevano il loro centro.
E ora cade di parlare delle Scogliere di ,narmo. È opinione generale,
che tale libro sia uno Schliisselroman, cioè un ro1nanzo a chiave, nel
quale le vicende e gli stessi personaggi hanno un carattere simbolico e
si riferiscono a rivolgimenti e forze in atto ai nostri giorni, avendo
dunque il valore di 111ezzi espressivi fantastici per una idea precisa.
11 centro di questo nuovo libro, scritto dallo Jiinger nel 1939, è il con­
trasto fra due n1ondi. L'uno è quello della "Marina" e dei pascoli, sovra­
stati dalle "Scogliere di Marmo"; è un inondo patriarcale e tradizionale,
ove la vita e la natura hanno per controparte una superiore saggezza e
un sin1bolo ascetico e sacrale incorpor-ctto eminentemente, nel romanzo,
dalla figura di Padre Lampro. Di contro al mondo raccolto presso le
"scogliere di manuo" sta quello delle paludi e dei boschi, ove signo­
reggia una paurosa, diabolica figura che lo Jiinger chiama l'Oberfor­
ster (tradotto con "Forestaro"): è, questo, un mondo "elen1entare", di
violenza, di crudeltà, di igno1ninia, di disprezzo di ogni valore umano.
Il tono della vicenda fantastico-simbolica descritta con arte magi­
strale dallo Jiinger è da "crepuscolo degli dèi". Il mondo del "Forestaro"
finisce col sopraffare quello della Marina e delle Scogliere di Manno.
La civiltà e i costu1ni della Marina sono alterati da processi d i corru­
zione oculata,nente diretti, l'anarchia vi si infiltra e non trova nessuna
remora in uomini d'azione capaci davvero di imporsi, di far fronte al
nihilis1no e alla distruzione. Nel 1no1nento del ,nassimo pericolo, due
uomini cercano di assumere l'iniziativa di una azione Liberatrice. L'uno,
Braquemart, incarna una volontà di potenza e una teoria del superuon10
e della superrazza alla nietzschiana, teoria che qui si risolve essa
stessa in una fonna di nihilìsm.o ed è condannata nella sua astratta cere­
bralità e nella sua mancanza di spontanea grandezza, a fare il giuoco
dell'avversario, a cui Braquemart cerca di contrapporsi usando le sue

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stesse anni. Lo Ji.inger, nel proposito, scrive: «In questo ambito occor­
reva intervenire ed erano quindi necessari ordinatori e nuovi teologi,
cui il male fosse noto nelle sue apparenze e nelle sue radici; e solamente
allora avrebbe giovato il taglio delle spade consacrate, a guisa di un ful­
mine nelle tenebre. Per queste ragioni dovevano i singoli vivere con
chiarità e forza d'anùno anche rnaggiore, secondo una disciplina più
severa, testimoni di una nuova legittirnità. Anche chi voglia vincere una
breve corsa si assoggetta a una adatta disciplina; rna qui erano in giuoco
i beni supre1ni, la vita spirituale, la libertà, la stessa dignità umana.
Per certo Braquemart riteneva esser, coteste, vane chiacchiere e pro­
gettava di ripagare il vecchio [il "Forestaro"] con ugual moneta, ma
aveva 'perduto
' .
il rispetto di sé, e da ciò ogni rovina ha fra gli uomini il
suo pr10c1p10».
L'altra figura del mondo della Marina è il principe di Sanmyra,
simbolo di una nobiltà on11ai spossata. I segni della grandezza tradi­
zionalmente iru1ata, la nobiltà d'animo e la prontezza al sacrificio audace
ed eroico si accoppiano in lui alla decadenza propria a ciò che vive uni­
camente come ru1 retaggio del passato, come un'eco, come qualcosa
che è meno nostra che non una proprietà dei rnorti. Perciò l'unione delle
due figure è come quella di una tradizione crepuscolare congiunta a una
artificiale teoria della poter1za, più capace ad accrescere il deserto che
non a conferire alla prima una forza nuova. Perciò i due da soli tentato
un di.sperato colpo di mano contro il Forestaro, ma vi perdono la vita
e non possono arrestare la catastrofe.
'Né può arrestarla lo scendere in ca1npo di Belovar, colui che rap­
presenta le forze residue della civiltà patriarcale ancora intatta. L'opera
di disgregazione sotterranea si è ormai portata troppo lontano, i
"vermi del fuoco" organizzati dal Forestaro son onnai troppo numerosi
e troppo potenti. Le forze scatenate del mondo della foresta e delle
paludi non possono essere trattenute. Belovar cade nell'ultirna, dispe­
rata battaglia, dopo di che ferro, fuoco, morte e distruzione si abbattono
su tutto il·mondo della Marina e delle Scogliere di 1nanno. Padre
Lampro, che è il custode del Mistero, della tradizione sacra e della con­
templazione, scornpare tra le fiamme nel crollo del suo ternpio. L'ul­
tin10 suo atto è di benedire Ia testa ìnozza del principé di Sanmyra, sacri­
ficatosi nel!'estre1no tentativo e quasi tTasfigurato, in esso, da una
luce superiore. Arde anche l'Eremo della Ruta, rifugio dello studioso
e del saggio, simbolo di u1nanistica disciplina e di quasi goetlùana con­
te1nplazione della natura. Da tutto il mondo della Marina, onnai in
fiamme, solo qualcuno riesce a fuggire, con una nave, recando seco,
come una reliquia, appunto quella testa 1nozza, la quale solo molto

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più tardi, incastonata nella prima pietra, doveva servir di fondamento
a una nuova Cattedrale. Ma per quel ciclo, per quel inondo legato alle
Scogliere di Manno, il trionfo delle potenze scatenate dal Forestaro è
l'ultima parola. E l'unica speranza nella tragedia è che proprio l'espe­
rienza del fuoco distruttore sia, per il singolo, un principio di rina­
scita, la soglia per passare in un inondo incorruttibile.
Nel inondo ideale proprio al nuovo libro simbolico dello Ji.inger si
ba dunque quasi un ritorno a valori, cbe nel precedente non stavano di
certo in pri1no piano. Molti elen1enti fanno pensare, che si tratti, qui,
di una specie di bilancio negativo proprio del mondo "elementare",
epperò, in buona n1isura, ancbe dal inondo dell'"operaio". Le forze sca­
tenate che distruggono le città della Marina, dopo aver travolto sia la
sopravvivenza generosa, ma pure stremata, della civiltà del Secondo
Stato, sia gli artificiali, nihilistici rappresentanti della se1nplice volontà
di potenza e, infine, in Belovar, le poche energie ancora schiette e legate
alla terra - queste forze del "Forestaro" danno ben l'impressione del
inondo della <<tnobilitazione totale» (2), del inondo del Quarto Stato e
del "tellurismo" rivoluzionario giunto al li1nite e rivelante alla fine la
sua vera natura. Con l'avvento di tali forze nelle terre della "Marina"
non è il mondo della borghesia, dell'individualismo o del Terzo Stato
che crolla, 1na un inondo della qualità, della personalità, dell'ascesi,
della tradizione misterica e sacra, della "cultura" in senso superiore. È
lo stesso Jiinger, già assertore della guerra totale e quasi estrema istanza
a sé stessa, che ora riconosce che <<il coraggio gue,,-iero non è il valore
supre1no»; che è inevitabile andare incontro al 111ondo della "selva" e
del Forestaro quando, insieme alla forza, non si possegga un principio
superiore, una legittimazione, per così dire, dall'alto, co1ne quella
simboleggiata dalla figura dell'asceta travolto lui stesso nel crollo del
tempio in firunme, dopo l'ultima benedizione.
Tolti i suoi lati apocalittici, il nuovo libro dello Jiinger ba dunque
w1 contenuto profondo. Una chiaroveggenza lo pervade, superiore di
certo a quella del periodo di Der Arbeiter, adeguata alla serietà di questi
tempi. Il feno1neno dell'irruzione dell'"ele111entare", co1ne si è già detto,
è reale: e reale è anche il processo di enucleazione di un nuovo tipo,
realistico, eroico, i1npersonale, capace di un controllo e d'un'azione
assoluta, proteso verso una assunzione totale della vita. Anche se il
inondo di questo nuovo tipo non corrisponde proprio a quello del "Fore-

(2) Rifcrirnento ad un famoso saggio jiingcriano del 1931: Die 101ale Mobilma­
chung. Cfr. Bibliografia (N.d.C.).

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staro", ancbe se esso ha lasciato dietro di sé il periodo delle distru­
zioni e dell'anarchia e nel suo avvento non si celebrino solo varie forme
di quello del Quarto Stato, pure gli orizzonti non si schiariranno, e un
temibile destino non sarà prevenuto, tino a che come controparte non
si avrà appunto la tradizione spirituaJe nel senso più alto, un Ordine non
neJla prima assWlzione soltanto attivistico-guerresca dello Jiinger, ma
appunto con riferirnènto a valori trascendenti, alle file segrete di qual­
cosa «che non è di questa terra» e che forse fino a oggi è stato ancora
custodito. li volto dell'epoca che viene dipenderà certamente dalla
misura in cui, 1nalgrado tutto, questa possibilità si realizzerà.

(Bibliografiafascista, n. 3, Roma, 1narzo 1943)

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Una rivoluzione ma11cata:
"la rivoluzione co11servatrice"

Chi oggi giudichi i 1novitnenti politici che hanno caratterizzato la


Germania più recente - intendian10 dire quelli che han preso iriizio nel
primo dopoguerra, che si sono sviluppati in vario 1nodo durante la repub­
blica di Weimar conducendosi fino ali' avvento del Terzo Reich hitle­
riano, seguendo la direzione opposta al 1narxisn10 -si accontentano ordi­
nariamente di formule semplicistiche, quali fascismo, criptofascismo,
nazismo, razzismo: formule, che possono sì esser utili nella pole1nica
spicciola, ma che non rendono affatto conto della realtà, la quale è assai
più complessa e differenziata. [n effetti, nell'accennato periodo agirono
in Germania influenze molteplici da non identificarsi senz'altro al nazio­
nalsocialismo quale è ordiriariatnente conosciuto. Le principali di esse
si riconnettono piuttosto ad una corrente che può esser caratterizzata
dalla formula rivoluzione conservatrice, e che appare largamente indi­
pendente da!J'hitlerismo, anche se interferenze con esso non sono 1nan­
cate e se con esso in alcuni casi si è convogliata. Di tutto ciò, in
genere, fuor dalla Germania poco si sa. Per cui è prezioso il contributo
dato dal giovane storico svizzero Annin Mohler con un'opera recente
documentatissima e sistematica, la quale s'intende appunto a gettar luce
sug.li esponenti e le idee della "rivoluzione conservatrice" in Germania,
considerandola essenzialmente nel periodo che va daJ 1918 al 1932, cioè

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sino al motnento dell'avvento di Hitler (1). Un ragguaglio sulle ricerche
del Mohler crediamo possa interessare anche il lettore italiano.
"Rivoluzione conservatrice" è un concetto cbe, in parte corrispon­
dente a quello francese di contre-révolution (Maurras, De Poncins), non
si lascia ben comprendere senza aver riguardo della particolare situa­
zione storica della Germania e, in genere, dei paesi dell'Europa cen­
trale. Come appunto il Moliler giustamente lo tnette in risalto, in tali
paesi_ tutto il mondo ideologico che si riconnette alla Rivoluzione
francese non ba rnai preso tanto piede quanto nella gran parte delle
restanti nazioni europee; esso è stato anzi sentito spesso cotne qualcosa
di estraneo, di snaturante la propria più antica e schietta tradizione. Su
tale base a vari ambienti è stato proprio un moto di reazione - però "rea­
zione" non nel senso volgare proprio alla polemica classista, bensi come
esigenza di rinnovare rivoluzionariamente, di rimuovere scorie e
influenze esogene e sfaldanti, senza voler ripristinare semplicen1ente
lo ieri e tornare all'antico regime. Pertanto, nella formula accennata
(che se1nbra sia stata usata la prima volta nel 1927 da llofn1annsthal)
il termine "rivoluzione" assun1e un senso ben diverso da quello pro­
gressista; non designa una fase. "evolutiva" violenta, ma un'azione
restauratrice partendo da valori perenni. Conservarsi fedeli a tali valori,
reagire riprendendosi dalle origini - tale è I'atteggia1nento-base. Il
Moller van den Bruck, che fu uno dei principali esponenti di questa cor­
rente, scrisse pertanto: «Il conservativismo ha per sé l'eternità...
Esser conservatori non significa essere attaccati a ciò che è stato, ma
vivere partendo da ciò che sempre vale» (p. I 49).
Lo stesso vari den Bruck aveva coniato la formula "terzo Reich" che
doveva esser poi assunta - abusivamente e usurpatoriamente, secondo
vari esponenti della "rivoluzione conservatrice"·- dall'hitlerismo. Si è
che per la corrente in parola la stessa Gennania guglielmina (corri­
spondente al secondo Reich, il pri1110 Reich essendo stato il Sacro
Rotnano Impero) non appariva co1ne una realizzazione dell'idea da essa
difesa. Dietro ad un feudalesimo solo di facciata, e presso a molta
retorica, nel guglielminismo molteplici sviluppi economici e sociali
avrebbero piuttosto creato for1ne lontane dall'esprimere ciò che

(1) A. Mobler, Die konservative Revo/111ion in De11tschland /918-1932. Grundriss


ihrer We/ta11scha111111g, F . Vorwerk Verlag, Stuttgart, 1951. Ben 60 pagine del libro son
dedicate ad una accurata bibliografia docun1entaria.
(Tr. it.: la rivoluzione conservatrice in Germania/918-/932, Akropolis/La Roccia di
Erec, Firenze, 1990. Traduzione condotta sulla edizione 1972 del libro e priva di biblio­
grafia - N.d.C.).

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alcuni chiamavano das geheime Deutschland, la "Germania segreta"
(2). La rinascita, o, meglio, l'i,npulso ad una rinascita doveva aversi
solo con la prin1a guerra mondiale e dopo di essa. A tale proposito, si
giunge fino a dire che la vittoria della Gennania guglielmina sarebbe
stata la sconfitta di questa "Germania segreta". La guerra come espe­
rienza qui viene interpretata quale catarsi, quale processo di purifica­
zione e di liberazione (Tho1nas Mann): distn1zione della retorica, dei
falsi idealismi, delle grandi parole (H. Fiscber) e solo in tal senso
nihilisn10 ("nihilisn10 positivo"); scuola di un "realismo eroico" che
impone alla persona di portarsi sino a quella profondità dell'essere, ove
non vi è distruzione che possa giungere (E. Jiinger). Alla disfatta 1nili­
tare avrebbe dovuto dunque seguire la ripresa, il terzo Reich, quello
vero, basato su di una tradizione quasi esoterica, non avente per fu1e
la mera conquista del potere politico, ma una rivoluzione spirituale e
la fedeltà alla pura idea. Tutto ciò, pertanto, non si manifestò che in vene
più o meno sotterranee e disperse, in piccoli gruppi, circoli, "Ordini",
riviste, centri editoriali. Nell'iuunediato dopoguerra (1918), esponenti
istintivi dello stesso spirito furono già i Freikorps, i corpi volontari -
quali quello dei Baltici e del noto comandante Ehrhardt - con la loro
lotta anticomunista e il loro combattere allo sbaraglio, su posizioni p e r ­
dute (3). Formazioni più compatte sono state quelle che dovevano ali­
mentare uno schieramento già politico, quale l'"Eln10 d'acciaio"
(Stahlhelm) del Seldte e del Dusterberg. Lo stesso esercito, la Reìchs­
wehr, nel periodo della repubblica di Weimar vide solo una specie di
interregno, esso fu si fedele al governo legale, mantenendo però una
ioti1na aderenza alle idee della "rivoluzione conservatrice" e una sua
autonomia: autonomia che esso (insieme ad elementi della diplon1azia
di carriera e dell'industria) non doveva perder del tutto nello stesso
periodo dell'hitleris1no. Nel complesso, ciò a cui si tendeva era un
sistema organico, unitario ma non totalitario, alieno da un nazionalismo
fanatico di massa, superante individualismo, razionalismo e illumi­
nismo attraverso
. valori qualitativi e gerarchici. Tutto ciò, più corne atti-

(2) L'espressione "Germania segreta" risale al Settecento, al periodo dei Rosacroce,


i l semi11arium dei quali, secondo alcuni autori, sarebbe stata la "Gennania". Circa lo stesso
concetto di Reich, soprattutto la corrente dei "giovani conservatori" (Ju11gko11servative11)
facenti capo al Moller van deu Bru.ck e al barone H. voo Gleicbeo, lo fonnulava in temlÌlli
essenzialmente spirituali: ad esso non corrispondeva non solo lo Stato hitleriano, ,na ne,n­
mcno quello bismarkiano, per esser, queste, forme politiche oscillanti entrambe fra Stato
naziona]e e Stato imperialistico.
(3) Cfr. Domioique Venner, Baltikum, Ciarrapico, Ro,na, 1981 (N.d.C.).

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tudine che non come teoria o preciso progranuna politico. Il MohJer,
con ragione, accusa un certo "n1utismo" nella "rivoluzione conserva­
trice" e indica quel che doveva costituire la sua inferiorità rispetto ai
metodi del partito che poi conquistò il potere: la ripugnanza a rivolgersi
alle n1asse e ad agire per mezzo di esse, la ripugnanza per la propaganda
e la lotta politica nel senso moderno, la convinzione che, come in altri
tempi, decisiva dovesse essere la forza del prestigio e la tradizione.
Pertanto, come si è detto, nel pensiero di non pochi il terzo Reich
nazionalsocialista rappresentò un soppiantamento e una contraffazione
anziché la realizzazione del terzo Reich auspicato dalla corrente in
parola. Certo, nel miscuglio delle idee e delle tendenze compresenti nel
nazionalsocialismo se ne trovano che appartengono anche alla "rivo­
luzione conservatrice"; ma, come il Mohler giustamente nota, qui si
porrebbe il problerna della misura in cui una dottrina può esser davvero
tenuta per responsabile per delle realizzazioui ad essa non conformi (pp.
17-18). Se, nello schieramento conservatore-rivoluzionario, vi fu chi si
aggregò al nazionalsocialismo, sperando di giungere ai risultati prefissi
agendo nel suo interno (4), non pochi furono coloro che, dopo un
incontro che li disilluse, lo abbandonarono, e quelli che già in par­
tenza lo combatterono, ponendosi sulla linea di una più o 1neno
latente rivolta. E alle defezioni fece da controparte un non indifferente
tributo di sangue pagato dalla rivoluzione conservatrice, perché molti
sono gli esponenti di essa che furono vittime della repressione sia del
30 giugno 1934 (5) che del 20 luglio 1944 (complotto militare contro
Hitler, nel quale la parte avuta appunto da elementi della corrente in
parola è ancora poco nota).

(4) li Mohler rileva che risentono delle idee della "rivoluzione conservatrice" le ten­
denze a creare, durante il nazionalsocialismo, quasi uno Stato nello Stato, una specie di
Ordine, contrapposto aJ partito di massa. E qui sarebbe interessante stud.iare la parte avuta
da siffattetendenze nelle stesse SS, organizzazione di cui da noi non sono ooti che gli
aspetti più contingenti e deprecabili. In genere, giudica falsamente la Germania nazista
chi non vi riconosce una mera aggregazione di forze contrastanti, che furono solidali
solo in vista di una risoluzione di alcuni problemi nazionali improrogabili e di fronte alle
influenze non-tedesche, forze che però miravano ognuna a dar essa sola la propria fonna
all'intera Gennania. Quelle che facevano capo a Goring (con esponenti dell'anticaReichs­
wehr), allo stesso Himmler e ad elementi della diplomazia (co1ne von Papen, questi
però, subito scalzato, perché troppo espostosi) possono coQSiderarsi appunto corne l'ala
che rifletteva, più o tneno deformata, la tendenza conservatrice-rivoluzionaria, 1nentre la
tendenza propriamente nazista si legava a Hitler, a Gobbels a Ley e in parte anche a R.osen­
berg.
(5) La cosiddetta Notte dei Lunghi Coltelli durante la quale vennero epurati soprat­
tutto i vertici delle SA, ma anche d i altri ambienti considerati ostili al nuovo regime
(N.d.C.).

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II Mohler io una parte notevole ciel suo libro ha cercato, in partico­
lare, di individuare la "visione del inondo" - Weltanschauung - più o
meno comune alle varie correnti conservativo-rivoluzionarie. Il suo
inquadramento impone tuttavia delle riserve. Anzitutto ci sembra che
l'autore abbia troppo puntato su di un piano ideale e troppo poco sulle
forme politiche che davvero potevano corrispondere allo spirito del
movimento. Per quel che riguarda appunto il dominio politico, ci sembra
che egli accentui troppo il distacco che sarebbe esistito tra quelle cor­
renti e il conservativismo vero e proprio, compreso quello a tendenza
monarchica, djstacco che in realtà in Germania non fu così grande e
generale quanto cbi legge il libro sarebbe portato a credere. Il pro­
cesso in negativo contro lo stesso secondo Reich non fu condotto che
da elementi estremistici, i quali poco sembrarono ricordarsi della
parte che nello stesso secondo Reich ebbe la tradizione federichiaoa.
Quanto alla visione del inondo, il Mohler prende per base l'opposi­
zione esistente fra due concezioni generali, da lui chiamate lineare l'w1a,
ciclica l'altra. Secondo la prima, la storia è sviluppo, novità, evoluzione,
essa tende ad un termine finale che la giustifica - è, questa, la conce­
zione propria alle varie correnti progressistiche, ma altresì al cristia­
nesimo, in quanto esso gravita verso una "fine dei tempi". La seconda
concezione si baserebbe invece sull'idea dell"'eterno ritorno", del ricor­
rere delle stesse forme - e tale sarebbe la veduta basale della "rivolu­
zione conservatrice". Ora, secondo noi, la contrapposi7jone in tali ter­
mini non è ben fonnulata. Se mai, si dovrebbe parlare di storicismo e
di antistoricismo, di "civiltà dell'essere" e di "civiltà del divenire". Non
si tratta di aspettarsi il ritorno delle stesse forme (Vico, Spengler), bensì
del non credere cbe, quanto ai valori fondamentali, qualcosa muti; di
riconoscere un ordine normativo contenente già a priori e ab initio tutti
i principii, senza i quali una civiltà e una società normali non sono con­
cepibili.
Al che può riallacciarsi un'altra critica allo schema del Mohler, il
quale troppo si rifà a vedute d'intonazione nietzschiana, e ad un
immanentismo che, a dir vero, poco si concilia con lo spirito di un
vero conservativismo, rivoluzionario o meno che sia. Il Mohler attri­
buisce a questo una tendenzialità "anticristiana", perché l'esigenza fon­
damentale della corrente trattata sarebbe l'unità, la totalità (Ganzheit),
n1entre il cristiaoesilllo è caratterizzato dal dualismo, dalla separazione
fra due n1oodi, dei quali l'uno non ha lo stesso valore dell'altro. Ora,
qui si dovrebbe distinguere fra dualis1no e dualismo, perché se esiste
un dualismo dilaceratore, ve ne è però un altro che è il presupposto di
ogni azione formatrice in senso tradizionale. Se dal .mondo contingente

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non si distingue un altro, superiore mondo, ideale e trascendente, viene
meno la possibilità stessa di concepire un agire dall'alto, una gerarchia,
una sopraelevata autorità (quali lo stesso cattolicesimo nel suo
periodo 1nigliore, fino a un De Maistre, a un Bonald, a un Donoso
Cortès, li ha riconosciuti), epperò il fondamento, senza il quale non si
può più parlare di conservativistno e nemmeno di rivoluzione conser­
vatrice, rna si in1boccano vie problematiche, vie nelle quali effettiva­
mente non pochi degli autori, di cui parla il Mohler, sono andati a finire.
E si sa che su non diversa linea - in1manentis1no, oietzschianesimo non
purificato e non trasfigurato, f1110 a un "paganesimo" più che sospetto
- dovevan prender fonna gli aspetti più negativi della concezione nazio­
nalsocialista del mondo.
Visuali diverse dovrebbero esser dunque introdotte per caratteriz­
zare spiritualmente le migliori correnti di autentica "rivoluzione con­
servatrice", presso ad una più adeguata discrin1inazione. Politic,u11ente,
è giusto riconoscere ad esse, col Mohler, w1 posizione di triplice indi­
pendenza: indipendenza di fronte sia a marxismo, sia a conservatorismo
in senso deteriore, sia a nazionalsocialismo. Una volta riconosciuto ciò,
è naturale che il Mohler, sia pure in un breve accenno a fin di libro (p.
2 Il), si chieda se posizioni del genere siano del tutto scadute, ovvero
se esse per caso non possano riacquistare dell'attualità, perché, ripre­
sentandosi, oggi situazioni anaJoghe a quelle del primo dopoguerra, è
probabile che si ripresentino anche le stesse esigenze verso una "terza
forza" - forza che dovrebbe tenersi lontana tanto da comunismo che da
nazionalsocialismo, tanto da "progressismo" che da "reazione", tennini,
l'uno e l'altro, orinai abusati. fn tal caso, tutto starebbe nel vedere qua.li
inani sarebbero capaci di di.rigere adeguatamente - senza pericolo di
slittamenti e di eversioni o soppianta.menti, questa volta-uno sviluppo
ricostruttore nel senso accennato, partendo naturalmente soprattutto da
fattori tnorali.
Questo resti, tuttavia, un punto a parte. Essenzialmente, con le pre­
senti note noi abbiamo voluto segnalare un contributo notevole alla
storia dello ieri, il quale ci fa conoscere aspetti della Germania meno
appariscenti, più segreti ma in fondo anche più significativi ed essen­
ziali di quelli venuti al primo piano nelle tragiche vicende di cui I'Eu­
ropa sta subendo ancora le conseguenze.

(Rassegna Italiana, o. 33 I, Roma, giugno I 952)

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L'ultimo Jiinger: il nodo gordiano

Il nome di Emst Jiinger ha già acquistato una notorietà europea, e


non da oggi anche da noi più di un critico ha segnalato le sue opere. Ma
a taJe riguardo ci s i è interessati soprattutto al letterato, al maestro di
uno stile tutto personale e, a suo n1odo, classico. Solo assai più di recente
fra i nostri elen1enti di destra l'attenzione si è portata sullo Jiinger in
quanto esponente della cosidetta "generazione bruciata" e d i ciò che
fu chiamato la "rivoluzione conservatrice" tedesca, per via dei motivi
già da lui formulati nel pri1no dopoguerra, i quali ancora oggi posseg­
gono una particolare forza suggestiva.
Purtroppo, questo è però solo lo Junger di ieri, lo Jiinger di un pruno
gruppo di opere, la principale delle quali è L'Operaio (Der Arbeiter,
1932). La produzione più recente, se rappresenta un progresso dal punto
di vista letterario, accusa però una visibile caduta di livello quanto a
tensione spirituaJe, a orizzonti politici, a visione della vita.
Così la sua seconda produzione risente delle idee di un urnanismo
alquanto sospetto, non privo di relazione con l'atteggiamento suben­
trato, per reazione, in molti ambienti tedeschi, dopo Ja disfatta, presso
ad una specie di complesso d'angoscia per tutto ciò che abbia sapore di
"totalitarismo".
Per questo, nello .liinger di oggi vi è assai poco che possa interes­
sarci, fuor dal piano setnpHcemente letterario: vi troviamo idee confuse,
inquadramenti unilaterali e discutibili. Come esempio, si può pren-

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dere u.no dei suoi ultinù scritti che s'intitola Il nodo gordiano (Der gor­
dische Knoten) e che vorrebbe trattare delle relazioni fra Oriente e Occi­
dente quale tema storico ( 1 ).
Già dal punto di vista metodologico la trattazione è pregiudicata dal­
!' equivoco proprio al presentare in termini di antitesi storiche e di civiltà
quelle che, se mai, sono antitesi fra categorie spirituali, non aventi una
relazione obbligata con popoli, culture e continenti. Per lo Jiinger il
"nodo gordiano" rappresenta l'Asia, la spada di Alessandro che lo taglia
rappresenta l'Europa. li primo sarebbe simbolo di una esistenza vin­
colata da for.le naturali, elementari o divine, di un rnondo caratterizzato
dall'assenza di limiti, di una società politica essenzialmente dispotica
e arbitraria. La spada dì Alessandro rappresenterebbe invece l'elemento
lu1ninoso, il potere spirituale, sarebbe simbolo di un mondo che rico­
nosce la libertà, il rispetto umano, la legge, una grandezza non ricon­
ducibile alla mera potenza. In un punto, l'antitesi è data addirittura nei
tennini di quella tra le forze titaniche, vaste e informi, e le forze olin1-
piche, contro di esse.
Già da questo 1notivo appare tutta I'unilateralezza di una simile impo­
stazione, perché cotesto tema agonistico e antagonistico, prima di essere
ellenico, fu notoriamente orientale, fu conosciuto da Indo-Arii e da Per­
siani. Non meno discutibile è tutto il resto. Non si vede come si possa
rnettere a carico dell'Oriente la soggiacenza a forze elementari, natu­
rali e divine, dato che esso ha conosciuto un ideale dell'assoluta libe­
razione spirituale ad un livello metafisico che l'Occidente ben raramente
ha raggiunto. Il "despotisrno" asiatico è una vecchia, scontata idea, che
può giustificarsi solo se ci si ferma a certi sottoprodotti di un Oriente
degenerescente e barbarico, con satrapi e orde di Tartari, di Unni e di
Mongoli. Già le epopee orientali, ma anche i trattati di governo, conob­
bero !'"ascesi della potenza" il tipo di sovrano che è dominatore di sé
prima di essere dominatore di popoli, l'ideale di chi regna solo per "man­
dato celeste" (Cina). Di quella tendenza all'incondizionato, che non si
arresta di fronte alla propria distruzione, e che viene dichiarata incorn­
patibile con l'ideale "occidentale" della personalità, lo Jiinger mostra
di ignorare i presupposti. E cosi si potrebbe continuare, per tanti altri
punti toccati senza sistematicità dallo Jilnger. Egli, del resto, per evi­
tare assurdità evidenti, spesso è costretto a concepire un'Asia cbe esiste
dappertutto, corne un substrato che proron1pe, per ese1npio, nel clirna

(1) Tr. il.:// nodo di Gordio, in Ernst Jiinger · Carl-Scb.mitt, il nodo di Gorrlio. Dia­
logo su Oriente e Occide11/e 11ella sioria del mondo, Il Mulino, Bologna, 1987 (N .d.C.).

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delle guerre civili e delle rivoluzioni, nelle tirannidi, nel cesarismo e
nel totalitarismo. E questo è propriamente il punto: malgrado tutto,
aleggia fra le pagine del libro il fantasma dell'opposizione fra "Oriente"
e "Occidente" quale oggi la si concepisce in termini politici,
nell '"Oriente" assommandosi tutto ciò che è avversato dalla democrazia
associata ad un liberalismo e ad un "u1nanesi1no" che, per essere spesso
dignificato e orientato verso i "valori umani", non cessa di avere un
fondo borghese ed è assai lontano dagli orizzonti "di là dal punto zero
dei valori" che lo Jiinger del primo periodo aveva additati.
Per il lato politico, lasciando da parte le opposizioni in termini di
continenti, si dovrebbe rilevare che la vera antitesi non è quella fra libertà
e tirannide, bensì quella fra individualis1no apolitico e principio di auto­
rità. Di un sistema basato sul vero principio d i autorità tutto ciò che è
despotisn10, tirc:ll1llÌde, bonapartis1no, dittatura di tribuni del popolo non
è che una degenerazione o una irmnagine invertita. Ciò lo Jiinger sembra
averlo ditnenticato, e in un altro dei suoi ultimi libri, Der Waldweg
(2), tratta unicamente di quella che può essere la posizione dell'indi­
viduo dell'epoca di un totalitarismo avviantesi quasi verso il mondo
im1naginato dall'Orwell nel suo 1984: con1e che null'altro fosse con­
cepibile né fosse da attendersi nell'avvenire. Per via di questa sua sin­
golare li1nitazione di orizzonti, quasi dettata da angoscia, nell'ultitno
Jiinger si trova dunque poco che possa interessare coloro che oggi com­
battono malgrado nitto sulla linea di una "destra rivoluzionaria" e che
sono dotati da un adeguato potere di discritninazione.

(Il Popolo Italiano, Roma, 30 dicembre 1956)

(2) Lapsus per Der Waldgang. Tr. it.: Trattato del Ribelfe, Adelphi, Milano, 1990
(N.d.C.).

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Al muro del tempo

Ernst Jiinger viene considerato co111e uno dei maggiori scrittori tede­
schi viventi e in Italia sono già uscite traduzioni di diverse sue opere
presso editori che vanno per la maggiore (.'>ulle scogliere di n1armo
presso Mondadori, Giardini e strade presso Bompiani, Radianze presso
Longanesi) (1). Tuttavia da noi sono state soprattutto le note cricche
di critici letterari e di intellettuali dilettanti ad interessarsi di lui, avendo
in vista gli aspetti delle opere dello Jiinger che rientrano nei loro oriz­
zonti e che vanno incontro ai loro gusti, aspetti, che per noi sono invece
i meno rilevanti.
Da tempo, ad attirare la nostra attenzione non è stato lo Jiinger let­
terato, il saggista, lo scrittore di uno stile forbito personalissimo, bensì
l'autore delle prime opere che riflettevano diretta1nente l'esperienza
vissuta della vita del fronte in guerra. Lo Jilnger aveva appena frnito
le scuole inedie quando, insofferente del clin1a borghese e stagnante
dell'runbiente in cui viveva, fuggì dalla casa patema per entrare nella
Legione Straniera. Scoppiata la prima guerra mondiale, si arruolò
volontario, fu molte volte ferito ed ebbe le massime decorazioni al

(I) Evola cita, traducendo in italiano il titolo originale tedesco, quello che era stato
presentato conte Diario 1941-1945 (Longanesi, Milano, 1957). Prenderà il titolo di Irra­
diazioni solo in una edizione successiva, treniacinque anni dopo (Guanda, Panna, 1993)
(N.d.C.).

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valore. I suoi libri del primo periodo trattano appunto della guerra. Si
è potuto chiamare lo Jiinger I'"anti-Remarque": in contrasto con la
letteratura disfattistica e pacifista del primo dopoguerra, egli mise in
risalto le dimensioni spirituali, anzi trascendenti, che la guerra può pre­
sentare nelle sue stesse fonne 1noderne "totali" tecnicizzate più distrut­
tive per un determinato tipo umano.
Dopo i libri di guerra, venne l'opera che per noi resta quella più
importante del nostro autore, L'Operaio - la sua figura, la sua sovra­
nità. Essa ebbe una vasta eco e, in realtà, è fondamentale pel pro­
blema della visione e del senso della vita nell'epoca moderna. Dare­
mo un cenno del suo contenuto: solo un cenno, anche perché su di es­
so è uscito un nostro saggio, che tiene il luogo di una traduzione del
libro (apparsa non possibile per van motivi) (2), al quale rimandiamo
il lettore.
Vi è una continuità fra i libri di guerra e l'Operaio, in questi termini:
nella guen·a moderna l'uon10 deve tener testa non tanto all'uomo (al
nemico) quanto allo scatenrunento dei mezzi tecnici (le "battaglie del
1nateriale", la "morte meccanica") e,·con essi, di forze distruttive di
un carattere non-umano, "elementare" (l'"emergenza dell'elen1entare",
come le forze di natura sono "elen1entari"). Può tenersi io piedi, può
sopravvivere non solo fisicamente ma soprattutto spiritualn1ente nelle
vicende in cui ci si trova gettati, solo un nuovo tipo umano, che sa
lasciare dietro di sé tutto ciò che si lega alla sua particolare persona e
ai suoi stessi istinti, al modo di pensare e di agire, agli "idealisrni" e ai
valori della vita borghese: un tipo capace di un impegno assoluto e
impersonale, amante l'azione per se stessa, lucido e freddo e, insieme,
pronto ad uno slancio elementare, tale infine da saper presentire e
cogliere un significato superiore dell'esistenza nel connubio fra vita e
pericolo, fra vita e distruzione. Lo Jiinger ha creduto di constatare l'ap­
parire incipiente del tipo di una nuova umanità, quasi di una nuova razza,
riconoscibile negli stessi tratti fisici, in coloro che dall'esperienza della
guerra moderna non sono stati spezzati, che sono stati, interionnente,
i vincitori di essa, di là dall'opposizione dei fronti e delle ideologie,
come pure dall'esito della guerra.
L'Operaio sviluppa analoghi motivi in relazione al clirna generale
dell'ultima civiltà. La scelta del termine "operaio" è infelice. Come lo

(2) Q uesti motivi sono tuttora ignoti, dato che non si conosce, come detto nella Nota
del Curatore, la risposta di Jilnger alla lett.era di Evola del 1953, in precedenza riportata.
Forse lo scrittore tedesco -all'epoca -non riteneva questa traduzione per lui opportuna
(N.d.C.).

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concepisce
' lo Jiinger, l"'Operaio" non corrisponde ad una classe sociale.
E un nuovo tipo umano capace di adeguarsi attivatnente a tutto ciò
che nel inondo moden10 ha un carattere distruttivo dal punto di vista
della precedente civiltà. Non solo in guerra 1na anche in pace le forze
messe in 1noto dall'uomo con la tecnica e la 1neccanizzazione si ritor­
cono contro di lui. Esse distruggono gli antichi ordinainenti e gli antichi
valori, e soprattutto quel che l'epoca borghese aveva cercato di creare
con la sua concezione della "società", col culto dell'individuo, della
ragione, della "u1nanità". Tutto ciò è entrato in crisi per l'apparire, anche
qui, di forze "elementari" in fom1e meccaniche, io processi oggettivi
generali, in una "mobilitazione totale" della esistenza. Co1ne in guerra,
all'uomo moderno non è dato sottrarsi alla corrispondente situazione.
Così gli si pone la stessa alternativa: di venire distrutto - non fisica­
mente ma interionnente (nichilis,no moderno, "tnorte di Dio", n1ate­
rializzazione, livellamento, regitne della masse), ovvero di trasfonnarsi,
di divenire un nuovo essere.
L"'Operaio" dello Jiinger è un simbolo e corrisponde a questo nuovo
tipo. La tecnica è lo stru1nento con cui egli "mobilita'' il mondo,
desta, attiva e domina forze elementari. Egli affronta tutti i processi che
col colpire l'individuo, col distruggere tutto ciò che sussiste del mondo
borghese, tradizionale, "da museo'', col dissolvere gli antichi nessi
sociali e le antiche abitudini, con l'abolire sempre più tutto quel che è
colore, varietà, particolarità, soggettività, dando invece risalto al m.ec­
canico, al matematico, all'oggettivo, sembra con1portare un mortale
impoverimento, un disanimazione dell'intera esistenza. L'"Operaio"
assume tutto ciò ai fini, per così dire, di una esseozializzazione o puri-,
ficazione («la via della salamandra, che passa attraverso il fuoco»). E
una sfida esistenziale che lo mette alla prova e che, se la prova è supe­
rata, lo porta ad affermarsi in una ditnensione nuova dell'essere.
E anche in questo ambito lo Jiinger crede al preannunciarsi di tm
nuovo tipo, con caratteristiche unifonni riconoscibili perfino fisica­
mente. Ad esso sono propri l'in1personalità, la lucida, attiva adegua­
zione al fu1e, iJ disprezzo per tutto ciò che è soltanto individuale, il taglio
netto coi valori del passato, la disposizione naturaJe al cotnaodo o ali'ob­
bedienza, ad un "realis1no eroico", a una nuova positiva anonimìa (sim­
bolo del "milite ignoto", però da integrarsi con quello del "capo ignoto").
Lo Jiinger qui aveva parlato di uno stile che può dirsi tanto "spartano"
che "prussiano" o "bolscevico" (con riferimento al tipo "ascetico" del
primo con1unis1no). Aveva preconizzato gerarchie nuove stabilentisi di
fatto, essenzialmente col differenziarsi di coloro che subiscono i pro­
cessi di dissoluzione insiti in w1a fase di transizione e coloro che invece

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li assu1nono in modo attivo. In particolare (e questo è un interessante
1uotivo specifico) aveva parlato di una "metafisica" chiusa dentro il
inondo 1neccanizzato. Nei gradi supre1ni della nuova gerarchia !'"Ope­
raio" incarnerebbe tale metafisica nelle forme di una nuova unità esi­
stenziale, di là dalle antitesi di sangue e spirito, di potenza e diritto, di
libertà e necessità, di servizio e co1nando. Su tale base, si riproponeva
l'ideale degli Ordini: come quelle unità differenziate di vita ove una
disciplina severa imprimeva una fo1ma precisa all'essere e all'azione
del singolo. Su degli Ordini dovrebbe basarsi il nuovo Stato, lo Stato
del! '"Operaio". Infine, di là dalla fase di transizione, dalla fase dina-
1nica, 1ivoluzionaria e distn1ttiva nel inondo mobilitato e trasformato
dalla tecnica, veniva prospettata una fase, per così dire, "classica",
con fon11e compiute e stabili, simboliche, quasi co1ne nelle civiltà unper­
sonali e sacrali delle origini, però, ora, con una estensione planetaria.
Perché come la tecnica abbraccia irresistibilmente tutto il inondo, di
là da ogni frontiera, così come stadio fmale non può essere concepito
che un sistema abbracciante parimenti tutto il mondo, in cui si affer­
merebbero la figura e la sovranità dell"'Operaio", dopo gli ultimi urti
eventuali fra blocchi antagonistici di potenze.
ln sintesi (e per il resto dobbiamo rin1andare ad un nostro saggio)
queste erano le vedute de L'Operaio. Esse . esercitarono una notevole
influenza sulle co1Tenti nazionaliste e combattentistiche tedesche del
primo dopoguerra e anticipavano alcuni orientamenti essenziali della
corrispondente rivoluzione, e poi del nazionalsocialis1no. Senonché pro­
ptio all'avvento di questo regùne, nello Jiinger si ebbe un irnprovviso
cambia1nento di orientamento e di livello. Se1nbra che egli abbia visto
in molti aspetti del nazionalsocialismo una specie di distorsione o di
1iduzione all'assuJ"do di varie posizioni de L'Operaio. Personalmente,
si tenne i.n disparte (nella seconda guerra mondiale, richia,nato, non si
fece particolarrnente notare). Come scrittore, la sua nuova produzio­
ne, quando non ha avuto un carattere di semplice letteratura e di spi­
golatura (appunti, osservazioni psicologiche, saggistica, il ro1nanzo fan­
tasioso avveniristico Eliopoli - ad un livello più alto, con un conte­
nuto sùnbolico, Sulle scogliere di ,narmo), ha presentato un sensibile
sfaldatnento spirituale. Ciò vale soprattutto per alcu1ù scritti minori a
pretese ideologiche, per lo Scritto sulla pace, 11 nodo gordiano e La via
del bosco (3 ). Quasi si direbbe che, come non pochi suoi connazio-

(3) Traduzione lctter<1lc dei titoli t.edeschi. Opere apparse poi con altri in italiano: Helio­
polis, Rusconi, Milano, 1972; La pace, Guaoda, Panua 1993; Il nodo di Gordio, Il Mulino,
Bologna, 1987; 7ì·aitato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990 (N.d.C.).

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nali, la disfatta abbia in lui provocato uno shock e lo abbia aperto sor­
prendente1nente perfino a motivi non lontani dalla rieducazione "demo­
cratica" o, almeno, "umanistica" condona in Genuania nel nuovo dopo­
guerra, in aperto contrasto con quelli già da lui difesi nel precedente
periodo. Basti dire che, 1nentre egli aveva coniato la parola d'ordine
d.i po1iarsi non SlLi settori in cui ci si difende 1na su quelli in cui si attacca,
e quella della sfida deH"'ele,nentare", La via del bosco nell'edizione
francese la si è potuta definire co1ne una specie di manuale "del-
1'uotno della resistenza", al quale sono indicati i mezzi per celarsi e sot­
trarsi nell'èra dei "totalitarismi". Anche Il nodo gordiano, in cui si vor­
rebbe trattare dei rapporti fra ideali "europei" e "Oriente", risente
sotto più di un riguardo delle parole d'ordine politiche del nuovo
clima tedesco.
Il libro nuovo dello Jiinger, Al rnuro del tetnpo (An der Zeitlnauer,
Klett-Verlag, Stuttgart, 1959), segna daccapo un carnbian1ento di rotta
e riporta i11 una certa 1nisura al campo dei problemi trattati ne L 'Ope­
raio. Spirituahnente, rispetto alla produzione or ora accennata, rap­
presenta dunque un risolleva111ento (4). Dal pw1to di vista oggettivo,
non aggiunge però 1nolto a quel che nelle precedenti posizioni era valido
e che a noi più interessava..La trattazione non è sisternatica; e invece di
approfondire i problerni inunanenti della formazione interiore e dei
significati sovraordinati dell'esistenza nell'"èra dell'Operaio", essa in
gran parte si porta in un do1ninio diverso, in quello della escatologia e
della 111etafisica della storia.
Ora, quando si vuole entrare in tale domiiùo, non si può più proce­
dere con intuizioni personali, ma bisogna rifarsi a precisi insegna-
1nenti tradizionali, come per ese1npio l'han fatto René Guénon e la
sua scuola, e co1ne noi stessi abbiamo cercato di fare. Allo .Jiinger rnan­
cano tali riferimenti; egli va da solo, oppure si rifà alla cultura corrente,
per cui le cose giuste da lui sono colte qua e là, quasi per caso, e sono
mescolate a molte divagazioni e scorie.
L'espressione "muro del tempo" va presa in un senso analogo di
"muro del suono": un limite, superando il quale subentrano forme nuove
di movimento. La sensazione confusa di un mondo che sta per fmire è
anche quella di un li1nite analogo, da oltrepassare. Vi è w1 certo riferi­
n1ento alla "civiltà dell'Operaio", che ora è presentata con1e una "civiltà
cos1nica", nel senso che in essa le forze dell'uomo cominciano ad

(4) Di sicuro è il rnotivo per cui Evola consigliò il libro e Giovanni Volpe, quando
questi fondò la propria casa editrice, e lo tradusse con lo pseudonimo di ··Carlo d'Alta­
villa". Usci nel 1965 (N.d.C.).

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incidere profondan,ente sul substrato della realtà e della natura, e ad
attivarlo (èra atomica, nuovi orizzonti della tecnica). In più, secondo lo
Jiinger, qualcosa comincerebbe a muoversì anche in quel fondo del-
1 'universo, di là dall'uo1no, quasi nella gestazione dolorosa e, per ora,
distruttiva di una realtà nuova. l'ornano le idee dell'Operaio, nel
senso che delle potenze "rnetafisiche" sono presentite dietro la facciata
di tutto il mondo moderno meccanizzato e disanitnato. E tutte le s o f ­
ferenze, le crisi, i sacrifici dell'ultima umanità (in <<ntunero maggiore
di quanti un Moloch ne abbia mai richiesti e di quante vittitne l'Inqui­
sizione abbia mai rnietute») sarebbero oscura1n.ente ordinati allo sbocco
di questa èra nuova, di là dal "1nuro del tempo".
A dire il vero, più che di "ternpo" qui sarebbe da parlare, in un senso
particolare, di "epoca storica". Infatti lo Junger parte dalla osservazione,
in sé giusta (oltre che negli scrittori della scuola "tradìzionaJe" e nella
stessa etnologia, la si ritrova già nello Schelling), che ciò che abitual-
1nente viene chia1nato tempo della preistoria, o tempo "mitico" (per
intendersi, prin1a di Erodoto), non corrispondeva ad una sernplice
porzione dello stesso "tempo storico" che noi conosciamo, ma ad un
tempo diverso, ad un clima spirituale, umano e esistenziale differente,
a noi non più noto. Dopo, è venuta l"'epoca storica" in senso proprio
co1ne un ciclo che, con tutti i suoi valori, le sue ìstituzioni e le sue
idee sta per esaurirsi: donde il senso del "muro del tempo", di là dal
quale, come di là da uno iato o una "soluzione di continuità", ripren­
deranno ad agire poteri e processi che non sono semplicemente
umani, che i n un certo senso sono "metafisici", come nell'età
"mitica" ("mondo trans-storico"). In questa sede, non possiamo sof­
fermarci su simili idee, che sono di un campo tutto speciale. Comunque,
l'importante sarebbe superare attivamente quel Limite, qui intervenendo
una alternativa analoga a quella già considerata in altri cainpi, per la
guerra, pel mondo dell"'Operaio". Di là dal limite, qualunque cosa
accada, almeno alcuni dovrebbero salvare la "libertà umana".
Prima che il nuovo Iibro uscisse, nell'esaminare L'Operaio avevamo
già indicato la necessità di considerare due possibìlità dell'esito di tutto
il processo della civiltà ultima, positiva l'una, negativa l'altra. Infatti,
per quella emergenza del!"'elementare" e per tutto il rnondo tecnico,
meccanico, disanimato e nemico dell'individuo e dell'umano si può
anche concepire uno sbocco negativo, regressivo, barbarico ("arima­
nico") - e negli stessi riguardi del tipo nuovo, come abbiaruo visto, lo
Jiinger aveva potuto accostare tipo spartano, tipo prussiano e tipo "bol­
scevico" nel segno di un wùco realisn10 attivo e antipersonalistico: il
che era già signitìcativo. Nel nuovo libro anche lo Junger viene a

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riconoscere il pericolo di questo sbocco negativo, che condurrebbe verso
«ordinamenti zoologici, magici o titanici». In corrispondenza alle
note angosce che nei nostri conte,nporanei, nell'eventualità di una
guerra, fanno da contrappeso all'euforia dell'èra atomica con la inci­
piente "seconda rivoluzione industriale" che dovrebbe apportare ogni
bene e ogni felicità, non mancano nem1neno accenni a una possibile
catastrofe di proporzioni planetarie. Ma il tono prevalente del libro
sembra essere ottimistico. La fase nichilista può essere superata. Le dis­
soluzioni e il livellan1ento son paragonati alla mano di calce che si dà
alle pareti di u11a abitazione che aspetta altri inquilini. Si constata il
vuoto; si pensa però che esso sia quello di una fon11a nuova, o stampo,
creata da una più alta forza per essere riempita. L'antico motivo riap­
pare, co1ne una specie di fede, con riferimento al tipo dell"'Operaio".
Considerando tutto ciò che accade e che potrà ancora accadere, lo Jiinger
dice: «Da quell'incendio, vediamo innalzarsi soltanto la figura del­
l'Operaio, divenuta più possente. Ciò fa supporre che gli elementi più
ignei sono celati io lui e che essi non hanno ancora avuto una pura
fusione. Vi sono ancora tnolti stampi vuoti».
Ma con questo s'incontra anche il problema essenziale, che non si
risolve con una semplice imagine. Anzi i problemi, propriamente, sono
due. Anzitutto è da chiedersi se di là dall'èra borghese e dal nichi­
lismo successivo si verrà davvero al clima di alta tensione (di "tempe­
rature estreme") cbe caratterizza gli orizzonti del mondo del! '"Operaio"
e del "realismo eroico": perché a rnolti tale mondo potrà anche sem­
brare anacronistico e fanatico, dati gli ideali di una vita, invece, più
sicura, più facile, "sociale", con scienza e tecnica al servigio dell'ani­
male uoumo debitamente imbrigliato e normalizzato: sono gli ideali
oggi prevalente1nente coltivati in varie aree del mondo, specie nel­
l'Occidente democratico e nella società consun1istica. In secondo luogo,
nell'ipotesi che si formi il mondo dell'"Operaio", il proble1na riguar­
da un necessario, essenziale mutamento interno, il quale faccia appa­
rire con1e qualcosa di più che come una vuota parola e come una otti­
mistica assunzione la "metafisica" a cui cosi spesso lo Jiinger si rife­
risce come alla controparte invisibile e alla giustificazione di quel
mondo, quindi anche del nuovo tipo o, almeno, degli esponenti supe­
riori di esso.
Già in precedenza egli aveva avvertito sia la lacuna che il problen1a,
col paragonare il tipo dell'"Operaio" ad una 1noneta che su di una faccia
è fortemente coniata ma che nel retro è informe. E qui, per ipotesi (cioè
per il fatto che il nichilis,no della fase di transizione esclude l'apporto
che potrebbero dare valori della precedente tradizione) tutto resta allo

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stato fluido e proble1natico; nulla di esterno può indicare una dire­
zione e fornire u11a appoggio. Pel problema della "spiritualizzazione"
del nuovo tipo (spiritualizzazione in un senso profondo, ontologico, esi­
stenziale, di là dalle teorie, dalle morali e dalle confessioni religiose)
e quindi anche di tutta la nuova civiltà e della terra controUata dall'"Ope­
raio", lo Ji.inger nell'ultirno suo libro accenna a due possibilità. La prima,
è che ciò avvenga per via di uo processo cosmico, il quale si serva
dell 'uo1no co1ne di un mezzo e di un collaboratore munito di una respon­
sabilità e di una facoltà di direzione. Ma qui si resta nel campo di una
pura ipotesi, e a noi non sembra che tale ipotesi oggi sia confortata da
qualcosa di positivo e di tangibiJe, sia pure solo come u11 Iontano indizio.
La seconda possibilità è che dall'uomo stesso parta l'iniziativa, che egli
con una se1npre più precisa coscienza penetri in strati sempre più
profondi della realtà, di là da quello "storico" (non si sa bene che cosa
lo Jiinger quj voglia dire), mobiljtandoLi e spirituaJizzandoli. Ma questo
è evidente1nente un circolo vizioso, perché per spiriruaJizzare e tra­
sformare occorre cominciare con lo spiritualizzare e trasformare sé
stessi. Occorrerebbe cioè quella "mutazione" (si intenda "mutazione"
proprio nel senso che il termine ha nella biologia e nella genetica, ove
designa l'origine brusca e indeducibile di specie o forme nuove) che,
appunto, costituisce il problerna. Invece a tale riguardo non si hanno,
nello Jiìnger, che le vaghe e ottimistiche prospettive "cosmiche", cioè
di un processo genera.le, nel senso ad esso attribuito dalla sua interpre­
tazione. Ora, il cento di gravitazione e la giustificazione di tuno l'in­
sien1e si connettono proprio a questo punto.
Dato l'accennato carattere asistematico de Ai rnuro del ten1po, qui
non è il caso di sviluppare una analisi più dettagliata del suo contenuto.
Già dai riferi1nenti fatti si potrà notare come, rispetto a L'Operaio, il
piano risulti. sensibilmente spostato, in una direzione dove, ripetiarnolo,
è difficile non divagare con idee semplicen1ente personali quando non
ci si rifaccia ad una salda dottrina tradizionale. Invece alle posizioni
valide del prin10 libro, che a noi possono interessare, quasi nulla è stato
aggiunto. Corne abbiamo detto, questa parte valida e Ì.lnportante si rife­
risce alla proble111atica relativa ad un nuovo tipo u .1naoo che, conge­
nialmente affme a quello dell'uomo non spezzato formatosi per sele­
zione nella grande guerra, sia capace di capovolgere i processi più
dissolutivi e nicrulistici dell'epoca attuale tecnicizzata e spesso por­
tata da nuove forze elementari, e di farli servire ad una sua forma­
zione spirituale, di là da tutto ciò che appartiene al mondo borghese, ma
anche alla fase disanimata e caotica di transizione: per degli sviluppi
positivi, i quali però presuppongono un mutamento interno della

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sostanza u1nana, il possesso di un nucleo spirituale percbé esistenzial­
mente com1esso a qualcosa di trascendente (ci espritniamo approssi­
mativamente, perché il discorso qui sarebbe lungo). A tale riguardo, noi
spesso abbiamo usato la fonnula e il simbolo del "cavalcare la tigre".

(l'Italiano, n. 51, Roma, maggio 1960;


poi in Ricognizioni, Edizioni Mediterranee, Roma, 1974)

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Bibliografia jiingeriana
a cura di Francesco Fiorentino

1. 'fraduzioni italiane (l)

Capricci e figure, trad. di Giaime Pintor, in "La Ruota", IIUa Serie, n.


3, giugno 1940, pp.753-770 (scelta di brani di Das abenteuerliche
J-Jerz. Figuren und Capriccios, Harnburg 1938).
Sulle scogliere di ,narmo (Auf den 1Warn1orklippen, Ha1nburg 1939),
trad. di Alessa11dro Pellegrini, Mondadori, Milano 1942 (riedito
nel 1943, 1944, 1945 e 1958); contiene anche Soggiorno in Dalmazia
(Dalmatischer Aufenthalt, in Bliiuer und Steine, Hamburg 1934), pp.
149-183, e Figurazioni e capricci del cuore avventuroso (scelta di
brani da Das abenteuerliche Herz, cit.), pp. 185-250. In seguito il
solo: Sulle scogliere di niar,no, trad. di Alessandro Pellegrini,
Ruscooi, Milano 1975; nuova edizione Guanda, Panna 1988.
Giardini e strade (Giirten und Strassen, Berli11 1942), trad. di Fede­
rico Federici, Bompiaoi, Milano I 942.

(I) Si indica tra parentesi il titolo originale dell'opera seguito da luogo e data della
prima edizione. Va tenuto però presente che quasi tutte le opere jih1geriaoe s0110 state
sottoposte dall'autore a revisioni, talvolta-corne nel caso di In Stahlgewillern -profonde
e ripetute. A partire dagli Anni Sessanta le traduzioni sono state condotte di regola sulle
versioni contenute nei Werke, 1 O voli., Stuttgart 1960-65, e successivamente su quelle
inserite nei Siimtliche Werke, 18 voli., Stuttgart 1978-1983.

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ludi africani (Afrikanische Spie/e, Hamburg 1938), trad. Attilio Bor­
relli, Nuvoletti, l\1ilano 1953. Nuova trad. di Ingrid Harbeck, Sugar,
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Masini, Longanesi, Milano 1979; poi col titolo Irradiazioni, Guanda,
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a cura di G.A. Brioscbi e Leo Valiani, trad. di Glauco Cambon e Aldo
Canonici, Edizioni di Comunità, Milano 1957, pp. 285-304 (testi ori­
ginali in "Confluence: An international Forum", 1952-1956); poi
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Al niuro del ternpo (An der Zeitmauer, Stuttgart 1959, trad. di Carlo
d'Altavilla [Julìus E vola], Volpe, Ro1na 1965.
Tenipeste d'acciaio (In Stahlge�vittern, Hannover 1920), trad. di Attilio
Zampaglione, Edizioni del Borghese, Milano 1966; nuova edi­
zione Ciarrapico, Ro1na 1982; poi col titolo Nelle te,npeste d ' a c ­
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Gisela Jaager-Grassi, Edizioni Studio Tesi, Pordenone I 990.
Jleliopolis (Helìopolis, Tiibingen 1949), a cura di Quirino Principe, trad.
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zione totale", trad. di Marco Tarchi, Edizioni del Tridente, La Spezia
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Stuttgart 1970), trad. di C. Sandrin e U. Ugazio, Multbipla, Milano
1982.

164

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nuova edizione Guanda, Panna l 988.
Il problen,a di Aladino (Aladins Problem, Stuttgart 1983), trad. di Bruna
R. Bianchi, Adelphi, Milano 1985.
Il cuore avventuroso. Figurazioni e capricci (Das abenteuerliche Herz,
cit.), a cura di Quirino Principe, Longanesi, Milano 1986; nuova e d i ­
zione Guanda, Panna 1994.
Un incontro pericoloso (Eine gejàhrliche Begegnung, Stuttgart 1985),
trad. Anna Bianco, Adelphi, Milano J 986; nuova edizione: B o m ­
piani, Milano 1990.
Il nodo di Gordio (Der gordische Knoten, Frankfurt am Main 1953),
in Emst Jiinger -Cari Schmitt, Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente
e Occidente nella storia del ,none/o, a cura di Carlo Galli, Il Mu­
lino, Bologna 1987, pp. 29-I 34.
Due volte la con1eta (Z�vei Mal Halley, Stuttgart 1987), trad. di Quirino
Principe, Guanda, Parma I 989.
Oltre la linea ( Uber die Linie, Frankfurt atn Main 1950), trad. di Alvise
La Rocca, in Ernst Jiinger - Martin Heidegger, Oltre la linea, a
cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano 1989, pp. 47-106.
Trattato del ribelle (Der Waldgang, cit.), trad. di F. Bovoli, Adelphi,
Milano 1990.
Rivarol. Massùne di un conservatore (Rivarol, Frankfurt a1n Main
1956), trad. di Bnmello Lotti e Marcello Monaldi, Guanda, Parma
1992.
La pace (Der Friede, Ha1nburg 1945), trad. di Adriana Apa, Guanda,
Parma 1993.
Viaggi in Sicilia, a cura di Giuseppe R.aciti, Sellerio, Palenno 1993 (con­
tiene, in trad. it., Aus der goldenen Muschel, in "Deutschland-Frank­
reich. V ierteljahresschrift des Deutschen Instituts Paiis", a. II, 1944;
Blick auf den À·tna, in Aus den1 goldenen Muschel. Giinge a,n 1\1it­
teb11eer, Stuttgart 1984).
Il libro del! 'orologio a polvere (Das Sanduhrbuch, Frankfurt am
Main 1954), trad. e note di Alvise La Rocca e Giancarlo Russo,
Adelphi, Milano 1994.
Il contemplatore solitario, a cura di Henri Plard, trad. di Quirino P r i n ­
cipe (contiene, in trad. it., Sizilischer Briefan den Mann ùn Mond,
in Bliitter und Steine, .Hamburg I 934, precedenten1ente col titolo
Sizilianischer Brief'an den Mann irn Mond, in Magische Geschichte,
Berlin 1930; Sprache und Korperbau, Ziirich 1947; A,n Saraze-

165
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1962; Sardische Hein1at, in "Antaios", 3/1962; Drei Kiesel, Frank­
furt am Main 1952; Ein Vorrnittag in Antibes, Olteo 1960; Die
Staubdèirnonen, in Bliitter und Steine, cit., precedentemente col titolo
Alfreds Kubin Werk, in " Ha1nburger Nachrichten", 30-12-1931),
Guaoda, Parma 1995.
La forbice (Die Schere, Stuttgart 1990), trad. di Alessandra ladicicco,
Guanda, Panna 1996.
Cacce sottili (Subtile Jagden, Stuttgart 1967), trad. di Alessandra
Iadicicco, Guanda, Parma l 997.
Foglie e pietre (Blèitter und Steine, Hainburg 1934), trad. di Flavio Cuni­
berto, Adelphi, M . ilano 1997.

2. Bibliografia critica (1)

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Grande Guerra, in "Trasgressioni", a. X, n. 1-2 (gennaio-agosto
1993), pp. 57-92.
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ragione ( l 95 l ), in A,nati libri. letture tedesche e angloarnericane,
Neri Pozza, Vicenza 1976, pp. 6 1 6- 4.
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pp.94-112.
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Alberto Boatto, Al centro del ciclone, in "1abula", n. 5, 1naggio 1981,
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Junger. Un convegno internazionale (atti del convegno su "Ernst
Jiinger" tenuto a Ro1na dal 14 al 16 marzo 1983), a cura di Paolo
Chiarini, Shakespeare & Company, Napoli 1987, pp.51-54.

(I) Degli onnai numerosissimi articoli giornalistici su Ernst Jiinger e delle altret­
tanto numerose recensioni delle sue opere apparse s u quotidiani e riviste vengono qui ripor­
tati solo quelli che sono apparsi particolarmente significativi per l'evolversi della rice­
zione di Jiinger in Italia.

166

M atenal e protetto da copyright


- Della guerra e dell'aria, Costa & Nolan, Genova 1992 (in partico­
lare pp. 44-59).
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131-150.
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p. 3.
Massimo Cacciari, Salvezza che cade, in "il Centauro", 1982, n. 6, pp.
70-LOI.
- Ernst .funger e Martin 1-feidegger, in Ernst Jiinger. Un convegno
internazionale, cit., pp. 71-82.
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"Studi Germanici", a. I (1935), n. 1, pp. 73-92.
Agostino Carrino, L'Operaio di Ernst Junger tra tecnica e dolore, in
"Democrazia e diritto", n. I, 1993, pp. I 69-182.
Cesare Cases, Arte, fisica e rnetafìsica nell'opera di Ernst ]unger, tesi
di laurea presentata all'lJniversità di Milano, 1946; poi con il titolo
La fredda impronta della jòrn1a, a cura di Hern1ann Dorowin, La
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- L '"Operaio" e l'anticapitalismo ro1nantico, in AA.VV., Ernst
Junge,: Un convegno internazionale, cit., pp. 175-183.
Adelia Centis, Ernst Junge,; "Auf den Mar,norklippen" und "Helio­
polis ", als Parallelwerke betrachtet, tesi di laurea presentata
all'Università Ca' Foscari diVenezia, 1956/57.
Italo Alighiero Chiusano, li progressisrno del "reazionario" ("Eume­
Slvil di E..funger) in l,iteratut: Scrittori e libri tedeschi, Rusconi,
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Giorgio Cusatelli, Un tormento progettato per durare, in appendice a
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"Diorama letterario", nn. 46-47, marzo-aprile 1982 (nuinero doppio
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nn. 1-2 (gennaio-giugno 1960), pp. 23-27.
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--Junger uo,no in guerra, in "La Repubblica", I novembre 1984,
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107.
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Material e protetto da copyright
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Ernst Ji.inge,: Un convegno internazionale, cit., pp. 25-29.
Maria Teresa Mandalari, L 'anarca e l'apocalisse cos,nico-genetica, in
appendice a E. Jiinger, Eurnes1,vi/, Rusconi, Milano 1981, pp, 395-
408.
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tàgor", a. XL, o. 2 (31 n1arzo 1985), pp. 208-214; poi, Lievemente
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nell'opera narrativa di Ernst Jiinger, in Ernst .funger. Un con­
vegno internazionale, cit., pp. 203-209.
Franco Marcoaldi, Ernst .funger: la poltrona del ,nago, in Voci
rubate, Einaudi, Torino 1993, pp. 29-48.
Fern1ccio Masini, Il ''ralisn1ano marcio" di Ernst Junger, in Itine­
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pp. V X - Ill.
- Gli schiavi di Efesto. L'avventura degli scrittori tedeschi del Nove­
cento, Editori Riuniti, Roma 1981 (in particolare pp. 197-230).
- Guerrieri divini e lanzichenecchi del nulla (sulla "stereoscopia
rnagica" di Ernst .funger), in "Tabula", n. 5, maggio 1981, pp. 48-
80.
- Ernst Junger: dati' "Arbeiter" ali' "anarca ", in "Il Mulino", a.
XXXIV, n. 30 I (settembre-ottobre 1985), pp. 787-801.
- Ludus ,nortis e "avvicina,nento " ( 1983), in La via eccentrica. Figure
e rniti dell'anima tedesca, Marietti, Casale Monferrato 1986, pp. 137-
146 (vedi anche la Pre,nessa, pp. 1-3); poi col titolo Mitografia
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pp. 31-39.
- La guerra co,ne "no,nos" della catastrofe in Ernst Junger, in D.
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1986, pp. 205-217.
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nichilismo, in "Itinerari", a. XXV (1986), nn. l-2, pp. 209-226; poi
con alcune variazioni in Storia. tvfetafisica. Ontologia, Morano,
Napoli 1987 (cap. N dal titolo Assiologia e ontologia del nichilis,no.
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Alessandro Pellegrini, .Introduzione a E. Jtinger, Sulle scogliere di
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- Ernst Jiinger. Sulle scogliere di rnarmo, in li romanzo tedesco del
Novecento, a cura di Giuliano Baioni e altri, Einaudi, Torino 1973,
pp. 363-379.
Giuseppina Piccardo, li simbolo del serpente in "Auj'den Mar,nor­
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ture nioderne, voi. V, La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 355-365.
Giaime Pintor, Il sangue d'Europa, Einaudi, Torino 1950. Contiene:
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pp. 2 2 0 2- 24.
Luciano Pirrotta, La conoscenza ribelle, Atanor, Roma 1994.
Quirino Principe, Introduzione a E. Ji.inger, Heliopolis, Rusconi, Milano
1972, pp, 5-12.
- L'età del gelo e la rivoluzione della/orma, prefazione a E. Jiìnger,
L'Operaio, Longanesi, Milano 1981, pp. ID-Xl.
- l'intelligenza dei sensi, prefazione a E. Ji.inger, li cuore avventu­
roso, Longanesi, Milano 1986, pp. VII-XIII.
- Serpenti in for,na di rosa, introduzione a E. Ji.inger, Sulle scogliere
di m.ar,no, Guanda, Parma 1988, pp. V-XIX.
- La dilatazione di Atropos, postfazione a E. Ji.inger, La forbice,
Guanda, Parma 1996, pp. 193-20 l .
- Oltre il velo che non e 'è, postfazione a E . Jiinger, .li conternplatore
solitario, Guanda, Parma 1995, pp. 335-340.
- Ultirno titano del '900 o prirno del Due,nila, in "Lo Stato", n. 9, 3
1narzo 1998, p. 63.
Claudio Quarantotto, Un rivoluzionario conservatore, ù1 "Il Tempo",
18 febbraio I 998, p. 14.
Anton Reininger, I,npassibilità ed ebrezza, in "Tabula", n. 5, maggio
1981, pp. 78-90.

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Attilio Runello, Ernst .funger nel bene e nel ,nate, in "Studi cattolici",
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Valerio Verra, ,Vichilismo, in Enciclopedia del Novecento, lstihlto della
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3. lnverviste e studi critici su Jiinger tradotti in italiano

Alfred Andersch, Jìinger ottanta (1975), in appendice a E. Jiinger,


Eurneswil, cit., pp. 373-391.

171
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MarceI Decombis, Ernst Jiinger. L' "ideale nuovo" e la "n1obilitazione
totale" (1943), Edizioni del Tridente, La Spezia 1981.
Jean Pien·e Faye, Introduzione ai linguaggi totalitari (1972), Feltrinelli,
Milano 1975 (trad. parz.).
Jean-Louis Foncine (a cura di), Intervista a Ernst Jiinger, in "Nuovi
Argomenti", n. 17, gennaio-marzo 1986, pp. 74-86.
Antonio Gnoli e Franco Volpi, I nuovi titani, Adelphi, Milano 1997.
Jeffrey Herf, Il rnodernismo reazionario (1984), Il Mulino, Bologna
1988.
Julien Hervier, Conversazioni con Ernst Jiinger (1986), Guanda, Parma
1987 (soprattutto pp. 115-163).
Manfred Hinz, "Der Arbeiter" di Ernst Jiinger: le pren1essefilosofiche
del romanticismo politico, in Kart Dietrich Bracher e Leo Valiani
(a cura cli), Fascismo e nazionalsocialismo, n Muli,no, Bologna 1986,
pp. 2 0 5 2- f 7.
Wolfgaog Kaen1pfer, Ernst Jiinger ( 1981 ), Il Mulino, Bologna 1991.
Gilles Lapouge, Intervista a Ernst Jiinger, in "Tabula", n. 5, maggio
1981, pp. 5 9- .
Gyorgy Lukàcs, la distruzione della ragione (1954), Einaucli, l'orino
1974, vol. II, pp. 537-542.
Ernst Niekisch, A proposito de "L'Operaio" di Ernst .funger ( 1932), in
"Tragressioni", a. VII, n. l , pp. 124-128.
Arn1in Mohler, la rivoluzione conservatrice in Germania 1918-/932
( 1972), Akropolis/La Roccia di Erec, Firenze 1990.
Giampiero Moretti (a cura di), Vecchi e nuovi titani. Intervista con Ernst
Jiinger, in "Metaphorein", nuova serie, 2 (12), 1988, pp. 1 1 7 -125.
Hans Schumacher, Ernst Jiinger 1929-1939, in "La Politica", 1985,
n. 2, pp. 76-92.
- "Die Uhr schlii.gt keinern Gtiicklichen ". Saggis,no e considerazione
dei ternpo in Ernst Jiinger, in AA.VV., Tra sùnbolisrno e avanguardie.
Studi dedicati a Ferruccio Masini, a cura di Caterina Graziadei e
altri, Editori Riuniti, Ro1na 1992, pp. 341-358.
Marcello Staglieno, Conversazione con Ernst Jiinger, in "Percorsi",
n. 1, dicembre 1997, pp. 45-49.
Dolf Sten1berger, Maestri dei '900, li Mulino, Bologna 1992.
Si vedano inoltre i vari contributi di stucliosi straiùeri contenuti in Ernst
Jiinger. Un convegno internazionale, cit.; e quelli di soli italiani in
Ernst Jiinger e l'Italia, a cura di tvfarino freschi, Shakespeare and
Company, Firenze 1995.

172
M atenal e protetto da copyright
Indice dei nomi e dei testi citati

Abraxa (pseudonimo), 23 Bemanos, 86


Adelphi (editore), 15111, 156n Bib/iografiafàscista (rivista), 24,
Akropolis (editore), 144n 141
Al muro del te111po (An der Zeit- Bloch, 16
1nauer), IO, 12, 24-25, 127, B01npiani (editore), 153
160, 157 Bonald, 148
Alessandro Magno, 150 Bontempelli, 17
All'Ovest nulla di nuovo, 16, 53 Brecht, 22
Andersch, 21-22 Burckhardt, 16
Anteo, 127 Bulwer Lytton, 19
Arcella, 13 Burzio, 133
Archivio Jilnger, 9, 13
Armando (editore), 24, 34 Cavalcare la tigre, I 0-12, 24, 26,
Asthete under Hitler, 22 l l 7-l l 8n, 128
Auf den Marmorklippen (Sulle Chatwin, 22
scogliere di Marmo), 12, 18, Ciarrapico (editore), 145n
20-22, 24, 26, 29, 122, 131 n, Ciullo, 13
137, 153, 156 Corni,8
Considerazioni di un itnpo/itico,
Bachofen, 8 16
Baltikurn, 145n Croce A., 8
Barbera, 8 Croce B., 8, 18
Benn, 8, 22

173
M atenal e protetto da copyright
D'Altavilla (pseudonimo di JuJius Fuga senza fine, 18
Evola), 24, 157n
D'Annunzio, 27 Giirten und Strassen (Giardini e
Daudet, 17 strade), 153
Darwin, L04 Geist der Utopie, 16
Das Wii/dchen (Il boschetto), 35, Giano, 69
125 Gli Uo,nini e le rovine, 117n
De Maistre, l 48 Goethe, 20, 104, 140
De .Poncins, 144 Gobbels, 146n
De Tttrris, l l 2n Goring, 146n
Der abenteurliche Herz (Il cuore Grossato, 12
avventuroso), 18, 52n, 131o Guanda (editore), 5211, 13 I n,
Der Arbeiter, 9-13, 17-22, 24, 153n, 156n
26, 35, 131 Guénon, 8, 128, 157
Der Wa/dgiinger (Trattato del Guerra, 17
ribelle), 11, 20, 22, 24, 26, 122,
151, 156-157 Haeckel, I 04n
Der Waldweg (La via del bosco), I-lanseatische Verlagsanstalt ( edi-
122, 151, 156-157 tore), 13 l n
Der gordische Knoten (Il nodo Heidegger, 26
gordiano), 25, 150, 156-157 Hen1ingway, 27
Der KarrqJJals inneres Erlebnis (Il Hesse, 17
co,nbattere con1e esperienza Himmler, 14611
interiore), 35 Hoepli (editore), 138
Donoso Cortès, 148 Hofmannsthal, 144
Driesch, 104 Holderlin, 26

Ehrhardt, 145 11 Caduceo Ermetico e lo ,')pec-


Eine gefahrliche Begegnung (Un chio, 23
incontro pericoloso), 25 Il cammino del cinabro, 9, 23
Eliade, 8 Il ciclo si chiude, 112n
Elleni, 27 Il Mulino (editore), 15011, 156n
Erodoto, 158 Il Popolo Italiano (quotidiano),
Eumeswil, 20, 24 151
E vola, 7-12, I 8, 20, 23-27, 112n, Il tramonto dell'Occidente, 16, 37
122n, 127n, 153n, 157n Il lupo della steppa, 17
Jn1perialisn10 pagano, 20
.Feuer und Blutt (Fuoco e Sangue) In Stahlgewittern (Te,npeste d 'ac­
35 ciaio), 16, 23,35
Fiorentino, 12
Fischer, 145 Jiinger, 8-12,15-27,35-39,41-95,
Freiko,ps (Corpi Franchi), 145 97-115, 117-128, 131-142, 145,
Freschi, 1O, 12 149-151, 153-160.

174
M atenal e protetto da copyright
Jiinger F.G., 22 Ordine dei Mauretani, 19
Orienta,nenti, 26
Kafka, 17, 22
Kant, 55, 76 Pellegrini, 18, 131n
Kérenyi,23 Prezzolini, 7
Keyserling, 138 Principe,13
Kre1nmerz, 20
Kriiger, 15 Rassegna Italiana (rivista), 148
Reghini, 20
L'Italiano (rivista), 25, 16 I Reininger, 8
l '"Operaio" nel pensiero di Ernst Retnarque, 16, 35,53, 154
Junger, 7-10, 12-13, 17-18,24- Renn (pseudonimo di Vieth von
25, 27, 33, 35-39, 53,65, 87, Golssenau),17
117-124, 127,149, 154-156, Ricognizioni, 161
160 Rivolta contro il rnondo moderno,
L 'Uorno senza qualità, 17 11211,11711
La Biblioteca errnetica, 8 Rosacroce, 14511
La Rivoluzione Conservatrice in Rosenberg,146n
Gern1ania 1918-1932,25, 144n Rusconi (editore), 131n
Lang,13
Laterza (editore), 8 Saint-Exupéry, 27
Lawrence, 27 Scheiwiller, 24
Ley,14611 Schelling, 128,158
L'Italiano (rivista), 161 Schtnitt, 8 -9, 150n
Longanesi (editore), 153 Siddharta, 17
Soggiorno in Dal,nazia, 131n
Malraux, 27 Sornbart,86
Mann, 16, 21-22, 145 Spengler, 8, I 6, 37, 147
Marx, l 6, 120 Strahlungen (Diario 1941-1945, o
Maurras, 144 Irradiazioni), J 23, 153
Meyrink,8
Mohler, 25, 143-144, 146-148 The New Yorker Review ofBooks
Moller van den Bruck, 144, 145n (rivista), 22
Mondadori (editore), 53n, 131n, Traverso,22
153 Tunda, 18
Musi!, 17
Ober die Linie (Oltre la linea),
Niekisch, 15 24
Nietzsche,8,16,26,42,59-62,84, Ur (Gruppo), 23
93,139, 147 Ur (rivista), 20, 23
Nietsche e il senso della vita, 8
Nigromontanus, 18-19, 23 Yenner,14511
Vico, 147

175
M atenal e protetto da copyright
·. i th von ·Go1 ·· · n.a.u 17 ·. oiw -r · Verla,g ( editoJ'ie) 144n
Vo I p : (editor _ ) . 8-9· ;, 3, , 12 7 n. ,,
·,1l 5-· .·.7·. n
Volpic�Hi 2-4
Von Gl ei.,cben 145n
1

·von. Harbou l 3
Vo.n Pap -n 146n Zanonl , 91

176
JUL.Iu·s EVOLA
J u lìus E ola ( I ·9 maggio 18 98- -· 1 .· g i u,gno 197 4) n ,sce a Romia da fam · glia di
nobi H ,origini F'onnato i ull · o r,. di N·ie t:zsche : ichel taedter , · w·e ·ranger,
1 •

pru,ecj_pa. aUa prima . : uerra rn.oncliale come ufficiale di .arti.� lie-ria. L' e �perienza ar-
ti tica .io a ·. · . icina a Pa,p.mi e· a_· .·"ari.netti, a tllla e a Brag· ;glia, ma e ] '"incontro · ,_ �1�
to· : re e n T, ara eh lo im on.e -com.e pri.ncip·al . e· pon 11te di D� da 1n J:tatia: di­
pin . e ed e po,ne ·m ciu, · m quadri a Roma e a B erUno. coUabora. alle ri- L te .B le.u ,e Noi,
1

elabora. t · ti teorici (Art · a:stra.lUJ l 920 definito da M Cacciar.i ·uno de, li


. ri:t i filo- •, 1cament · pregn.anti del le a anguard ·:e europee u ; • crive poemi .- . · . s;l.
(La· parole oh.scure· du· pa sage .intériet,r.. l 921 )i ..
Iscrittosi alla facoltà di :lnge,gneria, _giunto all,e o_g!me dell I.aurea, i rinuncia pe:r
d�. prezzo d i titoli accade:mi,ci Il dadai mo - di cui oggi vien · con_ ider, 1 to i · ·mag­
gior e· pone:nte itali ano, � : però o·�o un prim.,o ·p , u per '"and 1 .. -ollr, - ·�: compl ta
un • uo an1pio lavoro filosofico- iniziatu nelle trincee del · ar: o eh intende pn,­
1

., . ntars,i ,oome un · uperamento de] I' ideaii. tno class.ico e lo fa pr ced. r. · da una ra -�
colta di scri1:·· (Sa·8, i suU ideal'is,no magico 1925 -- Teoria dell'Individuo ,usoluto ,,
19'.27; .F. ·no,m· · nolo , la ,d . U 'lndi"viclu:v- , . · '.·oluto, 193 ·. ,.
Attira I __.ttenzione di Croce . Tilgher e Calo ·eJo.. ..·. onten1_po,raneatnente ,, copre le
1

dottri.n · di :realiz · · z·ioi:r� · estren1 . -ori.ental ·, cura 1.u a ·ver� ione ita1iana d m Tao�.t'è..,
ch:iti:. (/:l Libro della Via ,e della Vi.'rtù •. 1923) e pubblica la prima opera "italiana
su· Tao.tra ,(L 'uo.,no .con, - po.ter1; a, 1926) se - uita da un libro moUo polemjco smi
Japporti ll'a fai ci si-no e c·ri tiane im,o ..l,npe riatis,no p·a gaoo- 1928,, •
Divi <o tra l'".e]evazione · pi.rituale d u� o · gli interventi ·nella vi.�a · ultur-(lde del
I t- ·m.p ··, olla.bora �.t lgni ., .· tanòr '" Bil_ •.chn,is, · pubbUc:a i q_uade:mi mer1.ili di : · r
(lli927-192,8. e Krur . 1929) dov,e. cri· ono, Reghini, .. ohaza ..Pari' e ,Qnofri�. Conli
Serva.dio; poi ·:1..· uindtcina.i· · .La To,rre· · m.930), ch1u op ·r l .u ·, int,e·rpr.i taz.ioni
troppo et,e1r __· o e de1 :fascisrn.o.
Continua �a :ua indag'" ne u 1 e fonn,e di :rea] w u�zione uteriore e si intere sa quindi
1

di a: chimia ·· La t.r.adizi'o.ne· · . nnetica .. 1 91 3 I · di neo- · piriuiaU mo .Maseh,era e vo.lto


dello sp,irituall nw con:r mpo-ra:rieo 1932), t di le� ·�nde ,cavaHen�� eh_· ed esoteriche
(li nd- ·t ro d l Graat ·t 9 -7 inte _ coni.e· L iniziatich . o cidentali.
1,

Ali,·. ba-· · d. ,,·1.a sua. Weltans ··hauung antini1od ma. antimat ·ria]i ta antiprogr· ·... -
..i. t · - che ,gi i face ·. a -cri ti-care . i a bols,c- vi mo e he �med,c:ani smo consid .·· · ati
du : -. · e delh1, , · -: m dagli.·, n 1 pri ·t d.1 .. , aggio om ,nimo app· .:- o ulla uova
' Antolà 'ia ( 929)i- c''. · R.iiolta coritro il 1.1101t.do 1n'Ode,rno .· 1·934), la un ,opera. piu
1

i·mportante e famo ampio :panonuna della. civiltà tradizionale contrapposta ana. 1

ci . ilizrnionc cont,emporanea. Dopo averlo letto ci s.i · ent,e tra formati seri · ·e I

1
Go fried Be.nn. Cerca d'''introdurre que �e t,ematiche nel d1batt:ho di que,- ]i anni
curando la pa,gina "'' Dio-rama filo ·ufico i( 1934- I 943) d_ � quotidian, . l'l R .g. ·ni · a­
s · '. ·ta di remon: che os ·· to tutt , l. _: rnig'I iori firme d. g· i i , llettuali un. .•. · ....
·N· i,

tori den· ,ep - ·.· .. S · -:1uppa anche ,cont· itti p. rsonali ,con 1ue- t" ambienti tenendo .molte
1

com· renze ,pirattutto h1 0,ennan.i a.


. a conos·· e, . · .in ltaJ ia. autori co1n - pc ng'ler Guénon...: - . y rmnk-. Bachoi. · n - rn i 1
I 935 · , il 1943 s' int • te' a - ben prima che '.· 11 go,m nto, d i . nta a:, .• - atLuaJità. � aJ ,
s · dio , d alPesam, d i probl. ·mi d lle n1 z \ "'re ,ph1gendo ogni teod ·z z1on 1

del r-a · rl ·· m.o in eh ·i.a v,e ,e· . clu .· iv a1n.en1 . biolo� i ca' · R. D �, F,elice ; e � cri ve:: Tre
a pe.rti tk 'l _problema ebro.-i,o ( _ 9 6 li 1ni.to· d. i fa·.ngu - ,( 19 ,7 · .lnd,,i-�l per iina
1
educazione ra'Lja,l··. ,( ]l 94 l che · ·U. cita l inteli se di Musi oti.-ni il quale lo oon­
'!·
I
1

vo e a. a Palazzo V en �-zia ne� tt�ttembr _ · di q u � U ,anno: nE i'I U bro· eh� ci oc,c r-


reva. ,. g11· d · .1" ·.
In piena _guetTa ,. qu" i 1 indicazione ..- i una '"·ia da., e_gwre. pubblica un ag.· 'io ,ul­
l · ' e w. buddhi ta.: La dottrina del ri.neglit) .• l 943). D p · i , . , e1.. mbre raggillmge
fortunos,amente a ,a rmani .,., .· d p.re e.n.te aU'a-rrivo di . u solini al Qua..rtier
I

·GeneraJle dì Hider. Ritorna quind"· in Italia e l , eia def initi. ament,e Roma quando
g ·i americani entra no ne 1 la capit · 1 e ( 4 iu no) .. Nel 1945. a V:ienna poco prima
deH'in,�r .. sso de' .-ovi- t··ci ! .:i tro· a coi.nvolto in un bo:mbard.amen.o · , in· e· .uito
ad. u.n ..e· ion a1 mjdoi o. ,prinak·., �- ub�. e · una :paresi pe.nn . 1 nte agli arti in eri:od.
Rientra. in Itali . n ,J 1948 ed è dco�. erato a B 0! :_ n·. quindm. o·_ g1 m,erà. fra la 1

ci Hà petroni na ht ca.pitale i no a tabili·. i. definiti amente .nella . ua abitazi., ne


1 ,

romana daUa hne de· l '9'5 .. : . a non è :r 'rma to i-natti . o, perché tra n osp · dal u111
. ltro ri ede il g�ov.ande t ·uomo ome pot. ·n�a . gi . ri. crwno negli , · nni Trenta
che diventa Lo Yoga; d ·Ua por, 'fl._ a _.1949 � r.i b1bon1 ed adaua ·i t, 'ti. app.ar·i in
re Kru-r nei tre, volumi di lnt,rodu-10-ne .al/6· Magia quale Sc.ien-a d .ll'Jo 1955�
56) ri 1ede anche T. o ria .dell '.Indi. iduo, ,assoluto e .riprende l · col abo-razio:ni ·ior­
·nali . twche che gli procureranno anche una a v ntura ,giuw zi · a da cui u . �ra con1-
p,-1ellam
- 1 · -- -e Dli
-+,e ·- ca.
- - 1-·on ru.. (". 11 co .
g . ,a·-t.,� · , L"dd.ett'.il'iiliJ'. ''p..roce
· •. . . • ·o
·..·• d.. · -�
� FAR;;
- .·. i 1,9. .50· l
1,,,, �

"o;. u - colo O'ri _·· nta1:ne ,u i ·_ l 9150 · conUene in m, ·e tutte 1 · po iz�oui poi ,. vilu_pp,. -
te in re libn · ucce ivi dove·, o o · .po te le, ue idee per· vi� ere nel mondo del
.
po: r- 1945 ...··-e,h e· -empr pwu - . o 1 a v·,e d•e come e. pre :. ione•-deu ·· n -.· tà.·· u 1u· ma. 1· 1. K'. ,a1,J�·
m .. •

yuga _ l èr" ., scura: querule suUa. poHu., ·-a in Gli uomini e .le r;ovùie 195 · ) t :. ull eroti-
mo in Metafisica det esso ( 1958) 1e 11.gU orientamenti. . ,,.J.. · nZJi .. h in Càv,{dcare
la ti re ( 1961 ) .
�- .J 1963 vi:. rn_, r'·.scoperto com. dadrusta: Endco C'.ri:.:polti o-r amiz.za. una. mo tr
.
1

dei uoi I uadr' alla Gal Ieri a. u· a - d.U' a ' di Ron a. Segu no un au · o iografia
atti aver.· o i · u ·. i libri (Il c:,ammi'no, d l: .. inabro 196. ')i un sag _ .io d interpireta­
zion. � · torìco-i.d - lo·_ i,ca (li fas ismo, 1. . , : , ,, due , o,lumri. mi -. llan ·· i. L 'arco . · la.
ia i a. l 968,� Ri ·c1gnizi.ruii, � 914 )r,, la ra,ccolta di tutt · l · .,u , poe i (Radga
Blanda�. 196'9'),.
, · on I a · dirig per �,e· Edizioni - , .__·diterranee ·, .. · m -· -68 a� � .. 74 - aun · d.e ia ua ·>è

S . om,p1arsa - la collana ·n,ori.zzo:nti dello . pirito' Il. Ua. qual,e in eri �- operie . , au­ e

ton d i più atnpi di er , i one.n ta1nenti s_pirituaH · tradizruonal :i.


L m uhtm.a .f. e deHa ·, ha ved - J ul.iu Evo:la. nella in o p ·· ttata, -:, e . , , di un. mHi=Mar-
..
u. e: iI uw. oere d 11a òòtconte taz�one· , anche in ua·� ia. i( :1968) rari · · oprire ]' suo . n=
· i .. ro non so�o a' de .. tra" •ma anche a� inwstra· tal -he ne:i p_ri.odo l96·--197.
una do zin, di uoi Hbri v ngooo ri .tampad una o anche due · - -. ,tle. me,· ·r, , , uol
:inter enti .sono richie t·· da vari, . riviste. ochi m . ·. i prima deH morte deua lo ta,­
tuto deHa Fond zion eh· port iJ ·.·u · nome . .
Dopo .ia ua .. omparsa ·ono s,t.ate pubblmcat , num ro. , ·_ lt anto·i. -gi he �a�- m
. .
e non - d_ 1 suo1 art"1co. 'l'1 e .sa.gg:1 ..
Quadri e di egru dm Ju · ,u · E.vola .. · .no pre. so . u ei e collezi1oni prlv ate P:ae;5 ag,g.io,
int .ri:Ore o,re IO. ,O aU.a GaU�:r.ia. .� . zionale. .'Ad �·,odema. · ·Roma).
1"' 1 1 �

i: . uoi s, ggì. i , uo/ libri ..ono . t· ti trad0itti e pubbJ\ ali i·n 01 rmania, Frani ia
Spa. na. Po11o,g, Uu t Grecia�, S i. era Gran Bretagna., Ru sia,. Stati U nitw · -e ,1co,
Canada. R. mania Argenti.ria B,ra i le, .- · nghed _, Polonia, Turch1 a ,.,
u
Oper:e di Ju.liu'·. Evola

LQ, YOG.A D'ELL.A. POTENZA.


Saggio ,ui Tan.:tra.� l,o Yàga del Se, ,so .. N,ua a e,di·-ione ril le,duta e ,atnp.liata
Con un sag .io introduttivo di Pio .Filippani R,o,n moni
.
L , autore pre. enta una corrente Indu il Tantri. mo · _ · lo Shaktism,o� l . quali , . ha
e. e.r-citato oo�·influ ,nza not vole ,ulle prece nti tradizjonj, affermando una vi­
• ione del 1· oado . d . i a. . · ita con1e pot,euza - pr1oponendo n1etod1. di realizza­
zinne caratterizzati dat · � impnnam1za data ai .· ·o.rpo . · aUe fo e segr, te. del ,corpo.
Con una re po iz",one ·'.eri.a. ordinata e� e1npre ba ata. ui t_, ti o.ri• ··inali, Jw.ius
': vo�a ,espone m:i 'Tantrismo nei , uoi di· e -. i a� - ·tri non tra ·. urando ui1a i ater­
""

pretazione in _pro.·'onditi\ deì - ari in- ego.amenti e de,�i vari · im· . or1 t effetruando
ac, o.stamenb e paraU. :ti an,che con dottrine magiche ed . ·. ot,edche occidentali
anche per una , · entuale pratica.

NIETAFIS CA, DE'L SESSO


N,w,la . ·dfc·i.on_ · ri'v� ,duta · anrpliara
Con un s,a ÙJ introduttivo di Fausto Antonini
.'

Ques - opera ,con id . ra il ; e._ so e 1 · e.· p . ri nza del ses o econdo a. petti ,e di-
men. ioro i diver. 'i da qu Jli cui · i · ono, arre ta , l ricerc ,e p .icologicb · · es­
� uolo, ich · e p- i .. alitir ·he. L 'A.u ore me te in risalto� · · _o come una potenza
1

e�e.mentare o cura. e ub-pe.rsonale�. prop,o,nendos.i di ·coprire una realtà di


." -' a non m.eno pro onda ! ma di natura superiore , trascendente. La ri,c:erc · a vuole
inoltre , copri ..· non o I.amen te m-eHe torme più 'i nten ·, :- deHa ·. ila erottcs,, ma
anche nei 1 · wnore com un e . belea i di una. ,c<�a , ·iendenza>>,•. rimo · oni ,omen�
ta·n < de·i limiti d- Ua ·o.· ,,1enza ord1n- 1 ria . le] I,· uomo e · ella donna e · erfino
a -, . ure , 'lii so _ ra ens 1bile. S -� offre co ,W a] 1, tt, r un va · ti s,i.mo panora:m.a
che va dai riti s- gr ti . , orgia. tici tantri,c� _ dtd dioni sis:mo· ,a la d ·monoiogia. e
ane e� peri n21e d I : · abba e dei (FedeH d Amore», dal1 a pro ti uz-io-ne a r.a ai
Mi-- ieri de la Donna ..

IL MIS--T.·ERO. EL GRAAL
r.• ·.I'; ' . - ...- o·
. - . ·: ·. I.·. :,- ·.. �-- ,

Nuo1 a .edizione ri v.ed:utti - Co,n un :;tJ"ggio t,uroduttb. o .di F.ra.n ..o ·. ardini
Ba· and.o .j su tutti i. princi.pali testi orligi.nan della: eggenda e ru ,"i.eh affini
1

;,
antichi france t in le �i . · ted -chi, .- 1 Autore pr1eci a il · en o d 1 mistero de�
,Graa.1 mi ·t· ro che - on ha carauere agm-nente n1itico, ma iniziatico e re.gaie
,e cl � i lega ad una tradizione an.terior,e e preesi t::nte aJl cri :·tiane- ·imo,. :cene
varie: .vventure cavai 1 ere e� Evo,la. indi.,ca il signi:ficato nasco.·:to, rifacente· i
es enzi a m nte ad esperienze e a prove interne� : nche H imbo-1ismo della
<{donna», e dell ·ero· V"l.ene adeguaiam- nte · pie .. atIJ, p ..r !, vale ze e e a in
,q u · to .pe 1 fico coni, e .to.

Ed·� ioni Mediterran�ee, - Ro.ma -�, Via Flaminia 109


Ttd. 06132..35�194 � Fax 32.23.. 540
, Opere di JuUus .Evola ,.,,

LA ·001+JRINA. o,EL RISVEGLIO

In q,ru' ito l n r ,.: .arco . ii . I


·w ·.,
o,,3-'l,;i!li
�"'iit"',.....
....... ,�
... ' '

r, ggiung,.re, -·i-t"- iJont i.-·: 1_·. _·d·.-pr1 bl,·m


i . i.d u, �,ore,,rom - Je
. t'. . ]'' .. .. ·
-rel az1on1
. 11 -. � O
-- nente ,e Oc ,rd emte, i. 1 conoetto ci
-. �-e�,' _ ,: nUZl
. . . aD, n, � _ - - :�nza d_ -� 1 nutt e
dei. imboli - il, __ nf. o della romani_--_. 1 1• •• ia. - ell __ i,one -· d.· I a contemplazion�
· U id al e - Ump100 U; in n ro d : 1 1 �. Ugiorn., ia icl d- ·.Il -·
-· ·-·m
·ignific ,t d n , Tradizk n ·�, e - · · . v.1 �, on 1a la .
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LA TRADIZJONE ERMETICA
Nuova edi.·ione ri"veduta e' ompUata
Co.n un sag ·io· int'roduuivo· di Sevyyed Hos. eitz ---asr
L aJ.chlmia, s. trettam nt connessa con 1 · ermefr mn e la trad1zj:one e eti.c,o.. 1 � 1 ,

chem ·ca. eh • d _ 1] periodo a[ - _ andrino s·i ,è continuata fin - - u 1 .. o_g:tie d .. 1 :mondo


modem - ,, ri.guarda e �nzi" ment,e un in egnamento iniziatico esposto u� and -
d sinibt1iU - mo di met 11 i - �- dì tia mutazìoni. dei metaUi. ·Quest ·,opera dj J uli u
E volla e - pone in ·mode- - i tematl - O; con ,co 'tant:i e num.ero ·'Ì. - imi nf ·rime·.nti
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tali. ·uno· de· li intenti di E vola. è di indicare i a ,q u · - f arte una formuiazi onc spc­
c·i. J · deU a vi a iniziatica , carau � rizzata da. un orientamento afl"nnativ,o ·<<tega·�
'·n - - n ·o tra ·lato,, piu che . on� mp]arivo o _-- ohanto mtell 'ttuale o ·- ,pi, nzi · le.
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di Lao-T -e ,( ,, cura di Julius EvDla ,


Con uno stt1.dio inl rodNJtivo di Sil'vio· 'Vi.ta
U . an-t!�·_.. hi·n9 di Lao� T·z è uno dei· rinc:ipaU te. ti t�adizionaH deH' · ·:_ remo
Oriente. E-., o contiene una paitioolare . rifo1mw.az1one de· 1 · miti.ca d!ottnna d - 1
Tao - il Prin.cipio. la.' Via.·, -, - in termini i.a. di me·ta· u;.�:, ·a, sia d1 pre ent· ·_,.
zione di un I· : ·_ , e umano -:u .•-_ :rio ·_ · ., omo R•- . hl'}. · :i -_ che 0gli 0 id , granuni
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anche Mel. ,commeoto, citazio·ni c1e:1 e ,opere de.i princi.pa] i Padri. del _ aoi m.o,
per un .inquadrament . , più · -satto . _ e11 �-o - �r, di Lao-T� :- �
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Questo è il tboh.J, che JuUu .Ev.'-Ohl diede alJ a nuo,"a ; ruzion ·, d l fJ7 .a 11.ttroc..
d -'. ione· alla Ma- · i,a qual s -i nw deU lo ·( 1 -_• 9- )i •. In s a I · autore ha � istemato
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·: i ·e pagin.e e'. - o.nen i di vari.e tendenze s.piri.tu,alli - Artu ro R,egh ini a Giulio
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Càlla,ia jo,ulata da J;ulius Evo/a

A. Avalon - I. POTERE D,-.L S :RPENTE.


A .. Avalon - IL MONDO COME..POTE · 1ZA (2 · o·.um:i)
.- � .· valon - _ i·HAKTI S -AKT.,
.· -� Avaion - ALLA D , · A MAO.RE
A .. A:valon - 1:'.ANTRA DEL.LA GRANDE LIBE.RAZIO
I. G. B,ennett - I M- _._.ES'TRl. DI SAGGEZZA
T. Bu.rckhardt .. lNTROD UZI1 0NE ALLE DQ,'ITR. · 1 �- 'ESOTERICH
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Collana fondata. da Julius Evola

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E. H,errigel .. LA VIA DELLO ZEN
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Lama. A. G·ovinda - RIFLESSIONI s·UL B,UDD·:HJS:M:O·
La.o Tz .. IL LIB.RO DEL PRIN,CIPIO E :DELLA. SUA AZIO ·• E (Tao­
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J.. i - d: ay - LE QR]OINI DE L'ALCHI OA NELL �ITfO GRECO- 1

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Lu K''uan 'Yil - CH 1'AN .E ZEN
Lu 'K 1'uan ·yu - BUDDHISMO PRATICO
Lu.. ·zu - IL .MISTER,Q DEL FIORE D ',QR.O a cura di J.. Evo.fa
J.. Markal 1e - ]L. DR:UJDJSM·O - Religione e divi,iita de'i ,Cel'ti
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Introd z.i'on e alla psico.l,og ia di ·Gurdji iff
P:D. Ou pensky - UN NU,OVO MODELL0 DELL'UNIVERSO 1

J.M. Rivière - KALACH'.AKRA- lni.ziaz.ione tantr:i,ea de'/ Datai Lama


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F.. Schuon - L F_ESO RISMQ, COME PRIN CW]O E. COME VlA 1

F: Schuon - FORM'A. SOSTANZA D·:EL .E RE-LI1G O•:.


F:. Schuon - SULL �· TRACC D · -L A RELIG]ONE P·E RENNE
F. Schuon - D·AL DIVINO ALL�UMAN,O
R.A.Sch\vaU.er de Lubicz - LA SCIENZA SACRA DEI FARAON]
R.A.SchwaHer de Lubicz - LA TEOCRAZIA FARAONICA
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