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Recensione A E. Gentile Chi e Fascista

La recensione dell'opera di Emilio Gentile, 'Chi è fascista?', esplora il ritorno del fascismo nel XXI secolo e critica l'uso generico del termine 'fascismo' per descrivere diverse realtà politiche contemporanee. Gentile sostiene che l'idea di un 'fascismo eterno' è errata e deriva da una lettura superficiale della storia, mentre propone una riflessione più profonda sul fenomeno fascista e la sua evoluzione. La sua analisi invita a considerare le origini e le caratteristiche del fascismo, evitando semplificazioni e generalizzazioni nel dibattito politico attuale.

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Recensione A E. Gentile Chi e Fascista

La recensione dell'opera di Emilio Gentile, 'Chi è fascista?', esplora il ritorno del fascismo nel XXI secolo e critica l'uso generico del termine 'fascismo' per descrivere diverse realtà politiche contemporanee. Gentile sostiene che l'idea di un 'fascismo eterno' è errata e deriva da una lettura superficiale della storia, mentre propone una riflessione più profonda sul fenomeno fascista e la sua evoluzione. La sua analisi invita a considerare le origini e le caratteristiche del fascismo, evitando semplificazioni e generalizzazioni nel dibattito politico attuale.

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ISBN 978-88-255-3620-1

DOI 10.4399/978882553620121
pp. 323-330 (giugno 2020)

Recensione a Emilio Gentile, Chi è fascista?


Laterza, Roma-Bari 2018

FILIPPO GORLA

La più recente opera di Emilio Gentile prende le mosse da una neces-


sità urgente dei tempi attuali, ovvero riflettere sull’idoneità delle cate-
gorie politologiche tradizionali per il nuovo scenario costituitosi agli
inizi del XXI secolo. Il presupposto dell’opera è tratto da una consta-
tazione oggettiva: «A 100 anni dalla nascita del movimento fascista, a
oltre 70 dalla fine del regime, il fascismo è tornato. In rete e nei media
l’allarme è al massimo livello» (così recita l’incipit dell’efficace ri-
svolto di copertina). Si sarebbe delineato, nella politica del passaggio
tra XX e XXI secolo, il ritorno di uno dei fenomeni politici più perico-
losi dell’età contemporanea; un fenomeno che, abbandonate le vesti
delle dittature totalitarie, avrebbe mutato i propri caratteri vivendo una
straordinaria stagione di rinascita.
L’obiettivo di Gentile è dimostrare che il paventato avvento di un
nuovo fascismo promana da un errore concettuale di interpretazione,
ovvero dall’utilizzo della categoria “fascismo” come una categoria
generica, un contenitore nel quale collocare realtà politiche molto di-
verse, che possono essere associate solo in conseguenza di una com-
parazione grossolana. L’opinione comune ritiene infatti che
l’aggettivo “fascista” possa essere applicato a personalità politiche
quali il presidente statunitense Donald Trump, il presidente turco Re-
cep Tayyip Erdoğan, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, ma anche
a figure quali il segretario federale della Lega Matteo Salvini e il capo
politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, per limitarsi allo sce-
nario politico italiano.
La logica suggerisce che tali figure, provenienti da contesti diversi
e da differenti esperienze politiche, non possano essere ricondotte a un
medesimo ceppo o addirittura connesse da una linea genetica, eppure
l’opinione comune le interpreta spesso come caratterizzate da una
prassi politica sostanzialmente simile, a sua volta frutto di un ritorno
in primo piano del fascismo. Tra le caratteristiche del cosiddetto nuo-

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vo fascismo sarebbero da annoverare elementi quali «la sublimazione


del popolo come collettività virtuosa contrapposta a politicanti corrot-
ti, il disprezzo della democrazia parlamentare, l’appello alla piazza,
l’esigenza dell’uomo forte, il primato della sovranità nazionale,
l’ostilità verso i migranti», secondo quanto elencato nel risvolto di co-
pertina.
L’impressione generale da cui la riflessione di Gentile si sviluppa è
che all’inizio del XXI secolo tutte le ideologie politiche tradizionali –
socialismo, comunismo, liberalismo – abbiano concluso il proprio ci-
clo di vita, mentre il fascismo sarebbe protagonista di un ritorno che si
qualifica come una rivincita sulle ideologie che lo avevano sconfitto
durante la Seconda guerra mondiale. Tale impressione viene sondata
da Gentile in modo critico attraverso una serie di interrogativi che me-
scolano gli spunti offerti dal presente con complesse questioni di sto-
ria e filosofia della storia: «Cos’è stato il fascismo? È stato un feno-
meno internazionale, che si ripete aggiornato e mascherato? Oppure il
“pericolo fascista” distrae dalle cause vere della crisi democratica?»; e
ancora: «chi e cosa è fascista oggi? Stiamo assistendo al ritorno del
fascismo? La nostra democrazia è in pericolo?» (dal risvolto di coper-
tina).
L’opera, pubblicata nel 2018, si inserisce armonicamente nella ri-
flessione svolta da Gentile sul fascismo italiano e può essere partico-
larmente connessa a due opere – ovvero Fascismo. Storia e interpre-
tazione (2002) e Il fascismo in tre capitoli (2004) – nelle quali l’autore
si sforzava di spiegare in estrema sintesi cosa fosse stato il fascismo
italiano, individuandone degli elementi cardine, ripresi anche nella
parte terminale dell’opera del 2018 (pp. 126-129). Allo stesso tempo,
però, l’opera sembra segnare l’inizio di una nuova fase dell’attività
scientifica di Gentile, una fase in cui, deposti i panni di custode del
passato, lo storico si pone quale interprete dell’attualità. Per quanto
non aliena da asperità, inevitabili nel momento in cui si compie un
percorso in bilico tra passato e presente, la proposta di lettura di Gen-
tile appare decisamente stimolante e apre numerosi interrogativi.
La forma prescelta dallo storico è quella di un dialogo immagina-
rio, forma che fu propria di Platone e di Galilei, ideale per suscitare
nel lettore una riflessione articolata in gradi di profondità progressivi,
in un infinito rincorrersi di rimandi linguistici, storici, politici e di at-
tualità che può disorientare il lettore non esperto o superficiale. Trat-
tandosi di un’indagine sul presente, è stato d’obbligo per Gentile indi-
Recensione a E. Gentile, Chi è fascista? 325

viduare un punto di accesso al tema e lo storico ha creduto di poterlo


trovare nella sopravvivenza dell’aggettivo “fascista”. Dopo il 1945 il
termine è stato applicato in più occasioni: in riferimento al regime pe-
ronista argentino, ma anche al gaullismo francese o ai regimi a partito
unico del Terzo Mondo, alla dittatura dei colonnelli in Grecia, ai re-
gimi militari dell’America latina e persino alla presidenza di Richard
Nixon negli Stati Uniti (p. 37). Non sono mancate applicazioni ancora
più oscure, così «si è parlato di “fascismo rosso” a proposito della si-
nistra extraparlamentare e dei gruppi terroristi comunisti, e di involu-
zione “fascista” del regime comunista cinese in occasione della strage
di Piazza Tienanmen a Pechino» (ibidem). Agli inizi del XXI secolo si
è poi parlato di «fascismo medio-orientale» per i regimi di Saddam
Hussein in Iraq e di Bashar Hafez al-Assad in Siria: «Nei 70 anni do-
po che il fascismo era morto e sepolto, l’aggettivo “fascista” e il suo
sostantivo, con un processo continuo di inflazione semantica, sono
stati usati indiscriminatamente nella lotta politica, nella storiografia e
nelle scienze sociali» (ibidem).
L’inflazione semantica rilevata da Gentile potrebbe essere liquidata
in modo semplicistico come una stravaganza giornalistica o come un
errato maneggio delle categorie politologiche inerenti al Novecento,
ma Gentile si è chiesto se il fenomeno, scremato dalle sue manifesta-
zioni più inconsulte, non riveli piuttosto la sussistenza di una precisa
concezione di filosofia della storia, ovvero la tesi di un ritorno del fa-
scismo, concettualmente connessa a quella che lo storico definisce
come la tesi del «fascismo eterno». Tale tesi venne adombrata da Um-
berto Eco, che in una conferenza svoltasi il 25 aprile 1995 davanti a
un pubblico statunitense avvertiva che il fascismo poteva «ancora tor-
nare sotto le spoglie più innocenti» e ammoniva che fosse «nostro do-
vere […] di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue
nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo» (p. 4). In sintesi,
il pensiero di Eco era che si potesse «giocare al fascismo in molti mo-
di, e il nome del gioco non cambia» (p. 3).
Gentile apprezza la prospettiva di Eco, ma ritiene opportuno conte-
stualizzarla ed è per questo motivo che ricorda come la conferenza
dell’illustre semiologo si fosse svolta all’indomani dell’ingresso nel
governo italiano dei dirigenti di un partito, Alleanza nazionale, che si
richiamava all’esperienza del fascismo mussoliniano (p. 4). Collocato
nel suo contesto di appartenenza, l’allarme lanciato da Eco appare de-
cisamente lontano da una profezia inneggiante all’eternità del fasci-
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smo e avrebbe valore solo in riferimento al momento preciso in cui è


stato pronunciato giacché, chiosa Gentile, «non credo che abbia alcun
senso né storico, né politico, sostenere che oggi c’è un ritorno del fa-
scismo in Italia, in Europa o nel resto del mondo» (p. 3). Se la tesi
dell’eternità del fascismo fosse applicata alla lettera, a parere di Genti-
le essa potrebbe in realtà indebolire lo stesso antifascismo dal momen-
to che, indagata in profondità, risulta essere errata sia sotto il profilo
della filosofia della storia, sia sotto il profilo dell’indagine storica
stessa. Ritenere che un fenomeno politico sia eterno significherebbe
infatti «introdurre l’eternità nella storia umana [un’azione che] com-
porta una grave distorsione della conoscenza storica. Senza poi consi-
derare che tale attributo di eternità è riservato soltanto al fascismo» (p.
6). La tesi dell’eternità del fascismo si baserebbe dunque su di un uti-
lizzo esteso e improprio di analogie «che solitamente producono falsi-
ficazioni nella conoscenza storica» (ibidem), dando luogo a una forma
di «astoriologia», un concetto sul quale si tornerà più oltre.
La tesi dell’eternità del fascismo negherebbe anche la definitiva
sconfitta del fascismo nel 1945 e indurrebbe a interpretare i set-
tant’anni successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale
come «una tregua in una perpetua guerra tra fascismo e antifascismo,
scandita però da ripetuti ritorni del “fascismo eterno”» (pp. 6-7). Gen-
tile ha dimostrato che la tesi dell’eternità del fascismo è strettamente
connessa all’antifascismo, infatti è proprio nell’ambito comunista tra
le due guerre mondiali che si possono ritrovare i suoi prodromi, rap-
presentati dalle teorie del «fascista ritornate», del «fascista camuffato»
e del «fascista oggettivo» (p. 42). I comunisti polemizzarono spesso
con i socialisti e i socialdemocratici trattandoli come fascisti nascosti
e ciò avvenne fin dai primi tempi del regime fascista, dimostrando
come la categoria politologica di “fascismo” sia stata sempre utilizza-
ta con notevole plasticità e forse anche con leggerezza.
Riconoscere la prassi di un uso assai libero della categoria “fasci-
smo” ne spiegherebbe la ricomparsa nel dibattito politico attuale, ita-
liano e straniero, ma potrebbe anche indurre il lettore a domandarsi se
il fascismo abbia rappresentato effettivamente una realtà politica defi-
nita e chiaramente individuabile oppure solamente un costrutto, un fe-
nomeno generico tra le cui manifestazioni non è possibile individuare
un disegno dotato della benché minima organicità. Lo stesso Gentile,
fin da Fascismo. Storia e interpretazione, si è chiesto se sia mai esisti-
to il fascismo e la sua risposta si rivela estremamente complessa, an-
Recensione a E. Gentile, Chi è fascista? 327

che se profondamente fondata sui dati storici. È esistita, a parere dello


storico, una tendenza alla «defascistizzazione del fascismo», ovvero a
una negazione di quel fenomeno finalizzata alla sua rimozione dalla
coscienza collettiva, ma avverte: «Negare l’esistenza del fascismo si-
gnifica negargli tutti gli attributi che gli sono appartenuti, e che lo
hanno caratterizzato come un nuovo fenomeno politico, come partito,
come ideologia, come regime di Stato; quel che resta è soltanto un vo-
cabolo che può significare tutto e niente» (p. 16).
Le origini della «defascistizzazione del fascismo» sono ricondotte
da Gentile alla mancanza di serietà dimostrata dagli stessi antifascisti
che, nel dopoguerra, non hanno dispiegato una lettura appropriata del
regime e dalla sua matrice ideologica, lasciando aperte delle brecce
concettuali nelle quali ha potuto insinuarsi prima la negazione e poi la
rimozione del fascismo. Iniziative di questo tipo si sono evidenziate
fin dal 1944 e Gentile menziona una breve opera pubblicata a Roma in
quell’anno con il titolo Tra il fascio littorio e la bandiera rossa. Note
e commenti di un venduto (p. 18). Essa conteneva un primo capitolo
intitolato Il fascismo non è mai esistito, in realtà un articolo pubblicato
su di un giornale clandestino il 15 marzo 1944, in cui un anonimo fa-
scista riconosceva che la sua conversione al comunismo era stata rela-
tivamente semplice perché il carattere non strutturato dell’ideologia
politica fascista aveva finito per includere anche elementi di comuni-
smo e ciò evidenziava la sostanziale inesistenza del fascismo.
L’«astoriologia» che Gentile riconosce in atto nella tesi
dell’eternità del fascismo affonderebbe dunque le sue radici, da un
lato, proprio nella confusione del panorama antifascista e, dall’altro
lato, nel carattere magmatico dell’ideologia fascista. Anche
l’«astoriologia» ad ogni modo ha una sua storia e Gentile ritiene
fondamentale metterne a fuoco la genesi. La sua essenza è la «ten-
denza a sostituire alla storiografia – una conoscenza critica scientifi-
camente elaborata – una [forma di conoscenza] dove il passato stori-
co viene continuamente adattato ai desideri, alle speranze, alle paure
attuali» (pp. 6-7). Il risultato sarebbe dunque una nuova forma di
narrazione storica fortemente mescolata con l’immaginazione e con
una buona dose di spinte provenienti dall’attualità (p. 7). La matrice
ideale profonda della tesi dell’eternità del fascismo sarebbe dunque
scientificamente inaccettabile perché basata sul principio del libero e
superficiale accostamento di fenomeni differenti, fra i quali si cerca
– a volte forzatamente – di trovare una connessione. In un’ottica
328 Filippo Gorla

meno drastica l’«astoriologia» si potrebbe intendere come una forma


abbozzata di storia comparativa. Come storico Gentile riconosce
l’utilità del metodo comparativo per la comprensione dei fenomeni
del passato, ma allo stesso tempo ricorda le parole di Marc Bloch,
secondo cui tale metodo richiederebbe un approccio profondo e non
potrebbe avere come oggetto la semplice caccia alle somiglianze (p.
112). Se utilizzato correttamente, infatti, il metodo comparativo non
dovrebbe concentrarsi sulle somiglianze tra fenomeni, quanto piutto-
sto sulle differenze fra di essi, così da evidenziare la originalità di
ciascun fenomeno, «piuttosto che ricondurli tutti alla genericità di un
unico fenomeno, che si ripete sotto diverse spoglie» (ibidem).
Se il metodo dell’«astoriologia» non può essere utilizzato per inda-
gare l’eventuale ritorno del fascismo, è necessario adottare un’altra
prospettiva, che Gentile fonda chiaramente sul metodo storico, così da
«cercare di spiegare innanzitutto che cosa significa storicamente esse-
re fascista, da dove ha origine questo termine e quale effettiva validità
può avere per definire persone, movimenti e regimi del nostro tempo»
(p. 26). Per affrontare seriamente la questione è necessario seguire la
via della storia, «l’unica che può condurci a comprendere se il paven-
tato ritorno del fascismo sia una realtà attuale o un esercizio ludico»
(p. 28). Il punto da cui l’indagine può prendere le mosse è l’aspetto
terminologico e qui si coglie una prima difficoltà perché con il termi-
ne “fascismo” sono state denominate nel tempo cose diverse, inoltre il
termine non esprime di per sé alcun reale scopo politico se non quello
di unire più realtà in un fascio, in una stretta collaborazione, per il
raggiungimento di un fine (p. 29).
Gentile riconosce che fra gli studiosi è ormai invalsa la categoria
del “fascismo generico”. Essa definirebbe un fascismo universale e si
qualifica come un costrutto usato per catalogare «non soltanto i mo-
vimenti e i regimi che nel periodo fra le due guerre si dichiararono fa-
scisti, ma anche quelli che in epoche successive, fino ai giorni nostri,
sono stati definiti fascisti dagli studiosi» (p. 38). Per quanto comoda e
opportuna nell’analisi storica, tale categoria si qualificherebbe in ul-
tima analisi come un’astrazione per superare la quale Gentile propu-
gna il ritorno alla storia, ovvero alla storia del fascismo, principalmen-
te quello italiano (p. 41). Proprio la riflessione sul terreno della storia
mette in luce l’oggettiva difficoltà di utilizzare il termine “fascismo”
per definire realtà attuali:
Recensione a E. Gentile, Chi è fascista? 329

Si possono scoprire fascisti d’oggi in ogni movimento di contestazione e di


protesta anticonformista, come pure si può scoprire il fascista d’oggi sotto le
spoglie di qualsiasi politicante pratico di giravolte politiche. Se invece ci rife-
riamo ai gruppi neofascisti, che comunque fra di loro sono diversi e persino
rivali, non c’è nulla che li accomuna al fascismo diciannovista da loro imma-
ginato come un movimento rivoluzionario, anticapitalista, tradizionalista,
comunitario (p. 80).

Nessuna realtà attuale si riferisce al fascismo come esso apparve


nello scenario politico italiano nel 1919 e ciò spinge Gentile a negare
recisamente la possibilità di un ritorno del fascismo. La domanda che
l’immaginario interlocutore pone allo storico su chi sia fascista oggi
riceve dunque una risposta chiara e lapalissiana:

È fascista chi si considera erede del fascismo storico, pensa e agisce secondo
le idee e i metodi del fascismo storico, milita in organizzazioni che si richia-
mano al fascismo storico, aspira a realizzare una concezione fascista della
nazione e dello Stato, non necessariamente identico allo Stato mussoliniano.
Inoltre è fascista chiunque ostenta idee, linguaggi, simboli, gesti che erano ti-
pici del fascismo italiano (pp. 112-113).

Dal momento che nessuna realtà politica, in Italia o all’estero, pre-


senta le caratteristiche descritte da Gentile ne consegue che,
nell’opinione dello storico, non sia in atto alcun reale ritorno del fasci-
smo. Conservare la percezione che esista un fascismo in fase di rina-
scita significa ignorare che «tutto è destinato a diventare storia, perché
niente di ciò che è umano è eterno. Non lo è il fascismo, non lo è
l’antifascismo. Né si può resuscitarli artificialmente alla vita attuale,
senza cadere inevitabilmente nell’astoriologia o nel gioco della storia-
che-mai-si-ripete-ma-sempre-ritorna-in-altre-forme» (p. 123).
Gentile invita sostanzialmente a considerare le realtà politiche at-
tuali contestualizzandole correttamente nel loro scenario di riferimen-
to, evitando abusi linguistici e facili equiparazioni nelle quali tutto ciò
che si trova a destra diventa inevitabilmente fascista (p. 124). Fasci-
smo e antifascismo appartengono dunque entrambi al passato, anche
se l’antifascismo ha consegnato alla Repubblica italiana un’eredità vi-
tale, ovvero il compito di «realizzare la simbiosi fra il metodo e
l’ideale della democrazia» (p. 125). Il pericolo reale che Gentile per-
cepisce è infatti non tanto il ritorno del fascismo, quanto «la scissione
fra il metodo e l’ideale democratico, operata in una democrazia recita-
tiva, conservando il metodo, ma abbandonando l’ideale. Il pericolo
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reale non sono i fascisti, veri o presunti, ma i democratici senza ideale


democratico» (p. 124; sul tema, cfr. anche E. Gentile, “In democrazia
il popolo è sempre sovrano”. Falso!, Laterza, Roma-Bari 2016).
L’analisi svolta da Gentile si qualifica senz’altro come saldamente
fondata sulla storia, ma proprio in questa dinamica incontra forse uno
dei suoi limiti. Riflettere semioticamente sul concetto di fascismo e
poi sul fascismo italiano rischia di riportare ogni valutazione sul terre-
no del passato, senza porsi la vera domanda di fondo: è possibile che
alcuni elementi del fascismo, italiano o internazionale, siano soprav-
vissuti alla caduta dei regimi totalitari europei e siano migrati in alcu-
ne realtà politiche attuali?
Se è vero che il socialismo, il comunismo e il liberalismo non si ri-
trovano più, oggi, nella loro forma pura, forse bisognerebbe postulare
che anche il fascismo ha affrontato un’evoluzione simile e ha disse-
minato i propri geni in fenomeni che evidenziano nei suoi confronti
una vaga somiglianza somatica. È di certo impossibile identificare og-
gi un fenomeno che si ponga come diretto continuatore del fascismo,
anche solo di quello italiano, ma è più facile incontrare in molte parti
del mondo fenomeni che del fascismo hanno mutuato almeno in parte
l’indole e la prassi. Tali realtà non possono essere pienamente inqua-
drate e comprese dallo storico. In primo luogo perché si inseriscono
nel presente, e quindi non è possibile analizzarle con l’adeguato di-
stacco che caratterizza la ricerca storica, in secondo luogo perché le
chiavi di lettura storiche appaiono insufficienti e richiedono di essere
integrate da quelle della scienza politica, delle relazioni internazionali
e di numerose altre discipline appartenenti al comparto politologico.
L’opera di Gentile solleva molti importanti interrogativi, ma in ul-
tima analisi risponde ad essi solo in modo parziale. In ciò conferma
che il territorio d’elezione dello storico è il passato e che, quando da
esso si avventura nell’attualità, si può incorrere nel pericolo di
un’analisi dai risultati incerti, che poco può apportare alla compren-
sione profonda del presente.

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