Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
5 visualizzazioni324 pagine

Uuj 3 2022 © Uup

Il volume del Journal Urbaniana si concentra sulle migrazioni, esplorando il loro impatto sulla società e la missione della Chiesa. Include articoli di vari autori che discutono l'importanza dell'accoglienza dei migranti e le sfide culturali legate a questo fenomeno. La rivista si propone come un contributo educativo per promuovere una maggiore comprensione e integrazione tra le diverse culture.

Caricato da

Jian TG Sapienza
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
5 visualizzazioni324 pagine

Uuj 3 2022 © Uup

Il volume del Journal Urbaniana si concentra sulle migrazioni, esplorando il loro impatto sulla società e la missione della Chiesa. Include articoli di vari autori che discutono l'importanza dell'accoglienza dei migranti e le sfide culturali legate a questo fenomeno. La rivista si propone come un contributo educativo per promuovere una maggiore comprensione e integrazione tra le diverse culture.

Caricato da

Jian TG Sapienza
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 324

UUJ

Urbaniana
University Nova Series

Journal 3/2022 LXXV

FOCUS – Le migrazioni tra pensiero teologico e azione pastorale


Laura Zanfrini
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church
Fabio Baggio
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa
Stephen Bevans
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology
Giovanni Terragni
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni
Aldo Skoda – Simone M. Varisco
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

ARTICOLI
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time
Reginald Alva
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan
in the Contemporary Times
Mario Bracci
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325) (I)

ACADEMICA
Card. Michael Czerny
Fraternità: utopia o salvezza?
Mario L. Grignani
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide
Urbaniana
Mariano Delgado University
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros Press
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
UUJ
Urbaniana
University Nova Series
Journal 3/2022 LXXV

I contributi presenti nel volume sono stati sottoposti a peer review


secondo i criteri di scientificità previsti dal Protocollo UPI
(Coordinamento delle University Press Italiane)

U RBANIANA U NIVERSITY P RESS

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
UUJ
Urbaniana
University
Journal
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL EUNTES DOCETE
Rivista quadrimestrale
della Pontificia Università Urbaniana di Roma
Anno di fondazione 1948 Nova Series LXXV/3 2022
Direttore/Director
Giovanni Ancona
Redazione scientifica/Scientific editing
Elena Casadei
Comitato di Redazione / Editorial Commettee
Presidente – Leonardo Sileo
Pasquale Bua, Giambattista Formica, Ernest Okonkwo,
Antoine de Padou Pooda, Aldo Skoda
Hanno collaborato a questo numero/Contributors to this issue
Reginald Alva, Fabio Baggio, Stephen Bevans, Mario Bracci, Fernando Chica Arellano,
Lorella Congiunti, Michael Czerny, Mariano Delgado, Mario L. Grignani, Antonio Landi,
Fátima María Naranjo Marrero, Ardian Ndreca, Giovanni Patriarca, Mariangela Petricola,
Aldo Skoda, Giovanni Terragni, Simone M. Varisco, Laura Zanfrini
ISBN 978-88-401-9057-0 ISSN 2522-6215
Abbonamenti
Italia e 44,00
Europa e 55,00
Paesi extracomunitari e 60,00
Sconti
Agenzie 20%
Biblioteche e librerie 25%
Numero arretrato e 20,00
Modalità di pagamento / Payment
Online (www.urbaniana.press)
Bonifico bancario / Bank transfer
Intesa Sanpaolo, Piazza della Libertà 13 – 00165 Roma
Iban: IT53 W030 6909 6061 0000 0013 290 • Bic: BCITITMM
Intestato a Pontificia Università Urbaniana
Assegno bancario / by cheque
Pontificia Università Urbaniana, con specifica della causale
Direttamente presso l’Economato della PUU
La Casa editrice garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la
possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione. Le informazioni
custodite dalla Casa editrice verranno utilizzate al solo scopo di inviare
agli abbonati nostre nuove proposte (Dlgs. 196/2003)

© Urbaniana University Press


00120 Città del Vaticano, via Urbano VIII, 16
tel. +39 06 69889501-9688 • fax +39 06 69882182
www.urbaniana.press
Per abbonamenti e per contributi dei collaboratori: [email protected]
Finito di stampare nel mese di gennaio 2023
Indice

EDITORIALE 5
EDITORIAL 9
Giovanni Ancona

FOCUS – LE MIGRAZIONI TRA PENSIERO TEOLOGICO


FOCUS – E AZIONE PASTORALE

Introduzione 15
Aldo Skoda

Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church 19


Laura Zanfrini

Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa 45


Fabio Baggio

“They Have Much to Teach Us”: 55


Migrants, Their Experience, and Theology
Stephen Bevans

Testimone di una Chiesa in uscita: 69


l’opera di Scalabrini per le migrazioni
Giovanni Terragni

Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico. 87


Giovani con background migratorio nei seminari italiani
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

ARTICOLI

A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time 115


Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca
The Application of the Message of the Parable 137
of the Good Samaritan in the Contemporary Times
Reginald Alva
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325) (I). 153
La struttura simbolica della formula di fede
Mario Bracci

ACADEMICA – FESTA PATRONALE DELL’UNIVERSITÀ (30.03.2022)


ACADEMICA – “FRATELLI TUTTI, SENZA FRONTIERE”

Fraternità: utopia o salvezza? 175


Card. Michael Czerny

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice

ACADEMICA – 1622-2022, IV CENTENARIO DI FONDAZIONE


ACADEMICA – DELLA CONGREGAZIONE
ACADEMICA – PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI

L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis 185


de Propaganda Fide dell’Archivio Storico
del Dicastero per l’Evangelizzazione (1900-1938)
Mario L. Grignani

Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad 213


misionera de los Capuchinos durante la Missio antiqua
en el Reino del Congo (1645-1835)
Mariano Delgado

RECENSIONI / SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

ELEONORE STUMP – THOMAS JOSEPH WHITE (eds.) 241


The New Cambridge Companion to Aquinas
Lorella Congiunti

CARMELO DOTOLO, L’utopia cristiana dell’umano. 250


Idee per un umanesimo differente
Mariangela Petricola

MARCO IVALDO, Sul male. Kant, Fichte, Schelling, Hegel 258


Ardian Ndreca

ANDREA AGUTI, Morale e religione. Per una visione teistica 265


Ardian Ndreca

GIORGIA SALATIELLO, Sinodalità di donne e di uomini 269


Lorella Congiunti

JOSEPH SIEVERS – AMY-JILL LEVINE (a cura di) 273


I farisei. Con il discorso rivolto da papa Francesco
ai partecipanti del Convegno
Antonio Landi

STEFANO SALDI – CARLO MARIA MARENGHI (a cura di) 277


High-level Event on Fraternity, Multilateralism and Peace.
Presentazione della Lettera Enciclica di Papa Francesco
Fratelli Tutti
Fernando Chica Arellano

Indice dei nomi 279


Indice dei nomi dell’annata 287
Indice dell’annata 309
Indice dei volumi 313
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
EDITORIALE

a domenica del 9 ottobre scorso Giovanni Battista Scalabrini, un vescovo


L che ha avuto particolarmente a cuore la cura dei migranti, è stato pro-
clamato santo da Papa Francesco, il quale, nell’omelia della celebrazione
eucaristica ha pronunciato parole importanti e dure per tutti coloro che si
dicono umani: «Nel giorno in cui Scalabrini diventa santo, vorrei pensare
ai migranti. È scandalosa l’esclusione dei migranti! Anzi, l’esclusione dei
migranti è criminale, li fa morire davanti a noi. E così, oggi abbiamo il Me-
diterraneo che è il cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migran-
ti è schifosa, è peccaminosa, è criminale, non aprire le porte a chi ha biso-
gno. “No, non li escludiamo, li mandiamo via”: ai lager, dove sono sfrutta-
ti e venduti come schiavi. Fratelli e sorelle, oggi pensiamo ai nostri migran-
ti, quelli che muoiono. E quelli che sono capaci di entrare, li riceviamo co-
me fratelli o li sfruttiamo? Lascio la domanda, soltanto»1.
Rispondere alla domanda che ci ha lasciato il Santo Padre non è proprio
cosa semplice; e ciò non perché avremmo difficoltà a trovare risposte sen-
sate sul piano della nostra razionalità, ma perché è difficile dare risposte
sul piano della vita. Per quanto, infatti, si moltiplichino gli sforzi di tanti nel
promuovere una corretta e complessiva relazione con i fratelli migranti, ri-
mane sempre lo zoccolo duro di uno scenario culturale che innalza muri e
barricate nei confronti dello straniero, per ragioni sociali ed economiche,
ma che al fondo denunciano una pericolosa e frivola ideologia dell’esclu-
sione. Il risultato “pedagogico” di questa egoistica ideologia di molti è che
il rifiuto e soprattutto l’indifferenza pervade i sentimenti e il pensare comu-
ne. Le difficoltà a rispondere praticamente alla domanda del Santo Padre
sono quindi di natura culturale; esse sono come sedimentate nella pratica
del vivere quotidiano del nostro universo evoluto e perbenista. Ma noi non
vogliamo arrenderci a questa logica dell’esclusione. Siamo consapevoli di

1
FRANCESCO, Omelia, santa messa e canonizzazione dei beati Giovanni Battista Sca-
labrini – Artemide Zatti, Roma 9 ottobre 2022 [https://www.vatican.va/content/francesco/
it/homilies/2022/documents/20221009-omelia-canonizzazione.html; https://archive.is/
cwgAu].

5
3/2022 ANNO LXXV, 5-7 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Editoriale

dover affrontare la fatica di andare oltre i muri e le barricate, ma siamo an-


che pienamente persuasi che l’impegno di accogliere i migranti è una scel-
ta autenticamente antropologica e trasformante del nostro vissuto sociale.
Vogliamo essere caparbi nel voler mutare lo scenario culturale del presen-
te in uno spazio e in un tempo condivisi e quindi pervaso da una diffusa,
efficace e creativa relazionalità tra gli umani. In tal senso, vogliamo impe-
gnarci a camminare lungo i sentieri – anche questi non facili da percorre-
re – dell’educazione.
L’impegnativo compito educativo, volto a far maturare negli umani la lo-
gica dell’accoglienza dei migranti, è chiaramente un dovere di tutte le isti-
tuzioni civili e religiose, se queste comprendono correttamente e declinano
concretamente i diritti fondamentali di ogni persona. E la concretezza di ta-
le dovere si può tradurre nell’impianto di percorsi educativi “minimi” che
mirino anzitutto a riportare al centro il valore assoluto di ogni persona uma-
na e ad affermare la sua libertà e il suo diritto di potersi muovere in un
mondo che è la casa comune. Si tratta, in altre parole, di educare tutti a vo-
ler vivere fraternamente in uno spazio comune, nella relazione con i propri
simili, senza discriminazioni e secondo il registro della condivisione dei be-
ni e il rispetto delle culture, dei valori della vita, delle identità, delle espe-
rienze religiose. Da ciò si potrà maturare la convinzione che ogni fenome-
no migratorio sarà sempre una opportunità di senso, nonostante le diverse
ermeneutiche di esso; un dono per tutti e un richiamo sensibile della iden-
tità umana: l’uomo è un eterno pellegrino, un perpetuo migrante, sempre in
ricerca di sé.
In questo contesto molto impegnativo e nella felice coincidenza della ca-
nonizzazione di Scalabrini si pone anche il contributo della nostra Rivista,
la quale offre alla riflessione credente e non un focus sulla realtà delle mi-
grazioni. Consapevoli del nostro ruolo educativo, infatti, vogliamo tenere
desta l’attenzione su questo fenomeno antropologico che affaccia sulle no-
stre città, pervade le nostre strade, soprattutto periferiche, e che si costitui-
sce come un grande patrimonio per l’Occidente. Dal fenomeno migratorio,
infatti, possiamo imparare molto e soprattutto possiamo ricalibrare la com-
prensione di noi stessi, del nostro mondo, delle nostre possibilità struttura-
li, culturali, economiche, sociali e religiose. La mobilità umana, in altre pa-
role, è una risorsa che non possiamo lasciarci sfuggire. La chiacchiera dei
costi da sopportare è veramente cosa stupida. Il possibile risparmio econo-
mico diventerebbe per le nostre società una sciagura sul piano antropologi-
co. Vogliamo perciò sperare che le diverse istituzioni pubbliche prendano

6
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Editoriale

sul serio l’esperienza della mobilità umana e che investano risorse nella li-
nea di una prospettiva educante, che conduca non solo all’accoglienza dei
migranti, ma anche allo sviluppo di un modo di vivere interculturale. Vo-
gliamo anche sperare che le nostre famiglie, le nostre comunità, le nostre
scuole diventino dei veri e propri laboratori di interculturalità, dove al cen-
tro vi sia la persona, la giustizia, la pace, l’accoglienza di ogni differenza,
il rispetto per ogni volto. Faccio mie, per concludere con un augurio, le pa-
role del titolo di un libro di Edgar Morin, molto impegnato sul fronte della
sana educazione all’interculturalità: che ognuno di noi possa «pensare il
Mediterraneo, mediterraneizzare il pensiero. [Perché] da luogo di conflitti
[si trasformi in] incrocio di sapienze»2. E che il Mediterraneo si trasformi
in luogo di vita e non di morte.

GIOVANNI ANCONA
Direttore

2
E. MORIN – G. GIACOMETTI – A. CAVADI, Pensare il Mediterraneo, mediterraneizzare il
pensiero. Da luogo di conflitti a incrocio di sapienze, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2019.

7
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
EDITORIAL

n Sunday, October 9, 2022, Giovanni Battista Scalabrini, a bishop who


O hold the care of migrants at the very core of his heart, was canonized
as a saint by Pope Francis who, in his homily at the Eucharistic celebration,
pronounced important and harsh words for all those who call themselves
human beings: «Today, the day in which Bishop Scalabrini becomes a saint,
I think of emigrants. The exclusion of emigrants is scandalous. Actually, the
exclusion of emigrants is criminal. They are dying right in front of us, as the
Mediterranean is the largest cemetery in the world. The exclusion of emi-
grants is revolting, sinful and criminal. Not opening doors to those in need
– “No, we do not exclude them, we send them away” to camps, where they
are exploited and sold like slaves. Brothers and sisters, today let us call to
mind these emigrants, especially those who are dying. And those who are
able to enter, do we welcome them as brothers and sisters, or do we exploit
them? I simply pose the question»1.
It is hard to answer the Holy Father’s question and not because of the
lack of rationality-based answers but of life-based answers to this question.
Although the intensification of the efforts to promote a more righteous and
comprehensive interaction with our migrant brothers, a culture that raises
walls and fences against the stranger holds out, out of social and economic
reasons which eventually unveil a dangerous and dull ideology of exclusion.
The “pedagogical” outcome of this widespread self-serving ideology is that
common feeling and thinking patterns are imbued with rejection and indif-
ference. It is therefore because of cultural reasons – soaked in the daily life
practice of our civilized and prig universe – that the Holy Father’s question
is hard to be actually answered. But we are not feeling like giving up on this
exclusion mindset.

1
FRANCIS, Homily, Holy Mass and Canonization of Giovanni Battista Scalabrini and
Artemide Zatti, 9 October 2022 [https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/
2022/documents/20221009-omelia-canonizzazione.html; https://archive.is/cwgAu].

9
3/2022 ANNO LXXV, 9-11 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Editorial

We are aware that we have to come up against walls and fences, but we
are also fully convinced that our commitment to offer migrants hospitality
is a genuinely anthropological choice that results in the transformation of
our social experience. We are committed to resolutely change the current
cultural trend into that of a shared space and time, thus pervaded by wide-
spread, effective and creative relationality among human beings. In this
sense, we want to commit ourselves to run over the paths – they, too, hard
to go through – of education.
It is clear that this hard educational commitment, aimed at developing in
human beings a welcoming mindset towards migrants, is a duty of all civil
and religious institutions, if they correctly understand and concretely im-
plement the fundamental rights of each person. And the essence of this du-
ty can be implemented as the development process of “basic” educational
pathways that aim first of all to bring back to the center the absolute value
of every human person and to affirm his/her freedom and right to be able to
move in a world that is our common home. In other words, it is a matter of
educating everyone to live fraternally in a common space, in relationship
with our fellow human beings, without discrimination and according to the
mindset of sharing goods and respect for cultures, life, identities, and reli-
gious experiences’ values. This will result into the persuasion that every mi-
gratory phenomenon will always be an opportunity for meaning-making, de-
spite the different hermeneutics of it; a gift for all and a sensitive reminder
of human identity: human being is an eternal pilgrim, a perpetual migrant,
always in search of him/herself.
In this very challenging context and the happy coincidence of the canon-
ization of Scalabrini, our Journal offers its focus on migration to believing
and non-believing reflection. As a matter of fact, aware of our educational
role, we want to keep the spotlight on this anthropological phenomenon that
affects our cities, pervades our streets, especially the outskirts, and consti-
tutes a great heritage for the West. From the phenomenon of migration, in
fact, we can learn much, and above all we can recalibrate our understand-
ing of ourselves, our world, our structural, cultural, economic, social and re-
ligious resources. Human mobility, in other words, is an asset we cannot let
slip through our fingers. The chit-chat of costs to be borne is really cheap.
The economic savings, if any, would turn into an anthropological disaster for
our societies. Therefore, we wish to hope that the various public institutions
will take the experience of human mobility seriously and invest resources
in the line of an educational perspective leading not only to the welcoming

10
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Editorial

of migrants, but also to the development of an intercultural way of life. We


do hope that our families, our communities, our schools will become true
laboratories of interculturality where, at the very center, are real persons,
justice, peace, the welcoming of differences, and the respect for every hu-
man face. To conclude with a wish, I make my own the words of the title of
a book by Edgar Morin, who is very committed to healthy intercultural ed-
ucation: that each of us may «understand the Mediterranean, mediter-
raneanize understanding. [In this way] from a cradle of conflicts the
Mediterranean [can be transformed into] a crossroads of wisdoms»2. And
may the Mediterranean Sea become a place of life, not death.

GIOVANNI ANCONA
Director

2
E. MORIN – G. GIACOMETTI – A. CAVADI, Pensare il Mediterraneo, mediterraneizzare il
pensiero. Da luogo di conflitti a incrocio di sapienze, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2019
[unpublished English translation of the italian Title].

11
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
UUJ
FOCUS
Le migrazioni tra pensiero teologico
e azione pastorale

Aldo Skoda
Introduzione

Laura Zanfrini
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

Fabio Baggio
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa

Stephen Bevans
“They Have Much to Teach Us”:
Migrants, Their Experience, and Theology

Giovanni Terragni
Testimone di una Chiesa in uscita:
l’opera di Scalabrini per le migrazioni

Aldo Skoda – Simone M. Varisco


Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico.
Giovani con background migratorio nei seminari italiani

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda

INTRODUZIONE

In un excursus storico circa la missione, il teologo svizzero Walbert Bühl-


mann parla di una Terza Chiesa come di uno nuovo stadio in cui si trova la
comunità cristiana e una “nuova migrazione del popolo di Dio”1. Ricorda co-
me nel primo millennio la comunità e la riflessione teologico-pastorale era-
no ampiamente influenzate dalle chiese orientali (prima chiesa) così come
successivamente nel secondo millennio il centro gravitazionale si era sposta-
to in occidente (seconda chiesa). Il terzo millennio viene caratterizzato dal
policentrismo ed in particolare con il rifiorire di culture e popolazioni che per
varie cause storiche o politiche erano rimaste ai margini delle politiche glo-
bali come molti Paesi del continente africano o asiatico. La Terza Chiesa ca-
ratterizza così il passaggio di fatto del cristianesimo come religione veramen-
te mondiale spinto a confrontarsi con innumerevoli situazioni inedite.
Non si può non leggere per analogia in questa visione ciò che la comu-
nità cristiana sta vivendo in questo cambiamento d’epoca segnato dalla glo-
balizzazione e dalla mobilità umana. La novità e la pervasività del fenome-
no migratorio attuale comportano una serie di dinamiche anche all’interno
delle comunità cristiane inedite e provocano quella che possiamo definire
con il titolo di una famosa opera di Rahner, la trasformazione strutturale
della chiesa come compito e come chance2. Innanzitutto, come compito in
quanto i migranti e le loro famiglie sono parte ormai integrante del volto ci-
vile e religioso delle comunità e le interazioni stanno sempre più modifi-
cando la loro fisionomia. Occuparsi di tematiche migratorie e di dinamiche
ad esse correlate, avviare una riflessione teologica e proporre delle conse-
guenti azioni pastorali attente a questa nuova configurazione sociale in
chiave multiculturale e multireligiosa, non è più un optional ma la più
grande sfida pastorale attuale. Come ricorda continuamente Papa France-

1
Cf. W. BÜHLMANN, La terza chiesa alle porte, Edizioni Paoline, Alba, CN 1974.
2
Cf. K. RAHNER, Trasformazione strutturale della Chiesa come compito e come chance,
Queriniana, Brescia 1973.

15
3/2022 ANNO LXXV, 15-18 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda

sco a cominciare da quel primo viaggio a Lampedusa nel 2013, serve oggi
una riflessione e azione per svegliare le coscienze dalla deriva della “glo-
balizzazione dell’indifferenza” di fronte all’immane e spesso tragico feno-
meno della migrazione.
L’approccio, tuttavia, sembra essere ancora molto influenzato da una vi-
sione emergenziale. Il messaggio per la GMMR3 di quest’anno introducen-
do la preposizione “con” pone una sfida ed insieme una visione. Una sfida
in quanto muove ad ampliare l’orizzonte di lettura e di azione di fronte al
fenomeno migratorio segnato spesso dalla paura, dalla crisi, dal sensazio-
nalismo, dalla strumentalizzazione delle persone che migrano a fini socia-
li, economici e politici. Questa visione ideologizzata intrappola continua-
mente le persone che vivono l’esperienza migratoria dentro certe categorie
riduttive e stereotipate come quella del povero, del bisognoso da aiutare o
dell’utile da tollerare. La comunicazione, la realtà sociale, economica e po-
litica, la cultura, le istituzioni e persino le religioni diventano così il terre-
no dello scontro, dell’esclusione o dell’indifferenza verso l’altro. Oltre ad
essere una sfida la preposizione “con” introduce anche una visione che, a
partire da un fondamento biblico teologico, cerca di leggere e rispondere
propositivamente alle dinamiche delle migrazioni definite “segno dei tem-
pi”. Il fenomeno della mobilità umana come realtà storica con tutte le sue
manifestazioni di ingiustizia e sofferenza diventa il luogo dove si incarna la
storia della salvezza intesa come un cammino di speranza ed insieme op-
portunità per vivere la fratellanza universale.
Passare da un paradigma dell’azione sociopastorale per a quella con i mi-
granti, rifugiati, sfollati, marittimi, persone e comunità in mobilità, non as-
serisce semplicemente al cambiamento di una proposizione, ma ad una di-
versa visione antropologica e fenomenologica delle migrazioni e delle per-
sone coinvolte, così come dell’azione concreta che ne consegue. Si tratta in-
nanzitutto di mettere in luce non solo quali azioni sono da mettere in atto
per i migranti, i rifugiati, sfollati, e persone in mobilità, ma soprattutto qua-
le futuro vogliamo costruire oggi con loro.
Il cambio paradigmatico sollecitato anche dal magistero di Papa France-
sco ha portato a riflettere sul pensiero della chiesa e l’azione pastorale nei
confronti di un fenomeno che continua a segnare la nostra attualità. I con-

3
Cf. FRANCESCO, Messaggio per la 108ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifu-
giato. Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati (25 settembre 2022).

16
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Introduzione

tributi offerti dagli autori in questo focus sono un modo per affrontare in
maniera approfondita la complessità e le svariate sfaccettature delle que-
stioni che i fenomeni migratori sollevano. Nell’articolo di Zanfrini, acuta-
mente si fa notare come le migrazioni siano una specie di “specchio” dove,
al netto delle questioni fenomenologiche, si possono cogliere anche le im-
plicazioni etiche e le responsabilità delle scelte concrete operate in campo
sociale e pastorale. I migranti “provocano” ad una autoriflessione ed ana-
lisi e rivelano spesso i fallimenti delle strutture di partecipazione ma anche
le opportunità che si possono creare. Baggio, nel suo contributo, sottolinea
il nesso tra migrazioni e storia della Chiesa che può essere letto in due di-
verse chiavi ermeneutiche: una pastorale e una missiologica. In questo con-
tributo l’autore si concentra sulla prospettiva missiologica, soffermandosi
su alcuni momenti della storia della Chiesa nel primo secolo d.C., letti al-
la luce delle narrazioni contenute negli Atti degli Apostoli analizzando co-
sì alcuni temi centrali come l’identità itinerante e pellegrina della Chiesa,
la cattolicità come comunione nella diversità e la cittadinanza universale.
L’articolo di Bevans offre una intuizione coraggiosa e sfidante sul concetto
di evangelizzazione ed esperienza migratoria richiamando alcuni documen-
ti importanti come Evangelii Nuntiandi e Together Towards Life. I migranti
“hanno molto da insegnarci” grazie alle loro vita ed esperienza segnata
spesso dal dolore ma anche dalla speranza così come la chiesa e la società
hanno “tanto da imparare” da loro. L’esperienza migratoria diventa fonte
autentica del fare teologia e stimolo per affrontare in maniera originale il
discorso su Dio, la chiesa, l’antropologia cristiana, le strutture sociali di
peccato. L’articolo di Terragni presenta la poliedrica figura di Mons. Gio-
vanni Battista Scalabrini, recentemente canonizzato da Papa Francesco, co-
me l’emblema della sollecitazione sociale e pastorale della chiesa nei con-
fronti del fenomeno migratorio e delle sue implicazioni. Scalabrini promuo-
ve nel suo pensiero e azione una chiesa aperta, inclusiva, accogliente e vi-
cina alle persone, capace di rinnovarsi e di unire missionarietà, evangeliz-
zazione e promozione umana, annunciatrice del piano di Dio nascosto nel-
le migrazioni. Nel loro articolo Varisco e Skoda raccontano l’esperienza dei
seminaristi, dei diaconi e dei giovani presbiteri con background migratorio,
proprio o familiare. Tale esperienza evidenzia quanto la società e la Chiesa
siano realtà complesse e in continuo divenire, plasmate dal fenomeno del-
la mobilità. La presenza sempre più importante anche nel clero di persone
con background o esperienze migratorie genera una nuova realtà che già si
mostra, e ancor più si mostrerà nei prossimi anni.

17
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda

Il fenomeno migratorio sollecita la comunità cristiana nella sua dimen-


sione di cattolicità in quanto la Chiesa sin dall’inizio si configura come co-
munità dalle genti mostrando immediatamente la forza missionaria del van-
gelo nell’abbracciare ogni persona e ogni cultura. Allo stesso tempo però la
cattolicità ha bisogno di essere trasformata in un atteggiamento ed azione
concreta di accoglienza e dialogo continuo. La chiesa è essenzialmente co-
munione (koinonía) e questo rappresenta l’orizzonte di senso e il nucleo più
genuino della riflessione teologica scaturita dal Concilio. Il suo valore co-
me tratto distintivo della Chiesa e delle relazioni ad intra e ad extra, diven-
ta una piattaforma per comprendere meglio le relazioni interculturali che si
configurano a causa proprio della mobilità umana.

Aldo Skoda
Pontificia Università Urbaniana
([email protected])

18
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

MIGRATIONS. A MIRROR OF SOCIETY,


A CHALLENGE FOR THE CHURCH

Introduction – 1. How immigration challenges the idea of national society – 2. Why immi-
gration “disturbs” our democracies... – 3. ... and reflects the tensions that affect them; 3.1
Immigrants are “foreigners”; 3.2 Immigrants are “mobile”; 3.3 Immigrants are “poor”;
3.4 Immigrants are “different” – 4. Immigration is a mirror of society... – 5. ... and chal-
lenge for the Church

Keywords: International Migrations; Citizenship; Borders; Europe; Catholic Social Thought

Introduction

From a sociological perspective, immigration works like a “mirror” through


which we look at and understand our societies, foresee their possible evo-
lutions, bring out the challenges to be faced, grasp the ethical implications
of political choices and social practices.
In this essay, we will test this mirror function, describing how immigra-
tion defies the institution of national citizenship and reveal many of the ten-
sions experienced by current European democracies. A selection of pas-
sages from the “Fratelli tutti” will help us in this study.
In the final section, we will highlight how migrations, providing an ex-
traordinary opportunity for self-reflection, deepening of the faith and recov-
ery of its authentic meaning, seem to be a real challenge for the Church.

1. How immigration challenges the idea of national society

In the tradition of Western democracies, coming from nationalistic doc-


trines and the great revolutions of the 18th century, citizens of a nation are
considered those members of a community with a common descent and des-
tiny, united by a bond of consanguinity that makes them equal in rights, in-
vested with the duty of looking after the common good and defending their
homeland; a community perceived not only as a physical and political re-

19
3/2022 ANNO LXXV, 19-43 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

ality, but also as an identity, sentimental, and sometimes even spiritual one.
Approximately, without going into too much detail regarding this complex
topic, we could say that the institution of citizenship has somewhat realized,
in our democracies, the ideal of fraternity1.
Specifically, there is a close connection between the concept of citizen-
ship and the principle of equality among all citizens, who are recognized as
having equal dignity and the possibility of enjoying inviolable freedoms and
citizenship rights, including the one of being actively involved in making
public decisions. In other words, citizenship, as is defined in contemporary
democratic States, is a universal juridical-political attribute, that does not
depend on the different peculiarities of individual citizens.
The emergence of citizenship rights has played a strategic role in the de-
mocratization of Western political societies, a process that has lasted for at
least two centuries – and is not concluded yet – along a dual movement2, in
order to achieve the goal mak people more “equal”, according to a univer-
salistic principle.
The first movement determined the increase of the number and type of
rights granted to citizens. Historically, as is well known, the first citizen-
ship rights to be recognized were the civil ones. Thanks to them, political
rights came into play, which, in turn, promoted the development of social
rights by pursuing in our democracies the plan to make citizens more
equal, not only in a formal, but also in a real way. This movement – culmi-
nating in the creation and consolidation of different models of the Welfare
State, especially in the decades following World War II – has at the same
time caused and fostered the progressive inclusion of new social groups in-
to the citizen category.
The second movement achieving the democratization of Western societies
was determined by the of people entitled to be considered citizens in a full
sense and, as such, holders of prerogatives determined by the citizenship
possession. This movement succeeded in eliminating the past limitations re-
garding the exercise of citizenship rights – especially political rights –
based on features like wealth and gender (just as a reminder, in many coun-

1
Cf. L. ZANFRINI, Fratelli o fratellastri? La fratellanza alla prova della multiculturali-
tà, in M. EPIS (ed.), Mai senza l’altro. L’imperativo etico della fratellanza, Edizioni Glos-
sa, Milano 2022, 109-149.
2
Cf. R. DAHL, Polyarchy. Participation and Opposition, Yale University Press, New
Haven, CT 1972.

20
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

tries the right to vote was extended to women only after World War II). But
it has also brought about the recognition of rights to individuals who were
not previously included, and the most emblematic case is the one of chil-
dren, who were once considered as a parents’ (or rather a father’s) “proper-
ty”, and today they have become holders of specific rights and protections.
It is manifest how this movement of progressive inclusion within the “com-
munity of citizens” finds its limit, in today’s society, precisely in the distinc-
tion between citizens and foreigners3. Despite the incredible growth of plan-
etary interdependencies and human mobility, our world is still divided into
States, each of them exercises its sovereignty over a territory and population.
The nation-state, since its development in the 18th century, is based on a uni-
fying ideology that, although often fictitious, has proved to be very strong, al-
lowing the creation of communities that are politically united, and ethnical-
ly and culturally homogeneous, where nationality overlaps with citizenship4.
This, actually, means that belonging to a nation coincides with membership
to the State and ownership of citizenship rights, a structure that during the
20th century has been strengthening as the “natural” political condition of
humankind5 and is practically based on the distinction between citizens and
foreigners: without the latter, there would not even be the former.
A sociologist of migration – and this discipline is naturally inclined to
grasp the ambivalence, whenever present, in the relationship between every
society and the foreigner6 – made the keen observation that immigration
represents the limit of the national State that, in order to exist, has estab-
lished its national borders and has adopted the necessary criteria to dis-
criminate between nationals and “the others”7. As there is no positive def-
inition of the term “foreigner” that is always described negatively (in other
words, one who is not a national), so the same national would not exist ex-
cept in the – actual or only possible – presence of the non-national, for the

3
Cf. L. ZANFRINI, Cittadinanze. Ripensare l’appartenenza e i diritti nella società del-
l’immigrazione, Laterza, Roma – Bari 2007.
4
Cf. A. WIMMER – N. GLICK SCHILLER, Methodological Nationalism, the Social Sci-
ences, and the Study of Migration: An Essay in Historical Epistemology, “International
Migration Review” 37 (2003), 3, 576-610.
5
Cf. A. GIDDENS, The Nation-State and Violence, Polity Press, Cambridge 1985.
6
Cf. G. SIMMEL, Exkurs über den Fremden, in Soziologie. Untersuchungen über die For-
men der Vergesellschaftung über, De Gruyter, Berlin 1908, 509-512.
7
Cf. A. SAYAD, La double absence, Seuil, Paris 1999.

21
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

simple reason of the dialectic between identity and otherness8. Because of


this line of demarcation allowing our political communities to exist and to
present themselves as something distinct and different from those who do
not belong to them, the particularistic principle represents an inevitable
counterpart of the universalism evoked by the constitutional charters. Con-
trary to what is sometimes being stated, it is not true at all that foreigners
do not have rights. As a matter of fact, in the countries of the European
Union, they generally enjoy a good number of citizenship rights and, even
if they are irregular resident, have access to different safety provisions due
to the recognition of the dignity of every person9. However, universalism
can never go as far as totally pairing up citizens and foreigners; in fact, in
order to exist, even the most open and inclusive political communities need to
distinguish the status between citizens and non-citizens. No reform of the cit-
izenship law, albeit inclusive, can ever eliminate this form of exclusion
present in any political community. Putting it even more explicitly, an ex-
pression such as “we are all citizens of the world” evokes an ideal incom-
patible with the existence of nation-States.
On the other hand, the extraordinary acceleration experienced by hu-
man mobility in recent years, by exponentially increasing the number of
non-citizens residing in the country, makes the ambition of States to freely
“choose” their members, by excluding foreigners, less and less legiti-
mate10. A lively debate on the criteria for the recognition of the citizen sta-
tus has thus arisen11, which has gone so far as to ask whether or not such
status should continue to be the basic principle for defining membership
in a political community and regulating the allocation of rights and oppor-
tunities12. In any case, in the context of a contemporary, globalized and in-

18
Ivi.
19
Among the very extensive literature on these issues, see T. HAMMAR (ed.), European
Immigration Policy, Cambridge University Press, New York, NY 1985; J.F. HOLLIFIELD,
Immigrants, Markets, and State. The Political Economy of Postwar Europe, Harvard Uni-
versity Press, Cambridge, MA – London 1992.
10
Cf. M. WALZER, Spheres of Justice: A Defense of Pluralism and Equality, Basic
Books, New York, NY 1983.
11
See for example, T.A. ALEINIKOFF – D. KLUSMEYER (eds.), From Migrants to Citizens.
Membership in a Changing World, Carnegie Endowment for International Peace, Wash-
ington, DC 2000.
12
For further information on this topic, see ZANFRINI, Cittadinanze.

22
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

terconnected society, the borders of nation-States seem to be increasingly


narrow to interpret the requests of justice and membership, and the pan-
demic has provided irrefutable proof of that. In other words, the trade-off
between the two philosophies that the nationalistic plan tried to keep to-
gether – by virtue of an artificial equation among a people, a territory, a
State, and a nation, the so-called “principle of isomorphism”13 – through
the fictitious creation of national societies with closed and impenetrable
borders, today has been manifested in all of its problematic nature. On
one hand then, there is the universalistic philosophy, represented by the
idea of the person’s rights that, at different levels, is “forcing” the State
prerogative to control its borders and decide the treatment to be reserved
to non-citizens; on the other hand, there is the particularistic philosophy
attested by the evident difference/inequality of the status between a citi-
zen and a foreigner, and perhaps in an even more meaningful way by the
concern of States to “defend” their physical and identity borders through
the control of migration flows.
The strong migratory pressure and the increase in the presence of foreign
people or people of foreign origin who live within the borders of our democ-
racies challenge them – if they want to continue to call themselves democ-
racies – to rethink the dividing line between included and excluded peo-
ple; that is, reformulating the criteria for obtaining citizenship, establishing
which citizenship rights can /should also be extended to foreign residents
and, even before that all that, deciding on the right to immigrate and, again,
what responsibilities nation-States must exercise towards other peoples that
globalization processes make them less “distant”.
In this regard, although European States are often described as en-
trenched in the defense of the privileges of “their” citizens and locked up
into a sort of impenetrable fortress, it is important to remind that the Euro-
pean history of recent decades is (also) the story of the gradual extension of
the boundaries of membership (just think about the tens of millions of for-
eigners who have become European citizens in the country in which they
reside and also have pass that on to their descent), of state borders that have
become more porous towards an immigration that is not chosen or econom-
ically advantageous (as is the case, for example, regarding family members
reunification, or vulnerable subjects who request asylum), of forms of pro-

13
Cf. WIMMER – GLICK SCHILLER, Methodological Nationalism, 576-610.

23
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

tection extended even to irregular migrants (when the survival of people or


the need to protect the most vulnerable are at stake). Hence, it could be
said that the opposition between included and excluded people has given way,
in the impact with the culture of the rights of the person and the principles of
solidarity safeguarded by the European civil society, to an ambivalent sce-
nario – to the Janus-faced Europe, as we defined it14 – in which opposite
processes coexist and where the attitude towards immigration reveals many
of the tensions experienced by current European democracies.

2. Why immigration “disturbs” our democracies...

Immigration, especially when it minorities which are visible in the public


arena – and often even socially and economically disadvantaged –, strong-
ly challenges our idea of citizenship and the ways in which this concept
been shaped in the experience of European democracies.
Immigration “disturbs”15 because it forces us to the history of our politi-
cal communities and remind us of their socially constructed and inevitably
arbitrary character, despite the effort to naturalize their borders; and above
all, because it forces us to disclose the way a society thinks and sees itself.
By embracing this perspective, we can see how immigration manifests
the tensions present in three key principles, on which our model of demo-
cratic citizenship has historically been established.
The first of these principles is the idea of national societies that are
“closed in” and surrounded by national borders, based on regimes of citi-
zenship able of “holding together”, as we have seen, universalistic and par-
ticularistic principles, by using the fiction of a society closed in and strong-
ly united by bonds of “brotherhood”. This idea – but it is, actually, an “in-
vention” – translates into what we call methodological nationalism, that is
the tendency to consider as something “natural” the fact that boundaries of
the nation-State also delimit the unity of analysis for the study of social
processes16 and for the specific research of solutions to collective problems.

14
Cf. L. ZANFRINI, The Challenge of Migration in a Janus-Faced Europe, Palgrave,
London 2019.
15
Cf. SAYAD, La double absence.
16
Cf. WIMMER – GLICK SCHILLER, Methodological Nationalism, 576-610.

24
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

The second principle is the intergenerational solidarity made possible by


permanent residence in the national territory, or by a settled lifestyle.
It is a principle that is practiced either through forms of intra-family sol-
idarity (especially in the “familistic” version of the welfare regimes17), and
at the society level, through that form of institutionalized solidarity repre-
sented by the Welfare State. This extraordinary invention, pursuing the goal
of collectively taking care of individual problems and needs – especially of
the weakest persons, through the creation of institutions financed by sys-
tems – has been based on the linearity of individual “life careers” and on
adequate birth rates to ensure the turnover of the working population (both
of which have gradually vanished in many countries).
The third key principle is the close link between economic role and mem-
bership right, i.e., the common overlap between economic citizenship and
citizenship tout court. This makes work (i.e., the assumption of an active
role) at the same time a citizenship right and a citizenship duty18. This very
principle is also a basic element of the development of welfare systems –
grounding many rights to the citizen’s working career, and sometimes ex-
tending their enjoyment to the worker’s family members – and, in more re-
cent times, of European social policies – identifying involvement in the
paid labor market as the main requirement of citizenship (see for instance
all the programs aimed at promoting gender equality, where the emphasis
on increasing female employment is much more pointed out than the desire
to increase male involvement in unpaid care work).
Finally, our idea of society and citizenship is based on the presumption
that citizens make up a homogeneous community from an ethnic, cultural,
and religious point of view. This is a particularly meaningful idea in coun-
tries that share an ethnic conception of the nation, where the emphasis is
on the principle of descent (which translates into a legislation on citizen-
ship where the elements of jus sanguinis are predominant) and on the shar-
ing of a language, history, culture, and “destiny”. These characteristics
make the inclusion of migrants “physiologically” complex, because in all of
these areas (language, history, culture, often the same religion...), they usu-
ally come across quite different from natives.

17
G. ESPING-ANDERSEN, Social Foundations of Postindustrial Economies, Oxford Uni-
versity Press, Oxford 1999.
18
R. LODIGIANI, Lavoratori e cittadini, Vita & Pensiero, Milano 2018.

25
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

The history of the immigration management in Europe is, in many ways,


a reflection of this model of society and democratic citizenship, as can be
perceived from the economic imprinting of the European migration regime,
as well as from the recurrent illusion of preventing immigration from be-
coming a stable presence, capable of contaminating the “hereditary” fea-
tures of the population19.

3. ...and reflects the tensions that affect them

But there is more. As mentioned above, immigration also has the effect of
revealing the tensions present in the traditional concept of democratic cit-
izenship, that is, of reflecting like in a mirror the main critical attacks on it
perpetrated by today’s political reflection20. By showing the limitations of
the key principles that we have just recalled, immigration – or, rather, im-
migrants – offers European democracies an extraordinary opportunity for
self-reflection.

3.1 Immigrants are “foreigners”

Firstly, precisely because they are foreigners who have forced national bor-
ders to meet their needs, immigrants question the ability of citizenship
rights – as they are closely linked to a given nation State – to intercept the
requests of membership and justice in today’s global society. In addition,
because of their exclusion from citizenship rights – even though only par-
tially –, immigrants shed light on the arbitrary character of national borders
(and supra-national, in the case, for example, of the European Union) and
of systems of civic stratification that regulate access to rights and opportu-
nities, by going to classify the different categories of residents. Consider, for
instance, the different treatment reserved to non-European immigrants in
comparison to citizens coming from other member countries, rather than
long-term resident foreigners from those who have a temporary permit. As
a result of their different location in systems of civic stratification, people

19
Cf. ZANFRINI, The Challenge of Migration.
20
Cf. L. PAPAVERO, Il sistema politico, in L. ZANFRINI (ed.), Sociologia delle differenze
e delle disuguaglianze, Zanichelli, Bologna 2011, 239-256.

26
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

can therefore have access in different ways to rights and opportunities to


pursue their goals, meaning to achieve their integral human development.

No one, then, can remain excluded because of his or her place of birth,
much less because of privileges enjoyed by others who were born in
lands of greater opportunity. The limits and borders of individual states
cannot stand in the way of this. As it is unacceptable that some have
fewer rights by virtue of being women, it is likewise unacceptable that
the mere place of one’s birth or residence should result in his or her
possessing fewer opportunities for a developed and dignified life21.

Paradoxically, these systems of civic stratification are the of an inclusive


tension, that resulted into a better status for certain categories of foreigners,
thus shifting the boundary between included and excluded, equal and dis-
advantaged, instead of eliminating it altogether, but rather reshaping it ac-
cording to criteria of political or economic advantage.

Even so, I do not wish to limit this presentation to a kind of utilitarian


approach. There is always the factor of “gratuitousness”: the ability to
do some things simply because they are good in themselves, without
concern for personal gain or recompense. Gratuitousness makes it pos-
sible for us to welcome the stranger, even though this brings us no im-
mediate tangible benefit. Some countries, though, presume to accept
only scientists or investors22.

Indeed, this inclusive tension can give rise to new borders through
processes of “exclusion from within”. This came about, for instance, with
the introduction of European citizenship which, by enriching the basket of
rights enjoyed by European citizens, made even more tangible, from a prac-
tical and symbolic point of view, the limitations that affect the citizens of
the so-called Third Countries23.
Ultimately, through their quest for freedom, economic security and pro-
tection, and their often successful attempts to force both geographical bor-

21
FRANCESCO, Encyclical Letter Fratelli Tutti, 3 October 2020, no. 121.
22
Ibid., no. 139.
23
Cf. E. BALIBAR, Noi cittadini d’Europa? Le frontiere, lo Stato, il popolo, Manifesto-
libri, Roma 2004.

27
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

ders and status boundaries (for example, when they reveal their needs for
subsistence and care, even though they are not formally entitled to them),
immigrants expose the fiction that has allowed our democracies to present
themselves as societies of equals – that is, the particularistic principle on
which our universalism is based – and are a warning sign against the ten-
dency to consider the citizen status a merit or a moral reward, encouraging
the search for new answers to the demands of justice and membership. This
is what “Fratelli tutti” (no. 125) reminds us of:

[...] If every human being possesses an inalienable dignity, if all people


are my brothers and sisters, and if the world truly belongs to everyone,
then it matters little whether my neighbour was born in my country or
elsewhere. My own country also shares responsibility for his or her de-
velopment, although it can fulfill that responsibility in a variety of ways.
It can offer a generous welcome to those in urgent need, or work to im-
prove living conditions in their native lands by refusing to exploit those
countries or to drain them of natural resources, backing corrupt systems
that hinder the dignified development of their peoples. What applies to
nations is true also for different regions within each country, since there
too great inequalities often exist. At times, the inability to recognize
equal human dignity leads the more developed regions in some coun-
tries to think that they can jettison the “dead weight” of poorer regions
and so increase their level of consumption24.

3.2 Immigrants are “mobile”

Secondly, because they move beyond national borders, meaning they are
mobile, immigrants are an exception to the principle of residency and ex-
clusive loyalty to the nation-State belong to, heralding a future – which for
many is already present – in which state borders will no longer mark the
boundaries of individual lives and projects. Migrants’ mobility raises the is-
sue of the portability of rights and protections, and more generally the inad-
equacy of the national protection systems (also based on the fiction of
closed societies) while facing the trans-nationalization of life and work ca-
reers. In this way, they allow us to grasp the most problematic implications:

24
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 125.

28
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

what will be, for example, of the thousands of migrant women who came
alone, employed in our homes, who have sacrificed themselves for their
families and who sometimes no longer have a home to return to, now that
they have reached the threshold of old age? Guardians of heavy family man-
dates and intergenerational obligations, immigrants are helping to redesign
the demographic balance (both in the countries of destination, with a direct
and indirect contribution in mitigating the decline in fertility, as well as in
those of origin) and, even more, the balance of welfare (responding to the
caring needs of our families, but also causing a dramatic “care drain” – the
lack of care support – which further impoverishes the communities of ori-
gin, resulting in one of the most dramatic forms of inequality on a global
scale, that has already been pointed out for a long time25).

Those who emigrate “experience separation from their place of origin, and
often a cultural and religious uprooting as well. Fragmentation is also felt
by the communities they leave behind, which lose their most vigorous and
enterprising elements, and by families, especially when one or both of the
parents migrates, leaving the children in the country of origin26.

And, again, with their family practices (from families divided by migra-
tion to reunited ones, from arranged marriages to polygamous ones...) they
challenge “our” preconceived idea of family considered here as a social
structure as well as a moral order27. They question us on the sustainability
of reproductive processes based on intra-family solidarity (families separat-
ed by migration, in which one or more generations are “missing”, do they
not anticipate an increasingly widespread condition?) or even prefigure, ac-
cording to some28, new family models destined to substitute those consid-
ered so far homogeneous.
Finally, if analyzed from a perspective that is not simply our own conven-
ience to dispose of their cheap work and their hyper-availability, immi-

25
See, among others, B. EHRENREICH – A. RUSSEL HOCHSCHILD (eds.), Global Woman.
Nannies, Maids, and Sex Workers in the New Economy, Granta Books, London 2002.
26
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 38.
27
Cf. R. GRILLO (ed.), The Family in Question. Immigrant and Ethnic Minorities in
Multicultural Europe, Amsterdam University Press, Amsterdam 2008.
28
Cf. U. BECK – E. BECK-GERNSHEIM, Fernliebe. Lebensformen im globalen Zeitalter,
Suhrkamp, Berlin 2011.

29
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

grants are a warning against the unsustainability, in the long run, of mod-
els of division and organization of work that have generated new lines of seg-
mentation and inequity destined to have repercussions on the well-being of
individuals, families and communities. It is a matter of acknowledging how
the processes of social construction of migrants and their role, in the coun-
tries of destination and origin, violate exactly the goal of integral human de-
velopment for all. In this way, brotherhood is reduced to mere rhetoric, en-
hancing solutions that are absolutely imperfect and unsustainable over
time, because they are based not on a plan to achieve the common good, but
on the amount of personal gains.

The world exists for everyone, because all of us were born with the same
dignity. Differences of colour, religion, talent, place of birth or resi-
dence, and so many others, cannot be used to justify the privileges of
some over the rights of all. As a community, we have an obligation to
ensure that every person lives with dignity and has sufficient opportu-
nities for his or her integral development29.
Individualism does not make us more free, more equal, more fraternal.
The mere sum of individual interests is not capable of generating a bet-
ter world for the whole human family. Nor can it save us from so many
ills that are now increasingly globalized. Radical individualism is a
virus that is extremely difficult to eliminate, for it is clever. It makes us
believe that everything consists in giving free rein to our own ambitions,
as if by pursuing ever greater ambitions and creating safety nets we
would somehow serve the common good30.

3.3 Immigrants are “poor”

Moreover, immigrants, because they are poor and driven by the need of
emancipation and well-being, challenge the discriminatory character of the
right to mobility (ensured only to holders of “strong” citizenships) and the
attributes of “morality” of the “immigration choisie”, selected because of its
economic advantage. Pushed into the lower places of social stratification (an
inevitable consequence of a model of integration that values primarily their

29
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 118.
30
Ibid., no. 105.

30
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

willingness to perform low-skilled and low-paid jobs), migrants and


refugees are often associated with other categories of “illegitimate benefici-
aries” of welfare benefits (since indigenous people, as “owners of the State”,
pretend to have a priority in enjoying these benefits), unfair competitors
when they have access to resources and social opportunities, responsible for
the problems of social dumping or even for the growth of intolerance and
racism. And this reaction comes about especially when these people betray
those expectations of hyper-adaptability acclaimed by the “pro-immigrant
agenda” that, by insisting on “our” need for their work and tax contribution,
produces the counterintuitive effect of legitimizing the selective strategies
that today even affect the management of migrations for family and human-
itarian reasons, in the context of an economical drift exaggerating the prin-
ciple of activation as a requirement for access to rights (by considering work
no longer a right of citizenship, but a requirement for it). Consider, for ex-
ample, how the statement “we must welcome asylum seekers because they
will pay our pensions”, often heard during the recent refugee crisis, contra-
dicts exactly the spirit of an institution established to oversee international
protection on behalf of the most vulnerable, whom we must be looking after
rather than waiting for them to take care of our problems.
Indeed, all along the troubled relationship between immigration and Eu-
ropean society, the treatment of migrants has repeatedly manifested the am-
bivalences and aporias of the principle of universalism, on which European
democracies claim to be founded. Today, it also provides us with the em-
blematic example of the paradoxes caused by the application of the princi-
ple of conditionality in accessing citizenship right31. In line with the old
paradigm of the “guest worker” that marked the first steps of the European
migration regime, the key factor of economic citizenship is today empha-
sized not only by recruitment programs aimed at selecting new migrants on
the basis of their immediate availability and their predictable income ca-
pacity, but also by a wide range of tools designed to reduce welfare depend-
ence and encourage the rapid activation of newcomers. Specifically, the
rules governing entry (including also family members and sometimes even
asylum seekers), as well as the criteria for the acquisition of long-term res-
idence permits and citizenship, are increasingly asking for requirements of

31
Cf. L. ZANFRINI, I “confini” della cittadinanza: perché l’immigrazione disturba, “So-
ciologia del Lavoro” (2010), 117, 40-56.

31
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

literacy, education, wealth and economic independence, reflecting an ideo-


logical framework which supports an economic model of citizen32 and aims
at discarding those principles of equality and protection of the weakest that
is the foundation of the European social model.
Ultimately, immigrants – and especially those who would like to migrate,
even though they do not have enough skills to make them appear to be a re-
source – are a warning against the emergence of a Darwinist conception of
membership, foreshadowing disturbing scenarios for societies more or less
consciously involved in the production of “human waste”.

The true worth of the different countries of our world is measured by


their ability to think not simply as a country but also as part of the larg-
er human family. This is seen especially in times of crisis. Narrow forms
of nationalism are an extreme expression of an inability to grasp the
meaning of this gratuitousness. They err in thinking that they can de-
velop on their own, heedless of the ruin of others, that by closing their
doors to others they will be better protected. Immigrants are seen as
usurpers who have nothing to offer. This leads to the simplistic belief
that the poor are dangerous and useless, while the powerful are gener-
ous benefactors. Only a social and political culture that readily and
“gratuitously” welcomes others will have a future33.

As H. Arendt insightfully stated in 1951, the extensive use of denatural-


ization as a strategy to handle displaced people and unwanted minorities
was probably inspired, a few decades ago, by the practices employed in
Africa during colonization34. Something similar might happen today. At-
tempts to select and ban migrants and asylum seekers could provide alarm-
ing scenarios for societies that feel they do not need all of their citizens, or
only need them under certain conditions. Similarly, other elements point in
the same direction of multiple drifts that affect Europe at the same time –
from selective abortions to euthanasia for the mentally ill, to the provision

32
Cf. S. SEUBERT – D. GAUS, Report: Voter Turnout for the European Parliament and
Political Equality in the European Union, bEUcitizen 2016, Deliverable D.8.6.
[www.bEUcitize.er/publications].
33
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 141.
34
Cf. H. ARENDT, The Origin of Totalitarianism, Harcourt, New York, NY 1951.

32
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

of health services only to those who are not held responsible for their dis-
eases – and that find their common denominator in a principle of merit de-
fined according to performance criteria and not on the basis of values pres-
ent in our cultural and religious heritage:

[...] At present, however, migration is affected by the “loss of that sense


of responsibility for our brothers and sisters on which every civil society
is based”. Europe, for example, seriously risks taking this path. Nonethe-
less, “aided by its great cultural and religious heritage, it has the means
to defend the centrality of the human person and to find the right balance
between its twofold moral responsibility to protect the rights of its citi-
zens and to assure assistance and acceptance to migrants”35.
Some societies accept this principle in part. They agree that opportuni-
ties should be available to everyone, but then go on to say that every-
thing depends on the individual. From this skewed perspective, it would
be pointless “to favour an investment in efforts to help the slow, the
weak or the less talented to find opportunities in life”. Investments in
assistance to the vulnerable could prove unprofitable; they might make
things less efficient. No. What we need in fact are states and civil insti-
tutions that are present and active, that look beyond the free and effi-
cient working of certain economic, political or ideological systems, and
are primarily concerned with individuals and the common good36.

3.4 Immigrants are “different”

And finally taking into consideration the last key principle regarding the
concept of democratic citizenship, it should be noted that immigrants, be-
ing clearly different, challenge the idea of the nation considered as a com-
munity of ethnically and culturally homogeneous descent, in which nation-
ality overlaps with citizenship. Varying in different countries, the expecta-
tion of a set of shared values, based on public order and handed on through
generations, has even been codified within standard systems and proce-
dures aimed at assessing individual success, performance evaluation, and
reward allocation. This very expectation is at the heart of the European

35
FRANCESCO, Fratelli Tutti, n. 40.
36
Ibid., n. 108.

33
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

Union plan, built on the presumption of a common European society, where


every European citizen must feel naturally “integrated”, while non-EU cit-
izens have to presumably achieve integration only over time. Finally, espe-
cially after the so-called “integrationist shift”37, this ideal is increasingly
affecting also the procedures for the selection of migrants and their ad-
vancement in the systems of civic stratification. And thattempts to remove
the topic dealing with diversity.
Therefore, immigration does not national societies only in their inclusion
into the system of citizenship rights, “forcing” so to speak the nations
boundaries. Also challenges, that has to do with culture, language, religion,
and ethnic belonging, but also the very fact of being a migrant, belonging
at the same time to two different worlds, to two different universes of iden-
tity, to two different “homelands” (a condition that in itself contradicts an-
other nationalistic rhetoric, meaning the principle of unconditional fidelity
to one’s nation).
Focusing here on the first order of challenges, the perspective of multicul-
tural citizenship38 provides for the acknowledgment, protection, and attribu-
tion of “special” rights to cultural diversity, taking into consideration the
fact that, along with freedom and equality, cultural identity is also a consti-
tutive good of human dignity. This means the transition from universalism
of an abstract human nature to its historicity, and the possibility of conceiv-
ing also the recognition of rights and treatments by going according to the
specific affiliations of each person, thus preserving one’s difference. Al-
though it can also be achieved according to the specific ways promoted by
the liberal tradition – or according to the philosophy of individual rights –,
this perspective often underlies a communitarian philosophy, where differ-
entiated rights – and treatments – are attributed not to individuals, but to
the groups they belong to (or are presumed to be part of, although setting
boundaries of groups and criteria, which an individual should become part
of, is one of the most delicate issues to deal with in order to find a solution).
The innovative meaning of differentiated rights (often called ethnic rights39)

37
Cf. C. JOPPKE, Transformation of Immigrant Integration: Civic Integration and An-
tidiscrimination in The Netherlands, France, and Germany, “World Politics” 59 (2007), 2,
243-273.
38
Cf. W. KYMLICKA, Multicultural Citizenship. A Liberal Theory of Minority Rights,
Clarendon, Oxford 1995.
39
Cf. V. CESAREO, Società multiculturali e multiculturalismi, Vita & Pensiero, Milano 2000.

34
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

therefore lies in the fact that they are constitutionally different from the pre-
vious ones – civil, political, social –: the latter are individual rights, while
the former are collective rights, forerunners of compromising the principle
of unity of the legal system (“the law is the same for all”), on which modern
democracies are founded, suggesting the addition of a national-cultural di-
mension to democratic citizenship, that is, legitimizing the differentiation of
citizenship regimes, with all the problems involved in this perspective.
Nevertheless, the perspective of multicultural citizenship opposes to the
idea of nation as a common descendant, the concept of the nation as a re-
ality that “updates itself” and is renewed through recurring processes of
self-constitution. In this new scenario, citizenship and citizenship rights are
tools aimed not so much at making people more “equal”, but at organizing
pluralism and differences, combining the claims of identity recognition
with the preservation of social cohesion.

4. Immigration is a mirror of society...

Definitely, the challenging character of immigration refers not only to its di-
versity, but actually comes from its demand for inclusion and recognition.
Ultimately, the issue of citizenship for immigrants (or the recognition of
multicultural citizenship itself) does not only involve them and the criteria
they must meet in order to obtain it. What is often underestimated is how
citizenship is also the institution by which a national community reaffirms
the fundamental principles on which coexistence is based, expresses its cul-
tural identity and values, and asserts the duty of citizens to respect these val-
ues and hand them over to the new generations. Therefore, in its relation-
ship with immigration, citizenship has not only an integrative function – by
fostering the process of inclusion – but also a symbolic role. It is a way for
society to allow the inclusion of new members, recognizing their contribu-
tion to the economic, civil, and cultural development of the nation, but al-
so asking them to adhere to values and principles that are considered
mandatory. In other words, if immigrants are asked, if not really to make it
their own, at least to respect the national identity of the host country, it is
precisely the concept of national identity that must be the focus of discus-
sion. This is even more true since this concept seems to be increasingly
frayed and no longer synthesizable in the sharing of those characters en-
closed in an “ethnic” conception of belonging to the nation.

35
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

The difficulty, sometimes the embarrassment, in dealing with this topic


stems from the reticence to come to terms with the value and moral dimen-
sion of collective identity, in a context colonized by technocratic illusions and
uncritical concessions to “political correctness”.

[...] We do not ignore positive advances made in the areas of science,


technology, medicine, industry and welfare, above all in developed
countries. Nonetheless, “we wish to emphasize that, together with these
historical advances, great and valued as they are, there moral deterio-
ration that influences international action, and a weakening of spiritu-
al values and responsibility”40.
These are the new forms of cultural colonization. Let us not forget that
“peoples that abandon their tradition and, either from a craze to mimic
others or to foment violence, or from unpardonable negligence or apa-
thy, allow others to rob their very soul, end up losing not only their spir-
itual identity but also their moral consistency and, in the end, their in-
tellectual, economic and political independence”. One effective way to
weaken historical consciousness, critical thinking, the struggle for jus-
tice and the processes of integration is to empty great words of their
meaning or to manipulate them. Nowadays, what do certain words like
democracy, freedom, justice or unity really mean? [...]41.
The solution is not an openness that spurns its own richness. Just as
there can be no dialogue with “others” without a sense of our own iden-
tity, so there can be no openness between peoples except on the basis
of love for one’s own land, one’s own people, one’s own cultural roots.
I cannot truly encounter another unless I stand on firm foundations, for
it is on the basis of these that I can accept the gift the other brings and
in turn offer an authentic gift of my own. I can welcome others who are
different, and value the unique contribution they have to make, only if
I am firmly rooted in my own people and culture. Everyone loves and
cares for his or her native land and village, just as they love and care
for their home and are personally responsible for its upkeep. The com-
mon good likewise requires that we protect and love our native land.
Otherwise, the consequences of a disaster in one country will end up

40
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 29.
41
Ibid., no. 14.

36
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

affecting the entire planet. All this brings out the positive meaning of
the right to property: I care for and cultivate something that I possess,
in such a way that it can contribute to the good of all42.

In this regard, some radical interpretations of the principle of secularism


of the State are emblematic, as well as the re-semantization that the con-
cept of civil rights has met in recent years (not moving forward on issues
like the “right to abortion” or that to parenthood for homosexual couples);
or, again, the ways in which we ordinarily approach the issue of diversity,
oscillating between moralizing intentions (when, for example, we evaluate
the gender cultures typical of some immigrant communities) and instru-
mental objectives (when, for example, what is appreciated in immigrants is
only their distinct willingness to adapt to jobs that others reject), but very
rarely interested in an explicit and profound reflection on “which” diversi-
ties and what values and ideas of the (common) good are going to be pro-
moted through discussions and practices aimed at preserving diversity43.
It is then “by testing” such issues that immigration reveals its full poten-
tial in terms of self-reflexivity for current societies.
All this calls on the need to plan an inclusive growth, but even before that
– or better as a condition of the latter – the need to elaborate a project of
shared development44. This calls into play topics and issues linked to the
structural specificities of a society, but also – and perhaps above all – those
that define it on a cultural level. Ultimately, speaking of shared develop-
ment implies the existence of a social system that has, albeit implicitly, a
project on itself and shares a system of values allowing it to make choices that
look to the future, and not focused only on matters pertaining to today’s
well-being alone. All this evokes a further, fundamental, feature of citizen-
ship: the active one, which entails participation in processes of discussion
and deliberation, freed from nationalistic encrustations, expression of co-
responsibility for the common good, open to appreciating diversity and plu-
ralism and also incorporating the “peripheries” viewpoint:

42
Ibid., no. 143.
43
Cf. L. ZANFRINI – M. MONACI, Introduzione. Di quale “diversità” e di quale “valore”
parliamo?, “Sociologia del Lavoro” (2014), 134, 7-39.
44
Cf. L. ZANFRINI, Lo sviluppo condiviso. Un progetto per le società locali, Vita & Pen-
siero, Milano 2001.

37
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

Every day we are offered a new opportunity, a new stage. We do not


have to expect everything from those who govern us, it would be child-
ish. We enjoy a space of co-responsibility capable of initiating and gen-
erating new processes and transformations. We must be an active part
in the rehabilitation and support of wounded societies. Today we are
faced with the great opportunity to express our being brothers, to be
other good Samaritans who take upon themselves the pain of failures,
instead of fomenting hatred and resentment. Like the occasional way-
farer of our history, it takes only the gratuitous, pure and simple desire
to be a people, to be constant and tireless in the commitment to include,
to integrate, to raise up those who have fallen45.
The polyhedron represents a society in which differences coexist by in-
tegrating, enriching and illuminating each other, although this involves
discussions and mistrust. From everyone, in fact, you can learn some-
thing, no one is useless, no one is superfluous. This implies including
the peripheries. Those who live in them have another point of view, they
see aspects of reality that are not recognized by the centers of power
where the most decisive decisions are made46.

It is, then, a matter of rethinking not only current citizenship regimes, but
also the very idea of citizenship, looking at a new generation citizenship: in
it, what binds citizens, considered here the people who live together within
the polis, in a shared space and time, is especially a norm of reciprocity of
rights and duties. This type of responsible citizenship emerges through con-
nective, inclusive and contributory ways of acting, thinking of freedom in
its relational value and consequently linking the creativity and innovation
of social actors to their desire for belonging, bonding and inclusion47.
It will not come as a surprise stating that, at the level of theoretical re-
flection and in the field of concrete experiences, it was often the immigrants
who inspired this perspective of looking at citizenship as something built
from the bottom, capable of incorporating the peripheries viewpoint and en-
hancing pluralism, even in its specific expression of religious pluralism.

45
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 77.
46
Ibid., no. 215.
47
Cf. M. MARTINELLI, Cittadini e nuove forme di appartenenza: esperienze in discussione,
“Studi Emigrazione/International Journal of Migration Studies” 50 (2013), 189, 125-151.

38
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

The arrival of those who are different, coming from other ways of life and
cultures, can be a gift, for “the stories of migrants are always stories of
an encounter between individuals and between cultures. For the commu-
nities and societies to which they come, migrants bring an opportunity
for enrichment and the integral human development of all” [...]48.
“[...] By ourselves, we risk seeing mirages, things that are not there.
Dreams, on the other hand, are built together”. Let us dream, then, as
a single human family, as fellow travelers sharing the same flesh, as
children of the same earth which is our common home, each of us bring-
ing the richness of his or her beliefs and convictions, each of us with
his or her own voice, brothers and sisters all49.

Thanks to a research50, promoted by our University51 tested the genera-


tive power of multi-ethnic and multi-religious social capital that migrants
carry with them52, particularly when their existential paths bear the imprint
of suffering and persecution and witness to vulnerability as a constitutive
trait of the human condition. A generative potential to be invested also in
finding solutions to current problems and establishing a global ethics; so-
lutions and ethical principles that can also address the great issues of the
governance of human mobility.

Complex challenges arise when our neighbour happens to be an immi-


grant. Ideally, unnecessary migration ought to be avoided; this entails
creating in countries of origin the conditions needed for a dignified life
and integral development. Yet until substantial progress is made in
achieving this goal, we are obliged to respect the right of all individu-
als to find a place that meets their basic needs and those of their fami-

48
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 133.
49
Ibid., no. 8.
50
Cf. L. ZANFRINI (ed.), Migrants and Religion: Paths, Issues, and Lenses. A Multidis-
ciplinary and Multi-sited Study on the Role of Religious Belongings in Migratory and In-
tegration Processes, Brill, Leiden – Boston, MA 2020.
51
The research Migrations and Religious Belongings. From the Periphery to the Core,
for a New Humanism was supported by the Università Cattolica del Sacro Cuore of Milan
and developed in 2016-2018.
52
Cf. P. GOMARASCA, The Uncanny ‘Religious’ Refugee: A Post-Secular Perspective on
Ethics of Hospitality, in ZANFRINI, Migrants and Religion, 53-73.

39
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

lies, and where they can find personal fulfillment. Our response to the
arrival of migrating persons can be summarized by four words: wel-
come, protect, promote and integrate. For “it is not a case of implement-
ing welfare programmes from the top down, but rather of undertaking a
journey together, through these four actions, in order to build cities and
countries that, while preserving their respective cultural and religious
identity, are open to differences and know how to promote them in the
spirit of human fraternity”53.

These answers, however, in order to be credible and generative, must be


able to break away from the pitfalls of political and ideological exploitation
because – as “Fratelli Tutti” reminds us again – what must be served are
not ideas, but people.

At a time when everything seems to disintegrate and lose consistency,


it is good for us to appeal to the “solidity” born of the consciousness
that we are responsible for the fragility of others as we strive to build a
common future. Solidarity finds concrete expression in service, which
can take a variety of forms in an effort to care for others. And service in
great part means “caring for vulnerability, for the vulnerable members
of our families, our society, our people”. In offering such service, indi-
viduals learn to “set aside their own wishes and desires, their pursuit
of power, before the concrete gaze of those who are most vulnerable [...]
Service always looks to their faces, touches their flesh, senses their
closeness and even, in some cases, ‘suffers’ that closeness and tries to
help them. Service is never ideological, for we do not serve ideas, we
serve people”54.

5. ...and challenge for the Church

As a matter of fact, the idea of a participative and responsible citizenship is


clearly in line with the social teaching of the Church. In addition to dedi-
cating special attention to migrants since its first the Magisterium has even

53
FRANCESCO, Fratelli Tutti, no. 129.
54
Ibid., no. 115.

40
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

anticipated the promoting approach typical of current paradigms and poli-


cies of integration, by encouraging to look at migrant not merely as a recip-
ient of attention and care, but as active interlocutors. Moreover, migrants are
a manifestation of diversity of the members of the human family that is a
wealth to be safeguarded. According to the social doctrine, not only the mi-
grants’ integral human development must be included into the development
plans of society as a whole; the “communion in diversity” suggested by the
Magisterium shows the way to promote the involvement of migrants in pur-
suing the common good and identifies in interreligious dialogue – seen as a
comparison between different conceptions of values, but also as a search for
common principles – an instrument for the definition of a global ethics and
providing answers to the problems of the current world. Significantly, the
Magisterium of the Church and its experience “for” and “with” migrants
can contribute to forging the lexicon, the semantic framework, and the ways
to redefine theories and practices of justice and membership55. For the
Church, finally, the phenomenon of migrations is connected to the history of
salvation, and the stranger is the messenger of God who surprises and “sets
up his tent among us” (Jn 1:14), offering the opportunity to live out catholic-
ity to the fullest – experiencing the ethnic and cultural pluralism that is its
constitutive dimension (Rev 7:9) – and to build some type of universal cit-
izenship. Therefore, migrations signify an extraordinary opportunity for self-
reflection, deepening of the faith and recovery of its authentic meaning.
Taking all this into consideration, migrations seem to be a real challenge
for the Church. We will briefly explain this topic through a parallelism with
what we have already described in the section above.
As foreigners, immigrants question the idea of the national Church and
force to re-examine the role of religion in the public space and the very con-
ception of secularism of the State.
As poor, immigrants provide an opportunity to see in vulnerability a con-
stitutive trait of the human condition tout court (emblematic, in this sense,
the stimuli coming from pastoral activity aimed at refugees and asylum
seekers)56. This evidently, calls into question multiple levels of responsibil-

55
Cf. L. ZANFRINI, Migrazioni internazionali, in Dizionario della Dottrina Sociale del-
la Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo, Fascicolo 2 – Aprile-Giugno 2021 [https://www.di-
zionariodottrinasociale.it/Voci/Migrazioni_internazionali.html; https://archive.is/kow2L].
56
Cf. See L. ZANFRINI – M. ANTONELLI, On the Role of Religion in the Process of Adap-
tation of (Forced) Migrants, in ZANFRINI, Migrants and Religion, 376-426.

41
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Laura Zanfrini

ity, inside and outside the Church, as well as the need to overcome a new
form of illiteracy that marks the existence of the most developed societies:

We need to acknowledge that we are constantly tempted to ignore oth-


ers, especially the weak. Let us admit that, for all the progress we have
made, we are still “illiterate” when it comes to accompanying, caring
for and supporting the most frail and vulnerable members of our devel-
oped societies. We have become accustomed to looking the other way,
passing by, ignoring situations until they affect us directly57.

As mobile, immigrants give to experience catholicity in its most authen-


tic core, moving from a Church of “partners” to the Church of “brothers”:

Nor is equality achieved by an abstract proclamation that “all men and


women are equal”. Instead, it is the result of the conscious and careful
cultivation of fraternity. Those capable only of being “associates” cre-
ate closed worlds. Within that framework, what place is there for those
who are not part of one’s group of associates, yet long for a better life
for themselves and their families?58.

Finally, as it has emblematically emerged from the “Synod from the peo-
ple”, launched in January 2018 by the Diocese of Milan59, as different, im-
migrants represent an identity challenge and an opportunity for the devel-
opment of interreligious dialogue; a spiritual challenge and an opportunity
for the development of ecumenism, thanks to the presence of non-Catholic
Christian faithful; a pastoral challenge and a precious opportunity for self-
reflexivity, thanks to the coexistence with the faithful of other religious tra-
ditions within the Catholic world.

Laura Zanfrini
Università Cattolica del Sacro Cuore
([email protected])

57
FRANCESCO, Fratelli Tutti, n. 64.
58
Ibid., no. 104.
59
See L. ZANFRINI – L. BRESSAN, The Multi-EthnicaAnd Multi-Religious Transforma-
tion of the Largest Diocese in the World: the Church of Milan and the “Synod from the Peo-
ples”, in ZANFRINI, Migrants and Religion, 526-550.

42
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church

ABSTRACT

MIGRATIONS. A MIRROR OF SOCIETY,


A CHALLENGE FOR THE CHURCH

From a sociological perspective, immigration works like a “mirror” through which


we can understand our societies, foresee their possible evolutions, bring out the
challenges to be faced, grasp the ethical implications of political choices and so-
cial practices.
This essay tests this mirror function, describing how immigration defies the insti-
tution of national citizenship and reveal many of the tensions experienced by Eu-
ropean democracies. Immigration, especially when it creates minorities which
are visible in the public arena, challenges the idea of citizenship and the ways in
which this concept has been shaped in the experience of European democra-
cies. Immigration “disturbs” because it forces European democracies to remind
their socially constructed and inevitably arbitrary character, despite the effort to
naturalize their borders. Furthermore, immigration, since it provides an extraordi-
nary opportunity for self-reflection, deepening of the faith and recovery of its au-
thentic meaning, is a real challenge even for the Church.

MIGRAZIONI: UNO SPECCHIO DELLA SOCIETÀ,


UNA SFIDA PER LA CHIESA

Dal punto di vista sociologico, l’immigrazione agisce come uno “specchio” at-
traverso il quale è possibile comprendere le nostre società, prevederne le pos-
sibili evoluzioni, far emergere le sfide da affrontare, cogliere le implicazioni eti-
che delle scelte politiche e delle pratiche sociali.
Collocandosi in tale prospettiva, questo saggio descrive come l’immigrazione
sfida l’istituto della cittadinanza nazionale e rivela molte delle tensioni sperimen-
tate dalle democrazie europee. L’immigrazione, soprattutto quando genera mi-
noranze visibili nello spazio pubblico, mette in discussione l’idea di cittadinan-
za e il modo in cui questo concetto è stato plasmato nell’esperienza delle de-
mocrazie europee. L’immigrazione “disturba” perché costringe le democrazie
europee a ricordare il loro carattere socialmente costruito e inevitabilmente ar-
bitrario, nonostante lo sforzo di naturalizzare i propri confini. Inoltre, l’immigra-
zione, poiché offre una straordinaria opportunità di autoriflessione, di approfon-
dimento della fede e di recupero del suo significato autentico, costituisce una
sfida anche per la Chiesa.

Parole chiave: migrazioni internazionali; cittadinanza; confini; Europa; dottrina


sociale della Chiesa

43
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fabio Baggio

MIGRAZIONI, MISSIONE
E DIFFUSIONE DELLA CHIESA

La Chiesa del primo secolo – Nei secoli successivi – Alcune piste di approfondimento

Parole chiave: migrazione; Chiesa; missione; storia; Atti degli Apostoli

«Le migrazioni, nelle loro diverse forme, non rappresentano certo un feno-
meno nuovo nella storia dell’umanità. Esse hanno marcato profondamente
ogni epoca, favorendo l’incontro dei popoli e la nascita di nuove civiltà»1.
Queste parole del Santo Padre trovano forte riscontro anche nella storia del-
la Chiesa, le cui pagine sono frequentemente segnate dalla presenza di mi-
granti, esuli e sfollati.
Il nesso tra migrazioni e storia della Chiesa può essere letto in due diver-
se chiavi ermeneutiche: una pastorale e una missiologica. Da una parte, la
sollecitudine pastorale verso i migranti è stata una costante della sollecitu-
dine pastorale della Chiesa verso i più vulnerabili, come bene ebbe a sot-
tolineare Pio XII nella Costituzione Apostolica Exsul familia nazaretana:
«La Santa Madre Chiesa [...] non ha tardato a prendersi la cura, special-
mente spirituale, anche dei pellegrini, dei forestieri, degli esuli, di tutti gli
emigranti, senza risparmio di forze»2. Dall’altra, il movimento missionario
della Chiesa e l’espansione di quest’ultima si pone come una delle espres-
sioni del fenomeno migratorio: «La Chiesa si è diffusa in tutti i continenti
grazie alla ‘migrazione’ di missionari che erano convinti della universalità
del messaggio di salvezza di Gesù Cristo, destinato agli uomini e alle don-
ne di ogni cultura»3.

1
FRANCESCO, Discorso ai partecipanti del Forum Internazionale Migrazione e Pace, Li-
breria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017.
2
PIO XII, La famiglia esule, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, I, 5.
3
FRANCESCO, Discorso ai direttori nazionali della pastorale per i migranti, Libreria Edi-
trice Vaticana, Città del Vaticano 2017.

45
3/2022 ANNO LXXV, 45-54 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fabio Baggio

In questo contributo intendo concentrarmi sulla prospettiva missiologica,


che, da una prima analisi bibliografica sull’argomento, pare aver ricevuto
meno attenzione da parte degli studiosi. Mi soffermerò, in particolare, su al-
cuni momenti della storia della Chiesa nel primo secolo d.C., partendo dal-
le narrazioni contenute negli Atti degli Apostoli. Analizzerò poi altri eventi
della storia della Chiesa nei secoli successivi, episodi migratori particolar-
mente significativi in chiave missiologica. Concluderò, quindi, la trattazio-
ne offrendo alcune piste di approfondimento sull’argomento.

La Chiesa del primo secolo

Sebbene la storicità degli Atti degli Apostoli sia stata oggetto di accese con-
troversie negli ultimi decenni, alla luce degli studi contemporanei e delle
scoperte archeologiche, il suo valore di accurato e affidabile documento
storico sembra oggi innegabile4. Ad ogni modo, non è mia intenzione argo-
mentare sulla veridicità assoluta dei fatti raccontati negli Atti. Intendo, in-
vece, concentrarmi sulla lettura di alcuni episodi in chiave missiologica.
Il primo movimento missionario è intimamente legato all’episodio che
Benedetto XVI (2012) ha definito come il “battesimo” della Chiesa: la Pen-
tecoste5. La sera della festività omonima, a pochi giorni dall’Ascensione, gli
apostoli erano radunati, a porte chiuse, a Gerusalemme, nella stanza al pia-
no superiore, dove erano soliti riunirsi (At 1,13). Fino a questo momento
erano rimasti isolati dal mondo, assieme a Maria ed alcune donne, in assi-
dua preghiera. Mattia aveva preso il posto di Giuda Iscariota come dodice-
simo apostolo.

Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su


ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciaro-
no a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di espri-
mersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni na-
zione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase
sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua (At 2,3-5).

4
Cf. M.A. POWELL, What Are They Saying About Acts?, Paulist Press, New York, NY 1991.
5
Vf. BENEDETTO XVI, Regina Coeli del 12 giugno, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2011.

46
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa

Anche se non esplicitato nel testo, è facilmente desumibile dal contesto


che per parlare alla folla convenuta gli apostoli dovettero uscire dalla stan-
za in cui erano stati a lungo rinchiusi. Si tratta di un movimento geografi-
camente molto limitato, ma di grande importanza. Lo spostamento verso le
strade e le piazze di Gerusalemme segna per gli apostoli il passaggio dal
timore all’incontro. La potenza dello Spirito Santo permette loro di supe-
rare la paura di essere accusati, incarcerati e uccisi, e parimenti li spinge
all’incontro con persone sconosciute, un incontro che si trasforma in an-
nuncio di salvezza.
La composizione della folla è alquanto variegata: «Parti, Medi, Elamìti e
abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e
dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia
vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi» (At
2,9-10). É una folla di migranti, per lo più pellegrini convenuti a Gerusa-
lemme in occasione delle festività. La prima predicazione della Chiesa è ri-
volta a loro6.
La straordinaria capacità degli apostoli di parlare in lingue straniere
(glossolalia) contribuisce a rendere comprensibile l’annuncio a tutte le per-
sone che li ascoltano. É una risposta concreta a una delle principali sfide
della missione tra i migranti: la differenza di lingua. La prima impresa mis-
sionaria indicava una comunità cristiana veramente preoccupata per le dif-
ferenze culturali. Dovendosi confrontare con una grande diversità, l’annun-
cio della Buona Novella subì un processo speciale, che la teologia moder-
na chiamerebbe “inculturazione del Vangelo”.
Il secondo episodio scelto per questa trattazione ha tinte assai più dram-
matiche. Il giorno del martirio di Stefano ebbe inizio la prima persecuzione
contro i discepoli di Gesù di Nazaret: «In quel giorno scoppiò una violenta
persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli
apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria» (At
8,1). Gli attacchi violenti contro la prima comunità cristiana provocarono la
dispersione di tutti i discepoli nelle regioni vicine a Gerusalemme. «Quel-
li però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Pa-
rola» (At 8,4). Il primo slancio missionario fuori dalle mura della città san-
ta è frutto di una migrazione forzata, di una fuga in cerca di rifugio.

6
Cf. G. DANESI, Migration and Church in the New Testament, in PONTIFICAL COMMISSION
FOR THE PASTORAL OF MIGRANTS AND ITINERANT PEOPLES, Migrations, Vatican City 1985,
105-110.

47
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fabio Baggio

Secondo la narrazione degli Atti, il primo apostolo a lasciare Gerusalem-


me è Filippo, che, coraggiosamente, si reca in Samaria per annunciare la
Buona Novella. Un territorio tradizionalmente ostile a Giudei e Galilei si ri-
vela, invece, terra feconda per l’evangelizzazione: «quando cominciarono a
credere a Filippo, che annunciava il vangelo del regno di Dio e del nome
di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare» (At 8,12). Venuti a
conoscenza della conversione di tanti samaritani, gli altri apostoli «inviaro-
no a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché rice-
vessero lo Spirito Santo» (At 8,14-15). Durante il ritorno, gli stessi aposto-
li annunciarono il vangelo di Gesù in molti villaggi della Samaria (At 8,25).
Il quarto movimento missionario vede ancora Filippo come protagonista.
Questi si mette in cammino dopo aver ricevuto chiare istruzioni da un ange-
lo del Signore (At 8,26). Giunto sulla strada che discende da Gerusalemme
a Gaza, Filippo vede un carro su cui viaggiava «un Etiope, un eunuco, fun-
zionario di Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori,
venuto per il culto a Gerusalemme» (At 8, 27). Animato dallo Spirito, Filip-
po raggiunge il carro e, accorgendosi che questi stava leggendo un passo del
profeta Isaia, inizia un dialogo di fede con il funzionario etiope. Questi invi-
ta Filippo a salire sul carro e fanno un bel pezzo di strada insieme, un cam-
mino di conversione che conduce al battesimo: «[il funzionario etiope] fece
fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli
lo battezzò» (At 8, 38). È la prima volta che l’annuncio viene rivolto a una
persona che non appartiene al popolo eletto, e questo è frutto di un incontro
con un migrante pellegrino, in una strada deserta (At 8,26), che si trasforma
in luogo privilegiato di conversione e di salvezza. Il movimento missionario
è chiaramente determinato dallo Spirito Santo, che subito dopo il battesimo
del funzionario etiope rapisce Filippo e lo conduce ad altre città per conti-
nuare la sua missione: «Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo,
predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa» (At 8, 40).
Gli ultimi due episodi riguardano Paolo di Tarso. Saulo, zelante persecu-
tore dei seguaci di Gesù di Nazaret, ottiene dal sommo sacerdote le creden-
ziali per una missione punitiva a Damasco. Durante il viaggio, folgorato da
una luce dal cielo, cade a terra e sente una voce che gli dice: «‘Saulo, Sau-
lo, perché mi perseguiti?’. Rispose: ‘Chi sei, o Signore?’. E la voce: ‘Io so-
no Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò
che devi fare’» (At 9,4-6). Saulo è in cammino per distruggere la Chiesa, ma
proprio questo cammino diventa occasione di incontro con Gesù Cristo e di
conversione. Il battesimo di Paolo è ad opera di un discepolo di nome Ana-

48
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa

nia, un membro della comunità cristiana di Damasco, composta sostanzial-


mente da ebrei migranti che avevano accolto l’annuncio di Gesù di Nazaret.
Paolo apprende da loro le verità della fede cristiana e diventa lui stesso un
missionario: «Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Dama-
sco, e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio» (At 9,19-20).
Il secondo movimento missionario protagonizzato da Paolo marca un mo-
mento essenziale nella diffusione della Chiesa del primo secolo. Ad Antio-
chia, durante una celebrazione, lo Spirito Santo parla ai fedeli cristiani con-
gregati: «“Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho
chiamati.” Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li
accomiatarono. Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Seleu-
cia e di qui salparono verso Cipro» (At 13,2-4). Con questo invio missiona-
rio, operato dallo Spirito Santo, ha inizio l’annuncio del Vangelo ai gentili.
Paolo e Barnaba devono migrare per portare la Buona Novella in terra stra-
niera, andando all’incontro di coloro che non avevano mai sentito parlare
del Dio di Israele. Grazie a queste migrazioni missionarie nascono nuove
comunità cristiane nella Pisidia, nella Licaonia e nella Panfilia.

Nei secoli successivi

La storia della Chiesa nei secoli successivi è ricca di movimenti missiona-


ri che meriterebbero di essere considerati ai fini di questa trattazione. Per
questioni metodologiche ne ho scelti quattro, situati in diverse epoche sto-
riche, che ritengo particolarmente significativi.
La conquista di Gerusalemme ad opera del generale romano Tito culmi-
nò con l’incendio del tempio nell’agosto del 70. Le perdite da parte degli
Ebrei furono ingenti e in Palestina fu imposto un rigido controllo militare7.
Questi fatti portarono ebrei e cristiani a prendere la via dell’esilio, disper-
dendosi nelle varie regioni dell’Impero Romano. I cristiani si integrarono in
comunità esistenti e ne fondarono di nuove. Ma la loro presenza non risul-
tò sempre gradita alle autorità imperiali. Per quasi tre secoli essi furono co-
stretti a muoversi frequentemente per sfuggire alle persecuzioni religiose
decretate dagli imperatori romani Domiziano intorno al 90, Traiano tra il
100 e il 110, Antonino Pio intorno al 150, Marco Aurelio tra il 160 e il 180,

7
Cf. G. BRIZZI, 70 d.C. La conquista di Gerusalemme, Laterza, Bari 2015.

49
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fabio Baggio

Settimio Severo tra il 193 e il 203, Caracalla intorno tra il 211 e il 212,
Massimino intorno al 235, Decio tra il 249 e il 250, Gallo tra il 251 e il
253, Valeriano tra il 257 e il 259, Aureliano nel 270 e Diocleziano tra il
300 e il 3108. Tali spostamenti furono comunque essenziali per la diffusio-
ne della Chiesa in tutte le provincie dell’impero.
Per il Medioevo ho scelto i movimenti missionari dei monaci in nord Eu-
ropa tra il VI e l’VIII secolo. A loro ha tributato un particolare riconosci-
mento Pio XII nella Exsul familia nazaretana:

Brilla ancora l’impegno di quei pastori e sacerdoti che hanno recato il


beneficio della vera fede, insieme con quello della convivenza civile e
dei rapporti sociali, agli abitanti di lontane regioni, mentre hanno faci-
litato agli stessi popoli invasori la pacifica assimilazione con le popola-
zioni locali, incorporando in uno stesso tempo quelle popolazioni alla
religione cristiana e alla civiltà9.

Tra le tante figure missionarie ricordiamo, innanzitutto, Agostino di Can-


terbury (534-604), inviato da Papa Gregorio Magno a cronicizzare la Bri-
tannia. Il più noto è Colombano di Bobbio (540-615), che partendo dall’Ir-
landa viaggiò per l’Europa continentale annunciando la Buona Novella e
fondando chiese e monasteri. La Frisia fu terra di missione di Vilfrido di
York (634-709), la cui opera di evangelizzazione fu continuata dal discepo-
lo Willibrord (658-739). Vi è, infine, Winfrid-Bonifacio (672-754), evange-
lizzatore dei Germani dell’Assia e della Turingia10.
I viaggi di Cristoforo Colombo aprono alla conquista del Nuovo Mondo,
con le sue ricchezze e le sue opportunità. La colonizzazione dei territori
americani fu accompagnata da una vasta azione missionaria che Pio XII
non ha dimenticato di sottolineare nella Exsul familia nazaretana:

Quando poi è stato scoperto il nuovo Continente nella parte occidenta-


le del Globo, zelanti sacerdoti di Cristo non hanno esitato ad affiancar-
si ai colonizzatori sia per aiutarli a mantenersi nella pratica della mo-
rale cristiana e impedire che l’improvvisa abbondanza di ricchezze ma-

18
Cf. H. JEDIN, Storia della Chiesa. Vol. I., Jaca Book, Milano 1983.
19
PIO XII, La famiglia esule, I, 8.
10
Cf. H. JEDIN, Storia della Chiesa. Vol. III, Jaca Book, Milano 1983.

50
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa

teriali ne incoraggiasse l’arroganza, sia per diventare presso le popola-


zioni autoctone, fino ad allora del tutto prive della luce della fede [cri-
stiana], missionari pronti a istruirli nel Vangelo, e a proclamarne e di-
fenderne la dignità di veri fratelli11.

Oltre all’azione dei missionari ex professo, va anche evidenziata l’opera


evangelizzatrice di centinaia di migliaia di migranti cristiani, che dall’Eu-
ropa si sono riversati nelle Americhe nel XVI e XVII secolo12. Hanno dato
testimonianza della loro fede; hanno costruito chiese ed oratori; hanno co-
stituito nuove comunità cristiane, assieme alle popolazioni autoctone, po-
nendo le basi delle rigogliose Chiese locali di oggi.
Nell’epoca contemporanea l’Europa assiste a nuove ingenti ondate mi-
gratorie che si riversano soprattutto nelle Americhe. I secoli XIX e XX so-
no popolati da tante altre migrazioni di massa negli altri continenti, alcune
volontarie, altre forzate. Sono milioni i cattolici che partecipano a questa
enorme mobilità umana, spesso accompagnati da missionari e missionarie
destinati alla loro assistenza spirituale. A questo proposito, Pio XII scrive-
va nel 1952:

Verso la fine del XIX secolo, quando si aprirono possibilità fino ad allo-
ra sconosciute di far fortuna, e fiumane di uomini affluirono in America
dalle regioni dell’Europa, e specialmente dall’Italia, la Chiesa cattolica
non ha rifuggito da cura o fatica per aiutare spiritualmente gli emigran-
ti. Infatti, per l’amore che aveva per i suoi figli, col succedersi dei seco-
li non solo fu pronta ad approvare nuovi metodi di apostolato più corri-
spondenti al progresso dei popoli e alle mutate circostanze dei tempi, ma
anzi con diligente alacrità li introdusse, chiaramente avvertendo i rischi
che correvano le società a proposito della morale e della religione13.

Tutti questi migranti cattolici hanno portato con sé la loro fede e le loro
tradizioni religiose, arricchendo le Chiese locali che li hanno accolti nei

11
PIO XII, La famiglia esule, I, 10.
12
Cf. M. BRESCHI – A. FORNASIN, Migrazioni e formazione delle società moderne, in Mi-
grazioni. scenari per il XXI secolo. Vol. 1. Agenzia Romana per la preparazione del Giubi-
leo, Roma 2000, 41-52.
13
PIO XII, La famiglia esule, I, 18.

51
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fabio Baggio

cinque continenti. Con la loro testimonianza di vita, hanno contribuito alla


evangelizzazione di nuovi territori e alla costituzione di nuove Chiese par-
ticolari. Memori di quanto avevano appreso in patria, hanno fondato asso-
ciazioni caritative e di culto. Dalle loro famiglie sono sorte tantissime voca-
zioni sacerdotali e religiose di cui hanno tratto enorme beneficio le Chiese
locali in terra d’immigrazione.

Alcune piste di approfondimento

Alla luce dei fatti analizzati, possono essere identificate almeno quattro pi-
ste di approfondimento che mi sento di proporre a coloro che fossero inte-
ressati a continuare la riflessione su questi temi.
La prima riguarda l’identità della Chiesa. I migranti e i rifugiati di tutte
le epoche ricordano alla Chiesa la sua natura itinerante e pellegrina: «la
Chiesa non è una realtà statica, ferma, fine a se stessa, ma è continuamen-
te in cammino nella storia, verso la meta ultima e meravigliosa che è il Re-
gno dei cieli, di cui la Chiesa in terra è il germe e l’inizio»14. L’itineranza
rappresenta indubbiamente un elemento identitario contingente della Chie-
sa, ma visto che la meta è la Parusia, esso resterà fino alla fine dei tempi.
La seconda pista si riferisce alla missione della Chiesa. Anche in questo
caso si può parlare di una itineranza della Chiesa necessaria per annuncia-
re l’amore misericordioso di Dio che salva. La Chiesa è, quindi, sempre “in
uscita”, poiché deve muoversi per andare all’incontro delle donne e degli
uomini di ogni tempo e luogo: «L’intimità della Chiesa con Gesù è un’inti-
mità itinerante [...]. Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la
Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le oc-
casioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura»15. I migranti catto-
lici sono chiara immagine della Chiesa in uscita. Essi, attraverso la loro te-
stimonianza di fede semplice e diretta, realizzano la missione affidata da
Dio alla Chiesa.
Il terzo punto concerne la cattolicità della Chiesa. La capacità di acco-
gliere ed integrare migranti e rifugiati è uno dei principali indicatori del li-

14
FRANCESCO, Udienza Generale del 26 novembre, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2014.
15
ID., Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2013, 23.

52
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa

vello di cattolicità delle comunità cristiane: «Le migrazioni offrono alle sin-
gole Chiese locali l’occasione di verificare la loro cattolicità, che consiste
non solo nell’accogliere le diverse etnie, ma soprattutto nel realizzare la co-
munione di tali etnie»16. La Chiesa è universale e per questo è chiamata ad
includere tutte e tutti, senza lasciare fuori nessuno, nel rispetto delle diver-
sità. L’ideale, infatti, è quello di raggiungere la comunione nella diversità.
L’ultima pista di approfondimento riguarda la cittadinanza nella Chiesa.
Si tratta, innanzitutto, di una cittadinanza universale, transnazionale, in
quanto è conferita sulla base di una scelta di fede personale sigillata dal
battesimo. Tale conferimento esula da qualsiasi accezione politica (ius san-
guinis o ius soli). «Tutti i cattolici hanno il diritto alla piena appartenenza
alla Chiesa, intesa come cittadinanza attiva: significa essere responsabili,
partecipare alla vita della Chiesa, animare la liturgia e raggiungere le co-
munità con la propria religiosità e le proprie espressioni culturali»17. Si
tratta, quindi, di una cittadinanza responsabile e partecipativa, che impe-
gna nel “già”, ma rimanda sempre al “non ancora”, poiché la vera cittadi-
nanza è quella del Regno dei Cieli.

Fabio Baggio
Sottosegretario del Dicastero
per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale
([email protected])

16
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale dell’Emigrazione, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1987.
17
Sezione Migranti e Rifugiati, Orientamenti sulla Pastorale Migratoria Interculturale,
LEV, Città del Vaticano 2022, Introduzione.

53
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fabio Baggio

ABSTRACT

MIGRAZIONI, MISSIONE
E DIFFUSIONE DELLA CHIESA

Il nesso tra migrazioni e storia della Chiesa può essere letto in due diverse chia-
vi ermeneutiche: una pastorale e una missiologica. In questo contributo l’auto-
re si concentra sulla prospettiva missiologica, soffermandosi su alcuni momen-
ti della storia della Chiesa nel primo secolo d.C., letti alla luce delle narrazioni
contenute negli Atti degli Apostoli. Vengono poi analizzati altri eventi della storia
della Chiesa nei secoli successivi, episodi migratori particolarmente significativi
in chiave missiologica. L’autore conclude indicando quattro ulteriori piste di ap-
profondimento: l’identità itinerante e pellegrina della Chiesa, la missione della
Chiesa affidata ai migranti cattolici, la cattolicità della Chiesa come comunione
nella diversità e la cittadinanza universale nella Chiesa.

MIGRATIONS, MISSION
AND THE SPREADING OF THE CHURCH

The link between migration and the history of the Church can be read in two dif-
ferent hermeneutic keys: a pastoral one and a missiological one. In this contribu-
tion, the author focuses on the missiological perspective, discussing some mo-
ments in the history of the Church in the first century a.D. in the light of the narra-
tives contained in the Acts of the Apostles. Other events in the history of the
Church in the subsequent centuries are then analyzed, particularly significant mi-
gratory episodes from a missiological point of view. The author concludes by
indicating four further paths for in-depth study: the itinerant and pilgrim identity
of the Church, the mission of the Church entrusted to Catholic migrants, the
catholicity of the Church as communion in diversity, and the universal citizenship
in the Church.

Keywords: Migration; Church; Mission; History; Acts of the Apostles

54
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

“THEY HAVE MUCH TO TEACH US”


Migrants, Their Experience, and Theology

Introduction – Much to Teach Us and Challenge Us about God – Much to Teach Us about
Christology – Much to Teach Us about Christian Anthropology – Much to Teach Us about
Ecclesiology – Much to Teach Us about Social and Structural Sin – Conclusion

Keywords: Migration; Theological Method; Pope Francis; World Council of Churches

Introduction

Two important documents on the church’s mission in the last decade con-
tain passages that can help us reflect on the kind of theology that can be
discerned and developed if we take the phenomenon of migration and the
experience of migrants seriously. These passages speak about the margin-
alized and poor of this world, and not of migration and migrants specifical-
ly, but of course, most of the world’s migrants are among these. Especially
those migrants who are refugees and asylum seekers are very much includ-
ed in such a designation.
In the second part of Chapter 4 of Evangelii Gaudium, entitled “The In-
clusion of the Poor in Society,” in what seems similar to his insistence that
the ordinary piety of the faithful people of God is a locus theologicus or a
rich source of Christian theologizing1, Pope Francis insists here that the op-
tion for the poor in today’s world is a theological category2.

This is why I want a Church which is poor and for the poor. They have
much to teach us. Not only do they share in the sensus fidei, but in their
difficulties they know the suffering Christ. We need to let ourselves be
evangelized by them. The new evangelization is an invitation to ac-

1
FRANCIS, Apostolic Exhortation Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, no. 126.
2
Ibid., no. 198.

55
3/2022 ANNO LXXV, 55-67 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

knowledge the saving power at work in their lives and to put them at the
center of the Church’s pilgrim way. (EG198).

Two months earlier, in an address at the headquarters of the Jesuit


Refugee Service in Rome, Francis had already alluded to the experience of
migrants – in this case refugees – for the importance for theologizing.

The poor are also the privileged teachers of our knowledge of God; their
frailty and simplicity unmask our selfishness, our false security, our
claim to be self-sufficient. The poor guide us to experience God’s close-
ness and tenderness, to receive his love in our life, his mercy as the Fa-
ther who cares for us, all of us, without discretion and with patient trust3.

Just several weeks before the publication of Evangelii Gaudium, the


World Council of Churches, at their Assemby in Busan, Korea, issued the
document Together towards Life: Mission and Evangelism in Changing
Landscapes4. Central to this document was the concept of “Mission from the
Margins,” an understanding of mission that focused on the agency and wis-
dom of those who have often been the objects of the church’s missionary and
charitable efforts.

Living on the margins ... can provide its own lessons. People on the
margins have agency, and can often see what, from the centre, is out of
view. People on the margins, living in vulnerable positions, often know
what exclusionary forces are threatening their survival and can best dis-
cern the urgency of their struggles; people in positions of privilege have
much to learn from the daily struggle of people living in marginalized
positions5.

This rather extraordinary confluence of ideas of a Roman Catholic pope


and a document issued by an influential ecumenical body (which included

3
FRANCIS, Address at a Visit to the Astalli Centre, the Jesuit Refugee Service in Rome, 10
September, 2013 [https://www.vatican.va/content/francesco/en/speeches/2013/september/
documents/papa-francesco_20130910_centro-astalli.html; vhttps://archive.is/ZPrKP].
4
WORLD COUNCIL OF CHURCHES, Together Towards Life: Mission and Evangelism in
Changing Landscapes (TTL), WCC Publications, Geneva 2013.
5
Ibid., no. 38.

56
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology

Catholics) can certainly, as I have said, help us recognize understandings


of our faith – i.e. theology – that the phenomenon of migration can offer us.
They help us understand that one essential way to do theology is to start
with one’s own or others’ experience, to pay close attention to that experi-
ence, to view it through the eyes of faith, to recognize in wonder the reve-
lation of God’s presence in places and persons where one usually doesn’t
expect to find it. Francis calls theologians beyond a «desk-bound theolo-
gy»6, and calls them to a theology rooted in the faith of the people of God.
This does not, he says, take away the task of theologians to penetrate and
communicate the Christian tradition to both church and world, to make
faith «credible and intelligible,» but it reminds them that theologians must
be immersed in this experience, and that this experience of faith must sus-
tain, inspire, and embrace them as they engage in their important work7.
Migrants, therefore, «have much to teach us,» and can offer rich and
powerful experiences to theologians to develop and communicate to the
wider church and the wider world. In the paragraphs that follow, I can cer-
tainly not touch on everything that they can teach us or develop even the
few ideas that I set out here fully. I can offer a few reflections that emerge
out of their experience and their wisdom, and these reflections might be a
start at least to developing a theology that comes from the migration expe-
rience and that might inspire and enrich both our church and our world.
These reflections will touch on our understanding of God, of Jesus the
Christ, Christian anthropology, the Christian church, and the notion of sin.

Much to Teach Us and Challenge Us about God

«The poor are [...] are the privileged teachers of our knowledge of God».
This powerful sentence, quoted above from Pope Francis’s talk at the Jesuit
Refugee Service headquarters in 2013, offer us a powerful image of contem-
plation of the image of God. Francis speaks of how refugees reveal to us
God’s tenderness and mercy, but we might press a bit more to ask in what

6
FRANCIS, Evangelii gaudium, no. 133.
7
See FRANCIS, Discorso del Santo Padre Francesco all’ Associazione Teologica Italiana,
29 December 2017 [https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/december/
documents/papa-francesco_20171229_associazione-teologica-italiana.html; https://ar-
chive.is/4Wg4k; https://archive.is/4Wg4k].

57
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

way such tenderness and mercy are revealed. As a theologian, I would an-
swer that question first with another question: how can God possibly allow
such suffering to happen? How can God not intervene as leaky, unseawor-
thy boats capsize in the Mediterranean Sea, or people flee for their lives
rather than become slaves of extortioners in Honduras or Guatemala, or as
the Taliban begin a reign of terror in Afghanistan? How can God stand by
as people in Europe, North America, and other countries put up walls and
fences to keep migrants out of their countries?
The questions are not new. They have been asked before – after the Holo-
caust, for example – but the plight of the world’s migrants raise them in
strikingly urgent new ways: millions and millions of people without homes,
without resources, without citizenship, susceptible to disease, to human
trafficking, to all sorts of abuse. We cannot answer these cries of the suffer-
ing peoples of the world with pat answers and pious rhetoric. Migrants have
much to teach us, but also much with which to challenge us. The struggles
and sufferings of migrants force us to think in new ways about God, about
how God acts, and ultimately about our own responsibility as church to par-
ticipate in God’s mission of calling, persuading, and wooing human beings
toward the radical kinship that Jesus spoke of as the reign of God. Ques-
tions about God that the experience of migrants raise are intimately inter-
woven with questions of Christology and ecclesiology.
I think the only answer to these burning questions is that the power of
God is the power of love, mercy, and tenderness. God will not and cannot
directly intervene at all to calm the seas, or stop greedy criminals, or en-
lighten people with a twisted understanding of faith.
But God’s power is real power. God’s is the power that comes from a deep
commitment to creation’s – and perhaps especially humans’ – freedom, and
the power of love. God’s is the power of vulnerability, and the power of ac-
companiment. God does not intervene, writes theologian Elizabeth Johnson,
but also never abandons8. God’s love offers the power of resilience, the
power of courage, the power to resist, and the power to endure and even
grow in adversity.
We see this power clearly at work among the migrants of our world. With
deep faith in the God who sustains and accompanies them, they are willing

8
E.A. JOHNSON, Creation and the Cross: The Mercy of God for a Planet in Peril, Mary-
knoll, Orbis Books, New York, NY 2018, 110.

58
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology

to risk everything to be able to send money back to their families as maids


and housekeepers in Hong Kong and Singapore. They are willing to walk
long distances to escape the terror of organized crime in Honduras. They
are willing to work long hours in sweatshops in Malaysia, or harvesting
crops in California with the dream of a better life and a better future. They
are willing suffer for that future.
And God suffers with them, with all of suffering humanity, and indeed
with all creation. Years ago, I heard a powerful story about the eminent
American churchman William Sloane Coffin, whose young son had died
tragically in an auto accident. When people tried to console him with plat-
itudes about God’s will being hard to understand, Coffin answered by say-
ing that his son’s death could not possibly have been God’s will. In fact, he
said, the first heart to break when his son died was God’s. Elizabeth John-
son quotes theologian Christopher Southgate about the power of suffering,
accompanying love: «I can only suppose that God’s suffering presence is
just that, presence, of the most profoundly attentive and loving sort, a soli-
darity that at some deep level takes away the aloneness of the suffering crea-
ture’s experience»9. Suffering, of course, doesn’t take away the pain of suf-
fering, but it gives those who suffer strength by assuring them that they do
not suffer alone, and give them the hope that their suffering is not in vain.
The power of God’s suffering love is most fully evident in the suffering
love of Jesus of Nazareth, the Christ, about whom migrants have a lot to
teach us.

Much to Teach Us about Christology

Lately, a “definition” (maybe better, a “description”) of God that I have em-


braced is that God is self-emptying love. The pinnacle of such self-empty-
ing is in God’s incarnation – becoming flesh – in Jesus of Nazareth. In a
powerful reflection on God’s self-emptying in Jesus, New Testament schol-
ar Michael J. Gorman points out that a translation of the early Christian
hymn cited by Paul in the letter to the Philippians might be equally trans-
lated «although he was in the form of God» or «because he was in the form

9
C. SOUTHGATE, The Groaning of Creation: God, Evolution, and the Problem of Evil,
Westminster John Knox, Louisville, KY 2008, 52, as quoted in E.A. JOHNSON, Ask the
Beasts: Darwin and the God of Love, Bloomsbury, London 2014, 206.

59
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

of God». The former translation we see how «Christ acted differently from
how “normal” gods act,» but the latter translation expresses that «Christ
acted as he did because that is the character of true divinity»10. To be God,
therefore, is not to be content in Godself, but to empty Godself, becoming
flesh, «taking the form of a slave, being born in human likeness» (Phil 2:7).
Another way of putting this is that the self-emptying of God in Christ re-
veals the nature of God as a migrant11. To be God is to leave Godself and
move into creation, onto this earth, into this universe, in the joy and pain of
humanity and all of groaning creation. In Jesus, God knows really and ful-
ly what it means to be a migrant. The gospel of Matthew captures this in his
story of Mary, Joseph, and the child Jesus having to flee as refugees into
Egypt, experiencing all the difficulties and suspicions of foreigners fleeing
a tyrant (Matt 2:13-15). Jesus’ itinerant ministry, and especially his being
recognized as a Galilean in Jerusalem also points to his migrant style of life,
where he had «no place to lay his head» (Matt 8:20). Perhaps as we con-
template and get to know migrants, refugees, and asylum seekers more
closely and fully, we can have a deeper knowledge of the heart of our mi-
grant God, revealed to us in Jesus. Migrants are icons of God. Migrants have
much to teach us.
Pope Francis emphasizes – as we have seen at the beginning of these re-
flections – that the sufferings of the poor, and so certainly many migrants,
know the suffering flesh of Christ as they encounter physical hardship, sus-
picion, hatred, and prejudice as they beg for asylum, or try to adjust to cul-
tures very different from their own. Francis says that we need to be evangel-
ized by them to understand who Christ really is12. Pope Benedict XVI wrote
that «God has suffered, and through his Son, he suffers with us. This is the
summit of his power, that he can suffer with us and for us. In our suffering
we are never left alone. God, through his Son, suffered first, and he is close
to us in our suffering»13. As we get to know more and more intimately the

10
M.J. GORMAN, Becoming the Gospel: Paul, Participation, and Mission, Eerdmans,
Grand Rapids, MI 2015, 107, note 6.
11
See P.C. PHAN, Deus Migrator—God the Migrant: Migration of Theology and Theol-
ogy of Migration, “Theological Studies” 77 (2016), 4, 845-868.
12
FRANCIS, Evangelii gaudium, no. 198.
13
BENEDICT XVI, Homily at Aosta, 24 July 2009 [https://www.vatican.va/content/bene-
dict-xvi/en/homilies/2009/documents/hf_ben-xvi_hom_20090724_vespri-aosta.html;
https://archive.is/2fuUe].

60
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology

struggles and sufferings of migrants, both personally and in the news, we


will be able to understand more deeply and more personally the sufferings
of Christ, and how those sufferings are identified with the sufferings of mi-
grants, sustaining them, giving them hope, giving them courage to live in
what are sometimes horrible, dehumanizing environments.
Migrants offer us a mirror to the shocking reality of the cross, and show
us as well the its sustaining and transforming power. Almost twenty years
ago photo journalist Don Bartletti of the Los Angeles Times won the presti-
gious Pulitzer Prize for his photos of Mexican migrants riding a train
through Mexico to the US border. All of them are beautiful and yet heart-
wrenching, but one has always captured my imagination: the picture of a
young man, arms outstretched, clinging to the back of a boxcar, head bowed.
The migrant is Christ, Cristo migrante.

Much to Teach Us about Christian Anthropology

For the last three decades or so I have lived among migrants and refugees,
mostly from Vietnam and Latin America, but also from many other places
in the world. I live in the SVD formation house in Chicago and rub shoul-
ders, pray with, and share meals with these young men every day. As I have
gotten to know these migrants and refugees as students and confreres, when
I have listened to their stories of escape from Vietnam in the 1980s, their
struggles to learn English in school, or their parents’ migration from Mexi-
co or Guatemala, I have come to a deeper understanding of human dignity,
the sacredness of human life, and the strength of human resilience against
seemly overwhelming odds. Their stories are bone-chilling – pirate attacks
in the South China Sea, years in refugee camps in Thailand or the Philip-
pines, feeling alien and unwelcome in small towns in the United States. In
addition, two works of fiction I have read in the last several years have al-
so opened my eyes and tendered my heart to the deep humanity of migrants.
Jenny Erpenbeck’s novel Go, Went, Gone is a stunning story of the human
conversion of a non-believing East German man, who finds his own human-
ity as he encounters the humanity of African refugees in East Berlin14. The
same kind of conversion happens in Ellen Wiles’s novel The Invisible

14
J. ERPENBECK, Go, Went, Gone, New Directions, New York, NY 2017.

61
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

Crowd15. The novel is the story of Yonas, a refugee and asylum seeker from
Eritrea, who has been trafficked worker in a seafood processing factory in
Britain. He escapes this work and travels to London, finding some kind of
community in a low-paying job, making friends with a British woman, and
being helped by an immigration lawyer. All the while the reader gets to
know the humanity and goodness of this man whose only dream is to bring
his wife and small daughter to safety in Britain.
These encounters with migrants – in the flesh and in fiction – can teach
us to understand in a deeply personal, existential way the “bedrock princi-
ple” of Catholic social teaching: the ineffable dignity of every human per-
son. Migrants – speaking a different language than their new neighbors,
looking different from them, with different cultures or religions from them,
sometimes threatening to them – once people pay attention and see them as
persons and gifts, not statistics or problems – open them up in a new way
to a Christian anthropology that recognizes that human beings are sacred in
themselves and need to be met with awe and reverence. Recognizing the
personhood and humanity of migrants allows women and men in host coun-
tries to see that all of us are brothers and sisters, to allude to Pope Francis’s
2020 encyclical Fratelli Tutti16. Migrants can teach us much about human-
ity – theirs and our own.

Much to Teach Us about Ecclesiology

Earlier in this reflection I spoke about the particular kind of power that God
possesses: «God’s love offers the power of resilience, the power of courage,
the power to resist, and the power to endure and even grow in adversity».
That power is manifested directly in God’s presence with, accompaniment
of, and suffering with migrants, but it is also a power that is shared with hu-
man beings as they open up to God’s powerful love for migrants and begin
working for, with, and among migrants to offer them hope, to struggle with
them for justice, and to help them grow to become members of the societies
into which they have entered.

15
E. WILES, The Invisible Crowd, HarperCollins, London 2017.
16
FRANCIS, Encyclical Letter Fratelli Tutti, 3 October 2020 [https://www.vatican.va/
content/francesco/en/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-
tutti.html; https://archive.is/YhAUn].

62
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology

Those women and men who do this in response to God’s love in Jesus are
the church. In them, the power of God is concretized in their commitment
to the suffering poor of the world, among whom are the world’s migrants.
The church has much to offer to migrants, but migrants have much to
teach the church about being church. The church does not just do things for
migrants – welcome them, protect them, promote their interests, and inte-
grate them into society, to allude to Pope Francis’s fourfold program17. The
church in the countries or areas into which migrants have come learns
about itself as it lives among migrants, discovers itself as a pilgrim people,
as a people formed – even at the local level – as formed «from every nation,
from all tribes and peoples and languages» (Rev 7:9). In October, 2021, my
friend Cathy Ross from the UK gave a marvelous presentation at a Zoom
conference on theological education in which she described the church as
the “Fellowship of the Unlike,” a gathering of people who may not prefer to
be together – the kind of people whom Jesus gathered together in the crowd
that surrounded him18. Through the presence of migrants, the church dis-
covers their gifts of new cultures, discovers the wealth of skills and wisdom
that migrants bring, discovers the agency that migrants possess. In many
places into which migrants have come the local church is enriched by their
presence, by their stories, by their deep faith and practices of popular reli-
gion, by their sense of community, by their simple joy and gratitude for be-
ing recognized and accepted for who they are. Because of the presence of
migrants, the church is able to turn outside itself to the wider world, to feel
the pain of others more deeply, to see the world from very different perspec-
tives. Migrants can teach the church how to become a “community of mis-
sionary disciples”19.

17
See, for example, FRANCIS, Fratelli Tutti, no. 129. See also S. BEVANS, SVD, Pope
Francis: Mission, Migration, and Christian Spirituality, “Studi Emigrazione” 57 (2020),
218, 267-293.
18
C. ROSS, Theological Education and Formation: Futures, Presentation at the Virtual
Conference of the Global Forum of Theological Educators, October 1, 2021. Ross made
reference to W. JENNINGS, Can White People Be Saved: Reflections on the Relationship of
Missions and Whiteness in ID. – L.L. SECREST – J. RAMÍREZ JOHNSON – A. YONG (eds.), Can
“White” People Be Saved? Triangulating Race, Theology, and Mission, InterVarsity Press
Academic, Downers Grove, IL 2018, 43.
19
FRANCIS, Evangelii gaudium, no. 24.

63
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

Much to Teach Us about Social and Structural Sin

One of the most profound theological insights that I have received from pay-
ing attention to the experience of migrants is a deep sense of sin – not so
much personal sin, but what I often feel is the rather illusive understand-
ing of sin as social and systemic, a web in which I and so many of us in the
world’s more affluent countries are caught. So much of the reason for mi-
gration in today’s world is because of human greed, which is concentrated
in systems that are indifferent to people and the common good of society.
Pope Francis has called this the “globalization of indifference”20.
Ideally, Francis writes, «unnecessary migration ought to be avoided»21,
but it is made necessary by people in affluent countries and in migrants’
home countries that «deprive people of the conditions needed for a digni-
fied life and integral development»22. Grueling poverty, often caused by
corruption and greed of local governments, but also by the exploitation of
local labor markets by affluent countries in the Majority World (e.g. Nike,
Apple), force people to seek jobs in countries like Saudi Arabia, Singapore,
and London, only to be exploited again by their employers or enslaved as
garment workers or sex workers.
Religious persecution – like of the Rohingyas in Myanmar, Christians in
the Middle East, or of fellow Muslims in Afghanistan – force migration as
well, making a mockery of religious faith. Political corruption, like in the
military coups in Myanmar and Sudan, or the dictatorship in Venezuela,
also cause the migration of innocent people, often people who are well-ed-
ucated and relatively economically well off. In February 2022, the world
has witnessed the migration of millions from Ukraine as a result of the vi-
cious and unnecessary war initiated by Vladimir Putin. Pope Francis
graphically describes how much migration is due to climate change – the
fault of the large industrial powers of the Majority World and their unwill-
ingness sometimes even to acknowledge the phenomenon. «Why do peo-
ple come to the big cities ...? [...] It is simply because the rural world does-

20
ID., Homily on Lampedusa, 8 July 2013 [https://www.vatican.va/content/francesco/
en/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia-lampedusa.html;
https://archive.is/DNjjc].
21
ID., Fratelli Tutti, no. 129.
22
Ivi.

64
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology

n’t offer them opportunities.»23 At a meeting of “popular movements” in


Rome in 2014, Francis emphasized that «it is not because of wars or nat-
ural disasters that they are uprooted. Land and water grabbing, deforesta-
tion, unstable pesticides are some evils which uproot people from their na-
tive land»24. All of this presents a portrait of sin in which practically all of
us are implicated.
But migration and migrants’ teaching about sin is also an occasion to
teach us about the mission of the church, the arms and feet and eyes and
ears of Christ, as St. Teresa of Avila famously put it. Participating in the
mission of God to bring all creation to radical kinship in Jesus, the plight
of migrants helps us see clearly how urgent is the need for the church, to
work for justice, to offer “welcome, protection, promotion, integration,”
and even, as I have suggested, the prayer of lamentation25. The vision of
Jesus and the story of Jesus needs to be lived out in the world in witness,
and explained in ways that women and men can understand and challenge
them to conversion.

Conclusion

As I come to the end of these reflections, I want to confess that I think that
the method that I have used is much better than the actual content of what
I have said. My method is to begin with the experience of migration and mi-
grants themselves, and let them teach us from their wisdom. Although I
have lived with migrants for the last several decades, and although I have
been keenly sympathetic to the experience of migration and migrants from
my own reading and attentive to migrants’ stories in the news, my own re-
ally personal contact has not been as close as it should have been to actu-
ally reflect as a theology on the experience of migration and with the expe-
rience of migrants. Hopefully, however, some of the issues and insights that

23
ID., Address at a Workshop on Modern Slavery and Climate Change, 21 July 2015
[https://www.vatican.va/content/francesco/en/speeches/2015/july/documents/papa-
francesco_20150721_sindaci-grandi-citta.html; https://archive.is/yhhbn].
24
FRANCIS, Address at a Meeting of Popular Movements, 28 October 2014 [https://www.
vatican.va/content/francesco/en/speeches/2014/october/documents/papa-francesco_
20141028_incontro-mondiale-movimenti-popolari.html; https://archive.is/nW8Op].
25
See BEVANS, Pope Francis, 285-287.

65
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Stephen Bevans

I’ve been able to articulate here will be helpful as we reflect on the theolo-
gy that comes from the experience of migration and the experience of mi-
grants. In any case, there is no doubt: “They have much to teach us”.

Stephen Bevans
Catholic Theological Union, Chicago, IL
([email protected])

66
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology

ABSTRACT

“THEY HAVE MUCH TO TEACH US”


Migrants, Their Experience, and Theology

Both Pope Francis in Evangelii Nuntiandi and the World Council of Churches in
its mission document Together Towards Life insist that those who are poor and
marginalized “have much to teach us,” that we have “much to learn” from their
daily struggles. Based on these challenging words, this article argues that the
experience of migrants can offer the church the elements of a rich and vital the-
ology. Migrants have much to teach us about God, about Christology, about
Christian anthropology, ecclesiology, and social and structural sin. Their experi-
ence opens up a theological method that recognizes that experience is an au-
thentic source of Christian theologizing.

“HANNO MOLTO DA INSEGNARCI”


I migranti, la loro esperienza, la loro teologia

Sia Papa Francesco nell’Evangelii Nuntiandi che il Consiglio Mondiale delle


Chiese nel suo documento missionario Insieme per la vita insistono sul fatto che
coloro che sono poveri ed emarginati “hanno molto da insegnarci”, che abbia-
mo “molto da imparare” dalle loro lotte quotidiane. Sulla base di queste parole
impegnative, l’articolo sostiene che l’esperienza dei migranti può offrire alla
chiesa elementi di una teologia ricca e vitale. I migranti hanno molto da inse-
gnarci su Dio, sulla cristologia, sull’antropologia cristiana, sull’ecclesiologia e
sul peccato sociale e strutturale. La loro esperienza apre un metodo teologico
che riconosce in essa un’autentica fonte per la riflessione teologica cristiana.

Parole chiave: migrazioni; metodo teologico; papa Francesco; Consiglio Mon-


diale delle Chiese

67
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

TESTIMONE DI UNA CHIESA IN USCITA:


L’OPERA DI SCALABRINI PER LE MIGRAZIONI*

Al di là dei confini della sua diocesi – Impegno missionario – Missionarietà e evangeliz-


zazione – Opera della Chiesa e nella Chiesa – Corresponsabilità episcopale – Collabora-
zione con tutte le persone di buona volontà – Uscite dal tempio... ma per santificare –
Chiesa in uscita. Ottica ecclesiologica

Parole chiave: Scalabrini; Propaganda Fide; emigrazione italiana; Chiesa in uscita

Nella esortazione apostolica Evangelii gaudium papa Francesco presenta la


Chiesa “in uscita” come una comunità di discepoli, missionaria ed evange-
lizzatrice, che

sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa (cfr. 1 Gv 4,10), e per


questo essa […] sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro,
cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli
esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto
dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza
diffusiva […] Come conseguenza, la Chiesa sa coinvolgersi. Gesù ha
lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi,
mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli1.

Al tempo di Scalabrini, l’emigrazione di massa degli italiani, iniziata ver-


so la metà del secolo XIX e continuata gradualmente in modo esponenzia-
le oltre il XX secolo, pone subito in evidenza le difficoltà dell’assistenza re-
ligiosa degli immigrati cattolici italiani che, a frotte, approdano nelle nuo-
ve terre di insediamento, specialmente nel nord America, tanto da coniare
in Nord America il termine “The Italian problem”2. La S. Sede e le varie

* Alcune sezioni testuali del contributo attingono a materiali dell’autore già pubblicati
su https://www.scalabriniani.org.
1
FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, ASS CI, 24.
2
Cf. J. SPALDING, Relazione e Sommario e nota d’archivio circa la presente condizione
della Chiesa cattolica negli Stati Uniti d’America, Acta SCPF, vol. 252, settembre 1883, 50;

69
3/2022 ANNO LXXV, 69-86 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

chiese locali di partenza e di arrivo dei migranti da tempo cercano di tro-


vare una soluzione a questo problema. Alcuni tentativi della S. Sede pres-
so i vescovi di Genova, Napoli, Palermo, città tra le più coinvolte nella real-
tà migratoria, non approdano ad alcuna soluzione. Non mancano laici ed
ecclesiastici, fondatori e fondatrici di istituti religiosi, che, sia pure in mo-
do occasionale e sporadico, si impegnano ad assistere gli immigrati3. È in
questo contesto che si inserisce la figura di mons. Scalabrini, vescovo di
Piacenza dal 1876 al 1905, fondatore di due congregazioni religiose, i mis-
sionari di S. Carlo e le suore missionarie di S. Carlo Borromeo, e di una as-
sociazione laicale di patronato per gli emigranti, la S. Raffaele. L’originali-
tà della fondazione scalabriniana, rispetto ad altri interventi e opere di as-
sistenza degli emigranti, si caratterizza per una duplice finalità: l’assisten-
za pastorale dei migranti come fine proprio dell’istituzione e l’impegno di
stabilità e perpetuità temporale. Lo comprende bene il card. Bausa, arcive-
scovo di Firenze e protettore della congregazione scalabriniana che, in oc-
casione della professione dei voti perpetui dei primi 10 missionari nel
1894, riconosce come «questa perpetuità mette il nuovo istituto fra le gran-
di creazioni della Chiesa per l’assistenza dei migranti»4. Papa Giovanni
Paolo II, in occasione della beatificazione di Scalabrini il 9 novembre 1997,
lo addita alla venerazione dei fedeli quale

cf. S. TOMASI, Scalabrini e i Vescovi americani, in G. ROSOLI (ed.) Scalabrini tra vecchio e
nuovo mondo, CSER, Roma 1989, 453-466.
3
Tra gli antesignani dell’assistenza degli emigrati troviamo Giovanni Neumann, vesco-
vo di Filadelfia, Vincenzo Pallotti, Giovanni Bosco, Geremia Bonomelli e Giovanni Batti-
sta Scalabrini, Francesca Saverio Cabrini, Rosa Gattorno, Clelia Merloni, Assunta Mar-
chetti, ecc. Numerose Congregazioni religiose, maschili e femminili, ad es. i Francescani,
Cappuccini, Gesuiti, Verbiti, Pallottini, Salesiani, Maristi, Fratelli delle scuole cristiane,
ecc.; Suore Missionarie di S. Carlo Borromeo (Scalabriniane), Suore Apostole del S. Cuo-
re (Merloni); Missionarie del S. Cuore (Cabrini), Suore di S. Maria Ausiliatrice (Salesia-
ne), Suore Maestre Pie Filippini, Suore Francescane del S. Cuore di Maria, Francescane
del S. Cuore di Gesù, Francescane di Gesù Bambino, Suore Giuseppine di Chambéry, Suo-
re Giuseppine di Cuneo; Suore di carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, Suore Po-
verelle di Bergamo, Suore Clarettiane, Suore Orsoline, Piccole Suore dell’Immacolata
Concezione (Visintainer). Nel 1932 il card. Hlond fonda la “Società di Cristo” per gli emi-
grati polacchi. Trai i laici ricordiamo specialmente Volpe Landi, Schiaparelli e Toniolo per
gli italiani, ecc.
4
A. BAUSA, Lettera a Scalabrini, Firenze 27 dicembre 1894, Archivio Generale Scala-
briniano [d’ora in avanti AGS] / BA 02-19-13.

70
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

autentico Padre dei migranti che operò per sensibilizzare le comunità


ad una accoglienza rispettosa, aperta e solidale. Era infatti convinto
che, con la loro presenza, i migranti sono un segno visibile della catto-
licità della famiglia di Dio e possono contribuire a creare le premesse
indispensabili per quell’autentico incontro tra i popoli che è frutto del-
lo Spirito di Pentecoste5.

Parole che bene descrivono il pensiero e l’opera di una “chiesa in usci-


ta”, evangelizzatrice e missionaria, del vescovo Scalabrini per i migranti,
aperta, alla accoglienza, solidarietà, fraternità tra i popoli.

Al di là dei confini della sua diocesi

Uomo di fede e di azione, il vescovo di Piacenza può essere annoverato tra


i “santi sociali” del XIX – XX secolo. Non si rinchiude entro i confini del-
la sua pur vasta diocesi, ma partecipa attivamente ai dibattiti sulle gran-
di questioni sociali e religiose del suo tempo e, tra queste, la “Questione
romana” e il potere temporale della Chiesa, la “Questione catechetica”6,
la “Questione sociale e operaia”7, in cui inserisce il problema migratorio.
Acuto osservatore dei fatti sociali e religiosi del suo tempo, Scalabrini af-
fronta la questione migratoria con una particolare metodologia: parte dal-
la sua esperienza personale, fa suo il problema, lo studia e analizza con
metodo scientifico, divulga i risultati con conferenze e pubblicazioni sul
tema migratorio. In famiglia, tre fratelli emigrano in America Latina; da
parroco, a S. Bartolomeo di Como per cinque anni, assiste alla partenza
dei suoi fedeli per l’Argentina e il Brasile a causa della crisi delle seterie;
soprattutto, durante il suo ministero episcopale a Piacenza si rende conto
del progressivo spopolamento di paesi e parrocchie dovuto all’emigrazio-
ne dei suoi diocesani verso terre europee ed americane ove era difficile,

5
GIOVANNI PAOLO II, Omelia per la beatificazione, 9 novembre 1997, O.R., 10 novem-
bre 1997.
6
Scalabrini è considerato un pioniere del movimento catechistico in Italia. Organizza
a Piacenza il primo Congresso Catechistico Nazionale nel 1889; cf. Atti e Documenti del
primo Congresso Catechistico tenutosi in Piacenza nei giorni 24, 25 e 26 settembre 1889,
Tip. Vescovile G. Tedeschi, Piacenza 1890.
7
Cf. G.B. SCALABRINI, Il Socialismo e l’azione del Clero, Tip. Tedeschi, Piacenza 1899, 48.

71
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

se non impossibile, trovare una qualsiasi forma di assistenza religiosa. Al-


la stazione ferroviaria di Milano vede e osserva in modo partecipe tanta
povera gente, assiepata, in attesa di raggiungere Genova o Le Havre per
imbarcarsi verso le Americhe. Profondamente commosso e coinvolto inte-
riormente

all’idea dell’abbandono in cui sarebbero rimasti d’ogni spirituale aiuto,


– scrive – mi sentii stringere il cuore, e piansi sulla loro sorte, e fermai
in animo di tentar qualche cosa […] come venire in loro aiuto? […] co-
me potervi rimediare?8.

Riaffiora nella sua mente il ricordo di quando, giovane prete della dioce-
si di Como, si era recato a Milano da Mons. Marinoni, direttore dell’Istitu-
to S. Calogero delle Missioni Estere (PIME), per chiedere di essere accet-
tato come membro dell’istituto e poi partire per le missioni. Il suo vescovo
Mons. Marzorati non gli concede l’autorizzazione. Vent’anni dopo, già ve-
scovo di Piacenza, Scalabrini ricorderà quell’evento:

Lo confesso, non mai come allora mi augurai la vigoria dei miei 20 an-
ni, non mai rimpiansi come allora l’impossibilità di mutare la croce d’o-
ro del Vescovo in quella di legno del Missionario, per volare in soccor-
so di quegli infelici, veramente infelici, perché agli altri pericoli si ag-
giunge per essi quello di cadere nell’abisso della disperazione9.

Impegno missionario

Scalabrini avverte l’urgenza di intervenire. Nella sua mente gli risuonano le


desolanti parole di un emigrato veneto che dal Brasile gli scrive:

Siamo qui come bestie; si vive e si muore senza prete, senza maestri e
senza medici […] Ecco col mio Istituto di patronato io penso appunto

8
G.B. SCALABRINI a M. Ledóchowski, Relazione dell’opera dei Missionari di S. Carlo,
Piacenza, 10 agosto 1900, AGS / BA 03-04-01.
9
ID., L’emigrazione degli operai, Conferenza al XVI Congresso Cattolico Italiano di Fer-
rara (1899), Atti e documenti, Opera dei Congressi, in S. TOMASI – G. ROSOLI (edd.), Sca-
labrini e le migrazioni moderne, SEI, Torino 1997, 144.

72
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

di soddisfare a questi tre grandi bisogni umani»10. «Non si dà nemme-


no sepoltura ai morti; siamo peggio dei cani legati alla catena11.

Scalabrini si mette in contatto con la congregazione di Propaganda Fide,


il dicastero competente dei territori di missione, tra cui, in quel tempo, era-
no considerati tali anche quelli nordamericani12, e offre la sua collaborazio-
ne per la “redenzione morale e religiosa” dei connazionali emigrati:

Oh, E.mo! – scrive al card. Simeoni13, prefetto di Propaganda – si fan-


no tanti e generosi sforzi per la conversione degli infedeli e lasceremo
perire i nostri connazionali già cattolici? Non sarebbe il caso, E.mo di
pensare ad una associazione di preti italiani, che avesse per iscopo l’as-
sistenza spirituale degli italiani emigrati nelle Americhe, che ne veglias-
sero la partenza e l’arrivo, e provvedessero al loro avvenire cristiano per
quanto è possibile? […] Da parte mia sarei pronto ad occuparmene e a
iniziare in minimissime proporzioni, ma iniziarla davvero […]14.

La disponibilità del vescovo di Piacenza è altamente gradita da Leone


XIII, che, a stretto giro di posta, lo incarica di preparare un progetto al ri-

10
G.B. SCALABRINI, Il disegno di legge sull’emigrazione italiana. Osservazioni e propo-
ste, Piacenza, 1888, in TOMASI – ROSOLI (edd.), Scalabrini e le migrazioni moderne, 56.
11
G.B. SCALABRINI, L’emigrazione italiana in America. Osservazioni. Piacenza, 1887, in
TOMASI – ROSOLI (edd.), Scalabrini e le migrazioni moderne, 24.
12
La collaborazione con Propaganda dura fino al 1908 quando, con la riforma della Cu-
ria romana attuata da Pio X (Const. Apostolica Sapienti consilio), i territori nordamerica-
ni non sono più considerati territori di missione dipendenti da Propaganda ma passano al-
la dipendenza di un nuovo dicastero, la Congregazione Concistoriale. In questo modo an-
che la congregazione di Scalabrini cessa la sua dipendenza da Propaganda Fide e passa
ad una duplice dipendenza: dalla S. Congregazione Concistoriale per la parte pastorale e
della S. C. dei religiosi in ragione del giuramento perpetuo.
13
G. Simeoni (Paliano, 1916 - Roma, 1892), ordinato sacerdote nel 1839. Entra nella
carriera diplomatica della S. Sede. Nunzio apostolico in Spagna nel 1875, vescovo e car-
dinale nel 1875. Nel 1876 Pio IX lo nomina segretario di Stato e nel 1878 Leone XIII gli
affida l’incarico di prefetto della S. Congregazione di Propaganda Fide (1878-1892). So-
stenitore e garante delle iniziative di Scalabrini in favore dei migranti. Muore a Roma il
14 gennaio 1892.
14
G.B. SCALABRINI, Lettera al card. Simeoni, Piacenza, 11 gennaio 1887, AGS / BA 01-
02-01.

73
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

guardo15. La stesura definitiva viene compilata a due mani nella sede ro-
mana di Propaganda Fide, e porta due firme, quella di Scalabrini e quella
del card. Simeoni. Il papa in “audientia coram” 14 novembre 1887 appro-
va l’apertura a Piacenza di una casa di formazione per sacerdoti per gli
emigranti e la rende pubblica con la lettera apostolica Libenter agnovi-
mus16. Pochi giorni dopo, Scalabrini dà inizio a Piacenza alla sua opera per
gli emigranti17.

Missionarietà e evangelizzazione

La motivazione profonda dell’attività missionaria e evangelizzatrice del ve-


scovo Scalabrini risiede nella sua profonda fede in Dio e nella sua coscien-
za di vescovo:

La salute delle anime – confida all’amico Bonomelli, vescovo di Cre-


mona – è la nostra sola ragione di esistere […] Lavorare, affaticarsi, sa-
crificarsi in tutti i modi per dilatare quaggiù il regno di Dio e salvare le
anime; mettersi, dirò così, in ginocchio davanti al mondo per implora-
re come una grazia il permesso di fargli del bene18.

E Bonomelli, a sua volta, conferma: «Mons. Scalabrini non ebbe che


una sola passione, che tutte l’altre assorbiva: salvare le anime e per esse
cercava la gloria di Dio [...] Il suo sguardo spaziava al di là della sua dio-
cesi, dell’Italia e dell’Europa»19. Nella lettera di accompagnamento del
suo primo scritto sull’emigrazione italiana in America, Scalabrini afferma
di averlo scritto «per meglio disporre gli animi a favore del disegno di
“evangelizzazione” da me presentato per espresso desiderio di Vostra

15
Cf. G. SIMEONI, Lettera a Scalabrini, Roma, 3 febbraio 1887, AGS / BA 01-02-01b.
16
LEONE XIII, Lettera Apostolica Libenter agnovimus a Mons. Scalabrini, 25 novembre
1887, AGS / BA 01-05-01a.
17
Cf. G. MOLINARI, Cronaca dell’Istituto Apostolico dei Missionari per le Colonie Italia-
ne all’estero, specialmente in America, Piacenza, novembre 1887, AGS / BA 01-06-01a.
18
G.B. SCALABRINI, Lettera pastorale Il prete cattolico, Piacenza, 1892, in O. SARTORI
(ed.), Lettere pastorali, SEI, Torino 1994, 492.
19
Attribuita a mons. Bonomelli, “L’Emigrato italiano” (1936), 2, 1.

74
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

Santità alla Sacra Congregazione di Propaganda»20. Allo stesso modo con-


fida a Mons. Corrigan, arcivescovo di New York il suo desiderio di vede-
re sorgere in Piacenza «una casa dove accogliere, istruire e preparare i sa-
cerdoti che intendono dedicarsi “all’evangelizzazione” dei loro connazio-
nali in America»21. Nella primavera del 1888, a pochi mesi dalla fonda-
zione della sua opera per l’assistenza degli emigrati italiani, si mette in
comunicazione con i Vescovi di Namur e di Lussemburgo, e con il rettore
dell’Università di Lovanio per aprire nell’ex abbazia benedettina di Clai-
refontaine, sulla frontiera belgo-francese, un seminario europeo-interna-
zionale che avrebbe dovuto considerarsi come una filiale della casa ma-
dre di Piacenza. Scalabrini sottolinea nuovamente l’aspetto internaziona-
le della sua opera:

Questa opera – scrive in una successiva lettera ai vescovi belgi – si


chiama Opera di Evangelizzazione degli emigranti e ha per scopo di
provvedere di sacerdoti i numerosi europei che vanno a colonizzare l’A-
merica, l’Africa e l’Australia […] mi sono già arrivate più di sessanta
domande di ammissione tanto dall’Italia che dall’estero22.

Il progetto, per vari motivi indipendenti dalla sua volontà, non poté rea-
lizzarsi; resta, tuttavia, altamente significativa l’intuizione e la volontà mis-
sionaria del vescovo piacentino. Evangelizzazione e missione sono due ter-
mini correlati. Per questo chiede alla S. Sede che i suoi sacerdoti destinati
all’assistenza religiosa degli italiani emigrati in America abbiano il nome e
la qualifica di “missionari apostolici” al pari dei missionari inviati nelle
terre di missioni in Africa e in Asia. L’approccio missionario di Scalabrini
nella concezione del suo Istituto risulta anche dalla figura del “missionario
volante” che egli avrebbe voluto associare – come risulta dal primo proget-
to di regolamento del 16 febbraio 1887 – al gruppo dei missionari stabili.
Sull’idea dell’apertura di una casa di missionari “volanti” o “ambulanti”,
Scalabrini tornerà più volte anche in seguito: «È questo un mio antico de-
siderio, – scriveva nel 1893 al Delegato Apostolico negli Stati Uniti, Mons.

20
G.B. SCALABRINI, Lettera a Leone XIII, Piacenza, 13 giugno 1887, AGS / AB 01-01-31.
21
ID., Lettera a M. Corrigan, Piacenza, 18 agosto1887, AGS / EB 01-03.
22
ID., Lettera ai vescovi del Belgio e Lussemburgo, Piacenza, 1° aprile 1888, AGS / BA
01-08-13.

75
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

Satolli23 – un desiderio espressomi anche dal Santo Padre, e l’avrei attuato


di buon grado, se ne avessi avuto i mezzi»24.

Opera della Chiesa e nella Chiesa

Particolarità della fondazione scalabriniana è che essa non nasce come ope-
ra diocesana e di un solo vescovo, ma all’interno della S. Sede “come ap-
pendice di Propaganda Fide”. Scalabrini manifesta con chiarezza la sua vo-
lontà già alla presentazione del suo progetto alla S. Sede. Scrive al card. Si-
meoni:

Eminenza Rev.ma […] Eccole il progetto, o meglio l’abbozzo di un pro-


getto per venire in aiuto agli italiani nelle Americhe, da me stesso, se-
condo il desiderio espressomi dal S. Padre per mezzo dell’Eminenza Vo-
stra R.ma. L’ho buttato giù, come suol dirsi, un po’ alla carlona ed è
mancante specialmente nelle questioni di dettaglio, per es. sul dove e
sul come dar vita ai Comitati, di cui è cenno nello stesso progetto […]
È inutile aggiunga, che qualora V. E. credesse valersi dell’opera mia
meschinissima, sia per preparare l’appello ai Vescovi italiani e la cir-
colare a quelli d’America, sia per altro, io mi terrò sempre onorato di
poterla servire. L’iniziativa, però, di quest’opera nobilissima dovrebbe
sempre partire dalla S. Sede e tutti i documenti relativi dovrebbero por-
tare la firma dell’Eminenza Vostra25.

La stretta relazione tra il vescovo Scalabrini e S. Propaganda Fide è evi-


denziata anche nell’incipit del primo Regolamento scalabriniano: «È co-
stituita in Italia, sotto l’alta dipendenza di Propaganda Fide e sotto l’im-
mediata direzione di un Superiore generale nominato dalla stessa Propa-
ganda, una Congregazione di Missionari per le colonie italiane, special-

23
F. Satolli (Marsciano, 1839 - Roma, 1910). Delegato apostolico negli Stati Uniti (1892),
cardinale (1895), prefetto della Congregazione per la revisione delle costituzioni e regole de-
gli Istituti religiosi.
24
G.B. SCALABRINI, Lettera a F. Satolli, Piacenza, 14 settembre 1893, AAV, prot. n. 891.
25
ID., Lettera e progetto di una “Associazione di sacerdoti per gli emigrati” a G. Simeo-
ni, Piacenza 16 febbraio 1887, AGS / BA 01-02-04a, b, c.

76
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

mente in America»26. Lo stesso concetto viene ribadito nella “relazione


sullo stato della congregazione” che Scalabrini invia al card. Ledochowski
nel 1897. Dopo aver narrato le vicissitudini degli inizi della sua congrega-
zione, afferma:

Da questi fatti chiaro apparisce che la fondazione di questo Istituto


Apostolico può dirsi fondazione della S. Sede, ed è, come si esprimeva
il degnissimo Antecessore di V.E., il card. Simeoni, nella sua Circolare
27 febbraio 1889 ai vescovi italiani, quasi un’appendice di cotesta me-
desima S.C. di Propaganda27.

In breve tempo, Scalabrini diventa il principale interlocutore e punto di


riferimento della S. Sede, dell’episcopato italiano e americano, ed anche
del governo italiano sulla questione migratoria. Intuisce che le migrazio-
ni, per loro natura oltrepassano le frontiere e sono collegate tra loro da
molti elementi comuni, La stessa cura pastorale di una sola etnia non può
essere disgiunta da riferimenti e collegamenti con gli altri gruppi etnici di
immigrati.

Corresponsabilità episcopale

Un’altra caratteristica del progetto di Scalabrini per i migranti è la volontà


di costituirlo sulla base della corresponsabilità interepiscopale con i Vesco-
vi dell’Italia, di America, facendo dell’assistenza degli emigrati un esempio
di collegialità episcopale ante litteram, tra le due sponde dell’oceano. Sul-
la questione migratoria Scalabrini si mantiene in contatto con tutti i vesco-
vi d’Italia ed anche con quelli del nord e sud America: New York, St. Paul,
New Haven, Philadelphia, New Orleans, St. Louis, Detroit, Boston, Chica-
go, Baltimora, S. Paulo del Brasile, Curitiba, Rio de Janeiro, Buenos Aires,
Santa Fe, Costarica, ecc. Il palazzo vescovile di Piacenza diventa la meta
obbligata di vari Vescovi americani che, in occasione della loro visita ad li-

26
ID., Regolamento della Congregazione dei missionari per gli emigrati, Piacenza, 19
settembre 1888, AGS / DE 22-04-07a.
27
ID., Relazione al card. Ledochowski M., Piacenza, 3 dicembre 1897, AGS / BA 02-
2-07.

77
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

mina a Roma, vi sostano per discutere della preoccupazione comune sul-


l’assistenza religiosa agli emigrati italiani. Va riconosciuto a Scalabrini il
merito di aver consigliato la Segreteria di Stato e Propaganda Fide ad invia-
re lettere collettive agli Episcopati italiani, europei e americani come Let-
tera apostolica di Leone XIII Quam aerumnosa28 la cui bozza venne da lui
preparata. Questo dialogo con i vescovi delle due sponde dell’Oceano sul-
l’assistenza religiosa dei migranti ha contribuito a far nascere una partico-
lare struttura pastorale, la “Missio cum cura animarum”, confermata nella
Costituzione Apostolica Exsul familia29. Dopo un’esperienza quasi venten-
nale a contatto con i migranti italiani e anche di altre nazionalità special-
mente dopo la loro visita negli Stati Uniti nel 1901 e in Brasile nel 1904,
come frutto maturo di questa sua straordinaria esperienza, presenta a Pio X
un Memoriale “pro emigratis catholicis”30. In esso suggerisce di costituire
un ufficio o sezione centrale della Chiesa per coordinare e organizzare l’as-
sistenza di tutti gli emigrati cattolici di ogni nazionalità:

Beatissimo Padre, – scrive Scalabrini a Pio X – ora la Chiesa, che col-


l’ammirabile istituzione di Propaganda Fide spende tanto denaro e con-
suma tanti preti per la diffusione della fede tra gli infedeli, non farà
qualche cosa di simile per la conservazione della fede tra gli emigrati?
E parlo degli emigrati di tutte le nazioni e di tutte le regioni cattoliche:
italiani, tedeschi, spagnoli, portoghesi, canadesi, ecc.31.

Da tutto ciò risulta che Mons. Scalabrini non solo ha spalancato i confi-
ni della sua diocesi ma ha anche influito efficacemente ad ampliarle il rag-
gio d’azione della congregazione di Propaganda, aggiungendo al suo inter-
no, oltre alla “Missio ad gentes”, anche un secondo fronte missionario quel-
lo della “Missio ad migrantes” per l’assistenza religiosa degli emigranti.

28
LEONE XIII, Lettera apostolica Quam aerumnosa, Roma, 10 dicembre 1888, ASS,
XXI, 1888, 258-260.
29
PIO XII, Costituzione apostolica Exsul familia, Castel Gandolfo, 1° agosto 1952,
AAS, 649-604, 44, c. IV.
30
G.B. SCALABRINI, Memoriale “Pro emigratis catholicis” al card. Merry del Val, Pia-
cenza, 4.05.1905, AGS / AB 02-02-08 b c. Cf. G. TERRAGNI, Un progetto per l’assistenza
agli emigrati cattolici di ogni nazionalità. Memoriale di G.B. Scalabrini alla S. Sede, “Stu-
di Emigrazione” 42 (2005), 159, 475-503.
31
G.B. SCALABRINI, Lettera a Pio X, S. Paulo (BR), 22 luglio 1904, AGS / AB 01-04-41b.

78
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

Non solo ha dato avvio nelle Chiesa ad una congregazione religiosa col fine
precipuo dell’assistenza degli emigrati italiani, allora i più numerosi e i più
abbandonati, ma ha anche influito a creare presso la S. Sede strutture pa-
storali per il coordinamento dell’assistenza degli emigranti cattolici di ogni
nazionalità, a livello internazionale.
Collaborazione con tutte le persone di buona volontà:

La Chiesa nella sua pienezza, non è costituita unicamente dai preti, ve-
scovi o dal Papa, ma da pastori e fedeli nel loro insieme. Colui che ha
ricevuto il battesimo è divenuto membra di questo grande Corpo misti-
co di Cristo […] Se dunque ogni membro deve cooperare alla salvezza
e al bene dell’intero corpo, è evidente che ogni cristiano, sia esso pre-
te o laico, deve secondo il suo ruolo e a misura delle proprie forze, con-
tribuire alla integrità e alla vitalità della Chiesa cattolica32.

Nell’opera di “redenzione morale” degli emigrati, Scalabrini chiama a


raccolta tutti gli uomini di buona volontà, clero e laicato, Chiesa e Stato:

Chiamo l’attenzione del clero italiano, del laicato cattolico e di tutti gli
uomini di buona volontà […] poiché la carità non conosce partito»33.
«All’azione del clero deve andare armoniosamente congiunta quella
del laicato»34. «Comprendete pertanto la nobiltà e grandezza della vo-
stra missione, o laici, e fate di corrispondervi degnamente. Voi potete
oggi moltissimo; potete penetrare là, dove noi, causa volgari pregiudi-
zi, non abbiamo l’accesso; potete compiere con felice risultato tante
opere che noi, per la tristizia dei tempi, non possiamo. Siate dunque
mediatori di Dio35.

Considera gli stessi emigrati non solo come oggetto di evangelizzazione


ma soggetti attivi e responsabili dell’annuncio Evangelico:

32
ID., Lettera pastorale Azione cattolica, Piacenza, 1896, in SARTORI (ed.), Lettere pa-
storali, 359-360.
33
G.B. SCALABRINI, L’emigrazione italiana in America. Osservazioni, Piacenza 1887, in
TOMASI – ROSOLI (edd.), Scalabrini e le migrazioni moderne, 1, 3.
34
G.B. SCALABRINI, Lettera pastorale Azione cattolica, Piacenza, 1896, in SARTORI (ed.),
Lettere pastorali, 359.
35
Ibid., 360.

79
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

A conservare poi il frutto delle Missioni, si dovrebbe in ogni gruppo di


Italiani che non hanno prete, raccomandare che gli stessi emigrati non
solo si attengano ogni giorno in casa alle pratiche dei buoni cristiani,
ma che nei dì festivi si riunissero nella Chiesa, o cappella, a pregare in
comune, cantarvi le lodi del Signore, a farsi il Catechismo ai fanciulli,
a leggervi il Vangelo delle domeniche; a compiere quegli esercizi reli-
giosi che da laici possono eseguirsi. È in tal guisa (modo) che nel Ma-
dagascar durante l’assenza dei Missionari per più anni, si conservò non
solo la fede, ma anche il fervore religioso36.

Considera l’assistenza pastorale degli emigrati un’opera di tutta la Chie-


sa poiché essa, per la sua stessa natura è universale e realizza in sé la co-
munione dei popoli, superando le barriere culturali, politiche, e sociali. La
Chiesa non si identifica con nessuna cultura, ma pur incarnandosi e incul-
turandosi in esse, tutte le rispetta e le trascende, come afferma Giovanni
Paolo II: «Nella Chiesa nessun uomo è straniero e la Chiesa non è stranie-
ra a nessun uomo e in nessun luogo»37. Auspica una Chiesa missionaria,
aperta al mondo, al fianco del popolo:

La Chiesa di Gesù Cristo, che ha spinto gli operai evangelici tra le na-
zioni più barbare e nelle lande più inospiti, non ha dimenticato e non
dimenticherà mai la missione che le venne da Dio affidata di evange-
lizzare i figli della miseria e del lavoro [i migranti …] Nell’era futura,
non sarà con i Prìncipi e i Parlamenti, ma con le grandi masse, con il
popolo, che la Chiesa dovrà trattare. Che noi lo vogliano o no, ecco il
nostro impegno […] Sì, o signori, dov’è il popolo che lavora e che sof-
fre, ivi è la Chiesa38.

Per Scalabrini l’emigrazione è l’occasione offerta a tutti gli uomini e don-


ne di buona volontà, cattolici e non, di uscire dal silenzio e diventare pro-

36
G.B. SCALABRINI, Progetto inviato al card. G. Simeoni sull’”Associazione di sacerdoti
allo scopo di provvedere ai bisogni spirituali degli italiani emigrati nelle Americhe”, Pia-
cenza, 16 febbraio 1887, AGS / BA, 01, 02, 04a, b, c., n. 6.
37
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la giornata mondiale dei migranti e rifugiati, O.R.,
25 luglio 1995.
38
G.B. SCALABRINI, L’emigrazione degli operai italiani, in TOMASI – ROSOLI (edd.), Sca-
labrini e le migrazioni moderne, 148-149.

80
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

tagonisti anche in campo sociale. In quest’opera di “redenzione sociale e


religiosa” dei migranti, molti accettano di collaborare con il vescovo di Pia-
cenza. Per la prima volta, dopo l’unità d’Italia, scrivono i giornali dell’epo-
ca, cattolici e liberali si trovano riuniti attorno ad un progetto comune, quel-
lo dell’assistenza religiosa e sociale degli emigrati. Negli anni 1889-1891
Scalabrini percorre l’intera Penisola per dettare numerose conferenze sul-
l’emigrazione e in varie città italiane per far conoscere lo stato di abbando-
no dell’emigrazione italiana. In varie città d’Italia costituisce i comitati di
patronato per gli emigranti e ne affida la presidenza a laici preparati e com-
petenti. Rivolge una particolare attenzione all’aspetto legislativo del parla-
mento italiano in tema di emigrazione e si attiva per far cambiare la legge
sull’emigrazione del 1888 e far approvare quella del 1901 alla cui compo-
sizione diede valido contributo:

Oggi non è più consentito starcene neghittosi nelle nostre case sospi-
rando o piangendo, quando il fuoco della miscredenza si dilata e mi-
naccia di distruggere l’arca della fede delle nostre contrade. Usciamo
dunque dalle nostre tende, e innanzi tutto ricordiamo che non abbiamo
altre armi che la fede e la carità. Con queste armi entriamo, secondo le
leggi civili e la coscienza di cattolici, nella via pubblica, senza guarda-
re a parti politiche; pronti a morire anziché venire a patti mai col falso
e l’ingiusto. Entriamo nella vita pubblica non come nemici del potere
costituito, ma come instancabili avversari del male, ovunque esso sia;
entriamo come uomini d’ordine che sappiano, secondo l’esempio di
Cristo e della sua Chiesa, tollerare anche il male, ma approvarlo o far-
lo noi stessi, mai39.

Uscite dal tempio... ma per santificare

Di fronte alle novità del mondo contemporaneo, invita il suo clero e i suoi
missionari a non rinchiudersi in sterili lamentele o a vani rimpianti del pas-
sato. Occorre, invece, prendere coscienza della realtà in cui si vive, adope-
rarsi per il bene e il rinnovamento della società, ed essere sempre al fian-
co del popolo:

39
ID., Lettera pastorale La Chiesa cattolica, Piacenza, 1888 in SARTORI (ed.), Lettere
pastorali, 437.

81
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

Dobbiamo altresì essere uomini del nostro tempo […] Dobbiamo vivere
della vita del popolo, avvicinandoci a lui con la stampa, con le associa-
zioni, coi comitati, con società di mutuo soccorso, con pubbliche con-
ferenze, coi congressi, coi circoli operai, con i patronati dei fanciulli,
con ogni opera di beneficenza privata e pubblica […] Io vorrei che la
intendessero tutti i membri del mio clero. Ai nostri giorni è quasi im-
possibile ricondurre la classe operaia alla Chiesa, se non manteniamo
con essa relazione continua fuori della Chiesa. Dobbiamo uscire dal
tempio, o venerabili Fratelli, se vogliamo esercitare un’azione salutare
nel tempio»40 «Uscite, pure, come oggi suol dirsi di sagrestia, ma pie-
na la mente e il cuore dello Spirito41.

Santo sociale, Scalabrini avverte la necessità che la fede sia proclamata


non con formule obsolete o stereotipate, ma sia attualizzata e testimoniata
con fedeltà creativa in modo da essere compresa e vissuta con le opere. Il
rinnovamento della società è un dovere che riguarda tutti e che, per conse-
guirlo, «sono molto più importanti i fatti delle parole»42. «È del tutto inuti-
le chiudersi in sterili lamentele o vani rimpianti del passato. Guai alla chie-
sa di Roma se fosse colpita dall’immobilità […] in lotta contro le innova-
zioni, o nel costruire piramidi dell’antichità, attaccando coloro che non san-
no piegarsi a rappresentare il sistema di mummificazione o l’età della pie-
tra»43. Invita i suoi preti ad impegnarsi anche nell’azione sociale, e metter-
si a fianco del popolo:

Non giova illuderci: un cattolicesimo speculativo e mentale, una reli-


giosa neutralità, mentre in seno alla società in cui viviamo si agitano e
si dibattono con calore le più vitali questioni, è un assurdo, se non an-
zi una specie di tradimento. Tra l’occultare la fede e perderla non v’è
alcun passo44.

40
G.B. SCALABRINI, Commento all’enciclica “Rerum novarum”, Piacenza, 1 ottobre
1891, AGS / AO 02-22-08.
41
ID., Lettera pastorale, Unione colla Chiesa, Obbedienza ai legittimi Pastori, Piacen-
za 1896, in SARTORI (ed.), Lettere pastorali, 576.
42
ID., Lettera pastorale Unione, azione, preghiera, Piacenza 1890, in SARTORI (ed.), Let-
tere pastorali, 1994, 469.
43
ID.,, Intransigenti e transigenti. Osservazioni di un Vescovo italiano, Zanichelli, Bo-
logna 1885, 17-17 e 22.
44
Ivi.

82
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

È d’importanza capitale che le la Chiesa si trovi sempre e fortemente


ancorata al fianco dell’umanità, della giustizia verso le moltitudini che
compongono il corpo della famiglia umana45.

Significativa per la sua carica di energia missionaria è l’omelia di Scala-


brini ai suoi primi missionari in partenza per le Americhe nella chiesa di
S. Antonino, 12 luglio 1888:

Oh! Andate, novelli Apostoli di Gesù Cristo […] Vasto senza confine è
il campo dischiuso al vostro zelo. Là templi da innalzare, scuole da
aprire, ospedali da erigere, ospizi da fondare; vi ha il culto del Signore
cui provvedere, vi hanno fanciulli, vedove, orfani, poveri infermi, vec-
chi cadenti e tutte a dir breve le miserie della vita su cui far discende-
re gli influssi benefici della cristiana carità. Come sopperire a tanti e sì
gravi bisogni? […] Andate: ite! La Provvidenza divina che veglia con
tenerezza di madre sulle opere iniziate da lei risolverà essa l’arduo pro-
blema […]46.

Una ulteriore conferma dell’animo missionario di Scalabrini per una


chiesa “in uscita”, evangelizzatrice e missionaria, è l’impegno assunto da
Scalabrini e dai suoi missionari per la catechesi e l’assistenza pastorale de-
gli Indios Guarany, confinati e abbandonati da secoli dalla società civile e
anche dalla Chiesa nelle foreste del Tibagy (Paranà) e che Scalabrini incon-
tra durante il suo viaggio in Brasile nel 1904.

Chiesa in uscita. Ottica ecclesiologica

Il presupposto teologico della missione evangelizzatrice della Chiesa per i


migranti si fonda sul riconoscimento della comune paternità di Dio e della
universale redenzione attuata da Cristo, da cui deriva l’impegno ad opera-
re per una fraternità universale. Ecco alcune riflessioni di Scalabrini su
questo tema.

45
Ibid., 17, 22 e 34.
46
ID., Omelia ai missionari partenti, Piacenza, 12 luglio 1888.

83
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

Dio è Padre che sta ne’ cieli, padre di tutti gli uomini, degli ebrei co-
me dei gentili; che fa risplendere il sole sui buoni ugualmente che sui
malvagi; che manda la pioggia sul campo dei giusti, come su quello
dei peccatori […] E come egli ama noi, così vuole che amiamo i suoi
fratelli, cioè a dire, tutti gli uomini senza distinzione e senza eccezio-
ne di sorta, che li amiamo non a parole, ma fatti […] La Chiesa inse-
gna finalmente che tutti abbiamo origine da un Padre comune; che tut-
ti tendiamo a Dio, fine supremo […] che tutti siamo stati ugualmente
redenti da Gesù Cristo e chiamati alla dignità della figliuolanza divi-
na, per guisa che non solo tra noi, ma con Cristo Signore primogenito
tra molti fratelli siamo congiunti col vincolo di una santa fraternità»47.
«La Chiesa Cattolica è chiamata dal suo apostolato divino e dalla sua
tradizione secolare a dare la sua impronta a questo grande movimento
sociale, che ha per fine la sistemazione economica e la fusione dei po-
poli cristiani […] essa ha una bella e nobile missione da compiere,
provvedendo prima all’incolumità della fede, alla sua propagazione e
alla salvezza delle anime […] smussando gli angoli delle singole na-
zionalità, temperando le lotte di interessi delle diverse patrie, armo-
nizzando, in una parola, le varietà delle origini nella pacificatrice uni-
tà della fede48.

Intravvede nelle migrazioni il disegno provvidenziale di Dio sul cammi-


no dell’umanità di cui l’emigrazione ne è il prototipo:

Io lo spero; sì, io lo spero, o Signori: poiché mentre il mondo si agita


abbagliato dal suo progresso, mentre l’uomo si esalta delle sue conqui-
ste sulla materia e comanda da padrone alla natura sviscerando il suo-
lo, soggiogando la folgore, confondendo le acque degli oceani col taglio
degli istmi, sopprimendo le distanze; mentre i popoli cadono, risorgo-
no, e si rinnovellano; mentre le razze si mescolano, si estendono e si
confondono; attraverso il rumore delle nostre macchine, al sopra di
questo lavorìo febbrile, di tutte queste opere gigantesche e non senza di

47
ID., Il socialismo e l’azione del clero. Osservazioni, Piacenza 1899, in TOMASI – RO-
SOLI (edd.), Scalabrini e le migrazioni moderne, 169, 175.
48
G.B. SCALABRINI, Lettera e memoriale “pro emigratis catholicis” al Card. Merry del
Val, Piacenza, 5 maggio 1905, AGS / AB 02-02-08 b, 16-17.

84
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni

loro, si va maturando quaggiù un’opera ben più vasta, ben più nobile,
ben più sublime: l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di
buon volere49.

In conclusione, parafrasando le parole di P. Luigi Favero, Superiore ge-


nerale dal 1992 al 2000, possiamo, in sintesi, affermare che il progetto pa-
storale di Scalabrini per gli emigranti presenta e realizza una chiesa aper-
ta, inclusiva e coinvolgente, e accogliente accanto al popolo, capace di rin-
novarsi e di unire missionarietà, evangelizzazione e promozione umana, an-
nunciatrice del piano di Dio nascosto nelle migrazioni che porta dall’isola-
mento di Babele alla comunicazione della Pentecoste; una chiesa che di-
fende i diritti umani del migrante; promuove la giustizia e valorizza il pa-
trimonio culturale aiutando a far ponte con la comunità di accoglienza. Una
Chiesa che cerca di mettere in comunione i migranti con la società e le
Chiese di accoglienza […] Il tutto mira a formare di tutti i popoli un sol po-
polo, di tutte le famiglie una sola famiglia. I “figli della miseria e del lavo-
ro” diventano così, pienamente riscattati, i testimoni e gli anticipatori di
quella fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo
Spirito e la carità si fa autentica nell’accettazione dell’altro.

Giovanni Terragni
Archivio Generale Scalabriniano
[email protected]

49
ID., Memoriale “Pro emigratis catholicis” al card. Merry del Val, Piacenza, 4 maggio
1905, AGS / AB 02-02-08 b c.

85
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Giovanni Terragni

ABSTRACT

TESTIMONE DI UNA CHIESA IN USCITA:


L’OPERA DI SCALABRINI PER LE MIGRAZIONI

Il progetto pastorale di Mons. Scalabrini, vescovo di Piacenza e fondatore di


opere missionarie per gli emigranti, unisce evangelizzazione e promozione uma-
na; manifesta la sua visione di “chiesa in uscita”, e cerca di mettere in comunio-
ne i migranti con la società e la chiesa di accoglienza.

WITNESS OF A “CHURCH WHICH GOES FORTH”


SCALABRINI’S WORK FOR MIGRANTS

The pastoral project of Mgr. Scalabrini, Bishop of Piacenza and founder of mis-
sionary works for migrants, combines evangelization and human promotion; it
manifests his vision of an “outgoing Church”, and seeks to bring migrants into
communion with the host society and church.

Keywords: Scalabrini; Propaganda Fide; Italian Emigration; Outgoing Church

86
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

FAMIGLIE IMMIGRATE
E SACERDOZIO CATTOLICO
Giovani con background migratorio nei seminari italiani

1. Vocazioni e contesto familiare – 2. Seminaristi con cittadinanza non italiana – 3. La pre-


senza nei seminari di giovani di “seconda generazione” – 4. Alcuni temi emergenti dalle
interviste; 4.1 «Ai miei genitori devo il dono della fede». Trasmissione della fede e voca-
zione in famiglia; 4.2 I «diversi luoghi». Vocazione ed esperienza comunitaria; 4.3 «In
punta di piedi». Fede e valori in un contesto con molteplici riferimenti socio-culturali;
4.4 «Ho messo in gioco me stesso». La ricerca di una nuova ed integrata dimensione iden-
titaria; 4.5 «Il “luogo” nel quale il Signore mi chiama». Vocazione e percezione del mini-
stero presbiterale – 5. Prospettive per un dialogo aperto

Parole chiave: giovani; migrazioni; fede; famiglia; sacerdozio; multicultura

Parlare di processi migratori oggi comporta innanzitutto preservare la com-


plessità del fenomeno stesso e allo stesso tempo salvaguardare l’individua-
lità dei protagonisti coinvolti, soprattutto se ci si focalizza sulle relazioni.
Tale complessità si traduce anche in una certa molteplicità di visioni e let-
ture che, oltre ad essere spesso espressione di precise scelte metodologiche
e antropologiche, produce inoltre una quantità non indifferente di concetti
e termini. È questo il caso quando si parla di “nuove generazioni”, “secon-
de generazioni” o, più genericamente, di persone con un background mi-
gratorio1.
Seppure non abbiano scelto loro di emigrare, devono in qualche maniera
affrontare tutte quelle sfide che il fatto di nascere o crescere in un Paese di-
verso da quello dei propri genitori comporta nel percorso personale, socia-

1
Nel presente contributo il termine “background migratorio” è utilizzato per riferirsi
tanto ai giovani che hanno sperimentato personalmente l’immigrazione in Italia da un Pae-
se estero, da soli o con i propri genitori, quanto ai nati in Italia da genitori di cittadinan-
za straniera: in questo caso la mobilità costituisce più un tratto familiare che non un’espe-
rienza personale, ma nondimeno costituisce un elemento imprescindibile del patrimonio
storico e culturale. Le traduzioni sono degli autori.

87
3/2022 ANNO LXXV, 87-111 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

le e persino religioso. In bilico tra una cultura di provenienza, una cultura


d’arrivo, e la faticosa ricerca di una cultura sintesi, i figli dei migranti sono
uno straordinario laboratorio interculturale, e allo stesso tempo un terreno
dove si cerca una fragile sintesi identitaria con importanti implicazioni.
Il presente articolo, frutto di una ricerca qualitativa condotta attraverso
delle interviste, vuole tematizzare alcuni elementi centrali che riguardano
la presenza di adolescenti o giovani con background migratorio inseriti in
un contesto particolare come è quello dei seminari diocesani italiani. Ser-
ve sin da subito dire che l’esiguità del campione non permette un’attenta
analisi quantitativa, ma apre tuttavia a prospettive interessanti per ulterio-
ri riflessioni e ricerche e si inserisce in un contesto più ampio di riflessio-
ne sui processi socio-culturali che caratterizzano le nostre comunità.

1. Vocazioni e contesto familiare

Dai 6.337 seminaristi dell’Italia del 19702 ai 1.804 del 2020, con una per-
dita di circa il 28% soltanto nei dieci anni dal 2009 al 2019. Sono questi
gli estremi quantitativi di una contrazione della vita seminariale e presbi-
terale le cui ragioni sono molteplici e sinergiche. Tra le ipotesi, che la cre-
scita economica influenzi negativamente la religiosità, non soltanto in Ita-
lia3. Come suggerito da alcuni autori, il benessere materiale eserciterebbe
un’attrattiva più immediata – anche in termini di scelte occupazionali – ri-
spetto alla pratica religiosa, soprattutto fra i giovani, più propensi ad affer-
marsi in una carriera apprezzata dal punto di vista socio-economico4. Da
qui, il calo più consistente di vocazioni presbiterali nei Paesi a Pil più ele-
vato. È altresì plausibile che la crisi vocazionale sia da ricondurre, al pari

2
UFFICIO CENTRALE DI STATISTICA DELLA CHIESA, Annuarium statisticum Ecclesiae, Li-
breria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021.
3
Cf. L. DIOTALLEVI, Il rompicapo della secolarizzazione italiana: caso italiano, teorie
americane e revisione del paradigma della secolarizzazione, Rubettino, Soveria Mannelli,
CZ 2001; J.J. LINDENTHAL, The Delayed Decision to Enter the Ministry: Some Issues and
Prospects, “Review of Religious Research” (1968), 2, 108-114; R. STARK – W. SIMS BAIN-
BRIDGE, The Future of Religion: Secularization, Revival and Cult Formation, University of
California Press, Berkeley, CA 1985.
4
Cf. J.A. GONZALEZ ANAYA, Labor Market Flexibility in Thirteen Latin American Countries
and the United States. Revisiting and Expanding Okun Coefficients, Center for Research on
Economic Development and Policy Reform – Stanford University, Palo Alto, CA 1999.

88
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

di quella dell’istituzione matrimoniale, alla diffusa riluttanza ad assumersi


impegni a lungo termine, che per loro natura comprendono anche vincoli,
che siano il celibato ecclesiastico o la monogamia.
Non da ultimo, alla crisi delle vocazioni contribuisce da decenni il calo
delle nascite e, di conseguenza, delle fasce più giovani della popolazione in
Italia. Famiglie con un figlio, o al massimo due, tendono a spingere la pro-
le verso scelte professionali più remunerative in termini economici, con
particolare riguardo a quelle riferibili allo status dei genitori. Viceversa,
nelle famiglie più numerose i figli sembrano trovare maggiori spazi di liber-
tà, anche rispetto alla propria vocazione5. Ad essere chiamata in causa, una
volta di più e in modi molteplici, è pertanto la famiglia.
Su questo fronte, sussistono chiavi di lettura interessanti. Stando agli ulti-
mi dati disponibili6, ad esempio, nel 2020 la minoranza dei seminaristi in
Italia (meno di uno su dieci) è figlio unico (9,8% del totale), mentre la mag-
gior parte ha un fratello o una sorella (44,3%), circa un quarto ne ha due
(25,4%) e poco più di uno su dieci (10,8%) ne ha tre7. Numeri che si disco-
stano in maniera significativa dal panorama nazionale, che dice di 1,3 figli
in media per ogni famiglia e di un giovane su tre figlio unico (33%). Ciò sem-
bra confermare, quindi, il legame privilegiato delle vocazioni presbiterali con
un ambiente familiare oggi considerato medio-grande in Italia, verosimil-
mente più in grado di offrire ai propri membri opportunità in termini di pro-
pensione alla condivisione e di apertura a nuove esperienze e scelte di vita.

2. Seminaristi con cittadinanza non italiana

Un’altra caratteristica si impone nell’attuale scenario dei seminari italiani:


la presenza di una quota significativa di seminaristi provenienti dall’estero
per motivi di formazione (fig. 1). Si tratta per lo più di cittadini africani

5
Cf., ad esempio: W. SANDER, Catholicism and the Economics of Fertility, “Population
Studies” 46 (1992), 3, 477-489; J.H. FICHTER, Catholic Parents and the Church Vocation.
A Study of Parental Attitudes in a Catholic Diocese, Center for Applied Research in the
Apostolate (CARA), Washington, DC 1967.
6
UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA, Seminari d’Italia, Mediagraf, Noventa Padovana, PD 2021. La rilevazione stati-
stica ha coinvolto circa il 70% dei seminaristi in Italia.
7
Ibid., 25.

89
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

(38,5% del totale), in particolare malgasci (8,8%), nigeriani (6,6%), came-


runensi e ivoriani (4,4% rispettivamente); in misura minore di cittadini eu-
ropei (20,9%; polacchi 5,5%, ucraini e albanesi 3,3%, croati 2,2%), asia-
tici (19,8%; libanesi 5,5%, cinesi e indiani 4,4%, armeni 3,3%) e ameri-
cani (15,4%; colombiani 8,8%, venezuelani 2,2%)8.

5,40% Oceania
America

15,40%
38,50% Africa
Asia 19,80%

20,90% Europa

Fig. 1 – Nazionalità dei seminaristi con cittadinanza straniera in Italia.


Continente di provenienza. Anno 2020.
FONTE: dati Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni.

In Italia è cittadino straniero un seminarista su dieci (10%). La maggior


parte frequenta un seminario dell’Italia centrale (54,9%) e, con numeri net-
tamente inferiori (fig. 2), un seminario del Nord-Est (19,2%), del Sud e Iso-
le (17,6%) e del Nord-Ovest (8,2%)9.

Sud e isole 8,20% Nord-Ovest

17,60%
19,20% Nord-Est

Centro 54,90%

Fig. 2 – Distribuzione dei seminaristi di cittadinanza straniera


nei seminari italiani per area geografica. Anno 2020.
FONTE: dati Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni.

8
Ibid., 33.
9
Ibid., 31.

90
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

La regione ecclesiastica con più seminaristi con cittadinanza straniera in


valore assoluto nel 2020 è il Lazio (47), seguita da Toscana (27) ed Emilia-
Romagna (23); l’unica regione che non conta seminaristi stranieri è l’Um-
bria. Peculiare è il caso della Basilicata, dove tutti e tre i seminaristi pre-
senti nei seminari regionali sono di cittadinanza straniera e saranno incar-
dinati all’estero (fig. 3).

250

200

150

100

50

0
na

ria

to

m ia

Sa dia
To io

Ro na

am te

ria

ia

na

ia
at
ni

is
ch

il
gl

br
z

on
ne
ab

gu
ag
ilia sca

eg
c
ol
La

pa

r
lic
Pu
ar

ba

m
Si
ive

em

M
al
m

rd
Li

si
m

U
o-
C

Ba
Tr

Pi

Lo
zz
C

ru
Ab
Em

Totale seminaristi Seminaristi di cittadinanza straniera

Fig. 3 – Seminaristi totali e di cittadinanza straniera


per regione ecclesiastica in Italia. Anno 2020.
FONTE: elaborazione su dati Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni.

Si tratta di percentuali non sovrapponibili, ed anzi in parziale controten-


denza, con quelle dei cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio
italiano che, da anni, vedono una prevalenza delle presenze al più ricco
Nord-Ovest (34% circa del totale) e percentuali più contenute nel resto del-
la Penisola. Ancora differente risulta la presenza di presbiteri con cittadi-
nanza straniera incardinati in Italia, prevalentemente nel Nord-Ovest (80%)
e nel Centro (60%), o quelli incardinati all’estero presenti specialmente nel
Sud (71,9%) e nel Nord-Est (68,6%). Nel complesso, l’incidenza dei presbi-
teri con cittadinanza straniera sul totale dei presbiteri in Italia è da decenni
in continuo aumento, dallo 0,5% del 1990 all’8,3% del 202010.

10
UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI, Seminari d’Italia, 50.

91
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

3. La presenza nei seminari di giovani di “seconda generazione”

Diverso è il caso di seminaristi, diaconi o giovani presbiteri11 con back-


ground migratorio, proprio o familiare, presenti nei seminari italiani: un fe-
nomeno che è il segno del delinearsi di tendenze nuove nella società e nel-
la Chiesa in Italia. Non si tratta di seminaristi o presbiteri di cittadinanza
straniera temporaneamente presenti in Italia per motivi di studio in un cer-
to senso equiparabili agli studenti stranieri che popolano numerosi atenei
italiani. Si tratta, invece, di giovani che si direbbero appartenenti alle co-
siddette “seconde generazioni”, nati in Italia ma con uno o entrambi i ge-
nitori di cittadinanza non italiana: nel 2020 nei seminari italiani sono 15,
poco meno dell’1% del totale dei seminaristi. Una realtà che si immagina
in aumento nei prossimi anni, ma che già rappresenta un elemento di gran-
de ricchezza per la Chiesa che vive in Italia e per l’intera società, sebbene
ancora in gran parte sconosciuto. È fra di essi che appare doppiamente in-
teressante indagare la combinazione fra le dinamiche personali, familiari e
vocazionali, come si proverà a fare in questo studio.
Fuori dall’Italia il fenomeno è stato oggetto di alcune analisi, sebbene ri-
sulti ancora poco trattato. Particolarmente indagato è il caso degli Stati Uni-
ti, dove l’immigrazione ha proporzioni differenti rispetto a quelle italiane,
in termini sia cronologici sia quantitativi e qualitativi. Si è osservato, per
esempio, che in alcune comunità immigrate il numero delle vocazioni nel
Paese di destinazione non è paragonabile a quello nel Paese di origine. È il
caso della comunità cattolica nigeriana negli Stati Uniti:
«È importante che gli studiosi si prendano del tempo per studiare que-
ste comunità cattoliche di immigrati africani per capire perché non stanno
vivendo un aumento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa come
avviene nei rispettivi Paesi di origine. Mentre la Nigeria continua ad avere
il più alto numero di sacerdoti e religiosi immigrati che lavorano negli Sta-
ti Uniti, attualmente non ci sono vocazioni nella seconda generazione di im-
migrati nigeriani. Viene da chiedersi: anche queste comunità stanno viven-
do il fenomeno del materialismo che sembra considerare le vocazioni sacer-
dotali e religiose come una scelta di carriera problematica?»12.

11
Ai fini di questo studio, in considerazione dei dati disponibili riferiti al 2020, si so-
no considerati, in due casi, anche due ex seminaristi ordinati presbiteri nel 2021, come
si vedrà più avanti.
12
S.M. ASESE AIHIOKHAI, African Migrant Christians Changing the Landscape of Chris-
tianity in the West: Reading the Signs of the Times, in D.J. DIAS – J.Z. SKIRA – M.S. AT-

92
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

Una dinamica che, in verità, ha radici storiche. L’emigrazione può cambia-


re lo stile di vita e mutare la percezione stessa della propria vocazione anche
in comunità dove la fede sembra trovare maggiori spazi. «Dall’emigrazione
del dopoguerra ci sono state pochissime vocazioni polacche al sacerdozio
(circa 10) e fra i religiosi (circa 15) in Australia, l’opposto del quadro in Po-
lonia»13. Lo stesso si può dire per altre mete migratorie, come gli Stati Uniti:
«Il declino delle vocazioni sacerdotali cattoliche suggerisce che ciò che
è richiesto sono missionari polacchi, o seminaristi, che completino i propri
studi negli Stati Uniti e siano ordinati per le diocesi americane. E questo,
infatti, succede»14.
Ancora prima, e in Europa, la situazione non è molto differente. Nel 1925
Mons. Emmanuel Chaptal, vescovo ausiliare di Parigi e celebre évêque des
étrangers, raccomanda ai propri sacerdoti di iscrivere i bambini polacchi
che conoscono il francese alla catechesi parrocchiale in questa lingua, cate-
chizzando gli altri in polacco fino alla padronanza di base della lingua loca-
le. L’auspicio è che in seguito questi bambini, spesso provenienti da ambien-
ti familiari profondamente religiosi, entrino nei seminari francesi15.
Ancora più comprensibile la realtà in altri contesti europei ad elevata se-
colarizzazione, come ad esempio i Paesi Bassi:
«A parte alcune specifiche comunità di immigrati, come i vietnamiti, le
vocazioni sacerdotali delle comunità di immigrati [sono] molto poche. Il mo-
tivo sembra abbastanza semplice. La maggior parte degli immigrati è venu-
ta qui principalmente per motivi economici e diventare sacerdote non è mol-
to redditizio, né dal punto di vista materiale né in termini di autostima»16.

TRIDGE – G. MANNION (eds.), The Church, Migration, and Global (In)Difference. Pathways
for Ecumenical and Interreligious Dialogue, Palgrave Macmillan, Cham 2021, 291.
13
M. KAŁUSKI, Polish Religious Life in Australia, “Studia Polonijne” 12 (1989), 190.
14
S.A. BLEJWAS, Review of DANUTA MOSTWIN, Emigranci Polscy w Usa (Polish Immi-
grants in the Usa), “Journal of American Ethnic History” 14 (1995), 3, 73. In tema di vo-
cazioni presbiterali fra gli immigrati polacchi negli Stati Uniti si veda anche: J. RADZILOW-
SKI, A Social History of Polish-American Catholicism, “U.S. Catholic Historian” 27 (2009),
3, 21-43.
15
Cf. M. KŁAKUS, Udział duszpasterzy z Górnego Śląska w życiu religijnym polskich emi-
grantów we Francji w kresie Międzywojennym, “Śląskie Studia Historyczno-Teologiczne”
(SSHT) 47 (2014), 2, 331-332.
16
F.J.S. WIJSEN, Foreign Priests in the Netherlands: Reversed Mission, Mutual Assistance
and Internal Outsourcing, “Exchange, Journal of Missiological and Ecumenical Re-

93
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

Conclusioni cui, almeno in parte, si giunge anche dall’analisi dei casi


italiani, come si vedrà di seguito. «Tuttavia, gli immigrati di tradizione cat-
tolica costituiscono un bacino di credenti e di vocazioni sacerdotali e la lo-
ro importanza demografica all’interno della Chiesa sta crescendo»17. Per
l’Italia, vale la pena menzionare almeno lo studio di Eva Salerno sulla dia-
spora cinese in Europa18.
Da questo breve quadro internazionale è possibile cogliere come la pre-
senza in Italia di seminaristi con background migratorio rappresenti un ele-
mento di novità cui prestare attenzione, tanto in termini sociali quanto ec-
clesiali. Dal punto di vista metodologico, l’esiguità quantitativa dei casi in
Italia impone a questa analisi di spostare l’attenzione verso il piano quali-
tativo, lasciandosi interrogare dalle esperienze degli intervistati per indivi-
duare piste di riflessione. Anche per questo motivo, la ricerca non ha pre-
tese di completezza, ma anzi si propone come il primo passo in un campo
di indagine finora in gran parte inesplorato.
Dal luglio al settembre 2021 sono state effettuate sei interviste ad al-
trettanti seminaristi, diaconi o presbiteri di recente ordinazione, tutte in-
dividuali e condotte in videochiamata o al telefono, durante le quali so-
no stati presi in esame i trascorsi di vita precedenti alla scelta di ingres-
so in seminario, il contesto familiare e parentale, il rapporto con i fami-
liari alla luce di questa scelta di vita, la carriera formativa, il legame con
il Paese di origine e con la mobilità propria o dei genitori, il percorso di
discernimento vocazionale e le prospettive dell’eventuale futuro ministe-
ro presbiterale, in taluni casi già realizzato. Dei sei seminaristi, diaconi
o giovani presbiteri con background migratorio che è stato possibile rin-
tracciare o che hanno dato la propria disponibilità a farsi intervistare, tut-
ti tranne uno sono nati in Italia. Due degli intervistati hanno soltanto uno
dei genitori nato in un Paese estero (in entrambi i casi la madre, da Sta-
ti Uniti e Polonia) e quattro entrambi i genitori di origine straniera (da

search”, 45 (2016), 1, 72. Di vocazioni all’interno della comunità vietnamita negli Stati
Uniti tratta P.C. PHAN, Vietnamese Catholics in the United States: Christian Identity be-
tween the Old and the New, “U.S. Catholic Historian” 18 (2000), 1, 19-35.
17
A. ARTAUD DE LA FERRIÈRE, Décomposition nationale et espoir universel. Le syndica-
lisme et le catholicisme en France face à la figure du migrant, “Tumultes” 50 (2018), 177.
18
E. SALERNO, Catholicism among the Chinese Diaspora in Europe. Ethnographic Re-
flections on Family and Spiritual Traditions (欧洲华侨的天主教团体 家庭和宗教传
统的民族志研究), “Review of Religion and Chinese Society” 8 (2021), 263-286.

94
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

Romania, Vietnam e Filippine)19. La fascia di età degli intervistati varia


dai 20 ai 29 anni.
La macro-area geografica di residenza più rappresentata, con una ricadu-
ta sistematica sul seminario di riferimento scelto per il percorso di formazio-
ne, è l’Italia centro-meridionale e insulare (Seminario Vescovile Maggiore di
Verona, Pontificio Seminario Romano Maggiore di Roma, Pontificio Collegio
Leoniano di Anagni, Pontificio Seminario Interregionale Campano di Posil-
lipo, Seminario Maggiore Arcivescovile di Palermo). Fra gli intervistati si re-
gistra una prevalenza di studi scientifici (4) e professionali (2), nel primo ca-
so sostanzialmente in linea con il dato generale nazionale (26,9% del totale
dei seminaristi20), nel secondo caso anche in virtù del desiderio dei genito-
ri di avviare al più presto i figli ad una soddisfacente carriera lavorativa, co-
me osservato in precedenza e come riferito dagli stessi intervistati.
Al di là del campione numericamente ridotto considerato in questo stu-
dio, cogliere ambiti comuni nelle storie degli intervistati offre preziosi
spunti di riflessione e uno sguardo inedito sulle prospettive future della
Chiesa e della società in Italia.

4. Alcuni temi emergenti dalle interviste

4.1 «Ai miei genitori devo il dono della fede». Trasmissione della fede
4.1 e vocazione in famiglia

Per stessa ammissione della maggior parte degli intervistati, il legame con
la religione sviluppato da adolescenti è riconducibile ai modelli sperimen-
tati in famiglia durante l’infanzia. Famiglie i cui confini, in molte storie di
mobilità, si allargano ad includere un vissuto interfamiliare, fatto di rappor-
ti personali, accoglienza reciproca e talvolta anche di fede. Racconta Fran-
cesco21, 23 anni al momento dell’intervista, già ordinato diacono e al quin-
to anno di teologia, nato in provincia di Verona da genitori vietnamiti:

19
In un solo caso, che si esaminerà nel dettaglio in seguito, il percorso migratorio ap-
pare di ritorno, vale a dire con protagonisti di cittadinanza straniera ma di origine italia-
na rientrati in Italia. In tutti gli altri casi si tratta di immigrazione più comunemente inte-
sa, priva di precedenti legami con l’Italia.
20
UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI, Seminari d’Italia, 28.
21
Intervista realizzata il 28 luglio 2021.

95
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

«Di quella famiglia [che ha accolto mio padre in giovane età] è poi rima-
sta una signora nubile, per tutti noi come una nonna. Una persona molto si-
gnificativa nella mia vita, venuta a mancare qualche anno fa. […] Ai miei
genitori devo il dono della fede, e anche a mia nonna. Ricordo le preghiere
della sera recitate insieme prima di dormire. Una fede semplice, fatta di mo-
menti feriali. Da mio padre ho ricevuto l’esempio della bontà, una grande
bontà, maturata anche attraverso prove e momenti dolorosi. Da mia mam-
ma l’amore per la famiglia: anche per lei il passaggio dal Vietnam all’Ita-
lia non è stato facile. Un taglio doloroso, nel quale però intravedere un bene
più grande».
Se in alcuni casi la famiglia risulta aperta alla dimensione spirituale, in
altri casi la fede degli intervistati – fino alla possibile consapevolezza vo-
cazionale – matura in contesti familiari meno esplicitamente coinvolti nel-
la pratica religiosa. È quanto sperimentato da Gaetano, 20 anni, al momen-
to dell’intervista al suo primo anno in seminario22:
«I miei genitori sono credenti, anche se non molto praticanti. Anche i miei
nonni. […] Mia madre ci mandava in chiesa, anche se lei non ci veniva. Sul
mio percorso, più dei miei genitori ha influito il mio parroco: mi ha aiutato
a cambiare la mia idea di una religione diciamo “punitiva”, cosa che ha ac-
cresciuto il mio desiderio di frequentare la parrocchia e di approfondire la
fede. Oggi frequento con piacere».
Non di rado le tradizioni familiari, anche in materia di fede, si protrag-
gono per generazioni. Lo spiega Alessandro, 27 anni, ordinato presbitero
nel 2021, al momento dell’intervista diacono e al sesto anno23. Quella del-
la sua famiglia è una storia di partenza e rientro, dalla Sicilia verso gli Sta-
ti Uniti e ritorno, in tre generazioni:
«Delle vacanze in America ricordo la grande devozione di mia nonna: la
messa ogni domenica, l’adorazione eucaristica il mercoledì, tutte le sere il ro-
sario. Ha mantenuto una forte devozione anche dopo il rientro in Italia […].
Da piccolo pregavamo insieme, mi piaceva pregare. Mia nonna ha insegna-
to a mia madre a pregare prima del lavoro, e allo stesso modo faceva prega-
re me prima della scuola».
In alcuni casi la trasmissione della fede da parte dei genitori si combina
ai tratti, anzitutto linguistici, propri del nuovo Paese di residenza. Ricorda

22
Intervista realizzata il 19 luglio 2021.
23
Intervista realizzata il 13 luglio 2021.

96
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

Adrian, 23 anni, nato a Brăila, nella Romania orientale, ad una manciata di


chilometri dal confine moldavo e ucraino24:
«In famiglia ho sempre respirato un clima religioso, anche semplicemen-
te come rispetto del sacro, fin dai miei nonni: mi ricordo l’accoglienza come
a una persona “di casa” riservata al prete che veniva a benedire le case. […]
Avevo chiara la percezione del sacro, ad esempio attraverso le icone russe, co-
me da tradizione posizionate anche in camera da letto, oppure le preghiere
in italiano che mia madre, che lavorava come badante, mi ha trasmesso fin
da bambino».
Le famiglie, naturalmente, non sono isole, ma piuttosto comunità in re-
lazione. Non stupisce, pertanto, assistere alla sinergia di più realtà socia-
li. È quanto emerge dal racconto di Paolo, 29 anni, al momento dell’inter-
vista e al terzo anno di seminario, nell’imminenza di iniziare il primo an-
no di teologia25.
«Papà e mamma ci hanno trasmesso il senso della “Chiesa domestica”,
con princìpi saldi. A cinque anni eravamo già chierichetti, abbiamo frequen-
tato l’oratorio, partecipato all’organizzazione delle feste del paese e del gior-
nalino parrocchiale. Per noi la parrocchia era un ambiente familiare. Siamo
cresciuti con casa-scuola-chiesa. Dico “noi” perché fino a 18-19 anni sono
cresciuto insieme a mio fratello Pietro».
Anche sul piano pratico, nel vissuto quotidiano, la famiglia si conferma
laboratorio e fucina di esempi di vita. È lo stesso fratello di Paolo, Pietro,
ordinato presbitero nel gennaio 2021, a confermarlo26:
«Ho sempre visto la dimensione dell’accoglienza nella mia famiglia, ad
esempio con gli ospiti. Il cibo, l’agape fraterna. È la bellezza di essere una
famiglia numerosa: è una ricchezza essere in tanti. Non è bello, di più! La
dimensione di condivisione delle nostre vite è davvero larga. Abbiamo biso-
gno di ritrovarci insieme fra noi, rievocare ricordi, aggiornarci sulle novità.
[…] Essere una famiglia numerosa permette di accettare più facilmente la
scelta vocazionale di uno o anche di più figli. Si capisce che è una ricchezza
e una varietà per tutta la famiglia».

24
Intervista realizzata il 7 luglio 2021.
25
Intervista realizzata il 5 agosto 2021.
26
Intervista realizzata il 14 settembre 2021.

97
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

4.2 I «diversi luoghi». Vocazione ed esperienza comunitaria

Sebbene il contesto familiare appaia per molti versi preminente nella tra-
smissione della fede ai più giovani, non è da sottovalutare l’importanza dei
molti ambienti di socialità e dei momenti comunitari della pratica religio-
sa, anche nel percorso di discernimento e nei termini di una maturazione
vocazionale. Ciò avviene per lo più in contesti di incontro e secondo moda-
lità comunitarie (campi scuola, campi estivi, parrocchia, oratorio, missio-
ni), cui però si affiancano momenti più intimi di riflessione personale. In
questo senso, l’esperienza degli intervistati sembra in linea con quella dei
seminaristi cresciuti in famiglie composte da soli italiani autoctoni. Ricor-
da Francesco:
«Sono diversi i “luoghi” in cui ho percepito la chiamata del Signore. Ad
esempio, fin da bambino mi ha affascinato il sacerdote durante la celebra-
zione. Poi sono cresciuto in parrocchia, per me una seconda casa: il servizio
come chierichetto, i campi scuola, il ruolo di animatore».
Anche momenti fortemente comunitari, come la Giornata mondiale delle
vocazioni o la Giornata mondiale della gioventù, possono rivelarsi luoghi
privilegiati di riflessione e di ascolto, anche del proprio intimo. È quanto
accade a Paolo:
«Ho partecipato ad una veglia di preghiera per la Giornata mondiale del-
le vocazioni. Il messaggio era quello rivolto a Giona: “Alzati e va’”27. Mi ha
toccato. Anche nella recente Giornata mondiale della gioventù si è parlato di
giovani “pantofolai” 28. […] Da allora ho iniziato un discernimento più ap-
profondito».
Durante il quale imparare, però, anche da realtà meno istituzionali:
«Durante il seminario, l’esperienza con una realtà dura come quella di
Scampia29 mi ha fatto riscoprire l’essenzialità».
Il contatto diretto con situazioni fino a quel momento sconosciute è un
elemento ricorrente nel percorso di crescita, di vita e vocazionale. Per
Alessandro l’occasione è un viaggio oltre l’Adriatico:

27
Alzati, va’ e non temere. 54a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, 2017.
28
FRANCESCO, Veglia di preghiera con i giovani, 31a Giornata Mondiale della Gioven-
tù, Cracovia (Polonia), Campus Misericordiae, 30 luglio 2016.
29
Quartiere di Napoli, fra i più popolosi della città, caratterizzato da una forte inciden-
za di degrado, povertà e criminalità.

98
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

«La mia scelta è avvenuta dopo un viaggio in Albania, ai tempi dell’u-


niversità. Due settimane di campo scuola. In Albania ho visto le stesse po-
vertà di Palermo. Là forse erano solo più evidenti. Mi ha aperto gli occhi».
Non meno importanti, però, sono i luoghi di vita e le esperienze del quo-
tidiano. Lo testimonia Adrian:
«Sono cresciuto in un quartiere nuovo, quasi “protetto”, alla periferia di
Roma. La parrocchia del quartiere, a quel tempo, era in un garage. Quan-
do ero in prima media improvvisamente si ebbe la notizia che una ragazza
[molto giovane] era morta. […] Tutti noi ragazzi ci siamo raccolti vicino al
dolore della famiglia. Durante la messa in suffragio, celebrata nella palestra
della scuola, sono stato coinvolto nei canti e nell’animazione e, senza piena
consapevolezza, mi sono anche accostato alla Comunione».
È anche da allora che in Adrian matura un desiderio sempre maggiore di
far parte della comunità parrocchiale locale:
«A fare da collante e a darmi un’altra ragione per continuare a frequen-
tare la parrocchia erano anche i miei amici, che ritrovavo lì. Alla fine ho se-
guito come loro il catechismo in preparazione alla Cresima, anche se poi non
l’ho ripetuta. In parrocchia mi sono anche appassionato alla chitarra, anche
se non ho potuto permettermi di seguire dei corsi. […] Frequentavo il centro
estivo, ero attivo in parrocchia, ma il salto di maturità nella mia vita di fe-
de lo devo ad un campo estivo. Ero sempre più affascinato, attirato dalla fi-
gura del prete, con molto entusiasmo».

4.3 «In punta di piedi». Fede e valori in un contesto


4.3 con molteplici riferimenti socio-culturali

Per come è riferita dagli intervistati, la trasmissione della pratica religiosa


in famiglia non sembra risentire della doppia distanza esistente, generazio-
nale e culturale: i valori, primo fra tutti la fede, che si ritengono essere sta-
ti trasmessi dai propri genitori/nonni vengono percepiti dalla maggioranza
degli intervistati come universali. Forse anche per questo gli intervistati va-
lutano come limitato, se non addirittura ininfluente, il peso esercitato dal-
la cultura di origine dei genitori sul proprio percorso di discernimento vo-
cazionale. Spiega Paolo:
«Non ho mai visto le Filippine. Sarebbe proibitivo economicamente per
una famiglia numerosa come la nostra e con gli impegni di studio e di lavo-
ro. Nei miei genitori c’è il desiderio di tornare nella propria terra. Hanno ca-
sa lì, vorrebbero morire lì. Purtroppo abbiamo perso anche la lingua tagalog,

99
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

perché gli insegnanti a scuola temevano che potesse creare problemi con l’ap-
prendimento dell’italiano. Ignoravano che i bambini sono ancora più stimo-
lati dalla conoscenza di più lingue».
Anche quello che si potrebbe definire lo “stile religioso”30 – la maniera di
intendere e di vivere la propria appartenenza di fede, il rapporto di questa
con la cultura di origine e con ciò che viene proposto dal contesto di riferi-
mento – appare influenzato più dalla cultura italiana che non dalla cultura
di origine dei genitori. Ciò conferma la relazione imprescindibile tra la fede
professata e la cultura alla quale si sente di appartenere31. Riferisce Pietro:
«Porto in me due culture, anche se non ho piena consapevolezza dell’ini-
zio e della fine di una cultura rispetto all’altra. Mi sento a casa fra gli stra-
nieri, perché anch’io, pur sentendomi anche italiano, mi sento straniero. I
tratti fisici, somatici […] Anche se delle Filippine conosco poco o nulla. Mi
sento “straniero” in senso generale».
Di contro, per come traspare dai racconti degli intervistati, lo stile reli-
gioso dei genitori, se credenti e praticanti, appare più legato – talvolta in
chiave critica – alla cultura di origine. Un modello trasmesso positivamen-
te anche ai propri figli. Prosegue Pietro:
«Ho sempre ammirato il modo di vivere la fede dei filippini: le feste, i can-
ti, la liturgia, il rispetto. Per la messa papà ci faceva indossare l’abito della
festa, non i vestiti ordinari. La domenica è sentita come un giorno importan-
tissimo della settimana. Ricordo che anche quando eravamo bambini papà
si vestiva elegante, si faceva la barba, mamma iniziava a cucinare prima.
Forse in Italia manca questa cultura del “prepararsi”. Mi è rimasto il senso
che la domenica è un giorno importante».
Lo stile religioso si conferma importante nel processo di inclusione nel
Paese di residenza, sebbene in alcuni casi possa aumentare la tentazione di
chiudersi in ambienti culturalmente omogenei oppure acuire la percezione
delle differenze rispetto al modo di vivere la fede da parte degli autoctoni.
Dice ancora Pietro:
«Alcune volte mi sono sentito un pesce fuor d’acqua nelle parrocchie italia-
ne. La forte esperienza che ho fatto nel Collegio filippino32 mi ha confermato

30
Cf. PAOLO VI, Udienza generale, Roma, 21 novembre 1973.
31
«Il Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una
cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e
delle culture umane», PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, Roma, 8 dicembre 1975, 20.
32
Il Pontificio Collegio Filippino di Roma.

100
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

la buona educazione ricevuta dai nostri genitori. Ho imparato l’importanza


della sensibilità per altri modi di vivere la fede, nella liturgia o nel canto».
Gli fa eco il fratello Paolo:
«La fede in Italia è più personalistica, più individuale. La cultura filippi-
na privilegia, invece, la dimensione comunitaria: dopo la messa ci sono mo-
menti di convivialità, cibo filippino, svago, barzellette, giochi. Sono anche
molti gli italiani sposati con donne filippine. Ad esempio, i miei tre fratelli
più grandi si sono avvicinati alla Chiesa evangelica proprio perché filippina,
vicina a casa, con un senso della comunità più forte, anche se poi magari c’è
più superstizione e forse l’approccio è più superficiale».
Anche gli atteggiamenti apparentemente più feriali vissuti in famiglia so-
no messi in relazione con la disponibilità ad accogliere la vocazione presbi-
terale. Racconta Paolo:
«Un esempio che mi è venuto dai miei genitori è “fare le cose in punta di
piedi”. Sentono di non essere nella propria terra. Non fare rumore per non
disturbare i vicini, non cucinare troppo speziato per non disturbare con gli
odori... E poi la vita semplice e lo spirito di sopportazione e di sacrificio. Vi-
vere in pace ed evitare i conflitti. Osservare molto. Ma anche la discrezione,
sempre. Tutto va molto ponderato e prima di fare qualcosa serve riflettere. In
famiglia ho respirato il senso dell’attenzione e del servizio, che forse mi ha
anche aperto al sacerdozio».
La maggioranza degli intervistati mantiene un rapporto di dialogo, sia per-
sonale sia comunitario, con la cultura dei genitori o del loro Paese di origi-
ne. Così è intesa da Gaetano, ad esempio, la cultura della madre, polacca:
«Un arricchimento, sicuramente, la differenza di tradizioni. Ad esempio
benedire la tavola di Natale è qualcosa di molto tradizionale [in Polonia],
anche nelle famiglie che frequentano poco la chiesa. Per il resto, sono un po-
lacco “sbagliato” (ride). Spesso, ad esempio, danno per scontato che i polac-
chi abbiano una devozione alla Madonna di Częstochowa, mentre la mia de-
vozione alla Madonna, in generale, è limitata; la mia fede è più incentrata
su Gesù».
La differenza può, anzi, diventare luogo dell’incontro. Prosegue Gaetano,
raccontando la propria esperienza all’università:
«Mi chiedono curiosità sulla cultura [polacca], sulla lingua, che gli inse-
gni la pronuncia. Conoscere una lingua diversa [dall’italiano] è occasione
di contatti con altri polacchi o con alcuni compagni di facoltà che vengono
dall’Europa dell’Est. […] Ho conosciuto un ragazzo, è arrivato in Italia dal-
l’Etiopia. Ha avuto difficoltà a farsi capire, all’inizio, a causa della lingua.

101
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

Lo capisco, perché da piccolo parlavo meglio il polacco dell’italiano e avevo


il timore di essere escluso dai miei compagni».
In altri casi, invece, la differenza può condurre a sensazioni di spaesa-
mento, almeno all’inizio. Confida Adrian:
«Sono arrivato in Italia da bambino, mi sento italiano a tutti gli effetti. Ri-
cordo che da piccolo, però, mi sentivo alieno alle conversazioni degli altri bam-
bini della mia età, quando parlavano di sacramenti, Prima Comunione[...]
Non sapevo cosa fosse un’ostia. Ricordo che ne ho parlato con mia mamma,
che mi ha detto: “Hai già fatto tutto, non ti serve ripetere il catechismo”».
Dal punto di vista familiare e religioso la vicenda di Adrian offre uno
spaccato di grande interesse umano, storico ed ecumenico. La sua origina-
ria comunità religiosa di appartenenza è, infatti, quella dei Vecchi Creden-
ti (staroveri), un movimento religioso delineatosi in Russia nella seconda
metà del Seicento e diffuso in diversi Paesi, tra i quali la Romania33. Vicen-
de storiche che, unitamente al legame con l’antica lingua slava, fa dei Vec-
chi Credenti una comunità dal forte senso di identità etnica e religiosa. En-
trambi i suoi genitori appartengono a questa comunità, sebbene, per sua
stessa ammissione, non l’abbiano frequentata assiduamente, con l’eccezio-
ne di alcuni momenti forti, per esempio in occasione del proprio matrimo-
nio e del battesimo di Adrian. Nondimeno, la distanza rispetto al contesto
culturale d’origine dei propri genitori può farsi importante:
«Non capivano perché, da prete cattolico, non avrei potuto sposarmi, come
accade invece fra gli ortodossi. Non me l’hanno mai detto apertamente, ma
ho letto fra le righe che sentivano la mancanza di poter avere dei nipoti. Al-
cuni dei nostri parenti, anche in Italia, hanno avuto reazioni critiche. Ci so-
no, poi, timori per i miei nonni rimasti in Romania, per possibili ricadute per
il mio essere diventato cattolico e per l’ingresso in seminario. Ci sono limiti
culturali, ma probabilmente le paure sono anche esagerate».
Nonostante ciò, la differenza rimane un tratto da valorizzare, come chia-
risce lui stesso:

33
Movimento nato in opposizione alle riforme ecclesiastiche introdotte dal Patriarcato
russo in epoca illuminista, rispetto al quale giunge infine a posizioni scismatiche. L’emi-
grazione di fedeli che ne segue diffonde il movimento in diversi Paesi, tra i quali Polonia,
Estonia, Austria, Canada, Stati Uniti, Giappone e Australia. Anche in Romania la presen-
za dei Vecchi Credenti (noti localmente come lipoveni) è connessa alle dinamiche di mo-
bilità in diversi distretti e città lungo il confine con Ucraina e Moldavia (Tulcea, Constanța,
Ialomița, Brăila, Odessa).

102
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

«Ricordo momenti di difficoltà in famiglia, ad esempio per la lontananza


dei nonni […]. Ho sentito, però, la ricchezza di vivere differenti culture e tra-
dizioni».
In alcuni casi, il ritorno al Paese di origine dei propri genitori equivale a
compiere un viaggio all’interno della propria famiglia, nella sua fede e nel-
le sue diverse personalità. Lo spiega Alessandro:
«Ho capito di più la fede di mia madre andando in America. La fede di
mio padre, siciliano “doc”, è una fede molto semplice, essenziale. La fede di
mia madre è più “miracolistica”, diciamo. […] Ha una passione per le sto-
rie di guarigioni e di cambiamento di vita. È uno stile di testimonianze dif-
fuso in America, meno dottrinale e più incentrato sugli aspetti emotivi ed
esperienziali, un approccio più kerigmatico. […] Il confronto con la “fede
americana” mi ha fatto apprezzare di più lo “stile italiano”, anche se ci so-
no aspetti che dovremmo recuperare […]. Mi sono ritrovato a dare una mia
testimonianza davanti ai nostri parenti americani riuniti. Quasi tutti hanno
accolto con grande interesse la mia storia, anche alcuni di loro che sono Te-
stimoni di Geova. È stato un confronto tranquillo, non dottrinale, ma di
“esperienza di Dio”. Di nuovo, molto miracolistico: incontri, guarigioni […]
In Italia, invece, ho notato molto meno interesse sul perché della mia scelta».

4.4 «Ho messo in gioco me stesso».


4.4 La ricerca di una nuova ed integrata dimensione identitaria

Come accade per ogni scelta di vita, anche la decisione di approfondire


quella che si sente essere la propria vocazione impone di affrontare cam-
biamenti profondi e di confrontarsi con gli altri, anzitutto con i membri del-
la propria famiglia. Racconta Adrian:
«[Ho detto della mia scelta di entrare in seminario] prima a mamma, con
l’aiuto del mio parroco. A papà l’abbiamo detto dopo un anno, in attesa che
questo sentimento, forse, passasse. Le reazioni iniziali sono state di smarri-
mento, anche se più che moderate rispetto a quelle che mi hanno raccontato
dei loro genitori italiani alcuni compagni di seminario! In fondo sono stati
felici del mio essere sereno».
Dal canto suo, anche Gaetano sperimenta l’opposizione dei genitori, con
l’aggiunta del venire meno di quello che percepisce come uno «stereotipo»
circa la madre:
«Quando ho parlato della mia scelta di entrare in seminario, mia madre
e mio padre erano disperati. In questo senso, mia madre è lontana dallo ste-
reotipo più diffuso sulle donne polacche molto vicine alla Chiesa».
103
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

Sarebbe scontato attribuire reazioni di contrarietà a genitori di altra con-


fessione oppure indicati dagli stessi intervistati come non avvezzi alla pra-
tica religiosa. In realtà, si tratta di dinamiche ben più complesse, che si le-
gano anche al carattere personale e alle aspirazioni affettive, economiche e
lavorative dei genitori. Anche nelle famiglie indicate dagli intervistati co-
me più aperte alla fede la notizia dell’ingresso in seminario di uno dei figli
suscita reazioni contrastanti. Dice Francesco:
«La mia vita precedente mi tratteneva, insieme all’affetto per i miei geni-
tori. Per loro è stato lo stesso: all’inizio non hanno compreso la mia scelta,
soprattutto temevano il distacco. In realtà, poi, il seminario è stato un’occa-
sione per scoprire il valore della famiglia: il tempo per stare insieme si strin-
ge, ma dall’altra parte si valorizza. Poi, in un’altra dimensione, anche den-
tro al seminario la famiglia è molto importante».
In altri casi sono il background migratorio e le ragioni che hanno spinto
i genitori a lasciare il proprio Paese ad influenzare il gradimento della scel-
ta di vita dei figli, almeno inizialmente. Ricorda Paolo:
«Quando l’ho detto a mamma si è emozionata. I primi tre figli sono spo-
sati e fuori casa e sparsi un po’ in tutta Italia. Mio fratello Pietro era già in
seminario... Il progetto dei miei genitori sarebbe di ritornare nelle Filippine
una volta che la casa qui si sarà svuotata e noi figli saremo sistemati. […]
Sono entrato in seminario dopo [mio fratello] Pietro, papà era già in pensio-
ne e aveva qualche problema di salute, non si è opposto alla mia scelta, an-
zi mi ha appoggiato. Con Pietro è stato diverso. In un certo senso la nostra è
sempre stata una famiglia patriarcale: papà si è assunto grandi responsabi-
lità, è sempre stato molto presente e importante. Mamma si è adeguata. Pa-
pà non ha accettato immediatamente la scelta di mio fratello: Pietro ha sog-
giornato fin dall’anno propedeutico [nel seminario]. Io ora nel fine settima-
na rientro a casa, lui non lo faceva. Non ho mai capito questa opposizione
[di mio padre]. Pietro, però, era felice della sua scelta e questo l’ha fatta ac-
cettare pian piano».
Pietro conferma la difficoltà di quei momenti. A complicare le cose, an-
che un’allettante offerta di lavoro:
«Era un’ottima proposta lavorativa, ma era arrivato il momento di sceglie-
re: scelsi di entrare nel propedeutico. Mi è dispiaciuto per mio fratello, che ha
rinunciato anche lui al lavoro. Papà si arrabbiò tanto per la mia scelta. Ma
ho messo in gioco me stesso. Non l’hanno presa molto bene. Questo mi ha
spinto a trasferirmi in seminario e a lasciare casa. Solo poi ho capito che è
stato un modo per farmi provare la vita del prete ventiquattr’ore su ventiquat-

104
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

tro, senza vivere il seminario come uno studentato, per poi rientrare a casa per
mangiare e dormire. Mamma mi disse: l’importante è che tu sia felice».
Non da ultimo, le reazioni dei genitori rivelano dei legami anche con il
loro modo di vivere la fede. Ricorda Alessandro, tornando sullo stile «mi-
racolistico» della spiritualità, pur profonda, della madre:
«Mia madre è stata quella più scioccata. Forse perché glielo dissi quando
ancora ero insicuro della mia scelta. Non la convinsi, secondo lei non era la
strada giusta per me. Si convinse dopo, quando divenni anch’io più credibi-
le. Da parte di mio padre e dei miei fratelli ho avuto molta libertà. Mia non-
na si mise a piangere [di gioia]».
Alla vocazione presbiterale si accompagna ed intreccia la formazione
della propria identità personale e la differenziazione rispetto al contesto fa-
miliare di provenienza. La scelta di entrare in seminario è sempre percepi-
ta dagli intervistati come una sfida personale. Mediante le proprie esperien-
ze di vita gli intervistati denunciano la distanza che intercorre fra la realtà
e alcuni degli stereotipi più diffusi sull’immigrazione. Spiega Paolo:
«È la forma mentis della prima generazione di immigrati: i figli devono
pensare agli studi, al lavoro, avere amici filippini e sposarsi con una don-
na del proprio stesso Paese. Sono evidenti le differenze con la seconda gene-
razione: fidanzate e amici sono italiani, si fanno altre scelte di vita, anche
lavorative e per il proprio futuro. Siamo abituati a contesti multietnici e
multiculturali, abbiamo progetti accademici, lontani dagli stereotipi – nel
nostro caso, ad esempio, dallo stereotipo dei filippini come domestici. […]
Pensiamo a nuovi spiragli di possibilità, a nuove opportunità. L’approccio
al futuro è diverso. Sentiamo di poter scegliere in quanto persone integrate
nel posto, cresciuti italiani. In seminario ci sono altri seminaristi stranieri.
Mi dico filippino per i tratti somatici, ma linguisticamente e culturalmente
sono italiano».
Anche Francesco si confronta con sé stesso e con la propria storia, per-
sonale e collettiva:
«Una volta mi è stato fatto notare da un educatore [del seminario] che ho
una predisposizione al silenzio, un po’ tipica della spiritualità dell’Oriente
(ride). Ma non so se la cultura vietnamita ha un ruolo in questo o se è solo
il mio carattere».
Anche il percorso di fede e discernimento vocazionale è percepito dalla
maggioranza degli intervistati come personale ed intimo. Così è per Pietro:
«Devo ai miei genitori l’educazione alla fede cristiana, almeno fino al
punto in cui io stesso ho iniziato a fare l’esperienza di Dio, dell’incontro con

105
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

Lui: da quel momento in poi non si è trattato più solo di una fede trasmes-
sa, ma di una fede incarnata, che senti e vivi nelle tue viscere, anche quan-
do ti arrabbi o piangi».
Il desiderio di acquisire autonomia e sviluppare la propria identità, pur
nel rispetto di un legame speciale, emerge con particolare forza nel caso di
Pietro e Paolo, fratelli gemelli. Ricorda Paolo:
«All’inizio non volevo entrare [nello stesso] seminario [dove] c’era già sta-
to mio fratello. Vivevo un vero e proprio conflitto d’identità con lui e volevo
distinguermi. Ho pensato di entrare in una famiglia [religiosa], ho fatto il
discernimento, poi grazie ai formatori ho capito che in seminario sarebbe co-
munque stato un percorso tutto mio, personale. Ho iniziato la formazione. Mi
è pesata, all’inizio, l’identificazione con “il fratello di Pietro”. Poi ho supe-
rato la cosa, anche perché ne parlavano bene! (ride)».
Tale è la profondità della riflessione, da condurre Paolo a mettere in dis-
cussione anche il modo di intendere la propria vita:
«Siamo una famiglia molto pratica, molto affine alla figura di Marta34:
approfondire la vocazione mi ha richiesto di passare dal fare all’essere. C’è
un fare che non è solo per “fare bene”, ma per essere perfezionisti, per farsi
apprezzare come persone. Ecco, fin dai primi anni di scuola con mio fratello
ci siamo distinti per il nostro profitto, ma anche per l’atteggiamento. È un
passaggio tosto verso l’essere, e ancora ci sto combattendo».

4.5 «Il “luogo” nel quale il Signore mi chiama».


4.5 Vocazione e percezione del ministero presbiterale

L’esistenza di un background migratorio non sembra modificare in maniera


sostanziale le prospettive del ministero presbiterale, almeno secondo le at-
tese degli intervistati, salvo una maggiore – e nulla affatto scontata – sen-
sibilità nei riguardi della peculiare condizione delle persone migranti. Af-
ferma Gaetano:
«Come mi immagino da sacerdote? Vorrei impegnarmi in un’attività le-
gata alla carità, anche a favore degli immigrati, soprattutto di quelli che
sbarcano in Italia dopo aver attraversato il Mediterraneo. Lo ritengo parte
del ministero. Conoscere una lingua diversa mi ha aiutato ad imparare al-
tre lingue e ho il desiderio di farmi capire anche da chi viene da fuori».

34
Sorella di Maria di Magdala e di Lazzaro (Lc 10,38-42), Marta è simbolo della vita
attiva, contrapposta e complementare alla vita contemplativa.

106
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

Un tratto comune anche ad Alessandro:


«La vita sacerdotale è splendida. Ho fatto un lungo periodo di discerni-
mento, anche per valutare l’ingresso in un ordine religioso, ma alla fine ho
scelto di entrare nel seminario diocesano perché vorrei fare il prete nella mia
città, servire nel luogo in cui sono cresciuto. È bello andare fuori, ma anche
qui non mancano le povertà. Ecco, servire nel luogo dove sono cresciuto».
Diversi elementi contribuiscono a formare l’idea di ministero presbitera-
le negli intervistati. In alcuni casi si tratta dell’esperienza di chi è già pre-
te. È così, ad esempio, per Francesco:
«Ci sono state poi alcune persone, i miei “testimoni”: allora due semina-
risti, con i quali ho un rapporto di stima e di amicizia. Oggi sono entrambi
preti diocesani, uno fidei donum in Mozambico. […] Mi ha sempre attirato
la vita comunitaria, uno stile improntato sulla preghiera, ma anche sul crea-
re buone relazioni con tutti».
In alcuni casi è la storia, tanto del Paese di origine dei propri genitori
quanto dell’attuale, ad offrire un insegnamento:
«[Nelle mie radici vietnamite] ci vedo un arricchimento, sia guardando
indietro che avanti. Indietro, perché la storia di fede del Vietnam ha tratti
eroici, dai martiri che hanno versato il proprio sangue per Cristo alla testi-
monianza del cardinale Van Thuan35, al quale spiritualmente mi sento lega-
to. Se guardo avanti, vedo che in Italia non c’è una vera e propria comuni-
tà vietnamita, visibile, perché è per lo più sparsa. Mi sento italiano nei modi
di fare, ma avverto il “luogo” nel quale il Signore mi chiama».
Dal canto loro, anche i genitori degli intervistati hanno una propria opi-
nione – e qualche paura – sul sacerdozio dei propri figli. Racconta Pietro:
«C’era un timore ricorrente nella mia famiglia: che venissi mandato mis-
sionario in Africa! (ride) “Dove ti manderanno?”, mi chiedeva spesso mia
madre. C’era un po’ di confusione fra i religiosi e la dimensione diocesana.
Forse per l’esperienza che loro avevano».
È sempre Pietro ad affrontare, con lucidità e coraggio, un delicato pre-
concetto dei propri genitori in merito alla vita sacerdotale:
«Non credo che la nazionalità abbia influito sulla loro reazione. C’è una
dimensione culturale, ma penso che la loro sia stata la reazione di un nor-
male genitore, che sogna altro per il proprio figlio rispetto al sacerdozio. Co-

35
François-Xavier Nguyễn Văn Thuận (1928-2002), cardinale e arcivescovo cattolico
vietnamita. È venerabile della Chiesa cattolica.

107
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

me a dire che sogna “qualcosa di più”, a livello economico, lavorativo, fa-


miliare... Ora è motivo di orgoglio, anche, per i genitori. So di alcuni geni-
tori che, dopo la contrarietà iniziale, addirittura sono rimasti male quando
il figlio ha abbandonato l’idea di diventare prete».

5. Prospettive per un dialogo aperto

Nel complesso, l’esperienza dei seminaristi, dei diaconi e dei giovani pre-
sbiteri con background migratorio, proprio o familiare, evidenzia quanto la
società – e la Chiesa – siano realtà complesse e in continuo divenire, pla-
smate dal fenomeno della mobilità umana. Dinamica fra globale e locale – o
fra universale e particolare, per dirla con linguaggio ecclesiale – che gene-
ra realtà che già si mostrano, e ancor più si mostreranno nei prossimi anni,
con caratteristiche nuove. La complessità e gli intrecci di storie, sensibilità,
culture, lingue, tradizioni, valori, codici comunicativi diversi e religioni esi-
ge una competenza specifica, un approccio del tutto nuovo ed una continua
attenzione alla persona situata in una determinata cultura e contesto36.
Le persone migranti interpellano la comunità cristiana e la sua dimensio-
ne di cattolicità (universalità), la sua ecclesialità e missionarietà: con que-
sti presupposti, il discorso sulle migrazioni diventa teologico e non solo que-
stione meramente sociale. La presenza della persona migrante – e ancora
più della famiglia migrante – nella società come nella Chiesa, smette di es-
sere un problema da risolvere e diventa una risorsa, anzi, una necessità.
Seppure lo studio dal punto di vista quantitativo non permetta una vera
e propria analisi statistica, ci sembra di individuare nel racconto dei prota-
gonisti alcune direttrici o prospettive che certamente sono e saranno rile-
vanti nella nuova configurazione della comunità cristiana e più in là delle
società nell’era delle migrazioni.
Tra i diversi spunti offerti infatti ci sembra di cogliere alcune tematiche
trasversali. Innanzitutto, sembra importante sottolineare la dimensione
strutturale che hanno assunto le migrazioni e ancor più le trasformazioni or-
mai irreversibili che questi processi migratori attivano nelle comunità ren-
dendole maggiormente permeabili alla multiculturalità. Tali processi hanno

36
Cf. P.A. MELLOR – CHR. SHILLING, Sociology of the Sacred: Religion, Embodiment and
Social Change, Sage, London 2014. H.C.R. VILACA – E. PACE – I. FURSETH – P. PETTERS-
SON (eds.), The Changing Soul of Europe: Religions and Migrations in Northern and
Southern Europe, Ashgate Publishing, Farnham – Burlington, VT 2014.

108
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

anche un notevole influsso nella conformazione e nelle dinamiche delle co-


munità cristiane e parrocchiali stesse, in continuo mutamento anche dal
punto di vista demografico. La dimensione multiculturale attira sempre più
l’attenzione delle chiese e degli operatori pastorali di vario livello e sono
già in atto sforzi per una pastorale che abbia anche una dimensione inter-
culturale. Cogliamo qui una ricaduta molto importante dal punto di vista
operativo nel costruire percorsi e spazi accoglienti e aperti; infatti, diversi
degli intervistati hanno avuto una esperienza sostanzialmente positiva ne-
gli ambienti parrocchiali rispettivi e questo ha contribuito poi nel percorso
vocazionale. Allo stesso tempo però, e forse proprio per questo, è essenzia-
le domandarci quale immagine di chiesa/comunità si sta plasmando o con-
figurando in questi anni; ossia stiamo veramente costruendo le basi per una
comunità accogliente e partecipativa per tutti?
Un secondo elemento da sottolineare è il rapporto complesso tra adole-
scenti e giovani di seconda generazione nel contesto familiare e socio-cul-
turale di riferimento. I contesti familiari, gli innumerevoli luoghi di ritrovo
naturali come la scuola, la parrocchia e l’oratorio, persino gli “spazi” vir-
tuali, sono dei luoghi di riferimento e per questo parte di un’analisi e di una
soluzione più ampie che superano la semplificazione delle dicotomie cultu-
rali o persino politiche, come è, ad esempio, il dibattitto sulla cittadinanza.
La configurazione dell’identità personale e sociale così come viene perce-
pita dai protagonisti stessi è infatti un dinamismo, a volte anche faticoso, di
ricerca da una parte di un equilibrio tra istanze diverse e dall’altra di ori-
ginalità che esprima la propria individualità ed esperienza:
«Il processo di trasmissione del sapere tradizionale non può mai avveni-
re senza subire delle variazioni, quantomeno perché nel passaggio dagli in-
dividui di una generazione a quelli della generazione successiva si inseri-
sce l’elemento individuale, per cui un contenuto trasmesso allorché viene
ricevuto sarà sempre in qualche modo interpretato da ogni singolo indivi-
duo. Ciò lascia comunque spazio al cambiamento»37.
Queste considerazioni ci portano a farne un’altra, e che riguarda più spe-
cificatamente la dimensione della formazione. Si tratta di un processo già
complesso di per sé, ma estremamente centrale per costruire quelle compe-
tenze necessarie per affrontare le nuove sfide che le comunità sempre più
multiculturali pongono.

37
U. FABIETTI – R. MALIGHETTI – V. MATERA, Dal tribale al globale, Bruno Mondadori,
Milano 2000, 43.

109
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Aldo Skoda – Simone M. Varisco

Da una prima valutazione fatta alle interviste, pare evidente il continuo


duplice riferimento dei nostri protagonisti al proprio contesto familiare e al
contesto sociale dove sono inseriti. Per tale motivo ogni processo formativo
ne deve tenere conto come una fonte di arricchimento della propria identi-
tà ed esperienza, privilegiando anche elementi originali e individuali. La
mancanza di questa attenzione può creare una sorta di resistenza o persino
conflitto nella delicata ricerca di identità di queste persone; al contrario una
visione positiva e l’incoraggiarli ad una originale integrazione delle proprie
pluriappartenenze, diventa insieme un valore ed una risorsa. A tal proposi-
to, però, serve che tutti i contesti e gli attori coinvolti percepiscano l’impor-
tanza e attivamente promuovano un’educazione integrale e interculturale.
La responsabilità degli agenti educativi nei contesti parrocchiali, come l’o-
ratorio o la catechesi, ma anche nei contesti dove maturano scelte importan-
ti di vita, come i seminari, sono chiamati oggi ad integrare come parte fon-
damentale nelle loro proposte e azioni la dimensione multiculturale.
Siamo coscienti che i cambiamenti nei processi sociali sono spesso len-
ti, dettati da logiche a volte molto contingenti ed influenzabili da una de-
terminata visione o orientamento anche dell’opinione pubblica. Tuttavia, al-
cune dinamiche in atto sono ormai irreversibili; la mobilità umana da sem-
pre ha trasformato e oggi sempre più continuerà a cambiare il volto delle
nostre società. I processi trasformativi in tal senso non sono quindi esenti
da difficoltà, resistenze, persino da battute d’arresto. Eppure, la vita stessa
di molti migranti e delle loro famiglie, così come una genuina riflessione bi-
blico-teologica ci aiutano a coltivare e a promuovere la dimensione della
speranza, non come semplice desiderio idealizzato, ma come elemento che
sostiene i passi concreti da realizzare, come ci ricorda papa Francesco:
«Voi siete segno e volto di questa speranza. C’è in voi l’anelito a una vi-
ta piena e felice che vi sostiene nell’affrontare con coraggio circostanze
concrete e difficoltà che a molti possono sembrare insormontabili»38.

Simone M. Varisco Aldo Skoda


Fondazione Migrantes Pontificia Università Urbaniana
([email protected]) ([email protected])

38
FRANCESCO, Segni di speranza in un deserto di umanità, Il saluto introduttivo del Pon-
tefice alla mostra «Volti al futuro» organizzata dal Centro Astalli, “L’Osservatore Romano”
16 novembre 2021 [https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-11/quo-261/segni-
di-speranza-in-un-deserto-di-umanita.html; https://archive.is/ODIE0].

110
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

ABSTRACT

FAMIGLIE IMMIGRATE E SACERDOZIO CATTOLICO


Giovani con background migratorio nei seminari italiani

La presenza di cittadini di origine straniera in Italia solleva questioni di carattere


sociale, economico e politico. Anche la sfera religiosa è interrogata dal crescen-
te pluralismo e negli ultimi anni ciò ha spinto a moltiplicare le ricerche sui lega-
mi fra religione e mobilità umana. Gli studi in questo campo si sono concentra-
ti per lo più sull’appartenenza religiosa dei cittadini immigrati in Italia, sulla tra-
smissione della fede in famiglia e ai giovani. Quando l’attenzione si è sofferma-
ta sulla crescente presenza nella Chiesa cattolica in Italia di presbiteri, religiosi
e religiose di cittadinanza non italiana, la condizione religiosa dei consacrati pre-
si in esame risultava già stabile al loro ingresso in Italia, con la vocazione matu-
rata nei rispettivi Paesi di origine. Il presente studio, invece, si pone l’obiettivo di
esaminare per la prima volta la presenza di giovani con background migratorio,
proprio o familiare, nei seminari italiani. Nel tentativo di esplorare un nuovo am-
bito di indagine, si uniranno respiro nazionale e regionale, una lettura dei dati
statistici sulla presenza di giovani di origine straniera nei seminari italiani e inter-
viste agli stessi seminaristi.

MIGRANTS FAMILIES AND CATHOLIC PRIESTHOOD


Young People with a Migratory Background in Italian Seminaries

The presence of citizens of foreign origin in Italy raises social, economic and po-
litical questions. The religious sphere is also challenged by growing pluralism
and in recent years this has prompted a proliferation of research on the links be-
tween religion and human mobility. Studies in this field have mostly focused on
the religious affiliation of immigrant citizens in Italy, on the transmission of faith
within the family and to young people. When attention has focused on the grow-
ing presence in the Catholic Church in Italy of priests, men and women religious
of non-Italian citizenship, the religious condition of the consecrated men and
women examined was already stable when they entered Italy, with the vocation
they had matured in their respective countries of origin. The present study aims
to examine for the first time the presence of young people with a migratory back-
ground, either their own or family, in Italian seminaries. In an attempt to explore
a new field of investigation, it will combine a national and regional perspective,
a reading of statistical data on the presence of young people of foreign origin in
Italian seminaries and interviews with seminarians themselves.

Keywords: Youth; Migration; Faith; Family; Priesthood; Multiculture

111
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
UUJ
ARTICOLI

Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca


A Praise of Slowness.
Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

Reginald Alva
The Application of the Message of the Parable
of the Good Samaritan in the Contemporary Times

Mario Bracci
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325) (I)
La struttura simbolica della formula di fede

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

A PRAISE OF SLOWNESS
LANZA DEL VASTO’S PEDAGOGY OF TIME

A biographical foreword – A meaning of existence – The risks of alienation – The conse-


quences of dromocracy – Back to sources – Reconsidering Lanza del Vasto – A Pedagogy
of time – Towards an intercultural theology? – Conclusions

Keywords: Nonviolence; Philosophy of Music; Interreligious Dialogue; Contemporary Phi-


losophy; Peace Studies; Philosophy of Education

Do not take on a great amount of business;


if you multiply your interests, you are bound to suffer for it;
hurry as fast as you can, yet you will never arrive,
nor will you escape by running away.
Some people work very hard at top speed,
only to find themselves falling further behind.
Ecclus. 11: 10-11

To Maria Giorgi (1928-2019), a woman of dialogue

A biographical foreword

Lanza del Vasto died on January 5, 1981 in Elche de la Sierra, Spain. The
Spanish newspaper El País traced his life and intellectual parabola, defin-
ing him as the “apostle of no-violence”1. After 40 years his philosophy and
teachings are still positively provocative in promoting a peaceful coexis-
tence in an international context of disquiet, turmoil and uncertainty2.

1
A. MUÑOZ, Murió el filósofo Lanza del Vasto, “apóstol de la no violencia” en Murcia,
“El Pais”, January 7, 1981 [https://elpais.com/diario/1981/01/07/cultura/347670007_
850215.html; https://archive.is/iyXhB].
2
Cf. A. FOUGERE – C.-H. ROCQUET, Lanza del Vasto. Pellegrino della nonviolenza, pa-
triarca, poeta, Paoline, Milano 2006.

115
3/2022 ANNO LXXV, 115-136 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

Born in Southern Italy in 1901, he spent his youth in Paris with all its in-
tellectual vibrancy. The consequences of the 1917 October Revolution had
transformed the French capital into one of the major centers of the Russian
religious diaspora. In the period among the two World Wars this intercul-
tural hybridization and crosspollination deeply marked European culture3
where the recurring themes of psychological and metaphysical introspec-
tion of Slavic literature, the insurgence of existentialism and phenomenol-
ogy were settled and revisited in an original way4. Not insignificant was the
positive contamination with the contemporary Jewish philosophy, especial-
ly the Eastern European Hasidism.
Furthermore, Lanza del Vasto’s ascetic walking voyage from the Ganges’s
sources to the Holy Land and Mount Athos can be considered as a keystone
in his cultural formation that, in a configuration as a bridge to East, cap-
tures its spiritual essence and all the smallest gradations, re-affirming them
in a modern way5. The earnest desire to discover the unexplored depths of
human nature – and its indissoluble bond with Transcendence6 – was the
primary stimulus to visit distant places that the fame of Mahatma Gandhi
had made intense in meaning7.
Due to this personal pilgrimage Lanza del Vasto – as through a kaleido-
scope – masterfully combines all these different perspectives in a harmon-
ic synthesis8. The significance of Lanza del Vasto’s work dwells on a return

3
See S. KARLINSKY, Freedom from Violence and Lies: Essays on Russian Poetry and Mu-
sic, Academic Studies Press, Boston, MA 2013.
4
See J. DEUTSCH KORNBLATT – R.F. GUSTAFSON (eds.), Russian Religious Thought, Uni-
versity of Wisconsin Press, Madison, WI 1966.
5
See A. DRAGO – P. TRIANNI (ed.), La filosofia di Lanza del Vasto. Un ponte tra Occi-
dente ed Oriente, Circolo Il Grandevetro – Jaka Book, Milano 2009.
6
Transcendence comes from Latin (trans + ascendere = to climb beyond) and it is the
perfect opposite of immanence. It is therefore the condition of being outside or above an-
other reality. For this reason, transcendence belongs above all to the first principle and to
God. In Husserlian phenomenology, transcendence is understood as a condition of objects.
According to this concept, transcendent is an object that transcends our own conscious-
ness. It is something objective rather than only a phenomenon of consciousness.
7
«Libero è colui che fa ciò che vuole e cui piace fare ciò che deve, facendolo per amo-
re piuttosto che per dovere», G.G. LANZA DEL VASTO, Vinôbâ o il nuovo pellegrinaggio, Ja-
ca Book, Milano 1980, 156.
8
«Lanza del Vasto è stato, a quanto noi sappiamo, l’ecumenista religioso più spinto, più
rischioso di questo secolo. Eppure egli è stato, dopo la sua conversione a 24 anni, un cat-

116
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

to the essential in the vortex of an extremely rapid succession of paradig-


matic societal events that cause a general distraction and disinterest. In op-
position to a fruitless pursuit of merely material fulfillment, his investiga-
tion is directed towards the human depths, opening up to the most intimate
sense of a relationship with nature.

A meaning of existence

This desire to understand the meaning of existence leads Lanza del Vasto to
the study of philosophy. The in-depth reading of Thomas Aquinas and his
sapiential logic9 contributes to Lanza del Vasto’s intellectual formation and
reopens the doors of an uncertain faith. Through the influence of Romain
Rolland10, his charismatic sensibility accepts the “prophecy of the Other”
and the refusal of violence as a means of resolving disputes:

The same thirst for possessing things and subjugating others has, as a
counterpart, the inability to possess and dominate themselves11.

In this thought – as dense as it is short – the essence of the doctrine of


Lanza del Vasto is enclosed. His simple words express that tension between
the exterior and the interior, between the ephemeral and the permanent:

Do not trust the hurry, escape it, fight it, because it is one of the great
destroyers of inner life. [...] Do not lose our time to hurry. [...] let’s vol-
untarily resist not to be overwhelmed by this common inclination.
Let’s deliberately slow down our gestures and our steps, the expression
of the words and the course of our thoughts. Let’s suspend our acts and

tolico indiscutibile, sincerissimo ed anche obiettivamente verissimo. Questa sua doppia po-
sizione, insieme di identità e di apertura entrambe ad oltranza, è stata perciò tra le più ar-
due quanto a coerenza e possibilità per lui e per gli aderenti all’Arca […]», G. SOMMAVIL-
LA, Il bello e il vero: scandagli tra poesia, filosofia e teologia, Jaka Book, Milano 1996, 86.
19
Cf. C.A. TESTI, La logica di Tommaso d’Aquino. Dimostrazione, induzione e metafisi-
ca, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2019.
10
S. ZWEIG, Romain Rolland: The Man and His Work, Seltzer, New York, NY 1921, 84.
11
G.G. LANZA DEL VASTO, Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989, 68
[our translation].

117
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

especially our reactions, the explosion in anger, the response in dia-


logue to practice, even just for the time of a blink of lashes, the call of
conscience12.

In his personal research, Lanza del Vasto attempts to propose a perspec-


tive that, while recognizing human limitations, is capable of silent listening
and of a bright proposal in the path of justice and peace. The journey to In-
dia and the pilgrimage to the Himalayan slopes are a process of transforma-
tion, through prophetic experiences in the disarming simplicity of the re-
turn to the essential as the focal point of his philosophical construction and
his inner discernment:

Conversion is to be free and detached from the world and directing in-
telligence, heart, tastes, forces to the Inside13.

If the influence of Indian traditions is undeniable on Lanza del Vasto –


especially of Upaniṣad, Bhagavadgītā and Dhammapada – the role of
Byzantine Christianity14 is no less important in understanding his work as
an anachoret of modernity15. It is not, however, a senseless syncretism or a
confusion of different religious orientations that he makes, but a search for
a “symphonic language” that is able to approach “the other” in a world that
is, even while expanding through globalism, shrinking.
In his philosophical background it is also visible a certain proximity to a
Russian and Eastern spirituality. There is a lively interest in the latest the-
ological speculation with the immortal voices of the Orthodox theologians
Pavel Florenskij16 and Vladimir Solovyov:

Is there any meaning in life? If there is, is that meaning moral in charac-
ter, and is its root in the moral sphere? In what does it consist, and what

12
Ibid., 212 (our translation).
13
Ibid., 41.
14
Cf. G. SALMERI, Lanza del Vasto tra metafisica greca e metafisica cristiana, in DRAGO
– TRIANNI (ed.), La filosofia di Lanza del Vasto. Un ponte tra Occidente ed Oriente, 31-46.
15
Cf. G. PATRIARCA, La riscoperta dell’essenziale. L’ontologia della pace e la metafisica
dell’incontro. Introduzione al pensiero di Lanza del Vasto, “Rassegna di Teologia” 58
(2017), 277-288.
16
Cf. N. VALENTINI, Pavel A. Florenskij: la sapienza dell’amore: teologia della bellezza e
linguaggio della verità, EDB, Bologna 2012.

118
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

is the true and complete definition of it? These questions cannot be avoid-
ed, and there is not agreement with regard to them in modern conscious-
ness. Some thinkers deny all meaning of life, others maintain that the
meaning of life has nothing to do with morality, and in no way depends
upon our right or good relation to God, men, and the world as whole; the
third admit the importance of the moral norms for life, but give conflict-
ing definitions of them, which stand in need of analysis and criticism17.

The risks of alienation

After the devastation of the World Wars, Lanza del Vasto analyses the caus-
es and consequences of irrational human behaviours that lead to violence
and destruction of nature. His thoughts can be helpful to understand the
contemporary instability and uncertainties as well as to find appropriate so-
lutions. As human history teaches, ages of instability and fluctuation have
heralded paradigm shifts in economic and geopolitical relations. Moreover,
these shifts are often experienced along with a sense of powerlessness and
decadence by the populace, leading to a sort of societal apathy.
One of the lateral contributions to the uncertainty of an individual’s fate
is the phenomenon of rapidification18 – the sheer speed and frequent inno-
vations of contemporary culture, communication, and production – empha-
sized even more by the digital revolution in a post-truth era19. In such a con-
text, social and technological processes happen so rapidly that an individ-
ual is unable to grasp the influences around himself and is transported, un-
consciously, as if carried away downstream by a river20. There is the im-

17
V.S. SOLOVYOV, The Justification of the Good, transl. N.A. DUDDINGTON, Cosimo Clas-
sics, New York, NY 2010, XV.
18
«The continued acceleration of changes affecting humanity and the planet is coupled
today with a more intensified pace of life and work which might be called “rapidification”.
Although change is part of the working of complex systems, the speed with which human
activity has developed contrasts with the naturally slow pace of biological evolution»,
POPE FRANCIS, Encyclical Letter Laudato Si’, (May 24, 2015), n. 18.
19
Cf. R. KEYES, The Post-Truth Era: Dishonesty and Deception in Contemporary Life,
St. Matin’s Press, New York, NY 2004.
20
Cf. G. PATRIARCA – J.T. THOMAS, A Common Nature and a Sound Encounter. The
Perennial Value of the Dialogical Fundamentals, “Alpha Omega” 19 (2016), 3, 395-414.

119
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

pression of running continuously without a destination, risking the annihi-


lation of one’s being and the loss of one’s internal compass of orientation21.
This encompassing sense of vulnerability was made even more devastating
by the sudden emergence of the pandemic crisis, which posed not only
bioethical but also structural challenges22.
In this setting of constant transformation, the individuals feel no choice
to find an external and fictitious anchoring to digital and technological
needs23, reaching the excesses of compulsive and disordered material
(un)satisfactions. This continuous necessity to adapt to changing structures
and frequent disruptions24 causes frustration and disaffection, along with an
eventual deconstruction of identity and a preference for nonbinding forms
of instantaneous gratification. This paradigm is self-perpetuating and self-
referential. The result is a preference for a permanent indifference that de-
stroys the realization of any civil endeavours in a sort of a-temporal bubble.

The consequences of dromocracy

This process has ancient origins and its devastating consequences were an-
ticipated more or less precisely by several authors over the past decades. A
few years ago, the French scholar Paul Virilio had an inspired idea, the ad-
vent of dromocracy (based on the Greek word for race)25 that he defined as
the importance of speed in interpersonal relations and political decisions.
This feature is not to be underestimated. We have the impression that all

21
See P. VIRILIO, Vitesse et Politique, Galilée, Paris 1976.
22
Cf. M.A. PETERS, Philosophy and Pandemic in the Postdigital Era: Foucault, Agam-
ben, Žižek, “Postdigital Science and Education” 2(3) (2020), 1-6, (Apr. 2020)
DOI:10.1007/ s42438-020-00117-4.
23
«The large scale, depersonalized, violent industrial technologies all disrupt the di-
versity and richness of nature and culture», A. DRENGSON, The Practice of Technology: Ex-
ploring Technology, Ecophilosophy, and Spiritual Disciplines for Vital Links, SUNY Press,
New York, NY 1995, 159.
24
Cf. R.A NEIMEYER, Narrative Disruptions in the Construction of the Self, in ID. – J.D.
RASKIN (eds.), Constructions of Disorder: Meaning-making Frameworks for Psychotherapy,
American Psychological Association, Washington, DC 2000, 207-242.
25
Cf. E. TRIVINHO, A dromocracia cibercultural. Lógica da vida humana na civilização
mediática avançada, Paulus Editora, S. Paulo 2007.

120
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

processes happen so quickly that they fail to lay any structural foundation
for the future. A perpetual flow of stimuli in a context of technological opu-
lence causes a sense of defeat thereby by affecting the formation of real
ideas and concepts, obscuring the traditional channels of socialization and
radically changing the collective identity.
It seems that the freedom of thinking has been drastically reduced –
through a mechanism as subtle as subliminal – by a pathological massifi-
cation, filling this insurmountable gap with a kind of materialistic narco-
sis26. A permanent indifference destroys the realization of any serious en-
deavor and prefers all kinds of disengaged futile satisfaction nourishing an
epidemic «throw away culture»27. Additionally, contemporary relativism –
«recognizing nothing as definitive»28 – links contradictorily any criterion or
judgement only to an egoistic and utilitarian final choice with a significant
risk of manipulation through external sources29. If everything can be – in
general terms – accepted, the consequence could be a radical moving away
from the natural social norms. This aspect is an essential contributor to the
dismantling of interpersonal relationships and in the obscuration of the ba-
sic rules of coexistence30.
Without ideals and “happily” adrift, humanity lacks the highest stimuli
and inspirations which, despite their fragile condition, are opposed to a
blind pride and, in the long run, to an unsuccessful self-appropriation31
(Selbstaneignung). Such paradox is based on «a purely subjective faith
whose only interest is a certain experience or a set of ideas and bits of infor-
mation which are meant to console and enlighten, but which ultimately keep
one imprisoned in his or her own thoughts and feelings»32.

26
Cf. G. PATRIARCA, Oltre l’apatia. La riscoperta di un’identità culturale, “Angelicum”
90 (2013), 1, 129-164.
27
POPE FRANCIS, Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium (November 24, 2013), n.
53 [https://www.vatican.va/content/francesco/en/apost_exhortations/documents/papa-
francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html; https://archive.is/Gi8I0].
28
BENEDICT XVI, Message for the celebration of the World Day of Peace, 1 January
2012 [https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/en/messages/peace/documents/hf_
ben-xvi_mes_20111208_xlv-world-day-peace.html; https://archive.is/mSZHT].
29
PAUL VI, Encyclical Letter Ecclesiam Suam, (August 6, 1964), nn. 26-27.
30
See P. SEQUERI, Contra los ídolos posmodernos, Herder, Barcelona 2014.
31
Cf. E. BISER, Keine Angst, glaube nur. Das Eugen-Biser-Lesenbuch (Eingeleitet und
herausgegeben von M. ALBUS), Guetersoher Verlagshaus, Guetersloh 2008, 52.
32
POPE FRANCIS, Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, n. 94.

121
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

This criterion deprives and stifles the human experience. In this frame-
work, only the superficial becomes the thesis and the anti-thesis of daily
life and the only response to this appears to be silent immobility in-
dulging in an indifferent laziness and leading to a general «dimension of
rejection»33:

When man begins to become a problem for himself, the problematic


man defines the self either by the possession he has or the profession
he engages in. This definition is synthetic, however, because it is an
artificial attempt at injecting meaning in life through a venue that is
outside of one’s control. This person makes the mistake of believing
that life can have existential significance through venues that are not
tied to our existence as human being. By raising object to the level of
what is existentially meaningful, the problematic man can classify,
systematize, order and so, he believes – exert control over what con-
stitutes his identity. He does not realize that when he treats his iden-
tity as an object, he separates himself from meaningful existence.
The problematic man transforms from a human person to a thing that
can only experience himself as an object, or a statement or an an-
swer: “I am X”34.

The radical choice of disenchantment, furthermore, testifies to a mental


laziness, that goes against the natural need for redemption and idealism
which characterizes human action. This new Prometheus, amazed and as-
tonished, fails to control his products and thinks that he can reduce the
world to an easy instrument of his absolute power:

Technological minds see nature as an insensate order, as a cold body


of facts, as a mere given, as an object of utility, as raw material to be

33
«The personal dimension of rejection is inevitably accompanied by a social dimen-
sion, a culture of rejection which severs the deepest and most authentic human bonds,
leading to the breakdown of society and spawning violence and death», POPE FRANCIS, Ad-
dress to the Members of the Diplomatic Corps Accredited to the Holy See, 12 January 2015
[https://www.vatican.va/content/francesco/en/speeches/2015/january/documents/papa-
francesco_20150112_corpo-diplomatico.html; https://archive.is/NTquP].
34
G. GRAPER HERNANDEZ, Gabriel Marcel’s Ethics of Hope: Evil, God and Virtue, Con-
tinuum International, London 2011, 6.

122
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

hammered into useful shape; it views the cosmos similarly as a mere


space into which objects can be thrown with complete indifference35.

This sense of futility has resulted in a striking predisposition to aggluti-


nating inertia that prevents any movement. In the history of theological and
philosophical thought, as many recent essays demonstrate, laziness, sleepi-
ness and sluggishness are cited, albeit with differences and gradual varia-
tions, with acedia. Acedia etymologically derives from ancient Greek and
the privative alpha (a-kedeia) emphasizes a “lack of care.” St. John Cass-
ian offers a detailed explanation of the symptoms, adding that «once [ace-
dia] has seized possession of a wretched mind, it makes a person horrified at
where he is . […] Likewise it renders him slothful and immobile in the face
of all the work to be done within the walls of his dwelling»36.
This psychological condition and existential angst degrade personal will
and invalidates sources of identity as well as any sense of meaning and ful-
fillment. Aquinas correlates sloth with the three theological virtues, con-
cluding that it can be defined as a radical opposition to charity which is
considered the “root and mother” of the perfect virtues37. According to the
Angelic Doctor, because charity has love for fundamental action and
peace, harmony and respect as effects, the deplorable result of such an op-
position is a sad decadence and an aversion to common sense38. Paradox-
ically, as an extreme consequence, the slothful person – as Rebecca
Konyndyk DeYoung shows in her significant work – «either stays busy with
desperate measures to escape (either in reality or fantasy) or slumps into
despair and inactivity»39.

35
R. GUARDINI, The Essential Guardini. An Anthology, Liturgy Training Publications,
Chicago, IL 1997, 7.
36
ST. JOHN CASSIAN, The Institutes, 10.21, trans. B. RAMSEY, Ancient Christian Writers,
vol. 58, Paulist Press, New York, NY 2000, 231-232.
37
THOMAS AQUINAS, Summa Theologiae, IIa-IIae, 23.8.
38
Cf. R.K. DEYOUNG, Resistance to the Demands of Love: Aquinas on the Vice of Ace-
dia, “Thomist” 68 (2004), 2, 173-204.
39
EAD., The Vice of Sloth: Some Historical Reflections on Laziness, Effort, and Resist-
ance to the Demands of Love, “The Other Journal” n. 10 (Fall 2007)[https://theotherjour-
nal.com/2007/11/the-vice-of-sloth-some-historical-reflections-on-laziness-effort-and-re-
sistance-to-the-demands-of-love/; https://archive.is/eNb7N].

123
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

This constant trap of uncertainty and precariousness “infects” the mental


and intellectual advancement with cognitive bias40, magnificently summa-
rized by a predilection for a rational ignorance and distracted ways of liv-
ing. The a-priori refusal of an in-depth analysis of her/his own situation
from a multifocal perspective41 is a perilous deprivation of the natural pre-
disposition to reflection:

The cognitive organism is really not satisfied with the mere fact of
knowledge. It needs more than this. We may say the same thing about
the object that is known. Its nature is not complete in the intentional
mode of existence which it shares with the subject of knowledge, but
cries aloud to be absorbed whole and entire and in its proper objective
mode of being. And so there is engendered in the cognitive subject a
desire to possess the object and hold it as it is in itself. The aspiration
thus created, tends to project the soul toward a union which will be re-
al, and not merely intentional. The life of man and beast alike would
end in indigence and fatuity unless it could pour itself out in desire.
Nature, however, has provided against this need, by supplying us with
appetites. Now, the law of appetites is the law of love: and love, in turn,
begets action. In this wise, then, by knowledge, love, and action, the cy-
cle of conscious life is complete, and the powers of man and the animal
are brought to perfect fruition42.

40
See S. FOX, Ontological Uncertainty and Semantic Uncertainty in Global Networks
Organizations, Helsinki School of Economics – Technical Research Center of Finland,
VTT, Helsinki 2008.
41
«The three subsystems of cognitive information processing can be described as fol-
lows. The first subsystem, “perception”, analyses properties of the object being studied.
Cognitive factors in it play a defining role. They are represented by a set of corresponding
characteristics. If it satisfies certain requirements of the first subsystem, the information
is sent to the second subsystem. The second subsystem, “processing”, process informa-
tion about the object being studied. […] The third subsystem, “representation”, converts
the results of information processing into a user-defined form. […] When studying an ar-
bitrary object, the human creates its cognitive information model that should meet the ba-
sic properties within the analysis properties subsystems», V. YAKOVLEVICH TSVETKOV, Cog-
nitive Information Models, “Life Science Journal” 11 (2014), 4, 470.
42
R.E. BRENNAN, Thomistic Psychology. A Philosophical Analysis on the Nature of Man,
The MacMillan Company, New York, NY 1967, 147-148.

124
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

Back to sources

The first necessary step is the acceptance of our nature. This progression is
not only open to higher elaborated mental processes but also understands
that our existence is characterized not only by rights but especially by ob-
ligations and duties in a structurally ethical perspective. This point is a
deadly wound for one’s own self-interest and for the conceited attempt of
self-referentiality, which does not allow to discern with prudence and rec-
ognize the value, dignity, and greatness of the person. But even in that mo-
ment of sightlessness, there is the possibility to retake the lost path be-
cause, as Martin Buber affirms:

Of course, in many cases, a man knows his strongest feeling only in the
shape of a particular passion, of the “evil urge”, which seeks to lead
him astray. Naturally, a man’s most powerful desire, in seeking satisfac-
tion, rushes in the first instance at objects, which lie across his path. It
is necessary, therefore, that the power of even this feeling, of even this
impulse, be diverted from the casual to the essential, and from the rel-
ative to the absolute. Thus a man finds his way43.

This path is a continuous effort to overcome one’s own limitations. It is


also a constant renewal of the individual who becomes farsighted, intro-
spective and ready to accept challenges and sacrifices: he is – at that point
– open to understand the Other in a dialogical vision. In the passage that
leads from the deconstruction to reconstruction, the individual molds and
forms his own “trajectory” without putting himself in a radical antithesis.
Focusing a bit longer on this aspect, it becomes quite clear that when we
perceive the alterity in an interpersonal perspective, a service is offered to
reason itself which becomes formative by maintaining contacts with the out-
side world and opening itself to other horizons. The individual realizes him-
self in a constructive way, projecting her/his vision beyond her/his own
space in a shared sequence of receptivity and activity.
On the contrary, a self-constructed distraction from fundamental ques-
tions has to do with a disorderly time perception44. In recognizing the real

43
M. BUBER, The Way of Man: According to the Teaching of Hasidism, Routledge, New
York, NY 2002, 11.
44
Cf. R. HASSAN, Uncontained: Digital Disconnection and the Experience of Time, Grat-
tan Street Press, Melbourne 2019.

125
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

relation between time and existence, however, there is the first step towards
a wiser knowledge of oneself. In this passage, we recognize our humanity
and its indissoluble interdependence in a process of constant change:

Although change is part of the working of complex systems, the speed


with which human activity has developed contrasts with the naturally
slow pace of biological evolution. Moreover, the goals of this rapid and
constant change are not necessarily geared to the common good or to
integral and sustainable human development. Change is something de-
sirable, yet it becomes a source of anxiety when it causes harm to the
world and to the quality of life of much of humanity45.

Such a constraint of time, in a society obsessed by a sort of perennial


state of agitation and apparently condemned to an infinite and fruitless se-
ries of interferences46, seems – as Pope Francis stated in his Message for
the World Communication Day (2014) – to have diverted the gaze of the hu-
manity away from the fundamental necessity of a “constructive dialogue” to
which a deeper attention, common sense, comprehension, silence and pa-
tient listening are essential:

We need, for example, to recover a certain sense of deliberateness and


calm. This calls for time and the ability to be silent and to listen. We
need also to be patient if we want to understand those who are different
from us. People only express themselves fully when they are not merely
tolerated, but know that they are truly accepted. If we are genuinely at-
tentive in listening to others, we will learn to look at the world with dif-
ferent eyes and come to appreciate the richness of human experience as
manifested in different cultures and traditions. We will also learn to ap-
preciate more fully the important values inspired by Christianity, such
as the vision of the human person, the nature of marriage and the fami-
ly, the proper distinction between the religious and political spheres, the
principles of solidarity and subsidiarity, and many others47.

45
POPE FRANCIS, Encyclical Letter Laudato Si’, (May 24, 2015), n. 18.
46
Cf. F. BOOTH, The Distraction Trap. How to Focus in a Digital World, Pearson, Har-
low, UK 2013.
47
POPE FRANCIS, Message for the XLVIII World Communications Day, January 24, 2014
[https://www.vatican.va/content/francesco/en/messages/communications/documents/papa-
francesco_20140124_messaggio-comunicazioni-sociali.html; https://archive.is/0bAqe].

126
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

This “praise of slowness” – as Lanza del Vasto expresses in his works –


is nothing else than a return to the roots of the human essence in which time
is measured not only through scientific instruments but also by the natural
passage of the seasons as well as the common and providential sharing of
history. This aspect is clearly evident in everyday life – perhaps, too bur-
dened with imposed rhythms and paralyzed by repetitiveness of unneces-
sary rituals – that it is not more able to control or successfully manage a
never-ending series of events:

In light of the delirium of doing, of getting excited, of talking, it is nec-


essary to get into, on the contrary, an oasis of tranquility, of slowness, of
calmness. The eagerness – which gnaws our soul – creates people af-
fected by stress, unsatisfied, numb to their conscience and to others48.

Reconsidering Lanza del Vasto

In this vortex of anxiety, Lanza del Vasto’s teaching can trace a new path.
Through his particularly human and spiritual experience, he calls for a re-
turn to an intimate and introspective reflection, expressed in poetic language
and lyrical tones:
The distracted man searches for his whole life not to reflect, not to turn
his attention to himself. But it happens that, at a certain point, he stum-
bles on the thing that obliges him to the reflection. And every effort he
makes to avoid this moment, every man, at one turn, will meet himself!
And that’s exactly what he does not want to meet, he does not want to
know, he does not want to hear about it. Stay closed with herself, nose
to nose, for long hours, especially at night, is a kind of disaster for the
man who has been distracted all day49.

It is evident that the rediscovery of the Desert Fathers50 and their essen-
tial approach to existence51 structure and shape the Lanza del Vasto’s Welt-

48
G. RAVASI, Elogio della Lentezza, “Avvenire”, 15 May 2004 [https://www.avvenire.it/
rubriche/pagine/elogio-della-lentezza; https://archive.is/T8lVq; our translation].
49
LANZA DEL VASTO, Introduzione alla vita interiore, 64 [our translation].
50
Cf. W. HARMLESS, Desert Christians: An Introduction to the Literature of Early Monas-
ticism, Oxford University Press, Oxford 2004.
51
See D.R. KELLER, Oasis of Wisdom: The Worlds of the Desert Fathers and Mothers,

127
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

anschauung. In this approach, prayer is a movement towards a necessary


and indispensable kenosis for a truly lived spiritual life52. It does not seem
to be secondary the praying method of hesychasm (from the Greek hesychia
– ἡσυχία:53 “quiet, stillness, rest, silence”) that, in addition to the constant
repetition of a simple or deeply inspired prayer, is a daily and methodical
exercise of the breath with the consequent limbs’ rule and the possession
of oneself:

Like in music, you must achieve in the breathing the precision, the ex-
act measure, the sharpness, the intensity, the delicacy of the touch. Fi-
nally, you can make sense of your breath, like the musician at his song54.

The symbiotic activation of the mind and body together in this mystical
form of prayer, in fact, corresponds to the emptying of all that is considered
superfluous or supra-structural in a temporal process of continuous renew-
al55. Understanding your emptiness is first and foremost the sharing of pain
and suffering. This is the common denominator of humanity and leads to a
call to serve56.
Such a sympatheia (συμπάθεια-simpathy) is the ontological foundation of
a silent approach to the Other in the mutual belonging to human nature.
Otherness is not a distance, but a motive for a common engagement. A
shared proposal within a humanity torn by the voluntary condemnation to
an inner blindness that covers the beauty with ash and sneaks with jealousy
and misunderstanding. Even evil and pain become an instrument of a re-
generation that goes beyond any closure:

They accuse us of going against the times; We do it deliberately and


with all our strength; Time is like water: it flows down. Time is the cur-

Liturgical Press, Collegeville, Minnesota, MN 2005 and K. WARE, The Inner Kingdom, St
Vladimir’s Seminary Press, Crestwood, New York, NY 2000.
52
See O. ZIJLSTRA (ed.), Letting Go: Rethinking Kenosis, Peter Lang, Frankfurt 2002.
53
Cf. L. ROSSI, I filosofi greci padri dell’esicasmo: la sintesi di Nikodemo Aghiorita, Il
Leone Verde, Torino 2000.
54
LANZA DEL VASTO, Introduzione alla vita interiore, 121.
55
Cf. A. BONGIOVANNI – P. TRIANNI (ed.), Lanza del Vasto. Filosofo, teologo e nonviolen-
to cristiano. Uno sguardo critico sull’opera omnia, Aracne, Ariccia, Roma 2015.
56
Cf. F. ROGNON (ed.), Lanza del Vasto. La sperimentazione comunitaria, Jaka Book, Mi-
lano 2016.

128
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

rent that drags toward death. Going against time means to bring back
the desires, the abandonment, the collective lice. Nothing is more ap-
propriate than going against “the times that run” to fill gaps, warn souls
in danger of being submerged while they are sleeping or having fun57.

This renewed attention to the signs of time and its manifestations through
human experience is a service offered to reason which becomes formative,
opening itself to the outside and realizing the person in a “revelatory”
process. The reason, however, needs dialogue that develops in a daily per-
sonal encounter because «living with the other as a form of knowing is jus-
tice. Living with the other as form of being is love»58. In this way, they form
a deep relationship and a purposeful perception without the risk of getting
lost among the world’s appearances.
It is enlightening to understand that such a vision is the basis not of a
personal but also political and social renewal. Inspired by Nicholas of
Cusa59, Lanza del Vasto makes a remarkable attempt at reconciliation of op-
posites and reveals where that point of contact between the human and the
divine – the “unity of the contraries” – becomes the pedagogical architrave
in the perennial search for a constructive synthesis60. Such a search for uni-
ty is generated – as claimed by Simone Weil61 – by a leading “soul trans-

57
LANZA DEL VASTO, L’arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano 1979, 79 [our
translation].
58
M. BUBER, The Martin Buber Reader: Essential Writings, (edited by A. BIEMANN), Pal-
grave McMillan, New York, NY 2016, 83.
59
See I. BOCKEN (ed.), Conflict and Reconciliation: Perspectives on Nicholas of Cusa,
Brill, Leiden 2004 and C.M. BELLITTO – T.M. IZBICKI – G. CHRISTIANSON (eds.), Introduc-
ing Nicholas of Cusa: A Guide to a Renaissance Man, Paulist, New York, NY 2004.
60
Cf. W. BEIERWALTES, Identität und Differenz: Zum Prinzip cusanischen Denkens,
Rheinisch-Westfälische Akademie der Wissenschaften, Westdeutscher, Opladen 1977.
61
«Mi stanno dinanzi due vite poetiche, in quanto creative nella libertà di adesione al-
la propria incarnazione, quindi all’obbedienza alla propria vocazione, anche se questa ha
comandato cose impossibili. Questo, in una fedeltà alimentata da una volontà consapevo-
le, malgrado tutti gli impedimenti della loro condizione umana. Trasformando, nella luce
della “aspirazione al bene” (inglobante bellezza, verità, giustizia e ogni specie di virtù)
“la pesanteur” dell’apparenza fisica e psichica, attingendo la vera forza, che è energia di
“coraggio interiore”, all’unione con “l’altra realtà” (Simone Weil), dove avviene la Ricon-
ciliazione ispiratrice (Lanza del Vasto). È “il terzo ordine”, quello dell’abbandono della
volontà propria, ciò che riteniamo più prezioso, e che in effetti ci aiuta per una parte del

129
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

formation”62. This is not a retreat from the world but a purification or, as we
would say with a language understandable to the contemporary audience, a
decontamination of the being from unnecessary and dangerous toxins63:

It is dangerous to read or look at something beautiful when one is in


an unhealthy frame of mind: the beauty of particular thing is thereby
contaminated, and afterwards it is no longer possible to have access
to it. Far better to leave the things alone. But if we have once made
contact with absolutely pure and genuine beauty, we can apply it like
a flame to cauterize our blemishes; it burns up whatever defilement
we cast into it, and remains uncontaminated; it is impossible for it to
be contaminated, being itself absolutely pure, the veritable presence
of God64.

A Pedagogy of time

This journey back to the “original questions” – that are strictly correlated
with the “last things” – is a “pilgrimage to the sources” in a process in which
we are also able to partially annihilate ourselves to be daily reborn through
compassion and mercy. It deals with an “infinite relationship” between the I
and the Being, which – while distinct – complement each other65.
In this framework, a metaphysical union bonds individuals in a transcen-
dent perspective and makes them partakers of a common destiny. This in-
terdependence is based on a responsible sharing, temperance and sobri-
ety66. The beauty of simplicity is renewed in the encounter with those we
daily meet with their personal experience and with which we share our time

cammino; si tratta dell’ordine della Religione, il cui atto fondamentale è il Sacrificio (Lan-
za)», G. FIORI, Lanza del Vasto e Simone Weil. Prime note sulla sintonia fra i due pensatori,
“Prospettiva Persona” 86 (Dicembre 2013), 13, 30.
62
Read S. WEIL, Waiting for God, Harpers and Row, New York, NY 1951.
63
L. ADLER, L’indomabile. Simone Weil, Jaka Book, Milano 2009, 80.
64
S. WEIL, The Notebooks of Simone Weil, Routledge, New York, NY 2014, 501.
65
Cf. D. VIGNE, La relation infinie: la philosophie de Lanza del Vasto, Vol. I-II, Cerf, Pa-
ris 2008.
66
P. FABIANO – G. PATRIARCA, Una filosofia per la pace. Lanza del Vasto e l’elogio della
sobrietà, “Lessico di Etica Pubblica” 2 (2017), 91-100.

130
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

in wise and discreet humility67. There is a desire for a return to something


lost by humanity:

They will never know what beauty is, those who seek it with ease and
take it for a pleasure more. But this hunger, this thirst, this extreme
abandonment, this burning vigil at the feet of the naked night, make it
shine in the blood most present to me of myself, it [is] “the truth of the
forms”, “the splendor of the true”68.

This modern via sanctae simplicitatis is not only a rediscovery of them-


selves but appears – also and not only – as an invitation to the praise of
creation as a gift to share and protect. Such visionary spirit brings Lanza
del Vasto to propose to contemporary men – now addicted to evil, careless
and indifferent – the fundamental questions in an eschatological and
salvific way:

Every now and then the Vain is frightened of his inconsistency and, tak-
en up by dizziness, says “All is useless. God is not there.” Every now
and then the Dark is irritated, goes to shake the Vain, blushes with
madness or crime, or at least, nightmare and bad thoughts69.

The classic use of negative theology is linked to an inseparable mystical


experience, shared by various faiths in the search for Transcendence. It
seems, in fact, that the Logos itself operates a constraint on itself (tzimtzum:
‫ )צמצום‬to be understood and loved, not depriving any man of his freedom:

As Tzimtzum allows God to be revealed within a finite reality, it also has


epistemological significance. Man’s tools of cognition, as part of the
world of measure and boundaries, cannot comprehend an infinite being;

67
«Quando avremo scoperto il nostro torto, invece di fare come il nostro nemico, inve-
ce di dissimularlo, di rinchiuderci nelle nostre giustificazioni e di confermarlo nelle sue,
confesseremo il nostro torto e offriremo riparazione con semplicità disarmante, al fine di
rompere il cerchio, al fine di costringere il nemico a far ritorno su se stesso», LANZA DEL
VASTO, Che cos’è la non violenza, Jaca Book, Milano 1990, 33 [our translation].
68
ID., Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaka Book, Milano 1978, 216 [our translation].
69
ID., Introduzione alla vita interiore, 64 [our translation].

131
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

hence, it is only through contraction of the light of the Infinite that man
can apprehend something of God70.

In the moment of silence and contemplation, we are able to «recognize


the error [...] because you cannot go farther than anything and you can not
dwell in the black»71. In the horror of extreme solitude – even covered by
false distractions – the voice of an appeal to the High becomes stronger,
leading to a beginning of a new horizon:

The son does all this to forget his father, and to escape from him, and
that’s why he sticks with agony to the outer objects and all the distrac-
tions, and clings to his alike futile and fluctuating like him. But his busi-
ness, the unremitting necessities of his work, the multiple duties are the
strongest bastion he can build between him and himself, protection and
support against the truth. The Father is doing everything he can to attract
the attention of the distracted person. It stirs it up, prevents it, makes it
stagger. Traps of temptation very often are not the bad intentions of in-
ner life, the effort of the powers of the soul [...]. Conversion begins when
the man is disconnected from things and people to turn to their own
shadow side and substance, towards their own soul to bring the light of
intelligence, the power of attention, the heat of life and love72.

Towards an intercultural theology?

Lanza del Vasto’s philosophy of nonviolence and spiritual renewal as well


as his interreligious engagement played a major role in the reflection on the
possible ways to solve conflicts and build a sound encounter with other re-
ligious and non-religious cultures and communities73. Especially at the end
of the Twentieth Century, the process of globalisation and consequent grow-

70
I. KOREN, The Mystery of the Earth: Mysticism and Hasidism in the Thought of Mar-
tin Buber, Brill, Leiden 2010, 282.
71
LANZA DEL VASTO, Introduzione alla vita interiore [our translation], 44.
72
Ibid., 64-65 [our translation].
73
G. PATRIARCA, El diálogo: un Puente entre culturas, “Educatio Catholica” 6 (2020),
4, 237-249.

132
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

ing interconnections have subjected religions, groups and entire societies


to fundamental changes in order to resolve injustice in nonviolent ways and
protect the environment. Such a development has led to the rise not only of
pluralism but also to the polar opposites of general disengagement and zeal-
ous involvement (radicalization)74.
At this point, it is necessary to endorse a new educational paradigm be-
cause there is no alternative approach to really cope with cultural and reli-
gious diversity75. This means also to culturally and theologically grow inter-
connected76. R. Panikkar affirmed that «any culture, religion or tradition
can overcome the troubles of the world in isolation. East and West are nei-
ther geographical categories (because the earth is circular), nor historical
references (because the destiny of the East is at stake in the West and re-
versely). In every human and in each society there is an east, an origin, a
downing light, as well as there is a west, a sunset, an evening light»77.
The question of how living together in a global age arises also in the the-
ological domain, where the transformation of world Christianity through
globalisation has been deeply studied78. Therefore, it is more important than
ever to analyse the transdisciplinary and intercultural character of theology,
giving voice to all those experiences of interreligious and mutual under-
standings. In a recent address to theological students, Pope Francis – under-

74
Cf. E.M. YOUNG – G. PATRIARCA – D.M. VALENTINI, The Cost of Indifference. Gener-
al Apathy and Economic Paralyis?, “Journal of Catholic Social Thought”, 17 (2020), 2,
179-191.
75
See G. ONORATI – F. BEDNARZ (eds.), Building Intercultural Competences. A Handbook
for Professional in Education, Social Work and Healthcare, Acco, Leuven 2010 and M. CO-
LOMBO, Chi ha paura dell’intercultura? Come dialogare in Europa, in “Cortile dei Gentili”
[www.cortiledeigentili.com/chi-ha-paura-dellintercultura; https://archive.is/t3s6e].
76
«Intellectually, human beings tend to search for The One Thing. The One Thing is
that unifying insight, fundamental reality, or singular intuition that organizes the ten thou-
sand things into a comprehensible unit. It renders simplicity of sprawling multiplicity. It
also flattens and blinds», J.P. SYDNOR, Book Review Body Parts: A Theological Anthropol-
ogy, by Michelle Voss Roberts, “Interreligious Studies and Intercultural Theology”, 4
(2020), 1, 124.
77
R. PANIKKAR, Kierkegaard e Sankara. La fede e l’etica nel cristianesimo e nell’indui-
smo, a cura di M. CARRARA PAVAN, Jaka Book, Milano 2017.
78
See G.L. HEATH – S.M. STUDEBAKER (eds.), The Globalization of Christianity: Impli-
cations for Christian Ministry and Theology, McMaster Theological Studies, Pickwick,
Eugene, OR 2014 and J. RIEGER, Globalizzazione e teologia, Queriniana, Brescia 2015.

133
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

lining the value of «nonviolence as a perspective and way of understanding


the world, to which theology must look as one of its constitutive elements» –
stated that «the writings and practices of Martin Luther King, Jr and Lanza
del Vasto and other peacemakers help us here […]» to avoid the so-called Ba-
bel syndrome which «is the confusion that arises when we don’t know what
the other person is saying. That is the first stage. But the real Babel syndrome
is when I do not listen to what the other person is saying and I think that I
know what the other is thinking and is about to say. That is the bane!»79.
Such a complex epistemological situation reflects not only the “interde-
pendence and interrelatedness of the global community”80 but also demon-
strates a pedagogical potential, disclosing the interconnections between the
inner self and the Other as well as promoting a conscious listening, which is
at the base of a sincere dialogue among people of different religions, faiths
or spiritual beliefs81.

Conclusions

In our historical and tragic contingency, the philosophy of Lanza del Vasto
is still valid for a sound dialogue among cultures and religions. In search of
common good, we are called to create the required conditions to cultivate a
culture of encounter82:

Through the living and hard experiences of the road, through the en-
counters and the school of ascetics, wise men, and religious, the pilgrim
knows the stages and the trials of every path to the truth (and as Gand-
hi says, “Truth is God”)83.

79
Pope Francis, Address to the meeting on the theme “Theology after Veritatis gaudium
in the context of the Mediterranean”, promoted by the Pontifical Theological Facultry of
Southern Italy, San Luigi Section, of Naples (Italy), 21 June 2019.
80
L. OSE, Intercultural Dialogue and Its Pedagogical Potential, “Proceedings of the
Latvian Christian Academy” 4 (2016), Latvian Christian Academy, Ju-rmala, 305.
81
M. ABU NIMER – R.K. SMITH, Interreligious and Intercultural Education for Dialogue,
Peace and Social Cohesion, “International Review of Education” 62 (2016), 393-405.
82
Cf. A. DRAGO (ed.), Il Pensiero di Lanza del Vasto. Una risposta al XX secolo, Il Poz-
zo di Giacobbe, Trapani 2010.
83
F. LOMBARDI, Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti, “Civiltà Cattolica”, n.
3103-3108 (1979), 92.

134
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time

Each pilgrimage has profound educational characteristics. During the


journey, the transformation – first personal and then societal – is based on
the ability to discern beyond any ideological reductionism or particular
form of egolatry84. Individual and community renewal infuses its light
through the prism of the dignity of each person, whose fragility is a consti-
tutive part of our very existence.

Fátima María Naranjo Marrero


Conservatorio Superior de Música de Canarias
([email protected] )

Giovanni Patriarca
Universität Bayreuth
([email protected])

84
«Some have even spoken of an egolatry, a worship of the self, on whose altar every-
thing is sacrificed, even the most cherished human affections. This approach is far from
harmless, for it induces people to gaze constantly in the mirror, to the point of being un-
able to turn their eyes away from themselves and towards others and the larger world. The
spread of this approach has extremely grave effects on every affection and relationship in
life», POPE FRANCIS, Address to the Participants to the General Assembly of the Pontifical
Academy for Life, 5 October 2017 [https://www.vatican.va/content/francesco/en/speeches/
2017/october/documents/papa-francesco_20171005_assemblea-pav.html; https://archive.is/
kUH79].

135
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca

ABSTRACT

A PRAISE OF SLOWNESS
LANZA DEL VASTO’S PEDAGOGY OF TIME

This article aims to introduce the thought of Lanza del Vasto as an antidote to
the “triumph of speed” of the contemporary era. The dromocracy, in fact, is one
of its characterizing features with a series of contradictions that distract the indi-
vidual from any path of personal introspection and transcendence. This distrac-
tion is not only the cause of an obfuscation of reason but also of a radical cul-
ture of indifference. In this way, we approach the pedagogy of the time that Lan-
za del Vasto, through his formation rich in sapiential, musical and philosophical
references, repeatedly illustrates in his works. His thinking, based on the “meta-
physics of encounter”, is still extremely topical today in a historical contingency
of restlessness and uncertainty, where there is an urgent need to reconsider the
value of time as well as the importance of dialogue and witness.

ELOGIO DELLA LENTEZZA


LA PEDAGOGIA DEL TEMPO DI LANZA DEL VASTO

L’articolo si propone di introdurre il pensiero di Lanza del Vasto come antidoto


al “trionfo della velocità” dell’epoca contemporanea. La dromocrazia, infatti, ne
è un dato caratterizzante con una serie di contraddizioni che distolgono l’indivi-
duo da ogni percorso di introspezione personale e dalla trascendenza. Tale dis-
trazione è causa non solo di un offuscamento della ragione ma anche di una ra-
dicale cultura dell’indifferenza. In questo modo ci si avvicina alla pedagogia del
tempo che Lanza del Vasto, attraverso la sua formazione ricca di riferimenti sa-
pienziali, musicali e filosofici, più volte espone nelle sue opere. Il suo pensiero,
basato sulla “metafisica dell’incontro”, è ancora oggi di estrema attualità in una
contingenza storica di inquietudine e di incertezza, dove è urgente il bisogno di
riconsiderare il valore del tempo nonché l’importanza del dialogo e della testi-
monianza.

Parole chiave: nonviolenza; filosofia della musica; dialogo interreligioso; filoso-


fia contemporanea; studi per la pace; filosofia dell’educazione

136
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

THE APPLICATION OF THE MESSAGE


OF THE PARABLE OF THE GOOD SAMARITAN
IN THE CONTEMPORARY TIMES*

1. Introduction – 2. Analysis of the Parable of the Good Samaritan in Fratelli Tutti; 2.1 In-
difference; 2.2 Unbelieving Believers; 2.3 Double-standard Believers; 2.4 Injured Man
Feels Neglected; 2.5 Don’t Expect Super-Government; 2.6 Nishkamakarma (Selfless Ac-
tion); 2.7 Overcome Prejudices & See the Other as One’s Own Flesh – 3. Relevance of the
Parable of the Good Samaritan Amidst the Pandemic COVID-19; 3.1 Material help; 3.2
Psychological Support; 3.3 Spiritual Accompaniment – 4. Conclusion

Keywords: Good Samaritan; Fratelli Tutti; COVID-19; Solidarity

1. Introduction

In the gospel of Luke, we read, a Pharisee asked Jesus, “Who is my neigh-


bor?”. In response to that question, Jesus narrated the parable of the
Samaritan, however, he did not respond directly to the Pharisee’s question.
He rather raised another question, “Which of these three, do you think, was
a neighbor to the man who fell into the hands of the robbers?” (Lk 10:36).
In other words, Jesus’ parable made a paradigm shift. The Pharisee wanted
to know, “Who is my neighbor?”, however Jesus asked him to change his
mind-set and challenged him to introspect by asking himself, “Did I be-
come a neighbor to the one who needs my help?”. In the contemporary
times, the pandemic COVID-19 has brought a lot of sufferings and hard-
ships in the lives of the people. Authorities enforced strict lockdowns and
restrictions to spread the infection of COVID-19. Jesus’ parable of the Good
Samaritan challenges each one of us, “Have I become a neighbor to one
who is in need of assistance?”. In the following sections I will examine Pope
Francis’ analysis of the parable in his encyclical Fratelli Tutti (FT) and trace
its relevance for the contemporary times.

* Acknowledgment – I thank Nanzan University Pache Research Subsidy I-A-2 acade-


mic year 2022 for their support.

137
3/2022 ANNO LXXV, 137-152 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

2. Analysis of the Parable of the Good Samaritan in Fratelli Tutti

Pope Francis in his encyclical Fratelli Tutti analyzes the parable of the Good
Samaritan from both spiritual and social perspective. He amalgamates both
the spiritual and social dimensions involved in this episode. He noted, «Je-
sus trusts in the best of the human spirit; with this parable, he encourages
us to persevere in love, to restore dignity to the suffering and to build a so-
ciety worthy of the name»1. Following are the key takeaways of Pope Fran-
cis’ analysis of the parable of the Good Samaritan.

2.1 Indifference

Pope Francis noted two people, a priest and a Levite passed by the wound-
ed man. However, they choose to keep a safe distance from the wounded
man for reasons they alone knew. Probably, they did not want to get in-
volved with this wounded man as it could result in loss of their time, en-
ergy and probably money. The priest and the Levite were too busy with
their own affairs. They had no time to “waste” for an injured man. On the
other hand, the Samaritan «was able to interrupt his journey, change his
plans, and unexpectedly come to the aid of an injured person who needed
his help»2.
Pope Francis noted the apathy of this class of people as follows: «This is
how some justify their indifference: the poor, whose pleas for help might
touch their hearts, simply do not exist. The poor are beyond the scope of
their interest»3. They are indifferent and hard-hearted. Their preoccupa-
tions are of greater value than the life of a person. They behave as if the
weak and the vulnerable people do not exist. They are too preoccupied with
their self-interests and their conscience is utterly singed that they can jus-
tify their uncharitable actions without any hesitation4.

1
FRANCIS, Encyclical Fratelli Tutti (FT) no. 71. [https://www.vatican.va/content/
francesco/en/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-
tutti.html; https://archive.is/YhAUn].
2
FT no. 101.
3
FT no. 73.
4
UNITED NATIONS DEPARTMENT OF ECONOMIC & SOCIAL AFFAIRS, The International Fo-
rum for Social Development: Social Justice in an Open World the Role of the United Na-
tions, United Nations Publications, New York, NY 2006, 80-83.

138
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

2.2 Unbelieving Believers

Both the priest and the Levite were religious Jews. They probably had a
good knowledge of the Jewish scriptures, which requires the Jews to take
care of a wounded animal. «You shall not see your neighbor’s donkey or ox
fallen on the road and ignore it; you shall help to lift it up» (Dt 22:4). If God
has concern for a wounded animal, then how much more for a wounded per-
son. Would God ever condone their actions of neglecting to help a wounded
man? Pope Francis noted these two men were unbelieving believers. In oth-
er words, religion was merely a tool for them to get profits and social status.
They claimed to be believers, however their actions showed they did not be-
lieve in the God, who cares for the weakest and the lowest. Pope Francis
lamented such religiosity even among contemporary believers. He noted,

It shows that belief in God and the worship of God are not enough to en-
sure that we are actually living in a way pleasing to God. A believer may
be untrue to everything that his faith demands of him, and yet think he
is close to God and better than others. The guarantee of an authentic
openness to God, on the other hand, is a way of practising the faith that
helps open our hearts to our brothers and sisters […] Paradoxically,
those who claim to be unbelievers can sometimes put God’s will into
practice better than believers5.

The priest and the Levite are prototypes of all sinister believers who use
religion as a commodity for selfish gains. However, at heart they do not care
for religion or the good values, which it teaches6. In the contemporary
world, most of the people claim to be believers. However, not all people put
into action, the teachings of love and self-service, which most of the reli-
gions teach.

2.3 Double-standard Believers

The priest and the Levite indirectly sided with the thieves by ignoring the
wounded man and walking on the other side of the road. Pope Francis noted,

5
FT no. 74.
6
Cf. J.W. SCHULZ, Hypocrisy as a Challenge to Christian Belief, “Religious Studies” 54
(2018), 2, 247-264.

139
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

Robbers usually find secret allies in those who pass by and look the
other way. There is a certain interplay between those who manipulate
and cheat society, and those who, while claiming to be detached and
impartial critics, live off that system and its benefits7.

Both the priest and the Levite not only ignored the wounded man but
also failed to report the robbery to the concerned authorities. By doing so,
in fact they promoted robbery. They failed to appeal to the concerned au-
thorities to make the road-way safe by keeping silent about the crime.
Pope Francis noted in the contemporary world, one can find such double-
standard people who do not feel ashamed to thrive on unjust religious, so-
cial, economic and political structures. They are not concerned about jus-
tice or equity in the society. Their only concern is their self-interest. How-
ever, their silence breeds more corruption and crime in the society, which
would ultimately affect them sooner or later. It is probably at that time
they would find themselves caught in the webs, which they weaved them-
selves8.

2.4 Injured Man Feels Neglected

The injured man could do nothing to help himself. He needed assistance


and attention. However, his Jewish compatriots ignored him. He was left all
alone to die a painful death. Pope Francis compared the inaction of the two
Jews to the malaise in the religious, social, economic, judicial and political
institutions, which leave the weak and the marginalized to their fate. Peo-
ple who are responsible to run these institutions to serve all impartially, at
times choose to neglect the poor or the weak. They prefer to side with the
powerful by not confronting their unjust actions. Thus, they undermine the
role of the institutions to deliver justice and security to all in the society.
The poor people feel totally abandoned just like the injured man in the
parable9. Pope Francis noted,

7
FT no. 75.
8
Cf. D.O. MOBERG, Holy Masquerade: Hypocrisy in Religion, “Review of Religious Re-
search” 29 (1987), 1, 3-24.
9
Cf. THE INTERNATIONAL BANK FOR RECONSTRUCTION & DEVELOPMENT / WORLD BANK,
World Development Report 2000/2001: Attacking Poverty, Oxford University Press, New
York, NY 2001, 99-115.

140
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

There are times when we feel like him, badly hurt and left on side of
the road. We can also feel helpless because our institutions are neglect-
ed and lack resources, or simply serve the interests of a few, without
and within. Indeed, globalized society often has an elegant way of shift-
ing its gaze. Under the guise of being politically correct or ideological-
ly fashionable, we look at those who suffer without touching them10.

All religious, social, economic, judicial and political institutions need to


serve humanity without any discrimination. Any inaction, complacency or
impartiality done by those who run these institutions may have dangerous
repercussions for the whole society. If these institutions fail in their duty to
reach out to the weakest in the society and protect their rights and dignity
then those institutions would lose their purpose for existence and turn into
sepulchers, which do not have life and are not meant for the living people.

2.5 Don’t Expect Super-Government

The parable of the Good Samaritan depicts the spread of crime and deprav-
ity in Israel in those times. Probably, the authorities could not manage to
make the cities, towns and villages safe for all. In the contemporary times
too, there are many places around the world, which have a very high crime
rate. The law-enforcing authorities have failed to control the crime rate be-
cause of their inability and lack of will to reduce the crimes. Even though
the law-enforcing authorities and the governmental administration have a
prominent role in curbing violent crimes in the society, it would be naive to
expect that these authorities are solely responsible for controlling the crime
and improving the situation11. Authorities have their limitations because of
insufficient budget or lack of well-trained law-enforcing personnel. Pope
Francis noted,

We should not expect everything from those who govern us, for that
would be childish. We have the space we need for co-responsibility in
creating and putting into place new processes and changes. Let us take
an active part in renewing and supporting our troubled societies12.

10
FT no. 76.
11
Cf. UNITED NATIONS OFFICE ON DRUGS & CRIME, Handbook of the Crime Prevention
Guidelines: Making them Work, United Nations Publications, Wien 2010, 103-111.
12
FT no. 77.

141
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

It is the duty of every citizen to co-operate with the law-enforcing author-


ities to make cities, towns and villages safe for everyone. Further, like the
Samaritan in the parable, every person needs to be vigilant and willing to
help the victims of the crimes. They need to gather courage to reach out to
the victim and at times take the risk of getting involved, as it may bring
them some inconveniences13. However, one needs to take the first step to
reach out to the needy and ask others’ assistance to reach out to the victims.
To give the best to the injured, the Samaritan had to put him in a safe place
to recuperate. He did not wait for the authorities to come by and help the
wounded man. The Samaritan himself, put the injured man on his donkey
and went to a near-by inn14. If the Samaritan had wasted time by waiting for
the authorities, then the wounded man would have probably died. He act-
ed immediately. In the contemporary times too, when accidents or crimes
take place, at times people just stand-by as mere spectators and wait for
someone else to come-over and help the injured.
At times, it is difficult as an individual to help the marginalized and con-
front the unjust structures. However, a group of like-minded people can
make a great difference. Pope Francis noted the importance of group work.
He noted,

We can start from below and, case by case, act at the most concrete and
local levels, and then expand to the farthest reaches of our countries
and our world, with the same care and concern that the Samaritan
showed for each of the wounded man’s injuries […] Yet let us not do
this alone, as individuals. The Samaritan discovered an innkeeper who
would care for the man; we too are called to unite as a family that is
stronger than the sum of small individual members15.

Thus, we cannot abdicate our personal and communitarian responsibili-


ty to help the needy in the society. We need to be realistic and not expect
the governmental agencies to do all the work related to law-enforcement
and social justice.

13
Ivi.
14
FT no. 165.
15
FT no. 78.

142
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

2.6 Nishkamakarma (Selfless Action)

The contemporary world is becoming more business-oriented and thus, prof-


it-making is becoming the sole objective for survival. Further, people tend to
think, what do I get out from this job or project? To seek material benefits is
fine. However, as a society we need to have a larger perspective of life. The
Sanskrit word nishkamakarma means selfless actions. Actions, which are
done for the good of all without seeking any personal benefits. It would be
indeed very difficult to survive in the contemporary world living a nishka-
makarma life. However, the Samaritan in the parable did it. Pope Francis
noted, «The Samaritan who stopped along the way departed without expect-
ing any recognition or gratitude. His effort to assist another person gave him
great satisfaction in life and before his God, and thus became a duty»16.
Material benefits may be of help. However, they cannot make a person
happy permanently. Humans have a potential to do selfless actions, which
can bring them greater happiness, joy and satisfaction17. Thus, at times one
needs to reach out to the needy without seeking material benefits or remu-
neration.

2.7 Overcome Prejudices & See the Other as One’s Own Flesh

The priest and the Levite in the parable of the Good Samaritan were Jews
and compatriots of the wounded man. However, they had their own preju-
dices and inhibitions, which prevented them from helping the wounded
man. They failed in their responsibility to proactively involve themselves
with the wounded man. Pope Francis noted, «He [Jesus] challenges us to
put aside all differences and, in the face of suffering, to draw near to others
with no questions asked. I should no longer say that I have neighbors to
help, but that I must myself be a neighbor to others»18. On the other hand,
the Samaritan acted very differently. He did not allow the feelings of ani-
mosity between the Jews and Samaritans to stop him from helping the
wounded man. He could overcome those cultural barriers and prejudices
because he did not bother to see the nationality of the wounded person. The

16
FT no. 79.
17
Cf. K.M. BROWN – R. HOYE – M. NICHOLSON, Self-Esteem, Self-Efficacy & Social Con-
nectedness as Mediators of the Relationships between Volunteering & Well-Being, “Journal
of Social Service Research” 38 (2012), 4, 468-483.
18
FT no. 82.

143
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

Samaritan only saw a wounded man, who was left on the street all alone to
suffer and die. Pope Francis noted, «So, this encounter of mercy between a
Samaritan and a Jew is highly provocative; it leaves no room for ideological
manipulation and challenges us to expand our frontiers. It gives a universal
dimension to our call to love, one that transcends all prejudices, all histor-
ical and cultural barriers, all petty interests»19.
In the contemporary world, which boasts of tremendous advancements in
science and technology is still plagued by issues of discrimination because
of caste, creed, religion, race, culture, language and social status20. Pope
Francis noted it is a shame that the contemporary world with all its achieve-
ments cannot get rid of discrimination and ghettos. He notes,

What would be the reaction to that same story nowadays, in a world that
constantly witnesses the emergence and growth of social groups cling-
ing to an identity that separates them from others? How would it affect
those who organize themselves in a way that prevents any foreign pres-
ence that might threaten their identity and their closed and self-refer-
ential structures? There, even the possibility of acting as a neighbor is
excluded; one is a neighbor only to those who serve their purpose. The
word neighbor loses all meaning; there can only be associates, partners
in the pursuit of particular interests21.

It is a shame that there are some people, who claim to be Christians yet
justify their evil deeds of hypocrisy and discrimination. They look-down on
people who may belong to other faiths, culture or race. They wrongly as-
sume that their race and color of skin makes them superior to others. It is
a shame that the heads of some Christian institutions, which preach that
all humans have equal dignity, discriminate on basis of color of skin, race
and culture. Pope Francis noted about them as follows, «Still, there are
those who appear to feel encouraged or at least permitted by their faith to
support varieties of narrow and violent nationalism, xenophobia and con-
tempt, and even the mistreatment of those who are different»22. To have

19
FT no. 83.
20
Cf. D. BHUGRA, Social Discrimination & Social Justice, “International Review of Psy-
chiatry” 28 (2016), 4, 336-341.
21
FT no. 102.
22
FT no. 86.

144
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

genuine faith implies that one need to respect others and uphold their
rights and dignity23.
Pope Francis noted, «Saint Paul urges us to rejoice with those who re-
joice, weep with those who weep (Rom 12:15). When our hearts do this,
they can identify with others without worrying about where they were born
or come from. In the process, we come to experience others as our own
flesh»24. When we see recognize the other person, as my own flesh then we
would probably never allow the weak and the needy to be left alone. We
would reach out to them with the love of Christ. All human beings are vul-
nerable and therefore in need of help from one another. There are no super-
humans who can manage to live an isolated life without the affection and
help of others25.

3. Relevance of the Parable of the Good Samaritan Amidst


3. the Pandemic COVID-19

Pope Francis raised several pertinent issues in his analysis of the parable
of the Good Samaritan, which could be applied amidst the pandemic
COVID-19. In the following section, I will refer to his analysis of the para-
ble and propose ways to apply it during and after the pandemic COVID-19.
Authorities across the globe demanded people to maintain physical dis-
tance to stop the spread of the COVID-19. In some countries, physical dis-
tance is referred as social distance. Even though the meaning of both these
terms is same, the term social distance could also convey a different mes-
sage. In places, where there is social inequity because of difference of class
or caste, social distance could imply to keep distance (socially isolate) from
individuals belonging to other class or caste. Thus, it would be safe to use
the term physical distance in the pandemic times to ask people to maintain
physical distance to stop the spread of the infection.
In the parable of the Good Samaritan, the priest and the Levite kept a
safe distance from the wounded man. They too were Jews like the wounded

23
FT no. 85.
24
FT no. 84.
25
Cf. A.R. CHAPMAN – B. CARBONETTI, Human Rights Protection for Vulnerable & Dis-
advantaged Groups: The Contributions of the UN Committee on Economic, Social & Cul-
tural Rights, “Human Rights Quarterly” 33 (2011), 3, 682-732.

145
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

man; however, they did not help him. They passed by him and left him
alone to die. On the other hand, a Samaritan chose to help the wounded
man. He was aware of the animosity between the Jews and the Samaritans;
however, class or caste differences were immaterial for him.
In contemporary times there is a lot of polarization because of divisive
politics. There is a growing animosity among people because of differences
of class, creed, race, caste, religion and nationality. Moreover, the pandem-
ic COVID-19 has pushed millions of people to utter poverty26. This has
widened the gap between the haves and the have-nots. The Samaritan
shared his resources to help the wounded man. He did not hesitate to spend
his time, energy and money for saving a person’s life. What would be our
response in a similar situation in the contemporary world? We can learn
from the Samaritan to get rid of our fears of losing time, energy and money
by helping the needy. If the Samaritan had abdicated his responsibility to
treat the wounded man, then the wounded man would have probably died.
The Samaritan did not wash his hands-off by assuming that someone else
would come forward to help the wounded man. He was convinced that it is
his responsibility at that time to go forward and help the wounded man. We
too, need to think like him. We cannot shift our responsibility on others to
help the needy.
Authorities imposed strict restrictions on human movement to prevent the
spread the infection of COVID-19. The worst affected groups because of
these restrictions were migrant workers, both domestic and international
and the workers of the unorganized sectors27. The sudden imposition of
lockdowns and restrictions left the poor and unskilled migrant workers with-
out jobs or any means of survival. They suffered the most because of the lack
of access to clean drinking water, food, personal hygiene and appropriate
medical services. The richer nations offered cash benefits to all their citi-

26
Cf. C. LAKNER, et al., Updated Estimates of the Impact of COVID-19 on Global Pover-
ty: Looking Back at 2020 & the Outlook for 2021, January 11, 2021, “World Bank Blog”
[https://blogs.worldbank.org/opendata/updated-estimates-impact-covid-19-global-pover-
ty-looking-back-2020-and-outlook-2021#:~:text=As%20reported%20above%
2C%20the%20pandemic,between%20143%20and%20163%20million;
https://archive.is/CQFoH].
27
OECD (2020), “What Is the Impact of the COVID-19 Pandemic on Immigrants &
Their Children?”, https://read.oecd-ilibrary.org/view/?ref=137_137245-8saheqv0k3&ti-
tle=What-is-the-impact-of-the-COVID-19-pandemic-on-immigrants-and-their-chil-
dren%3F (accessed 10 October 2022).

146
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

zens to help them overcome the difficulties because of the various restric-
tions. However, the developing nations could not afford to pay all their citi-
zens. In addition, even if some developing nations gave cash-benefits or
food to the poor, all those benefits did not reach them because of red-tape
and bureaucratic mismanagement. Thus, this brought immense hardships
and sufferings, especially in the lives of the migrant workers and the poor.
Migrant workers or the poor have the same dignity as any other human.
No one has the right to discriminate them because of their weak social sta-
tus or poverty. In the Old Testament there are references, which exhort the
Israelites to treat right the migrants and the poor because the Israelites had
the experience of being migrants in Egypt. «You shall also love the stranger,
for you were strangers in the land of Egypt» (Dt 10:19). Jesus taught that
serving the weak and the needy is equal to serving God (see Mt 25:35).
Pope Francis noted Christians need to put into practice the tenets of their
faith. In pandemic times, millions of migrants are stranded without any job
security or means of livelihood. Christians, especially in privileged posi-
tions in government or private establishments need to take the lead to help
these migrants in the best possible way. Pope Francis noted:

[I]n some host countries […] Migrants are not seen as entitled like oth-
ers to participate in the life of society, and it is forgotten that they pos-
sess the same intrinsic dignity as any person […] No one will ever
openly deny that they are human beings, yet in practice, by our deci-
sions and the way we treat them, we can show that we consider them
less worthy, less important, less human. For Christians, this way of
thinking and acting is unacceptable, since it sets certain political pref-
erences above deep convictions of our faith: the inalienable dignity of
each human person regardless of origin, race or religion, and the
supreme law of fraternal love28.

The pandemic COVID-19 has created complex problems in the lives of


many people. These problems affected their material, mental and spiritual
dimensions of their lives. Thus, it is important to identify the dimension in
which a person is seeking help. In the parable, the wounded man needed
immediate care, medical attention and rest. The Samaritan responded to

28
FT no. 39.

147
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

each of these needs and promptly helped the wounded man. In the follow-
ing sections, I will examine the three dimensions, namely material help,
psychological support and spiritual accompaniment, which are needed to
help the victims of the pandemic.

3.1 Material Help

Material help is immediately needed in the form of cash, food, portable wa-
ter, personal hygiene kits, medicines, ventilators and vaccines to prevent
the spread of the infection COVID-1929. Millions of people in developing
nations need these materials and thus, the developed nations like the
Samaritan could respond to their immediate needs by dispatching the relief
materials. In addition, the leaders of the developed nations need to devise
means to help the developing nations to rebuild their shattered economies.
They could provide them financial aid, waive off their debts and invest in
building infrastructure to generate employment. They could also offer them
technological support to manufacture medicines and vaccines locally to
control the infection of COVID-19.
The pandemic COVID-19 has affected all the people in one way or the
other, across the globe, without making any differences. The world is fac-
ing a global health crisis30. Thus, even if the developed nations are suc-
cessful in controlling the rate of infection in their nations, it would be a mo-
mentary achievement. This is because, if the rate of infection of COVID-19
is very high in some part of the world, it would affect other nations. There-
fore, the infection COVID-19 needs to be eliminated in all the places. To
achieve this goal, the developed nations need to generously supply medi-
cines and vaccines to the developing nations. We are all inter-related. We
need to think, “My neighbors’ well-being affects me”. No country or no
person can afford to say that they don’t bother about the well-being of an-
other country or person.

29
Cf. WORLD HEALTH ORGANIZATION, “WHO Concept of Fair Access & Equitable Alloca-
tion of COVID-19 Health Products”, Final working version 9 September 2020
[https://www. who.int/docs/default-source/coronaviruse/who-covid19-vaccine-allocation-
final-working-version-9sept.pdf (accessed 5 October 2022)].
30
Cf. UNITED NATIONS, “Everyone Included: Social Impact of COVID-19”. [https://www.un.
org/development/desa/dspd/everyone-included-covid-19.html; https://archive.is/L2zL4].

148
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

3.2 Psychological Support

The fear of infection and the stigma attached to it, has brought tremendous
mental stress in the lives of people31. In addition, restrictions on movement
and socializing have increased their distress. Moreover, the fear of losing
job or means of livelihood has created havoc and panic in the lives of mil-
lions. Some depressed people are also thinking about committing suicide.
The pandemic has affected both the rich and the poor alike. However, the
poor are in deeper trouble because of financial difficulties.
Leaders of every nation need to take the lead to assure their citizens that
there is hope and they need not take extreme steps like suicides or violence.
Further, it is their responsibility to provide moral support to the depressed
people by employing trained psychologists in large numbers to counsel peo-
ple. Apart from leaders, religious institutions too need to be like the Samar-
itan, who was not worried about the cultural differences and animosity be-
tween the Jews and the Samaritans. Religious institutions need to welcome
people irrespective of their creed or faith and offer them moral support to
find meaning in their lives32.

3.3 Spiritual Accompaniment

Jesus said, «One does not live by bread alone, but by every word that
comes from the mouth of God» (Mt 4:4). In other words, material or emo-
tional needs alone cannot satisfy a person. He or she also has deep seat-
ed spiritual needs. Even though all the people in the contemporary world
do not believe in the existence of God, there are many people who are
seeking spiritual fulfillment in their lives33. Some of these people do not
belong to any organized religion or faith, however they are interested in
spirituality.

31
Cf. INTERNATIONAL FEDERATION OF THE RED CROSS & RED CRESCENT (IFRC) PSYCHO-
LOGICAL SUPPORT PROGRAMME, “Social Stigma Associated with COVID-19: A Guide to Pre-
venting & Addressing Social Stigma” [https://pscentre.org/?resource=social-stigma-associ-
ated- with-covid-19 (accessed 5 October 2022)].
32
Cf. WORLD VISION, “Faith in Action: Power of Faith Leaders to Fight a Pandemic”
[https://www.wvi.org/sites/default/files/2021-02/Faith_in_action_report_final_small.pdf
(accessed 5 October 2022)].
33
Cf. P. HEELAS, Spiritualities of Life: Romantic Themes & Consumptive Capitalism,
Blackwell Publishing, Malden, MA – Oxford 2008, 60-78.

149
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

In the contemporary world, there is no dearth of religions in the world. In


addition, there are also cults or new religious movements, which try to trap
people by offering attractive spiritual methods for relaxation, good health
and material prosperity34. However, their aim is not to offer genuine spiri-
tuality, which can help a person to grow spiritually but to get material or
emotional benefits. Thus, it is incumbent on people belonging to organized
religions like Christianity, Buddhism, Hinduism or Islam to offer spiritual
accompaniment to people seeking spiritual growth.
The cause of the pandemic is the spread of the viral infection of COVID-
19. However, some people try to explain the cause of the pandemic as a
punishment of God for sins. Some also quote religious scriptures to claim
that the end of the times is very near. It would not be appropriate to resort
to unscientific basis to explain the cause of the outbreak of the pandemic.
Moreover, as the outbreak of the pandemic COVID-19 has brought many
difficulties in people’s lives, it would be unkind to blame someone’s sin as
the cause of the pandemic. In Jesus’ time too, people assumed that all dis-
asters are because of people’s sins. However, Jesus’ reply clearly revealed
that He did not accept their way of thinking.

At that very time there were some present who told him about the
Galileans whose blood Pilate had mingled with their sacrifices. He asked
them, ‘Do you think that because these Galileans suffered in this way they
were worse sinners than all other Galileans? No, I tell you; but unless you
repent, you will all perish as they did. Or those eighteen who were killed
when the tower of Siloam fell on them do you think that they were worse
offenders than all the others living in Jerusalem? No, I tell you; but un-
less you repent, you will all perish just as they did’ (Lk 13:1-5).

Jesus told the people not to assume that sin was the main cause of all dis-
asters in the case of the Galileans or the eighteen people on whom the tow-
er of Siloam fell. In another passage, His disciples asked Him a similar
question.

His disciples asked him, “Rabbi, who sinned, this man or his parents,
that he was born blind?” Jesus answered, “Neither this man nor his par-

34
Cf. P. HEELAS, et al., The Spiritual Revolution: Why Religion is Giving Way to Spiri-
tuality, Blackwell Publishing, Malden, MA – Oxford 2005, 1-11.

150
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan

ents sinned; he was born blind so that God’s works might be revealed in
him” (Jn 9:2-3).

In this passage too, Jesus noted the blindness of the person had nothing
to do with his or his parents’ sins. Thus, from these two passages we can
conclude that disasters and sickness are not always related to people’s sins.
In the pandemic times, people could encourage each other and rekindle
hope instead of attempting to blame someone’s sin as the cause of the pan-
demic. Jesus’ death and resurrection gives us hope that no trial or suffering
will last forever.
The Samaritan took courage to reach out to the wounded man. Even
though he nursed his external physical wounds, his selfless love may have
also healed the wounded man’s internal spiritual wounds. Christians could
learn from the Samaritan to be healers and beacons of hope amid sufferings
and disasters.

4. Conclusion

Pope Francis noted Christians need to act as the Samaritan, who could over-
come all cultural barriers to help the wounded man. In the contemporary
world, the pandemic has caused distress in the lives of many people. Chris-
tians too are affected by the pandemic. They too face the same difficulties
as others. However, the message of the parable of the Good Samaritan en-
courages them, not to lose hope but to do their best for helping others.

Reginal Alva
Nanzan University
([email protected])

151
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reginald Alva

ABSTRACT

THE APPLICATION OF THE MESSAGE


OF THE PARABLE OF THE GOOD SAMARITAN
IN THE CONTEMPORARY TIMES

Jesus’ parable of the Good Samaritan is well-known not only by Christians but
also by people who belong to other religious traditions or who have no affiliation
to any religion or faith. The primary reason for the popularity of this parable is
because of its core message of love, which has a universal appeal. In the con-
temporary times, the message of this parable has become even more relevant
because the pandemic COVID-19 has caused havoc in the lives of millions of
people and there is a great need to reach out to the weak and the vulnerable. In
this paper I will examine the application of this parable’s teachings in the con-
temporary times to encourage people to serve the needy amid the pandemic.
Pope Francis refers to this parable in his encyclical Fratelli Tutti to teach the im-
portance of caring for others, who may belong to different cultures or religions.
I will refer to the teachings of Pope Francis’ encyclical Fratelli Tutti and the
Catholic Church’s documents on social teachings in this paper.

COME APPLICARE IL MESSAGGIO


DELLA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO OGGI

La parabola del Buon Samaritano di Gesù è conosciuta non solo dai cristiani,
ma anche da persone che appartengono ad altre tradizioni religiose o che non
sono affiliate ad alcuna religione o fede. La ragione principale della popolarità
di questa parabola è il suo messaggio centrale di amore, che ha un fascino uni-
versale. Nell’epoca contemporanea, il messaggio di questa parabola è diventa-
to ancora più attuale perché la pandemia COVID-19 ha stravolto la vita di milio-
ni di persone e c’è un grande bisogno di raggiungere i deboli e i vulnerabili. In
questo articolo esaminerò l’applicazione degli insegnamenti di questa parabo-
la al giorno d’oggi per incoraggiare le persone a servire i bisognosi durante la
pandemia. Papa Francesco fa riferimento a questa parabola nella sua enciclica
Fratelli Tutti per insegnare l’importanza di prendersi cura degli altri, che posso-
no appartenere a culture o religioni diverse. In questo articolo farò riferimento
agli insegnamenti dell’enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco e ai documenti
della Chiesa cattolica sugli insegnamenti sociali.

Parole chiave: Buon samaritano; Fratelli Tutti; COVID-19; solidarietà

152
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

PER UNA RILETTURA


DEL SIMBOLO DI NICEA (325) (I)
La struttura simbolica della formula di fede

1. Interrogare Nicea – 2. La forma simbolico battesimale della professione di fede di Ni-


cea – 3. Rapporto tra de-finizione ed esperienza originale e originante, tra simbolo e mi-
stero celebrato; 3.1 La dimensione corporea del Mistero cristiano dà forma all’espressio-
ne confessante, celebrante e simbolica; 3.2 La dimensione simbolica dà corpo al Mistero

Parole Chiave: mistero; riconoscimento; immersione; Primo Concilio di Nicea (325)

Fra tre anni si celebrerà il XVII centenario dal grande Concilio di Nicea
(325 d.C.). Nell’avvicinarci a questa importante ricorrenza, ci sembra utile
rileggere alcuni temi e questioni offerti dal primo concilio ecumenico del-
l’antichità. Nicea si presenta infatti come punto di arrivo di una discussio-
ne che ha saputo e dovuto intrecciare piani differenti – cristologico, trini-
tario, soteriologico, ecclesiologico – ma anche un vero e proprio punto di
partenza, volàno di una identità ecclesiale formatasi sotto l’egida imperia-
le all’alba del IV secolo. La riflessione qui offerta – cui seguirà il prossimo
anno un ulteriore contributo – tenterà di rileggere alcuni importanti nodi e
snodi suggerendo piste su cui provare a riflettere.
Se, infatti, è sempre utile mettere a fuoco il rapporto tra i termini chiave
della definizione, cercando anche di ricostruirne il percorso – dal testo ai
suoi canoni, delineandone i prodromi, le cause e gli effetti –, a noi pare non
indifferente andare alla risultante di quelle spinte confluite nella confessio-
ne a forma simbolico-battesimale del primo Concilio ecumenico. Riflette-
remo, pertanto, sul rapporto intrinseco alla struttura simbolica della defini-
zione, che portò i Padri a rigettare la teoria filosofica ariana in favore di una
lettura del Mistero di Dio, che prenda le mosse dalla struttura stessa della
fede: immersiva e rammemorante.

153
3/2022 ANNO LXXV, 153-172 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

1. Interrogare Nicea

Rivolgersi a Nicea a partire dalla sua unità di testo e contesto ci permette


di porre lo sguardo sul nucleo sorgivo che è, forse, una lezione perenne per
la teologia. La professione di fede poggia sulle fondamenta del sacramento
battesimale cosicché, il rapporto tra definizione ed esperienza immersiva
originaria, esplora il nesso esistente tra il darsi della fede e il suo dirsi. Lo
sfondo del passaggio dal kh,rugma (kḗrygma) al dogma qui lo si vede pas-
sare per la vita liturgica delle prime comunità, attorno alla forma dichiara-
toria e interrogatoria della prassi battesimale e alla catechesi che lo prece-
deva1. Questo passaggio ha dato modo di precisare il contenuto del miste-
ro salvifico in risposta alle possibili sue differenti interpretazioni e, forse,
ha inciso sul nesso esistente tra definizione e riconoscimento. È un dato di
fatto che dalle varie espressioni dell’unica regola di fede, che le singole co-
munità costruivano attorno al simbolo battesimale per i propri catecumeni,
si sia giunti a definizioni ed espressioni determinanti l’appartenenza o l’e-
sclusione dal corpo ecclesiale.
Lo strutturarsi di un tale rapporto sarebbe davvero solo conseguenza del-
l’entrata in gioco dell’imperatore Costantino e della sua esigenza di rende-
re il Sinodo oltre che ecclesiale anche imperiale-ecumenico2? La definizio-
ne creò limiti circoscriventi una appartenenza o fu l’espressione simbolico
battesimale capace di indicare un altro spazio per il riconoscimento dell’e-
sperienza della fede?
Per questo il nostro contributo si snoderà in tre momenti, da comprende-
re alla luce dell’intimo intreccio dato dalla professione di fede come sim-
bolo. Se in questo primo articolo guarderemo alla forma simbolico-battesi-
male della professione di fede, il successivo sarà l’occasione per riflettere
su come questa simbolica abbia di fatto aperto uno iato entro cui pensare
l’identità ontologica, perché il vero riferimento di o`m` oou,sioj (homooúsios)
è il tema di Cristo, vera immagine del Padre, simile in tutto, senza differen-
za avpara,llaktoj eivkw.n (aparállaktos eikṑn); verremo condotti, infine, ad
una rilettura del tema paterologico offerto a Nicea e alla lettura sul princi-
pio del Padre che essa propone.

1
Cf. J.N.D. KELLY, I simboli di fede della chiesa antica. Nascita, evoluzione, uso del cre-
do, Dehoniane, Napoli 1987, 29-35.
2
Cf. A. GENOVESE, Costantino e l’istituzione dell’ortodossia cattolica. Riflessioni in mar-
gine a un romanzo di successo, “Faleritanum” (2017), 2, 23-37.

154
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

2. La forma simbolico battesimale della professione di fede


2. di Nicea

Ogni volta che si guarda il Simbolo niceno è giustamente richiamato il fat-


to che la prima definizione di fede conciliare sorga su una professione bat-
tesimale; ma resta in ombra cosa implichi realmente l’uso simbolico di
matrice liturgica di questa definizione del Mistero. Che sia un simbolo bat-
tesimale lo si considera come un dato acquisito, eppure entrerà nell’uso li-
turgico solo dopo Costantinopoli (381) e con variazioni tra occidente e
oriente3. La differenza è testimoniata anche dal modo in cui sarà ricorda-
ta la professione di fede nicena: a Costantinopoli verrà richiamata come
esposizione della fede (e[kqesij pi,stewj, hékthesis písteōs), ad Efeso sem-
plicemente fede (pi,stij, pístis), a Calcedonia per essa si userà il termine
simbolo (su,mbolon, symbolon)4.
È a poco a poco che Nicea entra nell’immaginario collettivo; volendo se-
guire più una immagine romantica di pochi contro molti, si dirà che i ve-
scovi presenti furono 318, creando una corrispondenza con il manipolo di
uomini con cui Abramo liberò Lot dalla prigionia (cf. Gen 14,14-16). Ep-
pure, dando uno sguardo alle varie formule che lo seguiranno5, sembrereb-
be che della sua definizione se ne ravviserà l’importanza solo dopo qualche
anno, a causa della mancata chiarezza nel gioco delle interpretazioni fra
partiti filoariani, alessandrini, antiocheni, niceni e neoniceni. Quando si
procede ad analizzare il con-testo sembra scemare il testo simbolico, come
se questa sua precisa forma non giochi più alcun ruolo nella sua compren-
sione, a favore quindi di una lettura più vicina ad una definizione di fede.
Nicea si presenta come una formula a tre membri, impostata sul mandato
ricevuto dal Risorto di andare ad ammaestrare e battezzare «nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (cf. Mt 28,19s). Il rapporto tra l’even-

3
Cf. B. CAPELLE, L’introduction du symbole à la messe, in Mélanges Joseph de Ghellinck,
S.J., vol. 2, Duculot, Gembloux 1951, 1003-1027; V. RAFFA, Liturgia eucaristica. mista-
gogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, CLV – Edizioni Li-
turgiche, Roma 1998, 344-347; A. ELBERTI, Il culto cristiano in occidente. Storia e fonda-
menti, Chirico, Napoli 2015.
4
Cf. M. FIEDROWICZ, Teologia dei Padri della Chiesa. Fondamenti dell’antica riflessio-
ne cristiana sulla fede, Queriniana, Brescia 2010, 229-230.
5
Cf. D. SPADA, Le formule trinitarie da Nicea a Costantinopoli, Urbaniana University
Press, Città del Vaticano 2003.

155
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

to e la parola trasmessa fin dal principio dai testimoni dell’identità di Gesù


sta alla radice di una catena aurea (cf. 1Cor 11,23; 1Cor 15,3) ancorata al
kh,rugma (kḗrygma) apostolico. Da qui la necessità di definire e saldare le
cose trasmesse all’origine per mezzo dell’apostolicità e, dall’altro, di tra-
smettere l’evento quale accesso al Mistero misticamente, ossia nella liturgia
e nei sacramenti6. Sul simbolo battesimale vanno ad inserirsi, mano a mano,
sempre più proposizioni7. Ora, se i simboli di fede non sono attestabili se
non dalla seconda metà del II secolo, non significa, però, che prima non cir-
colassero già confessioni strutturate proprio sul modello battesimale8.
Pertanto, la confessione di fede di Nicea non possiamo definirla sempli-
cemente come un simbolo battesimale: nel testo è ravvisabile, infatti, un ar-
ricchimento sia di proposizioni che meglio esplicitano l’evento nella sua di-
mensione storico salvifica, ma anche di quelle atte a contenere le derive
eterodosse del tempo. In questo senso andava già il testo del Sinodo di An-
tiochia (324-325), che non solo anticipa di poco Nicea, ma di fatto si pone
come il «precursore di tutti i credo confessionali»9, perché all’inequivoca-
bile fondamento di un credo aggiunge una serie di preposizioni antiariane
mirate e circoscritte.
Alcuni studiosi sono andati alla ricerca di un testo base anche per Nicea.
Kelly ipotizzò la prossimità di Nicea ai Credo di Gerusalemme e Antio-
chia10; Pietras sottolinea come non ci siano né fonti né documenti che atte-

16
Basilio (Spir. 66 [181]) parla della ricezione «della tradizione apostolica a noi trasmes-
sa attraverso il mistero (evn musteri,w,| en mysteríō», il luogo della sua trasmissione non è pe-
rò la dottrina pubblica, bensì quella «nascosta» [183]: della vita liturgica e sacramentale,
del battesimo e dell’eucarestia. Cf. FIEDROWICZ, Teologia dei Padri della Chiesa, 53-95.
17
Cf. R. CANTALAMESSA, Cristo “immagine di Dio”. Le tradizioni patristiche su Col 1,15,
in: ID., Dal Kerygma al dogma. Studi sulla cristologia dei Padri, Vita & Pensiero, Milano
2019, 11-17. L’ampliamento è ben testimoniato nel testo del Kelly quando mostra lo svi-
luppo delle forme fisse e le tappe che portarono verso una stabilizzazione delle stesse: cf.
KELLY, I simboli di fede della chiesa antica, 61-98.
8
Cf. ibid., 6.
19
Ibid., 208-209. Cf. A. GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa. Vol 1.1: Dal-
l’età apostolica al Concilio di Calcedonia (451), Paideia Editrice, Brescia 1982, 517. Per
i riferimenti al testo arrivato in lingua siriaca del Sinodo di Antiochia: J.R. MYMAN, The
Synod at Antioch (324-325) and the Council of Nicea, “Studia Patristica”, vol. 4, F.L.
Cross, Akademie Verlag – Berlin 1961, 483-489. Per uno studio sul rapporto tra il Sino-
do di Antiochia e Nicea si rimanda al testo di H. PIETRAS, Concilio di Nicea (325) nel suo
contesto, Gregorian & Biblical Press, Roma 2021, 117-130.
10
Cf. KELLY, I simboli di fede della chiesa antica, 217-222.

156
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

stino l’uso di un precedente e, tanto meno, la necessità di un solo «credo


unificato, o addirittura obbligatorio per tutti»11. Simonetti non ritiene pos-
sa essere il simbolo battesimale della città di Cesarea12 anche se, a dire del
suo vescovo Eusebio, l’imperatore stesso lo avrebbe approvato e proposto
all’assemblea con la sola aggiunta del termine o`m` oou,sioj (homooúsios)13.
Se ha senso ipotizzare un testo base, questo non sembra oggi più rinvenibi-
le; la ricerca sta dunque virando verso una più probabile costruzione del te-
sto a blocchi14.
Ecco che la forma testuale sembra suggerire di guardare a Nicea per il
suo contesto polemico antiariano. L’esposizione della fede è mediatrice d’i-
dentità: «prima che informare sul reale, dà forma al reale, prima che rap-
presentare ciò che è, agisce su di esso intervenendo sulle sue stesse rap-
presentazioni»15; Nicea si imporrà in quanto atto sinodale16, ma anche in
quanto atto imperiale. Costantino vi svolgerà comunque un ruolo (epi,sko-
poj tw/n evkto,j, epískopos tōn ektós), dettato dalle sue preoccupazioni e in-
tenzioni: rappacificare le comunità dai possibili scismi (cf. donatisti e me-
liziani), celebrare il ventennale della sua elezione, in qualità di pontifex ro-

11
PIETRAS, Concilio di Nicea (325) nel suo contesto, 118.
12
Cf. Lettera di Eusebio di Cesarea ai fedeli della sua diocesi, in ATANASIO, Il credo di
Nicea, Città nuova, Roma 2001, 126-132.
13
«Non è facile dare preciso apprezzamento di questo racconto, tanto più che Eusebio
non lo ha riferito spassionatamente ma per giustificare di fronte la sua comunità l’appro-
vazione da lui data ad una formula di fede che contrastava non poco con l’atteggiamento
filoariano da lui tenuto sin dall’inizio della controversia. Perciò, alla luce del documento
sul concilio antiocheno del 325 che condannò Eusebio di Cesarea, insieme con Teodoto
di Laodicea e Narcisso di Nerodiade, demandando però la sanzione definitiva al concilio
di Nicea, si è interpretato l’operato di Eusebio a Nicea come condizionato dal desiderio
di chiarire la propria posizione: in tal senso egli avrebbe prodotto il simbolo della sua cit-
tà come propria formula di fede e Costantino l’avrebbe approvata scagionando ipso facto
Eusebio dalla precedente condanna. Invece il simbolo che sarebbe servito di base per la
formula nicena sarebbe stato un simbolo di città siro-palestinese non identificabile da
parte nostra»: M. SIMONETTI, La crisi ariana del IV secolo, Institutum Patristicum Augusti-
nianum, Roma 2010, 83.
14
Cf. W. KINZIG – M. VINZENT, Recent Research on the Origin of the Creed, “The Jour-
nal of Theologial Studies” (1999), 50, 534-559.
15
G. MAZZA, La liminalità come dinamica di passaggio. La rivelazione come struttura
osmotica-performativa dell’inter-esse trinitario, Pontificia Università Gregoriana, Roma
2005, 607.
16
Cf. KINZIG – VINZENT, Recent Research on the Origin of the Creed, 555.

157
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

manus trasmettere le formule di preghiera di tutte le religioni ufficiali del-


l’impero, compresa ora anche quella cristiana17. C’è quindi una novità che
Nicea porta con sé: un confine viene ad essere in qualche modo segnato18,
per la sua forma e identità rispetto a quanto lo precede19.

3. Rapporto tra de-finizione ed esperienza originale e originante,


3. tra simbolo e mistero celebrato

Eppure, la novità la si apprezza non appena si guarda ciò che accade a quel
dispositivo simbolico, interno al mistero battesimale: più che seguire spin-
te definitorie, erigendo confini certi e sicuri al fine di preservare la regola
della fede da possibili derive ereticali, il credo, nella sua tensione simboli-
co-immersiva, precede e accompagna l’interpretazione dogmatica.
Nel rito battesimale, il catecumeno nella sua confessione dichiarava la
propria fede nel Signore crocifisso e risorto: si lasciava riconoscere come
parte dell’unico corpo mistico del Signore Gesù dalla comunità celebrante
proprio attraverso quella fede professata20. La prassi catecumenale prevede-
va un doppio momento: il catecumeno riceveva dalle mani del vescovo la re-
gola della fede, nella sua forma tramandata e commentata, restituendola pri-
ma della celebrazione, in mysterio, nelle acque del fonte battesimale; era la
traditio e redditio symboli o a`paggeli,a th/j pi,stewj (hapanghelía tē s pís-
teōs). Seguiva la celebrazione: il catecumeno, assentendo alle domande del
celebrante, tripartite e formulate a partire dalle stesse parole evangeliche21,

17
Cf. PIETRAS, Concilio di Nicea (325) nel suo contesto, 91-109.
18
Cf. FIEDROWICZ, Teologia dei Padri della Chiesa, 229-235.
19
Casula, con uno sguardo più storico-critico, guarda al rapporto novità/discontinuità
di Nicea rispetto alla sua ricezione e discontinuità con la prassi precedente: L. CASULA,
La teologia nicena e la tradizione, in: F. SCANZIANI (cur.), Fare teologia nella tradizione,
Glossa, Milano 2014, 129-152.
20
Cf. G. CAVALLOTTO, Catecumenato antico, Dehoniane, Bologna 1996.
21
Già Agostino, nella polemica con i donatisti circa il battesimo, richiamava alle pre-
cise parole del Vangelo per la validità della formula battesimale: «Che forse se risultasse
che alcuni sono stati battezzati con l’acqua sulla quale sono state fatte queste invocazioni,
li obbligheremo a ribattezzarsi? Perché questo? Perché spesso il sentimento di chi invoca
prevale sul vizio della formula, e perché le precise parole del Vangelo, senza le quali non
si può consacrare il battesimo, hanno una efficacia così grande da annullare tutte le
espressioni contro la Regula fidei»: AGOSTINO, Sul battesimo contro i donatisti, VI, 25,47.

158
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

veniva immerso nell’acqua del fonte per con-morire e con-risorgere in Cri-


sto ed essere così spostato dalla morte alla vita in Dio (cf. Rm 6,1-11; 2Cor
5,14-21).
Il credo dichiaratorio, professato prima del rito sacramentale, indicava
l’oggetto della fede ma questa avrebbe preso/dato corpo solo attraverso
l’immersione e l’assenso all’interrogazione del celebrante. La dichiarazio-
ne di fede affermava ciò che si credeva e in cui ci si riconosceva salvati, ma
essere riconosciuti, da chi avrebbe dovuto celebrare, era un atto di grazia,
nel quale si riconosceva il dono di Dio proprio nella modalità della sua co-
municazione. Si saldavano il dirsi di Dio con il suo darsi, cosicché quel rap-
porto, che verrà successivamente definito in termini di fides qua e fides
quae creditur – ossia la fede con cui si crede e la fede delle cose credute –,
trovava il proprio luogo rivelativo nella prassi della lex orandi, credendi e
celebrandi, ossia la fede che celebra ciò che crede in un dialogo fatto di vo-
ci e risposte, di parole ascoltate e del loro echeggiare.
La formula che verrà usata nella professione di fede nicena vive di que-
sta congiuntura. La forma della sua esplicitazione, essendo un atto sinoda-
le, non poteva che essere dichiaratoria; se la si sottraesse dal linguaggio mi-
sterico, si rischierebbe di spostarla sul versante logico/conoscitivo della fe-
de rispetto a quello comunicativo/immersivo, di fatto squilibrandola. Pro-
prio questa richiesta reciproca di dirsi e darsi in a/Altro è ciò che con-tie-
ne e salda le due dimensioni. Si tratta della stessa struttura esperienziale
della fede, del suo riprodursi non come gnosi, ma come sapere estetico ed
estatico, simbolico e performativo: umano e, pur tuttavia, così divino, ma
anche divino e, pur tuttavia, così umano22.
Il modello immersivo e il riconoscimento avvengono reciprocamente a
Nicea. L’entrare nel corpo del Signore è entrare nel Mistero visto che il sa-
cramento è la porta di accesso al Mistero: «la fonte di ogni salvezza è l’u-
manità del Salvatore. La unione ipostatica è, secondo Origene, la causa
esemplare di ogni unione graziosa a Dio»23 cosicché è nella duplice rela-
zione di «trascendenza senza mescolanza da una parte, immanenza fino a
lasciare indistinte le frontiere, dall’altra», che è assicurata «al mistero del-
la Chiesa la sua struttura sacramentale. Se il “corpo mistico” non è una pu-

22
Cf. P. SEQUERI, Ritrattazioni del simbolico. Logica dell’essere-performativo e teologia,
Cittadella, Assisi, PG 2012.
23
H.U. VON BALTHASAR, Parola e mistero in Origene, Jaca Book, Milano 1991, 63.

159
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

ra metafora, se questa comunione dei santi è veramente incarnata, se d’al-


tronde questo corpo è comunque distinto da ogni altro corpo perché è il cor-
po del Cristo, se queste due condizioni si congiungono, si dovrà toccare
questo corpo come si toccava la carne del Cristo»24. L’autocomunicazione
divina non si interpreta in senso metafisico causale: «la sua essenza veri-
tativa non consiste nella mutazione che essa produce nei soggetti interes-
sati, ma nella reciproca immanenza della loro ipseità […] L’autocomunica-
zione di Dio all’uomo costituisce una novità per Dio stesso, poiché l’uomo
al quale è destinata la riceve secondo la stessa qualità che sarà in Dio»25:
l’uomo la determina in quanto altro da Dio, ma è Dio stesso che la realizza
in modo nuovo, conferendogli la capacità di determinare ciò che egli gra-
ziosamente e liberamente è.
L’iniziazione cristiana è un ingresso in una forma preesistente di fede,
che la professione ecclesiale anticipa e riceve. La forma dichiaratoria e in-
terrogatoria battesimale è stata intuita come via di trasmissione secondo
questa tensione: l’appartenere alla tradizione apostolica poteva essere tra-
smesso solo in mysterio / evn musteri,w,| credendo quello che si prega e ot-
tenendolo solo in dono, espressione autentica della res dell’esperienza di
fede26. Ecco perché al momento immersivo seguiva il riconoscimento. Co-

24
Ibid., 67. Heim osserva: «The crowd does not gather around a body; it gathers to be-
come Christ’s body in the world, animated by the Holy Spirit of peace»: S.M. HEIM, Saved
from Sacrificie. A Theology of the Cross, Wm. B. Eerdmans Publishing Company, Grand
Rapids, MI 2006, 233.
25
A. BERTULETTI, Dio, il mistero dell’unico, Queriniana, Brescia 2014, 544.
26
Così il documento della Commissione teologica internazionale nel 1989, L’interpre-
tazione dei dogmi, bene riassumeva: «In ultima analisi, ogni rivelazione è la rivelazione
e la comunicazione che Dio Padre fa di sé mediante il Figlio nello Spirito Santo, affinché
entriamo in comunione con lui. Per tale ragione Dio è l’unico oggetto, che tutto compren-
de, della fede e della teologia (san Tommaso d’Aquino). Di conseguenza è esatto dire che
actus credendi non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem [S.Th. II-II, 1,2.]. In accordo
con ciò, la tradizione teologica del Medioevo stabilisce a proposito dell’articolo di
fede: articulus fidei est perceptio divinae veritatis tendens in ipsam [S.Th. II-II, 1,6]. Ciò
significa che l’articolo di fede è un’apprensione reale e vera della verità divina; è una
mediazione dottrinale che contiene la verità di cui è testimone. Proprio perché è vero,
esso rimanda, oltre se stesso, al mistero della verità divina. Ne consegue che l’interpre-
tazione dei dogmi è, come ogni interpretazione, un cammino che ci conduce dalla paro-
la esteriore al cuore del suo significato e, infine, all’unica ed eterna Parola di Dio»: COM-
MISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Documenti 1968-2004, Edizioni Studio Domenica-
no, Bologna 2006, 404.

160
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

loro che entravano a far parte, come membra vive, del corpo del Signore
glorioso facevano l’esperienza di essere stati riconosciuti figli nel riconosci-
mento del Figlio (Mc 1,11: «Tu sei il mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio
compiacimento»), ma anche di essere stati ammessi al reciproco riconosci-
mento aperto e offerto da Gesù (Mt 11,27: «nessuno conosce il Figlio se non
il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Fi-
glio vorrà rivelarlo»).
Nel simbolo la fede vede; la fede è una sorta di metaforizzazione del ri-
conoscimento27: nel riconoscere si è al contempo anche riconosciuti. Per-
tanto, occorre entrare nel riconoscimento di un A/altro: il proprio darsi a
conoscere ha, come suo corrispettivo, il farsi riconoscere altri rispetto ad un
altro, cosicché l’essere proprio di ciascuno, l’in-sé, riposa nello spazio la-
sciato aperto al riconoscimento che solo un altro compie come altro28. Que-
sta dinamica è la stessa entro cui devono entrare, immessi e ammessi, i di-
scepoli: essere riconosciuti da Gesù significa riconoscere la propria identi-
tà riconfigurata29. Nella scena dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24, 13-35),
riconoscere il Risorto è possibile solo a patto di aver fatto l’esperienza del-
la sua identità pre-pasquale. Solo così si passa all’evidenza della corrispon-
denza tra il suo darsi a conoscere rispetto a quanto è stato mostrato e, dun-
que, anche chiesto: d’essere riconosciuto per la sua singolarissima identi-

27
Cf. H. BLUMENBERG, Paradigmi per una metaforologia, Raffaello Cortina, Milano
2009; F. CERAGIOLI, «Il cielo aperto» (Gv 1,51). Analitica del riconoscimento e struttura del-
la fede nell’intreccio di desiderio e dono, Effatà, Cantalupa, TO 2012.
28
«“Conoscere” nell’ambito della rivelazione significa anche – e spesso soprattutto –
“conoscere obliquamente”. Non può esistere un’unica modalità conoscitiva e dunque an-
che comunicativa della rivelazione, perché essa è pluriprospettica e quindi anche pluri-
significante. Ancora di più, essa è un conoscere-prima, dal momento che è eternamente
rigenerata dalla forza vivificante dell’inizio: fondata sulla rivelazione, la teologia non
smette mai di “iniziare”, poiché non ha mai iniziato veramente a finire. L’esperienza sim-
bolica ha in tutto questo un valore insostituibile. Essa esprime al meglio la natura “obli-
qua” della recezione del fondamento e si presenta come approccio plurivoco tanto in or-
dine alla partecipazione noetica quanto in ordine alla sua riespressione […] la rivelazio-
ne divina non si dà mai in quadri di senso o di significati statici. Non è accettabile una
recezione del concetto di presenza simbolica che pretenda di esaurire la ricchezza della
categoria di presenza entro le coordinate di una raffigurazione fotostatica. Simbolo è mo-
vimento, dynamis, partecipazione senza possesso»: MAZZA, La liminalità come dinamica
di passaggio, 610.
29
Cf. M. GRONCHI, La singolare universalità dell’esperienza religiosa di Gesù (I), “Eun-
tes Docete” (2000), 2, 137-151.

161
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

tà, esibita e donata, affinché chi la fa propria e la sperimenta, si senta rico-


nosciuto nel riconoscerlo Signore30.
L’annuncio è l’affermazione di una identità: riconoscere che Gesù sia il
Signore risorto significa comprendere che chi era stato conosciuto per le vie
della Galilea è lo stesso del quale si era fatta un’esperienza singolare e al
tempo stesso assoluta, determinata dall’azione e dalla relazione ad un ter-
zo, il Padre. La sua intimità con il Padre è il centro della sua identità filia-
le: riconoscerla significa entrare nel suo riconoscimento di Figlio di Dio ed
essere, quindi, da lui stesso chiamato a partecipare del dono del Padre, la-
sciandosi riconoscere figlio in un altro, il Figlio, per il dono di una recipro-
cità indisponibile ma solo e semplicemente donata perché da un altro rico-
nosciuta (cf. Gv 14,20-23)31.
Ecco, quindi, che esperienza immersiva e riconoscimento si coniugano,
si saldano richiamandosi in una sorta di compenetrazione. È grazie al cor-
po che l’uomo vive la conoscenza del mondo: non come astrazione, né in
una sorta di alienazione e neppure in una sublimazione dal sapore hegelia-
no, bensì come presenza32. Né soggetto né oggetto pongono la relazione in
loro e tra loro stessi, ma sono posti in un rimando a un momento originario,
segnico, gestuale33. Proprio attorno a questa evidenza di un terzo – sempre
implicito e implicato, in una asimmetricità che è foriera di scambi e con-
traccambi – soggetti/oggetti si connettono, seguendo una struttura o un mo-
dello che simultaneamente creano e al quale si arrendono, accresciuti dal-
la capacità di ricevere e trasmettere nello stesso momento. È come innamo-
rarsi dell’amore da parte dei due amanti: un riconoscersi vulnerabili all’al-
tro e responsabili per l’altro, una resa all’alterità dell’amato e alla propria

30
Cf. F.G. BRAMBILLA, Il Crocifisso Risorto, Queriniana, Brescia 1998, 271-289; P. SE-
QUERI, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996, 184-
189.
31
Cf. M. BRACCI, Paterologia. Per una teologia del Padre, San Paolo, Cinisello Balsa-
mo, MI 2017; cf. P. SEQUERI, L’interesse teologico di una fenomenologia di Gesù: giustifi-
cazione e prospettive, “Teologia” (1988), 3, 289-329.
32
Cf. M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003;
per una analisi e critica del tema del riconoscimento si rimanda al saggio di P. RICŒUR,
Percorsi del riconoscimento, Raffello Cortina, Milano 2005. Per una rilettura del tema in
chiave teologica cf. S. TAMBINI, Nommer Dieu. L’itinerario filosofico e teologico di Paul Ri-
cœur e la sua pertinenza per gli studi trinitari, Antonianum, Roma 2021.
33
Cf. A. ZHOK, Fenomenologia e genealogia della verità, Jaca Book, Milano 1998.

162
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

amabilità, capace di dare unità e condivisione nel dispiegarsi reciproca-


mente ed asimmetricamente34.
Feconda, in questa prospettiva, la rilettura di quei testi che svelano il ri-
conoscersi di Gesù: a Cana (cf. Gv 2,1-11) è nello sguardo di un’altra, la
madre, che si fa presente il desiderio che abita il cuore del Padre; ancora
una donna, una cananea, che ha fede nella più grande apertura di Dio ri-
spetto alla chiusura etnico-religiosa, fa riconoscere a Gesù la missione cui
il Padre lo invita (cf. Mt 15,21-28). Nel momento in cui il riconoscimento
avviene, esso permette e libera il proprio riconoscersi nel Padre (così lo so-
no le stesse Scritture, come in Mt 11,2-11, o le opere in Mt 6,1-18). Que-
sto spazio non è escludente, ma ospitale: amare Gesù ed osservare la sua
parola non avvengono se non lasciando emergere l’identità nella più gran-
de alterità lì esibita; eppure, sono in grado altresì di domandare e offrire ri-
conoscimento, perché immersi nell’immergersi di un terzo: ora dalla rela-
zione che Gesù ha con il Padre, ora per quello Spirito che in quella crea una
stabile dimora (cf. Gv 14,15-24).
Nel riconoscimento unità e distinzione oltrepassano il loro rapporto dua-
le35. Non si è destinati a qualcosa, ma a e con qualcuno: «all’amore tra noi
Dio non si aggiunge, vi si manifesta»36. È l’Altro che è incluso senza esser-
vi rinchiuso. Come mostra bene la Benjamin, si tratta di superare la logica
del dominio37. Bonaccorso lo ha ben indicato mettendolo a fuoco nella ter-
zietà del corpo. Nel passare del tempo questi è il luogo in cui altro (si) im-
prime ed esprime mostrando il suo dominio; ma il corpo è altresì testimo-
ne della potenza della vita: del resistere alla morte immergendosi nella vi-
ta, dell’ascolto «non della parola che informa ma della parola che ri-suo-

34
Cf. J. BENJAMIN, Il riconoscimento reciproco. L’intersoggettività e il Terzo, Raffaello
Cortina, Milano 2019, 31-67. Si confronti qui già l’intuizione di Balthasar riguardo al rap-
porto madre-bambino in Solo l’amore è credibile del 1963, successivamente ripreso in
L’accesso alla realtà di Dio del 1967; su questo percorso si rimanda a E. PRATO, Il princi-
pio dialogico in Hans Urs von Balthasar. Oltre la costituzione trascendentale del soggetto,
Glossa, Milano 2010.
35
«Il riconoscimento, infatti, va inteso come un processo relazionale temporalmente
disteso, costituito da eventi intersoggettivi affettivamente connotati, nei quali progressiva-
mente emergono l’identità dell’io e l’alterità dell’altro e, grazie all’interazione con l’altrui
libertà, la libertà del soggetto perviene a se stessa»: CERAGIOLI, «Il cielo aperto», 472.
36
M. BELLET, La lunga veglia 1934/2001, Servitium, Sotto il monte, BG 2004, 257.
37
Cf. J. BENJAMIN, Legami d’amore. I rapporti di potere nelle relazioni amorose, Rosen-
berg & Sellier, Torino 1991.

163
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

na»38. Il corpo si fa memoria, presenza dell’altro nella sua assenza. Il suo-


no ha corpo, è inscindibile dal mezzo per cui si propaga. Così, nell’ascolto
della parola filiale un altro risuona (Rm 10,17): nel battesimo si entra nel-
la vita del Figlio cosicché quella risuona in noi come in Lui. Non si tratta
di mero ascolto, quasi la fede fosse conoscenza di quanto udito al modo
gnostico; piuttosto, di rimanere nell’ascolto, nell’echeggiare della parola fi-
liale e paterna per lo Spirito. Solo questo entrare nel riconoscimento della
stessa esperienza originale e originante di Gesù, del Figlio, è, a distanza di
tempo, generatrice di una identità gratuita e liberante:

Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cri-


sto è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita
per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai mor-
ti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita an-
che ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi
[…] E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella
paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo
del quale gridiamo: Abbà! Padre!. Lo Spirito stesso, insieme al nostro
spirito, attesta che siamo figli di Dio (Rm 8,9-11.15-16).

L’intreccio delle due dimensioni, che abbiamo brevemente abbozzato, ci


sembra fecondo e da recuperare nella lettura di Nicea.

3.1 La dimensione corporea del Mistero cristiano dà forma


3.1 all’espressione confessante, celebrante e simbolica

I Padri, per esplicitare la propria fede, si riferirono al credo dichiaratorio


battesimale, per quell’intreccio di esperienza sorgiva e immersiva che pen-
sa la forma realizzata della grazia dell’incontro nell’altro, del riconoscere
per essere riconoscibili e riconoscere la vera fede per la forma con cui que-
sta si dice e dona. Come afferma Sequeri, «nel dono dei legami in cui è pre-
cisamente accaduto […] il simbolo è fuori da ogni estetica dell’immagine e
da ogni cognitivismo del rimando. La potenza del nodo sta nel suo essere
accaduto: nel suo essere stato abitato dal Signore, che lo consegna. Abitar-

38
G. BONACCORSO, Il corpo di Dio. Vita e senso della vita, Cittadella, Assisi, PG 2006,
141.

164
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

lo restituisce il legame: identico a quello che fu abitato e rimane abitabi-


le»39. Così il simbolo battesimale salda e immerge a quel fondamento che
non può essere co-abitato, perché nel battesimo non è in questione il dive-
nire cristiani, figli di Dio, ma l’esserlo-con, l’esserlo-in. Pertanto, la defini-
zione della fede non può essere circoscritta alla sola forma dichiaratoria, lo-
gico-affermativa, pena sospenderne la sua dimensione immersiva, ramme-
morativa, per fissarla in una strana dimensione ontica metatemporale40.
Fedele alla rilettura delle origini, in questa linea si è mossa la letteratu-
ra simbolico-sacramentale dello scorso secolo: sulla scia del rinnovamen-
to conciliare, il rapporto tra segno e sacramento è stato oggetto di una ri-
collocazione del segno all’interno dell’autocomunicazione che Dio, per
grazia e amore, fa all’uomo e al mondo nel tempo41. Se il riferimento alla
sostanza permetteva di dire il rapporto tra modi di operare, guardando agli
effetti per la via causale e strumentale, è però con il ricorso alla immagi-
ne simbolica che si riesce a lasciare uno spazio di tensione, a dare, al tem-
po, tempo per indicare ciò che ha già comunicato e fatto sorgere dal bas-
so. Forse questa stessa intuizione è proprio presente a Nicea nel passaggio
da una dimensione prima, ontologica dall’alto, ad una storico-salvifica.
Con quel «per noi e per la nostra salvezza» la domanda dell’identità sposta
il suo baricentro. Se l’essere del Figlio è comprensibile solo nel ricono-
scerlo come colui che viene dal Padre per una via unica, di generazione, e
non al modo delle creature, per creazione; ciò è possibile perché la diffe-
renza di cui si sta parlando non è rispetto all’origine, compresa in termini
essenziali, ma rispetto all’originale desiderio di Dio, che orienta e destina.
L’affermazione della pre-esistenza del Logos è sempre stata il luogo di una

39
SEQUERI, Ritrattazioni del simbolo, 116.
40
Riprendendo Agostino – quando afferma che «l’Apostolo dice: Siamo stati sepolti in-
sieme con Cristo nella morte mediante il battesimo. Non dice: “Abbiamo rappresentato la
sepoltura”; ma proprio: Siamo stati sepolti insieme [non ait: Sepulturam significavimus; sed
prorsus ait: Consepulti sumus]. Non ha voluto dare al sacramento di sì gran mistero altro no-
me che quello del mistero stesso» [AGOSTINO, Le lettere I (1-123), Città Nuova, Roma 1969,
296-297] – Bonaccorso sintetizza: «La sottolineatura è chiara: non significavimus ma su-
mus, non la via della semplice rappresentazione ideale, affidata all’intelletto, ma quella
dell’essere reale, affidata al battesimo, ossia un rito […] Il rito, per così dire, impone una
sua evidenza che sembra integrarsi molto bene con l’essenza più profonda di una fede irri-
ducibile alle opzioni (intelletto-volontà) umane»: BONACCORSO, Il corpo di Dio, 61.
41
Cf. W. KASPER, La Chiesa sacramento universale della salvezza, in: ID., Teologia e
Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, 247.

165
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

terzietà: l’identità duale del crocifisso con il risorto indicava un altrove, in


cui l’identità aveva a che fare solo e soltanto con il Padre, riconoscibile nel
suo desiderare la salvezza di ogni creatura e così ha dato al mondo il pro-
prio Figlio (cf. Gv 3,16-18).
Quello stesso spostamento, dalla risurrezione alla pre-esistenza, aveva
dato adito alla questione ariana per eccellenza: pensare dall’inizio, dall’e-
terno, lasciava un vuoto da dover riempire. Ogni interpretazione del Logos
quale ‘secondo Dio’, al modo platonico, provava a diminuire la distanza
dall’origine accentuandone, però, la differenza ontologica. Lo scandalo del-
la croce si spostava al rapporto tra nature, così che anche la salvezza ri-
schiava di essere pensata all’interno di queste coordinate. La fede in Cri-
sto, invece, aveva una matrice storica: nel passaggio immersivo era stata
narrata la vicenda che partiva dalla nascita e terminava con l’ascensione,
ma il suo riconoscimento avveniva in senso contrario: era nell’emergere
(avna,stasij, anástasis) del crocifisso sulla morte che appariva l’identità del
risorto e quindi dell’incarnato42. L’identità è un riconoscimento, avviene so-
lo come comunicazione graziosa, propter nos. Agostino, nelle Confessioni,
coglie bene come «la memoria può attingere alla sua natura traslata di ima-
go Dei soltanto se estaticamente convertita, re-cor-data, oblata dalla/nella
Metafora vivente del Dono. Al Senso del segno (Dio come verità della me-
tafora del sé) si perviene soltanto se il Senso avviene come grazia apocalit-
tica, Transfert liberante il desiderio umano»43. Nella memoria non si dà una
identità assoluta, ma solo un segno, uno spazio altro, terzo, nel quale si è
immessi, che avviene in un Altro, per un Altro, per dono.
Che già a Nicea si confrontassero queste due visioni è testimoniato dal-
la scelta di inserire il termine più inviso agli ariani, o`m` oou,sioj (homooú-
sios), quale vera esegesi del rapporto identità-immagine; la comprensione
del termine non era interna alla prospettiva filosofica, bensì a quella paoli-
na: Cristo, vera immagine (eivkw.n, eikōn) del Padre (cf. Col 1,15), lascia in-
travedere un venire da Dio come Dio nella propria differenza, apre uno spi-
raglio ad una identità avveniente, chiede d’essere riconosciuto nel venire e
andare all’Altro. Cosicché, quando i Padri usarono o`m` oou,sioj (homooúsios),

42
Cf. M. BRACCI, Nel seno della Trinità. Il mistero dell’Ascensione di Gesù, ETS, Pisa
2011.
43
G. LETTIERI, Il differire della metafora. I. Discordare dalla memoria e transfert del
Dono in Agostino, “Filosofia e Teologia” (2013), 3, 483-526, 585.

166
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

non lo intesero se non nel senso di immagine senza differenza avpara,llaktoj


eivkw.n (aparállaktos eikōn), nella quale si è immersi e riconfigurati in
mysterio44.
A Nicea nel “per noi e per la nostra salvezza” si saldarono due piani. Si
badi bene: non l’eternità con il tempo – questi restano piani incongiungibili
perché antinomici – ma che quanto corrisponde all’in-sé di Dio è disponibi-
le solo immergendovisi, di come, per noi, sia comprensibile solo come per
noi. Di Dio non è conoscibile un ipotetico in-sé: questa resta una teoria cui
l’apofatismo ha sempre ricordato la saggezza di un ragionevole arrestarsi ri-
spetto ad un tentare di andare al di là del principio, pena il cadere in una so-
fia dal sapore gnosticheggiante. Nel per noi non si risale la corrente, vi ci si
immerge. Nel luogo desiderante, da cui sgorga il cuore pulsante dell’agire di-
vino, trae origine il senso del “per noi e per la nostra salvezza” e questo cuo-
re, a Nicea, si chiama generazione. È nel desiderio dell’altro, del Padre, che
si rende visibile l’immagine dell’affettuosa prossimità che sa farsi dono di sé:
è la generazione eterna del Figlio che, per noi, prende le stimmate del per-
dono. È un altro lo spazio che deve essere indagato come identità: non quel-
lo duale, ma quello relazionale. La de-ellenizzazione del cristianesimo inizia
a Nicea perché qui la fede pensa nella modalità rammemorante e immersiva.

3.2 La dimensione simbolica dà corpo al Mistero

L’unicum dei primi Concili è di essere ecumenici, ossia imperiali. C’è un


rapporto di potere che non possiamo eludere. Non è importante per noi, in
questa sede, chiarire i termini della questione politica inerente all’oriente
cristiano, dalla presenza di Costantino al suo ruolo. Quello che intendiamo
qui mostrare ha invece a che fare con la questione simbolico-sacramentale.
Bonaccorso scrive:

il rito religioso, come il corpo, può essere ridotto a strumento di un po-


tere (tecnico o politico), ma è anche il luogo originario del potere. Tut-
to è riconducibile alla dinamica tra potere e limite: c’è un potere che
consiste nel superare il limite, come nella tecnica, e c’è un potere che
viene dal limite, come nel rito […] I riti cristiani, ossia la celebrazione
dei sacramenti, si muovono in questa medesima direzione. I sacramenti

44
R. CANTALAMESSA, Cristo “immagine di Dio”. Le tradizioni patristiche su Col 1,15, in
ID., Dal Kerygma al dogma, 182.

167
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

“rendono presente, localizzano, l’utopia della signoria di Dio, che non


rimane appunto un’utopia, dato che trova il proprio luogo, il luogo del
suo emergere, del suo divenire visibile45.

Nicea, mentre configura un luogo di reciprocità immersiva e di ricono-


scimento, apre uno iato al senso del potere. Se il senso proprio dell’espe-
rienza di fede, misticamente rappresentata nella simbologia della immer-
sione, rimanda allo sradicamento dal potere della morte per entrare nella
vita, questa può non fare i conti con il limite che essa intercetta. Non c’è
spazio per una sorta di unione quale elusione della differenza. In questa
sorta di unità non c’è ospitalità ma solo idemità; senza differenza non c’è
liminalità, non c’è passaggio, si rimane inghiottiti – o avvolti – in un grem-
bo in cui la differenza può solo essere contenuta, per opposizione, o impor-
tata all’interno; di fatto una esclusione che sa di gabbia dorata, di bolla46.
Il riconoscimento, invece, è tale solo se ha a che fare con la differenza.
Dal punto di vista ecclesiologico si tratta del rapporto tra inclusività ed
esclusività, non declinabile solo in ordine alla salvezza degli altri, quanto
alla stessa struttura dell’essere ecclesiale. La questione del rapporto e del-
l’interpretazione del particolare rispetto all’universale è qui in gioco. Nicea
è stato questo rischio: la chiesa imperiale e la sua teologia ne saranno un
evidente esito proprio per la leggerezza con cui assumeranno il dispositivo
immaginario del potere relativo a Cristo47.
Nicea, mentre rimanda alle questioni liminari di potere imperiale, forse
echeggia ad una altra liminalità. A nostro avviso questa si gioca in quella
che, spesso, viene letta come una incongruenza presente nell’anatema –
guarda caso – rivolto contro coloro che affermano che il Figlio sia venuto
all’esistenza da ciò che non esiste o da qualche altra u`po.stasij (hypòsta-
sis) o ouvsi,a (ousía), intesa come fonte oggettiva. L’ambivalente uso dei ter-
mini u`po.stasij e ouvsi,a, qui ancora presente, verrà sciolto solo più tardi dai
Padri Cappadoci, che individueranno ciò che è comune nella ouvsi,a (ousía)
e lasceranno il particolare all’u`po.stasij (hypòstasis)48.

45
BONACCORSO, Il corpo di Dio, 92.
46
Cf. P. SLOTERIJK, Sfere. I: Bolle. Microsferologia, Raffello Cortina, Milano 2014.
47
Cf. B. STUDER, Dio salvatore nei Padri della Chiesa. Teologia – cristologia – soterio-
logia, Borla, Roma 1986, 182-197.
48
Cf. BASILIO MAGNO, Lettera 214 in: ID., Epistolario, Paoline, Alba, CN 1968.

168
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

Nella ambivalenza di Nicea forse è detto qualcosa che ha a che fare an-
cora una volta con il suo linguaggio simbolico immersivo e di riconoscimen-
to. Del Figlio si voleva affermare che «non veniva da nessun’altra ipostasi
preesistente accanto al Padre, ma era generato da Dio soltanto. Siccome
“Dio” è ovviamente un’ipostasi, nel senso di oggetto, e non nel senso di una
generica sostanza, si può a buon diritto ritenere che “le altre ipostasi” in-
dichino qualche oggetto analogo»49. Nella mens ariana l’u`po.stasij (hypò-
stasis) del Figlio rimandava ad una realtà concreta e oggettiva: un soggetto
distinto nell’ambito della specie e quindi distinto dall’ouvsi,a (ousía).
A Nicea, invece, è proprio questo spazio ad essere mantenuto aperto per
il riconoscimento nell’altro: il Figlio è riconoscibile nella sua identità al-
l’interno di uno spazio che solo in un Altro è possibile cogliere e percepi-
re. Proprio come nel luogo sacramentale, non è il logos della rappresenta-
zione ad aver esaurito le sue potenzialità; piuttosto, come afferma Sequeri,
è «il confronto con la struttura pre-platonica dell’eidolon» ad essere «infi-
nitamente più interessante e istruttivo: prima e più che immagine (mimesis
o doxa che sia), prima e più che dato e donato, prima che kaos e kosmos, il
fenomeno del sacramento autentico mette alla prova il discrimine della ve-
ra devozione. Il luogo del sacramento non è, in primo luogo, il logos della
rappresentazione: è la chṓra dell’affezione»50.
L’intuizione cui qui si accenna guarda alla connessione che lega tra loro
due generi, a ciò che li distingue separandoli: nasce così cw,ra (chṓra) «ri-
cettacolo invisibile e senza forma [...] dell’intero divenire»51. Non la si de-
scrive che in negativo, intermedia tra la materia sensibile e le idee intelli-
gibili, ma più facilmente indicabile come una sorta di luogo, che non trat-
tiene nulla ma è attraversata da tutto. Forse il potere del luogo simbolico è
ciò che andrebbe sondato più precisamente perché il nodo, il luogo, la
cw,ra (chṓra), cui si sta facendo riferimento, nel mistero cristiano è la liber-
tà: vero centro della realtà52; indeducibile a ragione logica necessitante, le

49
G. PRESTIGE, Dio nel pensiero dei Padri, EDB, Bologna 2018, 191.
50
SEQUERI, Ritrattazioni del simbolo, 52-52.
51
PLATONE, Timeo 49a, 62b. «Chṓra [cw,ra] riceve ogni cosa, senza prendere mai la
forma degli oggetti che ne diventano parte. É fatta per essere un modello per tutte le co-
se, che muove e prende la forma di ciò che riceve; ed è per questo che sembra ogni volta
diversa»: Timeo 50c.
52
Cf. L. PAREYSON, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano 1998; ID., Ontologia del-
la libertà. Il male e la sofferenza, Einaudi, Torino 1995. Cf. L. GHISLERI, Il simbolo nel pen-

169
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

sfugge l’altra logica del simbolo: il suo essere coincidente con se stesso nel-
l’essere rimando ad altro perché solo nell’altro e per l’altro ha la sua con-
sistenza. Da qui la sua inesauribile trascendenza e, parimenti, il tentativo
continuo di allegorizzarla, metaforizzarla, riportandola al duale.
Nicea, con quella sorta di sospensione, indica come nel simbolo ci si
debba ritrovare, abbandonandosi ad essere trovati anziché a cercare, rico-
noscendo che il limite non è da travalicare ma da sperimentare come luo-
go di con-fine, porta che conduce a ciò che inserra. Il senso di smarrimen-
to lascia posto al riconoscimento del senso del potere, capace di differire
senza separare, congiungere senza unificare.
Per rendere ragione del concetto proviamo un’ultima immagine. Quando
perdiamo qualcuno, in realtà, è come se ci sentissimo persi; così, quando
ritroviamo qualcuno, è un po’ come se ci ritrovassimo, trovassimo quel
qualcosa di noi che senza l’altro si era perduto. Così è con Cristo Gesù: tro-
varlo è trovare l’uomo, perché quando conosciamo Lui, e Lui entra nella no-
stra intimità, noi troviamo qualcosa di noi che non sapevamo ma che era lì,
donato nel dono dell’esistenza dell’essere uomo, nella differenza del non
essere come Dio eppure Dio veramente, Dio da Dio. L’incontro con Dio è
questo accesso a qualcosa di noi che non era pensabile prima: non sta nel
potere di ciò che è, ma nel potere della differenza che abita quell’essere-
Dio di Dio che è solo come-Dio-sa-essere. Lo aveva intuito il racconto ge-
nesiaco di creazione (cf. Gen 1,26 ss) quando afferma che l’uomo è fatto a
immagine e somiglianza di Dio: quando l’uomo incontra Dio scopre che,
uscendo dallo sguardo rivolto solo verso di sé, vede ciò che gli si para in-
nanzi: lui è l’altro, ma l’altro è a sua volta una immagine. È l’effetto a spec-
chio che a volte ha il vetro: lascia vedere fuori ma anche intravedere ciò
che gli sta di fronte. Nell’immagine del Figlio, Dio si dà a vedere ma anche
intra-vede quale sguardo Dio ha verso l’uomo, quale sia la sua ultima vo-
cazione, la sua destinazione. Gesù, però, in quello specchiarsi ha visto an-
che come è visto dall’uomo e come è visto dal Padre. Lì ha impresso una
immagine dell’uomo: ne ha intravisto la sua somiglianza e la differenza non
per quello che è solo in-sé, ma per come quella immagine consegna uno
sguardo; si scopre, ma senza sentirsi nudo.

siero di Luigi Pareyson, in M.C. BARTOLOMEI (cur.), L’interrogazione del simbolo, Mimesis,
Sesto San Giovanni, MI 2014, 135-159.

170
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325)

Il potere del riconoscimento opera su questi livelli e non sta che nell’ave-
re la libertà di un venire e andare, l’attaccamento che decide liberamente
della propria esistenza, che decide il dono della vita e ne giustifica e gene-
ra il senso della sua consegna. Così la Chiesa: o sta in questo sorgivo e sem-
pre determinante luogo di potere o cade nell’irrilevanza di segni che hanno
bisogno di una competenza logico-semiotica per essere compresi.

Mario Bracci
Pontificia Università Urbaniana
([email protected])

171
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario Bracci

ABSTRACT

PER UNA RILETTURA


DEL SIMBOLO DI NICEA (325)
La struttura simbolica della formula di fede

Lo studio è il primo che l’autore dedica a ripensare il contributo del primo Con-
cilio Ecumenico di Nicea in occasione del suo 17° centenario nel 2025. Nel pri-
mo di questi contributi si cerca di riflettere sul rapporto tra la struttura simbolica
del testo e il suo linguaggio legato alla prassi battesimale. La struttura con cui
si dice la fede è legata alla forma con cui la si comunica: la corporeità del mi-
stero pasquale rischiara la dimensione simbolica dell’atto di fede e permette di
riflettere sul come il rimandare del simbolo ad altro da sé coincida con la richie-
sta e l’invito ad essere riconosciuta.

FOR A REINTERPRETATION
OF THE NICEA SYMBOL (325)
The Symbolic Structure of Faith

The study is the first that the author dedicates to rethinking the contribution of
the first Ecumenical Council of Nicaea on its 17th centenary. In the first of these
contributions, the author attempts to reflect on the relationship between the
symbolic structure of the text and its language related to baptismal practice. The
structure with which faith is said is linked to the form with which it is communi-
cated: the corporeity of the Paschal Mystery illuminates the symbolic dimension
of the act of faith and gives us the opportunity to reflect on how the referral of
the symbol to something other than itself coincides with the request and invita-
tion to be recognized.

Keywords: Mystery; Recognition; Immersion; First Council of Nicaea (325)

172
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
UUJ
ACADEMICA

Annunciazione del Signore


Festa Patronale dell’Università
“Fratelli tutti, senza frontiere”
Mercoledì 30 marzo 2022

Card. Michael Czerny


Fraternità: utopia o salvezza?

1622-2022, IV Centenario
di fondazione della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli

Mario L. Grignani
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis
de Propaganda Fide dell’Archivio Storico
del Dicastero per l’Evangelizzazione (1900-1938)

Mariano Delgado
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros
y la actividad misionera de los Capuchinos durante
la Missio antiqua en el Reino del Congo (1645-1835)

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Card. Michael Czerny, S.J.

FRATERNITÀ: UTOPIA O SALVEZZA?

1. Il concetto di utopia: dalle origini ai nostri giorni – 2. La categoria biblica di sogno nella
Fratelli tutti – Conclusione

Parole chiave: Papa Francesco; fraternità; giovani; inclusione; utopia; bene comune; Fra-
telli tutti; alternativa praticabile; amicizia sociale

Ho accolto con gioia l’invito a riflettere insieme a voi sull’ultima Enciclica


di Papa Francesco, a partire dalla suggestiva provocazione del titolo che mi
è stato proposto: “Fratellanza: Utopia o Salvezza?”.
Tenterò di rispondere a questo quesito, anzitutto, portando l’attenzione
sul termine utopia che, in questa terna di concetti, rappresenta forse la no-
zione più sfuggente, cioè maggiormente esposta al rischio di possibili frain-
tendimenti. Distaccare il modo in cui tale concetto viene impiegato nell’ar-
ticolazione dell’insegnamento magisteriale della Fratelli tutti consentirà di
chiarire la sua relazione con gli altri due termini in questione (fratellanza
e salvezza).

1. Il concetto di utopia: dalle origini ai nostri giorni

A differenza di altre parole che appartengono al glossario della filosofia po-


litica, il termine utopia si presenta come relativamente “giovane”1. L’evo-
luzione del suo spettro semantico può essere scandita in tre tappe che pro-
verò a richiamarne, in modo sintetico, al fine di porne in luce le caratteri-
stiche precipue.
L’origine del termine può essere fatta risalire al trattato dell’umanista,
politico e santo inglese Thomas More, intitolato Utopia (1516)2.

1
Cf. Utopia: storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, C. ALTINI (ed.), Il Mu-
lino, Bologna 2013.
2
Il titolo completo dell’opera è: Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus
de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia.

175
3/2022 ANNO LXXV, 175-183 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Card. Michael Czerny

A discapito dell’etimologia di derivazione greca (οὐ e τόπος, significa


letteralmente “non-luogo”), il termine di fatto rappresenta un neologismo.
È precisamente il nome di fantasia con cui l’autore designa un’isola-regno
abitata da un’ipotetica società ideale, di cui egli si impegna a descrivere nel
dettaglio l’organizzazione e il funzionamento. L’opera, dunque, si avventu-
rava in una critica sferzante all’Inghilterra dell’epoca, di cui si segnalava-
no – con sardonico realismo – gli aspetti più contestabili, dovuti ad una po-
litica economica ferocemente elitaria.
Le leggi sulle recinzioni (Enclosures Acts), infatti, avevano reso possibile
la privatizzazione di numerosi terreni comuni (common lands or wastes) sul
cui uso si basava il sostentamento della gran parte della popolazione rura-
le. Favorendo la piccola nobiltà terriera (gentry) e la borghesia mercantile,
gli Enclosures Acts ebbero come diretta conseguenza l’inasprimento delle
condizioni di vita dei contadini e l’incremento della disparità sociale.
Dunque, prendendo spunto dalla Repubblica di Platone, More si interro-
gava sulle condizioni di possibilità e sull’effettiva realizzabilità di una “cit-
tà giusta”, indicando nel crescente individualismo la principale causa del-
la degradazione morale e materiale della società inglese.
Non è un caso se per questa denuncia dell’ingiustizia sociale e per esse-
ri rifiutato di sottomettersi all’Act of Supremacy di Enrico VIII, a distanza
di circa un ventennio, More venne incarcerato e condannato a morte.
È importante cogliere l’originalità del contributo de L’Utopia di More: in
essa gioca un ruolo essenziale l’immaginazione, cioè la capacità di visua-
lizzare un luogo “altro”, un opposto idealizzato, che costituisce un’alterna-
tiva all’ordine del reale, delle scelte politiche ed economiche in atto, e che
per questo assume la funzione di indicatore delle criticità dell’assetto so-
ciale vigente. A distanza di quasi un secolo, i temi delineati da More furo-
no oggetto di ulteriori sviluppi da parte di Tommaso Campanella nella Cit-
tà del sole (1602), di Johann Valentin Andrae in Christianopolis (1619), di
Francis Bacon nella Nuova Atlantide (1626) e di James Harrington nella
Repubblica di Oceana (1656).
Queste opere del XVII secolo si pongono in continuità con il pensiero di
More, rivelando principalmente la presenza di due aspetti che ne costitui-
scono il comune denominatore:
– L’ambientazione fantastica in un “non-luogo”, ad esempio un’isola
(Utopia per More, Trapobana per Campanella, Bensalem per Bacon) o
una città ideale (come quelle progettate da Leon Battista Alberti, Leo-
nardo da Vinci e Francesco Patrizi);

176
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fraternità: utopia o salvezza?

– La denuncia dei mali delle società del tempo e la proposta di avviare


processi di riforma sociale connotati da un deciso afflato egualitario
che si ispira ai valori della solidarietà e della mutua assistenza.
Una seconda caratterizzazione del termine si impose a partire dal XVIII
secolo, quando l’utopia si affermò come genere letterario autonomo, se-
gnando un effettivo distacco dalla significazione di cui era stata oggetto in
precedenza. Infatti, se nelle opere dei filosofi del Cinquecento e del Seicen-
to l’immaginazione di “non-luoghi” era stata connotata da una sorta di
atemporalità, quasi a indicare volutamente la rilevanza “eterna” di valori
come la giustizia sociale e l’uguaglianza tra gli uomini, nel corso del Sette-
cento l’introduzione della variabile dello “spazio-tempo” irruppe nella con-
cettualizzazione del termine. A motivo del crollo dell’orizzonte escatologi-
co, l’utopia non viene più intesa come ideale metastorico, come “fine ulti-
mo” verso cui orientare teleologicamente il progredire storico, ma come
“futuro prossimo”, come traguardo intra-mondano raggiungibile attraverso
il rovesciamento dell’ordine politico3.
In questa linea si collocano anche i tentativi di riforma radicale promos-
si dagli antesignani del socialismo nella prima metà dell’Ottocento: Saint-
Simon, Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon e Robert Owen. Sebbene i
loro progetti, volti a correggere le disuguaglianze della moderna società ca-
pitalistica, furono giudicati irrealizzabili, intrinsecamente utopistici, e per
tale ragione contrapposti al cosiddetto “socialismo scientifico” propugnato
da Karl Marx e da Friedrich Engels, in essi si avanzavano le idee di “lotta
di classe” e di “rivoluzione” come strumenti atti a realizzare l’“utopia in
terra” di un regno di eguaglianza, giustizia e pace.
Dalla seconda metà del XIX secolo, però, la fiducia nel progresso iniziò
a incrinarsi e, accanto al mito illuministico della continua perfettibilità
umana, si fecero strada i cupi sentori di un imminente declino della civiltà
occidentale. In tal senso, i tragici eventi occorsi nel Novecento – le Guerre
mondiali, i totalitarismi, il crollo delle grandi ideologie – segnarono defini-
tivamente la fine dell’ottimismo positivista, sancendo l’inizio di un’attitudi-
ne immaginifica a rovescio, quella paventata dalle narrazioni apocalittiche
e catastrofiche.

3
Ne è un esempio il romanzo L’An 2440, pubblicato nel 1770 dallo scrittore Louis-Sé-
bastien Mercier, in cui si preconizza il raggiungimento nell’anno 2440 di una società de-
mocratica, liberata da ogni sorta di immoralità e dall’oppressione.

177
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Card. Michael Czerny

È il terzo significato che è possibile evidenziare in questa breve disanima


storica: l’utopia, delusa e sconfitta, cede il passo all’epoca delle distopie.
La speranza di un mondo migliore si trasforma in incubo, in minaccia in-
combente, capovolgendo l’immaginazione utopica, “sub contraria specie”,
nella visualizzazione di un ineludibile futuro di distruzione. Basti pensare
agli scenari pessimistici descritti da Evgenij Zamjatin in Noi (1920), da Al-
dous Huxley nel Mondo nuovo (1932), da George Orwell in 1984 (1948) o,
più di recente, da Philip K. Dick e Margaret Atwood, in cui ogni aspetto
della vita umana si rivela eterodiretto e assoggettato al controllo di un’istan-
za impersonale e soverchiante4.
In ultima istanza, è possibile sostenere che, nel corso del suo dipanarsi
storico, il concetto di utopia ha assunto prevalentemente una connotazione
ambivalente. Da una parte, si è proposta come elemento di critica costrut-
tiva al modello di società esistente, volto ad allargare l’immaginario comu-
ne verso nuove forme di articolazione delle relazioni tra gli attori sociali.
Dall’altra, ha assunto la fisionomia di un progetto di vera e propria ingegne-
ria sociale, finendo spesso per esporsi ai rischi di pericolose derive totali-
tarie, dagli inquietanti risvolti distopici.
Al termine di questa ricognizione sul termine utopia, mi pare doveroso
assumere una prospettiva che ci consenta di accostare in modo adeguato
l’Enciclica Fratelli tutti. Trovo che il modo più sensato di farlo sia quello di
porsi una domanda: è una scelta ragionevole per noi, oggi, continuare a
pensare “per utopie”? In altre parole, traducendo con il linguaggio di papa
Francesco, dobbiamo chiederci: ha ancora senso investire in una immagi-
nazione progettuale?

2. La categoria biblica di sogno nella Fratelli tutti

Guardando alle nuove generazioni mi colpisce uno strano paradosso. I gio-


vani di oggi manifestano uno smarcato disinteresse nei confronti della po-

4
È doveroso ricordare che, nel corso del Novecento, il concetto di utopia non del tut-
to smarrito le sue connotazioni positive: in un’ottica marxista, autori quali Ernst Bloch,
Walter Benjamin e Herbert Marcuse hanno richiamato l’attenzione sull’utopia come ten-
sione verso il futuro e come apertura di nuove possibilità rispetto al “mondo dato”. Ciò
che mi preme mettere in rilievo in quest’ultimo passaggio, forse non senza una certa esa-
sperazione dei concetti, è l’affiorare di una sensibilità del tutto nuova rispetto alle prece-
denti elaborazione del significato di utopia.

178
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fraternità: utopia o salvezza?

litica e, per molti versi, questo dato di fatto si pone come l’esito di un pro-
cesso storico in cui risentiamo del fallimento di utopie che non solo non si
sono realizzate, ma che non si sono neanche mostrate all’altezza delle pro-
prie promesse. Allo stesso tempo, però, se si osserva il modo in cui negli ul-
timi anni i giovani si sono mobilitati rispetto alla questione ecologica, scen-
dendo in piazza e reclamando il diritto di avere voce sul futuro dell’ambien-
te, avvertendolo come inevitabilmente legato al proprio destino, essi sem-
brano reclamare il ritorno di quelle grandi utopie che sembravano definiti-
vamente tramontate o compromesse dalla deriva disfattista delle distopie
post-moderne.
Ciò che essi chiedono – più o meno consapevolmente – è il recupero di
una progettualità comune, che orienti la politica e l’economia verso obiet-
tivi condivisi, verso l’edificazione di un mondo non soltanto più rispettoso
delle istanze della natura, ma anche più “vivibile”, più “umano”, cioè più
giusto ed equo.
Nel primo capitolo dell’Enciclica, Francesco sembra assumere e fare
proprie queste attese e speranze, sebbene si mostri conscio del fatto che:
«Il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia d’al-
tri tempi» (FT 30). È interessante notare come attraverso l’accostamento al-
la categoria biblica di sogno, il papa declini l’idea di utopia quale strumen-
to di critica profetica alla realtà, in grado di squarciare nuovi orizzonti. Ri-
collegandosi quasi idealmente al senso attribuitole da Thomas More, l’uto-
pia è indice della tensionalità che spinge alla ricerca di un “oltre”, di nuo-
ve strade volte a mutare il presente.
È in questo orizzonte che bisogna allocare l’intenzionalità propria della
Fratelli tutti: immaginare che possa darsi un’alternativa praticabile alla si-
tuazione in cui attualmente versa l’umanità (FT 16), percorrendo la via del-
la fratellanza e dell’amicizia sociale.
Tale immaginazione di un mondo “altro” si contrappone anzitutto alla co-
lonizzazione dell’immaginario operato dal “culto della crescita”: si pensa
che è impossibile che il mondo possa funzionare in modo differente da co-
me viene proposto5.
In Laudato si’ c’è una visione esatta della crisi ecologica, una diagnosi
lucida della situazione, che in Fratelli tutti diventa analisi attenta delle sue

5
Cf. S. LATOUCHE, Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro, Bollati Borin-
ghieri, Torino 2020, 30-37.

179
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Card. Michael Czerny

cause e denuncia dei responsabili. Francesco indica nella «cultura dello


scarto» uno degli ostacoli al reale sviluppo integrale: appropriazione, de-
predazione, privatizzazione, sfruttamento, sono dinamiche intrinseche all’e-
conomia e alla logica dell’”usa e getta”.
Gli esclusi sono avvertiti come il «danno collaterale» (LS 49) di un si-
stema socioeconomico sostenuto da una politica connivente e inadeguata,
che spesso interviene solo quando gli effetti dannosi per le persone e l’am-
biente sono ormai irreversibili (LS 21).
Una sorta di “darwinismo economico” ha introdotto un criterio di spieta-
ta selettività: pochi si accaparrano grosse fette di risorse a svantaggio dei
più. L’idea che ci sia una parte di umanità “sacrificabile” si insinua come
ineludibile necessità: non solo il cibo, il vestiario, i beni superflui, ma an-
che gli esseri umani sono assoggettati alle regole della produttività (FT 18).
A essere maggiormente esposti a questo modo di vedere le cose sono i
più vulnerabili, è la vita umana stessa nelle sue declinazioni estreme di
“nascente” e “morente”. Sono i nascituri e gli anziani a rappresentare le
principali “vittime” dell’odierno sistema economico (FT 19).
La crescita non è più indice di uno sviluppo umano effettivo e integrale:
è la separazione tra questi due termini dell’equazione ad ingenerare la ne-
cessità dello scarto. La ricchezza aumenta senza equità, anzi suscita nuove
povertà e presenta un prezzo alto da pagare: l’esclusione della gran parte
dell’umanità da condizioni di vita accettabili6. Si sta verificando una sorta
di “scisma” tra il benessere personale e la felicità umana (FT 31), che si
alimenta di disprezzo per l’altro e la recrudescenza di varie forme di razzi-
smo e di intolleranza sono la riprova che il progresso, se pensato alla luce
di questi principi, è solo una fallace apparenza.
Occorre, allora, cambiare approccio e ammettere l’urgenza di costruire
un “Noi” che abiti la casa comune. Certamente, questa inversione di rotta
va contro gli interessi dell’economia che appaiono sempre “particolari”.
Per costruire insieme c’è bisogno di rallentare il passo, di disporsi con pa-
zienza e perseveranza al confronto, portando al tavolo delle decisioni chi
solitamente rimane fuori dai giochi7. Fermarsi a pensare, a dialogare e a

6
Cf. E. BAZZANELLA, Oltre la decrescita. Il tapis roulant e la società dei consumi, Abi-
blio, Trieste 2011, 97-110.
7
Cf. M. CZERNY – P. FOGLIZZO, La forza degli esclusi. L’Incontro mondiale dei movimen-
ti popolari in Vaticano, “Aggiornamenti Sociali” (gennaio 2015), 14-25; IID., Il mondo si
vede meglio dalle periferie, “Aggiornamenti Sociali” (gennaio 2022), 33-40.

180
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fraternità: utopia o salvezza?

meditare prima di scegliere e di costruire un futuro più solidale, però, è ciò


che l’economia del consumo tende ad evitare. I suoi frenetici ritmi di pro-
duzione e l’accelerazione sempre crescente dei suoi rapporti di scambio
agiscono come una forza in controtendenza, stabilendo un’agenda che non
ammette indugi e rallentamenti (FT 17).

Conclusione

La crisi della modernità, l’essenza stessa del secolarismo, consta da una


parte nella scomparsa di un «mondo comune»8, cioè come perdita di valo-
ri che siano universalmente condivisi; dall’altra nella “banalità del male”,
cioè non importa se sfruttiamo gli uomini o avveleniamo la natura, ciò che
conta è far crescere la ricchezza di un paese9.
Occorre invece superare il divario tra élite e popolo, superando quei va-
lori settoriali che impediscono il perseguimento del bene comune. La cul-
tura dell’incontro diviene allora l’orizzonte utopico condiviso che permette
di strappare l’individuo dalla solitudine in cui lo confina tanto il liberali-
smo classico (l’uomo solipsista e non-solidario) quanto il collettivismo mar-
xista (l’uomo-massa non-libero).
Si tratta di un processo di integrazione volto a rendere la persona prota-
gonista dell’amicizia sociale, riconoscendosi appartenente ad un “popolo”.
In tal senso, la solidarietà appare come uno stile di costruzione della storia,
un ambito vitale dove la tensione e i conflitti possono essere superati nel
raggiungimento di un’unità pluriforme: l’unità è superiore al conflitto.
Riportando una citazione di Romano Guardini, Evangelii Gaudium affer-
ma che: «L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domanda-
re fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’es-
sere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare
e le possibilità della medesima epoca» (EG 224)
Il desiderio di pienezza è quell’attrazione che Dio pone nel cuore dell’uo-
mo affinché ci dirigiamo verso ciò che ci rende più liberi, ma allo stesso
tempo ci scopriamo limitati, circoscritti ad una realtà particolare.

8
Cf. H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1988, 58.
9
Cf. A. BERTHOUD, Une Philosophie de la consommation. Agent économique et sujet
moral, Presses universitaires du Septentrion, Ville-neuve-d’Asp 2005.

181
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Card. Michael Czerny

Il tempo è superiore allo spazio, poi, ci permette di dire che la costruzio-


ne di progetti che oltrepassano il presente e che tengano presente lo svilup-
po futuro dei popoli scaturisce da quella tensione al bene che è capace di
guardare oltre all’interesse del momento, del singolo, della società odierna.
La fratellanza diviene via alla salvezza, perché indica nella comunione
tra gli uomini e con Dio l’intuizione fondativa del Vangelo, quale forma di
vita in grado di risignificare il senso della storia e i modelli culturali entro
cui interpretare il valore della dignità e della persona umana. Si pone co-
me punto di inserzione delle vicende personali di ogni uomo e donna che
attraversa con noi il tempo presente e, insieme, il punto di fuga verso cui
dirigere la storia, perché la sopravanza in direzione di un compimento che
non possiamo darci da soli, ma che possiamo soltanto attendere come dono
del Signore Gesù.
Papa Francesco ci aiuta concludere con una risposta alla domanda del
nostro titolo, utopia o salvezza?: “Desidero tanto che, in questo tempo che
ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possia-
mo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità […] «Ec-
co un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella av-
ventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […]. C’è bisogno di
una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vi-
cenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! […] Da soli si
rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si co-
struiscono insieme» (FT 8).

Card. Michael Czerny, S.J.


Prefetto del Dicastero
per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale
([email protected])

182
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Fraternità: utopia o salvezza?

ABSTRACT

FRATERNITÀ: UTOPIA O SALVEZZA?

L’articolo inizia meditando il concetto di “utopia”, usato in riferimento ad una cit-


tà giusta, ad un futuro verso cui orientare il progresso, o ancora alla disillusione
che porta alla “distopia”. Successivamente, si presenta l’insegnamento di Papa
Francesco. L’Enciclica Fratelli tutti è una chiamata alla progettualità per un’alter-
nativa concreta e realizzabile: un progetto di società comune, inclusivo, che tu-
teli la casa comune (alla quale è dedicata l’Enciclica Laudato si’). La conclusio-
ne riprende alcuni assiomi dell’Esortazione Evangelii gaudium e invita a riflette-
re sul senso della vita e sulla dignità di ciascuna persona umana.

SIBLINGS ALL: UTOPIA OR SALVATION?

The article begins by meditating on the concept of “utopia”, which can refer ei-
ther to a just city, a future towards which progress can strive or to the disillusion-
ment that leads to “dystopia”. Then it presents the teaching of Pope Francis.
The Encyclical Fratelli tutti calls us to plan for a concrete and feasible alternative:
a common, inclusive project of society that cares for “our common home” (to
this theme the Encyclical Laudato si’ is dedicated). The conclusion takes up
some strong points of the Exhortation Evangelii gaudium and invites us to reflect
on the meaning of life and the dignity of each human person.

Keywords: Pope Francis; Fraternity; Youth; Inclusion; Utopia; Common Good;


Fratelli tutti; Viable Alternatives; Social Friendship

183
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

L’AMERICA LATINA NEGLI ACTA SACRAE


CONGREGATIONIS DE PROPAGANDA FIDE
DELL’ARCHIVIO STORICO
DEL DICASTERO PER L’EVANGELIZZAZIONE
(1900-1938)

Introduzione – 1. Osservazioni preliminari – 2. A proposito del termine-concetto “Ameri-


ca Latina” – 3. Le fonti documentali consultate – 4. Dati statistici e tematiche delle po-
nenze sull’America Latina negli Acta dal 1900 al 1938; 4.1 Dati statistici; 4.2 Tematiche
delle ponenze – 5. Alcune tematiche particolari contenute nelle ponenze esaminate; 5.1 Il
problema del rapporto tra il Superiore Regolare locale e il Superiore Regolare di missio-
ne; 5.2 Una gravissima questione: la schiavitù “de facto” in America Latina e la difesa de-
gli indigeni; 5.3 Le Rappresentanze pontificie in America Latina e Propaganda Fide –
Riflessioni conclusive

Parole chiave: Archivio storico Propaganda Fide; Dicastero Evangelizzazione; America


Latina; Missioni

Introduzione

Il presente contributo si colloca nella più ampia ricerca in corso presso


l’Archivio Storico della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli o
de Propaganda Fide1, relativa allo studio della storia della Chiesa e delle

1
Il contributo che qui si pubblica è il testo della conferenza «L’America Latina negli
Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide dell’Archivio Storico della Congregazio-
ne per l’Evangelizzazione dei Popoli o de Propaganda Fide (1900 al 1938)» presentata
l’11 maggio 2017 durante il Simposio Internazionale «Verso il IV centenario di fondazio-
ne della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli: status quaestionis», Pontificia
Università Urbaniana, 11-12 maggio 2017. Al momento del simposio era possibile con-
sultare il materiale archivistico fino al termine del pontificato di Pio XI secondo i criteri
vigenti. Nel testo che qui si pubblica alcuni riferimenti archivistici e statistici sono stati
aggiornati in ragione dei cambiamenti occorsi dal 2017; per esempio: l’Archivio Segreto
Vaticano (ASV) è ora denominato Archivio Apostolico Vaticano (AAV) in seguito a quan-
to disposto dal pontefice FRANCESCO, Lettera apostolica in forma di «Motu Proprio» per il
cambiamento della denominazione da Archivio Segreto Vaticano ad Archivio Apostolico Va-

185
3/2022 ANNO LXXV, 185-212 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

sue missioni in America Latina2. Esso intende inserirsi nel solco degli stu-
di storico-missionari ecclesiastici che è andato formandosi prima nel Col-
legio Urbano e poi nella Pontificia Università Urbaniana ed in relazione ad
essa, specialmente in rapporto alla missione ed alla storia del Dicastero per
l’Evangelizzazione col quale l’Università ha uno «speciale legame»3. Tale

ticano (22 ottobre 2019) [https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/docu-


ments/papa-francesco-motu-proprio-20191022_archivio-apostolico-vaticano.html;
https://archive.is/zvmNt]; la Sacra Congregazione de Propaganda Fide (PF) eretta da Gre-
gorio XV nel 1622 (Inscrutabili divinae Providentiae, 22 giugno 1622, in CONGREGATIO DE
PROPAGANDA FIDE, Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide: seu Decreta, in-
structiones, rescripta pro apostolicis missionibus, I, Typ. Sacrae Congregationis de Propa-
ganda Fide, Romae 1907, 2-4) prese il nome di Congregazione per l’Evangelizzazione dei
Popoli o “de Propaganda Fide” (CEP) in seguito alla riforma della Curia Romana decisa
da Paolo VI – Regimini Ecclesiae Universae. La Curia Romana, 15 agosto 1967
[https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_constitutions/documents/hf_p-
vi_apc_19670815_regimini-ecclesiae-universae.html; https://archive.is/N08kd] e recen-
temente è stata denominata Dicastero per l’Evangelizzazione (DE) in virtù della nuova ri-
forma della Curia Romana stabilita da Francesco e in vigore dal 5 giugno 2022 (Praedi-
cate Evangelium. Sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa e al Mondo, 19 marzo
2022 [https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/03/19/
0189/00404.html; https://archive.is/dCBqS]. Sigle. CEP-PF: Congregazione per l’Evange-
lizzazione dei Popoli o de Propaganda Fide; APF: Archivio Storico della medesima Con-
gregazione (si mantiene APF come si legge nella relativa pagina web al momento dell’ul-
timo accesso online [http://www.archiviostoricopropaganda.va/content/archiviostoricopro-
pagandafide/it.html; https://archive.is/VsX49]; AAV: Archivio Apostolico Vaticano;
AA.EE.SS.: Archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari dipenden-
te dall’Archivio Storico della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Sta-
to (ASRS); VA: Vicariato Apostolico; PA: Prefettura Apostolica.
2
Il lavoro di ricerca presso l’APF implica la conoscenza dell’archivio e dei suoi fondi
ed anche una certa comprensione della prassi dell’istituzione all’interno della quale l’ar-
chivio si è progressivamente costituito. In quest’ottica si segnala S. PAVENTI, La Chiesa
missionaria. Manuale di missionologia dottrinale, Unione Missionaria del Clero in Italia,
Roma 1949 e ID., Prassi della S.C. de Propaganda Fide, “Misiones extranjeras” 2 (1950),
5, 1-10, mentre i riferimenti bibliografici sugli studi scientifici relativi all’APF sono se-
gnalati in N. KOWALSKY – J. METZLER, Inventory of the Historical Archives of the Congrega-
tion for the Evangelization of Peoples or “De propaganda fide” – Inventario dell’archivio
storico della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli o “De propaganda fide”,
Pontificia Universitas Urbaniana – Urbaniana University Press [Studia Urbaniana 33],
Città del Vaticano 1988³, 118-123 a cui deve aggiungersi L.M. CUÑA RAMOS, L’Archivio
Storico di Propaganda Fide: fonte per la storia delle missioni e per il diritto missionario,
“Ius Missionale” 1 (2007), 209-224.
3
Cf. PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA, Statuti e Regolamenti, Urbaniana University
Press, Roma 2022: Proemio storico e Statuti, artt. 4., 5. §2, 7. §1. In precedenza: PONTIFICIA

186
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

tradizione storiografica, espressa in tante pubblicazioni, ha trovato un mo-


derno momento di sintesi scientifica in occasione dell’anniversario dei 350
anni di fondazione di Propaganda Fide con la pubblicazione dei tre volumi
in cinque tomi curati da Josef Metzler dal titolo Sacrae Congregationis de
Propaganda Fide memoria rerum: 350 anni a servizio delle Missioni: 1622-
1972 (Herder, Rom – Freiburg – Wien 1971-1976)4 e si appresta a offrire
nuovi contributi in vista del prossimo IV centenario di fondazione dell’isti-
tuzione (1622-2022).
L’esposizione che segue si sviluppa nei seguenti punti: alcune osserva-
zioni preliminari; la motivazione della scelta del termine-concetto America
Latina; le fonti documentali consultate; i dati statistici e le tematiche trat-
te dalle ponenze sull’America Latina nel fondo Acta dal 1900 al 1938; l’e-
sposizione di alcune tematiche particolari contenute nelle fonti archivisti-
che; alcune brevi riflessioni conclusive.
La preferenza data in questo studio all’APF non esclude, secondo il ca-
so, il riferimento anche ad altri archivi vaticani quali l’Archivio Apostolico
Vaticano (AAV) e l’Archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici
Straordinari (AA.EE.SS.), dipendente dall’Archivio Storico della Sezione
per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato (ASRS).

1. Osservazioni preliminari

Nell’attualità si registra un rinnovato interesse per l’America Latina, costa-


tabile da vari punti di vista. Se ne segnalano alcuni.

UNIVERSITÀ URBANIANA, Statuti e Regolamenti, Urbaniana University Press, Roma 2011:


Proemio storico e Statuti, art. 4, §2.
4
La presenza documentale concernente l’America Latina del secolo XIX presso l’APF
è stata oggetto di studio e di presentazione da parte degli storici Félix Zubillaga, Arlindo
Rubert e Valentino Macca di S. Maria, nei rispettivi contributi sull’America Spagnola, sul
Brasile e sulle Antille apparsi in Memoria rerum; Zubillaga e Macca ricorrevano per lo
più alle fonti dell’APF ovvero agli Acta e al Fondo Scritture riferite nei Congressi (SC) ai
volumi America Meridionale dal 6 al 15 (anni 1826-1899), e America Antille dal 3 all’11
(anni 1790-1892); Rubert a più archivi. Al riguardo si vedano i rispettivi contributi in J.
METZLER (ed.), Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum: 350 anni a
servizio delle Missioni: 1622-1972, III/1, Herder, Rom – Freiburg – Wien 1975: F. ZUBIL-
LAGA, La Sagrada Congregación de Propaganda Fide y la América Española del Ochocien-
tos, 603-636; A. RUBERT, A Propaganda e o Brasile no século XIX, 637-674; V. MACCA DI
S. MARIA, La primavera della Chiesa nelle Antille, 675-704.

187
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

In primo luogo tale interesse si comprende in ragione della provenienza


dell’attuale pontefice Francesco. Se da un lato egli continua la tradizione
che da quarant’anni vede un non italiano tra i Successori dell’apostolo Pie-
tro, dall’altro, essendo il primo vescovo di Roma latinoamericano, ha por-
tato nell’alveo della successione apostolica petrina la novità della tradizio-
ne di fede cristiana dei popoli latinoamericani, chiamandoli, in certo qual
modo, ad una più consapevole responsabilità nell’annuncio universale del
Vangelo.
In secondo luogo altri punti di vista significativi, necessariamente non
esaustivi dell’attenzione rivolta all’America Latina, ma in rapporto all’am-
bito della ricerca e degli studi connessi al tema di questo contributo, sono
rappresentati ed espressi nei convegni5, nelle pubblicazioni6, nelle inizia-

5
Per esempio da dicembre 2016 a giugno 2017 oltre al già citato Simposio Internazio-
nale Verso il IV centenario di fondazione della Congregazione per l’Evangelizzazione dei
Popoli: status quaestionis, altri se ne sono celebrati quali: Una nueva mirada sobre el Pa-
tronato Regio. La Curia Romana y el gobierno de la Iglesia Ibero-Americana en la edad
moderna, seminario internazionale organizzato dal Max-Planck-Institut für europäische
Rechtsgeschichte (Francoforte, 15-16 dicembre 2016); Da Puebla ad Aparecida. Chiesa
e società in America Latina (1979-2007), organizzato dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio
V” con il patrocinio dell’Istituto Italo Latino Americano (IILA) (Roma, 26-27 gennaio
2017); Die Zeit der Reformation aus anderem Blickwinkel. Eine lateinamerikanisch-öku-
menisce Perspektive, organizzato da Institut Katholische Theologie dell’Università di Osna-
brück e da Intercambio Cultural Alemán-Latinoamericano (ICALA) (Magdeburgo, 30 giu-
gno-2 luglio 2017). Tra le iniziative accademiche internazionali antecedenti al convegno
internazione per il IV centenario di fondazione della Congregazione di Propaganda Fide
«Euntes in mundum universum» (Roma, Pontificia Università Urbaniana, 16-18 novem-
bre 2022), si può segnalare il Congresso internazionale Dilatando a Fé contra o Império?
Portugal, a Propaganda Fide e a Missionação Católica (Porto, Salão Nobre de Facultade
de Letras da Universidade do Porto, 11-12 de maio de 2022).
6
Per quanto concerne le pubblicazioni si può utilmente ricorrere in primo luogo ai più
recenti volumi di Bibliographia missionaria (Pontificia Università Urbaniana, Roma
1933-2014), un repertorio bibliografico che raccoglie le pubblicazioni di tutte le princi-
pali Chiese cristiane, e poi alla ricca produzione storiografica civile (per es., nel solo con-
testo italiano, si segnala il volume di R. CAMPA, L’America Latina. Un profilo, Il Mulino,
Bologna 2014, o quello di L. ZANATTA, Storia dell’America Latina contemporanea, Later-
za, Bari 2011³ e il più recente di M. DE GIUSEPPE – G. LA BELLA, Storia dell’America La-
tina contemporanea, Il Mulino, Bologna 2019.). Non bisogna poi tralasciare anche la sto-
riografia occasionata dal Bicentenario delle indipendenze dei Paesi latinoamericani di cui
un esempio è il volume di G. CARRIQUIRY LECOUR, Memoria, Coraje y Esperanza. A la luz
del Bicentenario de la Independencia de América Latina, Editorial Nuevo Inicio, Granada
2017², significativo per il fatto di contenere, da un lato, una riflessione critica sul passato

188
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

tive culturali a livello scientifico7 e nelle nuove aperture degli archivi8.


A ciò si possono aggiungere le considerazioni che sorgono dall’osservazio-
ne dei numeri, in primo luogo dai dati statistici relativi all’anno 2015 (e in
nota quelle aggiornate al 2020) pubblicati dall’Annuarium statisticum Ec-
clesiae, il cui arco di tempo considerato, come segnalato nella nota del Bol-
lettino della Sala Stampa della Santa Sede del 6 aprile 2017, «copre com-
plessivamente gli ultimi due anni del Pontificato di Papa Benedetto e i pri-
mi tre anni dell’attuale Pontificato di Papa Francesco, con importanti indi-
cazioni circa la Chiesa cattolica nel nuovo Millennio»9. La stima della po-
polazione mondiale data dal citato Annuarium del 2017 ammontava a
7.248.941.000; di essa 1.284.810.000, ossia il 17,7%, componeva la voce
Catholici baptizati; in America Latina (America Centrale Continentale,

e sull’attualità del continente elaborata sulla base dell’esperienza dell’autore in qualità di


segretario incaricato della vice-presidenza della Commissione pontificia per l’America
Latina e, dall’altro, il Prologo della I edizione e l’Introduzione della II edizione scritti nel
2011 dal cardinale di Buenos Aires J.M. BERGOGLIO oggi papa FRANCESCO, contributi che
hanno per titolo rispettivamente Patria come paternità e filiazione e Verso orizzonti più va-
sti (i due testi di Bergoglio-Francesco sono stati pubblicati in L’Osservatore Romano, mer-
coledì 25 ottobre 2017, 5).
7
Riguardo alle iniziative scientifiche già in atto o in preparazione se ne segnalano due:
il Diccionario de Historia Cultural de la Iglesia en America Latina-Dicionário de História
Cultural da Igreja na América Latina, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura e
dalla Universidad Popular Autónoma del Estado de Puebla (UPAEP, México) e consulta-
bile on-line (https://www.enciclopedicohistcultiglesiaal.org/); il progetto Diccionario Hi-
stórico de Derecho Canónico en Hispanoamérica y Filipinas. Siglos XVI-XVIII, progetto del
Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte [https://dch.hypotheses.org/].
8
Cf. il caso relativo a Pio XI e agli archivi vaticani: R. REGOLI, Dal mito all’archivio:
il pontificato di Pio XI. Il dibattito tra gli studiosi dopo l’apertura degli archivi vaticani
(2003-2009), “Archivum Historiae Pontificiae” 49 (2011), 155-188; C. PRUDHOMME, Pie
XI pape des missions. Nouvelles archives, nouveaux regards, in C. SEMERARO (ed.), La sol-
lecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archivistiche. Atti del Convegno
Internazionale di Studio. Città del Vaticano, 26-28 febbraio 2009, LEV, Città del Vaticano
2010, 78-95. Per l’oggi, dal 2 marzo 2020, deve includersi quanto deciso da Francesco
ovvero «aprire alla consultazione dei ricercatori la documentazione archivistica attinente
al Pontificato di Pio XII, sino alla sua morte, avvenuta a Castel Gandolfo il 9 ottobre
1958»: FRANCESCO, Discorso del Santo Padre agli Officiali dell’Archivio Segreto Vaticano
(4 marzo 2019), [http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/march/docu-
ments/papa-francesco_20190304_archivio-segretovaticano.html; https://archive.is/I23bE].
Il corsivo appare nel testo originale.
9
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2017/04/06/0222/
00505.html; https://archive.is/MCe5I.

189
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

America Centrale Antillana, America del Sud) si trova il 41,8% dei battez-
zati nel mondo ovvero 537.102.00010.
Per quanto riguarda invece i dati statistici relativi alla presenza e all’a-
zione della CEP (oggi DE) in America Latina il cardinale Prefetto Fernan-
do Filoni li comunicava nel discorso introduttivo alla XIX Assemblea Ple-
naria della CEP, il cui testo è disponibile on-line11, e sono riportati nella
Guida delle missioni cattoliche12 (la cui ottava ed ultima edizione è del

10
Cf. SECRETARIA STATUS RATIONARIUM GENERALE ECCLESIAE, Annuarium statisticum ec-
clesiae 2015, LEV, Città del Vaticano 2017, 36-38 e 43. Per quanto riguarda i dati aggior-
nati al 2020 (relativi al biennio 2019-2020): «I cattolici battezzati nel mondo passano da
1.344 milioni nel 2019 a 1.360 milioni nel 2020, con un incremento assoluto di 16 milio-
ni, pari a +1,2% circa. Confrontando questi dati con l’evoluzione della popolazione mon-
diale, passata nello stesso periodo da 7.578 a 7.667 milioni, si osserva che l’incidenza dei
cattolici sulla popolazione mondiale è pari, in entrambi gli anni, al 17,7%. Se a livello del-
l’intero pianeta, dunque, non si modifica la presenza relativa dei cattolici, ben diversamen-
te si palesa la realtà nei diversi continenti: in alcuni gli incrementi relativi dei cattolici fra
il 2019 e il 2020 risultano significativi, in altri, molto più contenuti. Partitamente in Asia
si assiste ad un incremento importante di +1,8% (in modo particolare nell’area del Sud-
Est, e nonostante la flessione verificatasi nella zona del Medio Oriente) ed in Africa a quel-
lo massimo: +2,1%; all’estremo opposto, in Europa, si evidenzia un aumento di appena lo
0,3%. Guardando al numero dei cattolici delle varie aree continentali sul totale mondiale,
si conferma la tendenza verso un aumento del peso dell’Africa (i cui cattolici salgono dal
18,7% del 2019 al 18,9% del 2020 di quelli mondiali), e del calo, invece, di quello euro-
peo, per il quale la percentuale sul totale mondiale, scende nel 2020, dal 21,2% del 2019,
di quasi un quinto di punto percentuale. Nel 2020, l’America rimane il continente a cui ap-
partiene il 48% dei cattolici del mondo. Di questi, quasi il 28% è presente nell’America
del Sud. Moderatamente crescente appare, infine, l’incidenza nel mondo cattolico del con-
tinente asiatico che, con un peso del 59% della popolazione mondiale, si mantiene attorno
all’11% circa per quanto riguarda i cattolici. Stabile rimane l’incidenza dei cattolici bat-
tezzati in Oceania sul totale mondiale, anche se con una consistenza che raggiunge lo
0,8%»: L’Osservatore Romano, giovedì 10 febbraio 2022, 3 [https://www.osservatoreroma-
no.va/it/news/2022-02/quo-033/annuario-pontificio-2022-e-annuarium-statisticum-eccle-
siae-2020.html; https://archive.is/0UMa4]. La stima della popolazione mondiale data dal-
l’Annuarium del 2020 ammonta a 7.667.136.000; di essa 1.359.612.000, ossia il 17,7%,
compongono la voce Catholici baptizati; in America Latina (America Centrale Continenta-
le, America Centrale Antillana, America del Sud) si trova il 41,3% dei battezzati nel mon-
do ovvero 562.578.000: cf. SECRETARIA STATUS RATIONARIUM GENERALE ECCLESIAE, Annua-
rium statisticum ecclesiae 2020, LEV, Città del Vaticano 2020, 36-38 e 43.
11
Cf. http://www.fides.org/it/news/58770-VATICANO_La_relazione_del_Card_Filoni_
aumentano_quanti_non_conoscono_Cristo_e_le_sfide_per_la_Chiesa#.WQcIVY2wec0;
https://archive.is/QTBs1.
12
Cf. CONGREGATIO PRO GENTIUM EVANGELIZATIONE, Guida delle missioni cattoliche, Ur-
baniana University Press, Roma 2016.

190
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

2015). Quest’ultima è «un utile strumento di lavoro», ma anche «un’occa-


sione per conoscere il polso della Chiesa missionaria e condividere con es-
sa le consolazioni e i patimenti legati all’annuncio del Vangelo», come eb-
be a dire il Cardinale Filoni riferendosi al volume del 201513. A proposito
del “Continente America” nel citato discorso introduttivo alla XIX Assem-
blea Plenaria della CEP, il Cardinale Prefetto affermò quanto segue:

In America il Dicastero missionario cura la vita spirituale di alcune


Chiese di frontiera. Infatti, l’America Latina […] continua ad avere va-
ste regioni, sia pur poco abitate, bisognose di una specifica evangeliz-
zazione. Nominalmente cattoliche, tali Comunità mancano di sufficien-
ti operatori pastorali che aiutino le popolazioni a crescere nella fede.
Per responsabilizzare l’intero Continente Americano alla cooperazione
missionaria, nel 1999 san Giovanni Paolo II volle che il Congresso Mis-
sionario Latino-Americano coinvolgesse pure il Nord America. E matu-
rò dall’interno l’intento di molte Chiese di farsi missionarie verso Pae-
si limitrofi. Ne uscì l’impegno a “donar desde la pobreza”, uscendo dal-
le proprie frontiere verso altre nazioni e altri Continenti.
Chiese bisognose.
Sono 80 le Circoscrizioni Ecclesiastiche legate a Propaganda Fide. So-
no Chiese presenti soprattutto nei Paesi bolivariani (Ecuador, Colom-
bia, Perù, Venezuela, Bolivia), con qualche presenza in Cile, Paraguay
e Panama. L’opera di accompagnamento si allarga alle Antille e al nord
del Canada, sia pure, per quest’ultima, ancora soltanto per qualche
tempo. Trattasi di 7 Arcidiocesi, 27 Diocesi, 43 Vicariati Apostolici, 1
Prefettura e 2 Missio sui iuris. Comprende circa 50 milioni di persone
in un Continente Americano che arriva ormai ad una popolazione di
quasi un miliardo di abitanti. Sono Chiese carenti di personale aposto-
lico e di mezzi. Gli Istituti religiosi che ne hanno la commissio faticano
sempre più a sostenerle. Emerge ormai la necessità che tali Chiese in-
contrino la diretta solidarietà delle Chiese sorelle della stessa nazione
e Continente.
La sfida maggiore di queste Chiese consiste nel proporre il Vangelo in
forme adeguate: le popolazioni isolane delle Antille vivono il pericolo
del sincretismo religioso e necessitano un annuncio chiaro e forte del

13
Cf. L’Osservatore Romano, domenica 22 maggio 2016, 8.

191
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

Vangelo. Quelle della foresta amazzonica vivono isolate e generazioni di


giovani vanno assimilando i falsi idoli dei media occidentali. Altri
gruppi portano il peso di un passato di schiavitù. I missionari che vi
operano sono epici, ma anziani e insufficienti. Sono vicini alla popola-
zione, sia dal lato religioso che sociale. Grazie a loro il Vangelo si ren-
de tangibile.

Si tratta di dati di significativa importanza e il prestar loro attenzione ap-


partiene all’intelligenza ed alla prassi che fin dagli inizi ha caratterizzato la
sensibilità e l’operato del Dicastero missionario; basti ricordare, da un la-
to, l’indicazione contenuta nell’Istruzione di Propaganda del 1659 riguardo
all’invio a Roma delle informazioni per una adeguata conoscenza della real-
tà delle missioni14, e, dall’altro, proprio l’esistenza e lo sviluppo dell’APF.
Nella secolare opera missionaria della Chiesa cattolica e di Propaganda
Fide, la «centrale romana delle missioni» come scriveva J. Metzler15, l’APF
possiede una importanza straordinaria, in quanto custode della memoria
dell’opera missionaria svolta dal 162216.

2. A proposito del termine-concetto “America Latina”

Risulta opportuno motivare brevemente la preferenza per il termine-con-


cetto “America Latina” segnalato nel titolo di questo studio.

14
M. MARCOCCHI, Colonialismo, cristianesimo e culture extraeuropee. La Istruzione di
Propaganda Fide ai vicari apostolici dell’Asia orientale (1659), Jaca Book, Milano 1981,
68-69.
15
J. METZLER, Francesco Ingoli, primo Segretario della Congregazione (1578-1649), in
F. INGOLI, Relazione delle quattro parti del mondo, F. TOSI (ed.), Urbaniana University
Press, Città del Vaticano 1999, 294.
16
Nella citata relazione il Cardinale Filoni riportava alcuni dati relativi all’APF: esso
è «composto da 10 milioni di documenti in 12.500 volumi, custodisce autentici tesori che
vanno dal 1622 al 1959. Vi lavorano 9 persone. Dal 2009 al 2015 l’Archivio è stato fre-
quentato da oltre 1600 persone di diversi Paesi per un totale di quasi 13.000 presenze.
Esso è stato anche oggetto di molte visite culturali di gruppi di Religiosi, Sacerdoti e Lai-
ci. Nel secondo semestre di ogni anno, poi, si è svolto un seminario di ricerca della Facol-
tà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana (circa 40 alunni ogni anno).
Si è portata a termine la catalogazione della documentazione del pontificato di Papa Pio
XI (720 scatole di documentazione dal 1922 al 1939), ed è a buon punto quella di Papa
Pio XII (864 scatole di documentazione dal 1939 al 1958)».

192
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

Senza entrare approfonditamente nel dibattito storiografico ed ideologico


legato ai vari termini usati nel passato e nel presente per designare il con-
tinente in esame, si osserva quanto segue:
I. nel periodo esaminato, PF esercita la sua competenza anche sui ter-
ritori che geograficamente sono definiti come America Centrale An-
tillana (Caraibi), America Centrale Continentale e America Meridio-
nale;
II. alcuni di questi territori nel secolo XVIII e nel secolo XIX sono sta-
ti governati da Olanda e Inghilterra, con la conseguente diffusione
della rispettiva confessione religiosa cristiana (non cattolica) come
nel caso della Guyana Inglese (o Guyana con capitale Georgetown),
della Guyana Olandese (o Suriname con capitale Paramaribo) e
dell’Honduras Inglese (ovvero Britannico, o Belize con capitale
Belmopan). Seppur sotto il controllo politico olandese ed inglese
nella Guayana Inglese (Guyanae Anglicae) si eresse un VA nel
1837 (diocesi dal 1956)17; nella Guyana Olandese (Guyanae Hol-
landicae) si eresse una PA nel 1817 e un VA nel 1842 (diocesi dal
1958)18; nell’Honduras Inglese si eresse una PA nel 1888 e un VA
nel 1893 (cambia il nome in VA di Belize nel 1925 e diviene dio-
cesi nel 1956)19; tali circoscrizioni ecclesiastiche erano dipenden-
ti da PF;
III. nel periodo preso in esame, i documenti consultati presso gli archi-
vi vaticani (APF, AAV, AA.EE.SS.) si riferiscono alle tre grandi aree
geografiche citate e, in termini generali, usano denominarle Antille,
America Centrale (Continentale), America Meridionale (sia di lin-
gua spagnola che di lingua portoghese), ed anche America Latina;
IV. nella lettera di convocazione del Concilio Plenario Latinoamericano
celebrato a Roma nel 1899, la Cum diuturnum del 25 dicembre del
189820, papa Leone XIII, riferendosi al concetto Latinoamerica-Ame-
rica Latina, usava un criterio eminentemente religioso e culturale,

17
Cf. http://www.catholic-hierarchy.org/diocese/dgeor.html; https://archive.is/W7gN.
18
Cf. http://www.catholic-hierarchy.org/diocese/dpara.html; https://archive.is/5XSc.
19
Cf. http://www.catholic-hierarchy.org/diocese/dbeli.html; https://archive.is/RCM9.
20
Cf. Acta Sanctae Sedis, XXXI, ex Typographia Polyglotta, Romae 1898-1899, 321-
322; https://www.vatican.va/content/leo-xiii/la/letters/documents/hf_l-xiii_let_189812
25_cum-diuturnum.html; https://archive.is/Yjj95.

193
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

non politico-espansionistico21, e parlava degli «interessi conuni della


razza latina (latini nominis) alla quale appartiene più della metà del
Nuovo Mondo»22.
Con “America Latina” si dispone quindi di un termine-concetto che, per
quanto brevemente segnalato, si presta ad abbracciare e a valorizzare la
realtà storica e geografica, culturale e religiosa, con le sue sfumature e dif-
ferenze più o meno marcate, che si considera in questo studio.

3. Le fonti documentali consultate

La ricerca si è concentrata sui volumi degli Acta Sacrae Congregationis de


Propaganda Fide o semplicemente Acta. Il periodo preso in considerazione
è stato quello dall’anno 1900 all’anno 1938 incluso23.
Negli Acta secondo quanto scriveva l’allora Consejero de estudios de la
S.C. de Propaganda Fide, mons. Javier Paventi, si trovano trattate le «que-
stioni più importanti»24. Il contenuto di questo fondo è descritto nell’Inven-

21
Campa scriveva che «mentre il francescano Geronimo de Mendieta designa le Indie,
scoperte da Cristoforo Colombo e dagli altri navigatori rinascimentali, come il Nuovo Mon-
do, è la storiografia francese del 1860 a denominarle Latinoamerica, nell’intento di accre-
ditare le scoperte americane all’influenza dei paesi europei, promotori della modernità».
Il criterio che guidava quella storiografia era politico: essa era pensata in antagonismo al-
le potenze anglosassoni e il cattolicesimo ne era il «collante istituzionale», come più ol-
tre scrive lo stesso autore: R. CAMPA, L’America Latina. Un profilo, Il Mulino, Bologna
2014, rispettivamente 202 e 203.
22
«En la carta de convocación del Concilio Plenario de América Latina, firmada por
León XIII el 25 de diciembre de 1898, el papa habla de “los intereses comunes de la ra-
za latina (latini nominis) a quien pertenece más de la mitad del Nuevo Mundo”»: in PON-
TIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA [oggi Dicastero per la Cultura e l’Educazione:
https://www.vatican.va/content/romancuria/it/dicasteri/dicastero-cultura-educazione/pro-
filo.html; https://archive.is/40u6e], Diccionario de Historia Cultural de la Iglesia en Amé-
rica Latina [https://www.dhial.org/diccionario/index.php?title=AM%C3%89RICA_LA-
TINA:_El_T%C3%A9rmino; https://archive.is/65O7C].
23
Per quanto concerne il tema della periodizzazione dei decenni considerati si riman-
da al volume che raccoglie gli Atti del simposio storico svoltosi in Vaticano e curato dalla
PONTIFICIA COMMISSIO PRO AMERICA LATINA, Los últimos cien años de la evangelización en
América Latina. Centenario de Concilio Plenario de América Latina, LEV, Ciudad del Va-
ticano 2000, soprattutto alle pagine 255-262 del contributo di F. GONZÁLEZ FERNÁNDEZ,
Aplicación, frutos y proyección del Concilio Plenario Latinoamericano, 255-317.
24
J.M. PAVENTI, Prassi della S.C. de Propaganda Fide, in Misiones extranjeras II
(1950), 5, 1.

194
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

tario dell’archivio storico della Congregazione per l’Evangelizzazione dei po-


poli o “De propaganda fide” (ossia l’indice dei fondi, con la relativa descri-
zione); riprendendo alcuni passaggi, che di seguito si riportano, si evince
la particolare importanza degli Acta.

Basta una breve visita ai fondi dell’archivio di Propaganda Fide per in-
dividuare subito due grandi periodi o sistemi di ordinamento (rispetti-
vamente, dal 1622 al 1892 e dal 1893 – anno in cui fu cambiato il si-
stema d’archiviazione con l’introduzione delle rubriche e dei numeri di
protocollo – fino ai nostri giorni)25.

Il sistema archivistico dell’APF si distingue quindi in due parti, la pri-


ma va dal 1622 al 1892 e la seconda inizia dal 1893 ed è ad oggi consul-
tabile fino all’anno 1958.
La prima parte a sua volta si compone di fondi denominati Principali e
di quelli denominati Minori.
Tra i Principali vi è il fondo Acta, l’unico fondo che non si è interrotto col
passaggio del 1893 e che continua fino ad oggi. Esso contiene

i processi verbali delle riunioni mensili dei Cardinali ed altri Membri


della Congregazione (“Congregazione Generale [Plenaria, dice il Pa-
venti]”): i rapporti (“Ristretti”) del Cardinal “Ponente” o del Segreta-
rio, le risoluzioni (“Rescritti”) dei Membri delle riunioni. Essi rifletto-
no, quindi, le principali attività e decisioni del Dicastero nell’adempi-
mento dei suoi vari doveri e competenze26.

Il primo accesso al materiale documentario dell’APF è favorito dagli In-


dici. In uno studio sugli indici di APF, Metzler riportava queste parole:

“Senza Indici è quasi superfluo un archivio”, dice l’autore di un altro


documento interessante dell’anno 1792: “Piano di regolamento da os-

25
CUÑA RAMOS, L’Archivio Storico di Propaganda Fide: fonte per la storia delle missio-
ni e per il diritto missionario, 214; «Il sistema di archiviazione, introdotto all’inizio del-
l’attività della CPF, rimase sostanzialmente invariato fino all’anno 1892 […]. Nel 1893 fu
introdotto il sistema delle rubriche e dei numeri di protocollo», traduzione italiana da KO-
WALSKY – METZLER, Inventory of the Historical Archives, 136. In questo Inventario si trova
una utile bibliografia inerente all’APF.
26
KOWALSKY – METZLER, Inventory of the Historical Archives, 136.

195
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

servarsi nella Segreteria della S. Congregazione”. Questa convinzione


si ebbe a Propaganda sin dall’inizio27.

Per quanto concerne i libri degli Indici degli Acta che qui interessano,
essi sono disponibili nella sala di consultazione, relativamente agli anni dal
1882 (Acta, vol. 250) al 1922 (Acta, vol. 293) e dal 1923 (Acta, vol. 294)
al 1938 (Acta, vol. 310). Le informazioni in essi contenute costituiscono un
imprescindibile aiuto nella ricerca, sebbene non tutte risultino aggiornate
riguardo all’attuale numerazione dei fogli o esaustive nella presentazione
delle tematiche e dei contenuti.
Infine si segnala che spesso nei volumi degli Acta si trova la seguente se-
gnalazione: «Avvertenza. Le ponenze furono disposte nell’ordine in cui fu-
rono trattate».

4. Dati statistici e tematiche delle ponenze sull’America Latina


4. negli Acta dal 1900 al 1938

4.1 Dati statistici

Stando ai volumi degli Acta relativi agli anni dal 1900 al 1938, nelle Con-
gregazioni Generali o Adunanze Plenarie di PF si sono discusse in totale
1400 ponenze presentate a turno dai rispettivi cardinali ponenti. Di esse le
ponenze che riguardano l’America Latina sono 75 (il 5,4%).
Di seguito si indicano i Paesi e il rispettivo numero delle ponenze. La
suddivisione geografica usata nei volumi consultati corrisponde con l’attua-
le che troviamo nell’Annuarium statisticum ecclesiae, mentre sono cambia-
ti i nomi di alcuni Stati.

Ponenze sull’America Latina: 75


America Centrale Caraibi: 14 ponenze
Curaçao [attuali Antille Olandesi]: 2
Giamaica: 4
Guadalupa: 1
Martinica: 2

27
J. METZLER, Indici dell’archivio storico della S.C. “De propaganda fide”, “Euntes Do-
cete” 21 (1968), 110.

196
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

Porto di Spagna-Antille Inglesi [attuale Trinità e Tobago]: 3


Roseau [attuale Dominica]: 2
America Centrale Continentale: 11 ponenze
California Inferiore: 1
Costa Rica: 3
Honduras: 3
Nicaragua: 2
Panama: 2
America Meridionale: 49 ponenze
Argentina: 2
Bolivia 9
Cile: 7
Colombia: 7
Equatore: 3
Guyana Francese [attuale Guyana Francese]: 1
Guyana Inglese [attuale Guyana]: 2
Guyana Olandese [attuale Suriname]: 2
Perù: 12
Venezuela: 2
Brasile: 2
Ponenza specifica sulla schiavitù in America Latina: 1.

4.2 Tematiche delle ponenze

Nelle ponenze vediamo trattate le seguenti tematiche28:


– Nomine vescovili (Roseau) e arcivescovili (Porto di Spagna), di prefet-
ti e di vicari apostolici (con schede dei candidati);
– Erezione di nuove PA (Perù, Cile, Colombia);
– Cambiamento di nome delle PA (Colombia: da Sinú a San Giorgio);
– Smembramento: VA del Gran Chaco (Bolivia);
– Determinazioni di confini: tra prefetture e diocesi (Perù: PA di San
Leone delle Amazzoni e Diocesi di Chachapoyas; PA di San Francesco
dell’Ucayali e Diocesi di Huanuco), tra le stesse PA (Brasile: Teffè e
Alto Solimoes);

28
Come segnalato con VA si intende Vicariato Apostolico e con PA Prefettura Aposto-
lica.

197
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

– Convenzioni tra diocesi e prefetture (Cile: Diocesi di Ancud e PA del-


l’Araucania);
– Attribuzione del carattere vescovile ai Vicari Apostolici, a partire dal
caso del Cile nel 1911, esteso agli altri Stati negli anni ‘20: (Bolivia:
VA del Gran Chaco e di Chiquitos; Cile: VA di Tarapacá, di Antofaga-
sta, di Magellano e di Araucania; Colombia: VA di Caquetà, di Goaji-
ra, di Casanare e di Piani di San Martino; Costarica: VA di Limon; Cu-
raçao; Equatore: VA di Napo; Giamaica; Guyana Francese; Guyana
Inglese; Honduras: VA di San Pedro Sulan; Nicaragua: VA di Blue-
fields; Panama; Perù: VA di San Leone delle Amazzoni e di San Ga-
briele dell’Addolorata; Venezuela: VA di Caronì);
– Collegi di missione dei francescani (retti dalla Lettera Apostolica di
Pio IX Apostolicae Sedis del 1872), loro soppressione e incorporazio-
ne nei conventi delle provincie regolari (il caso del Perù per i Frati Mi-
nori o francescani Minori della Provincia dei “XII Apostoli” detti fran-
ciscanos) o riordinamento di tali collegi (Argentina) e riordinamento
delle missioni (Cile, Argentina);
– Rapporto tra Superiore Religioso (Regolare) e Superiore della Missio-
ne nelle singole Missioni affidate a Ordini o ad Istituti;
– VA di El Beni: provvedimenti per evangelizzare;
– Obbligo della celebrazione della Messa pro-populo (Roseau);
– Schiavitù.

5. Alcune tematiche particolari contenute nelle ponenze esaminate

Alla luce delle fonti archivistiche del fondo Acta si considerano di seguito
alcune tra le molte tematiche che sono state oggetto di studio e di interven-
to da parte di Propaganda Fide e che possono costituire dei temi di appro-
fondimento29.

29
Al riguardo si segnalano i volumi pubblicati dopo la conferenza da cui è tratto il pre-
sente articolo: «Per gl’Indi del Sudamerica. Missione Pontificia di studio». Relazioni e
scritti di Giovanni Genocchi visitatore apostolico in America Latina (1911-1913). Introdu-
zione, trascrizione e note di Mario L. GRIGNANI, (Epistolari, carteggi e testimonianze), Edi-
zioni di Storia e Letteratura, Roma 2018; ID., Propaganda Fide, le missioni e le inchieste
sulla schiavitù de facto degli indigeni in America Latina (1918-1922), (Saperi. Testi. Con-
testi), Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2022.

198
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

5.1 Il problema del rapporto tra il Superiore Regolare locale


5.1 e il Superiore Regolare di missione

Nel quadro delle missioni di Propaganda Fide si tratta di una tematica tra-
sversale ai continenti, non nuova nella storia del Dicastero30.
Mentre all’inizio PF considerava inopportuno che in una singola missio-
ne si istituissero più Superiori, successivamente, sia per le esigenze del go-
verno della missione, sia per quelle legate alla vita e all’organizzazione in-
terna dei religiosi missionari, si distinsero i ruoli. Il problema però non ven-
ne risolto una volta per tutte e riapparve, come si vede nei volumi degli Ac-
ta consultati, specificamente negli anni 1911, 1916 e 1919.
Nella ponenza N. 3 del gennaio 1911, il tema venne affrontato alla luce
della situazione dei vari Ordini o Istituti missionari in Cina; il ponente era
il cardinale Beniamino Cavicchioni31 e il titolo «Relazione con Sommario.
Circa la esistenza di più Superiori Regolari nelle singole Missioni affidate
ad Ordini o ad Istituti religiosi»32.

30
Riguardo ai primi due secoli si segnala lo studio di Francesco Pavese, Il Prefetto Apo-
stolico delle Missioni apparso in tre numeri consecutivi tra il 1962 e il 1963 di Euntes Do-
cete: F. PAVESE, Il Prefetto Apostolico delle Missioni, “Euntes Docete” 15 (1962), 214-238;
15 (1962), 386-411; 16 (1963), 267-295; rispetto ai secoli successivi in Memoria rerum
si trova il contributo di Rafael Moya su La colaboración de las Órdenes y Congregaciones
religiosas y de las Sociedades y Seminarios para las Misisones, che considera il tema alla
luce del concetto di “diarchia” e riporta le istruzioni date da PF che «dan normas para
promover la colaboración entre los dos, lo cual serà facilitado por el hecho de pertenen-
cer a un mismo instituto»: R. MOYA, La colaboración de las Órdenes y Congregaciones re-
ligiosas y de las Sociedades y Seminarios para las Misisones, in METZLER (ed.), Sacrae
Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum: 350 anni a servizio delle Missioni:
1622-1972, III/1, 143.
31
Beniamino Cavicchioni (1837-1911). Cf. Hierarchia Catholica medii et recentioris
aevi, VIII (1846-1903), Ex Typographia “Il Messaggero di S. Antonio”, Patavii 1978, 42,
50, 57, 95, 404; J. LEBLANC, Dictionnaire biographique des Cardinaux du XIXe siècle:
contribution à l’histoire du Sacré Collège sous les pontificats de Pie VII, Léon XII, Pie VIII,
Grégoire XVI, Pie IX et Léon XIII. 1800-1903, Wilson & Lafleur Itée, Montréal 2007, 240;
H.M. LENTZ, Popes and Cardinals of the 20th Century: A Biographical Dictionary, McFar-
land & Company, Jefferson, NC – London 2002, 40-41; https://www.catholic-
hierarchy.org/bishop/bcavicch.html; https://archive.is/uVksf.
32
APF, Acta, anno 1911, vol. 284, «Ponenza N. 3/1911, Prot. N. 103, Gennaio 1911, Sa-
cra Congregazione de Propaganda Fide, Ponente l’Eminentissimo e Reverendissimo Signor
Cardinale Beniamino Cavicchioni, “Relazione con Sommario. Circa la esistenza di più Su-
periori Regolari nelle singole Missioni affidate ad Ordini o ad Istituti religiosi”», ff. 26r-42r.

199
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

Nella ponenza N. 1 del gennaio 1916 il problema riguardava i Missiona-


ri del S. Cuore; il ponente era il Prefetto di PF, cardinale Guglielmo Van
Rossum33, e il titolo «Relazione con voto. Circa l’approvazione di un “Mo-
dus Vivendi” fra la Società dei Missionari del S. Cuore e i Superiori delle
Missioni alla medesima Società confidate o da confidarsi in avvenire”34. Al
foglio 2rv si legge:

E.mi e R.mi Padri, si sottopone oggi al maturo esame e all’illuminato


giudizio delle Eminenze Vostre Reverendissime il progetto di un accor-
do, o modus vivendi, che vorrebbe introdursi fra i membri della Società
dei Missionari del S. Cuore, allo scopo di regolare e meglio determina-
re i rapporti che debbono intercedere fra i Superiori della Società Re-
ligiosa stessa e quei sudditi della medesima, ai quali la Santa Sede ha
confidato il regime di alcune missioni. La necessità di stabilire un mo-
dus vivendi di tal genere cominciò a manifestarsi fin dai primi tempi in
cui questa S.C. di Propaganda stimò opportuno di inviare alle missioni
oceaniche alcuni membri della Società in parola. Fin dal 1898 infatti
nacquero dei malintesi e dei disaccordi fra i primi Capi di missione no-
minati dalla Propaganda, e i loro rispettivi Superiori religiosi, special-
mente a motivo di interesse e di cose finanziarie. Questi disaccordi non
diminuirono col procedere degli anni, anzi si accentuarono continua-
mente mettendo sempre più in evidenza la necessità di un provvedi-
mento di indole generale, quale sarebbe stato appunto la formazione di
un “Modus vivendi” sul genere di quelli che già altre società Religiose
avevano introdotto a vicendevole tutela dei diritti delle Società stesse e
delle missioni loro affidate.

33
Willem Marinus van Rossum C.SS.R. (1854-1932). Cf. Hierarchia Catholica medii
et recentioris aevi, IX (1903-1922), Typis Librariae “Il Messaggero di S. Antonio”, Patavii
2002, 12 e 22; LENTZ, Popes and Cardinals of the 20th Century: A Biographical Dictio-
nary, 159-160; S. PAGANO et alii (edd.), I “Fogli Udienza” del Cardinale Eugenio Pacelli
Segretario di Stato, I (1930), Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2010, 500;
https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bvros.html; https://archive.is/uFix.
34
APF, Acta, anno 1916, vol. 288, «Ponenza N. 1/1916, Prot. N. 1788, Gennaio 1916,
Sacra Congregazione de Propaganda Fide, Ponente l’Eminentissimo e Reverendissimo Si-
gnor Cardinale Guglielmo Van Rossum, “Relazione con voto. Circa l’approvazione di un
“Modus Vivendi” fra la Società dei Missionari del S. Cuore e i Superiori delle Missioni al-
la medesima Società confidate o da confidarsi in avvenire”», ff. 2r-24r.

200
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

Nella Congregazione Generale del 17 gennaio 1916 si votava a favore del


Modus vivendi, da sperimentare per sette anni35.
Il tema riappariva ancora in termini generali nel 1919, nella ponenza N.
1 del 17 marzo presentata dal cardinale Michele Lega36, nella quale si dis-
cuteva di uno «Schema-tipo di relazioni fra il superiore ecclesiastico e il
superiore religioso nelle Missioni affidate a Ordini o Istituti Religiosi»37.
Alla questione venne poi data risposta con l’Istruzione di Propaganda Fi-
de dell’8 dicembre 1929 (precedentemente approvata da Pio XI il 21 no-
vembre 1929)38.
Risulta interessante sottolineare che, sebbene la vicenda fu regolata giu-
ridicamente, dalla lettura delle fonti citate non sembra fuori luogo afferma-
re che la tematica implicava anche una riflessione più ampia che a livello
storico e missiologico meriterebbe di essere approfondita con particolare
attenzione alla concezione e al metodo usato per evangelizzare.

5.2 Una gravissima questione: la schiavitù “de facto” in America Latina


5.2 e la difesa degli indigeni

Nei primi decenni del secolo XX la schiavitù nel continente latinoamerica-


no, seppur illegale, esisteva di fatto, soprattutto in alcune zone periferiche e
di difficile accesso, secondo quanto si riferisce nei documenti. Tale proble-
ma era oggetto di discussione in tre Congregazioni Generali come contenu-

35
Cf. APF, Acta, anno 1916, vol. 288, f. 2v.
36
Michele Lega (1860-1935). Cf. Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, IX, 13;
LENTZ, Popes and Cardinals of the 20th Century: A Biographical Dictionary, 107; PAGANO
et alii (edd.), I “Fogli Udienza” del Cardinale Eugenio Pacelli Segretario di Stato, I (1930),
445; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/blega.html; https://archive.is/lFaj8.
37
APF, Acta, anno 1919, vol. 290, «Ponenza N. 1/1919, Prot. N. 1296, Marzo 1919, Sa-
cra Congregazione de Propaganda Fide, Ponente l’Eminentissimo e Reverendissimo Signor
Cardinale Michele Lega, “Relazione con sommario. Circa la proposta di uno Schema-tipo
di Modus vivendi per determinare le relazioni fra il Superiore ecclesiastico e il Superiore
religioso nelle diverse Missioni affidate ad Ordini o ad Istituti religiosi”», ff. 1r-18v.
38
Cf. Instructio. Ad Vicarios Praefectosque Apostolicos ed ad Superiores Institutorum,
quibus a Sancta Sede Missiones concreditae sunt, in Sylloge praecipuorum documentorum
recentium summorum pontificum et S. Congregationis de Propaganda Fide necnon aliarum
SS. Congregationum romanarum, Typis Polyglottis Vaticanis, [Civitas Vaticana] 1939,
351-357. Anche in J. METZLER (ed.), Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memo-
ria rerum: 350 anni a servizio delle Missioni: 1622-1972, III/2, Herder, Rom – Freiburg –
Wien 1976, 780-783.

201
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

to nelle tre correlate ponenze affidate al Ponente cardinale Oreste Giorgi39


negli anni 1919 e 1920. In esse vi si trovano: la presentazione del proble-
ma nelle sue linee storiche; le relazioni sugli indigeni del Rappresentante
pontificio mons. Rodolfo Caroli primo Internunzio in Bolivia (1917-
1921)40; le iniziative di Propaganda per stroncare tale «abominazione» (co-
me si legge nella documentazione); l’idea di svolgere una ulteriore inchie-
sta prima di qualsiasi ulteriore decisione.
Il 1° dicembre 1917 era stato eretto il nuovo VA di El Beni in Bolivia41
che, in conformità alle disposizioni della Costituzione Apostolica Sapienti
Consilio (1908), veniva sottoposto alla giurisdizione di PF che doveva quin-
di procedere a deliberare sulla nomina del Vicario Apostolico da sottopor-
re all’approvazione del Pontefice. Prima di discutere dei candidati nella
prima delle tre ponenze menzionate42, si richiamava l’attenzione dei cardi-
nali riuniti in Congregazione Generale su
una gravissima questione, che si agita da secoli, relativa alla misera
condizione civile e sociale dei poveri Indiani, dai quali il nuovo Vica-
riato risulta in massima parte abitato e che secondo recenti relazioni sa-
rebbero ancora tenuti in uno stato di inferiorità avvilente e di servitù
degradante43.

39
Oreste Giorgi (1865-1924). Cf. Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, IX, 17-
18; LENTZ, Popes and Cardinals of the 20th Century, 81; www.catholic-hierarchy.org/bish-
op/bgiorgi.html; https://archive.is/CzyrY.
40
Rodolfo Caroli (1869-1921). Cf. Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, IX,
121 e 382; LENTZ, Popes and Cardinals of the 20th Century, 81; P. MARABINI, El apóstol de
Bolivia: vida y muerte edificantes del internuncio apostólico, Mons. Rodolfo Caroli, arzobi-
spo titular de Tiro, fallecido en La Paz el 25 de enero de 1921, Escuela Tipográfica Sale-
siana, La Paz 1921; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bcaroli.html; https://archi-
ve.is/kbrY6; G. DE MARCHI, Le Nunziature Apostoliche dal 1860 al 1956, LEV, Città del
Vaticano 2006, 71 (ristampa anastatica de Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1957).
41
L’erezione del Vicariato apostolico di El Beni da parte di Benedetto XV data 1° di-
cembre 1917: AAS 10 (1918), 9-10. Cf. Annuario Pontificio per l’anno 1922, Tipografia
Poliglotta Vaticana, Roma 1922, 342.
42
APF, Acta, anno 1919, vol. 290, «Ponenza N. 13/1919, Prot. N. 1862, Luglio 1919,
Sacra Congregazione de Propaganda Fide, Ponente l’Eminentissimo e Reverendissimo Si-
gnor Cardinale Oreste Giorgi, “Relazione con Sommario. Sulla nomina del primo Vicario
Apostolico del nuovo Vicariato di El Beni in Bolivia”», ff. 286r-321r.
43
APF, Acta, anno 1919, vol. 290, f. 286v, in «Ponenza N. 13/1919, “Relazione con
sommario sulla nomina del primo Vicario Apostolico del nuovo Vicariato di El Beni in Bo-
livia”», ff. 286r-321r.

202
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

Il testo del Sommario della ponenza ripercorreva storicamente la condi-


zione degli indigeni e le iniziative che alcuni pontefici e missionari aveva-
no intrapreso per soccorrerli, fino all’enciclica di Pio X Lacrimabili statu
Indorum del 7 giugno 191244.
Relativamente ai provvedimenti da prendere per proteggere, evangeliz-
zare e civilizzare i numerosi indigeni latinoamericani si sarebbe dovuto ri-
tornare a discutere dopo aver ricevuto più precise informazioni.
Infine, Propaganda Fide intendeva «intraprendere una vigorosa azione,
in difesa di quelle infelici genti cui la Chiesa insieme col lume della fede
vuol conferire quella civile dignità che loro compete per esser create ad im-
magine di Dio»45.
A proposito dell’impegno di Propaganda Fide per la difesa della libertà
e della dignità degli indigeni, incluso quelli dell’America Latina, sette an-
ni dopo si pronunciava un oratore durante il IV Congresso Antischiavista
Italiano:

In tema di liberazione degli schiavi e di miglioramento delle loro sorti,


ricordiamo prima di tutto che, da tre secoli, la Propaganda Fide è l’e-
secutrice fedele, e spesso, anche l’ispiratrice delle iniziative pontificie
per l’abolizione della schiavitù, da Urbano VIII, che fulminava la sco-
munica contro chi spogliava gli Indi della libertà o dei beni, al Papa Pio
X che non molti anni fa (1912) denunziava al mondo civile la tristissi-
ma condizione degli Indi nell’America latina e invocava provvedimen-
ti per salvarli dall’oppressione e dall’esterminio46.

Il Congresso emanava poi, tra vari, un ordine del giorno che, nell’attua-
lità, appare come un invito ad una rinnovata riflessione in vista del IV cen-
tenario della fondazione di PF.

44
PIO X, Lacrimabili statu Indorum (7 giugno 1912), in Acta Apostolicae Sedis 4
(1912), 521-525; Enchiridion della Chiesa missionaria, I, EDB, Bologna 1997, 138-147;
https://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_07061
912_lacrimabili-statu.html; https://archive.is/d3TOi.
45
APF, Acta, an. 1920, vol. 291, f. 170v.
46
F. D’ANVERSA CALLAEY, La S.C. di Propaganda Fide per l’incivilimento dei popoli,
in SOCIETÀ ANTISCHIAVISTA D’ITALIA, Atti del quarto Congresso nazionale della Società an-
tischiavista d’Italia (1926), Anonima Romana Editoriale, Roma 1927, 2.

203
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

Ordine del giorno. Il IV Congresso Antischiavista Italiano, ricordando


l’opera tre volte centenaria svolta dalla S.C. di Propaganda Fide per la
difesa degli schiavi e delle caste ritenute abbiette, nonché per la eleva-
zione sociale delle razze di colore in genere; fa voti che questa nobilis-
sima Congregazione venga segnalata alla gratitudine dell’umanità e più
specialmente delle Società Antischiaviste illuminate dal suo esempio e
sia acclamata fattrice potente dell’incivilimento dei popoli47.

5.3 Le Rappresentanze pontificie in America Latina e Propaganda Fide

Dalla documentazione considerata è emersa anche un’altra tematica ossia


quella del rapporto di PF con i Rappresentanti pontifici in America Latina48.
Il legame coi Rappresentanti pontifici in America Latina (Nunzi, Inter-
nunzi e Delegati Apostolici49) risulta di grande significato per l’opera di PF

47
Ibid., 10.
48
In relazione alla diplomazia vaticana della prima metà del secolo XX e l’America La-
tina, si segnalano: P. VALVO, Da Roma al mondo: l’agenda del nuovo Papa. Situazione del-
la Chiesa e prospettive di riforma all’alba del pontificato di Pio X, “Rivista di Storia della
Chiesa in Italia” 2 (2013), 537-538; G.B. VARNIER, La Santa Sede nell’assetto internazio-
nale dopo la grande guerra: la Relazione sui vari Stati presentata al nuovo pontefice Pio
XI, Biblioteca della Rivista di studi politici internazionali, Firenze 2004 (sebbene si con-
sidera la sola Bolivia); R. REGOLI – P. VALVO, Tra Pio X e Benedetto XV. La diplomazia pon-
tificia in Europa e America Latina nel 1914, Studium, Roma 2018 (contenente l’edizione
delle Relazioni presentate al S. P. Benedetto XV, sulla situazione della Nazioni). Di prossi-
ma pubblicazione da parte dello scrivente il volume inedito delle Relazioni sullo stato del-
le Nazioni del 1939 presentate al nuovo papa Pio XII custodito in ASRS, AA.EE.SS. Alcu-
ni risultati dello studio e dell’impiego delle menzionate Istruzioni in: M.L. GRIGNANI, Le
Istruzioni pontificie per Monsignor Pietro Monti, Delegato Apostolico presso la Repubblica
del Cile (1902-1907). Considerazioni della Parte Generale, in S. MAZZOLINI (ed.), Voci ecu-
meniche, UUP, Città del Vaticano 2018, 61-82; ID., La dimensione missionaria nelle Istru-
zioni ai Rappresentanti pontifici nella Repubblica di Bolivia durante il pontificato di Pio
XI, in F. CAJANI (ed.), Pio XI e il suo tempo, Atti del Convegno celebrato a Desio, 10 feb-
braio 2018, “I Quaderni della Brianza” 41 (2018), CISD Pio XI, Desio 2018, 441-474.
49
Sulla differenza tra essi stabilita dal Comunicato delle Segreteria di Stato dell’8 mag-
gio 1916 e dal Codice di Diritto Canonico del 1917 al canone 267 § 2, si veda D. STAFFA,
Delegato Apostolico, in Enciclopedia cattolica, P. PASCHINI (ed.), IV, Ente per l’Enciclope-
dia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano 1951, coll. 1345-1350; ID., Le De-
legazioni Apostoliche, Desclée e & Editori Pontifici, Roma – Parigi – Tournai – New York,
NY 1958. Il rapporto tra PF e l’America Latina si può cogliere, per esempio, attraverso lo
sviluppo delle circoscrizioni ecclesiastiche secondo i dati contenuti nei volumi de La Ge-

204
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

durante i pontificati del periodo esaminato, sia in riferimento alle istruzio-


ni impartite dalla Segreteria di Stato e da PF, sia relativamente alle infor-
mazioni inviate dai diplomatici pontifici concernenti l’andamento delle
missioni, la condizione degli indigeni e il soccorso spirituale e materiale da
prestare ad essi. Inoltre i rappresentanti della Santa Sede svolgevano un
ruolo di primo piano in ordine alle nuove erezioni di una PA o di un VA in
quanto necessario il benestare dei Governi laddove vigeva un regime di
unione e collaborazione pacifica tra Stato e Chiesa stabilito nella Carta Co-
stituzionale, o laddove i rapporti erano più problematici per il fatto che i
Governi si ritenevano i depositari dell’antico diritto di Patronato Reale tra-
sformato in Patronato Nazionale50 (peraltro mai accettato dalla Santa Sede,
salvo il caso della concessione fatta al Perù51). In quest’ottica assumono
grande valore gli archivi delle Rappresentanze pontificie:

L’archivio di una rappresentanza pontificia è una fonte privilegiata per


la storia di un Paese, poiché il nunzio svolge la propria attività di rap-
presentanza della Santa Sede sia presso gli Stati che nei confronti del-
la gerarchia ecclesiastica locale, ed è pertanto incaricato di una dupli-
ce legazione esterna ed interna, mentre il delegato apostolico rappre-
senta il pontefice solo verso la realtà ecclesiale interna. Se è vero che
l’archivio riflette la storia e la competenza dell’ufficio che lo produce,
si comprende come la consultazione dell’archivio di una rappresentan-

rarchia Cattolica prima, e dell’Annuario Pontificio poi. Cf. La Gerarchia Cattolica, Tipo-
grafia dei Fratelli Monaldi, Roma 1878; La Gerarchia Cattolica, Tipografia Vaticana, Ro-
ma 1902; Annuario Pontificio per l’anno 1914, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1914;
Annuario Pontificio per l’anno 1922, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1922; Annua-
rio Pontificio per l’anno 1922, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1939.
50
Si veda per esempio lo studio di C. SALINAS ARANEDA, Las relaciones Iglesia-estado
en Chile en el siglo XIX, in ID., Estudios históricos. El Derecho Canónico en Chile. Siglo
XIX, Pontificia Universidad Católica de Valparaíso, Valparaíso 2016, 19-62.
51
«La Repubblica del Perù non soltanto è in rapporti diplomatici con la Santa Sede,
ma, grazie alla Bolla Praeclara inter dei 16 Marzo 1875, gode del diritto di Patronato già
concesso ai Re di Spagna in ordine alla provvista delle Diocesi, delle Dignità, dei Cano-
nicati di grazia e di ufficio, come pure dei benefici parrocchiali, salvo sempre il concorso
prescritto dai sacri canoni», R. REGOLI – P. VALVO, Tra Pio X e Benedetto XV. La diploma-
zia pontificia in Europa e America Latina nel 1914, 186 [Relazioni presentate al S. P. Be-
nedetto XV, sulla situazione della Nazioni, in ASRS, AA.EE.SS., Stati Ecclesiastici III, po-
sizione 1310, fasc. 452, f. 166r]. Cf. Enchiridion dei Concordati. Due secoli di storia dei
rapporti Chiesa-Stato, EDB, Bologna 2003, 426-431.

205
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

za pontificia offra una panoramica più completa sulla situazione storica,


politica e religiosa di un Paese, rispetto a singole questioni o temi che
si possono ricavare dalla consultazione di archivi di singoli uffici o con-
gregazioni della Curia romana. […] È storia recente l’utilizzo consoli-
dato degli archivi delle rappresentanze pontificie quali fonti privilegia-
te per la ricerca storica52.

Si rende dunque necessario estendere la ricerca anche ad altri archivi


vaticani, come l’AAV e quello degli AA.EE.SS., vagliando la ricca docu-
mentazione e ricostruendo, per quanto possibile allo storico, il passato.
In questo quadro occupano un posto di rilievo le Istruzioni date ai Rap-
presentanti pontifici in partenza per l’America Latina e le Relazioni di que-
sti (sia durante che a fine missione) in quanto sono una fonte privilegiata
di informazioni. Di seguito, come esempi, si riportano le parti relative alla
missione tratte dalle inedite Istruzioni per Mons. Giacinto A. Scapardini Ar-
civescovo tit. di Damasco Delegato Apostolico del Perù e Bolivia e Istruzioni
della Segreteria di Stato a Mons. Carlo Pietropaoli, Arcivescovo di Calcide,
Inviato straordinario della S. Sede nel Venezuela, emanate sotto il pontifica-
to di Pio X, rispettivamente nel novembre 1910 e nel giugno 1913, mano-
scritte le prime e dattiloscritte le seconde.
A mons. Scapardini53 si presentava il quadro della Prefettura Apostolica
di S. Leone delle Amazzoni e si indicava quanto segue54:

[f. 47r]
V
Prefettura Apostolica di S. Leone delle Amazzoni
La Prefettura Apostolica di S. Leone delle Amazzoni, con centro in
Iquitos, affidata ai PP. Agostiniani versa in condizioni non liete princi-
palmente a causa dell’ostilità del Governo e l’avversione dei cittadini

52
L. CARBONI, Gli archivi delle rappresentanze pontificie, in Religiosa Archivorum Cu-
stodia: IV centenario della Fondazione dell'Archivio Segreto Vaticano (1612-2012), Archi-
vio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2015, 273 e 276.
53
Angelo Giacinto Scapardini (1861-1937). Cf. Hierarchia Catholica medii et recentio-
ris aevi, IX, 152; S. PAGANO et alii (edd.), I “Fogli Udienza” del Cardinale Eugenio Pacel-
li Segretario di Stato, II (1931), Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2014, 790;
https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bscap.html; https://archive.is/7Suqx. DE MAR-
CHI, Le Nunziature Apostoliche dal 1860 al 1956, 205.
54
AAV, Archivio Nunziatura Apostolica del Perù, busta 66, fasc. 225, ff. 47r-48v.

206
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

d’Iquitos ad una forma di regime ecclesiastico che si ritiene esclusiva-


mente adatta per regioni incivili e [f. 47v] selvaggie [sic!].
Or sono alcuni anni, nel 1907, la città d’Iquitos con decreto dell’auto-
rità civile fu dichiarata dipendente dal Vescovo di Chachapoyas. Mon-
signor Dolci ottenne che si sospendesse quel decreto e fu allora propo-
sta l’istituzione di un Vicariato Apostolico con Vicario stipendiato dal
Governo. Al progetto del Vicariato cui nel Congresso molti si opposero
asserendolo contrario al decoro e agli interessi nazionali della città d’I-
quitos, si sostituì quello dell’erezione di una diocesi che ha ottenuto il
voto favorevole della Commissione degli affari ecclesiastici, ma non è
stato ancora approvato dalla Commissione del Presupuesto.
Mons. Scapardini vedrà se convenga insistere in questo progetto, che
rispondereb [f. 48r] be a una generale necessità di quei vastissimi ter-
ritorii e riferirà sul miglior modo di provvedere agli interessi religiosi di
Iquitos divenuta centro assai importante ove pur troppo la fede vien
meno e gli Agostiniani, secondo quanto si riferisce alla Santa Sede, non
possono fare alcun bene per l’animosità che regna contro di loro.
Gioverà poi ricordare che il Prefetto Apostolico Fr. Paolino Díaz, espo-
se, or è qualche tempo, alla Santa Sede come quel Governo sia autoriz-
zato per legge votata dal Congresso a concedere in Iquitos il terreno per
edificare una chiesa ed una casa che sia il centro delle missioni fonda-
te e da fondarsi in quella regione.
Non consta se tale cessione abbia avuto luogo: Monsignor Delegato avrà
presen [f. 48v] te anche questo punto coordinandolo, se possibile, al
definitivo progetto di sistemazione.
Non tralascerà poi Monsignor Scapardini di vigilare sull’attuale stato di
questa come delle altre Prefetture e dei Vicariati esistenti nei territori
sottoposti alla sua Delegazione per riferirne opportunamente alla Sacra
Congregazione de Propaganda Fide.

A mons. Pietropaoli55 si ricordava l’interesse della Santa Sede per l’isti-


tuzione di nuove diocesi e missioni e si facevano le seguenti raccomanda-
zioni56:

55
Carlo Pietropaoli (1857-1922). Cf. Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi,
IX, 123; http://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bpietr.html; https://www.catholic-hie-
rarchy.org/bishop/bpietr.html. DE MARCHI, Le Nunziature Apostoliche dal 1860 al 1956,
263.
56
AAV, Archivio Nunziatura Apostolica del Venezuela, busta 11, fasc. 29, ff. 41v-43r.

207
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

[f. 41v]
V.
Missioni
Non ignora Mons. Pietropaoli l’interesse vivissimo della S. Sede, mas-
sime in questi ultimi anni, per l’opportuna erezione di nuove diocesi o
anche di missioni, Prefetture e Vicariati Apostolici nell’America Lati-
na, allo scopo di soddisfare nel modo possibile e più efficace le esigen-
ze spirituali di quei vasti e remoti territorii, cui non si estende l’azione
dei centri di vita religiosa già esistenti.
Tale provvido disegno della S. Sede, che si va attuando gradatamente
con i migliori auspici, si presenta ora come oggetto di particolare stu-
dio ed interesse ai Rappresentanti Pontifici nell’America Latina, i qua-
li appunto debbono ritenere parte notevolissima del loro ufficio quella
di adoperarsi, secondo le circostanze, a promuovere l’incremento e l’e-
stensione d’un’opera, che se in ogni tempo ha risposto alla missione di-
vina della Chiesa cattolica, ai giorni nostri, mentre apparisce somma-
mente conforme ed utile alle attuali ragioni della civiltà e del progres-
so, concilia giustamente alla Chiesa stessa generale plauso e favore, ed
inoltre riesce spesso necessaria per guadagnare in tempo il terreno e
prevenire i pericoli più o meno imminenti della civilizzazione laica o
d’una propaganda antireligiosa.
[f. 42r] Mons. Pietropaoli avrà quindi presente un oggetto di tanta im-
portanza e non tralascerà di studiare e sottoporre al giudizio della S. Se-
de quelle proposte che potessero sembrargli necessarie ed opportune.
A tal riguardo, si richiama particolarmente, in primo luogo, la sua at-
tenzione sulla ben nota iniziativa presa dalla S. Sede a favore della re-
denzione religiosa e civile degli indi, i quali vivono in uno stato anco-
ra selvaggio, aggravato sovente dai traffici inumani e dalle crudeli per-
secuzioni, cui si trovano esposti. Tale iniziativa dette luogo ad una cir-
colare, con cui la S. Sede interessò all’opera nobilissima i Rappresen-
tanti Pontefici nelle Repubbliche sud-americane, alla nota missione di
studio del P. Genocchi e finalmente, per adesso, alla Enciclica “Lacri-
mabili Statu”, cui ha corrisposto il plauso comune ed in seguito alla
quale è stata eretta una missione nel territorio del Putumayo, ove le
suddette barbarie erano state specialmente segnalate. Qui acclusi si ri-
mettono gli accennati documenti a Mons. Pietropaoli, il quale avrà cu-
ra d’informarsi sull’esistenza e le condizioni degl’Indi non civilizzati
nei territori del Venezuela, per riferire alla S. Sede, e d’adoprarsi per-

208
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

ché un’impresa di tanta importanza religiosa e civile sia giustamente ri-


conosciuta e positiva [f. 42v] mente favorita, in quanto possibile, sia dal
Governo che dall’Episcopato: al quale scopo Mons. Delegato non trala-
scerà di fare notare, ove sia necessario, come l’iniziativa del S. Padre e
la susseguente Enciclica, diretta a tutti gli Ordinarii dell’America La-
tina, tendono a migliorare il triste stato degli Indi non soltanto in qual-
che particolare territorio, ma ovunque sia necessario.
Si raccomanda, in secondo luogo, a Mons. Pietropaoli di riprendere le
trattative già iniziate da Mons. Aversa perché si erigano alcune missio-
ni diocesane, massime nella diocesi di Guayana, e qualche Prefettura
o Vicariato Apostolico.
All’erezione di due missioni immediatamente soggette alla S. Sede, od
anche di due Vicariati Apostolici, si dichiararono bendisposti tanto il re-
sidente della Repubblica, quanto il Ministro degli Interni, Sig. Alcanta-
ra. Questi, anzi, promise a Mons. Aversa di sottoporgli un apposito pro-
getto, ma non consta che tali pratiche siano procedute oltre.
La maggiore difficoltà per la sollecita attuazione di sì benefici provve-
dimenti consisterebbe, secondo riferiva Mons. Aversa, nella scarsezza
di fondi e sussidi economici.
Minore è l’altra, sempre a giudizio di Mons. [f. 43r] Aversa, risultante
dal divieto legale opposto a sacerdoti e religiosi stranieri d’entrare nel-
la Repubblica.
Su questo punto, di sì grande interesse ed importanza per il presente e
l’avvenire religioso del Venezuela, Mons Pietropaoli si atterrà alle istru-
zioni contenute nel paragrafo II ed avrà inoltre presente che la S. Sede
è disposta, ove sia opportuno, ad interporre una parola di viva racco-
mandazione perché i Superiori Generali degli Istituti Religiosi secon-
dino, quant’è da loro, il compimento di sì provvidi disegni.

Riflessioni conclusive

Una premessa e due riflessioni a carattere generale costituiscono i rilievi fi-


nali dell’esposizione fin qui svolta e relativa alla ricerca condotta sul fondo
Acta dell’APF concernente l’America Latina durante le prime quattro deca-
di del secolo XX.
La premessa si riferisce al lavoro dello storico per le cui mani passano i
fogli dei documenti. Alla sempre valida norma metodologica indicata da

209
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

Gustave Droysen nel suo Sommario di Istorica – «l’essenza del metodo sto-
rico è comprendere indagando»57 – è utile associare quella contenuta in
una citazione riportata da Giovanni Coco in quanto offre un’importante in-
dicazione di mentalità per il lavoro di ricerca soprattutto in un archivio ec-
clesiastico:

Il cardinale Domenico Tardini, una delle menti più brillanti al servizio


della Santa Sede nel secolo scorso, esortava i suoi collaboratori a cura-
re con attenzione i documenti, ripetendo “dietro le carte, ricordate che
ci sono delle anime, delle persone”. Queste poche parole riassumono
l’estrema importanza attribuita dalla Santa Sede ai suoi archivi e, in
particolare, a quelli della Segreteria di Stato, di cui riflettono non solo
l’attività ma anche l’evolversi stesso dell’istituzione che li ha generati,
mostrandone aspetti nuovi e persino sorprendenti58.

La prima riflessione riguarda il materiale documentario segnalato.


Sebbene le ponenze contenenti tematiche relative all’America Latina rap-
presentino negli Acta solamente il 5,4% di tutte quelle che si ebbero in PF
tra il 1900 e il 1938, nondimeno si costata che presso l’APF si conserva una
documentazione che senza dubbio costituisce, in continuità con quella pre-
cedentemente prodotta nel secolo XIX, una significativa ricchezza per lo
studio della storia della Chiesa e delle sue missioni nel continente latinoa-
mericano.
La seconda riflessione concerne le tre tematiche particolati presentate e
che possono costituire temi di approfondimento in vista del IV centenario
della fondazione della Congregazione de Propaganda Fide.
La prima tematica ha mostrato il problema dei rapporti di competenza tra
superiore religioso e superiore di missione ovvero un problema di governo,
centrale nella vita e nello sviluppo delle missioni che, come esposto, sem-
brava comportare anche la necessità di approfondire metodi di evangeliz-
zazione.

57
J.G. DROYSEN, Sommario di Istorica, Sansoni, Firenze 1943, 14 [or. Grundriss der Hi-
storik, Verlag von Vait, Leipzig 1882]. Tale osservazione è ricordata anche in un importan-
te contributo di P. CHIOCCHETTA, Teologia e storiografia della Chiesa, Studium, Roma
1969, 13.
58
G. COCO, Il governo, le carte e la memoria, in Religiosa Archivorum Custodia: IV cen-
tenario della Fondazione dell'Archivio Segreto Vaticano (1612-2012), 215.

210
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide

In sintonia con l’azione dei missionari e l’enciclica di Pio X Lacrimabili


statu Indorum, la seconda tematica sulla schiavitù di fatto ha evidenziato il
chiaro indirizzo di PF diretto a difendere la vita e le proprietà degli indige-
ni nonché a riaffermare, di fronte alle violenze e all’abuso del potere, la di-
gnità e la libertà della persona umana in quanto creatura di Dio come indi-
cato nella Bibbia.
La terza tematica, esposta con materiale archivistico anch’esso inedito,
ha segnalato l’importanza del rapporto tra PF e i Rappresentanti pontifici
in ordine alle missioni della Chiesa in America Latina.
Appartenenti alle settantacinque ponenze queste tre tematiche, aperte a
future ricerche ed approfondimenti, rappresentano esempi concernenti le
problematiche delle missioni nonché delle direttive stabilite da Propaganda
Fide per la soluzione delle difficoltà e per lo sviluppo dell’attività missio-
naria nel continente latinoamericano nella prima metà del secolo XX.

Mario Luigi Grignani


Pontificia Università Urbaniana
([email protected])

211
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mario L. Grignani

ABSTRACT

L’AMERICA LATINA NEGLI ACTA SACRAE


CONGREGATIONIS DE PROPAGANDA FIDE
DELL’ARCHIVIO STORICO DEL DICASTERO
PER L’EVANGELIZZAZIONE (1900-1938)

L’articolo, di indole storico-archivistica, è il testo della conferenza presentata du-


rante il Simposio Internazionale «Verso il IV centenario di fondazione della Con-
gregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli: status quaestionis» (Pontificia Uni-
versità Urbaniana, 11-12 maggio 2017). Aggiornato in alcune sue parti, esso
prende in esame i volumi del fondo Acta Sacrae Congregationis de Propaganda
Fide dell’Archivio Storico del Dicastero per l’Evangelizzazione con l’obiettivo di
rintracciare le tematiche afferenti al contesto missionario latinoamericano nelle
prime quattro decadi del secolo XX e di indicare alcune possibili piste di ricerca
relative all’allora Congregazione de Propaganda Fide e all’attività da essa svol-
ta a servizio delle missioni cattoliche e dei popoli indigeni dell’America Latina.

LATIN AMERICA IN THE ACTA SACRAE


CONGREGATIONIS DE PROPAGANDA FIDE
OF THE HISTORICAL ARCHIVES OF THE DICASTERY
FOR THE EVANGELIZATION OF PEOPLE (1900-1938)

The article is the outcome of historical-archival research and the text of the lec-
ture presented at the International Symposium “Towards the Fourth Centenary of
the Foundation of the Congregation for the Evangelization of Peoples: status
quaestionis” (Pontifical Urbaniana University, May 11-12, 2017). Updated in
some of its parts, it examines the volumes of the Acta Sacrae Congregationis de
Propaganda Fide fund of the Historical Archives of the Dicastery for Evangeliza-
tion with the aim of tracing the issues pertaining to the Latin American mission-
ary context in the first four decades of the 20th century and to indicate some pos-
sible directions of research related to the then Congregation de Propaganda
Fide and the activity it carried out in the service of Catholic missions and the in-
digenous peoples of Latin America.

Keywords: Propaganda Fide Historical Archives; Dicastery for the Evangeliza-


tion; Latin America; Missions

212
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

REFLEXIONES SOBRE
LOS «APRIORIS» MISIONEROS Y LA
ACTIVIDAD MISIONERA DE LOS CAPUCHINOS
DURANTE LA MISSIO ANTIQUA
EN EL REINO DEL CONGO (1645-1835)

1. El concepto de religión en el Renacimiento – 2. La idolatría como falsa religio o reli-


gión diabólica – 3. Necesidad y urgencia del bautismo – 4. Estudio de las lenguas y con-
fesión por medio de intérpretes – 5. Necesidad de acomodación y clero o catequistas au-
tóctonos – 6. Los esclavos de la Iglesia - 7. Conclusión

Palabras clave: Capuchinos; Reino del Congo; Missio antiqua; religión; idolatría; bau-
tismo; lenguas y misión; acomodación; clero nativo; esclavos de la Iglesia

La Missio Antiqua de los capuchinos en el Reino del Congo entre 1645-


1835 pertenece a la tercera fase de la historia de la misión1, que comenzó
con los descubrimientos del siglo XV y se caracteriza por el celo con que
Europa, sobre todo la Europa católica, primero bajo el impulso de la expan-
sión colonial de las monarquías ibéricas y luego también bajo la dirección
de Propaganda, intenta extender su religión y civilización allende los ma-
res. El interés misionero por África es en esa época más bien secundario,
comparado con el interés por América y Asia. La hora misionera de África
llegará a partir de la segunda mitad del siglo XIX, ya en la cuarta época de
la historia de la misión; y su despertar en la Iglesia y la Comunidad de Na-
ciones deberá esperar hasta el auge del clero nativo y la crisis del colonia-
lismo después de la Segunda Guerra Mundial, que ponen fin a esa cuarta
época y abren con el Concilio Vaticano II la quinta y actual época del cris-
tianismo, la de la evangelización global que tiene su punto de gravedad en

1
Cf. p.e.: M. SIEVERNICH, Epochen der Evangelisierung. Ein kurzer Blick auf eine lan-
ge Geschichte, en K. KRÄMER – K. VELLGUTH (Hg.), Evangelisierung. Die Freude des Evan-
geliums miteinander teilen (ThEW 9), Herder, Freiburg 2015, 21-39; J. SCHMIDLIN, Die
Missionsunterschiede der drei kirchlichen Zeitalter (Altertum, Mittelalter und Neuzeit),
“ZMR” 13 (1923), 12-20.

213
3/2022 ANNO LXXV, 213-238 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

el hemisferio sur y se caracteriza sobre todo por la creciente interculturali-


dad y el cada vez mas intenso diálogo ecuménico e interreligioso2.
Se ha llamado a la Missio antiqua de los capuchinos en el Reino del Con-
go «the most important mission sent to Africa by Rome before the middle
of the nineteenth century»3. Un amplio capítulo sobre la misma no falta en
ninguna de las obras importantes sobre la historia de la Iglesia en África4.
Y, gracias a la guía de fuentes de Teobaldo Filesi e Isidoro de Villapadier-
na, estamos bien orientados sobre la inmensa cantidad de documentos (de-
cretos, instrucciones y cartas de Propaganda así como relatos, cartas, cró-
nicas, catecismos y obras linguísticas de los capuchinos) que duerme en los
archivos y de la cual sólo una mínima, pero importante parte ha sido obje-
to de estudios y ediciones5.
Cuando los capuchinos, primero españoles y después italianos, fueron en-
viados al Congo por Propaganda en 1645, la expansión misionera de la Igle-
sia Católica en la tercera época de la misión tenía unos 150 años de apren-
dizaje por experiencia, con especial protagonismo de la familia franciscana.
Existía también una reflexión teórica sobre el modus operandi, siempre te-
niendo en cuenta que los misioneros eran, naturalmente, hijos de su tiempo,
es decir de la teología, la eclesiología y también de la visión del otro y de las
religiones no cristianas que había en la época. Todo esto conforma lo que po-
demos llamar los «aprioris» que condicionaron la actividad de los capuchi-
nos de la Missio antiqua del Congo, como condicionaron también la misión
en otras épocas y lo hacen también en la nuestra. Los aprioris cambian, pe-
ro permanece, como ha resaltado Joseph Schmidlin, de que en la historia de
la misión hay siempre «una estrategia y el principio acomodación»6, como
se ve ya en los comienzos del cristianismo: el nuevo concepto de «pueblo de

2
Cf. SIEVERNICH, Epochen, 38.
3
R. GRAY, Christianity, the Papacy and Mission in Africa. Ed. with an Introduction by
L. SANNEH, Orbis Books, Maryknoll, New York, NY 2012, 27.
4
Baste nombrar aquí dos ejemplos: A. HASTINGS, The Church in Africa 1450-1950, Ox-
ford University Press, New York, NY 1994; J. BAUR, Christus kommt nach Afrika. 2000 Jah-
re Christentum auf dem Schwarzen Kontinent. Aus dem Englischen übersetzt, überarbeitet
und ergänzt von B. MUTH-OELSCHNER (Studien zur christlichen Religions- und Kulturge-
schichte 6), Academic Press Fribourg – Kohlhammer, Fribourg – Stuttgart 2006, 59-87.
5
Cf. T. FILESI – I. DE VILLAPADIERNA, La “missio antiqua” dei Cappuccini nel Congo
(1645-1835). Studio preliminare e guida delle Fonti (Subsidia Scientifica Franciscalia,
Cura Instituti Historici Capuccini 6), Istituto Storico Cappuccini, Roma 1978.
6
J. SCHMIDLIN, Die Lehren der Missionsgeschichte, “ZMR” 22 (1932), 217-224, 221.

214
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

Dios», en el que no hay griegos ni judíos, sino que todos son uno en Cristo
(cf. Gal 3,28), converge en cierto sentido con el universalismo romano y
constituye la estrategia del cristianismo primitivo que contribuyó a su éxi-
to en el mundo antiguo; y la voluntad de translación, acomodación o incul-
turación no se nota sólo en el concilio de Jerusalén, cuando se decide no
obligar a los gentiles a observar las leyes judías, sino también en la elec-
ción del griego como lingua franca para los escritos del Nuevo Testamento7.
Veamos ahora los principales aprioris (concepto de religión e idolatría, ac-
titud misionera frente a las mismas, necesidad y urgencia del bautismo, es-
tudio de las lenguas, necesidad de acomodación y clero o catequistas nati-
vos, situación de «los esclavos de la Iglesia») de la Missio antiqua y cómo la
praxis misionera de los Capuchinos y las instrucciones de Propaganda estu-
vieron condicionadas por ellos. Este esfuerzo hermenéutico me parece impor-
tante e incluso imprescindible, pues en la Historia de la misión si no tene-
mos lo que los alemanes llaman un «Verstehenshorizont» o un horizonte her-
menéutico ante la gran cantidad y variedad de fuentes corremos el peligro de
adentrarnos en el bosque de los archivos y sólo ver árboles, pero no el bos-
que en su conjunto. Al presentar los aprioris intentaré siempre comparar la
Missio antiqua de los capuchinos con la experiencia misionera en América.

1. El concepto de religión en el Renacimiento

La religión era para los europeos del renacimiento una constante estructu-
ral de la historia. No concibían al hombre más que como «homo religiosus».
Pues, como decía Cicerón, no hay ningún pueblo «que no sepa que hay que
tener un Dios, aunque ignore qué clase de Dios se debería tener»8. Pero al
mismo tiempo distinguían entre el cristianismo como religio vera y el resto
como religio falsa o idolatría demoníaca. Baste citar a Martín Lutero: «Ex-
tra Christum omnes religiones sunt idola»9. Con el axioma «extra ecclesiam

7
Cf. M. DELGADO, Das Christentum – die historische Konstruktion seiner Identität, en
G.M. HOFF – H. WALDENFELS (Hg.), Die ethnologische Konstruktion des Christentums.
Fremdperspektiven auf eine bekannte Religion, Kohlhammer, Stuttgart 2008, 64-83.
8
MARCUS TULLIUS CICERO, Über die Rechtlichkeit (De legibus), Übers. von K. BÜCHNER,
Reclam, Stuttgart 1989, 16 (I,24).
9
E. FEIL, Religio. Die Geschichte eines neuzeitlichen Grundbegriffs vom Frühchristentum
bis zur Reformation (Forschungen zur Kirchen- und Dogmengeschichte 36), Vandenhoeck
& Ruprecht, Göttingen 1986, 241 (allí se encuentran las citas de la obra de Lutero).

215
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

nulla salus», dogmatizado en el concilio de Florencia (1442)10 al comienzo


de la época de los descubrimientos y del nuevo celo misionero, la Iglesia ca-
tólica formulaba el mismo principio en clave eclesiocéntrica, dando a enten-
der a los paganos, judíos y cismáticos que la verdadera religión y la verda-
dera fe, que conducen a la salvación, sólo se encuentran en su interior. Los
europeos entendían además por religión, ya fuera verdadera o falsa, un sis-
tema de creencias con culto público en templos y otros lugares, ritos y pro-
cesiones con una casta sacerdotal o de ministros del culto. Cuando faltaban
estos signos exteriores, los europeos tenían dificultad para comprender las
religiones de los pueblos que querían evangelizar. No disponían de un esque-
ma hermenéutico para interpretar adecuadamente lo que hoy llamamos reli-
giones animistas o el chamanismo. Esto les pasó por ejemplo tanto a católi-
cos como a protestantes en el encuentro con los indios Tupí del Brasil, co-
menzando por el jesuita portugués Manoel da Nóbrega (1517-1570), que en
1549 escribía lo siguiente: «Todo este pueblo pagano ni adora algo ni cree en
Dios. Sólamente al trueno lo llaman Tupã, lo que significa: El que dice algo
divino. Así que no hemos encontrado ninguna palabra mejor para guiarlos al
conocimiento de Dios que llamarlo Padre Tupã»11. Lo mismo escribe más o
menos 1557 el calvinista Jean de Léry (1534-1613) que acompañó a la pri-
mera expedición de hugonotes (1555-1558) a la bahía de Río de Janeiro12.
Y un juicio parecido encontramos también en el capuchino francés Claude
d’Abbeville († 1616) a principios del siglo XVII. Su testimonio es importan-
te por ser de la familia capuchina y representar así en América la misma
mentalidad que veremos después en los capuchinos del Congo: «Yo no soy
de la opinión», nos dice con alusión implícita a Cicerón, «de que haya algún
pueblo en el mundo sin ninguna huella de religión, a no ser estos indios Tu-
pinambá, que hasta ahora no han adorado a ningún Dios, ni del cielo ni de
la tierra, ni de oro ni de plata, ni de piedra ni de madera ni de cualquier otra
cosa. Hasta el día de hoy no tienen ni sacerdotes o ministros del culto, ni al-
tares, ni templos o alguna forma de iglesia. No saben nada de votos ni de ro-
gativas, ni de ceremonias ni de oraciones, ya sean públicas o privadas»13.

10
Cf. H. DENZINGER, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus
fidei et morum / Kompendium der Glaubensbekenntnisse und kirchlichen Lehrentscheidun-
gen. Lateinisch-Deutsch. Hg. v. P. HÜNERMANN, Herder, Freiburg 200942, n. 1351.
11
M. DELGADO (Hg.), Gott in Lateinamerika. Texte aus fünf Jahrhunderten. Ein Lese-
buch zur Geschichte, Patmos, Düsseldorf 1991, 124.
12
J. DE LÉRY, Brasilianisches Tagebuch 1557, Erdmann, Tübingen 1967, 276.
13
DELGADO, Gott, 125s.

216
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

En el Congo era evidente que todas las tribus tenían por lo menos ídolos,
sacrificios y ceremonias, pero los capuchinos se reservaron esta percepción
especialmente negativa para la tribu de los Jagas, que tenían fama de caní-
bales y de los que Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo en su Istori-
ca Descrizione de Tre Regni Congo, Matamba e Angola (Bologna 1687) di-
ce que «más que los otros idólatras acostumbran a hacer ceremonias inhu-
manas y crueles»14, además «no creen en ningún Dios […], pues no son ca-
paces de deducir la existencia de substancias espirituales e incorpóreas del
conocimiento de las cosas materiales. Por eso», deduce Cavazzi, «mejor
que idólatras deberían ser llamados ateos»15.
Del resto de los congoleses nos dice, haciendo de ellos una especie de
genus angelicum como ya lo hicieran los franciscanos de México con los az-
tecas16, que «si la Fe los guiara al verdadero Dios» no sabe «quien podría
igualarles en acumular tesoros espirituales y ganar con certeza el paraí-
so»17. Los capuchinos perciben que los congoleses creen en un Dios llama-
do «Nzambi-a-mpungu, o “El Dios de arriba”»18, o en «Nzambi-caca, es
decir “el único Dios”», o en «Nzambi-a-diulu, es decir “El Dios del cie-
lo”»19. Pero los capuchinos no lograron penetrar en la lógica de la religión
tradicional africana que consiste en la triple adoración de los ancestros, los
espíritus del cielo y los espíritus de la tierra o la fertilidad. Tampoco distin-
guieron entre los «Nganga» o hechiceros y curanderos comunes, a los que
el pueblo a veces tenía por embaucadores, y los «Quitome», los señores de
la tierra, responsables de los ritos de fertilidad y muy respetados por el pue-
blo. Partiendo del apriori de que toda clase de magia y hechicería se debía
a un pacto con el diablo, y sin saber descifrar la lógica interna de los ritos
africanos para los ancestros o la fertilidad, los capuchinos «no distinguían

14
En Friburgo só he podido consultar la traducción portuguesa de 1965, aquí citada:
J.A. CAVAZZI DE MONTECÚCCOLO, Descriçao histórica dos três reinos do Congo, Matamba e
Angola. Traduçao, notas e índices pelo P.e G.M. de LEGUZZANO. Introduçao biobibliográfi-
ca por F.L. de FARIA, 2 vols., Junta de Investigaçoes do Ultramar, Lisboa 1965, vol. 1, 128
(libro I, no. 268).
15
Ibid., vol. 1, 193 (libro II, no. 37).
16
Cf. M. DELGADO, Die Franziskanisierung der Indios Neu-Spaniens im 16. Jahrhun-
dert, “Stimmen der Zeit” 210 (1992), 363-376.
17
CAVAZZI DE MONTECÚCCOLO, Descriçao, vol. 1, 83 (libro I, no. 157).
18
Ibid., vol. 1, 88 (libro I, no. 169).
19
Ibid., vol. 1, 88 (libro I, no. 171).

217
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

entre magia provechosa y dañina, entre curanderos y hechiceros»20. Persi-


guieron de forma brutal a los unos y a los otros, porque los consideraron mi-
nistros del demonio al clasificar a la religiosidad africana en su conjunto
como una religio falsa o idolatría satánica «inexcusable» según la carta a
los Romanos 1,18-21. Habrá que esperar hasta el siglo XX para que otro
capuchino, el belga Placide Tempels, comprenda adecuádamente la lógica
de la filosofía y ética de los bantúes21.

2. La idolatría como falsa religio o religión diabólica

También para la visión demoníaca de la idolatría tenían los capuchinos


aprioris en la tradición de la Iglesia y modelos recientes en la misión entre
los indios americanos. Los franciscanos de México llamaban a los dioses
amerindios en su conjunto diablos «negros», «sucios» y «nauseabundos»22,
que procedían desde el principio de los ángeles caídos. El jesuíta José de
Acosta sólo veía en las religiones de los indios «idolatría, peste, una enfer-
medad contagiosa y congénita» que venía de los «engaños del demonio»23.
Incluso los ritos que a primera vista parecían tener una cierta semejanza
con los sacramentos de la Iglesia no eran para Acosta más que «una ridí-
cula imitación diabólica» de la verdadera religión24. Con ello, los francis-
canos y los jesuitas seguían la senda de San Agustín.
Sólo Bartolomé de Las Casas, con un pensamiento más bien tomista,
comprende la lógica de las otras religiones y defiende en la tercera época
de la historia de la misión una visión no demoníaca del origen de la idola-

20
BAUR, Christus, 73.
21
Cf. P. TEMPELS, Bantu-Philosophie. Ontologie und Ethik, Rothe, Heidelberg 1956.
22
Sterbende Götter und christliche Heilsbotschaft: Wechselreden indianischer Vornehmer
und spanischer Glaubensapostel in Mexiko 1524. “Coloquios y doctrina cristiana” des Fray
Bernardino de Sahagún aus dem Jahre 1564. Spanischer und mexikanischer Text mit
deutscher Übersetzung von W. LEHMANN. Aus dem Nachlaß hg. von G. KUTSCHER (Quel-
lenwerke zur alten Geschichte Amerikas aufgezeichnet in den Sprachen der Eingebore-
nen, III), Kohlhammer, Stuttgart 1949, 87, 88, 90, 122, 129, 131, 134, 93.
23
Cf. M. SIEVERNICH, Missionstheologien nach Las Casas, en B. DE LAS CASAS, Werkaus-
wahl, vol. 1: Missionstheologische Schriften, Hg. von M. DELGADO, Schöningh, Paderborn
1994, 71.
24
J. DE ACOSTA, De procuranda indorum salute. 2 vols. (CHP 23, 24), Instituto Superior
de Investigaciones Científicas, Madrid 1984-1987, vol. 2, 424-429 (libro VI, cap. 12).

218
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

tría: la intención general y verdadera de los idólatras (communis et finalis


intentio) no consiste para él en adorar piedras o ídolos de otros materiales,
sino en adorar bajo esas formas al creador y conductor del mundo, al ver-
dadero Dios, según el conocimiento que tienen del mismo, es decir, sabien-
do por la luz de la razón natural que existe, pero sin saber quien y cómo es,
pues esto sólo lo muestra la revelación y la luz de la fe. En suma: bajo la
idolatría se esconde sobre todo una religiosidad auténtica de recta intentio
y no un fenómeno diabólico25.
Los capuchinos del Congo van más bien por la senda agustiniana de los
franciscanos de América que por la senda lascasiana. Para Cavazzi la ido-
latría de los congoleses es «la tiranía del demonio»26. Esta percepción de
la idolotría acabó por connotar una visión negativa de los congoleses en ge-
neral, a pesar de la ya citada predisposición a considerarlos un genus an-
gelicum, lo cual no es sino una especie de franciscanismo o genus littera-
rium. En la obra de Cavazzi abunda la caracterización de los africanos co-
mo idólatras, pérfidos y supersticiosos, con especial referencia a los hechi-
ceros27. Y también en la obra, aún inédita, del capuchino español Antonio
de Teruel, uno de los primeros en llegar al Congo, predominan los epítetos
«gentiles, idólatras y hechiceros»28.
En la tercera época de la historia de la misión, el modus operandi contra
la idolatría seguía el molde del «agustinismo político», es decir, que allí
donde los misioneros, gracias al apoyo del brazo secular, tenían el poder pa-
ra ello, no dudaban en destruir los testimonios de otras religiones y perse-
guir a sus representantes profesionales29, lo cual vale para América, las Fi-

25
Cf. M. DELGADO, Religion in der Renaissance und die Innovation des Bartolomé de Las
Casas, en ID. – H. WALDENFELS (Hg.), Evangelium und Kultur. Begegnungen und Brüche.
Festschrift für Michael Sievernich (Studien zur christlichen Religions- und Kulturge-
schichte 12), Academic Press Fribourg – Kohlhammer, Fribourg – Stuttgart 2010, 397-410.
26
CAVAZZI DE MONTECÚCCOLO, Descriçao, vol. 1, 87 (libro I, no. 166).
27
Cf. A. GUERRERO MOSQUERA, Espejo cultural africano: imágenes de los reinos del
Congo y Angola en la Costa Caribe del reino de Nueva Granada, “Memorias. Revista digital
de historia y arqueología desde el Caribe colombiano” 10, 23 (2014), 153-179, 163.
28
Ibid., 164.
29
Cf. AUGUSTINUS, Sermo 62: De Verbis domini, en PL 38, 420ss. En la Controversia de
Valladolid (1550-1551), el humanista Juan Ginés de Sepúlveda se refirió a este principio
agustiniano para legitimar la coacción y la destrucción violenta de la idolatría amerindia
pública y de la oculta después de la conquista española. Cf. B. de LAS CASAS, Obras com-
pletas, ed. P. CASTAÑEDA, vol. 10, Alianza editorial, Madrid 1992, 116s.

219
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

lipinas y también para la Missio antiqua en el Reino del Congo, pues aun-
que dependía más bien de Propaganda que del Patronato portugués conta-
ba con el favor de los Reyes del Congo; sin embargo, allí donde la Iglesia
no podía actuar así, como en la India, en China y en Japón, se paró la ma-
quinaria colonial y la mezcla de misión y colonialismo. Por causa del
«agustinismo político», los capuchinos en el Reino del Congo no pudieron
seguir siempre las huellas irénicas de su Padre San Francisco, sino que hi-
cieron más bien lo que ya se había practicado en la misión americana.
Los franciscanos de México, nos dice Jerónimo de Mendieta, al ver que
«era tiempo perdido y trabajar en vano mientras los templos de los ídolos
estuviesen en pie»30, comenzaron a destruirlos muy pronto con la ayuda de
los niños y jóvenes de sus escuelas en una política radical de tabula rasa y
a sustituirlos por imágenes y símbolos cristianos. Acosta, un poco más co-
medido, defiende primero el ideal de que los indios después de aceptar la
verdad del evangelio destruyeran ellos mismos sus ídolos y templos, pero
en caso de que esto no ocurriera, no duda en proponer medidas de coacción
contra los hechiceros e idólatras y la substitución sistemática de las cere-
monias paganas por las cristianas. Sólo Las Casas defendió siempre la bue-
na teoría de la destrucción de los ídolos por los mismos indios después de
su conversión y que la substitución de unas ceremonias por otras debería
tener lugar como resultado de la persuasión y el convencimiento, sin nin-
guna clase de coacción, y lo hacía con un argumento muy lógico y afectivo:
«porque, sin primero por mucho tiempo haber a los indios y a cualquiera
nación idólatra doctrinado, es gran desvarío quitarles los ídolos, lo cual
nunca se hace por voluntad sino contra a la de los idólatras, porque ningu-
no puede dexar por su voluntad y de buena gana aquello que tiene de mu-
chos años por Dios y en la leche mamado y autorizado por sus mayores sin
que primero tenga entendido que aquello que les dan o en que les conmu-
tan su dios, sea verdadero Dios»31.
Los capuchinos actuaron con una cierta impaciencia, lo mismo que los
franciscanos de México. El 19.9.1648, pco después de llegar al Congo, ob-
tuvieron del rey García II un decreto que mandaba a sus súbditos seguir

30
J. DE MENDIETA, Historia eclesiástica indiana. 2 vols. (Biblioteca de Autores Espa-
ñoles 260, 261), F. SOLANO PÉREZ-LILA (ed.), Atlas, Madrid 1973, vol. 1, 138 (libro III,
cap. 20).
31
B. de LAS CASAS, Historia de las Indias, en ID., Obras completas. Ed. P. CASTAÑEDA,
vol. 5, Alianza editorial, Madrid 1994, 2264 (libro III, cap. 117).

220
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

los sermones de los capuchinos y no impedir, por ningún medio, la des-


trucción de «las últimas huellas de la idolotría»32. El rey confirmó el de-
creto el 2.3.1653 al oir que el P. George de Geel había sido herido de
muerte al intentar quemar los fetiches. Con ayuda de los jóvenes formados
como catequistas, traductores y maestros, los capuchinos emprendieron
una auténtica cruzada contra la idolatría y la poligamia. Pero Cavazzi la-
menta después de dos generaciones de misión capuchina que «todavía hay
por doquier algún ministro oculto de Satanás»33. Lo mismo nos dicen las
crónicas del siglo XVIII. Giuseppe Monari da Modena, que estuvo en Con-
go y Angola entre 1713-1723, escribe en los avvertimenti o recomendacio-
nes contenidas en su Viaggio al Congo que se debe destruir todo «senza
rispetto di chi si sia»34, naturalmente para sustituir los ídolos y ritos paga-
nos por símbolos cristianos.
Lo mismo que en América, la voluntad de los misioneros de no tolerar
ninguna forma de religio falsa junto a la religio vera chocó con la mentali-
dad africana, dispuesta a tolerar y asumir el cristianismo al lado de su pro-
pia religión y forma de vida. En una asamblea que tuvo lugar en Soyo allá
por 1680, en la que los congoleses debían elegir entre obedecer las leyes
de Dios o seguir con sus ceremonias idolátricas, éstos respondieron con la
lógica de querer conjugar ambas cosas: «Creemos firmemente en Dios y en
todo lo que se nos ha enseñado, pero creemos también en nuestras ceremo-
nias y costumbres»35. Pero no había lugar para compromisos: los congole-
ses debían elegir entre el cielo o el infierno, entre el reino de Dios o el del
demonio. El resultado fue que los africanos intentaron seguir practicando
clandestinamente los ritos que no podían hacer en público, y que los capu-
chinos debieron esforzarse mucho para descubrir esas actitudes.
El celo mostrado por los capuchinos en la destrucción de los fetiches allí
donde los encontrasen, incluso contra la voluntad de sus dueños, fué criti-
cado por Propaganda hacia 1715: «devon guardarsi li Missionaij di farsi
trasportare tanto del desiderio e zelo di salvar l’anime, che facciano qual-

32
BAUR, Christus, 71.
33
CAVAZZI DE MONTECÚCCOLO, Descriçao, vol. 1, 87s (libro I, no. 168).
34
G. MONARI DA MODENA, Viaggio al Congo, Biblioteca Estense de Modena, mss ital.
1380 (V. A. 37) = Alfa n. 9.7., ff. 142, Avv. 16, f. 297, citado según J.C. ALMEIDA, Entre
gente “aspra e dura”. Advertências de un missioário no Congo e Angola (1713-1723), “Re-
vista lusófona de Céncia das Religiões” 7 (2008), 13/14, 463-483, 479.
35
BAUR, Christus, 76.

221
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

che attione che mostri forza, come minacciarli di levare alcuna cosa dalle
loro case, o di fargli perdere a gratia delli loro Signori […] dicendo que so-
no gente rotta e bestiale, e se non si fa con qualche timore, mai daranno ri-
medio alle anime loro, né si leveranno mai dal peccato, perché questo se-
ria fare espressamente contro la mente della Sacra Congregatione e del
Pontifice, quale manda alli Ministri Ecclesiastici a predicare la parola di
Dio, ad imitatione di Christo. Minaccino lo castighi di Dio, le pene dell’in-
ferno, e l’allettino con la speranza de’ premij eterni, ma mai si servano di
cose temporali, che indichino violenza»36.
Con el tiempo, no faltó en el proceso de sustitución la prudencia. En su
Missione in practica de 1747, Bernardino d’Asti distingue las malas cos-
tumbres, que hay que destruir, de los usos y costumbres indiferentes, que
se pueden tolerar, y de las buenas costumbres, que se deben asumir37. Hoy
en día disponemos del preclaro principio de inculturación de Nostra aeta-
te no. 2: «La Iglesia católica no rechaza nada de lo que en estas religiones
hay de santo y verdadero. Considera con sincero respeto los modos de obrar
y de vivir, los preceptos y doctrinas que, por más que discrepen en mucho
de lo que ella profesa y enseña, no pocas veces reflejan un destello de aque-
lla Verdad que ilumina a todos los hombres». Pero los capuchinos de la Mis-
sio antiqua, aparte de su prudencia, no disponían ni siquiera de una Ins-
trucción como la que Propaganda dió en 1659 a los vicarios apostólicos que
fueron enviados a China e Indochina: «No os esforcéis en hacer que esas
gentes cambien sus ritos y costumbres habituales, ni les aconsejéis en ab-
soluto que lo hagan, a menos que contradigan abiertamemte la religión y las
buenas costumbres»38. Propaganda se cuidó mucho de dar una Instrucción
parecida a los misioneros que partían para África.
También esto tiene que ver con uno de los aprioris de la tercera época de
la misión, que formuló claramente el jesuíta José de Acosta e hizo suyo Pro-
paganda. Para Acosta había tres clases de paganos o bárbaros en la época
de los descubrimientos, y el método misionero debería adaptarse a ellos. A
la primera clase pertenecen los chinos, los japoneses y la mayoría de los

36
G. SACCARDO, Congo e Angola. Con la storia dell’antica missione dei cappuccini. A
cura di E. da CAVASO, 3 vols., Curia provinciale dei Cappuccini, Venezia – Mestre 1982-
1983, 155.
37
Cf. BAUR, Christus, 74.
38
K. KOSCHORKE – F. LUDWIG – M. DELGADO, Historia del cristianismo en sus fuentes.
Asia, África, América Latina (1450-1990), Trotta, Madrid 2012, 54.

222
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

pueblos de las Indias Orientales, que son casi tan civilizados como los eu-
ropeos, pues tienen «formas de gobierno codificadas, leyes estatales, ciuda-
des amuralladas, funcionarios muy apreciados, un comercio floreciente y
bien organizado, y – lo que es más importante – un uso general de la escri-
tura». A la segunda clase pertenecen los pueblos de las grandes culturas
amerindias de los mayas, aztecas e incas, que aunque no tenían escritura,
sí disponían de regimiento político bien organizado y de un espléndido cul-
to religioso con sacerdotes y templos. A la tercera clase pertenecen final-
mente los Guaraní y la mayoría de los pueblos del Nuevo Mundo, que viven
sin ley ni rey, sin contratos y sin administración estatal y también sin un cul-
to religioso bien organizado. Acosta no habló de los africanos, pero está cla-
ro que los clasificaría entre la segunda y la tercera clase, distinguiéndolos
claramente de los asiáticos, como finalmente hizo Propaganda. Para Acosta
todos esas clases de paganos son capaces de la fe, pero el método misione-
ro debe adaptarse a su grado de desarrollo cultural, y en los de la segunda
y tercera clase puede y debe incluir formas de paternalismo y coacción39.

3. Necesidad y urgencia del bautismo

Para comprender la necesidad y la urgencia del bautismo en la tercera épo-


ca de la misión hay que tener en cuenta no sólo el dogma «extra ecclesiam
nulla salus» del concilio de Florencia (1442), sino también que el concilio
de Trento en 1547 recalcó la doctrina de la necesidad salvífica del bautis-
mo40. Se pensaba que los no bautizados apenas tenían posibilidad de sal-
vación. Así argumenta p.e. Juan Ginés de Sepúlveda en la controversia de
Valladolid (1550-1551) para justificar la imperiosa necesidad de la con-
quista y evangelización del Nuevo Mundo por los españoles41. También hay
que considerar que muchos misioneros se dejaban llevar por una impacien-
cia escatológica: partiendo de Mc 16,16 intentaban evangelizar y bautizar
a mucha gente para que pudieran salvarse, y guiados por Mt 24,14 veían

39
ACOSTA, De procuranda, vol. 1, Proemium 60ss.
40
DENZINGER, Enchiridion symbolorum, n. 1618 (cf. también n. 1524).
41
Cf. LAS CASAS, Obras competas, vol. 10, 143, 145. Cf. ID., Glaubenstradition im Kon-
text. Voraussetzungen, Verdienste und Versäumnisse lascasianischer Missionstheologie, en
ID., Werkauswahl, vol. 1, 35-58, 56.

223
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

en la evangelización de todo el mundo la posibilidad de acelerar la parusía


y el advenimiento de la mejor vida prometida para el más allá, mientras que
nosotros hoy no vemos el bautismo como condición indispensable para la
salvación e intentamos quedarnos en este mundo el mayor tiempo posible.
Todo esto explica por qué algunos misioneros, como los franciscanos de Mé-
xico, se querían dar prisa en bautizar a los nuevos pueblos, incluso en ce-
remonias masificadas, sin cumplir el rito individual y sin la preparación ca-
tequética adecuada antes y después del bautismo. Y explica también por
qué a mediados del siglo XVI, después de haber bautizado a los mexicanos,
muchos de ellos soñaban con ir a China, a continuar la labor apostólica42.
En su carta al emperador Carlos V del 2 de enero de 1555, el francisca-
no Toribio de Benavente (Motolinía) relata un incidente con Las Casas, a
quien reprocha haber negado «sin compasión» el sacramento del bautismo
a un indio, que llevaba tres días de camino y según el franciscano estaba
bien preparado43. Las Casas se refirió a la Bula «Altitudo Divini Consilii»
del papa Pablo III del 1 de junio de 1537 y a las medidas allí contenidas
para la Iglesia en México44. El papa disculpa en esa Bula la praxis de los
bautismos de masas sin observar el rito individual, cuando había sido por
necesidad y bona fide. Pero a partir de ahora debería observarse el rito del
bautismo en cada caso particular, como había dispuesto siempre la Iglesia.
Con motivo de esta Bula surgió en México la duda de si se podía adminis-
trar el bautismo de adultos sin la correspondiente preparación catequética.
A este dubium respondieron en un parecer del 1 de julio de 1541 el de-
cano y siete profesores de la Facultad de Teología de Salamanca, entre ellos
los dominicos Francisco de Vitoria y Domingo de Soto y el franciscano An-
drés Vega45. Después de presentar los pro y los contra en el estilo de una

42
Cf. J. BECKMANN, China im Blickfeld der mexikanischen Bettelorden im 16. Jahrhun-
dert, Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft, Schöneck-Beckenried 1964.
43
Cf. Carta de Fray Toribio de Motolinía al Emperador Carlos V (Enero 2 de 1555), en
T. DE BENAVENTE, Historia de los indios de la Nueva España, (Crónicas de América 16),
Ed. C. ESTEVA, Historia 16, Madrid 1985, 299-326, 306.
44
Cf. texto original latino en America pontificia primi saeculi evangelizationis 1493-
1592. Documenta pontificia ex registris et minutis paresertim in Archivo Secreto Vaticano
existentibus. (Collectanea Archivi Vaticani 27/1), ed. J. METZLER, Libreria Editrice Vatica-
na, Ciudad del Vaticano 1991, 361-365.
45
Cf. el texto latino del parecer en: F. DE VITORIA, Relectio de Indis o Libertad de los in-
dios. (Corpus hispanorum de pace 5), Ed. L. PEREÑA e.a., Instituto Superior de Investiga-
ciones Científicas, Madrid 1967, 157-164.

224
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

quaestio, la respuesta es meridianamente clara y corresponde a la doctrina


de la Iglesia en todas las épocas: «Los paganos del Nuevo Mundo sólo de-
ben ser bautizados, si antes han sido instruídos suficientemente, no sólo en
la fe cristiana, sino también en la moral cristiana y en todo lo necesario pa-
ra la salvación; y hay que asegurarse de que comprendan bien y respeten
lo que han recibido, deséen realmente el bautismo y quieran vivir y perma-
necer en la religión cristiana»46.
A pesar de ese parecer y otras decisiones de los concilios provinciales en
ese sentido, la preparación al bautismo no fue siempre en la América espa-
ñola como hubiera sido deseable, por lo menos hasta principios del siglo
XVII. Y, sobre todo entre los esclavos negros, eran frecuentes los bautismos
en grandes grupos con el rito individual más bien pro forma. A finales del
siglo XVI nos pinta Acosta un cuadro desolador. Dice que para recibir el
bautismo son necesarias tres cosas, como ha dicho siempre la Iglesia: la li-
bre decisión, la fe y la conversión, siendo preciso mantener a los candida-
tos durante largo tiempo en el catecumenado «para que se formen mejor y
poco a poco aprendan a valorar el misterio de la salvación»47. Y Acosta aña-
de este juicio demoledor: «En este Nuevo Mundo se ha despreciado hasta
tal punto la praxis tradicional de la Iglesia, que a mi modo de ver en nin-
guna otra parte se ha pecado tanto y tan impiamente contra el Evangelio y
con tanto daño para la salvación de la gente»48. Hay que matizar, natural-
mente, este juicio del jesuíta Acosta, pues por una parte se refiere a la re-
gión andina, donde la primera evangelización tuvo grandes dificultades, y
no a México, donde los franciscanos hicieron un trabajo memorable; y por
otra parte los jesuítas, que no eran precisamente modestos, solían pensar
que la auténtica evangelización en los Andes con ellos mismos49. Pero el
juicio de Acosta es un síntoma de que en la tercera época de la misión no
fue fácil establecer una preparación sistemática al bautismo, equiparable al
catecumenado en la antigüedad.

46
Ibid., 158: «Barbari illi infideles non antea sunt baptizandi, quam sint sufficienter
instructi, non solum in fide, sed etiam in moribus christianis, saltem quantum necesarium
est ad salutem, nec priusquam sit verisimile eos intelligere quid recipiant, aut respectent,
et profiteantur in baptismo, et velint vivere et perseverare in fide et religione christiana».
47
ACOSTA, De procuranda, vol. 2, 362-363 (libro VI, cap. 3).
48
Ibid., vol. 2, 362-363 (libro VI, cap. 3).
49
Cf. p.e. una fuente de un autor jesuita de finales del siglo XVI sobre la evangeliza-
ción del Perú en KOSCHORKE – LUDWIG – DELGADO, Historia del cristianismo, 321s.

225
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

En la Missio antiqua de los capuchinos encontramos por una parte en las


instrucciones de Propaganda un corpus doctrinal en el sentido de la Bula de
Pablo III y el parecer de los teólogos de Salamanca, y por otra parte una pra-
xis baptismal de los misioneros que intentaba conjugar la teoría con las po-
sibilidades prácticas y la impaciencia escatológica. Sobre todo en los prime-
ros años se comunican cifras gigantescas de bautizados, difíciles de contras-
tar, porque no hay ningún registro. Hoy día se da por bueno el hecho de que
el Congo de la Missio antiqua tenía más o menos medio millón de habitan-
tes, de los cuales unos 150’000 fueron bautizados en la época de los portu-
gueses y otros 150’000 por los capuchinos, es decir, que allá por el 1800 la
mitad de la población estaría bautizada. Se dan por buenas también las ci-
fras de Bernardino d’Asti que habla de haber administrado excepcionalmen-
te más de 200 bautismos en un sólo día, pero muchas veces eran unos 50.
De esto deduce Teobaldo Filesi que si D’Asti nombra esas cifras como algo
extraordinario, la media diaria normal estaría «di sotto di tali cifre»50.
Los capuchinos dividían a los candidatos al bautismo en tres clases: los
niños, los adolescentes de 13 o 14 años y los adultos. Graziano Saccardo,
que intenta defender a los capuchinos de calumnias y críticas poco funda-
das, dice al respecto: «I primi venivano battezzati senz’altro. I secondi do-
vevano essere esaminati, se fossero capaci d’istruzione. In tal caso si dove-
vano istruire, secondo le loro capacità, mentre gl’incapaci d’istruzione ve-
nivano battezzati come bambini. Gli adulti dovevano essere istruiti, secon-
do al loro capacità, prima d’essere battizzati»51.
Los adultos, si vivían con varias mujeres, debían elegir una y renunciar
a la poligamia así como a toda superstición y comprometerse a destruir sus
amuletos. Y para los adultos más interesados por la vida cristiana, los ca-
puchinos crearon desde el principio cofradías, casi como una tercera orden.
De los estatutos redactados por el español Antonio de Teruel se desprende
un programa de vida cristiana parecido al de las cofradías en el catolicis-
mo postridentino europeo: «Il confrattelo doveva osservare la Legge di Dio
e i Precetti della Chiesa con detestazione dei concubinati e dei riti pagani.
Doveva ascoltare la Messa ogni giorno e fare l’esame di coscienza a mezzo-
giorno e a sera. Ogni giorno doveva applicarsi all’orazione mentale, alme-

50
T. FILESI, Studio preliminare, en: ID. – DE VILLAPADIERNA, La “missio antiqua”, 9-
133, 44.
51
SACCARDO, Congo e Angola, vol. 3, 147.

226
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

no per un quarto d’ora, recitando poi il piccolo rosario, cioè 12 Ave Maria
e tre Padre Nostro. Infine doveva visitari i malati, recando loro consolazine
spirituale e anche materiale con qualche regalo, specialmente se poveri. In
caso di morte, doveva participare ai loro funerali»52. Un programa ambicio-
so, cuyo alcance es difícil de cuantificar y que, en cualquier caso, sólo po-
día funcionar en los pocos pueblos grandes, en los que la presencia de los
capuchinos era más o menos estable y tenían sus hospicios (en cada una de
las ocho provincias había sólo uno), pero no en la vasta región que cubrían
de vez en cuando con las «misiones volantes». Los bautizados en éstas así
como los niños en general, bautizados de prisa y corriendo por temor a que
muriesen sin bautismo, crecían en un ambiente pagano y retornaban prac-
ticamente al paganismo.
El bautismo solía tenía lugar en el marco de una ceremonia festiva, que
a los congoleses les recordaba algunos de los ritos tradicionales de sus cu-
randeros. Antes de bautizar con el agua, se ponía a los candidatos un gra-
no de sal en la boca, y por eso llamaban los nativos al bautismo «Kulia
Mungwa» o «comer sal»; y, a pesar de que los capuchinos introdujeron el
nombre de «Lusukulu Langwisi» o «santo lavado», siguieron llamándolo
así, porque lo veían como una «medicina potente y protectora» con la que
la religión del hombre blanco, que era a la vez la de su rey, les protegía53.

4. Estudio de las lenguas y confesión por medio de intérpretes

La evangelización en la lengua de los oyentes ha sido siempre un principio


fundamental en la Historia de la Iglesia y la razón por la que el Nuevo Tes-
tamento fué redactado en griego excepto de carta a los hebreos. En casi to-
dos los pueblos europeos ha sido un factor importante, incluso para el des-
arrollo de las lenguas, la traducción de la Biblia o de otros textos religiosos
a la lengua vernácula. En la primera mitad del siglo XVI todavía era posi-
ble en España desear la traducción de la Biblia a todas las lenguas del
mundo, como hizo el obispo franciscano Juan de Zumárraga 1546 en Méxi-
co al escribir al final de su Doctrina cristiana lo siguiente: «y no estoy con
la opinión de los que dicen que los idiotas y simples no lean los Evangelios

52
Ibid., vol. 3, 139.
53
Cf. BAUR, Christus, 77.

227
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

y Epístolas traducidas en la lengua de cada nación. Porque no es de creer


que contra la voluntad de Cristo sea que su doctrina y secretos no se divul-
guen por todo el mundo. Y, así, pienso que convendría que cualquier per-
sona, por simple que sea, leyese el Evangelio y las Epístolas de San Pablo.
Y ojalá estuviesen traducidas en todas las lenguas, porque todas las nacio-
nes las leyesen, aunque fuesen bárbaras. Y a Nuestro Señor plega que en
mis días yo lo vea»54. Después del Concilio de Trento ya no era posible es-
cribir esto en los países del Imperio Español.
Aunque no fuera traducida la Biblia, la contribución de los misioneros
católicos de la época moderna al estudio y desarrollo de las lenguas autóc-
tonas admira a antropólogos e historiadores de la cultura y es una de los ca-
pítulos más positivos de la misión. En América y las Filipinas, los capuchi-
nos del Congo tenían un buen espejo en el que mirarse. Sólo en México, y
bajo especial protagonismo de los franciscanos, encontramos en el siglo
XVI un gran número de catecismos, leccionarios, evangeliarios, confesio-
narios, sermonarios, tratados, coloquios y colecciones de cantos y oraciones
en las lenguas autóctonas, muchos de ellos impresos en la imprenta que in-
trodujo en 1539 el primer obispo, el ya mencionado Juan de Zumárraga. Lo
mismo vale para la región andina o las Filipinas con las imprentas de Lima
y Manila, que comenzaron su trabajo en 1584 y 1593 respectivamente con
la impresión de un catecismo en las lenguas autóctonas. Aparte de ello, a
mediados del siglo XVI se crearon en las universidades de México y Lima
cátedras para el estudio de las principales lenguas nativas, y tanto la legis-
lación estatal como la eclesial obligaban a los párrocos y misioneros de in-
dios a pasar antes un examen de competencia linguística, acreditado por di-
chas universidades. Sin embargo, la realidad no era siempre como la teo-
ría. El hecho de que la Corona y la Iglesia recordaran con frecuencia la
obligación de aprender las lenguas nativas significa que muchos misione-
ros sólo llegaban a conocimientos rudimentarios de las mismas, lo que ca-
ricaturiza Acosta a finales del siglo XVI para la región andina: en algunos
lugares se enseña el catecismo a los niños en las lenguas nativas, pero el
sacerdote apenas comprende esas lenguas; «exceptuando algunas pocas

54
J. DE ZUMÁRRAGA, Suplemento del Catecismo o Enseñamiento del cristiano (Segunda
parte de la “Doctrina cristiana más cierta y verdadera para gente sin erudición y letras”,
en J. GUILLERMO DURÁN, Monumenta catechetica hispanoamericana (Siglos XVI-XVII), vol.
2 (Siglo XVI), Facultad de Teología de la Universidad Católica Argentina, Buenos Aires
1990, 115-159.

228
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

palabras que utiliza para hacerse servir o mandar que le traigan la comida
[…] se enseña a los indios la doctrina como los mendigos cantan sus co-
plas para pedir limosna»55.
Si esto ocurría en América, a pesar de las muchas gramáticas y vocabu-
larios de las lenguas indígenas que escribieron los misioneros, de las cáte-
dras para el aprendizaje de las lenguas y de las leyes de la Corona y de la
Iglesia para exigir un nivel de conocimiento adecuado: ¿Cómo sería la situa-
ción en la Missio antiqua de los capuchinos, donde las condiciones fueron
desde el principio mucho peores que en América? No había ni imprenta, ni
obispado, ni cátedras para aprender las lenguas ni control del conocimien-
to por las leyes de la Corona o de la Iglesia, sólo instrucciones de Propagan-
da que exhortaban a la evangelización en las lenguas nativas, y la convic-
ción de los mismos capuchinos de que debería ser así. Y hay que reconocer
que intentaron hacer lo que podían dentro de las condiciones adversas.
Por falta del conocimiento de las lenguas, los capuchinos se vieron obli-
gados a continuar la práctica introducida por los portugueses de trabajar en
la predicación, la catequesis y la confesión por medio de intérpretes. Estos
últimos tenían que comprometerse por juramento a guardar el secreto de
confesión. Y en las crónicas capuchinas, lo mismo que en la obra apologé-
tica de Saccardo, se dice que los intérpretes siempre lo guardaron, aunque
sea un misterio cómo los primeros capuchinos, sin saber la lengua, pudie-
ran controlarlo. Pero aparte de los problemas pastorales de la confesión por
intermediario, el sistema fomentaba la corrupción y la explotación de los
fieles por parte de muchos intérpretes que exigían de ellos dádivas, «ame-
nazándoles incluso con que no les valían los sacramentos si se negaban a
darlas»56. Cavazzi dice que los intérpretes «per scarsa intelligenza dei mis-
teri della santa Fede o per mancanza di lealtà, finivano per essere causa di
non poca confusione ed errori»57. Y el español Antonio de Teruel escribe
que los misioneros solían ser engañados «por los intérpretes, que como no
tiran sino al blanco de su interés, respiran poco en el de convertir las almas

55
ACOSTA, De procuranda, vol. 2, 18-19 (libro IV, cap. 3).
56
B. DE CARROCERA, Introducción, en M. de ANGUIANO, La misión del Congo. Con in-
troducción y notas de B. DE CARROCERA, (Misiones capuchinas en África 1), Consejo Su-
perior de Investigaciones Científicas, Madrid 1950, VII-XXXVIII, XV.
57
FILESI, Studio preliminare, 82. Cf. SACCARDO, Congo e Angola, vol. 3, 128, donde ci-
ta que Cavazzi describe a los intérpretes de los primeros años como «sfruttatori dei mis-
sionari e del popolo». Cf. un juicio parecido de Cavazzi en ANGUIANO, La misión, 224.

229
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

[…]; por tanto es gran conveniencia hacerse los misioneros dueños de la


lengua, no solo para excusar estos engaños, sino otros de la ponderación en
cosas sustanciales de la doctrina y sacramentos»58. Por ello, ya los primeros
españoles de la expedición de 1645 decidieron hacer todo lo posible por
aprender la lengua, creando en San Salvador, la capital del reino, una es-
cuela para enseñar la doctrina y asímismo aprender ellos la lengua en con-
tacto con los niños congoleses, un método calcado del modus operandi de
los franciscanos en México. Con ayuda del sacerdote mulato Manuel Robo-
redo, el capuchino español Buenaventura de Cerdeña compuso un vocabu-
lario en tres lenguas: latín, castellano y congolés. El vocabulario circulaba
entre los misioneros en copias para uso particular. Y por esa senda siguie-
ron los capuchinos italianos, aunque solo se imprimieran dos catecismos
(1650 y 1661)59 y ningún capuchino alcanzara la prolijidad de Antonio de
Teruel, quien en una carta-relación a Propaganda, escrita el 18 de febrero
de 1662 desde Murcia después de su regreso a España y unos diez años en
el Congo, describe así sus manuscritos, de los que no se llegó a imprimir
ninguno: «1° Un manual para gente del Congo. 2° Un libro de Catecismos
copioso para las misiones, con instrucción para administrar los Sacramen-
tos y con muchos ejemplos. 3° Un libro de sermones y pláticas de entre año,
según sus costumbres. 4° Un libro de las festividades de Nuestra Señora, en
particular del Rosario, con varios ejemplos. 5° Un libro de oración para en-
señarla a los provectos, llamados congregados, con todas las meditaciones.
6° Un Vocabulario en cuatro lenguas: latina, italiana, española y congolesa.
7° Una gramática y sintaxis para aprender la lengua fácilmente»60.
Deducir de todo ello, como escribe algún autor capuchino, que «todos, al
poco tiempo de llegar, ejercían sus ministerios sin necesidad de intérpre-
tes»61, es, evidentemente, una loable prosa comunitarista, pero un juicio
demasiado optimista, si se tiene presente lo que nos cuenta Acosta de Amé-

58
A. de TERUEL, Descripción narrativa de la misión seráfica de los Padres Capuchinos
y sus progresos en el Reino de Congo. Manuscrito: Biblioteca Nacional de España, 1646,
mss. 3533, Fol. 81. Citado aquí según: A. GUERRERO MOSQUERA, Catecismos a través del
Atlántico. La evangelización de kongos y ngolas en las posesiones portuguesas e hispánicas
de ultramar. 1624-1697, “Montalbán. Revista de Humanidades y Educación” n. 47
(2016), 659-681, 667. Cf. Cf. un juicio parecido de Teruel en ANGUIANO, La misión, 225.
59
Cf. BAUR, Christus,74.
60
CARROCERA, Introducción, XVII.
61
Ibid., XVI.

230
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

rica, donde las condiciones para el aprendizaje de las lenguas eran mucho
mejores. La obra Missione in prattica de Bernardino d’Asti nos muestra la
vigencia de la confesión por medio de intérpretes todavía a mediados del
siglo XVIII. Además, aunque los capuchinos supieran la lengua, parece
que muchos congoleses preferían la confesión por medio de intérpretes,
pues tenían miedo de los capuchinos y muchas veces no se atrevían a res-
ponder a sus preguntas62.

5. Necesidad de acomodación y clero o catequistas nativos

Las instrucciones de Propaganda para los capuchinos eran muy restrictivas


en todo lo referente a compromisos respecto a la poligamia o la costumbre
africana de convivir juntos durante un periodo previo al matrimonio. Mien-
tras que la poligamia choca abiertamente con la ética cristiana, lo segundo
podría haber sido considerado como una fase previa al matrimono, de forma
análoga a lo que en español se llama el «noviazgo». Pero tanto lo uno como
lo otro no se vió como un hecho cultural, sino como prueba de que los afri-
canos no podían contener su apetido sexual. Cierto, es difícil juzgar el pasa-
do con la mentalidad del presente, y no hay que olvidar los aspectos negati-
vos del matrimonio a prueba: que las mujeres repudiadas en esa fase, tení-
an después muchas dificultades para encontrar un marido. Por lo demás, los
capuchinos se esforzaron en dignificar el matrimonio y encontrar marido pa-
ra las concubinas de los antiguos polígamos, celebrando las bodas con gran
pompa. Se habla de 50’085 matrimonios celebrados entre 1673 y 1701, lo
que es una cifra considerable para medio millón de habitantes.
Ya dijimos que Propaganda no dió nunca a los misioneros que partían pa-
ra África una instrucción como la famosa de 1659 para los Vicarios apostó-
licos que iban a Indochina. Los capuchinos no se esforzaron mucho en fo-
mentar un clero nativo en circunstancias tan adversas63; para la creación de
un seminario era necesaria la erección de un obispado, lo que por conflic-
tos entre Portugal y Propaganda nunca se hizo, y además existían reservas
antropológico-culturales sobre la idoneidad de los congoleses. Las mismas
reservas habían conducido a los franciscanos de México a cerrar sus cole-

62
Cf. BAUR, Christus, 77.
63
Ibid., 74.

231
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

gios-seminarios y a prohibir la entrada de indios en la orden durante cuatro


generaciones64. Los capuchinos fomentaron en el Congo la formación de ca-
tequistas, intérpretes y «maestri», elegidos entre los hijos de las mejores fa-
milias. No eran sólo un puente entre los capuchinos y el pueblo, sino tam-
bién las personas de confianza de los neófitos, mientras que los capuchinos
se dedicaban sobre todo a administrar los sacramentos, sin permitir a los
laicos ni siquiera bautizar en su ausencia. A veces se critica esto como una
muestra del «clericalismo y sacramentalismo» postridentino65, pero es más
bien una pecurialidad de la Missio antiqua de los capuchinos, mientras que
en los Andes, p.e., el indio Felipe Guamán Poma de Ayala nos dice que ca-
tequistas nativos enterraban y bautizaban en ausencia del sacerdote66.
La falta de clero nativo en la Missio antiqua es seguramente uno de los
aspectos negativos y una de las grandes contradicciones ideológicas de Pro-
paganda, sobre todo si se tiene en cuenta la rigidez con la que Francesco
Ingoli, el primer secretario, criticaba la calidad de la obra misionera en el
Imperio Español, precisamente por la falta de clero nativo. Pero tampoco en
las otras regiones de Propaganda era oro todo lo que relucía. 250 años des-
pués de la erección de Propaganda apenas hay obispos nativos de Asia o
África en el Concilio Vaticano I. La encíclica Maximum illud de Benedic-
to XV en 1919 es, en cierto sentido, la constatación de un fracaso y al mis-
mo tiempo un aldabonazo para recordar que los tiempos están cambiando y
hay que fomentar por fin de verdad el clero nativo. Sólo gracias a Maximum
illud y no a la Instrucción de Propaganda de 1659 habrá un cambio de pa-
radigma en el Concilio Vaticano II con la presencia de muchos obispos na-
tivos de Asia o África que hicieron del Concilio según Karl Rahner la pri-
mera experiencia performativa de Iglesia universal67.
Y respecto a la instrucción de 1659 hay que tener en cuenta también la
crítica de Josef Schmidlin, si se compara la teoría con la práctica: la ins-
trucción se puso en práctica de forma que los nativos no estuvieran nunca
por encima de los europeos y sólo pudieran dirigir un distrito misionero,

64
Cf. J. DE MENDIETA, Historia, vol. 2, 60s. (libro IV, cap. 23).
65
BAUR, Christus, 74.
66
Cf. F.G. POMA DE AYALA, Nueva crónica y buen gobierno, J.V. MURRA. – R. ADORNO –
J.L. URIOSTE (eds.) (Crónicas de América 29a, 29b und 29c), Historia 16, Madrid 1987,
vol. 2, 882.
67
Cf. K. RAHNER, Theologische Grundinterpretation des II. Vatikanischen Konzils, en
ID., Schriften zur Theologie, vol. 14, Benziger, Zürich 1980, 287-302, 288s.

232
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

«cuando allí sólo hubiera sacerdotes nativos»68. En realidad, en las regio-


nes de Propaganda el clero nativo fué hasta Maximum illud un clero de se-
gunda clase, un clero coadjutor de los europeos.
Donde sí hubo un gran esfuerzo de acomodación fué en el intento de
adaptar el contenido y el estilo de la evangelización a la capacidad de los
oyentes, siguiendo el ejemplo de la experiencia misionera en América. Ya
señalamos que tanto los indios como los africanos eran tenidos por gente
sencilla y ruda, como los campesinos europeos. El modo de enseñar la doc-
trina cristiana en estos casos sigue la matriz esbozada por San Agustín en
su obra De catechizandi rudibus. El mismo Acosta, al que ya hemos men-
cionado varias veces, nos ha dejado un bello ejemplo en los avisos sobre el
modo «que se ha de tener en enseñar y predicar a los indios», impresos
1584 en Lima como parte del Tercer Catecismo y Exposición de la Doctri-
na cristiana por sermones del Tercer Concilio Limense. Dice que es «cosa
notable, lo que San Agustín […] advierte, que es ver el lenguaje y plática
que tienen las amas, o madres con sus chiquillos de teta, hablando aniñá-
damente, y gorgeando con ellos. Y aún los hombres con canas en siendo pa-
dres, no se empachan de parlar con sus hijuelos a su tono y repetille tayta,
y mama, y en efecto hacerse niños con ellos»69. En concreto, Acosta da cua-
tro avisos o consejos: adaptarse a la capacidad de los oyentes, enseñando
en ese caso sólo las cosas mas elementales de la fe, o el ABC, sin ponerse
a predicar «cosas exquisitas»; repetir los puntos esenciales con insistencia;
expresarse de forma clara, sencilla y breve, hablando «a modo de quien
platica entre compañeros»; y finalmente ser bien persuasivo con buenas ra-
zones, desenmascarando los embustes y falacias de los hechiceros y des-
pertando el afecto de los oyentes70.
Si comparamos esos avisos von los todavía casi inéditos Avvertimenti de
algunos capuchinos italianos como Giovanni Belotti da Romano71, Giuseppe

68
J. SCHMIDLIN, Katholische Missionslehre im Grundriss, Aschendorff, Münster 1923, 311.
69
Del modo que se ha de tener en enseñar, y predicar a los Indios, en: Doctrina cristiana
y Catecismo para la Instrucción de los Indios. Tercer Catecismo y Exposición de la Doctrina
cristiana por sermones (Corpus hispanorum de pace 26/1, 26/2), Consejo Superior de
Investigaciones Científicas, Madrid 1985-1986, vol. 2, 351-357, 352.
70
Ibid., 352-356.
71
Cf. G. BELOTTI DA ROMANO, Avvertimenti Salutevoli Alli Aposttolici Missionarij
Specialmente Ne Regni del Congo, Angola, e circonvicini… (c. 1680), Biblioteca del Cle-
ro di S. Alessandro, Bergamo, ms. 43. Cf. FILESI, Studio preliminare, 66-72.

233
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

Monari da Modena72 o Bernadino Ignazi D’Asti73 encontraremos una gran


semejanza, no por haberse inspirado directamente en Acosta, sino porque
seguían también el modelo de San Agustín en De catechizandi rudibus. Da
Modena, por ejemplo, en el avvertimento XV recuerda a los misioneros «di
usare nei contatti coi nativi un linguagggio molto semplice e di evitare di
conseguenza di entrare in ‘cose’ da niuno die questi paesi intese, perque
saria un mettere le margarite avanti li porci, per essere li negri molto igno-
ranti, et incapaci di tali cose»74.

6. Los esclavos de la Iglesia

Finalmente, conviene tratar también un poco el problema de «los esclavos


de la Iglesia» como fenómeno propio de la Missio antiqua. Con este nom-
bre se denomina a los esclavos que trabajaban en los hospicios capuchinos
y los acompañaban en las «misiones volantes», a veces en número conside-
rable. Sin ellos, la Missio antiqua apenas hubiera sido posible. La lucha de
algunos capuchinos en América como Francisco José de Jaca y Epifanio de
Moiráns por «la libertad de los negros y sus originarios, en estado de paga-
nos y despues ya cristianos»75, por citar el título del memorial de Jaca, con-
trasta con la práctica de los capuchinos en el Congo, donde parece que to-

72
Cf. MONARI DA MODENA, Viaggio al Congo. Cf. FILESI, Studio preliminare, 72-74; C.
PIAZZA, La relazione inedita di Fra’ Giuseppe da Modena OFMCap. ‘Viaggio al Congo’
(1723), “Africa. Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per
l’Africa e l’Oriente” 27, n. 2 (1972), 6, 247-264; ALMEIDA, Entre gente.
73
Missione in pratica dei P.P. Cappuccini Italiani ne Regni di Congo, Angola e adiacen-
ti, brevemente esposta p. lume, e guida de Missionari aquelle Sante Missioni destinati. Ma-
nuscrito de 1747 (89 folios) Atribuído a P. B. I. D’ASTI. Cf. la versión italiana original
digitalizada en: https://purl.pt/26467/4/cod-1432_PDF/cod-1432_PDF_24-C-R0150/cod-
1432_0000_capa-capa_t24-C-R0150.pdf (13.03.2022). Hay traducción al francés: La
Pratique Missionnaire des PP Capucins Italiens dans les royaumes de Congo, Angola et
contrées adjacentes, brièvement exposée pour éclairer et guider les missionnaires destinés à
ces saintes missions. 1747. Éditions de l’Aucam – E. Desbarax Editeur, Louvain 1931. Cf.
FILESI, Studio preliminare, 74-79.
74
Citado según FILESI, Studio preliminare, 73.
75
F.J. DE JACA, Resolución sobre la libertad de los negros y sus originarios, en estado de
paganos y después ya cristianos. La primera condena de la esclavitud en el pensamiento
hispano, M.A. PENA GONZÁLEZ (ed.), Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Ma-
drid 2002.

234
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

das las estaciones misioneras «avessero degli Schiavi della Chiesa, quan-
tunque di alcune non si abbiamo acceni»76. Se habla de 400 a 500 escla-
vos en el hospicio de los capuchinos de Nsoyo a finales del siglo XVIII77.
En otros hospicios había una centena. Como dice Carlo Toso, eran obteni-
dos «a través de ofertas, bien de señores africanos, bien de traficantes o
bienechores europeos, o para pagar servicios prestados, prolongando, de al-
guna forma, practicas comunes en aquellas sociedades»78. No pocos capu-
chinos del Congo presentaron recursos a Propaganda contra la trata negre-
ra79, pero aceptaban el fenómeno de los esclavos de la Iglesia, porque no lo
percibían como parte de la trata.
Propaganda optó por la Realpolitik del mal menor, al permitir que los ca-
puchinos se convirtieran más o menos en árbitros de la trata negrera, pro-
hibiendo la venta a las ingleses por ser herejes y cerrando los ojos ante los
portugueses. Antes de partir para América se bautizaba a los esclavos prac-
ticamente como si fueran niños, sin catequesis previa, según cuenta el je-
suita Alonso de Sandoval no sin cierta ironía80. También llama la atención
en un espíritu crítico que Propaganda cite siempre documentos papales
contra la esclavitud (aunque realmente sólo se refirieran a la esclavitud de
los «bautizados», como las declaraciones de Eugenio IV en 1434, de Pío II
en 1462, de Pablo III en 1537, de Urbano VIII en 1639 o de Benedetto XIV

76
SACCARDO, Congo e Angola, vol. 3, 297.
77
Cf. C. ALMEIDA, Escravos da missão – notas sobre o trabalho forçado nas missões dos
capuchinhos no Kongo (finais do Séc. XVII), “Revista Tempo. Espaço, Linguagem”, V. 5,
(2014), 3, 40-59, 47. Los capuchinos no eran una excepción. Por esa época los jesuitas
tenían en Luanda 1080 esclavos trabajando para ellos.
78
ID., Escravos, 48.
79
Cf. SACCARDO, Congo e Angola, vol. 3, 289-296.
80
A. DE SANDOVAL, Un tratado sobre la esclavitud, E. VILA VILAR (ed.), Alianza, Madrid
1987, 383: «En el puerto de Angola llamado Loanda, dicen y certifican los mismos mer-
caderes de negros que se han hallado presentes a sus bautismos, que los ministros y cu-
ras que administran estos sacramentos a estos morenos no hacen más que juntarlos en hi-
leras en la iglesia y a las veces en la plaza. Un día antes que los embarquen, habiéndolos
tenido hasta entonces encerrados y aprisionados porque no se vayan, y sin haber precedi-
do catecismo ninguno, ni haberles enseñado siquiera, quién es Dios, lo primero que les
hacen es irles diciendo a todos sus nombres, dándoselos escritos, porque no se olviden;
hecho esto vuelven a dar la vuelta echándoles sal en la boca a todos, y a la tercera vuel-
ta les echan agua, muchas veces con hisopos por la prisa, y así se acaba el bautismo […]
Y venido a averiguar el concepto que los bautizados han hecho de su bautismo, dicen unos
que pensaron era cosa de hechicería para comérselos los españoles».

235
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

en 1741)81, pero que se olvide de mencionar la Bula Romanus pontifex de


Nicolás V en 1455, en la que el papa permite a los portugueses esclavizar
a los paganos y a los sarracenos, y con la que practicamente comenzó la de-
solación del Africa subsahariana82.
Se dan casos espeluznantes, más bien aislados, de maltrato de los escla-
vos de la Iglesia por parte de los capuchinos83, como también se dan casos
de maltrato de los indios en los Andes por sus párrocos, aunque éstos no
fueran formalmente esclavos; pero por lo general, en el Congo los esclavos
preferían ser esclavos de la Iglesia, porque eran mejor tratados. Especial-
mente triste es su suerte al terminar la Missio antiqua en 1835. Saccardo lo
comenta así, con su habitual tono apologético: «I poveri schiavi della Chie-
sa caddero in mano di compratori e furono inviati al Brasile, a condividere
la felice condizione degli altri schiavi, naturalmente, come in tutte le sop-
pressioni dei conventi, in nome del progresso e non dell’interesse privato
degli schiavisti!»84.

7. Conclusión

En las publicaciones sobre la Missio antiqua no falta la visión hipercrítica,


partiendo de una interpetación del pasado desde el punto de vista del pre-
sente y reprochando a los capuchinos su feroz celo contra los fetiches, su
menosprecio de los valores de la religión y cultura africana o su papel co-
mo sostenedores del colonialismo. Tampoco falta la referencia a la dialécti-
ca de la unión entre misión y colonialismo: los misioneros no eran tan sólo
un soporte colonial, sino que con las escuelas, los hospitales y la propaga-
ción de una religión fundamentalmente igualitaria, que porta en el Evange-
lio un germen de libertad y de liberación85, han creado, sin pretenderlo, la
base para la emancipación de África86. Pues no es casulidad que la mayo-

81
Cf. p.e. FILESI, Studio preliminare, 55s., SACCARDO, Congo e Angola, vol. 3, 268s.
82
Cf. p.e. M. DELGADO, Katholische Kirche und Kolonialismus – einige Aufgaben,
“JCSW” 61 (2020), 63-83.
83
Cf. el caso del esclavo Lourenço: ALMEIDA, Escravos, 283-288.
84
SACCARDO, Congo e Angola, vol. 3, 300.
85
Cf. Instrucción Libertatis nuntius, “AAS” 76 (1984), 876 (prólogo).
86
M. DELGADO, Die Missionsgeschichte auf der Anklagebank? Zum religionspädagogis-
chen Umgang mit der Verquickung von Mission und Kolonialismus, en E. GROSS – K.

236
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los Capuchinos

ría de los líderes políticos de la independencia africana provenieran de las


escuelas de los misioneros – naturalmente no de la Missio antiqua, sino de
la nueva misión de África desde mediados del siglo XIX.
La tercera época de la misión se caracteriza por una mezcla de celo mi-
sionero y heroísmo difícil de entender en nuestro tiempo. Pero a nosotros,
que sólo por haber nacido más tarde sabemos mejor algunas cosas, no nos
compete el juicio moral sobre los misioneros de esa época. Comparados con
esos gigantes, la historia nos ha reservado el papel de aquellos enanos, de
los que hablaba San Bernardo, y que creían ver más lejos que los antiguos,
sin darse cuenta de que sólo podían hacerlo porque estaban sobre sus hom-
bros. Los misioneros de aquella época eran ingeniosos, apasionados, intré-
pidos e incluso temerarios pioneros de la evangelización en terra incognita,
mientras que muchos de nosotros hoy no somos más que administradores de
la herencia recibida, bien acomodados e incapaces de sembrar de nuevo.
Viajamos por todo el mundo, pero con billete de ida y vuelta y buen seguro
de enfermedad. Los misioneros de la época de los descubrimientos vivían
bajo otras circunstancias. Quien partía para la misión, aunque fuera como
en la Missio antiqua de los capuchinos con la idea de regresar en siete o diez
años, sabía que quizá no volvería a su querida tierra y podía ser víctima de
naufragios, guerras o enfermedades, como escribía Zanobi Maria da Firenze
el 18 de abril de 1820 a Propaganda: «Di 434 cappuccini venuti in queste
missioni, e di cui trovo alcuna memoria, 228 lasciarono la presente vita, e
quasi tutti dopo ben poca dimora, in queste parti; gli altri per la maggior par-
te si ritirano di quà attaccati da varie malattie, e ben pochi ritornarono vivi
e sani in Italia»87. En otro balance de 1708 se dice respecto a los años en-
tre 1673 y 1701 que durante ese periodo habían muerto en el Congo y An-
gola 49 capuchinos, mientras que seis habían fallecido durante el viaje y 38
habían regresado al cabo de su trabajo a Italia, muchos de ellos con enfer-
medades incurables88.
Mariano Delgado
Universität Freiburg / Université de Fribourg
([email protected])

KÖNIG (Hg.), Religiöses Lernen der Kirchen im globalen Dialog. Weltweit akute Heraus-
forderungen und Praxis einer Weggemeinschaft für Eine-Welt-Religionspädagogik (Forum
Religionspädagogik interkulturell 1), Lit, Münster 2000, 311-321.
87
FILESI, Studio preliminare, 23.
88
Cf. ibid., 31.

237
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Mariano Delgado

ABSTRACT

RIFLESSIONI ATTORNO AGLI “A PRIORI” MISSIONARI


E L’ATTIVITÀ MISSIONARIA DEI CAPPUCCINI
DURANTE LA MISSIO ANTIQUA
NEL REGNO DEL CONGO (1645-1835)

L’articolo prende le mosse dalla tesi secondo la quale, in età moderna, l’attività
missionaria della chiesa cattolica era guidata da una serie di presupposti o “a
priori” e dimostra come la Missio Antiqua dei Cappuccini nel Regno del Congo
(1645-1835) ne fosse influenzata in una serie di contesti: concetto di religione
ed idolatria; atteggiamento missionario nei loro confronti, necessità ed urgenza
del battesimo, studio delle lingue native, la necessità di alloggi e di clero o ca-
techisti autoctoni, la situazione degli “schiavi della chiesa”.

REFLECTIONS UPON MISSIONARY “A PRIORIS”


AND CAPUCHINS’ MISSIONARY ACTIVITY
DURING MISSIO ANTIQUA
IN THE KINGDOM OF CONGO (1645-1835)

The article starts from the thesis that in the modern age the missionary activity
of the Catholic Church started from a series of presuppositions or “a prioris” and
shows how the Missio antiqua of the Capuchins in the Kingdom of the Congo
(1645-1835) was marked by them in the following fields: concept of religion and
idolatry, missionary attitude towards them, the need and urgency of baptism, the
study of native languages, the need for accommodation and native clergy or
catechists, the situation of “the slaves of the Church”.

Keywords: Capuchins; Kingdom of the Congo; Missio antiqua; Religion; Ido-


latry; Baptism; Languages and Mission; Accommodation; Native Clergy; Slaves
of the Church

238
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
UUJ
RECENSIONI /
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Lorella Congiunti
ELEONORE STUMP – THOMAS JOSEPH WHITE (eds.)
The New Cambridge Companion to Aquinas

Mariangela Petricola
CARMELO DOTOLO, L’utopia cristiana dell’umano.
Idee per un umanesimo differente

Ardian Ndreca
MARCO IVALDO, Sul male. Kant, Fichte, Schelling, Hegel

Ardian Ndreca
ANDREA AGUTI, Morale e religione.
Per una visione teistica

Lorella Congiunti
GIORGIA SALATIELLO, Sinodalità di donne e di uomini

Antonio Landi
JOSEPH SIEVERS – AMY-JILL LEVINE (a cura di)
I farisei. Con il discorso rivolto da papa Francesco
ai partecipanti del Convegno

Fernando Chica Arellano


STEFANO SALDI – CARLO MARIA MARENGHI (a cura di)
High-level Event on Fraternity, Multilateralism
and Peace. Presentazione della Lettera Enciclica di
Papa Francesco Fratelli Tutti.

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
ELEONORE STUMP – THOMAS JOSEPH WHITE (eds.)
The New Cambridge Companion to Aquinas
Cambridge University Press, Cambridge 2022, XVII + 408 pp.

Nella collana dei Cambridge Companion, presentata dalla Cambridge Uni-


versity Press come “una serie di autorevoli guide, scritte da importanti
esperti, che offrono presentazioni vivaci e accessibili”, è stato recentemen-
te pubblicato il nuovo Companion dedicato a Tommaso d’Aquino, a distan-
za di quasi 30 anni dal primo, uscito nel 1993 a cura di Norman Kretzman
e Eleonore Stump. Appare interessante, e notevole per molti versi, la volon-
tà di elaborare un libro completamente nuovo e non semplicemente una ri-
edizione o un aggiornamento del precedente, a testimonianza di un rinno-
vato interesse verso il pensiero dell’Aquinate.
La cura è offerta nuovamente ad Eleonore Stump, tra le più stimate studio-
se di Tommaso, docente alla Saint Louis University e curatrice anche di The
Oxford Handbook of Aquinas del 2012, insieme a Brian Davies, alla quale
viene affiancato Thomas Joseph White, teologo statunitense attualmente ret-
tore della Pontificia Università San Tommaso “Angelicum” in Roma.
Da notare che nel 2021 anche la Oxford University Press ha deciso di
pubblicare un nuovo Handbook su Tommaso, dedicandolo a The Reception
of Aquinas, a cura di Matthew Levering e Marcus Plested.
Questi testi confermano che il tomismo attualmente “parla in inglese”
(sebbene persista a parlare in spagnolo, italiano, francese e cominci a par-
lare anche in portoghese e mandarino). Sebbene ci sia continuità tra il vec-
chio ed il nuovo Companion, si notano alcune differenze. Il primo era intro-
duttivo alle tematiche fondamentali, ispezionava le fonti ed aveva un taglio
maggiormente filosofico, reso esplicito dal primo intervento dedicato a
Aquinas’s Philosophy in Its Historical setting.
Questo nuovo Companion, invece, presenta approfondimenti di temati-
che ed ha un taglio maggiormente teologico. I sedici contributi sono inseri-
ti in cinque parti tematiche. La prima parte viene dedicate a “Life and
Works” e sebbene si componga di un unico contributo, colma bene una
mancanza del primo Companion; la seconda parte “Metaphysics and the Ul-
timate Foundation of Reality” si compone di cinque saggi; la parte intitola-
ta “Epistemology”, intesa in senso ampio, si struttura in tre approfondimen-
ti, come anche la parte “Ethics”; infine la parte “Philosophical Theology”
è composta di quattro capitoli che di fatto affrontano argomenti teologici ve-
ri e propri, propri della Sacra Dottrina e non propriamente della teologia fi-

241
3/2022 ANNO LXXV, 241-249 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

losofica. Lo spessore dei singoli capitoli senz’altro eccede la ripartizione


delle parti, ripartizione forse artificiosa, anche perché sovente gli stessi ar-
gomenti ricorrono e si intrecciano, riflettendo in un certo senso la comples-
sità organica del pensiero tommasiano.
Il team degli autori, completamente rinnovato con l’eccezione della cu-
ratrice che è nuovamente Eleonore Stump, rappresenta i frutti migliori del
tomismo anglofono statunitense, inglese, irlandese.
Eleonore Stump e Thomas Joseph White firmano insieme l’introduzione
che non manca di mettere in evidenza il valore di attualità di questo nuovo
Companion che va di pari passo con la maggiore aderenza al testo di Tom-
maso: «more fidelity to Aquinas’s own thought an also much more of inte-
rest to contemporary philosophers». Gli argomenti scelti riflettono la strut-
tura della visione del mondo di Tommaso e anche «the major areas of phi-
losophy as they are currently understood in the contemporary discipline».
Questo volume riesce a coinvolgere ed interessare «those antecedently in-
terested just in Aquinas’s work but also those who are interested in the
same topics that occupied him» (4).
Dato l’interesse del volume, vale affrontare analiticamente tutti i contri-
buti.
L’unico capitolo della parte “Life and Works”, scritto dal domenicano Do-
minic Legge, si intitola A Life Pursuing Wisdom. Dal contesto sembra che
in questo caso “wisdom” corrisponda a “sapienza” piuttosto che “saggez-
za”. L’autore, dopo aver delineato le vicende biografiche e il contesto delle
opere di Tommaso, conclude «The search for wisdom was a central and or-
ganizing theme for his life as a whole. It is the best framework for under-
standing the unity of his thought across his many works» (23).
La parte II porta cinque contributi che descrivono tutta l’ampia struttura
della visione filosofica e teologica di Tommaso. Il primo capitolo di questa
sezione, scritto da Jeffrey E. Brower, affronta ampiamente – seppure l’inten-
to è solo di dare una «introduction to the main contours» (53) – l’ilemorfi-
smo e la causalità, mostrandone il legame con la concezione di Aristotele
ma anche il significato autonomo che acquista nel pensiero di Tommaso, nel
contesto fisico e soprattutto metafisico. Appare interessante la lettura unita-
ria delle varie dimensioni della causalità, nella loro dimensione intrinseca,
esplicitata come fondante, ed estrinseca, esplicitata come produttiva.
Il secondo contributo scritto dal domenicano Thomas Joseph White offre
una introduzione a «ultimate explanations in metaphysics», che parte dalla
distinzione filosofica di essenza ed esistenza nelle creature, arriva alla inter-

242
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

pretazione della idea cristiana di semplicità di Dio e giunge alla lettura del-
le persone trinitarie come relazioni sussistenti, con lo scopo di mostrare «the
logical compatibility of Aquinas’s Trinitarian Theology, his doctrine of God
and his metaphysics of creaturely composition» (57). Questo contributo, no-
dale per il tema, offre anche a livello metodologico una importante chiave di
lettura, mostrando come la filosofia nel pensiero di Tommaso sia legata alla
teologia, e la sua visione della realtà è sempre insieme filosofica e teologi-
ca, pur senza operare mai confusione tra le diverse conoscenze e le diverse
facoltà. Scrive infatti «Aquinas does not think that we can derive natural
knowledge of the Trinity from the philosophical consideration of created
things. He does, however, believe that we can gain new insight into the
meaning of creation in light of Trinitarian revelation» (80) e così conclude
«Aquinas’s theological understanding of the Trinity makes specific use of the
notion of divine simplicity in this regards and in turn allows one to re-read
the composition in creature in light of the processions of the Word and the
Spirit. Creatures are thus understood in their composite metaphysical de-
pendency as finite and temporal expressions of the Trinity» (82-83).
Gaven Kerr offre una ricognizione ampia e profonda della questione dei
“trascendentali”, inserendola nel contesto della teoria della partecipazio-
ne, soffermandosi infine sul legame tra bonum et esse rinvenendo in Dio,
che è esse in sé e bonum in sé, la fonte di ogni perfezione, perfezione che
«will not be a perfection discontinuous with the nature of a creature». Dio
ama le creature e non cessa di amarle «not because of what they are, but
because of what he is» (102). Passando dall’acqua della filosofia al vino
della teologia, conclude «The claim of a parallelism between philosophy
and faith of course does not establish the truth of the theological doctrines
in question, but it does show how the Thomistic metaphysics of esse and the
accompanying understanding of the goodness of all creatures fit nicely with
those doctrines; so that one who believes such theological truths can be as-
sured of the metaphysical foundations that they presuppose» (102).
James Dominic Rooney analizza la metafisica della creazione di Tomma-
so, mettendone in evidenza la compatibilità con le scienze contemporanee.
I tre caposaldi della metafisica della creazione cristiana – l’universo è gui-
dato dalla provvidenza divina; Dio crea senza alcuna costrizione e vincolo;
l’universo è creato nel tempo, di cui solo quest’ultimo è una verità rivelata
e strettamente inaccessibile alla ricerca umana filosofica – correttamente
intesi entro la valorizzazione delle cause seconde, sono compatibili con sva-
riate teorie scientifiche, la cui autonomia metodologica viene garantita dal

243
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

pensiero tommasiano: «the formal autonomy of scientific investigation,


Aquinas thinks, has theological import. The conclusions of natural inquiry,
whether in philosophy or in the natural sciences, are the starting points for
knowledge we can have of God’s existence and his nature, and Aquinas
thinks this is a revealed fact (referencing Rom 1:20)» (120).
Eleonore Stump dedica il suo contributo alla natura umana. Si sofferma
su quattro aspetti: l’essere umano è un oggetto materiale, dunque un com-
posto ilemorfico di materia prima e forma sostanziale; la forma sostanziale
dell’uomo è un’anima capace di esistere separata dalla materia, in una con-
dizione per cui rimane l’anima del singolo individuo ma non è il singolo in-
dividuo in quanto «a human being is not identical to his soul»; l’anima esi-
ste separata tra la morte dell’uomo e la risurrezione del corpo il quale non
è «a reassembly of bodily bits that had previously composed the body» ma
piuttosto è «more nearly a reconstitution of the substantial form with prime
matter» (126); infine la perfezione umana implica «the actualization of its
species-specific potentiality» ovvero la ragione. Le radici della visione del-
l’essere umano di Tommaso sono senz’altro aristoteliche, ma l’autrice val-
orizza anche le radici propriamente bibliche ed evangeliche che con-
sentono di evidenziare che «for Aquinas a human being is a relational en-
tity: the creature of a creator» ed inoltre «Aquinas thought the human
species-specific capacity is that capacity of intellect and will whose ulti-
mate actualization is the intellect’s vision of the essence of God and the joy
of the will in union with God» (145).
La parte III è dedicata alla “Epistemology”, che in inglese ha un signifi-
cato più ampio del corrispondente termine italiano andando a connotare
l’intera concezione della conoscenza e non solo la filosofia della scienza.
Il primo capitolo, scritto da Therese Scarpelli Cory, analizza con ampiez-
za tutte le attività conoscitive, quella che viene chiamata “mental life”, ov-
vero «cognition, perception, thought, knowledge, reasoning» riconnettendo-
si alla visione generale dell’uomo e dell’essere già delineata nelle parti pre-
cedenti. Il capitolo non solo riesce a rendere chiaro lo spessore di quelli
che all’inizio vengono definiti «technical Latin terms that come into En-
glish as impenetrable jargon», ma connette tutti i significati in una visione
complessiva: sono infatti «part of the life of embodied cognitive natures»
nel contesto del movimento «from potency to actuality and from imperfec-
tion to perfection» (175) entro la finalità di «to generate non-bodily intel-
lectual experiences in ourselves, whereby we understand the whatness of
beings» verso «the self-development of an intelligent organism» (175).

244
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

Il capitolo successivo, scritto da Angela Knobel, approfondisce la virtù


dianoetica dell’intelletto, “understanding”, che insieme alla scienza ed al-
la sapienza costituisce la perfezione dell’intelletto speculativo ma, a diffe-
renza di queste due, risulta meno studiato in parte a causa dell’uso ampio
fatto da Tommaso del termine “intellectus”: «our natural habitual knowl-
edge of first principles, the act of understanding, or a developed virtue»
(184). Operati i dovuti chiarimenti, l’autrice conclude che «we will possess
a virtue of understanding when we possess the habit or habits that enable
us to more quickly, readily, and easily arrive at a distinct knowledge of the
essences of things» (190-191). Il contributo si impegna nel trovare una
risposta alla questione se una tale virtù possa essere coltivata, rispondendo
negativamente «if by understanding we mean the ability itself considered
apart from all else we bring to bear, to ascend to a fuller understanding of
the essence of a thing then understanding is not something that can be in-
creased or cultivated» (204), ed anche positivamente «if by understanding
we mean not only that ability but everything we bring to bear in a given act
of understanding, then we can indeed cultivate habits that increase our
ability to understand» (204). La virtù dell’intelletto è, dunque, una virtù in
modo peculiare, anche per il suo essere sia all’inizio che alla fine del pro-
cesso intellettuale, rendendo possibile scienza e sapienza ed essendo nello
stesso tempo il loro culmine. Viene sottolineata la dimensione umana di
questa virtù: «Aquinas’s account of understanding underscores the all too
human elements of the pursuit of knowledge. We can make real progress in
our understanding, but that progress necessarily occurs slowly; it requires
time and teachers and specialization» (206), ma l’autrice conclude che Tom-
maso riconosce «another understanding, one which is directly bestowed by
God and which provides a more than human knowledge of more than hu-
man things», ma questo non è l’oggetto di questo capitolo.
Il terzo capitolo di questa parte, scritto da Michael Gorman, affronta il te-
ma della libertà. L’autore chiarisce subito «the topic of free will (libera vol-
untas) is wider than the topic of free choice. The former can be found even
in cases when the agent cannot choose among alternatives» (211). Per
esempio, noi vogliamo essere felici e non possiamo non voler essere felici,
ma questo non ci priva della nostra libertà. L’autore analizza i possibili el-
ementi che possano diminuire la libertà, ovvero il determinismo fisico: «we
are free not because physical causal influences determine our choices in a
way that is compatible with freedom, but because they simply do not deter-
mine our judgements and choices at all» (215); le passioni: «Passions may

245
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

influence our choices, but they do not determine them»; la prescienza div-
ina: «God’s foreknowledge (taken as speculative) leaves our choices free
because it doesn’t determine it» (216). Appare più ampio il dibattito sul
rapporto tra free choice and divine causation ed anche tra free choice and
practical judgement, ovvero tra iudicium et electio, e l’autore conclude che
proprio in questo ambiti «it is hard to be sure whether to go in a libertari-
an or a compatibilist direction», come se Tommaso lasciasse spazio «for
more than one reading in a way that cannot really be overcome» (226).
La parte IV dedicata ad “Ethics” si compone di altri tre capitoli; il pri-
mo, scritto da Tobias Hoffman, si collega all’ultimo capitolo della sezione
“Epistemology”, proseguendo la riflessione sulla libertà, affrontando il suo
rapporto con la grazia che è «a gratuitous divine gift that exceeds our hu-
man nature and allows us to obtain a supernatural, eternal good» (233), di-
stinguendo tre significati di libertà: libertà dal peccato, libertà della volon-
tà (libertas voluntatis) e libera scelta (liberum arbitrium) e su quest’ultimo
significato si concentra il contributo. Viene proposta anche la distinzione
tra grazia santificante (gratia gratum faciens), grazia giustificante (gratia
iustificans) e grazia risanatrice (grazia sanans). Hoffman affronta tematiche
teologiche quali il peccato originale, la predestinazione, la mozione divina,
la libertà di Gesù Cristo e della Vergine Maria, le virtù infuse, i doni, i sa-
cramenti. Fondamentale è la distinzione tra grazia operativa e cooperativa
che riguarda sia la grazia attuale che la grazia abituale: «When God’s grace
moves our mind -that is, our intellect and will- to produce its effect without
our collaboration, it is called operative grace; when it does so with our co-
operation, it is called cooperative grace» (244) considerando che «Grace
never operates without or even against our free will, but it does not always
produce its effect in cooperation with our will» (244). Il problema sotteso è
fino a che punto la grazia ci lasci il controllo delle nostre azioni. La conclu-
sione rimanda alla visione beatifica come compimento della libertà: «In
this life, then our will is only occasionally determined, in the reception of
operative grace. Only in the beatific vision will our response to God be de-
termined completely and permanently, making us unable not to love him,
although leaving us free to express our love differently. The determination
to love God is not achieved through operative grace, however, but through
our full realization that every aspect of goodness is in God and that every-
thing else is good only in relation to God» (250).
Il capitolo successivo scritto da Colleen McCluskey dal significativo ti-
tolo “From Metaethics to Normative Ethics” offre la struttura fondamentale

246
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

della teoria morale di Tommaso, fondata sulla sua considerazione della na-
tura umana e tutta teleologicamente impostata sul fine ultimo della vita
umana che si identifica con la felicità, distinta in imperfetta, quella che ari-
stotelicamente viene conseguita con le virtù, e perfetta, che implica il rap-
porto con Dio e si realizza completamente nella prossima vita. Dopo aver
delineato il ruolo delle virtù, i doni e i frutti dello Spirito Santo, il rapporto
tra Grazia e legge, il ruolo del vizio e del peccato, l’autore si interroga infi-
ne se tale teoria etica, così comprensiva e complessa, possa interessare chi
non ne condivide l’impostazione teologica e conclude che ritiene che sia in
ogni caso utile per la comprensione della vita umana: «his account of the
virtues and vices contains many resources for serious thought on what con-
stitutes a good human life, including in our current situation» (278).
Nel terzo capitolo di argomento etico, Andrew Pinsent sviluppa il sistema
quadruplice di attributi perfettivi, ovvero virtù, doni, beatitudini e frutti a cui
dà come nome l’acronimo VGBF, che mostra essere fondato sul principio del-
la «second-person relatedness with God», che Pinsent esplicitamente colle-
ga all’io-tu di Martin Buber, e sebbene si tratti di una impostazione teologi-
ca, egli ritiene che «this account corresponds to all kinds of daily experien-
ce of second-person relatedness», come supportato dalle ricerche della psi-
cologia sperimentale e delle neuroscienze: «This new appreciation of Aqui-
nas’s VGBF ethics may therefore help stimulate an important and timely new
approach to virtue ethic at the beginning of the third millennium» (300).
La quinta ed ultima parte è dedicata a “Philosophical Theology” e, non-
ostante il titolo, sviluppa tematiche attinenti alla Sacra Doctrina, in quattro
capitoli. Il primo capitolo, scritto da Brian Leftow, affronta il peccato origi-
nale, mettendo in evidenza come Tommaso affronti la questione nell’orbita
di sant’Agostino, ma in un distinto percorso. La riflessione sulle conseguen-
ze del peccato originale conduce Tommaso a una posizione senz’altro meno
severa di quella di Calvino. In particolare, la riflessione su quanto un non
cristiano possa compiere buone azioni, conduce Tommaso su una strada
“più ottimista” anche rispetto ad Agostino: «According to Augustine, even
the best non-Christian virtue is pursued out of pride or a desire for one’s
own good opinion of oneself». La posizione di Tommaso è diversa: «Contra
Augustine, then Aquinas holds that there can be genuine moral virtues even
without love of God. Pagan virtues, for Aquinas are not merely splendid
vices». Questo significa che «We cannot fulfil all the commandments, or
fulfil any of them in the fully right way. But we can take what are genuine-
ly steps in the right direction» (319).

247
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

Nel secondo capitolo di questa parte, Timothy Pawl imposta la dottrina


della Incarnazione, facendo riferimento in modo particolare alla discussio-
ne più matura ed estensiva esposta da Tommaso nella III parte della Sum-
ma Theologiae, facendo riferimento anche alle altre opere teologiche ed ai
commenti alle Scritture. Appare interessante come Pawl affronti le proble-
matiche filosofiche legate all’Incarnazione, ovvero la possibile contraddi-
zione tra gli attributi umani e divini contemporaneamente predicati della
stessa persona. Evidenzia come Tommaso sottolinea che le condizioni del-
la contraddittorietà siano «in the same time» ed anche «in the same way»;
nel caso della Incarnazione questo seconda condizione non viene data:
«they are said in different natures» (334).
Thomas Williams espone “Evil, Sin and Redemption” a partire dalla de-
finizione di male che non è «a simple negation of good» ma «a privation of
good», arrivando a concentrarsi su “atonement”, rimedio e riparazione per
il peccato umano entro la complessa struttura di merito, soddisfazione, sa-
crificio e redenzione, con riferimento alle virtù teologali ed alla vita sacra-
mentale. Il significato finale è assimilarsi a Gesù Cristo: «like Christ in his
death, like Christ in his resurrection, like Christ in his perfect charity (by
which alone any offering is acceptable to God), like Christ in his unstinting
conformity to the divine will» (357).
Il Companion si chiude con il contributo del domenicano Simon Gaine
dedicato a “Resurrection and Eschatology”. Gaine sottolinea che Tomma-
so considera che dopo la morte, le anime separate dai corpi subiscono il
giudizio particolare, per il quale sono destinate a «everlasting misery or fe-
licity». Ciò implica la domanda su cosa aggiunga la resurrezione dei cor-
pi: «It was thus a challenge for theologians to articulate the resurrection’s
specific contribution to judgment, reward, and retribution» (362). Gaine
mostra come Tommaso sviluppi questa sfida basandosi sulle Scritture e
sulle interpretazioni dei Padri della Chiesa, ma anche sulla sua antropolo-
gia filosofica e sulla sua cosmologia, delineate secondo una impostazione
fondamentalmente aristotelica. In questa complessa prospettiva, emerge
che i corpi risorti differiscono da quelli in questa vita essenzialmente per
la loro immortalità ed incorruttibilità: immortalità perché «the formerly
corruptible body has itself been made incorruptible through Christ’s own
rising to an incorruptible life» e incorruttibilità perché «they can receive
everlasting recompense in the body for deeds done in the body» (372). Per
Tommaso, dato che gli uomini hanno agito bene o male nel corpo, nel cor-
po devono essere ricompensati «Resurrection thus contributes something

248
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

across the subject matter of eschatology, to judgment, final reward and re-
tribution» (378).
Il volume porta, infine, un’ampia bibliografia aggiornata che propone più
di 300 titoli, a cui si può solo imputare di non aver distinto le fonti classi-
che dalla letteratura secondaria a noi contemporanea.
Ogni autore che ha contributo a questo Companion ha il proprio stile e
la propria impostazione, ma tutti mostrano una intelligente fedeltà al testo
di Tommaso, insieme all’impegno di valutarne l’attualità e il valore anche
per chi non ne condivida l’orizzonte.

Lorella Congiunti

249
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

CARMELO DOTOLO
L’utopia cristiana dell’umano. Idee per un umanesimo differente
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, MI 2022, 368 pp.

Con l’espressione «umanesimo differente» il teologo Carmelo Dotolo, profes-


sore ordinario presso la Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Ur-
baniana, traccia le linee per un’antropologia cristiana che sappia collocarsi
in modo credibile nello spazio della contemporaneità, accettandone le sfide
e le provocazioni. Sin dalle prime battute dell’Introduzione è chiaro l’inten-
to: «l’ipotesi che si vuole suggerire è quella di tratteggiare una diversa let-
tura dell’umano suscitata anche dalla destabilizzazione antropologica opera-
ta dal virus, e che trovi nella proposta cristiana un orizzonte di riferimento
maieutico rispetto alla ricerca di senso che attiene al nostro essere donne e
uomini e alla conseguente responsabilità del bene comune. Ipotesi, si badi
bene, che intende intercettare il significato della comunità di destino dell’u-
manità con la speranza di una rigenerazione dell’umano, nonostante segni di
un collasso di civiltà» (9). Un suggerimento di metodo oltre che di piste in-
terpretative nuove: lo sguardo attento all’attualità è indicatore essenziale per
riattivare un diverso immaginario simbolico sull’umano, che non taccia di
fronte all’emergenza ecologica e che sappia ridestare la passione e la custo-
dia del futuro della vita. Un richiamo solerte ad un cambio di mentalità ade-
guato all’attuale crisi planetaria in cui il cristianesimo, con tutto il suo po-
tenziale di senso, può dare un proprio contributo alla possibilità di una
«transizione antropologica», in grado di uscire dai circuiti di autoreferenzia-
lità in cui sopravvive, con un certo compiacimento, il mito occidentale del-
l’uomo prometeico, suggerendo modelli differenti di pensare la condizione
umana. Il concorso del cristianesimo alla proposta di un nuovo umanesimo
non deve restare marginale rispetto alla riscrittura del mondo a venire.
L’Autore, in questa prospettiva, segnala alcune priorità che costruiscono
l’architettura teoretica del suo testo: 1. Attenzione ad una ecologia integra-
le che sappia riattivare le energie positive e rigenerative contenute nel mes-
sianismo cristiano; 2. Riconfigurazione dell’identità della persona a favore
di una soggettività aperta all’economia del dono e all’ospitalità dell’altro; 3.
Riscoperta della trascendenza come relazione promettente di vita nella pro-
spettiva di un’ecotenerezza che sappia farsi promotrice di una civiltà frater-
na, della giustizia solidale e di un ethos della cura.
Ciò che viene auspicata è una rivoluzione antropologica, che non misco-
nosce quanto di più prezioso in termini di conquista di diritti e di tutela del-

250
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV, 250-257

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

la dignità ha raggiunto la modernità erede dell’illuminismo, ma che nel sol-


co di una «regia neomoderna» vuole valorizzare il lessico della relazione e
della fraternità creaturale: «La nostra epoca è al bivio di una possibile an-
tropogenesi che non abbisogna di soluzioni di piccolo cabotaggio o di sicu-
rezze interpretative impermeabili alla complessità dell’umano, specie nel
suo volto più vulnerabile e sfigurato, ma di una capacità critica nei confron-
ti dei miti che alimentano facili narrazioni della condizione umana (e, for-
se, postumana) e di una soggettività iperbolica cresciuta nella metodica ne-
gazione dell’alterità» (315).
Come va articolata allora la proposta di un nuovo umanesimo? E in che
modo può contribuire a un ripensamento della condizione umana? È attor-
no a queste domande che l’Autore sviluppa la sua riflessione, strutturando
il libro in sette densi capitoli in cui prende corpo la profezia di senso di cui
il cristianesimo è portatore, riconfigurando un paradigma antropologico sul-
la «cultura e politica della prossimità». La finalità che accompagna come
un filo rosso la trama dell’opera è quella di rompere finalmente il recinto
dell’individualismo, promuovendo un’etica dell’ospitalità universale e del-
la compassione per una autentica trasfigurazione dell’umano.
Sin dal primo capitolo (Nuovo umanesimo e civiltà del disagio. Linee di
una parabola critica) si evidenzia un’aporia: come poter parlare di umane-
simo in un tempo che ha maturato una certa allergia nel trovare convergen-
ze sullo specifico della natura umana, anzi: «il ritorno su di un concetto
quale umanesimo sembrerebbe voler rieditare un sistema dottrinale troppo
lontano dalla vita e astratto rispetto alle donne e uomini reali, quasi inca-
pace di sintonizzarsi con un profondo malessere che abbraccia l’esistenza
individuale e sociale» (22). Porre tale questione, allora, significa fronteg-
giare in modo critico il rifiuto pregiudiziale di una prospettiva umanistica
ed elaborare nuovi significati e modelli interpretativi di esistenza per im-
maginare una nuova umanità. Al di là di facili riduzionismi e semplificazio-
ni, Dotolo individua alcuni indicatori per leggere la crisi spirituale e socio-
politica della cultura odierna, delineando la radice del «disagio di civiltà»
anticipato nel titolo: la radicalizzazione di un assetto individualistico del-
l’esistenza; la riconduzione dell’uomo alla cultura del Web; l’asfissia neo-
liberista dell’economia, che provoca impoverimento, diseguaglianza e dis-
umanizzazione; la svolta post-democratica del populismo; l’aporia del se-
colarismo e le emozioni dissidenti del religioso, parametro indispensabile
per comprendere sia l’individualizzazione della ricerca spirituale che i fon-
damentalismi. È solo dopo aver preso posizione di fronte a queste trasfor-

251
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

mazioni del sentire comune e ad averne appreso il vocabolario che si può


imbastire un discorso costruttivo sul modo con cui l’umanesimo cristiano
può contribuire a un ripensamento della condizione umana, facendo di nuo-
vo spazio alla relazione con la Trascendenza come incremento di umanizza-
zione. La posta in gioco è, dunque, la rielaborazione dell’ermeneutica del-
l’umano offerta dal cristianesimo.
Si tratta di monitorare il campo degli «umanesimi» prodotti dalla storia,
per disinnescare i cortocircuiti interpretativi costruiti nel tempo, che fanno
fatica a liberare antichi pregiudizi. È questo il nucleo teoretico del secon-
do capitolo (Umanesimi e modernità. Genealogia dell’umanesimo cristiano).
Attingere di nuovo all’umanesimo cristiano come risorsa significa risolvere
le resistenze culturali che si sono sedimentate intorno alla capacità di futu-
ro del cristianesimo, operando un’ermeneutica avvertita sul contenzioso an-
cora aperto tra modernità e cristianesimo, rileggendo senza preconcetti la
secolarizzazione come esito di una fede scevra da fanatismi che sa abitare
la storia. La letteratura postmoderna è nota nell’operare la decostruzione
del grande racconto della modernità e della sua illusione programmatica,
mostrandone la fragilità ideologica e la necessità di uscire dal mito della ra-
gione calcolante e dell’organizzazione tecnica dei vissuti. Così commenta
l’Autore: «Riandare alla eredità della modernità vuol dire cogliere la vera
posta in gioco di quegli ideali che hanno disegnato una diversa esplorazio-
ne dell’umano. Ciò esige un rigoroso esercizio interpretativo del contributo
del cristianesimo quale “svelamento” antropologico, analogo a quello del-
l’umanesimo moderno che nella dignitas hominis suggerisce un ulteriore
cambio di paradigma» (79).
In questo orizzonte maieutico, nel confronto sempre documentato con le
stagioni che ci precedono e ci accompagnano, nel segnalare la necessità di
un approccio più articolato e attento alle forme storiche assunte dalla mo-
dernità, c’è la preoccupazione di valorizzare l’ispirazione cristiana presente
nelle istanze di riforma di questa epoca, un «rinascimento cristiano» che ha
saputo pensare l’humanitas insieme alla dimensione religiosa, in cui si co-
glie, più che altrove, una «contraddizione creativa» tra utopia e disincanto
rispetto a forme superate e da superare. È in tal senso che figure come Fran-
cesco d’Assisi e Martin Lutero, seppur distanti nel tempo, vengono offerte
come vettori e parabola di un diverso umanesimo, capace di immaginare una
nuova narrazione del mondo e della storia, tenendo a mente un’indicazione
di metodo: la connessione tra riflessione teologica ed elaborazione di cate-
gorie antropologicamente significative, tali da diventare parole-chiave, in

252
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

modo da assumere l’eredità cristiana come tesoro da valorizzare e non come


esperienza da archiviare: «L’ipotesi di individuare nel pensiero di France-
sco e nel francescanesimo e nella riflessione di Lutero e del protestantesi-
mo un terreno fertile a una forma di umanesimo cristiano scaturisce dalla
importanza della loro ermeneutica del Vangelo in rapporto alle istanze di
quel lungo processo di riforme che trova un incrocio decisivo nel XVI seco-
lo» (84-85). Si tratta di esperienze che hanno permesso il ripensamento del
cristianesimo e che nel mutamento socio-culturale hanno visto una diversa
progettualità dell’identità cristiana, in cui la riforma implica il dare una
nuova forma al cristianesimo in relazione alla sua responsabilità storica.
L’opzione per un’antropologia ecologica, la riscoperta della fraternità e del
dono come forma dell’umano, la profetica presenza nello spazio pubblico e
l’economia dei beni comuni conservano ad oggi una «forza di contempora-
neità» nel riscrivere la differenza del Vangelo nei circuiti della storia.
La stessa postura di sana riscoperta va assunta con l’umanesimo del No-
vecento, tema del terzo capitolo (Paesaggi novecenteschi dell’umanesimo
cristiano. Attraversamenti, incroci, orizzonti tematici), con l’attenzione alla
versione personalista e neoebraica, con maestri come Emmanuel Mounier,
Gabriel Marcel, Paul Ricoeur, Jacques Maritain, Martin Buber, Emmanuel
Lévinas, Simone Weil, Edith Stein e molti altri. Un contributo fecondo alla
concezione dell’essere umano come persona, in cui «il soggetto sperimenta
il legame con l’a(A)altro quale cura costante della propria soggettività»
(125). Una risposta critica ad almeno tre input teoretici: l’antropologia na-
turalistica e storica di K. Marx, l’ermeneutica psicanalitica che ha fatto lu-
ce sulla profondità magmatica dell’inconscio, l’ottica dell’Übermensch,
l’“uomo dell’oltre”, delineato da F. Nietzsche. Ciò che ci segnala l’Autore,
senza indulgere in giochi di contrapposizioni sterili, è che l’identità futura
dell’uomo si delineerà nella saggezza di un’ermeneutica diversa che, nel re-
cuperare una visione dell’uomo, sappia rendere ragione della complessità
senza radicalismi interpretativi.
Come generare allora l’umano? Su questa domanda intrattiene un dialo-
go fecondo con la tradizione biblica e teologica, a cui dedica il quarto ca-
pitolo (Generare l’umano. Per un’antropogenesi biblico-teologica). Si entra
più direttamente in ascolto della Scrittura, come codice spirituale fonda-
mentale della nostra cultura. Un pensare altrimenti concetti come finitezza,
contingenza, assolutezza, relazione, alterità, materia, anima e così via, lun-
go tutto il vocabolario maturato nei secoli nell’ascolto di questa memoria
sapienziale e spirituale, senza omettere il grande apporto alla comprensio-

253
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

ne dell’essere ad immagine, maschio e femmina, che, attraversando il


fraintendimento strumentale, ha favorito una diversa comprensione della
relazione di genere. Grande attenzione viene data alla qualità ontologica
della relazione, iscritta già nella creazione originaria, in cui il destino del-
la benedizione diventa appello alla responsabilità e reciprocità per corri-
spondere al mandato della fraternità/sororità (cf. 163). L’autore consegna
qui tre indicatori per seguire i tratti originali dell’umanesimo biblico: l’u-
manesimo esodale, con l’esodo come paradigma di esistenza, profetico, as-
sumendo il principio-speranza come motore della storia, ed evangelico, nel
segno della compassione e del perdono iscritti nella stessa umanità di Ge-
sù. A farci da compagni di viaggio sono richiamati i contributi di testimoni
d’eccezione come Pierre Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Karl Rahner,
Romano Guardini e altri ancora, le cui riflessioni vengono consegnate co-
me spunti importanti per l’elaborazione di categorie nuove.
A questo punto vanno segnalate alcune scelte di campo significative. Ciò
che va evidenziato come tratto originale della proposta è l’approdo “politi-
co”, che costituisce lo snodo teoretico del quinto capitolo (Umanesimo cri-
stiano e spazio pubblico. Responsabilità storica, conversione economica e
transizione ecologica): esso trae origine dal radicamento nella trascendenza
del Dio di Gesù Cristo, nella cui esistenza prende corpo la passione per l’u-
manità e il mondo, dove la vulnerabilità e la fragilità sono consegnate come
laboratorio di cura. Qui si sperimenta la «forza utopica» dell’umanesimo
cristiano, perché la promozione della vita è data come impegno per la re-
sponsabilità comune. Non è una universalità astratta dove si perdono i con-
fini del tu, del volto dell’altro, ma un fine che si innesta nel quotidiano e
che appella alla qualità delle relazioni nel qui ed ora di ogni storia partico-
lare, neutralizzando qualsiasi forma di disincanto, indifferenza o apatia. Co-
sì commenta l’Autore: «Evidenziare l’utopia quale possibile chiave inter-
pretativa dell’umanesimo cristiano, non vuol dire ricadere in un nostalgico
e ingenuo sentimento sociale di un vagheggiato passato di irraggiungibile
perfezione, o sostenere un anacronistico ideale, ma riscoprire un pensiero
consapevole della fecondità del bene, della giustizia, della equa distribu-
zione dei beni a servizio della libertà, del corretto sviluppo, di un adeguato
ben-vivere che sappia dosare lavoro, tempo libero, attenzione al sociale»
(321). La considerazione di questo impatto tra Vangelo e società richiede
un cambiamento interpretativo dell’esperienza religiosa e della società
post-secolare, in cui si è smentita la previsione sul declino della religione
a favore di una sorprendente vitalità di forme nuove di spiritualità. La po-

254
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

stura del cristianesimo nello spazio pubblico è legittimata proprio dal mes-
saggio evangelico del Regno con la sua forza messianica di liberazione e
umanizzazione: «Tale paradigma dice una valutazione della vita, indica una
lotta per la giustizia e la solidarietà, esprime un modo di interpretare e ap-
prendere la verità. Ciò comporta un modo differente di leggere la storia de-
gli effetti che il Risorto da morte introduce nella fatica dei giorni» (213). Si
prospetta così la necessità di elaborare sentieri percorribili perché la pro-
posta cristiana possa abitare in modo credibile lo spazio pubblico. La digni-
tà umana, la fraternità, l’economia e l’ecologia integrale costituiscono cer-
tamente i primi puntelli irrinunciabili per una cultura della cura e della re-
sponsabilità. A ciò si aggiunge, come evidenzia nel sesto capitolo (Euristi-
ca del pudore, etica del limite, performatività del dono) «l’esigenza di recu-
perare e valorizzare il linguaggio universale delle emozioni, dei sentimenti
e degli affetti, quale orizzonte di una diversa capacità di entrare in empatia
con la realtà e di prendersi cura di sé e degli altri» (251). Una prospettiva
originale che non è consueta nei libri di teologia, ma va a dare corpo alla
necessità di riscrivere l’umano dentro i contorni della vita, alla luce di quel-
la ecologia integrale richiamata come orizzonte imprescindibile di riferi-
mento. Così commenta l’Autore: «l’umanesimo religioso e cristiano contri-
buisce alla formazione di un “clima emozionale” in cui la capacità di com-
binare i dati affettivi con quelli conoscitivi rende possibile l’avvicinarsi al-
l’individualità degli esseri in un superamento ideologico della conoscenza
verso un conoscere critico ed emancipatore» (248). Sicuramente va ripreso
l’apporto delle neuroscienze nello studio del rapporto emozioni-sentimenti-
cervello, soprattutto per rompere la contrapposizione tra razionalità e mon-
do emotivo, che ha contribuito non poco a produrre sia l’astrazione dell’u-
mano dalla concretezza del vivere che la visione di un cristianesimo a-pa-
tico e autistico. Eppure la tradizione biblica è ricca di esempi e storie in cui
si intrecciano, insieme al desiderio di Dio, sentimenti e passioni proprie
dell’umano vivere, dove impariamo le coordinate antropologiche fondamen-
tali per dirsi e donarsi. È in queste suture che facciamo i conti con la vul-
nerabilità, la fragilità, la vergogna, la contraddizione, il limite, da rileggere
dentro l’esperienza religiosa, dentro le dinamiche della fede e della relazio-
ne all’Altro: «l’esistenza non è il regno dell’immobile e del monotono, ma
percezione di una differenza che buca la routine perché disposta alla gra-
tuità e al dono oltre la logica burocratica delle scelte e delle azioni» (275).
Da ultimo, ma non per importanza, è il settimo capitolo (Abitare la tra-
scendenza. L’altro perché dell’umanesimo) che posto in chiusura fa da cen-

255
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

tro catalizzatore delle tematiche proposte. È infatti la categoria di trascen-


denza ad introdurre nell’ermeneutica dell’umano una rottura nel pensarlo
meramente come accadimento biologico, che gioca la propria esistenza nel
circuito autoreferenziale dell’immanenza: «La trascendenza, infatti, non so-
lo esprime il portato ontologico dell’essere dell’uomo, ma ne indica l’espe-
rienza fondamentale nella sua irriducibilità a un semplice epifenomeno di
una immanenza irrelata, segnalando la sua particolare posizione nel mon-
do e nella storia» (283). Nonostante il suo essere principio orientativo del-
l’esistenza, o proprio per questo, il concetto di trascendenza non è immune
da una fragilità epistemologica, poiché confligge con la presunta autosuffi-
cienza ontica della realtà. Il suo essere senso di una prospettiva che segna-
la un diverso modo di comprendere il da-dove e il verso-dove della vita e
che orienta oltre i confini del meramente oggettivo implica un’istanza di ol-
trepassamento che apre ad un «orizzonte eretico» (286), capace di pensare
una figura antropologica “controfattuale”. In questa congiuntura l’Autore
prospetta una lettura della trascendenza che ha appreso la crisi della ragio-
ne metafisica tradizionale e che, andando oltre il movimento antropocentri-
co della contemporaneità, possa ripensare la finitudine alla luce dell’espe-
rienza religiosa, che in un’ottica neomoderna non censura la bellezza del-
l’umano nella sua ricerca di felicità, ma esplora nuovi spazi interpretativi.
In un confronto serrato con le nuove sfide culturali del mondo digitale e
delle odierne forme di ricerca spirituale, alle prese con una diversa riscrit-
tura della propria identità, Dotolo ridefinisce «l’ipotesi Dio» a partire da
categorie assunte dalla narrazione biblica e cristiana: «La trascendenza,
quindi, istituisce una teoria della provenienza che, nella figura fenomenolo-
gica del Dio inteso come colui che si dona senza riserve e che si prende cu-
ra, scuote quanto si dà per scontato nella realtà e, di riflesso, interviene
nella tradizione religiosa allargandone lo spazio delle ragioni» (308).
Solo alcuni riferimenti, tra tanti che se ne potrebbero fare, per dire come
lo scenario che apre la lettura di questo testo sia quello di elaborare un’an-
tropologia nuova in dialogo con i cambiamenti epocali: gli attraversamenti
di autori ed epoche culturali, che arricchiscono con erudite annotazioni bi-
bliografiche le questione affrontate, gli consentono di sperimentare in cia-
scun pensiero passaggi e percorsi instaurativi di altri modelli conoscitivi,
capaci di interloquire con altri sistemi di senso, codici culturali e religiosi.
La prospettiva è quella di una traduzione socioculturale della singolarità
del messaggio biblico-teologico, attenta ad un’epistemologia di confine in
grado di intercettare le domande fondamentali della donna e dell’uomo di

256
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

oggi. La capacità di futuro dell’umanesimo cristiano si misura, dunque, nel-


la sua capacità di “stare tra i tempi” (Zwischen der Zeiten), per usare un’e-
spressione cara a F. Gogarten. L’apertura di uno scarto utopico dentro i si-
stemi di significato culturali è probabilmente la sfida che l’Autore indica
per il nuovo umanesimo, nella sua compagnia critico-profetica nei riguardi
della società: «Si tratta, in altri termini, di assumere un punto di vista an-
tropologicamente diverso rispetto all’umano e alla sua conoscenza, consa-
pevoli che la vita, il mondo, l’etica, l’uomo sono sistemi aperti che non tol-
lerano dottrine unidimensionali» (315). Ciò è possibile alla luce dell’uma-
nità di Gesù, offerta come viatico per un mondo riconciliato. La scelta di
campo del cristianesimo come religione della secolarità nella valorizzazio-
ne della sua responsabilità pubblica permette alla potenza liberante del
Vangelo di alleggerire la terra. La proposta dell’umanesimo cristiano porta
allora con sé una responsabilità educativa, culturale e politica che, oltre a
modificare l’attuale tendenza a confinare la fede cristiana nel privato e nel-
la ricerca di un benessere funzionale e individualistico, si oppone ad ogni
forma di disumanizzazione.
Non ci troviamo di fronte ad un manuale di scuola, ad un testo da sugge-
rire come introduzione agli studi teologici, ma ad un libro complesso che,
dentro e attraverso la trama del pensiero di autori e interpreti del Novecen-
to teologico e filosofico, si offre come compendio di una diversa narrazione
sull’umano. Una lettura che riteniamo fondamentale per interpretare in mo-
do critico i movimenti di senso del contesto culturale contemporaneo.

Mariangela Petricola

257
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

MARCO IVALDO
Sul male. Kant, Fichte, Schelling, Hegel
Edizioni ETS, Pisa 2021, 131 pp.

Marco Ivaldo, autore di assoluto rilievo nel campo degli studi sulla filoso-
fia classica tedesca, perviene con questo saggio Sul male ad una preziosa
rilettura sistematizzante degli interrogativi che hanno attraversato il ‘700 e
l’800, interrogando un pensiero che ormai non si accontentava più di segui-
re le indicazioni tratte dalla patristica fino alla tarda scolastica.
La cifra unificante del libro è frutto di riflessioni e studi di una tradizio-
ne di pensiero, quello tedesco, il cui alveo ha sempre conservato una par-
ticolarissima sensibilità nei confronti del concetto del male, sia quello psi-
cofisico (das Übel), sia il male morale (das Böse).
Il libro nasce, rileva l’Autore sin dall’inizio, da una sollecitazione indi-
retta proveniente dall’opera di Luigi Pareyson: scandagliare il problema del
male nel pensiero classico tedesco. A questo stimolo si aggiunge l’obietti-
vo dello studioso di dimostrare come tale pensiero non annulla il male ma
invita a pensarlo come ciò che non deve essere ma che c’è e dunque, di af-
frontare il problema in chiave di responsabilità umana. In questo percorso
di ricerca, Marco Ivaldo, attento studioso dei grandi temi della filosofia mo-
rale tedesca, ha come suoi privilegiati interlocutori i filosofi Reinhard
Lauth e Alberto Caracciolo.
La ricerca parte da uno dei principali snodi del rapporto tra la filosofia
classica tedesca e il male, il pensiero di Immanuel Kant, riaprendo così un
cantiere che va oltre la vocazione illuminista del filosofo di Königsberg e
proietta il male all’interno della filosofia pratica, dove viene pensata anche
l’emancipazione da questa propensione “imperscrutabile” della nostra li-
bertà. Le opere di Kant che interessano di più sono il saggio del 1791 Sul-
l’insuccesso di ogni saggio filosofico in teodicea, nonché le anteriori Lezio-
ni di filosofia della religione (1783-1787) e infine anche lo scritto Sul ma-
le radicale del 1792, confluito nell’opera dedicata alla religione.
Il male si inserisce nel contesto della teologia razionale e la sua com-
prensione è strettamente legata alle note obiezioni contro la santità, bontà
e giustizia di Dio. Nel rispondere alla prima obiezione, il filosofo tedesco,
secondo Ivaldo, imposta l’argomentazione dal punto di vista antropologico,
diremmo quasi in chiave rinascimentale, poiché ricorda il ragionamento del
Mirandolano che chiama l’uomo “divino camaleonte” capace di ascendere
fino a Dio e di discendere fino ai bruti. In tal modo Kant non vede il male

258
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV, 258-264

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

nel mondo come un principio positivo, ma come una “conseguenza collate-


rale” che l’uomo, essere libero, sperimenta mentre cerca di attuare il bene.
Il mancato raggiungimento dello sviluppo dell’uomo costituisce il male, in-
vece il bene è esattamente l’avverarsi di questo fine.
All’obiezione che riguarda l’opposizione nel mondo fra il male fisico e la
bontà di Dio, Kant risponde dimostrando che la felicità/infelicità è una
proiezione errata se non si tiene conto che esiste una felicità intesa come
soddisfacimento dei desideri e la felicità come mero godimento. La prima
specie di felicità comprende il bisogno di superare i mali fisici, il dolore, la
sofferenza ed è un processo che conosce fine nell’esistenza. In tal senso la
presenza dei mali fisici, pur essendo una “conseguenza secondaria” di una
volontà che interpreta male la libertà, ha una funzione pedagogica e contri-
buisce a portare gli uomini alla ricerca della felicità. Infine, all’obiezione
della sproporzione fra moralità e benessere, Kant risponde con un argomen-
to stoicheggiante, dicendo che la vita onesta e virtuosa è premio a se stes-
sa e si autogiustifica come tale.
L’argomentazione kantiana dell’estraneità di Dio come saggezza morale
da qualsiasi partecipazione e concorso con il male nel mondo (si ricorda qui
il dilemma di Epicuro riportato da Lattanzio nel De ira Dei) ha come sua
premessa il fatto che la ragione pura nel suo uso speculativo non può cono-
scere Dio. Nello scritto Sull’insuccesso, Kant considera il male come un
contro-finale (zweckwidrig), come ciò che si oppone alla saggezza suprema
in tre forme: 1) l’assolutamente contro-finale, inteso come il male (das Bö-
se) morale; 2) il relativamente contro-finale, il male fisico; 3) il contro-fi-
nale come sproporzione fra le colpe e le relative pene. A tre tipi di contro-
finale corrispondono altrettante obiezioni cui Kant ribatte dicendo che il
male morale urta non contro la saggezza di Dio ma contro la nostra. Inoltre
il male morale esiste, ma non è stato possibile impedirlo a causa della no-
stra finitezza e infine il male morale esiste come colpa dell’uomo e Dio lo
ha soltanto permesso.
Kant intreccia argomenti apologetici noti, però il loro uso si inserisce al-
l’interno di strategie inedite, ove egli giustappone i ragionamenti metafisi-
ci a quelli antropologici. In tal modo allo stesso tempo nega l’immunità dei
malvagi, non vede nella sproporzione tra colpa e pena un’ingiustizia e infi-
ne opera la distinzione tra questo mondo e uno futuro dove sarà in vigore
un altro regime di cose che seguirà il giudizio morale. Alla fine del confron-
to tra filosofia e teodicea tradizionale, la prima va incontro a una vittoria di
Pirro, mentre la seconda ne esce sconfitta. La teodicea dottrinale per Kant

259
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

parte dal mondo sensibile per arrivare a Dio. Per arrivare ad una teodicea
autentica è necessario percorrere l’itinerario inverso giungendo a un’inter-
pretazione morale del creato, cioè, partendo da un’idea di Dio anteriore a
ogni esperienza. Questo nuovo approccio ha come garanzia il fatto che vie-
ne condotto sotto l’egida della ragione pratica, la quale in materia apologe-
tica può essere considerata come una veritiera “esplicazione e voce di
Dio”. Al centro di questa teodicea delineata sommessamente da Kant c’è la
“disposizione dell’animo”, motivo mutuato da una certa teologia pietista fa-
miliare al filosofo.
La ragione del male, osserva Ivaldo, consiste nella scelta libera di massi-
me che sono opposte a quelle che assumono la legge morale come loro prin-
cipio determinante. Tutto ciò illumina la questione della tendenza naturale
(Neigung) che certi oggetti hanno di sviare l’uomo dalla recta ratio agibi-
lium. Secondo Kant, è il “fondamento soggettivo” dell’uso della libertà uma-
na che elegge massime non conformi alla morale e il risultato di tale scelta
si vede attraverso l’agire pratico e gli effetti determinati da esso che non so-
no mai indifferenti al bene e al male. Ivaldo, nella sua analisi condotta con
acume e fortemente legata all’esigenza filologica di non perdere mai di vista
il testo, insiste molto sul carattere di movente (Triebfeder) della legge mora-
le, perché in questo modo la legge insieme all’autodeterminazione della li-
bertà del soggetto agente, chiude il cerchio all’interno del quale gli oggetti
esterni e le tendenze naturali non hanno un potere determinante in sé, ma
vengono coinvolti soltanto in seguito all’adozione di una massima. L’agire
del “fondamento soggettivo”, in quanto produce atti liberi, non può essere
scandagliato tramite la categoria della causalità per risalire nel tempo dagli
effetti a ciò che ha fatto da “trigger” al male originario. Per questo possiamo
parlare soltanto dell’origine razionale del male, anche se in questo modo la
libertà in quanto causa efficiente del male, nell’atto del suo autodeterminar-
si, non si spiega ma semplicemente si pone come una negazione.
«La libertà umana, – rileva Marco Ivaldo – che è atto intelligibile, deve
allora venire pensata non soltanto come caratterizzata da una (triplice e
una) disposizione al bene, ma anche come segnata da una tendenza nega-
tiva, che la inclina – senza necessitarla – a invertire l’ordine morale dei mo-
venti» (41).
Kant chiarisce che l’inclinazione non è essenziale per la natura umana,
l’unico motivo determinante consiste nella libertà di assumere le massime,
tuttavia la tendenza è fisica oppure morale, a seconda che consideriamo
l’uomo come un essere naturale oppure come un essere morale. Come in

260
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

Spinoza non si dà una causalità trasversale fra gli attributi (pensiero e


estensione), anche in Kant non esiste una tendenza fisica al male morale e
viceversa. Questa importante distinzione è volta a salvaguardare il libero
arbitrio nel momento dell’elezione delle massime nonché in quello della lo-
ro applicazione.
In definitiva il male radicale (radikales Böse) come tendenza interessa il
soggetto nell’uso della libertà. Quindi, la nostra libertà in quanto tale può
adottare le massime morali oppure quelle opposte, in questa possibilità di
scelta non è l’oggetto che determina, ma soltanto la natura stessa della no-
stra libertà. Conclude lo studioso: «Per Kant il male è ‘positivo’ perché è
posto dalla libertà come capacità di posizione e di inversione di massime;
è ‘reale’ perché riceve una realtà, la realtà del negare, dall’energia stessa
della libertà, che è libertà del bene e del male» (69).
Il pensiero di Fichte diventa una tappa necessaria per lo studioso che in-
tende comprendere la natura e la realtà del male radicale nell’idealismo te-
desco. La storia dell’autocoscienza deve percorrere la tappa dell’immedia-
tezza, quella della riflessione sull’immediatezza per elevarsi alla riflessio-
ne superiore che palesa l’autonomia del soggetto, permettendo di prendere
coscienza della natura morale della tendenza all’auto-sussistenza. La pos-
sibilità del male, secondo Fichte, inizia dall’oscuramento del senso del do-
vere, che dipende dall’agire della libertà riflettente e si manifesta in tre mo-
menti. Il primo momento è l’autoinganno nell’intellezione del dovere, per
cui intendiamo per dovere qualcosa che non lo è, perdendo così la determi-
natezza dell’azione morale. Il secondo momento consiste nello smarrimen-
to di un tempo determinato per compiere il proprio dovere, mentre la legge
morale non conosce rinvii. Nel terzo e ultimo momento avviene l’oscura-
mento della coscienza del dovere come qualcosa di assoluto e il suo mutar-
si in qualcosa che ammette motivazioni empiriche e elementi eterogenei ri-
spetto alla massima morale. «La possibilità del male – osserva Ivaldo – ri-
siede precisamente in questo oscuramento della coscienza del dovere, in-
trodotta da una rinuncia alla libertà di riflessione».
Dopo aver esposto la possibilità del male, nella sua lucida analisi del
pensiero fichtiano, Ivaldo espone la consistenza del male a partire dal Si-
stema di etica (GA I 5). Per il filosofo di Rammenau la natura del male va
indagata nella natura dell’uomo, dove troviamo una “forza di inerzia” (vis
inertiae) che rappresenta positivamente il male radicale. Questa inerzia è il
fondamento non determinante rispetto all’agire umano, poiché non sostitui-
sce la libertà, ma, essendo un abuso, rappresenta una resistenza al riflette-

261
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

re e un concreto ostacolo per la coscienza dell’auto-sussistenza (Selbstän-


digkeit) in senso morale e non egoistico.
L’Autore insegue nella sua complessa disamina storica il pensiero di
Schelling sul problema del male, prima nello scritto del 1804 Filosofia e re-
ligione e poi nelle Ricerche filosofiche (1809). Nel primo scritto egli rileva
come il tema del male sia strettamente connesso all’idea della caduta, in-
tesa come frattura tra l’assoluto e il finito, utile a spiegare l’esistenza di
quest’ultimo. Per quanto riguarda la dottrina delle idee e quella della for-
ma, Schelling presenta l’assoluto come l’identità dell’ideale e del reale,
mentre la forma è una eterna trasformazione dell’idealità in realtà. L’idea
della caduta aiuta il filosofo tedesco a concepire il fondamento come la na-
tura di Dio in cui la finitezza non ha alcuna realtà. Ciò che l’assoluto, in
quanto identità necessaria di reale-ideale, concede alle cose finite tramite
il distacco/caduta è il loro essere una contro-immagine dell’assoluto aven-
te l’auto-sussistenza. Questa è la libertà che scaturisce dall’assoluto, ma
nel distaccarsi da esso rappresenta il nulla, ovvero il fondamento della pos-
sibilità del male. In questo l’egoità (Ichheit) è il punto massimo del distac-
co ma anche il momento del ritorno all’essere originario.
Il problema del male come caduta andrebbe ad inficiare la compatibili-
tà tra il sistema filosofico e la libertà; Schelling per salvare questo rappor-
to è costretto a sottolineare l’autonomia della sussistenza del finito e della
libertà che ne consegue, facendo così della sua filosofia un correttivo del-
l’idealismo critico. Le soluzioni del problema del male dei sistemi filosofi-
ci precedenti non soddisfano Schelling, che nelle Ricerche distingue nel-
l’assoluto il fondamento e l’esistenza, le quali si presuppongono reciproca-
mente e si susseguono in una “trasmutazione interna” circolare, senza prio-
rità cronologica né logica. Chiarito il punto egli aggiunge che il fondamen-
to è la volontà di Dio di generare il mondo che risiede e diviene in una par-
te di Dio che non è Dio. Per quanto riguarda il creato soltanto nell’uomo il
principio oscuro, il volere individuale che scaturisce dal fondamento di
Dio, si unisce all’intelletto come volontà universale. La loro unione però
non è insolubile e ciò genera la possibilità del verificarsi del male. Il male
esiste perché la personalità spirituale, ovvero la libertà, pretende di costi-
tuire un’unità separandosi dal principio ideale, creando così un disordine
che interessa l’intero creato. Secondo Schelling la presenza del male è ne-
cessaria affinché l’amore diventi reale, dunque la separazione dei principi
nell’uomo porta questi ad allontanarsi da Dio. Schelling ripropone qui l’ar-
gomento agostiniano per giustificare la presenza del male: esso esiste per-

262
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

ché il bene emerga meglio nel creato. L’oscurità permanente del fondamen-
to resiste e stimola la volontà particolare attraverso la seità: si tratta della
libertà di immaginare la sussistenza come qualcosa di reale escludendo la
volontà universale. Osserva Ivaldo: «La possibilità del male risiede nella
capacità della libertà di fare della individualità non la base e l’organo (co-
me si deve), ma il principio dominante, e la chiave di volta di ogni volere,
e nel rendere il principio spirituale un semplice mezzo della individualità
(come non si deve)» (97).
In Schelling si intrecciano temi della filosofia cristiana medioevale con
l’influsso leibniziano, così Dio nel creare il mondo sa che ciò che egli sta
rivelando, l’amore, ha di fronte a sé il male, da lui non voluto ma permes-
so in quanto il fondamento agisce come una forza separatrice. Egli avrebbe
potuto evitare il male, annullando il suo amore, ma alla fine avviene una
reintegrazione del male nel bene, ovvero il male si riduce al nulla, a ciò che
è da principio davanti a Dio.
Infine arriva il confronto con il pensiero di Hegel e qui il merito dello
studioso consiste nel fatto che egli segue un percorso di indagine un po’ in-
solito nell’ambito degli studi hegeliani per arrivare alla comprensione del
male nella cosiddetta “teodicea storicistica”. L’analisi di Ivaldo parte dalla
rilettura critica dei paragrafi 129-140 dei Lineamenti della filosofia del di-
ritto, per fermarsi ampiamente sugli ultimi due, dedicati al problema del
male. Nel percorso auto-affermativo della ragione il male in Hegel rimane
un momento subordinato, localizzato all’interno della dialettica logico-sto-
rica che sfocia nella conciliazione (Versöhnung). Nei §§ 129-135 dei
Grundlinien, osserva Ivaldo, bisogna dapprima distinguere il bene concre-
to come libertà realizzata da quel bene che appartiene alla “volontà sogget-
tiva”. La seconda comprensione del bene è più circoscritta, ma in quanto
legato alla volontà soggettiva il bene nei suoi lineamenti morali rimane an-
cora qualcosa di astratto. Esso deve assurgere, indica Hegel, a un fine con-
creto, dopo che la volontà soggettiva lo ha riconosciuto. L’opera è di natura
giuridica e perciò bisogna arrivare al “diritto della oggettività”, che è l’in-
tellezione della legalità o illegalità di un’azione all’interno del quadro del-
la legislazione vigente. Il problema del bene e del male si delinea quindi
nei termini di legalità e dovere, quindi dell’attuazione del diritto e del be-
nessere generale. L’alternanza dialettica tra coscienza morale oggettiva e
coscienza morale soggettiva deve portare ad un’unità che è quella dell’in-
tellezione di un diritto e di un dovere che sono orientati verso il “bene vi-
vente”. Il male si presenta, rileva Ivaldo, «allorché la soggettività, cioè la

263
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

libertà, si separa […] dal contenuto morale […] ponendo se stessa, la sog-
gettività, al posto del contenuto» (109).
Si profila un quadro argomentativo che sembra prescindere dalla storia
del mondo, perché non è esattamente quello che porterebbe a rispondere
alla domanda “si Deus, unde malum?”. Hegel si concentra nell’affermazio-
ne della coscienza morale determinata in sé e per sé al bene, quel bene che
nella Fenomenologia dello spirito aveva definito: l’autocoscienza esistente
che entra nel mondo, mentre il male era «l’introiezione (Insichgehen) del-
l’esistenza naturale dello Spirito». Il Sé dell’uomo è privo di autonomia na-
turale perciò il male si annida in esso, generando una lettura sbagliata dei
doveri sul piano dell’effettualità (Wirklichkeit).
Paradossalmente l’origine razionale del male che si manifesta nella sto-
ria della coscienza è un capitolo scritto grazie alla necessità della libertà di
porsi come interiorità di fronte all’immediatezza della volontà. Quella par-
ticolarità che viene instaurata dal porsi di un’interiorità astratta diventa poi
il male. Dunque, il processo che genera il male sembra necessario, ma il
male stesso deve essere tolto in quanto non è il prodotto finale di quel pro-
cesso. L’uomo è vittima e partecipe di questa storia, ma grazie al fatto che
si sente attratto dall’universalità, egli può andare oltre il male. Questo su-
peramento, esposto nella Fenomenologia dello spirito, avviene nella conci-
liazione tra la coscienza giudicante e la coscienza agente. Le disposizioni
formali non sono sufficienti, mentre il contatto della coscienza agente con
l’effettualità del mondo ha bisogno di una continuità con la purezza della
prima coscienza. Entrambe si riconoscono come unilaterali e si conciliano:
questa soluzione rappresenta nel pensiero hegeliano una interessante alter-
nativa, osserva acutamente lo studioso, alla ben nota dialettica Knecht-
schaft-Herrschaft.
Possiamo dire che il libro di Marco Ivaldo restituisce non un mosaico, ma
un quadro vivo di un pensiero altrettanto vivo che tra il Settecento e l’Otto-
cento ha riflettuto sul male con preoccupazioni metafisiche, antropologiche
e morali, arrivando talvolta a definire l’indefinibile, mostrando una straor-
dinaria capacità di comunicare al pensiero contemporaneo l’esigenza di
una lettura concettuale del problema.

Ardian Ndreca

264
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

ANDREA AGUTI
Morale e religione. Per una visione teistica
Morcelliana, Brescia 2021, 175 pp.

L’autore, ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Urbino “Carlo


Bo”, segue in questo libro due percorsi di ricerca diversi, quello della filo-
sofia della religione e quello della filosofia morale. Il tutto è orientato dalla
coraggiosa convinzione di trovare ragioni per una giustificazione religiosa
della morale, per riuscire infine a provare che il teismo ha una forza motiva-
zionale maggiore nel campo morale rispetto alle altre posizioni filosofiche.
Il libro si apre con un capitolo espositivo in cui si precisa la prospettiva
del realismo morale e il suo rapporto con il teismo. Dopo un breve e serrato
confronto con le diverse narrazioni, emerge subito la tesi radicalmente diver-
sa dell’autore che sostiene la dipendenza ontologica della morale dalla reli-
gione, che non preclude però automaticamente l’autonomia della morale.
L’idea che si crea leggendo questo libro è che esso presenti tutte le ca-
ratteristiche per lasciare insoddisfatti sia quelli che rivendicano l’autono-
mia della morale (e perciò preferiscono una morale in crisi piuttosto che
subordinata alle credenze religiose), sia quelli legati ad un certo essenzia-
lismo e deduttivismo etico.
Infatti, l’argomento della reciproca utilità tra morale e religione potreb-
be andare incontro alla riluttanza di una certa filosofia morale fondata sul-
la metafisica che potrebbe scorgere una parità epistemica che aprirebbe la
strada all’infragilirsi delle credenze religiose.
L’analisi è radicata nella risposta alle domande: cosa sono la morale e la
religione; qual è il loro rapporto. Sostanzialmente la morale è un insieme di
giudizi descrittivi, valutativi e normativi sul bene e sul male. In questi giu-
dizi il “dover essere” è sempre un motivo di deliberazione e orienta il sog-
getto verso un determinato fine. La natura sociale del fenomeno morale è
garantita da alcune caratteristiche della morale che sono: l’assolutezza,
l’oggettività e l’universalità, il che differenzia la morale dai costumi e dalle
consuetudini, per cui «la stima sociale non è identica a quella morale» (24).
Invece la religione viene definita come «il complesso delle credenze e de-
gli atti cultuali che regolano il rapporto individuale o comunitario degli es-
seri umani con una o più realtà divine» (ivi). Le credenze, precisa l’autore,
sono atti mentali che esprimono l’assenso a una certa realtà, mentre la fede
manifesta un’adesione profonda e personale alla realtà divina, cosa che
comporta anche un cambiamento nella vita del credente. Infine, il culto è

265
3/2022 ANNO LXXV, 265-268 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

un insieme di azioni, gesti, liturgie che esprimono concretamente e istitu-


zionalizzano il rapporto con Dio. Nella sua disamina Andrea Aguti riduce a
tre tipologie i rapporti tra morale e religione: identità di morale e religione,
separazione tra le due realtà e infine un rapporto di dipendenza della mo-
rale dalla religione. Tralasciando l’attenta analisi sulle dinamiche estreme
che identificano oppure separano completamente i due ambiti, puntiamo
ora su quella che è anche la tesi principale del libro: la dipendenza della
morale dalla religione, ovvero la giustificazione e la motivazione ultima del-
la morale dalla religione. L’autore intende la religione in senso teistico ed è
convinto che il riconoscimento della morale nel quadro dell’eteronomia re-
ligiosa debba coinvolgere sia l’ambito motivazionale sia quello della giusti-
ficazione delle norme etiche. Dall’analisi emerge che il processo di secola-
rizzazione ha obnubilato e negato esplicitamente il rapporto tra morale e re-
ligione in favore della rivendicazione dell’autonomia della morale, cosa che
ha portato ad una crisi dei valori tradizionali e della morale. Dall’analisi
emerge che il ritorno alla giustificazione e alla motivazione religiosa della
morale aiuti a superare la crisi attuale. In questa prospettiva, alla cogenza
teoretica si affianca la preoccupazione di allargare lo sguardo pratico e il
punto più importante è quello di rimanere “al di qua” (diesseits) del bene e
del male. La religione aiuta a spiegare la permissione del male da parte di
Dio e inoltre interpreta il male come una caduta, per cui l’uomo è natura
lapsa. In questo senso la visione teistica della morale pur affermando la ca-
pacità di discernimento dell’uomo, ammette la possibilità di errore, scor-
gendo nella recta ratio agibilium una via d’accesso a Dio. Questa visione
accetta la legge morale divina e quella naturale, entrambe frutto della rive-
lazione divina; quest’ultima «non è da confondere con un’assoluta eviden-
za che renderebbe superfluo lo sforzo razionale» (62).
Una dettagliata analisi è dedicata alla confutazione delle visioni non tei-
stiche della morale, che non sono in grado di garantire l’universalità, l’as-
solutezza e l’oggettività della morale.
È prevedibile che il ritorno alla giustificazione e alla motivazione religio-
sa nell’ambito della morale trovi resistenze in una società secolarizzata che
difende l’autonomia della morale. Teorie moderne che si presentano nelle
forme di anti-realismo e non-cognitivismo, oppure costruttivismi e relativi-
smi morali che non hanno spazio per riferimenti teistici. La ricerca di Agu-
ti parte dallo sfondo della crisi che accomuna tutte le visioni morali, e così
facendo leva sul senso pratico suggerisce riferimenti eteronomici che tra-
scendono la natura umana e sono in grado di motivarla meglio verso un té-
los che la ragione riconosce e la credenza religiosa puntella. La proposta è

266
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

più ragionevole di quel che sembra; d’altronde lo Stato liberale secolariz-


zato, recita il diktat di Böckenförde, vive di presupposti normativi che non
può garantire. Il kantiano “tu devi perché devi” non ha mai funzionato, col-
pa della sua cristallina purezza che non tiene conto del contenuto della pre-
scrizione. L’eteronomia o la teonomia, come Paul Tillich chiama la fondazio-
ne religiosa della morale, costituisce secondo Aguti una mediazione tra l’au-
toreferenzialismo dell’autonomia e una morale che si identifica tout court con
la religione, perché secondo lui: «una concezione teistica della morale non
sottende un sacrificio dell’intelletto e una rinuncia alla libertà umana» (68).
Il secondo e il terzo capitolo dell’opera portano il peso della tesi princi-
pale, cioè, della legittimità del ricorso alla religione in sostegno alla mora-
le. Il primo momento riguarda la giustificazione religiosa della morale e qui
l’autore per giustificazione intende quella “attività che esplicita la raziona-
lità di una credenza e ne legittima l’accettazione”. Il percorso razionale che
mostra l’evidenza della bontà di una credenza morale, aiuta a rendere tale
credenza una conoscenza. Si tratta di conferire uno statuto epistemico che
garantisca da un punto di vista oggettivo le nostre credenze. Il senso di ta-
le operazione consiste nel rendere la morale più salda e il coinvolgimento
del soggetto più inclusivo nel distinguere il bene dal male e nell’accettare
l’obbligazione morale. In sostanza, il concetto teistico di Dio offre una tri-
plice giustificazione: a) mostra l’esistenza di una struttura morale nel mon-
do, b) indica le ragione dell’obbligazione morale come derivanti dal rappor-
to con Dio, c) attribuisce a quel che Kant chiamava Achtung (rispetto) nei
confronti della legge morale, un carattere personale concreto (cf. 105).
Una sezione importante del secondo capitolo riguarda il rapporto tra i di-
ritti umani e la morale. Si nota la crescita esponenziale dei diritti, disgiunta
dal riconoscimento dei relativi doveri. La categoria “diritti umani” è diven-
tata una realtà indifferenziata che raccoglie, grazie al processo di autoattri-
buzione, la pluralità delle tendenze e dei desideri umani che alla loro già av-
venuta affermazione sul piano sociale vogliono aggiungere anche il ricono-
scimento universale come diritti umani. La retorica che accompagna negli
ultimi tempi diverse campagne di questo tipo, cela l’incoerenza sul piano
giuridico di tali rivendicazioni, poiché il fondamento filosofico è stato sosti-
tuito dall’ideologia. È evidente che le teorie post-gender non presentino un
oggetto vero e proprio che deve essere riconosciuto giuridicamente, ma pre-
tendono l’accettazione indifferenziata dei desiderata nel corpus delle leggi.
Aguti mette l’accento sulla necessità di un principio che metta ordine nella
selva dei presunti diritti umani. Nella lettura critica della forzata simmetria

267
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

tra desideri e diritti umani, all’Autore viene in aiuto la riflessione di filosofi


importanti come John R. Searle, Jacques Maritain, Roger Trigg ecc.
Infine si affronta il problema della motivazione religiosa della morale e sin
dal principio si puntualizza che i motivi sono in sé stati psicologici che ca-
ratterizzano la personalità e che dispongono l’individuo ad agire in un certo
modo. Nel considerare il nesso tra giudizio e motivazione morale nel libro,
si analizzano i punti forti e quelli deboli dell’internalismo e dell’esternali-
smo. L’internalismo vede il nesso come qualcosa di necessario, ma è limita-
to per quanto riguarda l’aspetto pratico, poiché i giudizi morali non sono suf-
ficienti per generare una motivazione morale. È necessaria perciò una moti-
vazione aggiuntiva che va oltre la pura motivazione razionale dei giudizi mo-
rali. Inoltre l’internalismo presenta un’altra falla perché non copre il gap che
spesso si verifica tra il conoscere il bene e il compierlo, espresso peraltro
dalla lapidaria sentenza ovidiana: «video meliora proboque, deteriora se-
quor». Rileva Aguti: «Il deficit motivazionale di queste teorie etiche è evi-
dente ed è stato colmato in Occidente, dalla morale ebraico-cristiana, che
ha, per così dire, universalizzato il fine della felicità […] un desiderio che
può essere soddisfatto soltanto mediante la partecipazione dell’essere uma-
no al sommo bene divino» (126). Invece, l’esternalismo ha il vantaggio di
consentire una motivazione religiosa della morale. Qui si richiama il concet-
to evangelico di ricompensa (μισθὸς), per l’impegno morale e il suo ruolo di
correttivo nei confronti di un certo pelagianesimo. La tesi di Aguti conduce
verso una motivazione “mista”, ovvero verso l’eteronomia. Secondo lui: «la
motivazione teistica della morale pur non disconoscendo l’esistenza di altre
fonti motivazionali, illumini meglio di altre la struttura motivazionale che
[…] guida l’adempimento degli atti morali» (p. 130).
Nel solco del realismo teistico, la riflessione di Aguti mentre ricusa il na-
turalismo per quanto riguarda la speranza in una vita futura, si concentra
sull’importanza che riveste l’idea cristiana di redenzione nell’ambito mora-
le. La “paura razionale” (Peter Geach) che i nostri atti in questa vita pos-
sano avere ripercussione negativa sulla vita futura, unitamente all’idea che
il mondo possiede un valore intrinseco e perciò può attendersi una reden-
zione, si concretizzano nel dispositivo complesso che sostiene la morale con
argomenti eteronomi.
Il libro ha il grande merito di recuperare temi e argomenti considerati de-
sueti dal pensiero contemporaneo, collocandoli in una prospettiva nuova in
cui assumono rilevanza pratica e costituiscono una proposta seria per supe-
rare la crisi morale e etica della nostra epoca.
Ardian Ndreca

268
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

GIORGIA SALATIELLO
Sinodalità di donne e di uomini, prefazione di Andrea Monda
Gabrielli editore, San Pietro in Cariano, 2022 79 pp.
Sinodalità di donne di uomini è l’ultimo libro pubblicato da Giorgia Sala-
tiello (9 settembre 1950 – 3 novembre 2022), professoressa emerita della
Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana, da sempre impe-
gnata nella riflessione sulla essenza della femminilità, ben prima dell’av-
vento dei Gender Studies.
Questo suo ultimo volume non costituisce un contributo accademico, ma
raccoglie gli esiti di un lungo percorso di pensiero filosofico, sempre in re-
lazione con altre discipline scientifiche e teologiche, esiti che escono dal
mondo accademico, si mettono al servizio del percorso sinodale ed appro-
dano sulle pagine dell’”Osservatore Romano”. Il piccolo volume raccoglie
infatti 21 contributi già pubblicati sull’”Osservatore Romano”, quotidiano
che Andrea Monda nella prefazione definisce “formativo”, “informativo” e
“performativo”. Lo stesso scrive «il presente libro non è solo il saggio di
una studiosa accorta e diligente, ma rivela in filigrana anche una dimensio-
ne profetica» (11).
È indubitabile che il pregio di questo testo innanzitutto sta nel fatto che
riordina le idee e «chiama le cose con il loro nome», ma risulta inoltre in-
teressante e notevole perché «apre nuovi scenari» (11).
Fin dall’inizio viene chiarito il tema e l’argomento da affrontare: «si vuo-
le parlare del popolo di Dio, composto in maggioranza da laici, donne ed
uomini, e non si tocca la questione del ministero sacerdotale […] ci si vuo-
le interrogare sul concetto di complementarità tra le donne e gli uomini, sul
suo significato e la sua utilità» (13). Affermata l’indubitabile complemen-
tarità sul piano biologico, Giorgia Salatiello evidenzia le possibili insidie
che si possono sollevare intorno alla complementarità da un punto di vista
umano, ovvero «riproporre concezioni che sostengono una rigida divisione
dei ruoli» (14), mentre invece la complementarità «deve essere reciproca,
cioè non fissata una volta per tutte e valida per tutti i soggetti, ma continua-
mente rinegoziata sulla base di un libero accordo ed intesa dinamicamen-
te, passibile di mutamenti e trasformazioni» (14). Inoltre sottolinea che la
complementarità «può significare sia fare cose diverse che fare le stesse co-
se in modo diverso, ognuno dei due generi secondo la propria specificità»
(14). Infine, in modo originale, la Salatiello afferma che sul piano spiritua-
le non si possa parlare di complementarità, ma di «uguaglianza, nel rispet-
to della differenza, dei battezzati davanti a Dio» (15).

269
3/2022 ANNO LXXV, 269-272 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

Chiarito questo punto, il tema viene sviluppato entro gli stimoli solleva-
ti dal cammino sinodale «occasione da non perdere» (16). In particolare è
il tema della partecipazione, «che dà concretezza alle altre due parole-
chiave del Sinodo e, cioè, comunione e missione, preservandole dal perico-
lo di astrattezza» (16) e che può essere specificato nella direzione della
partecipazione del laicato e della partecipazione delle donne. Entro «un ri-
pensamento globale della figura di Chiesa», emergono la «centralità del
discorso dei carismi» (17) e la riflessione sul popolo di Dio: «Il concetto di
popolo di Dio, come non ammette alcuna frattura verticistica, così non può
neppure accogliere collocazioni periferiche e marginali, perché il centro è
uno solo, cioè lo Spirito che anima e guida la Chiesa, presbiteri e laici, don-
ne ed uomini» (18).
Il cammino sinodale appare come «una occasione unica e preziosa, da
non perdere, per ripensare i rapporti tra le donne e gli uomini nella Chiesa
ed il significato della loro differenza» (18).
Giorgia Salatiello sottolinea che la riflessione sui ministeri laicali impli-
ca il ripensamento della «continua, ineliminabile e feconda tensione tra
unità e pluralità» (19) in cui vive e si edifica la Chiesa e della tensione «tra
carisma ed istituzione». L’ammissione delle donne ai ministeri istituiti di
lettorato e accolitato significa sia «un riconoscimento per le donne» che
«un arricchimento degli stessi ministeri» (20). Analogamente la «incultu-
razione della ministerialità» implica che i ministeri rispecchino «la catto-
licità della comunità ecclesiale» e contemporaneamente si lascino «arric-
chire dall’apporto che ogni cultura può recare» (21).
La sinodalità «vive e si alimenta delle diversità» (22) e in modo specia-
le della diversità che è «la prima e la più originale» (22), ovvero la diffe-
renza tra le donne egli uomini: «tanto le donne quanto gli uomini cioè, par-
tecipano dello stesso sacerdozio comune che abilita ad essere testimoni, ad
evangelizzare ed a rendere culto a Dio, ognuno nella propria condizione»
(23). Prima della riflessione sui ruoli e le funzioni da attribuire alle donne
sta «la reale convinzione che, senza di queste, la Chiesa sarebbe dimezza-
ta e meno credibile per la testimonianza che deve rendere» (23).
L’Autrice offre interessanti riflessioni sulla antropologia cristiana che
scaturisce dai due racconti sulla creazione, contenuti in Genesi 1 e 2 (44 e
ss.). Il primo racconto «attesta che alla chiamata all’esistenza dell’uomo e
della donna, creati ad immagine e somiglianza di Dio, segue il comando
non solo di riprodursi, ma di dominare la terra, senza che questo implichi
alcuna forma di sfruttamento, ma la sua custodia» (63), mentre a partire dal

270
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

secondo racconto, Giorgia Salatiello osserva che prima della creazione del-
la donna, l’uomo (maschio) propriamente non esiste ancora, ma «diviene
tale quando trova accanto a sè un altro esistente, la donna, differente ma a
lui essenzialmente simile» (34), sicché «si può affermare che, quindi, la
nascita dell’uomo e della donna, nella loro concretezza, sia simultanea, poi-
ché soltanto quando sono l’uno accanto all’altra, veramente esistono» (34).
Da qui immediate conseguenze per il cammino sinodale: «il Sinodo, quin-
di, nella sua attuale forma dinamica offre l’opportunità per verificare la ri-
spondenza dell’odierna comunità ecclesiale all’originario disegno creatore
di Dio che ha posto in essere un’umanità declinata in donne ed uomini ed
ha affidato ad essa il compito di un continuo percorrere vie di condivisione
e di mutuo arricchimento scambievole» (64).
Giorgia Salatiello non manca di considerare anche le conseguenze del
peccato narrate nel terzo libro della Genesi, ovvero «l’asimmetria, l’unilate-
ralità e la volontà di sopraffazione dell’uno verso l’altra» (68).
Nel tempo escatologico, le relazioni tra le donne e gli uomini saranno ri-
sanate pienamente ma intanto «tra la caduta iniziale ed il compimento fi-
nale si situa il tempo della Chiesa, nel quale noi viviamo, ed allora ci si può
chiedere che cosa fare, come comunità ecclesiale e come singoli fedeli, per
incamminarsi nella direzione del rinnovamento escatologico che sanerà tut-
te le ferite e ricomporrà tutte le lacerazioni» (69).
In prospettiva escatologica viene analizzata anche la questione della ses-
suazione: è chiaro che con la risurrezione «scomparirà la finalità dell’unio-
ne fisica dei corpi della donna e dell’uomo e quella, conseguente, della pro-
creazione di una nuova vita» (78), ma la sessuazione intesa non in senso
meramente biologico ma legata alla dignità del soggetto in senso anche spi-
rituale, allora «tale sessuazione permarrà anche con la risurrezione perché
appartiene a quella che è la perfezione della persona creata da Dio nella
sua interezza e nella sua totalità» (78); questo sguardo sull’oltre aiuta a
comprendere il significo profondo del corpo sessuato: «ci si deve, infatti,
continuamente chiedere quanto le relazioni tra i due generi siano oggi im-
prontate al riconoscimento di quella che è l’inalienabile dignità di entram-
bi, voluti “in principio” da Dio e destinati alla sua visione beatifica» (79).
Dai limpidi chiarimenti delle questioni, arricchiti anche da una serie di
rimandi a testi contemporanei sul tema che vengono presentati e posti al-
l’attenzione, emerge uno sguardo profetico, che si manifesta come rovescia-
mento dei consueti punti di vista, tale da mostrare un nuovo orizzonte, alla
luce dello Spirito: la stessa questione femminile nella Chiesa «non è solle-

271
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

vata per rincorrere schemi e paradigmi del contesto socio-culturale, ma per


l’esigenza di non tradire l’annuncio di una comunità di uguali, fondata sul
battesimo ed in cammino verso la pienezza del Regno» (24).
Questo piccolo libro, mentre conclude la ricca produzione filosofica e
teologica della professoressa Salatiello, si presenta anche come occasione
di apertura di nuovi percorsi nella Chiesa e per la Chiesa

Lorella Congiunti

272
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

JOSEPH SIEVERS – AMY-JILL LEVINE (a cura di),


I farisei. Con il discorso rivolto da papa Francesco
ai partecipanti del Convegno
Lectio, 14, San Paolo – Gregorian&Biblical Press,
Cinisello Balsamo, MI – Roma 2021, 430 pp.

L’attendibilità storica dei documenti del Nuovo Testamento è stata vagliata


minuziosamente dagli studiosi, soprattutto negli ultimi due secoli; se il ri-
tratto di Gesù e dei suoi discepoli, così come emerge nei vangeli, è oggi
pressoché unanimemente ritenuto affidabile, vale la pena chiedersi se al-
trettanto verosimile sia la descrizione che gli evangelisti offrono del gruppo
dei farisei. Essi sono presentati, unitamente agli scribi, come i nemici più
ostili del maestro di Nazaret; è interessante verificare se il loro ritratto cor-
risponda alla verità dei fatti, o sia stato modificato in chiave caricaturale
per enfatizzare la netta contrapposizione con il profeta galileo.
Negli ultimi tempi non sono mancate pubblicazioni che si sono cimenta-
te nell’impegno di ricostruire un quadro attendibile sul piano storico, cultu-
rale e religioso, evidenziando anche alcune incongruenze tra i dati neotesta-
mentari e le informazioni reperibili negli scritti giudaici del tempo. La vo-
lontà di celebrare un convegno sul movimento farisaico nasce dall’idea sug-
gerita dal rabbi David Rosen, membro dell’American Jewish Committee, al
prof. Joseph Sievers, già docente ordinario di storia e letteratura giudaica del
periodo ellenistico presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, di program-
mare un incontro accademico con lo scopo di affrontare il tema dei farisei,
che rappresenta uno snodo rilevante per il dialogo ebraico-cristiano.
Gli organizzatori si sono proposti di superare le divergenze di vedute
che caratterizzano la prospettiva ebraica da un lato, e cristiana dall’altra,
sull’identità del fariseismo. In effetti, l’immagine che dei farisei emerge
in alcuni testi del NT è quella di scrupolosi osservanti della Legge, più
attenti alla forma che al contenuto; Gesù stigmatizza la loro ipocrisia e la
loro ottusità che si palesa in un’errata interpretazione della Scrittura. Es-
si mostrano di essere più attenti a salvaguardare la purità legale, che a
cogliere le reali esigenze degli uomini e delle donne, su cui fanno grava-
re pesanti fardelli di prescrizioni e divieti da osservare. Nella concezione
ebraica, invece, i farisei rappresentano coloro che hanno permesso al giu-
daismo di superare la grave crisi generata dalla distruzione del Tempio di
Gerusalemme (70 e.c.), divenendo di fatto antesignani del giudaismo rab-
binico.

273
3/2022 ANNO LXXV, 273-276 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

Il volume che andiamo a presentare raccoglie i contributi rivisti di quasi


tutti gli interventi pronunciati al convegno. Il primo articolo è di C. Morri-
son, che si propone un’attenta analisi etimologica del nome “fariseo”; il sag-
gio che segue, proposto da V. Babota, offre una dettagliata indagine sull’o-
rigine del gruppo farisaico esaminando con acume e competenza i testi bi-
blici ed extra-biblici, senza trascurare i dati archeologici. Per entrambi gli
studiosi, né dal nome fariseo né dai testi che per primi si sono occupati de-
gli aderenti al gruppo farisaico, è possibile stabilire con esattezza quando,
come e perché essi siano comparsi nel periodo del Secondo Tempio.
I saggi di E. Meyers e V. Noam e, più avanti, di Y. Furstenberg, contestua-
lizzano il movimento farisaico nell’ambito del giudaismo del tardo Secondo
Tempio, rilevandone le peculiarità sia in ordine all’osservanza della legge di
purità, sia nella proposta di insegnamenti più clementi rispetto al rigore pro-
mosso dai sacerdoti nel Tempio e dai membri della comunità di Qumran.
S. Mason ha il merito di fare il punto della questione circa il rapporto tra
Giuseppe Flavio e il movimento farisaico. Lo storico giudaico non può es-
sere ritenuto come appartenente al fariseismo; anzi, ne divergeva a motivo
del fatto che egli imputa ai farisei di aver determinato la caduta della dina-
stia asmonea, dalla quale egli discendeva. Inoltre, Giuseppe Flavio biasi-
ma l’atteggiamento eccessivamente indulgente dei farisei nei confronti dei
fraudolenti, degli adulteri e degli omicidi, in ragione della loro errata inter-
pretazione della Torah.
P. Fredriksen si sofferma sulla figura dell’apostolo Paolo, definendolo “il
fariseo perfettamente giusto”, perché non ha mai rinnegato la sua irrepren-
sibile appartenenza al fariseismo (cf. Fil 3,5-6). Anzi, la sua adesione a Cri-
sto per mezzo del vangelo ha contribuito a fare di lui un fariseo ancora più
giusto, perché la sua scrupolosa osservanza della Legge lo ha condotto, co-
me un pedagogo, all’incontro con Cristo, che ha riconosciuto come il fine
(télos) della Legge.
H. Pattarumadathil e A. Yarbro Collins concentrano le loro ricerche sul
vangelo di Matteo; per lo studioso gesuita l’appaiamento tra farisei e sad-
ducei in tre passi del racconto matteano (Mt 3,7-10; 16,1-4; 16,5-12) ha lo
scopo di mettere in guardia i discepoli (e il lettore) da quei giudei che ne-
gano la risurrezione di Gesù (cfr. Mt 28,15). Collins, invece, si sofferma sul-
le invettive di Gesù riportate in Mt 11,20-24 e 23,13-36, interpretandole
come una polemica settaria, interna al giudaismo.
H. Löhr evidenzia come nell’opera lucana emerga un quadro complesso
nella valutazione dei farisei: nel vangelo essi sono descritti come ipocriti,

274
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

avidi, malvagi e in constante contrapposizione a Gesù; nel libro di Atti, in-


vece, emergono due profili positivi di farisei, Gamaliele e soprattutto Pao-
lo, caratterizzati come figure paradigmatiche per il lettore lucano.
Per H.W. Attridge nel vangelo di Giovanni la figura di Nicodemo, espres-
samente indicato come fariseo, ha un valore simbolico in quanto rappresen-
ta i leaders del mondo giudaico, i quali possono essere istruiti dai membri
della comunità cristiana così che anch’essi possano rinascere dall’alto, cioè
dall’acqua del battesimo e dallo Spirito che conduce al Cristo-Verità. Nel
suo saggio G. Stemberger ritiene che occorra essere più cauti nell’associa-
re i farisei alla sinagoga, alla formazione del canone delle Scritture giudai-
che e alla Torah orale. Non è esclusa la continuità tra fariseismo e giudai-
smo rabbinico; tuttavia, l’analisi delle fonti dev’essere molto seria.
Gli articoli di M. Skeb e L. Angelelli consentono di approfondire una di-
mensione piuttosto negletta nella ricerca, vale a dire la ricezione nella let-
teratura patristica del fariseismo; nei testi scrutinati i farisei sono descritti
come ipocriti, complici nell’assassinio dell’apostolo Giacomo e come ereti-
ci. Per J.D. Cohen non è possibile identificare gli autori della Mishnah e gli
scrittori ebrei del XII secolo, incluso Maimonide. Solo successivamente al-
la riscoperta delle opere di Giuseppe Flavio, la prospettiva farisaica ha in-
ciso sulla comprensione della storia da parte del popolo ebraico. Nel sag-
gio successivo, A. Skorka sostiene che i commentatori ebrei di epoca me-
dievale non fanno alcun cenno alle controversie con i cristiani nella tratta-
zione dei perushim, vale a dire i farisei. R. Zachman si concentra sulla con-
cezione dei farisei maturata da Lutero e da Calvino: per entrambi, essi so-
no il simbolo dell’ipocrisia e della distorsione legalistica dei testi sacri; ep-
pure, incarnano il bene che gli uomini possono compiere da soli e sono da
elogiare perché hanno preservato alcune buone tradizioni.
Gli altri saggi che seguono (A. La Delfa; C. Stückl; A. Reinhartz; S. He-
schel e D. Forger; P.A. Cunningham) integrano il percorso di studio sul mo-
vimento farisaico nell’ambito dell’arte figurativa e cinematografica, senza
trascurare la ricerca moderna e la manualistica scolastica. Gli atti del con-
vegno terminano con due brillanti contributi: il primo di A.-J. Levine, tra le
organizzatrici del simposio, è dedicato alla predicazione e all’insegnamen-
to relativo ai farisei; mentre l’articolo firmato congiuntamente da M. Grilli
e J. Sievers, offre una prospettiva di sintesi dei risultati emersi nella discus-
sione e delinea i futuri sviluppi della ricerca.
Il volume è meritorio di stima e di considerazione per la serietà degli in-
terventi offerti, e per la complessità degli argomenti affrontati. È apprezza-

275
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

bile l’equilibrio di giudizio assunto dai singoli studiosi, che hanno altresì
offerto non solo chiavi di lettura in taluni casi originali, ma hanno anche in-
teso porgere al lettore una prospettiva di metodo che impreziosisce ulterior-
mente il testo.
Se ne raccomanda lo studio non solo agli esperti di studi di giudaistica e
di storia e letteratura neotestamentaria; in effetti, potrà trarne giovamento
intellettuale anche il lettore curioso di approfondire il valore storico, reli-
gioso e culturale del movimento farisaico, con il quale non solo Gesù, ma
anche il cristianesimo del I secolo e.c. si è confrontato.

Antonio Landi

276
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

STEFANO SALDI – CARLO MARIA MARENGHI (a cura di)


High-level Event on Fraternity, Multilateralism and Peace.
Presentazione della Lettera Enciclica di Papa Francesco
Fratelli Tutti.
Lateran University Press, Città del Vaticano 2021, 78 pp.

Il presente volume raccoglie gli interventi degli oratori che hanno parteci-
pato a Ginevra all’evento su “Fraternità, Multilateralismo e Pace”, ispirato-
si alla più recente Lettera Enciclica del Santo Padre Francesco Fratelli Tut-
ti, resa pubblica il 4 ottobre 2020. Tale incontro, svoltosi il 15 aprile 2021
e organizzato in due distinti panels, ha visto la partecipazione, fra i molti,
di Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua San-
tità, di Sua Eminenza il Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, Presidente
del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, e di vari alti Dignitari delle
Agenzie specializzate delle Nazioni Unite e di altre Organizzazioni Interna-
zionali. I contributi raccolti in questa pubblicazione presentano, da diversi
punti di vista, il messaggio centrale dell’Enciclica, vale a dire la necessità
di promuovere la fraternità e l’amicizia sociale e favorire una maggior ac-
coglienza ed inclusione nelle relazioni umane a livello locale, regionale e
internazionale.
Nella prima Sessione è emerso quanto la pandemia da COVID-19 abbia
lasciato un segno indelebile e continui ad impattare ognuno di noi e il mon-
do intero. Inoltre, viene ribadita l’importanza dell’uso dei vaccini e di una
maggior cooperazione perché tutti possano beneficiarne. Come spesso sot-
tolineato da Papa Francesco, è solo lavorando insieme che si possono supe-
rare questa e tante altre crisi che siamo costretti ad affrontare ogni giorno.
La prospettiva del Santo Padre riflette quindi l’idea di “fraternità umana” e
di “amicizia sociale”, che si devono fondere in una sincera cooperazione
basata sul multilateralismo. Non a caso, la “fraternità” è stato il primo te-
ma toccato da Sua Santità nel giorno dell’elezione al Pontificato.
La fraternità a livello multilaterale si traduce nel coraggio e nella deter-
minazione di stabilire liberamente e consapevolmente alcuni obiettivi co-
muni da raggiungere come unica famiglia delle Nazioni. Questi si rifletto-
no nel campo di azione e nelle priorità della Santa Sede e di molteplici Or-
ganizzazioni Internazionali. A titolo esemplificativo basti ricordare il tema
della salute, quello del lavoro, la protezione dei migranti, l’invocazione del
rispetto del diritto internazionale umanitario e la promozione di un impe-
gno concreto a favore del disarmo.

277
3/2022 ANNO LXXV, 277-278 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Recensioni / Segnalazioni bibliografiche

La pandemia ha posto ulteriori sfide per ognuno di noi, ha acuito le di-


suguaglianze preesistenti e ha messo a nudo la vulnerabilità collettiva.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, il sig. Filippo Gran-
di, nel suo intervento, ha enfatizzato quanto siano futili i concetti del “me
first” o del “my Country first”, a riprova del fatto che è solo lavorando in-
sieme, in uno spirito di umanità, che si possono superare le problematici-
tà. Per affrontare minacce comuni, bisogna avere soluzioni comuni (p. 29).
L’incontro ha messo in rilievo che Fratelli tutti offre un progetto al mondo
post-COVID, dando l’opportunità di ripartire, puntando ad un dialogo costrut-
tivo fra i popoli e le religioni e prediligendo la diplomazia multilaterale per la
risoluzione dei conflitti ancora in atto. La vera prova di umanità si dimostra
guardando non come si trattano gli amici, ma come si trattano i nemici.
Nella seconda Sessione dei lavori vengono approfondite alcune tematiche
già affrontate nel panel precedente, tra cui la questione del dialogo interre-
ligioso. A questo riguardo, il viaggio di Papa Francesco in Iraq, nel marzo
2021, è stato un momento storico. Per la prima volta un Pontefice si è reca-
to nella “Terra dei due fiumi”. La visita del Papa è stata significativa non
solo sul piano religioso, ma anche su quello politico e sociale, soprattutto
per il delicato momento in cui si è tenuta e per il messaggio che il Vescovo
di Roma ha trasmesso ai rappresentanti istituzionali iracheni, ossia la ne-
cessità di ricostruire un clima di tolleranza e inclusione sociale e promuo-
vere il dialogo tra le molteplici comunità etniche e religiose che compongo-
no la popolazione del Paese. Questo aspetto è particolarmente importante
poiché riprende la questione che non è la guerra la risposta ai problemi,
bensì la fraternità. In questo senso, e come manifestazione del valore del
dialogo interreligioso, è stato anche ricordato l’abbraccio al Muro Occiden-
tale del Tempio di Gerusalemme fra il Santo Padre, Sua Eccellenza il Rab-
bino Abraham Skorka, Rettore del Seminario Rabinico Latinoamericano a
Buenos Aires, e il leader musulmano argentino Omar Abboud. Tale gesto
simboleggia la stretta relazione familiare fra giudaismo, cristianità e islam
che hanno radici comuni in quel luogo santo.
In conclusione, la lettura di questo fascicolo mette in risalto come sia ne-
cessario che la fraternità assuma una funzione istituzionale concreta in gra-
do di dare nuova forza alla sfera della diplomazia multilaterale, che si rive-
la ogni giorno più preziosa per costruire un presente sereno e un futuro lu-
minoso per tutti. Solo allora l’unità della famiglia umana cesserà di essere
un sogno utopico e il conflitto lascerà il posto alla pace duratura.

Fernando Chica Arellano

278
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Abboud O. 278 Balibar E. 27


Abu Nimer M. 134 Balthasar von H.U. 159, 163
Acosta de J. 218, 220, 222, 223, 225, 228, Bartletti D. 61
229, 230, 233, 234 Bartolomei M.C. 170
Adler L. 130 Basilio Magno 156, 168
Adorno R. 232 Baur J. 214, 218, 221, 222, 227, 230, 231,
Agamben G. 120 232
Agostino / Agustín / Augustine / Augustinus Bausa A. 70
158, 165, 166, 218, 233, 234, 247 Bazzanella E. 180
Agostino di Canterbury 50 Beck U. 29
Aguti A. 265, 266, 267, 268 Beck-Gernsheim E. 29
Alberti L.B. 176 Beckmann J. 224
Aleinikoff T.A. 22 Bednarz F. 133
Almeida C. 235, 236 Beierwaltes W. 129
Almeida J.C. 221, 234 Bellet M. 163
Altini C. 175 Bellitto C.M. 129
Alva R. 137-152 Belotti da Romano G. 233
Ancona G. 5-7; 9-11 Benavente / Motolinía de T. 224
Andrae J.V. 176 Benedetto XIV 235
Angelelli L. 275 Benedetto XV / Benedicto XV 202, 204,
Anguiano de M. 229, 230 205, 232
Antonelli M. 41 Benedetto XVI / Benedict XVI 46, 60, 121,
Antonino Pio 49 189
Arendt H. 32, 181 Benjamin J. 163
Aristotele 242 Benjamin W. 178
Artaud de la Ferrier A. 94 Bergoglio J.M. / Francesco / Francis 5, 9,
Asese Aihiokhai S.M. 92 16, 17, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 36, 38, 39,
Atanasio di Alessandria157 40, 42, 45, 52, 55, 56, 57, 60, 62, 63, 64,
Attridge H.W. 275 65, 67, 69, 98, 104, 105, 107, 110, 119,
Atwood M. 178 121, 122, 126, 133, 134, 135, 137, 138,
Aureliano 50 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 147,
Aversa G. 209 151, 152, 175, 178, 179, 180, 182, 183,
Ayuso Guixot M.Á. 277 185, 186, 188, 189, 273, 277, 278
Bernardo de Claraval 237
Babota V. 274 Berthoud A. 181
Bacon F. 176 Bertuletti A. 160
Baggio F. 45-54, 17 Bevans S. 55-67, 13, 17

279
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Bhugra D. 144 Cavallotto G. 158


Biemann A. 129 Cavaso da E. 222
Biser E. 121 Cavazzi da / de Montecuccolo G.A. / J.A.
Blejwas S.A. 93 217, 219, 221, 229
Bloch E. 178 Cavicchioni B. 199
Blumenberg H. 161 Ceragioli F. 161, 163
Bocken I. 129 Cerdeña de B. 230
Böckenförde E.-W. 267 Cesareo V. 34
Bonaccorso G. 163, 164, 165, 167, 168 Chapman A.R. 145
Bongiovanni A. 128 Chica Arellano F. 277-278
Bonomelli G. 70, 74 Chiocchetta P. 210
Booth F. 126 Christianson G. 129
Borromeo C. 70 Cicero Marcus Tullius / Cicerón 215, 216
Bosco G. 70 Coco G. 210
Bracci M. 153-172 Cohen J.D. 275
Brambilla F.G. 162 Colombano di Bobbio 50
Brennan R.E. 124 Colombo C. 50, 194
Breschi M. 51 Colombo M. 133
Bressan L. 42 Congiunti L. 241-249; 269-272
Brizzi G. 49 Corrigan M.A. 75
Brower J.E. 242 Cuña Ramos L.M. 186, 195
Brown K.M. 143 Cunningham P.A. 275
Buber M. 125, 129, 132, 247, 253 Cusa of Nicholas 129
Büchner K. 215 Czerny M. 175-183
Bühlmann W. 15
D’Abbeville Cl. 216
Cabrini M.F. Saverio 70 d’Anversa Callaey F. 203
Cajani F. 204 Dahl R. 20
Calvino G. 247, 275 Danesi G. 47
Campa R. 188, 194 Darwin Ch. 59
Campanella T. 176 Davies B. 241
Cantalamessa R. 156, 167 De Carrocera B. 229, 230
Capelle B. 155 De Giuseppe M. 188
Caracalla 50 De Marchi G. 202, 206, 207
Caracciolo A. 258 De Villapadierna I. 214, 226
Carbonetti B. 145 Decio 50
Carboni L. 206 Delgado M. 213-238
Carlos V 224 Denzinger H. 216, 223
Caroli R. 202 Deutsch Kornblatt J. 116
Carrara Pavan M. 135 DeYoung R.K. 123
Carriquiry Lecour G. 188 Dias D.J. 92
Cassian J. 123 Díaz P. 207
Castañeda P. 219, 220 Dick Ph.K. 178
Casula L. 158 Diocleziano 50
Cavadi A. 7, 11 Diotallevi L. 88

280
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Dolci A.M. 207 Francesco d’Assisi 252, 253


Domiziano 49 Fredriksen P. 274
Dotolo C. 250, 251, 256 Furseth I. 108
Drago A. 116, 118, 134 Furstenberg Y. 274
Drengson A. 120
Droysen J.G. 210 Gaine S. 248
Duddington N.A. 119 Gallo Gaio Vibio Treboniano 50
Durán G. 228 Gandhi 116, 134
García II 220
Ehrenreich B. 29 Gattorno R. 70
Elberti A. 155 Gaus D. 32
Engels F. 177 Geach P. 268
Enrico VIII 176 Geel de G. 221
Epicuro 259 Genocchi G. 198, 208
Epis M. 20 Genovese A. 154
Erpenbeck J. 61 Ghisleri L. 169
Esping-Andersen G. 25 Giacometti G. 7, 11
Eugenio IV 235 Giddens A. 21
Ginés de Sepúlveda J. 219, 223
Fabiano P. 130 Giorgi M. 115
Fabietti U. 109 Giorgi O. 202
Faria de F.L. 217 Giovanni Paolo II 53, 70, 71, 80, 191
Favero L. 85 Giuseppe Flavio 274, 275
Feil E. 215 Glick Schiller N. 21, 23, 24
Fichte J.G. 258, 261 Gogarten F. 257
Fichter J. H. 89 Gomarasca P. 39
Fiedrowicz M. 155, 156, 158 Gonzalez Anaya J.A. 88
Filesi T. 214, 226, 229, 233, 234, 236, 237 González Fernández F. 194
Filoni F. 190, 191, 192 Gorman M.J. 245
Fiori G. 130 Gorman M.J. 59, 60
Flavio Giuseppe 274, 275 Grandi F. 278
Florenskij P.A. 118 Graper Hernandez G. 122
Foglizzo P. 180 Gray R. 214
Forger D. 275 Grégoire XVI 199
Fornasin A. 51 Gregorio Magno 50
Foucault P.-M. 120 Gregorio XV 186
Fougere A. 275 Grignani M.L. 185-212
Fourier Ch. 177 Grilli M. 275
Francesco / Francis / Bergoglio J.M. 5, 9, Grillmeier A. 156
16, 17, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 36, 38, 39, Grillo R. 29
40, 42, 45, 52, 55, 56, 57, 60, 62, 63, 64, Gronchi M. 161
65, 67, 69, 98, 104, 105, 107, 110, 119, Gross E. 236
121, 122, 126, 133, 134, 135, 137, 138, Guamán Poma de Ayala F. 232
139, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 147, Guardini R. 123, 181, 254
151, 152, 175, 178, 179, 180, 182, 183, Guerrero Mosquera A. 219, 230
185, 186, 188, 189, 273, 277, 278 Gustafson R.F. 116

281
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Hammar T. 22 Kowalsky N. 186, 195


Harmless W. 127, 135 Krämer K. 213
Harrington J. 176 Kretzman N 241
Hassan R. 125 Kutscher G. 218
Heath G.L. 133 Kymlicka W. 34
Heelas P. 149, 140
Hegel G.W.F. 258, 263, 264 La Bella G. 188
Heim S.M. 160 La Delfa A. 275
Heschel S. 275 Lakner C. 146
Hlond A. 70 Landi A. 273-276
Hoff G.M. 215 Lanza del Vasto G.G. 113, 115, 116, 117,
Hoffman T. 246 118, 119, 121, 123, 125, 127, 128, 129,
Hollifield, J.F. 22 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136
Hoye R. 143 Las Casas de B. 218, 219, 220, 223, 224
Hünermann P. 216 Latouche S. 179
Huxley A. 178 Lattanzio 259
Lauth R. 258
Ignazi D’Asti B. 234 Leblanc J. 199
Ingoli F. 192, 232 Ledochowski M. 72, 77
Ivaldo M. 258, 260, 261, 263, 264 Leftow B. 247
Izbicki T.M. 129 Lega M. 201
Legge D. 242
Jaca de F.J. 234 Leguzzano de G.M. 217
Jedin H. 50 Lehmann von W. 218
Jennings W. 63 Lentz H.M. 199, 200, 201, 202
Johnson E. A. 58, 59, 63 Léon XII 199
Joppke C. 34 León XIII / Leone XIII 73, 74, 75, 78, 128,
193, 194 199
Kałuski M. 93 Leonardo da Vinci 176
Kant E. 258, 259, 260, 261, 267 Léry de J. 216
Karlinsky S. 116 Lettieri G. 166
Kasper W. 165 Levering M. 241
Keller D.R. 127 Lévinas E. 253
Kelly J.N.D. 154, 156 Levine A.-J. 273, 275
Kerr G. 243 Lindenthal J.J. 88
Keyes R. 119 Lodigiani R. 25
Kierkegaard S. 133 Löhr H. 274
King M.L. Jr 134 Lombardi F. 134
Kinzig W. 157 Ludwig F. 222, 225
Kłakus M. 93 Lutero M. 215, 252, 253, 275
Klusmeyer D. 22
Knobel A. 245 Macca di Santa Maria V. 187
König K. 237 Maimonide 275
Koren I. 132 Malighetti R. 109
Koschorke K. 222, 225 Mannion G. 93

282
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Marabini P. 202 Naranjo Marrero F.M. 115-136


Marcel.G. 253 Ndreca A. 258-264; 265-268
Marchetti A. 70 Neimeyer R.A 120
Marco Aurelio 49 Neumann G. 70
Marcocchi M. 192 Nguyễn Văn Thuận F.-X. 107
Marcuse H. 178 Nicholson M. 143
Marenghi C.M. 277 Nicolás V 236
Marinoni G. 72 Nietzsche F. 253
Maritain J. 253, 268 Noam V. 274
Martinelli M. 38 Nóbrega da M. 216
Marx K. 177, 253
Marzorati G. 72 Onorati G. 133
Mason S. 274 Origene di Alessandria 159
Massimino 50 Orwell G. 178
Matera V. 109 Ose L. 134
Mazza G. 157, 161 Owen R. 177
Mazzolini S. 204
McCluskey C. 246 Pablo III 224, 226, 235
Mellor P.A. 108 Pacelli E. / Pio XII 45, 50, 51, 78, 189, 192,
Mendieta de G. / J. 194, 220, 232 200, 201, 204
Mercier L.-S. 177 Pagano S. 200, 201, 206
Merleau-Ponty M. 162 Pallotti V. 70
Merloni Cl. 70 Panikkar R. 133
Merry Del Val R. 78, 84, 85 Paolo VI / Paul VI 100, 121, 186
Metzler J. 186, 187, 192, 195, 196, 199, Papavero L. 26
201, 224 Pareyson L. 169, 170, 258
Meyers E. 274 Parolin P. 277
Moberg D.O. 140 Paschini P. 204
Moiráns de E. 234 Patriarca G. 115-136
Molinari G. 74 Patrizi F. 176
Monaci M. 37, 50 Pattarumadathil H. 274
Monari da Modena G. 221, 234 Paventi J.M. 194, 195
Monda A. 269 Paventi S. 186
Monti P. 204 Pavese F. 199
More Th. 175, 176, 179 Pawl T. 248
Morin E. 7, 11 Pena González M.A. 234
Morrison C. 274 Pereña L. 224
Motolinía / Benavente de T. 224 Peters M.A. 120
Mounier E. 253 Petricola M. 250-257
Moya R. 199 Pettersson P. 108
Muñoz A. 115 Phan P.C. 60, 94
Murra J.V. 232 Piazza C. 234
Muth-Oelschner B. 214 Pie VII 199
Myman J.R. 156 Pie VIII 199
Pie IX / Pio IX 73, 198, 199

283
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Pie XI / Pio XI 185, 189, 192, 201, 204 Saldi S. 97, 277
Pietras H. 156, 157, 158 Salerno E. 94
Pietropaoli C. 206, 207, 208, 209 Salinas Araneda C. 205
Pinsent A. 247 Salmeri G. 118
Pío II 235 Sander W. 89
Pio X 73, 78, 203, 204, 205, 206, 211 Sandoval de A. 235
Pio XII / Pacelli E. 45, 50, 51, 78, 189, 192, Sankara Th.I.N 133
200, 201, 204 Sanneh L. 214
Platone 169, 176 Sartori O. 74, 79, 81, 82
Plested M. 241 Satolli F. 76
Poma De Ayala F.G. 232 Sayad A. 21, 24
Powell M.A. 46 Scalabrini G.B. 5, 6, 9, 10, 13, 17, 69, 70,
Prato E. 163 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81,
Prestige G. 169 82, 83, 84, 85, 86
Proudhon P.-J. 177 Scanziani F. 158
Prudhomme C. 189 Scapardini AG. / G.A. 206, 207
Putin V. 64 Scarpelli Cory Th. 244
Schelling von F.W.J. 258, 262, 263
Radzilowski J. 93 Schiaparelli E. 70
Raffa V. 155 Schmidlin J. 213, 214, 232, 233
Rahner K. 15, 232, 254 Schulz J.W. 139
Ramírez Johnson J. 63 Searle J.R. 268
Ramsey B. 123 Secrest L.L. 63
Raskin J.D. 120 Semeraro C. 189
Ravasi G. 127 Sequeri P. 121, 159, 162, 164, 165, 169
Regoli R. 189, 204, 205 Settimio Severo 50
Reinhartz A. 275 Seubert S. 32
Ricoeur P. 162, 253 Shilling Chr. 108
Rieger J. 133 Sievernich M. 213, 214, 218, 219
Roboredo M. 230 Sievers J. 273, 275
Rocquet C.-H. 115 Simeoni G. 73, 74, 76, 77, 80
Rognon F. 128 Simmel G. 21
Rolland R. 117 Simonetti M. 157
Rooney J.D. 243 Sims Bainbridge W. 88
Rosen D. 273 Skeb M. 275
Rosoli G. 70, 72, 73, 79, 80, 84 Skira J.Z. 92
Ross C. 63 Skoda A. 15-18; 87-111
Rossi L. 128 Skorka A. 275, 278
Rubert A. 187 Sloane Coffin W. 59
Russel Hochschild A. 29 Sloterijk P. 168
Smith R.K. 134
Saccardo G. 222, 226, 229, 235, 236 Solano Pérez-Lila F. 220
Sahagún de B. 218 Solovyov V.S. 118, 119
Saint-Simon de Rouvroy de Cl.-H. 177 Sommavilla G. 117
Salatiello G. 269, 270, 271, 272 Soto de D. 224

284
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi

Southgate C. 59 Varisco S.M. 87-111; 17


Spada D. 155 Varnier G.B. 204
Spalding J. 69 Vega A. 224
Spinoza B. 261 Vellguth K. 213
Staffa D. 204 Vigne D. 130
Stark R. 88 Vila Vilar E. 235
Stein E. 253 Vilaca H.C.R. 108
Stemberger G. 275 Vilfrido di York 50
Stückl C. 275 Villapadierna de I. 214, 226
Studebaker S.M. 133 Vinci da Leonardo 176
Studer B. 168 Vinzent M. 157
Stump E. 241, 242, 244 Virilio P. 120
Sydnor J.P. 133 Vitoria de F. 224
Volpe Landi Gb. 70
Tambini S. 162 Voss Roberts M. 133
Tardini D. 210
Teilhard de Chardin P. 254 Waldenfels H. 215, 219
Tempels P. 218 Walzer M. 22
Teresa of Avila 65 Ware K. 128
Terragni G., 69-86; 17 Weil S. 129, 130, 253
Teruel de A. 219, 226, 229, 230 White Th.J. 241, 242
Testi C.A. 117 Wijsen F.J.S. 93
Thomas Aquinas / Tommaso d’Aquino 117, Wiles E. 62
123, 160, 241, 242, 243, 244, 245, 246, Williams Th. 248
247, 248, 249 Willibrord 50
Thomas J.T. 119 Wimmer A. 21, 23, 24
Tillich P. 254, 267 Winfrid-Bonifacio 50
Tito 49
Tomasi S. 70, 72, 73, 79, 80, 84 Yakovlevich Tsvetkov V. 124
Toniolo G. 70 Yarbro Collins A. 274
Tosi F. 192 Yong A. 63
Toso C. 235 Young E.M. 133
Traiano 49
Trianni P. 116, 118, 128 Zachman R. 275
Trigg R. 268 Zamjatin E. 178
Trivinho E. 120 Zanatta L. 188
Zanfrini L. 19-43; 17
Urbano VIII 203, 235 Zanobi da Firenze M. 237
Urioste J.L. 232 Zatti A. 5, 9
Zhok A. 162
Valentini D.M. 133 Zijlstra O. 128
Valentini N. 118 Žižek S. 120
Valeriano 50 Zubillaga F. 187
Valvo P. 204, 205 Zumárraga de J. 227, 228
Van Rossum W.M. / G. 200

285
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Abboud O. III 278 Aleinikoff T.A. III 22


Abdelmalak A.N.I. I 323, 324, 325, 326 Alessandro Magno II 231
Abélard Pierre I 141 Alessandro VI, II 229
Abhishita-nana-da S. II 246 Aletti J.-N. I 83, 129, 130, 132; II 21
Abignente A. II 31 al-Ḥa-qilı- / Abramo Ecchellense / Ibra-hı-m
Abignente D. II 19-44, 90, 92, 95, 99 al-Ha-qila-nı- II 217
Abraha T. I 15-39 Almeida C. III 235, 236
Abramo Ecchellense / Ibra-hı-m al-Ha-qila-nı- Almeida J.C. III 221, 234
/ al-Ḥa-qilı- II 217 Al-Nasir II 211
Abu Nimer M. III 134 Alphonse Ch. I 195
Accattoli L. II 177 al-T.ayyib Ah.mad II 214
Acerbi A. II 257 Altini C. III 175
Acharya K. II 247 Alva R. III 137-152
Acosta de J. III 218, 220, 222, 223, 225, Ambrogio I 265, 315
228, 229, 230, 233, 234 Amhert F.X. I 156
Adler L. III 130 Amici Serra G. I 269
Adorno R. III 232 Anawati G.C. II 211
Adzakpey N.T. II 117 Ancona G. I 5-7, 9-11; II 5-7, 9-11; III 5-
Agagianian Grégoire-Pierre XV, I 226 7, 9-11
Agamben G. III 120 Anderson K. II 107
Agbavor A.K.W. II 117, 118, 119, 120 Andolfo M. II 257
Agliardi A. I 227 Andollu Z.R. II 216, 218, 222
Agostino / Agustín / Augustine / Augusti- Andrae J.V. III 176
nus I 191, 194, 201, 210, 315, 316, 317, Andrés D. I 188, 189, 198, 199, 206
318, 319, 320, 321, 322; II 45, 58, 61, Angelelli L. III 275
62, 63, 64, 65, 66, 67, 71, 73, 132, 136; Angelelli M. I 187
III 158, 165, 166, 218, 233, 234, 247 Anguiano de M. III 229, 230
Agostino di Canterbury III 50 Antinucci E. I 230
Agostino M. I 283 Antoine R. II 246
Aguti A. III 265, 266, 267, 268 Antonelli M. III 41
Aimone Braida P.V. I 213- 215 Antonelli S. I 245
Albani B. I 229 Antonino Pio III 49
Albeck Ch. I 95 Apione Plistonice I 69
Albert le Grand I 139 Aranha P. II 242
Alberti L.B. III 176 Arca Petrucci M. I 244
Albertz R. I 42 Arendt H. III 32, 181

287
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Arens B. I 265 Banu G. II 252


Aristote / Aristotele I 46, 156; II 59, 60, 70, Baraúna G. I 146
136, 137; III 242 Barclay J.M.G. I 109, 113, 119, 128
Arnold C. I 198, 231 Barclay W. II 110, 111
Arnold S.M. I 198 Barnabò A. I 226
Artaud de la Ferrier A. III 94 Baroffio B. I 203
Asamoa K.A. II 107 Barreto J.N. II 238, 239
Asese Aihiokhai S.M. III 92 Barrett C.K. I 92, 97; II 112, 113, 115
Assemani G.S. II 222 Barroso Fernández O. II 29
Astigueta D.G. I 201 Barth C. I 54
Astorri R. I 294 Barth K. I 116
Atallah M. II 240 Bartletti D. III 61
Atanasio di Alessandria I 63; III 157 Bartolomei M.C. III 170
Attridge H.W. III 275 Bartolomeo I 164, 174
Atwood M. III 178 Basilio Magno III 156, 168
Aubert R. I 139, 238, 282 Bastianel S. II 22, 24, 25, 26, 27, 31, 33,
Audinet J. I 155 90, 94, 95
Auer A. II 29 Battaglia F. II 128
Agostino / Agustín / Augustine / Augustinus Baudrillart A. I 239
I 191, 194, 201, 210, 315, 316, 317, 318, Bauman Z. I 38
319, 320, 321, 322; II 45, 58, 61, 62, 63, Baumgarten P.M. I 219
64, 65, 66, 67, 71, 73, 132, 136; III 158, Baumgartner J. I 282
165, 166, 218, 233, 234, 247 Baur J. III 214, 218, 221, 222, 227, 230,
Aune D.E. I 117 231, 232
Aureliano III 50 Bausa A. III 70
Aversa G. III 209 Bazzanella E. III 180
Ayuso Guixot M.Á. III 277 Beasley D. I 169
Beauchamp P. II 28
Beauchamp T.L. II 76
Babota V. III 274 Beck U. III 29
Bacon F. III 176 Becker D. I 220, 251
Baer R. II 90 Beck-Gernsheim E. III 29
Baggio F. III 45-54, 17 Beckmann J. III 224
Balbo F. II 258 Bedeschi L. I 227
Balčius V. II 15-17, 22, 87-103 Bedini G. I 245
Baldelli F. I 229 Bednarz F. III 133
Balducci E. I 194 Beierwaltes W. III 129
Balibar E. III 27 Beker J.C. I 109, 111, 112, 113, 114, 118,
Balthasar von H.U. I 325; III 159, 163 127, 133
Baltimore, lord I 246 Belaubre C. I 246
Baltzer K. I 58 Bellet M. III 163
Bandera A. I 191 Bellitto C.M. III 129
Banks R. I 69 Belotti da Romano G. III 233
Bannerjee / Teofilo / Upa-dhya-y, Brahmaba-n- Benavente / Motolinía de T. III 224
dhav II 242, 243 Benedetto XIV, II 241; III 235

288
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Benedetto XV / Benedicto XV / Benedictus Bhugra D. III 144


XV / Benedikt XV / Benoît XV / Della Bianchi E. I 192
Chiesa G. I 221, 225, 231, 232, 233, 241, Biemann A. III 129
242, 246, 254, 265, 266, 267, 268, 275, Bigard J. I 265
278, 283, 287, 288, 289, 290, 292, 293, Bigard S. I 265
298, 308, 309, 311, 341; II 234; III 202, Billot L. I 277, 292
204, 205, 232 Binasco M. I 228
Benedetto XVI / Benedict XVI / Benedikt Biser E. III 121
XVI / Ratzinger J. I 170, 173, 180, 222, Bisignano da S. I 189; II 65
325; II 46, 203, 213, 214; III 46, 60, Blackwell B.C. I 122, 133
121, 189 Blejwas S.A. III 93
Benjamin J. III 163 Blet P. I 241
Benjamin W. III 178 Bloch E. III 178
Benn S.I. II 56 Blomberg C. I 99
Benoit M. I 244 Blumenberg H. III 161
Benvenuti P.M. I 265 Bo H. Lim I 46
Berger P. II 266 Bobbio N. II 31
Berges U. I 42, 49, 56, 58, 60 Bocken I. III 129
Bergoglio J.M. / Francesco / Francis / Fran- Böckenförde E.-W. III 267
cisco / François / I 5, 9, 19, 20, 39, 101, Bodei R. I 191, 201
102, 104, 107, 137, 138, 140, 142, 143, Boer de M.C. I 109, 111, 113, 114, 116, 133
144, 145, 154, 156, 157, 159, 161, 162, Boezio S. II 145
163, 164, 165, 166, 167, 168, 170, 171, Boisvert L. I 207
172, 173, 174, 175, 176, 177, 179, 180, Bonaccorso G. III 163, 164, 165, 167, 168
181, 182, 183, 184, 185, 186, 196, 214, Bonaventura / Bonaventure I 153, 324
263, 264, 266, 325; II 20, 21, 27, 76, 81, Bonella A.L. I 227
84, 101, 203, 214, 266, 268; III 5, 9, 16, Bonetti A. II 145, 146
17, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 36, 38, 39, 40, Bongiovanni A. III 128
42, 45, 52, 55, 56, 57, 60, 62, 63, 64, 65, Bonifacio VIII, I 229
67, 69, 98, 104, 105, 107, 110, 119, 121, Bonino S.-Th. II 257, 258
122, 126, 133, 134, 135, 137, 138, 139, Bonomelli G. III 70, 74
140, 141, 142, 143, 144, 145, 147, 151, Bontempi E. I 229
152, 175, 178, 179, 180, 182, 183, 185, Booth F. III 126
186, 188, 189, 273, 277, 278 Borgia S. I 223, 224
Bernardi M. II 169 Borgonovo G. I 21
Bernardi S. I 245 Borrmans M. II 210, 211, 219
Bernardo de Claraval III 237 Borromeo C. III 70
Bernasconi A.M. I 275 Bosch D. II 233
Bernetti T. I 240 Bosco G. III 70
Berthoud A. III 181 Botti C. II 78
Bertuletti A. III 160 Boutry P. I 221, 222, 223, 227, 235, 236,
Betz H.D. I 68 248
Beuken W.A.M. I 44, 45 Bovati P. I 18, 50; II 28
Beurle K. II 211 Bove M. I 204
Bevans S. III 55-67; 17 Bracci M. I 323-326; III 153-172

289
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Brambilla F.G. I 67, 315-322; III 162 Cana, Thomas / Kinayi / Knai, Thom-man II
Branca P. II 219 236
Brechenmacher T. I 240 Canard M. II 209
Bremer J. I 49 Cano M. I 155, 156
Brennan R.E. III 124 Cantalamessa R. I 190; III 156, 167
Breschi M. III 51 Cantelmi T. I 202
Bressan L. III 42 Cantù F. I 240
Brizzi G. III 49 Capelle B. III 155
Brodiez-Dolino A. II 47 Cappellari M. I 224
Brotto S. II 28 Caracalla III 50
Brower J.E. III 242 Caracciolo F. II 217
Brown C. II 111 Caracciolo A. III 258
Brown K.M. III 143 Carafa A. I 231
Brown R.E. II 110, Carbonetti B. III 145
Brown R.M. II 87 Carboni L. III 206
Brown S.L. II 87 Cárcel Ortí V. I 240, 241, 242
Brueggemann W. II 66 Carlini A. II 128
Brugère F. II 28 Carlos V, III 224
Brunelli G. I 239 Carlotti P. II 27
Buber M. I 123, 325; II 21, 23, 24; III 125, Caroli R. III 202
129, 132, 247, 253 Carrara Pavan M. III 135
Buccellato G. I 195, 196 Carriquiry Lecour G. III 188
Büchner K. III 215 Casalone C. II 22
Bühlmann W. III 15 Casanova J. II 266
Bultmann R. I 109, 110, 111, 112, 123, Casaroli A. I 238
125, 128, 129 Caspar R. II 211
Buonomo V. II 190 Cassian J. III 123
Buss M. I 46 Castañeda P. III 219, 220
Butler J. II 80 Castelli F. I 231, 232
Butturini G. I 226 Castiglioni F.S. / Pie VIII / Pio VIII, I 221,
224, 225, 245, 274
Caboto G. I 244 Castro de T. II 232
Cabrini M.F. Saverio III 70 Castro Mahalo de / di M. II 231
Caccamo D. I 245 Casula C.F. I 238
Cagliero G. I 277, 292 Casula L. III 158
Cajani F. I 243; III 204 Caturelli A. II 144
Calduch-Benages N. II 78 Cavadi A. III 7, 11
Callisto I, I 274 Cavagnini G. I 267
Calvez J.Y. II 27 Cavallari P. I 32
Calvino G. III 247, 275 Cavallo P. I 265
Camassei F. I 277, 292 Cavallotto G. III 158
Camilli Giammei S. I 242 Cavanagh K. II 90
Campa R. III 188, 194 Cavaso da E. III 222
Campanella T. III 176 Cavazzi da / de Montecuccolo G.A. / J.A. III
Campbell D.A. I 111, 114, 116, 133 217, 219, 221, 229

290
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Cavicchioni B. III 199 Colombo E. II 210


Cecchi E. II 266-269 Colombo M. III 133
Cencini A. I 192, 194, 197, 204 Colzani G. II 228
Ceragioli F. III 161, 163 Combi E. II 27
Cerdeña de B. III 230 Comboni D. II 219
Cerneiro M. II 238 Compson J.F. II 87
Cesareo V. III 34 Conde P.Y. I 206
Chachah Y. II 121 Confucio II 234
Chancey M.A. I 118 Congar Y. I 141, 147, 155
Chapman A.R. III 145 Congiunti L. I 214, 315; II 257-261; III
Chappin M. I 222, 235, 236, 243 241-249; 269-272
Charles-Roux F. I 239 Congrong Shi II 89
Chenu M.-D. I 138, 139, 140, 144, 145, Consalvi E. I 224, 238, 239, 240
153, 154, 155 Conti S. I 244
Chergé de Chr. II 40 Coolidge Hurd J. II 115
Cheung A.T. II 109, 115 Corrigan M.A. III 75
Chia Khee Long J. I 226 Cortez M. I 130
Chiavacci E. II 23 Costa G. I 32, 177
Chica Arellano F. I 161-186; II 157-205; Costantini C. I 226, 243; II 227, 229, 234,
III 277-278 235, 242
Childress J.F. II 76 Cottini V. II 209-225
Chiocchetta P. I 282, 283; III 210 Covato C. I 237
Chochinov H.M. II 89 Cozza R. I 189, 206
Chrisostom John II 113 Crea G. I 196, 200, 203
Christianson G. III 129 Crétineau-Joly J.-A.-M. I 238
Christophe P. I 239 Crippa L. I 202
Chunxiao Zhao II 89 Cromwell O. I 246
Ciampani A. I 247 Cugnoni G. I 226, 227
Cicero Marcus Tullius / Cicerón III 215, 216 Cuña Ramos L.M. I 214; III 186, 195
Cipriani L. I 230 Cunningham P.A. III 275
Clarke E.G. I 94 Curran CH.E. II 94
Clement of Alexandria II 113 Cusa of Nicholas III 129
Clemente XI, II 241 Cyril of Alexandria I 122
Cocco F. I 15-16 Czerny M. III 175-183
Coco G. I 222, 235; III 210
Codignola L. I 236, 244, 245, 246 D’Abbeville Cl. III 216
Coelho P. II 7, 11 D’Addelfio G. II 84
Cohen J.D. III 275 D’Ancona U. I 283
Colapietra R. I 239 d’Anversa Callaey F. III 203
Collins A.J. I 84 D’Auria A. I 205
Collins F.R. II 110 Dahl R. III 20
Collins J.J. I 113, 116 Dahlgren G. I 165
Colombano di Bobbio III 50 Dal Toso G.P. I 266
Colombo A. I 229 Dale M. I 117, 124, 133
Colombo C. III 50, 194 Dallaire R. II 57

291
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Danesi G. III 47 Dias D.J. III 92


Darwin Ch. I 38; III 59 Díaz P. III 207
Davidson R.J. II 88 Dick Ph.K. III 178
Davies B. III 241 Dickès C. I 220, 230, 231
De Candido L. I 191 Dieguez A.M. I 230, 231, 235
De Capitani F. II 62, 63, 66 Dijkstra M. I 44
De Carrocera B. III 229, 230 Diocleziano III 50
De Cesare R. I 218 Diodoro di Tarso II 239
De Giuseppe M. III 188 Diotallevi L. III 88
De Marchi G. I 222; III 202, 206, 207 Dolci A.M. III 207
De Mello A. II 46 Dominicus a Jesu Maria I 254
De Monticelli R. II 31 Domiziano III 49
De Paolis V. I 189, 191, 205, 229 Dore G. I 283
De Rosa G. I 267 Dotolo C. II 89; III 250, 251, 256
De Villapadierna I. III 214, 226 Dotse A.K. II 107
De Volder J. I 235 Doty J.R. II 87, 88, 89
Decio III 50 Doublet N. I 231
Del Missier G. II 75-85 Dougherty F.Th. I 236
Del Re N. I 220, 264 Douglas Gardner P. II 109
Del Vecchio G. I 327 Drago A. III 116, 118, 134
Delgado M. I 215, 251-262; III 213-238 Drengson A. III 120
Delizy B. I 195 Drevet R. I 268
Dell’Orto L. II 6, 10 Drochon J.-E.B. I 238
Della Chiesa G. / Benedetto XV / Benedictus Droysen J.G. III 210
XV / Benedikt XV / Benoît XV, I 221, 225, Du Bourg L.-G.-V. I 270
231, 232, 233, 241, 242, 246, 254, 265, Dubost M. I 247
266, 267, 268, 275, 278, 283, 287, 288, Duddington N.A. III 119
289, 290, 292, 293, 298, 308, 309, 311, Dumais M. I 68, 83
341; II 234; III 202, 204, 205, 232 Duquoc C. I 64
Demmer K. II 90 Durán G. III 228
Dennett L. II 89 Durand J.-D. I 232, 235
Denny C. I 225 Dym J. I 246
Denzinger H. III 216, 223
Depaoli S. II 129, 130, 132 Eastman S.G. I 109, 110, 111, 114, 123,
Depue R.A. II 88 124, 125, 126, 127, 128, 129, 133
Deutsch Kornblatt J. III 116 Ehrenreich B. III 29
Dewey J. I 70 Elberti A. III 155
DeYoung R.K. III 123 Eliade M. I 58; II 117
Di Cesare D. II 36 Ellacuría I. II 29, 30, 34
Di Luccio P. I 16, 89-108 Engberg-Pedersen T. I 109, 117, 118, 119,
Di Pietro M. I 226, 237, 239, 248 121, 122, 125, 128, 133
Di Pinto L. II 35 Engels F. III 177
Di Sante C. I 64; II 36 Enis L.L. II 108, 109, 122
Di Simone M.R. I 234 Enrico VIII, III 176
Diarra P. I 247 Ephrem Syrus I 97

292
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Epictetus I 124 Fitzmyer J.A. I 77, 78


Epicuro III 259 Fiumi Sermattei I. I 218, 232, 234, 318
Epis M. III 20 Flavio Giuseppe I 69, 93; III 274, 275
Ercolani L. I 234 Florenskij P.A. III 118
Erode il Grande I 93 Focant C. I 70
Erpenbeck J. III 61 Foglizzo P. I 177; III 180
Escande F. I 196 Fontana F. I 224
Esping-Andersen G. III 25 Forbin-Janson de Ch.A. I 264
Esuperio di Tolosa, I 274 Forger D. III 275
Eugenio IV, III 235 Fornaciari R. I 224
Evans T. I 165 Fornasin A. III 51
Forno M. II 218
Fabiano P. III 130 Fotopoulos J. I 117; II 109, 111, 112, 113,
Fabietti U. III 109 114, 116
Fadini G. II 29 Foucauld de Ch. II 6, 10
Fantappiè C. I 227, 294 Foucault P.-M. III 120
Faria de F.L. III 217 Fougere A. III 275
Farina A. I 192 Fourier Ch. III 177
Fatica M. I 239 Fradet Y.-M. I 236
Fattori M.T. II 242 Francesco / Francis / Francisco / François /
Fattorini E. I 232, 236 Bergoglio J.M. I 5, 9, 19, 20, 39, 101,
Favero L. III 85 102, 104, 107, 137, 138, 140, 142, 143,
Fee G.D. II 115, 116 144, 145, 154, 156, 157, 159, 161, 162,
Feil E. III 215 163, 164, 165, 166, 167, 168, 170, 171,
Feinberg J. II 55 172, 173, 174, 175, 176, 177, 179, 180,
Feldman C. II 89 181, 182, 183, 184, 185, 186, 196, 214,
Feldtkeller A. I 251 263, 264, 266, 325; II 20, 21, 27, 76, 81,
Ferguson S.D. I 123 84, 101, 203, 214, 266, 268; III 5, 9, 16,
Fernando L. II 239 17, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 36, 38, 39, 40,
Ferragu G. I 220 42, 45, 52, 55, 56, 57, 60, 62, 63, 64, 65,
Ferraroni T. II 49, 68 67, 69, 98, 104, 105, 107, 110, 119, 121,
Ferrata D. I 238 122, 126, 133, 134, 135, 137, 138, 139,
Fichte J.G. II 258; III 258, 261 140, 141, 142, 143, 144, 145, 147, 151,
Fichter J. H. III 89 152, 175, 178, 179, 180, 182, 183, 185,
Fiedrowicz M. III 155, 156, 158 186, 188, 189, 273, 277, 278
Figueroa Clemente E. I 176 Francesco d’Assisi II 267; III 252, 253
Filesi T. III 214, 226, 229, 233, 234, 236, Francesco Saverio I 274
237 Frankfurt H.G. II 56
Filipazzi G.A. I 222 Fredriksen P. III 274
Filoni F. I 51, 213; III 190, 191, 192 Freitag A. I 256
Finnis J. I 329 Fréri J. I 279, 284, 301, 302, 306
Fiorentino D. I 245 Frevel C. I 83
Fiori G. III 130 Fullam L.E. II 94
Fiori S. I 196 Fumasoni Biondi P. I 226
Fitzgerald M.L. II 211, 214 Furseth I. III 108

293
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Furstenberg Y. III 274 Giddens A. III 21


Fusar Imperatore P. I 231 Gieniusz A. I 130, 131
Fusco V. I 67 Gilbert P. II 87, 88, 89
Gill D. II 116
Gabrieli C. I 226 Gill V. I 168
Gaine S. III 248 Ginés de Sepúlveda J. III 219, 223
Galantino N. II 24 Gioia F. II 212
Galeotti M. I 237 Giolo O. II 19
Galimberti L. I 235 Giorgi A. II 165
Galindo García A. I 176 Giorgi M. III 115
Gallagher S. I 123 Giorgi O. I 277, 292; III 202
Gallo E. I 231 Giovagnoli A. I 268
Gallo Gaio Vibio Treboniano III 50 Giovanni Damasceno II 217
Galot J. I 190, 192, 198 [Giovanni Paolo I] / Luciani A. II 160
Gama da Vasco II 239 Giovanni Paolo II / Jean Paul II / John Paul
Gandhi III 116, 134 II / Wojtyła K. (Lolek) I 177, 178, 179;
García Gómez A. I 179 II 48, 157, 159, 160, 161, 162, 163, 164,
García II, III 220 165, 167, 169, 171, 173, 175, 177, 178,
Garcia M.L. I 188, 194 179, 180, 181, 182, 183, 184, 185, 186,
García Martínez F. I 94 187, 189, 190, 191, 192, 193, 194, 195,
Gardeil A. I 153, 154 196, 197, 198, 199, 200, 201, 202, 203,
Garouachi H. II 211 204, 205, 212, 268; III 53, 70, 71, 80,
Garrau M. II 53 191
Gasparri P. I 238, 277, 292, 294 Giovanni XXIII / Jean XXIII / Roncalli A.
Gasquet F.A. I 277, 292 I 145, 147, 149, 174, 268; II 184, 203
Gattorno R. III 70 Girard A. II 218
Gaudeul J.M. II 219 Giraud G. II 31
Gaus D. III 32 Gismondi G. I 269
Gavazzi A. I 245 Gispert-Sauch G. II 239, 246
Gaventa B.R. I 109, 111, 114, 115, 133 Gitay Y. I 45
Geach P. III 268 Giuliani M. I 41
Geel de G. III 221 Giuliano d’Eclano I 319
Geffré Cl. I 138, 155 Giuntella V.E. I 227, 239
Gehlen A. II 80 Giustini F. I 277, 292
Genocchi G. III 198, 208 Gleip Egon J. I 230
Genovese A. I 315, 316, 317, 318, 319, Glick Schiller N. III 21, 23, 24
320, 321, 322; III 154 Godsey W.D. I 245
Gensabella Furnari M. II 83 Goetz J.L. II 90
Germano D. II 220 Gogarten F. III 257
Germer C. II 88 Goi P. I 226
Gheddo P. I 265 Golser K. II 26
Ghisalberti A.M. I 238 Gomarasca P. III 39
Ghisleri L. III 169 Gonzalez Anaya J.A. III 88
Giacometti G. III 7, 11 González de Santalla T. II 219
Giacovelli C. I 264 González Fernández F. III 194

294
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Gooch P.D. II 109, 112 Güngör A.I. II 211


Gorbačëv M.S. II 166 Gustafson R.F. III 116
Gorgoni M. II 174 Gutierrez A. I 197, 198
Gorman M. III 245 Guzzetti C.M. II 211
Gorman M.J. I 122; III 59, 60 Guzzo A. II 128
Gottsmann A. I 230, 234
Goya B. I 208, 209 Habermas J. II 31, 83, 266
Graf G. II 222 Hack Th.F. II 89
Graffy A. I 44 Hagen N.A. II 89
Graham R.A. I 241 Hammar T. III 22
Granados García C. I 176 Hanger D. II 109
Grandi F. III 278 Hardacre H. II 117
Graper Hernandez G. III 122 Harmless W. III 127, 135
Gray R. III 214 Harrington A. II 88
Gray S.J.M. I 58 Harrington D.J. II 110
Grazioli G. I 224 Harrington J. III 176
Greenfield P.M. II 88 Hart H. I 328
Gregor XVI / Grégoire XVI / Gregorius XVI Harvey F. I 244
/ Gregory XVI, I 224, 225, 241, 274, 275, Hasel G.F. I 51
281; III 199 Hassan R. III 125
Gregorio Magno III 50 Hayat P. II 23
Gregorio VII, I 229; II 211 Hayes P. I 225
Gregorio XV / Ludovisi A. I 263; II 230, Hazer-Rau D. II 89
241; III 186 Healy T. I 192
Gregorius Nissenus I 97 Heath G.L. III 133
Greipl E.J. I 241 Heelas P. III 149, 140
Grévin B. II 218 Hegel G.W.F. III 258, 263, 264
Grignani M. I 263-311; 215, 234, 243, 246; Heidegger M. I 161; II 82, 259
III 185-212 Heim S.M. III 160
Grilli M. III 275 Henkel W. I 237
Grillmeier A. III 156 Herbigny d’ M. I 232
Grillo R. III 29 Heschel S. I 118; III 275
Gronchi M. III 161 Hillel I 92
Gross E. III 236 Hinkel S. I 241
Grossi G. I 267 Hitler A. I 232, 236
Grosvenor M. I 97, 98; II 111, 112 Hlond A. III 70
Gu J. II 90 Hobson P. I 123
Guadagnolo F. II 217 Hoff G.M. III 215
Guamán Poma de Ayala F. III 232 Hoffman T. III 246
Guangrong Jiang II 89 Holladay C.H. II 110
Guardini R. I 323, 324, 325, 326; II 259; Hollifield, J.F. III 22
III 123, 181, 254 Homer / Homère I 144; II 111
Guasco A. I 232 Hon Tai Fai S. I 213, 214, 226
Guerrero Mosquera A. III 219, 230 Hossfeld F.-L. I 49
Guijarro Oporto S. I 75 Hoye R. III 143

295
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Hrabovec E. I 242 Johnson E.A. III 58, 59, 63


Hsing C. II 88 Johnson M. I 47, 59, 62
Hubner H. II 111 Johnson-Hodge C. I 117, 118, 120, 133
Humphrey L. II 169 Jolie A. II 48
Hünermann P. III 216 Jonas H. I 41, 46
Hurtubise I 244 Jones F. II 50, 90
Huxley A. III 178 Jonsen A.R. II 75, 76, 77, 85
Joppke C. III 34
Ibra-hı-m al-Ha-qila-nı- / Abramo Ecchellense Jost J. I 46
/ al-Ḥa-qilı- II 217
Ickx J. I 227, 229, 232, 237 Kałuski M. III 93
Ignazi D’Asti B. III 234 Kanakappally B. II 89, 247
Ilunga Muya J. I 266 Kane R. I 128
Imoda F. I 192, 204, 207 Kant I. II 32, 54, 55, 59; III 258, 259, 260,
Ingoli F. I 254, 255; II 227, 229, 230, 231, 261, 267
232; III 192, 232 Karlinsky S. III 116
Irenaeus / Ireneo di Lione I 122; II 91 Karotempler S. II 233
Iturbe M. II 247 Käsemann E. I 109, 110, 111, 112, 114,
Ivaldo M. II 257, 258; III 258, 260, 261, 116, 123, 124, 125, 127
263, 264 Kasper W. III 165
Ivanios, Mar II 240 Kaunda K. II 163
Izbicki T.M. III 129 Kay M. II 169
Keenan F. II 98
Jaca de F.J. III 234 Keller D.R. III 127
Jacqueline B. I 233 Kelly J.N.D. III 154, 156
Jaggi P. II 89 Kelsen H. I 328
Jankowiak F. I 225, 226, 227, 231, 232 Keltner D. II 90
Jaricot Ph. I 239, 263, 264, 267, 270, 271, Kemp P. II 77
274, 282, 309, 310, 311 Kerr G. III 243
Jászai C. II 68 Keyes R. III 119
Jean Paul II / John Paul II / Giovanni Paolo II Kierkegaard S. III 133
/ Wojtyła K. (Lolek) I 177, 178, 179; II 48, Kilgannon H. II 89
157, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, Kilger L. I 253, 254, 255, 256, 257, 260
167, 169, 171, 173, 175, 177, 178, 179, Kim S.Y. I 119
180, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, Kinayi / Knai, Thomman / Cana, Thomas II
189, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 196, 236
197, 198, 199, 200, 201, 202, 203, 204, King M.L. Jr III 134
205, 212, 268; III 53, 70, 71, 80, 191 Kinzig W. III 157
Jean XXIII / Giovanni XXIII / Roncalli A. I Kirby J.N. II 87, 88, 89
145, 147, 149, 174, 268; II 184, 203 Kitamori K. I 325
Jeanrond W.G. I 138 Kittay E.F. II 78
Jedin H. I 282; III 50 Kittle G. II 112, 115
Jennings W. III 63 Kłakus M. III 93
Jezernik M. I 233 Klein M.L. I 98
Johns L. I 92 Klemens VIII, I 254

296
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Klimecki O.M. II 88 Lapide P. I 84


Klusmeyer D. III 22 Las Casas de B. I 255; III 218, 219, 220,
Knobe J. I 128 223, 224
Knobel A. III 245 Lasida E. II 31
Koller A. I 263 Latouche S. III 179
Kollmann B. I 72 Lattanzio III 259
Komonchak J.A. I 225 Laurenti C. I 290, 293
Kondejewski J. II 89 Lauth R. III 258
König K. III 237 Lavigerie Ch.-M.-A. II 219
Konrath S.H. II 88 Lazzaro B. I 41-62, 16
Koole J.L. I 58, 60 Le Goff A. II 52
Kooten van G.H. I 120, 133 Le Moigne F. I 230
Koren I. III 132 Leaviss J. II 88
Körner A. I 245 LeBlanc J. I 221, 222, 232
Korten C. I 224 Leblanc J. III 199
Koschorke K. III 222, 225 Lecrivain Ph. I 197, 198
Kövecses Z. I 47 Ledóchowski M.H. I 226; III 72, 77
Kowalski M. I 109-133, 16 Lefebvre M. I 153, 228
Kowalsky N. I 290; III 186, 195 Leflon J. I 238, 282
Kracht H.-J. I 222 Leftow B. III 247
Krämer K. III 213 Lega M. I 277, 292; III 201
Krans J. I 114 Legge D. III 242
Kretzman N. III 241 Leguzzano de G.M. III 217
Kuada J. II 121 Lehmann von W. III 218
Kuanda K.D. II 162 Leiberg S. II 88
Kuhn T.S. II 81 Lemau de la Barre B.V.M. / Petit de Meur-
Kutscher G. III 218 ville B.V.M. I 270
Kuyken W. II 89, 90 Lentz H.M. III 199, 200, 201, 202
Kymlicka W. III 34 Leo XII / Léon XII / Leone XII, I 218, 221,
224, 225, 234, 274; III 199
La Bella G. I 282; III 188 Leo XIII / Léon XIII / Leone XIII / Pecci G.
La Delfa A. III 275 I 18, 139, 149, 219, 221, 222, 226, 227,
La Jaille C.E. I 270, 284 230, 233, 234, 244, 245, 272, 275, 276,
Ladaria Ferrer F. I 16, 20 282, 298; III 73, 74, 75, 78, 128, 193,
Laffont R. I 220 194 199
Lakner C. III 146 Leonardo da Vinci III 176
Lakoff G. I 47, 59, 62 Lepore L. II 28
Lamberts E. I 241 Léry de J. III 216
Lambruschini L. I 238, 239, 240 Lesourd P. I 264, 265
Land Chr.D. II 108, 112, 113, 114, 115, Lettieri G. III 166
116, 122, 123 Leturia de P. I 225
Landi A. I 63-87, 16; III 273-276 Levant M. I 220
Lanza del Vasto G.G. III 115, 116, 117, 118, Levering M. III 241
119, 121, 123, 125, 127, 128, 129, 130, Levi della Vida G. II 222
131, 132, 133, 134, 135, 136 Levillain P. I 236

297
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Lévinas E. I 123; II 6, 10, 23, 81; III 253 Maillard de Tournon C.T. II 241
Levine A.-J. III 273, 275 Maillard N. II 52, 53, 54, 55
Levison J.R. I 119 Maimonide III 275
Liégé P.A. I 155 Malighetti R. III 109
Lietaert Peerbolte B.J. I 114 Malina B.J. I 82
Ligabue L. II 5, 9 Manenti V. I 193
Lill R. I 241 Manfredi A. I 229
Lin Zhang II 89 Manna P. I 265
Lindenthal J.J. III 88 Mannion G. III 93
Linebaugh J.A. I 129 Mantovani M. II 257, 258
Lintner M.M. II 33 Manzano X. I 247
Liong-Seng Phua R. II 109 Manzini L.M. I 239, 240
Litwa M.D. I 120, 121, 133 Marabini P. III 202
Lizu Lai II 89 Marcel G. III 253
Lo Giudice G. I 231 Marchetti A. III 70
Lobo B. I 247 Marco Aurelio III 49
Lodigiani R. III 25 Marcocchi M. II 228, 232; III 192
Lohfink N. II 28 Marconi G.A. II 131, 132
Löhr H. III 274 Marconi-Pedrazzi A. II 46
Lombardi F. I 176; III 134 Marcus J. I 113
Lombardo G. II 127-155 Marcuse H. III 178
Londei L. I 230 Marenghi C.M. I 165; III 277
Lonergan M. I 192 Margiotta Broglio F. I 265
Longenecker R.N. I 82 Marini N. I 277, 292
Losito M. I 179 Marinoni G. III 72
Lovatin A. I 245 Maritain J. II 258; III 253, 268
Lovison F. I 230, 236 Marlé R. I 155
Loyola de I. II 49, 68 Marracci L. II 216, 219
Lubin D. II 190 Marshall H. II 109
Luciani A. [Giovanni Paolo I] II 160 Martin D.B. I 117, 125, 133
Luciuk L.Y. I 242 Martin T.W. I 117, 133
Ludovisi A. / Gregorio XV, I 263; II 230, Martinelli M. I 213-215; III 38
241; III 186 Martini A. I 241
Ludwig F. III 222, 225 Martyn J.L. I 111, 113, 116, 119, 133
Luke K. II 110 Marx K. III 177, 253
Lund O. I 42, 46, 47 Marzorati G. III 72
Luther M. / Lutero M. I 116, 154; II 65; III Mascilongo P. I 70
215, 252, 253, 275 Mason S. III 274
Massaja G. II 218
Macca di Santa Maria V. III 187 Massaro R. II 75, 81, 262, 263, 265
Macdonald S. I 245 Massignon L. II 211
MacGinn B. I 113 Massimino III 50
MacIntrye A. II 50, 51, 71 Masson C. I 264
Magesa L. II 118 Massouh G. II 211
Mahalo, Mattheo di / de Castro II 231 Maston J. I 115, 116, 133

298
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Matera V. III 109 Meynet R. I 90


Matheus M. I 240 Mezahi M. I 168
Matteo A. I 5, 9 Mezzadri L. I 236, 237
Matura T. I 192, 202, 208 Micallef R.M. II 45-73
Maurin L.-J. I 298 Miccoli G. I 232
Mayseless O. II 87 Michel R. II 211
Mazza G. III 157, 161 Mieth D. II 31, 78
Mazzolini S. I 243; III 204 Mill J.S. II 31, 78
McCarthy D.J. II 28 Millers D. I 92
McClement S. II 89 Mitchell M.M. II 111
McCluskey C. III 246 Moberg D.O. III 140
McConnell S.J. II 89 Moiráns de E. III 234
McCoy M.B. II 60, 61 Molinari G. III 74
McDougall D. II 162, 190 Molinaro A. II 109
McGlothlin T.D. I 122 Moltmann J. I 325; II 65, 66, 67, 71, 91
McGrath M.G. I 145, 146, 147, 149, 150, Monaci M. III 37, 50
151 Monari da Modena G. III 221, 234
McVay A.D. I 242 Monda A. III 269
Meier J.P. I 69 Mondin B. II 134
Mele A.R. I 128 Monsagrati G. I 245
Melloni A. I 225, 232, 267 Monteiro de Castro M. I 229
Mellor P.A. III 108 Monteiro L.M. II 87
Meltzoff A. I 123 Monti C. I 235
Mendenhall G.E. II 28 Monti E. II 27
Mendieta de G. / J. III 194, 220, 232 Monti P. I 243; III 204
Menicatti G. I 280 Montini G.B. / Paolo VI / Paul VI, I 148,
Mercier J. I 192 221, 233, 263, 273; II 30, 184, 191, 203,
Mercier L.-S. III 177 234, 235, 246, 258; III 100, 121, 186
Merleau-Ponty M. III 162 Moore M. I 329
Merlino A. I 233 Morali I. I 247
Merloni Cl. III 70 More Th. III 175, 176, 179
Meroni F. I 266 Morin E. III 7, 11
Merry del Val y Zulueta R. I 241, 263, 267, Morlat P. I 233
269, 277, 292, 293, 294, 295, 298, 299, Moroni Romano G. I 218, 273
301, 302, 303, 304, 307, 309, 311; III Morrison C. III 274
78, 84, 85 Morrone-Strupinsky J.V. II 88
Merz A. I 72, 81 Mortara Garavelli B. I 45
Messinese L. II 257, 258 Mosca V. I 189, 266
Metuh E.I. II 118 Motolinía / Benavente de T. III 224
Metzger B.M. II 113, 114 Mounier E. III 253
Metzler J. I 213, 220, 223, 233, 237, 266, Moya R. III 199
281, 282; II 230, 233; III 186, 187, 192, Mozzarelli C. I 218
195, 196, 199, 201, 224 Mueller W. I 245
Meyer M. I 214 Mundadan A.M. II 237, 239, 240
Meyers E. III 274 Mundel W. II 111

299
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Muñoz A. III 115 Olmi G. I 218


Mura G. II 257, 258 Onorati G. III 133
Murphy-O’Connor J. II 110, 122 Origene di Alessandria III 159
Murra J.V. III 232 Orsenigo C. I 240
Mussolini B. I 232, 236 Orwell G. III 178
Musten F. II 87 Ose L. III 134
Muth-Oelschner B. III 214 Ottonello P.P. II 127, 129, 130, 131, 140
Myman J.R. III 156 Owen R. III 177
Oz A. I 97
Naidoff B.D. I 43
Napoleon, I 246 Pablo III III 224, 226, 235
Naranjo Marrero F.M. III 115-136 Pacca B. I 238, 239, 240
Nasalli Rocca di Corneliano M. I 238 Pacelli E. / Pie XII / Pio XII / Pius XII, I
Ndiaye A. I 187-210 232, 235, 239, 245, 265; II 234, 241; III
Ndreca A. I 214; III 258-264; 265-268 45, 50, 51, 78, 189, 192, 200, 201, 204
Neff K. II 90 Pagani P. II 131, 134
Negri A. II 130 Pagano S. I 222, 234, 235, 239, 267; III
Negro S. I 218 200, 201, 206
Neimeyer R.A III 120 Paglialunga S. I 206
Nellis J. I 165 Palazzolo M.I. I 237
Neri Filippo II 231
Pallotti V. III 70
Nesterenko A.V. II 167
Panikkar R. III 133
Nesterenko V.B. II 167
Paolo VI / Paul VI / Montini G.B. I 148,
Nestorio II 239
221, 233, 263, 273; II 30, 184, 191,
Neuhold D. I 251
203, 234, 235, 246, 258; III 100, 121,
Neumann G. III 70
186
Nevett J. I 168
Papavero L. III 26
Newton D. II 109, 122
Papenheim M. I 241
Ng Tian Su I 26
Pâquet M. I 244
Nguyễn Văn Thuận F.-X. III 107
Nichols S. I 128 Parampil A. II 231
Nicholson M. III 143 Paravicini Bagliani A. I 232, 233
Nicolás V, III 236 Pareyson L. III 169, 170, 258
Nietzsche F.W. I 38; II 260, 262; III 253 Paris L. I 64
Nkemnkia N.M. II 117 Park H. II 88
Noam V. III 274 Parnofiello G. II 22, 90
Nobili de R. II 235, 240, 241 Parolin G. I 245
Nóbrega da M. III 216 Parolin P. I 226; III 277
Norris J.M. II 89 Paschini P. III 204
Nuovo L. I 236 Passerin d’Entrèves E. I 238
Nussbaum M.C. II 59, 60, 61, 64, 70, 71, Pastore B. II 19
84, 95 Pásztor L. I 219, 221, 231, 238, 239
Nykiel K. I 229 Patel S. II 89
Patriarca G. III 115-136
O’Brien E.H. II 88 Patrizi F. III 176
Okure T. II 108 Pattarumadathil H. III 274

300
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Paul VI / Paolo VI / Montini G.B. I 148, 221, Pie VII / Pio VII, I 221, 227, 238, 239, 274;
233, 263, 273; II 30, 184, 191, 203, 234, III 199
235, 246, 258; III 100, 121, 186 Pie VIII / Pio VIII / Castiglioni F.S. I 221,
Paulicelli M. II 178 224, 225, 245, 274; III 199
Paventi M. I 269; III 194, 195 Pie X / Pius X / Pio X / Sarto G.M. I 221,
Paventi S. III 186 226, 227, 230, 232, 235, 241, 242, 267,
Pavese F. III 199 275, 295, 300, 310; III 73, 78, 203, 204,
Pawl T. III 248 205, 206, 211
Pecci G. / Leo XIII / Léon XIII / Leone XIII, Pie XI / Pius XI / Pio XI / Ratti A. I 221,
I 18, 139, 149, 219, 221, 222, 226, 227, 227, 230, 231, 232, 235, 236, 240, 241,
230, 233, 234, 244, 245, 272, 275, 276, 242, 243, 244, 246, 265, 266, 267, 268,
282, 298; III 73, 74, 75, 78, 128, 193, 293, 298, 309; II 234; III 185, 189, 192,
194 199 201, 204
Pedani Fabris M.P. II 219 Pie XII / Pio XII / Pacelli E. I 232, 235,
Pelagio I 319, 320 239, 245, 265; II 234, 241; III 45, 50,
Pellegrini G. I 226 51, 78, 189, 192, 200, 201, 204
Pelletier G. I 221 Pieper K. I 255, 256
Pelletier-Bui A. II 89 Pierantozzi G. I 226, 227
Pelvi V. I 195, 203 Pieta Z. I 222
Pena F.J. I 200 Pietras H. III 156, 157, 158
Pena González M.A. III 234 Pietropaoli C. III 206, 207, 208, 209
Pighin B.F. I 226, 243; II 234
Perazzoli B. II 135, 136
Pigna A. I 189, 198, 199, 202
Percivale F. II 135, 136, 137, 138, 139
Pinho do Custodio II 232
Pereira de Almeida J.M. II 20
Pinna D. I 230
Pereña L. III 224
Pinsent A. III 247
Perin R. I 232
Pinto R. I 247
Perrat C. I 238 Pio [da Pietrelcina] I 231, 232
Pesci U. I 218 Pío II, III 235
Peters J. I 258 Pio VI, I 221
Peters M.A. III 120 Pio VII / Pie VII, I 221, 227, 238, 239, 274;
Petit de Meurville B.V.M. / Lemau de la III 199
Barre B.V.M. I 270 Pio VIII / Pie VIII / Castiglioni F.S. I 221,
Petricola M. III 250-257 224, 225, 245, 274; III 199
Pettersson P. III 108 Pio IX / Pie IX / Pius IX, I 218, 219, 221,
Pettinaroli L. I 225, 230, 232, 235, 240, 241 222, 226, 227, 231, 232, 241, 244, 274;
Peuchmaurd M. I 147 III 73, 198, 199
Phan P.C. III 60, 94 Pio X / Pie X / Pius X / Sarto G.M. I 221,
Phillips, Jr. W.D. I 246 226, 227, 230, 232, 235, 241, 242, 267,
Piacenza M. I 229 275, 295, 300, 310; III 73, 78, 203, 204,
Piatti P. I 234 205, 206, 211
Piazza C. III 234 Pio XI / Pie XI / Pius XI / Ratti A. I 221,
Piazzoni A.M. I 232 227, 230, 231, 232, 235, 236, 240, 241,
Pie IX / Pio IX / Pius IX, I 218, 219, 221, 242, 243, 244, 246, 265, 266, 267, 268,
222, 226, 227, 231, 232, 241, 244, 274; 293, 298, 309; II 234; III 185, 189, 192,
III 73, 198, 199 201, 204

301
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Pio XII / Pie XII / Pacelli E. I 232, 235, 239, Prudhomme C. I 233, 234, 235, 246, 248,
245, 265; II 234, 241; III 45, 50, 51, 78, 266, 268, 283, 298; III 189
189, 192, 200, 201, 204 Putin V. III 64
Piotrowski T. II 178
Piovani P. II 22 Quacquarelli A. I 238
Pirotte J. I 233 Quast K. II 122
Pirri P. I 238
Pisa da U. II 65 Rabens V. I 123, 127, 128
Pisani P. I 247 Rademacher N. I 225
Pius IX / Pio IX / Pie IX, I 218, 219, 221, Radhakrishnan S. II 247
222, 226, 227, 231, 232, 241, 244, 274; Radzilowski J. III 93
III 73, 198, 199 Raffa V. III 155
Pius X / Pie X / Pio X / Sarto G.M. I 221, Raffin Bouchal Sh. II 89
226, 227, 230, 232, 235, 241, 242, 267, Ragnow M. I 246
275, 295, 300, 310; III 73, 78, 203, 204, Rahner K. I 193; III 15, 232, 254
205, 206, 211 Ramakrishna Paramahansa II 242
Pius XI / Pie XI / Pio XI / Ratti A I 221, Ramírez Johnson J. III 63
227, 230, 231, 232, 235, 236, 240, 241, Ramsey B. III 123
242, 243, 244, 246, 265, 266, 267, 268, Ranica M. I 224
293, 298, 309; II 234; III 185, 189, 192, Ranke von L. I 256
201, 204 Ranke-Heinemann U. II 262
Pizzorusso G. I 214, 236, 237, 244, 245 Raskin J.D. III 120
Platone II 58, 59, 60, 61; III 169, 176 Ratti A. / Pie XI / Pio XI / Pius XI, I 221,
Plested M. III 241 227, 230, 231, 232, 235, 236, 240, 241,
Plokhy S. II 166 242, 243, 244, 246, 265, 266, 267, 268,
Plongeron B. I 233, 282 293, 298, 309; II 234; III 185, 189, 192,
Poels V. I 225, 266, 298 201, 204
Poggi V. II 219 Ratzinger J. / Benedetto XVI / Benedict XVI
Pollard B.J. II 48 / Benedikt XVI, I 170, 173, 180, 222,
Poma de Ayala F.G. III 232 325; II 46, 203, 213, 214; III 46, 60,
Pompeo A. I 227 121, 189
Ponzio P. II 29 Ravasi G. III 127
Porges S.W. II 88 Rawls J. II 32, 33
Porter J. I 330; II 94 Recchi S. I 192
Porter S.E. II 108 Recchia A. I 213-215
Portinaro P.P. II 24 Reddy V. I 123
Possenti V. II 257, 258, 259, 260, 261 Regoli R. I 217-249, 215; III 189, 204, 205
Pousset E. I 196 Rehberg A.E. I 234
Powell M.A. III 46 Reich W.T. II 78, 81
Pozzo R. II 257 Reinhartz A. III 275
Prato E. III 163 Rendtorff J.D. II 77
Prestige G. III 169 Reynal G. I 155
Prévotat J. I 244 Ricard M. II 88
Prodi P. I 219 Riccardi A. I 235; II 178
Prosperi A. I 229 Ricoeur P. II 127; III 162, 253
Proudhon P.-J. III 177 Rieger J. III 133

302
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Ries J. II 107 Sahagún de B. III 218


Rinieri I. I 239 Sahi J. II 236, 248, 249, 251, 253
Ripley J. I 93, 96 Said E.W. II 26
Ritzler R. I 222 Saint Olive H. I 284
Rivinius K.J. I 251 Saint-Simon de Rouvroy de Cl.-H. III 177
Rizzardi G. II 219 Sala G.A. I 226, 227, 239
Rizzi A. II 35 Salakpi A. II 107-126
Rizzi G. II 211, 220 Salatiello G. III 269, 270, 271, 272
Robert M.-H. I 247 Saldi S. III 97, 277
Roberti F. I 230 Salemink T. I 225
Roberts B.W. II 89 Salerno E. III 94
Roberts M.B. II 89 Salinas Araneda C. III 205
Roboredo M. III 230 Salmeri G. III 118
Rocquet C.-H. III 115 Salutati L. II 26
Rogier L.J. I 282 Salvarani B. II 266, 268, 269
Rognon F. III 128 Salvarani R. I 229
Rolland R. III 117 Samuel ben Nachmàn I 95
Romano S. I 239 Samuelsson G. I 82
Romány P. II 164 Sánchez Campos F.F. I 176
Roncalli A. / Giovanni XXIII / Jean XXIII, Sander W. III 89
I 145, 147, 149, 174, 268; II 184, 203 Sandoval de A. III 235
Sandrin L. II 78
Rooney J.D. III 243
Sanfilippo M. I 218, 244, 245
Roosevelt F.D. II 190
Sankara Th.I.N III 133
Ros F. II 239
Sanneh L. III 214
Rosen D. III 273
Santoncini G. I 229
Rosmini A. II 131, 132, 134, 135, 136,
Santoni P. I 222
137, 138, 139 Saraco A. I 229
Rosoli G. I 245; III 70, 72, 73, 79, 80, 84 Sarto G.M. / Pie X / Pio X / Pius X, I 221,
Ross C. III 63 226, 227, 230, 232, 235, 241, 242, 267,
Rossi L. III 128 275, 295, 300, 310; III 73, 78, 203, 204,
Routhier G. I 137-159 205, 206, 211
Rovello A. II 26 Sartori O. III 74, 79, 81, 82
Roveri A. I 239, 240 Sartre J.P. II 50, 71
Roy Ram Mohan II 242 Satolli F. III 76
Roze des Ordons A.L. II 89 Sauoma E. II 163
Rubert A. III 187 Savage J. I 246
Ruiten J. I 44 Saverio F. I 245, 274
Rusconi R. I 229 Sayad A. III 21, 24
Russel Hochschild A. III 29 Scaiola D. I 18
Russo G. II 78 Scalabrini G.B. I 245; III 5, 6, 9, 10, 13,
Ryan M. II 96 17, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78,
79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86
Sabbarese L. I 213 Scalzotto T. I 233
Sabetta G. II 227-253 Scanziani F. III 158
Saccardo G. III 222, 226, 229, 235, 236 Scapardini AG. / G.A. III 206, 207

303
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Scarantino L.M. II 257, 259 Simeoni G. III 73, 74, 76, 77, 80
Scarpelli Cory Th. III 244 Simmel G. III 21
Scarvaglieri G. I 197 Simmonds N.E. I 329
Schatz K. I 214 Simone da Bisignano II 65
Schelling von F.W.J. III 258, 262, 263 Simonetti M. III 157
Scherman N. I 32 Simonio G. II 222
Schiaparelli E. III 70 Simon-Thomas E. II 90
Schmidlin J. I 215, 224, 251, 252, 253, Sims Bainbridge W. III 88
254, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, Sinclair Sh. II 89
262; III 213, 214, 232, 233 Singer T. II 88
Schnackenburg R. I 97; II 97 Sirvent R. II 66
Schneider B. I 241 Sisto V, II 217
Schneider G. II 111 Skeb M. III 275
Schroer S. I 58 Skira J.Z. III 92
Schulz J.W. III 139 Skoda A. III 15-17; 87-111
Sciacca M.F. II 127, 128, 129, 130, 131, Skorka A. III 275, 278
132, 133, 134, 135, 136, 137, 139, 140, Sloane Coffin W. III 59
141, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 148, Sloterijk P. III 168
149, 150, 151, 152, 153, 154, 155 Smend R. II 28
Scorsese M. II 48 Smit J.F.M. II 109
Scottà A. I 235, 267 Smit P.-B. I 114
Searle J.R. III 268 Smith J. I 91
Sebastianelli S. I 240 Smith R. I 236
Secrest L.L. III 63 Smith R.K. III 134
Sefrin F. I 222 Smith S. II 89
Segalla G. II 21 Snijders F.L. II 169
Semeraro C. I 230, 232, 246; III 189 Soards M.L. I 113
Sen A. II 33 Sobrino J. II 34
Sen K.C. II 242 Sodano A. II 186, 200
Seneca L.A. II 61 Sodi M. I 227, 229
Senent de Frutos J.A. II 30 Söding T. I 84
Sequeri P. III 121, 159, 162, 164, 165, 169 Solano Pérez-Lila F. III 220
Settimio Severo III 50 Solovyov V.S. III 118, 119
Seubert S. III 32 Sommavilla G. III 117
Sgubbi G. II 257, 259 Sorge B. I 170, 198, 202
Shah Muhammad Adil II 231 Sorge B. II 22, 82
Shen M. II 109 Soto de D. III 224
Shilling Chr. III 108 Southgate C. III 59
Shimon ben Gamaliel 92 Spada D. III 155
Sibre O. I 245 Spadolini G. I 238
Siegel D. II 88 Spagnolo E. II 262-265
Sievernich M. I 251; III 213, 214, 218, 219 Spalding J. III 69
Sievers J. III 273, 275 Spinoza B. 261
Sileo L. I 266 Sprows Cummings K. I 245
Silvagni D. I 218 Staffa D. III 204

304
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Stafford J.F. I 229 Teresa of Avila III 65


Stalin I. II 160 Terragni G. III 69-86; 17
Stanghetti G. I 277 Teruel de A. III 219, 226, 229, 230
Stark R. III 88 Tessore D. II 211
Stefanini L. II 128 Testi C.A. III 117
Steffen P.B.W. I 214 Theissen G. I 72, 81
Stein E. III 253 Thekkedath J. II 232, 239
Stein S.J. I 113 Theodor J. I 95
Steindl S.R. II 87, 88, 89 Theodorus Mopsuestiensis I 97
Stemberger G. III 275 Thevenot X. I 188
Still T.D. I 114 Thibaud P. II 96
Stock S. I 246 Thiselton C.A. II 109, 110, 111, 112, 113,
Stowers S.K. I 117, 118, 133 114, 115, 116
Strauss C. II 90 Thomas a Jesu I 254
Stückl C. III 275 Thomas Aquinas / Thomas d’Aquin / Tom-
Studebaker S.M. III 133 maso d’Aquino I 138, 139, 140, 144,
Studer B. III 168 145, 153; II 32, 70, 133, 134, 135, 136,
Stump E. III 241, 242, 244 137, 138, 139, 145, 245; III 117, 123,
Su-Min Ri A. I 37 160, 241, 242, 243, 244, 245, 246, 247,
Sydnor J.P. III 133 248, 249
Thomas J.T. III 119
Tabacchi S. I 229 Thomasset A. II 91, 93, 96, 97, 102
Tábet M. I 18 Tian Gengxin II 234
Tacus Lancia R. I 227 Tierney B. II 65
Tagliaferri M. I 230 Tigchelaar E.J.C. I 94
Tambini S. III 162 Tilford N.L. I 50
Tappenden F.S. I 121, 127 Tillard J.M.R. I 203
Taraborrelli U. I 229 Tillich P. III 254, 267
Tardini D. I 238; III 210 Tito III 49
Tatay J. I 176 Tittmann H. I 239
Tatum G. I 118 Tolomeo R. I 242
Taylor B.L. II 90 Tomasi di Lampedusa G. I 163
Taylor Ch. II 60 Tomasi S. III 70, 72, 73, 79, 80, 84
Tedde E. I 267, 268 Tomasi S.M. I 245
Tedeschini M. II 257 Tommasino P.M. II 220
Teilhard de Chardin P. III 254 Tommaso apostolo II 234, 235, 236, 237,
Tellegen C.L. II 89 238, 239, 240
Tempels P. III 218 Tommaso d’Aquino / Thomas d’Aquin / Tho-
ten Have H. II 47, 48, 49, 51, 52, 79, 81, mas Aquinas I 138, 139, 140, 144, 145,
112 153; II 32, 70, 133, 134, 135, 136, 137,
Teodoro di Mopsuestia II 239 138, 139, 145, 245; III 117, 123, 160,
Teofilo / Bannerjee / Upa-dhya-y, Brahma- 241, 242, 243, 244, 245, 246, 247, 248,
ba-ndhav II 242, 243 249
Terenzio Afro, Publio II 158 Toniolo G. III 70
Teresa di Calcutta II 180, 181 Torralba Roselló F. II 78

305
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Tosi F. III 192 Vannutelli V. I 275, 277, 292


Toso C. III 235 Varisco S.M. III 87-111; 17
Toso M. II 27 Varnier G.B. I 242
Totaro F. II 257, 259 Varnier G.B. III 204
Traiano III 49 Vega A. III 224
Traniello F. I 265 Vellguth K. I 251; III 213
Trevisiol A. I 214, 266 Vendemiati A. I 327-330
Trianni P. III 116, 118, 128 Venditti G. I 239
Trigg R. III 268 Venzo M.I. I 227, 237
Trinchese S. I 224, 267, 268 Vergani M. I 203
Trincia L. I 235 Vernooij J. I 225
Trivinho E. III 120 Vervenne M. I 44
Tronto J. II 52, 53 Vestal T.M. II 168
Trupiano A. II 29 Viaene V. I 234
Trzeciak S. II 89 Vian G.M. I 231, 238
Tucci R. I 147, 148, 150, 151 Viano C.A. II 128
Turkson P.K.A. I 176 Vico A. I 277, 292
Twenge J.M. II 88 Vidal M. II 94
Vigne D. III 130
Udoh F.E. I 118 Vila Vilar E. III 235
Ugeux B. II 20 Vilaca H.C.R. III 108
Ugolini R. I 224
Vilfrido di York III 50
Uguccione da Pisa II 65
Villapadierna de I. III 214, 226
Umoh C.R. II 122, 123
Vinci da Leonardo III 176
Upa-dhya-y, Brahmaba-ndhav / Teofilo / Ban-
Vinerba R. I 195
nerjee II 242, 243
Vingiani M. II 266
Urbano VIII, III 203, 235
Vinzent M. III 157
Uriarte J.M. I 190, 191, 192, 197, 205
Viola F. I 327, 330
Urioste J.L. III 232
Vircondelet A. II 177
Uttley L. II 88
Virgile I 144
Valente M. I 241 Virieux-Raymond A. II 148
Valentini D.M. III 133 Virilio P. III 120
Valentini N. III 118 Visceglia M.A. I 233
Valentini T. II 257, 260 Vitale A.M. II 29
Valeriano III 50 Vitoria de F. III 224
Valignano A. II 240 Viva V. I 214; II 26, 79
Valk de H. I 225, 227, 230, 243 Viveka-nanda II 242
Valk de J.P. I 240, 241 Vives J.B. I 254
Valvo P. I 242; III 204, 205 Volpe Landi Gb. III 70
Van Geest P. I 225, 243 Voss Roberts M. III 133
Van Rensselaer P. II 75 Vrecken van de P. I 240
Van Rossum W.M. / G. I 225, 243, 252, 257,
263, 266, 268, 277, 288, 289, 292, 293, Waldenfels H. III 215, 219
294, 295, 297, 298, 302, 303, 308, 309, Walter H. I 128
311; III 200 Walther J.A. II 112, 116

306
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei nomi dell’annata

Walzer M. III 22 Yablokov A.V. II 167


Wardle T. I 93 Yakovlevich Tsvetkov V. III 124
Ware K. III 128 Yáñez H.M II 71
Warneck L.G. I 251, 256 Yarbro Collins A. III 274
Warren J.-P. I 244 Yeo K.-K. II 109
Warren R. I 20 Yifei Yan II 89
Wassen C. I 95 Yong A. III 63
Weber C. I 218, 219, 220, 221, 235 Young E.M. III 133
Wehrli-Johns M. II 68 Yunus M. I 166
Weil S. III 129, 130, 253
Welbi P. II 22 Zachman R. III 275
Welby J. I 164 Zaleski W.M. II 243
Westermann C. I 43, 44, 45, 47 Zambarbieri A. I 234
Wetering van de H. I 225 Zameza J. I 258
White Th.J. III 241, 242 Zamjatin E. III 178
Whitehead M. I 165 Zampetti G. I 266, 281
Zanatta L. III 188
Wijsen F.J.S. III 93
Zanetti G. II 59, 60
Wiles E. III 62
Zanfrini L. III 19-43; 17
Wilkins M. I 81
Zanobi da Firenze M. III 237
Williams B.A.O. II 59
Zatti A. III 5, 9
Williams Th. III 248
Zatti G. II 219
Williamson H.G.M. I 54
Zazo A. I 240
Willibrord III 50
Zehnder M.P. I 47
Willis W. II 109, 112, 113, 115
Zerwick M. I 91, 93, 97, 98
Wimmer A. III 21, 23, 24
Zerwick M. II 111, 112
Winfrid-Bonifacio III 50 Zetter R. II 47
Winnicott D. II 51 Zhihong Ren II 89
Wischmeyer O. I 83 Zhok A. III 162
Witaszek G. II 79 Zijlstra O. III 128
Wojtyła K. (Lolek) / Jean Paul II / John Paul Zimbardo Ph.G. II 57
II / Giovanni Paolo II, I 177, 178, 179; II Zimmermann R. I 72
48, 157, 159, 160, 161, 162, 163, 164, Žižek S. III 120
165, 167, 169, 171, 173, 175, 177, 178, Zizioulas I. I 103
179, 180, 181, 182, 183, 184, 185, 186, Zlotowitz M. I 32
187, 189, 190, 191, 192, 193, 194, 195, Zubillaga F. III 187
196, 197, 198, 199, 200, 201, 202, 203, Zubiri X. II 29
204, 205, 212, 268; III 53, 70, 71, 80, Zuccaro C. II 22, 95
191 Zumárraga de J. III 227, 228
Wolff H.W. I 55, 128 Zwiep A.W. I 114
Wright N.T. I 110, 111, 113, 114, 116, 119
Wyszynski S. I 222

307
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dell’annata
(in ordine alfabetico per Autore)

Donatella Abignente
Vulnerabilità della morale, morale della vulnerabilità . . . . . . . . . . . . II 19-44

Tedros Abraha
L’hai fatto poco meno di un ‘ĕlōhîm» (Salmo 8,6). Eccellenza e mi-
seria di Aˉdām. Riflessioni sul documento della Pontificia Commissione
Biblica: «Che cosa è l’uomo?» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 17-39

Pier Virginio Aimone Braida, Maurizio Martinelli,


Alessandro Recchia
Introduzione a “1622-2022, IV centenario di fondazione della Congre-
gazione per l’evangelizzazione dei popoli” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 213-215

Reginald Alva
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan
in the Contemporary Times . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 137-152

Fabio Baggio
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 45-54

Vidas Balčius
Introduzione al Focus “Morale e vulnerabilità” . . . . . . . . . . . . . . . . . . II 15-17
Id.
Per una cultura della compassione: prospettive di etica cristiana . . . II 87-103

Stephen Bevans
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theo-
logy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 55-67

Mario Bracci
Recensione a: ASHRAF N.I. ABDELMALAK, Introduzione alla Cristolo-
gia del Mediatore di Romano Guardini. vol I: L’essenza del Cristia-
nesimo e la persona del Mediatore; vol II: Il Mediatore della creazione,
della rivelazione, della redenzione e dell’escatologia . . . . . . . . . . . . . I 323-326
Id.
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325) (I). La struttura simbolica
della formula di fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 153-172

309
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dell’annata

Franco Giulio Brambilla


Recensione a: ARMANDO GENOVESE, Moriar ne moriar. Un itinerario
di discernimento con Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 315-322

Elena Cecchi
Recensione a: BRUNETTO SALVARANI, L’alterità come grazia. Ragioni
e prospettive di un’educazione al dialogo interreligioso . . . . . . . . . . . . II 266-269

Fernando Chica Arellano


Una chiamata all’ecologia integrale e all’amicizia sociale per proteg-
gere la nostra casa e famiglia comune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 161-186
Id.
Giovanni Paolo II e la lotta contro la fame e la povertà . . . . . . . . . . . . II 157-205
Id.
Recensione a: STEFANO SALDI – CARLO MARIA MARENGHI (a cura di)
High-level Event on Fraternity, Multilateralism and Peace. Presenta-
zione della Lettera Enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti . . . . . . . III 277-278

Francesco Cocco
Introduzione al Focus «Che cosa è l’uomo?». Il documento della PCB
sull’antropologia biblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 15-16

Lorella Congiunti
Recensione a: ELEONORE STUMP – THOMAS JOSEPH WHITE (eds.), The
New Cambridge Companion to Aquinas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 241-249
Ead.
Recensione a: GIORGIA SALATIELLO, Sinodalità di donne e di uomini III 269-272
Ead.
Recensione a: RICCARDO POZZO – MARCO TEDESCHINI (a cura di), L’es-
sere dopo la metafisica moderna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II 257-261

Valentino Cottini
Tra polemica e testimonianza. Rapporto tra annuncio e da‘wa . . . . . II 209-225

Card. Michael Czerny


Fraternità: utopia o salvezza? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 175-183

Mariano Delgado
Josef Schmidlin und die Propaganda: von der Festschrift zur Drei-
hundertjahrfeier (1922) zum Konflikt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 251-262
Id.
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de
los Capuchinos durante la Missio antiqua en el Reino del Congo (1645-
1835) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 213-238

310
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dell’annata

Giovanni Del Missier


Vulnerabilità e cura: sfide e opportunità per la bioetica . . . . . . . . . . . II 75-85

Pino Di Luccio
Il segno della nuova umanità nella teologia del quarto Vangelo in un
recente documento della PCB e nell’enciclica sociale Fratelli tutti . . . I 89-108

Mario L. Grignani
Unità, universalità ed efficacia. Il progetto di riorganizzazione del-
l’Opera della Propagazione della Fede discusso a Propaganda Fide
il 12 gennaio 1920 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 263-311
Id.
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda
Fide dell’Archivio Storico del Dicastero per l’Evangelizzazione (1900-
1938). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 185-212

Marcin Kowalski
Pauline Anthropology: Contemporary Currents and Challenges . . . . I 109-133

Antonio Landi
«Chi è l’uomo»? (Sal 8,5). La dimensione antropologica del messag-
gio di Gesù. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 63-87
Id.
Recensione a: JOSEPH SIEVERS – AMY-JILL LEVINE (a cura di), I farisei.
Con il discorso rivolto da papa Francesco ai partecipanti del Convegno III 273-276

Boris Lazzaro
Sperare in tempo di crisi. Analisi metaforico-cognitiva di Is 40,27-31 I 41-62

Gaetano Lombardo
L’ontologia personalista di Michele Federico Sciacca: l’esistenza umana
tra partecipazione e finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II 127-155

René Mario Micallef


Pensare la vulnerabilità umana come elemento strutturante della morale II 45-73

Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca


A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time . . . . . . . . . III 115-136

Antoine Ndiaye
La castità consacrata. Profili antropologico-giuridici (can. 599). . . . . I 187-210

Ardian Ndreca
Recensione a: MARCO IVALDO, Sul male. Kant, Fichte, Schelling, Hegel III 258-264

311
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dell’annata

Ardian Ndreca
Recensione a: ANDREA AGUTI, Morale e religione. Per una visione teistica III 265-268

Mariangela Petricola
Recensione a: CARMELO DOTOLO, L’utopia cristiana dell’umano. Idee
per un umanesimo differente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 250-257

Roberto Regoli
Lo stato dell’arte degli studi sulla Congregazione di Propaganda Fide
tra XIX e XX secolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 217-249

Gilles Routhier
Une théologie pour mieux comprendre la vie, le monde et les hommes I 137-159

Gaetano Sabetta
I cristiani indiani nel racconto degli archivi di Propaganda Fide:
storia, attualità, prospettive nell’ottica dell’inculturazione . . . . . . . . . II 227-253

Alexander Salakpi
Ancestral Stool Veneration Revisited within the Lens of 1Cor 8:1-13 II 107-126

Aldo Skoda
Introduzione al Focus “Le migrazioni tra pensiero teologico e azione
pastorale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 15-19

Aldo Skoda – Simone M. Varisco


Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico. Giovani con background mi-
gratorio nei seminari italiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 87-111

Emanuele Spagnolo
Recensione a: ROBERTO MASSARO, Si può vivere senza eros? La dimen-
sione erotica dell’agire cristiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II 262-265

Giovanni Terragni
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migra-
zioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III 69-86

Aldo Vendemiati
Recensione a: FRANCESCO VIOLA, 1900-2020. Una storia del diritto
naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I 327-329

Laura Zanfrini
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church . . . . . . . III 19-43

312
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei volumi

VOLUME I
Giovanni Ancona
EDITORIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
EDITORIAL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

FOCUS – «CHE COSA È L’UOMO?». IL DOCUMENTO DELLA PCB


FOCUS – SULL’ANTROPOLOGIA BIBLICA

Francesco Cocco
Introduzione al Focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Tedros Abraha
L’hai fatto poco meno di un ‘ĕlōhîm» (Salmo 8,6). Eccellenza e miseria
di Aˉdām. Riflessioni sul documento della Pontificia Commissione Biblica:
«Che cosa è l’uomo?» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

Boris Lazzaro
Sperare in tempo di crisi. Analisi metaforico-cognitiva di Is 40,27-31 . . 41

Antonio Landi
«Chi è l’uomo»? (Sal 8,5). La dimensione antropologica del messaggio
di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

Pino Di Luccio
Il segno della nuova umanità nella teologia del quarto Vangelo in un
recente documento della PCB e nell’enciclica sociale Fratelli tutti . . . . . . 89

Marcin Kowalski
Pauline Anthropology: Contemporary Currents and Challenges . . . . . . . 109

ARTICOLI

Gilles Routhier
Une théologie pour mieux comprendre la vie, le monde et les hommes . . 137

Fernando Chica Arellano


Una chiamata all’ecologia integrale e all’amicizia sociale per proteggere
la nostra casa e famiglia comune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161

313
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei volumi

Antoine Ndiaye
La castità consacrata. Profili antropologico-giuridici (can. 599) . . . . . . . . 187

ACADEMICA – 1622-2022, IV CENTENARIO DI FONDAZIONE DELLA


ACADEMICA – CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI

Pier Virginio Aimone Braida, Maurizio Martinelli,


Alessandro Recchia
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213

Roberto Regoli
Lo stato dell’arte degli studi sulla Congregazione di Propaganda Fide
tra XIX e XX secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217

Mariano Delgado
Josef Schmidlin und die Propaganda: von der Festschrift zur Dreihun-
dertjahrfeier (1922) zum Konflikt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251

Mario L. Grignani
Unità, universalità ed efficacia. Il progetto di riorganizzazione dell’Opera
della Propagazione della Fede discusso a Propaganda Fide il 12 gen-
naio 1920 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263

RECENSIONI

Franco Giulio Brambilla


ARMANDO GENOVESE, Moriar ne moriar. Un itinerario di discernimento
con Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315

Mario Bracci
ASHRAF N.I. ABDELMALAK, Introduzione alla Cristologia del Mediatore
di Romano Guardini. vol I: L’essenza del Cristianesimo e la persona del
Mediatore; vol II: Il Mediatore della creazione, della rivelazione, della
redenzione e dell’escatologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323

Aldo Vendemiati
FRANCESCO VIOLA, 1900-2020. Una storia del diritto naturale . . . . . . . . . 327

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331


Norme redazionali per gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341
Guidelines for Authors . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345

314
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei volumi

VOLUME II
Giovanni Ancona
EDITORIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
EDITORIAL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

FOCUS – MORALE E VULNERABILITÀ

Vidas Balčius
Introduzione al Focus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Donatella Abignente
Vulnerabilità della morale, morale della vulnerabilità . . . . . . . . . . . . . . . 19

René Mario Micallef


Pensare la vulnerabilità umana come elemento strutturante della morale 45

Giovanni Del Missier


Vulnerabilità e cura: sfide e opportunità per la bioetica . . . . . . . . . . . . . . 75

Vidas Balčius
Per una cultura della compassione: prospettive di etica cristiana . . . . . . 87

ARTICOLI

Alexander Salakpi
Ancestral Stool Veneration Revisited within the Lens of 1Cor 8:1-13 . . . 107

Gaetano Lombardo
L’ontologia personalista di Michele Federico Sciacca: l’esistenza umana
tra partecipazione e finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127

Fernando Chica Arellano


Giovanni Paolo II e la lotta contro la fame e la povertà . . . . . . . . . . . . . . . 157

ACADEMICA – 1622-2022, IV CENTENARIO DI FONDAZIONE DELLA


ACADEMICA – CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI

Valentino Cottini
Tra polemica e testimonianza. Rapporto tra annuncio e da‘wa . . . . . . . . 209

Gaetano Sabetta
I cristiani indiani nel racconto degli archivi di Propaganda Fide: storia,
attualità, prospettive nell’ottica dell’inculturazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

315
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei volumi

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Lorella Congiunti
RICCARDO POZZO – MARCO TEDESCHINI (a cura di), L’essere dopo la meta-
fisica moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257

Emanuele Spagnolo
ROBERTO MASSARO, Si può vivere senza eros? La dimensione erotica del-
l’agire cristiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262

Elena Cecchi
BRUNETTO SALVARANI, L’alterità come grazia. Ragioni e prospettive di
un’educazione al dialogo interreligioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271

VOLUME III
Giovanni Ancona
EDITORIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
EDITORIAL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

FOCUS – LE MIGRAZIONI TRA PENSIERO TEOLOGICO


FOCUS – E AZIONE PASTORALE

Aldo Skoda
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Laura Zanfrini
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church . . . . . . . . . . 19

Fabio Baggio
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

Stephen Bevans
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology 55

Giovanni Terragni
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni 69

Aldo Skoda – Simone M. Varisco


Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico. Giovani con background migra-
torio nei seminari italiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

316
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei volumi

ARTICOLI

Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca


A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time . . . . . . . . . . . . 115

Reginald Alva
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan in
the Contemporary Times . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137

Mario Bracci
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325) (I). La struttura simbolica
della formula di fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

ACADEMICA – FESTA PATRONALE DELL’UNIVERSITÀ (30.03.2022)


ACADEMICA – “FRATELLI TUTTI, SENZA FRONTIERE”

Card. Michael Czerny


Fraternità: utopia o salvezza? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175

ACADEMICA – 1622-2022, IV CENTENARIO DI FONDAZIONE DELLA


ACADEMICA – CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI

Mario L. Grignani
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide
dell’Archivio Storico del Dicastero per l’Evangelizzazione (1900-1938) . . . 185

Mariano Delgado
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros y la actividad misionera de los
Capuchinos durante la Missio antiqua en el Reino del Congo (1645-1835) 213

RECENSIONI / SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Lorella Congiunti
ELEONORE STUMP – THOMAS JOSEPH WHITE (eds.), The New Cambridge
Companion to Aquinas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241

Mariangela Petricola
CARMELO DOTOLO, L’utopia cristiana dell’umano. Idee per un umanesimo
differente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 250

Ardian Ndreca
MARCO IVALDO, Sul male. Kant, Fichte, Schelling, Hegel . . . . . . . . . . . . . . 258

Ardian Ndreca
ANDREA AGUTI, Morale e religione. Per una visione teistica . . . . . . . . . . . . 265

317
3/2022 ANNO LXXV URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Indice dei volumi

Lorella Congiunti
GIORGIA SALATIELLO, Sinodalità di donne e di uomini . . . . . . . . . . . . . . . . 269

Antonio Landi
JOSEPH SIEVERS – AMY-JILL LEVINE (a cura di), I farisei. Con il discorso
rivolto da papa Francesco ai partecipanti del Convegno . . . . . . . . . . . . . . . 273

Fernando Chica Arellano


STEFANO SALDI – CARLO MARIA MARENGHI (a cura di) High-level Event on
Fraternity, Multilateralism and Peace. Presentazione della Lettera Enci-
clica di Papa Francesco Fratelli Tutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279


Indice dei nomi dell’annata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287
Indice dell’annata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309
Indice dei volumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313

318
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL 3/2022 ANNO LXXV

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Realizzazione editoriale

SERVIZI INTEGRATI PER LA GRAFICA


LA STAMPA E L’EDITORIA
www.ingegnografico.com

Stampa
Tipografia Mancini s.a.s. – 2023
Tivoli (Roma)

Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Copia ad esclusivo uso personale degli aventi diritto. Riproduzione riservata © UUP
Cop_UUJ_3_2022_Layout 1 17/01/23 10:51 Pagina 1

3
2022
LXXV

UUJ
Urbaniana

Urbaniana University Journal Euntes Docete


University Nova Series

Pontificia Università Urbaniana


Journal 3/2022 LXXV

FOCUS – Le migrazioni tra pensiero teologico e azione pastorale


Laura Zanfrini
Migrations. A Mirror of Society, a Challenge for the Church
Fabio Baggio
Migrazioni, missione e diffusione della Chiesa
Stephen Bevans
“They Have Much to Teach Us”: Migrants, Their Experience, and Theology
Giovanni Terragni
Testimone di una Chiesa in uscita: l’opera di Scalabrini per le migrazioni
Aldo Skoda – Simone M. Varisco
Famiglie immigrate e sacerdozio cattolico

ARTICOLI
Fátima María Naranjo Marrero – Giovanni Patriarca
A Praise of Slowness. Lanza del Vasto’s Pedagogy of Time
Reginald Alva
The Application of the Message of the Parable of the Good Samaritan
in the Contemporary Times
Mario Bracci
Per una rilettura del Simbolo di Nicea (325) (I)

ACADEMICA
Card. Michael Czerny
Fraternità: utopia o salvezza?
ISBN 978-88-401-9057-0
UUP Mario L. Grignani
L’America Latina negli Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide
Urbaniana
e 15,00 ISSN 2522-6215 Mariano Delgado University
Reflexiones sobre los «aprioris» misioneros Press

Potrebbero piacerti anche