HENRI HUBERT
I CELTI
DocuMENTI E TRAccE
DI UNA CIVILTÀ
®
ECIG
HEJ\'RI HUBERT
Direttore deii'École des Hautes Études de Fran
ce, Con ervateur en chef du Musée des Anti
quités ationales di Saint-Germain-en-Laye e stu
dioso di fama internazionale della Prei toria,
Hubert, con il suo insegnamento e le sue opere
mirò a creare una toria etnografica dell'Europa
e dell'umanità mediante una ricerca interdisci
plinare, che spaziava dalla Storia alla Sociologia
e all'Archeologia preistorica. Il presente volume
è ricavato dal seminario di Archeologia celtica al
l'Ecole du Louvre.
I CELTI
Primo popolo preistorico ad uscire dall'a
nonimato nei territori dell'Europa conti
nentale, i Celti ebbero singolare e straordi
nario destino, che li portò, nel giro di alcu
ni secoli, a dominare la maggior parte del
l'Europa di cui avevano conquistato e colo
nizzato un terzo delle terre. Recentemente
venuta all'evidenza nelle scoperte e negli
studi,_la civiltà- celtica è stata portatrice di
granoi esperienze storiche, tali da trasfor
mare la nostra conoscenza del mondo an
tico e da costituire un insegnamento de
gno di significato per il mondo moderno.
Il celebre opus postumum di Henri Hubert,
curato e integrato dai più noti specialisti
francesi {tra cui Marcel Mouss) e qui edito
in singolo volume, non solo dei Celti ci
porge un quadro raro per ampiezza, com
pletezza ed equilibrio, ceverando peculia
rità locali e sovrapposizioni temporali,
bensì rappresenta una preziosa ed avvin
cente occasione di apprezzare una storia
rigorosa eppure colma ancora di ideali.
A Ialo:
"Principe di Glauberg".
\'sec. a.C. (Germania).
ISBN 978-88-7545-736-5
€ 15,00 "'"'" u
titolo originale
LfS CELTES ET L'EXPANSION CELTIQUE
jusqu'à l'époque de La Tène
© l.JJ Renaissance du Liure, 1932 et Éditions Albin Midlel, 1974
LES CELTES ET lA CMUSATION CELTIQUE
depuis l'époque dc La Tène
© l.JJ Renaissance du Liure, 1927 et Éditions Albin Midlel, 1968
22, roe Huyghens, 75014 Paris
in copertina
GUERRIERI SU UN FREGIO DI TERRACOTTA
RINVENUTO A CIVITALBA
© ECIG- Edizioni Culturali Internazionali Genova
s.a.s. di G.L. Blengino & C.
Via Brignole De Ferrari, 9- 16125 Ge nova
l" Edizione 1997 - ISI\N llH-7!;4:.-7::\fi.(J
HENRI HUBERT
I CELTI
DOCUMENTI E TRACCE DI UNA CIVILTA
lraduziont di BRUNO ROMBI
ECIG
rdi:.ioni rultumli int,-nul�ionali gnrOJ!fl
INDICE
Avvertenza del traduttore IO
INTRODUZIONE Il
l BARBARI Il
l CELTI A COr\TATTO C0:-11 GRECI Il
DIREZIO\E DELL'ESPA.\SIO\E DEl CELTI 16
CJò CHE RESTA DEl CELTI E LORO Rl'OLO STORICO 19
CELTI CO\TI\Ef'\TALI E CELTI I\SUARI 24
PIA.\O DELL'OPERA 25
LE ORIGINI DEI CELTI 27
LA SEPARAZIOM DEl GOIDELI E DEl BRET0\1 27
L� <HL� DEl CELTI. TEORIE DIVERSE 33
Lo�. Cl'LL� DEl Gomw 41
LE ORIGI;>.;I DEl CELTI E l RAPPORTIITALO.CELTICI.
TRACCE DEl GoJDELJ E LORO Pl':-ITO DI PARTE:-IZA 48
II L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE 57
LE ISOLE BRITAJ'\\ICHE PRI�IA DELL'ARRIVO DEl CELTI 57
IL \IITO DELLE ORIGIJ\I I�;>.;DESI 59
L'ELE\IE\TO \0).1 CELTICO DELL� POPOlliiO\E IRLA\DESE
SECO\DO EOI\ MAc NEILL 62
l PITTI 68
GOIDELI, PITTI E BRITA\).11 72
PITTI, BRIH\i\1 E BELGI \ELL'ISOLA DI BRITA.\\IA 76
l BRITA\\1 E l BELGI I).i IRL..\DA 84
CO\IPOSIZIO\E ETr\IC:.� DELL'IRL�\DA 90
IN Ili LE
III L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE
DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO. GOJDEU E BRITANNI 91
PRESERO PARTE l GOIIlELI AU.'ESTE\SIO\E
DELL� CELTIC� CO\TI\E\TALE? LORO TR.ACCE 1\ SPAG\A 91
L� FR.�\CI.\ E L� SPAG\A ALL'I\IZIO DELL'ErA DEL BRO\ZO 96
LE SPADE DI BRO:\ZO A CODOLO PIATTO 1\ SPAG\A E 1\ fR.\\CIA.
PITTI E PITT.\\1 99
[ CELTI BRITA\\ICI DELLA GER\IA\IA \IEIUDIO\ALE
\ELÙST DEL� GALLIA. Tnn·u DELL'ErA DEL BRO\ZO 102
IV L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HAI.LSTATT 107
[ CELTI \ELÙST DELL� FR.�\(H 107
[ CELTI \EL TERRITORIO DEl COSTRl'TTORI DI PAL�FITTE III
PRI�IE \1Jl;R.UIO\I DEl CELTI l\ ITALIA 116
[ CELTI \EL \ORD-EST DELL'ITALIA 123
L'ESPA\SIO\E DEl CELTI \EL Sl.D-0\'EST DELL\ F�\CIA
AL� FI:\E DI HALLSTATT 126
ESPA:'\SIO\E DEl CELTI \ELL'ESTRE\10 OCCIDE\TE DELL'EL1ROPA 129
v L'ESPANSIONE DEI CELTI ALL'EPOCA DI HAI.sTATT (FINE).
I CELTI IN SPAGNA 131
Ci\IITERI E Tl'Ml'LI CELTICI 131
] TESTI STORICI 134
IL TERRITORIO OCCL'PATO DAl CELTI 138
L'ACCERCHIA\IENTO DEGLI I\SEDIAME\TI CELTICI. L'INVASIO"iE
IBERICA 1\ Ll"iGL"ADOCA E 1\ AQUTA\IA 142
] CELTI SL'ill COSTA DELL� PROVE:'\ZA 144
VI l ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALUA 147
CmtPLETA\IE\TO DELLE CO\Ql"ISTE RO\IA\E 1\ ]TALlA E 1\ SPAG\A 147
� CO\QL"ISTA DELl..-1 GALLIA 149
ROMA\IZZAZIO\E DELL\ GALLIA 156
�CELTICA DA\l'BIA\A 160
VII l ROMANI IN BRITANNIA 163
L� BRIH\\IA PRIMA DELL� RO\IA\IZZ.\ZIO\E I63
� CO\Ql'ISTA ROMA\A 164
L'ESERCITO DELL\ BRITA\\IA. ARTL" 166
INiliC:E
VIII FINE DELLA BRJTANNIA E DELL'IRLANDA CELTICHE
(SASSONI, ScoTI E SCANDINAVI ) 169
LE 1\\'.-\SI0\1 GER.\1.-\\ICHE 169
IL POPOLA�IE\TO DELL'AR�IORIC:\ 170
l CELTI I\DIPE:I/DE\TI DI SCOZIA E D'IRL-\"iDA 171
LE 1\Cl'RSI0\1 DEGLI Sccm 175
GLI Scor1 1\ Sr.ozL-\ 176
L'IRL-\\DA CRISTI.-\\.-\ Fl\0 ALLE 1\Cl'RSI0\1 SL-\\DI\AVE 179
LE 1\CL'RSI0\1 SC:-\\01\.WE 180
LA GL'ERRA D'I\DIPE\DE\ZA 183
IX STRUTIURA DELLA SOCIETÀ CELTICA E SUA DMSIONE. IL DIRITTO
CMLE E LA PROPRJETÀ. DIRJTTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE 187
CARATTERE FRA'.1'.1E\TARIO DELL-\ SOCIETA CELTICA
E CARATTERE POLITIC0-D0\1E�IICO DELLE Sl'E ISTITL'ZI0\1 187
LE DI\'ISI0\1 DELLA SOCIETA 188
IL Sl'OLO E L-\ PROPRI ET A 199
IL DIRITTO PE\ALE 204
LE ISTITl'ZI0\1 POLITICHE 206
X LA RELIGIONE DEI CELTI E IL SACERDOZIO DEI DRUIDI 213
S.-\C:ERDOZIO DEl DRUDI C0'.1E ISTITL'ZIO\E PA\CELTICA 213
CARATTERE E Fl'\ZIO\E DEL SACERDOZIO DEl DRL'IDI 214
l DRL'IDI E LE ALTRE CO\FR.-\TER\ITE RELI(;IOSE I\D0-EL'ROPEE 219
LE RELIGI0\1 CELTICHE 221
0RGA\IZZAZIO\E POLITICD-FA\IILI.-\RE E CL'LTO DEGLI EROI 223
LEmTE 225
L'EVOLliZIO'\E DELLA RELI(;IO"iE 226
IL RITl'ALE 228
LE RAPPRESE:IiTAZI0\1 228
LA '.11TOLOGIA 229
Xl LA VITA SOCIALE DEI CELTI 231
L-\ DI\'ISIO\E DEL TE'.1PO 233
LE .-\TTIVITA SOCIALI 234
CONCLUSIONI 247
Note 249
Bibliografia 267
AVVERTENZA DEL TRADlJITORE
La pubblicazione della prima edizione
dell'opera sui Celti di Henri Huben, uscì
postuma nel 1932, grazie all'impegno di
alcuni suoi collaboratori che vollero con
servame la stmttura, la stessa dell'edizio
ne più recente, del 1989, per la quale è
stata aggiomata la bibliografia comparsa
sull'argomento fino al l973.
Alcune note del testo originario sono
state soppresse nel corso della traduzio
ne per obiettive difficoltà a giustificare i
riferimenti cui si richiama l'Autore al
lorché cita, in maniera incompleta, ope
re francesi risalenti ai primi decenni del
nostro secolo, o brani di scritti dell'anti
chità classica, senza citare nemmeno l'e
dizione francese da cui sono stati tratti.
Per il lettore che volesse approfondire
l'argomento sarà sufficiente utilizzare i
testi da noi citati perché completi dei
dati minimi indispensabili al loro repe
rimento in biblioteca: nome dell'Auto
re, titolo del volume o dell'articolo,
città e data di pubblicazione, capitolo o
pagina della citazione. Per il resto farà
fede quanto sostiene l'Autore nel suo
saggio.
INTRODUZIONE
I BARBARI
In una storia generale dell'umanità uno spazio, del tutto particolare,
deve essere riservato ai barbari insediati sui confini europei del mondo
greco-romano. Intendiamo riferirei agli Sciti, che dimoravano nella zo
na orientale, agli Iberi e ai Liguri, abitanti a occidente, ai Traci e agli Il
liri, ai Germani e ai Celti, che vivevano nella zona centrale dell'Europa.
Gli scrittori classici ne hanno tramandato i nomi e alcuni si sono interes
sati alla loro vita e ai loro costumi. I mercanti mediterranei, che li fre
quentavano, forse raggiunsero, cercando ambra, stagno, pellicce e schia
vi, quelli più lontani. I barbari giunsero quindi nelle città greche e i tali
che come schiavi o viaggiatori; di certo, fra loro, vi furono dei portatori
di civiltà, e qualcuno veniva persino additato come modello di saggezza.
Quelli attestati lungo i confini furono assimilati nell'epoca in cui
Grecia e Italia espansero il loro territorio. Altri, apparsi più tardi all'o
rizzonte come minacciosi uragani, apportarono lutti tremendi alla Gre
cia e a Roma, anche se pervennero, con la civiltà classica e con l'impe
ro romano, che ne costituì la base, ad un modus vivendi diverso che, in
una certa misura, li aggregò a quella civiltà contribuendo a farla diven
tare "la" civiltà.
Per quanto ci riguarda, ci limiteremo in questo studio a tracciare
un profilo storico del popolo più conosciuto, ossia i Celti.
I CELTI A CONTATIO CON I GRECI
L'evoluzione dei Celti, stando agli scrittori greci, può essere riassun
ta in maniera molto schematica. Per renderei edotti del loro punto di
11
INTRODUZIONE
vista ci vengono fornite due date: una dai poemi esiodei, l'altra dallo
storico Eforo, che visse nella seconda metà del IV secolo a.C .. Esiodo
indica a nord-ovest del "Mondo" una Grande Liguria, Eforo vi situa
una Grande Celtica. Nei tempi in cui venivano redatti i poemi esiodei, i
Liguri erano uno dei tre grandi popoli che occupavano le estremità del
mondo conosciuto dai Greci.
Ale{omk Tf A{yvç Tf i8f EK!leaç lrrTTTJflOÀyok
Questo verso dei Cataloghi deve risalire ai primi anni del VI secolo
a.C .. Cent'anni dopo, nella sua Euroj)(l, Ecateo di Mileto, il primo degli
storici greci, delimitò nella Liguria un territorio da lui chiamato Celti
ca; in effetti, illessicografo Stefano di Bisanzio cita l'Europa di Ecateo a
proposito di Massilia (Marsiglia) 111 ch 'egli indica come «una città della
Ligustica, vicino alla Celtica». Ecateo citava inoltre una città celtica, Ny
rax, che non sapremmo identificare. Marsiglia era stata fondata un se
colo prima, verso il 600 a.C., da coloni focesi.
Fin dove si estendeva la Ligustica? Un vecchio periplo, forse marsi
gliese e verosimilmente della fine del VI secolo a.C., più \'òlte rimaneg
giato e tradotto in versi latini da Rufo Festo Avieno, un personaggio
consolare che visse nel V secolo della nostra era e si piccava di letteratu
ra, ci informa che essa un tempo si estendeva sino al Mare del Nord,
ma che i Celti avevano respinto i Liguri fino alle Alpi. I popoli vicini al
lago Lemano, menzionati nell' Ora Maritima di Avieno, hanno nomi che
sono scomparsi dalla letteratura geografica e, più tardi, Aristotele, nelle
Afelerl'ologirhe, parlando del corso sotterraneo del Rodano a Bellegarde,
lo situa ancora in Liguria, TTfpl n'w Atyvo"TtKl)v. Forse non aveva informa
zioni aggiornate?
Vi fu un tempo in cui i confini della Celtica, dalla parte del Medi
terraneo, si fermavano in quella regione. Apollonio Rodio, che aveva
attinto accuratamente dagli antichi geografi, nel libro VI de Le Argonau
tidze rappresenta gli Argonauti mentre risalgono il Rodano, dove li ave
va portati l'Eridano, e sballottati dalla tempesta sui laghi svizzeri, domi
nati dai monti Erciniani al centro del paese dei Celti. Ai tempi di Ero
doto, le cui informazioni erano molto più aggiornate, i Celti erano te
nuti lontani dal Mediterraneo non solamente dai Liguri, ma anche dai
12
INTRODUZIONE
Siginni, i quali occupavano, dal lato dell'Adriatico, il retroterra dei Ve
neti. Il loro nome, però, ricorreva anche nei dintorni di Marsiglia.
,,] Liguri,, scrive Erodoto, <<che abitano a nord di Massilia, chiama
no Siginni i piccoli mercanti". Non un solo popolo, ma tutta una serie
di popoli si frapponevano, quindi, tra i Celti e i rivieraschi e tutti prati
cavano un commercio molto prospero, come attestano gli scavi. Verso il
35 0 a.C, un documento geografico di grande valore, il Periplo, attribuito
a Scilace della Caria, non menziona ancora i Celti sulle rive del Medi
terraneo occidentale, e nondimeno vi erano già ben vicini.
Molto prima essi avevano incontrato sulle rive dell'Atlantico i navi
gatori di Tartesso i quali avevano informato di quell'incontro i Marsi
gliesi. Il vecchio periplo, tradotto da Avieno, li menzionava sulle rive
del Mare del Nord donde avevano scacciato i Liguri, indicando inol
tre la Bretagna, ma anche la Spagna, col nome di Oestrymnis nel quale
si cela probabilmen te quello degli Osismii o degli Ostimii, occupanti
ancora, ai tempi di Cesare, il Finistère. All'inizio del V secolo a.C.,
Erodoto li segnala a sud dei Pirenei e verosimilmente sull 'Oceano.
«L'Ister,, scrive, <<sorgendo nel paese dei Celti e nella città di Pirene,
scorre attraverso l'Europa, che taglia nel mezzo; i Celti sono fuori dal
le Colonne d'Ercole, limitrofi dei Kyuesioi, i quali vivono nell'estrema
parte occidentale dell'Europa ... In effetti il capo Saint-Vincent si tro
vava sul loro territorio. Il primo greco, in condizione di dare informa
zioni più precise e più circostanziate sui Celti dell' Oceano, fu un viag
giatore marsigliese, Pitea, la cui relazione di viaggio, lTfpÌ 'OKwvofi, di
sgraziatamente fu massacrata da personaggi eruditi, come Polibio e
Strabone, dei quali mise in crisi lo spirito critico. Curioso personaggio
senza dubbio per il suo tempo, Pitea, che si avvaleva di profonde co
gnizioni in campo matematico e astronomico, nonché di un tempera
mento da esploratore, s'imbarcò per due volte con alcuni compagni
su barche fenicie, per recarsi dalla Spagna in Gran Bretagna, poi fino
alla lontana Thule e, sul lato orientale, in Danimarca e forse oltre.
Egli vide i mari coperti di ghiaccio e i giorni di ven tiquattro ore. Pitea
incontrò gli Osismii agli estremi confini del Finistère; conobbe il nome
celtico dell'isola di Ouessant, Uxisarna, quello della terra del Kent, il
Cantion, il nome definitivo della Gran Bretagna, lTptTTGVLKaÌ vijaot, che
13
INTRODUZIONE
sostituì, da allora in poi, quello ligure o iberico d 'Albione. Pitea visse
nel IV secolo a.C. Qualche decina d'anni dopo di lui, lo storico sicilia
no Timeo scrisse che i fiumi tributari dell'Atlantico attraversavano la
Celtica.
I Greci vennero a sapere così che i Celti erano giunti ai confini dei
mari occidentali prima del 600 a.C., sulla costa atlantica della Spagna
prima del5 00 a.C.; che quelli chiamati Britanni erano arrivati in Gran
Bretagna e in Armorica bordeggiando tutta la costa gallica dell'Ocea
no prima del 300 a.C. In tale epoca essi erano infine giunti al Medi
terraneo da qualche decina d'anni soltanto, ma fu sulle coste atlanti
che che stabilirono, per la prima volta, rapporti diretti con i marinai
mediterranei. Pitea era erede di una lunga tradizione di naviganti
egei, micenei o tartessi, che avevano portato nel Nord Europa la loro
civiltà. I navigatori dell'Ovest conoscevano i Celti, i nomi dei loro pae
si e dei loro popoli; la costa celtica era loro familiare e - stando ai Gre
ci - ellenizzabile, mentre, nascosta dietro montagne brumose, la Celti
ca continentale restava misteriosa e lontana. I na\�gatori di quei tem
pi, senza alcun dubbio, potevano custodire il segreto delle loro sco
perte. Le catastrofi che si verificarono negli insediamenti affacciati sul
Mediterraneo contribuirono a interrompere le tradizioni, cionono
stante, scrivere, verso il 15 0 avanti Cristo, che la scoperta delle contra
de prospicienti il grande Oceano era del tutto recente121 significava
dar prova d'una riprovevole ignoranza, che la massa dei Greci, però,
condivideva. Sicché tutto il territorio in terno della Celtica e i movi
menti dei suoi abitanti rimasero totalmente sconosciuti alla maggio
ranza dei Greci e dei Romani fino alla conquista della Gallia da parte
di Cesare.
Tuttavia, l'avanzata dei Celti sulle coste mediterranee era diventata
più celere a partire dal IV secolo a.C., sicché un bel giorno i Greci, o
piuttosto i Macedoni, si trovarono faccia a faccia con loro a nord dei
Balcani. Avvenne nel 335 a.C., ai tempi di Alessandro il quale, in missio
ne presso i Geti, ricevette gli inviati dei popoli danubiani. «Ne giunsero
anche», dice Arriano, «dal paese dei Celti stabilitisi sul Golfo Ionio».
Alessandro fece loro buona accoglienza e domandò, durante un ban
chetto, che cosa temessero di più al mondo. «Che il cielo ci sprofondi
14
INTRODUZIONE
sulla testa», gli awebbero risposto. La scena era stata raccontata, assicu
ra Strabone, da Tolomeo, figlio di Lago, il quale aggiunse che i Cèlti
delle rive dell'Adriatico ( mk TTfpl n]v 'A8plav) avevano stretto con lui
legami di amicizia e di ospitalità.
I Celti giunti al cospetto di Alessandro, se erano veramente riviera
schi dell'Adriatico, provenivano dalla costa italica. Il racconto degli av
venimenti che li avevano spinti fin lì era già noto in Grecia. Nella Vita
di Camillo, Plutarco cita un curioso passo di Eraclide Pontico, un filo
sofo del IV secolo a.C.: «Eraclide riporta nel suo Trattato dell'Anima che
la notizia giunse nel Ponto proprio nel momento in cui un'armata, par
tita dal paese degli lperborei, aveva conquistato una città greca chiama
ta Roma, situata presso il Grande Mare». La diffusione rapida della no
tizia, che a quanto pare suscitò una certa emozione, lo meravigliò.
Quella specie di cataclisma, del quale non si potevano calcolare gli ef
fetti, generò preoccupazione nelle città greche d'Italia, non più al mas
simo della loro potenza militare.
Gli avvenimenti che seguirono all'occupazione di Roma misero i
Celti in contatto più diretto con i Greci, ma non ebbero la risonanza
della presa della città, né l'aureola leggendaria dell'incontro con Ales
sandro. Dopo la liberazione di Roma, i Celti ritornarono, ma passarono
oltre, giungendo nel 367 a.C. nell'Apulia. L'anno precedente, Dionigi I
di Siracusa, dopo aver trattato con loro, ne aveva assoldato una banda
per inviarla in aiuto dei Macedoni contro i Tebani. Fu quella la prima
volta che il mondo greco entrò in contatto con i Celti. Lo storico Eforo,
contemporaneo di tali avvenimenti, sostituì ai Liguri i Celti nell'elenco
dei tre grandi popoli periferici del mondo, attribuendo loro tutto il
nord-ovest dell'Europa fino i confini degli Sciti.
Qualche anno dopo l'arrivo dei Celti alla corte di Alessandro, nel
31 O, gli Antariati, un grande popolo illirico di stanza a nord dei Veneti,
furono colpiti da un 'improvvisa catastrofe e fuggirono in massa. Si è
parlato di flagelli, di terre devastate da invasioni di topi. In effetti era
una grande invasione di Celti guidati da Molistomo. Gli Antariati in fu
ga si scontrarono con i Macedoni che, dopo averli sconfitti, li fecero in
sediare stabilmente. Ma la disfatta degli Antariati fu come la rottura di
una diga. Bande celtiche invasero la Grecia e saccheggiarono Delfo,
15
INTRODUZIONE
fermandosi solo in Asia Minore dove si stabilirono nella regione che da
loro prese il nome di Galazia. Vi fu ancora chi si spinse sulle rive del
Mar Nero, giungendo sino al Mar d'Azov dove gli antichi geografi fissa
rono l'estremo confine da loro raggiunto.
Nello stesso tempo altri, passando attraverso il paese degli Iberi e
dei Liguri, si insediarono lungo le coste del Golfo del Leone dove An
nibale li trovò nel 218 a.c. m Più tardi la conquista della Provenza, e poi
della Gallia, li portò dentro i confini dell 'impero mediterraneo. Come
in passato era accaduto con Pitea, i Celti ricevettero la visita dello stori
co Posidonio che ebbe la fortuna di ispirare maggior fiducia del suo
predecessore.
Risulta da questa rassegna che i Celti percorsero in tre secoli l' inte
ro arco del loro destino, e la loro ascesa fu contemporanea a quella dei
Latini e di poco posteriore a quella dei Greci.
DIREZIONE DEU.'ESPANSIONE DEI CELTI
Occorre raffigurarsi i Celti, che i mercanti d'ambra incontrarono ri
salendo la valle del Danubio o quella del Rodano, e che i naviganti tro
varono persino sulle coste basse del Mare del Nord, come un popolo
originario dell'Europa centrale, spintosi a ovest a spese dei Liguri e de
gli Iberi, e il cui centro di gravità si trovava in un primo tempo a orien
te del territorio occupato al momento della massima espansione. La di
slocazione dei loro insediamenti ci fornisce un 'immagine del tutto di
versa. Ancora oggi, infatti, le lingue celtiche sono parlate nell'ovest del
l'Europa, nelle isole, nelle penisole, nelle "terre estreme": (cartina l)
in Irlanda, nell'isola di M an, nel Galles, nel nord della Scozia e nelle
isole vicine; in Francia, nell'estrema Bretagna, a occidente di una linea
immaginaria che va dal Morbihan a Saint-Brieuc. Il dialetto comico ha
cessato d'esser parlato in Cornovaglia solo nel Xv111 secolo.
Quale di queste due ipotesi è la più giusta? La cultura celtica è so
pravvissuta a ovest del suo territorio perché vi era più fortemente radi
cata o perché vi fu confinata? Non è forse da questa parte che bisogna
cercare la massa principale dei Celti, la loro origine e la loro immagine
16
INTRODUZIONE
più pura? Non è forse un abuso e un'interpretazione viziata di alcuni
testi storici che ci spinge a cercare altrove? Ecco, all'inizio di una storia,
fertile di contraddizioni, una prima antinomia. L'impressione che ci
fornisce la mappa dei loro insediamenti può essere confermata dalle
tradizioni e dai fatti. Tito Li\�O indicava nella Gallia il centro dei Celti e
il punto di partenza delle loro migrazioni. Cesare attesta che i Druidi
erano originari della Gran Bretagna. Quando l'l m pero romano de
clinò, bande d'Irlandesi occuparono la Scozia e andarono a cercar for
tuna in Gallia dove colonizzarono I'Armorica, da cui è derivata la Breta
gna francese.
Ma questi fatti sono false tradizioni o awenimenti troppo particola
ri. In genere, i Celti, dopo essere avanzati verso l'Occidente europeo,
indietreggiarono nella stessa direzione. A guardar bene la cartina, i
paesi nei quali si acquartierarono appaiono come dei rifugi. l Celti si
fermarono sulla riva del mare, insediandosi anche sulle coste più im
pervie, e vi rimasero attendendo la barca del traghettatore, come i mor
ti di Procopio. Una delle più belle storie che si trovano nei racconti epi
ci e mitici del Mabinogion gallese,'�1 narra le awenture d'un imperato
re romano, Maxen Wledig, il quale, essendosi addormentato durante la
caccia e avendo sognato d'una meravigliosa principessa, si pose alla sua
ricerca e la trovò in Britannia. Si chiamava Elena Lluyddawc, la "con
duttrice di armate". Maxen Wledig la sposò ed elevò la Britannia insie
me alla moglie al più alto grado di gloria e di potenza. Ma Roma !'"ave
va dimenticato ed egli dovette riconquistarla. La Britannia fornì alcune
legioni che non tornarono mai. L'armata di Elena Lluyddawc popolò il
Llydaw, la Litavia, vale a dire il paese dei morti. A parte alcuni fatti di
poca entità che ho qui riassunto, vi furono solo armate fantasma o ro
manzesche - come quella di Artù, il quale, a sua volta, conquistò la Gal
lia, l'Italia e Roma - che partirono dalle Isole Britanniche e occuparono
i paesi ai quali si è legato il nome dei Celti. Ciò che ne restava ad ovest
dei loro antichi domini vi era stato spinto e confinato da altri popoli ar
rivati o formatisi dopo. Questo movimento generale d'espansione e di
chiusura, che spinse a ovest i Celti per poi confinarveli, è, per così dire,
la legge caratteristica della loro civiltà e bisogna studiarla come un fatto
capitale della storia europea.
li
INTRODUZIONE
D NORVEGESE
g;;;(_.J DANESE
SASSO N E
CELTICA
CARTINA l.- Carta del movimento dei Celti e loro insediamenti (W.Z. RlPLEY, The
Races ofEurope, p. 313).
18
INTRODUZIONE
CIÒ CHE RESTA DEI CELTI E LORO RUOLO STORICO
La grandezza dei Celti si è dissolta, ma che cosa ha lasciato dietro di
sé? Tracce di parlate celtiche, di cui una sola, l'irlandese, tenta di ridi
ventare, oggi, la lingua d'una nazione; un territorio marginale, più o
meno largo, nel quale il celtico non è morto che da poco tempo e nel
quale la sua lunga soprawivenza è documentata dai nomi dei luoghi e
dal folklore; infine, laddove i Celti furono sottomessi, assimilati o di
strutti nell'antichità, restano una discendenza riconoscibile, le vestigia
della loro struttura sociale, lo spirito stesso della loro civiltà e, come mi
nimo, i molti ricordi della storia e dell'archeologia. I Celti, pressoché
scomparsi dall'Europa occidentale, sono uno degli elementi più impor
tanti della sua composizione, e ciò è rilevabile, talvolta, da caratteristi
che individuali, talaltra da elementi collettivi, come accade in Francia,
in cui l'eredità celtica sembra essere la componente più considerevole
e più coerente.
I Celti furono preceduti nella Gallia dagli Iberi e dai Liguri che la
sciarono la traccia indelebile della loro occupazione nei nomi dei fiumi
e delle montagne, forse anche in qualche nome di città; hanno lasciato
ai Francesi molto del loro sangue, ma apparentemente niente della lo
ro struttura sociale. Non erano, quindi, orde prive di organizzazione,
ma nazioni, come testimoniano alcuni monumenti del passato precelti
co, fra i quali quelli megalitici. Quanto è rimasto si è conservato solo
nell'ambito della società gallica e secondo categorie galliche. Se la geo
grafia fisica è costellata di nomi ibero-liguri, i tratti più antichi della
geografia politica francese sono gallici, e sono i tratti fondamentali.
Le grandi città, salvo eccezioni facilmente spiegabili, sono i capo
luoghi dei popoli gallici o dei sottogruppi che li costituivano. Le circo
scrizioni territoriali sono pressappoco ricalcate sui loro confini. Arras
era la città degli Atrebati, Amiens degli Ambiani, Reims quella dei Re
mi, Soissons dei Suessioni, Senlis dei Silvanetti, Parigi quella dei Parisii.
I Silvanetti e i Parisii erano due sottogruppi dei Suessioni. Troyes era la
città dei Tricassi, Langres quella dei Lingoni, Chartres quella dei Car
nuti. Al momento della conquista romana i popoli si stavano trasfor
mando in civitates e i luoghi delle loro riunioni e i loro fortini si evolve-
19
INTRODUZIONE
vano in città. Ecco perché la maggior parte delle città presero nomi la
tini oggi scomparsi: Reims, Durowrtorum; Parigi, Lutetia; Soissons, Novio
dunum. I territori dei popoli gallici divennero quelli delle civitall's e dei
pagi, dei paesi della Gallia romana, che a loro volta si trasformarono
nei vescovadi, nei baliati, il cui nome probabilmente è celtico.1;1 Tra i
popoli gallici ve n e furono, senza dubbio, alcuni di origine iberica o li
gure. Ma anche nel sud della Gallia, in Aquitania, laddove, per stranieri
come Cesare e i suoi commilitoni,"il carattere allogeno delle comunità
era manifesto, l'impronta politica dei Galli era profondamente marca
ta. Non si deve tuttavia credere che la Gallia fosse per la maggior parte
un corpo sociale iberico o ligure assimilato politicamente dai conqui
statori, che imposero nomi dalla desinenza celtica. Assolutamente no.
In molte regioni della Gallia i Celti scelsero liberamente i luoghi ove ri
siedere. Laddove i loro insediamenti si sovrapposero a quelli di epoca
anteriore, questi ultimi erano, in genere, già scomparsi allorché i Celti
ne occuparono il sito. Vi erano, in territorio francese, città o borghi
fortificati neolitici o dell'Età del Bronzo. I Celti non vi si stabilirono su
bito, o li disertarono per ritornarvi solo più tardi. I n una parola, non
succedettero ai primi occupanti del suolo; essi edificarono l'X novo le ca
se e le città e si appropriarono della terra per uso proprio e di quanti li
avrebbero seguiti, perché dove si stabilirono definitivamente i Celti,
senza eccezione, i loro discendenti sono restati, fondando le città e i vil
laggi della Francia odierna.
Senza dubbio i Celti non avevano né gli stessi bisogni, né la stessa
maniera di concepire lo sfruttamento del suolo dei loro predecessori.
Per questo si stabilirono in altri luoghi tramandando ai Francesi abitu
dini che soprawivono alle ragioni da cui furono originate. Essi hanno
lasciato, per esempio, il loro catasto. La Gallia conquistata da Cesare
era così bene accatastata che gli agrimensori del fisco romano dovette
ro soltanto ingaggiare quelli gallici dai quali appresero qualche termi
ne agrario specifico e, in ogni caso, le misure: l'arpento e la lega sono
celtici 161 e il territorio francese ha conservato in buona parte la fisiono
mia datagli dai Celti, sicché, in breve, dal loro arrivo nel paese, e da al
lora soltanto, le comunità umane stabilitesi sul territorio assunsero la
struttura che ancora si riconosce nella società attuale, le cui origini na-
20
INTRODUZIONE
zionali risalgono al periodo celtico. Oltre, v'è il passato amorfo, senza
storia e senza nome.
Le nostre società, nella fattispecie le nazioni, sono entità complesse,
costituite da elementi di natura dirersa, materiali e morali. Esse non so
no il risultato di semplici sovrapposizioni. Si può paragonare la loro
formazione a quella del cristallo. Nella società francese, il principale
elemento che ha consentito alle diverse componenti di riunirsi in una
struttura unitaria, seppur sfaccettata, è l'elemento celtico, che ha origi
nato un cristallo trasparente dalle linee pure. Ed è più esatto dire che
la Gallia ha cominciato ad abbozzare una prima immagine della Fran
cia quando la massa più consistente dei popoli celtici si insediò sulla ri
va francese del Reno. In quell'epoca, vi erano ancora dei Celti in Spa
gna, in Italia, in Asia Minore, i quali, però, scomparvero o perdettero la
loro identità, di volta in volta assoggettati da altri popoli. Essi non furo
no spinti verso la Gallia, al contrario di quelli della riva destra del Re
no, che vi si stabilirono dopo lunghe lotte, diventando la nazione pre
ponderante e assimilando tutto il resto. Si formò così una sorta di orga
nizzazione politica e si accese una coscienza nazionale assai vaga, ma
anche capace di sprazzi luminosi. Quando i Romani la conquistarono,
benché la nazione gallica fosse in via di formazione, non fu totalmeute
assimilata dall'Impero.
Siamo portati a credere, pertanto, senza esserne tuttavia sicuri, che
le lotte, in seguito alle quali i popoli celtici si trovarono risospinti dalla
riva destra a quella sinistra del Reno, abbiano contribuito alla formazio
ne nazionale. Manifestiamo questo dubbio perché, stando alle crona
che degli antichi scrittori, non sembrerebbe che i Belgi, che furono gli
ultimi a sostenere queste lotte, abbiano manifestato un sentimento di
opposizione, etnica e nazionale, nei confronti dei Germani. I n com
penso, l'invasione dei Cimbri ebbe, a mio avviso, effetti indiscutibili,
mentre, stando a Cesare, la calata di Ariovisto ne prospettava altre. Ma
se vi era già una nazione, vi era anche ciò che ne costituisce l'unità
profonda: ideale comune, stesso modo di pensare e di sentire, in una
parola tutto ciò che le nazioni esprimono simbolicamente e ciò ch'esse
hanno di più intimo nella loro civiltà. I Celti in effetti furono, come i
Greci, più uniti, più coscientemente uniti, dal comune pensare e senti-
21
INTRODUZIONE
re che dal sentimento nazionale. Si può, a loro riguardo, usare non pa
radossalmente la parola civiltà nel suo significato più ampio. I Greci e i
Romani li consideravano barbari, ma barbari eletti. Essi immaginavano
i druidi come depositari della tradizione pitagorica. Cicerone ha fatto
del druida Diviziaco - un importante guerriero e sacerdote eduo - uno
dei suoi interlocutori.
Gli antichi attribuirono ai druidi una metafisica della quale è scom
parsa ogni traccia. lo credo piuttosto che quei giudici, medici, formato
ri di coscienze, poeti eh' erano i druidi, siano stati fini osservatori dei
costumi e della psiche umana. Sicuramente elaborarono una metafisica
della morte, ma ciò concerne la psicologia. I Celti fantasticavano molto
sulla morte che era una compagna familiare della quale si compiaceva
no di mascherare l'inquietante natura. Tutto ciò che ci è pervenuto da
gli stessi druidi è una frase formata da tre componenti, una delle tante
triadi di cui i Celti erano amanti. Eccola come Diogene Laerzio ce l'ha
tramandata nella prefazione alla Vita dei Filosofi: U&tv Ofoix; Kai J17JDf"
KGKC!II 8pàv Kai dv8pdav G(JI(fÌII, «adorare gli dèi, non far nulla di vile,
esercitare il proprio coraggio>> . È una sentenza morale, d'una morale
assai nobile e virile. Possiamo tuttavia intravedere lo spirito della loro
dottrina e l'anima della loro civiltà attraverso le letterature irlandese e
gallese che contengono, specialmente l'irlandese, importanti parti sen
tenziose e gnomiche. Lo spirito gnomico è presente anche nelle opere
narrative, benché queste abbiano, soprattutto in una letteratura che
non ci ha lasciato alcuna traccia di dramma, una singolare facilità a
creare dei personaggi. Nell'epoca deii'Uister, l'eroe Cuchulainn, il re
Conchobar, il druida Cathbad, la regina Medb sono tipi umani la cui
individualità è tanto più rimarchevole per il fatto che le opere da cui
sono stati tramandati non sono affatto capolavori. I Celti della Gallia sa
crificarono deliberatamente tutta la loro tradizione epica, sedotti dalla
civiltà più raffinata introdotta dai Romani. Essi ne dovettero tuttavia
mantenere lo spirito, al quale attribuiamo il carattere drammatico pre
so spontaneamente dalla storia della Francia, nelle pagine dei cronisti
francesi. Quale altra storia, in effetti, ha rappresentato con altrettanta
efficacia i comportamenti sociali in personaggi eroici?
L'archeologia della Gallia romana inganna sulle affinità dei France-
22
INTRODUZIONE
si. I Gallo-Romani rimasero per la maggior parte dei Celti travestiti, co
sicché, dopo le invasioni germaniche, si videro riapparire in Gallia mo
di e inclinazioni propri dei Celti, che erano sopravvissuti all'impronta
romana. L'arte romanica rammenta sovente l'arte gallica o quella dei
tagliatori di pietra gallici che lavoravano alla maniera romana, a tal
punto da indurci talvolta in errore.'') Ma questo è solo uno dei segni.
La lingua ne è un altro: i Romani imposero lentamente la propria alla
Gallia. Ne è risultato il francese che è soltanto il latino pronunciato dai
Celti e messo al servizio dello spirito celtico. Il carattere analitico dei
verbi, l'impiego dei dimostrativi e delle particelle dimostrative, l'anda
mento della frase parlata sono identici a quelli delle lingue celtiche.
In breve, la civiltà dei Celti è alla base di quella francese, come l'ab
bozzo di nazione dei Celti di Gallia ne è il fondamento. Per i Francesi è
un luogo comune sbandierare le affinità galliche, per cui resta molto
dei Celti Jaddove il nome celtico si è perduto. Ma, per quanto concerne
gli organismi sociali, tutti quelli più importanti sono scomparsi. Lo Sta
to francese non è celtico, ma germanico o romano; di quello celtico
non è rimasto niente: la Scozia ne è un'ombra; l'Irlanda è di recente
formazione. La civiltà celtica, che ha lasciato soltanto delle ipotesi di
nazioni e sopravvive esclusivamente nelle fondamenta dell'Europa occi
dentale alle cui sovrastrutture non ha contribuito, si è dissolta per vizi
d'organizzazione che cercheremo di chiarire.
I Celti non svolsero un ruolo politico, perché le loro strutture poli
tiche erano caduche, ma ne ebbero uno civilizzatore. Un evento carat
teristico fra tutti si originò con l'assimilazione della civiltà romana, e fu
il rigoglioso fiorire di scuole romane, eredi di quelle celtiche dei drui
di. (R) Furono i maestri gallici, formatisi alla scuola dei druidi, a dare alla
Gallia la sua cultura classica. Alcuni fra loro andarono anche a insegna
re a Roma, e seppero certamente interpretare meglio degli stranieri la
civiltà mediterranea, la sua scienza, arte, filosofia e cultura morale. Ed
è un segno interessante che tali interpreti siano stati celti. Più tardi, nel
Medio Evo, i monaci irlandesi richiamarono l'Europa al culto delle let
tere e della filosofia greca e latina, e prima, proprio i Celti, erano stati
per l'Europa centrale gli intermediari della civiltà greca, pur non man
cando di propagare la propria. Ai Celti, tedofori del mondo antico, so-
23
INTRODUZIONE
no succeduti i Francesi che, amanti della bellezza e dell'astrazione, so
no stati in Europa gli intermediari delle antiche civiltà mature ed eleva
te, con le quali hanno contribuito a fare la "civiltà". I Celti vi hanno ag
giunto una forma di sensibilità e di umanità che, in Europa, sono anco
ra oggi proprie dei popoli occidentali.
CELTI CONTINENTAU E CELTI INSUlARI
Gli storici dell'an tichità, quando si occupano dei Celti, si riferisco
no solo a quelli del continente, vale a dire in sostanza ai Celti della Gal
lia, ai Galli, dei quali seguono l'evoluzione e dei quali abbiamo indicato
l'eredità. Lo studio dei Celti delle Isole Britanniche è lasciato ai filologi
e agli specialisti. In questo libro ci occuperemo contemporaneamente
dei Celti continentali e di quelli insulari, e si dimostrerà, senza alcun
dubbio, come sia impossibile comprendere la storia dei primi facendo
astrazione dai secondi. l Celti insulari avevano infatti una letteratura
che, se si eccettua un ristretto numero di iscrizion i galliche, costituiva
tutta la tradizione celtica scritta. Questa letteratura, a dire il vero, ap
partiene per intero alla nostra era ed è conservata solo in manoscritti, i
più antichi dei quali non risalgono al di là del XII secolo. Le lingue in
cui è espressa sono già molto lontane dalla forma in cui si era attestato
il gallico. A prima vista sembra imprudente abbinare dati che appaiono
così lontani gli uni dagli altri e senza alcun rapporto di tempo e luogo.
Tuttavia la differenza stessa dei dialetti, irlandese da una parte, gal
lese o britannico dall'altra, ci pone in presenza di un fatto veramente
fondamentale della storia dei Celti, di una sorta di scissione preistorica
di quel popolo, parallela a quella analoga degli ltalici, sulla quale vo
glio richiamare l'attenzione, in quanto gli archeologi che si occupano
dei Celti ne tengono poco o nessun conto. Per quanto concerne la loro
letteratura, è un luogo comune riconoscere che le prime testimonianze
risalgono a un periodo molto più remoto di quello in cui furono scritte
le opere più antiche pervenute fino a noi. Nelle descrizioni degli ogget
ti, di cui è ricca l'antica letteratura dell'Irlanda, si sono voluti ricono
scere armi e gioielli dell'epoca di Hallstatt e ciò a torto, a mio avviso. In
24
INTRODUZIONE
ogni caso, vi si trovano tracce che risalgono a trecento o a quattrocento
anni prima di Cristo e di cui dovremmo tener conto. Riteniamo che le
sue origini siano ancora più antiche e che essa contenga importanti
elementi di una tradizione panceltica, risalente a prima dell'arrivo dei
Celti nelle Isole Britanniche. Sono necessari analisi e paragoni per di
stinguere i diversi strati di questa tradizione letteraria. Anche se la sua
antichità non fosse così certa, sarebbe antiscientifico non preoccupar
sene affatto e negarla.
Per la storia della civiltà, che si tratti di tecnica, di categorie profes
sionali, di vita domestica, o di organizzazione sociale, clan, tribù, regni,
confederazioni e coltivazione del suolo, o che si tratti ancora di arte e
di religione, il materiale di studio sarà fornito principalmente dalla let
teratura e dalla legislazione dei Celti delle Isole. Ma considerando le
istituzioni, o le loro caratteristiche - perché è molto affascinante cerca
re nelle epopee e nei racconti celtici la descrizione psicologica di una
storia piuttosto scarna - non bisogna mai dimenticare che i Galli vinti
da Cesare avevano notevolmente superato il tipo di civiltà rappresenta
ta dalle leggi e dall' epopea dell'Irlanda. Infine i Celti delle Isole ci inte
ressano in quanto continuatori della civiltà celtica la quale, sul conti
nente, subì dei mutamenti a seguito della conquista romana. Per rico
struire la storia dei Celti si è fatto ricorso, in modi diversi, al sostegno
di dati letterari e linguistici. Se ne sono utilizzati di molto oscuri, a dire
il vero, non senza un reale profitto perché grazie alle fantasie dell'Acca
demia celtica è stata aperta la via alla preistoria. Comunque si cercherà
di adottare il metodo più rigoroso e più austero.
PIANO DELL'OPERA
Bisogna subito cercare di definire ciò che si deve intendere per Cel
ti, non perché il problema è in sé oscuro, ma perché è stato reso tale
dalla mancanza di intesa tra i diversi gruppi di studiosi che, ciascuno
dal proprio punto di vista, si sono occupati di loro. Gli elementi del
quadro che potremmo delineare non sono esattamente concordi. Biso
gna interpretare, scegliere, attribuire a ciascuno il suo valore intrinseco
25
INTRODUZIONE
e gerarchico. Il meno soggetto a controversie è l'elemento linguistico.
La parlata celtica è l'indice principale di quella civiltà, se così ci si può
esprimere. Tutti coloro che parlavano celtico erano Celti, da qualun
que parte provenissero. Coloro che smettevano di parlare la lingua spa
rivano in mezzo ai popoli da cui erano assorbiti, cessando così di essere
Celti. Ma la minima traccia di celtico, nei nomi propri di persona o di
luogo, le iscrizioni e le nuove lingue, attestano con certezza la presenza
dei Celti in un dato luogo in una certa epoca. Si può affermare che, in
linea di massima, il limite delle lingue celtiche corrisponde a quello
delle società e delle civiltà celtiche. Si tratterà, in seconda istanza, di ri
tracciare i loro confini mutevoli e di ricercare, a questo scopo, gli avve
nimenti che costituiscono la storia interna ed esterna delle loro società
prive di una storia propria, che fanno immaginare la loro crescita, rive
lano i raggruppamenti delle tribù, la tendenza a dividersi, le migrazio
ni, le colonizzazioni, le ondate concentriche delle spinte successive, i
nuovi insediamenti, le formazioni di Stati, l'accalcarsi delle nazioni alla
fine della loro corsa sul territorio scelto.
I nostri documenti saranno i nomi, di luoghi o di uomini, i nomi di
popoli legati ai luoghi. Procedendo, giungeremo ai dati archeologici,
che avranno la loro importanza tra gli altri, dimostrando quanto sia
fruttuoso il confronto di documenti di natura diversa. Dovremo, così
facendo, impegnarci nell'esposizione sistematica della civiltà dei Celti,
definire in anticipo la civiltà di La Tène, ossia descrivere l'insieme di
oggetti caratteristici che ci serviranno precipuamente come indicazioni
etnografiche, e per la stessa ragione indicare la classificazione cronolo
gica e la successione degli stili in ogni serie di oggetti. L'ultima parte di
questo lavoro sarà dedicata allo studio della civiltà. Una parte dei dati
archeologici sarà rivisitata perché fornisca testimonianza sulle capacità
produttive dei Celti, su ricchezza, commercio, abitudini di vita e costu
mi. Ma tratteremo soprattutto della struttura delle società celtiche, dei
raggruppamenti familiari, tribali, politici, così come sulle attività socia
li: religione, arte, etc., che si svilupparono in quelle società.
26
CAI'ITOI.O I
LE ORIGINI DEI CELTI
LA SEPARAZIONE DEI GOIDEU E DEI BRETONI
Il primo intendimento di questo studio è quello di stabilire donde
siano partiti i Celti, dove siano andati, quando si siano fermati: di rì
tracciare, in una parola, la loro storia.
L'avvenimento che la pervade tutta, e apparentemente ne sancisce
l'avvio - e che seguì dì poco la dissoluzione della comunità italo-celtìca,
sempre che tale concetto astratto corrisponda all'essenza di una società
definita - è la loro divisione in due gruppi di popoli le cui lingue si dif
ferenziarono: ossia il gruppo goidelico, o irlandese, e il gruppo britan
nico, comprendente i Galli.
La divisione dei dialetti celtici è un avvenimento di importanza di
versa dall'ipotetica distinzione tra Celti e Galli. Essa presuppone con
temporaneamente una separazione abbastanza profonda tra i popoli
che parlavano i due gruppi di dialetti,111 e un movimento in due tempi,
piuttosto distanziati l'uno dall'altro, di due popolazioni celtiche, secon
do un ritmo analogo, ma molto più ampio di quello immaginato dagli
storici, che disquisiscono sulla distinzione tra Celti e Galli. In altre paro
le, siamo indotti a pensare che il popolamento delle Isole Britanniche
da parte dei Celti,. e dell'Irlanda ad opera dei Goideli, sia avvenuto in
un tempo antecedente, anteriore di non pochi secoli ai movimenti sto
rici dei popoli britannici, che si sono estesi verso il VI secolo. Bisognerà
risalire sino all'Età del Bronzo per datarne il primo insediamento.
Numerosi storici e archeologi non tengono conto di tale divisione,
o ne tengono conto insufficientemente,(21 e anche gli studiosi dei Celti
27
CAPITOLO!
e i linguisti non sono d'accordo sulla sua importanza e tanto meno sul
la data. M. Eoin Mac Neill, a esempio, dopo aver commesso l'errore
diagnostico in Phases ofIrish history, d'identificare i Celti con la civiltà di
La Tène, facendo risalire ai suoi inizi i movimenti dei Celti, di tutti i
Celti, ha dovuto concludere che i Goideli e i Britanni arrivarono insie
me in Gran Bretagna e in Irlanda, al massimo nel IV secolo avanti Cri
sto. Erano già differenziati o si differenziarono una volta stabilitisi nelle
Isole Britanniche? Pare che il quesito non lo abbia interessato. In ogni
caso, i dati sui quali si fonda la distinzione dei dialetti celtici non gli
sembrarono importanti. Siffatte trasformazioni fonetiche, a suo parere,
non sono necessariamente connesse a frontiere etniche, dal momento
che si propagano in una maniera misteriosa e si fermano senza alcuna
ragione apparente.'�'
Una buona parte degli elementi distintivi dei due gruppi di dialetti
celtici può essere in effetti d'epoca assai recente, ma questo non è il ca
so del più caratteristico di tutti, cioè la labializzazione delle ve lari, indi
ce principale dell'addolcimento delle consonanti del britannico, dal
quale deriva l'attuale forma del gallese.
La labializzazione s'era dunque già generalizzata al tempo in cui
Goideli e Britanni, abbandonando i primitivi territori dei Celti, avreb
bero compiuto in comune, secondo M. Eoin Mac Neill, la colonizzazio
ne delle Isole Britanniche. Il nome di queste, TTfXTTavLKal vfjuoL, che ri
sale al viaggio di Pitea, ne sarebbe una preziosa testimonianza, se non
fosse derivato dal nome dei Pitti, Pretanni, Prydain, la cui celticità è in
predicato.
È difficile ammettere che popoli, impegnati contemporaneamente
in identiche, se non comuni imprese, che li avrebbero avvicinati e me
scolati in modo inestricabile, muovendosi nella stessa direzione e con
gli stessi scopi, non si siano influenzati reciprocamente nell'evoluzione
fonetica delle loro lingue che, al momento della migrazione, erano
molto simili. Quando queste influenze si attestano in Irlanda, assumo
no una forma particolare poiché è l' irlandese a farle proprie.
Gli Irlandesi non hanno trasformato in k le p del britannico, o del
latino, sebbene le abbiano qualche volta conservate. Pur cercando di
mantenersi integro, alla lunga l 'irlandese finì per prendere qualcosa
28
LE ORIGINI DEI CELTI
dalla lingua vicina. Però resistette bene perché le sue strutture s'erano
già nettamente assestate e aveva avuto il tempo di fissarle, il che presup
pone sempre una separazione di una certa durata. Infine, mentre i dia
letti celtici, che formarono il gallico, subivano tutti, senza eccezione, la
labializzazione, l'irlandese vi si sottrasse perché era rimasto a lungo in
disparte.
Ma fino a dove bisogna risalire per trovare il momento in cui si pro
dusse la labializzazione, considerata l'indice principale della distinzio
ne dei dialetti, e quello, ben più remoto senza dubbio, della separazio
ne dei popoli? '41 L'intima parentela del celtico e dell'italico ci servirà
da guida e ci fornirà il mezzo per interpretare i dati del problema. Ve
dremo anche che quelli archeologici confermeranno i linguistici.
I dialetti italici, in effetti, manifestano esattamente la medesima di
visione, con lo stesso indice principale, ma in condizioni tali che la si
può arditamente interpretare come è stato proposto in precedenza per
la divisione dei dialetti celtici. Il parallelismo dei due gruppi di dialetti
risulta, da questo punto di vista, del tutto rimarchevole, e non ha man
cato d'attirare l'attenzione dei linguisti, i più prudenti e critici dei quali
cercano di limitare le proprie conclusioni.1;1 Ma la somiglianza dei dati
è troppo evidente e le lingue sono troppo imparentate perché il loro
accordo, in questo particolare caso, sia fortuito. Celti e Italioti vivevano
senza dubbio sufficientemente vicini perché gli stessi modi linguistici
potessero propagarsi dagli uni agli altri. Da entrambi si separò un tron
cone che rimase fedele a uno stadio antico delle parlate. I gruppi uma
ni presso i quali si verificò la labializzazione della velare erano rimasti
certamente vicini, o forse ebbero contatti accidentali ravvicinati. Ma
molte di queste considerazioni hanno valore di ipotesi mentre, perché
un metodo scientifico sia valido, si deve ricorrere al caso il meno possi
bile.
Conviene tuttavia sottolineare che un identico fenomeno si verificò
nei dialetti greci e in quelli illirici. In greco !mroc prevalse sull'antico
termine lKKOC cui corrisponde in latino equus, parola che conosciamo
attraverso l'Etymologicum magnum.'"1
La lingua omerica, lo ionico letterario, conservava la gutturale men
tre il greco comune l'aveva persa: Koìoc, KW<; al posto di rroìoc, rrW<;. Per la
29
CAPITOLO I
festa delle fave, che gli abitanti di Samos chiamavano Kuavr/;ifJta, gli Ate
niesi usavano il termine Kuavc!J4;w.
Tra i dialetti illirici, il veneto, che conservò le velari (Liquentia, Aqui
leia, Mogiancus, 'ApoiJKla) , contrastava con i dialetti balcanici che le la
bializzarono (Pempte, Avmrdoc, 'ApéÀdTTTJ, Arupz) . È poco probabile che il
fenomeno si sia verificato nel greco e nell'illirico con le stesse modalità
dell'italico e del celtico, ed è egualmente poco probabile che non si sia
verificato, laddove lo si osserva, in condizioni paragonabili. In ogni ca
so, se si può dar per dimostrato che i Greci vennero dal nord, ossia dal
l'Europa centrale, è ammesso supporre senza inverosimiglianza ch'essi
fossero stati prossimi, non solamente agli Illiri, ma anche agli !taio-Celti
e agli stessi Celti, e che il contatto non fosse completamente interrotto
al momento in cui si produsse la labializzazione delle velari, indice pri
mitivo della divisione dei dialetti celtici. Ora è certo che i Greci non la
sciarono in una sola volta il loro paese d'origine, eppure la labializza
zione si produsse nei dialetti continentali del greco: dorico, attico, gre
co comune. Lo ionico come il goidelico, ma molto prima, gutturalizzò
semplicemente la velare. I Dori erano gli ultimi venuti, preceduti dagli
Ioni, che si stabilirono per primi alla periferia orientale del mondo gre
co. Tutto accadde, in una parola, come se la labializzazione fosse l'ere
dità dell'ultima ondata di Greci, degli ultimi rimasti in contatto con i vi
cini indo-europei dell'Europa occidentale, presso i quali si verificava lo
stesso fenomeno.
Grosso modo l'invasione dorica coincise con la scomparsa della ci
viltà micenea, con l'era di mezzo dell'antica Grecia che corrisponde,
press'a poco, all'inizio dell'Età del Ferro. La sua data probabile si avvi
cina a quella tradizionale. Quanto allo ionico, era probabilmente il dia
letto degli Elleni che si stabilirono in Grecia nell'epoca micenea, o an
che prima, e i cui documenti cominciano a rivelare la storia remota.
Proprio nello stesso modo, e pressappoco nelle stesse date, si svolsero
gli avvenimenti che riguardano gli l talioti. Il luogo in cui si insediarono
gli Umbri può essere individuato con esattezza, in rapporto agli Etru
schi e a partire dal momento in cui essi discesero in Italia. Tra i due po
poli non vi furono soltanto rapporti di stretta vicinanza, ma anche di
profonda compenetrazione. Gli Etruschi, estranei all'Italia, conquista-
30
LE ORIGINI DEI CELTI
rono un territorio a s pese degli U mbri, e secondo la tradizione essi sot
trassero loro la parte settentrionale, vale a dire Bologna e la sua p rovin
cia. In breve, Umbri ed Etruschi erano le due com ponenti p rinci p ali
delle p op olazioni a nord dell'Italia centrale e a sud della Pianura Pada
na. Ora, grazie all'archeologia, disp oniamo di dati im portanti p er la co
noscenza degli Etruschi. Vi sono, in Etruria, delle tombe che rassomi
gliano a quelle dell'Asia Minore, donde veniva quel popolo, in cui sono
state trovate terrecotte e altri oggetti originari dell 'Oriente. Nel cimite
ro di Bologna, che si estende dalla città fino alla Certosa, si trovano
tombe che rassomigliano a quelle dell'Etruria e il cui arredo è etrusco.
Più vicino alla città vi sono tombe d'altro ti po, pozzetti con ossari di for
ma caratteristica, e con oggetti più antichi di diverse s pecie. Si ritrova
tutto ciò in Etruria, accanto ai resti degli Etruschi. Tali oggetti caratte
rizzano la civiltà degli Umbri detta di Villanova, dalla città in cui s'è tro
vato un cimitero identico.
La civiltà umbra ha numerosissime affinità con quella della valle del
Danubio, il cui documento p iù significativo è l' ossario, che rassomiglia
a quello dei tumuli e delle tombe di Hallstatt e ha i suoi antenati nel va
sellame della fine dell'Età del Bronzo, p rodotto a nord della valle del
Danubio. Le eredità tecnologiche forniscono indicazioni sui p ercorsi
dei pop oli che in Italia svilu pparono tale civiltà, sebbene fossero arriva
ti di recente. Nell'Italia del nord vi era, prima, una p opolazione d'una
certa im portanza, che aveva costruito sulle rive del Po villaggi rettango
lari eretti su palafitte, i cui resti sono conosciuti sotto il nome di terra
mare. Alcuni hanno i potizzato che gli abitanti di Villanova discendesse
ro da quelli delle terramare scom parse, ma si tratta di un'i p otesi errata
in quanto le po polazioni di Villanova, che si sostituirono a quelle delle
terramare, non ne sono le discendenti.
Vi è dunque motivo di credere che gli Umbri171 siano giunti in Italia
verso l' inizio dell'Età del Ferro, provenendo dal nord delle Alp i dove
entrarono in contatto con i Celti.1�1
Qual era dunque la p osizione dei Latini? Esistendo tra latino e ir
landese lo stesso rapporto che v'era tra I'italico e il celtico, i Latini e i
Goideli dovrebbero essersi trovati in situazioni simili. I Goideli erano i
Celti s p intisi maggiormente verso ovest, loxamt dv8piJv, seguiti a ruota
31
CAPITOLO l
dai Britanni (ciò detto con riserva di dimostrazione). Per stabilire un
paragone bisognerebbe che i Latini fossero stati i primi, fra gli Italioti,
ad allontanarsi dalla culla comune e a stabilirsi in Italia.
Nel periodo in cui furono fondati i primi villaggi, dai quali ebbe
origine Roma, i Latini avevano evidentemente come loro centro il La
zio. L'archeologia consente di stabilire, in maniera sufficientemente
chiara, salvo al confine con l'Etruria e a quello con gli Umbri, fin dove
si estendeva il loro dominio. Reperti caratteristici della civiltà latina so
no l'urna a capanna e il dolium funerario, oltre alle urne con il coper
chio o chiuse con calotte sormontate dall' apex dei sacerdoti romani.
Ma dov'erano stanziati in precedenza i Sabelli, il cui linguaggio pre
sentava caratteristiche differenziate che li localizzavano a sud-est? Non
si deve tener conto degli Iberi e dei Liguri nelle civiltà preistoriche del
l'Italia, durante l'età del Bronzo e oltre? Diversi tratti importanti della
civiltà romana, quali la forma della città (Roma quadrata) , quella del
l'accampamento con la cinta quadrangolare e le due vie principali che
si intersecavano ed erano orientate, il collegio dei pontifices, evocano
l'immagine delle terramare, con la loro rituale regolarità, i loro fossati
e i loro ponti. I Latini avrebbero dunque abitato le terramare della pia
nura del Po? È probabile che essi si siano mescolati ai Liguri con i quali
la tradizione li mostra associati fino a Roma. Per trovare nell'inventario
archeologico delle terramare i segni dell'arrivo dei Latini, non v'è che
l'imbarazzo della scelta: manici storti, vasi mammellonati, spade a lin
guette, spille ad anello, collane fatte di monete.
I Latini discesero dunque in Italia sensibilmente prima degli U m
bri. Separati dagli altri ltalioti, la loro lingua non partecipò all'evoluzio
ne dei loro dialetti, differenziandosi in tal modo dal resto delle lingue
italiche. Quest'insieme di fatti fornisce almeno un indizio per spiegare
l'evoluzione del celtico, ma occorre spingersi oltre.
La data dell 'introduzione della civiltà di Villanova in Italia coincide
pressappoco con quella dell'arrivo in Grecia dei successori dei Micenei.
Intorno all'inizio della prima Età del Ferro, alla fine del secondo mil
lennio avanti Cristo, si manifestò in Europa un certo sommovimento ri
velato, nell'archeologia preistorica, da numerose novità, che ebbe co
me risultato la discesa nella penisola mediterranea di nuove bande
anane.
32
LE ORIGINI DEI CELTI
Un sommovimento simile s'era già verificato alla fine del primo pe
riodo dell'Età del Bronzo e aveva avuto gli stessi effetti. Il ritmo delle
migrazioni celtiche era, a mio awiso, identico e deve essere stato deter
minato dalle stesse leggi demografiche, dagli stessi awenimenti che re
golano in generale la storia della civilizzazione. In altre parole, il distac
co del gruppo goidelico e, probabilmente, la prima colonizzazione cel
tica delle Isole Britanniche, furono contemporanei alla discesa dei Lati
ni in Italia e alle prime invasioni di Greci in Ellade.
La differenziazione dei dialetti britannici, umbri, dorici, si verificò,
in data incerta, fra i popoli rimasti in contatto che iniziarono a migra
re all'incirca nello stesso tempo e che, dopo la differenziazione dei
dialetti, si allontanarono definitivamente gli uni dagli altri. In sintesi,
la separazione dei popoli celtici in due gruppi è un awenimento anti
co, di grandissima importanza, collegato ai grandi eventi della preisto
ria europea, ed è conseguenza della disgregazione della comunità ita
lo-celtica.
Questa tesi poggia essenzialmente su tre ipotesi, che appare u tile
elencare. Secondo la prima le affinità linguistiche indicano almeno
delle vicinanze etniche; per la seconda certi awenimenti concordanti
devono essersi prodotti non solo in luoghi prossimi, ma anche nello
stesso tempo; e in base alla terza ipotesi ogni diverso gruppo di dati
archeologici costituisce un insieme di eventi etnografici, potendo cor
rispondere all'uno o all'altro dei fatti etnografici che implicano i di
versi dialetti in questione. E tutte le ipotesi non hanno nulla di strava
gante.
LA CULLA DEI CELTI. TEORIE DIVERSE
Prima di ricercare quali insiemi di dati archeologici corrispondano
al distacco dei Goideli e all'esistenza distinta dei Goideli e dei Britanni,
conviene stabilire, se è possibile, donde siano partiti gli uni e gli altri.
La culla dei Celti era senza dubbio \�cinissima a quella degli ltalioti, ar
rivati in Italia dal nord e dal nord-est, non dall'ovest o dal nord-ovest
delle Alpi. È dunque a nord delle Alpi che occorre cercare i Celti, in
33
CAPITOLO l
un territorio più o meno lontano. Sulla loro origine si confrontano due
tradizioni contradditorie. L'una li colloca dove gli antichi li conobbero,
l'altra sulla riva del Mare del Nord.
Si legge in Tito Livio che ai tempi di Tarquinio il Superbo i Galli
s'erano stabilmente insediati al centro della Francia odierna, raggrup
pandosi attorno ai Biturigi, il cui re si chiamava allora Ambicatus. La lo
ro confederazione comprendeva, oltre a tale popolo, gli An·emi, i Se
noni, gli Edui, gli Ambarri, i Carnuti e gli Aulerci, ossia i popoli che oc
cupavano, ai tempi di Tito Livio, il centro stesso della Celtica. «La Gal
lia era così ricca e così popolosa che diventò difficile mantenervi la sua
popolazione troppo numerosa. Il re, già anziano, volendo alleggerire il
regno di quella moltitudine che lo oberava, manifestò il desiderio di in
viare i suoi nipoti, Belloveso e Sigoveso, giovani audaci, a cercare nuove
dimore nelle contrade che gli dèi avrebbero loro indicato con l'aiuto
degli àuguri. Essi avrebbero condotto seco quanti soldati volessero af
finché nessuna nazione potesse respingerli. La sorte assegnò a Sigoveso
le foreste erciniane; gli dèi, molto più favorevoli a Belloveso, gli indica
rono la strada per l'Italia».
Gli antichi storici avevano un'idea ben precisa dei confini raggiunti
dai Galli. Essi erano così ben sistemati in Gallia, nel I secolo avanti Cri
sto, che occorreva qualche novità per mettere in dubbio che quel paese
fosse la loro culla da cui si supponeva fossero partite le invasioni con
cui avevano esteso le loro frontiere.
La tradizione riferita da Tito Livio è d'altronde lontana dall'essere
inaccettabile. I nomi sono ben gallici. Ambicatus è colui che impegna
battaglia tutt' intorno; Bellovesus, colui che sa uccidere; Sigovesus, colui
che sa vincere. Nomi fantastici, forse, ma di una fantasia indigena. Tra
dizione gallica dunque, che Tito Livio senza dubbio prese da Cornelio
Nepote, ossia dallo storico gallico Pompeo Trogo.
Anche Cesare ne parla: «Vi fu un tempo in cui i Galli superavano i
Germani in valore, facevano guerra in casa loro e fondavano al di là del
Reno delle colonie, per alleggerire il loro territorio dell'eccedenza di
popolazione. Fu così che i Volsci Tettosagi si impadronirono delle con
trade più fertili della Germania, presso la Selva Ercinia che parrebbe
essere stata conosciuta da Eratostene e da parecchi altri Greci col nome
34
LE ORIGINI DEI CELTI
di Orcinia. Tale nazione vi si è mantenuta fino ad oggi e gode d'una
grande reputazione di giustizia e di valore. Quegli abitanti vivono tutto
ra nella stessa povertà, indigenza e frugalità dei Germani: essi hanno
adottato il loro genere di vita e il loro costume». Cesare fornisce notizie
molto ingannevoli sulla povertà dei Volci.
Tacito, nella Germania, facendo propria l'opinione di Cesare, segna
la altri popoli a est dei Volci: i Boi di Boemia e i Cotini di Slesia. Ma v'e
rano altre tradizioni cui gli storici antichi si riferiscono. Ammiano Mar
cellino, in un lungo brano relativo ai Galli, così scrive: Druvidae memo
rant revera fuisse populi partem indigenam («l Druidi riferiscono che, a di
re il vero, una parte della popolazione era indigena» ) , sed alios quoque
ab insulis extremis conjluxisse et tractibus Transrhenanis ( « ma che ve n'era
no altri venuti da isole lontanissime e dalle regioni situate al di là del
Reno») . l�) Gli indigeni sono i Liguri o altri popoli e i nuovi venuti sono
i Celti.
Ammiano Marcellino, al pari di Timagene, riporta anche le ragioni
del loro esodo. «Essi sono stati cacciati dai loro siti da vicini sovente
troppo bellicosi e da un maremoto»: crebritate bellorum et adluvionefervidi
maris sedibus suis expulsos, il che starebbe a indicare come i Celti fossero
venuti da oltre il Reno, e più precisamente dalle terre basse situate sul
le rive del Mare del Nord. Un'altra testimonianza dei cataclismi maritti
mi, di cui i Celti furono vittime, stando a quanto avevano sentito dire
gli antichi, è fornita dallo storico Eforo, ripreso da Strabone, per altro
con scetticismo. Secondo Eforo i Celti si ostinavano a restare sulle terre
minacciate, benché , durante le inondazioni, perdessero più uomini
che in guerra.
La leggenda dei Celti che affrontano le onde del mare con le armi
in pugno risale probabilmente a questa tradizione, di cui si trova un'al
lusione ancora più autorevole in un passo dell'Ora maritima di Avieno
che è opportuno citare perché riassume in dieci versi qualche secolo di
storia celtica.1wl
Il navigatore che lascia alla sua sinistra la Bretagna raggiunge il pae
se dei Liguri, Caespitem Ligutum subit, privo d'abitanti, evacuati in segui
to agli attacchi dei Celti, il paese di un popolo in fuga, Jugax gens haec
quidem.
35
CAPITOLO l
Diu inter arta cautium duxit diem
Secrela ab undis. Nam sali metuens erat
Priscum ob peric[u]lum, post quies et otium,
Securitate roborante audaciam,
Persuasit altis devehi cubilibus
Atque in marinos iam locos descendere.
Avieno, più colto di Eforo e di Timagene, faceva estendere il territo
rio dei Celti dal mare alla montagna. Pitea trovò i Celti sulla costa, a
qualche giorno di navigazione da Cantion, vale a dire dal Kent, ma la
sua testimonianza così preziosa vuole essere interpretata. Fare assegna
mento sui documenti appena citati per situare, sia in Gallia, sia sulle stes
se rive del Mare del Nord, la culla dei Celti, significa attribuire agli anti
chi autori un'autorità ch'essi non meritano affatto. Tuttavia le moderne
teorie sull'origine dei Celti, fondate sull'osservazione dei reperti archeo
logici e sull'interpretazione dei dati storico-linguistici, sono orientate
nelle stesse direzioni delle antiche ipotesi.
Tre di queste teorie devono essere discusse a parte e scartate. Il più
colto degli archeologi renani, K. Schumacher, afferma che i Celti si
mossero da ovest verso est e che la Renania fu popolata da coloro che
venivano dalla Gallia. Una migrazione generale da occidente a oriente
avrebbe coinvolto i popoli celtici in un periodo ch'egli fa iniziare alla
metà dell'epoca di Hallstatt. I Sequani, partiti dalla Senna, raggiunsero
la Franca Contea; i Mediomatrici lasciarono la Marna per stabilirsi sulla
Mosa; gli Elvezi erano degli Elvii, venuti dalle rive deli'Allier; i Volci, i
Biturigi Cubi, i Turoni si distribuirono fra il Danubio e la Turingia. I
Treviri erano della stessa origine, e il loro arrivo nella valle del Reno
avrebbe lasciato come traccia archeologica un tipo d'urna hallstattiana,
comune nella regione il cui centro si trova alla confluenza del Meno,
urna che si distingue dagli esemplari reperiti più a sud per la povertà
della sua decorazione e che Schumacher classifica sotto il nome di ur
ne del tipo di Mehren. I Celti sarebbero arrivati al Reno passando per il
Palatinato e I'Hunsruck e, attraversatolo, avrebbero raggiunto il Tau
nus, il Westerwald, il Vogelsberg, fino a pervenire nella vallata del Tau
ber e nell'Odenswald e arrestarsi infine sulla linea Hagenau, Rastatt,
36
LE ORIGINI DEI CELTI
Stoccarda. I contingenti giunti in seguito a\Tebbero rafforzato i p rimi
stanziamenti, im ponendo la civiltà di La Tène. Il nome della provincia
romana di Rezia testimonia la resistenza dell'antica po p olazione di
Hallstatt che era reto-ligure rafforzata da elementi illirici. Schumacher,
che ha trascorso la vita a seguire sulla carta le tracce degli uomini p rei
storici, ha sottolineato molto o pportunamente che i più antichi percor
si si arram p icavano sulle alture e seguivano gli sp artiacque, ed è p er
queste strade d'altura che sarebbero giunti i Celti. Egli paragona i loro
movimenti ai trekk dei Boeri, a quelli cioè dei p astori che cercavano s pa
zi p er i loro pascoli. Tracciando le strade sulle carte, si può tuttavia esse
re indotti a immaginare con tro ppa facilità percorsi e direzioni, ma una
serie di re perti simili lungo una linea che può essere una strada non in
dica in qual senso essa sia stata percorsa. In effetti, le p rove sono scarne.
Schumacher è tratto in inganno sulla direzione secondo cui si diffuse la
civiltà celtica perché non conosce de visu le miserie e le ricchezze del
periodo hallstattiano francese. L'enorme massa di tu muli della Franca
Contea lo induce a ip otizzare che la regione fosse la culla dei Celti, ma
osservando i fatti da vicino, non è p ossibile considerarla un punto di
p artenza.' 111 L'i p otesi di Schumacher, basata su una conoscenza così
completa dei dati archeologici e un giudizio così sicuro del dettaglio,
dimostra quanto sia delicata l'interp retazione etnografica dell'archeolo
gia p reistorica.
C. Jullian, do po aver seguìto la tradizione di Eforo e di Timagene,
ha pro pagato una teoria del tutto nuova sull'origine dei Celti, che elu
derebbe, se s'im ponesse, una parte dei p roblemi che dobbiamo ancora
porci. Per Jullian, il quale mira a cancellare i confini fra celtico e ligu
re, ' 121 il ligure è una forma di preceltico o p iuttosto una lingua comune
a Celti e Italioti: in breve si tratterebbe dell' italo-celtico. La civiltà italo
celtica, invece d'essere confinata nell'Euro pa centrale al nord delle Al
p i, come ho indicato io, si sarebbe diffusa in tutta l'Europa occidentale,
scom p onendosi un bel giorno nei suoi diversi elementi, majullian non
ci sa dire come. È anche assai imbarazzante immaginare questa scom
p osizione se si adotta la teoria di C. Jullian, perché, sp ingendo all'estre
mo il suo pensiero, si fa del dominio itala-celtico una sorta d'imp ero
unificato, la cui unità sarebbe stata il p resu pposto degli eventi di civiltà
37
CAPITOLO !
che vi si produssero, nella fattispecie il commercio del bronzo. Teoria
per altro speciosa, poiché vi furono degli Italo-Liguri in Italia e dei Cel
to-Liguri in Gallia, ma, per quanto si rafforzi, tale ipotesi è tuttora cam
pata in aria.
Nello stato attuale delle nostre conoscenze, occorre, per più ragio
ni, scartarla come non provata: in primo luogo non v'è una sola parola
attribuita al ligure, per ragioni evidenti, che possegga una delle partico
larità caratteristiche dell'italico e del latino. Seguendo le scarse tracce
residue, possiamo configurarlo come una lingua vicina all'italico e al
celtico, ma siamo ben lontani da poterlo ritenere una loro matrice. In
secondo luogo l'area d'estensione dei nomi geografici in asco, osco, usco,
non coincide con il limite orientale di quella che sarei indotto ad attri
buire ai primi Celti. In terzo luogo gli antichi scrittori, che pare cono
scessero perfettamente i Liguri, non riferivano il loro nome a una na
zione smisuratamente estesa, ma più genericamente a un nutrito grup
po di tribù (Salii, Taurini, Si culi, Ambroni) , distinte dai Celti e dagli
Italioti. V'erano dei Liguri a Roma, ma essi furono scacciati dai Savrani
di Rieti, che erano i Sabini, ossia dei Latini. I Celto-Liguri della Gallia
sono testimonianza della distinzione pressoché generica dei due ele
menti che li componevano. Infine vi furono dei Liguri che non diven
nero né Celti né Italioti. Né l'area d'estensione dei Liguri può essere
considerata nel suo insieme il dominio della comunità italo-celtica, che
dev'essere definito a parte.
Questa nuova teoria non ha fornito una soluzione, ma una nuova
veste, per altro inutile, ad antichi problemi, introducendo nell'archeo
logia uno degli elementi più spinosi, adottato con troppa compiacenza,
ossia la nozione d' impero preistorico che dà l'illusione d'una interpre
tazione sociologica o storica dei fatti. Nell'archeologia preistorica del
mondo celtico e del mondo ligure, niente evoca l'immagine di un im
pero, nemmeno del genere di quello azteco.
Recentemente è stata avanzata, da H. Peake, una terza teoria fonda
ta sull' interpretazione d'un unico dato archeologico, le spade dette a
codolo piatto, la cui lama ha alla base una linguetta di metallo che ade
risce al profilo dell'impugnatura composta di due facce mobili ribattu
te sul codolo. Tali spade sono state utilizzate come segno etnografico
38
LE ORIGINI DEI CELTI
per la prima volta da Kossinna, che le ha considerate indicative dell'e
spansione dei Germani e ne ha stilato una classificazione cronologica la
cui validità ancora sussiste.
Le spade antiche avevano solo uno o due ribattini all 'elsa e non al
l'impugnatura. In gran parte sono state trovate nello Schleswig-Hol
stein (una trentina) , il resto nei dintorni, e risalgono alla metà del se
condo periodo dell'Età del Bronzo. Il tipo appartenente alla fine di ta
le periodo aveva dei ribattini sull'impugnatura e, salva eccezione, più
di due paia d'essi all 'elsa. Le spade del terzo periodo dell'età del Bron
zo si distinguono dalle precedenti per il fatto che la linea dell'impu
gnatura e quella dell'elsa formano una curva continua concava. Gli
esemplari più numerosi sono sempre quelli dello Schleswig-Holstein.
Kossinna non va oltre, ma la storia di quelle spade durò molto più a
lungo, sino in piena epoca di Hallstatt, i cui esemplari dello stesso ti
po, hanno alla base della lama una incavatura che corrisponde verosi
milmente a un'elsa.1111
H. Peake non ha avuto difficoltà a dimostrare che la statistica di
Kossinna era incompleta e vi ha aggiunto una lunga serie di spade occi
dentali ungheresi e dell'Italia del Nord, giungendo alla conclusione
che i Celti sarebbero stati originari della media valle del Danubio e
prendendo così le distanze dalle due teorie precedenti. È evidente che
ha confuso l'area d'estensione dei Celti in Europa con quella degli In
do-Europei e, riducendo il problema etnografico che si piccava di risol
vere all'esame di un solo dato indicativo, egli ha assunto come indice
etnografico un elemento di civiltà molto più generico.
Linguisticamente imparentati con gli ltalioti, i Celti si incrociarono
con loro nel corso dei loro movimenti. Vennero a contatto di gomito
con i Germani, vissero nello stesso ambiente degli Slavi, forse incontra
rono gli Illiri e i Greci in prossimità dei loro territori. D'altra parte, il
nucleo principale dei Celti s'era certamente stabilito laddove si formò
la civiltà di La Tène, ossia laddove essa poté ricevere direttamente le in
fluenze decisive pervenutele dalla Grecia e dall'Italia, laddove l'indu
striosità fu più inventiva e le tracce di vita umana testimoniano della
ricchezza massima raggiunta.
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LE ORIGINI DEI CELTI
LA CULlA DEI GOIDEU
Ma donde e quando si mossero i Goideli? Dove bisogna cercare i lo
ro primi stanziamenti continentali e il loro punto di partenza? Proba
bilmente a nord del territorio dei Britanni, ai quali si riferirebbe il tra
dizionale soggiorno dei Celti sulle coste basse del Mare del Nord. Essi
dovettero abbandonarle molto presto posto che le tracce del loro sog
giorno siano state pressoché totalmente cancellate.
Tale non era l'opinione del grande celtista Zimmer, il quale ha so
stenuto che i Goideli sarebbero giunti in Francia probabilmente attra
verso la costa atlantica, partendo dal sud della foce della Loira. Zimmer
ha studiato le relazioni tra le Isole Britanniche e il continente, catalo
gando un gran numero di dati relativi al commercio svoltosi all'inizio
del Medio Evo tra l'Irlanda e la costa francese, con particolare attenzio
ne al commercio del vino, e pensava che gli uomini fossero andati in Ir
landa seguendo il percorso delle merci. E non una sola rotta può aver
condotto mercanti o uomini dal continente in Irlanda, ma almeno al
tre due: una che portò gli Angli e i Sassoni dalle foci dell'Elba alla costa
orientale dell'Inghilterra e, attraverso questa, all'Irlanda; l'altra percor
sa dai Vichinghi dalla Danimarca e dalla Norvegia, attraverso il nord
della Scozia e i suoi arcipelaghi, fino al nord dell'Irlanda e alle porte
del mare omonimo.
Ma in quale epoca fu compiuta la traversata? Una risposta classica,
ma inesatta, ci viene dall'uso, da parte di Omero, della parola KaaalTfpoç
per indicare lo stagno. Lo stagno lavorato in Grecia veniva dalle isole
Cassiteridi, ossia forse le Scilly, e comunque da un paese celtico:1 1�1 era
lo stagno celtico, rov Kaaa{Tfpov rov KfÀTLK6v, dice l'autore delle Meravi
glie attribuite ad Aristotele. Lo stagno era celtico, ma l'origine del no
me è incerta. D'Arbois de Jubainville vi ha riscontrato un semantema
celtico, cassi-, che significa gradevole, piacevole. La parola irlandese cai
se, che contiene tale tema cassi, significa stima, amore; l'aggettivo cais si
gnifica elegante.1 151 S. Reinach supponeva che il cassileros avesse derivato
il suo nome dalle isole Cassitèridi, mentre per d'Arbois si trattava di un
comparativo celtico.1 161 Verso 1'800 a.C., e per un periodo di tempo assai
lungo, i Celti, o per lo meno i Goideli, dovevano quindi essere posses-
41
CAPITOLO l
sori di miniere di stagno in Occidente.'"' Il ragionamento è logico, ma
la premessa dubbia. La sua principale debolezza sta nel fatto che man
ca, nella lingua celtica, un termine equivalente. Lo stagno è chiamato
stàn in irlandese, ystaen in gallese. Il termine può essere derivato dal la
tino, ma stupisce che una parola corrispondente a un'importante pro
duzione, pressoché specifica dei Celti, e sostenuta dall'uso greco, sia
scomparsa.
Un'etimologia più accettabile indica nel nome maalrqxx; un com
parativo greco e lo paragona alla parola KaalyV17TOC, sua parente prossi
ma. È un termine appartenente ai dialetti dell'Asia Minore, attestato
dai lessicografi sotto le forine Kaaaàç, Kd.Oàç, KaaVo.ç e KaaaVo.ç, che indi
cano la vicinissima parentela. Si tratta dell'affinità tra piombo e stagno
sempre accostati l'uno all'altro, sempre confrontati l'uno con l'altro.
Lo stagno era il plumlrum allmmY"'
Si deve ricorrere all'archeologia per risalire così lontano e anche ol
tre nella storia dei movimenti dei Celti. Resta fuori questione che l' epo
ca di Hallstatt ha lasciato poche tracce nelle Isole Britanniche, salvo
nell'ultimo periodo, e ciò che si sa in proposito non è ancora sufficien
te a configurare una colonizzazione celtica significativa, distinta da
quella prodottasi nell'epoca di La Tène. Ma l'archeologia dell'Età del
Bronzo documenta due serie di dati che devono essere presi in consi
derazione. A parte la tesi di alcuni studiosi che fanno risalire all'epoca
di La Tène l'arrivo dei Celti nelle Isole Britanniche, esistono altre due
ipotesi secondo le quali l'arrivo della prima ondata risale, per l 'una al
l'inizio dell'Età del Bronzo e, per l'altra, alla fine."�'
Nel primo periodo dell'Età del Bronzo arrivarono nelle Isole Britan
niche, provenienti dal continente, delle popolazioni ben distinte. Men
tre i popoli del Neolitico (intendendo per tale periodo anche la primis
sima Età del Bronzo) erano dolicocefali di tipo mediterraneo, che edifi
cavano per i loro morti, o per lo meno per i più importanti fra loro, tu
muli con camera funeraria, i long barrows, o tumuli lunghi, dentro i qua
li qualche volta si trovano curiosi bicchieri a campana ornati da fasce re
golarmente distanziate, ornate di motivi incisi o stampati, del genere
più semplice e classico, i nuovi venuti appartenevano a un tipo antropo
metrico del tutto differente e avevano abitudini funerarie diverse.
42
LE ORIGINI DEl CELTI
Essi interravano i morti sotto tumuli rotondi ( round barrows) , in fos
se nelle quali i corpi erano ripiegati e deposti sul fianco, e dotate di un
rivestimento in pietra, oppure di una costruzione in legno; più tardi
adottarono la pratica della cremazione. Nelle fosse v'erano bicchieri
con decorazioni a zone, ma di tipo recente, con la pancia differenziata
dal collo, oppure vasi derivati da questi bicchieri. Le urne funerarie do
cumentano un'ulteriore evoluzione. Gli arredi delle tombe compren
dono bottoni perforati a V, pugnali di selce 12"1 o di rame, punte di frec
cia e placche di scisto perforate, che sono bracciali da arciere. Gli sche
letri appartenevano a un tipo umano diverso, i brachicefali, di grande
corporatura, con crani abbastanza uniformi, fronte sfuggente, arcate
sopraccigliari sporgenti, bozze parietali sviluppate, mascelle massicce e
un'incavatura alla base del naso.
FIGURA l. - Vasellame inglese di bronzo, bicchieri a zone dei tumuli rotondi: 1 )
Lambourn Dovm (Berkshire); 2-3) Goodmanhau (Yorkshire) .
Gli antropologi inglesi, associando la caratteristica fisica di questo
popolo al tipo di bicchiere, l'hanno denominato beaker people. Venendo
dall'est gli invasori approdarono in Gran Bretagna, nella regione di
York e attorno al Firth of Forth; altri sbarcarono al sud e si stabilirono
nei Downs in numerosi insediamenti intorno a Salisbury.1211 In Scozia
giunsero insieme ad altri brachicefali, con caratteristiche più marcate e
di tipo alpino. Generalmente avanzarono da sud verso nord e da orien
te verso occidente e la loro marcia durò un tempo abbastanza lungo da
43
CAPITOLO l
far sì che l'arredo funerario delle tombe più antiche differisse notevol
mente rispetto a quello delle tombe più recenti. Nell'avanzare si disper
sero raggiungendo in numero esiguo il settentrione della Scozia e il
Galles.'��� La loro marcia fu una conquista. È evidente che sottomisero e
assimilarono i primitivi occupanti del territorio, ma non arrivarono in
numero sufficiente'�j1 a modificare la tipologia media della popolazio
ne, i cui discendenti formavano ancora una notevole minoranza; tutta
via furono abbastanza forti da imporre, sino alla fi ne dell'Età del Bron
zo e oltre ancora, qualche caratteristica importante e preminente della
loro civiltà.
Ma donde venivano gli invasori? I loro bicchieri dalle forme decisa
mente antiche sono stati trovati in Sicilia, in Sardegna, in Italia, ma so
prattutto in Spagna, e si è presa l'abitudine di considerarli originari di
quei luoghi. In ogni caso il bicchiere a campana è una delle testimo
nianze della civiltà che ci ha lasciato i monumenti megalitici, e la sua
diffusione nell'Europa occidentale è un indice dell'unità della stessa. È
l'oggetto tipico della ceramica megalitica, e nella maggior parte della
Francia ogni ceramica si richiama più o meno ad esso. Con i bicchieri
sono stati ritrovati, in tale parte della loro area di penetrazione, i brac
ciali d'arciere, i pugnali di selce e di rame, i bottoni perforati a V, rinve
nuti nei tumuli rotondi dove tuttavia non accompagnavano lo stesso ti
po di scheletro. Quanto ai bicchieri in questione, assomigliano a quelli
dei tumuli lunghi britannici più che a quelli dei tumuli rotondi. D'altra
parte, tra gli uni e gli altri non è stata ancora individuata alcuna forma
di transizione, ed è proprio la loro differenza, pur nell'indiscutibile pa
rentela, che s'è subito imposta all'attenzione degli osservatori.
l bicchieri a campana si diffusero nella regione costiera del nord
est dell'Europa, nella zona dei monumenti megalitici; ne sono state tro
vate varianti in un buon numero di sepolture danesi, e altri esemplari
all'esterno della zona megalitica. Gli archeologi tedeschi li hanno chia
mati bicchieri a zone per distinguerli dai vasi campaniformi; essi hanno
qualche volta una base, sono più slanciati, e possono essere stati fabbri
cati nella regione; le zone sono differenziate e tendono a raggrupparsi
sul collo o sulla pancia del vaso che presenta una strozzatura, talvolta
verso l'alto, talvolta verso il basso. l vasi a zone pare siano arrivati da oc-
LE ORIGINI DEI CELTI
cidente nella valle del Reno, abitata da popolazioni agricole molto tran
quille che si trovarono all'inizio dell'Età del Bronzo in presenza di ar
cieri, venuti senza dubbio dai Vosgi e dalle Ardenne, i cui armamenti e
costumi dovevano rassomigliare in tutto e per tutto a quelli delle popo
lazioni dei bicchieri campaniformi d'Inghilterra. Inoltre esse avevano,
press'a poco, le stesse usanze funerarie, erano parimenti brachicefale
d'una tipologia particolare, antichissima nell'Europa occidentale, che
si è paragonata al tipo di Grenelle e a quello di Ofnet, ma che di certo
rassomiglia al tipo inglese dei tumuli rotondi.
La mappa della ripartizione dei vasi a zone e di altri oggetti corri
spondenti è molto in teressante da consultare. Essi si spingono in Olan
da nella provincia di Gelderland e in quella di Druten, lungo il corso
del Reno, da Coblenza a Colonia, e soprattutto da Magonza a Spira. Ne
sono stati trovati sul Taunus, nell'Assia, neii'Assia-Darmstadt, lungo il
Meno, nella valle del Neckar e in Baviera. Raggiungono la Boemia e
l'attraversano da nord-ovest a sud-est. Sono così numerosi, e il vasella
me che li accompagna è così vario, che ci si può domandare se non sia
no originari di quei luoghi, o se non vi siano giunti direttamente dall'I
talia e attraverso la valle del Danubio. Entrambe le ipotesi sono dub
bie. La prima sembra anche inverosimile; in effetti, i vasi a zone della
Boemia sono stati rinvenuti lungo una striscia e secondo una precisa
direzione, attraverso gli insediamenti degli indigeni. A nord della Boe
mia e dei monti della Turingia i vasi a zone sono numerosi nella valle
della Saale e a nord d'essa tra Magdeburgo e l'Harz. A est, nel bacino
deii'Oder, se ne sono trovati in Alta-Slesia, lungo i Sudeti e nei dintor
ni di Breslavia, poi a nord, in Vestfalia, nella provincia di Osnabrùck,
nel Meclemburgo e nell'isola di Rùgen. Si trovano più concentrati lun
go il Reno, in Boemia e in Sassonia, molto più distribuiti in tutto il re
sto della Germania, a occidente dell'Elba, e più distanziati tra l'Elba e
l'Oder. Gli invasori forse arrivavano in piccoli gruppi che si muoveva
no di norma assai velocemente perché i loro cimiteri sono poco estesi.
Inoltre, è probabile che non si limitassero a saccheggiare il paese, ma
lo occupassero, stando alla scomparsa delle civiltà cui si sovrapposero e
alla loro durata.
Il lunghissimo viaggio dei bicchieri campaniformi e dei bicchieri a
45
CAPITOLO I
zone è ancora pieno di mistero. Evidentemente non erano gli stessi uo
mini a servirsene in Spagna e in Boemia, e uno dei problemi che vor
remmo risolvere è sapere donde proveniva il ramo continentale che si
diffuse in Germania e ivi si moltiplicò. Non era originario della Fran
cia; infatti, tra i crani neolitici francesi manca il tipo appartenente agli
uomini di quel ramo.
In ogni caso è certo che il popolo dei bicchieri si mosse dalla Ger
mania verso la Gran Bretagna e non in senso contrario. I brachicefali ti
pici dei tumuli rotondi appartenevano a un tipo nordico originario for
se delle pianure dell'Europa settentrionale. Senza dubbio la situazione
rivelata dall'archeologia britannica dell'inizio dell'Età del Bronzo è più
complessa di quanto un paragone troppo stretto tra i tumuli rotondi e
le tombe dei bicchieri a campana di Germania e Boemia potrebbe far
credere. Nei tumuli rotondi si sono trovati altri resti oltre ai brachicefa
li e ai bicchieri.
Ma, a parte questi due elementi, si devono considerare tre cose che
spingono nella stessa direzione: il numero relativamente grande di cre
mazioni; la somiglianza dei tumuli con quelli della Germania del nord
all'inizio dell 'Età del Bronzo, l'uso costante di inumare il morto in po
sizione raccolta, come nella Germania centrale, e infine la rassomi
glianza di buona parte delle varianti recenti del bicchiere a zone, owe
ro le urne dei tumuli rotondi, o degli altri vasi della stessa provenienza,
con la ceramica che si presume neolitica della Germania del nord, nel
la regione dei megaliti. Si tratta di formazioni e deformazioni della
stessa specie.
Giustamente, ci sono motivi sufficienti per domandarsi quale sia
stato il destino del popolo che edificò nel nord-ovest della Germania i
monumenti megalitici, e che cosa sia accaduto, parimenti, alle tribù di
arcieri che si unirono a loro perché, secondo uno dei dogmi della Siede
lu ngsgesrhichte tedesca, tutta la regione costiera di nord-ovest, Vestfalia e
Hannover, si spopolò prima del secondo periodo dell'Età del Bronzo.
Molti hanno pensato, in Inghilterra, in Germania e in Francia, che
la popolazione mista di quella parte della Germania la quale, un bel
giorno, emigrò, fosse il ceppo da cui ebbero origine i Goideli. Altri
l'hanno negato essendo stati trovati fino ad oggi, in Irlanda, solo po-
46
LE ORIGINI DEI CELTI
chissimi bicchieri. Negazione assurda, evidentemente, perché vi sono
due possibilità su tre che i Goideli abbiano attraversato la Gran Breta
gna per raggiungere l'Irlanda. Ora, se i bicchieri sono rari, ciò che è le
gato ad essi abbonda, ma l'affermazione ha bisogno di una dimostra
zione supplementare.
È poco probabile che lo spopolamento del nord-ovest della Germa
nia e il trasferimento di una parte dei suoi abitanti in Gran Bretagna si
siano verificati all' improvviso. Di certo tutto ciò non ebbe conseguenze
immediate sugli scambi che avvenivano, attraverso il Mare del Nord, fra
le Isole Britanniche e il continente. Nello stesso periodo oggetti fab
bricati in Irlanda, paese ricco di metalli, soprattutto d'oro, e frequenta
to dai naviganti, giunsero fino all 'arcipelago danese: erano le asce dai
bordi leggermente martellati e decorate con ornamenti incisi e e con
lunule d'oro. Nei tempi in cui si diffuse la lavorazione dei metalli, le
Isole Britanniche erano uno scalo sulla rotta del Nord così come lo so
no ogg1.
A cominciare dal secondo periodo dell'Età del Bronzo sembra che
tale corrente di traffico si sia invertita. Si sono trovati degli oggetti, in
Irlanda e in Gran Bretagna, i cui prototipi sono, o possono trovarsi,
nella Germania del nord e nell'Arcipelago Danese. Tali importazioni
indicano anche un'emigrazione di uomini? O. Crawford e H. Peake
credono si trattasse di Goideli. La loro attenzione è rivolta soprattutto
alle spade dall'impugnatura piatta, di cui si è già parlato, presenti nelle
Isole Britanniche con qualche antico esemplare. Ma il fatto non è isola
to. Le grandi fibule simmetriche di bronzo fuso giunsero dalla Germa
nia in Irlanda dove furono eseguite in oro, senza spillone, divenendo
delle specie di pinze usate come fermagli. Le grandi torque dalle estre
mità ribattute, del quinto periodo dell'Età tedesca del Bronzo, seguiro
no lo stesso percorso, come gli ornamenti per il petto coevi, formati da
più torque sovrapposte che furono imitate in oro battuto e in un unico
pezzo.
Le spille curve a testa larga della Germania orientale si ritrovano in
Irlanda e in Scozia, con i caratteristici anellini o la tipica curvatura alle
estremità. Al contrario, le spille rigonfie della Germania occidentale si
ritrovano in Inghilterra. L'utensileria in bronzo delle Isole Britanniche,
47
CAPITOLO l
che rassomiglia per molti versi a quella dell'Europa occidentale, della
Spagna, e anche delle regioni mediterranee, ne differisce per significa
tive mancanze come quella delle falci con manopola laterale e, andan
do avanti nel tempo, per l'apporto assai considerevole di modelli e di
oggetti settentrionali. Ciò denuncia forse il proseguimento dell 'esodo
delle antiche popolazioni stabilitesi in Frisia, neii'Hannover e in Vestfa
lia? Non possiamo nascondere che gli elementi su cui si basa tale teoria
sono, dopo tutto, assai modesti''�1 e potrebbero essere spiegati a pre
scindere da apprezzabili spostamenti delle popolazioni. La pratica della
cremazione, generalizzata nelle Isole Britanniche, impedisce di ricono
scere i nuovi invasori, se ve ne furono. D'altra parte i tumuli britannici
della fine d eli 'Età del Bronzo e le loro ceramiche sembrerebbero suc
cedanei dei tumuli e delle ceramiche del periodo iniziale.
LE ORIGINI DEI CELTI E I RAPPORTI ITALQ-CELTICI.
TRACCE DEI GOIDEU E LORO PUNTO DI PARTENZA
Nel risalire alle origini del ramo continentale e britannico dei Celti
abbiamo dovuto fermarci al secondo periodo dell'Età del Bronzo. All'e
poca, in base alle ipotesi appena formulate, o la migrazione dei Goideli
iniziava, e il loro insediamento sul luogo di partenza era ben anteriore,
oppure essa era compiuta, e allora bisogna risalire, per trovare l'unità
celtica, fino al periodo che molti chiamano ancora Neolitico, vale a di
re al lunghissimo susseguirsi di secoli durante i quali l'uso dei metalli
penetrò lentamente nell'Europa occidentale e settentrionale.
L'immagine fornita, in tale data approssimativa, dall'archeologia
preistorica della regione che ci interessa è molto complessa. Si è cerca
to di mettere ordine nei reperti forniti dagli scavi, distinguendo le ci
viltà in base al vasellame che, in effetti, è molto ricco e vario, mentre gli
altri reperti sono assai scarsi. Si è cercato di far corrispondere ai tipi di
ceramica i tipi fisici, non senza contraddizioni, tentando di individuare
i popoli dietro le civiltà.
Sono stati classificati diversi tipi di ceramica: quella dei megaliti del
la Germania del nord, quella delle palafitte, una ceramica decorata con
48
LE ORIGINI DEI CELTI
fasce incise, quella dei bicchieri con stampaggio a cordicella, quella dei
vasi a zone e numerose ceramiche decorate con punti impressi profon
damente: il tipo di Schonfeld, quello di Rossen, di Nierstein, di Gros
sgartach, etc.
La ceramica delle palafitte e degli insediamenti d'altura con le stes
se suppellettili è decisamente distinta. Le popolazioni che se ne serviva
no, dopo essersi spinte fino all'altezza di Magonza, si ritirarono, pene
trando senza dubbio come componenti delle ultime aggregazioni, nel
sud della Baviera, forse in Boemia e in Austria.
La ceramica a fasce è indizio di una civiltà dai tratti molto decisi
che si diffuse dal basso Danubio fino in Francia, passando per il nord
della Svizzera seguendo una direzione est-ovest. I portatori di tale ci
viltà entrarono a far parte di una moltitudine di gruppi rivelati dalle
mescolanze attestate dagli scavi e dalla comparsa di stili locali ripartiti
piuttosto irregolarmente, che si ritrovano così sovente accanto alla ce
ramica a fasce. Tale è, nella valle del Reno, lo stile di Hinkelstein.
La ceramica dei megaliti della Germania nord-occidentale differi
sce profondamente da quelle coeve dell'Europa dell'ovest, di cui tutta
via conservò alcuni modelli di vasi, decorandoli a suo modo. Essa non
si distingue molto dalle ceramiche locali della Germania centrale. Si
tratta di un altro stile misto in cui compaiono elementi nuovi, venuti
dal mare o dalla costa, e forse ne mancano altri.
Le ceramiche decorate con punti impressi testimoniano di un gusto
comune a tutte le popolazioni dell'Europa settentrionale. Alcune, co
me il tipo di Schonfeld e quello di Rossen, sembrano derivare dalla ce
ramica dei monumenti megalitici, altre (i tipi di Nierstein e di Gros
sgartach) dall'incrocio della ceramica striata con il tipo di Rossen. Sal
vo queste ultime che, nate in Sassonia, raggiunsero la valle del Reno, le
altre ebbero una diffusione limitata.
In gran parte si trattava degli oggetti d'uso di popolazioni non mol
to numerose, dedite all'agricoltura che, attratte soprattutto dal terreno
fertile dei depositi di Loess, dissodavano i campi a seconda delle neces
sità, e dopo aver sfruttato il suolo, si spostavano, oppure di popolazioni
dedite alla pastorizia senza riserve di foraggio, e di conseguenza co
strette a spostarsi. In mezzo a loro circolavano le tribù di cacciatori, pe-
49
CAPITOLO l
scatori, o briganti, tribù di guerrieri e di conquistatori, attirate dalle fo
reste e dalle alture, o dai fiumi. Erano gli uomini della ceramica a zone
o quelli della ceramica incisa con cordicelle, che le rassomiglia molto.
Questo stato di cose interessava pressappoco la regione che si esten
de dal Mare del Nord alla Svizzera, dalla valle della Mosa a quella del
l'Oder. I limiti occidentali e orientali sono meno precisi di quelli trac
ciati fino ad ora e l'imprecisione dipende dalla maggiore dif(usione e
dal maggior aggrovigliamento dei gruppi. In quell'ambiente sorsero le
società celtiche, attorno alle quali si coagulò infine tutta la popolazione.
Appare opportuno considerare per un istante la frontiera orientale.
La valle dell'Elba, lungo la quale discesero gli agricoltori della pianura
danubiana e risalirono i costruttori di megaliti e i popoli venuti dopo
di loro, era, probabilmente in virtù di tali incontri, una zona di scambi
d'esperienze e di variazioni di stili, anche se essa fu, ello stesso tempo,
una linea di demarcazione. La ceramica delle tombe megalitiche del
l'Est differisce moltissimo da quella dell'Hannover e della Vestfalia. Le
ceramiche che si trovano l'una accanto all'altra nella provincia di An
halt si diffusero le une a ovest (Schonfeld, tipo di Rossen) , le altre a est
attraverso il Brandeburgo e la Pomerania (anfore sferiche, tipo di
Molkenberg e di Bernburg) , dove si formarono civiltà locali che si dif
fusero in senso inverso, e dove i gruppi umani presero direzioni oppo
ste, o verso la futura Celtica o verso la futura Germania, di cui la carta
archeologica attesta la progressiva differenziazione.
Ma se si trattava già di Celti, occorre cercarne nel pot-pourri etnogra
fico dèlla Germania occidentale l'elemento costitutivoY'1 In tale ricerca
le ceramiche a cordicella devono essere confrontate con quelle dei vasi
a zone. L'esemplare tipico di questa ceramica è un bicchiere che pre
senta una strozzatura come il vaso a zone, ma più in alto. La decorazio
ne, parallela al bordo del vaso, è costituita più frequentemente da linee
impresse per mezzo di cordicelle nell 'argilla, e - soltanto su esemplari
più recenti, allontanatisi dalla tipologia corrente, da linee a lisca di pe
sce, qualche volta disposte in verticale. Si tratta di ceramica soprattutto
funeraria trovata in tumuli nei quali eccezionalmente erano contenuti
resti cremati e, di norma, in fosse in cui il morto era disteso. Tali tumu
li venivano in genere eretti in zone elevate e boschive.
50
LE ORIGINI DEI CELTI
L'area di maggiore densità di tale tipo di ceramica è la valle della
Saale, essendo molto comune in tutta la Sassonia, dall'Elba ai monti del
la Turingia. Più a nord sono state fatte alcune scoperte tra Magdeburgo
e la catena dell'Harz, così come sulla riva destra dell'Elba e fino allo Jiit
land, mentre quasi niente è stato trovato tra l'Elba e l'Oder, niente tra
l 'Oder e la Vistola e, oltre l'Oder, soltanto due esemplari, uno in Slesia,
l'altro in Volinia. Numerosi reperti sono stati invece rinvenuti a nord
della Boemia. Verso occidente questo tipo di ceramica travalica i monti
della Turingia, attraversa l'Assia e seguendo la catena del Taunus rag
giunge il Reno e il Neckar. Si trovano bicchieri impressi sino in Svizzera,
nelle palafitte. Sembrerebbe inoltre che, nella Germania sud-occidenta
le, gli uomini rappresentati da tale ceramica abbiano vissuto a fianco di
altri gruppi senza travolgerli né mischiarsi con loro. Si è indotti a pensa
re che i modi di vivere fossero diversi, essendo i primi guerrieri o caccia
tori, ma se vissero fianco a fianco con gli agricoltori della pianura, ebbe
ro senza dubbio rapporti pacifici, che pur potendo essere ipotizzati in
tutta libertà erano di certo importantissimi.
I diffusori dei vasi a zone e quelli dei bicchieri a cordicelle vissero
nelle stesse regioni, in Sassonia, in Boemia e nella Germania occidenta
le. Le mappe di ripartizione del territorio sono sovrapponibili e com
plementari. Noi miriamo a stabilire se si incontrarono, e se in tali in
contri i primi ebbero qualche influenza sui secondi, o viceversa. Esiste
una sola prova del loro incontro in una tomba di Hebenkies, vicino a
Wiesbaden, dove accanto a vasi a cordicelle è stato trovato un vaso a zo
ne la cui decorazione fu ottenuta imprimendovi delle cordicelle. Si è
rinvenuto lungo il Reno un certo numero di questi Schnurzonenbecher,
forse degli ibridi, e Schumacher crede che il tumulo sia stato adottato
dalle tribù dei vasi a zone sotto l'influenza di quelle dei bicchieri im
pressi. In ogni caso i due tipi di ceramiche coronavano lo sviluppo del
vasellame pseudo-neolitico della Germania occidentale.
Così, già in quella data e in quella regione, due gruppi di tribù
guerriere si inserirono congiuntamente in mezzo agli antichi abitanti e
in qualche modo li condizionarono. Si è pensato che uno dei due
gruppi fosse celtico, perché fondò nelle Isole Britanniche le sole colo
nie importanti dell'arcipelago prima dell'epoca di La Tène. La posizio-
51
CAPITOLO l
ne reciproca dei due gruppi dalla quale emerge che in Germania, pri
ma di tale colonizzazione, era iniziata una distinzione paragonabile a
quella dei Goideli e dei Bretoni, fornisce un'argomentazione di valore
singolare in favore di questa ipotesi. Restano tuttavia da considerare
due punti. Un certo numero di archeologi scandinavi e tedeschi hanno
pensato che il popolo dei bicchieri a decorazione impressa fosse an
eh' esso passato sulla riva destra della bassa Elba fondando nello Jutland
un 'importantissima colonia, la cui influenza fu considerevole e che fu
di certo uno dei principali elementi della formazione dei Germani.
L'indizio etnografìco di tale formazione è il tumulo rotondo che ri
copre una fossa, dow il morto era deposto rannicchiato, chiamato tom
ba a sepoltura unica, in opposizione alle camere funerarie megalitiche.
In tali tumuli sono stati trovati bicchieri, qualche volta simili a quelli
della Sassonia, alcune anfore dello stesso tipo di quelle che accompa
gnano quasi regolarmente i bicchieri a impressione, asce perforate
asimmetriche, la più perfetta delle quali è quella a forma di nave, cono
sciutissima dagli studiosi di preistoria. Se così fosse, o il popolo dei bic
chieri impressi farebbe parte dei Germani, le cui propaggini occidenta
li si sarebbero perse nelle masse dei Celti, o avrebbe formato per scis
sione un nucleo di Celti e un nucleo di Germani. L'analisi dei rapporti
linguistici condotta in precedenza mal si accorda con questa ipotesi
che, per ragioni obiettive, occorre scartare. L'arma nazionale di quel
popolo era un 'ascia perforata asimmetrica, come le asce da guerra del
lo Jutland, ma sfaccettata longitudinalmente, che esso portò con sé nel
la sua espansione verso il Reno. Tale arma manca completamente a
nord dell'Elba ed è quindi inverosimile che le asce da guerra dello Jut
land derivino da quelle sfaccettate. Altrettanto inverosimile è che un
popolo, i cui resti si segnalano per uniformità e testimoniano la sua ra
pida diffusione nei luoghi in cui tali resti sono stati rinvenuti, abbia cu
stodito soltanto una parte del suo equipaggiamento, armi escluse, in
una sola delle direzioni che avrebbe seguito. La civiltà delle tombe indi
viduali e quella della ceramica impressa sono prodotti misti della stessa
specie, essendo la prima probabilmente anteriore alla seconda: alcuni
elementi furono forniti dai costruttori dei monumenti megalitici della
zona costiera (asce, bicchieri, tumuli); altri dagli indigeni delle pianure
52
LE ORIGINI DEI CELTI
baltiche; altri infine (riti funebri, parte deila ceramica) daile popolazio
ni venute dall'Europa centrale.
Aile civiltà dei bicchieri impressi e dei bicchieri a zone successe, in
Boemia, queila che viene chiamata la civiltà di Unetice, corrispondente
a uno stadio più avanzato deii 'Età del Bronzo, di cui sorpassa sensibil
mente il primo periodo. Tale civiltà estese le sue frontiere in tutte le di
rezioni. In seguito, gli uomini che l'avevano elaborata abbandonarono
i territori centrali spostandosi soprattutto verso mezzogiorno dove la
impiantarono tale e quale a sud del Danubio. La civiltà deii'Italia del
nord presenta tali rassomiglianze con essa da autorizzarci a cercare nel
suo territorio gli antenati degli Italioti e, più particolarmente, dei Lati
ni. Essa si propagò anche tra la Saale e I'Oder, nel dominio sassone dei
bicchieri a impressione, e poi a occidente, neii'alta vaile del Danubio e
fino a queila del Reno, dove sono state trovate le sue coilane e le sue
spille a spirale e a palette, a dire il vero con un vaseiiame desunto dai
bicchieri a zone (tipo Adlerberg). Tale civiltà derivava forse daile due
che aveva rimpiazzato, che in tal caso rappresenterebbero la stirpe indi
visa dei Celti e degli Italioti? O sarebbe essa stessa l'indizio etnografico
di tale ceppo unitario? Entrambe le ipotesi sono improbabili. Il popolo
di Unetice era anch'esso una formazione mista, in cui tuttavia si trova
vano meno tipi nordici di queili presenti nel popolo dei bicchieri im
pressi. La sua civiltà prese a prestito alcuni elementi da quelle tra l'Elba
e l'Oder conservando i riti funebri originari della vaiie del Danubio.
Essa era dunque, in qualche modo, paraiiela e non derivata daiie altre.
D'altronde, siccome niente la ricorda neii'archeologia deile Isole Bri
tanniche, è verosimile che la comunità italo-celtica si sia dissolta prima
della sua comparsa. Gli Italioti, andando a sud-est della Boemia, in Mo
ravia, forse in Slesia si erano dissociati dai Celti stanziati tra l'alto Danu
bio, la Saale e il Mare del Nord, ma non si erano separati al punto da
interrompere le comunicazioni e gli scambi culturali. Essi non erano
neppure così stabili da non poter passare alternativamente da una par
te aii 'altra dell 'approssimativa frontiera. Non bisogna raffigurarsi i po
poli preistorici rigorosamente acquartierati dentro frontiere definite.
Per quanto ipotetica e oscura resti questa ricostruzione deile origini ita
lo-celtiche, è possibile delinearla verosimilmente fino all'inizio deii'Età
53
CAPITOLO l
del Bronzo. Da ciò risulta che la costituzione di gruppi distinti, la con
centrazione dei Celti sulla frontiera della Turingia, la partenza d'una
prima migrazione celtica verso le Isole Britanniche e di una itaiica ver
so l'Italia del nord si produssero nello stesso periodo, come si è sottoli
neato agli inizi del presente capitolo. Risulta inoltre, dall'indagine ar
cheologica appena fatta e come già l'analisi linguistica poteva lasciar
prevedere, che tali società si costituirono con elementi molto incoeren
ti e a loro volta compositi.
Il punto più oscuro dell'ipotesi formulata è l'ubicazione iniziale dei
futuri Goideli, perché se il popolo dei vasi a zone ne era l'elemento co
stitutivo, è difficilissimo stabilire dove esso si formò. Sappiamo che si
propagò sulla quasi totalità del territorio celtico in cui lasciò propri di
scendenti, e che occupò tutte le province marittime dal Reno all'Elba
rimaste fuori delle frontiere precedentemente tracciate, i cui territori si
vuotarono a seguito della migrazione dei Goideli in Gran Bretagna.
Probabilmente tale migrazione coinvolse anche elementi situati a est
dell'Elba, pur essendo certo ch'essa non riguardò l'interessante civiltà
sviluppatasi nell'Età del Bronzo nella penisola cimbrica, nelle isole da
nesi e in Pomerania.
L'emigrazione lasciò un vuoto totale o parziale? Sembra sia stato in
realtà un vuoto parziale, perché dei Goideli rimasero la distribuzione
delle case, la forma dei villaggi e quella dei campi, owero tutto ciò che
i popoli generalmente lasciano dietro di sé in un territorio in cui han
no a lungo soggiornato, adattandolo, con il lavoro, alle proprie esigen
ze di vita. Orbene, in una parte del nord-ovest della Germania, nel
I'Hannover e nella Vestfalia occidentale, il sistema delle coltivazioni e
degli insediamenti abitativi era di un tipo estraneo alle usanze germani
che, o lo diventò, ricordando quello irlandese e di alcune parti dell'In
ghilterra e della Francia dove le abitazioni erano isolate, in mezzo alle
terre coltivate, e i villaggi ridotti all'espressione più semplice. Era un si
stema adatto all'allevamento dei bovini e dei maiali. Il tipico villaggio
tedesco era, al contrario, grande, molto irregolare, con giardini dietro
le case e campi ben delimitati, tutt'intorno. Meitzen121i1 ha chiamato cel
tico il primo tipo d'occupazione del suolo e ne ha tracciato una mappa
in cui lo mostra esteso fino al Weser e al corso del Sieg.
54
LE ORIGINI DEI CELTI
Tale sistema d i popolamento e di coltura non era tipico dei soli
Goideli che forse lo avevano ereditato; in ogni caso lo fecero proprio e,
laddove si fermarono, lo conservarono diffondendolo in una parte del
loro antico dominio tedesco. Il popolamento germanico in questa par
te della Vestfalia e deii'Hannover fa pensare che i Germani abbiano so
stituito i Goideli nel territorio da loro occupato, oppure abbiano lascia
to in loco un elemento importante degli antichi occupanti: probabil
mente entrambe le cose.
Poiché le popolazioni agricole non si spostano mai del tutto, con
ogni probabilità i Goideli non partirono tutto a un tratto, né al comple
to. Quale fu il motivo della loro migrazione? Certamente né una situa
zione di debolezza, né la miseria. La causa va ricercata nella riduzione
dei territori costieri invasi dal mare o in qualche scoperta nel campo
della navigazione. I costruttori dei megaliti, assorbiti dai Goideli, erano
certamente navigatori cui la traversata del Mare del Nord non incuteva
alcun timore.
55
C.�I'ITOJ.O II
L'ESPANSIONE DEI CELTI
NELLE ISOLE BRITANNICHE
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... -
LE ISOLE BRITANNICHE PRIMA DELL'ARRIVO DEI CELTI
Occorre ora dimostrare, e lo faremo nei capitoli seguenti, come i
diversi elementi della popolazione celtica siano migrati in epoche suc
cessive per costituire nuove Celtiche. Da questo punto di vista, le Isole
Britanniche, dove abbiamo visto in precedenza approdare i Goideli,
rappresentano di scorcio, nella maniera più chiara, un'immagine del
mondo celtico e perciò devono essere studiate a parte e subito. Fu pro
prio nelle Isole Britanniche, e solo in esse, che i Celti si insediarono in
modo compatto e riuniti in società di cui una, oggi, è diventata nazio
ne. Essendo completa la concatenazione dei fatti, i primi due gruppi di
Celti possono essere distinti in base a dati certi, derivati dal carattere
delle loro lingue ancora vive, ma vedremo comparire, nell'etnografia
delle Isole Britanniche, altre popolazioni non ancora menzionate, e in
particolare i Belgi. Tutti i nuclei di popolazioni celtiche, che svolsero
un ruolo sul continente, erano presenti nelle Isole Britanniche, il che
ne favorisce lo studio.
Grazie ai dati, che ci mancano per lo studio dei Celti continentali, è
possibile avere informazioni sugli indigeni da loro assorbiti i quali, una
volta assimilati, ricoprirono un ruolo importante nella costituzione del
le popolazioni celtiche e della loro civiltà. Gli indigeni erano all'inizio
elementi incoerenti e disparati, ed erano i primi ad aver coscienza della
loro diversità di origine.
Neli 'accingersi a descrivere la sua prima spedizione in Britannia,
Cesare volle spendere qualche parola sulla popolazione dell'isola, for-
57
CAPITOLO U
nendo così una prima descrizione etnografica. «La parte interna della
Britannia», scrive, <<è abitata da genti che, stando alla loro tradizione,
sono aborigene. La costa è occupata da altre popolazioni che giunsero
dal Belgio con spedizioni di saccheggio o di guerra, e quasi tutte hanno
conservato i nomi tribali derivati da quelli dei clan di provenienza. Qui
condotte dalla guerra, vi si sono stabilite, dedicandosi a coltivare la ter
ra••. Egli sapeva dunque che la popolazione della Gran Bretagna com
prendeva almeno due componenti e che gli ultimi arrivati si definivano,
in base alle loro relazioni con le popolazioni celtiche del continente, in
particolare per mezzo dei loro nomi, testimoni certi della loro origine.
Cesare, sfortunatamente, non è così chiaro com'è netto e categori
co. Egli conosceva benissimo i popoli del Belgio e poté constatare di
persona che i loro nomi si ritrovavano in Gran Bretagna. Peccato che
non ci abbia fatto conoscere quelli che avevano attirato la sua attenzio
ne. Secondo Tolomeo esisteva in Gran Bretagna una civitas Belgarum
che si estendeva al nord dei Downs fino al canale di Bristol e compren
deva a ovest del Somerset, il Wiltshire e la parte settentrionale del
l'Hampshire; una delle loro città si chiamava Venia Belgarum, ossia Win
chester. A nord-ovest dei Belgi, c'era la civitas degli Atrebates, che occu
pava il territorio nord-occidentale dal Tamigi fino al Wash. Nella regio
ne corrispondente alle con tee di Hertford, Cambridge, Bedford, Hun
tington, Northampton, vivevano i Catuvellauni nel nome dei quali si
può riconoscere, senza eccessivo sforzo, quello dei Catalauni, di cui Ca
tuvellauni era probabilmente la forma an tica e non contratta. Più a
nord, a oriente di York e deii'Humber, i Parisii, che non erano senza
dubbio Belgi, occupavano una parte dello Yorkshire. I Belgi, in ogni ca
so, non esistevano più come comunità distinte sulla costa dove Cesare
poteva averli incontrati. È probabile che il popolo dei Belgae fosse costi
tuito dall'unione di elementi sparsi i quali, per un certo periodo di tem
po, avevano conservato il nome tribale e, raggruppandosi, avevano man
tenuto solo il nome generico.
Cesare ci ha lasciato un'altra indicazione sulle imprese dei Belgi in
Britannia. Prima della campagna del 5 7 a.C., egli fornisce, avvalendosi
delle informazioni dei Remi, un sunto della storia dei loro vicini: <<Loro
vicini erano i Suessioni, che possedevano un territorio assai esteso e fer-
58
L'ESPANSIONE DEI CELTI NF.LI.E ISOLE BRITANNICHE
tilissimo. Essi avevano, in un tempo del quale ancora ci si ricorda, un re
chiamato Diviziaco, che era il più potente di tutta la Gallia e che riunì
sotto il suo impero una gran parte delle terre da questo lato della Bri
tannia••.
I Belgi d'Inghilterra erano forse quanto restava delle truppe di Divi
ziaco e il loro numero aumentò al tempo di Cesare. Ma chi erano i po
poli indigeni? Erano i primi coloni celtici o i predecessori dei Celti?
Erano Bretoni, Goideli o Pitti, oppure degli occupanti più antichi? Gli
storici non sono d'accordo. L'indicazione di Cesare sarà anche esausti
va, ma ci lascia dubbiosi.
IL MITO DEllE ORIGINI IRLANDESI
L'Irlanda si compiace d'esibire la propria diversità, e negli ultimi
tempi i suoi scrittori tentano con singolare accanimento di dimostrare
ch'essa non è fondamentalmente celtica'11 e che lo è diventata solo mol
to tardi.
Gli Irlandesi ritenevano che la loro isola fosse stata popolata a se
guito di una serie di invasioni. I filid, poeti ufficiali corrispondenti ai
vali della Gallia, ricavarono una teoria da tale tradizione. L'elenco dei
poemi, che i filid mettevano a disposizione dei loro ascoltatori, fornisce
i titoli dei principali poemi nei quali le varie componenti popolari s'e
rano cristallizzate. Le poesie sono andate perdute, ma sono citate in un
elenco dell'XI secolo, intitolato Leabhar na Gabhala, Libro delle Con
quiste. m
Pur trattandosi di un'opera astratta e basata sul mito, era comune
mente accettata. D'altra parte le tradizioni locali, le Dinnsenchas, le epo
pee eroiche, testimoniano come gli invasori della preistoria mitica irlan
dese, o per lo meno una parte di loro, fossero personaggi presenti an
che nella mitologia irlandese.
Nel Leabhar na Gabhala si parla di cinque invasioni, la prima delle
quali fu quella di Partholon che, abbandonata la Spagna dopo aver uc
ciso il re Bel, era arrivato in Irlanda lo stesso giorno della festa di Bel,
Beltaine, primo maggio.
59
CAPITOLO II
L'Irlanda era occupata da geni o da demoni di origine marina, i
Fom6raig, e Partholon li combatté. La sua stirpe fu decimata da un'epi
demia che cominciò il giorno stesso di Beltaine e durò una settimana.
Teatro della morte dei figli di Partholon fu una pianura chiamata Sen
Mag, la pianura antica, dove tutta la tribù s'era riunita per seppellire i
morti. Sen Mag è una pianura mitica, ma un 'altra versione della morte
dei figli di Partholon la localizza nella piana di Breg, vicino alla costa
orientale, vale a dire nel centro religioso dell'Irlanda pagana, laddove
si trovano le più famose tombe.
Il secondo itwasore, Nemed, giunse ugualmente dalla Spagna, an
ch'egli il giorno di Beltaine, ossia a Calendimaggio. Nemed e una parte
dei suoi morirono durante un'epidemia e i sopravissuti furono assog
gettati dai Fom6raig che pretesero come tributo i due terzi dei bambi
ni, dei raccolti e del latte. l figli di Nemed si ribellarono, assediarono i
Fom6raig in una torre di vetro, situata su un'isola chiamata Tor Inis, l'l
sola della Torre. La rivolta finì male e i restanti figli di Nemed furono
sterminati.
Giunsero in seguito i Fir Bolg con i Fir Domnain e i Galiain, tutti
compresi sotto la denominazione di Fir Bolg di cui parleremo in segui
to. Costoro, di cui è stato tramandato un ritratto molto negativo, si uni
rono ai Fomoraig, mentre con l'ondata successiva arrivarono i Tuatha
Dé Danamt, ossia le tribù della dea Danu. Erano gli dèi gentili, bene
fattori e civilizzatori, e fra loro vi erano Nuadu, il dio del mare, Manan
nan mac Lir, un altro dio del mare, Lug, il dio solare. L'Irlanda ebbe
altri dèi appartenenti ai Fom6raig e associati, più o meno indissolubil
mente, con i Tuatha Dé Danann. Questi ultimi, giunti a Beltaine, en
trarono in disputa con i Fom6raig che furono battuti a Mag-Tured nel
Connaught, il giorno della festa di Samhain, vale a dire il I novembre,
sei mesi, o due stagioni dopo.
I Goideli, o più precisamente i discendenti di Mile, figlio di Bile,
giunsero quindi provenendo dalla Spagna come la famiglia di Partholon
e quella di Nemed. La Spagna tuttavia era solo la loro penultima tappa
perché essi venivano da molto più lontano. Giunti in Irlanda, combatte
rono e negoziarono, di volta in volta, con i Tuatha Dé Danann. In fine
60
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
ne ebbero ragione, costringendoli a ritirarsi nei sidh, ossia nei grandi tu
muli funerari megalitici, come New-Grange e Brugh na Boinne.
Ma non è ancora tutto perché, alla seconda generazione dei figli di
Mile, arrivarono i Cruithnig, ossia i Pitti, che essi avevano già incontra
to in cammino e sui quali ritorneremo. Nell'insieme, si può considera
re che in questo modo è stato fatto uno sforzo singolare per inquadrare
la preistoria mitica dell'Irlanda nella storia universale, così come l'han
no ricostruita gli ultimi storici latini e la Chiesa cristiana.
Ciò è possibile, ma l'autore o gli autori dell'opera, di cui il Leabhar
na Gabhala è l'ultima edizione, trovarono bell'e fatti i pezzi della loro
costruzione. Essi non inventarono né i Fom6raig, né i Fir-Bolg, né i
Tuatha Dé Danann poiché la maggior parte della loro storia ruota at
torno alle grandi feste stagionali dell'anno irlandese; si tratta di miti, in
mezzo ai quali, però, si trovano tradizioni storiche e nomi appartenuti
alla storia. Due fatti, in ogni caso, bisogna rimarcare: il primo, che i
Goideli non si ritenevano i costruttori delle grandi camere funerarie
megalitiche, diventate le dimore degli dèi; il secondo, che, con una
strana insistenza, gli autori di tali storie fanno venire dalla Spagna i pri
mi coloni dell'Irlanda e che quanto affermano è verosimile. Sfortunata
mente essi non ci indicano in modo altrettanto chiaro I' origine degli
ultimi venuti.
Tali tradizioni irlandesi hanno una cronologia, inserita negli annali,
di cui si può verificare l'autenticità tenendo conto delle invenzioni tec
niche attribuite ai re enumerati e datati.<'l Una delle date in questione
è quella della scoperta dell'oro, delle miniere d'oro e della fabbricazio
ne di oggetti in oro. L'Irlanda era una specie di Eldorado. È possibile
che l'abbondanza di tale metallo abbia attirato nel paese visitatori e co
Ioni. I più antichi oggetti d'oro sono quelli che chiamiamo lunule. Se
condo la tradizione del Leinster, fu il re Tighernmas a scoprire il meto
do per lavorare quel metallo. La scoperta avrebbe avuto luogo nella re
gione aurifera attraversata dal fiume Liffey. Tighernmas era un re dei
Fom6raig, contemporaneo di Nuadu e che vide parimenti la venuta dei
figli di Mile. Altre tradizioni lo collocano nella genealogia dei re milesi.
In ogni caso, le cronache lo situano tra il 1 620 e il 1 036 a.C. Coloro che
gli attribuiscono la data più antica anticipano, a mio awiso, lo sfrutta-
61
CAPITOLO Il
mento dell'oro in Irlanda, ma non di molto, facendolo risalire all'epo
ca del probabile arrivo dei futuri Goideli nell 'isola. Una parte della tra
dizione regge quindi alla verifica. Cercheremo di chiarire ciò che vi
corrisponde realmente, e, nello stesso tempo, quale parte di verità è
racchiusa nella descrizione di Cesare.
L'ElEMENTO NON CELTICO DELIA POPOLAZIONE IRlANDESE
SECONDO EOIN MA.c NEILL
l GOIDEU E l POPOU ASSOGGETTATI. Gu ERAINN
Gli antropologi individuano negli elementi autoctoni della popola
zione delle isole alcuni tipi anomali, che secondo J. Fleure sarebbero
localizzati, almeno nel Galles, nelle contrade più remote e selvagge. Si
è parlato di tipi mongoloidi dolicocefali, parenti degli Esquimesi, pre
senti anche in Irlanda e forse discendenti dai primi abitanti. Ma occor
re aggiungervi, in numero molto più ampio, i discendenti dei costrut
tori di megaliti e dei navigatori dolicocefali o brachicefali che diffusero
nell'Europa occidentale la metallurgia. Si cerca di attribuire, più o me
no felicemente, a tali predecessori dei Celti, alcune istituzioni, come
quella dei druidi, alcune tecniche e alcune armi.'j1 Occorre altresì attri
buir loro parole, nomi di fiu mi, di popoli, nomi propri, che sono stati
tramandati. Ma si può tentare di individuarli in formazioni sociali inte
gre, ed è ciò che ha fatto per l'Irlanda Eoin Mac Neill, cercando nella
tradizione scritta irlandese nuovi elementi d' informazione, che val la
pena di esaminare e di passare al vaglio.
Egli ha supposto che gli antichi abitanti, amalgamati dai Goideli
nella loro organizzazione politica, avessero conservato in parte la pri
mitiva costituzione e fossero stati incorporati come entità strutturate
nella società formata dai Goideli. Prova del loro assorbimento e della
loro dipendema può essere considerato il fatto che furono soggetti a
oneri speciali, di natura politica, quali il tributo. Di fatto v'era, in Irlan
da, una grande quantità di clan vassalli, clan che parlavano il celtico,
che avevano discendenze celtiche, ma che conservavano gli antichi no
mi attribuendoli anche ai loro padroni, come più tardi gli Angli e i Sas-
62
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
soni avrebbero imposto i loro ai baroni normanni. Quei clan si chiama
vano aithechtuatha, i clan di classe inferiore.
Sembra che fossero noti sotto il nome generico di Féni, 151 nome di
ventato in medio irlandese flan, al plurale fianna. Le fianna erano trup
pe permanenti, che potevano essere costituite con arruolamenti di sud
diti, poiché i Goideli erano obbligati, in fatto di servizio militare, solo a
prestazioni limitate. Finn Mac Cumhail, l'eroe delle fianna, era nato in
un clan suddito del Leinster, il clan di Galiain. Disponiamo di un elen
co dei clan tributari, come di molte cose in Irlanda, fornito da molti
manoscritti d'un trattato che enumera i nomi e indica le ubicazioni di
quelle antiche comunità non gaeliche.'"1
Essi sembrano a un tempo così numerosi e largamente diffusi che
ci si meraviglia e si è ammirati di come i Goideli abbiano imposto la lo
ro lingua a tale massa di sudditi, con tale facilità e in modo così radica
le da non lasciare altro ricordo all'infuori di poche parole, come se
nessun 'altra lingua fosse mai stata parlata in Irlanda. Allorché un popo
lo invasore impone la sua lingua agli abitanti del luogo conquistato, ha
sempre su di loro una qualche superiorità che può essere numerica, di
civiltà o di organizzazione politica, ma, nel caso in questione, è difficile
scorgere di quale tipo essa fosse. Essa tuttavia emerge altrove, nei nomi
delle suddivisioni territoriali delle città, dei villaggi, che sono celtici,
mentre quelli dei fiumi non lo sono, secondo una tradizione che attri
buisce ai Goideli il dissodamento dell'Irlanda intiera, anche se la sola
pianura di Breg, Magh n Ealta, la vecchia pianura, dove si trovano i
grandi tumuli del basso Boyne, sarebbe stata già dissodata al momento
del loro sbarco. D'altronde, non gaelico non significa necessariamente
non celtico, e per clan suddito non si intende necessariamente clan non
gaelico. Infine, se i clan assoggettati e i clan dominanti erano etnica
mente di origini diverse, il fatto di essere sudditi non implicava affatto,
come suppone Mac Neill, che i primi si trovassero in Irlanda già all'arri
vo dei secondi.
L'Irlanda che noi conosciamo era strutturata in maniera feudale, e i
clan avevano la loro gerarchia, come gli individui, anche se i ranghi
non furono mai definiti una volta per tutte. Sappiamo, per esempio,
che nella prima metà del II secolo dopo Cristo, avvenne una rivolta ge-
()3
CAPITOLO Il
nerale dei tributari, sotto la guida di un certo Cairbre. Nel corso della
storia dell 'Irlanda, molti clan salirono la scala gerarchica e molti la di
scesero in virtù degli awenimenti e della forza. Tale mobilità non intac
cava però la gerarchia. Quanti si erano create situazioni per loro van
taggiose le avevano giustificate con la storia e il mito, procurandosi in
tal modo i titoli conformi al loro rango.
È il caso, in particolare, delle dinastie che diedero all'Irlanda una
forma di unità al momento in cui San Patrizio cominciò, o stava per co
minciare, a predicare il cristianesimo. Furono quelle dinastie, e quell'a
ristocrazia, riunite attorno ai monarchi supremi di Tara, discendenti
dei figli di Mile, a dar origine a una fiorente letteratura.
Nell'elenco delle popolazioni suddite compaiono tutti gli elementi
costitutivi, Goideli a parte, della popolazione delle Isole Britanniche.
Conviene tuttavia trascurare un certo numero di clan i quali, se i loro
nomi hanno un qualche rapporto con l'attività svolta, non potevano es
sere altro che caste economiche, costituite in clan territoriali. L'elenco
sopraindicato segnala, nel territorio dei Desi, nel Munster, dove si tro
vano miniere di rame, una Tuath Semon, ossia la tribù del ribattino,
seim. Nel distretto minerario di Bearra, a ovest del Munster, si trovava
no le Ceard-raighe, ossia le tribù dei fabbri. Nelle contee di Tipperary,
Limerick, Cork e Kerry era disseminata una tuath Cathbarr, ossia una
tribù degli elmi. Non sappiamo se fossero o no gaelici, e forse non è il
caso di domandarselo in quanto non erano gruppi etnici, ma sociali.
Trascureremo ugualmente un altro clan indicato sotto il nome di Fir
lboth o lbdaig e localizzato nella bassa valle dello Shannon, contee di
Galway, Tipperary e Limeric, che porta il nome delle Elmdae, ossia del
le Ebridi, le isole occidentali della Scozia. Gli abitanti di tali isole, se
condo Salino, vivevano di pesca e del latte delle loro greggi. Le popola
zioni delle Ebridi erano presenti in Irlanda? Il loro nome era quello di
una casta di pescatori? Non abbiamo elementi per pronunciarci al ri
guardo.
Tra le popolazioni suddite e tributarie, una delle più considerevoli
sembra essere stata quella degli Erainn, apparentemente l'eponimo del
l'lrlanda,i'1 di cui i Goideli avrebbero conservato l'antica denominazio
ne. Il nome dell 'Irlanda del Sud è Eire, in antico irlandese Eriu. Le for-
64
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
me greche e latine, 'lfpà [vi]aoc] , da cui Sacra Jnsula d'Avieno, 'lipvry
(Strabone), 'l OVfpv{a (Tolomeo) , !verna (Pomponio Mela, Giovenale) ,
Hibernia (Cesare) , ci hanno trasmesso il p iù esattamente possibile l'an
tica radice della parola. La declinazione dell' irlandese Eriu, genitivo
Erenn, la forma gallese Jwerddon derivano da un termine che comporta
una n: * Juerion, genitivo Juerionos.
Gli Erainn erano gli luerni. Tolomeo situa a sud-ovest dell'Irlanda il
popolo dei 'l ovipvot ed era precisamente il luogo in cui si trovava il
principale insediamento di Erainn ai tempi delle più remote epopee.
M EN A P I
B R I G A NTI
CARTINA 3. - Carta dell'Irlanda verso i l 900 d.C.
65
CAPITOLO Il
L'elenco delle popolazioni suddite situa gli Erainn, o piuttosto i Sen
Erainn, gli antichi e autentici lverni, nel distretto di Luachair, formato
dalla parte settentrionale della contea di Kerry e dalle parti adiacenti
delle contee di Limerick e di Cork; là si trovava Temair Erann, ossia il
Tara degli Erainn, che era stato il cimitero principale e il principale luo
go d'assemblea degli Erainn, prima di diventare uno dei centri religiosi
del Munster. Gli Erainn del Munster obbedivano, all'inizio della nostra
èra, alla dinastia degli Eoghanacht di Cashel, sicuramente celtica. Ma
v'erano anche degli Erainn nel Connaught e nell'Ulster,1�1 un'antica
popolazione costretta dagli invasori a indietreggiare su posizioni da cui
potessero fronteggiarli, come dimostrano i resti sparsi dei loro insedia
menti.
Ma chi erano gli Erainn? Forse non erano Celti. Si è tentati, d'altra
parte, di paragonare il nome degli lverni a quello degli Iberi, la cui so
miglianza induce a supporre che i popoli fossero imparentati, anche
perché essa è ancora più decisa di quanto non sembrì d'acchito. Infatti,
l'n del tema, sia nel nome degli Erainn, sia in quello dell'Irlanda, è ag
giunta. Il nome degli Errainn come quello di tutti i popoli dell'Irlanda,
risale a un antico eponimo, far, che a sua volta deriva da una parola ve
tero-celtica: *Iueros. È facile concludere che al nome dell'Irlanda corri
spondessero due nomi etnici, Iueri e Iuerni. Ora Iueri e Iberi sono presso
ché identici. Spagna e Irlanda hanno avuto in ogni tempo suffi c ienti
relazioni perché tale rassomiglianza possa essere almeno presa in consi
derazione.
Gli autori del Leabhar na Gabhala hanno trovato dei rispettabili emuli
fra gli studiosi contemporanei che si sono applicati, con molto rigore,
fatica e ingegno, a scoprire l'elemento iberico nelle antichità etnografi
che delle Isole della Bretagna. Fatica mal ricompensata, perché se è qua
si certo che l'elemento iberico esiste ed è importante, quanto di preciso
si può dire è riassumibile in pochissime parole.
Tacito aveva sottolineato che v'erano individui dai capelli e dalla
pelle scura in Britannia, molto numerosi nella regione del Galles, pres
so i Siluri, che occupavano il sud-ovest del paese: « l volti bruni dei Silu
ri, i capelli generalmente riccioluti, e la Spagna che sta di fronte a loro
inducono a pensare che gli antichi Iberi abbiano attraversato il mare e
66
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
si siano stabiliti là>>.191 Con ogni probabilità gli abitanti della Spagna,
che costituivano alla fine del Neolitico e agli inizi dell'Età del Bronzo
delle importanti società, svolsero un ruolo considerevole nella diffusio
ne verso il nord dell 'Europa delle costruzioni megalitiche alle quali pri
ma si è alluso, e nella colonizzazione delle coste dell'Oceano. In ogni
caso, la loro civiltà, documentata nelle Isole Britanniche dai monumen
ti megalitici, era in stretto rapporto con quella della Spagna.
Durante la seconda metà del primo periodo dell'Età del Bronzo, e
durante tutto il secondo, s'erano stabiliti tra le Isole Britanniche e la
Spagna costanti contatti. Una grandissima quantità di oggetti di bron
zo, asce, alabarde, pugnali, etc., provenivano dalla Spagna o erano di
stile iberico. Iberici erano parimenti i fregi incisi dagli Irlandesi sulle
asce e sulle lunule.
Fu in quell'epoca che andò a stabilirsi nelle isole il popolo dei bic
chieri corrispondente forse ai Goideli. Gli scambi di civiltà tra la peni
sola e le isole furono in seguito meno frequenti, ma non cessarono mai
del tutto.1101 Il mare è una grande strada e coloro che vivono sulle sue ri
ve non amano stare a casa; i marinai della Galizia, della Bretagna e del
le Isole si sono sempre frequentati con assiduità.
È del tutto inutile cercar di saperne di più. L'indagine linguistica
non ha fornito niente: lo studio dei culti irlandesi e del folklore britan
nico è risultato anch'esso sterile; che cosa, infatti, si sa degli Iberi, della
loro lingua e della loro religione? Oltre alle somiglianze archeologiche,
i rari nomi geografici testimoniano la presenza degli Iberi nelle Isole
Britanniche, di cui forse gli lverni facevano parte, ma resta ancora dub
bio che l'Irlanda sia stata un'lberia. Infatti, si conosce una piccola serie
di nomi paralleli, che sono nomi di fiumi: Eire, Eireann, in inglese Earn,
Findhorn nelle Highland di Scozia, I'Iwerne, piccolo fiume del Dorset,
1"/oVfpvla. Se il nome dell'Irlanda si dovesse spiegare come i nomi dei
fiumi, esso non deriverebbe da un nome etnico, ma da un aggettivo di
qualità. lverion deriverebbe da * Piveryo-, paragonabile al sanscrito pivari,
al greco Thap6ç, grasso, e sarebbe parallelo al nome della Tltfpla, sede
delle Muse. Non avrebbe niente in comune con il nome dell'lberia e sa
rebbe anche un nome celtico, stando alla perdita della p radicale.
Il nome della Gran Bretagna, Albione, al quale esso è associato nel-
67
CAPITOLO Il
J'onomastica geografica più antica, assicura, per quanto è possibile, che
non lo è. Conservato dagli Irlandesi sotto la forma Alba, Alban, Alpe,
per indicare l' isola sorella, ma più particolarmente la Scozia, appartie
ne allo stesso ceppo di Alba, Albana, Albis, Alpes, Albani, Albioeci, etc., no
mi di città, fiumi, montagne e popoli, che costituiscono forse la più nu
merosa famiglia di nomi geografici europei e di certo la più largamen
te diffusa. Vi sono molte possibilità che questi nomi siano indo-europei
e si colleghino alla stessa radice del latino allrns. Ma il celtico ha perso
questa radice. Nell'Europa occidentale, tali nomi geografici sembrano
appartenere al vocabolario ligure, che è indo-europeo, a quello iberico,
oppure all'italico. In effetti, comparsi contemporaneamente in Spagna
e in Sicilia, e confinati in Gallia, come nomi di popoli, nel Narbonese,
sono presenti infine in molti esempi nella Liguria propriamente detta.
A mio avviso, i nomi delle due isole risalgono a prima dell'arrivo
dei Celti e sono un'eredità dei loro predecessori nell'Europa occiden
tale: Iberi e Liguri. Come gli luerni ebbero in Spagna parenti di sangue
e di nome, così sulla costa nord, nelle Asturie, si trovavano degli Albio
nes, segnalati da Plinio, che erano probabilmente degli antichi Liguri.
I Pmi
La popolazione neolitica aveva lasciato tracce nelle due isole dove
v'erano stati anche coloni iberici. Ma il quadro etnografico della Gran
Bretagna non ci mostra nulla che corrisponda agli Erainn. Al contrario,
v'era un altro gruppo di tribù, comune alle due isole, ugualmente mol
to importante, che formava al nord dell'Irlanda una moltitudine para
gonabile a quella costituita dagli Erainn al sud. Si trattava delle tribù dei
Cruithnig, ossia i Pitti, i quali erano in Gran Bretagna un popolo distinto
che occupava in toto, o in parte, la Caledonia, prima del momento in
cui gli Scoti, ossia gli Irlandesi, o Gaeli, andassero a stabilirvisi ritaglian
dosi un nuovo territorio a loro spese. In Irlanda i Pitti occupavano quasi
tutto l'Ulster, ed erano così numerosi da diventare preponderanti. Nel
Connaught si trovavano comunità pitte presso Cruachain, la capitale; ve
n'erano nel Munster, nel Meath e nel Leinster. I Cruithnig d'Irlanda so-
68
L"ESPANSIONE DEI CELTI NEll.E ISOLE BRITANNICHE
no chiamati Picti negli annali irlandesi, i Pitti della Caledonia Cruthini o
Cruthini populi nella Vita Sancii Columbae di Adamnan, mentre l'elenco
irlandese dei re pitti comincia con un fondatore eponimo Cruidne, per
cui l'equivalenza dei due termini è accertata.
Il popolo dei Pitti si diffuse abbastanza per dare il proprio nome al
l'insieme delle Isole Britanniche. Se si suppone che la C di Cruithnig
rappresenti una q diven tata p in britannico, si può risalire attraverso le
forme della lingua sorella a Qurteni o Qartini o Qreiani. Il nome del
paese corrispondente era pronunciato in britannico Pretanis, da cui il
gallese Prydain. Ynys Pryrlain era il nome dell'isola di Britannia, nome
inteso verso il 300 a.C. da Pitea che chiamò correttamente le due isole
llpamKVLml vijaot. Ma è un problema sapere se lo udì pronunciare in
Gallia o nella stessa Britannia. Il nome è comprensibile in celtico e lo si
fa generalmente risalire all'irlandese cruth, gallese pryd, che significano
figura. I Pitti, per i Romani, erano un popolo abituato a tatuarsi.
La parola Pitti non ha origini così lontane. Si incontra per la prima
volta in un panegirico del 296 d.C. in onore di Costanzo, che comanda
va in Britannia. Ci si è domandato se fosse semplicemente un nome la
tino, una sorta di nomignolo consacrato dalle cronache. Cesare, nella
sua descrizione dei Britanni dell'interno, dice che si pitturavano per la
guerra, e ai Picti Britanni fa riferimento Marziale. I Pitti sarebbero i Bri
tanni rimasti selvaggi al di là della frontiera romana. Si è tuttavia giunti
a spiegare il nome in celtico. Deriverebbe da una radice che significava
tatuare e cominciava con una q diventata p in britannico, dando origine
in irlandese alla parola cichi che significa incisore. I nomi propri gallici
Pictillus, Pictilus, Pistillus sono i diminutivi di un termine che può essere
stato identico a Pitti e non s'è conservato. I due doppioni si chiariscono
l'uno con l'altro. Tuttavia l'esistenza stessa di tale doppione pone degli
interrogativi e il fatto che uno dei due termini, in apparenza dominan
te in Britannia, non risulti nella tradizione irlandese in lingua volgare,
ma solamente negli annali latini, avrebbe bisogno di una spiegazione.
La questione dei Pitti è stata una delle più discusse della storia antica
della Britannia, ma non sembra che si sia chiarita nel corso di tanti lun
ghi dibattiti. Molti storici e filologi hanno voluto vedere nei Pitti poco
conosciuti, misteriosi, selvaggi, relegati al nord della Britannia o sparsi
69
CAPITOLO Il
in Irlanda, il residuo di popolazioni preistoriche. Per Sir John Rhys essi
erano la popolazione preistorica per eccellenza dell'arcipelago, di cui
gli Erainn erano solo un ramo nettamente distinto. Ad esempio, nella
contea di Antrim, il nord, Dal Riada, era popolato dagli Iberni, il resto
dai Pitti.
Nel tempo in cui Beda il Venerabile scriveva la Historia ecclesiastica
gentis Anglorwn i Pitti parlavano, stando alla sua testimonianza, una lin
gua diversa sia da quella degli Scoti, che erano i Goideli, sia da quella
dei Britanni. D'altronde, Adamnan, biografo di San Columba, ci infor
ma che questi parlava con i Pitti, allorché li evangelizzava, per mezzo
dell'interprete. Ma quella lingua diversa poteva essere celtica, anche se
le sedici iscrizioni, dette iscrizioni pitte, trovate nell'est e nel nord della
Scozia, non forniscono alcuna testimonianza, né pro, né contro, per
ché sono indecifrabili.1111
Il principale argomento al quale si ricorre è una spiegazione sugge
rita dai costumi preistorici dei Pitti e in particolare dal loro diritto sue
cessano.
All'epoca di Beda il Venerabile, vale a dire nel VI secolo d.C., la suc
cessione nelle famiglie reali dei Pitti avveniva più per linea femminile
che per discendenza maschile.1121 Infatti uno dei re pitti del VII secolo,
1àllorcen, era figlio d'un rifugiato sassone Eanfred, nato da una princi
pessa dei Pitti.1131 I matrimoni misti tra Pitti e Scoti, con conseguenze si
mili, sono riportati in tutte le cronache. Gli Irlandesi raccontavano che
i Pitti avevano invaso l'Irlanda poco tempo dopo l'insediamento dei fi
gli di Mile il cui capo, Eamon, li aveva scacciati in Britannia. Essendo i
Pitti privi di donne, Eamon diede loro in mogli le vedove dei guerrieri
della stirpe di Mile che erano morti in mare prima della conquista del
l'Irlanda, a condizione che da quel momento essi trasferissero le ere
dità per via femminile, e non maschile. La spiegazione mitologica con
ferma il fatto.
Questo tipo di successione creava relazioni particolarmente strette
tra i figli e i fratelli di una donna. Tacito l'aveva notato presso i Germa
ni e una iscrizione votiva, trovata a Colchester, dimostra che ciò avveni
va anche presso i Pitti, probabilmente pure al di fuori delle famiglie re
gali. Ecco quanto vi si legge:
70
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
donum lossio veda de svo
posuit nepos vepogeni caledo.
«Questo dono è stato fatto a sue spese da Lossio Veda, nipote di Ve
pogeno, Caledone». È un fatto singolare nell'epigrafia latina che un
uomo definisca la sua famiglia col nome dello zio e non con quello del
padre. Nella storia della famiglia, il diritto dei cognati, parenti per via
femminile, s'è sempre opposto al diritto degli agnati, parenti in linea
maschile. L'evoluzione della gens in do-europea evidentemente indi
rizzò tale diritto in Grecia, a Roma, in Irlanda e presso i Gallesi verso
una forma in cui il diritto degli agnati prevalse nettamente su quello
dei cognati, e in questo i fatti in questione sono stati considerati estra
nei al diritto indo-europeo.
Ma tale diritto era in vigore anche presso i Goideli d'Irlanda e gli
antenati dei Gallesi. Ne rimangono tracce importanti nei loro testi giu
ridici, nella loro storia, nella loro epopea. Gli dèi e gli eroi irlandesi
erano designati col nome della madre: Lug era figlio di Ethne, Cuchu
lainn di Dechtire. Il dio gallese Gwydion era figlio di Don. La famiglia
celtica era un' istituzione assai complicata che non rassomigliava affatto
alla famiglia latina e che subì numerose trasformazioni.
Niente prova dunque che i Pitti non fossero Celti, anzi abbiamo
qualche motivo per considerarli una popolazione celtica, comprenden
te probabilmente numerosi stranieri e aborigeni, ma né più, né meno
delle altre popolazioni celtiche. I nomi delle tribù dei Pitti: Cornavii,
Smertae, Caeraeni, Carnonatae, Creones, Lugi, Decantae, Epidii, Tae
zali, Vacomagi, Dicalydones, Verturiones hanno delle consonanze celti
che come i nomi d'uomo (Argentocoxos, Togenanus) . L'esame dei no
mi geografici antichi e moderni della regione pitta porta allo stesso ri
sultato: Albhais, Alves, nome di parrocchia (contea d'Elgin ) , è parago
nabile ad Alventium, Avin in Belgio e ad Alvinca. Labhair, Aberlour, no
me di fiume (contea di Banff) , non è altro che una Labara ( labrur, io
parlo) . Dea 'i n, Don, nome di fiume (contea di Aberdeen) risale a un
LlT)ovdva, nome di fiume corrispondente al nome della città dei Taixali,
oggi Aberdeen. Fuirgin, Forrigen, nome di parrocchia (contea di lnver
ness) , corrisponde a Vorgium, città della regione degli Osismi in Gallia.
71
CAPITOLO Il
A dire il vero, il vocabolario geografico dei paesi pitti prevede alcu
ni nomi in ar, del tipo lsara, Araris, che potrebbero essere liguri o iberi
ci, e temi considerati generalmente liguri. Si trattava del contributo de
gli indigeni o dei precedenti occupanti, più o meno assimilati, che fu
rono inglobati dalle tribù celtiche dei Pitti. Se i Pitti erano Celti, lo era
no anche i Siluri. I nomi delle loro città Venia Silurum, Isca Silurum sono
nomi celtici. Un'altra città si chiamava Gobannium (Abergavenny) ed
era la città dei fabbri; gof, in gallese, significa fabbro.
L'elenco delle tribù suddite comprende altre tribù celtiche, i Fir
Domnain, i Galiain e anche i Fir Bolg. Ma prima di giungere ad esse con
viene sistemare i Pitti in rapporto ai Goideli e ai Britanni. Questo pro
cedimento ci procurerà informazioni sui tre gruppi, partendo da ipote
si differenti.
GOIDEU, PITII E BRITANNI
Pitti e Goideli avrebbero seguito la stessa via e proceduto general
mente nello stesso modo nell'estendere i loro insediamenti. Sbarcati
sulle coste meridionali e orientali della Gran Bretagna, l'avrebbero at
traversata e, giunti sull'al tra riva, avrebbero, ciascuno per conto suo,
raggiunto l'Irlanda, mantenendo però un piede sull'isola sorella. L'esa
me dei dati archeologici conferma questa nostra ipotesi. I costruttori
dei tumuli rotondi raggiunsero a ondate l'Irlanda e tutte le testimo
nianze archeologiche britanniche successive risultano regolarmente di
stribuite.
La storia tradizionale dell'Irlanda presenta qualcosa di simile. Il re
Ugaine il Grande avrebbe regnato contemporaneamente sull'Irlanda e
sulla Gran Bretagna fino alla Manica e, secondo alcuni annali, fu con
temporaneo di AlessandroY'1 In tale epoca i Britanni erano in Gran
Bretagna, dove Pitea li aveva incontrati, ma non vi si erano stabiliti da
molto. Se al loro arrivo trovarono un grande regno celtico, o qualcosa
di simile, a cavallo del mare d'Irlanda, sembra dubbio che questo re
gno fosse goidelico. Ma il problema si presta a controversia e si tratta di
sapere quale dei due gruppi, pitto o goidelico, si sia stabilito per primo
72
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
nelle isole. J. Loth ha sostenuto che i Pitti arrivarono per primi e corri
spondevano ai costruttori dei tumuli rotondi.
Perché i Britanni avrebbero chiamato la loro nuova colonia l'isola
dei Pitti, se vi avessero trovato una o più nazioni goideliche? Se la senti
rono chiamare Quretenion significava che era in effetti dominata dai Pit
ti o che questi ne costituivano la principale popolazione. E se era così,
verosimilmente i Pitti avevano rimpiazzato i Goideli e forse li avevano
seguiti. È possibile dire che i Britanni ereditarono il nome dell'isola tra
mite i Goideli? Ma gli Irlandesi non usavano la parola Cruithne per indi
care l'isola di Britannia dal momento che essa si riferiva al paese dei
Pitti, la Scozia. È poco probabile che l'irlandese abbia mai attribuito al
la parola un senso più esteso, per il quale aveva un altro termine, Alba.
Ma perché supporre che i Pitti abbiano preceduto i Goideli? E perché
correggere la tradizione mitica irlandese, la quale fa giungere in Irlan
da prima di loro la maggior parte degli stranieri eh ' essi domarono o as
similarono, quando, una volta tanto, li fa seguire da un altro popolo
celtico?
I Pitti avrebbero costituito dunque, secondo noi, non la prima, ma
la seconda ondata di Celti insulari, cui potrebbero riferirsi, nell'archeo
logia delle Isole Britanniche, le serie di oggetti in bronzo di cui s'è par
lato prima. Ma non bisogna fare distinzioni troppo nette tra la seconda
e terza loro schiera.
In verità, gli indizi archeologici d'una seconda invasione delle Isole
Britanniche nell'Età del Bronzo sono abbastanza !abili per trarre con
clusioni definitive. È poco probabile che i Pitti siano stati originati da
uno sdoppiamento dei Goideli e siano arrivati nelle isole più o meno
nello stesso tempo, ma non è affatto certo eh ' essi fossero profonda
mente diversi dai Britanni.
In primo luogo la lingua dei Pitti, per quanto si distinguesse dal bri
tannico, n eli 'VIII secolo della nostra èra, ne aveva subito la trasforma
zione caratteristica, cioè la modificazione della q in p, attestata anche
dal nome degli Epidi, tribù di Pitti stabilitasi a nord del vallo d'Antoni
no, la cui estremità era chiamata, secondo Beda il Venerabile, Pean Fa
bel. La toponimia dell'isola di Britannia parrebbe dunque omogenea e
priva di termini goidelici prima che vi si stabilissero gli Scoti.
73
CAPITOLO Il
D'altra parte, i re pitti, dei quali abbiamo l'elenco, avevano nomi
gallesi quali Mailcon e Dryst, che potevano assumere forme contrastan
ti con quelle irlandesi. Uno dei re si chiamava Ur-gust, il cui equivalen
te irlandese era Fergus che significa "scelta superiore". Il primo ele
mento è u[p] er. La vocale, divenuta consonante nelle due famiglie di
lingue, si trasformò in f in goidelico, e in g in britannico. Infine una
delle tribù pitte abitanti il Caithness, a nord della Scozia, quella dei
Cornavii, sembra essere uno sdoppiamento della tribù britannica dei
Cornavii, molto più importante, confinata nel Cheshire, alla frontiera
nord-est del Galles.
Stessa lingua, stesse tribù! I Pitti si distinguevano veramente dai Bri
tanni? Non erano forse i Pitti ai quali Cesare attribuiva strane usanze
matrimoniali allorché metteva a confronto le popolazioni dell'interno
con quelle della costa, dai costumi simili a quelli dei Galli, ossia i Belgi?
«Le donne sono mogli comuni di gruppi da dieci a dodici uomini, for
mati generalmente da fratelli, padri e figli; i bambini che nascono si ri
tiene siano di coloro che hanno condotto le loro madri ancora vergini
nelle proprie case». l Pitti avrebbero praticato dunque la poliandria
che non va identificata col matriarcato. Ciascuno di questi termini è
impiegato molto approssimativamente da etnografi, antropologi e ar
cheologi, per indicare istituti appartenenti a un stadio ben noto di co
stituzione della società. Si trattava, a mio parere, di clan esogami, in cui
era previsto che tutti gli uomini e le donne d'un clan sposassero i mem
bri dell'altro, senza che tale parentela di diritto fosse necessariamente
esercitata e impedisse la formazione di piccole famiglie formate da una
coppia. In quel tipo di società i figli appartenevano generalmente al
clan della madre, da cui deriva la definizione di matriarcato. Cesare,
dunque, non era così male informato e i costumi da lui descritti erano
sema dubbio affini a quelli dei Pitti. Per giunta, sembra vero che, fra le
popolazioni central i della Britannia, le famiglie reali fossero costituite
come quelle dei Pitti. La regina, dispensatrice di sangue e di rango, do
veva essere oggetto d'una considerazione che le attribuiva, quando sa
peva esercitarla, un'autorità straordinaria, come testimonia Boudicca,
regina degli !ceni del Norfolk e del Suffolk, che diresse la rivolta del
l'ann o 61 d.C. contro Gaio Svetonio Paolino.
74
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
Vi sarebbero dunque stati in Britannia, se seguiamo e interpretiamo
Cesare, soltanto due gruppi organizzati di popolazioni al momento del
suo sbarco: i Belgi e i Pitti-Britanni, o Pitti, e in tal caso l'arrivo di que
sti ultimi potrebbe essere collocato molto più vicino all'arrivo dei pri
mi, ossia press'a poco quando l'uso del ferro fu introdotto in Gran Bre
tagna, all'inizio dell'epoca di La Tène.
Il problema della distinzione tra Pitti e Britanni sarebbe risolto se si
potesse provare eh' essi portavano effettivamente lo stesso nome. Ma
nella storia dei Britanni e del loro nome un episodio si staglia con un
valore particolare. Tra il VI e l'VIII secolo d.C., al tempo delle invasioni
anglo-sassoni, che alimentarono una forma di sentimento nazionale, i
Britanni sentirono il bisogno di darsi un nome e si chiamarono Combro
ges, genti dello stesso paese, i compatrioti, i Kyrmy, divenuto il loro no
me nazionale. È poco significativo, ma induce a pensare che ne rim
piazzasse un altro più o meno in disuso. La parola B1itanni non era un
nome nazionale, ma una designazione geografica data agli abitanti del
sud della Britannia dai loro vicini della Gallia, e poi dai Romani. Essi
probabilmente lo adottarono, derivandone l'uso dei nomi propri Brit
to, Brittus, senza molta convinzione.
In tali condizioni è necessario immaginare in Britannia, tra lo stan
ziamento dei Pitti, che si chiamavano per diritto di nazionalità Qretini
o Pretini, e le prime incursione dei Belgi, una massa, anche considere
vole, d'invasori celtici, ai quali daremo il nome di Britanni, anche se
non è del tutto preciso, confusi da Cesare, che li conobbe soltanto dal
l'altro fronte del campo di battaglia, con i Pitti. Ma essi avevano il senso
della loro differenza e lo imposero ad altri. In effetti, vedremo che i
Goideli distinguevano bene i Pitti dai diversi gruppi di Britanni con i
quali erano venuti a contatto. Quanto ai Pitti, di cui Cesare attribuì co
stumi e istituzioni all' insieme degli abitanti dell'interno, erano di certo
giunti nell'isola in un tempo sufficientemente anteriore alle incursioni
belghe per aver acquisito il diritto d'essere considerati autoctoni.
Ma erano essi, se non "i" Britanni, per lo meno "dei " Britanni nel
senso generale in cui abbiamo usato il termine, ossia la loro lingua ave
va subito, al momento in cui si stabilirono nelle Isole Britanniche, la
mutazione della q in p?
75
CAPITOLO II
La forma goidelica del loro nome, Cruithnig, non potrebbe essere
addotta in funzione negativa, perché i Goideli avevano coscienza che la
p britannica corrispondeva alla q della loro lingua. Capitò loro di tra
scrivere con una q, vale a dire una c, nei testi irlandesi che ci sono per
venuti, la p del britannico e anche quelle del latino. Così purpura è di
ventata curcur, Patricius, san Patrizio, è diventato Cothraige.
Niente di certo in favore del sì. Se l'arrivo dei Pitti si verificò alla fi
ne dell'Età del Bronzo, è poco probabile, a nostro avviso, che la loro
lingua non avesse ancora subito la mutazione delle velari, cui di certo
essa non oppose alcuna resistenza. I Britanni avevano la fama di posse
dere una tecnica superiore e una civiltà più avanzata, e pertanto pote
vano imporre la loro lingua. Sono propenso a credere che vi sia stata
una profonda compenetrazione tra le tribù pitte e quelle britanniche. I
Cornavii del Cheshire e quelli del Caithness, gli uni a sud-ovest, gli altri
all 'estremo nord dell'isola, erano Pitti o erano Britanni? In ogni caso,
un loro nucleo era attorniato da gruppi allogeni. Gli Epidi della contea
di Argyll erano forse una tribù britannica, al pari dei Novantae che sta
vano loro di fronte sull'altra costa del Firth of Clyde. Ma, tutto somma
to, quando giungeremo alle popolazioni celtiche del continente, trove
remo motivi per pensare che i Pitti erano probabilmente più prossimi
ai Britanni che ai Goideli.
Pim, BRITANNI E BELGI NEll'ISOI.A DI BRITANNIA
In sostanza si ebbero in Gran Bretagna, a seguito dello stabilirsi dei
Goideli, tre colonizzazioni celtiche: dei Pitti, dei Britanni, e dei Belgi,
succedutesi a intervalli piuttosto lunghi. La prima fu quella dei Pitti
che subentrarono ai Goideli verso la metà dell'Età del Bronzo. La loro
migrazione era terminata nel momento in cui la civiltà di Hallstatt, e
più esattamente il suo secondo periodo, quello delle grandi spade di
ferro, aveva inizio sul continente. Tale civiltà sfiorò appena le Isole Bri
tanniche.'1;>
Quando Cesare attribuisce un'economia basata sulla pastorizia, in
opposizione a quella agricola delle popolazioni costiere, ai popoli del-
76
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
l'interno della Britannia, che vivevano di carne e di latte e si vestivano
con le pelli dei loro animali, si riferisce verosimilmente ai Pitti. L'eco
nomia del continente nell'Età del Bronzo, e ancora all'epoca di Hall
statt, dipendeva più dall'allevamento che dall'agricoltura. Non era stata
fatta tabula rasa dei costruttori di tumuli rotondi dell'inizio dell'Età del
Bronzo che noi abbiamo assimilato ai Goideli perché, fino all'epoca di
La Tène inclusa, gli abitanti della Gran Bretagna continuarono a erige
re tumuli rotondi sopra le fosse, in cui erano deposti i corpi ripiegati, fat
to del quale bisogna tener conto per comprendere bene come sono col
legati tra loro gli elementi che compongono la popolazione celtica della
Britannia.' 1"1
Un nuovo stanziamento di coloni sì verificò all' inizio del primo pe
riodo di La Tène, e fu quello dei Britanni, terminato probabilmente
verso il 300 a.C., al momento del viaggio di Pitea. La nuova civiltà com
portava una nuova economia. I coloni britanni erano agricoltori come
aveva notato Pìtea, il quale venne anche a conoscenza di pratiche agri
cole a lui ignote, quali la trebbiatura del grano nei granai e non all'aria
aperta. Al tempo di Cesare, la Britannia si presentava press'a poco co
me la Gallia, anche se la trasformazione del paesaggio, per effetto della
cultura dei campi, non fu così radicale come in certe regioni del conti
nente. I Britanni non si stabilirono in un paese spopolato e l'agricoltu
ra si estese in una campagna già resa meno selvaggia dai pascoli, e del
tutto simile a quella inglese di oggi.
Sembra che i primi Britanni siano arrivati proprio all'inizio dell'e
poca di La Tène, forse anche precedentemente, tra il 550 e il 500 a.C.
In effetti, dagli scavi fatti nel 191 1 e nel 1 9 1 2 a Hengistbury Head, in
un insediamento fortificato in posizione dominante sulla lingua di ter
ra che separa la baia di Christchurch dal mare, si è trovato del vasella
me molto simile a quello dei tumuli del sud della Gallia e a quello re
centemente rinvenuto nei dintorni di Penmarch ,il71 vasellame tozzo,
che richiama alla mente manufatti dell'epoca del Bronzo e di Hallstatt
i cui ritrovamenti sono stati numerosi nel sud dell'Inghilterra.
Il gruppo più antico e più importante di tumuli di tale epoca è
quello di Arras nella contea di York, dal quale è emerso un corredo fu
nerario che rammellta molto quello delle tombe della Marna. Vi si so-
77
CAPITOLO II
no trovati in particolare resti di carri a due ruote, simili a quelli della
Champagne,' '"1 anche se gli scheletri portati alla luce erano spesso pie
gati anziché distesi come in FranciaY''' La nuova civiltà dunque non fu
esente da influenze, in quanto quella dei primi occupanti non era del
tutto sparita. C'è da supporre, tuttavia, che i nuovi arrivati fossero, in
un primo tempo, assai numerosi, se furono in grado di diffondere così
rapidamente da un capo all'altro le proprie tecniche e i propri gusti.
Si può valutare la consistenza dei Britanni dalla quantità delle loro
tribù. Sotto l 'Impero Romano si contavano una ventina di civitates, ossia
di tribù britanniche, ognuna delle quali aveva a sua volta, una struttura
composita. La maggior parte erano tipiche della Britannia, e ciò indica
che esse o si costituirono in loco con elementi celtici e indigeni, o giun
sero come corpi sociali costituiti e completi. Nell'uno o nell'altro caso,
bisogna supporre che i Britanni fossero in numero considerevole. Tre
tribù solamente, i Briganti, i Parisii e i Cassi, di cui una occupò la mag
gior parte della contea di York e la contea di Nottingham e un 'altra la
punta della contea di York a nord dell'Humber, lasciarono retroguar
die sul continente. I Briganti venivano dalla Svizzera e dall'Alta Baviera:
Bregenz era anticamente Brigantium. Cambodunum, Kempten, era una
città dei Briganti, i quali fondarono un'altra Cmnbodunum sulla via da
Chester a York. Essi, benché spesso ritenuti una frazione di un popolo,
furono in realtà una delle popolazioni più numerose della Britannia, a
giudicare dalla mappa in cui compaiono i nomi delle loro città. I Cassi
facevano probabilmente parte dello stesso gruppo dei Veliocassi, Vidu
cassi, Baiocassi, Tricassi, da cui prese il nome l'Assia.
La parentela con i popoli continentali della Celtica è attestata dalla
presenza, tra i Britanni, dei Parisii, dei Briganti e dei Cassi, dei quali è
possibile individuare anche la regione di provenienza/2111 avendone essi
conservato le tradizioni. Relazioni e scambi d'ogni genere mantenevano
viva la somiglianza dei Britanni e dei Galli, indice della loro parentela.
Le Isole Britanniche videro sbarcare in una data molto più recente
nuovi invasori celtici, ossia i Belgi che costituivano, nella massa dei Cel
ti, qualcosa di paragonabile ai gruppi dei Goideli e dei Britanni, ma
non dal punto di vista linguistico perché parlavano la stessa lingua dei
Galli, appartenente al gruppo britannico.1�1'
78
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
R Distref/i B elgi n o ti
� Distretti B elg i s upp osti
* A lleati o Va s s o i/i di R o m a
SIL URI A v vers a ri d i R o m a
50 l O O M ig lia �
�===�--;,.;;,; Fro n te dell ' a vanza ta r o m a n o
CARTINA 4. - Carta della Gran Bretagna all'epoca della conguista romana (C.
H.�II'KES e G.C. DUNNING, &lgi di Gallia e Britannia, fig. 33) .
79
CAPITOLO Il
I nomi di luoghi e persona, che sono quanto rimane della loro lin
gua, sono simili o identici ai nomi britannici, e nessun dato linguistico
è intervenuto a distinguere la lingua parlata dai Belgi e dai Britanni,
presso i quali subì la stessa evoluzione, vivendo essi una realtà di vita
comune.
Questa è tuttavia solo una spiegazione parziale, perché da altri pun
ti di vista i Belgi si presentavano come un gruppo coerente e distinto di
popoli che avevano il sentimento della propria unità e di un destino co
mune. Sarà possibile esprimere un giudizio dopo aver valutato i popoli
belgi nel loro insieme e il ritmo dei loro spostamenti. In ogni caso è
certo che sentirono il bisogno d'esprimere la propria unità e autono
mia con un appellativo etnico.
Stando all'opera di Cesare essi cominciarono a fare incursioni in
Gran Bretagna nella prima metà del II secolo avanti Cristo, e i dati ar
cheologici confermano tale data. La comparsa della civiltà di La Tène
II, seguita da quella di La Tène III, può spiegarsi con l'arrivo di una
nuova ondata di coloni.<t!l Si sono trovati nel sud della Gran Bretagna
dei sepolcri a cremazione di La Tène II e di La Tène III, il cui gruppo
più importante è quello di Aylesford nel Kent. Si tratta di pozzetti
profondi circa un metro, che racchiudevano vasi funerari disposti, soli
tamente, in cerchio.
In Britannia le tombe a cremazione sparirono a partire dall'epoca
di La Tène Il. Anche nel sud, il rito dell'incenerazione non fu univer
salmente praticato. Il nuovo rito parrebbe dunque essere un indizio et
nico dei nuovi venuti, per cui sepolcri a cremazione significherebbero
sepolcri belgiY11
Del passaggio dei Belgi forse vi sono altre tracce oltre a quelle da
noi indicate. L'itinerario di Antonino segnala in Scozia un Blatolmlgimn,
probabilmente Blebo o Blathbolg nei pressi di Saint-Andrews. Vedremo
che la vocale iniziale poteva oscillare tra e e o. Si è riscontrato tra i nomi
pitti quello di persona Bolge, vale a dire Bolgios. Nella contea di Aber
deen i nomi di Strathboggie, Strathbolgin, contengono lo stesso elemento
che si riferisce forse ai Belgi, i quali probabilmente, al pari dei Britanni,
si spinsero fin dove poterono.
Ma i Belgi non arrivarono in massa come i Britanni. Giunsero, dice
BO
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
Cesare, con spedizioni militari che furono di fatto vere e proprie razzie:
imprese finalizzate al dominio, come quello di Diviziaco, il cui centro re
stava sul continente, o tentativi ripetuti ma eseguiti con pochi uomini, da
avventurieri alla ricerca di bottino. Non erano parti di nazioni che si spo
stavano, ma eserciti, gli uni costituiti da civitates, gli altri comprendenti
distaccamenti di varie civitates, troppo deboli in massima parte per costi
tuire, quando si insediarono, unità sociali organiche. I popoli restarono
in ç;allia. I Belgi non furono dunque, dal punto di vista della costituzione
etnografica della Britannia, un elemento paragonabile ai Britanni.
Ciononostante, al pari dei Britanni, essi ebbero nell'isola un ruolo
di civilizzatori. Nel momento in cui vi sbarcarono per la prima volta, si
cominciava a diffondere la moneta greca, di cui, senza dubbio, contri
buirono alla diffusione. I!l ogni caso la loro civiltà si espanse come la
precedente e in maniera altrettanto generalizzata.
D'altronde i Belgi non furono i soli Celti a sbarcare in Britannia
nell'epoca di La Tène II e in quella di La Tène III. Uno degli stanzia-
FIGURA 2. - Vasi britannici incisi di Glaston bury (Somersel) .
81
CAPITOLO II
menti celtici più rimarchevoli dell'isola era il villaggio su palafitte di
Glastonbury nel Somerset. La stessa ceramica incisa (figura 2) compare
negli oppida e nei cimiteri celtici del Finistère (Kerviltré, cimitero; Ca
stel-Meur, opjJidum) 12�1 e fu probabilmente importata dalla Bretagna
continentale. Essa documenta, in ogni caso, le relazioni, forse commer
ciali, che interessavano specialmente il sud-ovest dell'Inghilterra, essen
do stata trovata a Hengistbury Head, insieme a monete dei Curiosoliti e
degli Andecavi.
Il villaggio di Glastonbury è, fra i crannogs, il più vasto, il più ricco e
quello meglio ispezionato dagli archeologi. La creazione di questi cu
riosi insediamenti,12''1 costruiti su palafitte o su cassoni di travi assembla
te, riempiti di terra e di pietrame, che riprendevano le palafitte del
l'Europa centrale, senza avere alcuna relazione con esse, dev'essere at
tribuita ai Belgi o ai Britanni? Diffusi in tutta la Gran Bretagna e in Ir
landa, risalgono all'epoca di La Tène, anche se durarono più a lungo, e
con i forti sono la testimonianza della scarsa sicurezza di quei tempi tu
multuosi in cui si completò l' insediamento dei Celti nelle Isole.
Quando i Romani la conquistarono, forse in Britannia c'era già una
popolazione indigena, cioè i Germani. Tacito attribuisce un'origine
germanica ai Caledoni in virtù dei capelli rossi e dell'alta statura. La
motivazione fornita da Tacito non è delle migliori, ma l'arrivo di alcuni
Germani in Britannia al seguito dei Belgi è verosimile, stando al lungo
vicinato di Belgi e Germani e al fatto che questi, come vedremo, si mi
sero in marcia al loro seguito, e proprio nello stesso modo. Tacito po
trebbe aver associato ciò che sentiva dire dei costumi dei Pitti a quanto
aveva scritto sulla famiglia matrilineare dei Germani in Germania. Se i
Pitti partirono dalle coste tedesche del Mare del Nord dopo i Goideli, è
probabile eh 'essi abbiano trascinato con sé dei Germani.
Se l'archeologia della Gran Bretagna dev'essere, come verosimil
mente è, lo specchio delle vicissitudini etnografiche, - se, in altre paro
le, all'arrivo di ciascuna componente della sua popolazione celtica
dev'essere collegata, come noi abbiamo fatto, una fase di civilizzazione,
quale appare dai resti incorporati nel suolo, avendo i Belgi introdotto
la civiltà di La Tène II e III, i Bretoni quella di La Tène I, i Pitti quella
della fine dell'Età del Bronzo - possiamo attribuire ai Goideli solo la ci-
82
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
viltà dell'inizio dell'Età del Bronzo e la responsabilità dell'invasione dal
continente che si produsse allora in Gran Bretagna.
Nelle pagine precedenti si è sufficientemente chiarito che la prima
ondata di popolazione celtica, di cui si trova traccia fino alla conquista
anglo-sassone, non fu respinta da quelle successive. Ciò che ne restava,
incorporato nelle formazioni politiche dei nuovi arrivati, preservò le
usanze funerarie, ossia una parte dei costumi e lo fece così bene che la
regione ha conservato, fino ai nostri giorni, l'aspetto datole da quegli
antichi abitanti. Se il sud dell'Inghilterra, così perfettamente simile alla
costa francese prospiciente, presenta un aspetto tanto diverso, ciò è
senza dubbio dovuto alla persistenza d'una forte componente goidelica
nella popolazione e nella civiltà. Ma i primi invasori non solo consenti
rono ai loro predecessori di rimanere e di ricavarsi uno spazio nel pae
se occupato, ma si servirono anche di qualche apporto della loro civiltà
e alcuni reperti importanti trovati nelle loro tombe attestano ch'essi
avevano attinto inoltre dai popoli occidentali e mediterranei con cui
avevano rapporti. Ma v'è di più e di meglio, ossia una testimonianza
della civiltà mista che si costituì al contatto di dominatori e dominati e
presuppone la loro aggregazione. Si tratta di Stonehenge, il più impor
tante dei monumenti megalitici prodotto dall'ideale religioso dei Goi
deli e della tecnica dei loro predecessoriYh1 L'insieme di un numero
notevole di tumuli rotondi intorno al monumento, le sue trasformazio
ni successive stabilite dagli ultimi scavi, la sua persistente frequentazio
ne fin dopo la conquista romanam1 e, infine, la tradizione antica d'un
tempio circolare del sole presso i Celti dell'Oceano, ci inducono ad at
tribuirne la costruzione ai primi occupanti celtici della Britannia. L'edi
ficazione di Stonehenge presuppone il più alto grado di potenza e di
organizzazione di cui la preistoria abbia lasciato traccia. Si è pensato,
per altro, che il grande numero di tumuli da cui è circondato attesti co
me, per farsi seppellire in prossimità del luogo santo, la gente arrivasse
da lontano. Tali pellegrinaggi funebri presupponevano strade, quali la
famosa "Pilgrim's Way", un notevole prestigio del santuario, un 'unità
territoriale di vasto raggio, qualcosa di simile al grande regno goidelico
della Britannia, la cui tradizione ne conservava il ricordo, pur rinno
vandolo per adattarlo alla nuova cultura.
83
CAPITOLO II
l BRITANNI E I BELGI IN IRLANDA
FIR BOLG, F!R DOMNANN, FIR GA(I)UOIN
I Britanni e i Belgi, come i Pitti, oltrepassarono l'isola di Britannia e
attraversarono il Mare d'Irlanda proseguendo la loro marcia verso ovest.
Tolomeo colloca al sud dell 'Irlanda, uno stanziamento di Briganti, in
corrispondenza della contea di Waterford, immediatamente a fianco,
uno di Menapi, con una città di Menapio, nell'attuale contea di Wexford;
i primi erano Britanni, i secondi Belgi della costa fiamminga. Lo stesso
Tolomeo menziona un 'E1rl8wv aKpov, un promontorio del cavallo, nome
familiare alla toponimia celtica, la cui P, testimonianza innegabile del
britannico, fu trasformata in eh dall'irlandese, Air Erhdi. Dall'altro lato
dei Menapi, più a nord, nella contea di Wicklow, vivevano i Chauci, che
erano Germani'2'1 della costa di Hannover, condotti al proprio seguito
dai Belgi.
Pare che i Menapi si siano spinti in Irlanda prima di loro, perché vi
si trova più tardi un popolo di Monaigh o Manaigh, che si era separato,
un ramo dei quali s'era stabilito a est deii'Uister, verso Belfast, mentre
un altro si era insediato a ovest e la contea di Fermanag ne conserva
ancora il nome. Secondo le genealogie irlandesi arrivarono entrambi
dal Leinster dove s'erano stanziati i Menapi. A sud-est della contea di
Fermanag si trova la contea di Monaghan, il cui nome si spiega forse
nello stesso modo.
L'introduzione in Irlanda della civiltà di La Tène coincide con l'ar
rivo di quei Britanni e di quei Belgi. Le armi, la ceramica, l'arte di La
Tène si imposero in Irlanda come in Britannia. G. Coffey ha supposto,
facendo sua l'ipotesi formulata da Zimmer per i Goideli, che questa ci
viltà sia giunta direttamente dalla Gallia, ':!'11 mentre forse arrivò, e dalla
Britannia, e dalla Gallia. D'altronde due furono gli apporti: uno di La
Tène I, l'altro di La Tène II; il primo verosimilmente britannico, prove
niva dall'isola maggiore, il secondo, belga, arrivava dalla Gallia. Britan
ni e Belgi costruirono in Irlanda, come fecero in Gran Bretagna, dei
rrannogs, la cui estensione corrisponde alla superficie dei loro insedia
menti.
I Fir Bolg, i Fir Domnann e i Fir Gailioin non erano altro che colo-
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L'f$PANSIONE DEl CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
nie di Belgi, Britanni e Galli. Nell'elenco delle tribù assoggettate, essi
rappresentavano gli stranieri tollerati, l'equivalente dei meteci. Se la lo
ro invasione è stata fatta risalire a prima di quella dei figli di Mite, è per
un artificio della letteratura che da questi ha preso il nome. Fir Bolg,
Fir Domnann e Gailioin sono accomunati nel Leabhar na Gadhala e nel
la storia, e di conseguenza ciò che si può dimostrare per l'uno vale per
l'altro e anche per i popoli con i quali costantemente sono associati, co
me i Luaighni.'111' In ogni caso essi sono nell'epopea dei figli di Mite og
getto della stessa riprovazione. Ecco il profilo che ne traccia il Libro delle
Genealogie di Dual Mac Firbis: «Neri di capelli, chiacchieroni, traditori,
spie, gente rumorosa e spregevole; avari, vagabondi, instabili, rudi e
inospitali; schiavi, ladri, zotici; nemici della musica e dei nobili piaceri,
guastafeste, fomentatori di discordia, tali sono i discendenti dei Fir
Bolg, dei Gailioin, dei Luaighni, dei Fir Domnann in Irlanda». Pensia
mo si trattasse dei Belgi e dei Britanni che introdussero in Irlanda la ci
viltà materiale e l'arte plastica, ma i cui modi e costumi probabilmente
apparvero poco raccomandabili ai precedenti abitanti dell'isola. Si può
supporre inoltre che il ritratto non sia esatto, particolarmente per quan
to riguarda il colore dei capelli.
I Fir Domnann, 1111 prendendo il nome alla lettera, erano gli uomini di
Domna, così come i Tuatha Dé Danann erano le tribù della dea Dana,1321
della quale nulla si sa tranne quanto riferiscono le genealogie. Quello
dei Fir Domnann, chiamati anche Domnanid e Domnannaig, può essere
pertanto solo un nome etnico che ha assunto la forma irlandese.
Orbene, una delle principali tribù britanniche era quella dei Dum
nonii1331 che abitavano la Cornovaglia. Ve n'era un'altra con lo stesso
nome a sud della Scozia, tra il Galloway e il Clyde, cui Tolomeo diede il
nome di LlaJ1v6vtot. Dumnonii doveva essere in antico irlandese Dom
nain. Nomi come lnber Domnann, la foce di Domnu, ossia Malahide Bay,
a nord di Dublino, e Irrus Domnann, il ponte di terra di Do negai, o pro
montorio di Donegal, vale a dire il nord-ovest della contea di Mayo nel
Connaught, inducono a pensare a incursioni di Dumnonii sulla costa
dell'Irlanda.
La rassomiglianza dei nomi è una valida testimonianza. Si tratta sì di
Celti, ma appartenenti a un gruppo diverso dai Goideli, ossia di Britan-
85
CAPITOLO Il
11i. Una glossa ci fa sapere che una delle tracce lasciate dai Fir Domnann
erano i pozzi. Se essi provenivano dai dintorni del Devonshire e del Dor
set, regioni con le quali confinava ancora al tempo dell'occupazione ro
mana il loro territorio, si erano certo trovati in luoghi in cui erano stati
obbligati a scavare pozzi nel suolo calcareo per avere dell'acqua.
Un'altra tribù britannica, quella dei Setantii, che vivevano sulle coste
del mare d'Irlanda a sud-ovest dei Briganti e a nord dei Cornavi, fece
probabilmente parlare di sé in Irlanda. Infatti, il più grande eroe del
l'epopea irlandese, Cuchulainn, si chiamava in origine Setanta, nome
straniero, conservatosi nella forma originaria del suo radicale; in irlan
dese, infatti, sarebbe diventato all 'incirca *Séthéta. D'altronde Cuchu
lainn, stando a una tradizione riferita da Dual Mac Firbis, apparteneva a
una tribù suddita, quella dei Tuath Tabairn.
Ecco tre popoli britannici della Gran Bretagna, tutti rivieraschi del
Mar d'Irlanda, dei quali ritroviamo insediamenti o tracce in Irlanda do
ve arrivarono, con ogni probabilità, immediatamente dopo essersi inse
diati nell'isola vicina.
I Gailioin, il cui nome derivava da quello della Gallia e dei Galli,
erano intimamente uniti ai Fir Domnann, avevano lo stesso antenato e
capi in comune. La prova della derivazione del loro nome ci è anche
fornita, insieme con una data, dai due racconti gemelli intitolati Langes
Labrada, la navigazione o l'esilio di Labraid Loingsech, e Orgain Dind
Rig, il massacro di Dindrig. Labraid Loingsech era il nipote del re Lae
gaire Lorc, figlio di Ugaine M6r, assassinato con suo figlio Ailill dal fra
tello Cobthach; Loingsech fuggì. «Egli si diresse verso est, raggiunse l'i
sola dei Britanni, dopo andò presso il giovane popolo dai capelli mac
chiettati che abitano la terra di Armenia e si mise al servizio del re del
luogo••. Si discute molto su cosa fosse questa Armenia. D'Arbois de Ju
bainville ha proposto di leggere Fir Menia, gli uomini di Menia, ossia
del paese dei Menàpi. Ma è il seguito che interessa. «I Gailioin lo nutri
rono durante il suo esilio nella terra di Gall». Egli andò dunque in Gal
lia dopo uno scalo in Britannia e ne ritornò con un esercito di Gailioin,
e col loro aiuto sconfisse Dindrig, vendicando il nonno e il padre.
Gli annali riportano per questa serie di re delle date che oscillano
tra il V e il III secolo a.C., ma il racconto stesso fornisce una data ar-
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L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
cheologica. Si narra che Cobthach, per cogliere il fratello di sorpresa,
finse di essere morto e si fece stendere su un carro con le armi in ma
no. Quando Laegaire si chinò per abbracciarlo, Cobthach ne appro
fittò per ucciderlo. Questo assassinio simula uno dei seppellimenti su
carri da guerra di cui le tombe della Marna forniscono esempi che non
sono successivi al primo periodo dell'epoca di La Tène, ossia al 300
a.C., dimostrando come, prima di quella data, gli usi della civiltà di La
Tène fossero penetrati in Irlanda dove certamente si erano stabiliti Bri
tanni e Galli.
Il racconto potrebbe anche riferirsi all'arrivo dei Menapi, ossia dei
primi Belgi nella contea di Wexford e nel Leinster in cui si svolge tutta
la vicenda. L'omicidio ebbe luogo a Carman, nella contea di Wexford,
e Ding Rig era la residenza principale dei re del Leinster che, per altro,
sembrava essere stato popolato in maggioranza da stranieri, e dove si
erano concentrati i Gailioin, come gli Erainn nel Munster. l Gailioin
costituivano la forza dei contingenti del Leinster e nel grande poema
del ciclo d'Uister, la Tai n bo Cuailnge, vengono avvolti da un 'aura di
prestigio per l'organizzazione militare derivante forse, all'origine, dalla
superiorità delle armi di ferro eh ' essi avevano portato dalla Gallia. Pen
so che quelli della storia di Labraid non fossero Menapi, ma Galli venu
ti dalla Gallia a rinforzare i loro fratelli britannici, così come i Belgi che
essi non dovettero precedere di molto. L'esame di alcuni nomi propri
dei Gailioin o rilevati nel territorio occupato dai Britanni porta alla me
desima conclusione.
Finn Mac Cumhail apparteneva a un clan dei Gailioin, quello degli
Ui-Tarsigh e il nome di suo padre, Cumal, corrisponde a quello del dio
gallico e britannico Camulos, dio dei Remi.
Diverse iscrizioni ogamiche della contea di Waterford ricordano un
personaggio chiamato Neta Segamonas, il cui nome può voler indicare
il campione di Segomo che non era un dio irlandese, e neanche britan
nico, ma gallico. Le iscrizioni, facenti parte di un gruppo, sono state
tutte trovate nella medesima contea, i nomi propri in esse riportati so
no quelli della dinastia degli Eoghanacht di Cashel (i discendenti di
Eogan Mor) che regnavano sul Munster ai tempi di San Patrizio. Neta
Segamonas vi appare come Nia Segamain. C'è da credere, ed Eoin Mac
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CAPITOLO Il
Neill è di questo avviso, che gli Eoghanacht fossero una famiglia di ori
gine gallica, che sarebbe arrivata in quella regione.
Ma il miglior motivo per dubitare dell'origine belga dei Gailioin è
che si distinguevano da quanti li avevano seguiti, i Fir-Bolg. Anche per
costoro i mitologi hanno creato una dea, Bolga, dalla personalità anco
ra più misteriosa di Domnu, e di cui gli etimologisti potevano fare a
meno, perché il senso della parola è chiarissimo. I Fir-Bolg erano gli
uomini dei sacchi. Bolg infatti significa sacco; di bolg, due sacchi, signifi
ca mantici. Secondo Eoin Mac Neill i Fir-Bolg costituivano una delle
classi produttive, quella dei fabbricanti di sacchi. Una leggenda diceva
che, emigrati in Grecia e diventati schiavi, erano obbligati a portare
della terra in sacchi di cuoio e a stenderla su terreni rocciosi. Un 'altra
riferisce che facevano commercio con i paesi orientali dove spedivano,
dentro sacchi di cuoio, terra d'Irlanda, che veniva sparsa intorno alle
città per ammazzare i serpenti. Secondo un'opinione suffragata da Sir
John Rhys e da D'Arbois de .Jubainville, i Fir-Bolg erano i Belgi, nel cui
nome la e poteva aver sostituito una o, presente nel nome del capo gala
ta Bolgios che era, come vedremo, un belga. Una spiegazione non
esclude l'altra e non obbliga a rinunziare all'etimologia proposta in
precedenza. La parola bolg non era specifica dell'irlandese, in quanto
esisteva in gallico. Bulgas Galli sacculos scorteos appellant, scrive Festo. In
gallico, boly ( boia, bot) significa "sacco". È verosimile che il belga posse
desse egualmente questa parola ed è anche possibile che essa abbia fi
gurato nel nome etnico del gruppo. Il suo impiego nella formazione
d'un nome etnico è spiegato in un poema attribuito a Colum Cille, dove
si tratta di jìr i mbalggaib, di uomini dei sacchi, dove i sacchi sono vestiti
e pantaloni. Parimenti in inglese si usa bags (sacchi) per trousers (panta
loni) . Il nome di Gallia braccata, designazione etnica derivata dal vestito
nazionale, rende verosimile l'adozione per i Belgi d 'un etnico dello
stesso tipo. I pantaloni lunghi e larghi che la nostra immaginazione at
tribuisce ai Galli erano quelli dei Belgi. I Galli propriamente detti, abi
tanti nella Gallia Lugdunese, portavano altri pantaloni, raffigurati nei
monumenti gallo-romani, pantaloni corti e aderenti che furono adotta
ti dalle truppe romane. Si trattava delle bracca, le braghe, un tipo di
mutande lunghe fino al ginocchio.
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L'ESPANSIONE DEI CELTI NELLE ISOLE BRITANNICHE
Quanto ai Goideli, essi non portavano per niente i pantaloni, sicché
il costume degli Highlanders è un fedele testimone dell'origine goideli
ca degli Scoti. Il nome dei Belgi era dunque un soprannome etnico e
quello di "uomini dei sacchi" in Irlanda era attribuito ai Belgi. Varrà
forse la pena di esaminare dettagliatamente i nomi dei loro clan. Un
clan di Fir-Bolg era detto dei Clanna Morna, che erano gli avversari di
Cumal e sono ricordati a questo titolo nel più antico poema del ciclo di
Finn. I Clanna Morna erano forse dei Morini del Pas-de-Calais, ossia
anch 'essi Belgi confinanti a nord con i Menapi.
Tutto sommato l'elenco delle tribù non gaeliche d'Irlanda non è in
massima parte un elenco di tribù non celtiche. Esso non fornisce ele
menti che possano consentire un ritratto della popolazione dell'isola
prima dell 'arrivo dei Goideli, ma registra le ondate successive della co
lonizzazione celtica di cui quella dei Goideli fu la prima. Si possono,
però, trarre conclusioni dalla situazione delle colonie galliche, britan
niche e belghe in riferimento ai Goideli. L'arrivo dei nuovi coloni non
cambiò, come in Gran Bretagna, l'equilibrio etnico e sociale dell'isola.
Essi entrarono in un organismo senza trasformarlo e, se giunsero come
conquistatori, non avendo forze sufficienti per imporsi, fallirono ac
contentandosi di essere accolti come servi, secondo quanto racconta la
leggenda di Fir-Bolg.
Non vi furono immigrazioni d'intere popolazioni. Quella dei Bri
ganti, dei Menapi e dei Cauci, avendo costituito insediamenti concen
trati, fu forse la più considerevole. I Dumnoni percorsero le coste d'Ir
landa come bande sparse di pirati e di commercianti. Quanto ai Belgi e
ai Galli, è probabile che i loro gruppi comprendessero elementi di ori
gini diverse. I nomi dei clan, in effetti, sembrano per la maggior parte
nuovi. Potrebbero essere arrivati con gli eserciti, ma è più probabile si
trattasse di semplici bande, verosimilmente composte di soli uomini.
Entrati in Irlanda, quei gruppi di Britanni, Galli e Belgi si sparsero
dappertutto, compiendo incursioni in lungo e in largo. La tradizione
irlandese è piena delle loro prodezze nelle quali campeggiano gli eroi
protagonisti: Cuchulainn, Finn ... Ma, al contrario di ciò che avvenne in
Britannia, gli invasori si fusero con la popolazione irlandese, non costi
tuirono grandi insediamenti indipendenti e furono assimilati dai primi
occupanti celtici.
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CAPITOLO Il
COMPOSIZIONE ETNICA DELL'IRlANDA
I Celti di Britannia si spinsero anche in Irlanda dove si insediarono
in modo stabile e, come vedremo in seguito, ve ne furono altri. A quan
to sembra ogni ondata d'invasori celti, che seguì alle precedenti, e cui
tentò di sovrapporsi, si spinse il più lontano possibile fino a quando non
fu costretta ad arrestarsi. Osserviamo un attimo la carta d'Irlanda ed
esaminiamo lo spettacolo variopinto che essa presenta all'epoca di Tolo
meo (ved. cartina 3). All'estremità sud-ovest si trova lo stato degli h·e rni
che non sono Celti, alla punta nord-est il popolo dei Darini costituisce,
forse anch'esso, un residuo del passato preceltico, sopravvissuto nella
storia dell'Irlanda, ma costretto a spostarsi. Si tratta dei Deirgthene del
Munster che sembrerebbero una tribù di Iberi. A sud-est ci sono le cir
coscrizioni dei Britanni e dei Belgi, ai quali bisogna aggiungere, proba
bilmente, nel Munster, quella dei Gangani, nel cui nome si ravvisano
quelli di Gann e di Genann, ossia dei Fir-Bolg sbarcati nella contea di
Clare alla foce dello Shannon.
La mappa di Tolomeo non ci informa sui Pitti deii'Ulster e delle al
tre regioni, né sui gruppi sparsi di Fir-Bolg, di Dumnoni e di Gailioin
che si trovavano un po' dappertutto. Ma occorre tenerne conto.
Il territorio dei Goideli comprendeva verosimilmente appena la me
tà dell'Irlanda. A dire il vero, i differenti gruppi erano in via di assimila
zione. Un'espressione come Erna Dée Bolgae, gli Erna o Erainn della
dea Bolga, che unisce il nome degli Iverni a quello della dea eponima
dei Belgi, è assai significativa, così come lo è l'assorbimento, da parte
dell'aristocrazia dominante, delle tradizioni appartenenti alle tribù sud
dite. Abbiamo visto che i principali eroi irlandesi, Cuchulainn e Finn,
erano Goideli, facevano cioè parte di quella massa disparata da cui dove
va nascere una nazione che in seguito assorbì anche altre componenti.
L'Irlanda fornisce un'immagine eccezionalmente completa di ciò
che si produsse ovunque si siano stabiliti i Celti: sopravvivenza e incor
poramento di elementi autoctoni, sovrapposizione di elementi celtici,
amalgami di elementi diversi in corpi sociali e politici nuovi, forma fi
nale delle società celtiche. Inoltre, i primi giunti in Irlanda furono gli
elementi organizzatori della società.
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CAI'ITOI.O III
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE
DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO. GOIDEU E BRITANNI
PRESERO PARTE I GOIDEU ALL'ESTENSIONE
DEllA CELTICA CONTINENTALE? LORO TRACCE IN SPAGNA
Nelle pagine seguenti esamineremo come si costituì la Celtica conti
nentale mediante l'estensione a ovest e a sud-ovest della Celtica primiti
va. l Celti incontrarono durante la marcia verso sud-<Jvest gli stessi Iberi e
Liguri in cui si erano imbattuti nelle Isole Britanniche. Ma l'interrogati
vo che sorge subito è quello di sapere se le schiere di colonizzatori com
prendevano gli stessi elementi celtici e se erano composte nel medesimo
modo; sappiamo già che la grande massa era formata da Gallo-Britanni e
da Belgi. V'erano anche dei Goideli e dei Pitti? È un vecchio quesito che
è stato riproposto, ma principalmente in rapporto ai Goideli.
L'ipotesi di Zimmer sui loro porti d'imbarco suppone ch'essi si fos
sero spinti, prima di colonizzare le isole, per lo meno fino alla Loira.
Respingerla, per mancanza di prove, non significa negare che, via ter
ra, essi fossero andati ancora più lontano.
Ma mentre in Irlanda i Goideli si mantennero integri grazie all'iso
lamento, e la loro potenza, la loro sovranità, la loro originalità furono
in larga misura protette dal mare che impedì ad altri Celti d'invaderne
il territorio e influenzarli, non è possibile che sia awenuto lo stesso sul
continente. Se insediamenti o agglomerati in origine goidelici soprav
vissero fino in epoca storica, non è rimasto alcun mezzo per riconoscer
li. Non è il caso di ricercare gli insediamenti scomparsi, ma di racco
gliere le tracce sparse che possono essere state lasciate da loro e, innan-
91
CAPITOLO 111
zitutto, gli elementi atti a dimostrare che il goidelico sarebbe stato par
lato sul continente al di fuori dei suoi luoghi d'origine.
La città di Acci, in Spagna, attualmente Cadice, nella provincia di
Granada, aveva un dio della guerra che si chiamava sia Netos, sia Neto.
Tale culto, documentato da Macrobio,111 da due iscrizioni del Portogal
lo e dell 'Estremadura spagnola, è considerato celtico per diverse ragio
niY' Orbene i Goideli avevano un dio della guerra chiamato Nét, nome
che suppone un antico Netos. Sarà lo stesso dio? La risposta è dubbia,
perché se il Nh irlandese è un nome celtico, sembrerebbe derivare da
una radice nani che compare nel nome della dea gallica Nantosuelta, e
non v'è alcun motivo per pensare che la scomparsa della n davanti a t o
davanti a k si fosse già prodotta al tempo in cui i Goideli, raggiunta l'Ir
landa, avrebbero organizzato spedizioni in un 'altra direzione fino in
Spagna; non c'è neppure motivo di supporre che questo fatto si sia po
tuto verificare parallelamente in due rami di Goideli senza contatti fra
loro dal momento che, diventato regola presso i Goideli d'Irlanda, non
si propagò, né sviluppò indipendentemente presso i Britanni, loro vici
ni più prossimi. Infine non è certo che gli abitanti di Acci, né gli altri
adoratori del Netos iberico fossero Celti.
Per la Francia si possono addurre i dati ancor oggi oggetto di dibat
tito che, se avessero il valore loro attribuito, andrebbero oltre l'oggetto
della presente ricerca e proverebbero che il goidelico in Gallia non era
affatto una lingua morta quando il paese fu occupato dai Romani. Cesa
re non afferma forse, all'inizio dei Commentarii, che le diverse parti della
Gallia differivano tra loro per la lingua? 131 Alcuni studiosi, come Sir
John Rhys, hanno creduto di poter individuare i popoli della Gallia che
erano Goideli, come gli Averni e i Sequani e, dopo di loro, tutti quelli
dello stesso gruppo e dell'Aquitania. Gli uni erano i Celti, gli altri erano
i Galli. Rhys ha riproposto, con questo espediente, la vecchia distinzione
dei due nomi adducendo come prove pochissime parole, per la mag
gior parte nomi propri nei quali in apparenza compare la q antica del
celtico, alcuni derivati da iscrizioni, mentre gli altri sono toponimi.
Il documento principale è il calendario di Coligny, dove si trovano
tre parole apparentemente goideliche: il nome del mese Equos, il mese
del cavallo, che doveva essere epos in gallico britannico; il nome del me-
92
L'ESPANSIONE DEl CELTI SUL CONTINENTE DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO.
GOIDELI E BRITANNI
se Q}ltios o Cutios, spiegato da Sir John Rhys con la parola gallese pyd,
pericoloso, e paragonato al latino Qualio; la parola Quimon per la quale
è stata suggerita *quinquimon ed è stata paragonata ai distributivi latini
bimus, trimus, quadrimus. Il calendario presenta inoltre parole delle qua
li soltanto il goidelico fornirebbe le equivalenti: Ciallos, che sarebbe l'ir
landese cial� totale; lat, seguito da un numero, che potrebbe essere l'ir
landese Uithe, giorno, privo di equivalente britannico.
Avremmo dunque un documento (e di quale valore!) che attesta
l'impiego di parole goideliche in Gallia nel periodo della romanizzazio
ne. Si tratta di sopravvivenze importanti del goidelico nel vocabolario
religioso, oppure di persistenza del goidelico? La zona è la media valle
del Rodano, e anche in questo caso la quasi totalità dei dati in discus
sione è stata raccolta nel sud-est e nel sud-ovest della Francia. Le osser
vazioni fatte sul calendario di Coligny hanno richiamato l'attenzione su
altre testimonianze, in particolare la piastra di piombo trovata a Rom
(Deux Sèvres) , che ha sui due lati un'iscrizione in corsivo latino, e le
formule sparse nell'opera di Marcello di Bordeaux. A poco a poco è
stata raggruppata attorno a questi documenti la metà delle iscrizioni
galliche. Che valore hanno tali dati? Non v'è motivo per credere né alla
piastra di Rom, né alle formule di Marcello di Bordeaux, trattandosi di
testi gravemente alterati, ma occorre prendere in esame la testimonian
za del calendario di Coligny.
Coligny apparteneva al territorio degli Ambarri, o forse a quello dei
Sequani. A Géligneux, neii'Ain,1'1 vicino a Coligny, è stata trovata un'al
tra iscrizione che dimostra chiaramente come in questo paese si parlas
se la stessa lingua in uso nel resto della Gallia, vale a dire il britannico.
Si tratta di un 'iscrizione funeraria latina in cui compaiono parole galli
che. Un certo M. Rufo Catullo, curat(jr dei navigatori del Rodano, si co
struì una cappella funeraria e ne garantì il culto, istituendo una fonda
zione che provvedeva inoltre alla celebrazione periodica d'un banchet
to funerario. «Et ad cenam omnibus tricontis ponendam (denariorum bino
rum) in perpet ( uum) , sic ul petrudecameto consumalur••. Ciò significa
che il pasto funerario doveva avvenire il quattordicesimo giorno di ogni
mese di 30 giorni. Tricontis è il dativo di una parola che significa 30, nu
mero cardinale, il cui nome era in bretone tregont, in antico irlandese
93
CAPITOLO ID
tricha, gen. trichat (=tricos, tricontos) . Petrudecameto è un numero ordi
nale e significa quattordicesimo, ma è un numero cardinale britannico.
In un paese di lingua goidelica si sarebbe scritto quadrudecameto. Si trat
terebbe, tutt'al più, per quanto riguarda il calendario di Coligny, di re·
sti in uno specifico vocabolario. Lo stesso calendario contiene parole
britanniche riconoscibili dall'uso della p : prinni;1'1 petiux,\"1 ma i goideli
smi in esso presenti sono dubbi perché il buonsenso impedisce di pen
sare che una lingua scritta raramente abbia potuto conservare nell'or
tografia di certe parole i suoni che non pronunciava più. È probabile,
al contrario, che la q, presa a prestito nel gallico dall'alfabeto latino, vi
rappresenti altri fonemi diversi dalla velare del vecchio celtico.
J. Loth suppone che le parole in questione siano parole composte
nelle quali la q non rappresenta una semplice lettera e dev'essere scom
posta in co-w. Queste fusioni di suoni non sono prive di esempi.171 Se
scomponiamo equos si libera un elemento ek. Orbene, equos corrisponde
a febbraio; nel calendario irlandese il mese di febbraio comincia con
una grande festa chiamata oimelc, parola spiegata nel glossario di Cor
mac. È il mese in cui alle pecore viene il latte, e ciò fornisce la chiave
per capire l 'elemento ek. Eko potrebbe essere l'equivalente celtico di
peku, pecus, con la caduta della p iniziale. Un equivalente di pecus esiste
va in celtico, limitatamente alla lingua religiosa, ed è rappresentato dal
nome proprio Eochaid che corrisponde al sanscrito fJaçu-pritih.
Il mese equos non sarebbe il mese del cavallo, ma un mese che fa ri
ferimento alle greggi di pecore. Loth ha paragonato la parola quimon a
quigon, "cognomen" d'un cittadino di Treviri, che si scompone in * co-ui
gon, compagno di strada, gallese cy-waith, collaboratore.1"1 Quanto a Qu
tios, la sua ortografia non è certa ed è più sovente scritto Cutius. Tra tut
te le ipotesi avanzate per spiegare i tratti oscuri del calendario di Coli
gny, quelle che vi ricercano i termini goidelici sono fra le meno proba
bili.
Nello stesso modo Loth ha spiegato il nome dei Sequani che ha
creato problemi ai celtisti, i quali di volta in volta ne hanno fatto un no
me ligure, iberico e goidelico. Egli considera il nome della Sequana, da
cui deriva il loro, come un tema complesso scomposto in Seko-uana o
Seko-ouana. Il nome dei Sequani sarebbe goidelico solo in apparenza e
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L'FSPANSJONE DEI CELTI SUL CONTINENTE DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO.
GOIDELI E BRITANNI
non potrebbe essere altrimenti perché i Sequani parlavano il britanni
co almeno dal tempo in cui fondarono la città di Epamanduodurum sen
za averlo modificato.
Altre parole riscontrate nel sud della Gallia inducono a ulteriori ri
flessioni. Tale è il nome proprio Koua8pow{a, che si legge su un'iscrizio
ne trovata a Ventabren, alle foci del Rodano. È un nome di tipo nume
rico (come Sexlus) , equivalente all'umbro Petronia. La sua forma gallica
sarebbe Petronia, ma si è certi che il nome sia celtico? I nomi Quiamelius
(Antibes) e Quariales (Queyras) lo sono di più?
Questi nomi non possono essere scartati come lo sono stati i prece
denti, ma occorre sottolineare che erano localizzati nel sud-est del pae
se dove i Galli arrivarono piuttosto tardi e dov'era rimasto un substrato
di popolazione indigena, ossia i Liguri. Che i Goideli \� siano penetrati
molto presto, spingendosi più lontano dei Britanni è poco probabile.
Le parole in questione hanno dunque scarse possibilità d'essere goide
liche, ma possono essere liguri, appartenenti alla lingua di gruppi misti
Celto-Liguri, come i Salii dei dintorni di Marsiglia, che si formarono
nella regione. C'è da credere che nella loro lingua si trovassero ele
menti dei due popoli, oltre a nomi propri liguri, correttamente pro
nunciati. Ciò vale anche p�r il nome dell'Aquitania. Un curioso brano
di Plinio sembra indicare ch'essa fosse chiamata Aremorica.'�> Il nome,
in celtico, significa contrada vicina al mare (are, mor) . Il nome dell'A
quitania potrebbe aver significato la stessa cosa in una lingua che desi
gnava l'acqua, o il mare, con una parola avente la forma del latino
aqua, e tale lingua era forse il ligure. È normale che la parte della Gal
lia in cui gli indigeni erano rimasti distinti fino alla conquista romana,
abbia preso il nome da una lingua non celtica, ma i sostenitori dell'in
vasione del continente da parte dei Goideli non la pensano così. Noi,
comunque, non li seguiremo.
Da tutte le iscrizioni comprensibili della valle del Rodano, da tutte
le parole che presentano anomalie dal punto di vista celtico, parole rag
gruppate attorno a dati forniti dal calendario di Coligny, Sir John Rhys
ha ricavato la testimonianza d'una lingua, il celtican, che è contempora
neamente ligure e goidelica. Egli identifica Goideli e Liguri e in tal mo
do attribuisce ai Goideli della Gallia una sostanziale realtà: i Liguri
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CAPITOLO III
avrebbero così parlato una lingua celtica, il goidelico, e formato la pri
ma ondata di Celti che si sarebbe mossa verso l'Europa occidentale e
meridionale. Bisognerebbe estendere il dominio dei Celti su tutto il ter
ritorio ligure, ma anche poter spiegare come celtiche tutte le particola
rità del linguaggio rivelate dai nomi liguri e da quelli di tipo ligure, e
per questo inventare un preceltico che oltrepassasse il pregoidelico. Nel
voler estendere così i confini del celtismo, si finirebbe col cancellarli.
Una delle argomentazioni è fornita dal nome del dio Segomo. Le
iscrizioni dimostrano che il culto di questo dio, l'equivalente di Marte,
si estendeva da Nizza alla Costa d'Oro. Noi l'abbiamo già incontrato:
nelle iscrizioni agamiche della contea di Waterford compare tre volte il
nome proprio Netta Segamonas, campione di Segomo. Inoltre, il nome
di Segomo è accostato a quello dei Segobriges, popolazione delle Alpi ri
tenuta ligure. L'Irlanda e il sud-est della Gallia avrebbero avuto un dio
comune il cui nome conterrebbe un elemento presente anche in quel
lo di una tribù stanziata nella parte della Gallia dove vengono situati i
Liguri. Benissimo. Ma proprio la contea di Waterford era popolata da
coloni gallici. L'ipotesi di un celtiran che identifica Goideli e Liguri è
inutile come quella che vede, nei Liguri, degli l taio-Celti indivisi.
Non rimangono quindi tracce linguistiche certe di goidelico in Gal
lia, né negli altri territori della Celtica. Se vi furono dei Goideli, essi
non hanno lasciato alcun indizio sicuro della loro presenza, anche se
da ciò non ne consegue che gli antenati o i cugini germani dei Goideli
non vi si fossero diffusi. Non risulta soprattutto che il vecchio celtico
non fosse parlato in quella regione prima della metamorfosi della sua
velare. Sono due questioni che si intrecciano e che vorremmo tener di
stinte. Risposte congrue e separate possono essere date solo utilizzando
altri argomenti, diversi da quelli etnografici.
LA FRANCIA E lA SPAGNA ALL'INIZIO DELL'ETÀ DEL BRONZO
LA CIVILTÀ DI EL ARGAR ERA CELTICA?
Si può azzardare l'ipotesi che, nell'archeologia della Francia e della
Penisola Iberica, niente corrisponda all'invasione dei costruttori di tu-
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L'FSPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO.
GOIDEU E BRITANNI
muli rotondi in Inghilterra, tumuli in cui si trovano bicchieri campa
niformi, in grande quantità, ma di modello antico, tipici dei monumen
ti megalitici. Forse vi sono ancora degli studiosi i quali pensano che
questa tecnica di costruzione si propagò dal nord scandinavo o tedesco
verso il mezzogiorno mediterraneo, ma da molti anni nessuno si azzar
da più a vedervi l'opera dei Celti. Non esistono indicazioni archeologi
che dei loro spostamenti lungo le coste occidentali dell'Europa prima
della tarda Età del Bronzo; e se l'invasione dei Goideli in Gran Breta
gna ha, come traccia, la civiltà caratterizzata dai tumuli rotondi, in par
ticolare da tombe e vasi, si deve concludere che essa fu limitata all'arci
pelago britannico. Ma le testimonianze archeologiche sono incomplete.
Louis Siret, uno dei fondatori dell 'archeologia preistorica in Spa
gna, sostiene che i Celti vi arrivarono pressappoco nello stesso tempo
(Età del Bronzo) , via mare, e aggiunge inoltre che essi vi importarono
il bronzo dalla Boemia, benché fossero giunti seguendo una rotta ma
rittima dopo uno scalo nelle Isole Britanniche, non esistendo alcuna
traccia del loro passaggio via terra. Essi avrebbero fondato in Spagna,
come in Inghilterra, una colonia di artigiani del ferro.
Siret attribuisce loro una serie di stazioni raggruppate nella provin
cia di Almeria, tra cui quella classica di El Argar. Insediamenti simili si
.
trovano dalla Catalogna al Portogallo, dove sono collocati in altura, for
tificali, e privi di cimiteri separati dalla città. Le tombe erano in mezzo
alle case, talvolta persino al loro interno. In ciò esse differivano consi
derevolmente dalle città precedenti, caratterizzate da cimiteri con mo
numenti megalitici, come Los Millares, Fuente Vermeja, ecc.
Le case e le tombe hanno fornito reperti molto vari, fra cui nume
rosi oggetti di rame e bronzo. Il metallo era subentrato alla selce nell'u
tensileria. I pezzi più caratteristici sono le alabarde, che abbondano in
Irlanda e di cui alcuni esemplari sono stati rinvenuti nella Germania
del nord, attraverso la quale Siret fa passare la strada seguita dai colo
nizzatori della Spagna.
Siret ha paragonato le tombe di El Argar a quelle della Boemia del
l'inizio dell'Età del Bronzo, appartenenti alla civiltà detta di Unetice. Si
tratta di ciste, alcune costruite con lastre squadrate con cura, nelle qua
li il morto veniva deposto piegato, oppure di grandi urne, qualche voi-
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CAPITOLO III
ta utilizzate per due salme, poste faccia a faccia. Le tombe sono simili.
Siret ha compilato una tabella degli arredi dove esiste una forte somi
glianza non solo fra gli oggetti metallici, ma anche fra le ceram iche.
,
Egli insiste in modo particolare sulla somiglianza delle forme carenate,
dal profilo spezzato, e delle coppe con base. Inoltre tale ceramica è ne
rastra come quella dell'Europa centrale.
Siret pensa che la Boemia, provvista di stagno grazie ai giacimenti
dell'Erz Gebirge e a quelli della vicina Lusazia, sia stata uno dei centri
della civiltà del bronzo; eh' essa svolgesse il ruolo di dispensatrice nei
confronti dei paesi che potevano esserne sprovvisti, come si suppone
fosse stata la Spagna, le cui miniere di stagno furono scoperte più tardi;
e che le popolazioni nei cui territori si trovava abbondanza di metalli
(si trattava, secondo lui, dei Celti) siano state indotte a conquiste, im
prese e avventure.
L'epoca di U netice è coeva al periodo in cui gli invasori della Gran
Bretagna, probabilmente goidelici, cominciavano a raggiungere l'Irlan
da. Ma è molto dubbio che la civiltà di Unetice fosse celtica, e lo è an
cor più che lo fosse quella di El Argar, ipotesi vivacemente avversata. Le
somiglianze presenti in quelle civiltà non hanno il significato che è sta
to loro attribuito. Déchelette chiama cuginanza ciò che per Siret è filia
zione. El Argar e l!netice hanno percorso due strade diverse che parti
vano dall'est mediterraneo, dove esistevano i prototipi dei loro riti fu
nebri e della loro tecnologia. La diffusione delle alabarde, rievocata
per ritracciare il cammino dei pretesi Celti, non è quella ipotizzata da
Siret. L'alabarda fu impiegata in Italia ed è incisa sulle rocce della Valle
delle Meraviglie. Essa venne impiegata in Ungheria, donde può essere
giunta in Italia, mentre a quanto sembra non esisteva in Boemia. D'al
tra parte le alabarde tedesche differiscono molto da quelle irlandesi e
iberiche. Esse sono dotate di manico formato da una ghiera di metallo
sulla quale è ribattuta la lama. In Irlanda e in Spagna la lama era fissata
direttamente sul legno e sono questi probabilmente i modelli più anti
chi. Le somiglianze tra la civiltà delle Isole Britanniche e quella della
Spagna si spiegano facilmente con il commercio dei Tartessi. Al contra
rio le loro differenze, per altro assai evidenti, si spiegano con difficoltà
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L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO.
GOIDELI E BRITANNI
se si ammette che le due regioni siano state colonizzate pressoché nello
stesso periodo e dalle stesse popolazioni.
D'altronde, però, è difficile immaginare che i Celti abbiano potuto
stabilire allora delle colonie in contemporanea nelle Isole Britanniche
e in Spagna. È sufficiente rammentare quale estrema difficoltà si abbia
nel determinarne e interpretarne le tracce nell'archeologia dei loro
paesi d'origine, alla fine del Neolitico o all'inizio dell'Età del Bronzo,
trattandosi di tracce sfuggevoli e incoerenti. Ciò significa che i Celti
non avevano ancora conseguito l 'unità nel loro primo habitat, dove
erano i più forti, ma forse non i più numerosi. Non erano, in ogni caso,
popolazioni abbastanza omogenee e coscienti di sé per poter creare
una civiltà unica e autonoma ma, essendo popoli giovani e forti, furono
in grado di spingersi in regioni lontane. Molte volte nella preistoria si
incontrano a grandi distanze resti identici di piccolissimi insediamenti
che devono spiegarsi in tal modo. Le avventure dei Normanni nell 'XI
secolo ripetono numerose imprese anteriori, ma per fondare vasti inse
diamenti stabili accorrevano altre condizioni, in particolare un numero
rilevante di individui.
I Goideli, all'inizio dell'Età del Bronzo, avevano già una consistema
tale da potersi insediare in maniera duratura nelle Isole Britanniche,
ma non per poter fare altrettanto in Spagna'1"1 e neppure in Francia.
LE SPADE DI BRONZO A CODOLO PIATTO IN SPAGNA E IN FRANCIA.
PITII E PITIAVI
Ma non è possibile che i Goideli siano arrivati più tardi? Esaminia
mo i fatti e cerchiamo di capirli. L'epoca successiva all'Età del Bronzo,
dopo l'avvento della civiltà di El Argar, ha lasciato pochissime tracce in
Spagna. Si sono trovate delle asce, alcune di tipo mediterraneo, altre
apparentate a tipi francesi o delle Isole Britan niche, ma gli oggetti in
bronzo sono scarsi.
Solo alla fine dell 'Età del Bronzo comparve una serie di spade,
quelle a codolo piatto, la cui impugnatura in due pezzi era ribattuta
sulla linguetta che prolungava la base della lama. Il numero di tali spa-
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CAPITOLO lll
de è cresciuto considerevolmente nel l 923, grazie al dragaggio del por
to di Huelva. La draga ha raccolto in uno stretto spazio più di 1 50 fra
armi e oggetti di bronzo, fra cui un buon numero di spade, oggetti che
probabilmente costituivano un carico andato perduto. Ma la nave aveva
caricato a Huelva o vi aveva fatto scalo per scaricare? L'interrogativo è
importante per l'interpretazione di questo tipo di spada in chiave etno
grafica. Huelva si trova nella regione del rame e vicino a Rio Tinto. Era
forse il centro di distribuzione delle spade a codolo piatto, ritenute fi
no a oggi di origine settentrionale? Non è così. Gli esemplari spagnoli
sono in effetti modelli recenti, compresi quelli di Huelva, a impugnatu
ra concava, ribaditura doppia e incavatura alla base della lama. Se furo
no fabbricate a Huelva si tratta di imitazioni. L'insieme dei reperti è
per altro composito e con le spade del nord sono state trovate fibule
italiche. Se appartenevano a un carico, poteva essere solo quello di una
na\'e cabotiera, che costeggiava le rive del Mediterraneo occidentale e
dell 'Atlantico. Ma v'è nella comparsa di questa serie di spade qualcosa
di improwiso, di imprevisto, che invita a interpretarle come indizio,
sfortunatamente del tutto insufficiente, della presenza di un elemento
etnico nuovo. Le spade spagnole arrivavano dalla Francia dove ne furo
no rinvenute di più antiche e in abbondante quantità.
Nel deposito di un fabbro di Petit-Villatte (Cher) , è stata rinvenuta
un'elsa in bronzo fuso d'un tipo diffusosi da Danzica fino in Slesia. Lo
stesso deposito comprende un frammento di lama che doveva adattarsi
a una simile impugnatura. Vi si sono trovati parimenti due frammenti
di quelle curiose scatole di bronzo fabbricate nella seconda metà del
l'Età del Bronzo in prossimità degli stretti scandinavi. Quella di Petit
Villatte non è delle più recenti, risalendo al quarto periodo dell'Età del
Bronzo.
Una scatola simile è stata trovata nella palafitta di Corcelettes, sul la
go di Neuchatel, che ha anche restituito due fibule a dischi simmetrici
e a spille indipendenti. Della stessa regione sono gli oggetti d'oro, ossia
vasi e braccialetti del tesoro di Rongères (AIIier) che comprende un ti
po di braccialetto, le cui estremità si dividono in due corni ritorti a spi
rale, fabbricato in bronzo in Boemia nel secondo periodo dell'Età del
Bronzo e poi riprodotto persino in Svezia. I vasi sono decorati con i cer-
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L'ESPANSIONE DEl CELTI SUL CONTINENTE DURANTE L'ETÀ DF.L BRONZO.
GOIDELI F. BRITANNI
chi concentrici che adornano anche le più recenti scatole di bronzo so
pra menzionate, la cui origine può essere desunta dal modo in cui sono
distribuiti. I tesori notevolmente più importanti sono quelli di Mes
singwerk, presso Eberswalde, nel Brandeburgo, e di Boeslunde in Dani
marca. Un grandissimo numero di reperti era raggruppato a nord di
una linea comprendente la Vestfalia, la Bassa Sassonia, una parte del
Brandeburgo e il Meclemburgo, con densità massima nello Jiitland e
nelle isole. Un altro vaso della stessa origine, trovato a Villeneuve-Saint
Vistre (Marna) , è quasi identico a un vaso scoperto a Werder sull'Havel
(Brandeburgo) .
A parte le spade, i pezzi enumerati sono rari e danno l' impressione,
nell 'insieme delle scoperte regionali, d'oggetti stranieri. In etnografia,
però, non tutti gli oggetti hanno la medesima importanza perché il loro
uso implica rappresentazioni che non interessano allo. stesso modo la
coscienza dei gruppi umani. Una società di solito cambia più veloce
mente le sue mode in materia di vasellame o d'armamento che non in
materia di religione o riti funerari, essendo essa più esposta a lasciarsi
sedurre dalle coppe per bere straniere che dagli idoli. Ora, tra gli og
getti d'or-o dello stesso stile dei vasi di Rongères scoperti in Francia, fi
gura un idolo o un frammento d'idolo, conosciuto sotto il nome di "Fa
retra d'Avanton" (Vienne) . Un oggetto simile, ma più completo, il "cap
pello" di Schifferstadt è stato trovato nel Palatinato, sulla riva sinistra
del Reno. Sulla tesa del "cappello" erano state poste due asce di bronzo
a codolo. Una identica testimonianza, anch'essa fiancheggiata da due
asce, è incisa su una delle lastre del monumento di Kivik (Scania) dove
le altre lastre sono coperte di soggetti o simboli religiosi. Sono evidente
mente dei betili e ricordano quelli rinvenuti in Spagna, a Los Millares,
nella zona dei monumenti megalitici. Ma è difficile ammettere ch'essi
siano giunti, in quel periodo, da sud-ovest nel Poitou e nella valle del
Reno; si deve credere che, sotto forma del "cappello" di Schifferstadt e
della "faretra" d'Avanton, il betilo si sia spostato da nord-est a sud-ovest;
è improbabile che quegli idoli siano stati portati da mercanti. Essi van
no riferiti a un culto e a un gruppo d'uomini che lo praticarono prove
nienti dal Poitou, dalla valle del Reno, e anche al di là.
Si è dunque raccolto, in Francia e nell'Europa occidentale, un cer-
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CAPITOLO III
to numero di oggetti che risalgono alla fine dell'Età del Bronzo, e tra
essi uno di primaria importanza, il cono di Avanton, oltre a una serie di
spade di grande interesse, i cui prototipi sono stati rinvenuti nel punto
di congiunzione tra i paesi celtici e quelli germanici.
Questi dati possono essere interpretati come quelli analoghi venuti
alla luce nelle Isole Britanniche. Siamo obbligati a richiedere a dati ar
cheologici, che potrebbero avere un altro significato, di rappresentare
apporti che ci furono realmente senza però lasciare traccia visibile. Tali
testimonianze in Francia, e successivamente in Spagna, documentano
un arrivo tardivo dei Goideli?1111 Non essendo nostra intenzione inter
pretare in tal modo i dati corrispondenti nelle Isole Britanniche, siamo
costretti a considerarli un indizio dell'arrivo dei Pitti, e non abbiamo
nessuna remora nell'avvicinare il loro nome a quello dei Pittavi. Pur
consapevoli della povertà degli indizi di cui disponiamo per giungere a
questa conclusione, non abbiamo nulla da obiettare nel considerare il
popolo dei Pittavi come uno di quelli stabilitisi più anticamente sul ter
ritorio della Gallia da cui poi si sarebbero spinti sino in Spagna.
l CELTI BRITANNICI DEllA GERMANIA MERIDIONALE
NELL' EST DEllA GAlliA. TUMUU DELL'ETÀ DEL BRONZO
Durante l'Età del Bronzo, però, si verificarono nella parte orientale
del territorio francese dei fatti, il cui carattere etnografico è molto chia
ro, che continuarono nell'epoca di Hallstatt nel Giura dove si iniziò a
seppellire i morti sotto i tumuli. Non si trattava più di tumuli che rico
privano camere funerarie, ma di tumuli costruiti sopra una cista, una
sorta di bara di lastre, un "loculo" di pietre assemblate in modo più o
meno grossolano, o semplicemente sopra i resti del morto che in quel
periodo veniva inumato in posizione supina.
Gli oggetti trovati in queste tombe sono dello stesso tipo di quelli ri
venuti, in condizioni differenti, nelle tombe del Vallese, nella regione
delle Cevenne, dove per esempio il dolmen di La Liquisse (Aveyron)
ha fornito le stesse spille trilobate del tumulo di Clucy (Giura), spille
che figurano nell'inventario archeologico della Germania del sud. La
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L'ESPANSIONF. DF.I CF..LTI SUL CONTINF..NTF.. DURANTF.. L'ETÀ DF..L BRONZO.
GOIDF..LI F. BRITANNI
distribuzione degli oggetti in bronzo, generalmente rinvenuti sulle rot
te degli scambi e non dentro la cerchia degli insediamenti sul territo
rio, non ha di fatto valore etnografico.
I riti funebri hanno un significato del tutto differente. Quel tipo di
sepoltura, nuovo per la Francia, era invece praticato nella Germania
centrale durante il periodo indefinito che alcuni fanno risalire al Neoli
tico, altri all'Età del Rame, altri ancora a quella del Bronzo. I bicchieri
con impressioni a cordicelle sono stati trovati per lo più nei tumuli, sot
to i quali i morti erano deposti supini, quando non erano cremati. È
dunque in Germania che occorre cercare l'origine delle nuove mode
funerarie e il punto di partenza di coloro che le importarono. Anche
nel nord della Svizzera, tra I'Aar e il Reno, sono stati individuati e scava
ti tumuli risalenti all'inizio dell'Età del Bronzo, se non addirittura al
Neolitico, ma essi rappresentano ancora uno sconfinamento delle po
polazioni della Germania nel territorio dei costruttori di palafitte.
È difficile valutare l'importanza di tale movimento verso occidente.
I tumuli che, grazie alla presenza di oggetti databili, possono essere fat
ti risalire al primo periodo dell'Età del Bronzo sono pochissimi. Gli sca
vi metodici nei dintorni di Salins ne portano alla luce, ogni anno, due
o tre nuovi. Ma intorno a tali tumuli, cui si può attribuire una data, ve
ne sono migliaia per i quali è impossibile farlo perché, contenendo so
lo qualche frammento di selce o di asce levigate e cocci informi, posso
no essere collocati tanto nel Neolitico, quanto in epoche più recenti.
La scoperta di una spilla di bronzo in un tumulo facente parte d'un
gruppo deve bastare per datare il gruppo intero; la prossimità d'un in
sediamento di data certa fornisce anche per gli altri l'indicazione ri
chiesta.
Se ciò vale per i dintorni di Salins, si ha evidentemente il diritto di
cercare tumuli di tale epoca in mezzo agli innumerevoli esemplari della
provincia di Namur, che sono stati di preferenza ricollegati alla serie di
Hallstatt, o più a sud tra i tumuli senza arredo funerario del gruppo di
Haulzy, della Penborn, di Grossblitterstoff, come tra quelli del gruppo
della Naquée, presso Clayeures (Meurthe-et-Moselle).1 1 21 Ciò basta a rap
presentarne molti altri e a spiegare come i costruttori di tumuli che dal
la Turingia raggiunsero il Reno si siano espansi, nel primo periodo del-
1 03
CAPITOLO III
l'Età del Bronzo, su un vasto territorio al di là della riva sinistra del fiu
me, in Svizzera, Franca Contea, e Belgio, senza aver lasciato traccia nel
le loro sepolture, d'altra parte inadatte alla conservazione degli oggetti
funerari, degli arredi che li caratterizzavano in Germania.
Si deve forse a una migliore tecnica di costruzione dei tumuli, al ca
suale cammino d'un piccolo gruppo meglio prowisto, se si sono con
servati in Britannia alcuni vasi, a una o a due anse, la cui decorazione
orizzontale li ricollega a quelli del tipo di Adlerberg? Solo la distanza fa
esitare a riconoscerne la parentela. Due di tali vasi erano le urne di una
tomba a incenerazione, altri due si trovavano nel tumulo a fianco di
scheletri supini, uno dei quali era chiuso in una bara di legno. Tali tu
muli, oltre a essere assai diversi dai round-barrows d'Inghilterra, sia per i
riti funebri di cui sono la testimonianza, sia per il vasellame eh' essi con
tengono, lo sono anche dai tumuli tedeschi che ci hanno restituito vasi
a zone, perché i morti vi erano disposti sul fianco e piegati. Per i loro ri
ti funerari essi presentano analogie solo con i tumuli della Sassonia,
della Turingia e del territorio renano dove sono stati trovati vasi deco
rati a cordicella e dove oltre a corpi cremati ne sono stati rinvenuti altri
inumati. La civiltà che essi rappresentano contribuì a formare quella di
Adlerberg. Orbene, avendo considerato la società corrispondente co
me il nocciolo attorno al quale s'erano formati i Celti britannici non bi
sogna forse concludere che furono loro ad aver compiuto una rapida
avanzata fino in Britannia dopo essersi mossi più lentamente, ma su un
largo fronte, dal Belgio alla Svizzera?1111
Alcuni tumuli del Giura e molti di quelli privi di arredo funerario
sono stati attribuiti al secondo periodo dell'Età del Bronzo. In ogni ca
so, di fronte al piccolo campo di Mesnay, donde si domina Arbois,
(campo che verosimilmente è un insediamento di tale epoca) dal terre
no spuntano numerosi piccoli tumuli senza arredo che erano forse le
tombe degli abitanti del sito o di quelli confinanti. D'altronde, il secon
do periodo dell'Età del Bronzo sembra essere stato molto tormentato,
come dimostra la scoperta di grotte-rifugio pressoché inaccessibili, si
mili a quella scavata nella falesa sovrastante la sorgente del Liron a
nord di Salins. In quelle grotte, cui si poteva accedere con scale di cor
da, si sono trovati focolari risalenti a un periodo durante il quale gli oc-
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L'FSPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE DURANTE L'ETÀ DEL BRONZO.
GOIDELI E BRITANNI
cupanti della regione, chiunque essi fossero, dovevano proteggersi in
ritiri ben difesi dai loro nemici.
Il terzo periodo dell'Età del Bronzo della Germania occidentale,
chiamato dagli archeologi renani l'epoca dei tumuli, fu il periodo del
l'unificazione. I tumuli si moltiplicarono ugualmente in Francia e la lo
ro area d'estensione si allargò, anche se, almeno all 'inizio, furono eret
ti principalmente nei dipartimenti dell'est, fra i quali quelli di Lorena,
di Borgogna e della Franca Contea sono stati meglio esplorati, rivelan
dosi più ricchi. Le sepolture come la famosa tomba di Courtavant nei
I'Aube, assomigliano esattamente a quelle dell'altra riva del Reno. Le
varie tecniche di costruzione dei tumuli sono comuni alle due regioni,
sia che si tratti d'una fossa quadrangolare con muro in pietra, come la
tomba di Courtavant, oppure d'una piccola volta di pietre non squadra
te che copriva la salma. Ma gli arredi e gli ornamenti dei morti sono gli
stessi, e fra essi ve ne sono alcuni, quali il braccialetto con le estremità
arrotolate, provenienti dall'esterno della Germania, la cui origine deve
essere ricercata nella ricca produzione della regione ungherese.
Alla fine di tale epoca, o durante il quarto periodo dell'Età del Bron
zo, i tumuli si trovano un po' più lontano rispetto ai primi due periodi,
ad eccezione di quelli della punta armoricana che abbiamo descritto
poco fa. Verso sud, essi arrivano fino alla Lozère, e a nord fino aii'Hau
te-Marne.
D'altra parte, le pratiche funerarie si modificarono parzialmente: i
morti, prima di essere interrati sotto i tumuli venivano bruciati anche
se ciò non sempre accadeva. La pratica dell'incenerazione sembra esse
re venuta dallo stesso paese da cui fu importata l'usanza dei tumuli, in
fatti si diffuse nel territorio celtico della Germania, prima di raggiunge
re la Francia.
Certamente non tutto ciò che giungeva allora in Francia dall'altra
sponda del Reno, però, era celtico. Si conoscono cimiteri a incenera
zione privi di tumuli e risalenti a tale epoca, come quelli di Pougues-les
Eaux e d'Arthel, nella Nièvre, e di Dompierre, neii'Allier. In tali cimite
ri sono stati rinvenuti vasi tipici di regioni lontane, vasi fatti con cura, al
tornio, di ceramica fine, decorati con scanalature orizzontali, verticali
od oblique, con bozze circondate da scanalature. Cimiteri simili, con lo
1 05
CAPITOLO III
stesso vasellame, si trovano più numerosi sull'altra riva del Reno,l141 ma
anche molto più a est, fino in Polonia, e contengono ceramiche dette
di Lusazia, assai diffuse in Francia, dove furono importate o fabbricate
persino in Dordogna e nell'estrema Bretagna.
Gli stanziamenti celtici di Germania e Francia orientale non erano
ancora così fitti da non lasciare spazi attraverso i quali altri popoli po
tessero introdursi, come dimostra la ceramica del tipo di Lusazia porta
ta da stranieri che procedevano verso occidente, venuti da più lontano
dei Celti. Questa ipotesi forse consente di trovare la chiave del proble
ma posto dall'identificazione del nome dei Veneti del Baltico, del Po e
dell'Armorica.0'1 Si trattava in ogni caso d'uno dei numerosi gruppi mi
grati in epoca preistorica o storica, nomadi o seminomadi, che contri
buirono alla formazione delle società nelle quali si fusero gruppi ormai
in apparenza scomparsi, a eccezione dei Gitani che resistettero all'assi
milazione. Dal momento che conosciamo male anche i fatti della no
stra società non possiamo pretendere di sviscerare gli eventi della prei
storia.
Alla fine dell'Età del Bronzo, l'area di diffusione delle spade a lin
guetta ricopriva e delimitava a occidente e a mezzogiorno quella dei tu
muli. Tali spade sono state trovate attorno a Parigi, nei dipartimenti di
Cher, Vézère, Valchiusa, Drome e Var: si deve pertanto ammettere, fino
a nuovi e più ampi ragguagli, che entrambi i territori rappresentano in
Francia l'insediamento dei Celti, nell'Età del Bronzo, ma che solo il se
condo indica la marcia lenta e secolare dei Celti della Germania del
sud, i Celti britannici.
106
CAPITOLO N
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE
NELL'EPOCA DI IIALLS TATI
I CELTI NEll'EST DELLA FRANCIA
Gli archeologi hanno chiamato epoca dei tumuli quella che corri
sponde, in Germania, al terzo periodo dell'Età del Bronzo e, in Francia,
all'epoca di Hallstatt. In effetti, la pratica del seppellimento sotto i tu
muli si generalizzò nei dipartimenti orientali della Francia, raggiungen
do poi quelli dell'ovest. Tali tumuli, di dimensione variabilissima, e spes
so ingranditi per contenere altri corpi, sono costituiti essenzialmente da
una costruzione in pietre, di grandi dimensioni, purtroppo sempre crol
lata, ricoperta con materiali minuti e qualche volta con uno strato di ter
ra battuta. I resti del morto per il quale il tumulo era stato eretto in ori
gine erano disposti sulla superficie del terreno o in un pozzo; dei cerchi
di pietra completavano il monumento e qualche volta ne erano l'unico
elemento costituitivo. I morti erano inumati o cremati secondo le regio
ni, i periodi, le tribù e le condizioni sociali.11 1 Per alcuni caratteristici
dettagli di costruzione e per il loro contenuto, i sepolcri della Francia ri
cordano quelli della Germania. Le invasioni dell'Età del Bronzo conti
nuarono, senza tuttavia la partecipazione delle popolazioni con cimiteri
di urne, che si mantenevano ancora distinte sull'altra sponda del Reno.
Le spade di bronzo a linguetta e quelle a impugnatura piena del ti
po di Moringen, 121 indizi di tale invasione, erano già in massima parte
spade di Hallstatt. Le grandi spade di bronzo a punta mozza, incavate
lateralmente alla base, alcune delle quali sono state trovate nei tumuli,
rappresentavano uno stadio molto avanzato dei prodotti della civiltà
hallstattiana.131
1 07
CAPITOLO IV
Tumuli, che le grandi spade di ferro in essi contenute hanno con
sentito di far risalire alla metà dell'epoca di Hallstatt, sono stati portati
alla luce in Belgio, e nei dipartimenti di Meurthe-et-Moselle, Vosgi, Hau
te-Marne, Cote-d'Or, Giura, Ain, Nièvre, Cher, Vienne, Cantai, Lozère,
Aveyron, Lot e Dròme. In particolare nello Cher diversi gruppi di tumu
li considerevolmente ricchi documentano la presenza nella regione non
di elementi isolati, ma piuttosto di un insediamento di notevoli propor
zioni. La mappa della distribuzione, in Francia, delle grandi spade in
ferro, compilata da Déchelette, ci fornisce un'idea precisa dell'area di
espansione delle tribù d'oltre Reno. Essa differisce, del resto, dalla carta
che si può determinare per tale epoca solo perché rappresenta stanzia
menti più considerevoli e omogenei. Ma è nella Còte-d'Or e nella Fran
ca Contea, più particolarmente attorno a Salins, ossia nelle regioni per
molto tempo abitate dai costruttori di tumuli, che si può valutarne me
glio l'aumento.
La foresta dei Moidons, tra Salins e Arbois, è un immenso cimitero
di tumuli il cui numero, secondo le stime, ammonterebbe a circa qua
rantamila; il gruppo di tombe di Alaise, a nord di Salins, è ugualmente
molto importante, e il maggior numero di tumuli in esso contenuti so
no hallstattiani. Un altro considerevole gruppo si estendeva a nord di
Digione, tra l'Alta Senna e l'alta valle dell'Aube, altri ve n'erano a sud.
Questi immensi cimiteri sono indizio di una popolazione numero
sa, radicata nel territorio che aveva adattato alle proprie necessità. Esi
stevano città fortificate, campi di rifugio, come quello di Chateau-sur
Salins che ha un 'area di circa venti ettari. Al piccolo agglomerato odier
no di Salins corrispondevano allora quattro borghi fortificati dominan
ti la città attuale, sull'altura del Camp de Chateau, sul Monte Sant'An
drea, sul Monte Poupet e sull'altura del forte Belin. In Borgogna, una
cerchia fortificata chiude\�.! le alture che sovrastano la valle della Sao
na. A quanto risulta i Celti di Hallstatt si stabilirono di preferenza sulle
alture, e, generalmente, laddove oggi si trovano foreste o boscaglia,
perché in tutta la Francia, come d'altronde in Germania, i loro tumuli
e i loro borghi fortificati sono sempre stati trovati in tali siti. l Celti, evi
dentemente, non vivevano troppo lontani dalle tombe e dalle cittadel
le, intorno alle quali si stendevano i campi che essi delimitavano con
1 08
L'ESPANSIONE DEI Cf.LTI SUL CONTINENTE NEI.L'EPOCA DI HALLSTAIT
pietre, collocandovi al centro, talvolta, delle tombe, come in Baviera
nell'Età del Bronzo, le cui delimitazioni ne indicano un allineamento
regolare, e là sorgevano le abitazioni in cui vivevano in estate o in tem
po di pace. Se per avere un'idea chiara del loro numero dovessimo ag
giungere, a quanto abbiamo appena ricordato, l'enorme lavoro di di
sboscamento delle foreste, saremmo obbligati a supporre che, laddove
vivevano in forze, raggiungessero una densità almeno uguale a quella
di oggi. Ma gli Hallstattiani erano pastori, avevano greggi di capre che
li aiutavano a impedire la crescita della foresta che si è sviluppata solo
dopo loro. La regione era attraversata da strade o da piste fisse, il cui
tragitto era dettato dalla configurazione del terreno, percorse da pro
fondi solchi scavati dai piccoli carri a quattro ruote di cui si trovano re
sti in un numero notevole di sepolcri. Possiamo raffigurarci abbastanza
esattamente i loro guerrieri dai volti glabri, che si portavano i rasoi nel
le tombe, armati di lunghe e larghe spade di ferro dai pesanti pomi co
nici e dai foderi di legno, che indossavano elmi, e in tal caso si trattava
di elmi italici, e raramente corazze, mentre erano protetti da scudi ro
tondi dei quali resta un numero limitato d'esemplari in metallo.
La disposizione dei tumuli fornisce un 'idea assai vaga delle loro
strutture sociali. Un gruppo come quello di Magny-Lambert, con i muc
chi di pietrisco che accompagnano i monumenti e rappresentano sia ca
se, sia edifici dei quali non siamo in grado di immaginare la forma, ri
corda i centri tribali e i luoghi di riunione, che erano anche cimiteri. Gli
altri erano soltanto raggruppamenti di relativa densità. Orbene, precisa
mente alla fine dell'epoca di Hallstatt, avremo modo di chiamare col lo
ro vero nome gli occupanti della Franca Contea.
Marsiglia era stata fondata verso il 600 a.C., e verso il 500 a.C. i Mar
sigliesi esportavano nella regione di Digione, Salins e più a nord anfore
da vino, probabilmente piene, crateri per la preparazione della bevan
da, oenochoe, coppe attiche dipinte. Erano mercanzie fragili che non po
tendo sopportare lunghi viaggi via terra, venivano trasportate probabil
mente con battelli che risalivano la Saona e, dal lato di Salins, la Loue,
navigabile sino a Port-Lesney. I geografi greci, che avevano un'idea va
ga dell'etnografia della regione, facevano oscillare attorno al lago Le
mano e al corso medio del Rodano il confine dei Celti e dei Liguri, ma
1 09
CAPITOLO IV
se fossero stati precisi ci avrebbero informato senza dubbio che i Celti
erano già sulla riva sinistra del Rodano nell'Alta Savoia, e anche più
lontano, essendo stati trovati tumuli nelle Hautes-Aipes (tumulo di
Chabestan) , nella Valchiusa (tumulo deli'Agnel, comune di Pertuis) ,
nelle Bouches-du-Rhòne e nel Gard. Ma sono tracce di piccoli gruppi
isolati che non sono in alcun modo paragonabili a quelle del nord e
del nord-ovest. In ogni caso, se nel V secolo a.C. v'erano ancora, sulle
rive del lago Lemano, le popolazioni liguri di cui parlano Apollonia e
Avieno, esse vivevano così isolate che la loro esistenza è stata resa nota
solo grazie alla tradizione.
Se le popolazioni della riva destra del Rodano erano i Celti, non v'è
alcun modo di dubitare che lo fossero anche, per lo meno in gran par
te, i loro predecessori dell'Età del Bronzo. Qualora la persistenza dei ri
ti funerari non bastasse a provarlo, dovrebbe far fede la giustapposizio
ne di tombe dell'Età del Bronzo e di tombe dell'epoca di Hallstatt nei
gruppi di tumuli, che sembrano cimiteri tribali. Tuttavia è certo che un
normale aumento della popolazione non giustifica l'estensione hallstat
tiana. Nuove tribù giunsero dalla riva destra del Reno con grandi spade
di bronzo e con quelle di ferro, fabbricate anche sul luogo in Borgogna,
nel Berry, dove il ferro era abbondante e facile da estrarre. Ma i model
li venivano dall'Europa centrale e con essi tutto il vasellame di bronzo
italico, le ciste a cordoli, le situle ribattute, la cui presenza caratterizza i
sepolcri più ricchi dei primi periodi hallstattiani.
D'altronde, fu solo nella seconda metà dell'epoca di Hallstatt che il
popolamento celtico della Lorena, della Franca Contea e anche della
Borgogna raggiunse tutta la sua ampiezza. Dai Ìe scoperte della regione
di Salins è risultato, con estrema chiarezza, che le sepolture della se
conda metà dell'epoca di Hallstatt sono molto più numerose di quelle
della prima. La popolazione forse crebbe naturalmente in clima di pa
ce e di prosperità, oppure aumentò per apporti esterni, ipotesi che ol
tre a spiegare meglio i fatti, è anche verosimile se si tien conto d'una se
rie di altri dati che è opportuno esaminare subito. Si è pensato qualche
volta che i movimenti ipotetici di popolazioni avessero dato luogo a ur
ti violenti e che i primi occupanti avessero resistito, con le armi, ai nuo
vi venuti. Di certo essi avevano numerose fortezze coi muri costruiti alla
I lO
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NElL'EPOCA DI HALLSTATT
maniera gallica, assemblando travi e pietre, ai quali erano addossate le
case, fortezze che furono collegate formando validi sistemi difensivi dei
territori tribali. Per spiegare l'elevato numero di tali costruzioni è forse
sufficiente considerare quanto fosse insicura la vita umana in una so
cietà frammentata come quella di allora.
l CELTI NEL TERRITORIO DEI COSTRUTIORI DI PALAFITIE
Che cosa accadeva alla periferia del vasto mondo celtico e sull'altro
lato del Giura, in Svizzera? La Svizzera è uno dei paesi d'Europa la cui
preistoria è meglio conosciuta, nonché la più chiara. Per una buona par
te del Neolitico e durante tutta l'Età del Bronzo, la Svizzera fu l'insedia
mento più importante dei costruttori di palafitte i quali avevano trovato,
sulle sponde dei suoi laghi, le condizioni di vita desiderate. Essi vivevano
in una striscia di terra tra la foresta, che probabilmente giungeva più in
basso di oggi, e le rive lacustri, e occupavano con le loro abitazioni, le
culture e i greggi tutto il territorio abitabile, coltivabile e utilizzabile a
pascolo in quel paese poco confortevole e poco attraente. Si sa che in
Francia, Germania del sud, Boemia, Italia del nord e nel bacino del Da
nubio essi avevano altri insediamenti che via via si ridussero fino al pun
to d'essere inglobati da quelli dei vicini, sulla cui origine è stata raggiun
ta qualche certezza.1'1
Sembra che, a metà dell'Età del Bronzo le condizioni di vita degli
abitanti delle palafitte siano notevolmente migliorate. Il livello dei la
ghi calò, segno d'un clima più secco e più caldo, e le costruzioni di tale
epoca si trovarono più lontane dalle vecchie rive. Probabilmente la fo
resta si sfoltì sotto le stesse influenze e i pascoli si estesero. Questo cam
biamento di clima non interessò soltanto la regione delle palafitte, ma
toccò anche le torbiere settentrionali, come emerge dagli studi condot
ti dal geologo svedese Sernander; le torbiere, infatti, presentano dap
pertutto, allo stesso livello, uno strato di terreno secco risalente a quel
l' epoca. Grazie al clima più dolce dell'Età del Bronzo, la civiltà degli
stretti baltici conobbe un'eccezionale prosperità, al pari di quella delle
palafitte che si aprì all'esterno, estendendo la propria influenza sulla
lll
CAPITOLO IV
Germania celtica e sulla Gallia orientale dove i Celti stavano diffonden
do la loro civiltà.
Nella civiltà delle palafitte resta misterioso un punto: come veniva
no sepolti i morti? Le tombe coeve alle palafitte non sono affatto nu
merose e si possono attribuire sia ai discendenti delle tribù che avevano
preceduto i loro costruttori, sia a piccoli gruppi di nuovi venuti, più o
meno assimilati. Forse i riti funerari non avevano una tradizione radica
ta, ma è probabile che gli abitanti delle palafitte conservassero i loro
morti presso di sé come avevano fatto negli insediamenti sulla terrafer
ma'51 o nella palafitta di Donja-Dolina. Essi potevano custodirli sulla pa
lafitta, o metterli in bare tra i pali, o infine gettarli in acqua. Orbene,
all'inizio dell'Età del Bronzo, nel nord della Svizzera, vicino alla con
fluenza dell'Aar e del Reno, al confine della Germania, vissero costrut
tori di tumuli il cui rituale funebre era nettamente diverso da quello
del popolo delle palafitte.
Alla fine dell'Età del Bronzo, più esattamente dopo il primo periodo
hallstattiano, quello delle spade corte di bronzo,'"1 i villaggi lacustri furo
no abbandonati in modo assai repentino. Gli scavi delle stazioni lacustri
rivelano tracce d'incendi che non dovevano essere rari, come dimostra
il ritrovamento di scheletri e resti di scheletri. Non esistono prove incon
testabili di catastrofi, lotte o violenze. Quando il clima tornò a essere più
umido e freddo i villaggi furono inondati e coperti dalle acque.
Che accadde alla popolazione? Essa soprawisse rifugiandosi sulle al
ture, restando fedele alle sue abitudini, coltivando minuscoli campi, al
levando grandi greggi e conservando le sue tecniche di costruzione. I
fienili, appoggiati sui pali, che sono disseminati sui fianchi delle valli
sono riproduzioni fedeli delle palafitte, che gli chalet alla lontana ricor
dano. Le popolazioni delle palafitte, spinte dalle necessità a tagliare
con grande fatica molto legname con asce di pietra o di bronzo, si tro
varono prowiste, grazie al ferro, d'una buona attrezzatura da tagliale
gna che permise loro di risalire verso luoghi meno umidi, oltre i mille
metri. Di certo finora non se ne sono trovate tracce, ma non possiamo
ipotecare il futuro. Da un lato la popolazione delle palafìtte non fu mai
numerosa, e quando si disperse su un terri torio più vasto, da poco nu
merosa divenne addirittura scarsa. D'altronde gli archeologi svizzeri de-
1 12
L'ESPANSIONE DEl CELTI SUI. CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALLSTATT
FIGURA 3. Pugnale con fodero della civiltà di Hallstatt: bronzo (VII o
- V1 sec.
a.C.) . Stoccarda, Landesmuseum.
113
CAPITOLO IV
diti allo studio delle palafitte, dei tumuli e dei cimiteri gallici, non han
no ancora trovato, forse perché non hanno cercato a sufficienza, le
tracce di tale popolazione che si rivela grazie al lavoro di disboscamen
to degli altopiani, e la cui presenza è presupposta dalla storia.
Il nuovo mutamento di clima riguardò tutta l'Europa come il prece
dente. Le torbiere scandinave presentano in effetti al di sopra del livel
lo orizzontale secco nuove formazioni di torba che in certi casi si sono
potute datare. Il cambiamento del clima produsse nel nord Europa abi
tato uno spopolamento e spostamenti di popolazioni verso il sud, che
determinarono a lungo la distribuzione dei popoli nella Germania cen
trale e orientale. Si può ipotizzare che a ovest le coste siano state allaga
te, le paludi si siano estese e i Germani del Mare del Nord abbiano rag
giunto climi più caldi, andando così incontro ai Celti che cominciava
no ad abbandonare le foreste troppo umide della Vestfalia, dell'Assia,
delle Alpi Bavaresi per stabilirsi in massa sull'altra sponda del Reno. Si
è supposto che l'inaridirsi della foresta nell'Età del Bronzo abbia aper
to ai Celti le foreste dell'Alsazia e favorito la loro espansione. Il ritorno
del freddo e delle piogge abbondanti può aver avuto, fatte le debite
proporzioni, lo stesso risultato.
Nel momento in cui i costruttori di palafitte si ritiravano, giunsero
in Svizzera, sembra attraverso due strade, nuovi costruttori di tumuli.
Gli uni attraversarono il Reno verso Sciaffusa e giunsero fino alla Reuss.
Gli altri passando da Basilea, raggiunsero I'Aar e i suoi affluenti supe
riori, dei quali risalirono le valli. In tal modo pervennero sino nei din
torni di Losanna, e forse si fermarono all 'estremità dei laghi di Thun,
Zug e Zurigo, ma non si può dire che abbiano rimpiazzato gli abitanti
delle palafitte.
I raggruppamenti di tumuli sono modesti, e da ciò è facile arguire
che i loro costruttori non si fermavano a lungo nello stesso luogo. Co
me in Francia, anche i tumuli eretti sulle medie alture che dominano le
grandi vallate svizzere sono i resti di tribù di pastori e di cacciatori, ma
tali tribù, non costituirono mai gruppi vasti e permanenti delle dimen
sione di quelle francesi. Per giunta le tribù hallstattiane della Svizzera
non erano numerose. I tumuli ammontano, non a migliaia, ma a centi
naia, a poche centinaia. Tale popolazione, di scarsa densità, era in via
1 14
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALLSTATT
di sviluppo nella seconda metà dell'epoca di Hallstatt, e la maggior par
te dei tumuli, come quelli del Giura, appartiene a tale periodo.
Ci si può domandare se una parte almeno delle tribù hallstattiane
della Svizzera non sia giunta dalla Francia. Gli oggetti trovati nei tumuli
da entrambi i lati della frontiera, in effetti, sono gli stessi, e i modelli
hanno subito le stesse modifiche, ma la maggior parte dei tumuli sviz
zeri sono a incenerazione. Inoltre, tra le tombe a inumazione, una par
te considerevole di quelle di La Tène è scavata nei tumuli. D'altronde,
le tombe svizzere sono tanto ricche di vasellame quanto sono povere
quelle francesi, e dunque i costruttori di tumuli sembrano essere giunti
direttamente dalla Baviera, dove i due riti erano praticati con prevalen
za di quello crematorio.
Non c'è dubbio che fossero Celti, e sebbene non provenissero dalla
Franca Contea, la dimostrazione data per quelli di tale regione vale an
che per loro: si trattava di Celti giunti direttamente dalla culla delle na
zioni celtiche. Per quanto poco consistente possa essere stato il popola
mento hallstattiano della Svizzera, esso tuttavia è emblematico dell'arri
vo di popolazioni dalla Germania del sud, importante anche solo come
indizio. Tale spostamento di popolazioni si produsse verosimilmente in
più riprese, per lo meno due, all'inizio e verso la metà dell'epoca di
Hallstatt, come accadde in Francia, ma ciò che resta allo stato ipotetico
per la Francia può essere considerato certo per la Svizzera.
Tali awenimenti devono essere inseriti, per coglierli nella loro inte
rezza, nel contesto dell'archeologia e della storia antiche. All'inizio del
l'epoca di Hallstatt si verificarono dal centro al sud dell'Europa movi
menti di popolazioni di cui si può valutare l'ampiezza. Fu allora che gli
Umbri discesero in Italia, dove rimpiazzarono le popolazioni delle ter
ramare, come i Celti della Svizzera avevano preso il posto lasciato libero
dai costruttori di palafitte. Una data per questo awenimento, fornita da
Catone il Vecchio, citato da Plinio, è quella della fondazione della città
umbra di Ameria, awenuta 963 anni prima della guerra dei Romani
contro Perseo, ossia nel 1 1 34 a. C. Pressappoco verso la stessa data ci fu
l'invasione dei Dori in Grecia, che formarono l'ultima ondata di Elleni.
Donde provenivano i Dori? Dal nord e dall'Illiria. E gli Umbri? Di
certo essi calarono gradatamente dalle regioni boeme vicine agli inse-
1 15
CAPITOLO IV
diamenti dei Celti. È impossibile che spostamenti di tribù così impor
tanti non avessero contraccolpi presso i vicini, i quali potevano essere
tentati di seguirli, senza parlare delle conseguenze dovute al cambia
mento di clima, che determinava l'abbandono di un luogo o il suo po
polamento. Lo sciamare dei Celti ebbe luogo, con ogni probabilità, in
sieme con i grandi spostamenti di popolazioni che si verificarono nello
stesso tempo, ed ebbe verosimilmente una pari ampiezza. D'altronde,
verso l'inizio dell'epoca di Hallstatt, i popoli celtici della Germania oc
cidentale erano del tutto usciti dal periodo di incoerenza corrispon
dente alla prima metà dell'Età del Bronzo. Essi erano numerosi e l'uso
del ferro decuplicò i loro mezzi: potevano aprire strade attraverso la fo
resta, avevano i carri, di cui restano alcuni esemplari, ma soprattutto un
armamento nuovo e superiore. Ecco perché l'inizio della prima Età del
Ferro vide tra le nazioni celtiche importanti spostamenti che non si as
sestarono mai del tutto e ricominciarono qualche secolo più tardi. Ve
dremo ora fin dove si spinsero.
PRIME MIGRAZIONI DEI CELTI IN ITALIA
Alla fine dell'epoca di Hallstatt, i Celti avevano già oltrepassato no
tevolmente i limiti del territorio di cui abbiamo parlato. Li avevano ol
trepassati a sud-est raggiungendo in Italia i loro cugini Osco-Umbri che
v'erano penetrati probabilmente attraverso i valichi orientali delle Alpi.
I Celti le avevano ol trepassate a occidente, dopo aver attraversato il Val
lese dove non s'erano fermati, oppure dopo aver percorso la Savoia
nella quale hanno lasciato qualche traccia del loro soggiorno.
Secondo Tito Livio l'invasione dell'Italia da parte dei Galli sarebbe
avvenuta tra il 61 4 e il 5 76 a.C., durante il regno di Tarquinia Prisco.
D'altra parte, stando a Plutarco, un poeta greco chiamato Simia attri
buiva ai Celti, e non ai Sabini, la tragica morte di Tarpea. Gli storici so
no divisi sul credito da attribuire a tali testimonianze.1;1
Se si consultano attentamente i testi storici, non si può ammettere
la presenza dei Galli in Italia prima del IV secolo a.C.; essi vi sarebbero
calati, tutt'al più, qualche anno prima della battaglia deii'AIIia. D'al
tronde il racconto di Tito Livio non è in contraddizione con gli altri,
1 16
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALISrATT
salvo che per la data, ma precisa in una frase, alla quale s'è prestata
troppo poca attenzione, che la spedizione di Belloveso era stata prece
duta da un 'altra. «Essi oltrepassarono le Alpi attraverso la regione dei
Taurini e la valle della Dora, batterono gli Etruschi presso il Ticino e,
avendo inteso che la regione dove s'erano fermati si chiamava piana
degli Insubri ( agmm Insubrium) , dal nome della popolazione eh' era
una sottotribù degli Edui ( cognominem Insubrilrns, pago H(J'duorum) , essi
vi scorsero un segno degli dèi da seguire, e fondarono una città (i bi
omen sequentes foci considere urbem) La città era Milano. Belloveso sareb
"·
be stato dunque preceduto da un gruppo di lnsubri ch e avrebbe per lo
meno lasciato, nei dintorni di Milano, il suo nome, ancora conosciuto
ai tempi della Grande Invasione. Si deve accreditare il brano, perché ci
tramanda il più antico nome di popolo celtico che possiamo riportare
sulle nostre mappe storiche.
Ora il problema si prospetta del tutto diversamente. Si è scoperto
nel 1827 a Zignago, nella Valle del Vara, il principale affluente del Ma
gra che sfocia a sud di La Spezia, un cippo sormontato da una testa
scolpita in modo grossolano e recante un 'iscrizione in caratteri etru
schi, incisa dall'alto verso il basso, nella quale si legge: Mezunemusus.
Altri cippi analoghi sono stati scoperti nella stessa regione; ma la te
sta sta sopra un corpo che resta chiuso nel cippo, pur essendo prowisto
di braccia, gambe e attributi che hanno, come si vedrà, un significato
etnografico. Un primo gruppo di quattro stele proviene dai comuni di
Villafranca (Bosco di Filetto e Castel di Malgrate) e di Mulazzo (pieve
di Lusuolo) . Una reca un'iscrizione, sfortunatamente indecifrabile; tre
rappresentano guerrieri armati, la quarta una donna. Un altro gruppo
di stele di foggia più arcaica è stato trovato in seguito nel comune di Fi
vizzano. Le stele si trovavano ancora nella posizione primitiva, disposte
regolarmente in fila e piantate in un terriccio nero contenente sostan
ze organiche di origine animale.
Dai particolari dell'armamento, nei guerrieri del primo gruppo si
sono riconosciuti dei Galli. Essi erano nudi e portavano le spade appese
non a un budriere, ma a un cinturone sul lato destro anziché su quello
sinistro. L'ascia che impugnano con la mano destra è forse la cateia; i
giavellotti tenuti nella mano sinistra sono forse i gaesa.1"1
117
CAPITOLO IV
Se le figure erano galliche, lo doveva essere anche l'iscrizione che in
un primo tempo s'è cercato d'in terpretare con l'etrusco, andando in
contro a un insuccesso totale. Il carattere celtico della parola risulta im
mediatamente se si tien conto dei diversi valori della z etrusca che equi
vale, per un verso a ti, di. Mezunemusus in questo caso può leggersi Mediu
nemusus e dev'essere rapportato a nomi di luoghi Nff.Lwaaéx; (Nemours,
Clermont-Ferrand) , Medionemeton (Kirkintilloch, presso Glasgow) , Medio
lanum che significa probabilmente "il santuario di mezzo"; il cippo è
una pietra di delimitazione e non una stele. D'altronde la z può rappre
sentare la sibilante dentale del celtico, espressa con una o due d o s. Me
zu sarebbe Meddu-, che compare nei nomi Messulus, Meddilu, Methil
lus, etc. Il senso della parola è indicato dall'irlandese midiur, giudico,
misuro. Mezunemusus significherebbe "colui che si prende cura dei
luoghi sacri" o "che li misura" e sarebbe un nome proprio d'uomo.
L'essenziale è che la parola sia celtica e che la presenza dei Celti sulla
costa della Liguria, nelle valli del Vara e del Magra, sia documentata da
un gruppo di monumenti certamente apparentati e verosimilmente
contemporanei.
La loro data è desumibile da quella della spada raffigurata sulla ste
le del primo gruppo. È il pugnale hallstattiano ad antenne, di cui gli
scavi fatti nei paesi celtici hanno fornito numerosi esemplari. Di questi
pugnali ad antenne, la cui origine forse è italica, si conoscono forme ti
piche dell'Italia, ma non sono quelle con le quali abbiamo a che fare.
Si tratta di armi importate e anteriori alla grande invasione del N seco
lo a.C., ormai fuori uso quando questa awenne; il pugnale ad antenne
s'era allungato diventando la spada detta di La Tè ne che gli antichi au
tori descrivono e gli scavi portano alla luce. I Galli, forse allora giunti fi
no in Liguria, non avevano certamente conservato un armamento ar
caico. In genere si è fatto risalire l'uso dei pugnali ad antenne, che tali
stele rappresentano, al periodo tra il 700 e il 500 a.C. È una delle carat
teristiche attraverso le quali si definisce comunemente l'ultima fase del
la civiltà hallstattiana. Queste date si adattano alle situle italiche e alle
placche di bronzo istoriate sulle quali è raffigurato, press'a poco, lo
stesso armamentario che compare sulle stele. Esse si accordano anche
con l'insieme di oggetti, situle comprese, contenuti dentro una famosa
1 18
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALL'>TATT
tomba, quella di Sesto Calende sul Ticino, sulla riva del Lago Maggiore,
fra i quali figura una corta spada ad antenne, e infine con la parte re
cente dei cimiteri di Golasecca, Castelletto sul Ticino, etc. che formano
a sud del Lago Maggiore, presso Somma Ticinese, una grande e singo
lare necropoli. Le date si adattano anche alle nostre stele, e da tali con
siderazioni cronologiche bisogna concludere che i Galli discesero in
Italia molto prima di quanto generalmente si crede.
Le stele di Cecina sono ancora più antiche. Due rappresentano de
gli uomini e un pugnale il quale non è il pugnale ad antenne delle ste
le di Villafranca, ma uno di fattura più antica, che potrebbe essere di
bronzo, oppure anche una spada, con un grosso pomo rotondo come
quello delle spade hallstattiane, ridotta alle proporzioni di un pugnale.
Queste stele sono troppo consumate perché se ne possano trarre consi
derazioni scientifiche. Esse completano semplicemente la serie, e per
ciò se le prime sono celtiche, lo devono essere anche queste; e tale con
clusione sarà valida fino a quando tutta la Liguria non avrà fornito altri
esemplari, imponendo altre ipotesi.
Le valli del Magra e del suo affluente, il Vara, aprono nell'Appenni
no Ligure corridoi che conducono a dei passi. Sull'altro versante si
estende la valle del Taro, il più agevole accesso alla regione. Ci si spiega
facilmente perché un'avanguardia di Galli si sia fermata nel paese ligu
re. Le nostre stele, concentrate in una stretta regione, sembrano essere
testimonianza di un avamposto, di una colonia in un paese straniero.191
Ma un'avanguardia presuppone una truppa. Dietro i pionieri, ac
campati nei passi che, dalla costa, attraverso l'Appennino, conducono
alla pianura del Po, devono essersi susseguiti altri gruppi. Se mancasse
ro le tracce, sarebbe difficile immaginare, nel VI secolo a.C., l'esistenza
di una piccola colonia gallica lungo una strada di montagna a qualche
centinaia di chilometri da qualsiasi paese gallico. Orbene le necropoli
sul Ticino sono probabilmente le tracce dell'insediamento principale.
I cimiteri occidentali della valle del Po erano così diversi, in quell'e
poca, dai cimiteri orientali da non poter essere attribuiti alle stesse po
polazioni. 1 1111 Nuova civiltà da una parte e dall'altra, senza collegamenti
evidenti con quella dei precedenti occupanti della regione, costruttori
di palafitte e di terramare. Questi ultimi cessarono di costruire nell'lta-
1 19
CAPITOLO IV
lia del nord le loro città quadrangolari all'alba dell'Età del Ferro o an
cora prima. La civiltà indicata col nome di Villanova è quella degli Um
bri, gli ultimi arrivati fra gli l talioti, poiché essa era fiorente a Bologna
prima che gli Etruschi se ne impossessassero, mentre la civiltà alla qua
le gli archeologi attribuiscono il nome di Golasecca, era forse quella
dei primi Celti.
Essa si distingue molto bene dalla precedente per il suo vasellame e
per la costruzione delle tombe. Non si trova, in Lombardia, l'urna carat
teristica, a due piani, di Villanova. Non vi si trova inoltre la tomba a poz
zo dei paesi umbri. Il vasellame si compone principalmente d'urne glo
bulari e di vasi a piede cavo. Le urne più antiche sono decorate a zone
parallele di triangoli incisi. Nei vasi più recenti le zone sono separate da
cordoli in rilievo. Esse sono alternativamente lisce o riempite da linee
incrociate, tracciate con il brunitoio. Tale ceramica ha subito, evidente
mente, l'influenza di quella fabbricata nella stessa epoca, nella valle
orientale del Po, intorno a Este, da un terzo popolo: quello dei Veneti.
Quanto alle tombe, o si tratta di tumuli di pietra, come la tomba di
Sesto Calende, o sono formate di ciste di pietra poco interrate e circon
date da cerchi di pietre, collegati da muretti paralleli di pietrisco. Tali
cerchi di pietre fanno pensare a tumuli di terra dilavati dalle acque.
Tombe del tipo di Golasecca sono state scavate a Castello Valtravaglia,
nella provincia di Como, e in esse sono venute alla luce stele, a dire il
vero, assolutamente consunte.
Non esistono tuttavia prove che la civiltà di Golasecca non si riallac
ci, attraverso legami oscuri, a quella autoctona dei Liguri i quali aveva
no occupato in precedenza gli insediamenti lacustri ai piedi delle Alpi,
in seguito abbandonati. Gli scavi dell 'Isola Virginia, nel Lago di Varese,
hanno in effetti fornito alcuni frammenti d'un vasellame simile a quel
lo di Golasecca. Forse il villaggio lacustre, sull'Isola Virginia, era ancora
occupato ai tempi in cui fu inaugurata la necropoli di Golasecca, anche
se non è certamente durato quanto quella. E, a parte alcuni cocci, non
v'è niente in comune tra gli inventari archeologici dell'uno e dell'altra.
Invece, quei villaggi abbandonati, quelle tombe di forma nuova, riuniti
in luoghi diversi, indicano cambiamenti etnici profondi, che si produs
sero nella regione. In Svizzera, identici segnali sono stati interpretati
1 20
L'ESPANSIONE DEl CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALLSTATT
come prove dell 'insediamento dei Celti. In Italia, se è ammissibile per
ragioni simili che gli Umbri abbiano occupato, all'incirca nello stesso
tempo, il Veronese e l'Emilia, è legittimo pensare, con tutte le riserve
dettate dalla nostra ignoranza, che gli stessi Celti siano discesi, già allo
ra, nella Lombardia e nel Piemonte.
D'altronde, le tombe e la ceramica hanno degli equivalenti nei pae
si celtici. I muretti in pietra che collegavano i tumuli esistevano fin dal
l'Età del Bronzo in Baviera, nella Borgogna e nella foresta dei Moi
dons. I cerchi di pietra si trovano in Borgogna e nelle ultime conquiste
della civiltà hallstattiana nel sud-ovest della Francia.
Quanto ai vasi tipici del cimitero di Golasecca, è nei tumuli bavaresi
della fine dell'Età del Bronzo che sono stati trovati i loro prototipi,
mentre i loro parenti più prossimi sono stati rinvenuti a ovest, nella ce
ramica del lago di Bourget, nei tumuli aquitani, e anche negli insedia
menti hallstattiani della costa inglese.
La civiltà occidentale della pianura del Po era penetrata in Liguria,
dove si sono troyate le stesse tombe a forma di casse fatte di lastre appe
na sbozzate contenenti ossari o altri vasi generalmente non decorati,
ma che mostrano lontane rassomiglianze con quelli di Golasecca. Tali
tombe non sono numerosissime, ma la maggior parte sono riunite, fat
to notevole, lungo le piste della Lunigiana.
In breve, se vi furono dei Celti nell 'Alta Italia, prima dell'invasione
del IV secolo a.C., essi dovevano vivere sull'altopiano di Somma, e il ci
mitero di Golasecca contiene i resti d'uno dei loro contingenti, la cui
presenza è confermata se si interpretano correttamente le stele di Villa
franca e l'iscrizione di Zignago. Arrivato al seguito dell 'avanguardia, al
la quale sono attribuibili le stele, il grosso dell'esercito occupò le rive
del Ticino. Se non erano le popolazioni di Belloveso, erano forse i pri
mi Insubri.
È probabile ch'essi fossero arrivati nella prima metà dell'epoca di
Hallstatt e fossero armati di grandi spade. Ma si stabilirono in gruppi
consistenti solo nella seconda metà. Il ritmo di quella prima colonizza
zione celtica fu identico in Italia, Francia e Svizzera, con una differenza
maggiore tra le due epoche.
Nel momento in cui fu scolpita la stele di Villafranca, vale a dire
121
CAPITOLO IV
non molto tempo dopo l'apertura del cimitero di Golasecca, gli Etru
schi, dirigendosi a nord, oltrepassarono l'Appennino, civilizzando e sot
tomettendo l'Emilia umbra. Alcune stele etrusche, trovate a Bologna,
rappresentano fanti nudi, armati, in lotta contro cavalieri etruschi. È
probabile siano tutti Galli, e quelli nudi e muniti di scudi oblunghi lo
sono certamente. La loro immagine non sarebbe stata familiare ai Bo
lognesi se masse imponenti e compatte di Veneti da un lato, di Iberi o
Liguri dall'altro, si fossero interposte fra loro e l'Etruria, prima che essi
irrompessero all 'improwiso. Giustamente Polibio afferma che i Galli
erano in contatto diretto con gli Etruschi molto tempo prima dello
scontro del IV secolo a.C.
Questi contatti prolungati con gli Umbri, e poi con gli Etruschi, eb
bero influssi civilizzatori i cui risultati sono evidenti. Sia che le stele del
la Lunigiana siano idoli o stele funerarie, non di meno costituiscono,
nell'insieme dei reperti celtici, un fatto isolato. Si tratta dei più antichi
monumenti di pietra lasciati dai Celti, dei più antichi esempi di scultu
ra, accompagnati dalle più antiche iscrizioni. Questi esempi, per anti
chi e consunti che siano, non sono dei peggiori. Si è parlato all'inizio
delle statue-menhir.n1 1 Le stele della Liguria non hanno nulla in comu
ne con le statue-menhir dell'Aveyron: né la sagoma, né la tecnica, né il
tipo di rappresentazioni, né soprattutto la data. Esse rassomigliano alle
stele villanoviane dalla sagoma umana di San Giovanni in Persiceto o di
Bologna. Così la colonia celtica della Liguria avrebbe preso a prestito
dai suoi vicini la scrittura e l'arte, e ciò significa eh ' essa aveva con loro
altre relazioni oltre a quelle di guerra e di saccheggio.
Proviamo a raffigurarci questo primo stanziamento dei Celti in Ita
lia. In primo luogo gli invasori venivano da lontano. Gli occupanti del
l'altopiano di Somma Lombarda avevano infatti l'abitudine di lasciare
molto vasellame nelle tombe a differenza dei Celti che vivevano in pae
si più prossimi all'Italia, quali la Franca Contea o la Svizzera. Un 'analo
ga quantità di ceramiche è stata rinvenuta nelle tombe della Lorena e
della Baviera. Le bande che entravano in Italia oltrepassavano quindi le
popolazioni insediate stabilmente sui fianchi del Giura e delle Alpi che
non costituivano un ostacolato invalicabile, essendo da molto tempo at
traversati da piste tracciate dai mercanti.
122
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALLSTATT
Benché i cimiteri di Somma siano relativamente importanti, il pri
mo insediamento non fu molto rilevante. Si trattava probabilmente di
bande di Celti che penetrarono nella regione mescolandosi ai Liguri, a
volte come ospiti, altre come conquistatori, ma così poco numerosi da
essere destinati a scomparire lasciandosi assorbire.
Nella sua descrizione della Gallia Cisalpina, Polibio parla di un po
polo di pastori che viveva in modesti accampamenti. «Essi vivono sparsi
in villaggi senza mura. Le mille cose che rendono la vita confortevole
sono loro sconosciute. Come letto hanno solo il fieno o la paglia, non
mangiano che carne, conducono, in una parola, la vita più semplice
possibile. Estranei a tutto ciò che non è guerra o pastorizia, ignorano
qualunque forma di scienza. La loro ricchezza è costituita soltanto dal
l'oro o dalle greggi, le sole cose che possono in ogni circostanza porta
re con sé, spostandole a loro piacimento». Queste informazioni che
contrastano con quanto affermato da Polibio, qualche riga prima, sulla
fiorentissima Gallia Cisalpina e sulla sua ricchezza agricola, e anche
con ciò che sappiamo degli stanziamenti gallici del IV secolo a.C., si
adattano ai Celti hallstattiani dediti generalmente alla pastorizia.
In Italia essi erano dei barbari, ma barbari desiderosi d'imparare, e
di buona volontà. Quando arrivò una seconda schiera di Celti i loro in
sediamenti dovevano essere in via di esaurimento, o addirittura abban
donati perché gli abitanti erano stati assimilati o avevano subito cocenti
sconfitte.
l CELTI NEL NORD-EST DELL'ITALIA
Un'altra iscrizione, che è stata tradotta in maniera soddisfacente
dallo studioso norvegese CJ. Marstrander, dimostra che i Celti pressap
poco nello stesso periodo avevano raggiunto l'estremità orientale delle
Alpi sciamando da quella parte in Italia. Nel 1812 è stato trovato a Ne
gau, nella Bassa Stiria, a qualche chilometro a nord-est di Marburgo
sulla Drava, un deposito d'una ventina di elmi di bronzo del tipo etru
sco-"illirico raffigurato sulle situle italiche. Due di tali elmi recano iscri
zioni in un alfabeto di tipo etrusco, come quella di Zignago in cui le
1 23
CAPITOLO IV
lettere comuni sono identiche. Le parole vanno lette da destra a sini
stra e, secondo Marstrander, sul primo casco è scritto:
Siraku/gurpi/sarni eisvi/tubni banuabi/, ossia: Sirranku Chorbi; Isarni
Tisuvii; Dubni Banuabii. Tutte queste parole sono nomi propri celtici;
il primo è la firma del fabbricante seguita dal nome di suo padre; gli al
tri due sono i marchi di proprietà di successivi detentori.
La seconda iscrizione consente una lettura meno ovvia:
ha rigasti triva. . . i . . .
Si tratta di un nome proprio germanico seguito da un patronimico
formato dal nome del dio Tiwaz.
La data di tali iscrizioni è evidentemente quella degli elmi. Orbene,
quegli elmi emisferici di bronzo rimasero in uso per diversi secoli. Un
esemplare è stato rinvenuto nella tomba di Sesto Calende ed è proba
bilmente il più antico. Una statuetta in bronzo, trovata nel cimitero illi
rico di Idria presso Baca, rappresenta un guerriero con la testa coperta
da un copricapo dello stesso tipo, e non può essere così antica. Altri el
mi sono stati trovati nel cimitero ticinese di Giubiasco con spade di La
Tène III e risalgono al l secolo avanti o dopo Cristo. È evidente che il
modello subì un'evoluzione. Gli elmi, in un primo tempo forgiati e
composti con placche fissate con ribattini, vennero più tardi fusi. La ca
lotta dei primi era mobile e poggiava direttamente sulla tesa, mentre
quelli di tipo etrusco avevano una scanalatura tra la tesa e la calotta sfe
rica munita di creste semplici o doppie, o schiacciata in cima. L'elmo di
Negau è intermedio tra quelli arcaici del VII o del VI secolo a.C. e i più
recenti modelli di Giubiasco. Rassomiglia all'elmo ogiva! e del cimitero
di Watsch (Siovenia) e ne è verosimilmente contemporaneo. Si può
con tutta tranquillità supporre che un pezzo di un 'antica armatura si
sia conservato in esemplari isolati al fondo di una valle remota, ma ven
ti esemplari riuniti, e di un 'arma così rara, non possono risalire che al
tempo in cui essa era regolarmente fabbricata. Qualunque sia la natura
del deposito: armeria, laboratorio di armaiolo, trofei, la conclusione ri
mane la stessa. Anche uno degli elmi di Giubiasco evidenzia bene un'i
scrizione in latino e in caratteri abbastanza moderni. Al contrario, le
iscrizioni di Negau sono arcaiche e certamente anteriori a quelle di Bra
nio e di Todi che risalgono alla grande invasione.'121
1 24
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALLSTATT
I Celti giunsero dunque in Stiria alla fine dell'epoca di Hallstatt, po
co dopo essere arrivati in Lombardia.1 13' Come i loro compatrioti dell 'o
vest, essi si assimilarono ai popoli dei quali furono ospiti o vincitori.
Quegli uomini che combattevano a testa scoperta'1�1 hanno lasciato solo
elmi, e per giunta fabbricati da loro, e ciò fa pensare eh ' essi non siano
passati a volo d'uccello, ma si siano stabiliti nella regione. Essendo le
loro tracce confuse con quelle delle popolazioni indigene, non sappia
mo né fin dove siano arrivati, né quanti fossero. Non ignoriamo tutta
via che, alla fine dell'Età del Ferro, si verificarono notevoli cambiamen
ti in tutta la regione che comprende la parte austriaca delle Alpi. Furo
no spostati cimiteri e insediamenti, pare addirittura che sia stato abban
donato lo stesso villaggio di Hallstatt. Un modo per spiegare un fatto
del genere è supporre l'arrivo, nella regione, di contingenti forestieri
abbastanza rilevanti, capaci di travolgere gli antichi insediamenti e di
crearne nuovi.
I Celti provenienti dai territori orientali giunsero in Italia? Lo igno
riamo, ma, come le popolazioni illiriche in mezzo alle quali si inseriro
no, essi subirono l'influenza della civiltà italica, che si trattasse di quella
dei Veneti di Este o degli Etruschi di Bologna. Si può supporre che le
colonie celtiche stabilitesi in Italia o sui suoi confini non abbiamo attin
to soltanto da quelle popolazioni italiche, ma anche dal retroterra celti
co. Il loro insediamento, con ogni probabilità, attivò gli scambi tra la
Pianura Padana e la Germania occidentale o la Francia, ed essi proba
bilmente ebbero un'influenza notevole sull'orientamento della civiltà
celtica. Ammessa l'esistenza di tali colonie, si comprende facilmente co
me la fibula della Certosa' 1;1 sia stata il punto di partenza delle fibule
celtiche di La Tène. Persino il pugnale ad antenne, grazie al quale si
possono datare le stele liguri, fu preso a prestito dall' Italia, dove pare
che esso sia succeduto direttamente alla spada di bronzo ad antenne.
La seconda iscrizione di Negau attesta la presenza di Germani nei
contingenti celtici11"l che alla fine della prima Età del Ferro andarono a
guerreggiare in Italia. Questa informazione ha un valore inestimabile
per quanto attiene la collaborazione celta-germanica già segnalata, per
ché ne fissa una data. Bisogna ricordare che in quell'epoca, a nord-est
del loro territorio, i Celti apparivano preponderanti rispetto ai loro vici-
1 25
CAPITOLO IV
ni. Il fatto non risalta con evidenza dai dati archeologici che ci mostrano
i Germani sotto l'influenza della civiltà illirica, ma l'iscrizione lo attesta.
L'ESPANSIONE DEI CELTI NEL SUD-OVEST DEllA fRANCIA
ALLA FlNE DI liALLsTATT
Nei primi tempi di Hallstatt l'area di diffusione dei tumuli, nella
parte sud-occidentale, si arrestava verso Cahors e non raggiungeva la
Garonna. Essa superava di poco il Massiccio Centrale. Un'improvvisa
espansione si verificò alla fine dell'epoca di Hallstatt, ed essa non era
stata di certo preparata da incursioni anteriori. Tale espansione è docu
mentata da numerosi cimiteri scaglionati tra il Massiccio Centrale e i Pi
renei, che furono a loro volta oltrepassati.
I cimiteri, in maggior parte, erano formati da tumuli che ricopriva
no resti cremati i quali, pur essendo stati erosi dalle acque, sono ancora
riconoscibili per la presenza di cerchi di pietre,1171 o di altre tracce. In
altri cimiteri le tombe sono piatte e allineate in file regolari.
Esistono tre gruppi principali, in due dei quali i cimiteri contengo
no numerose tombe. Il più importante si estende lungo i Pirenei, dallo
spartiacque tra il Mediterraneo e l'Atlantico, nei dipartimenti dell'Ariè
ge, dell'Alta Garonna, degli Alti Pirenei, dei Bassi Pirenei, delle Lande
e della Gironda. Il raggruppamento più importante si trova sull'altopia
no di Ger che domina l'Adour, negli Alti e Bassi Pirenei. Più a sud vi so
no i tumuli di Bartrès (cantone di Lourdes) e di Ossun (distretto di
Tarbes) , e più a nord, sull'altopiano di Lannemezan, il cimitero di Ave
zac-Prat. A est del bacino di Arcachon, il cimitero di Mios documenta la
stessa civiltà, ma le tombe in esso distribuite sono piatte.
Il secondo gruppo si estende da Albi a Tolosa e comprende i cimite
ri di Saint-Sulpice, di Sainte-Foy, a due chilometri da Castres, degli alti
piani di Lacam e di Mons, presso Roquecourbe, di Montsalvi, comune
di Puygouzon, di Lavène, presso Montsalvi, di Saint-Roch, presso Tolo
sa, etc. Il terzo gruppo, più sparso, ha per centro Agen. Altri tumuli so
no stati scavati più a nord, a Liviers, presso Jumillac-le-Grand, in Dordo
gna e, all'altra estremità di questa vasta provincia, nei dintorni di Ni
mes.
1 26
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NELL'EPOCA DI HALLSrATT
A tutte le tombe è stato possibile attribuire una data grazie alle spa
de e alle fibule in esse rinvenute. Le spade, invariabilmente ad anten
ne, sono ben diverse dal pugnale ad antenne della necropoli di Hall
statt. Si tratta di un tipo di spada piccola con impugnatura quasi sem
pre in ferro, e il cui pomo si scosta del tutto da quello dell'antica spada
di bronzo ad antenne. I bracci dell'impugnatura sono ad angolo retto e
terminano con due bottoni piuttosto grossi, che presto si ridurranno.
Le fibule sono in ferro, ad arco accentuato e con una grande asta,
simili a quelle della Certosa. Il prolungamento perpendicolare del pie
de termina con un bottone circolare piatto. Altre sono le fibule a tim
pano, contemporanee nell'Europa centrale a quelle della Certosa, ma
montate su un anello che attraversa le spire della molla e l 'estremità
del piede, fibule di tipo nuovo, caratteristico della regione dove si svi
luppò.
Se bisogna far risalire questi cimiteri aquitani al terzo periodo hall
stattiano, è più esatto collocarli alla sua fine, così come a priori è proba
bile che la civiltà hallstattiana sia durata in tale regione molto più a lun
go che altrove. La civiltà documentata da queste tombe non è una con
tinuazione di quella dei primi stanziamenti hallstattiani della Gallia.
È a est del territorio hallstattiano che bisogna cercare gli equivalen
ti di certi oggetti di metallo, trovati nei tumuli francesi, e soprattutto
delle loro ceramiche. Fra le armi figura un giavellotto tutto in ferro,
che ritroveremo identico in Spagna, ma che è già stato annoverato tra
le armi della stessa necropoli di Hallstatt. Per quanto riguarda la cera
mica, i tumuli si distinguono da quelli del resto della Gallia in p1ùnis
per l'abbondanza del vasellame. I tumuli hallstattiani dell'est e del cen
tro ne sono piuttosto sprowisti, mentre quelli della Champagne e della
Lorena sono più ricchi, anche se la ceramica è diversa da quella aquita
na che, in genere, presenta un aspetto stranamente arcaico. Decorata
con scanalature e con protuberanze come la ceramica di Lusazia, po
trebbe essere dell'Età del Bronzo, fatto su cu i non ci si può sbagliare,
perché essa comprende riproduzioni in terracotta di grandi ciste di
bronzo ad anse verticali, che devono essere collocate tra le ciste a cor
doni hallstattiane e quelle britanniche dell'epoca di La Tène. Inoltre,
ne fanno parte vasi con piede a forma di tronco di cono vuoto, che non
1 27
CAPITOLO IV
possono essere esemplari molto antichi di ceramica europea. È tra il va
sellame dei tumuli bavaresi e boemi che si trovano gli equivalenti della
ceramica aquitana, e tutto fa pensare all'insediamento, fra il Massiccio
Centrale e i Pirenei, di importanti contingenti di Celti, giunti dalla Ba
viera e dalla Boemia, senza tappe intermedie.
Vi sono evidentemente eccezioni che non infirmano questa conclu
sione. Per esempio, i cimiteri di Roquecourbe hanno fornito una cop
pa dipinta a triangoli rossi su fondo nero che ricorda la ceramica hall
stattiana della Franca Contea e della Germania del sud e, per altro, i di
versi gruppi differiscono in una certa misura gli uni dagli altri per gli
arredi funerari.
Un particolare notevole è la rassomiglianza di un certo numero di
vasi con quelli antichi di Golasecca: essi hanno le stesse forme panciu
te, le stesse bande parallele a lisca di pesce e a dente di lupo, gli stessi
piedi arcuati e cavi.
La struttura delle tombe presenta rassomiglianze dello stesso tipo.
Ho paragonato i cerchi di pietra di Golasecca a tumuli erosi. Quelli del
l'altopiano di Ger e dell'Alta Garonna mostrano dei cerchi di pietre,
qualche volta molteplici che, in certi casi, sono l'unica cosa rimasta, es
sendo stata la terra dei tumuli trascinata via dalle acque. Inoltre, dob
biamo essere in presenza di un reperto non solamente paragonabile,
ma parallelo a quello di cui il cimitero di Golasecca è il monumento
principale.
Da una parte e dall'altra, insomma, vi sono due propaggini di domi
nio celtico che si svilupparono in modo improwiso. Entrambi i nuovi
stanziamenti furono, suppongo, creati dai Celti venuti dopo, e non da
quelli che si erano stabiliti, immediatamente prima, sul confine. Come
testimonia la storia, più tardi si stanziarono nella regione i Volci, i Volci
Tettosagi, attorno a Tolosa, i Volci Arecomici nel Gard, e i Boi attorno
al bacino di Arcachon, tutti arrivati dalla Baviera e dalla Boemia. Se
non erano già giunti al completo in tale data, risulta tuttavia che era
possibile l'arrivo di colonizzatori celti da molto lontano. La colonizza
zione del terzo periodo di Hallstatt può essere seguita attraverso la
Francia grazie alla distribuzione di certi tipi di spade. Sembra che si fos
se momentaneamente fermata alle pendici dei Pirenei, proprio come,
1 2R
L'ESPANSIONE DEI CELTI SUL CONTINENTE NEll.'EPOCA DI HALL'iTATT
secondo Tito Livio, l'armata di Belloveso si arrestò ai piedi delle Alpi.
Da tale sosta derivò la catena di insediamenti che costeggiano la monta
gna, durati a lungo, forse per la presenza di saline a Salies-de-Bearn e
nella regione. Ma non sopravvissero quanto gli stanziamenti costituitisi
al di là dei Pirenei, donde attinsero una parte dei loro utensili e della
loro civiltà della quale si parlerà in seguito.
EsPANSIONE DEI CELTI NELL'ESTREMO OCCIDENTE DELL'EUROPA
La più antica ceramica dell'Età del Ferro trovata nel sud dell'Inghil
terra, prima a Hengistbury Head, presso Southampton, poi a Ali Can
nings Cross Farm (Wiltshire) , rassomiglia moltissimo a quella dei tumu
li dei Pirenei. I Britanni, dei quali testimonia l'arrivo, venivano diretta
mente dalle stesse regioni? Passarono attraverso l'Aquitania? Si imbar
carono sulle rive della Loira, come ha supposto Zimmer, per i Goideli,
e su quelle della Garonna? Provenivano forse dalla Bretagna, dove un
vasellame del tutto simile è stato trovato nel cimitero di Roz-an-Tre
men, vicino a Penmarc'h. È opportuno notare a questo punto che la se
rie immed iatamente precedente alla ceramica di Hengistbury Head si
compone di vasi con cordoni in rilievo dello stesso tipo di quelli della
seconda epoca di Golasecca, che sembra aver imitato. Questi elementi
diversi inducono a pensare che bande di emigranti si siano dirette, in
tale epoca, dall'est del mondo celtico, in parte verso l'estremo occiden
te dell'Europa, in parte verso sud-ovest, e che il flusso, almeno dal lato
occidentale, sia stato per qualche tempo continuo.
1 29
C.-IPITOI.O \'
L'ESPANSIONE DEI CELTI ALL'EPOCA
DI liALLs TAT T (FINE). l CELTI IN SPAGNA
CIMITERI E TUMUU CELTICI
La migrazione verso sud-ovest non si esaurì quando raggiunse i Pi
renei e molti di coloro che erano partiti li superarono. Occorre sottoli
neare subito che quanti emigrarono non infransero mai i legami con
gli insediamenti dell'Aquitania. Si trovano nelle tombe di questa pro
vincia, e più precisamente in quelle della regione pirenaica, oggetti co
me le fibbie dei cinturoni,111 fabbricati in Spagna, a sud dei Pirenei e co
piati da modelli greci o italici. Tale apporto di oggetti ispanici contri
buisce a dare una fisionomia alla civiltà hallstattiana dell'Aquitania, che
sembra ben distinta da quella di tutte le altre province celtiche. Essa in
dica, d'altra parte, che gli stanziamenti a nord e a sud dei Pirenei costi
tuivano un solo e identico gruppo, una stessa unità etnografica della
quale non sembra dunque inutile far emergere i legami.
Sono stati segnalati a sud dei Pirenei una serie di tumuli a incenera
zione, oltre a cimiteri dello stesso tipo, molto grandi, che risalgono alla fi
ne del terzo periodo di Hallstatt. I tumuli senza struttura interna e l'ince
nerazione erano in quell'epoca un fatto nuovo per la Spagna. Tali tumuli
e tali sepolcri sono stati datati grazie alle fibule appartenenti ai diversi tipi
già segnalati, alle spade ad antenne, al vasellame simile alla ceramica pire
naica. I più antichi risalgono quindi alla metà del VI secolo a.c. m
I tumuli sono stati trovati raggruppati sulle Alcores, le colline della
grande ansa formata dal Guadalquivir prima di sfociare in mare, e sono
vicini a cimiteri a inumazione senza tumuli. Vi si sono trovati oggetti in
131
CAPITOLO V
ceramica, fibule serpentiformi e del tipo della Certosa, il tutto misto a
così abbondanti oggetti fenici da indurre l'archeologo ad attribuire tali
tombe a coloni cartaginesi, ma i Cartaginesi e i loro sudditi libici non
cremavano i morti.'�1
Si deve al marchese di Cerralbo se si conoscono i grandi cimiteri
delle due province centrali di Soria e di Guadalajara, province contin
gue, l'una a sud-est della Vecchia Castiglia, l'altra a nord della Nuova
Castiglia. In quella regione, dove esistevano saline che potevano indur
re la popolazione a fermarsi, sono stati trovati una dozzina di cimiteri a
incenerazione, il più importante dei quali è quello di Aguilar de Angui
ta, nella provincia di Guadalajara, presso le sorgen ti del Salon, l'antico
Salo, la cui valle collegava quelle dell'Ebro e del Tago.
Nel cimitero di Aguilar de Anguita, come altrove, le urne erano di
sposte su diverse file parallele a un metro o un metro e mezzo di distan
za. In altri cimiteri, del tutto simili, per le scoperte che vi sono state fat
te, l'ordine è scomparso perché non è mai esistito. Non vi furono eretti
tumuli e sopra l'uma, salvo rare eccezioni, era posta una stele priva di
decorazioni.
I pezzi caratteristici dell'arredo funerario sono gli stessi del nord
dei Pirenei. La spada è quella ad antenne, ma ve ne sono di diversi tipi,
in bronzo e in ferro, semicircolari, e ad antenne monche.
Le fibule (fig. 4) sono di ferro ad asta perpendicolare e a scatto, al
tre ad anello, e la fibula hallstattiana ad arco e ad arco serpeggiante,
che manca, stando a quanto ne so, nelle serie pirenaiche di Francia e
figura fra i reperti di Hallstatt. Si tratta di una fibula probabilmente ori
ginaria dell 'Italia da cui giunse in Spagna. Forse i fermagli da cinturo
ne, che sono originalissimi, sono ugualmente di diretta importazione
ed ebbero un'evoluzione autonoma.
La ceramica, composta soprattutto di urne funerarie, si ricollega in
parte a quella del nord dei Pirenei e, pur essendo tipica dei cimiteri a
incenerazione, è stata trovata anche nelle necropoli più recenti. Infatti
le comunità, che vi seppellivano i morti, erano, come quelle dell'Aqui
tania, depositarie di riti antichi. È un dato su cui, per il momento, non
ci soffermiamo, ma sul quale sarà necessario ritornare. Ci vollero alme
no due o tre secoli perché i modelli hallstattiani si evolvessero come in
1 32
L'FSPANSJONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTAIT (FlNE).
l CELTI IN SPAGNA
Spagna e nei Pirenei. La civiltà alla quale appartenevano in seguito so
prawisse a se stessa. Dati cronologici sono forniti dalla scoperta di vasi
greci del V e IV secolo a.C. in una necropoli simile, nel sud del Porto
gallo, ad Alcacer-do-Sal, e da quella di vasi iberici dipinti del III secolo
a.C., in molti altri cimiteri.
FIGURA 4. - Fibule halstattiane spagnole.
Facciamo adesso un giro del territorio. Si sono trovate fibule della
serie sopradescritta e pugnali ad antenne isolati, o tombe a incenera
zione contemporanee in alcune citanias, antiche città in muratura del
Portogallo; nel nord-est della penisola, in Cantabria e in Galizia; nel
sud, in Andalusia, ad Almedinilla e nella provincia di Almeria; sulla co
sta stessa del Mediterraneo, a Villaricos.
A nord-est della penisola, s'è rinvenuto il pugnale ad antenne nel
cimitero di Gibrella e in quello di Perelada (Gerona) . In Catalogna,
nelle province di Gerona e Barcellona, è stata esplorata tutta una serie
di cimiteri a incenerazione, il cui vasellame ricorda quello dei cimiteri
del Tarn.
1 33
CAPITOLO V
Infine, in quasi tutta la penisola, gli oggetti caratteristici di questa
civiltà, che altrove è !ungi dall'essersi mantenuta pura, sono stati ritro
vati isolati sui confini e ammassati al centro. Senza legami evidenti con
le civiltà anteriori, di cui ignoriamo pressoché completamente le più vi
cine (in Spagna non esiste un sito recente dell'Età del Bronzo), essa si
introdusse in un 'epoca che può essere collocata, in base ai pugnali ad
antenne di bronzo, tra il 600 e il 500 a.C.
Avendola ipoteticamente attribuita ai Celti a nord dei Pirenei, rite
niamo d'aver ragioni sufficienti per ascriverla anche a quelli a sud di ta
li montagne.
l TESTI STORICI
A nord dell'Italia e dell'Adriatico, dove i Celti s'erano spinti nel VI
secolo a.C., i Greci non avevano avuto contatti diretti con loro. La loro
avanzata non ha pertanto lasciato memoria nella letteratura classica,
salvo che in Tito Livio il quale attingeva forse ad altre fonti. I naviganti
greci commerciavano con la Spagna prima del VI secolo a.C., e grazie
ai loro viaggi sono rimaste numerose testimonianze sul territorio e gli
abitanti della penisola, alcune delle quali riportate da testimoni atten
dibili, da scrittori che vi parteciparono. Secondo loro i Celti arrivarono
molto presto nella penisola, abitata più tardi dai Celtiberi.
Il primo a segnalare i Celti in Spagna è stato Erodoto. «L'Istro na
sce nel territorio dei Celti e della città di Pirene; scorre attraverso l'Eu
ropa che taglia a metà; orbene i Celti sono all'infuori delle Colonne
d'Ercole e limitrofi dei Kynesioi, che costituiscono l'estrema popolazio
ne occidentale dell'Europa>>. La geografia di Erodoto, per quanto con
cerne l'interno dell'Europa, è vaga, mentre è precisa per quanto ri
guarda le coste. Egli apparteneva a un popolo di navigatori, detentore
di informazioni nautiche, e le cui fonti geografiche erano i Peripli, un
genere molto diffuso nella letteratura greca. I Kynesioi erano un popo
lo ligure, chiamato da Polibio K6vwL, le cui città erano Conistorgis (del
la quale non si conosce l'ubicazione) e Conimbriga, molto a nord, e
che abitavano, in effetti, all'estremità sud-occidentale della penisola,
1 34
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTA'IT (FINE).
I CELTI IN SPAGNA
tra la Guadiana e Cabo de Sao Vicente. Nelle Metereologiche Aristotele
ha registrato fedelmente le informazioni fornite da Erodoto, facendo
riferimento, se non proprio alla città, alla montagna di Pirene, nella Cel
tica, donde nascono l'Ister e il Tartesso. A proposito di questo fiume,
l'odierno Guadalqui,�r, e della sua valle che era, per i navigatori an ti
chi, una specie di Eldorado, Erodoto fornisce un dato al quale non s'è
prestata tutta l'attenzione dovuta. Si tratta del nome di Argantonio, re
di Tartesso, che regnava al momento dei primi tentativi di colonizzazio
ne da parte dei Focesi intorno al periodo della fondazione di Marsiglia.
Erodoto racconta che egli donò loro l'argento per costruire le mura
dietro le quali Focea sfidò a lungo i Persiani e Ciro. Tartesso era cele
bre per le sue miniere d'argento, e Argantonio era il re dell'argento.
Se il suo nome fosse iberico come il nome stesso di Tartesso, si a\Tebbe
un argomento di grande portata, ma forse unico, per classificare gli
Iberi tra gli In do-Europei. Ma è precisamente la forma celtica del nome
dell'argento che vi si può riconoscere: arganto.\'1 Vi erano dunque dei
Celti a Tartesso, ove la leggenda focese del re dell'argento si incrocia
con elementi celtici. I Celti delle Alcores non erano lontani e niente
impedisce di credere che un capo celtico fosse diventato il re dello Sta
to iberico di Tartesso, forse col matrimonio.
Argantonio era morto allorché i Focesi andarono a fondare Alalia
in Corsica, nel 564 a.C. Personaggio semileggendario, si era creato una
reputazione di proverbiale longevità. Egli avrebbe, dice Erodoto, regna
to 80 anni e vissuto 1 20; più tardi gli si attribuì una �ta tra i 150 e i 300
anni. Occorre in ogni caso supporre che egli abbia regnato tra il 700 e
il 600 a.C. e far risalire a tale epoca l'arrivo dei Celti in Betica. Nelle
tombe delle Alcores, più antiche dei cimiteri di Castiglia, sono stati rin
venuti oggetti precedenti alle fibule della Certosa.
Verso il 350 a.C., Eforo, nella sua Storia universale, descriveva il do
minio dei Celti che si estendeva fino a Cadice. Aristotele, alla fine del
secolo, indicava sotto il nome di Celtica tutta la zona montuosa della
Penisola. Alcuni anni dopo, Pitea compiva il suo viaggio, da cui Timeo
ed Eratostene hanno ampiamente attinto. Timeo ha descritto i fiumi
che si gettano nell'Atlantico attraversando le montagne della Celtica.
Eratostene era stato criticato da Strabone perché affermava che le coste
1 35
CAPITOLO V
occidentali della penisola appartenevano ai Celti. Ma Timeo ed Erato
stene furono, a quanto sembra, i primi a parlare dei Celtiberi. L'espan
sione celtica in Spagna, comunque, aveva raggiunto il suo acme e da
quel momento in poi avrebbe cominciato a regredire.
Pressappoco ai tempi di Erodoto, l'autore del periplo di cui si è ser
vito Avieno nell ' Ora maritima, ha indicato i nomi delle popolazioni cel
tiche che si erano avvicinate alla costa portoghese. «A settentrione dei
Cineti», egli dice,
Cempsi atque Saefes arduos collis habenl
Ophiwsae in agro, propter hos pernix Ligus
Draganumque jJroles sub nivoso maxime
Srptentrione conlocaveranl larem.
Il paese si chiamava Ophiussa. I popoli che si erano intercalati tra i
Liguri e i Cineti, scacciando i primi a nord nei Pirenei o anche oltre,
erano probabilmente i Celti di Erodoto.'51 I Cempsi dovevano essere in
sediati non solo intorno alla regione dei Cineti ma anche all'interno,
lungo la frontiera settentrionale del regno di Tartesso. I Saefi forse oc
cupavano la regione che si estendeva a nord degli insediamenti dei
Cempsi.
Lo stesso autore ci segnala per la prima volta, a oriente, il nome di
un altro popolo celtico. Dopo aver ricordato il fiume Tyrius, il Turia (o
Guadalaviar) di oggi, aggiunge: «Ma man mano che la terra si allonta
na dal mare, il paesaggio si ondula per la presenza di colline boscose.
Là i Beribraci, popolo selvaggio e fiero, circolano in mezzo ai loro nu
merosi greggi; queste genti, che si nutrono molto parcamente di latte e
di formaggio grasso, appaiono così selvagge come bestie feroci>>. I Seri
braci, altrimenti detti Bebrici, sono molto più conosciuti degli altri due
popoli. Essi sono formalmente indicati come Celti dal periegeta Scim
mo di Chio che ha riassunto l'opera geografica di Eforo. Il loro nome
può essere collegato a una famiglia di parole celtiche, Bebrinium, Be
briacum, Bebronne, Bibrax, Bibrori (in Bretagna) , nella cui radice si
trova il nome del castoro, be!Jros.
Autori quali Dione Cassio, C. Silio Italico e Giovanni Tzetze, la cui
testimonianza, a dire il vero, non ha grande validità per quei tempi re-
1 36
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTATI (FlNE).
I CELTI IN SPAGNA
moti, collocano i Bebrici in vari punti della costa. Stando al geografo
marsigliese, ripreso da Avieno, l'interno della penisola era nelle mani
di tre grosse tribù celtiche, mentre Liguri e Dragani erano insediati solo
nei Pirenei, e ciò in apparente contraddizione con i dati archeologici.
Egli fa presumere sia che i Celti abbiamo occupato il Massiccio Centra
le e i Pirenei solo in aree limitate, sia che gli insediamenti di tali regio
ni non abbiano avuto la stessa durata di quelli meridionali e costieri.
Gli storici posteriori a Eforo non accennano più alle tribù di cui par
la Avieno e menzionano soltanto un limitato numero di nomi di popoli
celtici che non appartengono al gruppo dei Celtiberi. I Beroni,'"J dislo
cati nell'alta valle dell'Ebro, sono considerati Celti come i loro vicini,
gli Autrigoni, e come i Turmogidi, dall'altro lato della linea spartiac
que, tra le valli dell'Ebro e del Duero. A mio parere erano Celti anche i
Nemeti o Nemetati, segnalati da Tolomeo sulla riva destra del Duero a
nord della Lusitania, nel cui nome si awerte la parola celtica nem.eton.
Più a nord gli Artabri, dal nome articolato sul modulo di quello del Can
tabri, erano detti parimenti Arotrebae, che può essere celtico; essi aveva
no infatti tre città con nome celtico, Ardobriga, Arcobriga e Brigantium,
senza parlare del promontorimn Celticum che penetrava nel loro territo
rio a nord-ovest della Spagna. A sud degli Artabri erano stanziati i Bra
cari, con la città di Caladunum, presentati, a loro volta, come Celti, an
che se questi due ultimi popoli sono compresi tra i Lusitani, i Galleci, il
cui nome si estende, e alla Galizia, e probabilmente a tutta la sua popo
lazione. Non sappiamo se le tribù celtiche occupassero da sole il loro
territorio o se lo dividessero con elementi delle tribù iberiche o basche,
né sappiamo da quando le popolazioni in questione si fossero stabilite
nelle terre dove sono state segnalate, e neppure se esse fossero frazioni
dei grandi raggruppamenti del VI secolo a.C., o se li avessero rimpiaz
zati.
Fatta eccezione per i Celtiberi, i Celti di Spagna erano anche indi
cati con nomi apparentemente generici: Celti o Celtici; KfÀm{ o KfA
TLKol.
Gli scrittori ci fanno conoscere un gruppo di Celtici o di Celti, al
sud, tra la Betica e il Tago; un altro gruppo in Galizia attorno a Capo
Finisterre, e a cavallo del Tamara e del Tambre. Inoltre, un nucleo in-
137
CAPITOLO V
termedio doveva trovarsi tra il Tago e il Duero, dove più tardi, presso
Salamanca, è segnalata una città chiamata Celticoflavia. KcÀTLKol sem
brerebbe essere un derivato, forse iberico, a meno che non sia greco e
non implichi una sfumatura di significato per definire una popolazione
non celtica.';' In ogni caso questo nome etnico ha fornito ai Celti di
Spagna un numero rilevante di nomi propri: Crltigu n, Celtillus, Celtius,
Crltus, Cellitanus.
Ciò significa che i Celti di Spagna e, per estensione, quelli delle pri
me migrazioni, erano Celti e non Galli? Senza dubbio la lingua dei Celti
di Spagna e quella dei Galli di Gallia avevano lievi differenze di vocabo
lario e di fonetica. Abbiamo un gran numero di nomi celtici in Spagna,
anche se vi mancano quelli in -mams, ed esiste un solo esempio di nome
in -1ix (Thiureigs). Vi sono, al contrario, i nomi Boutius, Cloutius, Maelo.
La parola Ambactus compare sotto la forma Ambatus e Camulus sotto la
forma Camalus. Ma tali differenze non sono paragonabili a quelle del
goidelico e del britannico.
IL TERRITORIO OCCUPATO DAI CELTI
La toponimia celtica della penisola permette di determinare con
sufficiente esattezza, se non tutta l'estensione del territorio occupato
dai Celti, per lo meno quella della regione dove essi si fermarono così a
lungo da ]asciarvi i nomi di luogo. La serie più interessante è quella dei
nomi di città, alcuni dei quali sembrano risalire alla prima occupazione
celtica: si tratta dei nomi in -briga, per esempio Segobriga, Segorbe, Lac
coltriga, Lagos. La frequenza, in Spagna, del termine -briga ha indotto a
considerarlo, ma a torto, iberico.'"' Il suffisso -&riga equivalente gallico
del tedesco Burg figura nell'onomastica di paesi dove gli Iberi non han
no certamente mai dimorato: Admagetobriga nella Franca Contea, Arto
ltriga in Baviera, ecc. Il nome della dea Brigit deriva dalla stessa parola o
dallo stesso tema verbale, ma con vocale i, la cui celticità è dunque in
dubbia.'''' Certo briga è legato a nomi il cui primo elemento non è, o
non sembra, essere celtico: Uollobriga, Langoltriga, Talabriga, Conimbriga,
Cottaiobriga, ecc. A dire il vero alcuni sono nomi latini adattati al gallico:
1 38
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTATT (FINE).
I CELTI IN SPAGNA
Augustoliriga, Caesarobriga, juliobriga, Flaviobriga, ma ve ne sono moltissi
mi interamente celtici perché non si sia obbligati a cercare in un'altra
lingua 1 'origine del primo elemento. Tali sono Elmroliriga, Nertoliriga,
Meduliriga, Nemetoliriga, Deobriga, ecc. Tuttavia non si conoscono più di
sei nomi in -/;riga in Gallia e in Germania, mentre sono trentacinque
nella Penisola Iberica.' 11'1 Generalmente essi sono più numerosi all'ovest
e al centro che a sud e a est, mentre mancano in Catalogna, nelle pro
vince di Valencia, Alicante e Murcia, così come nei governatorati di
Granada e di Siviglia. Ve ne sono tredici nella provincia di La Cormìa,
quattro nella provincia del Duero, tre in quella portoghese deli'Estre
madura.
Altri nomi celtici, ripartiti nello stesso modo, corroborano la celti
cità dei primi: Brigantium, Trigundum, Novium, Deva, Uxuma, Ugultinia
cum, Ebora, Elmroliritium,'''' Ocelodurum.
Gli insediamenti celtici possono essere delimitati da Deobriga nella
valle dell'Ebro presso gli Autrigoni, da Nertobriga nella valle del Jal6n, a
oriente, passando per Conlrebia sull'jiloca, da Segobriga, la città di nome
celtico che da questo lato è più vicina alla costa; da Mirobriga e da Nerto
liriga in Andalusia.
A nord dell'Ebro, in piena Aragona, Gallicus, con le due città di Fo
rum Gallorum e di Gallica Flavia, sembra appartenere a uno strato più
moderno di nomi celtici. Più a occidente, l'area dei nomi celtici rag
giunge la costa, con due Deva, una presso i Carieti, l'altra presso i Can
tabri. I Celti, che non scacciarono le popolazioni insediate sui Pirenei,
si mescolarono certamente con loro. A est, tra i Celti e la costa, si trova
vano stanziamenti iberici dove essi penetrarorio, senza tuttavia intaccar
li seriamente. A sud v'erano gli insediamenti dei Tartessi. Sulla costa oc
cidentale della penisola, costellata al contrario da numerosi nomi celti
ci, vi erano città celtiche.
La carta che noi possiamo così tracciare non corrisponde del tutto
a quella archeologica, perché lascia fuori dagli stanziamenti celtici i ci
miteri a incenerazione delle province di Gerona e di Barcellona da una
parte, e dall'altra la regione delle Alcores con i suoi tumuli a incenera
zione. Le scoperte archeologiche inducono a concludere che gli stan
ziamenti, da entrambi i lati, non siano stati di lunga durata. La Catalo-
1 39
CAPITOLO V
gna e la Betica furono dominate principalmente dagli Iberi e dai Tar
tessi. Che piccole bande di Celti abbiano attraversato l'una, si siano in
sinuate nell'altra, o vi si siano anche stabilite, poco importa: esse venne
ro infatti assimilate, oppure non hanno lasciato traccia nella storia.
La cartina da noi esaminata sembra indicare le vie seguite dai Celti
durante l'invasione, la più importante delle quali fu, in ogni caso, quel
la che attraversava i valichi occidentali dei Pirenei, la famosa strada di
Roncisvalle. Tale strada avrebbe quindi raggiunto la valle dell'Ebro pas
sando per Surssatium, città nel territorio dei Varduli dal nome celtico
che ricorda quello dei Suessioni, e attraverso Deobriga, per raggiunge
re l'altopiano passando per la gola di Pancorbo. Al di là c'erano le valli
del Pisuerga e del Duero. Ed è dall"altopiano che gli invasori si sarebbe
ro sparsi per il resto della penisola. Sono propenso a credere che i vali
chi orientali dei Pirenei abbiano lasciato passare bande meno impo
nenti, ma non sono d'accordo con quanti sostengono che i Celti arriva
rono per mare e risalirono i grandi fiumi a occidente.
Come i Celti dell'Aquitania, essi dovevano venire da lontano. Non è
certo che il nome di Suessalium, il quale fa pensare ai Suessioni, risalga
ai primi stanziamenti celtici, ma quello di Bnganlium, la città celtica che
precedette La Corui1a, presso i Cantabri, appartiene verosimilmente al
lo strato antico dei nomi celtici di Spagna. Tale nome è significativo,
trattandosi anche del nome di Bregenz, sul lago di Costanza, e di quel
lo dei Briganti che giunsero in Inghilterra dalla stessa regione.
La toponimia fornisce ancora un 'informazione importante sulla na
tura degli stanziamenti celtici. Mentre in Gallia abbondano i nomi in
-magus e in -ialum, formati con nomi comuni indicanti la pianura e il
campo, e riferiti a insediamenti probabilmente agricoli situati in pianu
ra, l'abbondanza di nomi in -briga, che indicano gli insediamenti fortifi
cati di altura è assai significativa. Tali nomi infatti indicano insicurezza,
stato di guerra o di pericolo di guerra, e inducono a raffigurare i Celti
di Spagna, che conquistarono solo parti meno attraenti della penisola,
divisi in formazioni sparse in mezzo alle popolazioni liguri, allontanate
e smembrate, ma ancora temibili e in grado di sorvegliare gli Stati ibe
rici o tartessi che formavano una forza militare tenuta sempre in gran
de considerazione dagli scrittori antichi. Quelle popolazioni vigilavano
1 40
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTATI (FINE).
l CELTI IN SPAGNA
sulle fertili vallate del sud e dell'est con tale forza che i Celti non riusci
rono mai a dominarle del tutto. La rapida avanzata dei Celti in una così
vasta contrada consentì loro di dar vita solo a una serie di postazioni
sparse, ma non di creare una rete consistente di insediamenti.
Secondo gli storici i Celti dell'altopiano spagnolo conducevano l'e
sistenza dura e miserevole dei pastori che vivevano allo stato selvaggio. I
montanari, i pastori e i contadini della Meseta conducono ancor oggi
una vita assai rude, però a stretto contatto con borghesi e aristocratici.
I Celti, essendo in rapporto con Tartesso, da dove si esportavano,
nell'epoca di Eforo, l'oro, il rame, lo stagno della Celtica, avevano lega
mi economici con tutto il mondo allora conosciuto e ne traevano un
notevole profitto. D'altra parte non furono mai diffidenti nei confronti
delle altre civiltà, dalle quali attingevano, come dimostrano le testimo
nianze archeologiche dei Celti spagnoli. Coloro che sepellivano i morti
nei tumuli delle Alcores erano provvisti d'un abbondante armamenta
rio di bronzo e di avorio cartaginese. Quelli di Aguilar de Anguita e de
gli altri luoghi della Castiglia e del Portogallo compravano ceramica
iberica e greca e adottarono in parte l'armamento degli Iberi, ad esem
pio gli scudi rotondi, di cui si trovano nelle tombe le strutture in ferro.
Oltre a questi imitarono le corazze composte di placche rotonde legate
con bretelle, il cui modello presero dagli ltalici, i morsi dei cavalli e an
che la ferratura, che comparve per la prima volta in ambito celtico.
Tuttavia i prestiti dalle civiltà straniere appaiono meno abbondanti
man mano che ci si avvicina alla Garonna, e le sepolture aquitane, se si
paragonano a quelle contemporanee della valle del Reno e della Ger
mania meridionale, danno, nell' insieme l'impressione d'essere povere,
soprattutto d'oggetti di lusso di manifattura greca.
In sintesi: stanziamenti molto estesi, ma poco densamente popolati
da pastori e guerrieri, che si diffusero molto rapidamente attraverso gli
altipiani e si spinsero verso il mare attraverso i grandi fiumi del versan
te atlantico, il Duero, il Tago e la Guadiana. Essi ebbero facilmente ra
gione dei primi occupanti liguri, ma si fermarono al confine delle valli
e delle coste fertili già occupate dai Tartessi e dagli Iberi, i popoli domi
nanti nella penisola, i cui destini coinvolsero i Celti.
141
CAPITOLO V
L'ACCERCHIAMENTO DEGU INSEDIAMENTI CELTICI. L'INVASIONE
IBERICA IN ÙNGUADOCA E IN AQUITANIA
Qualche decina d'anni dopo l'invasione celtica, gli Iberi della Valle
dell 'Ebro si spinsero verso nord a danno dei Liguri, contro i quali, ve
rosimilmente, organizzarono spedizioni militari, scatenando una guer
ra di distruzione. Ma dopo tali devastazioni, estesero i loro insediamen
ti, ed è possibile che durante la migrazione abbiano coinvolto tutta la
serie degli Stati iberici o siano stati spinti da pressioni ancora poco co
nosciute partite dal sud.
Al tempo di Ecateo di Mileto, la regione di Narbona, con Béziers e
Montpellier, era dominata dai Liguri. Una loro popolazione, gli Elisici,
vi formava uno Stato, che fece parlare molto di sé, quasi quanto Tartes
so e che ai tempi dell'epopea omerica era lo Stato modello dell 'Occi
dente meraviglioso, beato e lontano, dove si ritiravano i morti.
Nel 480 a.C., quando i Cartaginesi piombarono su Gelone di Siracu
sa, al momento in cui andò in soccorso della Grecia attaccata dai Per
siani, e furono battuti ad lmera, essi avevano con sé, come mercenari,
degli Elisici insieme a Liguri, Sardi e Corsi.
Al tempo del periplo marsigliese, fonte di Avieno, la gloria degli Eli
sici era solo un ricordo. <<La nazione degli Elisici ha occupato subito
questi luoghi, e Narbona era il capoluogo del suo altero regno». L'au
tore descrive le rovine lasciate dal passaggio degli Iberi. <<Una tradizio
ne antica riferisce che in quel sito vi era Bezera (Béziers) ,112l ma ora
I'Heledus (ossia il Lys) e I'Orobus (ossia I'Orb) scorrono attraverso i
campi vuoti e i mucchi di rovine testimoni della passata prosperità••. A
quell'epoca, secondo lo stesso autore, il confine degli Iberi raggiungeva
I'Hérault, Oranus e la palude di Thau: Taurus palus.
Più tardi esso giunse fino al Rodano. È possibile che gli Iberi abbia
no risalito la valle del Rodano. Un a buona parte dell'etnografia antica
ci è pervenuta sotto forma di favole e miti attraverso i poeti epici o liri
ci e i poligrafi. L'autore di un Tlfpi rrom;u'Jv, che viene attribuito a Plu
tarco, parla di un KfAr{oTJpOC, che sarebbe stato un affluente della Sao
na. Forse è un ricordo di quelle vecchie spedizioni delle bande iberi
che, ma ci si può domandare ancora se l'avanzata degli Iberi nel V se-
1 42
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTATT (FINE).
I CELTI IN SPAGNA
colo a.C. non sia stata preceduta da altri e più vasti movimenti sui confi
ni ibero-liguri.
Dall'altro lato gli Iberi s'insediarono stabilmente tra i Pirenei e la
Garonna: E/ibere (Auch) , Hungunverro, tra Tol osa e Auch, Calagurris, tra
Tolosa e Saint-Bertrand erano città iberiche, come Elusa (Eauze) , lluro
(Oioron) , Tolosa, Carcaso.
Bisogna aggiungervi Bordeaux (Burdigala) e forse C01·bilo, ossia
Names. Le fondazioni di tali città dimostrano che gli Iberi lasciarono in
queste regioni altre tracce oltre alle distruzioni; restano infatti nel pae
se i resti della loro civiltà; e in particolare il loro vasellame,n11 molto co
nosciuto grazie agli scavi di Montlaurès, Ensérune, Castei-Roussillon,
Baou-Roux. Se n'è trovato a Marsiglia e nei dintorni di Arles. Monu
menti scolpiti, come la statua di Grézan, dalla cintura iberica, e come il
busto di Substantion (Sextantio),1141 dal medesimo copricapo della sta
tua di Grézan, awalorano con più evidenza la stessa testimonianza.
Lo stanziamento degli Iberi in Aquitania nel V secolo a.C. ebbe per
i Celti della regione e per quelli della Spagna una conseguenza impor
tantissima. Essi furono tagliati fuori per un lungo periodo dalla massa
celtica. Non ricevettero più nulla e mantennero la civiltà celtica origina
ria che avevano diffuso al loro arrivo, conservando pertanto caratteristi
che peculiari. Per un periodo di duecento o trecento anni le comunica
zioni dirette tra i Celti di Spagna e quelli di Gallia e di Britannia furono
scarse e solamente via mare. Dei rapporti però esistevano, anche se ne
sono rimaste tracce evidenti solo nell'occidente o indirette sulla costa
meridionale della penisola dove si sono trovate alcune torque d'oro o
di bronzo e alcune fibule di La Tène I che mancano del tutto altrove.
Sembra che gli Iberi abbiano resistito nella regione pirenaica a ove
st della Garonna, ma abbiano abbandoilato la Linguadoca dopo meno
di un secolo. Il Pen·plo di Scilace, attribuito a un ammiraglio di Dario,
ma redatto intorno al 350 a.C., ci fornisce un quadro della regione del
tutto diverso da quello di Avieno. Esso pone il confine degli Iberi nei
dintorni di Emporion, a sud dei Pirenei. Tra Emporion e il Rodano gli
Iberi e i Liguri s'erano fusi: Myvfç Kai "loryfJfç JlLyd&ç. I Liguri erano
dunque ritornati sui loro passi e i conquistatori erano arretrati, accor
dandosi con loro o tenendosi sulla difensiva.
1-13
CAPITOLO V
L'avvenimento è importante, perché dietro i Liguri rifluenti giun
geva un'altra ondata di Galli, e il ritorno degli Iberi in Spagna ebbe sul
la situazione degli insediamenti celtici della regione effetti che biso
gnerà analizzare.
l CELTI SULLA COSTA DELLA PROVENZA
Due secoli dopo, Timeo, che scriveva verso il 260 a.C., includeva
nella Celtica le coste provenzali del Mediterraneo. Un passo del llfpi
OavJl.aa[wv dKovaJl.dTwv attribuito ad Aristotele, ma che risalirebbe a Ti
meo, descrive la strada eraclea, vale a dire la strada costiera che andava
dall'Italia alla Celtica, e raggiungeva la Spagna. «Si dice che dall'Italia
fino in Celtica, presso i Celto-Liguri e gli Iberi, vi sia una strada che si
chiama strada eraclea . ' "1 È il più antico testo storico che indica in ma
..
niera formale l'estensione della Celtica fino al Mediterraneo. I fatti che
la riguardano, segnalati solo in tale data, si erano svolti almeno un cen
tinaio d'auni prima ed erano in relazione con l'indietreggiamento de
gli Iberi di cui riferisce Scilace.
Di certo i Celti s'erano da molto tempo avvicinati alla costa della
Provenza, ma testimonianze meno congetturali di quelle cui si è ricorsi
fino a oggi ci sono fornite ora dalla loro presenza.
Si legge infatti in Giustino che, circa duecento anni dopo la fonda
zione di Marsiglia, vale a dire verso il 400 a.C., la città fu attaccata da
una coalizione di popoli del vicinato che avevano nominato loro capo
un re chiamato Catumandus. Era difficile trovare un nome gallico più
adatto. Catumandus significa, infatti, colui che guida la battaglia. La
coalizione aveva assediato la città, ma rinunciò all'attacco, essendo stati
i suoi piani turbati da un segno degli dèi. I messaggeri dei Marsigliesi,
che avevano inviato doni al tempio di Delfo in segno di ringraziamen
to, al loro ritorno, portarono la notizia della conquista di Roma da par
te dei Galli. Il fatto avvenne dunque verso il 390 a.C.
I Celti vivevano lungo la costa, associati o mescolati ai Liguri intorno
alla fine del V secolo a.C. Ho ricordato che nel 480 a.C. i Cartaginesi re
clutarono sulla costa della Provenza dei mercenari elisici: da quel mo-
1 44
L'ESPANSIONE DEI CELTI NELL'EPOCA DI HALLSTATT (FINE).
l CELTI IN SPAGNA
mento avrebbero reclutato mercenari celti o galli. Nel 263 a.C., avendo i
Romani trasferito due legioni in Sicilia, dopo aver concluso un accordo
con Cerone di Siracusa, i Cartaginesi vi inviarono un'armata di merce
nari iberi, liguri e celti. Non si trattava di Celti della Spagna perché, a
quella data, la penisola era abitata da Celtiberi, pertanto erano Celti del
la Gallia. Tale reclutamento doveva essere cominciato molto prima, per
ché si fa probabilmente menzione di loro in un curioso discorso che Tu
cidite fa tenere da Alcibiade agli Spartani. Ciò accadde durante la guer
ra di Sicilia del 415 a.C. Alcibiade, esiliato, tradisce proponendo di an
dare ad arruolare un 'armata di Iberi e di barbari straordinari eh' erano
apparsi da quelle parti: Kai à"Movç rwv hfl Of1oÀoyovf1Évwr; vvv f3apoapwv
f1aXLf1wrdroV( ( e di altri barbari di laggiù conosciuti come i più bellicosi
di quei tempi).
Giunti sulla costa della Provenza negli ultimi anni del V secolo a.C.,
i Celti, non essendo riusciti ad assorbire completamente i Liguri, conti
nuavano a premere verso la Linguadoca.'1,;1 Gli Iberi non resistettero, e
Polibio, storico preciso e bene informato, scriveva verso il 1 50 a.C.:
«Non si incontrano che Celti da Narbona e dalle campagne vicine fino
ai Pirenei••. In ogni caso, allorché Annibale, una sessantina d'anni pri
ma, nel 218 a.C., attraversò il Rossiglione e la Linguadoca per raggiun
gere le Alpi, con la sua armata composta in gran parte da Celti, sembra
che abbia incontrato sul suo cammino solo dei Galli.
145
CAPITOLO \'1
l ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALLIA
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COMPLETAMENTO DELLE CONQUISTE ROMANE
IN ITALIA E IN SPAGNA
Per comprendere bene come l'indipendenza della Celtica volgesse
alla fine, allorché la Repubblica romana si preparava a occupare i paesi
gallici, sarà opportuno riassumere brevemente i rapporti fra i Germani
e i Celti. Lo sviluppo degli insediamenti celtici nella media valle del Da
nubio era stato arrestato dai Geti e dai Daci. l Boi erano giunti fino al
Tibisco, ma il loro dominio non si era esteso oltre. Al di là vi erano sen
za dubbio Galli in Transilvania, cc1tne più tardi vi furono dei Sassoni. La
civiltà celtica vi si era estesa e i Daci si erano celtizzati.
Sulle rive del Mar Nero l'iscrizione di Olbia indica la comparsa dei
Galati e degli Sciri, probabilmente Germani, che furono ben presto as
similati. Nella stessa regione e nella stessa epoca, si trovava un popolo
molto più importante, ma di dubbia identità, quello dei Bastami, citati
per la prima volta all'inizio del II secolo a.C. come nuovi venuti sulle ri
ve meridionali del Danubio. Del resto, tutti quei barbari venivano im
piegati come ausiliari. Filippo V di Macedonia, nel 1 82 a.C. li inviò con
tro i Dardani, e nel 1 79 a.C. si verificò una grande invasione di Bastami
che i Macedoni riuscirono a contenere con gravi difficoltà.
Per alcuni storici antichi, in particolare per Polibio, contempora
neo di tali avvenimenti, i Bastami erano Galati, mentre Tolomeo, al
quale l' onomastica dà ragione, li annoverava tra i Germani. Non è im
probabile che i Bastami fossero una delle tribù celtiche e germaniche
raggruppate in una confederazione, come avrebbero fatto più tardi i
147
CAPITOLO VI
Cimbri e i Teutoni. Comunque sia, associati o meno ai Celti, i Germani
infransero la frontiera dei Galli invadendone i territori periferici. An
cor più degli Sciri, i Bastami testimoniano quanto fosse forte la pressio
ne che i Germani cominciavano a esercitare contro il mondo celtico.
Mentre i Celti sciamavano nel sud dell 'Europa, a nord-est del loro terri
torio si svolgevano avvenimenti importanti
A noi basti ricordare che la spedizione di Segoveso, svoltasi paralle
lamente alla grande invasione celtica in Italia, sarebbe stata un 'avanza
ta degli antichi insediamenti in Boemia verso settentrione e oriente, ca
ratterizzata da incursioni in Germania, a partire dalla Turingia, assai di
verse dalle discese in Italia, Spagna e Oriente, per caratteristiche e ri
sultati.
Tuttavia, è fu or di dubbio che i Celti abbiano esercitato sui Germani,
nell 'epoca di cui ci occupiamo, un 'azione politica e militare delle più
incisive, documentatata dai prestiti del celtico al germanico: termini po
litici, giuridici, militari e relativi alla cultura. In maniera generale, sem
bra che i Celti siano stati, per lunghi secoli, sotto ogni aspetto, gli educa
tori dei popoli germanici, ma la loro influenza non si esercitò in virtù
soltanto della vicinanza, anzi si può credere che si sia imposta. Nel paese
dei Germani vi furono se non re, o regni celtici, sicuramente "funziona
ri" o ambasciatori celti. Celti e Germani stipulavano trattati, scambiava
no giuramenti e ostaggi, avevano rapporti commerciali e legami di ma
trimonio o d'amicizia. In talune regioni da un certo punto di vista le lo
ro tribù diedero vita a una società, con istituzioni politiche comuni, for
mando una confederazione o delle federazioni nelle quali l'elemento
celtico era preponderante. Quei rapporti non sempre si instaurarono in
modo pacifico, perché senza dubbio vi furono guerre degli uni contro
gli altri, o combattute fianco a fianco.
Non erano, però, soltanto i Germani a minacciare i Celti. Un nemi
co più potente si preparava a mettere fine alla loro preponderanza; la
Repubblica romana. I quattro grandi popoli gallici erano stati annien
tati, e ciò che ne restava era ridotto allo stato di civitatesfoeileratae, men
tre la condizione dei popoli celtici o liguri della periferia era molto in
certa e tale rimase per lungo tempo ancora.
Nel primo secolo, la civiltà contadina della regione cisalpina era an-
148
I ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALLIA
cora tutta gallica e niente sembrava essere mutato con l'arrivo dei Cim
bri. Alla fine del tumultuoso periodo contraddistinto dalla loro calata,
la politica di fondazione delle colonie riprese subito. Nel 1 00 a.C. ven
ne installata una colonia a Eporedia (Ivrea) per con trollare la regione
dei Salassi. A seguito di una rivolta le città degli Insubri e dei Cenoma
ni ottennero nell'89 a.C., lo lus Latii. Questo beneficio, che le città in
globate nel sistema municipale italico ottennero di sicuro, mentre non
sappiamo se sia stato esteso agli abitanti delle campagne, finì di disarti
colare le antiche nazioni. Un po' più tardi Silla fece della Cisalpina una
provincia, la Gallia Cisalpina, annessa nel 42 a.C. all'Italia e smembrata.
La colonizzazione proseguì dopo la guerra civile con le espropriazioni
e le distribuzioni di terre ai veterani, di cui i contadini gallici furono le
principali vittime.
In Spagna, la caduta di Numanzia segnò la fine dell 'indipendenza
del paese. I Celtiberi, sfiniti, avevano ritrovato sufficienti forze per op
porre ai Cimbri una resistenza vittoriosa, ma subito dopo ricominciaro
no le rivolte con tro Roma. Nel 90 a.C. gli Arevachi si sollevarono;
dall'SI al 73 a.C., Sertorio riunì tutta la Spagna al suo seguito, ma si
trattava sempre di Celtiberi e non più di Celti. E quei soprassalti di in
dipendenza non erano altro che episodi della storia politica romana.
LA CONQUISTA DEllA GALLIA
Avendo conquistato la Cisalpina e la Spagna, dopo la prima guerra
punica, i Romani dovettero fatalmente occuparsi delle comunicazioni
con quelle province attraverso le coste della Provenza e della Linguado
ca. Malgrado la risoluzione di limitare le proprie mire alle Alpi e ai Pi
renei, il Senato fu obbligato a intervenire in Gallia. La sua alleata di
sempre, Marsiglia, aveva bisogno di aiuto; d'altra parte, alla fine del II
secolo a.C., Roma doveva trovare nuove soluzioni per i problemi socia
li. Si trattava di distribuire terre, di fondare città, di colonizzare.
Nel l 54 e nel l 25 a.C., avendo i Franchi Salii attaccato Marsiglia, fu
rono inviate contro di loro due spedizioni, la seconda comandata dal
console M. Fulvio Fiacco, l'amico dei Gracchi. I Romani si installarono
l l'l
CAPITOLO VI
nel paese, da quel momento trasformato in provincia. Il proconsole C.
Sesto Cabrino fondò sulla riva del Rodano la città di Aquae Sextiae, l 'o
dierna Aix-en-Provence, che se non proprio una colonia, era per lo me
no una guarnigione. I capi dei Salii vinti si rifugiarono presso gli Allo
brogi che avevano fatto lega col re degli Alvemi, Bituit, figlio di Luern,
e ciò indusse, probabilmente, gli Edui ad allearsi con i Romani.
FIGURA 5. - Driuo dello statere dei Parisii (moneta d'oro del I sec. a.C. ) . Parigi,
Cabinet des Médailles.
Nel l22 a.C., uno dei consoli, M. A. Domizio Enobarbo, risalì il Ro
dano con un piccolo esercito, pur continuando a trattare. A Vindalo,
alla confluenza del Rodano e della Sorgue, piombò sugli Allobrogi. Ma
Bituit, che aveva arruolato ventimila uomini, oltrepassò il Rodano su
un ponte di barche e discese lungo le sue rive all'inseguimento dei Ro
mani ai quali però si unì G. Fabio Massimo alla testa di nuove truppe.
Bituit fu battuto e Fabio Massimo proseguì la guerra contro gli Allobro-
1 50
I ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALI..IA
gi. Domizio Enobarbo riuscì a sottrarre all'influenza degli Alverni la re
gione dei Ca vari, degli Elvieni, degli Are comici e d 'una parte deii'Albi
geois che furono tutti riuniti nella Provincia. I Volci Tettosagi di Tolosa
ne facevano parte con l'eufemistico titolo di "alleati". Tolosa aveva una
guarnigione romana quando gli Elvezi apparvero nei dintorni.
Bituit volle trattare di persona a nome degli Alverni, e degli Allo
brogi, e Domizio Enobarbo lo inviò al Senato, cL� lo rinchiuse ad Alba
dove andò a raggiungerlo il figlio Comio. La torre Magna, a Nimes,
rappresenta il monumento eretto da Domizio Enobarbo dopo la vitto
ria, ma il trofeo più durevole fu la Provincia stessa di cui i Domizi e i Fa
bi divennero i padroni mentre gli Allobrogi erano considerati ospiti e
amici di Domizio. Furono intrapresi grandi lavori, come la via Domizia.
Poco tempo dopo apparvero i Cimbri, che la Gallia centrale, essen
do stato distrutto il dominio degli Alverni, non fu in grado di fermare.
Piccole rivolte procurarono ancora trionfi facili, poi la storia della Pro
vincia rientrò nell'ambito della storia politica della Repubblica romana.
Nel 75 a.C. Pompeo attraversò il sud della Gallia per muovere guer
ra a Sertorio in Spagna, seguito a ruota da M. Fonteio che ristabilì l'or
dine presso i Voconzi e i Volci. Anche se la letteratura lo ha descritto
come il tipico amministratore dalla mano pesante e senza scrupoli, agì
forse diversamente da Claudio nel 64 e da Murena nel 63 a.C.? Sta di
fatto che gli Allobrogi, i quali in tali circostanze sembravano aver con
servato la massima vitalità, gli intentarono un processo davanti al Sena
to nel 63 a.C. I loro delegati si trovarono immischiati nella congiura di
Catilina, che essi tradirono in cambio di promesse mai mantenute. Più
tardi gli Allobrogi insorsero e piombarono su Vienne, ma la loro rivolta
fu repressa da C. Promptino con tanta durezza che durante le campa
gne di Cesare non furono più in grado di reagire.
È una storia ben nota quella di Fonteio. Vi furono dapprima delle
espropriazioni, coloni e guarnigioni furono installati a Vienne e nella
città gallica di Tolosa. In seguito ebbero luogo una serie di fatti che si
verificano sempre allorché vengono a contatto due economie e due or
ganizzazioni politiche, la più forte delle quali è fondata sul danaro. I fi
nanzieri romani fecero la loro comparsa nella Provincia. I Galli, che
non erano sufficientemente forti per far fronte alla fiscalità romana,
151
CAPITOLO VI
chiesero prestiti e furono vincolati. Il peggio era che i governatori vi si
trovarono mischiati perché in Gallia ci si arricchiva. La Provincia, però,
non ne uscì realmente impoverita, essendo una di quelle regioni agri
cole nelle quali un buon raccolto ristabilisce di colpo l' equilibrio finan
ziario: le colture ricche, come la vite, l' olivo, tipiche del paese, furono
vietate dai Roman i, ma continuarono a prosperare. Roma, del resto,
che ebbe la mano molto pesante per certi aspetti, l ' ebbe leggera per al
tri, e lasciò ai Galli la loro organizzazione politica e i loro usi. Era l' epo
ca in cui i deputati allobrogi in pantaloni e camicia riempivano il foro
della loro esuberanza. Per cinquant'anni la Gallia narbonese, ove si
portava la toga e si parlava latino, si oppose alla Gallia bracata. Dall '83
a.C. gli Elvieni ottennero la cittadinanza romana. I capi romani aveva
no trovato tra quei prm�nciali agenti e anche amici, come l 'elvezio C.
Valerio Prunella al quale Cesare rese un prezioso omaggio in segno d'a
micizia. I nfine la Narbonese fornì truppe e rimase fedele.
I Romani aveva no amici anche fuori della Provincia fra gli Edui e i
Nitiobrigi. Da tutta la Gallia accorrevano a Roma gli esuli di buona fa
miglia, sebbene fossero stati stipulati trattati con alcune nazioni galliche
secondo cui la Repubblica si sarebbe astenuta dal ricevere gli esiliati.
Di ciò che accadeva nell 'interno conosciamo soltanto alcuni nomi,
come quello di Celtill, padre di Vercingetorige, condannato a morte
per aver aspirato a diven tar tiranno, o quello di Diviziaco, re dei Sues
sioni, che fece una o più spedizioni in Gran Bretagna e sembra avesse
ai suoi ordini una specie di confederazione belga.
L'awentura di Celtill è da sola indicativa della crisi politica nella
quale Cesare trovò la Gallia al suo arrivo nel paese. Le vecchie monar
chie celtiche erano in via di disfacimento, e in ciò l ' influenza del Sena
to fu senza dubbio determinante. Nello stesso tempo altre monarchie,
ovviamente di natura diversa, erano sul punto di ricostituirsi. La lotta
politica era violenta, e d 'altra parte, dopo la distruzione del regno al
verno, la Gallia era entrata in un periodo di frantumazione politica che
non era ancora terminato. Rimaneva un raggruppamento attorno agli
Alverni, un altro s'era composto attorno agli Edui, e uno si ricostituì at
torno ai Sequani, ma tutto ciò era instabile e incoerente. I grandi popo
li cercavano di primeggiare l'uno sull 'altro e Cesare seppe approfittare
l ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALLIA
degli errori insiti in quel tipo di politica che divenne addirittura uno
dei suoi strumenti preferiti, rivelandosi altrettanto efficace delle opera
zioni militari. Se egli riuscì, con soli sessantamila uomini, a portare a
compimento la difficile conquista d'un grande paese, molto popolato,
con un passato glorioso, è soltanto perché ebbe sempre, in Gallia, allea
ti , amici, spie, talvolta anche traditori, come l'eduo Dumnorige. Cesare
poté costantemente contare su infiltrati tra i nemici, su un servizio di
informazioni che di rado fallì; ma aveva anche amici come i Pittoni, i
Lingoni e i Remi.
Tutte le debolezze politiche, tutte le tare appaiono chiaramente nei
Commentmii, ma vi si scorge anche altro. La società gallica aveva forze
latenti di coordinamento che entrarono in lizza energicamente ma in
ritardo, e con un discreto successo, durato per altro troppo poco. Il ra
duno dell 'armata di soccorso durante l'assedio di Alesia, con tutto ciò
che esso implicava di deliberazioni, scambi di corrieri, circolazione di
truppe, fu un' operazione cond.otta egregiamente e che presupponeva
un'abitudine e delle regole. Vercingetorige si mosse in quella circostan
za da maestro e Cesare, nella sua opera storica, gli ha reso giustizia.
Egli l 'ha collocato all'inizio della storia di Francia e alla fine di quella
dei Galli facendone un meraviglioso simbolo di patriottismo: giovane,
bello, eloquente, modesto, avido di conoscere, capace di esprimersi co
me un vecchio soldato, curioso senza dubbio della nuova civiltà, ma co
sciente e geloso del suo paese sino al sacrificio. Cesare corse il rischio
di fallire e non lo nasconde. Come la Grande Celtica non era riuscita,
ai tempi di Annibale, a essere nel mondo antico una sorta di grande
confederazione composta da popoli diversi, così la Piccola Celtica, cioè
la Gallia, perse con Vercingetorige l'occasione d'essere, a fianco della
Repubblica romana, il prototipo delle grandi nazioni.
La conquista durò otto anni. Dopo il primo, impiegato a contenere
gli Elvezi e a respingere Ariovisto al di là del Reno, vi furono quattro
anni di avvenimenti meno importanti: ribellioni e attacchi sporadici da
parte dei Galli; conquiste territoriali e spedizioni militari da parte dei
Romani. Alla fine del 5 4 a.C. esplose la prima insurrezione generale e
gli anni dal 53 al 5 1 a.C. furono i più duri della guerra, una vera guerra
nazionale dei Galli, con grandi successi nel 52 a.C. Sebbene con la ca-
1 53
CAPITOLO VI
duta di Alesia le operazioni militari fossero terminate, non era tutto fi
nito. Nella campagna del 5 1 a.C. i Galli opposero una seria resistenza,
ma non seppero coordinare i loro sforzi, e alla fin e dell'anno la Gallia
era sottomessa.
Gli storici si sono sempre meravigliati della rapidità di tale sottomis
sione, ma la Gallia neppure allora si era data una parvenza di struttura
statale senza la quale non si può costituire una nazione. Né le scarse
istituzion i comuni, né i tentativi di collaborazione più o meno coerenti
poterono ispirare al popolo gallico il sentimento di solidarietà, amore e
sacrificio verso una patria che non esisteva ancora. La Gallia non aveva
avuto il tempo di fare le lunghe e dolorose esperienze comuni che so
no necessarie per far nascere il patriottismo in una nazione.
Per Vercingetorige e i suoi seguaci è probabile che una Gallia, una
patria gallica esistessero; essi nutrivano senza dubbio un grande amore
per l 'indipendenza politica sostenuto dalla fede nel loro paese. Fu onore
della Gallia aver dato i natali a tali uomini; gli altri si adattarono a conci
liare i destini della loro piccola nazione, della loro piccola patria partico
lare, con le dominazioni straniere. D'altronde la grande massa dei Galli
non possedeva la fede su cui poggiano le nazioni; non aveva fede nella
sua lingua che abbandonò, nella sua religione cui rinunciò, nelle sue isti
tuzioni che si affrettò a trasformare secondo il modello romano. Essa
aveva fede, al contrario, nella civiltà di Roma e nel prestigio del vincito
re. L'impegno dell'Impero romano a fare della Gallia una patria fu mag
giore di quello mostrato dalla Repubblica e da Cesare per distruggerla.
Per un centinaio d'anni la sottomissione della Gallia fu instabile. Pri
ma della morte di Cesare, nel 46 a.C., i Bellovaci si erano ribellati; nel 44
a.C. fu la volta degli Allobrogi; nel 33 e nel 30 a.C. degli Aquitani e dei
Morini. Tutti questi fatti sono poco noti; si conoscono alcune date e al
cune allusioni; ma nulla assomiglia a una storia documentata. Dal 25 al 7
a.C. una serie di piccole spedizioni portò alla sottomissione delle tribù
alpine, poi le vicende divennero più gravi e mutarono di carattere.
L'amministrazione romana, soprattutto in ambito fiscale, non usò la
mano leggera come nei primi anni. Nel 27 a.C. l' istituzione del catasto,
precisando i diritti di proprietà, ne lese molti altri. Si riprodusse nella
nuova provincia ciò che si era già verificato nella N arbonese a proposi-
!54
I ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GAU..IA
to della riscossione delle imposte: collera, complotti, ribellioni e anche
rivolte militari. Nel 21 dopo Cristo, sotto Tiberio, scoppiò una sedizio
ne nella quale erano coinvolti due cittadini romani, due Giulii, il trevi
ro Floro e l 'eduo Sacroviro, e ntrambi capicoorte dell'esercito regolare.
Fatti più gravi accaddero nel 68 d.C., alla fine del regno di Nerone.
La Lionese aveva allora come governatore C. Giulio Vindice, un aquita
n o di rango regale, diventato cittadino da poco. Vindice si alleò con
Gaiba, legato di Spagna, contro Nerone. Fu spinto a compiere quel pas
so in quanto cittadino romano o per amore della patria gallica? I n ogni
caso ebbe i Galli dalla sua parte. Battuto a Besançon dalle truppe della
Germania rimaste fedeli a Nerone, si uccise. All ' e poca dell'anarchia
militare che seguì alla morte di Nerone i Galli si schierarono su fronti
diversi. Nel periodo in cui Vitellio instaurava la sua corte a Lion e ,
esplose nella regione dei Boi u n a rivolta di nuovo genere, capeggiata
da un contadino, Manrico, che si proclamava profeta, campione dei
Galli, e diceva d'essere dio. Era forse u n primo esempio di quelle onda
te così frequenti nella storia della Francia, quali le crociate di poveri e
le rivolte contadine? Quei movimenti, alla base dei quali v'era uno spi
rito nazionale nato tra le classi povere più tartassate e romanizzate con
maggior len tezza, fallirono miseramente.
Era solo il secondo atto. A Roma era stato bruciato il Campidoglio e
la notizia era stata sfruttata come presagio dali' opposizione religiosa
dei druidi che s'erano messi a predicare la guerra santa. Rimaneva solo
da riunire gli scontenti, e scoppiò la rivolta di Civile, dei treviri Tutore
e Classico, del lionese Sabino. Civile aveva presso di sé una profetessa,
Velleda, che viveva con i Brutteri, probabilmente di origine germanica,
anche se il nome pare celtico, curiosa testimonianza dell 'incrocio tra i
due popoli. I quattro alleati erano tutti comandanti regolari di coorti,
ufficiali di carriera. Classico, indossata la porpora, si fece proclamare
imperatvr Galliarum e Sabino affermava di discendere da Cesare.
In quell'epoca, però, si verificò un fatto molto più importante della
fondazione dell' impero gallico. La
civitas dei Remi si assunse il compito
di convocare, come ai vecchi tempi, un'assemblea delle civita/es galliche
che si riunì in piena autonomia e discusse dell'in dipendenza. Tullio Va
lentino, un treviro, si pronunciò a favore dell'autonomia da Roma,
155
CAPITOLO VI
mentre il remo Giulio Auspice sostenne la tesi della pace e della sotto
missione. Se la Gall ia si dichiarò, per voce dei suoi delegati, soddisfatta
della condizione che le aveva dato Cesare, è perché essa non esisteva
ancora. L'assemblea im�ò ai Treviri, a nome dei Galli, l'ordine di de
porre le armi e offerte di intercessione. La saggezza di Ceriale fece il
resto. Classico e Tutore sparirono, Sabino si nascose con la moglie Epo
nina, in un rifugio sotterraneo, ma furono catturati e uccisi entrambi.
Quella fu la fine della vecchia Gallia indipendente, e tuttavia qualcosa
di nuovo stava per i niziare.
ROMANIZZAZIONE DELLA GAU.IA
Nel momento in cui si riuniva l'assemblea organizzata dai Remi, la
Galli a era già per tre quarti romanizzata. Abbigliamento, vasellame,
mobilio, gioielli erano di foggia romana. Si parlava latino e da allora la
cultura divenne latina.
Senza dubbio in Gallia vivevano numerosi coloni italici, stabilitisi so
prattutto nella Narbonese, sul Reno e a Lione, oltre a u n piccolo nume
ro di mercanti siriani e greci. Ma quegli elementi nuovi sono insuffi
cienti a spiegare la rapidità con cui il paese si assimilò, e bisogna sup
porre che la Gallia abbia contribuito di buon grado alla propria roma
n izzazione e che il rapido sviluppo della vita urbana abbia favorito tale
trasformazione. Durante tutto il primo secolo si verificò uno sviluppo
delle costruzioni paragonabile a quello della Francia dal XII al XVII se
colo. Le popolazioni galliche diventate civilales si iden tificarono con le
città che presero il nome dei popoli dei quali erano le capitali. Poiché
non v'erano altri modelli di vita urbana e d 'organizzazione municipale,
oltre a quello romano, era inevitabile per i Galli accogliere la civiltà dei
conquistatori.
La concessione generalizzata del diritto di cittadinanza produsse,
ma con maggiore ampiezza, gli stessi effetti avuti nella Narbonese. Sotto
Claudio, i senatori galli, cittadini romani, erano ammessi al Senato di
Roma e più tardi l' editto di Caracalla completò l 'assimilazione, esten
dendo il diritto di cittadinanza alle classi inferiori della popolazione.
156
l ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALLIA
I n quel tempo in cui tutti erano diventati cittadini romani, i costu
mi delle province desunti dall'antico diritto erano rispettati, come si ri
cava da numerose leggi e tuttavia esistono solo tre testimonianze della
sopravvivenza di leggi galliche, poca cosa se si considera che i Galli ave
vano un proprio codice.
La religione nazionale non fu mai abolita o perseguitata. Il culto dei
suoi dèi proseguì anche sotto l ' egida del culto imperiale, ma le divinità
galliche assunsero a poco a poco l 'aspetto di quelle romane; gli dèi del
la casa, del focolare e del fuoco presero i nomi di quelli romani, e so
vente anche l'immagine, a parte alcuni casi in cui mantennero le effigi
originali. Della ricca tradizione gallica di cui parla Cesare che cosa era
rimasto? A differenza degli I rlandesi, i Galli non si sforzarono di racco
gliere e catalogare i loro vecchi poemi. Della loro storia e della loro teo
logia sappiamo soltanto quanto hanno tramandato i Greci e i Latini o
ciò che è rimasto di Pompeo Trogo; alcune ricette di cucina e di magia
raccolte da Plinio o da Marcello di Bordeaux, ma niente di più. È vero
che l' impero perseguitò i druidi, forse non senza ragioni politiche, i n
particolare durante i l regno d i Tiberio e d i Claudio, in virtù delle leggi
relative ai sacrifici umani, agli omicidi e alla magia ( lex Cornelia de
sicariis) . Se si prende alla lettera un passo di Pomponio Mela, essi avreb
bero tuttavia continuato in segreto a istruire i giovani. Nel II secolo d.C.
si erano ormai integrati poiché non vi è più traccia di opposizione, e al
tempo di Ausonio troviamo alcuni loro discendenti tra i professori della
Scuola di Bordeaux. Colpendo i druidi, i Romani avevano evidentemen
te colpito nella giusta direzione, perché solo essi erano in grado d'op
porre resistenza all 'omologazione dell'intera Gallia nella latinità.
In sintesi, tutte le componenti più nobili della civiltà gallica, quelle
che impediscono a un popolo di essere una massa amorfa, erano cadu
te, restavano soltanto le componenti meno nobili e, oltre a numerose
usanze e ad alcune tecniche importanti, resistevano le superstizioni po
polari e la magia. Le grandi scuole, che avevano il compito di trasmet
tere la cultura d'élite, esistevano ancora, ma non erano più patrimonio
dei druidi, come dimostra quella di Autun fin dal tempo di Tiberio. La
lingua gallica, divenuta un dialetto parlato sempre meno e quasi soltan
to dai contadini, non resistette molto alla dominazione romana.
157
CAPITOLO VI
La Gallia che andava costituendosi sotto la tutela delle istituzioni ro
mane era molto diversa da quella tramontata con Vercingetorige. Essa
non aveva più la stessa anima popolare e continuava a mutare molto ra
pidamente: era del tutto diversa dalla Gallia dell'Assemblea di Reims,
che si trovò all'improwiso, nella seconda metà del I I I secolo d.C., per
sedici anni, padrona del proprio destino.
Dopo la morte di Alessandro Severo, l'I mpero romano cadde nuova
mente in preda alle lotte dinastiche, che aveva già conosciuto più volte.
Tra il 253 e il 255 d.C., bande di Alamanni e di Franchi superarono la
frontiera e penetrarono forse fino in Alvernia. Le incursioni di barbari,
anche se compiute con contingenti ridotti assestaron o un duro colpo al
la sicurezza nella quale la Gallia prosperava. Bisognava proteggersi e di
fendersi; fu allora che le città, nel giro di pochi anni, si chiusero in se
stesse e si fortificarono, come ai tempi dei Cimbri. Nel 258 d.C., l ' impe
ratore Gallieno aveva inviato in Germania il figlio Valeriano, ma il co
mando reale della frontiera era affidato al gallo Marco Cassiano Latino
Postumo. Le legioni del Reno, ripetendo quanto avevano già fatto, volle
ro avere un loro imperatore e scelsero Postumo. Il giovane Valeriano fu
catturato a Colonia e Gallieno tentò di attaccare i nvano per liberarlo.
Postumo, che non sembra avesse alcuna intenzione di impadronirsi di
tutto l'Impero, né di staccarsi dal resto del mondo romano, continuò a
occuparsi della Gallia dove niente sembrava cambiato e dove soprattutto
non si pose il problema dell'indipendenza. A quanto pare gli propose
una soluzione temporanea analoga alla divisione dell'Impero che ebbe
luogo più tardi sotto Diocleziano. Tale proposta si d i mostrò buona e sa
lutare, dal momento che l'ordine e la sicurezza vennero ristabiliti. Le in
numerevoli monete dell'epoca, dall'elevato contenuto di metallo pre
zioso, testimoniano una buona e onesta amministrazione, oltre alla flori
dezza economica. Ma le legioni si stancarono di Postumo e lo uccisero. I
suoi successori Leliano e Vittorino sparirono a loro volta. Al massacro si
sottrasse la moglie di Vittorino, Vittoria, probabilmente una Gallo-Ro
mana di famiglia aristocratica. Da quel po' che sappiamo emerge la figu
ra di una dama di animo nobile, tanto da essere paragonata alla con
temporanea Zenobia. Vittoria godeva del favore dei soldati e avrebbe
potuto diventare imperatrice, ma decise di affidare il trono a uno dei
158
I ROMANI IN ITALIA, SPAGNA E GALLIA
suoi parenti, C. Pio Esuvio Tetrico, che lo conservò dal 268 al 274 d.C.
Pio Esuvio Tetrico, già governatore dell'Aquitania, non era un militare,
ma fu probabilmente un eccellente amministratore. Dopo una violenta
protesta dell 'armata del Reno, tutto rientrò nell'ordine. Vittoria morì
ed Esuvio Tetrico continuò a regnare in pace, fino a quando Aureliano
non decise di occuparsi dell'Occidente. Tetrico non fece nulla per di
fendersi, e dopo essere stato battuto, rientrò negli organici dell'esercito
imperiale. La sua carriera dà un'idea chiarissima di ciò ch 'era l'Impero
romano delle Gallie: un regime essenzialmente transitorio, non destina
to a soprawivere alle circostante nelle quali si era costituito.
Ci si può domandare, tuttavia, se non ne rimase qualcosa, un ricor
do, nelle insurrezioni dei Bagaudi cominciate dieci anni dopo, nel 283
d.C. I Bagaudi, il cui nome gallico contiene un elemento analogo all 'ir
landese baga che significa combattimento, battaglia, erano dei contadini
i quali si riunivano per lo più i n bande senza costituire un vero e pro
prio esercito. Essi appartenevano agli strati inferiori della popolazione,
quelli che avevano conservato le tradizioni celtiche e presso i quali l'uso
stesso della lingua persisteva come sappiamo attraverso i loro contempo
ranei. È facile immaginare cosa fossero diventate le campagne della Gal
lia durante quegli anni di continue invasioni e saccheggi. I contadini op
pressi dal fisco e dai barbari, avevano un 'unica scelta: la rivolta. Nel 283
d.C. giunsero al punto di eleggere persino degli imperatori come Eliano
e Amando i quali continuarono a combattere fino al 285, sconfitti da
Massimino, Eliano e Amando diventarono dei martiri, una specie di san
ti (Vita di san Babolino) , e ciò getta una debole luce sull' importanza e
la popolarità del movimento, per altro proseguito. Il brigantaggio non
cessò e Bagaudi divenne sinonimo di briganti. Essendosi uniti a loro i
numerosi scontenti, essi arrivarono a costituire dei piccoli Stati analoghi
a quelli che i Germani cominciavano a formare in Gallia.
Risalta tuttavia con verosimiglianza e chiarezza, non dalla storia de
gli awen imenti quotidiani, ma dalle istituzioni e dalle opinioni della
Gallia d 'allora, che l 'organizzazione romana aveva dotato la Gallia di
formazioni provinciali, di abitudini di vita regolari. Le province furono
inquadrate nella Gallia che aveva confini fissi, dogane alle frontiere, e
un esercito per difendere i territori più esposti. Vi era una rete di strade
159
CAPITOLO VI
e v'erano soprattutto una gerarchia, delle capitali, subordinazione, sta
bilità e accordo, proprio quanto era mancato ai Galli ... A partire dal IV
secolo d.C. la Gallia, con i suoi caratteri nuovi, appare anche negli scrit
ti di Rutilio Numanzio, Ausonio e Avito. Sidonio Apollinare parla anche
di patria nostra e tale è rimasta fino al giorno in cui la Francia s'è sosti
tuita nel linguaggio popolare alla Gallia degli scrittori di lingua latina.
LA CELTICA DANUBIANA
Oltre alla Gallia propriamente detta ne esisteva un 'altra, quella del
Danubio, che si trovava soggetta alla provincia dell'Illirico, come la Gal
lia dipe ndeva dalla Narbonese. Cesare si era comportato con l'I llirico
come aveva fatto con la Gallia: lo aveva posta sotto controllo. Egli aveva,
ad esempio, soggiornato in Dalmazia durante l' inverno dal 57 al 56
a.C., e probabilmente in quella regione successe ciò che era accaduto
in Gallia: passaggio di truppe verso la Macedonia come in Gallia verso
la Spagna. Nel Norico vi erano agenti imperiali che consentivano a Ro
ma di esercitare la propria influenza; si imitavano le monete consolari,
segno che i mercanti latini circolavano e commerciavano nel paese.111
Augusto ereditò il programma che Cesare non aveva ultimato. La
morte di Burebista, lo smembramento della specie di impero costituito
si, una serie di campagne condotte da Agrippa, Druso e Tiberio, i mi
gliori generali d'Augusto dal 35 al 9 a.C., estesero al Danubio le frontie
re dell' impero, interponendo così tra l'Italia e la Germania una larga
zona di sicurezza e assicurando a Roma una facile via di comunicazio
ne. Fu allora che i Germani arrivarono in mezzo ai Galli ancora inse
diati sulla riva sinistra del Danubio, e allora, secondo noi, i Marcoman
ni si spostarono in Boemia prendendo il posto dei Boieni.121 Le infor
mazioni in nostro possesso sulle campagne dei generali d'Augusto tra il
Danubio e l'Elba, confermano tale opinione: Druso incontrò i Marco
manni sul Meno superiore e li sconfisse nel 10 a.C. Due anni dopo L.
Domizio Enobarbo partì dal Danubio per raggiungere l ' Elba e insedia
re in quel territorio, allora non occupato, un gruppo di Ermonduri, ve
n u ti non si sa da dove e forse scacciati dai Marcomanni che stavano
emigrando.
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Questi probabilmente si mossero nel 9 a.C. e si installarono dopo
tale data in Boemia sotto la guida d'un capo famoso, Maroboduo. I
Boieni rimasti scomparvero lentamente, forse assorbiti dai Marcoman
ni, lasciando, come unica traccia, il nome del paese. Così i Celti com
pletarono il loro insediamento sul Danubio e sul Reno, proprio nel mo
mento in cui le colonie danubiane venivano sottomesse definitivamen
te da Roma. A nord rimanevano pochi nuclei di Celti sparsi. L'Impero
romano difendeva la frontiera da entrambi i lati.
E fu dai due lati che i generali d 'Augusto l'attraversarono. Nel 6 d.
C. Maroboduo si trovò di fronte Tiberio che cercava d'attaccare la Boe
mia dal sud. Ma essendo scoppiata una rivolta nell' Illirico, poco sicuro
perché privo di truppe, Tiberio credette vantaggioso trattare cò n Maro
boduo che ne pagò lo scotto: fu infatti scacciato dai Marcomanni e si ri
fugiò presso i Romani dai quali venne relegato a Fréjus.
Strabone, che scrisse poco tempo dopo, parla della Pannonia come
di un paese in rovin a, dove erano ancora visibili i danni della conqui
sta, cancellati da lungo tempo in Gallia. In seguito, però, vi fu posto ri
medio, e le rovi ne romane della valle del Danubio non danno l'impres
sione di un paese povero.
In ogni caso, in quella regione, non si formò una struttura sociale
pari a quella prodottasi in Gallia, forse perché le popolazioni indigene
del Danubio, che avevano assimilato la civiltà romana, non poterono
acquisire coscienza della propria unità.
162
CAJ'ITOI.O VII
l ROMANI IN BRITANNIA
LA BRITANNIA PRIMA DELIA. ROMANIZZAZIONE
Gli storici ci informano che Comio, re degli Atrebati, una delle fi
gure più rimarchevoli della guerra gallica, dopo aver servito Cesare, si
schierò contro Roma con feroce determinazione, a causa di una con
troversia con un ufficiale romano che l'aveva tradito. Nel 51 a.C., conti
nuando la colonizzazione in trapresa dai Belgi nel sud della Britannia,
Comio si ritirò con una parte dei suoi nell'isola dove fece coniare mo
nete con caratteri latini e dove i suoi tre figli divennero sovrani.
La Britannia non era stata conquistata dai Romani: la civiltà celtica
era pertanto ancora vitale, come dimostra la produzione artistica, in
particolare di ornamenti raffinati e di smalti multicolori. Rapidamente,
per altro, lo stile dei manufatti si allontanò da quello dei modelli classi
ci dell'arte celtica, sviluppando decorazioni originali e conservando
l'eccellente tecnica celtica. La culla di quest'arte, come di tutta la ci
viltà della Britannia, era il sud dell'isola, in una regione delimitata a
nord da una linea immaginaria tra il canale di Bristol e il Wash, dove
sono state trovate monete celtiche.
La Britannia aveva città prive di mura o oppida: Londinium, Londra,
che era il porto dei Canzi (da cui deriva il nome del Kent [N.d.T]), Ca
mulodunum, oggi Colchester, fortezza dei Trinobanti; Eboracum, Ebora
co, la capitale dei Briganti. Tolomeo ne ricorda solo una sessantina,
molte delle quali e rano forse rifugi o mercati. La Britannia non era
progredita come la Gallia, per quanto riguarda l ' organizzazione della
163
CAPITOLO VII
vita cittadina. Non si parla mai delle flotte britan niche alla cui mercé
sarebbero state le due spedizioni di Cesare, ma è probabile che il mo
nopolio dei Veneti si estendesse sino a quell' isola.
LA CONQffiSTA ROMANA
La Britannia visse i n pace fino al tempo di Caligola, epoca in cui i
Romani misero in atto una spedizione. La resistenza fu organizzata co
me al tempo di Cesare dal re dei Trinobanti e dal successore di Cassi
vellauno, Cimbelino, il Cymbeline di Shakespeare. I Romani vi ritorna
rono in seguito sotto Claudio nel 43 d.C., per la prima volta con il desi
derio preciso di restarvi. Di anno in anno essi avevano imparato a me
glio conoscere l'isola e Plozio, il comandante in capo della spedizione,
era bene informato. Il pretesto per invadere il paese fu il rifiuto di con
segnare alcuni disertori. l due figli di Cimbelino, Togodumno e Carati
co, erano alla guida degli oppositori dei Romani. Colchester fu espu
gnata, il sud dell'isola ridotto in provincia. I n tale campagna il futuro
imperatore Vespasiano conquistò l' isola di Wight, lkctis. I primi succes
sori di Plozio, in una serie di campagne che Tacito si limita a riassume
re, provarono a estendere la nuova provincia, a nord, dal lato dei Bri
ganti, a ovest dal lato del Mar d'Irlanda e dei Siluri. Caratico si rifugiò
presso la regina dei Briganti, ch e tuttavia lo consegnò ai nemici. Egli fu
condotto a Roma dove espose così bene l a sua difesa in Senato da esse
re rimesso in libertà.
l Romani fondarono una colonia a Colchester e un sistema di pic
coli forti dalla parte occidentale, rivolti verso la Cornovaglia o verso i
Siluri, sugli ultimi contrafforti degli altipiani gessosi.
Una grave sconfitta fece accorrere nel 57 d.C. un generale di valo
re, Svetonio Paolino, che organizzò una spedizione contro il santuario
druidico dell' isola di Anglesey, definita il rifugio dei transfughi. I drui
di erano in Britannia un elemento di resistenza. U n a rivolta generale
richiamò Svetonio: i Trinobanti avevano riconqui stato Colchester e
massacrato i coloni; una legione era stata distrutta. Svetonio Paolino,
dopo aver evacuato Londra e Verula, riportò una strepitosa vittoria che
salvò gli insediamenti romani.' li
)(ì4
l ROMANI IN BRITANNIA
Dopo alcuni anni di incertezza, Vespasiano, il quale conosceva il
paese, decise di continuare la conquista. I Briganti e i Siluri furono bat
tuti uno dopo l'altro. Poi giunse nell' isola il famoso Agricola, suocero
di Tacito, che governò la Britannia dal 78 all'86 d.C. Grazie a Tacito e
ad Agricola la conquista dell'isola è diventata celebre come quella della
Gallia. Agricola aveva partecipato alla campagna di Svetonio Paolina e
puntato sull' isola di Anglesey; poi si spinse a nord e di anno in anno
andò più lontano. Durante il terzo anno di campagna raggiunse il Firth
of Tay, aestuarium Tanaum, da dove sarebbe iniziato il vallum di Adria
no. Più tardi gettò le basi del futuro vallum di Antonino, tra il Clyde e il
Firth of Forth. Al suo sesto anno di comando superò la linea del vallo,
sia con la flotta, sia con l'esercito, ma senza stabilirvisi.
Sotto Commodo, il futuro imperatore Pertinace represse una sedi
zione, e più tardi Settimio Severo si spinse con u n a spedizione, della
quale non sappiamo niente, in Caledonia. La Britannia era conquistata,
ad eccezione della misteriosa Caledonia e della parte centrale del Gal
les occupata dagl i Ordovici e dai Demetaci che avrebbero ricevuto
rinforzi dalle colonie irlandesi.
L'amministrazione romana vi applicò la stessa politica di assimila
zione praticata in Gallia, ancorché con qualche variante e minor suc
cesso. Tacito ne attribuisce il merito ad Agricola, che allettò i suoi am
ministrati con gli agi della civiltà romana e della vita cittadina, anti
cipò danaro per le opere pubbliche, creò nuove scuole, impose nuove
mode. Stando ai reperti archeologici emerge l'immagine di una Bri
tan n ia dagli edifici spesso simili a quelli romani. Sorsero n u m erose
c ittà di una tre n ti n a delle quali restano tracce, ma a differenza d i
quanto era awenuto in Gallia, esse s i formarono prevalentemente sugli
accampamenti dei legionari (come emerge dai molti nomi di ci ttà ter
minanti in "-chester", cioè castrum [N. d. T]). La II legione era acquar
tierata a Isca Silurum, Carlion; la VI a Eboracum (York) ; la XIV a Urico
nium (Sh rewsbury) ; la XX a Deva (Chester) . L'Historia Britonum di
Nennio relativa al VII secolo d.C. ci fornisce un elenco di ventisei città
il cui nome è preceduto da cair, anch' esso derivato da castrum. Si trat
tava di ci ttà di guarnigione, dove sembra che i soldati fossero più mi
schiati alla popolazione che i n Gallia.
Hì5
CAPITOLO VB
I n quelle città la lingua ufficiale era il latino, come dimostrano le
iscrizioni, ma mentre in Gallia il latino sopravvisse alla dominazione ro
mana, in Britannia scomparve con essa, e sebbene ne siano rimaste im
portanti tracce nel gallese, il britannico resistette. Ci si può domandare
quali siano state le ragioni di tale persistenza.
La principale sta nel fatto che la romanizzazione in Britannia fu
molto meno generalizzata e profonda di quella della Gallia. Di certo si
sono trovati nell'isola i resti d i un numero considerevole di ville roma
ne lussuosissime, che confermano le informazioni di Tacito e la roma
n izzazione della nobiltà britannica, alla quale, piuttosto che ai fu nzio
nari romani di passaggio, o ai coloni di modeste origini, van no attribui
te le installazioni permanenti. Ma le testimonianze della civiltà romana
in Britannia sono chiaramente visibili da un lato nelle zone dove erano
stanziate le guarnigioni del nord, e, dall 'altra, sulla costa meridionale,
nel Kent, nel Sussex, nell'isola di Wight, e infine nelle regioni agricole
del Gloucestershire e del Lincolnshire, che sembrano essere stati i cen
tri di approvvigionamento dell'esercito romano.
Quanto alle città, si deve sottolineare la mancanza d' iscrizioni civili
di una certa importanza, e ciò è dovuto al fatto che il paese fu ammini
strato dai militari fino ai tempi di Diocleziano. I nomi dei popoli scom
parvero; le piccole nazioni britanniche non furono, come in Gallia, la
base dell'organizzazione politica e territoriale del paese. In ogni caso,
nessuna di esse si concen trò mai in una determinata città in modo da
lasciare tracce di sé nel suo nome. Ogni provincia del tempo di Diocle
ziano corrispondeva a un gruppo di piccole nazioni; ad esempio la Fla
via Caesariensis raggruppava lceni, Trinobanti, Canzi, Regni e Atrebati.
L'ESERCITO DELLA BRITANNIA .ARTÙ .
Alla fine del II secolo d.C., nella Notitia dignitatum leggiamo che vi
erano in Britannia quattro grandi dignitari, di cui due militari. Uno co
mandava la flotta e aveva il titolo di comes littoris Saxonici, prova che le
invasioni sassoni cominciarono circa due secoli prima di Hengist e Hor
sa, e aveva ai suoi ordini la II legione. L'altro si fregiava del titolo di dux
166
l ROMANI IN BRITANNIA
Britanniamm, comandava la VI legione e aveva il compito di fron teggia
re gli attacchi ripetuti delle popolazioni del nord, Caledoni, Pitti e Sco
ti, che i valli di Adriano e Antonino non riuscivano più a fermare, e di
quelle dell'ovest. Le forze militari della Britannia attaccate su due lati
dai nemici si volgevano ora con tro l 'uno, ora contro l'altro, ora con tro
e ntrambi. Quei dignitari, lasciati ai confini dell 'Impero-, dall'altra parte
della Manica, che potevano con tare solo sulle proprie risorse, diventa
rono a poco a poco autonomi di fatto e cercarono anche di conquistare
l ' indipendenza ribellandosi. Altri, spinti da ambizioni imperiali, attra
versarono il mare. La leggenda ci ha ricamato sopra. L'opi nione dei
cronisti, come Nennio e più tardi Goffredo di Monmouth, è assai curio
sa. L'usurpatore e il ribelle sono per loro personaggi simpatici, non ro
mani, ma britan ni. Nell 'opera di Gildas, intitolata De excidio et r:onquestu
Britanniae,121 si trovano peraltro già tracce dello stesso stato d'animo, e
l' Historia Britonum di N ennio, riproponendo il passo di Gildas, ne modi
fica e ne amplifica ancora il carattere.111
All'epoca di Diocleziano, nel 286 d.C., il comes littoris Saxonici Carau
si o si ribellò e prese la porpora, ma venne assassinato da uno dei suoi
luogotenenti.1�1 Un po' più tardi Flavio Valerio Costanzo Cloro condus
se una spedizione in Britannia contro i Pitti e morì a York nel 306 d.C.
Gli attacchi dei Pitti si susseguirono ed essi arrivarono fino a Londra;
Ammiano Marcellino, che è il grande storico di tale epoca, ci mostra
Teodosio il Grande mentre guida la campagna contro i Pitti dal 364 al
366 d.C. Alcuni anni dopo, la Britannia fornì un nuovo pretendente,
Massimo, probabilmente il dux Britanniarum, che nel 387 d.C. lasciò la
Britannia con il suo esercito, disperso e annientato da Teodosio. Orbe
ne, Massimo è senza dubbio entrato nella leggenda che narra di un im
peratore romano con tale nome, attratto da una meravigliosa bella
donna vista in sogno in Britannia, dove finì col dimenticare Roma, la
quale però si ribellò. Massimo tuttavia partì alla riconquista del trono
imperiale e le sue truppe britanniche non ritornarono mai più in pa
tria. È l' argomento di uno dei Mabinogion, intitolato il "Sogno di Maxen
Wledig".
Un verso di Claudiano induce a pensare che Stilicone abbia difeso
la Britannia contro i Pitti e i Sassoni. In ogni caso sotto Onorio vi erano
167
CAPITOLOVU
in Britannia ancora delle truppe che elessero tre successivi imperatori,
Marco, Graziano e Costantino III. Questi, come Massimo, lasciò l'isola
e combattè in Gallia contro Stilicone, inviando anche un distaccamen
to in Spagna sotto il comando del figlio Costanzo. Nel frattempo sem
bra che le città della Britannia siano riuscite a organizzarsi autonoma
mente. Lo storico Zosimo cita una curiosa circolare di Onorio indiriz
zata alle città con cui le invitava a provvedere alla propria difesa. Ma i
legami, sebbene allen tati, non si erano infranti e nel 446 d.C. i Britan
ni, a quanto pare, andarono in Gallia in soccorso di Ezio. La Britannia
faceva ancora parte teoricamente dell 'impero quando, nel 537 d.C.,
Belisario la cedette ai Goti, scacciati dall'Aquitania da Clodoveo. Du
rante il periodo delle prime invasioni sassoni, la carica di dux Britannia
rum esisteva ancora. Conosciamo i nomi di due duces storici, ma ve ne
sono altri due, del tutto leggendari, citati n eli' opera di Nennio col tito
lo di reges.
I duces storici sono Guortigerno (o Vortigerro) , che era un britan
no, e Aurelio Ambrosio, di famiglia romana o fortemente romanizzata,
il cui padre sarebbe stato console, descritto con grande simpatia da Gil
das e dai cronisti latini e gallesi.
I due comandanti leggendari sono Uther Pendragon, il padre di
Artù, e Artù stesso. Secondo le Triadi del Libro Rosso di Hergest Uther
Pendragon era il fratello di Emreis, ossia di Ambrosio, e il figlio di Ku
stennin Vychan, vale a dire Costantino il Minore, l'usurpatore Costanti
no I I I . La conquista di Roma, uno degli episodi essenziali della leggen
da arturiana, simboleggia e rappresenta non solo la lotta della Britan
nia contro le genti del nord e i Sassoni, ma anche quella vittoriosa con
dotta contro Roma.
16B
CAPITOLO VJ!I
FINE DEllA BRITANNIA E DELL'IRLANDA CELTICHE
(SASSONI, Scon E SCANDINAVI)
LE INVASIONI GERMANICHE
Gli storici attribuiscono a Vortigerro la responsabilità di aver intro
dotto i Sassoni in Gran Bretagna, da lui chiamati nel 449 d.C. per aiu
tarlo contro i Pitti . Una volta di più vediamo i Celti recitare il ruolo dei
deboli, che consiste nel mettersi nelle mani d'un ne mico per salvarsi da
un altro. Vortigerro avrebbe sposato una figlia di Hengist e dato i n
cambio l'isola d i Thanet e l a costa del Kent. L'alleanza tra Vortigerro e
i Sassoni sarebbe finita per il tradimento di costoro i quali, durante un
festino, avrebbero m assacrato numerosi Britanni.
Vortigerro si rifugiò nella regione del Galles presso gli Ordovici, il
cui paese allora si chiamava Venedotia (Gwyned) . Tale regione aveva
una dinastia di principi bellicosi che avevano la loro capitale ad Aberf
fraw nell 'isola di Anglesey. I re di Gwyned, emersi dalle lotte ininterrot
te contro gli Irlandesi e i Pitti, sembra abbiano governato dopo Ambro
sia o Artù come duces Britanniarum e svolto il ruolo di re dei Britanni.
Fu allora che, a quanto pare, prevalse la denominazione di Kymry,
diventato il nome nazionale dei Britanni. I Kymry erano le tribù che
combatterono fianco a fianco, al comando di un capo detto gwledy, con
tro gli Irlandesi, i Pitti o i Sassoni, e il loro paese, in britannico Combrog,
era la Cambria.
Un secolo dopo la creazione del primo insediamento nel Kent, i
Sassoni progredirono rapidamente. Nel 577 d.C. raggiunsero la valle
del Severn separando in via definitiva il Galles dalla Cornovaglia. Verso
169
CAPITOLO VDI
il 600, la costituzione del regno di Mercia chiuse i Britanni nelle mon
tagne del Galles, dove del resto sono tuttora. Altri regni si for marono a
nord che, riuniti nel regno di Northumbria, raggiunsero il Mare d'Ir
landa e, a partire dal 613, separarono il Galles dai Britanni restati a
nord lungo i confini dei Pitti dove il loro regno continuò a esistere: era
il regno di Strathclyde o di Cumbria, con la cittadella di Dumbarton, al
la foce del Clyde, demolita più tardi, dagli Scandinavi d ' Irlanda.
L' in troduzione del cristianesimo in Britannia contribuì fortemente
a far perdere ai Celti le loro connotazioni nazionali. l Sassoni non era
no cristiani quando si stabilirono nell' isola, e ancora al tempo di Beda i
Britanni facevano fatica a considerarli tali. Agostino, inviato in missione
nel paese nel 596 d.C. da papa Gregorio, impressionò notevolmente
quelle popolazioni per l'imparzialità dimostrata nei confronti dei Sas
soni appena convertiti. In Britannia, a causa della rapida conversione
dei Sassoni e della buona accoglienza tributata loro dalla Chiesa, la re
sistenza celtica poté riporre poche speranze nel cristianesimo. A partire
dalla fine del VI secolo la partita era perduta e la Britannia celtica s'era
sbriciolata.
IL POPOLAMENTO DELL'ARMORICA
L'emigrazione verso l'Armorica era cominciata molto presto. Se
condo Gildas, che fu uno degli emigrati e finì la sua vita sulle rive del
golfo di Morbihan, essa a\Tebbe immediatamente seguito l'insediamen
to dei primi Sassoni . In effetti, un vescovo dei Britanni, Mansueto, era
presente al Concilio di Tours del 461 d.C. e ci si può domandare se i
Britan ni, che combatterono sulla Loira contro i Visigoti nel 468 e nel
472 d.C., per conto di Ezio, sotto il comando di Riotimo, provenissero
dallaBritannia Maior o dalla Britannia Minor, o Armorica. La Britannia
Minor era, secondo Procopio, uno dei paesi più disabitati della Gallia e
pertanto vi era molto spazio da occupare.
l Britanni non si acconten tarono di riempire uno spazio vuoto, ma
colonizzarono e fon darono alcuni Stati, nei quali rimasero uniti. Una
parte dell'Armorica si chiamò Domnonea ed era abitata dai Domnoni
di Cornovaglia; un 'altra, Cornavia, era popolata dai Cornavi di Lanca-
170
FINE DELLA BRITANNIA E DELL'IRLANDA CELTICHE
iSASSONI, SCOTI E SCANDINAVI)
ster; questi popoli avevan o dei re. Nella storia di Cadwallo, ultimo re di
Gwyned, che figurava ancora agli inizi del VII secolo, è citato un Salorno
rex armoricanorum Brittonum, contemporaneo di Dagoberto.
Vi fu , probabilmente, più d'una emigrazione. Goffredo di Mon
mouth n e fa risalire una al 664 d.C. Dopo anni di disfatte, di carestie e
di pestilenze, Cadwalladr, figlio di Cadwallo, si sarebbe rifugiato in Ar
morica, e tale fuga avrebbe segnato la fine dei re britanni e il trionfo
degli Angli.
La storia della Britannia celtica è ancora più vaga di quella dell'emi
grazione, e se ne conosciamo qualcosa lo dobbiamo soprattutto alla
leggenda che è ricca di particolari sulle parentele e i rapporti fra eroi e
cavalieri delle due Britann ie. Tristano era un Britanno, Lancillotto an
dò dalla Francia alla corte di Artù; Artù distrusse il demone del monte
Saint-Miche! e Merlino faceva la spola fra i due paesi. Tale tradizione
non è priva di significato. La Piccola Britannia in effetti non smise mai
di rivolgere lo sguardo alla Grande, alla quale era collegata dalla flotta,
fino al momento in cui si trovò in contatto con la Francia, una Francia
che non era più né germanica né celtica, ma era la Francia, e che l'assi
milò dolcemente.
l CELTI INDIPENDENTI DI SCOZIA E D'IRlANDA
Le incursioni continue dei Pitti, che sconvolsero la Gran Bretagna
nel IV e V secolo d.C., sembrano documemare un ritorno di vitalità di
quel popolo. Pur se conosciamo le date delle loro spedizioni, non ab
biamo informazioni né sui Pitti, né sui Caledoni di Scozia. Sappiamo
solamente che i Pitti avevano fondato colonie nell'Ulster irlandese a co
minciare dal IV secolo d.C. e che erano guerrieri temibili.(l'
In Irlanda, al contrario, s' era susseguita una serie di eventi politici
che avevano dato origine a una sorta di organizzazione, per altro anco
ra molto frammentaria, a quella specie di pot-pourri etnico compren
dente aborigeni, Goideli, Pitti, Britanni, Belgi 121
cui si è accennato in
precedenza. All' epoca di San Patrizio tale organizzazione condusse in
Irlanda all'istituzione della monarchia di Tara''' grazie alla quale il pae-
171
CAPITOLO VIII
se acquistò forza ed energia che si tradussero in spedizioni all'esterno e
in sviluppo della civiltà all'interno. È il periodo della storia d 'Irlanda
cui appartengono tutti gli avvenimenti narrati nei due cicli delle epo
pee irlandesi: quello di Ulster e quello di Leinster.
Mancano documenti diretti su tali eventi perché gli scrittori greci e
latini contemporanei ignorarono quasi del tutto l 'Irlanda e dobbiamo
quindi dichiararci soddisfatti se ci hanno fornito qualche informazione
attendibile. Un passo del poligrafo Caio Giulio Solino, basato su una
tradizione autenticamente irlandese, ci informa dell'assenza di serpenti
in Irlanda. Gli Irlandesi, infatti, attribuivano il merito di aver liberato
l ' isola dai serpenti ora a san Patrizio, ora a Finn Mac Cumhaill. L'Irlan
da aveva i suoi esiliati che informavano i capi o i governi romani presso
i quali si trovavano, ma restano solo frammenti di quanto essi racconta
vano.
Al contrario abbiamo una mole considerevole di informazioni indi
rette forniteci dai testi epici, dalle leggende locali, dalle leggi e infine
dagli annali, ma son o documenti da utilizzare con somma cautela. Le
parti antiche degli elenchi dinastici e degli alberi genealogici sono
composite, e occorre notare in maniera generale che gli annali riporta
no solo gli avvenimenti eccezionali, fornendo, di conseguenza, un'idea
abbastanza distorta della vera storia. Tutti questi dati sono stati d ' al
tronde elaborati con raro talento da Eoin Mac Neill negli ultimi capito
li del suo Phases of lrish historyY>
Benché i Romani non conoscessero l ' I rlanda, essi vi erano noti per
ché la loro influenza si faceva sentire. L'Irlanda aveva rapporti com
merciali più o meno continui con la Britannia e la Gallia che la riforni
va di vino. Una testimonianza curiosa dell'influenza romana è ancora
l' alfabeto. Gli Irlandesi ne inven tarono uno tutto loro nel quale le lette
re erano rappresentate da trattini sistemati sopra, sotto o attraverso la
linea orizzontale o obliquamente rispetto a essa. Tale alfabeto era for
mato dalle seguenti lettere: A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, L, M, N , O, P, Q,
R, S, T, U, V, NG. Non esistevano né la X, né la Y La lettera NG, che
mancava nell'alfabeto latino, indicava la nasale gutturale. Se gli Irlan
desi avessero ideato il loro alfabeto avrebbero evidentemente rappre
sentato le aspirate che raddoppiano ciascuna delle loro mute, dentali,
172
FINE DELLA BRITANNIA E DELL'IRlANDA CELTICHE
(SASSO N!, SCOTI E SCANDINAVI)
labiali e gutturali. Orbene, essi non le presero neppure dal greco. Fu
dunque l'alfabeto latino a servire per l'analisi dei suoni che, tuttavia, fu
fatta in maniera originale: distinzione della u-vocalica e della u-conso
nantica, classificazione dei suoni. La lingua era quella delle iscrizioni
agamiche nel momento precedente le più antiche fasi cristiane e i più
antichi scritti dell ' I rlanda; e, d'altra parte, alcune iscrizioni agamiche
erano cristiane. L'uso degli ogham iniziò probabilmente nel II o III se
colo d.C. e terminò verso il VIY1
Durante i primi secoli della nostra èra comparve in Irlanda una no
vità, dovuta anch'essa, secondo Eoin Mac Neill, all'influenza romana. Si
tratta delle truppe di fianna, ossia le compagnie permanenti di soldati
professionisti, la cui epopea è narrata nel ciclo detto di Leinster o di
Finn, e delle quali l ' I rlanda avrebbe avuto un gran bisogno in seguito.
Estranee all'organizzazione militare celtica primitiva, tali truppe sareb
bero state arruolate secondo gli schemi militari romani.";1 In ogni caso,
fu rono loro a fornire i potenziali bellici che vedremo all'opera.
L'evoluzione politica dell' I rlanda si svolse tra due periodi: I' esisten
za di cinque regni uguali e autonomi nell'epoca di Conchobar Mac
N essa, re deli' Ulster (il re dell'epopea dell'Ulster, del quale gli annali
fanno, con maggiore o minore attendibilità, un contemporaneo di Ge
sù Cristo) e la fondazione del regno di Meath quale dominio di un re
supremo, con capitale Tara, nel 483 d.C. Una data intermedia spicca
nel seguito degli annali, ed è quella del regno di Cormac Mac Airt, re
di Connaught verso il 275 d.C., che conquistò Tara, avvenimento dal
quale si fa risalire la fondazione di una monarchia suprema nelle mani,
dei re di Connaught.
L'epoca di Conchobar è detta Aimser na Coicedach, "il tempo dei cin
que quinti". L'Irlanda era divisa nei regni di Ulster, Connaught, Lein
ster del Nord, Leinster del Sud e Munster. Tara faceva parte del Lein
ster del Nord, e I ' Uister era molto esteso verso ovest. Le frontiere del
Munster con il Connaught e il Leinster cambiarono poco, ma non è da
quella parte che bisogna cercare i grandi mutame nti, bensì sulle fron
tiere deli 'Ulster e del Leinster con il ConnaughtY'
L'epopea deli'Ulster ci mostra gli altri regni d ' I rlanda confederati
contro questo sfortunato paese sotto la guida dei re di Connaught. A
173
CAPITOLO VIII
poco a poco il Con naught si estese verso est a spese deli 'Ulster che si ri
dusse alle contee di Down e di Antrim, e del Leinster del Nord che finì
per assorbire interamente e alla fine esso giunse a dominare metà del
l ' l rlanda.1";
Verso il l 50 d.C., infatti, le genti del Connaught occuparono Uisn ea
ch. In quel periodo il regno di Conchobar era già irriconoscibile, infatti
era occupato quasi interamente dai Pitti. Una seconda tappa fu segnata
dall'occupazione di Tara da parte del re Connac, e una terza dalla di
struzione del regno di Ulster a opera degli esiliati del Connaught, dei
quali conosciamo l a drammatica storia. Il regno unico de li 'Ulster si divi
se in due: quello di Argialla e l 'Ulster propriamente detto. Verso il 400,
al tempo di Niall dai Nove Ostaggi, l'Ulster era limitato al sud-est, per
ché i figli di Niall gli avevano tolto ciò che conservava a nord-ovest nella
contea di Donegal. L'anno 483 fu segnato dalla battaglia di Ocha che
determinò la separazione della monarchia del Conn aught da quella su
prema, legata al possesso del regno di Meath con Tara.
In quell'epoca l'Irlanda non era formata più da cinque, ma da sette
regni,1"1 ossia: Meath, Conn aught, Ailech, Oriel o Argialla, Ul �ter, Lein
ster e Munster, gli ultimi sei subordinati al regno di Meath. E così che
San Patrizio trovò organizzata l'isola qualche anno dopo. La monarchia
di Tara era ancora precaria e il santo preferì stabilirsi non a Tara, ma ad
Armagh.'w1 Il Leinster non era rassegnato alla sua decadenza, e conti
nuava ad attaccare il Connaught e il regno di Meath. Ciononostante,
l'unità era virtualmente raggiunta. Gli Irlandesi rappresentarono l'Irlan
da o la sua sonanità sotto forma d'una principessa sublime, mitica, spo
sa del re di Tara; questa concezione si è espressa in poemi di rara bellez
za. D'altronde, la distinzione fra Goideli e Aithechta tuatha, nei quali si
trovavano confusi tutti i gruppi non goidelici, era andata scomparendo
a tal punto che si faceva figurare nell'elenco dei re preistorici l'alverno
Ederscel. E tuttavia alla fine del I secolo d.C. si verificò la famosa rivolta,
per altro effimera, dei tributari che scacciarono in Gran Bretagna la di
nastia di Connaught, forse poco dopo l'epoca di Agricola. Ma la dinastia
espulsa ritornò più potente che mai con Tuathal Techtmar. La tendenza
a un 'unità, sempre più sentita, e la fusione delle razze furono i risultati
dell 'evoluzione politica dell'Irlanda che abbiamo appena descritti.
1i4
flNE DELLA BRITANNIA E DELL'IRlANDA CELTICHE
(SASSO N!, SCOTI E SCANDINAVI l
LE INCURSIONI DEGU SCOTI
Per gli Irlandesi, che s'erano battuti per quattro secoli, la lotta era
stata una scuola di guerra e di audacia. Fra loro v'erano stati dei vinti, e
alcuni gruppi avevano dovuto abbandonare il proprio territorio. I Desi,
che abitavano nei dintorni di Tara, furono ridotti alla condizione di esu
li dai conquistatori del Connaught. Sembrava che l'Irlanda avesse un ec
cesso di uomini e di risorse da diffondere fuori dei propri confini.'111
A partire dal I I I secolo d.C., i Romani stabilitisi in Britannia dovet
tero difendersi dalle incursioni degli Irlandesi, indicati dagli scrittori
del Basso Impero sotto il nome di Hiberni, Attecotti, Scotti. Il nome di
Scoti è diventato uno dei nomi dei Goideli d'Irlanda, quello di Attecotti
è rimasto limitato ai documenti dell 'epoca, mentre Scolo appartiene al
l'onomastica gallica e sembra indicare gli uomini che facevano incur
sioni, i corsari.11�1
Gli Irlandesi non si limitarono a fare razzie in Gran Bretagna, ma si
recarono anche sul continente. San Gerolamo parla delle razzie degli
Attecotti, uomini barbari ai quali attribuisce crudeltà e costumi abomi
nevoli. Essi tagliavano, a suo dire, i seni alle donne dei quali si cibava
no, e vivevano in promiscuità. Erano soliti scendere fino alla foce della
Loira, saccheggiando la regione, e talvolta erano così numerosi che Sti
licone si trovò ad affrontare una vera e propria invasione. In alcuni casi
vennero arruolati al servizio di Roma; la Nolitia dignitatum annovera de
gli Allecotti juniores, seniores, e Ammiano Marcellin o parla d'un corpo di
polizia cui veniva dato il nome di Ariani.11;1 Erano guardie, vedette irlan
desi (in irlandese la parola aire significa guardia, vedetta) . Gli Sco ti si
stabilirono in colonie, delle quali sono rimaste tracce nel villaggio di
Écuisses, nella Saone-et-Loire, il cui nome deriva dall'antico Scotiae. < H l
Gli annali e i documenti irlandesi svelano l'altra faccia di tali avven
ture, allorché si parla non più di bande di saccheggiatori, ma di spedi
zioni militari guidate da re, la più antica delle quali è attribuita al re
Crimthann Nia Nair, che avrebbe regnato tra il 74 e il 90 d.C. su tutta
l 'Irlanda. Le conquiste attribuite a Crimthann il Grande, rimasto sul
trono dal 366 al 379 d.C., coincidono curiosamente con il comando e
le vittorie di Teodosio, padre di Teodosio il Grande. Alle campagne di
1 75
CAPITOLO VIII
Stilicone, in Britann ia e in Gallia, corrispondono le spedizioni del fa
moso re Niall dai Nove Ostaggi, che devastò il nord della Britan nia, spo
polò la regione, fece migliaia di prigionieri, fra i quali si trovava forse
San Patrizio il quale fu, come si sa, schiavo in I rlanda. Nel 405 d.C. Niall
fu assassinato da un re del Leinster. Il suo successore avrebbe com
battuto ugualmente in Gallia.11 '1
Nello stesso periodo gli Irlandesi si stabilirono in Britannia e su tut
te le parti estreme della costa occidentale. Tra il 250 e il 300 d.C. i Desi
invasero la regione di Dyved.' 1"1 In seguito gli Ui Liathain, uno dei rami
principali degli Eogannacht di Munster, si stabilirono in Cornovaglia, e
i Dal Riada deli 'Ulster nell 'Argyllshire e nelle isole vicine.' 171 Da canto
loro i Goideli occuparono Anglesey e pressoché tutta la regione di Gwy
ned, come testimoniano le iscrizioni agamiche e n omi quali Cerrig y
Gwyddell (i Re dei Goideli) . Dopo l 'insediamento si accordarono con
gli indigeni con i quali si unirono mediante matrimoni misti, o strin
gendo alleanze. Tale comunione di vita ha originato una profonda me
scolanza di tradizioni irlandesi e britanniche, di cui i Mabinogion gallesi
o la leggenda di Tristano sono testimonianze significative.
I Britanni, d'altra parte, quando si presentò l 'occasione, resero agli
Irlandesi pan per focaccia. Nel 250 d.C. un loro esercito guidato da u n
pretendente a l tron o supremo, Lugaidh Mac Con n , sbarcò i n Irlanda.
San Patrizio parla di un certo Corotico il quale compiva in Irlanda raz
zie facendo numerosi prigionieri. Orbene, Corotico non è altri che Ce
redig ap Cunedda, il figlio e successore di Cunedda il quale, verso il
400 d.C., riprese agli Irlandesi il paese di Gwyned. U n nipote di Cuned
da, Mailcom, morto nel 547, riconquistò Dyved. Sembra, in ogni caso,
che a partire dalla metà del V secolo d.C. i re d' Irlanda abbiano rinun
ziato alle grandi spedizioni, men tre i Britanni riguadagnavano terreno
in Gallia e in Cornovaglia.
Gu ScoTI IN ScoziA
I Goideli conservarono, delle loro con quiste, la Scozia e l'isola di
Man alla quale hann o lasciato in eredità il dialetto goidelico, conserva
to grazie alle costanti relazioni con la costa dell'Irlanda. In Scozia fon-
1 7G
flNE DElLA BRITANNIA E DELL'IRLANDA CELTICHE
(SASSONI, SCOTI E SCANDINAVI)
darono uno Stato che crebbe via via fino ad assorbire definitivamente i
Pitti e i Caledoni, sempre che si trattasse di popoli distinti.
Il primo sbarco sembra risalire alla prima metà del III secolo d.C.
Con aire Il, un re del Munster che compare nell 'elenco dei monarchi
supremi dell'Irlanda dal 212 al 220, aveva un figlio, Cairbre Riada il
quale, essendo sopraggiunta una carestia nel Munster, partì con i suoi
per stabilirsi nel nord dell' isola, neli' Ulster. Una parte dei Dal Riada re
starono nella contea di Antrim, mentre un'altra attraversò il mare e si
fermò neli'Argyllshire. Tale è, secondo la tradizione, l ' origine del dop
pio regno di Dal Riada. Nel 470 d.C., data ufficiale della creazione del
regno degli Scoti e della sua dinastia, Fergus Mac Ere, re dei Dal Riada
deli ' Ulster e discendente di Cairbre Riada, si trasferì in Scozia con i
suoi fratelli. Si trattò, con ogni probabilità, del tentativo di riunire le
due metà della tribù, e la sua riuscita, determinò la fondazione di un
duplice regno, cui fu annessa l' isola di Man.
L'esistenza di un doppio regno costituiva, per il diritto pubblico ir
landese, un caso anomalo che fu risolto solo nel 575 d.C. durante la fa
mosa assemblea di Druim Ceta, presieduta da San Colombano, nella
quale furono affrontati anche altri problemi giuridici. Il re degli Scoti di
Britannia si sottrasse all'autorità suprema d'Irlanda. Per il sovrano irlan
dese dei Dal Riada fu adottata una soluzione di compromesso: egli dove
va servire il re d'Irlanda con l 'esercito e il re degli Scoti con la flotta.' 1"1
La colonia scozzese dei Dal Riada rimase per molto tempo di mode
ste dimensioni e alla fine del VII secolo era limitata alla contea di Ar
gyll e alle isole vicine. A est i Pitti si spinsero fino a Firth of Forth, a sud
i Britan ni occuparono la costa occiden tale fino oltre Dumbarton, la
sciando un piccolo gruppo di Pitti isolati nel Galloway. Ma i n quel pe
riodo il regno scoto cominciò a ingrandirsi e all'epoca di Beda gli Scoti
avevan o rimpiazzato i Pitti nei dintorni del Firth of Forth.
L'Irlanda abbracciò il cristianesimo, che mise radici così profonde
da sostituire il culto degli antichi eroi e da identificarsi con lo spirito
nazionale del popolo. San Patrizio, infatti, è diventato l 'eroe nazionale
deli'Jrlanda.1 1!'1
Il cristianesimo era giunto nell 'isola certamente prima di lui, ossia,
stando a San Gerolamo, con Pelagio, un monaco irlandese morto nel
1 77
CAPITOLO VDI
422 d.C. lontano dal suo paese. La cronaca di Prospero d 'Aquitania
menziona nel 431 d.C. l' invio, da parte di papa Celestino I, d'un certo
Palladio presso gli Scoti che credevano in Dio. Orbene, l'arrivo in Ir
landa di san Patrizio si fa risalire al più presto al 432. Zimmer, nella sua
opera sui rapporti tra la Gallia e l'Irlanda, formula l'ipotesi ingegnosa
che dal 4 1 9 al 507 d.C., fra l'epoca in cui i Visigoti si insediarono nella
parte settentrionale dell'Aquitania, e quella in cui Clodoveo ristabilì un
po' d'ordine in Gallia dopo gli anni turbolenti del V secolo, i letterati
della Gallia, e soprattutto dell'Aquitania, abbiano trovato rifugio in I r
landa. Ciò è possibile, ma non esistono prove certe. Infatti, né il latino
di san Patrizio, né quello di san Colombano, che descrisse nel secolo se
guente la Chiesa d'Irlanda, dimostrano che essi siano stati discepoli dei
letterati d'Aquitania ereditandone il preziosismo.'��•> Quindi, se è pres
sappoco certo che san Patrizio non fu il primo apostolo dell'Irlanda, è
fuor di dubbio che dopo di lui il cristianesimo ebbe causa vinta.
Da quel momento in poi si verificano in Irlanda fatti importanti:
scomparvero le diversità etniche e rimasero solo i Gaedhil, fossero essi
originariamente Alverni, Pitti, Galli o Belgi. Eoin Mac Nei!, insistendo
con ragione sul problema delle tribù suddite, aithechta luatha, pensa
che in quell'epoca la distinzione espressa dalle parole soer, libero, e
doer, non libero, corrispondesse soprattutto alla differenza di condizio
ne degli artigiani, chiamati anche soer, e dei coltivatori, e fosse simile a
quella che s'era stabilita sul continente tra borghesi e contadini. Si trat
tava di differenze sociali e non di diversità etniche.
D'altronde, san Patrizio pare si fosse impegnato con zelo a combat
tere contro la schiavitù, in particolare contro quella dei prigionieri di
guerra predicando esemplarmente la fraternità cristiana. Egli era stato
richiamato nell' isola, dove era stato a sua volta schiavo, da voci che l'a
vevano ispirato. 11 successo della sua predicazione è dimostrato dalla fi
ne delle scorrerie dei pirati. Da quel momento terminarono le spedi
zioni e pertanto n o n vi fu più bisogno di truppe permanenti; le stesse
Fianna divennero inutili. Due secoli dopo, Beda il Ve nerabile, descri
vendo la calata in I rlanda dei popoli del Northumberland n el 684 d.C.,
li mostra nell 'atto di piombare su un popolo inoffensivo.
La ferven te attività che caratterizzò quel periodo trovò un altro
1 78
FINE DELLA BRITANNIA E DELL'IRLANDA CELTICHE
(SASSONI, SCOTI F. SCANDJNAVI)
sbocco: la predicazione cristiana. San Colombano e i monaci di Iona an
darono a colonizzare il continente, fondandovi i monasteri di Luxeuil e
San Gallo, dove si conservano ancora preziosissimi manoscritti irlan
desi.'2 1 '
L'Irlanda diventò, a partire dal VI secolo, u n a fucina d i cultura cri
stiana, scuola di dottrina teologica e di morale. La matrice dei primi libri
penitenziali è irlandese. Beda tramanda che una folla di giovani inglesi
seguiva l'insegnamento di san Finnian e di san Colman. Più tardi Alcui
no intratteneva rapporti epistolari con il monastero di Clonmacnois.
La cultura cristiana dell'Irlanda ci appare da allora come un gioiello
della civiltà nazionale. San Patrizio aveva radunato attorno a sé una del
le classi intellettuali del paese, quella dei poeti, ai quali il cristianesimo
fornì una scrittura diversa da quella agamica. Fu in quell'epoca che si
cominciarono a raccogliere per iscritto le antiche epopee, ed è merito
di Loegaire, re d'Irlanda ai tempi di san Patrizio, di averle ordinate in
modo sistematico. Per la storia dei Celti tale avvenimento è paragonabi
le a quello che fu, per la Grecia, la stesura dei poemi omerici. A partire
dal VII secolo anche i grammatici irlandesi, stimolati dall'esempio di
san Patrizio, cominciarono a valorizzare e a coltivare la loro lingua.
L'IRlANDA CRISTIANA f1NO ALLE INCURSIONI SCANDINAVE
Col cristianesimo cominciò veramente il periodo più fulgido dell ' I r
landa, che durò circa tre secoli: tre secoli di continuità, tranquillità,
prosperità e unità, quali mai conobbe nessun altro popolo celtico. Così
l ' Irlanda ebbe non solo il tempo di unirsi, ma vide anche formarsi al
suo interno una nazionalità, più esattamente una nazione sopravvissu
ta, unica fra quelle celtiche, alle persecuzioni e alle catastrofi.
Quell'epoca aurea non fu tuttavia esente da zone d 'ombra. L'Irlan
da risentì della scomparsa delle milizie mercenarie che costituivano
una sorta di esercito di difesa e d'attacco, e fu penalizzata dalle leggi
sulla successione. I nfine soffrì la con correnza che il potere ecclesiastico
faceva a quello dello Stato. Vi furono guerre civili, sfide tra le genti di
Leinster e quelle di Connaught in competizione per la sovranità supre-
1 79
CAPITOLO VIII
ma, ma tali lotte erano di fatto scontri di poca importanza. La storia di
quel periodo, per altro, è puramente aneddotica. Si racconta, ad esem
pio, che Tara, sede della monarchia suprema d'Irlanda, fu abbandona
ta sotto il regno di Diarmait Mac Cearbhail, pronipote di Niall, in circo
stanze che sembrano veramente leggendarie. La città sarebbe stata eva
cuata nel 545 d.C., a seguito di una maledizione. I n realtà Tara non fu
affatto distrutta e forse neanche maledetta, perché nel 780 vi fu tenuto
un concilio. Essa, di fatto, era un punto di riunione per le feste, e pari
menti un campo militare, piuttosto che una città. Ormai i tempi erano
cambiati. Cruachain nel Connaught, Ailinn nel Leinster, che erano, co
me Tara, grandi accampamenti, furono anch'essi abbandonati. L' orga
nizzazione militare finì di esistere. D'altra parte, pur avendo il cristiane
simo irlandese connotazioni nazionali, non poté esimersi dal modifica
re le antiche feste, dal laicizzare i teatri, in cui venivano celebrate, o ad
dirittura dal consacrarli. Orbene san Patrizio non s'era stabilito a Tara,
ma ad Armagh. Sembra per altro che la monarchia suprema non fosse
più legata in dissolubilmente al possesso di Tara.
LE INCURSIONI SCANDINAVE
Lo sviluppo dell ' I rlanda e della sua civiltà, in una pace evangelica e
monacale che perseguiva le vie tracciate da san Patrizio, fu definitiva
mente compromesso alla fine dell'VIII secolo da un nuovo e importan
te spostamento di popoli. Fu allora che gli Scandinavi, presto seguiti
dai Danesi, si misero in movimento. In effetti le operazioni dei Nor
marmi, o uomini del Nord, ebbero un carattere più sistematico e me
glio ordinato di quanto non si immagini. Vi furono spedizioni di con
quista e di colonizzazione, nel corso delle quali furono fondati veri e
propri Stati che si confederarono e si unirono alla madre patria. I Nor
manni fecero grandiosi progetti per dominare i mari, ma non li realiz
zarono completamente.
Gli Scandinavi a pparvero verso il 790 negli arcipelaghi setten triona
li delle Isole Britan ni che e sulle coste dell ' I rlanda. Qu alche decina
d ' anni dopo con l e prime scorrerie occuparono le isole e le penisole:
! HO
FINE DELIA BRITANN!A E DELL'IRL\NDA CELTICHE
(SASSONI, SCOTI E SCANDINAVI)
nell'841 d.C. stabilirono a Dublino una postazione fortificata, e pres
sappoco nello stesso periodo un 'altra ad Annegassar, nella contea di
Louth. Stando a Dublino s'erano insediati tra il Leinster e il Meath e
approfittando della loro ostilità, si inserirono negli affari interni dell 'Ir
landa. Nel X secolo gli accordi e i molteplici matrimoni misti consoli
darono l'insediamento degli Scandinavi. Di tanto in tanto arrivavano
rinforzi o nuovi capi, o una flotta norvegese si fermava presso di loro a
rammentare l 'autorità d 'un re lontano. A cominciare dall'863 Aroldo
Bellachioma ebbe il tempo, nel suo lungo regno durato tre quarti di se
colo, di costituire e consolidare il proprio impero.
Il successo degli Scandinavi fu compromesso dalla rivalità dei Nor
vegesi e dei Danesi. Essi comparvero in Irlanda nell '85 1 d.C. e furono
indicati negli annali sotto il nome di "pagani neri". D ' altra parte l 'I rlan
da, che era stata sorpresa dalle incursioni scandinave allorché si trovava
sprovvista di organizzazioni militari, ebbe molte difficoltà a riprendersi.
Ma nell'870 d.C. tutto il nord dell' isola parve essersi liberato dei Nor
manni. A cominciare da tale epoca la lotta si concentrò soprattutto nel
le province del sud; i re di Cashel vi ebbero un ruolo considerevole con
successi diversi.
D'altro canto gl i Irlandesi, a quanto pare, non dovettero mai me
scolare le loro guerre civili con quelle lotte nazionali. Il Leinster era i n
guerra con i l Munster e i l buon re-vescovo d i Cashel, Cormac, morì nel
conflitto del 908. Nel Munster, le due famiglie rivali degli Eoganacht e
dei Dal Cais lottavano per la sovranità. Verso l'anno l 000 i Dal Cais era
no al potere con Brian Boromha, uno dei personaggi di spicco della
storia irlandese. Politico avveduto, temporeggiatore, egli aspirava alla
monarchia suprema, ma si accontentò d'eserci tare u n a reale egemonia,
riuscendo a coinvolgere l ' I rlanda i ntera nella vittoriosa battaglia di
Clontarf del l 0 1 4. Il re di Dublino, Sigtrygg, chiamò in aiuto il conte
delle Orcadi, Sygurd. Lo scon tro fu decisivo: Brian vinse la battaglia,
ma morì e il prestigio degli uomini del Nord era infranto. Nel l l 03 fal
lì anche il ten tativo del re di Norvegia, Magnus.
In Scozia le incursioni degli Scandinavi furon o utili al piccolo re
gno dei Dal Riada che opposero loro una resistenza vittoriosa; esse in
debolirono soprattutto i Pitti al nord e gli Angli al sud. Gli Scoti, che
181
CAPITOLO VIII
avevano solide basi nell 'interno, vi si concentrarono, costruendo strut
ture difensive e si prepararono a succedere ai loro vicini. A metà del lX
secolo il regno dei Pitti cessò d'esistere e fu assorbito da quello dei Dal
Riada. �ell'870 i re scandinavi di Dublino, Olaf e Ivar, conqu istarono
Dumbarton. Ma alla fine del IX secolo il regno scoto si estese nell'anti
co territorio dei Britanni a spese degli Angli, al sud del! 'attuale Scozia.
La colon izzazione che seguì alla conquista è documentata dalla presen
za dei toponimi gaelici in tutta la Scozia. Il gaelico si diffuse parimenti
nelle colonie scandinave delle isole e della costa occidentale, dove si
erano formati piccoli Stati: la contea delle Orcadi, il regno delle Ebridi,
e quello dell'isola di Man , più o meno sottomessi ai re di Norvegia. I
Danesi, arrivati dopo i Norvegesi, crearono nel 980 un regno nelle
Ebridi abbandonan dolo nel 1 005. Alcuni di quei piccoli regni restaro
no vassalli dei re di Norvegia, come quello fondato da Sumarlidi nel
l'Argyll e nelle Ebridi, che si staccò da tale vassallaggio solo nel l 269; il
regno delle Orcadi si mantenne norvegese fino al 14 70, data in cui il re
di Scozia Giacomo I I I l'acquisì per matrimonio. Sarebbero trascorsi an
cora lunghi secoli prima che le Ebridi e le Orcadi diven tassero definiti
vamente scozzesi.
Gli Scandinavi sbarcarono anche in Galles, senza tuttavia stabilirvi
insediamenti. I Gallesi non si avvalsero né della relativa tranquillità, né
della pressione esercitata dagli Scandinavi sugli Anglo-Sassoni per ri
conquistare il territorio perduto. A volte, particolarmente nell'epoca di
Alfredo il Grande, i Gallesi combatterono contro i Danesi a fianco degli
Anglo-Sassoni; una certa assimilazione aveva finito per prodursi: i re
del Galles divennero vassalli di quelli anglo-sassoni; nel X secolo, i n
tempo d i pace, s i recavano ai loro Consigli e Hywell i l Buono chiamò
uno dei suoi figli Edwin . Il Galles non riuscì dunque a costituire uno
Stato forte e veramen te durevole, malgrado sporadici tentativi, come
quello di Hywell il Buono, d i unificare tutto il paese.
Bisogna tuttavia riconoscere che furono i Celti, nel mondo occiden
tale, a meglio sostenere l'assalto scandinavo, e che la loro resistenza,
più di quella di ogni altro popolo, contribuì a contenerli. In tale im pre
sa essi ebbero un grande ruolo.
1 82
FINE DELLA BRITANNIA E DELL'IRlANDA CELTICHE
(SASSONI, SCOTI E SCANDINAVI)
LA GUERRA D'INDIPENDENZA
IL GALLES
l Normanni che, al seguito di Guglielmo il Conquistatore, si sosti
tuirono, ne1 1 066, agli Anglo-Sassoni, seppero meglio di loro sottomet
tere e assimilare gli Stati celtici delle Isole Britanniche. La loro impresa
non aveva nulla in comune con i movimenti d'espansione degli Scandi
navi già descritti, ma fu un atto politico, attuato nell'interesse di una
massa avventurosa. Lo scopo era quello di ingrandire i possedimenti, di
acquisire territori feudali. l Celti delle isole erano i dissidenti del mon
do occidentale, ed ebbero contro di loro il papa, ossia il capo di quella
società creatasi dalla confluenza di elementi germanici nell'Impero ro
mano infine cristianizzato. l Normanni conquistarono definitivamente
il paese e lo trasformarono in breve tempo. Si trattò, fatte le debite pro
porzioni, di un fatto del tutto simile al cambiamento di assetto che si
era verificato nella Gallia romana. l Normanni erano grandi costrutto
ri, in un periodo in cui si costruiva in modo straordinario. Ovunque
misero piede, edificarono chiese, castelli e città, e ovunque furono imi
tati, cambiando del tutto l' aspetto del territorio.
l Gallesi, essendosi schierati dalla parte degli Anglo-Sassoni, attira
rono su di sé la vendetta di Guglielmo il Conquistatore che agì lungo la
frontiera nel 1 070 e incaricò i conti di Chester e di Shrewsbury di ri
durli all 'obbedienza. All'inizio del XII secolo, i Gallesi occupavano an
cora le alture, men tre i Normanni erano sulle coste e nelle valli. Alla
morte di Enrico i si schierarono contro Stefano di Blois e i partigiani di
Matilde, figlia del re defunto, poi contro Giovanni Senza Terra, e in se
guito, nel 1 258, contro Enrico I I I in favore di Simone di Monfort. Nel
XII e XIII secolo i re e i principi del Galles riconoscevano la sovranità
dei re normanni, ma si ribellavano sovente: a seguito di una di tali ri
volte, soffocata da Enrico III nel 1 282, il titolo di principe di Galles fu
attribuito all 'erede della corona d'Inghilterra.
Il simbolo dell 'evoluzione storica è Geraldo il Gallese, Giraldus Cam
brensis, figlio di un barone normanno e di madre gallese, che studiò in
Francia, divenne funzionario di Enrico II e scrisse una serie di libri, fra
cui l'Itinerario della Cmnbria e la Conquista dell1rlanda, che documentano
una reale conoscenza degli avvenimenti celtici non scevra da malanimo.
183
CAPITOLO VIII
Fu intorno ai re Plantageneti, forse alla corte d i Enrico Il, dove vis
sero anche Geraldo e Gualtiero Map, che si svilu ppò la leggenda di
Artù, avendo come nucleo, per un verso, un racconto gallese scritto da
un certo Bledri, Bledherius Jabulalor, e, dall'altro, le tradizioni dell'abba
zia di Glastonbury. I Britanni si sottomisero senza difficoltà anche per
ché instaurarono rapidamente rapporti amichevoli con i Normanni.
lA SCOZIA
I regni gaelici di Scozia e d'Irlanda non finirono nelle braccia dei
Normanni con la stessa rapidità. In Scozia, il re Malcolm aveva riunito e
preso sotto la sua protezione la famiglia reale anglo-sassone e, nel l 067,
sposò Margherita, nipote del re Edmondo, la futura santa Margherita di
Scozia, che esercitò un'influenza negativa considerevole nei confronti
della cultura celtica. Grazie a lei e alla maggior parte dei successori di
Malcolm, l 'elemento anglo-sassone ebbe il sopravvento in Scozia nella
lingua e nelle istituzioni. Ma né Guglielmo il Conquistatore, né quanti
vennero dopo di lui, scalfirono la Scozia. L'ultimo re Dal Riada, Alessan
dro I I I , morto nel 1 285, s'impadronì anche d ' u na parte dei possedi
menti normanni del nord-ovest. Malgrado l'estinzione della dinastia e le
rivalità fra coloro che aspiravano alla successione, Edoardo I ed Edoar
do Il non riuscirono a impadronirsi del paese, e Robert Bruce resistette
vittoriosamente a Bannockburn. Ma, divenuta sempre meno celtica, per
la vicinanza degli I nglesi, la Scozia fu annessa completamente quando la
dinastia degli Stuart salì con Giacomo I sul trono d ' Inghilterra.1221
Ciò non vuoi dire che lo spirito d'indipendenza di Galles e Scozia si
esaurì; i due paesi infatti mantennero la propria originalità, ma la capa
cità e l'aspirazione a costituire una nazione indipendente erano scom
parsi.
L'IRlANDA
Il caso dell'Irlanda fu del tutto diverso. Essa era sfuggita agli Scandi
navi, ma ciò non le impedì di trovarsi in uno stato di miseria morale e
materiale attestato da san Bernardo, amico del santo irlandese Mala
chìa. U n movimento di riforma cistercense si produsse all'in izio del XII
1 84
FINE DELLA BRITANNIA E DEll'IRlANDA CELTICHE
(SASSONI, SCOTI E SCANDINAVI)
secolo, scontrandosi però con quello partito dai monasteri irlandesi in
corrispondenza con una rinascita delle scuole. Istigato dal suo entourage
cistercense, Enrico I I propose al papa Adriano IV d'andare a conquista
re l ' I rlanda per impedirle l'autonomia religiosa. l! papa, che van tava di
ritti sull'Irlanda in virtù della famosa Donazione di Costantino, per al
tro apocrifa, con cesse carta bianca al re d'I nghilterra. Una volta di più
la conquista normanna realizzava l'assimilazione dei dissidenti dell' Oc
cidente.
Un esercito di Norman ni, Fiamminghi e Gallesi sbarcò in I rlanda
nel 1 1 69. Lo stesso Enrico II vi andò nel 1 1 7 1 . L'Irlanda aveva ancora
un re supremo, Rory An Ruaichu O ' Connor, che fu l'ultimo dei mo
narchi supremi, perché dovette riconoscere Ja sovranità del re d'Inghil
terra. Ma l'Irlanda era stata appena scalfita, avendo gli invasori conqui
stato soltanto le contee di Dublino, Meath, Kildare e Louth. Enrico I I
affidò i l compito d i completare la conquista a d alcuni grandi feudatari,
i Fitz-Gerald, le famiglie di Courcy e di Burgh, che dovevano assicurarsi
il possesso effettivo dei loro feudi. Essi approfittarono delle rivalità di
nastiche, delle guerre civili, trovarono sostenitori nel paese e riuscirono
a concludere accordi e alleanze matrimoniali con le famiglie dei capi
irlandesi. Costruirono fortezze e a volte, come a Down-Patrick, trasfor
marono i monasteri fortificati in castelli.
A partire dal 1 255 i conquistatori registrarono una serie di insucces
si e dovettero indietreggiare. Si produsse contro di loro un movimento
di reazione nazionale durato fi no all'epoca dei Tudor: la famiglia dei
De Burgh, avendo voluto i mpadronirsi effettivamente delle contee del
l'Ulster e del Connaught, che le erano state attribuite, si scon trò ton
una coalizione irlandese alla quale parteciparono i re di Thomond e di
Connaught e quello di Tir-Eoghain (Tyron ) , Brian O 'Neill, il quale si
mise a capo della resistenza. I Gall-Gaidhil delle Ebridi fornirono alla
coalizione un nucleo di truppe permanenti. Da quel movimento gli I r
landesi cercarono alleati e capi all'esterno: nel 1 263 si rivolsero al re
norvegese Hakon, allora alle Ebridi; nel 1 3 1 4 al re di Scozia, Robert
Bruce, che inviò in loro aiuto il fratello.'2j1
Nei primi anni del XIV secolo il figlio di Brian O ' Neill scrisse a uno
dei successori di Adriano IV per dichiarare nulla la sovranità dei Pianta-
185
CAPITOLO VIII
geneti sull'Irlanda, sostenendo il diritto del paese di scegliersi il pro
prio sovrano. Nello stesso tempo i feudatari stabilitisi in Irlanda assun
sero talvolta le usanze del paese. I conquistatori si conformarono al co
stume irlandese secondo il quale i fanciulli venivano allevati fuori casa,
e affidati a una balia: i loro figli furono sistemati presso famiglie irlan
desi, così si crearo no legami profondi ai quali si aggiunsero le alleanze
matrimoniali. Le antiche famiglie d'Irlanda ricostituirono i regn i; furo
n o o rgan izzate autentiche celebrazioni nazionali: nel 1 351 da O ' Kelly,
per festeggiare la restaurazione del suo regno; nel 1 433 da Margherita,
figlia di O 'Carroll, re di Eile e vedova di O 'Connor, re di Offaly.
Tale assetto durò sino ai regni di Elisabetta e Giacomo I , e oltre fino
a Cromwell e Guglielmo d ' Orange. L'Irlanda si schierò con gli Suart; fu
sottomessa, ma mai assimilata e sempre pronta a rinascere. Proprio al
lora cominciò l' interminabile serie di brutalità, di estese espropriazioni
favorite da legislatori irresponsabili e poco accorti, che sta alla base del
la ribellione dell 'Irlanda moderna.
186
C.�J'ITOI.O IX
STRUITURA DELIA SOCIETÀ CELTICA E SUA
DMSIONE. IL DIRITTO CMLE E LA PROPRIETÀ.
DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
CARAITERE FRAMMENTARIO DELIA SOCIETÀ CELTICA
E CARATTERE POUTICO·DOMESTICO DELLE SUE ISTITUZIONI
La struttura dello Stato, nella società celtica, era in genere rudimen
tale e quasi indifferenziata. Il re era solo il capo diretto di una piccola
comunità, con poteri definiti, limitati e personali sui sudditi del regno.
Allorché scomparvero le monarchie, i re furono sostituiti da organismi
aristocratici formati da magistrati che, tuttavia, non diedero origine a
delle repubbliche.
Le cellule su cui si basavano le società celtiche erano di tipo politico
familiare, essendo le loro funzioni politiche identiche a quelle della fa
miglia. Non c' era uno Stato che intervenisse nella loro amministrazione
né nelle transazioni, né un ministero per la condanna dei reati. Le so
cietà celtiche erano allo stato tribale e conoscevano solo il diritto priva
to. Le dispute venivano ricomposte attraverso degli arbitrati e spettava
all'offeso costringere l' offensore a sottoporvisi. I torti subiti davano di
ritto alla vendetta o al risarcimento. Il diritto celtico si fondava sull'arbi
trato, la composizione delle vertenze, il pignoramento. Il sistema di ac
comodamento fu codificato e sviluppato soprattutto con l'istituzione di
tariffe fissate e rapportate alla classe sociale degli aventi diritto al risarci
mento dei danni e alla natura della colpa e delle offese subite. Le tariffe
degli accomodamenti codificavano di fatto le differenze sociali dei Celti.
Le diseguaglianze erano stabilite dall'alto, da parte dei capi o delle
loro famiglie in cui s'accentrava tutto il potere pubblico possibile. Altre
187
CAPITOLO IX
provenivano dal basso, in virtù della spirale di vendette private e delle ta
riffe disastrose dei risarcimenti. Si costituì così una classe di fuorilegge,
di banditi che, in parte, si misero al sen�zio e sotto la protezione di capi
ricchi e potenti, mentre gli indebitati erano alle dipendenze dei credito
ri. Il mondo celtico trovò nelle proprie istituzioni ragioni interne di evo
luzione che lo condussero, dopo aver prodotto u n 'aristocrazia, a creare
una classe popolare tendente al conseguimento della democrazia.
LE DIVISIONI DEllA SOCIETÀ
LA TRIBÙ
La tribù costituiva, nella società celtica, il raggruppamento delle
cellule che rappresentavano l'unità sociale primaria autosufficiente. I n
fatti, né il clan, né la famiglia bastavano a se stessi: il primo aveva biso
gno di un altro clan che gli fornisse le donne e altri servizi indispensa
bili; lo stesso dicasi per la famiglia. I n Irlanda l'unità costitutiva si chia
mava tualh, al plurale tuatha, ed esisteva anche in Gallia, come testimo
niano il nome del dio Teutatès, verosimilmente il genius della tualh, il
termine toulio su una iscrizione di Briona, che significherebbe cittadi
no, e lo'utiorix, ossia re della tua/h. Poiché tale radice si ritrova nell' asco
e nell'umbro, siamo in presenza di una parola del vocabolario occiden
tale indo-europeo.
I membri della tuath erano ritenuti parenti, solidali, nutriti con lo
stesso latte, viventi sullo stesso suolo. Discendevano tutti dallo stesso an
tenato, e tale discendenza veniva indicata con un nome gentilizio, col
lettivo, o un nome composto indicante la discendenza. Se l'antenato,
ed era il caso più frequente, era un personaggio storico, la storia alla
quale apparteneva si intrecciava con la leggenda.
Eoin Mac Neill ' 1 1 ha contestato tale concezione della Luath. Per lui si
sarebbe trattato del nome della famiglia regnante con cui si indicava
un intero territorio e le genti che in esso vivevano; egli h a dimostrato,
per esempio, che gli Ui Maine comprendevano popolazioni di razze
eterogenee e di diversa condizione riunite sotto il dominio di re discen
denti da Maine Mor. Mac Neill tuttavia non si rende conto che se i ter-
188
STRUTTIJ RA DELIA SOCIETÀ CELTICA E SUA DIVISIONE. IL DIRITTO CIVILE
E LA PROPRIETÀ. DIRITT O PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
ritori - e le popolazioni relative - come nel caso di u na lualh molto evo
luta quale gli U i Maine, erano ancora indicati da n omi gentilizi, ciò si
doveva al fatto ch 'essi erano teoricamente abitati da gruppi di parenti i
quali erano a rigor di termini delle tribù.
L'equivalente della lualh in Gallia era probabilmente il pagus dei
Commenlarii di Cesare e della Gallia romana. Gli storici greci li indicava
no col nome di ({JiJÀa o ({JvÀa{ opposto a civitas da loro chiamata lOVTJ. I
pagi amministravano se stessi ancora sotto l'Impero romano. Nella Gal
lia indipendente essi seguivano la politica della civilas e i cittadini erano
distinti per paesi d'origine. L'esercito degli Elvezi era costituito da pagi
come in Irlanda l ' armata della regina Medb. Il nome dell 'unità corri
spondente, nel Galles, era canlref, ossia cento lrefs, i cento comuni, o
meglio ancora le cento unità di coltivazione e sfruttamento. La nozione
di tribù, in senso sociologico, presuppone una limitazione; i membri di
una tribù non dovevano essere troppo numerosi, né il territorio troppo
vasto per consentire loro, in una certa misura, di vivere insieme e riu
nirsi periodicamente. La parola gallese canlref presuppone ugualmente
una l imitazione sul territorio e la vicinanza di altri canlref. Sembra che
l' irlandese avesse, oltre alla parola lualh, un equivalente di canlref, ossia
il lricha ced, trenta centinaia, ossia trenta gruppi di cento famiglie.
In linea di massima si può pensare che l' insediamento sul territorio
e la concentrazione della popolazione abbiano irrigidito l 'organizzazio
ne piuttosto elastica della tribù e favorito gli elementi territoriali a sca
pito di quello parentale.
IL ClAN
Si è scoperto che gli etnografi e i sociologi hann o preso dal vocabo
lario celtico il termine clan, parola goidelica che non indica un tipo di
u nità di grandezza o di forma definibili perché significa discendente o
discendenza. Clanna Morna, ad esempio, in irlandese designa i discen
denti di Morann, ma i clanna Marna possono rappresentare indifferen
temente ciò che i sociologi chiamerebbero tribù, famiglia, o forse clan.
Parimenti in gallese la parola equivalente cenedl \uol dire nazione, tri
bù, famiglia.
1 89
CAPITOLO IX
Oggi si sostiene che nei paesi celtici il clan come istituzione, nel
senso in cui l' intende la sociologia contemporanea, non esisteva o non
esiste più. Una parola presa in prestito dal vocabolario celtico, e d'al
tronde d i senso assai vago, sarebbe servita a indicare un' istituzione
ch 'era già pressoché scomparsa del tutto nelle civiltà celtiche. Le de
scrizioni imprecise delle società da noi studiate deriverebbero quindi
da ciò.
Il clan, nel significato celtico della parola, era quindi qualcosa assai
differente dal clan tipico e, in particolare, da quello totemico. Una
buona quantità di tuatha irlandesi si erano formate attorno alle fami
glie storiche, che erano rami collaterali delle famiglie regali. È il caso
di tutta la serie di Vi Nei/l, ossia di una famiglia perpetuatasi e ingrandi
tasi a tal punto da costituire il nocciolo della tribù. I clan celtici erano
famiglie o tribù concepite come famiglie, o dal punto di vista delle fa
miglie; pertanto erano qualcosa del tutto differente dal clan totemico.
Tuttavia, alcune informazioni indurrebbero a pensare che non sia
stato sempre così: la tuath o tribù d'Erainn comprendeva ventiquattro
forsloinle o ramificazioni, raggruppate a due a due, o dodici aicme o cep
pi. La tribù dei Soghan inclusa nel territorio degli Ui Maine compren
deva sei clan. Esistevano dunque dei clan all'interno della tribù, ma bi
sogna riconoscere che nella società celtica non era contemplato alcun
diritto del clan all' infuori di quello della tribù o della famiglia.
Tuttavia, nelle istituzioni celtiche, resisteva qualche traccia del clan
totemico. Salomon Reinach121 s'è sforzato di riconoscere nei tabù ali
mentari e nei culti di animali, ancora in vigore presso i Celti, residui
del pri mi tivo totem i smo: si spiegherebbe così p e rché una tribù del
Connaught, il clan Coneely, non doveva mangiare le foche ( coneely si
gnifica foca) , e si raccontava che gli avi della tribù erano stati trasfor
mati in foche.
Cosa più importante, sussistevano nelle società celtiche residui della
comune organizzazione del clan. La storia del Munster ci indica due di
nastie regali, i Clanna Darghthine e i Clanna Dairenne, che si alterna
vano al potere a ogni cambio generazionale, si sposavano tra loro e alle
vavano i rispettivi bambini gli uni in casa degli altri. Quelle due dinastie
avevan o il rapporto tipico di due clan esogamici appartenenti a due fra-
1 90
STRurruRA DELLA SOCIETÀ CELTICA E SUA DMSIONE. IL DIRITTO CMLE
E LA PROPRIETÀ. DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLmCHE
trie differenti, soprattutto se si suppone che la filiazione si concepisse
in linea materna. Tale filiazione, d'altra parte, poneva un problema dif
ficile per quanto concerneva l 'educazione e la preparazione dei ragazzi
in vista dell'iniziazione. Infatti, il figlio apparteneva al clan materno,
ma viveva in quello del padre e veniva inviato nel clan della madre al
meno per un lungo periodo di tempo. Spesso i ragazzi di un clan erano
riuniti sotto la tutela di persone influenti, in una grande casa, la Casa
degli Uomini. L'istituzione aveva anche un altro fine, ed era quello di
porre i giovani adulti sotto sorveglianza e lontani dalle donne che non
dovevano sposare.
Tale istituzione, che si chiama generalmente col nome anglo-nor
man no di Josterage, si era conse rvata nei paesi celtici: troviamo infatti i
ragazzi affidati a genitori adottivi, nei confronti dei quali essi contraeva
no veri e propri legami di parentela, attestati dal fatto che un certo nu
mero di personaggi conservavano nell 'indicazione della filiazione il no
me del padre che li aveva allevati e obblighi giuridici reciproci, parago
nabili a quelli della parentela, che legano il padre adottivo al suo pupil
lo. In Irlanda si chiamava l'a/tram e presentava forme diverse secondo
la scelta dell' aite, o padre adottivo, che veniva ricercato fra i membri
della famiglia materna, fra quelli delle classi che chiameremmo colte,
druidi o .filid. Gli esempi di ragazzi allevati dalla famiglia materna sono
numerosi: è il caso del re Muircertach Mac Erca che trascorse l'infanzia
in Scozia presso il nonno materno. Ed è anche il caso delle due dina
stie del Munster di cui abbiamo parlato prima. Gli esempi di ragazzi al
levati dai druidi e dai .filid sono più numerosi: Cuchulainn e le due fi
glie del re Loegaire convertito da san Patrizio. L'istituzione tendeva ad
assumere la forma di scuole vere e proprie: il druida Cathba istruiva
cento alunni insieme a Cuchulainn. E il re d'Irlanda, Conn dalle Cento
Battaglie, aveva una guardia composta di cinquanta fratelli di latte eh ' e
rano stati evidenteme nte suoi compagni d' infanzia e di studi. Anche
Cesare e Pomponio notarono l'affluenza dei giovani intorno ai druidi.
I sacerdoti druidi, di cui va sottolineata l'azione civilizzatrice ed educa
tiva, erano, lo vedremo andando avanti, un clan o un gruppo di clan
trasformato in società segreta.
Si può dunque dimostrare che le istituzioni celtiche avevano in sé
191
CAPITOLO IX
numerosi residui dell'organizzazione cianica; la mentalità che si era
d'altronde manifestata nel totemismo sopravviveva ancora presso i Celti
e contribuì a dare, per un verso alla tribù, e per l'altro alla famiglia, ca
ratteristiche del tutto simili a quelle dei vecchi clan, con quel gusto per
i simboli, i colori, i blasoni che hanno sempre attirato l' attenzione sui
clan celtici.
LA FAMIGUA
La famiglia era un gruppo di persone avente antenati certi, cono
sciuti o di cui si aveva memoria, ma di solito non lontani nel tempo, dai
quali discendevano direttamente. In irlandese si chiamava fine. L'esisten
za di una parola gallica corrispondente è attestata dal nome proprio Ve
nicarius, in gallese sostituita dal termine toullu, che significa esattamente
"gli occupanti della casa" ( ty, casa; llu, ospite) . La parola appartiene al
gruppo indo-europeo occidentale: in alto tedesco Wini significa amico.
Il termine fine, in Irlanda, indicava contemporaneamente un insieme di
più nuclei familiari e la famiglia mononucleare; implicava l' idea di soli
darietà giuridica che costituiva l'essenza di tali parentele. Quella fami
glia, che aveva tutte le caratteristiche della famiglia agnatizia indi\�sa e
della famiglia patriarcale indo-europea, presentava tu ttavia sotto certi
aspetti sorprendenti punti di contatto con la famiglia matrilineare.
IL MATRIMONIO E I FIGU
Gli storici antichi hanno trovato tra i Galli esempi di morale, in par
ticolare per quanto concerne la famiglia e il matrimonio, 131 tramandan
doci un ritratto affascinante della loro fedeltà e dignità nel matrimonio.
Di contro, i passi in cui gli antichi scrittori parlano dei Celti insulari e
della loro condizione matrimon iale suggeriscono u n ' idea profonda
mente diversa. Opi nioni assai composite provengono dalla letteratura
irlandese e da quella gallese. La prima ann overa un magnifico canto
d 'amore e di fedeltà coniugale nel brano "L'esilio dei figli di Uisnech".
In ogni caso sembra che i costumi sessuali fossero in genere assai liberi.
Essi si spiegano in realtà, e lo vedremo, con la persistenza di antiche isti
tuzioni, spesso in conflitto fra loro, il cui senso si è perso.
I92
STRlJITURA DELlA SOCIETÀ CELTICA E StiA DIVISIONE. II. DIRITTO CIVILE
E LA PROPRIETÀ. DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POUTICHE
Strabone1�1 racconta che gli Irlandesi si vantavano delle loro sregola
tezze e non conoscevano né madri né sorelle. Per quanto concerne il
nord dell'Europa, Strabone si ispira a Pitea che attinge le proprie infor
mazioni a buone fonti. Pitea, però, potrebbe aver sentito raccontare
una storia simile a quella di Conchobar e di sua sorella Dechtire, o
quella di ClothreeY'1 Costei, madre di Medb, regina di Connaught, ave
va tre fratelli gemelli che contesero il regno d 'Irlanda al padre. Prima
della battaglia si sarebbe congiunta a tutti e tre generando un figlio che
avrebbe sposato.
Cesare ci fornisce informazioni più precise. Fra i Celti della Gran
Bretagna una donna avrebbe avuto dieci o dodici mariti, costituiti dai
fratelli, dai padri o dai figli; questi ultimi venivano attribuiti nominai
mente a colui che aveva con tratto il matrimonio e condotto la donna in
famiglia. Si sarebbe tentati di pensare, di primo acchito, che si trattava
di un gruppo di parenti all'i nterno del clan che avevano in comune le
stesse mogli proprio come queste avevano in comune gli stessi mariti.
Ma probabilmente era in realtà una forma di poliandria adattata alla vi
ta comunitaria di un gruppo piuttosto consistente in una grande casa:
un 'azienda comune non tanto ricca da poter mantenere numerose
donne, e che forse non aveva bisogno del loro lavoro perché si occupa
va poco di curare i campi. Tale situazione è paragonabile a quella del
nord dell 'India e a quella degli Slavi del sud. Il brano di Cesare, del tut
to verosimile, non attesta la sopravvivenza d'uno stato molto antico del
le istituzioni matrimoniali, ma un modo particolare di applicare le re
gole della famiglia celtica. E tuttavia nella letteratura epica, nella storia
e nel diritto dei Celti, esistono ricordi e tracce importanti della famiglia
matrilineare.
La filiazione di personaggi importanti come Cuchulainn e Concho
bar è indicata col nome della madre perché il diritto irlandese attribui
va alla famiglia della madre i figli nati fuori del matrimonio. D'altron
de, allorché il marito era uno straniero senza famiglia in Irlanda, il nu
cleo familiare da lui costituito ven iva aggregato alla famiglia della don
na e chiamato famiglia blu, glasfine, perché si riteneva che il marito fos
se arrivato dal mare; si diceva allora che il "matrimonio" era "dell'uo
mo" e il "bene" "della donna". Troviamo esempi di successione per li-
193
CAPITOLO IX
nea materna e anche di matriarcato nelle famiglie regnanti leggenda
rie d'Irlanda e in quelle britanniche di cui parla la storia.'"1 Il diritto
celtico attribuiva capacità politiche alle donne. Plutarco, nel trattato
sulle virtù femminili, le presenta mentre appianano controversie, inter
vengono nelle assemblee deliberanti, o riconosciute quali arbitri da u n
trattato tra Annibale e i Volsci.1'1 Strabone, ispirandosi a Posidonio, mo
stra -l e sacerdotesse armoricane indipendenti dai loro mariti.1'1
Si è sottolineato che le donne celtiche portavano i calzoni, e come
documenta una statua conservata al British Museum, quelle della Gallia
li indossavano realmente. Esse accompagnavano i mariti in guerra, men
tre le irlandesi avevano obblighi militari corrispondenti ai loro diritti
sulla proprietà fondiaria. Esse ne furono esentate dal cristianesimo per
gradi, uno dei quali fu il riscatto dal servizio militare con la cessione del
la metà dei beni alla famiglia. È uno degli episodi di spoliazione della
donna da parte dell'uomo, che ha accompagnato ovunque la perdita
del privilegio da lei goduto in precedenza per effe tto della filiazione.
La tipica famiglia celtica, a dispetto di questi episodi eccezionali e
di tali reminiscenze del passato, era quasi esclusivamente agnatica. Le
donne costituivano il tramite di una parentela natu rale, priva però di
effetti civili; il figlio della figlia non faceva parte della discendenza del
nonno, salvo che in un caso: quello in cui un uomo, senza eredi ma
schi, sposasse una figlia riservando per sé il nascituro, che diventava
giuridicamente n o n più suo nipote, ma suo figlio.
Tale famiglia era stretta attorno a un focolare che era stato il centro
del suo culto e n o n aveva cessato di esercitare un ruolo importante nel
rappresen tare la sua essenza e la sua compattezza. Essa praticava, come
la famiglia latina, il culto dei propri defunti e degli antenati, del quale
però abbiamo perduto ogni traccia. Il capofamiglia era padrone, oltre
che della casa, anche dei familiari. Egli esercitava, in Gall ia, come han
no sottolineato Cesare e il giureconsulto Caio, l�1 la patria potestas alla
maniera romana, e aveva diritto di vita e di morte sui propri figli. Il di
ritto irlandese e quello gallese documentano identici poteri, ma differi
scono sull'età dell' emancipazione. Nel diritto irlandese la patria potestas
terminava con la morte del padre o con la sua i ncapacità a esercitarla;
in quello gallese del nord l ' emancipazione si conseguiva al momento
194
STRU'ITURA DELIA SOCIETÀ CELTICA E SUA DIVISIONE. IL DIRITTO CIVILE
E lA PROPRIETÀ. DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
del servizio militare, ossia a quattordici anni. Ma si deve sottolineare
che in quel caso il giovane perdeva la tutela paterna per e ntrare nella
clientela del capo al quale era stato presentato.
Secondo Cesare il marito gallico avrebbe avuto lo stesso potere nei
confronti della moglie e dei figli. Nelle famiglie n obili, alla morte del
pater familias, le donne passavano sotto la pòtestà dei congiunti del ma
rito che potevano, in caso di morte sospetta, torturarle o ucciderle. Si
trattava forse di un modo per regolare la successione delle vedove sen
za figli, ma, in effetti, la situazione era meno semplice. Le donne sposa
te potevano possedere dei beni di cui si doveva render loro conto. E
Cesare sottolinea, nello stesso brano, che esse non erano completamen
te sotto la manus del marito: le donne portavano una dote, costituita da
pecunia, di cui si faceva la stima; il marito raddoppiava la dote e così co
stituiva un fondo del quale si teneva la contabilità e si conservava il fruc
tus, ossia la rendita. I l coniuge sopravvissuto diventava proprietario del
le due parti e di tutta la rendita. Quale che fosse la natura dei beni cui
Cesare allude, il brano attesta la possibilità di una loro gestione comu
ne o equamente documentata.1 101
Orbene, ciò s'accorda con il diritto irlandese e gallese, dove ritro
viamo la dote e il dotario. La donna oggetto di questi accordi patrimo
niali era della stessa condizione del marito. In via generale, essa non
poteva, secondo il diritto irlandese, con trattare senza il consenso del
marito, salvo i casi in cui non avessero un patrimonio identico. L'inizio
della famosa epopea Il ratto delle mucche di Cooley è una lunga discussio
ne tra la regina Medb e suo marito Ailill sull 'entità del loro patrimonio
e di conseguenza sui loro diritti. Nella famiglia celtica esisteva dunque
una matrona, cel muinter, la primadonna della famiglia. Tuttavia la sua
condizione era più autonoma di quella di una donna rimaritata. Per
quanto riguarda l a famiglia agnatizia, l a famiglia celtica presentava
un'evoluzione meno avanzata di quella romana.
Le società celtiche tendevano evidentemente verso la monogamia,
ma la poligamia v'era ammessa. In una famiglia, di solito v'era una sola
matrona, pur esistendo altre donne schiave o spose. Il matrimonio del
la matrona ne prevedeva l'acquisto, ma i riti contrattuali si semplificava
n o per l e donne di status inferiore. Le concubine, in irlandese ben ur-
195
CAPITOLO IX
nadma, si acquistavano per un anno in grandi fiere. Grazie a questa li
mitazione nel tempo, la donna sfuggiva alla manus dell 'uomo, anche se
di fatto l'unione si protraeva spesso più a lungo.
Presso i Celti, come a Roma, il matrimonio civile aveva soppian tato
quello religioso tradizionale. Geraldo il Gallese documenta la pratica,
presso i Galli, di un genere di matrimonio simile, in cui l'acquisto era
sostituito da un affitto, che costituiva un matri monio di prova perché
diventava definitivo soltanto dopo la nascita dei figli.11 1 1 Orbene, questo
tipo di matrimonio fu praticato nelle famiglie dei capi scozzesi fi no alla
fine del Medio Evo. Il divorzio era ammesso, ma solo per mutuo con
senso, e lo stesso diritto canonico dovette riconoscerlo. In base al dirit
to antico, in Irlanda la donna divorziata conservava persino i prodotti
del suo lavoro domestico. Per quanto riguarda i figli, l' aliram so p periva
alla fragilità del matrimonio. La condizione della madre non influiva su
quella dei ragazzi e gli effelti dell'adozione paterna erano assoluti.
ESTENSIONE DELLA FAMIGUA
Presso i popoli celtici la famiglia era estesa e risaliva molto indietro
nella dinastia, riunendo un considerevole numero di agnati. Ciò valeva
per la Gallia come per l'Irlanda e il Galles. In modo particolare la fami
glia irlandese prevedeva quattro gruppi di parenti così denominati: gel
fine, d�bfine, iarjine, indjìne. La geljìne era la famiglia diretta (gei!), la
derbjìne la famiglia certa, la iarjìne la famiglia lontana, l ' indjìne la fami
glia finale. La geljìne comprendeva l'ego, il padre con i figli, i nipoti, i
pronipoti e i figli di questi. La d�bfine comprendeva l'antenato in linea
diretta, lo zio in linea collaterale, il cugino primo e il cugino nato da
questi. La iarjine comprendeva in linea diretta il trisavolo, in linea colla
terale il prozio e due gradi di cuginanza costituiti dai figli e dai nipoti
di questi. L' indifine comprendeva, infine, in linea diretta il trisavolo, e
in linea collaterale il proprozio e due gradi di cuginanza costituiti dai
figli e dai nipoti di questi. Tali parenti erano tutti agnati, ma tra i gradi
successivi di parentela che si riunivano attorno all ' ego soltanto quelli
della geljìne e della d�bfine formavano la famiglia sensu stricto.
Nei clan gaelici della Scozia la parentela era ancora più allungata
196
STRtriTURA DELlA SOCIETÀ CELTICA E SUA DMSIONE. IL DIRrrTO CIVILE
E LA PROPRIETÀ. DIRrrTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
sia i n direzione degli antenati sia relativamente ai rami collaterali. In
quanto alla famiglia gallica, è molto probabile che fosse costituita se
condo un 'analoga tipologia.
Il vincolo familiare si esprimeva o si rivelava con la solidarietà che
prevedeva per i membri della famiglia doveri e diritti reciproci; tutta la
famiglia era responsabile dei crimini commessi da uno dei suoi mem
bri; essa partecipava allora, in rapporto al rango dei vari membri, all'in
den izzo per la composizione della vertenza. Ma la solidarietà era più
forte nella derbjine. L'omicidio era proibito all 'interno di tale famiglia
ristretta: l'uccisore d'un parente era escluso dai benefici della parente
la, pur restando vincolato a una parte degli obblighi. Di fatto, la gelfine
e la derbjine costituivano la normale famiglia.
L'EREDITÀ
Le modalità di trasmissione della successione e dell'eredità si giusti
ficano con tale organizzazione della famiglia; ciò in particolare nel caso
del lascito di un bene indivisibile quale un regno. Generalmente un re
non aveva per successore suo figlio, e ciò perché questi in base alla filia
zione della derbjine non era suo erede. Egli era forse il parente più pros
simo sotto il profilo naturale, ma non sotto quello legale. Tale ruolo
era attribuito al fratello cadetto o a qualunque altro appartenente alla
sua generazione o alla generazione precedente in seno alla derbjine. Per
altro la sovranità era ereditaria, ma l 'erede presun to veniva scelto tra
un gruppo di individui, aventi tutti gli stessi diritti, che comprendeva
gli agnati viventi del re defunto, ossia i suoi zii e i suoi cugini.1 1 21 La sto
ria irlandese è costellata di tragedie familiari che testimoniano gli sforzi
compiuti dalle famiglie reali per sfuggire a tali obblighi.
Per assicurare la regolarità della successione, si era stabilito, in Ir
landa, di designare l ' erede in anticipo, beninteso traendolo dagli agna
ti. Egli acquisiva il titolo, difficile da spiegare, di tanaiste, e ricopriva il
ruolo di luogotenente del suo predecessore. Vi erano tanaistes a tutti i
gradi di sovranità, dalla tribù fino alla sovranità suprema, e anche in
certe famiglie nobili, in una parola a ogni livello di organizzazione. Ta
le sistema di successione si ch !amava lanistry.
1 9i
CAPITOLO IX
I beni divisibili erano distribuiti in maniera da tener conto degli
agnati, secondo un sistema indicato dalla parola inglese gavelkind, diviso
in gavel, ossia in porzioni, determinate sia contando gli eredi per capita,
sia contandoli per ceppi (per stirpes) . Nell'ordinamento giuridico celtico
esisteva il diritto di fare testamento, ma sembra eh ' esso sia stato intro
dotto soprattutto dal cristianesimo e sotto l' influenza delle leggi roma
ne. A questo riguardo, il potere del capofamiglia irlandese o gallese ap
pariva inferiore a quello del patn· Jamilias romano. Egli era solo l 'usu
fruttuario del patrimonio familiare di cui doveva rendere conto alla fa
miglia, e teoricamente non aveva la facoltà di disporne, facoltà che tut
tavia, un po' alla volta acquisì.
Il capofamiglia era di stirpe nobile sicuramente nella fine irlandese;
si è meno certi che lo fosse anche quello della fam iglia gallese. Il capo
della fine eserci tava un ruolo politico, giuridico, militare, rappresenta
va la famiglia ed era il suo portavoce e il suo capo in guerra. In Gallia,
il capofamiglia, stando all'eduo Dumnorige, sembra avesse la tutela
delle donne della famiglia che non erano sposate. Ma in Irlanda, spe
cialmente nel Galles, era scelto fi·a tutti gli aventi diritto tenendo con
to delle ricchezze, della popolarità, della forza. Gli mancava forse la
predestinazione m istica che avrebbe potuto dargli una filiazione più
stretta.
In sostanza, la famiglia celtica era essenzialmente un gruppo piutto
sto compatto di agnati, molto più caratterizzato dell' equivalente grup
po romano, poiché la successione, invece d 'essere affidata ai figli, era
attribuita agli agnati che, fatta eccezione per la costituzione della pro
prietà, erano organizzati per generazione o classe d'età; ciò spiega, an
che se non la giustifica, la confusione fatta da alcuni tra clan celtico e
clan totemico.
Tale famiglia si andava però evolvendo, dando uno spazio crescente
alla parentela naturale. Anche nel caso delle famiglie reali d' Irlanda, i
re cominciarono a costruire J'awenire dei figli o dei nipoti, riuscendo,
poco a poco, a garantire loro sempre più spesso la corona.1n' Un'evolu
zione simile s'ebbe anche in Gallia dove, per esempio, Commio, capo
degli Atrebati, ebbe per successori i suoi figli.
1 9R
STRU'ITURA DELlA SOCIETÀ CELTICA E SUA DIVISIONE. IL D IRriTO CIVIl.E
E lA PROPRIETÀ. DIRriTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
Gu ELEMENTI INSTABJU
Non esiste società priva di elementi non integrati: accanto ai Celti
v'erano degli indigeni, pochi in Gallia all 'infuori dell 'Aquitania e della
Provenza, pochissimi nel Galles - su cui abbiamo informazi oni precise
dopo la conquista da parte dei Kimry nel VI secolo d.C. -, e pochissimi
anche in Irlanda. V' erano schiavi, anch' essi in numero assai ridotto,
perché i Galli facevano pochi prigionieri. V'erano soprattutto i declas
sati e gli emarginati, banditi dalla famiglia e dalla tribù dopo un crimi
ne, per sfuggire alle responsabilità d'un debito o per altre ragioni. Se
condo Cesare erano numerosi in Gallia, e avevanb un ruolo importante
in Irlanda. E infine esistevano gli imellettuali, i druidi, i poeti, i bardi.
Questi individui (schiavi, affrancati) erano in r.arte inquadrati nelle
famiglie, che potevano in base alla legge adottarli, in parte riuscirono a
formare famiglie dello stesso tipo di quelle irlandesi o gallesi e godeva
no d'una condizione giuridica analoga dopo un periodo di tirocinio; in
parte costituivano tribù che vivevano alle dipendenze di quelle libere,
ma in generale si riunivano attorno a capi e nobili, formando un' lteta
ria, o "associazione di compagni" ch e colpì i primi storici greci venuti a
contatto dei Galli. 1 1 �1 Il capo gallico era attorniato da portascudi e por
talance; Cesare parla dell 'abnegazione dei soldurii. I capi ai quali allude
avevano numerosissimi clienti che formavano piccoli eserciti, mentre in
Irlanda si ponevano al servizio dei nobili.
Tu tti quegli elementi non integrati facevano parte della plebe di cui
parla Cesare trattando della società celtica, ch'egli divide in tre ordini: i
druidi, gli equites, la plebe, confondendo in tale plebe le famiglie libere,
eccezion fatta per quelle fondate dai loro capi o in seguito all' evoluzio
ne prodottasi con l'attività agricola.
IL SUOLO E L\ PROPRIETÀ
l Celti furono sempre molto mobili e di conseguenza non metteva
no solide radici nei luoghi dove si fermavano, ma il suolo occupava u n
ruolo importante nella loro società. Abbiamo già visto una parola co
mune alle lingue italo-celtiche rappresen tata dal termine latino tribus,
199
CAPITOLO IX
in gallese tref, parte della tribù, e in irlandese treb, casa: parola indican
te essenzialmente un gruppo di uomini che dissoda una certa parte di
territorio, ma alich e il territorio occupato dal gruppo. In slavo antico
trèlliti significa "egli dissoda". La tribù abitava una radura delimitata da
confini. Molto presto le popolazioni, e in genere tutti i gruppi sociali
celtici, si sforzarono di definire le loro frontiere, particolarmen te i n
Gran Bretagna e in Irlanda c o n fossati, siepi e muri. I n Gallia esse era
no indicate da postazioni doganali o di guardia, e da altri tipi di segna
li, che l'amministrazione romana ereditò; i confini di vescovadi e di ba
liati si sono in parte conservati sino in epoca recente.
Da ciò possiamo desumere i n che modo gli elementi della tribù, Ya
le a dire le famiglie, si siano stanziati sul territorio, e gli uomini, ind ivi
dui o famiglie, si siano appropriati della terra. Lunghe discussioni al ri
guardo si sono svolte un tempo tra Fuste] de Coulanges e d'Arbois de
.Jubainville i quali, interpretando i testi di Cesare e arrivando al Medio
Evo, si domandavano se Yi fosse stata proprietà individuale o collettiva.
In effetti i due tipi di proprietà coesistevano come nella nostra epoca;
inoltre il territorio era diviso in possedimenti di grandi famiglie, dei
quali poi si impossessarono, a titolo individuale, i capi delle stesse. Pri
ma dell'epoca di Cesare, presso i Celti delle isole e quelli di Gallia, la
parte della proprietà collettiva era più grande. U n trattato di diritto ir
landese recita che l'osservanza delle regole comun i in agricoltura era
una delle istituzioni fondamentali dell 'Irlanda. Si ricava parimenti dai
trattati di diritto irlandese e gallese che l'aratura col grande aratro trai
nato da otto buoi rich iedeYa la collaborazione di diversi aventi dirit
to."51 Tuttavia, in genere, il villaggio celtico non era il possessore effetti
vo del suo territorio.
In Irlanda la terra apparteneva totalmente alla tribù e pare che sol
tanto in epoca più tarda nel paese siano comparse le recinzioni. Ci si
può immaginare ut1 a tribù di pastori, che disponevano di un vasto ter
ritorio sul quale ammassavano le greggi delle loro famiglie, le quali si
stabilivano a loro piacimento su un suolo non conteso. Così gli antichi
storici hanno rappresentato i Galli d'Italia, e tali sarebbero stati all'ini
zio tutti i Celti.' 1';1
Un assetto simile del territorio, del tutto indiviso, presuppone una
200
STRU"ITURA DELLA SOCIETÀ CELTICA E SUA DIVISIONE. IL DIRITTO CIVll.E
E LA PROI'RIETÀ. DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
disponibilità illimitata di spazi e un regime di vita quasi solo pastorale,
men tre sappiamo che i Celti si dedicavano soprattutto all'agricoltura.
Dopo aver detto che i Galli della Cisalpina vivevan o esclusivamente di
carne, Polibio descrive un paese traboccante di grano: era ciò che ave
va visto, il resto apparteneva alla leggenda. La Gallia produceva in spe
cial modo grano; e quando esso ve nne a mancare I' esercito di Alesia
morì di fame; gli Irlandesi, invece, si nutrirono in ogni epoca di orzo e
di carne. U n 'agricoltura sviluppata comporta una certa permanenza
sul territorio. D'altronde gli allevatori sapevano bene che una mucca
h a sempre bisogno di una certa quantità di foraggio al giorno, in estate
e in inverno, e pertanto si i mpossessarono di un' estensione di terra,
proporzionata al bestiame, che in seguito fu suddivisa. Troviamo quindi
il territorio celtico diviso in possedimenti familiari, e vediamo come e
per quali famiglie.
I I patrimonio familiare in irlandese si chiama baite. II termine è una
vecchia parola celtica che dal gallico ha lasciato in eredità al francese
bailliage. Trenta erano i baite in una tribù: a ogni baite corrispondevano
normalmente 300 mucche e da 1 .000 a 1 .400 ettari di terreno. II baite
era diviso in quattro quartieri, ripartiti a loro volta in quattro famiglie.
Mentre il baite tendeva a diventare un 'unità amministrativa, il quartiere
conservava il suo carattere di bene fondiario. L'Irlanda era una scac
chiera con riquadri grandi da 65 a 1 30 ettari, suddivisi, riuniti, ma ben
definiti.
II Senchus Mor tramanda che i membri della fine avevano una sola ca
sa, un solo letto. Secondo Strabone i Bretoni vivevano in recin ti, in
kraals rotondi, utilizzati anche come chiusi da bestiame. I rilievi topo
grafici dell'Irlanda mostrano, proprio all 'interno dei quartieri, dei cer
chi probabilmente indicanti l'abitazione comune delle persone del baite
o del quartiere. Spesso le grandi famiglie avevano dei dun e dei rath, ca
se fortificate o insieme di case cintate da muretti in pietra, il cui tetto
era sorretto da due file di colonne, in irlandese gathel, in gallese gaveL
La parte centrale era costituita da una sala comu n e con il focolare; ai
due lati v'erano quattro ambienti divisi a loro volta in quattro, dove s i
trovavano i letti. L a casa accoglieva sedici unità familiari e d era concepi
ta secondo le esigenze della famiglia. I Gallesi ricavarono dalla casa i di-
201
CAPITOLO IX
versi termini con cui designare le suddivisioni della proprietà terriera.
Tali beni rientravan o nella proprietà collettiva della famiglia allargata. Il
possesso della terra era soggetto, ali' estinzione d 'ogni generazione, a
una nuova ripartizione. Il gallese emancipato pare avesse un diritto ina
lienabile a una porzione della terra tribale attribuita alla famiglia ed era
inoltre imperativa la norma di legge di attribuire la trev di terra, cioè
due ettari, a ogni membro libero della famiglia diventato maggiorenne.
A quanto pare il sistema rimase in vigore nel Galles fino al XVI se
colo senza troppe deroghe, costituite soprattutto dalle donazioni alle
chiese, in virtù delle quali un padre di famiglia donava a una chiesa
una porzione di terreno riservandone l'usufrutto ai propri discendenti.
Il Galles disponeva di terre in abbondanza sulle sue montagne, a diffe
renza dell'Irlanda dove il sistema di divisione della proprietà fondiaria
si rivelò meno agile e perciò la famiglia allargata si modificò fino a di
ventare una specie di divisione territoriale della tuath.
Poi la famiglia si scisse e in certi casi, per riempire i vuoti, dovette
fare appello agli stranieri, oppure suddividere il proprio territorio in
parti che diventaro no troppo piccole. I baite aumentarono, causando
numerose emigrazioni e trapianti di gruppi che alterarono il carattere
della tuath.
CAUSE DEL COSTITUIRSI DI UNA ARISTOCRAZIA FONDIARIA
Il gioco delle istituzioni che abbiamo descritto avrebbe potuto pro
durre una società di eguali, ma poveri. Invece, nel mondo celtico si svi
luppò un'aristocrazia, o meglio una plutocrazia, mentre il membro indi
pendente della stessa tribù (ossia il con tribulo [N. d. T.]), veniva ridotto
progressivamente a livello di fittavolo, o, perfino, di colono. Tale situa
zione si originò per quattro ragioni: l'usanza degli appanaggi ai re, ai ca
pifamiglia e ai tanaistes di categorie diverse; l'accaparramento di terreni
di cui non si erano appropriati i capi; lo sviluppo della ricchezza mobi
liare; la sostituzione di rapporti contrattuali di tipo feudale con rapporti
statutari fra i soggetti interni al gruppo. Il diritto fondamentale della
tribù sul territorio s 'era trasferito agli individui, sicché di fatto la pro
prietà fondiaria da collettiva divenne individuale, m a aristocratica.
202
STRUTTURA DF.LL\ SOCIETA CELTICA E SUA DMSIONE. ll. DIRI1TO CIVll.E
E I.A PROPRIETA. DIRITfO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
Il territorio tribale comprendeva la mensa (prebenda [N. d. T.]) del
capo, le parti di proprietà delle famiglie divise in baliati, una porzione
dei pascoli disponibili, e infine le lande, le paludi, le zone rocciose. I
contribuii avevano un godimento limitato d'una parte dei beni comu
n ali. Orbene, non solamente i re, ma anche i nobili si ritagliarono nel
territorio tribale non assegnato dei beni privati che aggiunsero a quelli
di famiglia. l fittavoli che vi si stabilivano erano in realtà alle dipenden
ze del re e dei nobili.
Anche la disuguaglianza della ricchezza mobi liare, costituita da
mandrie di buoi che il ricco faceva pascolare sui terreni comuni dei
quali tendeva ad appropriarsi, contribuì a creare u n 'aristocrazia. Con
la crescita delle mandrie, i ricchi prestavano bestiame e i debitori fini
vano per costituire una clientela. I l prestito del bestiame poteva non
implicare un cambiamento di condizione per chi lo riceveva, o al con
trario mutarne lo status. Quanti ricorrevano a questa seconda forma di
prestito lo facevano perché era economicamente più vantaggioso. Si co
stituì così, in I rlanda, una categoria di persone che presero il nome di
b6-aire, i nobili dei buoi. D'altra parte, tale sistema e gli alti prezzi pagati
per estinguere i debiti di sangue, in una società coinvolta nell 'ingranag
gio della vendetta, accrebbero le ineguaglianze. La società, nel suo �n
sieme, venne delineandosi secondo una scala di vassalli e di clienti. Ai
tempi di Cesare, i capifamiglia dovevano avere la loro grande famiglia
di debitori e clienti, ed erano essi soltanto a costituire la cavalleria degli
equites. Al pari del capofamiglia gallico, quello gallese andava in guerra
a cavallo, mentre i parenti, privati dei loro diritti collettivi, ipotetici o
non, rimanevano in genere nella proprietà. l villaggi fràncesi sono in
parte i domini dei nobili celti, i fundi gallo-romani. I l regime tribale dei
Celti divenne così, poco a poco, un regime feudale aristocratico, ma ciò
che d'aristocratico v'era in loro lo elaborarono da se stessi.
REGIME DELLE COLTIVAZIONI
I beni fondiari delle famiglie irlandesi e gallesi, e le loro suddivisio
ni, erano delimitati da siepi, fossati, terrapieni. Ai crocevia esistevano
solo villaggi rudimentali. Ciò è tipico ancora della Bretagna e della
203
CAPITOLO IX
Vandea e, in qualche misura, anche della Francia centrale. Al contra
rio, nel nord e nell'est del paese incontriamo grandi villaggi, poche fat
torie isolate, poche recinzioni e i campi scendono lungo i pendii in fa
sce parallele. Tale assetto è dovuto al passato, allorché sussisteva il siste
ma della comunità di villaggio, con i suoi campi alternati, non di pro
prietà, ma semplicemente !attizzati. Orbene, lo stesso sistema si ritrova
in Irlanda e nel Galles intorno a città e grandi borghi; in gaelico si defi
nisce rumrig, ossia divisione in campi lunghi. Ma, come abbiamo sottoli
neato, tali borghi e villaggi sono di formazione posteriore. I due modi
d' insediamento son o d'origine celtica e corrispondono, entrambi, alla
divisione del suolo tribale fra le famiglie, ma men tre le terre prive di re
cinzione rispondono alle esigenze di un'economia di tipo pastorale,
quelle suddivise in campi sono funzionali all'attività agricola.
IL DIRITIO PENALE
Come abbiamo fatto rilevare all 'inizio del presente capitolo, lo Sta
to celtico non aveva magistrati, ma soltanto arbitri, all'origine druidi, fi
lid, probiviri o conciliatori. Questi non intervenivano se non erano sol
lecitati dalle due parti o almeno da una di loro. Normalmente colui
che aveva subito un torto aveva diritto a farsi giustizia da solo. Il risarci
mento del danno era alla base del diritto penale celtico, ed era anche il
mezzo per evitare spargimento di sangue.
L'importo del risarcimento dipendeva dal rango della vittima, sia
che si trattasse di omicidio, di ferite o di una qualsiasi ingiustizia. In ca
so di uccisione di u n uomo libero di classe superiore doveva essere pa
gato un prezzo per il corpo cui si aggiungeva un altro per l ' onore offe
so, proporzionale alla dignità della vittima. Ancora nel XVI secolo in Ir
landa il conciliatore faceva concludere una transazione tra l'assassino e
i parenti del morto, di modo che, tramite un' indennità, l' eric, il delitto
risultava estinto. Nella Gallia del tempo di Cesare, i druidi fissavano le
poenae, che l'imputato doveva pagare, se perdeva il processo ed era sol
vibile, o che pagava la famiglia in sua vece, se la stessa n o n era insolvibi
le: essi stabilivano conte mporaneamente il supplizio che avrebbe subito
204
STRUTTURA DELIA SOCIETÀ CELTICA E SUA DMSIONE. IL DIRITIO CIVILE
E LA PROPRIETÀ. DIRITIO PENALE. LE ISTITUZIONI POUTICHE
in caso d'insolvibilità. I druidi fissavano i noltre praemia, ossia la somma
che si sarebbe divisa la famiglia del morto e ciò che avrebbe ricevuto il
ferito o l 'offeso. I l risarcimento non solo riparava il danno materiale,
ma compensava anche l'onore oltraggiato e arricchiva l 'individuo o la
famiglia che lo aveva ricevuto. Per sfuggire al pagamento del danno,
non di rado il colpevole e una parte o la totalità della famiglia, deside
rosa di sottrarsi a tale responsabilità collettiva, andavano in esilio. Ab
biamo già indicato prima il ruolo dell 'esiliato nella società celtica.
Per l'uccisione di un uomo libero, il compenso per il corpo (in ir
landese dire) era di sette schiave. A esso si aggiungeva quello per l'ono
re ( enechlann o log eneiclt) , che variava in rapporto al rango degli indivi
dui uccisi o feriti: v'era un prezzo per l 'onore del re della tuath, equiva
lente in Irlanda a sette schiave, o ventuno mucche, oppure tremacin
que bovini di medio valore. La leggenda vuole che tale prezzo figurasse
negli insegnamenti del famoso re Cormac Mac Airt. Secondo il Senchus
Mor, il prezzo dell'onore di un re di provincia era indicato in ventuno
schiave o in sessantatré vacche o in centocinque bovini di medio valore,
e quello dell'onore del re supremo ammontava a ven totto schiave, o a
ottanta mucche, o a centoquaranta bovi ni di medio valore.
Tariffe di risarcimento erano previste per l'onore delle diverse cate
gorie diaire o uomini liberi. Norme analoghe troviamo nel Galles, dove il
gwyneb gwarth (che in gallese significa prezzo del viso) sembra corrispon
dere esattamente all' enechlann, ossia al prezzo dell'onore irlandese.1 1;1
Il tempo massimo per comparire davanti al conciliatore era di qua
ranta giorni, dopo i quali il quen;lante aveva il diritto di procedere al
sequestro immobiliare previo il compimento di alcune formalità. Erano
i conciliatori a fissare l'ammon tare del risarcimento e vedremo il ruolo
s\·olto in tale ambito dai druidi, dai filid, associati, subordinati, rivali e
quindi successori dei druidi nelle mansioni arbitrali e giudiziarie. Il ri
sarcimento spettava alla famiglia in senso stretto, geljine; ma se da sola
non riusciva a soddisfarlo, la responsabilità si estendeva alla famiglia
più ampia (derbfine) , e così di seguito sino alla iarfine.
A latere del diritto penale privato, fondato sul risarcimento, regola
to dall 'arbitrato, v'era qualche rudimento di diritto penale pubblico,
205
CAPITOLO IX
in dicato dall 'intervento crescente delle grandi assemblee che tendeva
no a costituire una sorta di tribunale supremo di conciliazione, e a giu
dicare le offese contro lo Stato o ciò che lo rappresentava.
LE ISTITUZIONI POUTICHE
l RE E L'EVOLUZIONE DELLA MONARCHIA
Le società celtiche avevano rice\Uto in eredità dal passato indo-eu
ropeo, per indicare i dignitari di un certo livello, il nome rix, corrispon
dente al nome latino rex e all 'indiano rajah. I Celti avevano dunque dei
re prima di essersi notevolmente allontanati dal comune ceppo indo
europeo. In Irlanda v'era tutta una gerarchia di re che andava .dal re
della tualh fino al re supremo d ' Irlanda. Gli storici latini segnalano
presso i Galli contin entali i reges e i reguli, questi ultimi probabilmente
piccoli sovrani dei pagi, ossia delle tuatha, delle tribù .1 1�1
I re d 'Irlanda ci appaiono come personaggi sacrali, dotati di poteri
mistici che superavano di gran lunga la loro reale potenza politica. Sot
to il regno di Cormac Mac Airt, recita un poema irlandese, il mondo
era felice e piacevole; v'erano nove noci su ogni rametto e nove rametti
su ogni ramo. Il re era un capo che incarnava il potere mistico dei clan
e un buon re rendeva fertile la terra, era una garanzia di abbondanza,
di prosperità, di sicurezza. 11''1 Egli era in rapporto diretto con la natura,
e i suoi movimenti erano un iti a quelli del sole. Le sue virtù mistiche
erano protette dai tabù, dai gmw; egli non doveva compiere alcun lavo
ro, nessun compito servile, gli era proibito allevare maiali, anche se
l'addomesticamento di tale animale era uno dei doni degli eroi; gli era
vietato arare, benché fosse il fertilizzatore per eccellenza. La sua inte
grità fisica era la garanzia delle sue virtù: Cormac Mac Airt allorché
perse un occhio fu deposto. Il re si giocava la testa nei successi che ci si
aspettava da lui. La stessa cosa accadeva presso i Galli continentali: il
suicidio di Brenna, dopo Delfo, è paragonabile a quello del re di Con
naught, Aicill lnban na, dopo la sua sconfitta. Deiotaro, il re divino dei
Galati, era un sovrano dello stesso tipo.
I l rapporto di questi re con i loro sudditi era stato certamente de-
206
STRurruRA DELIA SOCIETÀ CELTICA E SUA DIVISIONE. IL DIRITTO CIVILE
E L\ PROPRIETÀ. DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POUTICHE
sunto, in origine, dal modello di relazione tra il capo della famiglia o
del clan rispettivamente con l' una e con l'altro. I n I rlanda il re si pre
sentava nel ruolo di padre di famiglia quando percepiva un tributo
chiamato l'anello della ragazza, in occasione del matrimonio delle gio
vani della tribù. Nel diritto irlandese egli rappresentava la famiglia per
coloro che non l'avevano. I l re era il capo di un lignaggio regale in una
società composta da stirpi e, almeno in Irlanda e nel Galles, pare gover
nasse il regno come un padre la famiglia. Era eletto dalle aire, i nobili, e
in Gallia, come in Irlanda, l'elezione non sempre si svolgeva senza di
sordini. La monarchia era dunque al tempo stesso di diritto divino ed
elettiva.
L'esistenza di più famiglie regali, della stessa stirpe o rivali, compli
cava il problema della successione. A volte, in particolare nel caso dei
re supremi d 'Irlanda, il regno era attribuito alternativamente alle due
famiglie paterna e materna. In altri casi (l'elenco dei re supremi ne in
dica cinque, dal 565 al 664 d.C. ) , le ambizioni rivali erano soddisfatte
·conferendo la sovranità a due re contemporaneamente. L'elezione non
avveniva senza riti divinatori che rendevano gli dèi partecipi, ed era ac
compagnata da cerimonie inaugurali. V'era un masso inaugurale, che
poteva essere un seggio o una pietra sulla quale il re posava i piedi. Il
nuovo re, disarmato, tenendo in man o una bacchetta bianca, compiva
più giri, ascoltava la lettura delle leggi fatta dal file (o poeta) di corte e
prestava giuramento.
Una volta salito al trono aveva tutti i poteri, religiosi, giudiziari, mili
tari; egli godeva di prerogative regie che si aggiungevano ai redditi del
la prebenda regale e viveva a spese dei sudditi durante le visite ufficiali.
Egli aveva un regolare seguito, una corte; era tradi zionalmente ospitale
e teneva tavola imbandita. Viaggiava sovente ed era ospite dei suoi vas
salii. L'Irlanda aveva un 'alta concezione della monarchia, che rappre
sentava un ideale di lealtà, equità, fedeltà alle leggi, saggezza e modera
zione. Le raccomandazioni del re Cormac Mac Airt a suo figlio Cairbre,
tramandate dalla leggenda, rivelano tale ideale.
Nel periodo in cui Cesare conquistava la Gallia, la monarchia attra
versava la stessa crisi che aveva subito, parecchi secoli prima, in Italia e
in Grecia. Non esistevano più re salvo che presso i Nitiobrigi e i Senoni,
207
CAPITOLO IX
al contrario della Gran Bretagna nella quale l 'istituzione era intatta. I
demolitori della mon archia gallica erano stati i capi delle grandi fami
glie, i patrizi, come appare evidente presso gli Arverni e gli Edui. Le fa
miglie regali partecipavano al governo con le altre famigl i·e aristocrati
che. Ai tempi di Cesare furono compiuti sforzi per creare monarchie di
nuovo tipo: Vercingetorige vi riuscì presso gli Arverni, laddove suo pa
dre Celtill aveva fallito, appoggiandosi alla folla degli emarginati che
costituirono la truppa arruolata da un capo ricco e potente. Erano, in
un certo senso, delle monarchie democratiche, di cui Cesare all 'inizio
favorì il ristabilimen to, fino al momento in cui Vercingetorige non gli
fece individuare la forza latente nelle masse alle quali la monarchia po
teva fornire un principio di unità.
Pare che l 'autorità regale si fosse mantenuta più solida presso i Cel
ti insulari che in Gallia, dove parecchi stati, come la repubblica degli
Edui , erano un esempio d 'anarchia. I Galli si sforzarono di dotarsi di
costituzioni e di magistrati che, presso gli Edui, i Sentoni, i Lessovi, ave
vano il titolo di vergobrel ( vngo, efficace; brelo, giudizio) ed esercitavano
il potere esecu tivo. Presso alcuni popoli v'era, al loro fianco, un capo
militare, e fra gli Edui il vergobret, alla scadenza del mandato, diventava
capo militare.
LE STRliTTU RE PUBBUCHE E LE ASSEMBLEE
L'assemblea degli uomini liberi esercitava ancora una parte di so
vranità nella Gallia conosciuta da Cesare: egli parla di publicum conci
lium, che diventava l ' armatum couciliwn quando si trattava di designare
il capo militare. Nei testi irlandesi, meno precisi, sono citate soprattutto
le assemblee riunite in occasione delle feste. In Gallia esistevano consi
gli ristretti che i Romani paragonarono al loro Senato. Era l'assemblea
dei capitribù o quella degli antichi magistrati? In ogni caso si trattava di
un consiglio costituito da patrizi, che assicurava la continuità politica
delle repubbliche galliche le quali, per quanto potessero sembrare anar
chiche, non avevano minimamente abdicato alle loro ambizioni nazio
nali. La loro politica poteva essere d'espansione, di prestigio o di sicu
rezza e, per attuarla, si servivano di una diplomazia. Cesare descrive in
208
STRt.rn"URA DELlA SOCIETÀ CELTICA E SUA DIVISIONE. IL D IRITTO CIVILE
E I.A PROPRIETÀ. DIRITTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
dettaglio le peripezie di tale politica e porta sulla scena personaggi che
non mancano né di talento, né d'idee, né di carattere.
lA NAZIONE
Il legame che teneva uniti gli elementi costituti\·i della n azione, in
dividui o gruppi secondari, era molto debole. Una legge irlandese reci
ta: <<Non è re chi non ha ostaggi alle catene». A Tara vi era una casa de
gli ostaggi. La fedeltà, probabilmente precaria dei gruppi associati e
riuniti sotto il re supremo, veniva garantita da tali ostaggi. Presso i Celti
non esisteva nessuna unione di uomini definitiva o perpetua, simile a
quella ch e caratterizza ai nostri giomi uno Stato o una nazione. L'eroe
Fergus lasciò l'Ulster e si stabilì nel Connaught senza per questo ren
dersi indegno, poiché lo Stato non inquadrava gli uomini dalla nascita
alla morte.
Cesare ci mostra la fervente attività politica dei popoli della Gallia
divisi dai partiti, mentre in Irlanda non esisteva nulla di simile. L' evolu
zione aristocratica della Gallia, infatti, era molto più avanzata: tribù e
clan erano stati assorbiti dai pagi e dai Jundi; le civita/es si sovrapponeva
no ai pagi; associazioni e territorio stavano alla base della nuova orga
nizzazione. Una vera e propria rivoluzione sociale e politica aveva livel
lato gli strati inferiori delle società riunite sullo stesso territorio e le
aveva profondamente separate dai gradi superiori della gerarchia socia
le. In Irlanda e nel Galles resistevano gruppi di stranieri non assimilati,
tribù e clan sudditi, vassalli, che restavano fuori della società politica
formata, con diri tto pieno, dai Celti e dai Galli.
L'ESERCITO
L'esercito non era permanente, ma \'eniva arruolato in tempo di
guerra in virtù degli obblighi di certi membri della società. La cavalle
ria era formata da nobili che combattevano con gli aiutanti appiedati.
A fianco dei nobili comparvero i cavalieri salariati arruolatisi a titolo in
dividuale. Il resto della truppa era costituito dalla fanteria inquadrata
per pagi sotto la guida dei propri capi naturali.'2"1 Presso i Galli e gli Ir
landesi, i capi, al contrario, combattevano su carri o a cavallo, ma con i
209
CAPITOLO IX
loro uomini, da cui non si distaccavano per formare la cavalleria. I Celti
insulari marciavano quindi inquadrati per tribù e clan con i loro em
blemi e insegne, e parimenti per tribù avanzavan o le truppe permanen
ti e mercenarie d'Irlanda, le fianna.
LA NAZIONE, l RAPPORTI DEl POPOU CELTI, L'IMPERO CELTICO
Il raggru ppamento o la suddivisione delle unità sociali non avveniva
per caso, ma secondo ritmi o norme regolari. Da ciò discende la conce
zione totalmente ideale dei cinque regni d'Irlanda, vale a dire dei quat
tro regni di Ulster, Connaught, Leinster e Munster, con il regno cen trale
di Meath, dove si trovava I' omphalos, ossia l'ombelico, il paese centrale, il
punto di convergenza delle grandi strade. L'Irlanda aveva vagheggiato
un'organizzazione quadripartita dello Stato e della nazione in parallelo
con l'organizzazione quadripartita della famiglia. Nel Galles, tale orga
nizzazione fu realizzata col raggruppamento di quattro tribù: Gwynedd,
Powys, Deheubarth e Morganwy, mentre in Gallia è docume ntata dal no
me di Petrocorii. Tale divisione, che pare essere stata per i Celti la forma
ideale di una società ( 4 e ra secondo loro il numero perfetto) , reniva
probabilmente da lontano. Si trattava della divisione teorica di una so
cietà composta da due fratrie di ciascuno dei due clan, legate rispettiva
mente da vincoli matrimoniali e da scambi di prestazioni.
Le società politiche dei Celti erano formate da elementi autonomi
giustapposti che in pratica, pur essendo eterogenei, spesso si aggregava
no. Grazie a Cesare riusciamo a scorgere i popoli gallici, anch'essi agglo
merazioni di pagi, riunirsi in gruppi compatti. Per esempio nell 'esercito
di rinforzo di Alesia i Cadurci, i Gabali, i Vellavi unirono i loro contin
genti con quelli degli Arverni, mentre i Segusiavi, gli Ambivariti, gli Aur
leci Brannovici si aggregarono agli Edui. E non erano unioni di circo
stanza, ma il risultato di accordi antichi e profondi. Cesare chiama tali
associazioni di popoli gall ici parentele o clientele. La nozione di cliente
la è definita in un certo numero di casi da quella di imperiwn; i popoli
clienti erano sudditi dei popoli patroni; la clientela era una relazione
naturale o di parentela. Fra i popoli gallici esisteva anche u n'autentica
rete di legami, fuori dei quali c'erano le gerarchie, le egemonie, le as-
210
STRtTJTURA DELlA SOCIETÀ CF.LTICA E SUA DIVISIONE. IL DIRITTO CIVILE
E LA PROPRIETÀ. DIIUTTO PENALE. LE ISTITUZIONI POLITICHE
semblee.1211 Parimenti in Irlanda i quattro grandi regni erano subordina
ti alla monarchia suprema, in modo assai elastico, ma la loro unione ri
maneva fondata sullo stesso principio della parentela e della clientela. I
regni del nord e dell 'ovest erano detti parenti, mentre il Leinster, essen
do tributario, era cliente.
Sembra che i Celti abbiano concepito l 'idea dell 'impero. Al loro ap
parire nella storia romana, essi si presentavano, stando a Tito Livio, co
me un grande regno il cui sovrano era Ambigato, u n Biturige, ritenuto
re del mondo. Egli in\'iò due grandi spedizioni imperiali, l 'u na in Ger
mania, l'altra in Italia, sotto il comando di due suoi nipoti. È inutile do
mandarsi se l ' impero di Ambicato sia esistito,121' ma in ogni caso fu
ideato dai Celti, perché a una tradizione celtica si riferisce Tito Livio.
Di tale tradizione l'Irlanda ci offre l'equi\'alente: essa si considerava u n
microcosmo, immagine di un p i ù grande un iverso e aveva adottato con
passione l'idea del re del mondo introdottavi da san Gerolamo o da
Orosio. Ma i Celti, pur in mancanza di un impero reale, non ebbero
difficoltà ad aderire all'idea imperiale.
211
CAPITOLO X
LA REliGIONE DEI CELTI
E IL SACERDOZIO DEI DRUIDI
• TI
SACERDOZIO DEI DRUIDI COME ISTITUZIONE PANCELTICA
La religione era un altro cardine dell'organizzazione sociale, in par
ticolare di quella celtica, il cui aspetto più interessante e sorprendente
fu l'istituzione sacerdotale dei druidi, organizzazione religiosa che rese i
vari gruppi di popolazioni celtiche un popolo compatto. I ntanto va det
to che il sacerdozio dei druidi era un 'istituzione panceltica, vero cemen
to sociale dei Celti . I druidi, presenti ancor oggi nel Galles, ma ridotti al
rango di resto archeologico, erano potenti in Irlanda, in Gran Bretagna
e in Gallia, come documenta Cesare. 111 Se non si può parlare di druidi
negli insediamenti celtici in Spagna, Italia, Valle del Danubio e Galizia,
il silenzio dei testi non basta per negare la loro esistenza anche fra quei
gruppi celtici. E se è vero che la parola latina vates è di derivazione celti
ca, dobbiamo anche dire che i Galli d'Italia avevano fra loro personaggi
paragonabili ai druidi, chiamati vates, e organizzati allo stesso modo.
Cesare afferma che il druidismo era originario della Gran Bretagna,
e più precisamente che ivi si recavano i druidi della Gallia per frequen
tare i santuari e le rinomatissime scuole. In modo non diverso si com
portavano quelli irlandesi, che si recavano presso tali scuole per com
pletare la loro istruzione. Niente però ci consente di affermare che il
druidismo, estraneo ai Celti nel loro insieme, sia sorto presso i Britanni
di Gran Bretagna. 121
Alcuni storici, partendo dal presupposto che il druidismo abbia
213
CAPITOLO X
avuto origine nell' occidente dei paesi celtici, hanno negato che fosse
celticon> e hanno voluto attribuirlo alle popolazioni trovate dai Celti
nell'ovest europeo, a quelle, cioè, che avevano eretto i monumenti me
galitici. In realtà, lo studio analitico e comparativo dell 'istituzione sa
cerdotale druidica dimostra ch 'essa era indispensabile all' organizzazio
ne delle società celtiche. La storia inoltre comprova molto chiaramente
che il druidismo fu per le società celtiche un elemento di resistenza ai
Romani in Gallia e in Gran Bretagna, al cristianesimo in Irlanda, e che
fu preso di mira come tale dalle persecuzioni in Gallia, dalle campagne
dei generali romani contro i santuari in Gran Bretagna, da una sorta di
declassamento in I rlanda.'11 Esso era un elemento di resistenza perché
motivo di coesione. I viaggi dei druidi, i loro incontri cementavano l 'u
nione dei popoli celtici e i sentimenti di parentela dai quali poteva sca
turire la loro unità.
CA:RATIERE E FUNZIONE DEL SACERDOZIO DEI DRUIDI
I druidi ci sono noti grazie a lunghi brani di storici e poligrafi greci
e latini, Cesare, Diodoro, Strabone, Ammiano Marcellino i quali desun
sero tutte le informazioni da Posidonio e Timagen e che avevano elen
cato compiti e attribuzioni dei druidi. Un grande numero di testi epici
irlandesi parla dei druidi, e inoltre sono numerose le raccolte di leggi
relative alle funzion i e agli incarichi dei jìlid (poeti e letterati) , che co
stituivano una corporazione parallela a quella dei druidi, e fino a u n
certo punto antagonista, n o n awersata dal cristianesimo dal quale inve
ce i druidi furono distrutti. Ma le due corporazioni erano simili, com
plementari, unite da lungo tempo da strutture e privilegi. Poiché la let
teratura e le leggi scritte irlandesi comparvero dopo l' introduzione del
cristianesimo e ad opera dei filid, costoro vi sono trattati meglio dei lo
ro confratelli. Ma se non si esi tasse a colmare le lacune sui druidi con
quanto sappiamo dei filid, si otterrebbe u n ' immagine dei druidi d'Ir
landa somigliante in tutto e per tutto a quella dei druidi di Gallia. Con
trollando con cura i ritratti dei due gruppi si giunge all'ipotesi fondata
d ' aver a che fare con un 'istituzione comune risale n te al più lontano
passato dei due popoli. Le varianti latine del nome lo riconducono a
214
L\ RELIGIONE DEI CELTI E n. SACERDOZIO DD DRUIDI
una declinazione identica a quella del nome irlandese dei druidi (drui,
druad) . Gli a n tichi accostavano questo nome a quello della quercia
(8pk) , e per loro i druidi erano i sacerdoti della quercia. Derwyld, il no
me con cui nel Galles vengono chiamati i druidi, d eriva a sua volta da
quello della quercia, derw. Tuttavia, attualmente, dopo gli studi di R.
Thurneysen e di d'Arbois, i celtisti accostano piuttosto la parola drui a
sui, sa�gio; e tali parole sarebbero composte da un elemento qualificati
vo su (= bene) o dru che significa forte, e da un secondo elemento, una
radice verbale, uid, sapere, che entra precipuamente nella composizio
ne dei termini sacerdotali in germanico, in slavo e nelle lingue balti
che. I druidi sarebbero i molto saggi o i molto sapienti, gli indoviniY1
In Gallia i druidi erano legati alla quercia, della quale coglievano il
vischio e mangiavano le ghiande per acquisire poteri divinatori. In I r
landa il nocciolo e il sorbo erano loro riservati, poiché si riteneva aves
sero proprietà profetiche. I druidi d'Irlanda erano muniti di bacchette
tagliate dai loro alberi preferiti, con l ' aiuto delle quali esercitavano il
potere, quando non usavano rametti d 'argento raffiguranti i rami d'un
albero sacro, o di u n albero della vita che si trova nell'altro mondo. I
druidi erano affezionati a tali alberi come i clan totemici ai loro totem.
Alcuni sacerdoti chiamati gutuatri e destinati a un santuario, erano
con ogni probabilità dei druidi, perché Ausonio, scrivendo di uno di
loro, aggiunge eh ' era di famiglia druidica: stirpe Druidarum natus. I
druidi costituivano u n ' importante casta sacerdotale deputata a molte
funzioni speciali. 1';1
Presso la maggior parte dei popoli indo-europei le funzioni religio
se erano divise tra il re e le persone addette ai culti. A Roma, il rex e il
jlamen avevano ognuno la propria funzione. Accanto al re irlandese vi
era il suo druida, che probabilmente riceveva da lui l'incarico. C. Jul
lian ha ritenuto, sembrerebbe a torto, i druidi gallici dei re-sacerdoti e
la loro assemblea simile a quella dei re dei pagi.
I n Gallia, i druidi assistevano ai sacrifici, pubblici o privati; n e erano
gli organizzatori, fo rse gli esecutori e i ministri, al meno in certi casi ec
cezionali quando si trattava di sacrifici uman i o del sacrificio dei tori
bianchi all'epoca della raccolta del vischio.
La loro pri ncipale funzion e religiosa era, però, la divinazione, in
215
CAPITOLO X
quanto erano considerati indovini e veggenti. Cicerone, nel De divina
tione, evoca la figura di Diviziaco, che fu soprattutto un politico in virtù
della capacità di conoscere gli uomini tramite la scienza augurale. '7\
Una parte dei sacrifici uman i della Gallia e i sacrifici dell ' I rlanda in cui
i druidi erano sacrificatori, erano di natura mantica, ossia divinatoria. I
testi irlandesi ci mostrano i druidi nell'atto di profe tizzare, d'interpre
tare i presagi, usando la ruota della divinazione. Essi erano uomini di
scienza, ma anche uomini di Dio, in relazione diretta con la divinità e
perciò potevano parlare in suo nome. I nterferivano anche nella fatalità
delle predeterminazioni imponendo, a coloro che Ii consultavano, re
gole pratiche o interdizioni rituali (geasa, che trovano ampio spazio nel
la letteratura irlandese) , o indicando i giorni da scegliere e quelli da
evitare per le azioni previste.
In tali funzioni complementari la differenza tra religione e magia
era piuttosto incerta. I druidi della Gallia si avvicinarono a poco a poco
alla magia, mentre quelli d'Irlanda la praticavano da sempre con pro
cedimenti le cui descrizioni rimangono oscure.
I druidi avevano anche funzioni giuridiche, come documenta Cesa
re, in quanto dovevano pronunciarsi su quasi tutte le liti pubbliche e
private. Nel diritto privato si occupavano degli omicidi, dell 'eredità e
delle contestazioni relative alla proprietà. In materia di diritto pubblico
essi intervenivano come arbitri nelle contestazioni tra gruppi politici.
In Irlanda gli stessi poteri giudiziari, quelli dei brehon, erano esercitati
dai jìlid, e si può ragionevolmente supporre che abbiano so ppiantato i
druidi in tale ruolo. Li vediamo all'opera nei libri di diritto di cui furo
n o gli autori: erano giureconsulti, arbitri e avvocati più che giudici. For
n ivano pareri basati su precedenti interpretati alla luce dell'equità, in
tervenivano come arbitri nelle questioni di diritto privato, per esempio
per regolare con risarci menti le controversie sorte per danni che pote
vano scatenare la vendetta privata. Nell'evoluzione del diritto celtico, i
poteri pubblici dello Stato surclassarono quelli dei druidi e dei brehons.
Il re e l'assemblea giudicavano; i brehons proponevano la sentenza e for
nivano un parere. Sembra tuttavia che in Gallia e in I rlanda i druidi e i
brehons potessero e manare l'interdetto contro quanti non accettavano
la loro decisione, e i jìlid vi aggiungevano sanzioni magiche.'"\
216
L\ RELIGIONE DEI CELTI E IL SACERDOZIO DEI DRUIDI
I druidi godevano di privilegi e di autorità di natura politica. Cesare
ci informa che erano esentati dal servizio militare e dalle imposte; tut
tavia ve ne furono alcuni, come il gallo Diviziaco, o Cathba, il druida
del re Conchobar, che combattevano, anche se volontariamente e senza
obbligo.
In Irlanda, peraltro, i filid avevano una specie di salvacondotto per
manente, anche durante le guerre intestine che devastavano il paese, e
per questo svolgevano un ruolo intertribale. In Irlanda, i re, piccoli o
grandi, avevano al loro fianco, come consigliere politico, un druida di
cui Cesare attesta l ' autorità e il rango sociale, collocandoli sullo stesso
piano degli equi/es. Molti druidi erano di famiglia regale o aristocratica.
Nell 'ordine di precedenza osservato a Tara, i filid, che rimpiazzarono i
druidi, si collocavano nello stesso rango dei nobili.
Abbiamo già spiegato che i druidi ricoprivano il ruolo di educatori
della gioventù. Cesare ci informa che, a volte, inducevano i loro allievi
alla conquista del potere, e tale fu nzione educativa era fondamentale, e
forse fu la sola ad avere, nell'organizzazione delle società celtiche, un
carattere costituzi onale. I n Gallia sopravvissero come doce n ti nelle
scuole superiori; in I rlanda, i filid, che li sostituirono nei compiti educa
tivi, fondarono e lasciarono in eredità al cristianesimo scuole rimaste in
vita per tutto il Medio Evo. Così i druidi e i loro successori esercitarono
permanentemente, nelle società celtiche, una funzione civilizzatrice.
Ma prima d ' in segnare la letteratura classica inculcarono idee che oc
corre definire. 1'''
L' insegnamento orale, sia in I rlanda fino al cristianesimo, sia in
Gallia, era inteso come l' esposizione d' una tradizione che aveva assun
to una sua forma in innumerevoli poemi trasmessi a memoria: compo
sizioni epico-storiche sull'origine della razza, quali il Leabhar na Gabha
la; digressioni cosmologiche, come quelle presenti nelSenchus Mor; de
scrizioni di viaggi nell'Aldilà rappresentate dagli Jmrama (viaggi) . Da
tutto ciò scaturisce una dottrina di cui gli antichi scrittori, tutto somma
to ben e informati da acuti osservatori, hanno forn ito un 'idea con po
che parole ma pregne di significato. Essi hanno classificato i druidi tra i
filosofi mistici prossimi agli antichi filosofi greci, ai quali è attribuito il
merito d'aver elaborato la teoria dell'immortalità dell'anima.
217
CAPITOLO X
l druidi avevan o una dottrina completa sull'immortalità, con una
morale, una visione generale del mondo, una mitologia, un rituale e ri
ti funebri appropriati. Essi insegnavano che la morte è solo uno sposta
mento e che la vita continua con le sue forme e i suoi beni in un altro
mondo, il mondo dei morti, che governa i defu n ti e li restituisce alla vi
ta: un mondo vitale che costituiva una riserva di anime. Secondo loro
un insieme costante e viaggiante di anime è distribuito tra i due mondi
appaiati e gli scambi tra di loro avvengono vita per \ita, anima per ani
ma. Ma, per altro, sembrerebbe che la riserva di anime non si limiti alla
specie umana, e che esse possano migrare da una specie all'altra. l
druidi, a quanto pare, credevano nella metempsicosi, le cui tracce si ri
trovano nei miti e nei racconti. Con qualche nozione di fisica e di astro
nomia, messa in pratica nell'elaborazione dei calendari, con qualche
conoscenza delle pian te e delle loro proprietà (trasferita poi alla medi
cina) , con alcune formule magiche, tale linguaggio filosofico a\Tebbe
costituito il fondo di saggezza dei druidi, contribuendo non poco all'e
ducazione spirituale dei Celti.'1"1
l druidi erano nella società celtica un ordi11e, ed esso costi tuiva una
confraternita (sodaliciis adstricti consortiis) , una società d'individui che
svolgevano collettivame nte una fu nzione social e . L' organizzazione
druidica si situava al di sopra delle tribù e degli Stati: i druidi d'Irlanda
formavano un solo gruppo, quelli di Gran Bretagna avevano gli occhi
rivolti al santuario di Mona (Anglesey) , quelli gallici al san tuario dei
Carnuti. Tu tti questi gruppi solidarizzavano tra loro, i membri dei col
legi druidici venivano reclutati e cooptati fra gli insegnanti, ma esisteva
no anche famiglie druidiche. Probabilmente avevano luogo delle inizia
zioni, una preparazione, e vi erano gradi di cui troviamo tracce fra i Ji
lid. Sembra che in Gallia e in Irlanda vi fossero delle druidesse, ma non
possiamo stabilire con certezza se appartenevano realmente al collegio
dei druidi o se il nome era loro attribuito grazie alle doti di maghe. In
ogni caso i druidi costituivano una collegialità molto ampia i cui mem
bri, distribuiti nei quadri politici della nazione, esercitavano le funzioni
più disparate. Il collegio aveva coscienza della sua u nità nei santuari,
nelle scuole, nelle assemblee, come quella della nazione carnuta che si
ten eva in Gallia, e che era contemporaneamente un concilio e un con
gresso corporativo dei druidi.
218
lA RELIGIONI:: DEI CELTI E IL SACERDOZIO DEI DRUIDI
Seguendo Posidonio e Timagene, gli storici antichi citano, accanto
ai druidi, i bardi ch'erano poeti popolari e dalla tecnica poco raffinata,
ei vates, poeti divinatori e l<porrow[. In Irlanda esistevano bardi o canto
ri( cainte) , filid e druidi; i filid, come i loro omologhi gallesi, erano l'e
quivalente dei vates della Gallia: sono state raggruppate sotto questo
nome varie corporazioni, anticamente subordinate ai druidi, che s i
eclissarono con l'awento del cristianesimo. ' 1 1 1
l DRUIDI E LE ALTRE CONFRATERNITE REUGIOSE INDO-EUROPEE
La descrizione del collegio dei druidi evoca del tutto naturalmente
quella di altri collegi analoghi dell'antichità: di primo acchito i flamini,
gli àuguri, le vestali , i fratelli arvali, i lupercali dei Romani; ma il corpo
sacerdotale romano era suddiviso in molteplici congregazioni, ciascuna
delle quali aveva un numero limitato di membri. Per altro, gli antichi
erano rimasti colpiti dalla somiglianza fra la dottrina druidica e quella
delle sette pitagoriche che s'erano sviluppate presso i Dori dell'Italia
meridionale. È molto probabile che i Dori, prima di calare in Grecia e
in seguito in Italia, si fossero trovati molto vicini, n ell'Europa centrale,
ai Celti. D'altronde la regione che s'estende dal Danubio centrale al
Mare Egeo, donde i Dori provenivano, è stata una fucina di formazioni
analoghe alle società pitagoriche.' 121 Là ebbe origine l'orfismo, awicina
to dagli antichi al pitagorismo, e che comportava il culto del dio o eroe
dei Geti Zalmoxis, una confraternita di sacerdoti, una dottrina dell'im
mortalità, un mito della discesa agli Inferi e, come nel rituale druidico,
i sacrifici umani. In Tracia, presso i Satri, v'era una confraternita di sa
cerdoti chiamati Bessi, che utilizzava un oracolo di Dioniso, dio dei Tra
ci. Ci troviamo in presenza di una identica famiglia di culti, di cui le so
cietà che li praticavano erano spettatrici, essendo il ruolo attivo patri
monio di confraternite d ' iniziati.
D'altronde, a oriente dell'area di diffusione degli Indo-Europei ri
troviamo delle società sacerdotali del tutto paragonabili, per credito ed
estensione, ai druidi: erano i maghi iraniani e i bramini indiani. I drui
di differivano da questi solo perché non costituivano una casta chiusa.
Tali accostamenti comprovano che il druidismo era tipico di elementi
219
CAPITOLO X
propriamente indo-europei, e che le sue origini risalivano al più lon ta
no passato delle società indo-europee, e forse anche oltre.
James G. Frazer, e dietro di lui C. Jullian, hanno pensato che i drui
di derivassero dai sacerdoti descritti nell' opera The Golden Bough (Il ra
mo d'oro) e cioè dai re-sacerdoti-dèi, come il sacerdote di Nemi, prota
gonista del lavoro di Frazer.' 111 In realtà il druidismo era tutt'altra cosa.
Nei differenti tipi di società sacerdotali da noi considerate, l'esercizio
collettivo delle funzion i spirituali era essenziale per la natura dell'istitu
zione. È quindi a un tipo di collettività, e non a una categoria di indivi
dui, che bisogna ten tare di risalire, e i re-sacerdoti-dèi erano una cate
goria di individui.
Ma le forme delle collettività, delle confraternite da noi passate in
rassegna, erano tanto differenti le une dalle altre quanto lo erano le so
cietà che le rappresentavano: alcune erano semplici collegi, altre colle
gi per iniziati, altre ancora società a base parentale (caste o famiglie di
sacerdoti ) .
Orbene, u n paragone con i l mondo n o n in do-europeo c i può forni
re la chiave di tali istituzioni mostrandoci collettività del tutto parago
nabili a quelle dei druidi e dei bramini e il cui posto nell'evoluzione
del totemismo è chiarissimo. Si trattava delle presunte società segrete
della Colombia Britannica e della Melanesia che erano, in realtà, delle
confraternite costituitesi accanto ai clan totemici e a loro immagine.
L'origine di ogni società segreta risaliva a una rivelazione che compari
va in miti analoghi a quelli di Zalmoxis o di Pitagora. Esse reclu tavano i
loro me mbri per cooptazione e qualificavano, median te i niziazioni,
quelle appartenenti alle generazioni successive. La loro attività si con
centrava nei periodi delle feste di cui i membri della confraternita era
no gli attori, e assumevano così fu nzioni in disuso in società dove il to
temismo era in via di dissoluzione. Tali confraternite erano all'origine
del brahamanesimo e del druidismo.
Tale influenza druidica trovò sempre ostacoli: in Gallia con la gelo
sia degli equites (che spiega in parte il rapido declino del druidismo) , in
Irlanda l' ostilità di certi re. Alcuni testi parlano anche dell 'incredulità
di Cormac Mac Airt. L'innalzamento dei filid a spese dei druidi fu senza
dubbio favorito da tali opposizioni. Gli stessi filid dovettero all'interven-
220
LA Rll!GIONE DEI CELTI E IL SACERDOZIO DEI DRUIDI
to di san Columba durante l 'assemblea di Druim Ceta, nel 574, il man
tenimento di una parte delle loro prerogative ereditate dai druidi. 11�1
LE REUGIONI CELTICHE
Una caratteristica della religione dei Celti che colpisce in modo par
ticolare è il ruolo occupato dai riti agresti e dai loro miti. La fecondità,
la fertilità, la vita costituiscono sempre la preoccupazione dominante di
quelle confraternite orgiastiche, ed esse tesero sempre la mano, supe
rando le religioni istituzionali, al pastore e al contadino. Un altro ele
mento rilevante è l' elaborazione, nella religione, di un sistema metafisi
co e morale: infatti l'interesse per l'anima, per la sua origine e il suo
destino, il mondo delle anime e dei morti, il m i to dell ' aldilà erano
aspetti i n primo piano nella religione dei Celti come i riti agresti.
L'esistenza di una classe sacerdotale panceltica, risalente alle origini
della razza, assicurò alle religioni di vari popoli celtici una certa unità,
anche se, a dire il vero, essa non è evidente. Ciò è dovuto al fatto che le
diverse religioni celtiche non ci sono note da documenti della stessa
natura, e lo sviluppo dei differenti popoli celtici non fu né identico né
simultaneo, sicché la Gallia, ai tempi di Cesare, era più progredita del
l' Irlanda. Per quanto riguarda la Gallia, le testimonianze dei geografi
greci ci informano sui riti solenni, ma non sulla m i tologia; per l'Irlan
da, sulla quale le nostre fon ti sono poemi epici e lirici .raccolti dopo la
fine della religione celtica, disponiamo, al contrario, di un insieme di
racconti e leggende, ma nulla di preciso sappiamo sul rituale. È infine
un miracolo che la letteratura gallese contenga elementi della religione
bretone, essendosi formata in un paese cristiano, romanizzato, e poi co
lonizzato dagli I rlandesi.
Malgrado tali difficoltà rinveniamo le tracce d'una profonda iden
tità. I Celti della Gallia, della Gran Bretagna e della Valle del Danubio,
essendo dello stesso ceppo e uniti da mille legami diversi, avevano divi
n i tà comuni o con lo stesso nome. Ma i Goideli e i Celti britannici, in
sulari o continentali, avevan o anch' essi divinità comuni assai importan
ti, anche se in numero minore. Tra queste v'era Lug il grande dio sola-
221
CAPITOLO X
re, eponimo di Lugdunum e rappresen tato in Spagna dai Lugoni; Tara
nis, il dio del fulmine, rappresen tato in Irlanda da un eroe poco cono
sciuto, Tornà; Esus, dio gallico, il cui nome compare in quello teoforo
irlandese di Eogan ( = Esugenos ) ; Goibniu, il dio-fabbro dei Goideli,
che si ritrova in Gobannilio, lo zio di Vercingetorige.
Al nome del dio gallico Camulus corrispondeva il nome dell 'eroe
irlandese Cumal, padre di Fin n ; alla dea goidelica Brigitte corrisponde
una Brigantia britan nica. È preferibile astenersi dal cercare gli omonimi
degli dèi irlandesi tra i personaggi dei Mamnogion gallesi, in virtù dei
prestiti che i Gallesi potevano aver fatto alle tradizioni irlandesi. Man
nawyddan non è altro che il dio del mare Manannan. Alla luce di que
st'insieme di esempi, ci si può immaginare una base antica di culti e riti
comuni conservatisi in maniera diseguale.
Ci si è spesso sforzati di distinguere nelle religioni celtiche gli ele
menti d'origine ariana e quelli appartenenti alle popolazioni preceden
ti dell'Irlanda. Per A. Cook, gli dèi ariani sarebbero quelli del cielo, del
la luce, del sole: dèi del cielo tempestoso come Taranis, o del cielo lu
minoso come Lug. Il culto della quercia e del vischio sarebbe ancora
ariano. Non ariani sarebbero invece gli dèi e le dee legati all'oscurità e
quelli della vegetazione. Si spiegherebbe così perché le divinità del
mondo sotterraneo e quelle della luce sembrano impegnate, nella mi
tologia irlandese e in quella gallese, in lotte furiose. Ma tali teorie non
considerano che quelle lotte mitologiche erano i mposte agli dèi dai
ruoli drammatici da loro ricoperti nelle sagre stagionali. Tali culti non
erano per niente il ricordo di combattimenti storici, ma la trasposizio
ne mitologica di un rituale. Si potrebbe dire che gli scontri tra divinità
fossero delle sin tesi di funzioni diverse antitetiche o successive. Infatti,
gli elementi etnici dei popoli celtici erano stati fusi presto, e le differen
ze che mostrano gli elenchi degli dèi redatti per le diverse parti dell'Ir
landa non ci hanno chiarito nulla fino ad oggi. Bisogna riconoscere
d ' altronde che lo studio di questi pantheon locali è a ncora agli inizi.
In ogni modo, i Celti dovevano molto ai loro predecessori, di cui
utilizzarono i monumenti megalitici. I grandi tumuli, o camere fu nera
rie di New Grange in Irlanda (Brugh n a Boyne) , erano da loro conside
rati la dimora degli dèi e riveriti come santuari. Le dodici pietre che
222
LA RELIGIONE DEI CELTI E n. SACERDOZIO DEI DRUIDI
circondavano l 'idolo irlandese Cromm Cruaich erano i pilastri di un
cromlech. Anche in Gran Bretagna e in Gallia i Celti fecero propri i mo
numenti megalitici, ma, di fatto, ignoriamo che cosa abbiano realmen
te preso a prestito dai loro predecessori. ' 1 "'1
La traccia più interessante del loro ceppo comune, l'abbiamo visto,
è il druidismo stesso. Si può risalire ancora più indietro, fino al totemi
smo? I Galli avevano animali-dèi: il cavallo di Neuvy- en-Sullias, Rudiobos,
il mulo di Nuits; Segomo, il serpente dalla testa di ariete riprodotto sui
monumenti di Mavilly, di Parigi, di Reims; divinità antropomorfiche che
avevano caratteristiche di un dio-animale, come quella dalle corna di
cervo, Cernunnos, il March dalle orecchie di cavallo dei Bretoni;11"1 alcu
ni animali erano consacrati a certi dèi, come il cavallo d'Epona, il cane
del dio col mazzuolo, l ' orso della dea Arti o, il cinghiale di Diana Ar
duinna. Ma divinità-animale non significava necessariamente totem; so
vente gli animali raffigurati sui monumenti ricordano gli elementi po
polari dei miti, che forse risalivano al totemismo, ma non sappiamo at
traverso quale via. La letteratura irlandese fornisce un elenco di eroi
con caratteristiche animali, i più celebri dei quali sono Cuchulainn, il
cane di Culann , al quale era vietato mangiar cani, e Oisin, il cerbiatto, la
cui madre fu trasformata in cerva. Ritroviamo tracce di simboli animali
di clan nelle proibizioni alimentari, ma, in ogni caso, non si trattava solo
di soprawivenze d'un passato da molto tempo dimenticato. Col passare
del tempo furono creati gli eroi, eroi civilizzatori o fondatori di gruppi
sociali, alcuni dei quali erano forse antichi totem, e altri personaggi do
tati di simboli totemici. Una cosa è certa: nelle società celtiche, al posto
del totem del clan troviamo l'eroe del clan, della tribù, della nazione.
ORGANIZZAZIONE POUTICO-FAMILIARE E CULTO DEGU EROI
Il culto degli dèi-eroi rispecchia esattamente l'organizzazione politi
co-familiare molto frammentata dell'Irlanda. Men tre la Gallia, al mo
mento della conquista, tendeva a unificare vari gruppi sociali, in Irlan
da, al contrario, essi rimanevano parcellizzati, come si rileva nelle carat
teristiche del culto: le grandi sagre stagionali erano soltanto un ' aggre
gazione momentanea.
223
CAPITOLO X
La mitologia irlandese ha potuto essere presentata come una storia
delle numerose generazioni di invasori, ad esempio quelle dei Fomo
re' 1 71 e dei Tuatha Dé Danann, sparite le une dopo le altre, ma i cui pro
tagonisti erano ritenuti personaggi vissuti sulla terra e ritiratisi dopo la
morte in un 'altra dimensione. Orbene gli dèi, e in particolare quelli
più importanti, erano compresi fra queste categorie degli spiriti: Ler,
Nuada, Manannan, Dagda, Brigit, Ogme fra i Tuatha Dé Danann ; altri
tra i Fomoire; Lug in en trambe. Essi abitavano nelle tombe, che erano
vere e proprie tombe megalitiche.1 1"1 Così gli dèi erano considerati so
vrumani e non personaggi soprannaturali; lo stesso accadeva a tutti gli
dèi e in particolare a quelli locali, legati a un territorio o a un aspetto
del suolo, cui erano uniti dalle tombe e dal ricordo della loro morte. I
Celti prediligevano le rappresentazioni funebri, e il loro pantheon era
molto simile a un ci mitero.
Tali dèi e i loro miti subirono un generale processo di ringiovani
mento che li situò in una storia sempre più recente rawicinandoli alle
comunità umane. Tale ringiovanimento dei miti è molto caratteristico.
Un brano celebre aella letteratura irlandese narra il modo in cui il dio
M i d i r, u n o dei Tuatha Dé Dana n n , che abitava nella tomba di Bri
Leith, tentò di riprendere la moglie Etain al re d 'Irlanda Eochaid Ai
rein contemporaneo di Cesare. Il nome di Etain si ritrova nel sud dei
I ' Uister. Il dio Nuada fu ringiovanito dalla leggenda che lo voleva non
no di Fin n . Gli dèi avevano figli: Cuchalainn era discendente di Lug e
Mongan di Manannan. Altri si rein carnavano: una tradizione vuole che
Mongan si fosse reincarnato i n Finn. La letteratura mitico-eroica irlan
dese ci illustra un andirivieni di divinità che ritornano in vita e d'uomi
ni che vanno a visitare il mondo degli dèi e dei morti; gli uni e gli altri
si confondono nella stirpe degli eroi.
Gli dèi figuravano nelle genealogie e tutta la razza celtica pretende
va di discendere dal grande dio Beil, padre di Mil, l ' an tenato degli ulti
mi conquistatori, che era una sorta di dio dei morti. Parimenti i Galli,
stando a Cesare, pretendevano di discendere da Dis Pater. I forti, luo
ghi di riunione delle tribù e delle famiglie, erano edificati sulle alture
eh ' erano dei tumuli funerari e la residenza dei re di Leinster era co
struita su quello di Fir-Bolg Slanga.
224
LA RELIGIONE DEI CELTI E n. SACERDOZIO DEI DRUIDI
La religione dell'Irlanda era la stessa dei gruppi politico-familiari
che componevano la società e si radunavano attorno agli antenati i
quali erano eroi e dèi. Il loro culto era quello degli avi, le cui feste era
no commemorazioni. L'eroe è presente in tutta la m i tologia; il santo gli
è succeduto, e Czarnowski ha potuto dimostrare che l'enorme popola
rità di san Patrizio, considerato in Irlanda un eroe nazionale, ha coro
n ato l'evoluzione dell'antica religione nazionale.
LE FESTE
Le tribù irlandesi vivevano normalmente sparse, e i santuari erano
nello stesso tempo luoghi ove si svolgevano le fiere. La popolazione si
riuniva nel centro politico e religioso della tribù, dove si trovavano le
tombe degli anten ati, in concomitanza delle festività. 1 1 y1 Ve n 'erano
quattro principali: il primo novembre, Samhain, segnava la fine dell'e
state (Samos) e probabilmente l'inizio dell'anno; il primo maggio, all' i
n izio dell'estate ( cèt-saman) , ricorreva la festa di Beltaine, o del fuoco
( tein) di Bel o Beil; 1��,, tra le due si situavano, a tre mesi di distanza, le fe
ste di Lugnasad (matrimonio di Lug) , quella descritta meglio di tutte, il
primo agosto, e quella di Oimele o lmbolc, il primo febbraio, che si tra
sformò nella festa di santa Brigida. Samhain si celebrava soprattutto a
Tara, Beltaine a Uisnech, Lugnasad a Tailtiu, tutt'e tre nel regno centra
le di Meath. Ma Lugnasad si celebrava anche a Emain Macha nell 'Ulster
e a Carman nel Leinster. Le quattro feste delimitavano, nell'anno, quat
tro stagioni di tre mesi oppure ottantacinque giorni, che sembrano fos
sero divise da altre feste di due periodi di quarantacinque giorni ciascu
no. Se ne abbiamo un ricordo ciò si deve soltanto al fatto che la festi
vità di un importante santo irlandese cade a volte nelle stesse date:
quella d i san Finnian, in dicembre, ma soprattutto quella di san Patri
zio il 1 5, 1 6 e 1 7 marzo: tutte feste di grande importanza per la vita e la
filosofia degli Irlandesi, di cui si parla di continuo nella tradizione e
nella letteratura epica. Per altro, tutto ciò che concerne la leggenda o
la mitologia, ruota intorno alle festività, e in gran parte è stato assorbi
to nei miti festivi. Tali feste erano fiere, assemblee politiche o giudizia
rie e anche occasioni di divertimento e di attività ludiche, alcune delle
225
CAPITOLO X
quali, come le corse, erano d'origine religiosa (corse di cavalli a Tailtiu
e a Emain Macha, corse di donne a Carman) , ma erano soprattutto as
semblee religiose che si svolgevano in u n 'atmosfera di mito e leggenda.
Il giorno di Beltaine commemorava lo sbarco dei primi conquistatori
dell 'Irlanda, i figli di Partholon; il primo fuoco, quello di U isnech, fu
acceso dai loro ultimi successori. Più tardi, nella pianura di Uisnech, il
re Diarmaid Mac Cerbhail, verso la metà del VI secolo a.C., cingeva
d'assedio la casa di un certo Flann, che annegò in un tino mentre la
sua casa bruciava; la festa commemorava la sua morte. A Lugnasad mo
rirono le donne di Lug o la sua nutrice Tailtiu; la maga Carman, venuta
dalla Grecia come i Fomoire, morì anch 'essa in tale data, prigioniera
dei Goideli; ai tem pi di Conchobar, la dea Macha, che aveva battuto
nella corsa i cavalli del re , morì dando alla luce due figli. Durante
Samhain si svolse la grande battaglia degli dèi, la battaglia di Mag Tu
red, tra i Fomoire e i Tuatha Dé Danann. In tale data anche il re Muir
chertach Mac Erca, avendo infranto i divieti impostigli da una fata che
aveva sposato, fu assalito dai fan tasmi e mentre la fata incendiava il suo
palazzo egli affogò in una botte.121 1 Lo stesso eroe Cuchulainn morì il
primo giorno d 'autunno. I periodi festivi erano quelli durante i quali
gli spiriti erano liberati e si attendeva il miracolo che normalmente si
compnra.
Nel Galles, l 'anno era diviso, come in Irlanda, dalle calende di mag
gio e di novembre. Lo stesso avveniva in Gallia: per mezzo del calenda
rio di Coligny distinguiamo le due grandi stagioni di Samonios e Giamo
nos. I grandi santuari isolati delle montagne, quelli del Donon e del
Puy-de-Dome, attestano l'esistenza di feste analoghe in Gallia in un de
terminato periodo della sua storia. Per lungo tempo nel paese non sor
sero santuari permanenti.
L'EVOLUZIONE DELLA REUGIONE
La Gallia, al momento della civilizzazione romana, era molto evolu
ta, rispetto agli altri paesi celtici, e possedeva, senza dubbio, numerosis
simi templi. I romani, dal canto loro, la ricoprirono di edifici religiosi.
226
lA REU GIONE DEI CELTI E n. SACERDOZIO DEI DRUIDI
Ciò che prova l ' originalità dei templi gallici è l'esistenza, in mezzo a
quelli d'epoca romana, d 'un tipo così particolare che, per descriverlo,
occorre riferirsi ipoteticamente a u n'eredità gallica. Il tempio di Vesun
na a Périgueux, e quello di Giano ad Autun, non hanno nulla di para
gonabile nell' architettura antica e sono stati avvicinati a piccoli Jana
quadrati, circondati da un peristilio, rinvenuti nella Valle del Reno e in
Normandia. Immaginiamo delle costruzioni formate da un peristilio ri
coperto e da una parte centrale più alta.
Gli storici che trattano della religione dei Celti iniziano sempre par
lando dei loro dèi. Lucano ci ricorda una triade di divinità galliche:
Teutatès, Esus e Taranis. Sappiamo che la letteratura irlandese e quella
gallese riportano i nomi degli dèi e degli eroi per triadi. Cesare forni
sce informazioni preziose quando elenca gli dei gallici, non con il no
me celtico, ma con quello romano: Mercurio, Apollo, Marte, Giove e
Minerva. Aggiungiamo anche il Dis Pater (Dio Padre) di cui fa menzio
ne altrove. Orbene, questi dèi sono precisamente quelli che troviamo
nelle testimonianze archeologiche della Gallia romana raffigurati su
monum e n ti d 'ogn i specie: iscrizioni, statuette di bronzo, sculture in
pietra. Secondo noi, gli accostamenti fatti da Cesare erano già presenti
nella mente dei Galli, come dimostra la presenza dei nomi dei loro dèi
accanto a quelli latini: Mercurio Cissonio, Marte Caisivo, Marte Caturi
ge, ecc. Si verificò in ogni caso, dopo la conquista, una sorta di classifi
cazione delle divinità secondo una tipologia suggerita dal pantheon la
tino. Qualche volta v'erano incertezze sull'identificazione, e di volta in
volta uno stesso dio poteva diventare Mercurio, Marte o Dis Pater; d 'al
tronde gli dèi avevano perso la loro grandezza. Chi avrebbe riconosciu
to il nobile Lug, vincitore della battaglia di Mag Tured, nel piccolo
Mercurio dalla pesante borsa, o il dio dei Morti, birraio mistico, nel dio
col mazzuolo, bonario patrono dei bottai, sposo di una Fortuna pacifi
ca e senza carattere? 12�1 Figure banali, anodine, del tutto simili ai nostri
santi di paese. L'eroe, in Gallia, fu rimpiazzato dal genio domestico,
che assunse un aspetto classico ispirato al modello romano. La disgre
gazione dei gruppi politico-familiari e la loro sostituzione con quelli
·
territoriali annullò la ragione d'esistere degli eroi-dèi.
227
CAPITOLO X
IL RITUALE
Le religioni celtiche erano basate sui sacrifici, i cui rituali, pmtroppo,
sono poco noti. I sacrifici erano cruenti e incruenti; questi ultimi consi
stevano nell' offerta di primizie. Gli antichi storici raccontano di sacrifici
umani presso i Galli e di massacri di prigionieri dal carattere sacrificale.
Sono invece molto rare, per l'Irlanda, le menzioni di sacrifici umani: si
potrebbe citare il sacrificio dei neonati all'idolo Crom Cruaich. ' 2'1 Il ri
tuale dei sacrifici comprendeva, presso i Celti, la sostituzione delle vitti
me, come dimostra la storia della dea Becuma, moglie di un re d'Irlan
da, la cui sfortuna era per il paese causa di sterilità. Era necessario espia
re con il sacrificio d'un bambino figlio di una vergine; ma la madre ot
tenne che al posto del bambino si immolasse una vacca, e il sacrificio eb
be il suo effetto. A leggere la lunga lista degli eroi morti commemorati
nelle feste, non si può fare a meno di pensare che le leggende siano sta
te precedute da miti di sacrifici divini rinnovati sotto l 'aspetto di \ittime
umane, animali e vegetali. Le storie delle case bruciate o di eroi arsi nel
le loro case nel giorno della festa si riferiscono allo stesso ordine di avve
nimenti. I sacrifici delle feste, che comparivano anche sotto altre forme,
come giochi, corse, in cui il vincitore moriva o era la vittima, erano sacri
fici agresti fatti allo scopo di difendere la vita della natura e assicurare la
fertilità dei campi.
I l sacrificio restava in primo piano nella religione celtica, ma il po
tere della formula, d eli 'incantesimo, anche del semplice poema usato
dall'uomo di potere, druida, o file, crebbe col tempo. Le religioni dei
Celti delle Isole in particolare si distinguevano per lo spazio riservato al
mago: presso i Bretoni, Merlino e Taliessino erano eroi famosi. Con lo
ro il potere scivolò nell' orbita della magia.
LE RAPPRFSENTAZIONI
Le immagini delle divinità puramente celtiche a noi pervenute so
no piu ttosto rare: qualche bronzo, qualche moneta; il calderone di
Gundestrup, conservato nel museo di Copenaghen, in cui sono ripro
dotti il dio con le corna, quello con la ruota, il dio con la mazzuola, il
228
L\ RELIGIONE DEl CELTI E IL SACERDOZIO DEl DRUIDI
tricefalo, il serpente dalla testa di ariete, la matrona Epona, e altri. Ci
rimangono, al contrario, molte sculture d'epoca gallo-romana che rap
presentano le stesse divinità e altre identificate più o meno bene.
LA MITOLOGIA
I Celti avevano una mitologia ricca e varia, meglio conservata pres
so i Gaeli e i Gallesi che presso i Galli, a noi tramandata da brani epici
basati su canovacci i quali costituivano il bagaglio comune dei cantori
professionali, da tradizioni locali che diedero origine in Irlanda alla let
teratura dei dinnsenchas, o tradizioni dei luoghi, e infine da una serie di
allusioni contenute nelle elencazioni costituenti le triadi gallesi. Tali
elementi sono quasi tutti inseriti in cicli: i n I rlanda, il ciclo mitologico,
il ciclo deii'Ulster, di Finn o degli eroi di Leinster; nel Galles, il ciclo
mitologico e il ciclo di Artù. In quei cicli si fa la storia delle famiglie di
vi ne: dei Fomoire e dei Tuatha Dé Danann in Irlanda, e di quelle di
Pwyll, Don e Bei l in Galles. Molte di tali tradizioni raccontano l'origine
delle grandi feste, e il numero delle varianti dimostra quanto esse fosse
ro vive. Tutta una serie di miti sulle origini era legata ai san tuari e alle
festività.
Un gruppo consistente è costituito da racconti che narrano un viag
gio nel paese dei beati o dei morti. Un eroe, che sia Bran, figlio di Fe
bal, o Cucchulainn, o Connla, oppure Oisin, attratto da una misteriosa
bellezza, parte su una barca magica, sovente di bronzo, incontra Ma
nannan, dio del mare e dei morti, sia in viaggio, sia all' arrivo in un pae
se meraviglioso dove viene accolto a braccia aperte. Alla fine, stanco
del soggiorno, ritorna in patria dove muore. Tale genere di narrazione
proseguì con la letteratura di viaggi cristiana di Malduino o di san Bren
dano, 1211 visitatori di isole meravigliose.
Racconti di un altro genere narrano la discesa degli eroi nel mondo
sotterraneo: Conn penetrò in un sidh o tumulo di Tara, come si raccon
ta ne "L'Estasi del Campione", e rese visita al dio Lug. Una discesa a
Cruachan è descritta nel prologo della Tain intitolata "La spedizione di
Nera nell'altro mondo". Una terza serie di raccon ti ci ha trasmesso la
229
CAPITOLO X
versione del Purgatorio di san Patrizio. L'eroe discende in una caverna
che è un vero santuario; vi si addormenta e ha la rivelazione delle pro
ve del Purgatorio. È probabile che in tali leggende si celi il mito d'una
iniziazione. Infine una quarta serie comprende gli attacchi contro l'al
tro mondo, vere e proprie razzie il cui scopo era quello di portar via og
getti meravigliosi come il calderone inesauribile conquistato due volte
da Cuchulainn. Un calderone dello stesso genere viene rubato nelle
leggende gallesi da Pwyll e Artù;12;1 Pwyll riporta dall 'in cursione la prati
ca di allevare maiali che gli sono contesi da un'altra famiglia di dèi,
quella di Gwynn. Si tratta, nella fattispecie, di miti di eroi civilizzatori
che ricoprivano nello stesso tempo i ruoli di divinità agresti e di re dei
morti. Tutti questi racconti facevano parte di un ciclo più vasto che po
trebbe chiamarsi ciclo dei miti della morte, nei quali l ' origine stessa
della razza è ricollegata al mondo dei morti attraverso un processo con
tinuo di scambi tra quel mondo e quello dei vivi.
Tutta la mitologia celtica è di carattere eroico, in quanto i Celti, dai
loro dèi, hanno fatto discendere gli eroi e gli antenati dei clan e delle
famiglie. Nella vita degli eroi rappresentarono la condizione del loro
popolo e l 'essenza delle loro tradizioni religiose: indipendentemente
da quanto pensano numerosi studiosi moderni che si sono dedicati allo
studio del ciclo arturiano. Quest'ultimo affonda le radici nello stesso
humus e nella stessa tradizione degli altri cicli eroici del mondo celtico.
Artù e i suoi compagni vivono le stesse avventure e compiono le stesse
imprese e le stesse ricerche di Fin n e delle sue fianna, o degli altri eroi
celtici. E proprio grazie agli eroi si è conservata e trasmessa la tradizio
ne degli dèi celtici.
230
C�I'ITOI.o XI
LA VITA SOCIALE DEI CELTI
Per avere un 'idea di come vivessero i Celti è sufficiente analizzare
l'ambiente e il paesaggio in cui vissero. Mancavano, nella Gallia, i lun
ghi filari di pioppi che danno oggi alla Francia un aspetto unitario, ma
la fisionomia d'un paese coltivato - e quelli celtici lo erano - emerge so
prattutto dalla configurazione dei campi, a sua volta conseguenza della
concezione della proprietà fondiaria. Il diritto lascia la sua traccia sul
suolo e i Celti avevan o un sistema di misurazione del terreno, in Irlan
da e in Gallia,111 per il quale usavano l'arpento (arepennum) e la lega
(leuga) , esistenti ancora oggi. Gli agenti del fisco romano, nel creare i l
catasto, adottarono i termini gallici. D u e sono i tipi di campi esistenti
tuttora in Francia che possiamo far risalire ai Celti: il campo chiuso e
quello aperto. Al primo appartengono i campi recintati, al secondo le
pianure e le colline sulla cui superficie indivisa si alternano fasce di di
verso colore a causa delle diverse colture. Troviamo campi del primo ti
po in Irlanda, nel Galles, in I nghilterra, in Bretagna, nella Vandea, nel
la Francia occidentale e in una parte del nord-ovest della Germania;
quelli del secondo tipo prevalgono al nord della Senna fino al Reno. I
campi recintati derivavano dall 'insediamento di gruppi familiari isolati
e da beni di famiglia, quelli aperti dall'esistenza di comunità contadine
che sfruttavano secondo regole stabilite dal villaggio, in particolare per
le rotazion i, con divisioni possibili, un terreno posseduto in comunio
ne. Presso i Celti erano in uso i due sistemi: l'area d ' estensione del pri
mo corrisponde ai loro più antichi insediamenti in Gallia e nelle Isole;
quella del secondo ai loro ultimi stanziamenti in Gallia e lungo il Reno.
231
CAPITOLO Xl
Tracce di colture preistoriche sono state rinvenute nelle foreste, at
torno a insediamenti hallstattiani. Si tratta di campi paralleli, in rilievo,
simili alle aiuole degli orti, probabilmente dissodati con vanga o zappa;
sono quelli che gli archeologi tedeschi defin iscono Hochdckn, ossia
campi alti. I n genere le colture scesero verso la pianura a spese delle
paludi e delle foreste paludose. Il disboscamento si è esteso nelle valli e
la foresta ha riconqu istato le alture, ma l'assetto generale, rispetto ai
tempi di Cesare, è mutato poco. La popolazione gallica descritta da Po
libio viveva sparsa sui campi, soprattutto in quella regione ove predomi
nava il regime dei campi aperti, o si disperdeva durante la stagione dei
pascoli. Così il villaggio gallico era costituito da un piccolo raggruppa
mento di capanne, disposte attorno alla casa di un nobile, che accoglie
vano parenti lontani o servi tori: era una villa simile a quella gallo-roma
na da cui hanno origine gli odierni villaggi francesi. E in Gallia vi erano
anche agglomerati più grandi la cui importanza è per altro dimostrata
dalla presenza di cimiteri.'21
Accanto agli insediamenti privi di mura i Celti ne avevano altri forti
ficati: l' Irlanda era costellata di piccole fortezze, costruite sulle alture,
chiamate mlhs o rluns, alle quali si riferisce il nome delle famiglie epi
che: erano fortezze private, ma anche rifugi. Nelle pianure m·e gli Ir
landesi tenevano le assemblee, i raths venirano occupati temporan ea
mente, ma in Gallia, paese più evoluto, si tendeva a risiedervi: a Gergo
via la nobiltà arverna aveva le sue residenze, come la nobiltà francese di
provincia aveva i suoi palazzi nelle città in cui aveva degli interessi. In
Gallia la città si sviluppò attorno all ' oppidum, e giunse ad avere una pe
riferia. L' opjJidum gallico era all'in izio un capoluogo di civitas o di pa
gus,131 ma certi oppida conservarono il loro carattere di piazzeforti. L' op
pidwn era edificato generalmente su alture isolate con un ampio oriz
zonte intorno, a volte (a Lutezia e a Melun) su isole facili da difendere.
I n funzione della sicurezza, i Celti ripristinarono alla fin e dell 'epoca di
La Tène l' antica tradizione delle palafitte; un esempio ci è offerto dal
villaggio lacustre di Glastonbury, diventato oggetto di scavi. Ora si eb
bero costruzioni su palafi tte, ora isole artificiali costruite riempiendo di
pietre un riquadro delimitato da pareti di legno.
Eccetto alcune case in pietra alla maniera dei Romani, che sono sta-
232
LA VITA SOCIALE DEl CELTI
te rinvenute sul monte Beuvray, in genere le costruzioni di città o di
campagna erano coperte di paglia e costruite in legno, e potevano ave
re forma rotonda o quadrangolare. Nel primo secolo a.C. la struttura
in legno era inchiodata, le pareti di rami intrecciati, ricoperti di uno
strato d 'argilla. La fattoria era più un raggruppamento di capanne che
un grande casolare. I Celti immagazzinavano le prowiste in sili, diven
tati in seguito cantine in muratura, ma nello stesso tempo hanno edifi
cato costruzioni in pietra a secco delle quali si trovano diversi esempla
ri in Irlanda e in Scozia; esse hanno muri a doppio paramano riempiti
di pietrisco, il cui tetto è costituito da volte ad aggetto. Essi costruivano
anche piccole capan ne circolari a nido d'ape, cappelle quadrangolari,
gallerie e posti di guardia nei duns irlandesi, e infine, in Scozia, i brochs,
torri circolari con u n cortile al centro, con scale addossate ai muri in
terni, gallerie e camere a volta.
Nodi stradali univano gli insediamenti; le popolazion i si stabilivano
lungo il corso d'un fiume e, una volta insediate, si associavano in vista
del l ibero transito o della riscossione del pedaggio, come fecero i Seno
n i con i Parisi e gli Edui. Le fortezze venivano edificate sulle penisole.
Sulle vie naturali, delle quali alcune erano internazionali, come quella
dello stagno, si effettuavano lavori. V'erano guadi, ponti, porti ai quali
facevano capo le piste, eh' erano protette con dighe nelle zone paludo
se. Così si incise sul territorio la vita delle società celtiche, che si svi
luppò lungo vie di comun icazione costituenti le vene e il sistema nervo
so degli insediamenti umani.1'1
LA DMSIONE DEL TEMPO
I movimenti di tale vita erano inseriti nell'anno, ritmati dalle occu
pazioni stagionali, dalle date delle assemblee e dal ciclo dei mesi. Il ca
lendario di Coligny ci di mostra come al calendario stagionale, che pare
fosse quello popolare dell 'Europa settentrionale, i Celti ne avessero so
vrapposto, all'inizio, uno lunare, poi accordato, per mezzo di intercala
zioni, al corso del sole. I mesi rimasero legati ai cicli lunari, ma con lu
nazioni sfalsate; la configurazione interna dei mesi era stata modellata,
come sembrerebbe, su un altro principio, che divideva l'anno in due
CAPITOLO XI
semestri e le stagioni in due parti. I Celti adottarono la quindicina che
ci hanno tramandato; divisero i mesi in due metà indicate approssima
tivamente dal sorgere della luna piena; nel calendario di Coligny la se
conda metà è indicata col nome atenous (in gallese atnugud , rin nova
mento?) . L'espressi one irlandese: le tre quindicine, per u n verso dimo
stra che la quindicina era u n 'unità di misura e, per l'altro, che il siste
ma delle mezze stagioni di quarantacinque giorni sussisteva accanto a
quello della divisione per mesi.
I Celti calcolavano il tempo in base a lune e a notti, e sembra anche
che l'anno irlandese cominciasse con la sua metà buia, co11 la festa di
Samhain (primo novembre) . Il calendario di Coligny forse indica l'ini
zio dell'anno fra maggio o giugno, ma si sa che in tutta l'Europa del
nord si oscillava, come punto di partenza dell'anno, tra le feste di pri
mavera e quelle dell'autunno.
In generale, tutto ciò che era sottoposto a calcolo nella vita sociale,
tutto ciò che si ripeteva o si divideva, per i Celti era ordinato secondo
una legge numerica e numeri privilegiati: periodi di tre e nove notti, cicli
di tre e sette anni, divisioni in due, tre, dodici e soprattutto quattro parti.
LE AITMTÀ SOCWJ
LE TECNICHE
Le letterature celtiche ci presentano un quadro d' insieme dell' atti
vità produttiva dei Celti piuttosto vivace. Il Mabinogion di Manawyd
dan, figlio di Lir,';) è particolarmente ricco d'informazioni sui mestieri
praticati nelle borgate e nei villaggi. Manawyddan, dio del mare, e Pry
deri, figlio di Pwyll, i soli sopravvissuti a u n 'ecatombe di dèi, si ritiraro
no nel Dyved; ma un giorno un prodigio trasformò il paese in deserto,
costriBgeBdoli a partire. Si stabilirono allora a Hereford dove aprirono
un laboratorio di sellai e si affermarono a tal punto da sottrarre il lavo
ro a tutti quelli della città, i quali complottarono per ucciderli. I due
eroi andarono a cercar fortuna altrove, dive11tando costruttori di scudi,
ed ebbero una sorte simile. In una terza città diventarono calzolai e si
misero in società con un orefice dal quale Manawyddan apprese il me-
234
LA VITA SOCIALE DEI CELTI
stiere, ma dovettero fuggire ancora una volta. Le mitologie celtiche an
noverano altri dèi i ndustriosi,";1 personaggi dotati di utensili meraviglio
si o che li fabbricavano. Per quanto riguarda il culto, quegli abili arti
giani erano i protettori dei mestieri raggruppati in corporazioni, simili
a quelle del Medio Evo, altrettanto esclusive e piuttosto restie ad acco
gliere gli estraneiY1
Manawyddan aveva appreso il mestiere di orafo e di calzolaio nel
corso delle sue peregrinazioni, e proprio l'arte degli smalti e delle cal
zature erano due attività nelle quali i Celti eccelsero, e la prima è forse,
tra tutte le produzioni dei Galli, quella che conosciamo meglio. Sul
monte BemTay gli smaltatori e i fabbri avevano installato i loro labora
tori in povere bottegucce dai muri di pietra e dai tetti di paglia. Se le
botteghe erano misere, gli arnesi erano di elevata qualità e la loro spe
cialità che, come sembra, era la fabbricazione di bottoni in bronzo smal
tato,'�1 doveva avere un notevole smercio, specialmente nelle fiere di Bi
bracte.
Nelle regioni minerarie sono stati scoperti altri insediamenti indu
striali, isolati, ma riuniti per regioni: sono i laboratori fortificati dei ca
stelli, ingombri di montagne di scorie provenienti dalle ferriere.191
La fabbricazione e la decorazione degli oggetti in metallo sembra
fossero praticate industrialmente dai Celti. La storia dell'elvezio Elica
ne dimostra che essi raggiunsero presto la fama di maestri in quell'arte.
I Celti esportavano sino in Germania i loro lingotti di ferro grezzo. Pa
re che le loro tecniche nel trattamento del minerale, nella preparazio
ne delle diverse qualità di metallo, fossero altrettanto sofisticate e per
fezionate di quelle in uso presso le altre società antiche che lavoravan o
i l metallo. L a letteratura irlandese ci ha fornito magnifiche descrizioni
delle armi dei guerrieri e dagli scavi sono emersi esemplari che docu
mentano una tecnica e un gusto assai avanzati (elmi di Amfreville, della
Gorge-Meillet, del Berru, scudi di Battersea e del Tamigi) . Tutte le tec
niche che potevano essere usate per la decorazione del metallo - indo
ratura, smalta tura, incisioni con pun ta e ad acquaforte - venivano utiliz
zate dai Celti. Tali procedimenti, dei quali divinità come Manawyddan
potevano appropriarsi molto rapidamente, comportavano, per gli uo
mini, una iniziazione professionale e tradizioni del mestiere.
235
CAPITOLO Xl
L'arte delle calzature sembra essere stata, anch'essa, uno dei mestie
ri che maggiormente ispirarono l'immaginazione dei Celti, poiché per
fino gli dèi vi eccelsero. I calzolai gallici, che imposero al mondo roma
no la moda della caliga, lo stivale celtico, erano sicuramente più bravi
degli altri. Le stoffe dei tessitori ebbero identico successo, ma n o n si sa
ancora quali fossero gli indumenti di lana e di tela che la Gallia vende
va all'Italia.
Accanto alle industrie del metallo, del cuoio, della lana o del lino,
bisogna concedere ancora ampio spazio a quelle dei calderai e dei bot
tai, se si vuole compiutamente indicare quali fossero i mestieri praticati
dai Celti nell' ambito delle antiche attività umane. I Galli non furono
soltanto esperti cavalieri, molto attenti all 'equipaggiamento delle loro
cavalcature, ma contribuirono anche, più di ogni altro popolo dell 'Eu
ropa, all'uso del cavallo imbrigliato. Inventarono un carro da guerra,
l' essedum; le loro carrozze, il rarpentum, il pesante carro da viaggio, la
therla, il cisswn, il calesse a due ruote, vennero adottati dai Latini che ne
conservarono i nomi. Di tutti quei veicoli ci restano soltanto immagini
e quantità considerevoli di pezzi di ferro la cui complessità documenta
le mille e una invenzioni.
L'arte dei bottai gallici, dei quali ci rimangono botti intere, e quella
dei fabbricanti di utensili in legno, di cui sono restati soltanto frammen
t i insignificanti, erano attività artigianali prospere nell'an tichità in tutti i
paesi del nord Europa, ove gli uomini disponevano di una materia pri
ma, il legno, così abbondante da poterlo scegliere secondo le sue intrin
seche qualità. I l contributo dato in questo settore dai Celti è dimostrato
dal nome della botte, che sembra desunto dalle lingue celtiche _ l i'))
I Celti non solo produssero oggetti originali in legno, altri con smal
ti singolari, e fabbricarono carri diversi, ma crearono anche utensili di
versi dei quali non conosciamo i più complicati. n 1 ' L'attrezzatura agri
cola deve loro un certo numero di scoperte, come la grande falce per il
fieno, alcuni tipi di erpice, il grande aratro, e anche una mietitrice. Nel
la produzione in legno e in quella metallurgica non vanno dimenticati
il setaccio in legno e la cotta di maglia.' 1�1 Pertanto i Celti non solo uti
lizzarono con abilità la maggior parte delle tecn iche industriali degli
antichi, ma vi apportarono anche un 'originalità e uno spirito inventivo
lA VITA SOCIALE DEl CELTI
che si spiega soltanto i n virtù del grande ruolo ricoperto dall 'industria
nella vita sociale, sia per le necessità che soddifaceva, sia per le qualità
di coloro che se ne occupavano.
L'ARTE CELTICA
L'arte dei Celti, in genere, era puramente decorativa e le decorazio
ni dei vari manufatti, ad eccezione di alcuni destinati a uso religioso,
come il calderone di Gudenstrup, il dio di Bouray, quello di Stoccarda,
non erano né figurative né simboliche. Si trattava, in linea di massima,
di ornamenti geometrici privi di carattere rituale, fogliami stilizzati, ra
cemi, ecc. Ma a tutti gli oggetti fabbricati da loro, compresa la più mo
derna fibula, i Celti seppero sempre dare forma artistica. La spada me
no decorata aveva un fodero e decorati erano gli scudi, gli elmi, le ter
recotte. Gli artigiani celtici avevano il culto della bellezza e fra gli orna
menti preferivano quelli curvilinei, per i quali si ispiravano agli ele
menti della palmetta greca.
Agli artisti gallici o irlandesi mancava il gusto del realismo. Nella
stele di Entremont, infatti, il monumento fra tutti quelli della Gallia in
dipendente in cui, del resto sotto l'influsso dei Greci, le forme umane e
animali sono trattate con il massimo di libertà, sono rappresentati dei
cavalieri incorniciati da un racemo decorativo, men tre le figure esterne
del calderone di Gundestrup sono totalmente decorative. Gli artisti cel
tici amavano in particolare i bossorilievi, dove seppero mantenere un
giusto equilibrio dei chiaroscuri nei motivi, e tra gli sfondi e i motivi or
n amentali che vi si stagliano. Nella Gallia romana gli artisti fusero nel
bronzo o scolpirono nella pietra figure umane alla maniera romana,
dando prova di notevole abilità. I Celti ebbero sempre il gusto per le
belle armi, i bei gioielli, i bei vestiti dai colori accesi. La loro arte deco
rativa era pregevole, ma non incisiva, mentre il gen io celtico si sarebbe
sviluppato i n un ' altra forma d'attività estetica: la letteratura.
LA LETTERATURA CELTICA
Non è facile avere una visione complessiva della letteratura dei Celti
perché essa si desume soltanto dai monumenti che ci sono pervenuti
dalla Celtica insulare. Le forme e gli stili della loro produzione lettera-
237
CAPITOLO XI
ria sono così mutevoli che appare azzardato tentare di ricostruire una
letteratura tramite un'altra posteriore di qualche secolo, anche se pro
viene da un popolo dello stesso ceppo.
La prima incognita del problema è la mancanza di qualsiasi riferi
mento positim sulla letteratura dei Galli continentali che erano dei
grandi conversatori e si in teressavano dei problemi spirituali. Uomini
come Deiotaro e Diviziaco colpirono, per la loro cultura, l 'élite degli
intellettuali romani, mentre i druidi godevano della reputazione di filo
sofi, e Galli come Vercingetorige died ero prova di una in telligenza
aperta e acuta nel campo politico. I nfine la Gallia romanizzata fornì,
fin dall 'inizio, tanti professori, grandi awocati, eminenti amministrato
ri, per cui occorre supporre una preparazione anteriore alla venuta dei
Romani. Anche la Gallia ebbe i suoi vati e i suoi poeti epici come Ambi
gato, di cui Tito Livio ci ha tramandato il frammento d'una storia delle
origini della razza che doveva essere l'equivalente della storia sulle ori
gini contenuta nel Lmbhar na Gnbhala, ma tale tradizione era quella di
una società, al momento della conquista romana, in via di dissolvimen
to. La società gallica era in effetti già divisa in due parti: una nobiltà
che stava al vertice di un popolo sottomesso, e ciò facilitò l'abbandono
e la perdita della tradizione nazionale.
L'Irlanda, dal canto suo, subì un'evoluzione analoga. Nel VII secolo
d.C. la sua letteratura era caduta un po' nell'oblìo, forse screditata dal
cristianesimo o da esso soppiantata. Le grandi storie della Chiesa e so
prattutto l ' agiografia fornivano agli I rlandesi, da poco convertiti, un
elemento nuovo che li intrigava, anche se non mancarono gli sforzi per
salvare la tradizione. Tale fu soprattutto il compito della corporazione
dei filid, impegnati a conservare i racconti popolari: il loro capo Sen
chan Torpeist, che visse ai tempi del re di Connaught Guaire Aidne
(morto nel 659 d.C. ) , si sforzò di riunire i frammenti della Tain. Una
leggenda docu menta le difficoltà dell 'impresa: il figlio di Sench a n ,
Muirgen, avrebbe evocato l ' anima dell'eroe Fergus. Così la trad izione,
rinverdita, non si perdette più e il cristianesimo, che aveva stretto al
leanza con i filid, la conservò.
I Britanni avevano distrutto tutte le loro tradizioni e si erano roma
n izzati. I Mabinogion, che costituivano la parte più antica della tradizio-
238
L\ VITA SOCIALE DEl CELTI
ne gallese, potevano risalire solo in minima parte al periodo che prece
dette la conquista della costa occidentale della Gran Bretagna da parte
degli Irlandesi, sicché essi contengono una grande quantità di materia
le irlandese. Per quanto riguarda il resto della tradizione che ruota at
torno alla figura di Artù, essa risalirebbe alla conquista sassone, se. è ve
ro che Artù era un personaggio storico diventato eroe nazionale. I n ef
fetti questo nuovo ciclo contiene ancora allusioni, nomi isolati, temi
mitici e alcuni resti d'una storia più antica salvata, in questo caso, dai
conquistatori, soprattutto dai Normanni, che inserirono nella letteratu
ra la storia dell'eroe dei vinti. l Gallesi ricostituirono la loro letteratura,
gli Irlandesi la ritrovarono, ma quella dei Galli andò perduta, poiché
non sono pervenute le parti essenziali e più antiche.
La seconda incognita del problema è quella che si potrebbe defini
re letteratura drammatica. Che le feste, in Gallia, prevedessero delle
rappresentazioni drammatiche è dimostrato dalla creazione, sin dai pri
mi lustri dell'impero, di un numero considerevole di teatri e di arene:
gli uni situati in luoghi ch 'erano meta di pellegri n aggi, come Saint-Cy
bard d'Aixe e Champlieu; le altre troppo grandi per le città in cui sor
gevano e che potevano essere riempite soltanto dalle folle ivi richiama
te dai giochi.
È parimenti accertato che le feste irlandesi prevedevano rappresen
tazioni di carattere drammatico, in cui si commemoravano le gesta de
gli eroi leggendari. Ma di tali opere teatrali non abbiamo la minima tra
ma, e pertanto tutto quel settore dell'attività creativa dei Celti ci sfugge.
Dobbiamo così accontentarci di ciò che ci offrono le letterature irlan
dese e gallese. Quella irlandese, in particolare, pur avendo assunto una
forma scritta nel VII secolo d.C., al più presto, contiene elementi anti
chi, sovente difficili da capire, ma ci può fornire un 'idea del passato.1 1l1
In linea di massima essa comprende canzoni di gesta in prosa mista
a versi di argomento epico o mitologico. In Irlanda le canzoni erano
classificate, catalogate e intitolate per categoria, e potevano celebrare la
conquista di città, le casate, i festini (come quello di Briccriu) , oppure
descrivere battaglie ( Cath Muighe Tuired) , parlare di giovani amanti
( Tochmarc Emere, Toclnnarc Etaine) , e di razzie ( Tain) ; al tre descrivevano
rapimenti (come la storia di Grainne) o di viaggi nell 'altro mondo (co-
239
CAPITOLO XI
me il viaggio di Bran ) . Tali racconti erano ripartiti in tre cicli: uno mi
tologico e due eroici, quelli deii'Uister e del Leinster.
Il ciclo mitologico è costituito dalla storia degli dèi e delle invasioni
che si erano susseguite in Irlanda. Le versioni a noi pervenute hanno
subito delle manipolazioni, una delle quali è l ' inserimento di gran par
te di tali racconti nel libro delle invasioni, Leabhar na Gabhala, rifaci
mento operato da O ' Ciery nel l 6 3 1 .
Cuchalainn e i l re Conchobar sono gli eroi del ciclo d i Ulster, i l cui
racconto più importante è la Tain Bo Cuailnge, composto da più di sei
mila versi. In esso si narra di una spaventosa guerra tra gli eroi deii 'UI
ster e il resto dell'Irlanda, condotta dalla regina Medb e provocata dal
rapimento di un toro meraviglioso. Numerosi frammenti celebri perve
nuti isolati si collegano a quell 'epopea centrale: per esempio la nascita
di Conch obar, il concepimento di Cuchulainn, la sua malattia, la sua
storia d ' amore con la dea Fand, la storia dell 'intossicazione degli Ulati
che costrinse Cuchulainn a difendere da solo I ' Uister per alcuni giorni.
Si tratta della parte più antica del ciclo epico, che è stato rimaneggiato
al punto che gli an nalisti situavano il re Conchobar verso l ' in izio dell'e
ra cristiana.
Il ciclo di Leinster è quello relativo a Finn; prende anche nome di
ciclo Ossianico; si riferisce a Finn, a suo figlio Oisin o Ossian, alla loro
famiglia e ai loro compagni, le Fianna. Esso è rappresentato negli anti
chi manoscritti da un numero limitato di racconti completi, e soprat
tutto da allusioni ed elencazioni di trame di racconti che documentano
l 'esistenza degli elementi esse nziali del ciclo verso il VII secolo d.C.
Fin n è situato dagli annalisti nel 200 dopo Cristo, ma tale collocazione,
fatta molto tempo dopo, non ha molto significato. Tuttavia il ciclo sem
brerebbe corrispondere, nella sua forma primitiva, a un stadio di civiltà
e di organizzazione sociale risalente pressappoco a tale epoca. Sviluppa
tosi più tardi del ciclo di Ulster, non ha mai cessato d 'essere presente
nel folklore dell 'Irlanda e della Scozia gaelica. Le sue origini sono anti
chissime e verosimilmente Finn era un dio cacciatore, in particolare di
cinghiali, come i tipici eroi dei Celti; era anche definito il biondo, pro
veniva dalla famiglia degli dèi della morte, ed era identico all'eroe gal
lese Gwynn . Ma tale ciclo non raggiunse la compattezza del ciclo di Ul-
240
LA VITA SOCIALE DEI CELTI
ster benché fosse il ciclo e p ico delle jiannas, le tru ppe mercenarie del
l'Irlanda, e fosse stato adottato dai poeti e dai cantori po polari.
Il com ponimento princi pale e p iù prezioso della letteratura gallese
è costituito dalla raccolta di racconti ep ici detti Mabinogion, il cui nome
de riva da Mabinogi che in gallese significa giovane, o a pp rendista lette
rato. Quattro di tali racconti, dedicati al "tirocinio letterario" meritano
p iù degli altri il nome di Mabinogi; il Libro Rosso d i Carmarthen li defi
nisce i quattro rami del Mabinogi. Si tratta di una mitologia eroicizzata,
n u trita di leggende del sud del Galles. Il p rimo narra la storia di Pwyll,
p rinci pe di Dyved e dio dei morti; il secondo, quella del matrimonio di
Branwen , figlia di Ler, dio del mare, con un re dell'Irlanda; il terzo, il
cui eroeè Manawyddan, figlio dello stesso Ler, continua i p recedenti; il
quarto è riferito a Math, figlio di Mathonwy. Altri cinque racconti a p
partengono al ciclo di Artù, ma tre di essi derivano dai p rimi poemi
francesi della Tavola Rotonda; ' "' un altro, intitolato Kulhwch e Olwen,
è d 'is pirazione gallese, gli ultimi due sono il sogno di Maxen, o Marco
Aurelio Valeria Massenzio, e un racconto mitologico chiamato Lludd e
Lleweylis, do pp ione della storia di Manawyddan.
I grandi manoscritti gallesi contengono inoltre poemi, di cui molti
antichissimi, attribuiti a quattro bardi, Aneurin, Taliesin, Myrddin (il
mago Merlino) e Llywarch Hen.
A tutta questa letteratura romanzesca e poetica occorre aggiunger
ne un'altra che potremmo chiamare gnomica, in I rlanda ra pp resentata
da quella degli accallamh, dialoghi o colloqui, come i dialoghi di Oisin
e san Patrizio, dei vegliardi, dei due saggi, che si collegano al ciclo ro
manzesco. Nel Galles, la letteratura delle Triadi ci fornisce, sotto forma
gnomica, enumerazioni di allusioni. In entrambi i p aesi, poi, fiorirono
gli annali e in I rlanda si svilu pp ò una letteratura dei dizionari e delle
raccolte di tradizio ni locali e di etimologie (Dindsenchas) , oltre, ben
s'intende, quella cristiana.
Un fatto va sottolineato. I cicli d ' Ulster e di Leinster, che sono so
p rawissuti, erano costituiti dalle tradizioni di quei regni dell ' I rlanda
che ebbero minor successo politico, a spese dei quali gli altri si estese
ro, considerandoli, a volte, abitati da stranieri; in verità ciò che ci è per
venuto è una tradizione intertribale, dimentica delle lotte intestine; le
241
CAPITOLO XI
scelte delle narrazioni sono state fatte secondo criteri estetici. Lo stesso
dicasi per il Galles dove le tradizioni del Dyved, regione conquistata, si
sono conservate con maggiore n itidezza. E infatti quelle letterature era
no già nazionali.
Partendo da tali dati, possiamo individuare, in una certa misura, i
tratti comu ni delle antiche letterature celtiche e i caratteri distintivi
dell'attività intellettuale dei Celti.
La letteratura dei Galli era orale, al pari di quella degli Irlandesi e
dei Gallesi, e ogni letteratura orale è una parafrasi di temi e di centoni
conosciuti. E poiché la memoria, anche la migliore, non ha una capa
cità illimitata, quei racconti non erano numerosi. La letteratura popola
re è povera, nonostante le numerose storie folkloristiche, e quella orale
ha le sue stesse caratteristiche, per cui presenta scarse varietà. In I rlan
da, il capo dei filid, l' ollamh doveva conoscere trecentocinquanta storie,
di cui duecentocinquanta lunghe e cento corte, come documentano i
cataloghi relativi al sapere dei filid. Sembra che il testo in prosa delle ge
sta irlandesi fosse un canovaccio il quale consen tiva il libero intervento
della fantasia, mentre le parti in versi erano il risultato del processo di
codificazione, e in genere si trattava di pezzi di bravura. La tradizione
orale tuttavia continuò anche dopo che gli eruditi diedero forma fissa
ai testi. Alcuni brani fra i più noti e i più commoventi della leggenda
eroica o del ciclo mitologico, ai quali i testi antichi alludono soltanto,
furono sviluppati solo in poemi del XVII o del XVIII secolo: tale è la
storia dei figli di Ler mutati in cigni dalla matrigna. Si può dire, sotto
questo pun to di vista, che Macpherson rimase dentro la tradizione celti
ca, prendendosi soltanto qualche libertà in più dei curatori ordinari.
Quella celtica era essenzialmente una letteratura poetica: a quanto
pare gli .Irlandesi furono gli inventori della rima.��''1 Gli attori celtici ag
giungevano al verso la musica come i trovatori del Medio Evo, e l ' arpa
era il loro strumento professionale. L'attività letteraria era esercitata da
gruppi di specialisti gerarchizzati. La poesia celtica non era frutto di un
lirismo spontaneo, ma di esercizi minuziosi di letterati un po' pedanti,
e no nostante ciò si diffuse più d'ogni altra. Tutti scrivevano poesie, non
solo gli specialisti, e sovente alcuni dei migliori poeti celtici proveniva
no dal popolo, come è accaduto anche i n tempi recenti. Idemica sorte
242
LA VITA SOCIALE DEl CELTI
toccò alla letteratura romanzesca. Da nessuna parte i racconti orali con
tengono più ricordi della letteratura eroica perché lo scambio fra i due
generi, nei paesi celtici, è stato ed è continuo.
Tale letteratura116) ha un carattere drammatico singolare: non solo i
racconti epici sono interessanti, animati, movimentati, ma anche i loro
protagonisti, come Cuchulainn, Emer, Conchobar, il druida Cathbad
sono figure vive. I Celti hanno fornito alla letteratura universale i mo
delli di Tristano e lsotta, per non parlare di Artù e dei suoi compagni.
La vicenda di Tristano e lsotta è una leggenda carnica che ha il suo
equivalente in quella irlandese di Diarmaid e Grainne: la loro è un 'av
ventura di due amanti travolti dall'amore che fuggono nella foresta do
ve vengono inseguiti da Finn, marito di Grainne. È difficile pensare che
i narratori gallici non avessero la stessa attitudine al racconto dramma
tico dei loro omologhi delle Isole. È sufficiente riflettere sul seguito da
loro avuto nella letteratura francese o franco-latina, in particolare sui
numerosi cronisti che, dopo Gregorio di Tours, passando per i monaci
di Saint-Denis, hanno fatto della storia di Francia il più bel racconto
storico del mondo.
Inoltre, se le letterature celtiche non furono le sole a presentare
eroi immersi, da un lato, nel meraviglioso, e dall'altro legati a una cate
na di fatalità e responsabilità senza fine, per lo meno esse seppero trar
re da questi due elementi effetti estetici incomparabili. Il fantastico è
sempre presente, gli dèi e le fate sono dietro la porta, non si sa mai con
chi si ha a che fare, uomo o spirito; l'uomo è spesso un reincarnato e
accade che se ne ricordi. Il mondo misterioso che fa da sfondo decora
tivo è il mondo dei morti; l'idea della morte domina tutto, e tutto la ri
vela. La letteratura celtica suggerisce il mistero con una rara potenza
d'evocazione. Ed è proprio perché ha in sé un significato nascosto che
assume facilmente toni umoristici. La vena umoristica della letteratura
celtica è presente persino in due delle sue più belle opere antiche: il Fe
stino di Briccriu e Kuhlwch e Olwen.
LA VITA SOCIALE. LA MORALE E L'ONORE
Per concludere, proviamo a raffigurarci i Celti duran te le ore d ' ozio
e in pace, per esempio seduti a tavola in uno di quei banchetti dei quali
243
CAPITOLO XI
abbiamo avuto descrizioni pittoresche per l'Irlanda nel Festino di Bric
criu, e per la Gallia nelle pagine di Ateneo. Siamo avvantaggiati dal fat
to che i Galli sembrarono agli antichi abbastanza p ittoreschi da merita
re una descrizione o un 'immagine. I Galli stavano seduti attorno a un
tavolo rotondo, con il loro capo o l'ospite al centro, a identica distanza
da tutti gli altri. Se gli ospiti erano nobili, prendevano posto con loro,
mentre dietro, gli u n i seduti, gli altri in piedi, secondo il rango e le fun
zioni, stavano scudieri o servitori. In Irlanda, la sistemazione era diver
sa: l 'edificio era quadrangolare e suddiviso in compartimenti, e ognu
no occupava un posto in base a criteri gerarchici. Le donne stavano da
parte, ma sembravano a loro agio. Lo straniero era bene accolto perché
erano ospitali. L'uditorio era pulito e ben vestito. I Celti avevano cura
della loro persona e non avevano paura di farsi il bagno. Erano rasati,
salvo i baffi; i capelli, non molto lunghi, erano rialzati sulla fronte, a
volte tinti, più spesso decolorati; il sapone, sapo, u n ' invenzione celtica,
sen�va allo scopo. Tatuaggi o pitture completavano l 'abbellimento del
la persona.1 1;1 Gli uomini portavano pantaloni, la cui foggia variava a se
conda delle regioni, camicie e mantelli; le calzature erano scarpe e non
sandali, i colori dei vestiti vivaci e vari, in quanto i Galli usavano anche
tessuti simili a quelli scozzesi. Forse forme tribali determinavano la co
lorazione di tali costumi, come avviene ancora ai giorni nostri. Gli uo
mini giravano armati.
L'arredamento era povero: i convitati sedevano per terra su fasci di
canne. Benché le sedie fossero conosciute, erano molto rare. Vi erano
delle tavole basse sulle quali venivano disposte le carni e il pane. Il pa
sto pare fosse composto prevalentemente di carne fra cui non mancava
la cacciagione, che era abbondante poiché la selvaggina non mancava e
i Celti erano abili cacciatori bene equipaggiati, e dotati di cani eccellen
ti. Anche il pesce compariva sulle loro mense. Le carni venivano arro
stite in spiedi e distribuite sulle tavole, o bollite e attinte dai paioli con
ganci di ferro.11�1 I Celti cucinavano anche la carne in stufato su pietre
collocate in buche scavate nel terreno. A tale menù aggiungevano del
"porridge", minestra d'avena o d'orzo. Stando alla testimonianza di Po
sidonio, i Galli pren devano la carne con le mani e vi affondavano i den
ti; di tanto in tanto usavano un coltellino per tagliare un tendine o
244
L\ VITA SOCIALE DEI CELTI
un 'articolazione particolarmente resistente. I pasti erano annaffiati con
birra o vino che, nei tempi più remoti, arrivava dali ' I talia o dalla Grecia
in anfore; lo si beveva alla greca con il rituale complicato dei bevitori
greci. Più tardi i Galli produssero il vino da soli e l' esportarono. La bir
ra era fabbricata con il grano o con l'orzo; vi venivano mischiate delle
erbe per darle sapore. Si beveva fresca, subito dopo essere stata prodot
ta. Oltre alla birra si consumava l' idromele.
I convitati bevevano molto e gli animi si riscaldavano. L'ebbrezza
era uno dei vizi dei Celti e sovente le riunioni finivano male perché ave
vano le armi a portata di mano. Ma le occasioni di lite si presentavano
già all'inizio del pasto. Vi era una gerarchia di bocconi che corrispon
deva alla gerarchia delle persone e nessuno avrebbe accettato di essere
servito senza tener conto del suo diritto; un boccone dato alla persona
sbagliata poteva costituire una grave offesa. Molti tuttavia potevano am
bire ai pezzi migliori e non era facile soddisfarli tutti. Briccriu, per in
durre gli eroi ad uccidersi fra loro, l i invitò a un banchetto, durante il
quale sorse il problema di chi avesse diritto al primo boccone, "il boc
cone dell 'eroe". Tutti si alzarono e incominciarono a battersi. Le don
ne presero parte alla mischia, e furono affrontate prove nelle quali Cu
chulainn trionfò. I Celti erano un popolo suscettibile e tale suscettibi
lità veniva alimentata dalla compagnia. Vi si aggiungeva, inoltre, il ri
cordo di vecchie dispute più o meno ben risolte.
Abbiamo scelto questo esempio fra tutti perché i convivi ci presen
tano, sotto forma di spettacolo, il principio dell'onore che regolava la
vita sociale e morale dei Celti. Le caratteristiche morali dei Celti tra
mandate dagli autori greci, la storia di Chininara che getta ai piedi del
marito la testa del centurione da cui è stata violentata, quella di Kamma
che si avvelena col suo persecutore davanti all'altare di Diana, testimo
niano il valore morale dell'onore. I Celti erano cittadini mediocri, e
questo fu il principio della loro debolezza, ma trovarono nella morale
dell'onore un principio di civiltà che non ha smesso di svilupparsi nem
meno dopo la caduta politica delle loro società, ed è stato trasmesso ai
loro discendenti.
245
CONCLUSIONI
Questa è la storia dei Celti, gruppi di tribù ariane che presero co
scienza della loro originalità e percorsero con le loro e migrazioni metà
dell'Europa. Furono vinti e si confusero in nuove nazioni. Nelle Isole
Britanniche resistettero, poi retrocessero. Si ripiegarono su se stessi; fu
rono parzialmente assimilati nell ' I mpero romano. Ciò che soprawisse
alla caduta degli Stati celtici britanni fu assorbito dai Normanni, gli ul
timi Germani a emigrare. Dei Celti resta solo una piccola nazione indo
mabile e vigorosa, ai margini delle loro primitive conquiste, e oltre a
questa, in Scozia, nel Galles, in Bretagna, delle comunità di lingua celti
ca che non si configurano più come nazioni.
247
NoTE
I:>:TRODL'ZIO:'\E
( l ) Per i riferimenti a Esiodo e Strabone vedi: H. D'ARIIOIS Ilt: JL'IIAIVII.I.t:, Coun
de littém tu re reltique, 1 2voli., Paris, 1 883-1 902, Xll. passim; S. DA BISA:'\ZIO, s.u.; per
Narbonne vedi: G. DoTTI:'\, Ma nuel pour wvir à l' étude de l'antiquité celtique, Paris, 2•
ed. 1 9 1 5, p. 298. Vedi i noltre: E. PHII.IPO:-.i, Les Ibères, Paris, 1 909, p. 1 2 1 . In tale opera
l'Autore contesta gli altri passi di Ecateo, in conformità con la sua teoria sugli inse
diamenti dei Liguri e degli Iberi che, a suo dire, avrebbero ocwpato allora la regio
ne di Marsiglia.
(2) Sull' ignoranza geografica dei Greci vedi: A. BERTRA:'\D - S. Rt:IMCH, Les Cel
les da ns ks uallées du Po el du Danube, Paris, 1 894, p. 4; St::>:OFO\Tt:, Cinegetica, 2.
(3) A. S<:H LI.TE!', Numanlia. l. Die Kelt iberer und iltre Kriege mit Rom, Mùnchen,
1 9 1 4, p. 96. l Celti sarebbero già stati segnalati sulle coste della Provenza nell'epoca
di Timeo che ne parla verso il 260 a.C. Infatti è da lui che deriva il seguente passo
delle Storie di Polibio (XIl, 28 a): rroÀI!TI'payJlovfiaat Td At y!iwv lOrJ Kal UÀTwv, ripa &
Tovrott: '1 6Jjpt.lv.
(4) J. LOTH, Les Mabinogion, 2 voli., Paris, 1 9 1 3, l , p. 2 1 0 s.: Il sogno di Maxen
Wledig. Eg l i non era altri che l'usurpatore Massimo che comandava in Britannia sot
to Graziano. Proclamato Augusto nel 383 d.C., fu battuto e ucciso da Teodosio nel
l'agosto del 388.
(5) Baliato o baliaggio (irlandese baih•) : umcio e dignità del bali o del balivo, ma
anche circoscrizione territoriale, limiti della sua giurisdizione.
(6) Arpento (latino areJmmis o arajJennis, irlandese airchen n) : parola gallica che
indica m ezzo iugero. Lega o leuga: misura celtica di 1 .500 passi romani (circa 2.250
metri).
(7) Vedi il monumento di Virecourt, considerato sia romano che gallico.
(8) Per esempio la scuola d'Autun. Vedi: TACITO, flmwli, lll, 43.
Capitolo I
LE ORJ(;J\1 IlEI Ct:I.TI
( l ) G. DoTTI\, Mamtel. . ., ril., p. 12 s.; J. RH\'S, in Celtae and Galli (London,
,
1 905) , ha cercato di spiegare il fenomeno della labializzazione con l'assimilazione
dei Celti continentali da parte dei popoli non ariani. H. D'Arbois ha rifiutato questa
tesi in "Revue celtique", Parigi, 1 89 1 , p. 477.
249
NOTE
(2) Gli archeologi continentali ignorano completamente la distinzione dei due
gruppi di Celti, benché ammettano in linea generale che la Gran Bretagna sia stata
popolata dai Celti molto tempo prima delle migrazioni storiche. U· DEcmJ.ETIE, Ma
mtel d 'arrhfologie préhislo1ique ultique el gallo-romain, 4 voli., Paris, 1 920, Il, 2, p. 573).
Gli st or i c i non dedicano più attenzione, a tale tesi, degli archeologi. C. jl'l.I.IA:\, in
Histoil� de la Gau!R, Paris, 1 920, non se ne preoccupa affatto. Per Niese (PAl'l.Y-Wts
>011'.-\, Rrai-En:iklopiùlie der klass. .4/ln1mul111iHmschaft, Berlino, 1 893 e s. VII . p. Gl i ) la
distinzione tra Go idel i e Bretoni non si avverte che alla fine dell'antich ità.
(3) Sc ri ve J. L oni in "Revue celtique", Paris, 1922, pp. 4 e s., ri fere nd osi all 'o
pera d i E. MAc NEII.l., Plwses of lrish hi!.lory, Dubl i n , 1 9 1 9 : Eoin Mac Neill Ì> un eccel
lente celtista e la sua competenza attribu isce alla sua opin io ne una grande a u to revo
lezza. La su a tesi, ciononostante, è stata accolta con qualche risen·a. In effetti, gl i av
,·cn imt·nti fonetici non hanno un significato etnografico assoluto più di quelli ar
cheol ogici . Il loro valore significativo r isul t a dalle circostanze,. dal contesto, dalle in
dicazioni cronologiche cui si collegano, dal loro ripetersi in condizioni analoghe o
da qualsiasi altro elemento complementare alla loro definizione. E da lì occorrerà
in iziare.
(4) J. L o t h , che ha riunito in un suo lavoro sollecitato dal libro di Eoin Mac
Neill la maggior parte delle motivazioni che inducono a credere che l'insediamento
dei Goideli nelle Isole Britanniche sia stato remotissimo, dichiara tuttavia che la difre
renziazione dei due gruppi di lingue non risale oltre qualche secolo prima della no
stra èra. ("Revue celtique", Paris, 1 920-1 92 1 , p. 282 s.) Nella prefazione al suo \'Ocabo
lario del vecchio britannico, che rimarca la stretta pare n t e l a del gaelico e del britanni
co, spi ega che la loro cliiTerenziazione non doveva risalire che ai p ri mi secoli della no
ma èra, ossia al momento della conquista dei paesi britannici da parte dei Romani.
(:'>) A. Mr.I I J J r . " Ru l le u i n de la Société de li n gui st ique ", Paris, 1 9 1 H . XXI. l .
DI' Ilo stesso: Les dirilerlrl inrlo-mropfms, Paris, 1 922, p. 53; J LoTH, "R evu e ct' l t ique",
Parif(i. 1 9:!0-192 1 , P· z7H. n. l; E. I'Hil.IPI J\, lRs jJPUjJ/es plimilij.l dt / Éu rope 11/Piidimwlt.
l'«ris. i \1�5. p. :!04: J Vt:� Dtm:s, "Revue celtique ", P ari � i . 1 92�. p l ì 4. l i mit a n o il s i
l( l l i l irato d d le similitudini italo-c<'ltiche, esitano a paragonare il d i st acc o dei Coideli
,. q•wllo dei Lll i n i dai lr,ro rispettivi gruppi; considerano. i n fine, che la labializzazio
ne si sia originata indipendentem<"ntc in b reton e e in osco-nrnbro. Mf'illf't r \'e n
d ryes riconoscono, tul lavia, che vi sono più rapport i tra il cel t ico f' l ' osco-um hro rlll'
t ra il celtico e il latino (A. Mm .u:r, " M i'm o ire de la Socii-té de l inguisllqtw". XV. p.
I G I . J VF\IlR\1-s, "Rc\'llc r elt iqu e " , XXXV, p . 2 1 2 ) .
(ti) W . RII ICEWAI', Earl)' age of Greere, Cambridge. 1 901 , p . 672. Il beota diceva
rrérmp<ç e l'eolio rtl(Wp<ç per d ire quauro, come l ' u mbro petom, m e m re in greco pre
valt'va la forma rrirmp<ç.
( i ) Cat o n e , ritalo da P l i n i o , attribuisce agli Umbri la fo ndazione di Ame:-ria,
%:> o %4 anni pr i m a della guerra d i Perseo, vale a dire verm i l I l 'H -I l ::�:, prima dd
la nostra Ì'ra.
(H) Da ciò deriva la t es i d i a lc u n i gramm at i c i an tic h i r h e fan n o d t'!-( l i l1 m h ri 1 1 1 1
ramo <!t'i Gal l i . Ve d i c;_ DOTI!\, Ala nud pour. . . , rit , pp. 25-26. E su <]llt'Sto l'rrnre si
fonda l ' ipotesi di A. BEilTKA\Il, :l rrh iologie crlllljllf el grmloise, Pa ri g t , I H 71i. pp. �7-:1�
sulla prima calata dei Celti in It alia . Vedi: A. THIERR\', Histoire dcs Gau/01s, Parigi.
l HH7. l O• ed., l, XLII.
(�l) A m rn i an o util izza come fo n t t' Timagene di A l essandria, storico d i grand"
NOTE
valore che ha descritto la maggior parte delle tradizioni classiche riguardanti i Galli.
O. H t RSCHFH.D, Bonnerjahrbiicher. Jah rbii cher des Vereins uon Altertumsfreundm im
Rheinliirule, Bonn, 1894, p. 36. Vedi anche: "L'Anthropologie", Paris, 9, 2.
( I O) Per Avieno (Ora l\laritima) ai tempi di Pitea non esistevano più, da molto,
popolazioni celtiche sulla costa, ma i Germani dello Jùtland e delle isole danesi, do
ve si praticava il commercio dell 'ambra, avevano subito l'innusso dei Celti.
(I l ) Vedi alcune pagine di K. ScHDIACHER riferite alle opere di M. P. Helmke
sugli scavi dei tumuli in: "VerriifTentlichungen des oberhessischen Museums und
der galischen Sam mlungen zu Giessen, Abt eihmg fiir Vorgeschichte", I, Il, 19 1 8-
1 9 1 9.
( 1 2) Sir John Rhys ha compiuto un identico sforzo, ma facendo del ligure un
goidelico della Gallia.
( 1 3) Ho fatto osservare che l 'area di dillu sione di tali spade, che Kossinna non
aveva indicato, era infinitamente più grande, ma verso ovest (Germania occidentale,
Francia, Spagna, Isole Britanniche). Era grande a tal punto che la considero come
uno degli indizi dell'estensione dei Celti. Non ho indicato, come prova, che la colle
zione del Museo di Saint-Germain che è importante e molto rappresentativo U· DE
CHEI.ETIE, Op. cit., Il, 2, pp. 208-209). Ritengo che quel tipo di impugnatura non sia
di origine settentrionale, ma che sia stata utilizzata subito nella fabbricazione dei pu
gnali egei e ungheresi. Risulta dal fat to che le spade di tipo m iceneo a im pugnatura
piatta non sarebbero spade importate dal nord. Sul significato di tale indizio nell'et
nologia dei Celti vedi a pagina 47.
( 1 4) L. StRET, ("L'Anthropologie", 1 908, p. 1 29) situa le Cassiteridi in Britannia;
G. Bo�soR ("Boletin de la Academia de la Historia", Madrid, 192 1 , p. 60) in Betica
(mons Casius, Avtt:r-.:o, 259-261 ) . Vedi: J. LOTH ("Renie celtique··, XXXVl ll, p. 260)
sullo sfruttamento antico dello stagno nelle Isole Scilly. M. CARTY ("Mémoire de la
Société d'Anthropologie", Parigi, 1924, pp. 1 66-1 67) commentando un testo di Pli
nio, suppone che la rotta marittima verso i paesi dello stagno fosse stata scoperta nel
VI secolo a.C. da un capitano focese chiamato Midacrituus.
( 1 5) H . D'ARIIOJS, Les Celies deJmis /.es lemps l.ts fJlus remlés jusq'm l'an 1 00 mmnt no
tre ère, Paris, 1904, p. 1 9. Il tema è molto presente nel celtico. I Galli avevano due dèi
chiamati Cfmes. Vi era, in Gran Bretagna, il popolo dei C.assi. Infine, questo nome
entra in molti composti: Cassillellaunos, C.assignatus, ecc.
( 1 6) Com parativo d'uguaglianza, perché il comparativo di maggioranza è in ios
come quello latino e quello greco twv.
( 1 7 ) E. MAc N m t (Piwm. . . , rit., p. 47) crede che la parola sia celtica, ma non
. .
dimostra che i Celti si fossero stabiliti nei luoghi dell'estrazione del metallo.
( !Il) J. PoKORNY (in "Zeitschrih fùr keltische Philologie", 1 9 1 3, p. 1 64 e s.) deri
va dall 'elamitico la radice Cassi che ritroviamo in Kassi-ti-ra, da wi il sanscrito
Kastira. Vedi: G. Hù�t�c; in "Orientalische Literaturzeitung", Berlin, 1 907, p. 25; F.
BoRK in "Wochenschrift fùr klassische Philologie", Berlin, 1 9 1 7, p. 541 (Kassitù, no
me di un dio elamitico ) .
( 19) H . D'ARIIOIS I l E Jt:JIAIVI I.JJ·:, Les Dmides el iRs dieux celtiques à fonne d'animaux,
Paris, 1906, p. 16. I Goideli sarebbero gli importatori della metallurgia nelle Isole
Britanniche, ma non vi sarebbero giunti che tra il 1 300 e 1 '800 a.C., ossia proprio al
la lì ne dell 'Età del Bronzo o in pieno periodo di Hallstatt. Vedi R. AI.I.E�. Cdtir art in
pagan and christian limes, II ed., Londou, 1 9 1 2, p. 2 1 .
251
NOTE
(20) Cronologia dei pugnali di se Ice: R.A. S �I I T H , Guide lo earz� hon age a nliqui
ties. British Muserm4 II ed . , Londra, 1 925, p. 32. Non bisogna perdere di vista che gli
awen imenti in questione sono posteriori all'uso del metallo, e che i pugnali in silice
sono contemporanei ai pugnali di bronzo.
(21) O.G.S. CRAWFORD in "Geographical Journal "', XL, 1 9 1 2, p. 1 84; J. LoTH ,
("Revue celtique", cit., p. 275 ) , segnala circa duemila tumuli nella sola Wiltshire; A.
Don:, Prouedings of t/te SociRI)' of:\ nliquaries of Scolland, Edimburg, 191 1 - 1 9 1 2, p. 1 5.
(22) Elenco degli oggetti trovati nella regione del Galles: "Bulletin of the Board
of Celti c Studies", l, p. 182; 11-IV, p. 389; E.M. WHEEI.ER, The :\ nliqumies Jounwl, Lon
don, 1 923, p. 2 1 .
(23) J . AIIER<:Rm111Y ( :\ Sludy o( lh e bron:.e age potte1y of Greal Britai n a nd Ire/an d a nd
ils assorinled gmce-goods, Oxford, 1 9 12, p. 69) stima molto limitato il numero degli in
vasori in base al numero delle tombe rinvenute: arriva a una cifra di circa 600. A.
KJ.:tTH in "The Journal of t he Anthropological lnstitute of Great Britain", London,
1 9 1 5, contesta, a ragione, il fondamento di tale calcolo.
(24) O.G.S. Crawford in "Geographical Journal", ril. e H. Peake in The bron:e age
ami the Cellir world, London, 1 922, tengono conto della comparsa in Inghilterra, alla
tine dell'Età del Bronzo, di grandi vasi a cordicella, con impressioni digitali, molto
comuni e dalle caratteristiche troppo precise per essere impiegati come modelli et
nogratici.
(25) G. Wti .CKE ("Mannus", 1 91 8, pp. 1-54) considera il tipo di Ròssen-Nierstein
rome indizio dei Celti.
(26) F.W. MEITZE\, Siedluug und :l.grnm•esen der Weslgmnnnen und Ostgermanm,
Berlin, 1 895, l, pp. 1 74-232 e tig. 19. Al di là della zona dei villaggi germanici, Meit
zen situa i villaggi e le colture d'un tipo molto comune in Francia, rassomigliante,
per altro, al t ipo germanico, ed è quello dei Celti britannici, con grandi villaggi, ma
anche con grandi faJtorie e case isolate.
Capitolo II
L't:�PA\StO:>:E IlEI CEI.TI I\EJ.Lt: 1SOI.t: BRtTAN:>:tCH�:
( l ) Nel Medio Evo s'è sviluppata una leggenda sulle origini britanniche, sulla
quale non ci sarebbe nulla da dire se non la si t rovasse ripresa da un antropologo co
me HJ. Ft.ElRE ( The races oJEng/.nnd and Wnles, London, 1 923, pp.65-7 1 ) che le attri
buisce credibilità. Essa riallaccia la storia della Britannia a quella di Roma e al ciclo
delle origini troiane. li m ito delle origini irlandesi è, nello stesso genere, d'una mag
giore aJtendibilità, in quanto ha il merito di essert' stato creato dagli Irlandesi per gli
Irlandesi, e di esprimere una parte delle credenze popolari. La leggenda delle origi
ni britanniche è in pane creata da stranieri e per loro uso e consumo.
(2) Sulle penetrazioni religiose in Irlanda vedi: S. C'l.�R\0\I'SKJ, Saint Pal1ik el le
mite des héros m b·lande, Paris, 1 9 1 !l, p. 97 e s.
(3) M. Dontt\, "journal of the Royal Society of Antiquaries of Ireland", Dublin,
1 9 1 4, p. 24; RA. Sn:WART MACAJJSTER, lrela 11 d in Pu-Celtir Times, Dublin and London,
1 92 1 , p. 1 20. Il ricordo di Thigernmas è connesso all'istituzione del culto di Crom
Crùaich; e si può credere che la sua data sia stata rispettata suflicientemente nel
tempo.
252
NOTE
( 4) Sul nome di mrragh, attribuito da Pokorny agli autoctoni dell'Irlanda, vedi:
J. Lot:WE�THAL ( Wiirter un d Sacl�n�, VII, p. 1 77 ) . La radice apparterrebbe al vocabola
rio del nord-ovest (voce nordica lwnmda, pelle; slava kora, corteccia; lituana kama,
corteccia di tiglio ) .
( 5 ) E . MAc Nm.L, Pluzses of . . , rit., p p . 1 48-1 50; ]. LOTH, "Revue celtique", XU,
p. 350: Feni significa parenti, gente della stessa razza (uenioi, vedi Gu')·neld *ueiniin ) ;
=
il nome del popolo sarebbe diventato molto presto quello di una classe sociale, clan
di tenutari liberi; Fimm, truppe, da urina. TOt.OMEO, Il, n. 3: OIKwLKVtOL deriva forse
dalla stessa radice e sarebbe il nome tribale di un gruppo di Feni.
(6) E. MA<: NEitJ., Op. cit., p. 73. Un manoscritto di tale trattato è stato pubbli
cato sulla "Revue celtique". Esso risale all'VIII secolo.
(7) L'accusativo plurale Ema ha dato origine al tema d 'una forma più moder
na della parola.
(8) E. MA<: Ntm.t., lbid. , p. 65; per esempio nella contea di Antri m .
(9) Vedi: R . H OL',.I t�\ Anrient B1-itain and inuasion of]ulius uu>sar, Oxford, 1907,
p. 398; ]. P H II .I POI' , Les fJeupll's. . ., cit., p. 296 (sui legami dei Siluri con la Spagna) . E.
MAc N EtLL, Phases of .. cit., sostiene, ipercriticamente, che la ipotesi iberica del papa
lamento delle Isole Britanniche si fonda soltanto sul testo di Tacito. Per D tOI'ICI t. 'A
REOPAGITA di Orbis descriptio le Isole Esperidi, patria dello stagno, erano abitate dai
ricchi figli dei nobili Iberi.
( I O) Un esempio sono gli orecchini di tipo portoghese trovati in Irlanda ( "jour
nal of the Royal Society of Antiquaries of lreland", Dublin, 1 9 1 7, p. 1 03 ) ; R. SAVERO,
in "Portugalia", Porto ( 1 899-1908 ) , Il, pp. 405-412; A. A:-<DERSO�. Scotumd in Pagan
Times, 2 voli., Edimbourg, 1 883-1 886, pp. 1 44, 1 49, 208, 210.
( I l ) Esse sono in caratteri agamici o in miunuscolo; una sola è i n lettere maiu
scole romane sfigurate; ]. RH\'S, Celtic Folk-Lore, 2 voli., Oxford, 1 90 1 , II, p. 68 1 ; R.A.
MA<:AI.ISTER, Ireland in. . . , cii., p. 253.
( 1 2) BWA, Historia Ecclesilll', I, l; H. Zt�IMER, in "Zeitschrift der Savigny Stiftung
fùr Rechtsgeschichte", Berlino, XV, 1 894, p. 209 e s.; W.F. SKEì\t:, The Highlenders of
Scolland, 2 voli., Edimbourg, 1 836, I, p. 232; ]. RHYS, Ce/tic... , cii., Il, p. 242. Lo stesso
autore la notare (p. 244) che tale regola di successione s'è conserv.�ta sotto i re irlan
desi.
( 1 3) È precisamente ciò che racconta Beda. Vedi H. D'ARROtS, Les premim... ,
cit., l, p. 265.
( 1 4) Secondo gli annali di Tigernach egli era diventato re durante il diciottesi
mo anno del regno di Tolomeo, figlio di Lagos, ossia nel 306 a.C.
( 1 5) R.A. S MITH , Guide lo early. . . , cit., pp. 82-83; ]. DÉCHEUTTE , Manuel... , cii., Il,
2, p. 729; E.C.R. ARMSTRONC, "Guide to the collection of lrish antiquities. Catalogue
of Irish gol d ornaments in the collection of the royal Irish Academy" ( XVI , 1 922, p.
204) segnala una sola spada hallstattiana di ferro e che non v'è una sola spada corta
di Hallstatt II (contro,]. Df:CH ELETTE, p. 737).
( 1 6) Scrive E. D.W. NtcHoi.�ON in "Revue celtique", Parigi, 1 904, p. 350: "Ci si è
compiaciuti di collegare i Pitti ai Pittavi del Poitou. Non vedo alcun ragionevole mo
tivo né per ammetterlo, né per dubitarne. Tuttavia, sono incline a pensare che una
denominazione generica, come quella dei Pitti, sia antica e non è i mprobabile che i
nomi etnici antichi, come quelli dei Pini e dei Pittavi, si ripetano".
253
NOTE
( 1 7) P.M. F.WRET e C. Bf:\ARD, "Revue archéologique". 1924, I, pp. 1 79 e s. Tali
ceramiche si trovano in Francia e sono della fine dell 'epoca di Hallstatt o dell'inizio
dell'epoca di La Tène. Provengono da insediamenti gallici.
( 1 8) Sepolture a carro di Mormanby, presso Hull (R.A. S\IITH, in "Prahistori
sche Zeitschrift", Berlin , 1909-1 9 1 0, pp. 403 e s.
( 1 9) In tali sepolture perdurano le tipologie precedenti. Inoltre, l'apporto bri
tannico era costituito dagli stessi elementi dell'apporlo goidelico e pitto: brachicefali
e dolicocefali setlentrionali, con un modt'sto numero di Albini. Sull'etnografia della
Gran Bretagna in tale epoca vedi: R. Hot .\IES, A n rienl. . . , rit., p. 234.
(20) Una grande q uantità di nomi di luogo sono comuni alla Gran Bretagna e al
la Gallia cominentale; essi si possono prestare alle identiche considerazioni di Cambo
dttuum ( Camborilum) . Chambomcy, Chambord; vedi Somiodunum, Old Sarum, presso
Salisbmy e Son1iodummt presso Straubing in Baviera: Uxellodu mun, Nolliomagus, Aledio
lanum, Condate, Segodunum.
( 2 1 ) Tuttavia CESAR�: ha affermato, all'inizio dei suoi Commeularii, che i Belgi si
distinguevano per il loro dialetlo dagli altri Galli. ST R.-\.BO\E (IV, 1 76) , più preciso,
parla di leggere differenze di dialetli.
(22) J.P. BL"SHE-Fox, "Rt'ndiconti della R. Accademia dei l.incei, classe di scien
ze morali, storiche e fi lologiche", Roma, 1 925, p. 3 1 ; snt d o di La Tène II a mandorla
allungata, trovato a Hold-Hill, in "Antiquaries journal", London, E122, p. 98.
(23) Avrem o occasione di constatare che il rito della cremazione non ha mai
cessato di essere praticato da una parte dei Belgi dall'epoca di Hallstatt e che s'è
esteso in Gallia nei tempi dell'egemonia belga.
(24) A. BL'I.I.EIIl - G. GR.W, The G /mtonlm ry Lttke ll illage, Glastonbury, 1 9 1 1 , p. 494.
Vedi: J. Df:cHEI .ETTE, Man uel. . . , II, 3, p. 1 473. Origine armoricana del sigillo di Mal
borough, Sir A.-J. Ev..\J\S, A rcltaeologia or m isrella n eous trarls relating lo A. ntiquity, pubbli
cato dalla "Society or Antiquaries or London", London, IX, 1 890, p. 373.
(25) G. Com\', Th<! Bron;e Age in /rela nd, Dublin, 1 9 1 3, p . 1 03; R.D. S\IITH MAc
AI .ISTFR, lrelmul in Pre-Celtic. . . , cii., p. 50. Propendo per i Belgi in virtù della scoperta
di palafitte nei fiumi del nord della Gallia, in ragione anche del fano che le contra
de paludose del nord, donde venivano i Belgi di Britannia, si prestavano a tali inse
diamenti meglio che i pat>si occupati dai Britanni.
(26) Alcune considerazioni astronomiche tendono a fissare la data di costruzio
ne di Stonchenge intorno al secondo m illennio (R. Hm.MES, A.ncient Britain . . . , cii.,
pp. 4 1 5- 4 1 7 ) .
(27) Altri monumenti circolari i n Scozia, vedi: "Proceedings o f the Society of
Antiquaries of Scotland", Dubl in, XLV, 1 9 1 0, p. 46; LVII, 1922-1923, pp. 20 e s.
(28) Tot.OMEO, Il, 2, 8 ; ). PO KORW ("Zeitschrift fùr keltische Phi lologie", Xl, pp.
1 69-1 88) cerca di estendere le tracce dei Germani nell'etnografia irlandese. Germa
nizza i Galiain, i C01iondi, Cu i renzige sarebbero, in tedesco, *Hariandiz; i Cauci sareb
bero dei C/wuchi trasformati in Ui Cuaic h .
(29) G. CoFFEY, "Procedings in the Royal...", rit., XXVIII, C. p . 96. V i s i fornisce
un sunto delle scoperte di La Tène fatte in Irlanda. Le più i m portanti per le tesi di
Coffey sono quelle relative alle ceramiche carenate di tipo marniano, prodotte nei
dintorni di Dublino.
(30) I hwglmi s'erano stabiliti nell'est dell'Irlanda, dallo Shannon al Mare d'Ir
landa. La baronia di Lune, nella contea di Meath, ha preso il nome da loro. Essi for-
254
NOTE
mavano una delle principali forze dell'armata del Leinster. È per questo motivo che
li si annoverano con i Galiain, così numerosi nel Leinster, tra gli invasori galli o bri
tanni dell'Età del Ferro. Cairbre dal muso di gatto, il capo della rivolta dei popoli
sudditi, era capo dei Luaighni. (E. MAc Nm.L, Pluzses of . . , cii., p. HO) .
(3 1 ) M.E. Dotlt�\, 'Journal o f the Royal Society of AntiC]uaries o f Ireland", Du
blin, 1 9 1 6, p. 1 68. Essi sarebbero arrivati dopo i Fir-Bolg, seguendo il Leabh a r na
Gablzala.
(32) C. SQC I RE , The mJih ology of t/u> British lsltmds, London, 1 905, p. 48. Domm1,
madre degli dei Fomoiri; .J. RH\�. (.e/tic Folk-Lore, cii., II, p. 208.
(33) l Dumnonii sarebbero delle formazioni politiche.
Capitolo III
L' f�WASSIO�f: IlEI CELTI SUI . CO:"TI:\E:\TE OL'RA:\TE L'ETÀ IWI. BIW:\ZO.
Gom n .t E BRITA:\:\1
(l) MACROIIIO, Satumali, l, 19, 5: Accitani etiam, Hispana gens, simulacrum Mmtis,
radiis omalum, maxima religione celebranl, Netor1 vocanles.
(2) Corpus inscriptionum lat i n a rum, ronsilio el auctorilale Academiae regiae borus
sicae, Berli n , 1 863, II, 3386 (Arei ) ; 5278 ( Twgaliwn, Tntiillo) , 365 ( Conim briga, Con
deixa a Veilha, presso Coimbra). W.H . Ros< :HER, Lexikon der Mythologie, Leipzig, 1 884
e s.; Il, p. 309; ]. TOL'TAII<, Les Celtes pa,rnzs da ns l 'Empire romain, 3 voli., Paris, 1907-
1 920, III, p. 1 36; M. ScHt:LTE\, Numanlia, eine topografJhisch-historische Untersuchu11g
Abhm1dl d. Gottinger des. d. Wiss, 1 905, p. 83, la ritiene iberica. Vedi: E. PHII.IPO:\, Les
lbères. . . , cii., p. 209.
(3) C f��Atu: , De Bello Gallico, I, l , 2: Hi onmes lir1gu a, institutis, legilnzs inler se diffe-
·
runl.
( 4) Corpus insCiiptionum latinantm, consilio el auclorilate Academiae regiae borussicae,
Berlin, 1 863, sq. XIII, 2494; A. A.!.L.MER, lnscriptions antiques de \'ienn e, Vienne, 1 875-
1 878, 753 b;J. L oTH , Notes on the Coligny Calendar, London, 1 9 1 0, pp. 21 e s. J. Loth
ha rettificato molto felicemente l'interpretazione data da Hirschfeld: Geligneux ap
partiene al vescovado di Belley, ossia all'amico pagus Bellicensis; nello stesso modo in
cui il vescovo di Bclley dipende dall'arcivescovado di Besan çon, il pagus Bellicens is di
pendeva, sotto l'Impero, dalla provi ncia che si chiamava Maxima Sequanomm e face
va parte della civitas Iquestrium. Nel calendario di Coligny i mesi di trenta giorni so
no menzionati con malu, buono, fausto (irlandese maith, gaelico ma/h, gallese mad) .
Non v'è che un'eccezione: il mese Equos. Non si è sicuri, infatti, che Eqtws abbia avu
to 29 o 30 gicrni. Il solo giorno che contenga, a tutte leuere, l'i ndicazione di giorno
mal, nel calendario di Coligny, è il quattordicesimo giorno del mese di Riuros. A pro
posito di riti funebri, nell'India, il quattordicesimo giorno è riservato ai banchetti in
memoria di coloro che sono morti giovani, uccisi dalle armi.
(5) Prinni: Vedi pmme = albero grande (Glossario di Vienna) , gallese pren, bo
sco; irlandese cmnn, albero. J. LOTH , "Revue celtiC]ue", 1 9 1 1 , p. 208; G. DoTTI�. La
langue gauloise, Paris, 1 920, p. 279.
(6) Petiux: vedi gallese jJeth, una certa quantità; voce irlandese Cllil, parte. J .
RH\:->, Celtae and. . . , cit., p. 36. J . LOTH, Notes on the Coligny. . . , cit., p . 53.
(7) Il nome di Bituit, il capo arverno, ne suggerisce uno eccellente. Una mone-
255
NOTE
La, trovata a Narbonne, ne fornisce l'ortografia. Bitouniolauos (G. A\IARDEL., "Revue
de Nimes", 1 906, 4 1 2, p. 426) .
(8) La regione dei Treviri fornisce un altro esempio di falsa velare nel nome di
Dinquatis, nome di un dio gallico come epitelo a Silvain su due iscrizioni trovale a
Géromont, in Belgio.
(9) P LINIO , N. H., IV, l 05: Gallia omnia annata uno nomine aptJelwta in trio populn
nnn genera dividi/w; omnibus maxime dislinc/a. A Sco/de ad Sequanam Belgica; ab eo ad
Ganmmmt Celtica endemqm Lugduumsis, inde ad Pyrmaei monlis exrurmm Aquilanim,
Amwrica nnlea dieta. ] . RHYS, Cellne nnd ... , cii., p. 57.
( I O) Non credo che Décheleue abbia risolto il problema posto da L. Siret. Tra
la civiltà di Los Millares e quella di El Argar la ditlerenza è troppo considerevole per
spiegarsi con la semplice evoluzione. Da canto mio la considero solo una din"erenza
etnica. Quale può essere l'elemento nuovo? Non è del tutto esano che tra la Spagna
e la Boemia non vi siano sepolture simili a quelle di El Argar. Vi sono le ciste di
Chamblandes nel cantone di Vaud. Vi sono quelle di Velais che comengono esatta
mente oggetti dei quali ho già dimostrato l'identicità con quelli boemi di Unitice.
D'altra parte, non sono all'allo meravigliato del fatto che, nelle stazioni del lipo di El
Argar, le tombe siano nella città, sono le case. Ve ne sono anche nelle stazioni forti
ficale neolitiche di 1erraferma del tipo di Michelsberg, nelle palatine e al Forte Har
rouard. Orbene, ho già dimostrato che la popolazione delle palatitte della Svizzera
doveva corrispondere ai Liguri.
Mi domando dunque se la comparsa della civiltà di El Argar nella penisola
iberica non corrisponda all'arrivo dei Liguri, che tutti gli autori antichi sono d'ac
cordo nel segnalarvi. Fino ai dintorni di Cadice vi sarebbero stati dei Liguri. La so
miglianza delle civiltà che origina questo problema si spiegherebbe nello stesso mo
do. In effetti, i supporti liguri delle palalitte hanno costituito uno degli elementi del
la popolazione della Boemia nei tempi neolitici. Il vasellame di Unitice, che si avvici
na facihnente a quello della Germania del nord, ripropone tanti elementi della cera
mica delle palafiue. Lo stesso rapporto può essere poSio per quanto concerne gli ar
redi in bronzo e, tutto sommato, a parte un diadema - che può essere indigeno - il
corredo in metallo delle tombe di El Argar non differisce da quello che si trova, alla
stessa data, nelle palafitte della Svizzera.
( I l ) H. PEAKE, The bmnze age... , cii., p. 1 64. H. Peake immagina i Goideli stanziati
nella regione delle palatitte della Svizzera attaccati dai Britanni; essi avrebbero allora
raggiunto la Gallia con le spade a impugnatura piaua e i Sequani avrebbero costitui
to la loro retroguardia.
( 1 2) J. BEAL' PRf: , Les études préhisloriqrus nr LoPTnine de 1889 à 1 902, Paris, pp. 29,
34, 35, 36. Dello stesso, estrauo da: jahrbuch der Gesellsdwft for lolhring. Gescltichte und
Aller1umskunde, Metz, 1 909. Tre stazioni funerarie dell'Età del Bronzo: Benney, Aze
lot e Bezange-le-Grande; gli ultimi due gruppi sono dell' Età del Bronzo l.
( 1 3) L'area d'estensione ebbe un'altra direzione verso il meridione? Si trovano,
in effetti, dei tumuli sia neolitici, sia dell'età del Bronzo, nelle Alpi Marittime e in
Provenza. M. PI ROl'H:T ( "L'Anthropologie", 1 9 1 5, pp. 78) è propenso a pensare
ch'essi sono i derivati locali dei tumuli a dolmen.
( 1 4) G. B �:H RENS , Brmtzr.eit Siiddeutschlands... , cii., pp. 1 60 e s.; K. Sc:Ht.:MACHER,
Berirhl der riirnisclt-gerrmmisclten. . . , X, p. 45; E. R�m:MACHER in M. Ellt:RT, &allexikon
der. . . , cit., VI , p. 282, sulla voce Kelleu avanza l' ipotesi che gli uomini di Umenfelder;
256
NOTE
probabilmente appartenenti alla razza alpina, avrebbero dato origine ai Celti unen
dosi, nella Germania occidentale, con gli uomini dei tumuli. Egli descrive, inoltre, la
loro invasione attribuendole una particolare violenza. Gli awenimenti, però, non so
no molto chiari e pertanto si può dissentire in proposito.
( 1 5) "Mannus", 1 922, p. 59. La ceramica con decorazione i ncisa che si trova nei
tumuli della Charente, del Card e della foresta di Hagenau si contrappone al \'asella
me del tipo di Lusazia. Secondo E. RAm:�tACHER ("Mannus", 1 926, pp. 14 e s.) , i vasi
con decorazioni incise costituirebbero un nuovo indizio dell'espansione dei Celti
nell'Età del Bronzo. Si sarebbe anche indotti ad estendere alla Francia l'area da loro
occupata in tale epoca.
Capitolo IV
L'�:�PAl'SIOSE IlEI CELTI �l'l. CO!\TI\E\TE \EI.I .'EPOC:-\ Ili HAIL�TATT
( I ) La pratira dell'inumazione pare fosse maggiormente diffusa nell'est della
Francia e all'inizio dell 'epora di Hallstatt U· Df:< :HH.�:TTE, Manuel d 'archiologie. . . , cit.,
II, p. 642) . La cremazione era comunemente praticata nel la zona sud-ovest della
Francia e in Britannia, alla fin e della stessa epora (lbid. , pp. 6 8 1 -682) .
(2) Prima fase dell'epoca di Hallstatt (Hallstatt A) secondo P. Rt:I\ECKE, Zu r
Kmntuiss der La Tbu Denkmii/n der Zone nordwiirls dpr Alpen, in "Festschrifì des rom.
genn. Zentrahnuseums zu Mainz", V, pp. 23 1-247.
(3) Tumulo della Combe d'Ain; tumulo delle Barrière a Miers (Lot) (M. P RL
\IERES, in "Association française pour l'avancement des sciences. Comptes rendus
des Congrès annuels", Parigi, 1 887, Tolosa, II, p. 698 ) ; tumulo di Roche-Rousse, a
Esclanèdes (Lozère) (Ibid. ) ; tumulo di Saint-Aoustrille (Cher) vedi la statistica in ].
Df:cHEI.ETTE, Manuel..., cit., II, 2, p. 725.
(4) Verosimilmente sono Liguri . Vedi:]. Df:<:HEI.ETTE, op. cii., II, l, p. 1 5 .
( 5 ) Stazioni del tipo di Michelsberg: K. ScHntACHER, Siedlung 1111.d Kullurgeschi
cltte der Rheinliinde, l. Die VoiTiimisdlf Zeit, pp. 26 e s.; W. BREHMER, in M. EIIERT, lùal
lexikon der Vorgeschichte, ci t. alla voce Michel:.be1g TJ•p us.
(6) Tali spade sono state trovate nelle pala!itte e sono fra quelle sono state clas
siticate; spada di Mòringen (T. ISCHER, Die Pfalilbau/en des Bielersees, Biel, 1 928, pl .
XIII).
(7) Ne ha fatto fede per molto, tra tutti, Alessandro Bertrand che datava in
un'epoca più tarda, intorno all'anno Mille, la calata in Italia dei primi Celti. A dire il
vero non nascondeva che questi primi Celti fossero Umbri, ossia i Celti propriamen
te detti. Quel li che seguirono erano i Galli. A. B�:RTRA\11 e S. REI\ACH, Les Celles
dans. . . , rit., pp. 43 e s.
(8) Essi non usavano scudi. Vedi: VARRO:\E, De vita populi romani, III, 1 4 : qui gln
diis cincti sine seulo rom binis gaesis meni.
(9) A. Isst:L, La Ligu1'ia preistorica, Genova, 1 908, p. 673. Vedi: lbid., p. 594.
L'Autore fa notare che la regione aveva molteplici attrattive, fra le quali ricchezze
minerarie: miniere di Serra (Alpi Apuane) , del Mesco, di Sestri Levante. Sulla pene
trazione celtica in Liguria, vedi a p. 670; sulla data Issel è un po' più \'ago.
( I O) Montelius qualifica la tomba di Sesto Calende come gallica; ma non si può
supporre di ringiovanirla indebitamente. W. Ridgeway, G. Pigori ni, A. Bertrand e S.
Reinach l'hanno considerata, così come le tombe di Golasecca, celtica. Ma la loro
257
NOTE
definizione dei Celti è poco attendibile comprendendo contemporaneamente, o di
volta in volta, i Liguri, gli Umbri, gli Illirici e i Rezi. È poco probabile che gli ltalioti
siano discesi in Italia già differenziati, non solo dai Celti, ma fra di loro. O. Mo:-;n
I.Il"S, La riuilisation. . . , rit., pp. 64-66 e pp. 232 e s.; W. RtiJCEWAY, Early age. . . , rit., pp.
48 e s.; L. PtGORI:\1, I primi abitatori della l/alle dtl Po, Estratto dalla "Rassegna delle
scienze geologiche", Roma, H l92, fase 3"; A. BERTRA:\IJ e S. REt:\ACH, Les Celtts dans. . . ,
rit., pp. 57, 58, 63, ecc.; J. Df:CHEI.Hn:, Ma nu el. . . , cit. , I I , 2 , p. 536; G . SERca, Arii e Ita
liri, Torino, 1 898, passim.
( I l ) Vedi: H. HL"IlERT, "Revue celtique", 1 9 1 4, p. 4 1 , n . 3. 1 soli oggetti ai quali si
possono paragonare, in Francia, sono le piccole stele trovate a Orgon , sulle Bouches
du-Rhòne, nelle quali è raffigurata la stessa testa di rivetla semi-cubica. Esse potreb
bero far parte della stessa serie di monumenti. Però, a parte riò, sono molto isolate.
( 1 2) CJ. MAqRA:\IJER (Les inscriptions des msques de Negmt, Estrailo da Symbolae
Osloensts, Osio, 1925, p.37) , al contrario, ringiovanisce l' iscrizione che non crede an
teriore all'epoca (II secolo a.C.) in cui i Celti si stabi lirono nella Valle del Danubio.
Egli scrive anche l secolo a.C. Annota, in effelli, che nella parola bamwbi la w è scrit
ta 11, come in latino, e conclude che l' iscrizione è posteriore alla conquista della Gal
lia Cisalpina. La stessa lettera è scritta J in un 'altra parola della stessa iscrizione. Non
credo che egli sbagli a dare molta importanza a tale differenza di grafia.
( 1 3) È la tesi sostenuta da A. BERTRA'\ll e S. Rt-: 1'-iACH (L es Celles dmJS. . . , rit., pp.
1 22-1 44 ) . Ma la loro tesi si fonda sulla stessa confusione segnalata prima (Nota lO).
Essi confondono i Celti e g l i Illiri, c o m e hanno confuso i Celti c o n gli Umbri.
( 1 4 ) Sulla placca del cinturone di Watsch è rappresentato un combattimento
fra un cavaliere con l' elmo e un altro a testa nuda; quest 'ultimo può essere Celta.
(A. BERTRA\i D - S. REI:\ACH, [md., p. l 07) .
( 1 5) La fibula della Certosa deve aver raggiunto i l territorio celtico, soprallutto
attraverso l'est . Vedi: P. REI:\FCKE, Zur Knmtnis dn La Tène Dmkmiiln- der Zoru nord
wiirts der Aljlm. in "Festschrift zur Feier der fiinfundsiebzigsjiihrigen Bestchens der
ròm. germ. Zentralmuseums w Mainz", 1 902.
( 1 6) CJ. Mastrander pensa ai Bastami. Ma mi sembra che non si possa ancora
parlare di Bastami in quella regione alla data da me indicata.
( 1 7) J. Df:cHEI .ETIE, Afamlfl... , rit., Il, 2, pp. 666, fi69; cerchi di pietre di Garin
(Alta Garonna ) . È possibile che il tumulo si sia ridotto a un cerchio di pietre, come
in Borgogna (capanne di Auvenay) o a Golasecca.
Capitolo V
L'E�PA'-1�10:\E DI'l CELT I AI.I.'HOCA Ili HAI .L�TATI ( Ft� n .
l CELTI 1:\ SPAG:\A
( l ) Tali fibbie da cin turone sono simili a quelle delle cintme halstaniane del
l'Europa centrale con un gancio solo. Esse differiscono per �1n maggior numero di
ganci e per l'apertma di finestrelle alla base del fermaglio. Fibbie di tale specie sono
state scoperte a Olimpia e nelle rovine della colonia gn�ca di Arnpurias. Déchelette
ne ha dedotto che esse erano greche (J. Df:cm:u:rn:, Grafes de ceinturon hibériques d 'o
rigine grecque, in Opuscoht arcluologira Oscari Monttlio dedi ca ta, Stockhohn, 1 9 1 3, p. 30) .
Sull'archeologia dei Celti nella penisola iberica vedi: P. Bo�m-GIMPERA, L 'a rqueologia
i l'art iberica, tomo l di Etnologia de la Pmi n su la ibtrim, Barcelona, 1 93 1 , pp. 452 e s.
258
NOTE
(2) M. Bosch-Gimpera e <]Ualche altro archeologo catalano pensano che la ci
viltà di Hallstatt sia penetrata in Spagna dalla costa mediterranea due o tre serali pri
ma. Cimiteri a incenerazione, senza tumuli, sono stati scavati in Catalogna (Espolla,
Tarrasa, Sabadell, La Punta del Pi) dove si sono trovati vasi che assomigliano a <]Uelli
delle più antiche stazioni hallstatti;me del sud della Francia risalenti a circa l'VIII seco
lo. (P. BoscH-Gi�lPERA, J. CoJ.0\11\.�s Roe.\, La n ecropoli de Can M is eri, Tonma, in
"L'Amhropologie", Paris, VI, 1920; P. BoscH-Gt\lPER�. Prehistoria cataùm a, Barcclona,
1 9 1 9, pp. 1 75 e s.; Emayo de una rl'(onslmrrion de la etnologia prehùlorira de la Penin.mla
ibérica, Santander, 1 923, p. 45; Los Cellw y la rivili:ario11 celtica en la Penimula lbhira, rit. ,
p. 1 4; A. SCHL'l.TE\, Hispania, Barcelona, 1 920, p. 1 79; L. PFRICOT, La jmh ist 01ia de la
peninsula ibhira, Barcelona, 1923, p. 47). P. Bosch-Gimpera hanno subito pensato che
essa potesse documentare il punto più lontano dalla costa orientale della Spagna rag
giunto dalle avanguardie dei Celti due o tre serali prima della data attribuita ai loro
primi insediamemi in Spagna. Gli indigeni si mantenevano nei luoghi più montagnosi
della Catalogna dm·e la ci1·iltà arcaica è documentata da un ceno numero di stazioni.
L'innuenza della civiltà di Hallstall, propagata dai Celti, si sarebbe fana sentire più a
sud, da tale epoca, nella provincia di Almeria, dove compaiono all 'epoca di Hallstatt
sepolture a incenerazione in fosse, con tumuli di pietra (L. StRET, \'illmiros y Henerias,
Madrid, 1 908, VII , fig. 69; .J. Di�CHEI .FTn:, Manuel..., ril., II, 2, p. 686; L. PERtCOT, La
Prehist01ia de... , rit., p. 47; P. Bosctt-Gt\tPERc\, Enmyo de u n a. . . , cit., p. 53. P. BoscH-Gt\1-
PER� ne parla in seguito più che dei Liguri. Ma i cimiteri in <]Ucstione sono di un'estre
ma povertà. Le armi, che potrebbero datarli senza contestazioni, l'i mancano, e il va
sellame non è alquanto più arcaico di quello dei tumuli pirenaici. Al momelllo li ri
tengo della stessa epoca, e ne accenno nella rielaborazione della storia dei Celti in
Spagna.
(3) G. Bo\SOR, Les rolon ies agricoks fJréromaiues da11S la val/ie du Bitis, Paris, 1 899.
G. Bonsor attribuisce ai Cf-l ti le tombe con vasi a zone. J. Di:utELETTE ("Revue ar
chéologique", 1 908, 2, pp. 391 e s.) non esita a considerare celtiche tali sepolture.
Vedi P. REI\1·:<:1;�:. Zeitsch rijl fiir Etimologie, Berli n, 1 900; "Verhandlungen der Berliner
Gesellschaft ... ", rit. , p. 1 62. Recentemente Bonsor c Thouvcnot hanno ispezionato
una necropoli della provincia di Siviglia, i cui arredi presentano analogie con quelli
delle tombe della valle di Bétis (G. Bo:>:SOR e R. THOC\'E\OT, Nicropok ibériqu e de Sete
fil/a, Paris-Bordeaux, 1 929) . In realtà tali tombe sono indigene (bicchieri calicifor
mi) o iberiche (ceramiche dipinte) , ma rivelano influenze celtiche.
( 4) Secondo Schulten (Numanlia, l, Die Kelt i berer... , cil. , p. 6 1 ) il nome sarebbe
ligure. Ma i Liguri avrebbero un'altra forma dt>l nome dell'argento, della stessa radi
ce del tedesco Si/ber. Il nome di Pizzo Silvretta, presso Klosters (Grisoni), in regione
d'onomas1ica ligur<·, lo documenta opportunamente. D'altra parte, l'onomastica li
gure del sud della Spagna dove figura 1111 mons A>gf!ltarius (AvtDiO, Ora m a riti ma,
291 ) , un 'Apyvpoiìv tipoç (STR.\110:\E, lll, 1 48) annovera ugualmente un mons Silams
(Avnso, Op. cil., 43:1) che sembra da porre in riferimen1o con loro, senza parlare
del popolo dei Siluri. L'etimologia celtica di A>ganthonios presenta due difficoltà: l·'
la gralìa della dt>ntale del tema; ma l'iscrizione di Negau dimostra che nel VI secolo
la pronuncia della t britanniro era tale che si poteva esprimere con una lettera vici
na a O; 2" vi era, in Bitinia, un 'Apyav9wvtov menzionato per la prima volta da Apollo
nia Radio (l, 1 1 76) . Vedi: E. P l l ti . IPOI' , Les lbères. . . , rit., pp. 55, 65.
(5) P. BoscH-GJ�tPERA, Los Celtas y ... , cit., p. 5. Contro: E. PHti.IPO\, Op. cil., p.
7 1 . Il nome dei Cempsi, riportalo anche da Dionigi il Pcriegete (338) può collegarsi
259
NOTE
alla radice celto-ligure del nome delle Cevenne: crotm. l Cempsi, stando ad Avieno,
erano discesi più a sud e avevano occupato, nei dintorni di Cadice, l'isola di Castare.
(6) Sul territorio di tali popoli sorgevano le città di Uxanm Barca e di Deobriga.
(7) Pt.I\10 (Libro N, 13) così scrive: Celticos a Celtiberis ex Lusitania m/venisse 11W
nifestu m est sacris, lingua, oppidomm voce lalis qrtae cllgnominibus in Baetica distinguunlur. . .
(8) E . PHII.IP0:-.1, Les lbfres. .. , cii., p . ! 58. Dello stesso: Les peuples primitifs. . ., cit. ,
p.2 1 7. l nomi in briga sarebbero stati trasformati dai Latini da nomi etnici in -q(&grr
briges. Hùbner, Numni, n ' 89) in nomi di città in b1i.
(9) C. Jl!I .I.lA\ ("Revue des Ét udes anciennes", ril., 1 906, p. 47) ha cercato, ma
con deboli argomentazioni, di farne una parola ligure.
(l O) H. D'ARIIOIS, Les Celles. . . , cit. pp. 98 vi aggiunge quattordici nomi in -obre
che deriverebbero verosimilmente da ant ichi nomi in -briga: Canzobre, Cillobre, ecc.
(H. D'ARIIOIS, ibid., p. 1 03). La derivazione è dubbia. l nomi in -briga hanno prodot
to dei nomi in -brega e i nomi in -o/n-e possono derivare da nomi di città in bris. E. PHI
I.IPO\, Les pmples primit ifs. . . , cit., p. 2 1 6.
( I l ) Il tema Ebrrro è egualmente ligure. H. D'ARIIOIS, Les premiers habitanls... , cii. ,
Il. p. 1 99.
( 1 2 ) E. PHIIJPO\, Les peuples fr1imitifs ... , cit., p. ! 55. Béziers, appartenente all'ono
mastica tartessa, sarebbe la testimonianza di tlll residuo delle popolazioni stabilitesi
anteriormente nel sud della Spagna. lbid., p. 303.
( 1 3) J. Df:cm:u:rrt:, "Revue archéologique", 1 908, 2, p. 264, n' 4; A. jol'I.I\,
lbid., 1 920, 2, pp. 296 e s.; E. PoTIIER, Les fouilles de Montlaurès, in "Comptes rendus
de I'Academie des lnscriptions et Belles-Let tres", Parigi, 1 909, pp. 981 e s.; P. THit:RS,
Fouilles de Castel-Roussillon, in "Bulletin archéologique du Comité des travaux histori
ques", Parigi, 1 9 1 0, p. 1 49; G. VAS.�ITR, Décorwerte de poteries peintes à décomtion polydr
rouU! dans les environs de /vlarsl'il/1', in "Comptes rendus ... " , cii., 1 905, pp. 383 e s.; dello
stesso: La poterie ibériqru pseudom_l"céniemre aux mvirons d 'Arles, in "Bulletin de la So
ciété archéologique de Provence", Marsiglia, 1 907, p. 54. Benché vi fosse, fra tale ce
ramica, del vasellame geometrico del N secolo a.C., essa non documenta soltanto
l'occupazione iberica, poiché, a costituirla, possono aver contribuito alcune impor
tazioni. Essa è durata, per altro, più a lungo dell'occupazione iberica, e parrebbe es
sere all'origine della ceramica dipinta di Montans (La Tène III ) .
( 1 4) E . Esrf:RA\lli W , Remil général des bas-reliefs. . . de la Caule romaine, Parigi,
1 907-1930, l, p. 427; E. Bo'<:O.:H, in "Mémoire de la Société archéologique de Mont
pellier", 1924, p. 1 4. All'elenco di tali sculture occorre aggiungere i due busti, sco
perti a Saint-Chaptes, dall' identico elmo (E. EsPÉRA\IJIEl!, Op. cit., n. 7614).
( 1 5) Sul nome di Gallicus sinus dato al Golfo del Leone in Tito Livio, Strabone,
Tolomeo vedi: H. D 'ARIIOIS, "Rcvue celtique", 1 893, p. 85.
( 1 6) A. Jocus, "Revue archéologique", 1 923, 2, p. 1 97. Sepolture di La Tène
con ceramiche attiche con figure rosse a Tolosa, Ensérune, Mataro, San Feliu de
Guixols.
Capi1olo VI
l RmiA\1 1\ ITAI.tA, SPAG\A t: GAI.I .tA
( l ) Denari romani e copie eli monete consolari. F. FoRRt:R, Keltisclte Nu mismatik
der Rltein-und Donauliinder, Strasbourg, 1 90H, pp. 1 20, 1 24, 1 27.
260
NOTE
(2) L'interrogativo su tale data è importante dal punto di vista archeologico,
perché permette di datare gli scavi di Hradischt di Stradonitz e la civiltà di La Tène
III che si trova così brillantemente rappresentata come nel monte Beuvry. Risulta
chiaramente, dal testo di Cesare (I, 5), che i Boieni del Norico, i quali si erano allea
ti con gli Elvezi ed erano finiti in Gallia, non erano che una frazione del popolo ri
masto, i n massima parte, in Boemia e non emigrato che verso 1'8 a.C. O. AD1GRt::-.:,
in "Mannus", 1 9 1 3, pp. 265 e s.; H. D'ARIIOIS, Les Celles depuis ks temps. . . , àt. Il, p. l l .
Capitolo VII
l RO MA.\; ! 1\ BRITAN!\IA
( l ) TACITO, Annali, XIV, 29, 30, 33-37.
(2) Pubblicato da TH. MOMMSJ::\ in Monumento Gemwniae historira, cit., XIII, Ch
ronica minora, III, pp. l e s. Vedi: E. fARAI., La ligende mth.urienne, 3 voli., Paris, 1 929,
l, p. 39. Sulle fonti della Vita di Gildas vedi: J. LOTH, Mélange d 'histoire bretonne, in
"Études et documents", Paris, 1 907. Gildas è morto nel 569 o 570.
(3) Il problema della composizione del compendio conosciuto sotto il nome
di Historia Britonum attribuito a Nennio, e della personalità del suo presunto autore,
ha costituito l 'oggetto di una serie di lavori importanti e di altrettante accese contro
versie. Lo studio più recente è quello di E. fARAL, (La ligmde. . . , cit., Il, pp.56-224),
che ha tentato una sistemazione critica del testo nel III torno della sua opera. Mom
msen aveva pubblicato tale testo in Monummta ... , cit., pp. III-59. L. Dt:CHES\E, in
"Revue celtique", XVIII, p. 1 5, aveva fatto una prima classilìcazione della versione
che resta notevole. Zimmer ha dedicato un accurato lavoro a Nennio Vendicato, del
quale ha ammesso l'esistenza e al quale ha attribuito l'insieme della redazione pri
mitiva dell'opera. Tale testo, stando a Farai, sarebbe posteriore al 687 e anteriore
all'SOl d.C .. In ogni caso egli avvalla le tradizioni d'origine più antica che si riferi
scono probabilmente al sud della Gran Bretagna. Su Goffredo di Moumouth, che
scrisse verso la metà del XII secolo vedi: E. FARAI., La ligrnde. . . , àt., II e, dello stesso
autore, una sistemazione critica della sua Historia Britmmiae nel III torno del suo li
bro. Contemporaneamente al saggio di Farai, per i tipi di Griscom e Jones (London,
1 929) usciva una traduzione del testo di Gotfredo, preceduta da uno studio su tale
autore. Vedi anche l'importante lavoro di D. BRUCF., The euolution ofArtltwian Roman
ce, Gottingen, 1 923, 2. voli.
( 4) Et:TROPIO, Breuiarium ltistoriae rom mwe, IX, 22; OROSIO, Historiamm adversus
fmganos libri septem , VII, 25; E. WlMJISCH, Das keltische Britnnnien bis zu Kniser Arthur,
Berlin, 1 905, p. 43.
Capitolo VIII
fli\E OH .lA BRITANJ\:IA E llELL'IRJ.A-.:IJA CF.I .TICHF.
(SASS0\1, S<:OTI �: SI:A.\illl\AVJ )
(l) E. MAc Nm .L, Phases oflrish. . . , ci t., p. 1 4 1 .
(2) lbid., 1 09.
(3) lbid., pp. 1 33-1 40.
261
NOTI
(4) Ibid., pp. 1 78 e 1 90.
(5) Ibid., pp. 1 7 1 e s.
(6) P. 1 50.
(7) Pp. 1 00 e s.
(8) P. 1 29.
(9) Pp. 1 1 3-1 1 7.
( I O) P. l 60.
( I I ) P. I R8.
( 1 2) F.J. f iA\'t:RFIEI.Il, An cient Rome and Irelaud, in "English Historiral Review",
XXV111, 1 9 1 3, p. 8. Vedi: H.R. ZIM\H:J(, .'ìit:ungsberidtle drr Komig. prrrmischm Akade
mie der Wissrnsdwftm, Berlino, 1 89 1 , p. 280; Vedi: .J.E. Li.O\ll, A hisfol)' oj Wales. . . , rit.,
p. 5 1 , e E. MA<: NEl LI., Pham. . . , cii., p. 1 4H.
( 1 3) E. MA<: Nt-:11.1., Op. cii . p. 1 5 1 .
.
( 1 4) Vedi, su questi insediamenti: E. MAc: Nt-:11.1., Ibid., p . 1 44.
( 1 5) lbid. p. 1 5i.
( 1 6) lbid , p. l 55 .
( 1 7) P. I 56.
(l S) Pp. l 94 e 599. Vedi: A. 0Rt:, EarZv souras oj Scottish history - A .D. 500-1 286,
Edimbourg, l !l22, 2 voli.; D.W. Jmu, A socia l histmy oj an rum/ lrehmd, Lo n don, 1 903,
p. 79.
( 1 9) E. MA<: Nt:ll.l., op. cit., p. 1 59; Nt:\I'POKT (j.D. WHITE) , St Patrick, ltis wrili11gs
m1d life, London, l !l20.
(20) E. MA<: NEII.I., Phases. . . , rit., pp. 1 62-229.
(21 ) lbid. , pp. 1 67, 242, 253. Vedi: ]. Vt:\DKYI-��. in "Revue celtique", 1920- 1 92 1 ,
p. 348.
(22) E. MA<: NEIIJ., Op." cii., pp. 203 e s.
(23) lbid. , pp. 300-344.
Capitolo IX
STKt:TTLKA IJJ-:Ll.A SOCIETA CELTICA 1-: Sl'A DIVISIO!"E.
li. DIRITTO CIVtl .�: F. L \ PKOI'KIHÀ. DIKITTO PE!"AI.E. LE tSTITt:ZI0\1 POI.ITICHE
(l) E. MA<: NJ-:11.1., Pltases of .. , rit., pp. 350 e 353. Vedi anche: S. CZAR.J'\OWSKI,
Saint Patrik. . . , cii., pp. 293 e 277.
(2) Nel suo ari i colo sulle soprawi1•enze del totemismo presso i Celti in "Re1�1e
celtique", XXI, poi riproposto nel l volume della sua opera i n 4 volumi Celti, m iti e re
ligio11i, Paris, 1 905- 1 9 1 2.
(3) H. D'AKIIOIS IH:jl"II.-\.1 \I�I.I.J-:, Ccmrs de. . . , rit., l, pp.2 1 9-229. Vedi: A. BAYH, La
morak des Gaulois, Paris, l 930.
( 4) STRAII! l\�:. IV, 5 , 4. Vedi: SA\ GJ:: K OIAMO, A dvmus javinianum, Il, 7; DIO\ E
CASSIO Cou:IA\0, LXII, 6, 3; LXXVI, 12, 2.
(5) Tali storie, datate dagli storici irlandesi in epoche più vici ne alla nostra, ri
salgono in realtà a un passato antichissimo.
(6) D.-W. JoYc:E ( A socia/ ltislol)'· · · · cii.. l, p. 4 1 ) cita l 'esempio di Macha Mon
gruad, fondatrice leggendaria di Emain.
(7) Pl.l.T.\KC:o, De mulinis virlnle, 24, 66.
262
NOTE
(8) STRAIIO:'\E, IV, 4, 6.
(9) Ct�\ARt: , VI, 1 9 e GAIO, lnslitulionum rmnmRnlaria, I, 5 1 , 52, 55.
(l O) C. JU.I.IA:'\, Hisloire tk la . . . , cit., Il, p. 407.
( I l ) GIRAI.DtS CA:<.�IIRE!IiSIS, Descriptio Ha.mbriae, Il, 6. Vedi: P. VNlCRADOFF, Hislrr
riralJurispmdenu, Oxford, 1 920, l, p. 246.
( 1 2) Vedi, per esempio, l'ordine di successione nella famiglia reale della Scozia
tra il 398 e il 533. Vedi: E. MAC NEH.I., Phases of .. , rit. , pp. 230 e 294.
( 1 3) E. MAC 1'\EII.I., op. cii., pp. 1 1 4, 238, 290.
( 1 4) Pol.ll\10, II, X\1 1 1 e DIODORO, V, 29, 2. Vedi: H. D'ARIIOIS IlE JLBAI:'\\�I.I.E,
Cmns de.. . , cii., p. 62.
( 1 5) Vedi: G. DoTTI:\, Man u el pour se111ir... , ril., p. 1 85.
( 1 6) POI.IIIIO, II, 17. Vedi: H . D'ARIIOIS, op . ril., l, pp. 6 1 , 69, l 00; Jmu:, A srr
riai. . . , cii., l, p. 1 84; J.-E. Lt.0\11, A hislory of Wales, London, I 9 1 1 , p. 1 38; E. MAc
Nt:II.L, Phases of .. , cii. , p. 35 1 . Gli storici fissano all'epoca del regno di Aodh Slaint>,
verso il 600 d.C., la creazione delle siepi che separano le proprietà. Un passo della
storia di Cuchulainn rammenta che i cavalieri potevano correre liberamente senza
essere impediti dalle siepi. Vedi il bra n o i n t i tolato Comperi Conwlaind in E.
Wl!lilliSCH, lrisrhe Texle, Leipzit, 1 880, l, p. 1 36.
( 1 7 ) J. LOTH, ù Mabinogion ... , cii., l, p. 1 27. Vedi: H . D'ARIIOIS, Éludes sur lR droit
celtique, Paris, 1 943, pp. 1 34 - 1 35 e 1 53.
( 1 8) POI.II\10, III, 50; C.JL'I.IJA.'I: , Histoire de lo Caule. . . , cit., II, p. 39.
( 1 9) E. MAc NEII.I., Plwses of .. , cii., p. 26. Vedi "Revue celtique", XXXIX, pp. 5 e
2 1 ; D.W. JOYCE, A social. . . , cit. , l, pp. 55-56.
(20) Ct�\ARt: , l, 1 8, 5; Il. 28, 2; III, 22. Vedi: C. jl'IJ.JA!Ii, Op. cii. Il, p. 50.
(2 1 ) Tno LIVIO, XXI, 20, 5; C. Jt'I.I .IA!", lbid. III, p. 223. La prima assemblea ge
nerale della Gallia si tenne a Bibracte nel 58 a. C. dopo la partenza degli Elvezi.
(22) H. D 'ARHOIS, L 'Emp ire celtique au IV siicle m•m1t nolre ère, in "Revue histori
que", XXX, l ll86, pp. 35-4 1 , sostiene l'esistenza di Ambirate. Jullian ha dimostrato
l'inverosimiglianza di tale tradizione ( Histoire. . . , cii., II, p. 544.)
Capitolo X
L� REI.It:IO:'\t: IlEI CELTI t: Il. SACI'RDOZIO IlEI llRL'IIll
(l) (}�\ARE, VI, I 3. Vedi: H. D'ARIIOIS, Cmm ... , cit., l; G. DoTTI:\, Ln religion des
Celles, Paris, 1904, p. 38.
(2) E. DES]ARDI\S, in Grographie de la GaulR romaine, Paris, 1 876-1893, I, p. 5 1 9,
sottolinea l'assenza di richiami relativi alla presenza di druidi in Aquitania, nel Nar
bonense e nelle regioni vicine al Reno.
(3) J. RHYs, Celtae and. . . , cii., (4• ed. 1908) , p. 9. Dello stesso vedi: Lertures on the
origin n n d growlh of religion as illuslmled b)• Celtir h mlhe ndom (H ibbert Lt>ctures), Lon
don, 1 886, p. 2 1 6. Una tesi analoga è stata sostenuta da]. PoKOR\Y, Der Urspnmg des
Dnlidn1lhums in "Mitteilungen der Anthropologischen Gesellschaft in Wien", 38, l
(Vortrag) .
( 4) TACITO, Annali, XIV, 30, lo richiama a proposito della spedizione di Sveto
nio Paolina contro l'isola di Anglesey. Tut lavia Fuste! nega che i druidi siano stati
perseguitati in Gallia, mentre D'Arbois ha provato il contrario ( Cours. . . , ril. , Droil, I,
p p . 1 7'2 e s.)
263
NOTE
(5) A. McllAI:'I:, An etymowgical dictionary of the Ga�lic langunge, lnverness, 1 9 1 1 , p.
1 4 1 . Vedi: H. PEDERSE!\:, Vergleichende Grammalik d�r kellischen Spracllffl, Berlin, 1909-
1 9 1 3, l, p. 1 75; H. D'ARIIOIS, Les Droides el le dicux. . . , cit., p. l .
(6) TITO LIVIO, XXIII, 24.
(7) CICERO :-.iE , De di1'initate, l, 41 , 90; CESAR��. VI, 1 3.
(8) c���AR�:. VI, 13; DIODORO, V, 31 ; STRAR ON E, N, 4, 4; Senchus Mor. Ancimt laws
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slilutions, London, 1 875, 8 voli ., I, pp. 4, 2 1 , 25, 5 1 , 250, 778; H. D'ARnols, Les Droi
des. . . , cii., p. l 03.
(9) c���ARE, VI, 1 4, 2, 3; MHA, Ill, 18; TACITO, Annali, III, 43; H . D'ARIIOIS, Les
Druides... , cii. , p. 1 1 5 e Cours... , Droil, l, p. 339.
( l O) MELA, Il, 2; STRAno:-; t:, N, 1 97 e N, 4, 4; Ancienl laws of .. , cii. , l, p . 22; E.
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Lectures. . . , cii., p. 34; D.W. JoYCE, A social hist01y. . . , cit., l, p. 230.
( I l ) DIODORO, V, 3 1 ; STRAIIONE, N, 4, 4; C��\ARE, VI, 1 3; AM\IIANO 1\-lARCEI.I.IMl,
XV, 9, 8; H. D'ARIIOIS, Caurs... , cil., l, p. 1 96.
( 12) DIODORO, III, 65, 6; Vedi: H. D'ARIIOIS, Les premiers. . . , cii., l, p. 296.
( 1 3) J. FRAZER, Les origines mngiques de la royauté, Paris, 1920, pp. 82, 1 29, 2 1 8,
225, 226.
( 1 4) D.W. Jmu, A sociaL.., cii. , l, p. 456.
( 1 5) C. SQt.: I RE , Th� milhowgy of .. , cit. , p. 38.
( 1 6) c. SQt:IRE, op. cii., P· 327.
( 1 7) /bid. , pp. 38-48.
( 1 8) Pp. 1 22, 1 49, 1 40.
( 19) D.W.Jmu, A social.. . , cit., Il, pp. 389 e 447-449.
(20) H EN UERSON , Suroiual in beliefanwng the Celts, Glasgow, 1 9 l l , p. 1 87.
( 2 1 ) J. RH\S, Lectures. . . , cit. , p. 396; H. D'ARIIOIS, Cours. . . , ci/., I, p. 3 1 7; senza dub
bio alla fine della fesla ven iva appiccato il fuoco a 1ale santuario temporaneo. Tale
rito è evocato dalle s10rie di Flan n e di Muirchertach.
(22) Secondo Hubert una nuova immagine del dio dal martello, in "Revue ar
chéologique", 1 9 1 5, I, pp. 26-29.
(23) C. SQt.:IRE, The mythowgy. . . , cit. , p. 38.
(24) H. D'ARIIOIS, Cours de liltéralure celtique. . . . , cit., t. V, L 'epopea celtica in Irlanda,
I , pp. 449-500.
(25) Su Pwyll vedi: J. LoTH, Les Mabinogian. . . , cii., l, pp. 8 l-l l 7 e 307, e sul calde
rone magico: C. SQt:IRE, The mythowgy. . . , cit. , p. 273. Siamo dell'opinione che in Iali
leggende si possa trovare il prototipo celtico di quelle sulla ricerca del Graal.
Capitolo XI
L\ \1TA SOCIALE LlEI CELTI
( l ) C. JL'U.IAN, Histoire de la. . . , cit., II, p.394; N, p. 283.
(2) "Journal of the Royal Society of lreland", 191 1 , p. 1 1 8; H. D'ARIIOIS, Le Ce/
tes depuis les. . . , cii., p. 96.
264
NOTE
(3) "Proceedings of the Society of Antiquaries of Scotland", l !11 2, p. 205. Sugli
scavi di Sos, opp idum situata in Lot-et-Garonne, vedi: "Revue des études anciennes",
1 9 1 3, 8 1 ; vedi: H. THmtPSON, Mililary architeclure in England during lhe middle ages,
Oxford, 1 9 1 3, p. 1 22; E. PHII.IPO"\, u goulois duros, in "Revue celtique", 1 90!1, p. 73;
DOTIIN, Man u el pour seroir. . . , cii., p. 332.
( 4) Poumo, III, 42, 2; STRAIIO\E, N, l , I l . Vedi: C. jt:LJJAN, Op. cit., II, p. 228;
C. Jovo:, A social. . . , cit., Il, pp. 393 c 399.
(5) J. LOTH, u.s Mabi110gion, cit., l, pp. !51 , 599.
(6) Così Giobniu, il fabbro o il bottaio, ha lasciato dietro di sé una delle figure
più popolari del folklore irlandese, il Goban Saer, l 'artigiano universale.
(7) I Mabinogion fanno vivere questi eroi in mezzo a gente del mestiere. Ma la
c lasse sociale ch'essi rappresentano non è quella del Medio Evo; essa ci rimanda al
l'epoca della conquista romana della Britannia. Manawyddan decora, infatti, le parti
metalliche delle selle che costruisce con smalto blu (J.LoTH, Op. cit., p. 46) , che è lo
smalto celtico della Gran Bretagna più che quello francese del XII secolo.
(8) L'abito gallico annoverava i bottoni. Un tipo di camicette in uso era abbot
tonato sul davanti dall'alto in basso; inoltre, essendo le maniche raffigurate aperte, è
probabile che fossero anch'esse abbottonate. (Per i bassorilievi di Digione vedi: E.
Esrt:�'\lllt:U , RRcuil général. . . , cii., 3473-3475.
(9) Tali insediamenti non sono stati ancora studiati, salvo che nelle vallate tri
butarie della Loira inferiore. (L. MAITRE, "Revue archéologique", l, 1 9 1 9, pp. 234 e s.
Dello stesso in "B.A.c::, 1 905, p. XLN ) .
( I O) Tunna (basso latino) . A. M<:IIAJ:\, A11 etymological. . . , cii., p . 382. Botti dell 'e
poca romana rinvenute in Olanda ( "Revue archéologique", 1 9 1 8, p. 249).
( I l ) La terebra gallica, succhiello con stoppino a spirale. (PJJ\10, XVII, 1 5 ) . Il nu
mero consistente di utensili rinvenuti nelle tombe e nelle oppido documenta l'abilità
dei fabbri gallici. (Vedi: J. Dt:CHEI.ETIF., Manu.el d'archiologie... , cit., II, 3, pp. 1 352 e s).
( 1 2) Sul carro a quattro ruote vedi: PI.t:\10, XVIII, 48; sulla mietitrice lui, 72; sul
l'erpice ( C . JULIJA.\ì , Histoire de... , cit., II, p. 276) ; sul setaccio (lvi, II, p. 277), e sulla
cotta di maglia (J. DÉCHEI.ETIF., Op. cit., II, 3, p. 1 1 55.
( 1 3) Vedi: E. O'CURRY, uctures. . . , cii. ; H. D'ARIIOIS, Cours de. . . , cii. e, in particola
re, Essai d 'un calalogue de la littérature éfrique d 1r/ande; R.-J. BEH, Bibliography of lrish
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1 920.
( 1 4) D. NL"TI, Th.e legend of lhe Holy Grail, London, 1 902; E. FARAI., La ligend
arlhurienne, Paris, 1 929, 3 voli; M. BRl'CE, The evolulion... , cii.; M. Wtt MOTIE , Le poè?ne
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du Graal et ses auleurs, Paris, 1 930.
( 1 5) D.W.Jmu:, A social history... , cii., pp. 499-501 .
( 1 6) Sulle caratteristiche generali della lelteratura celtica vedi: E. Rt:\A.'\ , La poé
sie des races celtiques, Paris, 1 923; M. McLEAN, The lileraluTf of lhe Celts, London, 1 902;
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( 1 7) D t otX>R o , V, 28; PUNtO, XXVIII.
( 1 8) PLINIO, VIII, 73; XIX, 2; Vedi: Gt RALIJL:S CAMDRENSIS, Descriplio. . . , cii., l , 3;
DIOilORO, VI, 28; J. Dt:CHt:l.t:Tit:, Manuel. . . , cii., II, 3, p. l 028; D.W. jmn:, A social
history. . . , cii., Il, p. 1 23.
265
BIBUOGRAFIA
[N.d.T. ] : Dell'abbondante bibl iografia utilizzata dall' autore nella stesura del
testo si elencano, qui di seguito, solo le pubblicazioni apparse dopo il 1900, tra
lasciando quelle precedenti, per le quali è possibile tuttavia rin\'enire gli oppor
tuni riferimenti nelle note in cui \'engono citate.
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