PETRARCA, ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
Tutto il componimento è giocato sul contrasto tra la Laura del primo incontro,
quand'era giovane e bellissima, e quella del presente, invecchiata e la cui bellezza
esteriore è sfiorita: la prima è descritta coi tratti distintivi della donna-angelo dello
Stilnovo, quindi dai capelli biondi ("capei d'oro"), con gli occhi pieni di un "vago
lume", dotata di un incedere che la fa sembrare una "angelica forma" e di una voce
superiore a quella umana, paragonata a uno spirito celeste e a un "vivo sole"; della
seconda è detto solo che i suoi occhi sono "scarsi" della luminosità di un tempo,
intendendo che la donna è invecchiata e reca sul volto i segni del tempo, cosa che
tuttavia non fa diminuire l'amore di Petrarca per lei. L'invecchiamento di Laura è
l'aspetto che più la allontana dallo stereotipo della donna-angelo stilnovista richiamato
solo dalla descrizione esteriore, dal momento che essa è una donna umana priva di
qualunque significato religioso e per cui il poeta prova un amore passionale, centrato
soprattutto sulla sua bellezza fisica; il tema si ricollega a un brano del Secretum, in cui
S. Agostino accusava Francesco di amare l'aspetto esteriore di Laura e lui ribatteva
dicendo che anche adesso che lei è invecchiata i suoi sentimenti restano immutati.
La metrica è quella del sonetto con schema della rima regolare (ABBA, ABBA, CDE,
DCE). La lingua presenta vari latinismi, tra cui "aura" (v. 1), "humana" (v. 11),
"piagha" (v. 14). Al v. 1 "l'aura" è un gioco di parole che allude al senhal della donna,
mentre ai vv. 7-8 il poeta ricorre alla metafora dell' "esca" (la materia infiammabile
per accendere il fuoco) per indicare la sua predisposizione ad amare; metafora anche
ai vv. 13-14, quando dice che la sofferenza causata dall'amore è ancora viva anche a
distanza di anni, poiché la ferita provocata dalla freccia scoccata da un arco non
guarisce solo perché la corda si è allentata, quando è passato un po' di tempo.
Petrarca arricchisce il sonetto con una varietà di figure retoriche che amplificano
l’espressività e la profondità del testo. Ad esempio, l’uso del senhal nel primo verso,
dove “l’aura" richiama foneticamente il nome “Laura", crea un gioco di parole che
sottolinea la presenza costante dell’amata nel pensiero del poeta. Le metafore sono
abbondanti: i capelli di Laura sono paragonati all’oro, simbolo di purezza e valore; la
luce dei suoi occhi è descritta come un fuoco che arde, suggerendo passione e vitalità.
Queste immagini non solo esaltano la bellezza fisica di Laura, ma suggeriscono anche
una dimensione spirituale e trascendente dell’amore che Petrarca nutre per lei. Il poeta
non si limita a descrivere la bellezza dell’amata, ma la sublima in un’immagine quasi
divina, rendendola un’emanazione del sacro. Un’altra figura retorica fondamentale è
la iperbole, che amplifica l’intensità delle emozioni del poeta. L’idea che gli occhi di
Laura ardano “oltre misura" e che il suo portamento non sia “cosa mortale" accentua
l’idealizzazione dell’amata e la percezione che il poeta ha di lei come un essere
celeste. Questa esagerazione non è fine a sé stessa, ma serve a rendere più tangibile il
senso di stupore e venerazione che Laura suscita in lui. Il paradosso è un’altra figura
chiave: Petrarca esprime il concetto che, nonostante il tempo sia passato e Laura non
sia più la stessa, la sua ferita d’amore non si è rimarginata (“piaga per allentar d’arco
non sana"). Questa contraddizione apparente evidenzia la forza inestinguibile del
sentimento amoroso e il dolore che l’assenza di Laura provoca in lui. Infine, il sonetto
è caratterizzato da un uso sapiente della sinestesia, come nella descrizione delle
“parole che sonavan altro che pur voce umana", in cui la percezione uditiva si mescola
a una dimensione quasi mistica e ultraterrena. Questo artificio retorico contribuisce a
creare un’atmosfera sospesa tra realtà e immaginazione, sottolineando il divario tra
l’esperienza terrena dell’amore e la sua idealizzazione spirituale.
Uno dei temi centrali del sonetto è la bellezza fugace e il suo rapporto con il tempo.
Nel testo, Laura appare in tutto il suo splendore, ma il poeta è consapevole che
quell’immagine appartiene al passato. Il contrasto tra la giovinezza radiosa dell’amata
e la realtà presente, in cui la sua bellezza è svanita o addirittura lei stessa è scomparsa,
genera nel poeta un senso di nostalgia e malinconia. Questa riflessione è tipica del
pensiero petrarchesco, che spesso si sofferma sulla transitorietà della vita e sulla
vanità delle cose terrene. L’idea che la bellezza sia effimera si ricollega anche al
concetto di amor cortese, in cui l’amata è vista come un’entità irraggiungibile e
perfetta.
Petrarca, tuttavia, va oltre la concezione medievale dell’amore e introduce una nuova
consapevolezza: l’amore non è solo desiderio, ma anche dolore e tormento, una ferita
che non guarisce con il tempo. Il sonetto è emblematico del dualismo amoroso che
caratterizza tutta l’opera di Petrarca: da un lato, il poeta celebra la bellezza terrena di
Laura, dall’altro, la trasfigura in un’immagine spirituale. Questo contrasto si riflette
nella tensione tra il desiderio sensuale e l’aspirazione a un amore puro e divino.
Petrarca, influenzato dal pensiero neoplatonico e dalla tradizione cristiana, vede in
Laura una figura che lo eleva spiritualmente, ma allo stesso tempo lo condanna a una
sofferenza continua. L’amore, quindi, non è solo fonte di gioia, ma anche di tormento
e struggimento. Questo conflitto interiore è evidente nel finale del sonetto, in cui il
poeta riconosce che, anche se Laura non è più la stessa, il dolore della sua perdita resta
immutato.