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ARTICOLI
Salvatore Currò
La qualità della diaconia ecclesiale: reciprocità, comune umanità e risonanza del Vangelo
Antonino Drago
Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità.
Il libro Introduzione alla vita interiore di Lanza del Vasto
Jean Yawovi Attila
Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
ACADEMICA
Juan Antonio Guerrero Alves
La ministerialità dell’attività economica
nel contesto del rinnovamento missionario della Chiesa
Klaus Schatz Urbaniana
L’affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella University
e la revisione della questione dei riti Press
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Journal 1/2023 LXXVI
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Journal
URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL EUNTES DOCETE
Rivista quadrimestrale della Pontificia Università Urbaniana di Roma
Anno di fondazione 1948 Nova Series LXXVI/1 2023
EDITORIALE 5
EDITORIAL 7
Giovanni Ancona
Introduzione 11
Kokou Mawuena Ambroise Atakpa – Sandra Mazzolini
ARTICOLI
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Indice
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EDITORIALE
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1/2023 ANNO LXXVI, 5-6 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL
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Editoriale
entrare nella mistica condizione della sinodalità umana. Il futuro del pia-
neta non è solo una questione ambientale, ma anche e soprattutto una que-
stione antropologica. Nessuna proiezione apocalittica, ma solo il desiderio
speranzoso di riconoscerci simili e di coltivare insieme quel misterioso ba-
gaglio delle nostre esistenze. Ideale utopico? Forse; e anche piuttosto “leg-
gero”. Ma gli ideali utopici muovono spesso verso direzioni di compiutezza
e di vita riuscita.
GIOVANNI ANCONA
Direttore
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EDITORIAL
he March 2023 world scenario is a really terrifying one and I hope this
T might raise awareness in human beings of good sense. For my part, once
again, I bear the responsibility of thinking about issues that should definite-
ly not be forgotten, despite the current tendency to “normalize” them. We
cannot remain indifferent to the tragedy of extended and protracted con-
flicts, and my thoughts turn to what is happening between Russia and
Ukraine. Once get used to the steady stream of news, war is perceived as
normal, legitimate, reasonable.
But yet, the monstruous events and pitiful sights reaching us from this
absurd and inhuman tragedy should be enough to disclose that human be-
ings are able to deny, humiliate and annihilate life. Beware that chip rhet-
oric – mine included, perhaps – can make taking on responsibilities more
difficult. None can be personally involved with the drama unless emotion-
ally affected by the big show launched by the media and their debating
pundits and strategists, “high priests” who ultimately produce only a dis-
concerting sense of empty thinking. In addition, there is the ongoing and
wretched holocaust of migrants, washed up on our coasts as dead bodies.
The link between wars and desperate human experiences is clear. Inhu-
man flights end up in landings which mean death or further existential dif-
ficulties. The tragedy of Cutro as well others of the same kind taking places
at the edges of less or more renowned coasts and ports are before our eyes.
And also in circumstances like this, what prevails is the logic of holding
someone else responsible, governmental and non-governmental powers, in-
stitutions, organizations, in order to resolve every problem. Nobody is per-
sonally involved in tragedies anymore: the show must go on. So what? As
for my opinion, being touched at heart, experiencing an emotional shock,
figuring out the causes and, for the purpose of a clear conscience, provid-
ing some sort of material and spiritual support, although helpful, is not
enough. The true human option – again, in my opinion – is the light of the
good news of Jesus Christ, having the determination of supporting the life
of each and every one, enemies included. All of us should overcome the
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Editorial
GIOVANNI ANCONA
Director
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FOCUS
Sinodalità in contesto
Antonio Landi
Paolo, testimone “sinodale”.
Un’indagine alla luce degli Atti degli apostoli
Mario L. Grignani
La II Conferenza episcopale venezuelana (1923)
e l’azione di mons. Filippo Cortesi nunzio apostolico
in Venezuela alla luce della documentazione vaticana
Luciano Meddi
Ridisegnare la ministerialità. Compito sinodale
Vito Mignozzi
Una Chiesa sinodale nei contesti socio-culturali attuali
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Kokou Mawuena Ambroise Atakpa
Sandra Mazzolini
INTRODUZIONE
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Kokou Mawuena Ambroise Atakpa – Sandra Mazzolini
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Introduzione
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Kokou Mawuena Ambroise Atakpa – Sandra Mazzolini
no tra l’altro un adeguato discernimento dei segni dei tempi, perché la si-
nodalità non riguarda soltanto le relazioni infra-ecclesiali, ma anche quel-
le inter- ed extra-ecclesiali.
Sandra Mazzolini
Pontificia Università Urbaniana
Facoltà di Missiologia
([email protected])
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Antonio Landi
Introduzione
Il libro degli Atti degli Apostoli offre interessanti spunti per riflettere sulla
prassi sinodale che ha caratterizzato la chiesa di età apostolica1; anche se
Luca non utilizza espressamente il termine sýnodos2, che non compare mai
nella letteratura neotestamentaria, è l’unico autore a impiegare lemmi che
afferiscono la medesima area semantica, come synodéuo- («andare insie-
me»; «condividere il cammino»: At 9,7) e synodía («compagnia di viag-
gio»: Lc 2,44). Soprattutto, è nel libro di Atti che il sostantivo hodós («via»,
«cammino») designa la dottrina cristiana nel suo insieme (At 19,23; 22,4;
24,22) o i cristiani come gruppo (9,2; 24,14).
Al di là delle ricorrenze lessicali, nel racconto lucano la sinodalità carat-
terizza lo stile che impronta la chiesa di Gerusalemme e le consente di af-
frontare e risolvere le tensioni che si verificano al suo interno. Pietro con-
vince la comunità circa la necessità di eleggere un nuovo apostolo che
prenda il posto lasciato vacante da Giuda (1,15-26). Le proteste dei giu-
1
Per un’indagine più accurata ci permettiamo di rimandare ad A. LANDI, Camminare
insieme. Lo stile sinodale nella chiesa delle origini (Dimensioni dello Spirito), San Paolo,
Cinisello Balsamo, MI 2021.
2
Col significato di «riunione», «convegno» è ben attestato nella storiografia greca clas-
sica (cf. ERODOTO, Storie 9,27.43; TUCIDIDE, Storie 1,97; SENOFONTE, Anabasi 6,4) e nella
letteratura filosofica (cf. PLATONE, Fedro 97).
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Antonio Landi
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Sull’attendibilità della storiografia lucana, segnaliamo a titolo esemplificativo il volu-
me collettivo di J. SCHRÖTER – J. FREY – C. ROTHSCHILD (eds.), Die Apostelgeschichte im
Kontext antiker und frühchristlicher Historiographie (Beihefte zur Zeitschrift für die neu-
testamentliche Wissenschaft 162), De Gruyter, Berlin 2009.
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
Le difficoltà sorte nella comunità non sono risolte per esclusiva delibera-
zione dell’autorità apostolica. La necessità di nominare un sostituto di Giu-
da non risponde ad un’esigenza emergenziale, che Pietro potrebbe affrontare
e risolvere in piena autonomia in virtù della posizione di primo piano che egli
occupa nel gruppo apostolico4. Il suo compito è quello di condividere con
l’assemblea, composta da circa centoventi fratelli e sorelle, il discernimento
relativo all’affidamento del ministero lasciato vacante dal traditore ad un al-
tro. Pietro non si è lasciato condizionare da esigenze di ordine pratico, ma ha
riflettuto sulla volontà divina alla luce dei fatti accaduti (il suicidio di Giu-
da) e delle Scritture (cf. le citazioni di Sal 69,26 e Sal 109,8 in At 1,20).
Non ha imposto il suo candidato, ma si è limitato a fornirne i requisiti (At
1,21-22):
Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tem-
po nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal batte-
simo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in
cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione.
4
È sufficiente ricordare che nelle due liste apostoliche attestate nell’opera lucana, Lc
6,14-15 e At 1,13b, Pietro occupa sempre il primo posto. Inoltre, solo a Pietro Gesù con-
ferisce il mandato di confermare i suoi fratelli nella fede (Lc 22,32). Sulla rilevanza del-
la figura petrina nel dittico lucano, si veda A. LANDI, Pietro, una figura identitaria per la
cristianità lucana, “Rivista Biblica” 67 (2019), 3, 377-399.
5
Sulla composizione della comunità di Gerusalemme e sulla leadership al suo interno,
segnaliamo i contributi di D.A. FIENSY, The Composition of the Jerusalem Church, 213-
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236, e R. BAUCKHAM, James and the Jerusalem Church, 415-480, raccolti nel volume col-
lettaneo: ID. (ed.), The Book of Acts in Its First Century Setting. Volume 4. Palestinian Set-
ting, Eerdmans – Paternoster Press, Grand Rapids, MI – Carlisle 1995.
6
In At 2,1-4 Luca non specifica che lo Spirito abbia rivestito solo i Dodici apostoli; l’e-
spressione «tutti erano insieme nello stesso (luogo)» (2,1) richiama la descrizione della
prima comunità di Gerusalemme composta dai Dodici, da alcune donne con Maria la ma-
dre di Gesù e i suoi fratelli, così che il numero complessivo era di circa centoventi fratel-
li (1,12-15). Inoltre, dopo la preghiera d’invocazione elevata al Signore dalla comunità ge-
rosolimitana, grata per la liberazione di Pietro e Giovanni, il narratore riferisce che «tut-
ti furono pieni di Spirito Santo» (4,31).
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
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Sulla comunità di Antiochia di Siria, segnaliamo due pubblicazioni: A. DRIMBE, The
Church of Antioch and the Eucharistic Traditions (ca. 35-130 CE) (Wissenschaftliche Un-
tersuchungen zum Neuen Testament 2, 529), Mohr Siebeck, Tübingen 2020; e M. SLEE, The
Church in Antioch in the First Century CE. Communion and Conflict (Journal for the study
of the New Testament. Supplement series 244), Sheffield Academic Press, London 2003.
18
Sull’argomento si vedano i contributi di L.M. MACIÁ, Conversion and Midrash. On
Proselytes and Sympathisers with Judaism in “Leviticus Rabbah”, “Journal for the Study of
Judaism in the Persian, Hellenistic, and Roman Period” 42 (2011), 1, 58-82; e di É. NODET,
Prosélytes or Craignant-Dieu (Ac 2,11)?, “Revue Biblique” 120 (2013), 4, 596-605.
19
D. MARGUERAT, Gli Atti degli Apostoli. Vol. 2 (At 13–28), EDB, Bologna 2015, 102:
«Sono quindi i giudeo-cristiani a essere invitati a rivisitare l’origine della loro fede, per
scoprirvi il dono della grazia piuttosto che l’adesione alla Legge».
10
Il termine ekkle-sía traduce l’ebraico qāhāl, che designa l’assemblea d’Israele convo-
cata per il dono della Legge presso il Sinai (Es 24,6-8; 34,20-26) e radunata presso il
Tempio per celebrare il dono dell’alleanza. Nel NT ricorre 114 volte, di cui 23 in Atti; nei
vangeli è attestato solo in Mt 16,18; 18,17(2x).
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La sinodalità «non designa una semplice procedura operativa, ma la forma peculia-
re in cui la chiesa vive e opera»: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La Sinodalità
nella vita e nella missione della Chiesa, Città del Vaticano 2018, 42.
12
Al tempo in cui sono ambientanti gli eventi descritti era la terza città più abitata al
mondo dopo Roma ed Alessandria d’Egitto con una popolazione che oscillava tra i quat-
trocentomila e i seicentomila abitanti; cf. GIUSEPPE FLAVIO, La guerra giudaica III, 4,2.
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13
L.T. JOHNSON, Atti degli Apostoli (Sacra Pagina 5), Elledici, Torino 2007, 174-178.
14
In passato si è ritenuto erroneamente che Sáulos (At 7,58b; 8,1a.3; 9,1.11.22.24;
11,25.30; 12,25; 13,1.2), o Saul (9,4.17; 22,7.13; 26,14) sia il nome utilizzato da Pao-
lo prima della sua cosiddetta “conversione” alla fede in Cristo. In realtà, Sáulos o Saul
è il nomen aramaico. Il greco Páulos, di cui il latino Paulus è un calco, è il cognomen di
origine greco-romana che egli aveva in virtù della cittadinanza romana perché residente
a Tarso. Luca lo sa (cf. At 16,37; 21,25b.29) e, a partire da At 13,9, in concomitanza con
l’inizio della missione ai Gentili, utilizzerà quasi esclusivamente il nome Paolo per voler
indicare la definitiva apertura universale del vangelo. A tal proposito, si vedano M. HEN-
GEL, Il Paolo precristiano (Studi biblici 100), Paideia, Brescia 1992, 50, e S.M. MCDO-
NOUGH, Small Change: Saul to Paul, Again, “Journal of Biblical Literature” 125 (2006),
2, 390-391.
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
15
Cf. 1Cor 16,1; 2Cor 8,3-6; Gal 2,10.
16
In At 11,26 è la prima volta che il termine ekkle-sía è esteso ad una comunità diver-
sa da quella gerosolimitana.
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casuale che nel libro di Atti la prima segnalazione di figure profetiche è col-
locata subito dopo la fondazione della chiesa antiochena; si tratta di profe-
ti provenienti da Gerusalemme; tra di loro, Agabo vaticina, sotto l’ispirazio-
ne dello Spirito Santo, l’imminenza di una grande carestia che si abbatterà
su tutta la terra (11,27-28).
La chiesa di Gerusalemme, dopo aver decretato che per i Gentili conver-
titi non sia necessario l’obbligo della circoncisione, invia una lettera infor-
mativa «ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pa-
gani» (15,23) per mezzo di Paolo e Barnaba. Ad essi si aggiungono due
esponenti dell’assemblea gerosolimitana: Giuda, conosciuto anche come
Barsabba, e Sila, stimati da tutti (15,22). Terminata la lettura della missi-
va, essendo anche profeti, esortano i cristiani antiocheni incoraggiandoli e
fortificandoli fino alla loro partenza (15,32-33).
Parlare o agire in maniera profetica è opera dello Spirito Santo; dopo es-
sere stati evangelizzati e battezzati, i cristiani di Efeso ricevono il dono del-
lo Spirito e si esprimono in lingue e profetizzano (19,6). L’attività carisma-
tica non è appannaggio esclusivo degli uomini; le quattro figlie nubili del-
l’evangelizzatore Filippo, a Cesarea, hanno il dono della profezia (21,9).
Pertanto, il profeta è colui/colei che parla e agisce per ispirazione dello
Spirito per far conoscere ai credenti il disegno divino; non si tratta sempli-
cemente di prevedere che cosa accadrà in futuro, ma di rivelare come Dio
intende agire perché i credenti possano discernere il suo progetto. Alla pro-
fezia è associata anche la dimensione didascalica. Nel primo grande som-
mario del libro di Atti relativo alle quattro perseveranze che contribuiscono
a delineare lo statuto della vita della comunità (2,42-46), la didachḗ («in-
segnamento») occupa la prima posizione. Il movimento cristiano delle ori-
gini nasce all’interno del giudaismo, e da esso eredita la convinzione che la
fede nasca dall’ascolto della parola. L’insegnamento del vangelo, pertanto,
è parte essenziale del processo di formazione dell’identità cristiana della
comunità antiochena.
Nel libro di Atti si fa cenno all’attività didascalica di Barnaba (11,26) e
di Saulo (18,11; 20,20); tuttavia, solo Saulo è descritto nell’esercizio della
profezia: pieno di Spirito Santo, si contrappone al mago e falso profeta Eli-
mas che intende distogliere il proconsole Sergio Paolo dall’ascolto del van-
gelo, e preconizza la sua temporanea cecità per essersi contrapposto all’o-
pera divina (13,6-12).
Ai nomi di Barnaba e Saulo sono associati anche quelli di Simone detto
Niger, Lucio di Cirene e Manaèn compagno d’infanzia del tetrarca, Erode
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
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In Eb 10,11 è riferito al servizio del Tempio di Gerusalemme, mentre in Didachḗ
15,1-2 esprime il culto cristiano.
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Nel libro di Atti il verbo proskaléomai esprime il senso della vocazione e dell’elezio-
ne divina (2,39; 16,10).
19
Si noti il doppio riferimento alle due attività: At 13,2.3.
20
J. COPPENS, L’imposition des mains dans les Actes des Apòtres, in J. KREMER (ed.), Les
Actes des apôtres. Traditions, rédaction, théologie (Bibliotheca Ephemeridum Theologi-
carum Lovaniensium 48), Duculot – University Press, Gembloux – Leuven 1979, 405-438.
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
stati «inviati dallo Spirito Santo» (13,4). Inoltre, è la prima volta che il pun-
to di partenza della missione non è Gerusalemme bensì Antiochia di Siria,
ed è doveroso da parte del narratore lucano sottolineare che la dislocazio-
ne non è casuale, né risponde ad una decisione umana, ma rimanda al pro-
getto divino.
Salpati da Seleucia, giungono presso l’isola di Cipro e a Salamina procla-
mano il vangelo nelle sinagoghe locali (13,5): lo Spirito non ha indicato i
destinatari dell’opera per la quale Barnaba e Paolo sono stati prescelti. L’e-
pisodio più significativo si svolge a Pafo (13,6-12): Paolo, colmo di Spirito
Santo, è costretto a misurarsi con un mago e falso profeta giudeo, di nome
Elimas (Bar-Jesus), che si oppone alla proclamazione del vangelo destina-
ta al proconsole Sergio Paolo.
È il simbolo dell’ostilità alla diffusione del messaggio della salvezza da
parte di un ambiente, che teme di perdere prestigio, potere e lucro dall’e-
sercizio della magia e della falsa profezia, come dimostrano i casi della
schiava che praticava la divinazione procurando notevoli introiti ai suoi pa-
droni fino all’intervento di Paolo, che la libera dallo spirito pitone (16,16-
18); e degli efesini che, dopo la conversione, hanno scelto di rinunciare al-
l’esercizio della magia, bruciano i rotoli contenenti le formule magiche per
un valore di circa cinquantamila monete d’argento (19,18-19).
La tappa più significativa è rappresentata dalla predicazione di Paolo
nella sinagoga di Antiochia di Pisidia (13,14-41): il kerygma è proclamato
alla presenza dei Giudei e dei timorati di Dio, vale a dire Gentili che han-
no aderito al giudaismo, frequentano la sinagoga, osservano il sabato e han-
no discreta familiarità con le Scritture d’Israele. Paolo si rivolge all’udito-
rio ricorrendo all’appellativo adelphói («fratelli»): l’ascolto e l’accoglienza
del vangelo annullano la separazione tra Giudei e Gentili e, in virtù della
promessa fatta ad Abramo (cf. Gen 12,3), sono accomunati per volontà di
Dio nel beneficiare della salvezza concessa per mezzo di Cristo.
L’eco della predicazione paolina si diffonde ben oltre il perimetro sina-
gogale, e attira quasi tutta la città che, il sabato successivo, si reca presso
di lui e Barnaba per ascoltare il suo insegnamento, suscitando la zelo reli-
gioso21 dei Giudei, che si oppongono alla proclamazione della salvezza
estesa anche ai Gentili che non frequentano la sinagoga (13,44-45). La re-
21
Il termine zélos (At 13,45) non esprime il sentimento di gelosia, ma l’ardore religio-
so che anima i Giudei ostili al progetto paolino di evangelizzare i Gentili che non appar-
tengono ai timorati di Dio.
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22
Si veda J. DUPONT, Nouvelles Études sur les Actes des Apôtres (Lectio Divina 118), Les
Éditions du Cerf, Paris 1984, 350-357.
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
a1) taîs).
Nella composizione concentrica individuata emerge in maniera palese
che lo stile comunionale e sinodale che caratterizza le relazioni tra i disce-
poli della chiesa antiochena è consolidato dalla certezza che la missione
condotta da Paolo e Barnaba è stata suscitata e sostenuta dall’azione divi-
na. In effetti, è Dio il soggetto dei verbi epóie-sen («fece») ed ḗnoixen
(«aprì»); tuttavia, ciò è avvenuto non senza l’impegno e lo sforzo profusi dai
missionari antiocheni. La sinergia umano-divina è il presupposto indispen-
sabile per la comunione intraecclesiale.
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Ciò che in Cristo è prefigurato, è affidato alla missione degli apostoli: es-
si sono chiamati a rendergli testimonianza da Gerusalemme fino all’estre-
mità della terra, ai Giudei come ai Gentili (24,47-48; At 1,8). Ancor prima
che Pietro si rechi in casa di Cornelio, inaugurando di fatto la definitiva
apertura della comunità cristiana al mondo pagano, il Signore invia Anania,
un discepolo damasceno, presso Saulo, chiedendogli di non aver paura di
lui perché è stato scelto perché divulghi il suo Nome «dinanzi alle nazioni,
ai re e ai figli d’Israele» (At 9,15).
In tal senso, il primo viaggio ha confermato la vocazione missionaria di
Paolo: si è prodigato nell’evangelizzazione dei Giudei che dimorano nei ter-
ritori della Diaspora, privilegiando le sinagoghe come luoghi di annuncio
(13,5.14; 14,1). L’itinerario di viaggio tracciato dallo Spirito ha consentito a
Paolo di far conoscere il messaggio della salvezza anche al proconsole Ser-
gio Paolo (13,6-12); ai timorati di Dio che frequentano la sinagoga e ai resi-
denti di Antiochia di Pisidia (13,14-49); anche gli abitanti di Iconio (14,1)
e di Listra (14,8-18) hanno la possibilità di ascoltare la sua predicazione.
È interessante notare che l’adesione alla fede dei Gentili è preceduta
esclusivamente dall’ascolto del vangelo proclamato dai missionari antio-
cheni; da parte sua, non è richiesto altro: Sergio Paolo crede dopo aver vi-
sto ciò che era accaduto al mago e falso profeta Elimas, colpito dal potere
efficace dell’insegnamento del Signore (13,12); la gioia dei residenti antio-
cheni per aver udito che la volontà salvifica è estesa anche alle genti si tra-
muta in convinta adesione di fede (13,48), così come numerosi sono i cit-
tadini di Iconio che accolgono il vangelo e divengono credenti (14,1). Pao-
lo e Barnaba sono persuasi che l’accesso alla fede dei Gentili dipenda
esclusivamente da Dio: nulla dev’essere richiesto o imposto loro, se non l’a-
scolto e l’accoglienza del vangelo.
Ciò che accade ad Antiochia non resta celato a Gerusalemme, dove una
porzione della comunità, di formazione farisaica, si oppone alla prassi
adottata da Paolo e Barnaba. Il narratore prova a sfumare i contorni dell’i-
dentità degli oppositori paolini, riferendo che coloro che sono giunti ad
Antiochia con l’obiettivo di costringere i credenti locali ad accettare la cir-
concisione sono «alcuni provenienti dalla Giudea» (15,1). È una formula-
zione vaga che non offre maggiori indicazioni sul numero e sulla prove-
nienza dei predicatori; solo quando Paolo e Barnaba salgono a Gerusalem-
me, appare chiaro che l’obbligo della circoncisione e della sottomissione
alla legge mosaica è richiesto da alcuni della setta dei farisei divenuti cre-
denti (15,5).
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
Nella sua esposizione dei fatti Luca non ha taciuto il clima di tensione e
di persecuzione patito dai discepoli, né le crisi interne alla chiesa che han-
no rappresentato una grave minaccia per gli equilibri interni. L’inganno
perpetrato da Anania e Saffira, che mentono sull’esatto importo ricavato
dalla vendita di un terreno, può nuocere alla prassi della condivisione dei
beni praticata nella comunità di Gerusalemme (5,1-11); nessuno è obbliga-
to a praticarla, ma il gesto dev’essere compiuto in sincerità e trasparenza.
Anche il malcontento degli ellenisti, che protestano perché la negligenza
nei confronti delle loro vedove nel servizio delle mense (6,1-6), può incri-
nare l’equilibrio interno della comunità.
Nel primo caso, la presa di posizione autorevole di Pietro smaschera la
menzogna dei due coniugi, contro i quali si abbatte una punizione letale; la
loro morte suscita grande timore in tutta la chiesa e in quanti vengono a co-
noscenza dei fatti accaduti. Il malcontento degli ellenisti, invece, è sedato
dall’intervento del gruppo apostolico che, su indicazione dell’assemblea,
individua sette uomini ai quali, dopo l’approvazione apostolica, è affidata
la diakonía delle mense.
Tuttavia, la controversia relativa all’accoglienza dei Gentili rischia di
diventare divisiva, perché tocca l’identità della chiesa che, all’epoca dei
fatti raccontati da Luca, si concepisce come un gruppo interno al giudai-
smo, in cui la circoncisione e la sottomissione alla Toràh sono ritenute
simboli identitari ai quali non è possibile rinunciare senza implicare una
progressiva dissoluzione dello statuto identitario del popolo eletto24. La
propaganda dei missionari giunti ad Antiochia e la mozione proposta dai
giudeo-cristiani di formazione farisaica a Gerusalemme si contrappongo-
no alle scelte fatte da Paolo e Barnaba, refrattari a imporre l’obbligo del-
la circoncisione.
23
Preferiamo tradurre «con», anziché «per mezzo» (cf. CEI 2008), conservando il si-
gnificato della preposizione metá.
24
S.D. BUTTICAZ, L’identité de l’Eglise dans les Actes des apôtres. De la restauration d’Is-
raël à la conquête universelle (Beihefte zur Zeitschrift für die neutestamentliche Wissens-
chaft und die Kunde der älteren Kirche 174), De Gruyter, Berlin – New York, NY 2011,
308; J.D.G. DUNN, Boundary Markers in Early Christianity, in J. RÜPKE (ed.), Gruppenre-
ligionen im römischen Reich. Sozialformen, Grenzziehungen und Leistungen (Studien und
Texte zu Antike und Christentum 43), Mohr Siebeck, Tübingen 2007, 49-68; J.T. SANDERS,
Who Is a Jew and Who Is a Gentile in the Book of Acts?, “New Testament Studies” 37
(1991), 3, 434-455; A. VANHOYE, Les Juifs selon les Actes des Apôtres et les Épîtres du Nou-
veau Testament, “Biblica” 72 (1991), 1, 70-89.
31
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25
A. LANDI, Il vangelo fino ai confini della terra. Testimonianza e missione negli Atti de-
gli Apostoli (Studi sull’Antico e sul Nuovo Testamento), San Paolo, Cinisello Balsamo, MI
2020, 133.
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
La crisi legata alla questione della circoncisione dei Gentili convertiti è or-
mai superata, e Paolo e Barnaba proseguono il loro impegno di evangelizza-
zione ad Antiochia di Siria (At 15,35). Trascorso del tempo, Paolo propone a
Barnaba di tornare presso le comunità fondate durante il loro primo viaggio
(15,36); il motivo che induce Paolo a voler riprendere il cammino non è mis-
sionario, bensì pastorale, come conferma l’uso del verbo episképtomai, nel
senso di «visitare», «sorvegliare», «vagliare con attenzione» (cf. 6,3).
Inoltre, vale la pena sottolineare che l’iniziativa non è ispirata dallo Spi-
rito Santo, come avvenuto in precedenza (13,2-3), ma è presentata come la
volontà di Paolo di fare visita ai fratelli con lo scopo di sincerarsi delle lo-
ro condizioni, memore delle non poche tribolazioni che essi sono stati co-
stretti ad affrontare per restare saldi nella fede (14,22).
Barnaba è d’accordo, e vuole che si unisca anche Giovanni detto Marco
(15,37), che in precedenza aveva condiviso il cammino con loro da Geru-
26
ID., «A People from the Gentiles» (Acts 15,14). The Inclusion of the Gentiles and the
Christian Identity Making in Luke-Acts, “Archivio Teologico Torinese” 26 (2020), 2, 459-
474 (468-473).
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27
Per MARGUERAT, Atti degli Apostoli. Vol. 2, 127, «Giovanni sarebbe più vicino alle ri-
serve gerosolimitane sulla missione universale che alle posizioni di Paolo, cosa che ne fa-
rebbe un partner teologicamente poco affidabile».
28
È l’opinione di R. PESCH, Atti degli Apostoli. Seconda edizione (Commenti e studi bi-
blici), Cittadella Editrice, Assisi, PG 20052, 619.
34
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
Nel libro degli Atti degli Apostoli il ritratto di Paolo è caratterizzato dal te-
ma della testimonianza (martyría): egli è scelto dal Risorto per divenire suo
testimone (mártys), proclamando al cospetto delle genti, dei re e dei figli
29
C.K. BARRETT, A Critical and Exegetical Commentary on the Acts of the Apostles. Vol.
II: Acts XV-XXVIII (International Critical Commentary), T&T Clark, London – New York,
NY 1998, 757-758.
30
Sila (At 15,39-17,15; 18,5); Timoteo (16,1-17,15; 18,5; 19,22; 20,4); Aquila e Pri-
sca (18,2-19); Erasto (19,22); Gaio e Aristarco (19,29; 20,4); Sopatro, Secondo, Tichico
e Trofimo (20,4).
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31
Si veda A. LANDI, La testimonianza necessaria. Paolo, testimone della salvezza uni-
versale a Roma in At 28,16-31 (Analecta biblica 210), Gregorian&Biblical Press, Roma
2015, 151-167.
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Paolo, testimone “sinodale”, Un’indagine alla luce degli Atti degli Apostoli
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ABSTRACT
Nel libro degli Atti degli Apostoli sono soprattutto due i tratti che caratterizzano
la figura dell’apostolo Paolo: egli è il missionario, che diffonde il vangelo nei ter-
ritori della Diaspora (At 13-21) e, dopo il suo arresto a Gerusalemme, il prigio-
niero che rende testimonianza al Risorto sino a Roma (At 22-28). Il suo legame
con la chiesa di Antiochia e la collaborazione con Barnaba contribuiscono a fa-
re di lui un testimone sinodale, che sotto la guida dello Spirito Santo condivide
la fatica di proclamare il vangelo.
In the Book of the Acts of the Apostles there are two traits above all that charac-
terize the figure of the Apostle Paul: he is the missionary, who spreads the
Gospel in the territories of the Diaspora (Acts 13-21), and after his arrest in
Jerusalem, the prisoner who bears witness to the Risen One as far as Rome
(Acts 22-28). His bond with the Church of Antioch and his collaboration with
Barnabas contribute to making him a synodal witness, who under the guidance
of the Holy Spirit shares the effort of proclaiming the Gospel.
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La synodalité est l’une des réalités majeures dans la vie de l’Église com-
munion. Elle implique et traverse toute la vie de l’Église. En cet article,
nous aimerions au premier abord prendre en examen le sens et la source
théologique de cette réalité qui, de nos jours, passerait comme une mode,
une nouvelle manière, voire une façon plus raffinée de faire la théologie.
Par la suite, nous irons aux sources de la synodalité, l’Église, mystère de
communion, pour cerner, enfin, les ministères dans la vie de l’Église com-
me éléments essentiels du dynamisme synodal.
1
J.-M.R. TILLARD, L’Église locale. Ecclésiologie de communion et catholicité, Coll.
« Cogitatio fidei » n° 191, Les Éditions du Cerf, Paris 1995, 331.
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une pratique aussi ancienne que l’Église. Elle a refait surface de manière
significative dans la vie de l’Église depuis le Concile Vatican II. De nos
jours, c’est un thème prépondérant dans le magistère du Pape François et
dans la réflexion des théologiens. Aussi bien que l’Église, la synodalité est
une réalité communionnelle. Elle engage tous les baptisés. Le synode est
nécessairement et structurellement communion. C’est un circumincessio
(au sens strict du terme) entre les baptisés en communion intime avec le
Dieu Trinitaire. Le cheminement et la vie de toute l’Église Pérégrinante
vers sa patrie céleste se décline dans les termes « synode/synodalité »,
« concile/conciliarité » au point de les interchanger. Mais il est toujours né-
cessaire de saisir la particularité et le sens propre de chacun de ces termes
pour ne pas céder à toute confusion ou ambiguïté. Aussi, une clarification
sémantique s’impose. Les termes « synodes » et « conciles » relèvent du
contexte historique et confessionnel. En revanche les termes « conciliarité »
et « synodalité » sont des catégories abstraites :
2
G. RUGGIERI, À propos des synodes: l’histoire nous interroge, “Recherches de Science
Religieuse” 106, (2018), 3, 363-364. Cf. ID., Per una Chiesa sinodale, in A. MELLONI (a
cura di), Sinodalità. Istruzione per l’uso, EDB, Bologna 2021, 14-15.
3
« Dans l’Église catholique, la distinction dans l’usage des paroles “concile” et “syn-
ode” est récente. Au deuxième concile du Vatican, ce sont des synonymes qui désignent
l’assise conciliaire. Une précision a été introduite par le Codex Iuris Canonici de l’Église
latine (1983) dans lequel on distingue entre concile particulier (général ou provincial) et
concile œcuménique, d’une part, et synode des évêques et synode diocésain, d’autre
part», COMMISSION THÉOLOGIQUE INTERNATIONALE (CTI), La synodalité dans la vie et dans
la mission de l’Église, 2 mars 2018, n. 4.
40
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4
Ibid., n. 6.
5
Saint JEAN CHRYSOSTOME, Explicatio in Ps. 149, PG 55, 493.
6
TILLARD, L’Église locale, 333-334.
7
« Si les Églises locales des premiers siècles se rassemblent […] pour traiter de ques-
tions graves, en modelant parfois leurs réunions sur les assemblées civiles, c’est qu’elles
ont coulé dans des formes séculières ce que leur conscience de la nature communionnelle
de l’Église de Dieu les incitait à instituer comme moyen normal pour régler les affaires
non plus de la cité mais du “Peuple de Dieu”, de la “maison de Dieu” (Ep 2, 19; 1 Tm 3,
15 ; He 3, 6 ; 1 P 2, 5) », ibid., 348.
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8
« La signification de la règle de “trois évêques au moins” est capitale. […] Elle ac-
tualise le fait que l’ordination de l’évêque n’est jamais l’affaire de l’Église locale fermée
sur elle-même mais la concerne en tant qu’en elle se trouve en vérité l’Église de Dieu. Or
celle-ci est par nature koinônía, communion non seulement des hommes et des femmes
d’un espace donné mais de toutes les communautés que soude l’Esprit de la réconcilia-
tion pascale. L’évêque de toute Église locale vient à la fois d’elle et d’ailleurs, parce que
sa foi, sa mission, son témoignage, ses moyens de Salut ne sont d’elle qu’en étant aussi
d’ailleurs. Ils n’existent que dans sa communion aux autres Églises locales sans laquelle
elle ne serait pas en toute intégrité Église de Dieu », ibid., 244.
9
« Quand (donc) on lit dans le code de 1983, visant à donner forme institutionnelle
aux intuitions du concile Vatican II et surtout à la constitution Lumen gentium (32), la pe-
tite phrase, à première vue banale, “doivent être convoqués au synode diocésain comme
membres du synode et sont tenus par l’obligation d’y participer […] des fidèles laïcs”
(canon 463, 5), on a la certitude que là s’amorce un retour à l’authentique nature de
l’Église locale », ibid., 353.
42
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10
« Au commencement du deuxième siècle, le témoignage d’Ignace d’Antioche décrit la
conscience synodale des diverses Églises particulières qui se considèrent solidairement
comme expression de l’unique Église. Dans la lettre qu’il envoie à la communauté d’Éphèse,
il affirme que tous ses membres sont σύνοδοι, compagnons de voyage, en vertu de la dignité
baptismale et de leur amitié avec le Christ. De plus, il souligne l’ordre divin qui fait l’har-
monie de l’Église, appelée à chanter la louange de l’unité à Dieu le Père dans le Christ Jé-
sus: le collège des prêtres est le conseil de l’évêque et tous les membres de la communauté,
chacun selon son rôle, sont appelés à l’édifier. La communion ecclésiale est produite et man-
ifestée dans la synaxe eucharistique présidée par l’évêque: elle alimente la conscience et l’e-
spérance qu’à la fin de l’histoire, Dieu réunira dans son royaume toutes les communautés qui
aujourd’hui la vivent et la célèbrent dans la foi », CTI, La synodalité, n. 25.
11
Cf. G. KRETSCHMAR, Die Konzile der alten Kirche, in H.J. MARGULL (Hrsg.), Die öku-
menischen Konzile der Christenheit, Evangelisches Verlagswerk, Stuttgart 1961, 13-74; E.
LANNE, L’origine des synodes, “Theologische Zeitschrift” 27 (1971), 3, 201-222; E. JU-
NOD, Naissance de la pratique synodale et unité de l’Église au IIe siècle, “Revue d’histoire
et de philosophie religieuses” 68 (1988), 2, 163-180.
12
RUGGIERI, Chiesa sinodale, IX.
13
TILLARD, L’Église locale, 359-360.
43
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14
« La vie ecclésiale est inconcevable en dehors du dynamisme qui lie Église et évê-
que, les Églises entre elles, les évêques entre eux et au primat romain, le primat romain
aux évêques et à leurs Églises. Si bien que la voix des communautés locales chemine jus-
qu’au nœud de la synodalité et que les décisions du corps épiscopal (que préside l’évê-
que de Rome) retournent aux Églises locales, dans le cycle d’un unique dynamisme, qui
est celui de la koinônía. Où est la puissance de l’Esprit dont vit Église de Dieu en sa ca-
tholicité? Elle n’existe que dans la synergie et la complémentarité des capacités et des
pouvoirs, personnels et collectifs, que l’Esprit distribue au gré de la Divina Providentia
du Père, dans tout le Corps ecclésial du Fils. Car la synodalité ecclésiale se déploie – c’est
son ultime – sous l’emprise de la circumincession trinitaire. Impossible de trancher au
couteau », ibid., 483.
15
Cf. A. GRILLMEIER, Konzil und Rezeption. Methodische Bemerkungen zu einem Thema
der ökumenischen Diskussion der Gegenwart, „Theologie und Philosophie” 45 (1970), 3,
321-352; Y. CONGAR, La “réception” comme réalité ecclésiologique, “Revue des Sciences
Philosophiques et Théologiques” 56 (1972), 3, 369-403; G. ALBERIGO, Elezione-consenso-
recezione nell’esperienza cristiana, „Concilium” 7 (1972), 1247-1260; H.J. SIEBEN, Consen-
sus, unanimitas und maior pars auf Konzilien, von der Alten Kirche bis zum Ersten Vatika-
num, „Theologie und Philosophie” 67 (1992), 2, 192-229; G. ROUTHIER, La réception d’un
concile, (coll. Cogitatio Fidei, 174), Les Éditions du Cerf, Paris 1993; H. LEGRAND – J. MAN-
ZANARES – A. GARCÍA Y GARCÍA (a cura di), Recezione e comunione tra le chiese. Atti del III
colloquio internazionale di Salamanca, 8-14 aprile 1996, EDB, Bologna 1998.
16
Cf. RUGGIERI, Chiesa sinodale, 57.
17
« Un chrétien a toujours besoin d’un frère chrétien : il a besoin de se, faire assurer
ou confirmer par un autre et, autant que possible, par une communauté [...] Le principe
énoncé en Dt 19, 15 sur la nécessité de deux ou trois témoins a été repris dans le Nou-
veau Testament d’une manière qui dépasse le cadre juridique ou procédurier pour pren-
dre une valeur générale de règle du comportement chrétien (68-69) », CONGAR, La Récep-
tion comme réalité ecclésiologique, 51-12.
44
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18
TILLARD, L’Église locale, 359.
19
Cf. RUGGIERI, Chiesa sinodale, 62-63.
20
« Relisant d’un seul trait, avec le recul de plus de vingt ans, les principaux docu-
ments du concile du Vatican II, en parallèle avec les textes promulgués en 1870 et ceux
qui, alors en projet, ne purent être menés à terme, on est frappé par la différence non
seulement de langage ou de ton mais de climat. […] La différence vient de ce qu’à Vat-
ican II la communion – pourtant rarement mentionnée – représente la ligne d’horizon
sur laquelle se détachent les grandes affirmations sur l’Église et sa mission. Peu ex-
plicite, souvent mêlé à des positions venant d’une autre ecclésiologie et maintenues sur
la demande d’une minorité inquiète, ce glissement de la pensée catholique (romaine)
vers la vieille vision patristique – toujours attestée dans la liturgie – est pourtant per-
ceptible sauf peut-être dans les documents mineurs», J.-M.R. TILLARD, Église d’Églis-
es. L’ecclésiologie de communion, Coll. « Cogitatio fidei » n°143, Les Éditions du Cerf,
Paris 1987, 9.
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21
K.M.A. ATAKPA, Mystère de communion : Une seule Église, Universelle et locale. L’ec-
clésiologie de communion de Jean-Marie Roger Tillard, Harmattan, Torino – Paris 2017.
22
Cf. J. RIGAL, L’ecclésiologie de communion. Son évolution historique et ses fondements,
Les Éditions du Cerf, Paris 1997. On trouve tant chez les catholiques, les orthodoxes et
les catholiques des théologiens qui ont donné une contribution significative dans l’élabo-
ration de l’ecclésiologie de communion. Chez les catholiques on retrouve par exemple
Yves Congar, Emmanuel Lanne et Hervé Legrand, chez les orthodoxes Ioannis Zizioulas
et, chez les protestants Jürgen Moltmann.
23
Cf. G. CANOBBIO, Un nuovo volto della Chiesa? Teologia del Sinodo, Morcelliana, Bre-
scia 2023; R. LUCIANI – S. NOCETI, Sinodalmente, Forma e riforma di una Chiesa sinoda-
le, Nerbini, Firenze 2022; N. SALATO (a cura di), La sinodalità al tempo di Francesco 1.
Una lettura storico-dogmatica, EDB, Bologna 2020; F. ASTI – E. CIBELLI, La sinodalità al
tempo di Francesco 2. Una chiave di lettura sistematica e pastorale, EDB, Bologna 2020.
24
TILLARD, Église d’Églises, 9.
25
Cf. A. FINKIELKRAUT, La sagesse de l’amour, Gallimard, Paris 1984; M. BUBER, La Vie
en dialogue, Flammarion, Paris 1992; E. MOUNIER, Écrits sur le personnalisme, préface de
PAUL RICŒUR, (coll. «Points-Essais») Le Seuil, Paris 2000; E. LEVINAS, De l’existence à
l’existant, Vrin, Paris 1998.
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La communion n’est pas une réalité de façade de l’Église, elle est son
être : « Communion (non- division) et singularité (non- absorption) dessi-
nent ensemble la nature de l’être créé “à l’image et ressemblance” d’un
Dieu dont la foi chrétienne proclame la nature trinitaire »28. Étant donné
sa nature, Église n’est autre que mystère de communion29. Elle est à la
fois mystère de communion Trinitaire par son essence et de communion
humano-communautaire du fait de sa présence dans le temps et dans
l’espace jusqu’à la fin des temps. En Christ Jésus, il y a à la fois « réconci-
liation » (Éphésien 2, 16) et « élimination du mur de la haine » (Éphé-
sien 2, 14) entre Dieu et l’humanité et, en même temps, entre les humains
eux-mêmes :
26
TILLARD, Église d’Églises, 33.
27
CONCILE ŒCUMÉNIQUE VATICAN II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 no-
vembre 1964), n. 1.
28
TILLARD, Église d’Églises, 34.
29
Cf. Éphésien 2, 13-22.
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30
TILLARD, Église d’Églises, 66-67.
31
« L’humanité se trouve divisée, coupée par un mur, un mesotoichon (2, 14), qui n’est
autre quei haine. Le terme indique que cette division s’opère à l’intérieur d’une même
maison. Tel est, depuis l’histoire de Caïn et Abel, la tragédie humaine. Et la division de
l’humanité, que font les juifs, en deux blocs, celui du Peuple et celui des païens, ne fait
qu’exacerber cette situation haineuse. À sa façon, la loi elle-même démontre la déchiru-
re du monde en deux fractions dont l’une est déclarée coupée des bénédictions de Dieu.
Ce qui était fruit de l’amour divin pour le Peuple élu est devenu, par la puissance quasi
contraignante de la haine, occasion de mépris à l’égard des peuples “étrangers aux allian-
ces de la promesse” (2, 12). Le terme que nous traduisons par haine (echthra) est à pren-
dre en son sens fort […]. Il signifie une haine qui suinte l’intolérance, la mauvaise foi
cherchant toujours occasion de querelle, le refus de reconnaître chez l’autre quelque cho-
se d’aimable, la ségrégation, l’hostilité, la guerre, le vouloir de revanche. Or sur cette tra-
me – où la Bible voit la conséquence et l’actualisation du péché humain – que se tisse l’-
histoire d’un monde qui va de guerre en guerre et ne construit sa paix que sur l’équilibre
de la terreur. Il est remarquable que la lettre aux Éphésiens dénonce cette haine de l’hu-
manité elle-même pour Dieu (2, 16, cf. Col 1, 21; Rm 8, 7). La première est comme le sa-
cramentum, le symbole de la seconde », TILLARD, Église d’Églises, 68-69.
32
Ibid., 308.
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33
Cf. ibid., 114-116.
49
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L’Église, Corps du Christ, est la communauté des fidèles unis par la foi au
Dieu de Jésus-Christ. Le baptême, sacrement primordial de la filiation divi-
ne des fidèles, habilite à l’exercice du sacerdoce commun ou baptismal. En
effet, la plus haute et la plus noble vocation des disciples du Christ émane du
baptême. Nul n’a su si mieux le dire comme la Première lettre de Pierre :
34
CTI, La synodalité, n. 55.
35
«“Tout renouvellement de l’Église consiste essentiellement en une fidélité plus gran-
de à sa vocation”. Dans l’accomplissement de sa mission, l’Église est donc appelée à une
conversion permanente qui est aussi une “conversion pastorale et missionnaire”, et qui
consiste en un renouvellement des mentalités, des attitudes, des pratiques et des structu-
res pour être toujours plus fidèle à sa vocation. Une mentalité ecclésiale façonnée par la
conscience synodale accueille avec joie et promeut la grâce en vertu de laquelle tous les
baptisés sont habilités et appelés à être des disciples missionnaires. Le grand défi pour la
conversion pastorale qui s’ensuit pour la vie de l’Église aujourd’hui est d’intensifier la
collaboration mutuelle de tous dans le témoignage évangélisateur à partir des dons et des
rôles de chacun, sans cléricaliser les laïcs ni séculariser les clercs, et en évitant dans tous
les cas la tentation “d’un cléricalisme excessif qui maintient les fidèles laïques en marge
des décisions”», CTI, La synodalité, n. 104.
36
1 P 2, 4-5.
50
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37
« S’inscrivant dans le mouvement dont l’encyclique Quadragesimo anno de Pie XI
est sans doute la plaque tournante (en 1931), Vatican II a cherché à réaffirmer la dignité
baptismale des christifideles non ordonnés (surtout dans Lumen gentium 31-38, Presbyte-
rorum ordinis 9, Apostolicam actuositatem et Gaudium et spes 43). Pour ne pas trahir cette
volonté conciliaire, le code de 1983 a donc fait de tous les fidèles le sujet principal des
droits et des devoirs du Corps ecclésial du Christ. Il affirme que, si, par nature, ce Corps
est hiérarchisé, c’est néanmoins sur la base de l’égalité fondamentale des baptisés en dig-
nité et engagement évangélique (can. 208). La diversité des fonctions s’enracine en ce
que le baptême confère à tous comme responsabilité inaliénable dans la mission “que
Dieu a confiée à l’Église pour qu’elle l’accomplisse dans le monde” (can. 204). De
l’évêque sur sa sedes au plus humble des baptisés, tous ont les droits et les devoirs qu’ap-
pelle cette dignitas commune […] », TILLARD, L’Église locale, 306-309.
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Les fidèles du Christ sont ceux qui, en tant qu’incorporés au Christ par
le baptême, sont constitués en peuple de Dieu et qui, pour cette raison,
faits participants à leur manière à la fonction sacerdotale, prophétique
et royale du Christ, sont appelés à exercer, chacun selon sa condition
propre, la mission que Dieu a confiée à l’Église pour qu’elle l’accom-
plisse dans le monde.
Cette Église, constituée et organisée en ce monde comme une société,
subsiste dans l’Église catholique gouvernée par le successeur de Pier-
re et les Évêques en communion avec lui39.
Par institution divine, il y a dans l’Église, parmi les fidèles, les minis-
tres sacrés qui en droit sont aussi appelés clercs, et les autres qui sont
aussi appelés laïcs40.
38
Ibid., 302-303.
39
Can. 204 - §1; §2.
40
Can. 207 - §1.
52
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l’humanité. Les ministères sont l’instrument de cette communion. Ils ont leur
raison d’être s’ils sont uniquement au service de la communion ecclésiale.
La dignité primordiale qui découle des ministères est la participation active
de chaque ministre à la construction de l’unique corps qu’est l’Église41.
L’Église communion est ministre de la Parole de Dieu. Elle proclame la
Parole de Dieu en évangélisant et est évangélisée par Dieu lui-même à tra-
vers celle-ci. C’est par sa foi en Dieu que l’auditeur de la Parole accueille
la Parole de Dieu, Parole de vie et de rédemption42. Le corps ecclésial n’est
donc pas un canal passif pour la transmission de la Bonne Nouvelle. Au
contraire, il participe activement à l’évangélisation à travers le langage de
son temps, de son histoire, de ses joies et de ses angoisses43.
L’Église est perpétuellement dans une sorte de tension entre la fidélité à
la Révélation et la recherche de la manière appropriée, sans compromis ni
assombrissement, de transmettre le message du salut44. La fidélité à la Pa-
role révélée passe à travers les fibres humaines de l’Église d’une génération
à une autre, d’un espace géographique à l’autre. Le sensus fidelium indique
et maintien l’Église, peuple de Dieu dans le chemin de la fidélité à la Ré-
vélation45. À la différence du sacerdoce commun, le ministère ordonné est
essentiellement un ministère “pour”. C’est un ministère exercé pour le
corps de l’Église et dans le corps de l’Église. Il a une fonction de trait d’u-
nion entre Dieu et l’homme. Aussi, est-il essentiel, voire nécessaire, dans la
vie de l’Église. Son importance est cependant toujours relative à l’Église el-
le-même. Sa nature et sa fonction relèvent du Christ et l’Église. On ne peut
concevoir la ministérialité sans l’Église dont elle-même est membre46. Le
41
Cf. TILLARD, L’Église locale, 373-374.
42
Cf. Dei Verbum n. 10.
43
Cf. TILLARD, Église d’Églises, 306-308.
44
Cf. ID., L’Église locale, 318.
45
Cf. COMMISSION THÉOLOGIQUE INTERNATIONALE, Le sensus fidei dans la vie de l’Égli-
se (2014).
46
« Le ministre qui agit comme sacramentum du Christ Tête est lui-même, en tant que
membre du Corps ecclésial, bénéficiaire du don dont il est ministre. Il reçoit comme les
autres le corps et le sang du Seigneur après avoir comme les autres confessé son indignité
et son péché. Il est un fidèle. […] La démarche sacramentelle du ministre ordonné s’in-
scrit au cœur même de l’acte du Corps sacerdotal comme tel. À la synaxe eucharistique,
celui-ci s’insère dans le Sacrifice de Celui qui est sa Tête (sacramentellement représen-
tée dans le ministre) hors de laquelle il est incapable de se tourner tout entier vers le Père
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dans le sacrifice de louange. Le sermon 340 d’Augustin [PL 38, 1482-1484], remanié par
Césaire d’Arles [CCSL 104, 919-921], est un excellent témoin de cette soudure chez le
ministre de sa participation au sacerdoce baptismal de sa communauté et de la responsa-
bilité spécifique que lui impose la charge reçue par l’ordination. Il est chrétien avec tous,
peinant dans une charge qui lui est personnelle et néanmoins le reposant dans le bienfait
commun à tous, puisqu’il est racheté avec tous », TILLARD, L’Église locale, 152-153.
47
PAPE FRANÇOIS, Discours. Commémoration du 50e anniversaire de l’institution du
synode des évêques (Salle Paul VI, Samedi 17 octobre 2015).
48
J.-M.R. TILLARD, Chair de l’Église, chair du Christ : Aux sources de l’ecclésiologie de
communion, (coll. Cogitatio Fidei, 168), Les Editions du Cerf, Paris 1992, 155-156.
49
ID., L’Église locale, 183-185.
54
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50
Ibid., 266-267.
55
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51
Ibid, 259-260.
52
Cf. ibid., 249-250.
53
CONCILE ŒCUMÉNIQUE VATICAN II, Décret sur la charge pastorale des évêques dans
l’Église Christus Dominus (28 octobre 1965), n. 3.
56
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Conclusion
54
«La fonction de l’évêque de Rome n’est pas autre chose qu’une modalité très spéciale
de cette sollicitudo omnium Ecclesiarum donnée avec la grâce épiscopale, donc une forme
particulière d’exercice du sacrement commun de l’épiscopat. Elle est un service dans la
mission globale du collège épiscopal, la fonction du “serviteur des serviteurs de Dieu” se-
lon l’idéal qui perce avec Grégoire le Grand et s’exprime encore dans le titre de chaque
document conciliaire de Vatican II. Il ne tient pas cette modalité d’une hiérarchie sacra-
mentelle qui en ferait un “super évêque”. Mais, évêque comme tous les autres membres
du collège épiscopal il l’est, lui, sur la cathedra de l’Église locale de Rome, que son lien
avec Pierre et Paul investit d’une responsabilité spéciale (une sollicitudo) pour la commu-
nion de toutes les Églises dans la foi, le témoignage et le service. C’est de cette primauté
de son Église locale au sein de toutes les Église locales que l’évêque de Rome tient sa pri-
mauté dans le collège des évêques. En celui-ci, qui possède in globo la responsabilité plei-
ne et suprême sur toute l’Église, il assure une fonction particulière et nécessaire touchant
précisément la cohésion des évêques et leur unité dans la foi que Pierre et Paul ont scel-
lée par leur martyre. La constitution Pastor aeternus de Vatican I, et Lumen gentium de Va-
tican II qui la relit, ne disent pas autre chose», TILLARD, Église d’Église, 328-329.
55
Cf. ID., L’Église locale, 244-245.
56
Cf. ibid., 92.
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ABSTRACT
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Mario L. Grignani
Parole chiave: Pio XI; Filippo Cortesi; Vescovi Venezuela; Quod novas e II Conferenza epi-
scopale venezuelana (1923)
Introduzione
1
L’ingente letteratura induce a segnalare solo alcuni titoli: C. GUTIRÉRREZ VEGA L.C.,
Las primeras Juntas eclesiástica de México (1524-1555), Centro de Estudios Superiores,
Roma 1991; W. HENKEL, Concilio y sínodos hispanoamericanos, in PONTIFICIA COMMISSIO
PRO AMERICA LATINA, Historia de la evangelización de América. Trayectoria, identidad y es-
peranza de un continente – Historia da evangelização da América. Trajéctoria, identidade
e esperança de um Continente, LEV, Ciudad del Vaticano 1992, 661-674; A. GARCÍA Y
GARCÍA, Las asambleas jerarquicas, in P. BORGES (ed.), Historia de la Iglesia en Hispanoa-
mérica y Filipinas (siglos XV-XIX), I. Aspectos generales, BAC Mayor, Madrid 1992, 175-
192 [con prospetti statistici]; PONTIFICIA COMMISSIO PRO AMERICA LATINA, Los últimos cien
años de la evangelización en América Latina. Centenario del Concilio Plenario de América
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Di tali conferenze si trova notizia anche nel più recente documento della
Commissione Teologica Internazionale La Sinodalità nella vita della Chie-
sa3. Nel capitolo «La sinodalità nella Scrittura, nella tradizione e nella sto-
ria», ricco di spunti per interessanti approfondimenti storici, si afferma che
Latina, LEV, Ciudad del Vaticano 2000. In prospettiva giuridica con inquadramento sto-
rico si veda J. DONOSO, Instituciones de Derecho Canónico Americano, I-II, Librería de P.
Yuste i C.a, Santiago de Chile 1861-1862² e le più recenti voci di interesse in J. OTADUY
– A. VIANA – J. SEDANO (eds.), Diccionario General de Derecho Canónico, 7 vols., Univer-
sidad de Navarra – Thomson Reuters Aranzadi, Cizur Menor (Navarra) 2012.
2
PONTIFICIA COMISIÓN PARA AMÉRICA LATINA, Acta et decreta Concilii plenarii Americae
Latinae: in Urbe celebrati, Anno Domini MDCCCXCIX = Actas y decretos del Concilio ple-
nario de la América Latina, Edición facsímil, LEV, Ciudad del Vaticano 1999, 135-136
[num. 208, che citava Leone XIII].
3
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La Sinodalità nella vita della Chiesa, LEV,
Città del Vaticano 2018. Al riguardo si riportano alcuni passaggi dei numeri 6, 7, 9: «6.
[…] La sinodalità, in questo contesto ecclesiologico [ecclesiologia del Popolo di Dio], in-
dica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e rea-
lizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assem-
blea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
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Mario L. Grignani
5
Filippo Cortesi, 1876-1947. Arcivescovo titolare di Sirace, nominato il 30 maggio
1921 nunzio apostolico a Caracas in Venezuela reggerà la nunziatura fino alla nomina a
nunzio in Argentina il 19 ottobre 1926; in attesa della nomina del nuovo nunzio per la Bo-
livia trascorse un periodo a La Paz in Bolivia guidando anche quella Nunziatura (1924-
1925): G. DE MARCHI, Le Nunziature Apostoliche dal 1800 al 1956, I, LEV, Città del Vati-
cano 2006, 263. Il De Marchi non fa menzione dell’incarico svolto a La Paz e neppure vi è
notizia in Annuario Pontificio per l’anno 1926, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1926,
516. Cf. http://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bcortf.html [https://archive.is/R1Ajr];
prosopografia in S. PAGANO et alii, I «Fogli Udienza» del Cardinale Eugenio Pacelli Segre-
tario di Stato, I (1930), Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2010, 413.
6
Giuseppe Melchiorre Sarto, 1835-1914. Cf. HC, IX, 5-8; www.catholic-hierarchy.org/
bishop/bsartogm.html. M. GUASCO, Pio X, in Dizionario Biografico degli Italiani, 84, Isti-
tuto della Enciclopedia Italiana, Roma 2015, 40-48; G. ROMANATO, Pio X. Alle origini del
cattolicesimo contemporaneo, Lindau, Torino 2014; G. BRUGNOTTO – G. ROMANATO (edd.),
Riforma del cattolicesimo? Le attività e le scelte di Pio X, Pontificio Comitato di Scienze
Storiche – LEV, Città del Vaticano 2016.
7
La storiografia sembra non aver considerato la conferenza episcopale oggetto di que-
sto articolo (e neppure la documentazione presso gli archivi vaticani) come si può costa-
tare nello studio di C.J. IZZO NIEVES, Las Instruccione Pastorales de 1904, 1928 y 1957:un
diagnóstico de la sociedad venezolana en la primera mitad del siglo XX, UCAB Universi-
dad Católica Andrés Bello, Caracas 2018 (chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcgl-
clefindmkaj/http://biblioteca2.ucab.edu.ve/anexos/biblioteca/marc/texto/AAV1930.pdf),
dove solamente si menziona la «2ª Conferencia Canónica Ordinaria» (Caracas, 23-
31/10/1923). Dopo aver trattato alle pagine 68-76 la 1ª Conferencia Canónica Ordinaria
(Caracas,1904), si passa alla 3ª Conferencia Canónica Ordinaria (Caracas, 1928), si de-
dica alla II Conferenza Episcopale del 1923 solo una linea a p. 77 («La segunda se había
efectuado en 1923»), e nella correlata nota 40 al pie di pagina («La Segunda Conferencia
Canónica realizada en 1923, fue convocada para realizar temas propuestos por el Papa en
una carta enviada al Episcopado y actualizar ciertas cuestiones canónicas»).
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
8
Nel presente contributo non ci si occupa della dimensione politica che pur caratteriz-
zava l’esperienza delle conferenze episcopali come ricordato da G. Feliciani: «Il 16 novem-
bre 1830, all’indomani degli avvenimenti rivoluzionari che avevano assicurato al Paese
l’indipendenza, i Vescovi belgi si riunirono in forma non conciliare a Malines per consul-
tarsi sulle questioni che implicavano rapporti con le nuove autorità civili. Dunque fin dal-
l’inizio della loro storia le Conferenze Episcopali dedicano ampia e specifica attenzione al-
le relazioni della Chiesa con i rispettivi Stati. E non a caso. Si tratta, infatti, di un proble-
ma che si pone ad ogni Vescovo nell’esercizio del suo ministero pastorale, ma che, riguar-
dando tutte le Diocesi di uno stesso Stato, può essere adeguatamente affrontato solo con
una azione congiunta di tutti i Vescovi interessati. Questa attività delle Conferenze, o più
in genere degli Episcopati, si sviluppa e assume ancor maggiore importanza nel secolo XX
al punto che Pio XI ritiene opportuno richiamarla negli stessi Accordi concordatari, sia pu-
re occasionalmente e in misura limitata»: G. FELICIANI, Il ruolo delle Conferenze Episcopa-
li nelle relazioni internazionali della Santa Sede, in M. DE LEONARDIS (ed.), Fede e diplo-
mazia. Le relazioni internazionali della Santa Sede nell’eta contemporanea, EDUCatt, Mi-
lano 2014, 321. Cf. anche G. FELICIANI, Le conferenze episcopali, Il Mulino, Bologna 1974.
9
Sulle conferenze episcopali di quegli anni alla luce del Codice di Diritto Canonico del
1917: «El origen de las conferenzias episcopales suele situarse en 1830, con motivo del
comienzo de las reuniones de los obispos belgas para consultas recíprocas y periódicas.
Más tarde esta praxis de reuniones episcopales se extendió a otros países europeo, como
Alemania, Austria, Italia. A la muerte de León XIII en 1903, estos conventus episcoporum,
aprobados y promovidos por la Santa Sede, existían ya en diversos países, incluso fuera
del continente europeo. El motivo de estas reuniones periódicas venía constituido sobre
todo, aunque no exclusivamente, por la necesidad de una respuesta coordinada a los pro-
blemas referidos a la acción de la Iglesia en la sociedad y de una relación entre los obis-
pos del país y de las autoridades civiles. El CIC 1917 dedicó escasas normas a las confe-
rencias de obispos, sin reconocer todavía su ámbito nacional; sin embargo, el antiguo c.
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Mario L. Grignani
292 §1 establecía ya como principio (“al menos cada cinco años”) la obligatoriedad de
los encuentros entre obispos pertenecientes a una misma provincia eclesiástica, “para de-
liberar en común y ver qué medidas conviene adoptar para promover el bien de la reli-
gión en sus diócesis y preparar los asuntos que hayan de ser tratados en el futuro conci-
lio provincial»: A. VIANA, Conferencia Episcopal, in OTADUY – VIANA – SEDANO (eds.), Dic-
cionario General de Derecho Canónico, II, 484. Ed anche: «Oltre i concili, generali e par-
ticolari, e i sinodi diocesani propriamente detti, assemblee pubbliche e ufficiali per ec-
cellenza, l’ordinamento ecclesiastico prevede altre riunioni periodiche di clero, meno
pubbliche e solenni, a scopo consultivo e didattico professionale, quali le c. foraniali o vi-
cariali e le c. episcopali (cann. 131, 591, 292). […]. Sotto questa denominazione s’inten-
dono i periodici convegni ai quali sono tenuti, almeno ogni 5 anni, i vescovi di una stes-
sa provincia ecclesiastica ovvero, per l’Italia, di una stessa regione conciliare, allo scopo
di consultarsi insieme circa i provvedimenti da adottarsi per promuovere di comune ac-
cordo il bene della religione nelle singole diocesi, concertare una comune linea di con-
dotta nelle speciali contingenze che si presentassero, e preparare il futuro concilio provin-
ciale (can. 292). […]. Giuridicamente, tuttavia, non sono concili: rivestono la figura di
amichevoli incontri a carattere puramente consultivo e le loro deliberazioni non assumo-
no la natura di statuti conciliari, bensì di semplici accordi che ciascun convenuto s’impe-
gna di eseguire come se li avesse deliberati di sua iniziativa per il proprio territorio»: ZAC-
CARIA DA SAN MAURO, Conferenze, in Enciclopedia Cattolica, IV, Ente per l’enciclopedia
cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano 1950, coll. 218-220.
10
«Can 292 §1. Nisi aliter pro peculiaribus locis a Sede Apostolica provisum fuerit,
Metropolita, eoque deficiente, antiquior e Suffraganeis ad normam can. 284, curet ut Or-
dinarii locorum, saltem quinto quoque anno, stato tempore apud Metropolitam aliumve
Episcopum comprovincialem conveniant, ut, collatis consiliis, videant quaenam in dioe-
cesibus agenda sint ut bonum religionis promoveatur, eaque praeparent de quibus in fu-
turo Concilio provinciali erit agendum. §2. Etiam Episcopi aliique de quibus in can. 285,
una cum aliis Ordinariis convocari et convenire debent. §3. Iidem Ordinarii congregati se-
dem proximi conventus designent»: Codex iuris canonici, Pii X pontificis maximi iussu di-
gestus, Benedicti papae XV auctoritate promulgatus, Typis Polyglottis Vaticanis, Romae
1917, in AAS 9/2 (1917), 1-593; anche in www.jgray.org/codes/cic17lat.html [https://ar-
chive.is/hMDJ]; www.iuscangreg.it/cic1917.php.
11
Si ricorda che in virtù del sistema di relazioni tra la Chiesa e gli Stati allora vigente
i governi latinoamericani esercitavano un certo controllo sulla Chiesa nei rispettivi paesi;
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
Nel caso del Venezuela, dove l’episcopato si era riunito in conferenza una
sola volta nel 1904, i due immediati predecessori di mons. Filippo Cortesi,
avevano ricevuto dalla Segreteria di Stato chiare ed identiche istruzioni al ri-
guardo. Nelle Istruzioni pontificie per mons. Carlo Pietropaoli12 del maggio
1913, a fine pontificato di Pio X, si ordinava:
in Venezuela il Concordato vigente dal 1862 se, da un lato, stabiliva che la religione cat-
tolica apostolica romana continuava a essere la religione della Repubblica e il governo ave-
va il dovere di difenderla e conservarla (art. 1), dall’altro, riconosceva al Presidente della
Repubblica il Diritto di Patronato (art. VII): E. LORA (ed.), Enchiridion dei concordati. Due
secoli di storia dei rapporti Chiesa-Stato, a cura di, EDB, Bologna 2003, 374-377.
12
Carlo Pietropaoli, 1857-1922. Arcivescovo titolare di Calcide, delegato apostolico e
Inviato straordinario in Venezuela dal 23 maggio 1913 (a disposizione della Santa Sede
dal febbraio 1918): DE MARCHI, 263. Annuario Pontificio per l’anno 1914, 551; HC, IX,
377; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bpietr.html [https://archive.is/Dp4zs].
13
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 11, fasc. 29, ff. 43r-43v.
14
Francesco Marchetti Selvaggiani, 1871-1951. Arcivescovo titolare di Seleucia, Inter-
nunzio e poi nunzio apostolico in Venezuela dal 10 aprile 1918 al 1 dicembre 1920 (no-
minato nunzio in Austria il 2 dicembre): DE MARCHI, 263. Annuario Pontificio per l’anno
1920, 920, 645; HC, IX, 338; www.catholic-hierarchy.org/bishop/bmase.html [https://ar-
chive.is/NqcdR]; PAGANO et alii (edd.), I “Fogli Udienza” del Cardinale Eugenio Pacelli
Segretario di Stato, I (1930), 452-453.
15
Cf. AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 21, fasc. 56, f. 20r.
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Le Istruzioni della Segreteria di Stato del settembre 1921 per mons. Fi-
lippo Cortesi non contenevano analoghe esplicite indicazioni (salvo il ri-
chiamo all’adempimento del Concilio Plenario Latinoamericano anche ri-
guardo al sostegno economico per il Collegio Pio latinoamericano e all’O-
bolo di san Pietro16). Relativamente alle diocesi e all’episcopato in esse si
menzionava piuttosto la necessità che il nuovo nunzio si occupasse di eri-
gere nuove diocesi:
16
Cf. AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 23, fasc. 68, f. 15v.
17
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 23, fasc. 68, f. 9v [le sottolineature appaiono nel do-
cumento].
18
Cf. N. DEL RE, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici, LEV, Città del Vati-
cano 1998, 135-145.
19
Cf. AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 21, fasc. 56, ff. 52r-53r.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
20
Pietro Gasparri, 1852-1934. Segretario di Stato dal 13 ottobre 1914 al 7 febbraio
1930, era stato delegato apostolico per Perù, Bolivia ed Ecuador dal 1897 al 1901: DEL
RE, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici, 90. Cf. Annuario Pontificio per
l’anno 1918, 44; HC, IX, 9 e 21-23; www.catholic-hierarchy.org/bishop/bgaspp.html
[https://archive.is/cVGj0]; C. FANTAPPIÈ – R. ASTORRI, Gasparri, Pietro, in Dizionario Bio-
grafico degli Italiani, 52, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1999, 500-507; L.
PETTINAROLI – M. VALENTE (hrsg.), Il cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato (1914-
1930), Heidelberg University Publishing, Heidelberg 2020.
21
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, ff. 47r-49v. Si segnala che la numerazio-
ne dei fogli apposta in archivio non corrisponde al contenuto: il primo foglio è numerato
f. 49v, il secondo f. 49r, il terzo f. 48v, il quarto f. 48r.
22
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 49v. Il citato Rapporto N. 546 (Cara-
cas 30 luglio 1922) era stato preceduto dal Rapporto N. 367 (Caracas 23 maggio 1922):
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 169, fasc. 2, rispettivamente ff. 23r-25v e
15r-21r. Nel N. 546 Cortesi scriveva che «Le Diocesi in progetto [Coro, Cumaná, Valen-
cia in Venezuela e San Cristobal di Venezuela] formano, dal punto di vista etnico e geo-
grafico, raggruppamenti ben definiti ad equa distanza dalle altre Sedi vescovili» (f. 25).
Nel N. 367 si menzionava il motivo (pastorale e missionario): «Le diocesi del Venezuela
comprendono ciascuna un vastissimo territorio con differenti Stati e nuclei di popolazioni
differenti e quasi isolate così che per visitarle occorrono lunghi e penosi viaggi e resisten-
za fisica non comune. […] Il lavoro dei miei predecessori, diretto a conseguire l’erezione
di qualche nuova diocesi, non riuscì per il mancato assenso del Governo e per l’inerzia,
se non forse contrarietà, da parte di ecclesiastici influenti» (f. 15rv) e nell’allegato copia
del Memorandum diretto al Governo della Repubblica degli Stati Uniti del Venezuela sul-
l’erezione di nuove diocesi Cortesi scriveva: «La erezione di nuove diocesi, proposta in di-
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verse epoche, si impone oggi come una necessità generalmente sentita, come ne sono pro-
va le reiterate istanze dirette al Governo e alla Nunziatura dai Vescovi e dalle popolazio-
ni interessate» (f. 17r).
23
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, ff. 49v-49r.
24
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 49r.
25
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 49r.
26
Cf. minuta mns. datata Roma 9 ottobre 1922 (N. 8174): ASRS, AA.EE.SS., Venezue-
la IV (Pio XI), pos. 169, fasc. 2, f. 29rv.
27
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 53r.
28
Quod novas. Ad RR. PP. DD. Philippum Rincón Gonzalez, archiepiscopum Caracen-
sem, et ad ceteros Episcopos Reipublicae de Venezuela: nonnulla paterno animo admonens in
Ecclesiae utilitatem: in AAS 15 (1923), 275-277. Anche in AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b.
28, fasc. 91, rispettivamente in f. 50rv e f. 52rv il testo latino con la traduzione spagnola.
70
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
29
Sui vescovi del paese nelle Istruzioni per mons. Cortesi si legge: «Per quanto riguar-
da i membri dell’Episcopato venezuelano, è da riconoscere che, a prescindere da qualche
deficienza nell’azione pastorale, essi sono generalmente persone degne e zelanti»: AAV,
Arch. Nunz. Venezuela, b. 23, fasc. 68, f. 9v.
30
Aguedo Felipe Rincón González, 1861-1946. Cf. Annuario Pontificio per l’anno
1923, 135; Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, IX (1903-1922), Typis Libra-
riae “Il Messaggero di S. Antonio”, Patavii 2002, 204; www.catholic-hierarchy.org/bis-
hop/brigo.html [https://archive.is/PCvX0].
31
Felipe Alvarado Liscano, 1845-1926. Cf. Annuario Pontificio […] 1923, 88; HC, IX,
80; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/balvlis.html [https://archive.is/ZAVph].
32
Arturo Celestino Álvarez, 1870-1952. Cf. Annuario Pontificio […] 1923, 99; HC,
IX, 102; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/balvareza.html [https://archive.is/
W2C2O].
33
Antonio Ramón Silva, 1850-1927. Cf. Annuario Pontificio […] 1923, 168; HC, IX,
166; Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, VIII (1846-1903), Il Messaggero di
S. Antonio, Patavii 1978, 259; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bsilvaa.html
[https://archive.is/oPSM8].
34
Marcos Sergio Godoy, 1881-1957. Cf. Annuario Pontificio […] 1923, 242; HC, IX,
400; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bgodoy.html [https://archive.is/5TJjV].
35
Sixto Sosa Díaz (1879-1955). Cf. Annuario Pontificio […] 1923, 141; https://www.
catholic-hierarchy.org/bishop/bcashe.html [https://archive.ph/WMJOW].
36
Miguel Antonio Mejía (1877-1947). Cf. Annuario Pontificio […] 1924, 144; https://
www.catholic-hierarchy.org/bishop/bcashe.html [https://archive.is/Hn0MH].
37
Cf. Constitutio Apostolica Venezuelana, Dismembrationis et erectionis Dioecesium
Crensis, Cumanensis, Valentinae et Sancti Christophori, in AAS XV (1923), 99-102.
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38
Lucas Guillermo Castillo Hernández (1879-1955). Cf. Annuario Pontificio […] 1924,
119; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bcashe.html [https://archive.is/WMJOW].
39
Francisco Antonio Granadillo (1878-1927). Cf. Annuario Pontificio […] 1924, 237;
https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bgranf.html [https://archive.is/6ZzIX].
40
Tomás Antonio Sanmiguel Díaz (1887-1937). Cf. Annuario Pontificio […] 1924,
121; https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bsmd.html [https://archive.ph/LX6em].
41
Cf. Guayanensis Dismembrationis et erectionis Dioecesium Crensis, Cumanensis, Va-
lentinae et Sancti Christophori, in AAS XIV (1922), 334-336.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
sia per mettere le conclusioni alla prima Conferenza, tenuta nel 1905
[sic], di accordo con il Codice di Diritto Canonico e le posteriori pre-
scrizioni della Santa Sede; sia per avvisare in comune i mezzi per ridur-
re alla pratica i speciali suggerimenti contenuti nella sullodata Lettera
42
Di seguito un significativo passaggio del testo (in questo caso copia per il vescovo di
Mérida, mons. Silva (Caracas 5 luglio 1923): «El Padre Santo se ha dignado, en su pater-
nal benignidad y movido del interes apostólico que le anima [...] favoreciendo este aumen-
to del Episcopado Venezolano, ha procurado un nuevo poderoso elemento al avance de la
cultura y prosperidad nacional»: AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 51r.
43
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, ff. 21r-22r. Dell’invio da parte di Corte-
si del N. 1461 si ha notizia nel suo successivo N. 1526: ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV
(Pio XI), pos. 177, fasc. 6, ff. 5r-6r.
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di Sua Santità; sia infine per gettare le prime basi dell’azione cattolica,
che manca affatto nelle Diocesi della Repubblica44.
Dopo aver poi comunicato di aver già informato i vescovi di tutto ciò45,
Cortesi concludeva il rapporto osservando che «se una vera e propria Con-
ferenza Episcopale Nazionale non sarà possibile ora, potranno almeno
prendersi alcune deliberazioni più urgenti su i punti indicati e fissare la ri-
unione della prossima Conferenza»46.
Nel successivo rapporto del 25 settembre 1923 (N. 1526)47 il nunzio ag-
giungeva che il programma della Conferenza era quello «tracciato sapien-
temente dalla recente Lettera del Santo Padre ai Vescovi venezuelani»48.
Previamente determinato, il programma era stato affidato allo studio di ec-
clesiastici competenti, incaricati di formulare proposizioni concrete per le
conseguenti deliberazioni dei vescovi.
Celebrate sia la consacrazione dei vescovi il 21 ottobre sia la Conferen-
za dell’episcopato dal 22 al 31 ottobre 1923, mons. Cortesi procedeva a in-
formare dapprima il card. Gasparri e poi il card. Gaetano De Lai49 Segreta-
rio della Congregazione Concistoriale. I rapporti dattiloscritti del medesimo
44
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 21v.
45
Cf. la comunicazione del 24 agosto 1923 indirizzava ai vescovi venezuelani, incluso
gli “eletti”, firmata mons. Cortesi e dall’arcivescovo di Caracas (come annotato nella mi-
nuta): AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 4rv. Si ha copia fedele in ASRS,
AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 7rv come allegato al Rapporto N.
1526. Nel testo si comunicava ai vescovi che «para facilitar los trabajos, mas dejando co-
mo es natural a los Prelados toda libertad de iniciativa, hemos convenido proceder al nom-
bramiento de una Comisión mixta del clero secular y regular con encargo de preparar los
proyectos que serán presentados al examen y deliberación de la Conferencia» (f. 4v).
46
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 22r.
47
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, ff. 5r-6r (con titolo Pro-
getto per la II Conferenza dei Vescovi Venezuelani). In allegato la già menzionata lettera fir-
mata da lui e da mons. Rincón di cui si ha il testo in: AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28,
fasc. 91, f. 4rv.
48
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 5v. Si ommette di ci-
tarli in quanto esposti poi nella Lettera.
49
Gaetano De Lai (1853-1928). Cf. Annuario Pontificio […] 1923, 34-35;
https://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bdelai.html [https://archive.is/2rOT]. Prosopo-
grafia in PAGANO et alii (edd.), I “Fogli Udienza” del Cardinale Eugenio Pacelli Segreta-
rio di Stato, I (1930), 416.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
50
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, ff. 9r-12v. Identico testo
nella minuta datt. in AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, ff. 26-33.
51
Minuta datt. in AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, ff. 34-41 con un allega-
to al f. 42.
52
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 43r.
53
AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 44r. Ai ff. 44-45 si trova una comuni-
cazione di Cortesi a De Lai (Caracas 30 maggio 1926, N. 200) nella quale si propone di
rendere periodica la conferenza dei vescovi del paese: «Come sa l’Em. V. nei paesi sud-
americani, forse più che altrove, si nota il difetto di perseveranza e di continuità nelle ope-
re, soprattutto uniformità di consiglio e di indirizzo nell’apostolato; così che se è vero che
qualch’una delle riferite conclusioni si sta adempiendo, la più parte sono appena iniziate
o rimangono lettera muta. Sarebbe perciò opportuno, secondo il mio umile avviso, di sta-
bilire per il Venezuela, come fu fatto ad esempio per la Colombia, la Conferenza periodi-
ca di tutti i Vescovi, che l’esperienza ha dimostrato particolarmente proficua in paesi più
soggetti a frequenti mutamenti civili e politici».
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54
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 9v; AAV, Arch. Nunz.
Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 27.
55
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 9v; AAV, Arch. Nunz.
Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 27.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
56
Il dattiloscritto (Caracas 27 ottobre 1923) è presente in AAV e sulla tratta e schiavi-
tù si affermava: «3° Denunciar ante el Supremo Magistrado el delito monstruoso que to-
davía se comete en algunos parajes remotos de la Repçublica, y el cual constiste en la tra-
ta de indigenas: rebajandolos a la triste condición de esclavos no embargante los princi-
pios consignados en la Carta Fundamental y el celo del Gobierno para cortar estos abu-
sos. Al denunciar los Obispos este inicuo proceder, hacen eco también a la voz de la Si-
lla Apostolica, que en repetidas ocasiones ha expresado sus reclamos contra un mal que
no es solo nuestro y que menoscaba dondequiera sagrados intereses sagrados intereses de
la Religión y de la Patria»: AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 24rv.
57
Al riguardo si può vedere M.L. GRIGNANI, Propaganda Fide, le missioni e le inchie-
ste sulla schiavitù de facto degli indigeni in America Latina (1918-1922), Urbaniana Uni-
versity Press, Città del Vaticano 2022; «Per gl’Indi del Sudamerica. Missione Pontificia di
studio». Relazioni e scritti di Giovanni Genocchi visitatore apostolico in America Latina
(1911-1913), introduzione, trascrizione e note di M.L. GRIGNANI, Edizioni di Storia e Let-
teratura, Roma 2018.
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58
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 11v; AAV, Arch. Nunz.
Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 31.
59
Di essa non vi è traccia nella documentazione.
60
ASRS, AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 12r; AAV, Arch. Nunz.
Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 32. Alcune brevi comunicazioni dei vescovi a favore delle ci-
tate Conferenze in: AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, ff. 55-60.
61
Nella documentazione non vi è traccia di un menzionato allegato in f. 12v/f. 33 con-
tenente i ringraziamenti dei vescovi a Pio XI.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
Riflessioni conclusive
62
In questo caso il documento è rinvenibile come allegato nella minuta del rapporto N.
1622 per De Lai: AAV, Arch. Nunz. Venezuela, b. 28, fasc. 91, f. 42. Inoltre in ASRS,
AA.EE.SS., Venezuela IV (Pio XI), pos. 177, fasc. 6, f. 14 è però segnalato come copia fe-
dele Allegato N. 2 al N. 1604.
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La II Conferenza episcopale venezuelana (1923) e l’azione di mons. Filippo Cortesi
63
Le raccomandazioni del Pontefice per i vescovi venezuelani si inserivano in una più
ampia visione a livello continentale come attestato, per esempio, nei capitoli concernenti
l’episcopato, il clero o l’Azione Cattolica presenti nelle inedite Istruzioni per i Rappresen-
tanti pontifici presso le nazioni dell’America del Sud conservate nei fondi delle rispettive
Nunziature apostoliche in AAV, sia durante il pontificato di Pio XI che durante il pontifi-
cato del predecessore Benedetto XV (riguardo a quest’ultimo si può segnalare anche
quanto contenuto nelle Relazioni presentate al S.P. Benedetto XV, sulla situazione delle na-
zioni. 1914, in ASRS, AA.EE.SS., Stati Ecclesiastici III, pos. 1309, fasc. 451, ff. 54r-73v
e Stati Ecclesiastici III, pos. 1310, fasc. 452, ff. 3r-208v, volume pubblicato da R. REGO-
LI – P. VALVO, Tra Pio X e Benedetto XV. La diplomazia pontificia in Europa e America La-
tina nel 1914, Studium, Roma 2018).
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ABSTRACT
Alla luce dell’itinerario storico esposto nel documento della Commissione Teo-
logica Internazionale La Sinodalità nella vita della Chiesa, l’articolo, di indole sto-
rico-ecclesiastica e fondato sulla documentazione vaticana analizzata, presen-
ta quanto realizzato dal nunzio apostolico in Venezuela mons. Filippo Cortesi
per l’episcopato venezuelano. In occasione dell’erezione di quattro nuove dio-
cesi e della consacrazione a Caracas dei rispettivi vescovi, mons. Cortesi otten-
ne da Pio XI la lettera Quod novas diretta ai prelati venezuelani e, in ottemperan-
za alle Istruzioni ricevute dalla Santa Sede e ai canoni del Codice di Diritto Ca-
nonico del 1917, riuscì a celebrare la II Conferenza episcopale venezuelana
(1923), dopo quasi vent’anni dalla precedente, inaugurando un processo che
intendeva sviluppare, nei termini e modi coevi, la corresponsabilità dei vescovi
nel governo della Chiesa in Venezuela in unità col Successore di Pietro.
In the light of the historical itinerary set out in the document of the International
Theological Commission Synodality in the life of the Church, the article, of histor-
ical-ecclesiastical nature and based on the Vatican analysed documentation,
presents what was achieved by the Apostolic Nuncio in Venezuela mgr. Filippo
Cortesi for the Venezuelan episcopate. On the occasion of the erection of four
new dioceses and the consecration in Caracas of their respective bishops, Mgr.
Cortesi obtained from Pius XI the letter Quod novas addressed to the Venezue-
lan prelates and, in compliance with the Instructions received from the Holy See
and the canons of the Code of Canon Law of 1917, succeeded in celebrating
the II Venezuelan Episcopal Conference (1923), after almost twenty years from
the previous one, inaugurating a process that aimed to develop, in the terms
and manner of those times, the co-responsibility of the bishops in the govern-
ment of the Church in Venezuela in unity with the Successor of Peter.
Keywords: Pio XI, Filippo Cortesi; Venezuela Bishops; Quod novas and II Vene-
zuelan Bishops’ Conference (1923)
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RIDISEGNARE LA MINISTERIALITÀ
COMPITO SINODALE
Parole chiave: Riforma della Chiesa; sinodalità; ministeri dei laici; amissione
Introduzione
1
Si veda la preziosa documentazione in progress in https://www.synod.va/it/resources/
documenti-ufficiali.html. Il tema della sinodalità nella sua complessità è stato ricostruito
da A. MODA, Sulla sinodalità. Percorso bibliografico, in ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA
– G. ANCONA (a cura di), Dossier Chiesa e sinodalità, Velar, Gorle, BG 2005, 205-329.
2
Si dovrà fare pace con le diverse espressioni; abbiamo proposto di declinare il tema
nei termini di ministero, ministerialità e ministeri in La ministerialità missionaria. Figu-
ra, figure e competenze del discepolo-missionario, “Urbaniana University Journal” 70
(2017), 1, 153-194 [164-166].
3
L. MEDDI, Il compito della Teologia Pastorale dal Vaticano II ad oggi. Questioni aper-
te, “Theologica Leoniana” 9 (2020), 91-112.
83
1/2023 ANNO LXXVI, 83-108 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL
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Da alcuni anni Papa Francesco sta indirizzando la chiesa verso uno stile di
sinodalità5. Perché? Le motivazioni sembrano essere di diversa natura e im-
portanza ma si concentrano sul fatto che la riforma avviata con il Vaticano
II6 sembra non aver ottenuto sufficienti risultati per realizzare un adeguato
slancio missionario. Questo giudizio riguarda le tre stagioni di riforma post-
conciliare. Sia quella centrata sull’aggiornamento delle fonti e pratiche pa-
4
ID., Apprendere nella Chiesa oggi: verso nuove scelte di qualità, in P. ZUPPA – ASSOCIA-
ZIONE ITALIANA DEI CATECHETI (AICa), Apprendere nella comunità cristiana. Come dare “ec-
clesialità” alla catechesi oggi?, Elledici, Torino 2012, 95-131.
5
Per gli interventi di papa Francesco si veda https://www.synod.va/it/resources/papa-
francesco-e-il-processo-sinodale.html; si devono ricordare anche i criteri per la riforma
della curia romana declinati nel Discorso di Sua Santità Francesco alla Curia Romana in
occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2016: «individualità; pa-
storalità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sino-
dalità; cattolicità; professionalità; gradualità».
6
L.F. CAPOVILLA, Il concilio di papa Giovanni per la riforma e l’aggiornamento nella e
della Chiesa. Intervista a cura di Daniele Gianotti – Maurizio Tagliaferri, “Rivista di Teo-
logia dell’Evangelizzazione” 16 (2012), 32, 347-360. Particolarmente utile il quadro of-
ferto da A. SPADARO – C.M. GALLI, Una riforma “missionaria” della Chiesa, in IID., La ri-
forma e le riforme della Chiesa, Queriniana, Brescia 2016, 5-14 [qui 9-11], con una ridu-
zione, ci permettiamo, del tema conciliare alla questione sociologica dei segni dei tempi
che muove la riforma e alla poca valorizzazione del tema della crisi del linguaggio religio-
so-cristiano; ci sembra limitato, inoltre, il quadro semantico di missionario che sembra li-
mitato al ruolo ecclesiale della missio Dei.
84
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Ridisegnare la ministerialità. Compito sinodale
17
L. MEDDI, La conversione missionaria della pastorale. Contributo per la receptio di
Evangelii gaudium, “Urbaniana University Journal” 68 (2015), 2, 79-126. Circa le prime
due si possono vedere i direttori della CONGREGAZIONE DEI VESCOVI, Ecclesia Imago, 22
febbraio 1973; e Apostolorum successores, 22 febbraio 2004.
18
SINODO STRAORDINARIO DEI VESCOVI, La Chiesa - sotto la parola di Dio - celebra i mi-
steri di Cristo - per la salvezza del mondo. Relazione finale, 9 dicembre 1985; si veda an-
che il commento di W. KASPER, Il futuro dalla forza del Concilio. Sinodo straordinario dei
vescovi 1985. Documenti e commento, Queriniana, Brescia 1986; una impostazione da leg-
gere nella prospettiva di nuova evangelizzazione voluta da papa GIOVANNI PAOLO II, Dis-
corso ai partecipanti al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali dell’Europa,
Roma 11 ottobre 1985.
19
Questa visione è chiara già nella titolazione dei documenti dell’attuale sinodo: SE-
GRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI, Per una Chiesa sinodale: comunione, parte-
cipazione e missione; Comunione e (=per la) Missione erano state, invece, le indicazioni
conclusive di Sinodo straordinario del 1985.
10
Riflettendo sul Istrumentum laboris per la seconda assemblea speciale per l’Euro-
pa, Martini diceva «penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri or-
dinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo
territorio con sufficiente numero di ministri del vangelo e dell’eucarestia (IL 14). Penso
ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa (IL 48),
la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali (IL 49), la sessualità, la
disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Or-
todossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica (IL 60-61), pen-
so al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale»; C.M. MARTINI, In-
tervento al sinodo dei vescovi europei, 7 ottobre 1999 [https://www.Chiesadimilano.it/cms/
documenti-del-vescovo/c-m-martini/cm-interventi/larcivescovo-al-sinodo-dei-vescovi-
europei-15160.html ].
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11
È la prospettiva sottolineata da COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinoda-
lità nella vita e nella missione della Chiesa; cf. R. LUCIANI, L’emergere di un’ecclesialità si-
nodale. «Una definizione più completa della Chiesa», in ID. – S. NOCETI, Sinodalmente.
Forma e riforma di una Chiesa sinodale, Nerbini, Firenze 2022, 19-144.
12
Cf. EN, c. II; EG, c. IV.
13
Questa prospettiva riassume la struttura intima di Evangelii gaudium (24 novembre
2013) ed è la base del riordino della vita e dei compiti della Curia romana; cf. la descri-
zione dei Dicasteri come declinati in Costituzione Apostolica “Praedicate evangelium”
sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa e al Mondo, 19 marzo 2022 e la sottoli-
neatura «Pasci» di FRANCESCO, Omelia nel 60° anniversario dell’inizio del Concilio Ecu-
menico Vaticano II.
14
Il tema delle ceb (comunità ecclesiale di base o small communities) era tema ricorren-
te già prima del Vaticano II; venne rilanciato dalla tipologia dei quattro modelli da F. KLO-
STERMANN, Prinzip Gemeind: Gemeinde als Prinzip des kirchlichen Lebens und der Pastoral-
theologie als der Theologie dieses Lebens, Herder, Wien 1965; poi ripreso da moltissimi au-
tori e messo al centro dai documenti successi a EN (anche se con accentuazioni diverse).
15
J.B. CAPPELLARO – G. LIUT – L. CANESSO – F. COSSU – J. MCNAAB, Da massa a popo-
lo. Progetto pastorale, Cittadella, Assisi, PG 1981; J.B. CAPPELLARO, Catecumenato di po-
polo. Cammino di fede di un popolo di battezzati, Cittadella, Assisi, PG 1993.
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Ridisegnare la ministerialità. Compito sinodale
16
A. ROSMINI, Delle cinque piaghe della santa Chiesa, Città Nuova, Roma 1998 [1848],
59-78.
17
Espressione utilizzata molte volte da papa Francesco; cf. Omelia nella Solennità San-
ti Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2022 [https://www.vatican.va/content/francesco/it/ho-
milies/2022/documents/20220629-omelia-pallio.html; https://archive.is/fJXFx]; Omelia
nel 60° anniversario dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 2022
[https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2022/documents/20221011-ome-
lia-60concilio.html; https://archive.is/eFxbK].
18
Molto significativa la sintesi di S. NOCETI, Quali strutture per una Chiesa in riforma?,
“Concilium” 54 (2018), 4, 100-116.
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mazione che duo sunt genera christianorum19. Il punto ad quem non è an-
cora chiaro ma certamente ha qualcosa a che vedere con l’affermazione che
tutti siamo discepoli-missionari20.
La testualità conciliare sul ministero sembra muoversi su due direttrici21.
Una direttrice si riferisce alla organizzazione della chiesa per la quale il
soggetto è il ministero ordinato (e gerarchico) che agisce per conto di Cri-
sto capo ed è quindi di natura cristologica. Questa impostazione si fonda
sulla equivalenza presente nella prima fase del Vaticano II tra missione e
universalizzazione “fisica” del mistero pasquale (cf. SC 5-9). Ma in LG 12
è presente anche una seconda direttrice per la quale il soggetto missiona-
rio è il battezzato che esercita il suo servizio di testimonianza attraverso i
doni o carismi. Quindi di natura pneumatica22 e andrebbe legato alla teolo-
gia trinitaria della missione (LG 1-4; AG 1-4).
Già in LG 10 (Il sacerdozio comune dei fedeli) le due prospettive sembra-
no non avere collegamenti concettuali coerenti per cui la pratica pastorale
sembra rispondere a due principi separati: quello della comune dignità e
responsabilità battesimale e quello della rappresentanza ministeriale di
Cristo-capo che ha il suo centro nella celebrazione eucaristica. Di conse-
19
PIO X (promulgato da) 1905, Compendio della Dottrina Cristiana. Catechismo Mag-
giore, 1905, Capo X, §3 (nn. 180-191).
20
EG, nn. 116-120 con una interpretazione pneumatica e riferita al compito di evan-
gelizzazione.
21
I Testi sembrano preoccupati maggiormente della questione del riconoscimento del
ministero delle chiese riformate più che della riqualificazione missionaria della Chiesa
cattolica: cf. J. SARAIVA MARTINS, Ministero, in S. GAROFALO – T. FEDERICI (redattore capo),
Dizionario del Concilio Vaticano Secondo, Unedi, Roma 1969, coll. 1407-1411; L. TONEL-
LO, I “ministeri laicali” nel processo di recezione del Vaticano II, “CredereOggi” 30 (2010),
175, 17-33; L. VILLEMIN, Éléments théologiques fondamentaux de Vatican II pour une ar-
ticulation entre théologie des ministères ordonnés et mission des laìcs, in M. QUISINSKY – K.
SCHELKENS – F.-X. AMHERDT, Theologia semper iuvenescit : Etudes sur la réception de Vati-
can II offertes à Gilles Routhier, Academic Press Friburg, Friburg, CH 2013, 181-194; G.
ROUTHIER, La diversità dei ministeri nella pastorale diocesana. Insegnamento e recezione
del Vaticano II, in ID., Il Concilio Vaticano II: recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero,
Milano 2007, 185-210.
22
Cf. C. BUTLER, L’istituzione e i carismi, in AA.VV. Teologia del rinnovamento. Mete,
problemi e prospettive della teologia contemporanea, Cittadella editrice, Assisi, PG 1969,
542-553, sottolinea che il carisma è legato all’elemento dinamico della missione; nella
stessa prospettiva si era espresso già H. KÜNG La struttura carismatica della Chiesa,
“Concilium” 1 (1965), 2, 15-37.
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23
Così riafferma la dottrina di LG 10 il documento della COMMISSIONE TEOLOGICA IN-
TERNAZIONALE, Temi scelti di ecclesiologia, 8 ottobre 1985 [n. 7: Il Sacerdozio comune nel
suo rapporto con il Sacerdozio ministeriale], dove prevale una interpretazione del collega-
mento delle due fonti ministeriali che in verità fanno pensare ad una separazione origina-
le. Più convincente, ci sembra, è la presentazione del tema nei paragrafi del CCC dedica-
ti al Popolo di Dio (nn. 781-786) e al tema ministero (nn. 874-879) che sembrano ricono-
scere che la differenza sia di tipo funzionale.
24
O. SEMMELROTH – K. MÖRSDORF, Ministero e carisma, in K. RAHNER (a cura di), Sa-
cramentum Mundi, Morcelliana, Brescia 1976 [1967-1969], coll. 279-284 [qui 279].
25
Cf. LG, n. 29 ma si vedano anche SC 35,4; DV 25; CD 15; AG 15; 16; OE 17.
26
AA. VV., Diaconato e sacerdozio, Herder – Morcelliana, Brescia 1971; A. BORRAS, Il
Diaconato vittima della sua novità?, EDB, Bologna 2008 [2007]; M. FAGGIOLI, Women &
the Diaconate. A Debate That Won’t Go Away, “commonwealmagazine.org” 10 giugno
2019 [https://www.commonwealmagazine.org/women-diaconate; https://archive.ph/
rEcth]; S. NOCETI, Donne e ministero diaconale: il tempo del noi, “Il Regno” (2019), 10,
305-314.
27
PAOLO VI, Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Ministeria Quaedam”, 15
agosto 1972.
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egli affermava che i ministeri del Lettore e quello dell’Accolito non fossero
più considerati riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine ma potes-
sero essere affidati anche ai laici. Apertura ai laici, ma solo agli uomini. La
contraddizione si è radicalizzata nel corso della seconda receptio conciliare
(1978-2013) con il desiderio marcato durante il pontificato di Papa Giovan-
ni Paolo II in molti luoghi28 di mantenere la distinzione tra i ministeri co-
me distinzione di essenza e non di grado.
Si chiarisca subito che la questione non coincide con il tema della “de-
mocratizzazione o protestantizzazione o desacralizzazione della chiesa” co-
me si discusse a lungo in quel periodo. Si riferisce invece alla buona riusci-
ta della missione ecclesiale. Si tratta infatti di riconoscere il pericolo che
nella chiesa molte risorse carismatiche non siano utilizzate; che molte for-
ze apostoliche non abbiano diritto di parola ma solo di esecuzione di com-
piti; che le comunità mancando di una qualche forma di riconoscimento li-
turgico dei ministeri di fatto, siano troppo soggette ai continui cambi della
Guida pastorale; che molti aspetti della testimonianza dell’amore siano non
riconosciuti dalla pastorale o lasciati alla iniziativa di alcuni. Ma soprattut-
to che in futuro non si possa affrontare adeguatamente la progressiva dimi-
nuzione dei ministri ordinati e delle differenti vocazioni religiose (carisma-
tiche). È quindi una considerazione evidentemente pastorale nata, per di-
versi motivi, dalla trasformazione in atto della missione.
28
Ricordiamo il CJC, can. 204.228-231 ripreso da Ch.L. (30 dicembre 1988) c. II, e
soprattutto in CONGREGAZIONI ROMANE, Istruzione su alcune questioni circa la collaborazio-
ne dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, 15 agosto 1997, n. 4 e nelle successive Dis-
posizione pratiche dove vengono descritte chiaramente tutte le possibilità e limitazioni del-
la partecipazione dei laici alla missione ecclesiale.
29
F. GOMEZ, Ministries: The Crux of the Problem, “East Asian Pastoral Review” 17
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Le nuove Chiese hanno bisogno non solo della conversione dei cuori,
ma anche della conversione verso nuove strutture che incoraggino il ri-
conoscimento dei carismi presenti nel popolo, promuovano nuovi mini-
steri in armonia con questi carismi, e stimolino la corresponsabilità ai
livelli più bassi della Chiesa31.
31
Agenda per la futura programmazione, lo studio e la ricerca della missione, in Aa.
Vv., La missione negli anni 2000. Seminario di ricerca del SEDOS sul futuro della missio-
ne. Roma, 8-19 marzo 1981, EMI, Bologna 1983, n. 62 [449-477 qui 466].
32
L. SOLARI, La gestione delle risorse umane. Dalle teorie alle persone, Carocci, Roma
2004; G. BAGNATO, Fare selezione: Esperienza e metodo nella scelta delle persone, Egea, Mi-
lano 2014.
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Quello che le statistiche citate non dicono è il disagio che serpeggia tra i
diversi soggetti ministeriali: la mancanza o inadeguata comunicazione tra i
diversi soggetti che porta al depotenziamento della missione. Nelle comuni-
tà cristiane troppa ministerialità è non utilizzata o depotenziata34; basti
pensare a cosa avviene nelle diocesi, parrocchie e forse anche nelle comu-
nità religiose nel cambio di guida della comunità35.
Questo spiega in parte la difficoltà di relazioni all’interno delle diocesi
tra i diversi soggetti. I religiosi si sentono corpi estranei e d’altra parte poi-
ché soffrono anch’essi della crisi vocazionale si tirano sempre più indietro.
Essi continuano a sentirsi esenti. I laici soffrono di continua incomprensio-
ne quando non di un vero e proprio spoiling. Anche se presentato in modo
soft il tema è molto presente in Allarga lo spazio (2022). Come segnalato il
disagio è multidirezionale. Riguarda sia il ministero ordinato, sia i religio-
si, che i ministeri laicali.
33
Leggendo si nota che il termine chiave della gestione della ministerialità non potrà
più essere la collaborazione-partecipazione, ma una nuova forma di corresponsabilità. Più
precise ci sembrano essere le trentennali richieste di NOI SIAMO CHIESA, Appello al popolo
di Dio, “noisiamochiesa.org” 6 gennaio 1996: «Alla luce di questo annuncio chiediamo:
il superamento della separazione strutturale tra “chierici” e “laici” per una corresponsa-
bilità nella Chiesa…un aperto confronto sulla Sacra Scrittura per raggiungere la piena
partecipazione delle donne ai ministeri ecclesiali» (n. 2).
34
S. NOCETI, Laici e laiche corresponsabili in una Chiesa sinodale, “CredereOggi” 47
(2022), 247, 133-150; EAD., Vie di una riforma in prospettiva sinodale, in R. LUCIANI – S.
NOCETI, Sinodalmente. Forma e riforma di una Chiesa sinodale, 145-277 [qui c. VI]; si ve-
dano anche R.R. GAILLARDETZ, Il modello sinodale della ministerialità e dell’ordine nella
chiesa, “Concilium” 57 (2021), 2, 122-134 e El ministerio apostólico en una Iglesia sino-
dal, “Seminarios” 67 (2022), 231.
35
L. MEDDI, La parrocchia cambia parroco. Una risorsa per la pastorale, Cittadella, As-
sisi, PG 2012, 13-34.
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36
NOCETI, Vie di una riforma in prospettiva sinodale, 249-265.
37
Lo rileva anche G. ZAMBON, Riconoscimento reciproco di soggettività tra laici e mini-
steri ordinati in ordine ad una forma sinodale di Chiesa, in R. BATTOCCHIO – S. NOCETI (a
cura di), Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, processi, Glossa, Milano 2007, 197-211.
38
Cf. R.L. DAFT, Organizzazione aziendale, R.C. NACAMULLI (a cura di) Maggioli Edi-
tore, Rimini 2021 [2004].
94
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39
D. CROWE, New Ministries: EAPI Summer Programme, 1980, “East Asian Pastoral
Review” XVII (1980), 3, 204-240; A. GONZÁLEZ DORADO, Ministerialidad Eclesial y Mi-
nisterios Laicales en el Hoy y en el Futuro de la Iglesia, “Medellín” 11 (1985), 44, 433-
466; EPISCOPATO TEDESCO, Vocazione e missione dei laici nella Chiesa, “Il Regno” (1986),
15, 476; J.M. de VERA, FABC: il laicato in Asia, “Il Regno” (1986), 20, 569; Importanza
e ruolo dei laici nell’attività missionaria in seno alle singole Chiese locali. Asia, Africa,
America Latina: la collaborazione con il clero e i religiosi, Pontificia Unione Missionaria.
Segretariato internazionale, Roma 1986; Cf. L. MEDDI, Rinnovamento pastorale e cateche-
tico nel post Concilio delle missioni. Linee interpretative, in A. TREVISIOL, Il cammino del-
la missione a cinquant’anni dal decreto Ad gentes, Urbaniana University Press, Città del
Vaticano 2015, 183-198.
40
Un esempio in A. MULLER – R. VÖLK, La funzione dei laici nella comunità parroc-
chiale, in F. KLOSTERMANN – N. GREINACHER – A. MULLER – R. VOLKL, La Chiesa locale.
Diocesi, parrocchie, gruppi comunitari, Herder – Morcelliana, Roma – Brescia 1973, 251-
266. Una ricostruzione che tiene presenti le pratiche internazionali e le riflessioni dal
punto di vista giuridico è stata fatta da A. MONTAN, Incarichi, uffici, ministeri laicali nel-
le comunità ecclesiali: parrocchie, unità pastorali, diocesi, in N. CIOLA, Servire Ecclesiae.
Miscellanea in onore di Mons. Pino Scabini, EDB, Bologna 1998, 555-578; si veda anche
la prospettiva missionaria di W. JENKINSON – H. O’SULLIVAN (eds.), Trends in Mission. To-
wards the Third Millennium. Essays in Celebration of Twenty-Five Years of Sedos, Orbis
Books, Maryknoll – New York, NY 1991, Part Two and Three; A. BORRAS, I diversi minis-
teri in seno alla parrocchia, in ID., La parrocchia. Diritto canonico e prospettive pastorali
[c. 7], EDB, Bologna 1997, 189-213.
41
È il modello più utilizzato anche se i diversi episcopati utilizzano anche quello del-
le priorità pastorali; Sinodo Straordinario e poi la NMI preferiscono lo schema delle quat-
tro dimensioni pastorali; cf. L. SARTORI, Valori e limiti della lettura del ministero ordinato
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secondo lo schema dei tria munera. Intervista, “CredereOggi” 23 (2003), 133, 63-74; cf.
anche L. BRESSAN, Le nuove figure di ministerialità laicale oggi, “CredereOggi” 30
(2010), 175, 7-16.
42
Cf. K. RAHNER, L’elemento dinamico della Chiesa. Principi, imperativi concreti e ca-
rismi, Morcelliana, Brescia 1970; A. PARRA, I ministeri nella Chiesa dei poveri, Cittadel-
la, Assisi, PG 1994 [1991]; J. SOBRINO, L’essenziale di ogni ministero: servizio ai poveri e
alle vittime in un mondo Nord-Sud, “Concilium” 46 (2010), 1, 17-30; R. YEUNG, Come
intervistare e selezionare i candidati migliori. [Organizzare e condurre il colloquio, indivi-
duare i talenti, assumere i profili migliori per ogni posizione], FrancoAngeli, Milano 2009.
43
SINODO DEI VESCOVI, Il Documento finale: Chiesa alleata dell’Amazzonia, 26 ottobre
2019: Capitolo V – Nuovi cammini di conversione sinodale, nn. 93-96. Cf. la ricostruzio-
ne di S. NOCETI, Una Chiesa tutta ministeriale, “Urbaniana University Journal” 73 (2020),
2, 117-148.
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44
«Per questo motivo desidero nei prossimi mesi, nelle modalità che verranno defini-
te, avviare un dialogo sul tema con le Conferenze Episcopali per poter condividere la ric-
chezza delle esperienze ministeriali che in questi cinquant’anni la Chiesa ha vissuto sia
come ministeri istituiti (lettori, accoliti e, solo recentemente, catechisti) sia come ministe-
ri straordinari e di fatto», FRANCESCO, Messaggio in occasione del 50° anniversario della
Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» Ministeria quaedam di San Paolo VI, 15
agosto 2022, n. 10.
45
A. BORRAS, Des Laïcs en responsabilité pastorale ? Accueillir de nouveaux ministères,
Cerf, Paris 1998.
46
P. VANZAN – A. AULETTA, La parrocchia per la nuova evangelizzazione: tra correspon-
sabilità e partecipazione, Ave, Roma 1998; A. BORRAS, Équipes pastorali parrocchiali: la
sfida del lavoro in équipe e la posta in gioco di un nuovo modello di direzione. Una pro-
spettiva nell’ambito francofono, in L. SORAVITO – L. BRESSAN, Il rinnovamento della par-
rocchia in una società che cambia, EMP – Facoltà Teologica del Triveneto, Padova 2007,
117-144.
47
Cf. la ricostruzione dei modelli in E. CASTELLUCCI, «Ordinati l’uno all’altro». Para-
digmi e modelli storici del rapporto fra ministri ordinati e laici, “CredereOggi” 23 (2003),
133, 1, 37-62.
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48
S. DIANICH, Nuove prospettive nella teologia del ministero, in A. MARRANZINI, Corren-
ti teologiche post/conciliari, Città Nuova, Roma 1974, 171-190; l’autore cita W. Kasper ma
si deve ricordare lo studio di Y. CONGAR, Ministeri e comunione ecclesiale, EDB [Cerf], Bo-
logna [Paris] 1973 [1971] e il successivo e ampio studio di E. SCHILLEBEECKX, Il ministe-
ro nella Chiesa. Servizio di presidenza nella comunità di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia
1981 [19802].
49
S. DIANICH, Il compito essenziale del ministero ordinato nel popolo di Dio, “Crede-
reOggi” 23 (2003), 133, 1, 75-86.
50
Ci rendiamo contro che l’espressione risulta essere ambigua: una cosa infatti è defi-
nire il compito di guida con leadership altra cosa è implementare il modello tradizionale
di sacerdozio con lo stile leaderistico.
51
NOCETI, Vie di una riforma in prospettiva sinodale, c. VI.
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Ridisegnare la ministerialità. Compito sinodale
52
In verità l’espressione contiene ulteriori questioni che si concentrano sulla delimi-
tazione del “popolo di Dio” e se esso si limiti ai battezzati. Ci sembra ancora valida la de-
scrizione di tutto il tema attorno alla trilogia ministero (testimonianza o missione) di Cri-
sto verso il Padre, ministerialità della Chiesa verso la missione di Cristo, ministeri nella e
per la Chiesa.
53
Cf. la sintesi dei documenti in J. NEUNER – H. ROSS – K. RAHNER, IX. I sacramenti.
8. L’Ordine sacro, in La fede della Chiesa nei documenti del Magistero Ecclesiastico, 1967,
474-501.
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linea di genere. Clericale significa che pur venendo dal popolo dei battez-
zati, il ministro ordinato entra in uno status di santità e capacità testimonia-
le differente; non derivante dal carisma (fede battesimale) ma dalla consa-
crazione (e ufficio).
Si deve chiarire che non si tratta di rivendicazione ma della questione di
chi abbia il diritto di rappresentare il Cristo-Capo e la Apostolicità della
Grazia e di quali siano le condizioni o competenze.
Come in altri contesti si deve garantire l’unione intrinseca del duplice
principio missionario: quello pneumatico e quello cristocentrico54.
Sembra si possa sottolineare che il problema maggiore della riconfigura-
zione della ministerialità per la missione della chiesa sia il non riconosci-
mento di quella parte del popolo di Dio che pur partecipando della voca-
zione battesimale non può esprimere la comunicazione della Grazia, ma so-
lo riceverla. Per questo documenti e autori continuano ad insistere che il di-
ritto /dovere della partecipazione missionaria dei laici si concentra sulla
profezia e la testimonianza, mentre una parte della azione pastorale (la ce-
lebrazione e decisione) rimane loro esclusa nel senso attivo e rimane solo
il senso passivo. Ci si permetta di sottolineare che se di novità di deve dis-
cutere non può essere nella «circolarità delle relazioni» che si devono sta-
bilire tra Christifideles e Ministero ordinato ma nella affermazione chiara
che tutti hanno diritto (con il discernimento della chiesa) ad esprimere la
ministerialità del ministero ordinato.
È sembrato ad alcuni che questa analisi portasse alla eliminazione del
ministero ordinato attraverso la diminuzione della sua fondazione teologi-
ca; derivandolo dalla natura missionaria della chiesa piuttosto che dal di-
ritto divino di Cristo-Capo. Ma forse non si tratta di annullare il compito del
ministero ordinato quanto di riformularlo in ordine al fondamentale dono o
carisma battesimale.
Tra le tante ci piace ricordare due considerazioni55 che provano ad uni-
re la tradizione con la necessaria innovazione missionaria. In contesti si-
54
Su questo si rileggano le affaticate pagine di Y. CONGAR, Lo Spirito Santo nel Cosmo,
in ID., La Parola e il soffio, Borla, Roma 1985 [1984], 151-159.
55
K. RAHNER, Chiesa dalla base, in ID., Trasformazione strutturale della Chiesa come
compito e come chance, Queriniana, Brescia 1973 [1972], 132-145; P.D. MURRAY, La ne-
cessità di una teologia integrata del ministero nel cattolicesimo contemporaneo. Una pro-
spettiva dal Nord del mondo, “Concilium” 46 (2010), 1, 58-74. Si veda, tuttavia, anche il
significativo J. RATZINGER, Fede e futuro, Queriniana, Brescia 2005 [1970], 99-117.
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56
L’espressione la trovo presentata (in verità in modo un po’ incerto) in R. LUCIANI, Er-
meneutica delle identità e delle relazioni in una Chiesa popolo di Dio, in S. NOCETI – R.
REPOLE, Commentario ai documenti del Vaticano II. 9. Il Vaticano II e i suoi documenti,
EDB, Bologna 2022, 149-159.
57
Troviamo sintonia con Il processo di riconfigurazione della ministerialità in una Chie-
sa sinodale proposto da S. NOCETI, Vie di una riforma in prospettiva sinodale, 147-193.
58
FRANCESCO, Ai Membri della Commissione Teologica Internazionale, 24 novembre
2022 [https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/november/documents/
20221124-cti.html; https://archive.is/lbLLs].
101
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59
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La Sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa, 2018: minist* 65x; caris* 17x.
60
Tralasciamo le indicazioni di stile riferite ai movimenti popolari, ai movimenti e as-
sociazioni in rapporto al carisma dei loro fondatori.
102
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61
FRANCESCO, Querida Amazonia. Esortazione Apostolica post-sinodale, 12 febbraio
2020, ai nn. 85-90 accoglie il rapporto tra ministeri e inculturazione o contestualizzazio-
ne [https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-fran-
cesco_esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html; https://archive.is/32IS2]. Il te-
sto si riferisce ai nn. 93-96 di SINODO DEI VESCOVI, Amazzonia: nuovi cammini per la Chie-
sa e per una ecologia integrale. Documento finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre
Francesco, 26 ottobre 2019 [https://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_
synod_doc_20191026_sinodo-amazzonia_it.html; https://archive.is/ikKkD].
62
FRANCESCO, Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Spiritus Domini, 10 gennaio
2021 e la più ampia Lettera del Santo Padre Francesco al Prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede circa l’accesso delle donne ai ministeri del lettorato e dell’accolitato,
10 gennaio 2021 («Una più chiara distinzione fra le attribuzioni di quelli che oggi sono
chiamati “ministeri non-ordinati (o laicali)” e “ministeri ordinati” consente di sciogliere la
riserva dei primi ai soli uomini» [https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/
documents/papa-francesco-motu-proprio-20210110_spiritus-domini.html; https://archi-
ve.is/THJmj; https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2021/documents/papa-
francesco_20210110_lettera-donne-lettorato-accolitato.html; https://archive.ph/itd8g].
63
FRANCESCO, Lettera apostolica in forma di “Motu Proprio” Antiquum ministerium con
la quale si istituisce il ministero di catechistica, 10 maggio 2021 [https://www.vatican.va/
content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio-20210510_
antiquum-ministerium.html; https://archive.is/K4iiY].
64
FRANCESCO, Messaggio in occasione del 50° anniversario della Lettera Apostolica in
forma di «Motu Proprio» Ministeria quaedam di San Paolo VI, 15 agosto 2022 [https://
www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2022/documents/2022
0815-messaggio-ministeria-quaedam.html; https://archive.is/y72Qg]; si veda anche
FRANCESCO, Messaggio del Santo Padre Francesco, a firma del Cardinale segretario di Sta-
to Pietro Parolin, in occasione della 72.ma Settimana Liturgica Nazionale, 2022 [https://
www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2022/documents/
20220822-messaggio-sett-liturgica.html; https://archive.is/6aIE0].
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65
Cf. il suo continuo, ma in fondo tradizionale, riferimento al Cristo servo più che al
Cristo sacerdote.
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Ridisegnare la ministerialità. Compito sinodale
66
Oltre gli autori citati in precedenza (E. Schillebeeckx e Y Congar) si può vedere
H. LEGRAND, I Ministeri nella Chiesa locale, in B. LAURET – F. REFOULÉ (direttori), Ini-
ziazione alla pratica della teologia. Vol 3: Dogmatica II, Queriniana, Brescia 1986
[1983], 186-282.
67
L.-J. SUENENS, La corresponsabilità idea dominante del Concilio e le sue conseguen-
ze pastorali, in AA.VV., Teologia del rinnovamento. Mete, problemi e prospettive della teolo-
gia contemporanea, 1969, 66-75 [qui 68.73].
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In conclusione
68
Ricordiamo che su questo punto il pensiero di papa Francesco è al momento fermo:
secondo la tradizione il ministero ordinato è maschile. Per usare il suo linguaggio, appar-
tiene alla radice e non ai rami della Tradizione, cf. Ai Membri della Commissione Teologi-
ca Internazionale, 24 novembre 2022.
69
FRANCESCO, Angelus, 16 ottobre 2022 [https://www.vatican.va/content/francesco/it/
angelus/2022/documents/20221016-angelus.html; https://archive.is/7lRtk]: «Il 10 otto-
bre dell’anno scorso si è aperta la prima fase della XVI Assemblea Generale Ordinaria del
Sinodo dei Vescovi, sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, mis-
sione”. Da allora si sta svolgendo nelle Chiese particolari la prima fase del Sinodo, con
l’ascolto e il discernimento. I frutti del processo sinodale avviato sono molti, ma perché
giungano a piena maturazione è necessario non avere fretta. Pertanto, allo scopo di dis-
porre di un tempo di discernimento più disteso, ho stabilito che questa Assemblea sino-
dale si svolgerà in due sessioni. La prima dal 4 al 29 ottobre 2023 e la seconda nell’otto-
bre del 2024. Confido che questa decisione possa favorire la comprensione della sinoda-
lità come dimensione costitutiva della Chiesa, e aiutare tutti a viverla in un cammino di
fratelli e sorelle che testimoniano la gioia del Vangelo».
70
Lo ha chiarito FRANCESCO in Costituzione apostolica Episcopalis communio, 15 set-
tembre 2018 [https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/docu-
ments/papa-francesco_costituzione-ap_20180915_episcopalis-communio.html;
https://archive.is/j0hph].
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Ridisegnare la ministerialità. Compito sinodale
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L’espressione giuridica «Quod omnes tangit ab omnibus approbari debet» risale al
Codice di Giustiniano; Y. CONGAR l’ha ripresa in Quod omnes tangit, ab omnibus tractari
et approbari debet, “Revue historique de droit français et étranger” 36 (1958), 210-259;
allo stesso modo papa Francesco (Discorso nella commemorazione del 50° anniversario del-
l’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015) ma limitando il percorso al solo trac-
tari. Tuttavia si dovrebbe tenere in maggior conto la prassi del monachesimo benedettino
in capitulo.
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ABSTRACT
RIDISEGNARE LA MINISTERIALITÀ
COMPITO SINODALE
Da alcuni anni Papa Francesco sta indirizzando la chiesa verso uno stile di si-
nodalità. Le motivazioni sembrano essere che la riforma avviata con il Vaticano
II non pare aver ottenuto sufficienti risultati per realizzare un adeguato slancio
missionario. Egli ritiene che sia mancata una comunicazione tra soggettività dei
laici e ministero ordinato che non si è reso disponibile all’esercizio dei diversi ca-
rismi missionari del popolo di Dio. La ministerialità dei laici, che sembrava esse-
re la risorsa centrale della riforma missionaria del Vaticano II, viene ora compre-
sa come uno dei suoi problemi fondamentali della conversione o riforma mis-
sionaria della chiesa. Per questo papa Francesco chiede di ridisegnare la mini-
sterialità perché sia espressione di sinodalità, perché sappia guidare l’intero po-
polo di Dio nella sua missione. Questa svolta ministeriale, tuttavia, ha bisogno
di scelte sinodali complesse. Al momento il cammino sinodale, che si conclu-
derà nel 2024, non sembra esprimere un adeguato consenso su una nuova let-
tura teologica della ministerialità.
REDESIGNING MINISTERIALITY
AS SYNODAL TASK
For some years, Pope Francis has been directing the Church towards a style of
synodality. The motivations seem to be the fact that the reform started with Vat-
ican II does not seem to have obtained sufficient results to achieve an adequate
missionary impulse. He believes that there has been a lack of communication
between the subjectivity of the laity and the ordained ministry which has not
made itself available for the exercise of the various missionary charisms of the
people of God. Lay ministry, which seemed to be the central resource of the
missionary reform of Vatican II, is now understood as one of its fundamental
problems of the conversion or missionary reform of the Church. For this Pope
Francis asks to redesign ministeriality so that it is an expression of synodality, so
that it knows how to guide the entire people of God in its mission. This ministe-
rial change, however, requires complex synodal choices. At the moment the
synodal process, which will end in 2024, does not seem to express an adequate
consensus on a new theological interpretation of ministeriality.
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«Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche
nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie
in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è
il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Si tratta di
un passaggio del discorso tenuto da Papa Francesco il 17 ottobre 2015, in
occasione della commemorazione del 50mo anniversario dell’istituzione del
Sinodo dei Vescovi. Lo ritroviamo citato diverse volte in altri contesti di ri-
flessione teologica sul Sinodo e sulla sinodalità. È diventata – soprattutto
l’ultima espressione di quella citazione – quasi uno slogan per avvalorare
l’importanza del processo sinodale nell’attuale stagione ecclesiale.
In verità, si ha come l’impressione che ancora poco sia stata indagata la
connessione tra l’imperativo della sinodalità e la sua pertinenza rispetto al-
la vita e all’azione della Chiesa nei contesti socio-culturali attuali. Direi di
più: si avverte come il rischio che quello della sinodalità sia un processo
dai marcati confini intraecclesiali, che non faccia i conti fino in fondo con
la sorte del cristianesimo nel tempo che viviamo oltre che con la forma di
Chiesa capace oggi di corrispondere da una parte alla fedeltà al Vangelo e
dall’altra ad una sensata presenza nel mondo1. In ragione di ciò pare oppor-
1
Cf. P. CODA, Chiesa sinodale nell’oggi della storia. La via del discernimento comuni-
tario, ed. A. CLEMENZIA, Città Nuova, Roma 2022, 89-99.
109
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2
Un riferimento essenziale per tali questioni è sicuramente l’opera di CH. TAYLOR, L’e-
tà secolare, Feltrinelli, Milano 2010.
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Una Chiesa sinodale nei contesti socio-culturali attuali
strutturata della Chiesa, ovunque vi sia una comunità civile. Sono solo al-
cuni dei tratti che mettono in rilievo la crisi del modello della cristianità da
interpretare in concomitanza con il fenomeno della secolarizzazione, che
costituisce un elemento decisivo a partire dal quale poter leggere le trasfor-
mazioni sociali e culturali odierne. A partire dagli studi di N. Luhmann, il
cuore del fenomeno della secolarizzazione non va tanto identificato nell’a-
vanzata della scristianizzazione o nella diffusione dell’ateismo, effetti pur
ben rintracciabili, quanto nella «differenziazione» moderna dei sistemi so-
ciali, che ne è la causa o il nucleo centrale3. Nella società generata dalla
secolarizzazione l’integrazione sociale non è più garantita da un solo fatto-
re, ma da una complessa rete di relazioni tra ogni sistema e il suo ambien-
te4. Ne deriva che la religione, da fattore principale dell’integrazione socia-
le, diventa solo uno dei fattori e, per altro, sempre più marginale. Così si
spiega la sempre più crescente indifferenza nei suoi confronti, motivata dal-
la evidente irrilevanza o scarsa rilevanza sociale5.
A questa lettura dal versante sociale se ne può aggiungere un’altra che
guarda maggiormente al risvolto personale della secolarizzazione e il cui in-
terprete principale è il canadese Ch. Taylor6. La sua lettura del fenomeno
porta l’attenzione su una transizione culturale da una società in cui la fede
in Dio era considerata come un dato incontestabile e non problematico ad
una in cui viene reputata un’opzione tra le altre, e spesso non come la più
facile da abbracciare. Per Taylor, dunque, la secolarizzazione non significa
3
Cf. N. LUHMANN, Funzione della Religione, Morcelliana, Brescia 1991.
4
G. Ferretti sintetizza in questi termini la tesi luhmanniana: «Secondo Luhmann i fon-
damentali sottosistemi in cui l’odierna società complessa è funzionalmente differenziata
sarebbero il sistema economico, che si organizza in base al codice simbolico (o medium
di comunicazione) del “denaro”, il sistema politico, il cui codice è il “potere”, il sistema
giuridico, il cui codice è il “diritto”, il sistema scientifico, il cui codice è la “verità”, il si-
stema famiglia, il cui codice è l’“amore”, il sistema educativo, il cui codice è la “valuta-
zione selettiva”, il sistema “arte”, il cui codice è il “bello”, il sistema morale, il cui codi-
ce è il “bene” ed infine il sistema religioso, il cui codice è la “fede/salvezza”», G. FER-
RETTI, Filosofia e teologia cristiana. Saggi di epistemologia ermeneutica. II. Figure, Edi-
zioni Scientifiche, Napoli 2002, 198.
5
Cf. ID., Essere cristiani oggi. Il «nostro» cristianesimo nel moderno mondo secolare, El-
ledici, Torino 2016, 55-57.
6
Per una presentazione sintetica del pensiero di Ch. Taylor, rimando a R. REPOLE, La
Chiesa e il suo dono. La missione fra teo-logia ed ecclesiologia, Queriniana, Brescia 2019,
56-64.
111
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7
TAYLOR, L’età secolare, 598.
8
Ibid., 612.
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Una Chiesa sinodale nei contesti socio-culturali attuali
Dio di Gesù Cristo, un tipo di relazione interumana che nessuna società in-
tramondana può esaurire, al punto da potersi presentare come fermento del-
le diverse realtà della vita sociale.
Come pure, alla luce della tesi di Taylor propugnatrice di una “cultura
dell’espressivismo” e “dell’autenticità”, sul piano della riflessione teologi-
ca si può mettere in luce proprio il dinamismo tipico della sinodalità, che
è capace di evitare due altre tentazioni: quella di “riduzione all’uno” dei
diversi approcci alla fede e dei diversi percorsi e quella contraria di un plu-
ralismo dei percorsi e delle esperienze spirituali e di fede, tale per cui di-
venta poi difficile sperimentare che si cammina sinodalmente, cioè insieme
sulla stessa via del cristianesimo.
Un’altra questione che nel contesto sociale attuale chiede un ripensa-
mento è quella relativa alla figura e all’esercizio dell’autorità. La secolariz-
zazione ha a che fare anche con una maniera diversa di rapportarsi all’au-
torità, soprattutto nel suo modo di darsi e di realizzarsi, soggetto alla storia
e ai cambiamenti in atto. Rispetto a questo elemento, vale la pena doman-
darsi se una Chiesa sinodale non debba essere anche una Chiesa nella qua-
le è ripensata la questione della ministerialità e dell’esercizio dell’autorità.
E ancora, i contesti sociali nei quali la Chiesa vive in Occidente sono dal
punto di vista politico fortemente connotati dall’appello insistente alla de-
mocrazia. Tali contesti inducono la Chiesa a ripensare la sua vita interna
come qualcosa che non può identificarsi certo con la democrazia e che tut-
tavia può offrire un contributo alla realizzazione dei migliori valori demo-
cratici lì dove, paradossalmente, la democrazia stessa è in forte crisi.
9
Cf. G. CANOBBIO, Sulla sinodalità, “Teologia” 41 (2016), 2, 260.
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10
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa, in EAD., Documenti 2005-2021, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2022,
429-430. Cf. C.M. GALLI, La figura sinodal de la Iglesia según la Comisión Teológica In-
ternacional, in R. LUCIANI – M.T. COMPTE (edd.), En camino hacia Iglesia sinodal, Funda-
cion Pablo VI, Madrid 2020, 111-132; P. CODA, La sinodalità, esercizio di Chiesa. A pro-
posito del documento della Pontifica Commissione Teologica Internazionale, in R. BATTOC-
CHIO – L. TONELLO (edd.), Sinodalità. Dimensione della Chiesa, pratiche nella Chiesa,
Messaggero – Facoltà Teologica del Triveneto, Padova 2020, 187-200; P. CODA – R. REPO-
LE (edd.), La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Commento a più voci al
Documento della Commissione teologica internazionale, EDB, Bologna 2019.
11
Cf. G. CALABRESE, Ecclesiologia sinodale. Punti fermi e questioni aperte, EDB, Bolo-
gna 2021, 49-76.
12
H. LEGRAND, Per una Chiesa sinodale, in ID. – M. CAMDESSUS, Una Chiesa trasforma-
ta dal popolo, Paoline, Milano 2021, 91-100.
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Una Chiesa sinodale nei contesti socio-culturali attuali
che partecipano alla vita e alla missione della Chiesa, in una dinamica di
correlazione degli uni con gli altri. Nello specifico tale correlazione si dà
tra il munus profetico e il munus regale di tutti i christifideles e del popolo
di Dio nel suo insieme e l’esercizio dei munera docendi e regendi dei ve-
scovi. Si assiste, in tal senso, al superamento di quella secolare divisione
tra ecclesia docens ed ecclesia discens che per secoli ha regolato le relazio-
ni ecclesiali, come pure alla decostruzione – almeno teorica - di quel para-
digma sacrale e gerarchizzante con cui si è letto il tema del ministero ordi-
nato e dei ministeri dei battezzati. La sinodalità non solo sottolinea l’esse-
re e camminare insieme dei soggetti ecclesiali, ma anche la loro interazio-
ne: quasi una «coreografia» di figure ministeriali13. In tal senso il coinvol-
gimento di nuovi soggetti (laici, donne) nel processo di comprensione del-
la fede e di sviluppo della tradizione produce un effetto di dislocazione dal
centro degli altri soggetti e di ricollocazione degli stessi in una dinamica re-
lazionale, che traduce nelle pratiche ecclesiali la logica della corresponsa-
bilità secondo una interazione dei tutti con gli alcuni e con l’uno.
Tale interazione dinamica ha bisogno di essere indagata in profondità,
partendo proprio dal chiarire chi siano questi tutti, alcuni e uno. Se, infat-
ti, dovessimo rievocare il principio medievale – utile per descrivere i pro-
cessi di una Chiesa sinodale – in virtù del quale ciò che riguarda tutti de-
ve essere trattato ed approvato da tutti, non si può fare a meno di ricono-
scere come il contesto attuale non ci permetta un’automatica e scontata rea-
lizzazione di quel principio, dal momento che la fine della cristianità di fat-
to presenta una pluralità di vissuti di fede, non omologabili sotto un unico
tipo. Per riferirsi, ad esempio, alla situazione del nostro paese, la maggior
parte degli italiani risulta ancora formalmente cristiana ed ha ricevuto i sa-
cramenti dell’iniziazione cristiana. Rispetto a questa maggioranza, però, so-
no una minoranza coloro che hanno deciso di vivere la vita da credenti. Chi
sarebbero, dunque, questi tutti da coinvolgere nei processi sinodali? E poi,
i contributi differenti di costoro andrebbero collocati tutti sullo stesso pia-
no di un comune esercizio del sensus fidei? Sono domande che pongono in
evidenza come l’imperativo della sinodalità ha bisogno di essere coniugato
13
S. NOCETI, Il processo di riconfigurazione della ministerialità in una Chiesa sinodale,
in R. LUCIANI – EAD., Sinodalmente. Forma e riforma di una Chiesa sinodale, Nerbini, Fi-
renze 2022, 149-150. Si veda pure della stessa autrice, Nuove coreografie. La pluralità
necessaria di ministerialità per una liturgia viva e vitale, “Ecclesia Orans” 39 (2022), 2,
496-503.
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14
R. REPOLE, Sinodalità. Il contributo della teologia, “Teologia” 46 (2021), 521-525.
15
K. RAHNER, Il nuovo volto della chiesa, in ID., Nuovi saggi, III, Paoline, Roma 1968.
406.
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16
S. NOCETI, Una Chiesa locale sinodale: la riforma delle strutture, in LUCIANI – EAD.,
Sinodalmente, 215. Cf. pure G. ROUTHIER, Il rinnovamento della vita sinodale nelle chiese
locali, in A. SPADARO – C.M. GALLI (edd.), La riforma e le riforme nella Chiesa, Querinia-
na, Brescia 20172, 233-247.
17
Cf. A. BORRAS, Episcopalis communio, mérites et limites d’une réforme institutionel-
le, “Nuovelle Revue Théologique” 141(2019), 82-87; S. DIANICH, Dalla teologia della si-
nodalità alla riforma della normativa canonica, in CODA – REPOLE (edd.), La sinodalità
nella vita e nella missione della Chiesa, 71-82.
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118
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18
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa, 431.
19
Ibid., 422.
119
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20
D. VITALI, I ministeri in una Chiesa sinodale. Oltre il modello tridentino. II, “La Ri-
vista del Clero Italiano” 103 (2022), 10, 679.
120
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21
S. NOCETI, Il processo di riconfigurazione della ministerialità in una Chiesa sinodale,
in LUCIANI – EAD., Sinodalmente, 192-193. Si veda pure L. TONELLO, I «ministeri laicali»
nel processo di recezione del Vaticano II, “Credere Oggi” 30 (2010), 1, 17-33; G. ZAMBON,
La sinodalità nella struttura ministeriale della Chiesa, in BATTOCCHIO – TONELLO (edd.),
Sinodalità. Dimensione della Chiesa, pratiche nella Chiesa, 35-56.
22
A. BORRAS, La sinodalità cattolica tra la Chiesa universale e la Chiesa locale, “Ephe-
merides Iuris Canonici” 62 (2022), 525-532.
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23
EAD., Una Chiesa locale sinodale: la riforma delle strutture, in LUCIANI – EAD., Sino-
dalmente, 216.
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Una Chiesa sinodale nei contesti socio-culturali attuali
24
Cf. G. ALBERIGO, Ecclesiologia e democrazia. Convergenze e divergenze, “Concilium”
28 (1992), 5, 737; H. LEGRAND, Democrazia o sinodalità per la Chiesa? Convergenze rea-
li e divergenze profonde, “Ricerca” 5-6 (1996), 4-5 e 5-9.
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Vito Mignozzi
Facoltà Teologica Pugliese
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25
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa, 456.
26
Ibid., n. 119.
27
D. HORAK, Sinodo, democrazia, opinione pubblica, “Credere Oggi” 42 (2022), 1, 95.
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Una Chiesa sinodale nei contesti socio-culturali attuali
ABSTRACT
Il processo sinodale, che sta interessando la Chiesa universale in vista della ce-
lebrazione del prossimo Sinodo dei Vescovi, ha sollecitato una rinnovata atten-
zione alla questione della sinodalità quale stile che deve caratterizzare l’essere
e l’agire della Chiesa. L’attualità del tema emerge con particolare forza se si
prendono in considerazione i principali tratti socio-culturali caratterizzanti l’epo-
ca attuale e il loro impatto sull’esperienza credente nonché sull’istituzione Chie-
sa. In ragione di ciò, il presente studio prova a delineare la cornice contestuale
all’interno della quale la sinodalità costituisce un elemento strutturante il modo
di essere della comunità dei credenti e dei singoli battezzati nel tempo che vi-
viamo. La forma sinodale della Chiesa chiama in causa il principio di correspon-
sabilità esistente tra i christifideles, che trova una forma peculiare di realizzazio-
ne nell’esercizio di una ministerialità plurale e differenziata. D’altro canto l’appel-
lo ad una conversione sinodale della Chiesa chiede pure un impegno di riforma
delle sue strutture.
A SYNODAL CHURCH
IN CONTEMPORARY SOCIO-CULTURAL CONTEXTS
The synodal process in which the universal Church is involved in view of the cel-
ebration of the next Synod of Bishops, has called for renewed attention to the
question of synodality as a style which must characterize the being and the ac-
tion of the Church. The topicality of the theme emerges with particular force if
we take in consideration the main socio-cultural traits characterizing the current
era and their impact on the believing experience as well as on the institution of
the Church. For this reason, the present study tries to outline the contextual
framework within which synodality constitutes a structuring element of the way
of being of the community of believers and of baptized individuals in the times
we live. The synodal form of the Church calls into question the principle of co-
responsibility existing among the christifideles, which finds a particular form of
realization in the exercise of plural and differentiated ministeriality. On the other
hand, the call for a synodal conversion of the Church also calls for a commit-
ment to reform its structures.
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UUJ
ARTICOLI
Salvatore Currò
La qualità della diaconia ecclesiale:
reciprocità, comune umanità e risonanza del Vangelo
Antonino Drago
Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità.
Il libro Introduzione alla vita interiore di Lanza del Vasto
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Salvatore Currò
Introduzione
1
«Tutta questa ricchezza dottrinale [quella del Concilio] è rivolta in un’unica direzio-
ne: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni
sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità, proprio nel momen-
to in cui maggiore splendore e maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità con-
ciliare, sia il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo: l’idea di ministero
ha occupato un posto centrale» PAOLO VI, Allocuzione nell’ultima sessione pubblica del
Concilio ecumenico Vaticano II, 7 dicembre 1965 [https://www.vatican.va/content/paul-
vi/it/speeches/1965/documents/hf_p-vi_spe_19651207_epilogo-concilio.html; https://ar-
chive.is/BJcM2].
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2
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e testimonianza della carità,
Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni ‘90, 8 dicembre 1990.
3
EAD., Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti pastorali per il
primo decennio del 2000, 29 giugno 2001.
4
EAD., Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato ita-
liano per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010.
5
Cf. ad es. FRANCESCO, Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù, Incontro con i rappresentan-
ti della Chiesa italiana, Firenze, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, 10 novembre 2015.
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La qualità della diaconia ecclesiale
siale in quanto tale. Tenteremo, qui, di far emergere, in una prospettiva cul-
turale e antropologica, tre sfide; esse hanno a che fare: con l’istanza della
reciprocità (o sinodalità) (1), con la necessità di abitare la comune umani-
tà (2), con la provocazione a far risuonare il Vangelo (3). Sono strettamen-
te connesse tra loro; sono forse tre modi di dire un’unica sfida.
6
Una decisa spinta verso la sinodalità Francesco l’ha data in occasione del 50° anni-
versario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, affermando con decisione: «Il cammino
della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», Discor-
so in occasione della Commemorazione del 50º anniversario dell’istituzione del Sinodo dei
Vescovi, 17 ottobre 2015. Questa affermazione ha costituito il punto di avvio della rifles-
sione della Commissione teologica internazionale (La sinodalità nella vita e nella missio-
ne della Chiesa, 2 marzo 2018, 1). Il Sinodo del 2018, su I giovani, la fede e il discerni-
mento vocazionale, ha avuto una grande importanza per l’approfondimento e il rilancio
della sinodalità, e ha influito molto sulla scelta di celebrare il prossimo Sinodo sul tema
«Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» (cf. R. SALA, Pastorale
giovanile 2. Intorno al fuoco vivo del Sinodo. Educare ancora alla vita buona del Vangelo,
invito alla lettura di Papa Francesco, rilancio del cammino di G. COSTA, Elledici, Torino
2020, 327-336; è il capitolo dal titolo: «L’idea di sinodalità missionaria. Dal Sinodo sui
giovani a quello sulla sinodalità»).
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17
H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, intr. di A. DAL LAGO, tr. di S. FINZI,
Bompiani, Milano 2012, 131.
18
SINODO DEI VESCOVI – XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA: I GIOVANI, LA FEDE E IL DI-
SCERNIMENTO VOCAZIONALE, Documento finale, 28 ottobre 2018, 117.
19
Ibid., 118.
10
Christus Vivit, Esortazione apostolica postsinodale ai giovani e a tutto il popolo di
Dio, 25 marzo 2019, 203.
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La qualità della diaconia ecclesiale
dei più giovani, delle donne, talvolta dei laici in genere, dai processi deci-
sionali; l’emarginazione dei più poveri, dei meno appartenenti all’esperien-
za ecclesiale, ecc. Le relazioni pastorali e di evangelizzazione non devono
certo rinunciare alla propositività (che è insita all’evangelizzazione), né al-
la asimmetria (insita alle esperienze educative, catechistiche e pastorali in
genere), né al senso del dono e del dono gratuito (ad es. nel servizio dei più
poveri). Ma, a pensarci bene, queste istanze si manifestano nel loro vero
senso se la relazione assume il tono della reciprocità, cioè del “con”, e se
rimane aperta all’evento.
Reciprocità non significa appiattimento delle differenze. Si è davvero in
relazione se ci si scambia dei doni. Se è vero che bisogna dare (a seconda
delle situazioni: il Vangelo, il pane, l’amicizia, la cultura etc.), è anche ve-
ro che bisogna saper ricevere (ad es., dal punto di vista di un educatore o
operatore pastorale: sensibilità e idee nuove, punti di vista più radicati
nelle situazioni di vita, interpretazioni nuove della comunità cristiana e
del Vangelo stesso). C’è qualcosa di paradossale e sconvolgente in un’au-
tentica azione evangelizzatrice o di diaconia: colui che riceve un aiuto
vuole anche dare, a volte desidera dare più che ricevere; a volte il dono
più grande che gli si può fare è di saper ricevere. Quando annunciamo il
Vangelo, soprattutto ai poveri o a coloro che sono più distanti dall’espe-
rienza ecclesiale, magari in luoghi decentrati rispetto a quelli della comu-
nità ecclesiale, possiamo sperimentare che il Signore ci precede e possia-
mo avvertire di ricevere noi stessi il dono del Vangelo, proprio mentre lo
annunciamo e proprio da coloro a cui lo annunciamo11. L’evangelizzazione
è nel segno dello scambio dei doni e, proprio per questo, nel segno della
grazia. Se, infatti, si rompe l’unilateralità, se si sa anche ricevere mentre
si dà, la relazione sprigiona il suo carattere di evento e si apre lo spazio
dell’iniziativa di Dio. In fondo, Dio è sempre all’opera in ogni situazione e
nel cuore di ogni persona. Non è forse vero che le comunità cristiane, cre-
sciute un po’ nella capacità di accogliere, sono chiamate a crescere anche
nel ricevere e nel lasciarsi accogliere? E non è forse vero che l’evangeliz-
zazione, in tutte le sue espressioni, deve evitare i rischi del neopelagiane-
simo e attuarsi nel segno della grazia12?
11
Papa Francesco insiste spesso su questi aspetti (v. ad es. Discorso ai partecipanti al
Congresso internazionale sulla catechesi, 27 settembre 2013).
12
V. EG 94.
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13
«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, ben-
sì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e
con ciò la direzione decisiva», BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, Lettera enciclica sull’a-
more cristiano, 25 dicembre 2005. Questo testo è ripreso spesso da FRANCESCO, ad es. in
Christus Vivit, 129.
14
Rinvio a S. CURRÒ, Giovani, Chiesa e comune umanità. Percorsi di teologia pratica
sulla conversione pastorale, pref. di E. FALQUE, Elledici, Torino 2021, 75-100 (è il capito-
lo su «Gratuità, trascendenza e grazia dell’incontro»).
15
Interessante il tentativo di R. REPOLE di ripensare radicalmente la missione eccle-
siale nella prospettiva del dono (La chiesa e il “suo” dono. La missione fra teo-logia ed ec-
clesiologia, Queriniana, Brescia 2019).
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La qualità della diaconia ecclesiale
partenenti o non appartenenti alla Chiesa, senza che ciò significhi sminui-
re il senso della fede e dell’appartenenza ecclesiale. Se la missione eccle-
siale si canalizza unicamente sulla finalità di favorire l’esperienza di fede
e l’appartenenza ecclesiale, rimane modulata su una sfida che, in fondo, è
avvertita solo dai cristiani e abita un terreno che non è di tutti, ma solo di
coloro che hanno una qualche disponibilità, sia pur problematica, a misu-
rarsi con la fede. In quest’ottica, sottilmente attraversata da nostalgia di cri-
stianità, la diaconia subisce una restrizione di senso: è ciò su cui far perno
per suscitare apertura al Vangelo; è annuncio attraverso i gesti laddove c’è
resistenza nei confronti della parola che dice la fede; è, nella peggiore del-
le ipotesi, ciò che rimane possibile fare alla Chiesa in un contesto secola-
rizzato e indifferente alla fede.
Non bisogna decurtare il senso della missione ecclesiale. Essa non si ri-
duce all’annuncio del Vangelo e nemmeno ad azione sociale. Si tratta si si-
tuarla in un orizzonte che non sia intraecclesiale e, a pensarci bene, la
preoccupazione per l’evangelizzazione rimane preoccupazione ecclesiale,
non di tutti. L’orizzonte di tutti è evocato dal testo di apertura della Gau-
dium et Spes, ben conosciuto ma che deve ancora sprigionare tutta la sua
forza ispiratrice: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uo-
mini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure
le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nul-
la vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Ciò im-
plica sentire la comunità dei cristiani «realmente e intimamente solidale
con il genere umano e con la sua storia» (GS 1). La comunità cristiana non
è di fronte alla società, ma si realizza nel cuore della comunità sociale. I di-
scepoli di Gesù operano dall’interno stesso delle esperienze di vita, come
luce e lievito, sentendosi in cammino con tutti. Si vanno forse sciogliendo
le barriere ideologiche.
Le differenze in ordine all’esperienza di fede sono ricondotte alle sfide
comuni e alla comune umanità. Si levano sempre più voci laiche che si in-
terrogano sulle risorse del cristianesimo per il futuro dell’umanità16. C’è
la possibilità di superare dei dualismi ancora molto radicati, a partire da
quello fede-vita o vangelo-cultura, come se si trattasse di entità separate
che vanno poi integrate. Un segno del superamento dei dualismi e dei mu-
16
Cf. ad es. F. JULLIEN, Risorse del cristianesimo. Ma senza passare per la via della fe-
de, tradotto da M. GARZILLO – V. OSTUNI, Ponte alle Grazie, Milano 2019.
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17
EG 20-24.
18
Si veda il capitolo secondo della EG.
19
Si veda il capitolo quarto della EG.
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La qualità della diaconia ecclesiale
ciare il Vangelo a partire dalle sfide e dalle tracce dell’opera di Dio, spri-
gionandone tutta la carica di promessa e di dono20. La sfida, per la comu-
nità cristiana, sarebbe, dunque, di pensare l’evangelizzazione non solo nel-
la prospettiva della Evangelii Gaudium (la Chiesa in uscita) ma anche e
prima di tutto nella prospettiva della Laudato si’ e della Fratelli tutti (del-
la casa comune, della comune appartenenza all’umanità)21. Tale ricompren-
sione è possibile a partire dalla diaconia.
Non bisogna sforzarsi troppo a sentirsi co-appartenenti e abitanti dello
stesso mondo. Lo siamo già. Si tratta di una riconciliazione o di una resa,
più che di una conquista. Si tratta di arrendersi ai legami che di fatto ci co-
stituiscono, che, possiamo dire, intrecciano (collegano) i nostri corpi, che
lo vogliamo o no. Possiamo ignorare tali legami solo a condizione di diven-
tare insensibili. Ma se ci arrendiamo alla nudità dell’esistenza o, positiva-
mente, se ci riconciliamo con essa, emerge la coappartenenza sensibile e si
impone un richiamo di fraternità, iscritto, per così dire, nella pelle. La pan-
demia ha portato a manifestazione questo piano più radicale e Francesco lo
evidenzia:
20
Interessanti, in questo senso, gli approfondimenti biblici sul «Vangelo della creazio-
ne» (nel capitolo secondo della LS) e su «un estraneo sulla strada», cioè sulla parabola
del buon samaritano (nel capitolo secondo della FT). Essi sono in un orizzonte per cui pos-
sono risultare davvero significativi per tutti, a cominciare dai cristiani; nei non cristiani
possono suscitare il senso della forza del Vangelo in rapporto alla verità dell’esistenza.
21
Si tenga presente LS 3, dove Francesco spiega, marcando la differenza tra questa En-
ciclica e l’Esortazione apostolica EG, di volersi rivolgere a tutti. Lo può fare, evidente-
mente, perché assume una sfida di tutti e perché abita il terreno di tutti: «Nella mia Esor-
tazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri della Chiesa per mobilitare un processo
di riforma missionaria ancora da compiere. In questa Enciclica, mi propongo specialmen-
te di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune».
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22
FT 32. Francesco riprende quanto aveva affermato nel Momento straordinario di pre-
ghiera in tempo di epidemia, Roma, Piazza S. Pietro, 27 marzo 2020.
23
Papa Francesco, in rapporto ai grandi problemi del nostro tempo, mette spesso in
guardia dai rischi, tra loro connessi, della globalizzazione dell’indifferenza, dell’insensi-
bilità, dell’anestesia delle coscienze (v. ad es.: EG 53 e FT 275).
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La qualità della diaconia ecclesiale
dilemma che si può avvertire bene solo alla prima persona: rimango chiuso
o mi apro? Rimango impermeabile o mi lascio raggiungere? sensibile o in-
sensibile? Mi posiziono in modo da vedere e lasciarmi vedere o rimango
pauroso e ripiegato sul mio mondo? Nel concreto non si dà una terza via24.
L’orizzonte della fede segna l’umanità in tutta la sua ampiezza e profon-
dità, intercetta la differenza, la manifesta in tanti modi. È la differenza tra
il rispondere a Dio e il fuggire da Lui (si pensi alla vicenda di Giona, nel-
l’omonimo libro della Bibbia), tra l’essere uniti a Cristo che è la vite e l’es-
sere un tralcio staccato che non porta frutto (cf. Gv 15, 5-6), tra l’essere sul-
la via del bene, cioè della vita, e l’essere sulla via del male, cioè della mor-
te (cf. Ger 21, 8). La differenza, nella mentalità cristiana, è connessa col
fatto che Cristo è segno di contraddizione o pietra di inciampo, motivo di
caduta o di risurrezione (cf. Lc 2, 34). E lo è, in un modo o nell’altro, per
tutti. Lo si avverte, innanzitutto, su un piano sensibile, corporeo, preco-
sciente. Il «sensus fidei», l’«istinto della fede», che aiuta i cristiani «a di-
scernere ciò che viene realmente da Dio»25, proprio per questo, apre il cuo-
re (e quindi gli occhi e la mente) sulla differenza e fa luce su di essa; allo
stesso tempo vive di essa, dell’essere posizionati in essa. La fede è, certo,
anche interpretazione e visione della vita, ma la visione è connessa con la
posizione. Se l’interpretazione fa la differenza tra i cristiani e i non cristia-
ni, la posizione fa la differenza nel cuore della comune umanità. La posi-
zione, d’altra parte, è intimamente connessa con la fede, apre o chiude a
Dio, invera o vanifica il rapporto con Cristo.
In ambito ecclesiale, ed anche in ambito teologico (o teologico-pastora-
le), ci si preoccupa molto di rapportare l’umano alla fede, ma come se l’u-
mano fosse neutro. L’umano, invece, è sempre nel dilemma del veramente
umano o del falsamente umano (o disumano); e tale dilemma diventa sem-
pre più acuto nel nostro tempo, anche in rapporto alla questione della fede.
La comunione con Cristo ci dà luce per il discernimento (tra l’umano e il
disumano) ma perché, prima di tutto, ci posiziona e ri-posiziona continua-
mente dalla parte del veramente umano26. In Cristo si manifesta l’umano in
24
Ho cercato di rendere conto di una comprensione dell’umano nel segno della diffe-
renza e del dilemma in Giovani, Chiesa e comune umanità, 279-290 (il capitolo su «Il di
più o il proprio dell’umano»).
25
EG 119.
26
Proprio secondo quanto dice GS 1 nel passo già ricordato: «Nulla vi è di genuina-
mente [vere, in latino] umano che non trovi eco nel loro cuore [dei discepoli di Gesù]».
141
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verità, non, prima di tutto, perché ci è data una dottrina dell’umano o l’es-
senza dell’umano, ma perché ci è data e continuamente ridata la grazia del-
la comunione coi sentimenti, con gli atteggiamenti (con le posizioni) di Ge-
sù: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2, 5)27. Per
questa via, non ideologica, ma di posizionamenti e riposizionamenti conti-
nui, di umiltà, di cadute e riprese continue del cammino, i cristiani hanno
il compito di tener vivi i dilemmi e di essere correttamente posizionati: dal-
la parte dell’umano (del veramente umano) non del disumano, del bene non
del male, della verità non della menzogna, della vita non della morte, del
Dio che ci viene incontro e non della chiusura a Lui. La diaconia è, in que-
sto senso, l’avanguardia di una vita cristiana ed ecclesiale sempre sensibi-
le alla differenza tra il veramente umano e il disumano.
Papa Francesco segnala, a più riprese, che la partita si gioca, per tutti, su
questa differenza. Lo fa con il linguaggio evangelico del «“Sì, sì”, “No,
no”» (Mt 5, 37), che evoca una differenza di posizionamento, prima che
ideologica, e che ritorna in tanti interventi: sì alla cultura dell’incontro, no
alla cultura dei muri; sì a guardare alla vita dalla prospettiva dei poveri e
dalla periferia, no alla cultura dello scarto; sì a una economia solidale, no
al dio denaro; sì al dialogo, no al monologo; sì al dono di sé, no alla custo-
dia gelosa della propria vita28. Questa è la prima differenza, quella della co-
mune umanità, quella trasversale a tutti, quella che ci provoca nei diversi
luoghi di vita e che ci impegna a porre segni di vera umanità. È in questi
luoghi e a partire da questi segni che i cristiani esprimono la differenza cri-
27
Su questa scia si pone l’invito di Papa Francesco alla Chiesa italiana: «Non voglio
qui disegnare in astratto un “nuovo umanesimo”, una certa idea dell’uomo, ma presenta-
re con semplicita alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che e quello dei “sentimenti di
Cristo Gesu” (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rap-
presentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni»,
Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù, Incontro con i rappresentanti della Chiesa italiana, Fi-
renze, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, 10 novembre 2015.
28
Nel capitolo secondo di EG il Papa si impegna in un «discernimento evangelico»
(50). Si tratta di leggere i processi del nostro tempo, riconoscendo quelli che sono secon-
do il progetto del Regno e quelli disumanizzanti. Tutto ciò – sottolinea Francesco - «im-
plica non solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cat-
tivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello spirito buono e respingere
quelle dello spirito cattivo» (51). Questo scegliere che, da un certo punto di vista, è con-
sequenziale al riconoscere e all’interpretare, è anche previo; in certo modo, per ricono-
scere il bene bisogna già averlo scelto. In questo senso, tutto parte, molto sensibilmente e
concretamente, da una (presa di) posizione.
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29
Il Vangelo conosce bene questo rischio: v. Mt 15, 13.
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ABSTRACT
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Antonino Drago
UN TENTATIVO DI CONCILIARE
TUTTE LE SPIRITUALITÀ
Il libro Introduzione alla vita interiore di Lanza del Vasto
1. La novità dell’argomento del libro e come l’autore lo presenta – 2. La nascita del suo li-
bro sulla spiritualità – 3. La difficoltà della trattazione del tema – 4. Il progetto generale
di Introduzione alla vita interiore: definire la spiritualità non violenta come spiritualità
universale – 5. Le sue dodici idee-guida sulla vita spirituale gandhiana – 6. In Introduzio-
ne alla vita interiore il suo grande progetto è rimasto incompiuto – 7. Una difficoltà cru-
ciale: la definizione di non violenza – 8. Il progetto subordinato: preparare i seguaci ad
entrare nella sua comunità gandhiana – 9. Come riformulare per oggi il libro sulla spiri-
tualità di Lanza del Vasto – Appendice 1: Presentazione di Introduzione alla vita interiore
di Arnaud de Mareuil – Appendice 2: Quale collegamento tra Introduzione alla vita inte-
riore e La Trinità Spirituale? – Appendice 3: La non violenza e la nuova logica – Appen-
dice 4: Il rapporto della vita spirituale gandhiana con le strutture sociali
Parole chiave: Lanza del Vasto; Spiritualità gandhiana non violenta; Definizione di non
violenza; Carenze del suo libro specifico e loro superamento; Spiritualità universale
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (1901-1981; nel seguito: LdV) è stato
discepolo di Mohandas K. Gandhi negli anni 1937-38. Poi è tornato in Eu-
ropa per fondare comunità gandhiane. Lo scritto del 19751 dichiara quale
è stata la sua strategia per introdurre la non violenza in Occidente. Egli sot-
tolinea che lui è stato quasi l’unico maestro occidentale della non violenza
gandhiana che l’ha scelta non per combattere delle ingiustizie, ma per ade-
sione interiore2; non avendo quindi urgenze di lotta politica, egli ha scelto
scientemente i suoi obiettivi più importanti. Saggiamente non si è proposto
1
LDV, De quel droit nous appelons-nous Gandhiens ?, in LDV, Pages d’Enseignement,
Éd. du Rocher, Monaco 183-195. Le traduzioni verso l’italiano nel corso del testo sono
dell’Autore.
2
Egli era stato preceduto dagli anni ‘30, dal solo Aldo Capitini; il quale viveva la non
violenza secondo una sua particolare religiosità, senza il progetto di fondare comunità non
violente ed è rimasto noto solo in Italia.
145
1/2023 ANNO LXXVI, 145-182 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL
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di imitare Gandhi nel lanciare grandi campagne di lotta non violenta con-
tro le pur tante strutture negative della società occidentale; il suo program-
ma invece è stato soprattutto quello di fondare comunità gandhiane in Oc-
cidente, definendole in maniera più precisa di quelle di Gandhi3; e a que-
sto scopo ha seguito la saggia massima: «Prima di fare qualcosa, [occorre]
fare degli uomini»4. Per cui il suo primo obiettivo è stato formare persone
non violente ben motivate.
Per radicare la non violenza gandhiana nelle persone occidentali ha af-
frontato, pubblicando il libro Approches de la Vie Intérieure (d’ora in avan-
ti AVI)5, un tema cruciale: la vita spirituale che è alla base del nuovo at-
teggiamento.
Al suo tempo questo libro è stato molto innovativo perché (forse per la
prima volta) proponeva la vita spirituale in senso non violento. Ma, guar-
dandolo in fretta, appare subito che il libro manca di ciò che è basilare per
la religione cristiana: i dogmi, Cristo e Dio6. Quindi un occidentale che si
accostava ad esso poteva vederci una spiritualità “esotica” ed “orientali-
sta”, tanto da potergli apparire “straniante”7. Ma il senso complessivo del
libro diventava chiaro quando notava che LdV voleva introdurre nella vita
spirituale la orientale non violenza gandhiana, che allora era una grande
novità, perché la società e la cultura occidentale erano del tutto imbevute
di militarismo e nazionalismo. Egli era così ben cosciente di incominciare
una storia del tutto nuova che definiva così il suo ruolo: «Noi siamo degli
spaccatori d’asfalto»8 allo scopo di mettere allo scoperto il buon terreno in
cui poi un seme può nascere e crescere.
3
Cf. ibid., 186-187.
4
Ibid., 185.
5
LDV, Approches de la Vie Intérieure, Denoël, Paris 1962 (tr. It. Introduzione alla vita
interiore, Jaca book, Milano 1989).
6
Infatti la non violenza di Gandhi non è fondata su Dio, ma sulla ricerca della Verità;
che la sua vita gli ha insegnato che doveva considerare più che un attributo di Dio, per-
ché «[la ricerca del]la Verità è Dio», M.K. GANDHI, Antiche come le montagne (orig. 1958),
Comunità, Milano 1969, 100, n. 58], Quindi la non violenza di Gandhi non dà il ruolo pri-
mario a Dio, ma al lavoro interiore della persona per la ricerca della Verità e la non vio-
lenza riguarda soprattutto il rapporto di ogni persona con la sua ricerca della Verità (che
lo può portare a Dio).
7
In effetti, la sua Comunità ha avuto la più grande scissione quando (negli anni ‘70)
diversi suoi membri hanno scelto una spiritualità comunitaria che avesse Cristo al centro.
8
“Casseurs d’asphalte”. LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 10.
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
A sessanta anni dalla prima edizione, il suo libro sulla spiritualità è an-
cora affascinante perché: comunica una esperienza vissuta in pienezza di
anima e spirito, si basa su una profonda esplorazione dell’animo umano,
suggerisce molti esercizi pratici, propone idee originali e il suo linguaggio
è incisivo.
Ma dopo così tanto tempo trascorso, occorre (si è costretti a) guardare il
libro con distacco per vederne sia la parte sostanziale e duratura, sia i suoi
limiti. Nel seguito lo farò allo scopo di rispondere alle domande: quale era
il suo progetto? Se, come dice lui stesso, non lo ha concluso, in che senso es-
so è rimasto incompleto? Come si potrebbe riprenderlo e completarlo?
Egli sapeva bene che era difficile descrivere la vita spirituale di una per-
sona non violenta. Un primo motivo era che in Occidente la non violenza
era del tutto originale. Secondo, egli, per fedeltà alla sua esperienza di pel-
legrinaggio nell’India multi religiosa (descritta in Pages d’Enseignement),
doveva indicare una vita spirituale che facesse incontrare la tradizione oc-
cidentale (quella ebraico-cristiana-islamica) con quella orientale (indù e
buddista). Ma egli non voleva trattare questo argomento in maniera intellet-
tuale-informativa (cioè, frugando nelle massime delle immense tradizioni
spirituali del passato):
[…] si troveranno citati dei saggi che non sono della nostra tradizione
[cristiana]. Non bisogna concluderne che si tratta di una sintetica an-
tologia di massime, di ricette, di consigli presi qua e là9.
19
Ivi.
10
Ibid., 10-11.
147
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11
LDV, L’Arca aveva una vigna per vela (orig. 1978), Jaca book, Milano, 1980, cap. VI.
12
Ivi.
13
LDV, Principi e Precetti del Ritorno all’Evidenza (orig.1945), Gribaudi, Torino 1972.
14
LDV, Pellegrinaggio alle sorgenti (orig. 1943), Jaca book, Milano 1986, capp. I-III.
15
Ibid., cap. IV.
16
LDV, Commentaire de l’Evangile, Denoël, Paris 1950.
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tivazione alla non violenza gandhiana era in pieno accordo con la spiritua-
lità religiosa cristiana, quella delle sue origini. vii) Poi ha attuato in grup-
po ciò che significa la vita spirituale non violenta: nel 1948 ha fondato la
prima Comunità la cui vita anche spirituale era regolata dai testi da lui det-
tati: le Costituzioni17, i nove voti annuali (su cui ha scritto un lungo com-
mento18) e la Regola, ampiamente commentata19. viii) Ha dimostrato la sua
capacità di porsi concretamente a livello pre-religioso formulando in con-
creto per i suoi seguaci e per la sua comunità una base spirituale semplice
e chiara, partecipabile da chiunque. Essa è formata da due elementi; il pri-
mo è la pratica del “richiamo” (il porsi in piedi ben ritti, a occhi chiusi, per
un minuto solamente, sei volte al giorno, per ribaltarsi all’interno e dire a
se stesso: “Presente”20); l’altro è costituito dalle sue due originali preghie-
re; sin dall’inizio della Comunità è sorto il problema: come pregare tutti in-
sieme in maniera pre-religiosa? Quali preghiere comuni dire? La sua in-
ventiva gli ha suggerito due specifiche preghiere (“Oh Dio di Verità” e “La
preghiera intorno al fuoco”); esse, messe assieme alla preghiera della pace
di S. Francesco e alle Beatitudini (compartecipate anche da Gandhi) han-
no dato alla Comunità un sistema di preghiere che era esaltante per profon-
dità e coerenza complessiva21. ix) Inoltre ha mantenuto un insegnamento
spirituale continuo scrivendo (sul bollettino della Comunità, Nouvelles de
l’Arche) molte riflessioni originali sull’argomento; x) Ma soprattutto ha spe-
rimentato la bontà dei suoi insegnamenti in proposito con le persone che vi-
vevano nella sua comunità.
Quindi, come (quasi) primo maestro della non violenza gandhiana in Oc-
cidente egli aveva una base molto sostanziosa di esperienze specifiche per
spiegare agli altri che cosa è la vita spirituale non violenta gandhiana.
Dopo alcuni anni di vita comunitaria, ha sentito la necessità di esprime-
re anche in termini intellettuali occidentali tutto il progetto non violento
17
LDV, L’Arca aveva una vigna per vela, cap. III. Si noti che la prima edizione è del
1978; ma i testi lì riportati risalgono all’inizio della Comunità.
18
Ibid., cap. IV.
19
Ibid., cap. V.
20
Vedasi la prima presentazione del 1952 in LDV, Le Grand Retour, Éd. du Rocher,
Monaco 1993, 125-126.
21
Egli ha commentato diffusamente queste preghiere in Commentaire de la prière
commune de l’Arche (1970), in Les Quatre Piliers de la Paix, Éd. du Rocher, Monaco
1992, 29-83.
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gandhiano. Nel libro I quattro flagelli22 egli, sulla base di alcuni testi sacri
occidentali – ma partecipabili dai seguaci di qualsiasi grande religione –
ha espresso una concezione generale della dinamica spirituale della vita di
una persona non violenta (il peccato originale come origine del male perso-
nale e anche del male delle strutture sociali, compreso il male di Scienza e
Tecnica che si pretendono autosufficienti; la conversione da questi mali; la
partecipazione ad una comunità). Su questa base spirituale, egli ha saputo
abbozzare una analisi delle strutture sociali negative del suo tempo, fino a
caratterizzare le massime strutture del potere politico mondiale (i Due
Blocchi Est e Ovest, e la Bomba); e la sovranità sociale alternativa (tra le
quattro possibili da lui già indicate23), quella che è specifica dei non vio-
lenti, perché strutturalmente non violenta: la comunità; essa appartiene al-
la tradizione storica delle tribù-villaggi-cittadine.
Forte di questo quadro intellettuale generale, cioè comprensivo sia delle
idee basilari di vita interiore, sia delle idee caratterizzanti la società in cui
egli viveva, sia delle idee fondanti la società alternativa, ha colto l’occasio-
ne di comporre il libro sulla spiritualità per esprimere in generale quella non
violenta, andando oltre quanto già realizzato in pratica dentro la Comunità.
Allora già ora possiamo ricavare una prima valutazione complessiva: il
libro fa parte di una storia molto importante, quella dei non violenti in Oc-
cidente; i quali che non sono stati solo innovatori politici, ma anche inno-
vatori della tradizionale vita spirituale occidentale; cioè hanno innovato
anche i valori più interiori e millenari della civiltà occidentale.
Ma il tema di per sé è difficile. All’inizio del suo libro egli lo riconosce; in-
nanzitutto perché la spiritualità non è facilmente comunicabile per iscritto:
22
LDV, I Quattro Flagelli (orig. 1959), SEI, Torino 1996.
23
LDV, I Quattro Flagelli, cap. IV, par. 70.
24
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 9.
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
25
Ivi.
26
A. DE MAREUIL, Lanza del Vasto. Sa vie, son œuvre, son message, Dangles, St. Jean-
de-Braye 1998, 271.
27
LdV ha chiamato Compagni i partecipanti alla Comunità dell’Arca, i quali pronun-
ciavano sette voti annuali; mentre Amici sono quelli esterni alla Comunità (poi ha intro-
dotto la figura degli Alleati, che, vivendo al di fuori della Comunità, si legavano all’inse-
gnamento di LdV con una promessa annuale su cinque punti).
28
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 9.
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Degli obiettivi indicati alla fine del precedente paragrafo, il primo, riguar-
dante la udienza più ampia, era stato già avvicinato col messaggio spiritua-
le lanciato da lui al tempo della guerra (1943), il libro Pellegrinaggio alle
sorgenti, che raccontava la sua avventura-viaggio-conversione in India e il
suo discepolato da Gandhi. Il libro aveva ricevuto una grande accoglienza
e l’aveva promosso a maestro di vita spirituale. Il secondo obiettivo (accre-
scere gli insegnamenti di vita spirituale già realizzati dalla vita in Comuni-
tà) era facilmente raggiungibile: bastava raccogliere le riflessioni scritte
negli ultimi anni; esse, proponevano vari esercizi e idee suggestive che det-
tagliavano ulteriormente la vita spirituale già attuata; e d’altra parte erano
più che sufficienti per indicare agli esterni alla Comunità un nuovo tipo di
vita spirituale rispetto a quella tradizionale.
Invece il terzo obiettivo (chiarire la spiritualità non violenta anche oltre
Gandhi e per di più agli occidentali) aveva una difficoltà intrinseca. L’ha
dichiarata rispondendo alla domanda specifica che gli ha posto un ascolta-
tore: il lavoro che si fa su se stesso per la ricerca del vero io può arrivare,
come dice la religione indù, fino a Dio, oppure, come dicono le religioni
ebraica, cristiana e islamica, ne resta distinto? O addirittura, come dice il
Buddismo, porta al vuoto? Egli risponde così:
Saremo noi a prendere una decisione drastica nel dibattito tra le due
più grandi correnti religiose dell’umanità? Oppure diremo con Budda
che né la creatura né il Creatore hanno un Io, ma che al posto di que-
sto centro concreto non c’è che il Vuoto, e che è in questo vuoto che av-
viene l’unione che è liberazione e beatitudine?
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
Per un Cristiano la cosa più saggia da fare non sarebbe cercare, mante-
nendo i dati dottrinali della propria tradizione, quello che hanno in co-
mune queste tre affermazioni contrarie?
Cioè: che io sono un’unità interiore come Dio è un’unità interiore. È per
questo che io sono fatto a immagine e somiglianza del mio Creatore.
Questa immagine è l’immagine dell’Uno. L’Uno è un’immagine senza
immagine, un’immagine che non assomiglia a niente, se non a se stes-
sa. Perciò posso ben chiamarla «vuoto» secondo il linguaggio buddista,
aggiungendo che è «un Vuoto che si distingue in modo assoluto dal nul-
la». Sì, e persino un Vuoto che si identifica con l’Essere, luogo infinito
in cui si riuniscono il Sì e il No.
Comunque sia, è unificandomi che mi assimilo all’Uno che è Dio, è ri-
entrando in me stesso che mi introduco nella conoscenza e nell’amore
divino, [che inserisco] il mio centro nella sua orbita e nel suo punto fo-
cale per quel tanto che è dato di farlo alla mia natura.
Facciamo dunque il passo, rientriamo in noi stessi e là sapremo forse,
attraverso noi stessi, chi siamo. Il silenzio interiore avrà ragione29.
29
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 58.
30
Per “vita interiore” intendo una vita (e soprattutto una elaborazione) rivolta a se stes-
so; mentre per “spiritualità” intendo qualsiasi atteggiamento di sensibilità e adesione a
ciò che non è materiale, sia esso il proprio sé, sia la natura, sia il cosmo, sia la scienza e,
in generale a dei valori, quindi anche a quello che può essere considerato il valore supre-
mo, Dio.
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31
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 12-146.
32
LDV, L’Arca aveva una vigna per vela, 107.
33
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 52-58.
34
Ibid., 11.
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
“cercare quello che hanno in comune” le tre maggiori tradizioni di vita spi-
rituale nel mondo. Ricordiamo che per quella indù il vero io può identifi-
carsi con Dio; per quelle ebraica, cristiana e islamica il vero io resta sem-
pre diverso da Dio; e per quella buddista il vero io (e anche Dio) è il Vuo-
to. Già l’includere la terza tradizione era un grande problema; poi il ricer-
care la congiunzione tra tutte queste tradizioni spirituali, che sono netta-
mente differenti tra loro, rendeva il suo programma ancor più problemati-
co35. La fine del brano citato mostra che sa di essere davanti ad un proble-
ma enorme. Egli non si fa illusioni: dandosi l’obiettivo di compiere un
avanzamento nel trovare quello che le grandi tradizioni hanno in comune,
non sta a misurare a che punto potrà arrivare.
vi) Per di più, egli ha ricevuto da Gandhi (non dagli altri maestri spiri-
tuali indiani da lui conosciuti) una sesta idea, molto chiara; l’etica non è
una semplice aggiunta di buona volontà, ma costituisce una parte essenzia-
le della vita spirituale, perché, come indica la vita di Gandhi, la spirituali-
tà non deve riguardare solo se stessi, ma va legata all’etica e anzi va costan-
temente verificata nei rapporti con le altre persone; infatti Gandhi insegnava
che ogni vita spirituale deve essere indirizzata alla orto prassi (ben fare)
piuttosto che alla ortodossia (ben credere e ben vivere con se stessi). Ciò è
nuovo anche rispetto ai maestri spirituali odierni, che di solito insegnano a
vivere una vita spirituale che fa i conti solo con la propria vita.
vii) Specie le ultime due idee hanno aumentato la complessità del suo te-
ma; ma le seguenti due idee-guida portano chiarificazioni. La settima idea,
indicata sin dal primo paragrafo del libro, indica come l’“occhio semplice”
caratterizza la realtà, secondo:
tre verità, quella della Luce, quella del Me e quello del Tu […] l’oc-
chio semplice coglie con uno sguardo […]: La Luce, o verità o Dio, l’Io
o Vita interiore, il Tu o rispetto, giustizia, carità, non violenza e attesa
35
PAOLO TRIANNI [Lanza del Vasto e la tradizione filosofica indiana, in A. DRAGO – P.
TRIANNI (edd.), La filosofia di Lanza del Vasto. Un ponte tra Occidente e Oriente, Jaca
book, Milano 2009, 115-152] illustra bene questa problematica nelle pagine 131-134. Pe-
rò egli poi studia come LdV vuole conciliare le suddette religioni non sulla ricerca della
vita interiore, ma sul punto dogmatico principale del Cristianesimo, la Trinità (la possibi-
le convergenza tra Cristianesimo e Induismo su questo punto è stata poi confermata dalle
esperienze dei monaci occidentali vissuti in Oriente, in particolare quelle di Jules Mon-
chanin ed Henri Le Saux).
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attiva del Regno dei Cieli. In questi tre punti consiste tutto il nostro
insegnamento. Nel primo punto, [c’è] il nostro insegnamento religioso
o meglio pre-religioso; cioè la nostra introduzione a qualsiasi insegna-
mento religioso. Nel secondo [, l’Io, c’è], il nostro metodo di vita inte-
riore. Nel terzo [, il Tu, c’è], la nostra dottrina morale e sociale [della
non violenza] […]36.
36
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 15-16.
37
Ibid., 148-159.
38
M.K. GANDHI, Hind Swaraj, stampato alla macchia, Amhedabad 1909, prima pag.
del cap. X.
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scono dal ribaltare questa tendenza spontanea nella persona39. L’aver chiari-
to l’origine e la natura del male nelle relazioni con gli altri è la migliore base
per capire come reagire ad esso e, più in generale, come fondare una etica.
x) Avendo collegato la vita spirituale all’etica, ora la tematica è molto più
ampia e impegnativa del solito. A questa maggiore complessità dell’argo-
mento egli risponde con una decima idea-guida, quella di un preciso atto
personale: una conversione totale: che è quel tipo di conversione che egli
aveva completato quando era diventato discepolo di Gandhi; cioè, una con-
versione anche dalle strutture sociali e intellettuali40.
xi) La sequenza di tutte queste idee-guida è finalizzata alla undecima
idea: la conversione deve portare all’atteggiamento di Gandhi, cioè la non
violenza, intesa come atteggiamento universale rispetto ad ogni persona, al-
le diverse religioni, ai confitti sociali e alla ricerca di una nuova vita, an-
che sociale41. Questa idea-guida è una ulteriore novità rispetto alle tradi-
zionali spiritualità; ma ha un ruolo cruciale, perché solo risolvendo i con-
flitti con la non violenza la vita spirituale di una persona non si infrange mi-
seramente davanti ai nemici e davanti alle strutture sociali negative.
xii) Nelle relazioni sociali la conoscenza egoistica del peccato originale
si espande fino a dare origine alle strutture negative della vita associativa.
Mentre le spiritualità tradizionali delegano la politica alle autorità del mon-
do, la novità storica della spiritualità di Gandhi è stata l’aver realizzato un
legame tra la spiritualità e non solo l’etica, ma anche la politica. Lo dice
con forza LdV:
Quindi secondo Gandhi e Lanza del Vasto la spiritualità deve riferirsi an-
che alle strutture sociali per saperle affrontare. Questa è stata la grande le-
zione storica del non violento Gandhi.
39
Seguendo in questo la tradizione indù, Gandhi non si basa sul concetto di peccato e
quindi neanche sul concetto di conversione, anche se percorre un cammino simile: egli
invita tutti alla Verità.
40
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 229-248.
41
Ibid., 172-175.
42
LDV, Pages d’Enseignement, IV, § 17.
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Ma LdV ha voluto che il titolo del libro iniziasse con una parola modesta:
“Approcci”43 (de Mareuil dice che il libro rappresenta alcune “piste di ri-
flessione”44). Per di più ha premesso che a suo giudizio il libro non era ri-
uscito un granché bene:
Quindi egli ha dichiarato che questa è una raccolta solo parziale e ini-
ziale di suoi scritti sulla vita spirituale46; e che per di più egli non li ha
43
Questa modestia è sminuita dalla parola del titolo della traduzione (postuma) italia-
na del libro; “Introduzione…”; essa fa sperare in entrare in una tematica già definita, che
viene esposta in maniera elementare.
44
DE MAREUIL, Lanza del Vasto. Sa vie, son œuvre, son message, 272.
45
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 10.
46
A giudicare dalla sequenza dei suoi libri, il libro sulla spiritualità sembra l’apice del-
la sua creatività intellettuale [cf. il mio scritto: I Quattro Flagelli di Lanza del Vasto: Le sue
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categorie strutturali politiche e intellettuali, in A. DRAGO (ed.), Il pensiero di Lanza del Va-
sto. Una risposta al secolo XX secolo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2010, 127-150, tabel-
la di pagina 154]; dopo il 1962 LdV ha approfondito il suo insegnamento con altri libri che
però non hanno suggerito innovazioni radicali.
47
Infatti, il libro è poco più di una raccolta di alcuni articoli, comparsi su Nouvelles de
l’Arche negli anni precedenti al 1962; e di questi probabilmente non è la raccolta più rap-
presentativa: tra i suoi articoli di quel periodo (1954-1962) ce ne sono altri che sono im-
portanti ai fini della vita interiore; tanto è vero che dopo la sua morte molti di essi sono
stati utilizzati per le raccolte dei libri antologici postumi: Les Quatre Piliers de la Paix, Le
Grand Retour, e Pages d’Enseignement; il secondo e il terzo libro raccolgono rispettiva-
mente 10 e 15 scritti di prima del 1962 (data della edizione francese di Introduzione al-
la Vita Interiore), che potevano essere inseriti in esso (mentre del periodo successivo i due
libri contengono altri 28 scritti). Quindi la scelta compiuta da LdV per comporre il suo li-
bro di spiritualità ha lasciato da parte importanti riflessioni.
48
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 10.
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In effetti il libro dichiara il punto su cui egli ha perso la presa del suo gran-
de progetto.
La illustrazione della vita spirituale non violenta avrebbe dovuto presen-
tare la non violenza in termini generali, cioè indipendentemente dalle espe-
rienze storiche che Gandhi aveva compiuto nella civiltà orientale. Ma pro-
prio qui LdV ha incontrato un serio inciampo: non è riuscito a definire la
parola tipica di Gandhi e della nuova spiritualità: “non violenza”49.
Gandhi stesso aveva provato a cambiare quella parola in una affermativa;
ha proposto: Satyagraha, che significa “Tenacia nella Verità”. Essa però di-
ce poco della non violenza, soprattutto perché la parola “Verità” può avere
più significati, specie durante un conflitto50. Anche LdV ha cercato una pa-
rola o una frase affermativa che potesse sostituire quella parola; ma si è ac-
corto che ciò era molto difficile. Stanco del lungo sforzo intellettuale com-
piuto, ha concluso:
Semplicità sottile
La non violenza è cosa semplice ma sottile.
Difficile da applicare, addirittura da afferrare [con la mente], ché è del
tutto estranea alle abitudini comuni.
Ma la difficoltà diviene insormontabile quando si è convinti di averla
colta a pieno […]51.
49
Sulle varie definizioni di non violenza date da LdV, vedasi il mio scritto: Che cosa è
la nonviolenza. Lanza del Vasto presenta la concezione gandhiana all’Occidente, in A. BON-
GIOVANNI – P. TRIANNI (edd.), Lanza del Vasto. Filosofo, teologo e nonviolento gandhiano,
Aracne, Roma 2015, 193-218.
50
Gandhi ha spesso indicato una caratteristica della non violenza: “adeguazione dei
mezzi ai fini”. Essa è molto utile per opporla alla politica machiavellica, basata sulla fra-
se contraria; ma non dice né la motivazione alla non violenza, né quali fini scegliere.
51
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 215.
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La sua prima definizione (in Pèlerinage aux sources del 1943) era stata
“la carità cristiana”. Però poi52 l’ha ritrattata, per passare a definizioni più
articolate e operative; come appunto ha fatto in questo libro sulla spiritua-
lità. Qui ha dato molta attenzione al tema53: prima ha proposto una nuova
definizione (di tipo triadico: tre definizioni assieme)54, poi ne dà un’altra,
che pensa sia “definitiva”55; essa è di tipo dualistico: «la non violenza è il
più basso grado della Carità e il più alto»; cioè è il «Rispetto di ogni vita»56
e «l’amore del nemico»57 (curiosamente i due paragrafi successivi trattano
i due temi in ordine inverso). Ma anche la definizione dichiarata “definiti-
va” non doveva essere completamente soddisfacente se poi nel libro suc-
cessivo, Che cosa è la non violenza, la prima pagina ripete alla lettera il bra-
no citato sulla sua difficoltà fondamentale; e prosegue riportando tutto
quello che riguarda non questa definizione, ma quella precedente, la tria-
dica. Addirittura nell’ultimo libro, TS (p. 235), la definizione è quella che
aveva suggerito nel 1954: «Carità e Giustizia senza le loro violenze»58.
In effetti, non c’è stato un maestro della non violenza che sia riuscito a
definire in termini affermativi questa parola orientale, “non violenza” (che
è una doppia negazione, così come altre parole tipicamente orientali, ad
es. advaita = non divisione). Dopo cento anni da Gandhi e sessanta anni
da AVI, tuttora non esiste una definizione condivisa di quella parola. Il suo
significato preciso è rimasto attaccato alla vita di Gandhi, al mondo del-
l’Oriente.
Ecco spiegato l’ostacolo intellettuale che ha reso difficile il progetto di
LdV in AVI, così difficile che egli, pur avendo sviluppato in buona parte
quel progetto, non l’ha completato.
52
LDV, I Quattro Flagelli, cap. V, par. 70.
53
Ibid., 215-268.
54
Ibid., 215.
55
Ibid., 251.
56
Ibid., 268.
57
Ibid., 253. Questo passaggio all’affermativo non può evitare parole di tipo idealisti-
co, non operativo; infatti, nella prima delle due definizioni usa la parola “ogni”, che indi-
ca una tensione ad un orizzonte troppo grande, infinito; il che non dice nulla operativa-
mente. Così è stato anche per la seconda definizione: l’“amore dei nemici”; prima di
Gandhi questo tipo di amore era rimasto senza spiegazioni operative.
58
LDV, Vinoba, 60-61.
161
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59
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 17-147.
60
Ibid., 148-215.
61
Ibid., 216-fine.
62
Lo esprime con una poesia a p. 98. In più nel 1993 è uscito un libro che raccoglie
una trentina di ulteriori scritti (quasi tutti usciti su Nouvelles de l’Arche) che aggiungono
molteplici temi di vita spirituale. Soprattutto è importante lo scritto che dà il titolo al li-
bro postumo: Le grand Retour, in LDV, Le Grand Retour, 220-260. Esso illustra un eser-
cizio inventato nel dopoguerra, poi da lui rielaborato ma rimasto fino allora inedito: esso
unisce in maniera originale meditazioni, posizioni yoga e canti di sua invenzione. Con es-
si LdV suggerisce la massima portata della vita spirituale: «un inno e una recitazione del-
la Creazione [...], della Caduta [...] e della Conversione o Ritorno» (ibid., 221); cioè, un
esercizio con cui si compartecipa ad una visione spirituale della storia di tutta l’umanità.
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63
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 128-147.
64
Ibid., 148-159.
65
Ibid., 160.162.
66
Vale a dire dalla pag. 160, ibid.
67
Ibid., 176-214.
68
Introduce anche ad una altra scelta di vita, quella che riguarda il rapporto con la
guerra. Qui egli propone una lotta pubblica, la obiezione di coscienza (che egli aveva scelto
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sin dagli anni ‘30). La presenta molto bene, rispondendo ad una domanda specifica, in
LDV, Che cosa è la non violenza (orig. 1970), Jaca book, Milano 1979, 40-42. Ma avver-
te che, come dichiarava pubblicamente: “Da giovani si obietta al servizio militare; da per-
sone mature si obietta a tutta la organizzazione sociale attuale”. Perciò il suo primo pro-
blema era piuttosto il costruire la alternativa sociale positiva, la comunità. Quindi è la
scelta di promuovere la Comunità dell’Arca che è la vera lotta sociale fondamentale.
69
Cf. ibid., 162.
70
Cf. ibid., 165.
71
Cf. ibid., 160.
164
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
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Occorre ricordare che egli ha scritto il libro prima del Concilio, quindi in un perio-
do di chiusura quasi totale della Chiesa cattolica, la quale allora dominava in senso dog-
matico e individuale la cultura della spiritualità. Rispetto a questo ambiente la spiritua-
lità presentata dalla prima parte del libro era comunque molto avanzata, perché le sue pri-
me idee erano già sufficienti per aprire nuovi e grandi orizzonti alla spiritualità della gen-
te del suo tempo; in particolare, quattro idee erano rivoluzionarie: il lavoro su di sé, la
apertura a tutte le religioni, la sua nuova interpretazione del peccato originale e la non
violenza di Gandhi. Perciò sembra scusabile la improvvisazione di LdV rispetto alla siste-
maticità secolare della spiritualità cattolica; le novità che lui proponeva erano così gran-
di da poter lasciare imprecisati tanti aspetti della spiritualità non violenta, anche perché
la loro descrizione avrebbe richiesto molto spazio.
73
In effetti i suoi scritti precedenti non sono stati collazionati al meglio. Ad esempio
tratta cinque volte lo stesso tema della non violenza, sotto angoli diversi, in paragrafi an-
che lontani tra loro e senza dare una chiara conclusione. Inizia con domande e risposte
sull’argomento (172-176), cioè informalmente. Ritorna più tardi sul tema, trattandolo con
cinquanta pagine (215-262); qui sono sette paragrafi sulla definizione di non violenza; es-
si terminano con un paragrafo sulla non violenza passiva (cioè, il “rispetto della vita”),
cioè proprio quella non violenza che è solo il primo gradino di una conversione. Dopo que-
sto tema ci sono scritti, i cui contenuti vanno dall’interiore (ad esempio, sentimento, ani-
ma, meditazione) al sociale (ad es. non violenza pubblica e politica), senza un ordine ap-
parente. Ci sono due paragrafi specifici sulla politica e sulla economia (pp. 269-274); ma
questi due temi sociali importanti sono solo accennati. Poi viene la parte finale (275-298)
composta da pochi (6) paragrafi; i quali sono sconnessi dagli altri e anche tra loro (i due
più importanti sono uno sull’anima e uno sulla meditazione). Questa è una strana manie-
ra di terminare un libro: non c’è una conclusione formale.
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fatto ora i destinatari del libro sono diventati le persone esterne alla Comu-
nità74. Cosicché la seconda parte del libro assolve il primo compito dei tre
indicati alla fine del par. 3: proporre alle persone occidentali in genere, già
invogliate dalla lettura di Pellegrinaggio alle Sorgenti, di entrare in Comu-
nità, dove sperimentare direttamente la spiritualità non violenta che i com-
ponenti erano riusciti a realizzare.
Allora la prima parola del titolo del libro, “approcci” alla vita interiore
indica che esso presenta due approcci diversi: uno è l’approccio delle perso-
ne alla vita spirituale gandhiana (quello che avevano lui e i Compagni del-
la Comunità) secondo un grande progetto che abbiamo visto nel par. 6 e che
la prima parte del libro ha solo iniziato a descrivere. La seconda parte in-
dica l’altro approccio alla vita spirituale, quello di coloro che potevano en-
trare in Comunità.
A sessanta anni dalla sua prima edizione occorre rendere questo libro non
più un insegnamento (rimasto parziale) sulla spiritualità non violenta e un
indirizzo spirituale per i seguaci di LdV di quei tempi che volevano entra-
re in Comunità, ma uno strumento completo per noi e per i tempi futuri. A
questo scopo suggerisco le seguenti modifiche o aggiunte:
1) Occorre tener conto che oggi non c’è più la spiritualità che implici-
tamente faceva da sfondo alla seconda parte del libro, quella della Chie-
sa cattolica prima del Concilio; anzi, oggi la vita spirituale non è più do-
minata da quella occidentale tradizionale, essendo diventata la più varia.
Allora la seconda parte del libro, rivolta alle persone in tensione verso la
Comunità, oggi dovrebbe essere considerata come una particolare antolo-
gia di scritti vari sulla vita spirituale per le sole persone desiderose di en-
trare nella Comunità; questa antologia oggi si accompagnerebbe alle an-
74
La saggezza di LdV si nota quando a queste persone in tensione egli non chiede una
decisione immediata: «[…] non dico a nessuno: disertate. Dico: sappiate che [ora] siete
degli attori in scena e che dovete recitare un ruolo che non avete scritto voi», LDV, Intro-
duzione alla vita interiore [AVI], 161. Nella sua comunità egli non voleva ribelli o irre-
quieti, sapeva bene che un ruolo sociale c’è comunque, anche nella società alternativa
non violenta.
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tologie uscite nel frattempo: Les Quatre Piliers de la Paix, Le Grand Re-
tour e Pages d’Enseignement. Nell’insieme esse costituiscono un comples-
so molto articolato e suggestivo di insegnamenti che approfondiscono te-
mi particolari in maniera più o meno attuale rispetto al nostro tempo.
2) Ma esse prenderanno importanza nella misura in cui si riuscirà a va-
lorizzare la prima parte del libro in questione e il suo grande progetto. In-
nanzitutto enunciare il progetto generale, che ora è espresso da varie par-
ti75 ma non collegate tra loro; e precisare che LdV voleva sviluppare que-
sto progetto con le dodici idee-guida indicate nel precedente § 5 di que-
sto scritto.
3) Inoltre, occorrerebbe sottolineare la difficoltà che hanno avuto tutti i
maestri della non violenza nel definire la parola “non violenza”. In effet-
ti, LdV aveva intuito la maniera di superare la difficoltà. Sin da quando
era giovane la convinzione di LdV era che la quinta parola di Dio, “Non
uccidere”, aveva un valore “assoluto”76. In Commentaire de l’Évangile77
LdV ha sottolineato che Gesù «ha portato a compimento quell’insegna-
mento»: esso non vale solo nei rapporti interpersonali, ma anche nelle lot-
te politiche per il potere sociale e nelle guerre; per cui il senso di quella
quinta parola, portato a compimento nella pratica anche sociale (“Amate
i vostri nemici”), passa da quello di una legge esteriore in occasione dei
conflitti interpersonali ad un atteggiamento interiore verso tutti e in tutte
le occasioni sociali.
Nel commento del primo articolo del voto di non violenza (commento che
egli sicuramente ha meditato a lungo) spiega che vale il parallelo tra il rin-
novamento del “Tu non uccidere” che ha compiuto Gesù, e il rinnovamen-
to compiuto da Gandhi della tradizionale parola indù “non violenza”:
75
Per la prima volta, ibid., 58.
76
Lo dice in LDV, I Quattro Flagelli, par. 44 cap. V, in LDV, Introduzione alla vita in-
teriore [AVI], 246 e soprattutto nell’opuscolo “De la Bombe” del 1958, poi riprodotto in
LDV, Che cosa è la non violenza, 65-85; qui a p. 81 egli scrive quella parola di Dio in
stampatello; evidentemente essa gli ha fatto da guida spirituale per la sua vita.
77
LDV, Commentaire de l’Évangile, Denoël, Paris 1951, specie 191.
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Con questo confronto tra le storie delle due grandi religioni, Cristianesi-
mo e Induismo, LdV è giunto a chiarire almeno un preciso significato del-
la non violenza, quello storico. La quinta parola di Dio (che riguardava la
violenza più grave nei rapporti interpersonali, l’uccidere) è stata generaliz-
zata anche agli eventi sociali; perciò, per escludere a priori ogni trascina-
mento all’uccidere altri, è stata interiorizzata tanto da diventare un atteg-
giamento di amore universale; mentre la seconda (che per benevolenza in-
vitava ad evitare ogni violenza nei rapporti interpersonali e con l’ambiente)
è stata generalizzata ad un atteggiamento riguardante anche la vita sociale
e la politica, il che richiede un atteggiamento di amore, rivolto a tutti, uni-
versale79 (si noti che il “Non uccidere” e il non fare violenza non vengono
dimenticati dalle ampie generalizzazioni, in quanto essi restano i criteri di
costante verifica di quale amore universale si porti agli altri).
Con questo parallelo dei due insegnamenti, LdV è giunto ad un passo
dalla definizione di non violenza che cercava; questo passo consiste nel te-
ner conto del fatto che ciascuna delle due parole (“Non uccidere” e “non
violenza”) è una doppia negazione; la quale introduce una logica nuova (an-
che questa è stata una novità fondamentale della rivoluzione di Gesù e di
Gandhi. Vedasi l’Appendice n. 3).
In definitiva, oggi una nuova formulazione di AVI deve chiarire che la
definizione di “non violenza” introduce in maniera operativa ad un nuovo
atteggiamento generale verso la vita, sostenuto da una nuova maniera di
pensare e ragionare, che, come è manifestato dalla non violenza messa in
atto, introduce a una nuova logica nei rapporti umani.
4) Aggiungere la teoria della soluzione non violenta dei conflitti. Questo
tema (sviluppato dai non violenti europei dagli anni ‘60) è indispensabile
78
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 268; riportato anche in LDV, L’Arca ave-
va una vigna per vela, 164.
79
LdV ha vissuto personalmente questa generalizzazione. Egli era andato da Gandhi
per trovare una risposta su come combattere la imminente guerra mondiale ed è tornato in
Europa con l’idea di organizzare una Compagnia che facesse guerra alla guerra: «Per far
guerra alla guerra, si solleva un’armata di pace» (ibid., 17). Ma poi, come scrive nelle pag.
13-14 dello stesso libro, è passato a concepire la soluzione del problema guerra così co-
me faceva Gandhi, cioè ha cercato di sviluppare “un metodo per fare la pace”.
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per la spiritualità di chi voglia essere non violento. Una prima formulazio-
ne di questa aggiunta si ottiene mettendo assieme gli scritti di LdV in pro-
posito; essi non sono pochi né poco importanti: hanno anticipato la miglio-
re teoria, quella di tipo triadico di Galtung80.
5) Aggiungere la illustrazione di come la vita spirituale, mediante lotte
nonviolente, può contrastare le strutture sociali negative, perché la novità
storica della spiritualità di Gandhi è proprio l’aver introdotto una nuova eti-
ca che sa lottare contro le strutture sociali negative non con armi, ma non
violentemente, cioè con la “forza dello spirito”. Ma quali sono queste strut-
ture sociali da combattere? Dieci anni prima della Teologia della Liberazio-
ne (1968)81 e trenta prima della Sollicitudo rei socialis di papa Giovanni
Paolo II (1988), nel 1959 LdV ha introdotto con il libro I Quattro Flagelli,
l’idea del peccato (o violenza) strutturale rispetto al peccato (o violenza)
personale. Per lui era importante far capire come questo peccato si svilup-
pi in strutture sociali che sono “fatte da mano d’uomo”, ma che come isti-
tuzioni che vivono di vita autonoma, dominando le persone nella loro vita
sociale e spirituale: Guerra, Sedizione e Rivoluzione violenta, Servitù, Mi-
seria; più l’arroganza del potere sociale di Scienza e Tecnica. Nella storia
la nascita di questo nuovo tipo di peccato ha snaturato le spiritualità tradi-
zionali che insegnavano a rifuggire dai soli peccati individuali (ad es. tan-
ti capitalisti sono molto religiosi, benché ognuno sia indifferente alla mise-
ria strutturale che crea la crescita del suo capitale).
80
Il suo migliore scritto sulla risoluzione non violenta dei conflitti è del 1954: Justice
et Charité. Escluso dalla raccolta del libro sulla spiritualità, è stato inserito in LDV, Le
Grand Retour, 42-55 (qui è erroneamente datato 1959). Esso sviluppa il tema del passag-
gio dalla vita interiore all’azione secondo tre dimensioni. Queste sono le stesse che poi,
negli anni ‘70, Johan Galtung dichiarerà le tre dimensioni di un conflitto (A = assunzio-
ni, principi; B = comportamento, azioni; C = contraddizioni interiori). Ho indicato un
avanzamento di questa teoria, anche collegandola all’uso delle doppie negazioni, in Im-
proving Galtung’s A-B-C to a Scientific Theory of All Kinds of Conflicts, “Ars Brevis. Anua-
ri de la Càtedra Ramon Llull Blanquerna” 21 (2016), 56-91.
81
Nel 1968 è nata la Teologia della Liberazione, che per venti anni ha infiammato il
laicato cattolico. Essa, ignorando l’insegnamento di LdV, ha ripresentato un collegamento
tra spiritualità e politica, ma sulla base di una analisi politica della sola struttura di pec-
cato del capitalismo dittatoriale sudamericano; analisi improntata sul socialismo (marxi-
sta), preteso scientifico; il quale, per sconfiggere l’oppressione, considerava necessaria
una lotta dura e violenta, rispetto alla quale la non violenza appariva una ingenuità. Ep-
pure la lotta a quella struttura sociale sud americana è stata condotta efficacemente da
grandi personalità non violente (Dom Helder Camara, Perez Esquivel).
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Su questo punto LdV è stato profetico, molto di più della Teologia del-
la Liberazione che ha visto solo il peccato della miseria causata dal capi-
talismo; e fin anche del papa che nelle Sollicitudo rei Socialis (1987) ha
appena accennato ai peccati strutturali Est/Ovest e Nord/Sud nel mondo.
Su questo tema egli nel libro sulla spiritualità rimanda a I Quattro Flagel-
li; questo poteva forse bastare ai seguaci del tempo di LdV; ma oggi oc-
corre definire con più precisione il concetto di peccato strutturale (pur-
troppo trascurato anche dai teologi odierni) e in più quali siano le attuali
strutture di peccato che dominano la vita sociale e come la vita spirituale
si rapporti ad esse. Quindi si tratta di completare il progetto generale pre-
cisando sia le strutture sociali negative, sia il rapporto della vita spiritua-
le con esse fino alla conversione da esse e alla lotta contro esse. Un pri-
mo passo è la raccolta di quanto già pubblicato da LdV in proposito, ma
in tanti scritti diversi.
Un secondo passo è il ripensamento del libro I Quattro Flagelli: la sua
struttura è valida; ma, per adeguare il discorso di LdV alla realtà sociale
contemporanea, sono da ripensare in maniera radicalmente nuova soprat-
tutto i capitoli 3-4 (Economia e Potere politico), in modo che essi chiarisca-
no le odierne strutture sociali negative e il modo con cui combatterle. Come
seconda modifica, inserire i brani della seconda parte del cap. V de I Quat-
tro Flagelli sulla conversione, ma ripensandoli in termini pre-religiosi, sin-
tetizzandoli unitariamente e finalizzandoli alla luce di una lotta contro non
solo il flagello della guerra e della struttura militare, alla quale rispondere
con l’obiezione di coscienza, ma a tutte le strutture sociali negative. Que-
sto lavoro non è semplice; ma il risultato costituirebbe un avanzamento per
tutto il mondo non violento (solo Galtung ha scritto in proposito, ma sugge-
rendo soluzioni spirituali di tipo genericamente buddista)82.
6) Nel libro Le Grand Retour c’è uno scritto del 195483 che individua «il
doppio marchio della dignità divina dell’Intelligenza»: «l’Unità [cioè il pro-
prio ben organizzarsi, e […] l’Infinito». Questo “doppio marchio” è stato già
82
Lo scritto di CLAUDE VORON [Le Grand Retour, un chemin d’espérance, in D. VIGNE
(ed.), Lanza del Vasto, Un génie pour notre temps, Institut Catholique de Théologie de Tou-
louse, Toulouse 2006, 87-98] è una possibile maniera di farlo, sia pur sintetica. Esso par-
te dalla interpretazione del peccato originale, passa per i quattro flagelli e termina con l’e-
sercizio il cui nome è quello del titolo.
83
LDV, Conversion de l’Intelligence, du cœur et du corps in LDV, Le Grand Retour, 16-
41, 18.
170
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
scritto in altro libro84, lo ha ripetuto nel 196885 e poi nell’ultimo libro dice:
«Qui lo spirito soffia tra l’Infinito e l’Unità»86. Nel libro del 1968 ha chia-
rito che esso indica le due categorie con cui si può comprendere tutta la vi-
ta umana: la categoria dell’organizzazione (o la organizzazione rivolta a rag-
giungere autonomamente l’unità o quella assoggettata a leggi obbliganti) e
quella dell’infinito (o l’infinito solo potenziale e quindi solo avvicinabile
così come avviene quando lo si fa in maniera operativa, o quello in atto,
cioè come se l’infinito fosse una cosa come le altre cose; può solo essere
concepito dalla nostra mente) 87. Quindi le due dimensioni chiariscono qua-
le è il punto di arrivo dell’intelligenza che ha attraversato i quattro cerchi in-
dicati dalla terza idea-guida88.
Queste categorie, rappresentate come due assi in croce, danno una bus-
sola o rosa dei venti89. Si noti che in una bussola ogni quadrante è caratte-
rizzato da una coppia di scelte sulle due dimensioni; e le coppie di scelte
sono quattro; si può verificare che di fatto LdV si è riferito proprio a queste
quattro coppie di scelte in varie occasioni, cioè quando ha distinto tra loro:
i quattro flagelli90, i quattro tipi di gioco91 e i quattro tipi di sovranità92.
Quindi scopriamo che, anche se non l’ha dichiarato espressamente, LdV ha
avuto una tredicesima idea-guida, quella delle due categorie; e l’ha applica-
ta più volte in punti cruciali della sua esposizione in I Quattro Flagelli93.
84
LDV, Commentaire de l’Evangile, 58; e 447.
85
LDV, La Montée des Ames Vivantes, Denoël, Paris 1968, 59.
86
LDV, La Trinità Spirituale (orig. 1971), Ed. Satyagraha, Pisa 2017, 129.
87
LDV, La Montée des Ames Vivantes. Esse forse possono essere rappresentate dalla li-
nea verticale e dalla linea orizzontale con le quali egli interpretava molte posizioni yoga.
88
Esse coincidono con le due categorie di pensiero indicate da Leibniz come “labirin-
ti” (perché tali appaiono alla sola ragione, che infatti da sola non può scegliere su di es-
si): “legge o libertà [nell’organizzarsi] e infinito potenziale o attuale”.
89
Come quelle disegnate da LdV stesso in LDV, La Trinità Spirituale, 148; ne accen-
na anche in LDV, Le Grand Retour, 185.
90
LDV, I Quattro Flagelli, cap. I par. 1.
91
Ibid., cap. II parr. 3-6.
92
Ibid., cap. IV parr. 3-6.
93
Si noti che essa non contrasta con le tre realtà viste dall’occhio semplice: Luce, Me
e Tu (è la vii idea-guida del progetto generale). Le dodici idee guida indicano con che pre-
messe si vede la vita (cioè danno le categorie della conoscenza), mentre l’occhio sempli-
ce indica che cosa si vede.
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«Nell’estate del 1962 terminò la guerra d’Algeria; Lanza del Vasto procla-
ma anche la fine del “satyagraha” iniziato cinque anni prima. Ha colto l’oc-
casione, durante l’estate, per preparare il suo libro Approcci alla vita inte-
riore: infatti, quasi tutta l’opera era già apparsa, mese dopo mese, alle Nou-
velles de l’Arche, ma questa piccola rivista è di tipo privato e viene distri-
buita solo in abbonamento a millecinquecento compagni e amici. Come of-
frire in pasto ad un pubblico anonimo l’insegnamento che Lanza del Vasto
impartisce, soprattutto oralmente, da quasi vent’anni, e che riguarda il mi-
sterioso cammino delle anime, la preparazione e il mantenimento del terre-
no umano per renderlo capace di accogliere, contenere, far germogliare e
fruttificare il seme della Grazia? Lanza del Vasto vi si rassegnò con esitazio-
ni e scrupoli. Ricordiamo che avvenne lo stesso al momento di scrivere la
storia del Pellegrinaggio.
All’inizio degli anni Sessanta ne è sorta la necessità. La corsa al progres-
so meccanico e superficiale ha indubbiamente raggiunto il suo apice, e lo
ha raggiunto anche la cieca fede scientista che è stata riposta in questo pro-
cesso dell’Occidente. Sta sorgendo una generazione un po’ stanca, disgusta-
ta, scoraggiata ma innamorata di altro: beatnik o hippy cominciano a girare
per le strade del mondo, rifiutando l’invito alla festa indigesta, salvo sosti-
tuirla con ricette miracolose basate sulla droga o su ciarlatanerie illusorie,
se non mortali. Urge offrire a chi ha fame di spiritualità un cibo solido, one-
sto, sostanzioso, cioè autentico, leale, esigente: un pane di verità. Gli Ap-
procci alla vita interiore sono solo i rudimenti di un vero apprendimento
(non si impara a ballare in un libro e tanto meno a meditare, dice l’“Avver-
tenza”). Forti basi dottrinali, sapienti (e gustose) considerazioni all’imbocco
94
DE MAREUIL, Lanza del Vasto. Sa vie, son œuvre, son message, 270-271.
172
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del sentiero che conduce nel paese dell’interiore; al quale ciascuno solo
personalmente e praticamente può sperimentare di avvicinarsi, per poi en-
trarvi appieno. La vera iniziazione alla meditazione silenziosa può essere in-
segnata solo da uomo a uomo, e poi solo da soli con se stessi (e con l’aiuto
di Dio). Lo stesso vale per gli esercizi fisici o respiratori, liberamente ispi-
rati allo hata-yoga indù, e adattati alle capacità o mentalità occidentali.
Non è quindi falsa modestia (l’autore non ne è stato mai capace) se que-
sto libro maestro si chiama (come la sua tesi sulla Trinità): Approcci, per-
ché l’argomento è al di là delle capacità di qualsiasi libro o autore. Resta il
fatto che questa introduzione all’essenziale della vita merita di essere pre-
sa sul serio: assimilare il contenuto di questo libro è già un passo impor-
tante; poi riflettere su questo libro nutrirà lo sperimentatore lungo tutto il
suo viaggio, alimentando il suo approccio personale e perpetuo al mistero
ultimo e infinito... Come sappiamo, l’autore è una guida; “ha messo i piedi
sulle orme dei suoi pensieri”; gli indù direbbero: egli sa almeno un po’, ha
“raggiunto” in parte ciò di cui sta parlando.
Il libro esce da Denoël nel novembre del 1962. Ben accolto, continuerà
una lunga carriera, incessantemente ristampato, incessantemente richiesto.
Con I Quattro Flagelli presenta l’essenza dell’“insegnamento”, o “dottrina”
dell’Arca. Non è solo la filosofia personale di Lanza del Vasto ad essere
esposta in questi libri. Queste vie di riflessione sono date come superiori al-
la misura e al passo del solo Pellegrino; questi pensieri si riferiscono a sag-
gezze o rivelazioni che sono immemorabili e in qualche modo universali.
Ciò che è più personale in Lanza del Vasto, distinto ma non certo oppo-
sto, ha trovato posto in altre opere, molte delle quali emergono successiva-
mente, al ritmo di quasi un volume l’anno. La seconda carriera letteraria di
Lanza del Vasto ormai è aperta, se per questo tipo di autore si può parlare
di letteratura e di carriera.
Sant’Agostino e Pascal sono tra gli scrittori più grandi che l’umanità ab-
bia generato. L’opera di Lanza del Vasto segue la loro linea».
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1927 con la sua tesi di laurea95. L’ha poi riformulata più volte nella sua vi-
ta; infine nel 1971 ha pubblicato il risultato del suo lungo lavoro intellet-
tuale96. Si può ipotizzare che ci sia un collegamento tra questi due libri.
Il consiglio di LdV sui suoi libri: “La Trinità Spirituale è un libro filosofi-
co”. LdV ha indicato al seguace dell’Arca quali suoi libri leggere e medita-
re: Introduzione alla vita interiore, per i quattro capitoli sulla non violenza,
ed altri libri; ma non La Trinità Spirituale «perché non si può chiedere ad
un Compagno dell’Arca di aver fatto studi di filosofia, né che sia portato al-
la speculazione astratta»97. Tuttavia egli segnala che il libro contiene “una
Filosofia della Conciliazione”98 che indica come superare la contrapposi-
zione tra il sì e il no; cioè una prima teoria della risoluzione non violenta
dei conflitti; il che è di interesse per tutti. Si può supporre che La Trinità
Spirituale possa dare altri contributi al discorso di Introduzione alla vita in-
teriore, sulla vita spirituale. Perciò esaminiamo questo libro.
Il libro La Trinità Spirituale inizia dalla idea della Trinità. Secondo LdV
nel mondo varrebbe una “legge delle Triadi”99 perché ogni essere può esse-
re interpretato con una triade, che LdV formula con queste parole100: inter-
no, esterno e alterno (ovvero il legame tra i primi due). In questo suo sforzo
intellettuale onnicomprensivo il libro è essenzialmente teologico-filosofico.
Infatti La Trinità Spirituale inizia come libro teologico che cerca una
conciliazione tra quante più religioni sia possibile. Egli sottolinea che l’i-
195
LDV, Gli approcci della Trinità Spirituale, Università di Pisa, 1927.
196
LDV, La Trinità Spirituale. È il libro di LdV che è stato studiato da più autori. Es-
si sono: BRUNO FORTE, Il pensiero trinitario di Lanza del Vasto, in D. ABIGNENTE – S. TAN-
ZARELLA (edd.) Tra Cristo e Gandhi, San Paolo, Milano 2003, 125-137; D. VIGNE, La mé-
taphysique de Lanza del Vasto : une surprise posthume, in VIGNE (ed.), Lanza del Vasto. Un
génie pour notre temps, 113-137. G. SALMERI, Lanza del Vasto tra metafisica greca e meta-
fisica cristiana, in DRAGO –TRIANNI (edd.), La filosofia di Lanza del Vasto. Un ponte tra
Occidente e Oriente, 31-46. F. VERMOREL, La Trinità in Lanza del Vasto. La storia dei suoi
esperimenti con la Verità, ibid., 103-114. D. BERTINI, La metafisica trinitaria in Lanza del
Vasto, ibid., 165-178; D. VIGNE, La Rélation Infinie. La Philosophie de Lanza del Vasto,
Cerf, Paris I vol. 2008, II vol. 2010 (complessivamente 1500 pagine).
197
LDV, L’Arca aveva una vigna per vela, 122. Una ricostruzione sintetica della vita fi-
losofica di LdV è in VIGNE, La métaphysique de Lanza del Vasto : une surprise posthume,
113-135.
198
Cf. LDV, La Trinità Spirituale, 66-68.
199
R. DOUMERC, Dialogue avec Lanza del Vasto, Cerf, Paris 1980, 93.
100
Vedasi ad es. LDV, La Trinità Spirituale, 48ss.
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dea di triade è vicina sia all’idea della Trinità cristiana, sia all’idea del Sat
Cit Ananda (che può essere messo al centro dell’induismo)101. Ma si tratta
di solo un avvicinamento. Nell’articolo successivo, ma sempre nel 1971
egli scrive che nel libro: «Alla Trinità Divina non si fanno che allusioni […]
[per rendere più semplice l’] abbordare il Dogma»102; quindi egli non con-
sidera i suoi collegamenti teologici come spiegazioni e nemmeno come
chiarificazioni. A noi interessati a migliorare l’esposizione di Introduzione
alla vita interiore al di fuori di ogni religione stabilita e quindi anche al di
fuori dell’idea di Dio Trinità, le “allusioni” di LdV a questo dogma, benché
possano essere molto suggestive, non danno un contributo specifico.
La Trinità Spirituale è anche un libro filosofico. Il libro Introduzione al-
la vita interiore ha una idea in comune con esso: una triade, quella vista
dall’occhio semplice (“Luce, Me e Tu”). Ma i due libri rappresentano due
punti di vista e due atteggiamenti differenti: mentre la triade di Introdu-
zione alla vita interiore indirizza al lavoro interiore e lo organizza, le tria-
di di La Trinità Spirituale TS appartengono al mondo delle idee già fatte.
Dall’invito di Introduzione alla vita interiore al lavoro su se stessi, in La
Trinità Spirituale si passa alla intellettualità; da un cammino di esperien-
ze, allo sviluppo del proprio pensiero; dalla ricerca di vita, al come orga-
nizzare i risultati intellettuali mediante triadi di idee. Il primo libro tratta
come coordinare le esperienze di vita, l’altro è deduttivo da una idea cen-
101
Però egli ammette che nessuna razionalità (e quindi nessuna triade) può spiegare la
doppia natura di Cristo (TS, p. 25); quindi con le triadi egli non può dare significato alla
incarnazione del Figlio di Dio, né al suo aver redento l’umanità dal peccato originale (che
la sua tesi di laurea non conteneva; DE MAREUIL: Lanza del Vasto. Sa vie, son oeuvre, son
message, 323). Anche l’Unità della Trinità (Dio Uno) non può essere rappresentata da una
triade di LdV. Quindi mentre la idea indù Sat Cit Ananda potrebbe essere assimilata ad
una triade, la Trinità cristiana ha molto di più di qualsiasi triade. Tanto è vero che nelle
ultime pagine di TS egli propone quella che sarebbe “La Chiave” interpretativa di tutta la
realtà; ma lì LdV presenta una tabella di tre triadi che non spiega, perché la lascia alla
meditazione del lettore (LDV, La Trinità Spirituale, 184). Probabilmente per questa incom-
pletezza, egli ha giudicato modesto il risultato di questa sua ultima riformulazione delle
sue idee. In più Daniel Vigne nel paragrafo finale dell’articolo [La Trinità Spirituale. Un
capolavoro finora sconosciuto, in A. DRAGO (ed.), Il pensiero di Lanza del Vasto, Il pozzo di
Giacobbe, Trapani, 2010, 175-186; ripetuto con un titolo un po’ diverso in: La Trinità Spi-
rituale: un libro magistrale, in LDV, La Trinità Spirituale, Ed. Satyagraha, Pisa 2014, 175-
186] dice che La Trinità Spirituale “è un libro difficile e assai speciale”. Poi tutto l’arti-
colo spiega i sette difetti non formali del libro e dà suggerimenti su come superarli.
102
LDV, La Trinità Spirituale, in LDV, Pages d’Enseignement, 277-287, 279.
175
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103
Sul rapporto LdV-Hegel si veda, oltre al suo libro già citato, l’articolo di D. VIGNE,
Lanza del Vasto critico di Hegel, in DRAGO – TRIANNI (edd.), La filosofia di Lanza del Va-
sto. Un ponte tra Occidente e Oriente, 47-62.
104
LDV, La Trinità Spirituale, 66-68.
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
Si noti che sia “Non uccidere”, sia “non violenza”, sono doppie negazioni.
In effetti LdV aveva già intuito il ruolo logico delle doppie negazioni; lo di-
mostra il brano seguente:
Nelle opere della Ragione […] volitiva, l’Infinito non è mai “attuale o
“realizzato”. È una negazione dei limiti invece che una affermazione
dell’illimitato107.
105
Ibid., 66-67 e 182.
106
LDV, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio (orig. 1954), Jaca book, Milano 1980, 124
(corsivo aggiunto).
107
LDV, La Trinità Spirituale, 115 (corsivo aggiunto).
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Inoltre, nella intervista di R. Doumerc egli dice poco prima della morte:
Il brano indica che il pensiero umano deve poter operare al di fuori del-
la contrapposizione tra il sì e il no, la quale è la caratteristica definitoria
della logica classica dominante; o anche, indica che al pensiero umano oc-
corre “una apertura” che va oltre la “ragione ragionante [con la logica clas-
sica]” per saper “giocare tra il sì e il no”, in una sospensione propizia a
“varcare la Soglia” della contraddizione tra sì e no.
Oggi si sa che una doppia negazione indica una logica differente da quel-
la classica del sì contrapposto al no109. In effetti, questa nuova logica è sta-
ta chiarita proprio al tempo di LdV. Essa si distingue da quella classica pro-
prio perché la doppia negazione non equivale alla affermazione e quindi,
come caso indeterminato, sfugge alla opposizione speculare tra sì e no.
Quindi la nascita di questa nuova logica ha comportato la nascita di un
punto di snodo cruciale per il pensiero umano: una divisione tra due diffe-
renti mondi intellettuali.
In effetti negli ultimi anni della sua vita LdV auspicava una logica diver-
sa da quella classica; egli voleva una nuova logica il cui trattato sarebbe
stato chiamato novissimum organon110. In più abbiamo visto sopra che LdV
108
DOUMERC, Dialogues avec Lanza del Vasto, 133-134.
109
Ciò vale anche nella formalizzazione matematica della logica: J.B. GRIZE, Logique,
in J. PIAGET (ed.), Encyclopédie de la Pléyade, Gallimard, Paris 1970, 206-210; C. MAN-
GIONE – S. BOZZI, Storia della Logica, Garzanti, Milano 1993, 590.
110
LDV, La Trinità Spirituale, 66-68.
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
ha intuito che nelle doppie negazioni c’era una porta ad un nuovo mondo;
purtroppo non ha saputo aprirla. In particolare, non ha saputo esplicitare le
sue intuizioni sulle doppie negazioni così da riconoscere quella della paro-
la “non violenza”. Se l’avesse fatto, avrebbe potuto chiarire molto bene che
questa parola non ha un contenuto statico (come tutte le idee greco-occi-
dentali), ma rappresenta un metodo (rivolto a condurre bene una interazio-
ne umana); e come metodo non può esser ridotto ad una singola parola af-
fermativa, né ad una regola a sì e no, astratta dalle circostanze specifiche.
Comunque, nella pratica egli sapeva (intuitivamente) tutto ciò: il suo com-
mento al voto presenta non una idea o una idealità, ma un metodo111. È da
questa rivoluzione del pensiero umano che dipendono non solo il “Non uc-
cidere”, ma anche tutti le altre “parole” di Dio che riguardano i rapporti so-
ciali (“Non rubare”, ecc.), ma anche la rivoluzione di Gesù: “Non reagite
[col male] al male”; rivoluzione che poi è stata rinnovata da Gandhi con la
doppia negazione, precisa ed essenziale: “non violenza”112.
Sul tema egli all’inizio del libro sulla vita spirituale ha ricordato che ad es-
so occorre aggiungere il precedente libro I quattro flagelli113; ma non ha in-
dicato i contenuti utili di quest’ultimo. Essi sono tutti nella seconda parte
del cap. V (parr. 25-26, 33-39, 53-81). Ma vari di essi (parr. 25-26, 44, 70-
72) riguardano specificamente la fede cristiana; quindi non sono adatti al
progetto pre-religioso di Introduzione alla vita interiore. In questo libro egli
avrebbe potuto riprendere quanto aveva scritto in I quattro flagelli sul rap-
porto tra la vita spirituale e le strutture sociali; cioè avrebbe potuto racco-
glierne le sole parti utili e poi ripensarle in modo nuovo, ordinato e siste-
matico. Questa rielaborazione era impegnativa; in Introduzione alla vita in-
teriore egli non l’ha fatta.
111
Ho presentato questa nuova logica e l’ho applicata all’insegnamento di LdV in: La
filosofia di Dio di Lanza del Vasto. Studio mediante un nuovo metodo di analisi logica, in
DRAGO –TRIANNI (edd.) La filosofia di Lanza del Vasto, 185-222.
112
Lo chiarisce il famoso linguista L.R. HORN, The Natural History of Negation, Chi-
cago University Press, Chicago, IL 1989, 84.
113
LDV, Introduzione alla vita interiore [AVI], 10.
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AVI presenta tutta la vita sociale in maniera poco ordinata (pp. 172-182;
240-279; 300-308). Tra le strutture sociali negative già indicate ne I quat-
tro flagelli (la guerra, la economia capitalista, il marxismo totalitario, la po-
litica machiavellica, lo Stato, la Scienza come potenza sociale mondiale) so-
lo la guerra è ricordata (pp. 231-235, 245-248), mentre ci sono cenni alla
Scienza (pp. 52, 158), ma così fuggevoli che al lettore possono sembrare
iperboli di una tensione morale estremizzata. Cosicché si può ben pensare
che AVI propone “una serie di annotazioni” sulla non violenza, spesso so-
lo al livello individuale: LdV presenta soprattutto la sua forza spirituale, la
sua capacità di affrontare i conflitti interpersonali, la sua prospettiva di pro-
porre una società alternativa; non una esposizione sistematica di essa.
In realtà, tornato dall’India di Gandhi, LdV aveva come compito anche
quello sul tema sociale: inventare una esperienza collettiva, che era del tutto
nuova in Occidente, organizzando un gruppo di non violenti gandhiani che
congiungessero la spiritualità e la politica non solo in una vita comunitaria
ben fondata e programmata, ma anche in azioni non violente pubbliche114.
Egli non poteva imparare come condurre queste azioni da libri su questo te-
ma; allora essi erano quasi inesistenti. Saggiamente non ha voluto fare teo-
ria prima di fare la pratica; ha lasciato alla ulteriore elaborazione colletti-
va, sua e dei Compagni della Comunità, il decidere quando e come incide-
re politicamente sulle vicende della società circostante. Pertanto ha pensa-
to che il suo progetto di vita spirituale gandhiana avrebbe potuto illustrare
solo nel futuro il rapporto con la vita sociale, allorquando la Comunità del-
l’Arca avesse realizzato molte esperienze di lotte spirituali non violente in
Occidente e poi ci si fosse riflettuto sopra.
Nel 1958 egli ha preso il coraggio a quattro mani ed ha lanciato una lot-
ta pubblica non violenta delle persone spirituali contro la struttura sociale
più negative nel mondo: il nucleare militare. Ha organizzato la invasione
della centrale nucleare di Marcoule, nella quale si stavano costruendo di
nascosto bombe nucleari. Ma questa decisione fu dolorosa: quasi la metà
dei seguaci dell’Arca di allora si scandalizzò di questa spiritualità “piaz-
zaiola” e lo abbandonò.
Comunque egli non ha desistito. Dalla fine degli anni ‘50 la Comunità ha
sperimentato varie lotte sociale non violente: il digiuno in gruppo assieme
114
In precedenza egli non aveva avuto esperienze di lotte non violente collettive (in
LDV, L’Arca aveva una vigna per vela, 164-165 si può leggere come egli ha vissuto que-
sta problematica, nel caso della lotta contro la guerra di Algeria).
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Un tentativo di conciliare tutte le spiritualità
Antonino Drago
Alleato della Comunità dell’Arca
Università degli Studi di Napoli Federico II
([email protected])
115
Anche poi dopo, nel 1973, egli sarà l’iniziatore (con un digiuno di quindici giorni)
della lotta contro la espropriazione militare dell’altopiano del Larzac; poi molti della Co-
munità costituirono il nerbo di quella lotta che è diventata di massa (manifestazioni fino
a centomila persone). La lotta finì gloriosamente nel 1981 (dopo la morte di LdV) col ri-
tiro dell’esproprio militare.
181
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ABSTRACT
UN TENTATIVO DI CONCILIARE
TUTTE LE SPIRITUALITÀ
Il libro Introduzione alla vita interiore di Lanza del Vasto
Nel 1962 Lanza del Vasto ha pubblicato un libro che proponeva quella innova-
tiva spiritualità che egli aveva già concretato in pratiche giornaliere regolari del-
la sua comunità non violenta gandhiana: cioè pre-religiosa e tesa a unire la vita
interiore con l’etica e la politica. Il libro è basato su dodici idee-guida, molto in-
novative anche per il nostro tempo. Però della penultima, la non violenza, non
ha trovato una definizione soddisfacente; perciò il suo progetto è rimasto in-
compiuto; cosicché nella seconda parte del libro indirizza il lettore a uscire dal
suo ruolo sociale per vivere direttamente la spiritualità della sua comunità non
violenta. Elenco le varie mancanze della sua esposizione e suggerisco sia una
precisa definizione di “non violenza” (che egli aveva avvicinato di molto), sia co-
me completare il suo progetto generale di una spiritualità di tipo sia universale
tra tutte le religioni che completa nello spaziare dall’interiore al politico. Quattro
appendici vedono l’opera sotto diversi aspetti.
ATTEMPTING TO RECONCIALE
ALL THE SPIRITUALITIES
Lanza del Vasto Work Introduction to Inner Life
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1. Introduzione, gestione e precisazione del concetto – 2. Origine dei beni temporali nel-
la Chiesa e il gestore – 3. Che cos’è lo spirito di povertà e cosa significa essere sacerdote
gestore?; 3.1 In che modo i sacerdoti devono gestire i beni pubblici nello spirito di pover-
tà? – 4. La gestione dei beni personali del sacerdote nello spirito di povertà – 5. Perché
gestire con spirito di povertà?; 5.1 Spirito di povertà nella gestione dei beni e missione dei
sacerdoti; 5.2 Lo spirito di povertà nella gestione e acquisizione dei beni della Chiesa –
Conclusione
Il termine “gestione”, dal punto di vita semantico, può essere usato in di-
versi ambiti, come in diritto, in economia, in scienza delle finanze, in am-
ministrazione oppure in modo generale1. In senso economico – focus di
questa ricerca – ha un significato preciso, vale a dire: «il complesso delle
operazioni relative alle entrate e alle uscite del bilancio e più specificamen-
te le operazioni che si riferiscono a un determinato bilancio annuale»2.
Questo significato è specifico, perché indica l’insieme delle attività, o ope-
razioni amministrative contabili, che devono essere svolte dall’incaricato
(ad esempio dall’economo). In questo senso, proprio, la gestione «”contie-
ne” l’amministrazione3, intesa come semplice “unità operativa”, sostanzial-
1
Si dice ad esempio la gestione di una situazione, oppure la gestione di una crisi ecc.
2
“Gestione” in TRECCANI, Enciclopedia on line [https://www.treccani.it/enciclopedia/
gestione; https://archive.is/Z5van]; Consultare anche la voce “gestione”, in Dizionario di
Economia e gestione aziendale, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli 20074, 459; Cf. “Ma-
nagement”, in F. PICCHI, Economics & Businnes. Dizionario enciclopedico economico e
commerciale. Inglese Italiano. Italiano Inglese, Zanichelli, Bologna 1986, 572.
3
Per non usare come sinonimi i concetti “amministrazione” e “gestione” si vedano P.
GHERRI, Amministrazione e gestione dei beni temporali della Chiesa: primi elementi di con-
183
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mente ridotta alla mera contabilità quando si parla di beni»4. In effetti, «la
gestione costituisce la parte dinamica, la funzionalità dell’organizzazione,
cosicché – come già variamente accennato – esiste propriamente gestione
laddove si realizzano effettive attività economico-commerciali: acquisti,
vendite, incassi, pagamenti, fatturazioni, versamenti […]»5.
Ciò considerato, la gestione può essere buona o cattiva. In effetti, è buo-
na quando il gestore con le sue attività incrementa il patrimonio, ottenen-
do degli interessi o risultati economici positivi dai beni a lui affidati oppu-
re personali. La cattiva, al contrario, porta alla perdita del patrimonio, per-
ché le azioni compiute dal gestore sono sbagliate, ed è per questo che non
hanno giovato né alla cura né all’aumento dei beni ma piuttosto alla dis-
persione e, nel peggiore dei casi, all’indebitamento finanche alla chiusu-
ra delle attività.
Tali beni materiali, la cui gestione è oggetto nel presente studio, sono in-
dispensabili alla persona, che considerando la sua natura, non può vivere
senza possederli. La buona gestione permette all’uomo di conservarli, farli
fruttificare6 e averne sempre, come mezzi terreni per vivere degnamente
nella continua ricerca dei beni eterni7.
Tenendo conto della necessità dei beni terreni, le persone, sia fisiche sia
giuridiche, sono tenute ad acquistarli o a possederli; essi però devono es-
sere gestiti correttamente al fine di incrementarli per raggiungere i fini fis-
sati. In effetti, ogni persona necessita delle risorse materiali per consegui-
re i suoi obiettivi.
In tale senso, la Chiesa, avendo i suoi propri fini, quali «ordinare il cul-
to divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri mi-
184
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
8
Cf. M. CALVI, Commento ad un canone: sovvenire alle necessità della Chiesa (can. 222
§1), “Quaderni di Diritto Ecclesiale” 2 (1989), 1, 95-99.
185
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19
Cf. voce “povertà” in TRECCANI, XXX; Dizionario di economia e finanza [https://www.
treccani.it/enciclopedia/poverta_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/; https://archive.is/
HLuVA].
10
PAOLO VI, Enc. Popolorum progressio, n. 21.
11
Si consulti A. ASTE (ed.) Povertà evangelica, missione e vita consacrata: i beni tem-
porali negli Istituti di vita consacrata e nelle Società di vita apostolica, Marcianum Press,
Venezia 2016.
12
Ivi.
13
GIOVANNI PAOLO II, Esort. post Sinod. Pastores Dabo vobis, n. 30.
14
Ivi.
186
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
15
Alla ricchezza anche se abbonda non attaccare il cuore (cf. Sal 61, 11).
16
Sul dovere dello spirito di povertà di tutti i sacerdoti, oltre PO 17, si vedano anche
A. ZAMBON, Il consiglio evangelico della povertà nel ministero e nella vita del presbitero dio-
cesano, Roma, Ed. Pont. Università Gregoriana, Roma 2002, 119-122; Y.J. ATTILA, La pé-
réquation financière: un défi pour l’autosuffisance économique des Jeunes Eglises, Marcia-
num Press, Venezia 2011, 217-220; per approfondimento consultare anche B. DI MARTI-
NO, Povertà e ricchezza: esegesi dei testi evangelici, EDI, Napoli 2016.
17
Cf. Mt 4, 1-11, parabola delle tentazioni.
187
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ma: «Il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere
attaccati al denaro. Il popolo non lo perdona»18.
Poiché i sacerdoti hanno bisogno di questi mezzi terreni per svolgere il
loro servizi, essi sono tenuti a gestirli con la mens che Cristo19 ebbe dinnan-
zi alle risorse di questo mondo. Infatti, i sacerdoti, per rispettare la loro
identità, sono tenuti ad osservare le disposizioni giuridiche sia comuni sia
particolari date dai Vescovi. Qualunque gestione contraria alle disposizioni
in vigore non solo contraddice la natura di sacerdote configurato a Cristo,
ma altresì lo espone alle critiche che danneggiano lo stesso e tutto il corpo
sacerdotale. Per evitare questi giudizi negativi, i preti sono tenuti di gesti-
re i beni materiali in modo che rispecchi e rispetti la loro identità, come
precisa il principio agere sequitur esse.
Di conseguenza, tenendo conto delle oblazioni dei fedeli, l’essere del sa-
cerdote e le finalità da perseguire con i beni temporali (cf. can. 1254 § 2),
i ministri sacri sono obbligati ad ottemperare alle disposizioni giuridiche in
materia. Quali sono queste disposizioni giuridiche che permettono di ri-
spettare questi beni?
3.1 In che modo i sacerdoti devono gestire i beni pubblici nello spirito
3.1 di povertà?
18
FRANCESCO, Catechesi tenuta nel giubileo straordinario della misericordia, terza medi-
tazione del 2 giugno del 2016 nella basica di San Paolo Fuori le mura, nel sito del Vaticano
[https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/june/documents/papa-france-
sco_20160602_giubileo-sacerdoti-terza-meditazione.html; https://archive.is/006iG].
19
Da ricco come era si è fatto povero per arricchire tutti gli uomini (cf. 2 Cor 8, 9).
20
Cf. A. D’AURIA, Parere, consenso e responsabilità: can. 127, in GRUPPO ITALIANO DO-
CENTI DI DIRITTO CANONICO (ed.), Il governo nel servizio della comunione ecclesiale, Glos-
sa, Milano 2017, 75.
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
morazione, a danno della Chiesa. Per garantire una gestione che permetta
di evitare frodi, segno di un attaccamento alle risorse terrene e espressione
della mancanza dello spirito di povertà, il diritto canonico prevede delle
norme, affinché la gestione della cosa pubblica non sia concentrata nelle
mani di una sola persona, che potrebbe comportarsi come il “proprietario”
delle risorse ecclesiastiche. In tale gestione, i responsabili, seppure siano
rappresentati legali, non sono proprietari, che agiscono a loro piacimento.
A questo proposito, compete a tutti i formatori insegnare e ribadire queste
disposizioni a tutti i pastori, specialmente ai futuri ministri sacri, affinché
siano evitati danni nelle comunità.
Sotto questo profilo, per assicurare una gestione corresponsabile, segno
dello spirito di distacco dai beni terreni, il codice stabilisce in modo genera-
le che ogni persona giuridica «abbia il proprio consiglio per gli affari econo-
mici o almeno due consiglieri, che coadiuvino l’amministratore nell’adempi-
mento del suo compito, a norma degli statuti» (can. 1280). Con questo cano-
ne il codice evita l’esercizio solitario della gestione dei beni materiali della
Chiesa, perché non permette una gestione opaca, in cui nessuno è informato.
Infatti, la gestione individuale comporta il rischio di compiere atti illeciti,
poiché non esiste nessuna contrapposizione o contraddizione anche soltanto
potenziale o tecnica. Questo modo di gestire i beni della parrocchia è in vio-
lazione della norma sopracitata e implica una mancanza di spirito di povertà,
perché il sacerdote si attacca alle risorse e le spende come fossero le sue.
Per evitare questa cattiva gestione individualista da parte di un sacerdo-
te, il can. 1280 dispone che sia un gruppo, i cui membri devono essere al
corrente dei movimenti, entrate, uscite, depositi bancari o compravendite.
Inoltre, per impedire che una sola persona sia il gestore solitario, singo-
lo incontestato e incontestabile, quasi un capo indiscusso, un padre padro-
ne che impone i suoi voleri sui beni della diocesi, le disposizioni previste
per la curia diocesana dal Legislatore nel titolo 3, «il consiglio per gli affa-
ri economici e l’economo» (cf. cann. 492-494) sono molto rilevanti.
In effetti, per scongiurare tale forma di gestione opaca, difficilmente ve-
rificabile, si dispone che «in ogni diocesi venga costituito il consiglio per
gli affari economici, presieduto dallo stesso Vescovo diocesano o da un suo
delegato» (can. 492 § 1). Inoltre, per non permettere che la gestione sia fat-
ta da una sola persona, incompetente in materia economica, che decide
unilateralmente a danno della comunità, si prevede che tale consiglio deve
essere «composto da almeno tre fedeli, veramente esperti in economia e nel
diritto civile ed eminenti per integrità, nominati dal Vescovo» (can. 492 § 1).
189
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21
«Nella sua missione di favorire una comunione dinamica, aperta e missionaria, do-
vrà stimolare e ricercare la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Co-
dice di diritto canonico [cfr cc. 460-468; 492-502; 511-514; 536-537] e di altre forme di
dialogo pastorale, con il desiderio di ascoltare tutti e non solo alcuni, sempre pronti a far-
gli i complimenti. Ma l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente
l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti», FRANCESCO,
Esort. Apost. Evangelii Gaudium n. 31.
22
Detto popolare di tante culture, tra cui quella Ewe nel sud del Togo.
190
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
che «nel corso dell’anno egli deve presentare al consiglio per gli affari eco-
nomici il bilancio delle entrate e delle uscite» (can. 494 § 4). Sotto lo stes-
so profilo, il Legislatore insiste sul rendiconto annuo che l’economo deve
presentare al Vescovo, il quale per evitare delle frodi deve farlo esaminare
dai membri del consiglio degli affari economici (cf. can. 1287 § 1). Questo
esame, molto rilevante, deve essere fatto dagli esperti per evidenziare ogni
malversazione come ad esempio fatture false o gonfiate messe nel bilancio,
oppure emissioni delle fatture pagate per i lavori mai fatti o inesistenti. Ta-
le controllo non consiste solo nel verificare teoricamente la correttezza del-
le entrate e uscite messe a bilancio, che possono essere false dal punto di
vista dell’oggettività, ma soprattutto nel verificare concretamente la reale
corrispondenza tra le fatture e i prezzi, ossia spese o i lavori realmente ese-
guiti nei cantieri23.
Per assicurare la correttezza nelle spese, tutti i gestori sono tenuti ad at-
tendere alle loro funzioni con la diligenza di un buon padre di famiglia (cf.
can. 1284), che non soltanto deve vigilare e curare i beni rispettando le nor-
me canoniche e civili, ma altresì pagare i debiti e i mutui (cf. can. 1284),
senza dimenticare di stipulare un contratto giusto con gli impiegati al fine
di evitare dei danni ai beni della Chiesa in caso di citazione in giudizio (cf.
can. 1286). Il gestore deve evitare che avvengano errori gravi, dovuti al fat-
to che si è attaccato ai beni per i suoi propri interessi nascondendo le ope-
razioni contabili ai membri degli organismi previsti dal codice, creando
delle perdite alla comunità.
Sulla stessa linea, nelle parrocchie, per la gestione nello spirito di pover-
tà, che non permette che i beni siano gestiti solo dal sacerdote come egli
vuole, si dispone che vi sia il consiglio per gli affari economici in cui i fe-
deli, scelti secondo il diritto universale e particolare, aiutino il parroco che,
fermo restando il suo ruolo disposto dal can. 532, si avvale di tale gruppo
nella gestione e nell’amministrazione24 dei beni della parrocchia (cf. can
537). Tutte queste norme hanno un unico scopo, che è quello di coinvolge-
re i fedeli nella gestione dei beni ecclesiastici, per evitare che una sola per-
23
Cf. Y.J. ATTILA, La trasparenza nell’amministrazione dei beni temporali nelle giovani
Chiese, in A. ASTE (ed.), La trasparenza nella gestione dei beni ecclesiastici: dalla gover-
nance alla accountability, Marcianum Press, Venezia, 2019, 62.
24
Qui l’amministrazione non vuole dire solo gestire ossia esecuzione delle operazioni
contabili fatto dall’economo, ma anche la presa delle decisioni a livello delle riunioni nei
consigli.
191
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sona si accaparri il patrimonio della Chiesa, come se fosse una sua proprie-
tà privata. Il coinvolgimento dei fedeli nella gestione della cosa pubblica è
un segno di rinuncia ai beni di questo secolo da parte dei sacerdoti.
Possiamo dire che lo spirito di povertà aiuta il sacerdote a costituire que-
sti organismi, affinché sia assistito nella gestione dei beni ecclesiastici per
non monopolizzarli come fossero i suoi. La costituzione di questi organismi
non è un’opzione, ma un obbligo. Ora, dopo avere esaminato la gestione dei
beni ecclesiastici dal sacerdote secondo queste norme, ci si chiede: come
deve gestire i suoi?
I sacerdoti, sebbene siano uomini bisognosi anche dei beni temporali, pe-
rò devono usarli rispettando il loro essere. Il loro stato li obbliga ad evitare
di usare i beni come farebbe una qualunque persona del mondo, poiché con
la consacrazione essi «vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di
Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera»25,
che per essere efficace deve essere adempiuta senza nessuno attaccamen-
to ai beni terreni. Questi ultimi, come mezzi per vivere degnamente e ser-
vire il popolo di Dio, devono essere utilizzati secondo gli insegnamenti di
Cristo e della Chiesa in materia. La vita del cristiano, specialmente del sa-
cerdote non dipende dalla quantità dei beni che possiede, ma da come tali
risorse sono gestite per l’annunzio della Parola di Dio in vista del fine ulti-
mo (cf. Lc 12, 15). Il loro stato, infatti, vieta agli stessi di usare i beni, sep-
pure personali, come qualunque individuo, perciò essi devono servirsene
conformemente alla loro identità26. In effetti, i sacerdoti, in virtù della loro
ordinazione sono chiamati volontariamente ad abbracciare lo spirito di po-
vertà, che renderà più evidente la loro configurazione a Cristo e permette-
rà loro di dedicarsi totalmente al loro ministero27.
25
PO 12, cf. anche PIO XI, Enc. Ad Catholici sacerdotii, AAS 28 (1936), 10.
26
Cf. Sal 62, 11: «Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore».
27
Cf. CONGRÉGATION POUR L’EVANGÉLISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour
les prêtres diocésains des Églises qui dépendent de la Congrégation pour l’Evangélisation
des Peuples, Juin 1989; cf. anche PAOLO VI, Discorso ai Vescovi, AAS 60 (1968), 639-649;
GIOVANNI PAOLO II, Encyc. Sollicitudo Rei Socialis, AAS 80 (1988), 572-574.
192
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
Essi, benché vivano nel mondo, non sono del mondo (cf. Gv 17, 14-16),
dove le persone in genere hanno una certa mentalità rispetto ai beni di que-
sto secolo, perciò devono avere un giusto rapporto di distacco e di libertà
rispetto alle risorse temporali28. Questo distacco dai beni si impone a cia-
scun sacerdote, a prescindere che sia religioso o diocesano, perché l’obbli-
go è in virtù della loro configurazione a Cristo, Modello che gli stessi devo-
no non solo imitare ma altresì testimoniare. Se i religiosi lo mettono in pra-
tica in modo peculiare con il voto, che impone l’obbligo del testamento e la
comunione dei beni (cf. can. 668), tuttavia lo spirito di povertà non è op-
zionale per i sacerdoti diocesani.
Quest’ultimi, essendo gli strumenti vivi di Cristo per perpetuare la sua
missione, devono proseguire tale opera attraverso l’uso corretto dei mezzi
materiali personali con lo spirito di povertà evangelica, perché è un dato di
fatto che i popoli si ribellano contro ogni ministro sacro che considera i be-
ni di questo secolo non come un mezzo ma come il fine. Tale attaccamento
compromette gravemente la propagazione della fede, per cui essi sono or-
dinati, al fine di testimoniare Cristo, il loro Modello e Esempio, il quale da
ricco è diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi
(cf. 2 Cor 8, 9; PO 17). La considerazione e l’utilizzo dei beni temporali da
parte di Cristo costituiscono e rimangono l’Ideale unico per i sacerdoti, che
devono seguirlo, rispettarlo e imitarlo. Il legame tra Cristo e i sacerdoti, li
costringe intrinsecamente ad «usare i beni temporali solo per quei fini ai
quali essi possono essere destinati d’accordo con la dottrina di Cristo Si-
gnore e gli ordinamenti della Chiesa»29.
Per questo motivo considerando l’importanza dell’argomento in esame su
quello della gestione e dello spirito di povertà, tante disposizioni giuridiche
e Magisteriali dispongono sulla gestione dei beni materiali personali dei
ministri sacri.
In effetti, il Concilio Vaticano II, riprendendo in sostanza le disposizioni
del sinodo di Parigi nell’ 829 e del Concilio di Trento, stabilisce che i sa-
cerdoti «non trattino dunque l’ufficio ecclesiastico come occasione di gua-
dagno, né impieghino il reddito che ne deriva per aumentare il proprio pa-
28
Cf. CONGRÉGATION POUR L’EVANGÉLISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour
les prêtres diocésains des Églises qui dépendent de la Congrégation pour l’Evangélisation
des Peuples, Juin 1989.
29
PO 17.
193
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30
SIN. DI PARIGI dell’829, cap. 15: MGH, Legum sectio III, Concilia, tomo. 2, 622; CON.
DITRENTO, Sess. XXV, Decr. de reform., cap. I: Conc. Oec. Decreta, ed. Herder, Romae
1962, 760-761.
31
Cf. Sal 62, 11.
194
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
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In ottemperanza a questa norma per evitare che i sacerdoti portino abiti dei laici, in
tanti paesi essi portano la talare oppure il clergyman.
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Tale abito evita al sacerdote di comprare dei vestiti magari anche lussuo-
si e mondani nonché firmati, contrari allo spirito di povertà. A tale riguar-
do il sacerdote deve interrogarsi: chi sono io e quali sono i miei obblighi?
Per di più, per rispettare tale spirito di povertà conforme alla consacra-
zione, si stabilisce che «i chierici si astengano del tutto da ciò che è scon-
veniente al proprio stato, secondo le disposizioni del diritto particolare»
(can. 285 § 1).
Di conseguenza essi devono evitare tutto «ciò che, pur non essendo in-
decoroso, è alieno dallo stato clericale» (can. 285 § 2).
Queste norme non significano che il sacerdote deve vivere come un in-
digente, privo dei beni materiali, bensì in modo normale possedendo le ri-
sorse necessarie di cui ha bisogno per il suo servizio di pastore e vivere in
maniera degna, evitando l’uso di cose pompose, care e sfarzose.
Inoltre, lo spirito di povertà nella gestione dei beni, seppure personali,
obbliga il sacerdote a non intromettersi negli affari che richiedono una ga-
ranzia finanziaria da parte sua, il che potrebbe distrarlo e impedirgli di pri-
vilegiare il suo ministero sacerdotale, creandogli dei problemi finanziari33.
A tale riguardo è proibita ai sacerdoti «la fideiussione, anche su propri be-
ni, senza consultare il proprio Ordinario; così pure si astengano dal firma-
re cambiali, quelle cioè con cui viene assunto l’impegno di pagare un de-
bito senza una ragione precisa» (can. 285 § 4).
La disposizione si colloca nella linea della gestione con lo spirito di po-
vertà, perché un sacerdote fideiussore, ossia colui che si obbliga personal-
mente verso il creditore con un contratto di fideiussione, può arrivare an-
che a mette a rischio i beni pubblici della Chiesa. Infatti, la fideiussione,
essendo «una garanzia personale mediante cui un terzo si impegna verso un
creditore ad adempiere l’obbligazione del debitore principale»34, riveste un
obbligo giuridico molto gravoso per un consacrato, un sacerdote che deve
evitare affanno e preoccupazione per i beni di questo mondo. Il divieto ha
valore preventivo, perché nel caso in cui il sacerdote non riesca ad onora-
re il suo impegno di garante di un debito con i suoi propri soldi, potrebbe
facilmente appropriarsi delle risorse della comunità, al fine di evitare una
33
Si può citare come esempio quello dei sacerdoti che contraggono debiti o prestiti
bancari.
34
Voce fideiussione in Treccani, Enciclopedia online [https://www.treccani.it/enciclope-
dia/fideiussione; https://archive.is/AnBbg].
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35
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri dell’11
febbraio 2013 n. 83.
36
Ivi.
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37
« Dans certains contextes sociaux, devenir prêtre signifie pratiquement gravir un
échelon dans la hiérarchie sociale. Cette situation, qui peut exister de fait sans être recher-
chée, ne doit pas créer une distance entre le prêtre et son milieu de vie », CONGRÉGATION
POUR L’EVANGÉLISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour les prêtres diocésains des
Églises qui dépendent de la Congrégation pour l’Evangélisation des Peuples, n. 28.
38
« Les prêtres suivront un critère de simplicité dans l’organisation de leur maison,
dans le choix des meubles, des vêtements et des moyens de transport, des instruments
audiovisuels ; ils éviteront les vacances dans des lieux recherchés et coûteux. Ils feront
un bon usage de leur temps, fidèles au travail. Tout ceci est requis en esprit de pauvreté
et pour aborder les pauvres sans les humilier », ivi.
39
Very Important Person.
40
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero dei sacerdoti n. 83.
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41
Ivi.
42
Ivi.
43
Cf. Mt 10,8; At 8,18-25; CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direct. 83. PO 17.
44
CONGRÉGATION POUR L’EVANGÉLISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour les
prêtres diocésains des Eglises qui dépendent de la Congrégation pour l’Evangélisation des
Peuples, n. 28.
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5.1 Spirito di povertà nella gestione dei beni e missione dei sacerdoti
45
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. post Sinod. Pastores Dobo vobis n. 30.
46
BENEDETTO XVI, Esort. post Sinod. Verbum Domini, Sulla Parola di Dio nella vita e
nella missione della Chiesa, n. 89, del 30 settembre 2010.
47
Ibid. n. 55.
200
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
48
Cf. 1 Tm 6, 10.
201
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49
Questa impressione sembra comprovata dalla presenza regolare e costante di perso-
ne povere o di classe media, soprattutto donne che, come al tempo di Gesù, si privano e
si sacrificano per offrire e sovvenire così alle necessità della Chiesa.
50
Cf. CONGRÉGATION POUR L’EVANGÉLISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour
les prêtres diocésains des Églises qui dépendent de la Congrégation pour l’Evangélisation
des Peuples, Juin 1989.
202
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Gestione dei beni materiali: sacerdoti e spirito di povertà
ti, che con dedizione si preoccupano sempre del bene comune e della sal-
vezza integrale degli altri.
Sotto questo profilo, si nota che è molto dannoso, per l’acquisizione dei
beni ecclesiastici quando i sacerdoti conducono una vita molto elevata a
livello economico, superiore a quella dei fedeli, da cui provengono i beni
della Chiesa, giacché questi ultimi fanno il seguente ragionamento: se i sa-
cerdoti vivono in tale modo, non hanno di certo più bisogno delle nostre
briciole!
Di conseguenza l’autosufficienza economica delle Chiese, dipende anche
dallo spirito di povertà dei sacerdoti.
Conclusione
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ABSTRACT
I beni materiali, mezzi temporali, sono importanti per ogni persona sia fisica che
giuridica per raggiungere le sue finalità, in particolare quella di una vita dignito-
sa. Per garantire il possesso di tali risorse, la buona gestione occupa un posto
molto rilevante. Nella Chiesa i fedeli in genere e particolarmente i sacerdoti han-
no un ruolo fondamentale nella gestione per assicurare le risorse materiali, al fi-
ne di sovvenire alle necessità delle diverse comunità. Il presente articolo vuole
dimostrare l’importanza della gestione in spirito di povertà da parte dei sacer-
doti, al fine di incoraggiare le offerte per la missione nella Chiesa.
Material goods, temporal means, are important to each person, both physical
and juridical, to achieve his/her goals, particularly a decent life. To ensure the
possession of these resources, good management occupies a very important
place. In the Church, the faithful in general and particularly priests have a fun-
damental role in management to ensure the economic resources, in order to
pursuit the needs of the various communities. This article aims to demonstrate
the importance for priests of a management carried out in spirit of poverty, in or-
der to encourage offers for the mission in the Church.
204
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UUJ
ACADEMICA
Inaugurazione
Anno Accademico 2022-2023
Prolusione
Martedì 25 ottobre 2022
1622-2022, IV Centenario
di fondazione della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli
Klaus Schatz
L’affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella
e la revisione della questione dei riti
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Juan Antonio Guerrero Alves
1
Pontificia Università Urbaniana, Inaugurazione Anno Accademico 2022-2023, mar-
tedì 25 ottobre 2022, Prolusione.
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1/2023 ANNO LXXVI, 207-216 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL
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Juan Antonio Guerrero Alves
nua ad essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa: “Vi sarà gioia nel
cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti
i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7)»2
A partire da questo continuo appello dei Pontifici, come stiamo intenden-
do l’economia alla Santa Sede sotto la guida di Papa Francesco?
Una prima immagine per capire il posto dell’economia in una Chiesa
missionaria mi viene alla mente ripensando alle Udienze che mi vengono
concesse dal Santo Padre. Per esempio, ripenso all’Udienza successiva al-
la scorsa domenica 2 ottobre, quando, durante l’Angelus, Egli si è rivolto al
Presidente della Federazione Russa e al Presidente della Repubblica di
Ucraina per chiedere la Pace. O a quella successiva all’incontro interreli-
gioso in Kazakhstan dello scorso settembre o a quelle che mi vengono con-
cesse dopo qualsiasi Visita Apostolica, lì dov’è il centro della missione
evangelizzatrice, quello di portare la Buona Notizia alle Chiese particolari
nei diversi Paesi del mondo. A parlare di economia mi sembra di abbassa-
re il livello. Quelle sono le cose importanti. Questa, l’economia, è una real-
tà “seconda”, che è al servizio della missione della Chiesa. L’economia ri-
guarda l’amministrazione della casa, è qualcosa di interno. Allo stesso mo-
do per cui non deve governare la nostra vita in comune nella società o nel-
la vita domestica ma, al contrario, essere al servizio, così non deve gover-
nare la Chiesa.
2
Evangelii Gaudium, n. 15.
208
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La ministerialità dell’attività economica nel rinnovamento missionario della Chiesa
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La ministerialità dell’attività economica nel rinnovamento missionario della Chiesa
c. Giustizia. Pagare salari equi, giusti. È vero che non si viene a lavo-
rare nella Chiesa per arricchirsi, ma si ha bisogno di uno stipendio
decente per mantenere sé stessi e la propria famiglia.
d. Generosità. Allontanarsi dell’avidità e prendere l’abitudine a dare.
C’è più gioia nel dare che nel ricevere. È bello che nei momenti più
difficili e incerti del COVID, con le chiese chiuse e le entrate in ca-
lo, la Santa Sede abbia tagliato molto sulle spese amministrative, ma
abbia anche cercato di venire in aiuto alle chiese e alle situazioni più
bisognose. Nonostante la diminuzione delle entrate, sono aumentate
le donazioni a terzi. Non possiamo essere troppo interessati al dena-
ro, ad aumentare il nostro patrimonio. Il patrimonio, come tutto ciò
che riceviamo, è per servire la missione.
e. Professionalità. In campo economico, credo che oggi non abbiamo
credibilità se non abbiamo buoni professionisti o se non facciamo le
cose in modo professionale e con metodi comunemente accettati.
f. Onestà degli amministratori: svilupperò ulteriormente questo
aspetto, perché abbiamo imparato alcune cose dai nostri errori. Il mi-
nistero di amministrare i beni della chiesa deve essere realizzato con
estrema onestà.
a. Possiamo dire che la proprietà dei beni e del denaro della Chiesa ap-
partiene al Signore e ai suoi poveri. La destinazione dei beni della
Chiesa è la missione di Cristo alla quale collaboriamo. Se guardiamo
all’origine dei beni che amministriamo, possiamo dire che spendia-
mo l’offerta della vedova, le donazioni fatte dai fedeli, molti dei qua-
li hanno scelto di non spendere per sé stessi per aiutare la Chiesa. Ciò
richiede da parte degli amministratori una particolare cura nell’am-
ministrare i beni della Chiesa e un rispetto per lo scopo della dona-
zione, che è sacro. Se non possiamo onorarlo, non dovremmo accetta-
re la donazione.
b. Amministrare come custodi, non come proprietari. Tutti noi sia-
mo custodi, non proprietari. E il custode rende conto, deve risponde-
re a un altro. Il proprietario, invece, vive con la consapevolezza di po-
ter fare delle sue cose ciò che vuole. Serve quindi la rendicontazione.
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Il Papa parla molto di discernimento per la scelta dello stato di vita e per le
scelte morali. Mi sembra che si possa applicare anche alle decisioni econo-
miche. Un buon amministratore deve avere capacità di discernimento. Per
un buon discernimento prima di tutto il soggetto deve essere bene situato.
Avere umiltà. Piedi poggiati sulla terra e sguardo verso l’alto.
Fare buone scelte è un capitolo del discernimento, forse il più difficile.
La regola è Cristo, ma prima si devono evitare le scelte cattive, sbagliate.
Fare il bene ed evitare il male.
3
CIC 1267 § 1.
4
Cf. CIC 1284 § 1.
212
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La ministerialità dell’attività economica nel rinnovamento missionario della Chiesa
Uno dei primi consigli dei Padri del deserto al novizio che arriva è di ri-
nunziare alla volontà propria. Cercare di assoggettarsi a un’altra volontà,
che, in fin dei conti, sarà quella di Dio. Se non si impara a prendere le di-
stanze dalla propria volontà governerà l’arbitrarietà. Non sono buone deci-
sioni quelle che si fanno solo “perché Io lo voglio” o “perché ho il potere
di farlo”. Forse in molti dei nostri sbagli è stato presente questo modo di
prendere decisioni. Serve seguire le regole, avere uno schema di con-
sultazioni, procedure, griglie di approvazione…
Sant’Ignazio di Loyola dice che il demonio in generale opera per mezzo
di tre strategie, la conoscenza delle quali può anche servire per capire le
tentazioni a cui è sottoposto l’Amministratore nella presa di decisioni. Non
entrerò nei dettagli delle tre strategie; sottolineo solo alcuni consigli a par-
tire da esse:
a. Politiche chiare. Orientamenti chiari. Procedure chiare. Decisioni
chiare. Quando sappiamo cosa vogliamo e chi siamo ci sono vo-
ci a cui non diamo credito e negoziazioni che neppure iniziamo.
Ci sono cose che non bisogna ascoltare, o che, se le affronti subito,
non prendono strade sbagliate.
b. Quando ci fanno proposte che ci viene detto che devono rima-
nere segrete, dobbiamo sospettare. La trasparenza, in econo-
mia, protegge più del segreto. Non c’è nulla di nascosto che non
venga alla luce. Gli errori più grandi li abbiamo commessi a causa del-
la paura di venire allo scoperto e per volere, quindi, agire in segreto,
per volere nascondere qualcosa. Sant’Ignazio, nelle sue regole sul di-
scernimento, dice che lo spirito cattivo si serve del segreto per ingan-
nare e trarre dalla sua parte. Infatti, quando induce in tentazione, non
vuole che i suoi propositi siano dati a conoscere a chi può aiutare. Le
buone decisioni non hanno timore di chiedere un buon consiglio.
c. Un grande aiuto viene dal fatto di valutare i rischi: sapere quali so-
no i rischi a cui andiamo incontro, conoscere le nostre debolezze e
i nostri punti di forza, da che parte possiamo subire perdite per rin-
forzarci, da che parte possiamo essere attaccati per cercare la difesa,
in maniera da porvi rimedio.
213
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5
MHSI, Epp. 4, 126-127.
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La ministerialità dell’attività economica nel rinnovamento missionario della Chiesa
Dio non si serve dell’uomo solo quando prega, perché se così fosse,
qualora le preghiere fossero meno di 24 ore al giorno, anche se questo
fosse possibile, sarebbe poco, perché ogni uomo dovrebbe darsi, per
quanto può, interamente a Dio. Ma è così che il Signore si serve oppor-
tunamente anche di altre cose più che della preghiera, e quanto si ral-
legra che la preghiera sia lasciata per queste cose, tanto più si rallegra
che sia abbreviata6.
6
MHSI, Epp. 12, 632-654.
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Klaus Schatz
Introduzione
L’omaggio reso dai politici Giapponesi allo Yasukuni Jinja, cioè il sacrario
per i caduti di guerra a Tokyo, è divenuto ripetutamente negli ultimi decen-
ni un punto controverso nella politica interna del Giappone, e nello stesso
tempo un punto di conflitto con le nazioni asiatiche che furono vittime del-
la colonizzazione o dell’aggressione giapponese nella seconda guerra mon-
diale. Al problema di superare il proprio passato militaristico e nazionali-
stico se ne aggiunge in Giappone un altro: un tale atto pubblico di uomini
politici avrebbe potuto sembrare in contraddizione con la neutralità religio-
sa dello Stato e quindi anticostituzionale. Ed addirittura quest’ultimo argo-
mento rivela un cambio fondamentale di prospettiva, cioè un ribaltamento
dell’argomentazione di 180 gradi, dato che negli anni ‘30 da parte statale,
in specie da parte del Ministero dell’Educazione giapponese, si insisté mol-
to sul carattere secolare, non-religioso dell’omaggio reso allo Yasukuni Jin-
ja. Le autorità ecclesiastiche, dal canto loro, appoggiandosi su questa inter-
pretazione permisero ai cattolici l’omaggio, perché non avrebbe avuto un
carattere religioso, ma “solo” patriottico.
1
Il presente contributo è la versione italiana dell’articolo dell’autore: The Yasukuni
Shrine Affair: Paolo Marella and the Revision of the Prohibition of Eastern Rites, “Archi-
vum Historicum Societatis Iesu” LXXXI, fasc. 162 (2012), 2, 451-479.
217
1/2023 ANNO LXXVI, 217-247 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL
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Klaus Schatz
È ben noto, che negli anni dal 1932 in poi la questione dell’omaggio allo
Yasukuni Jinja portò ad una crisi di coscienza per i Gesuiti dell’università
Sophia di Tokyo. La crisi terminò prima con la dichiarazione da parte del-
le autorità ecclesiastiche in Giappone e poi con l’istruzione di Propaganda
Fide del 26 maggio del 1936. Questa istruzione, ed inoltre un altro docu-
mento per il Manciukuò emanato quasi un anno prima, che permetteva il
culto pubblico di Confucio, contribuirono in modo decisivo alla revisione
delle decisioni romane negative del Settecento riguardanti la controversia
dei riti cinesi. Il punto finale di questo processo fu l’istruzione di Propagan-
da dell’8 dicembre 19392 che – ufficialmente con l’argomento che i riti
avrebbero cambiato il loro carattere nel senso di una “secolarizzazione” –
permise i riti della venerazione di Confucio e degli antenati, fino ad allora
proibiti, ed abrogò il giuramento, che a partire del 1742 tutti i missionari
per la Cina e gli altri paesi dell’Estremo Oriente dovevano prestare, di os-
servare i divieti romani riguardanti i riti.
Su questa vicenda sono stati pubblicati parecchi contributi, soprattutto
sulla base delle fonti giapponesi, dell’università Sophia e delle reazioni
della stampa3. Le esposizioni finora ritenute classiche, che descrivono det-
tagliatamente gli eventi, sono dovute a George H. Minamiki: un articolo del
19804 ed il suo libro del 1985 sulla controversia dei riti, del quale la par-
te maggiore e più importante è dedicata alla ricomposizione della contro-
versia dei riti nel Novecento5. Ambedue espongono tanto la storia della con-
troversia in Giappone quanto la relazione con la revisione della posizione
romana riguardante i riti cinesi. Minamiki ha posto in evidenza soprattutto
il ruolo chiave che rivestono le controversie giapponesi sullo Yasukuni Jin-
ja, già prima del documento di Propaganda del 28 maggio 1935 riguardan-
te la Manciuria. Quest’ultimo, benché emanato un anno prima del docu-
mento riguardante i rituali shintoisti del Giappone, non sarebbe compren-
sibile senza gli eventi precedenti in Giappone6.
2
“Acta Apostolicae Sedis” 32 (1940), 24-26.
3
La prima esposizione contemporanea e dettagliata: P. D’ELIA, Evoluzione di popoli e nuo-
ve provvidenze della Chiesa, “Civiltà Cattolica” 87/III (1936), 101-108, 186-196, 279-291.
4
G.H. MINAMIKI, The Yasukuni Shrine Incident and the Chinese Rites Controversy,
“Catholic Historical Review” 66 (1980), 2, 205-229.
5
ID., The Chinese Rites Controversy from Its Beginning to Modern Times, Loyola Press,
Chicago, IL 1985.
6
MINAMIKI, The Yasukuni Shrine Incident, 222; ID., The Chinese Rites Controversy, 151 s.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
7
Più particolarmente sono da menzionare i volumi seguenti: AP (Archivio Storico del-
la Congregazione di Propaganda Fide) N.S. (Nova Series) 1152, 120-137, 252-267; 1281,
24-33, 495-513, 540-548, 661-708; 1282, 257-263; 1283, 53-61, 149-153, 355-361,
670-693; Acta 307 (1936), 202-212.
8
Il suo resoconto in: J. METZLER (ed.), Sacrae Congregationis de Propaganda Fide me-
moria rerum, III/2, Herder, Freiburg – Basel – Wien 1976, 485-487.
9
I dati biografici di Paolo Marella: nato il 25 gennaio1895 a Roma, ordinazione sacer-
dotale 1918, 1918-1922 nella Congregazione di Propaganda Fide, 1922-1924 cappellano
privato del papa, 1924-1933 Chargé d’affaires della delegazione Apostolica negli Stati
Uniti, 1933 ordinazione episcopale, 1933-1948 delegato Apostolico nel Giappone e
1948-1953 per l’Australia, Nuova Zelanda ed Oceania, 1953-1959 nunzio in Francia,
1959 Cardinale della curia, 1964-1973 Presidente del secretariato per i Non-Cristiani, †
15.10.1984 (cf. The Cardinals of the Holy Roman Church, Biographical Dictionary 1903-
2009, cf. https://cardinals.fiu.edu/bios1959.htm#Marella; https://archive.is/Ge4AE).
10
ARSI (Archivum Historicum Societatis Iesu), Japonia 1005, III 9.
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la sua fase critica iniziale e si trovava in una fase di crescita11. Nel 1928
aveva raggiunto il pieno riconoscimento statale come università privata. La
visita da parte del p. Bea, poi cardinale, nel 1929 aveva avuto come risul-
tato alcune decisioni importanti e feconde per l’avvenire, per esempio quel-
la di non lasciarsi indurre da considerazioni di breve scadenza ad abban-
donare la favorevole collocazione centrale presso la stazione di Yotsuya a
favore di un’area più ampia nella periferia della città. Come risultato vi fu
una nuova costruzione di maggiori dimensioni negli anni 1930-1932. Il nu-
mero degli studenti crebbe continuamente per assestarsi a 360 nel
1931/32. Esso comprendeva il corso preparatorio triennale (corrisponden-
te alla “High School” americana), le facoltà di filosofia, letteratura ed eco-
nomia. Ma questo sviluppo promettente fu messo in pericolo dagli eventi
seguenti e soprattutto dalla loro risonanza nella stampa.
A partire dal 1925 era stato introdotto per tutte le scuole superiori ed uni-
versità un sistema di educazione premilitare, di cui era incaricato un ufficia-
le di addestramento nominato dall’esercito. Questo portava con sé, da una
parte alcuni privilegi per gli studenti, ossia un servizio militare abbreviato di
solo un anno (invece di tre anni) e lo status di aspirante al grado di ufficiale.
D’altro canto, insieme con questi provvedimenti, vi erano in politica in-
terna una crescente predominanza dell’esercito e del ministero della Guer-
ra ed una manipolazione nazionalistica dell’opinione pubblica; inoltre, una
politica estera aggressiva, che iniziò nel settembre del 1931 con l’occupa-
zione della Manciuria, condusse nel febbraio del 1932 alla fondazione del-
lo stato fantoccio del Manciukuò e culminò nel 27 marzo del 1933 nell’u-
scita del Giappone dalla Lega delle nazioni. Gli eventi seguenti possono es-
sere compresi solo nel contesto di quest’atmosfera surriscaldata.
Un altro aspetto, di carattere più generale, fu la fondazione dello shinto
di Stato nel Giappone a partire della fine dell’Ottocento12. Era il risultato
di un compromesso tra due opposte tendenze della modernizzazione. Da
una parte, c’era un tentativo di introdurre lo shintoismo come nuova “reli-
gione civile” nazionale, ma che non poteva avere successo perché non c’e-
ra modo di integrare in essa il buddismo. L’altra era la necessità inevitabi-
le di accettare la libertà religiosa e la separazione tra religione e politica
11
Esposizione più dettagliata nel libro dell’autore: Deutsche Jesuiten 1810-1983,
Aschendorff, Münster/W. 2013, t. III, 297-301.
12
Cf. MINAMIKI, The Chinese Rites Controversy, 99-119.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
13
Ibid., 112.
14
Su queste versioni differenti MINAMIKI, The Yasukuni Shrine Incident, 210 s., n. 16,
ed ID., The Chinese Rites Controversy, 294 s., n. 59.
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degli anni 20, per esempio nel sinodo provinciale di Tokyo nel 1924, una
posizione più articolata15. Questo aveva portato a non pochi conflitti di co-
scienza. Così negli anni ‘20 diversi alti ufficiali del governo erano pronti al-
la conversione, ma non osavano fare questo passo, perché con il loro ufficio
erano tenuti a rendere omaggio allo Jinja; così, solo le loro mogli diventava-
no cattoliche16. Si era soliti, come venne rivelato in rapporti posteriori, chiu-
dere un occhio solo per i soldati. Nondimeno, in un primo momento, il com-
portamento degli studenti cattolici non fu oggetto di biasimo. Ma due gior-
ni dopo, la vicenda divenne oggetto di un colloquio tra il colonnello Kitaha-
ra ed il p. rettore Hoffmann, nel quale p. Hoffmann cercò di spiegare al co-
lonnello la posizione cattolica17. In ogni caso, è certo che il colonnello Ki-
tahara fece rapporto al ministero della guerra, o, come suppone la relazione
di Küenburg, immediatamente dopo l’incidente, o dopo il colloquio.
Il giorno stesso dell’inaugurazione del nuovo edificio dell’università, il
14 giugno, il p. Hoffmann ricevette una telefonata dal Ministero dell’Edu-
cazione. Egli venne informato dal viceministro della guerra, che “lo spirito
dell’università di Jochi [Sophia] non corrispondeva ai principi dell’educazio-
ne nazionale”; e perciò sarebbe stato ritirato l’ufficiale di addestramento.
Una tale misura non avrebbe soltanto significato per gli studenti la perdita
dei privilegi fino ad allora posseduti, ma anche, alla lunga, la fine dell’uni-
versità Sophia. Ma nel Ministero dell’Educazione vi erano resistenze a que-
sto provvedimento, come si comunicava al P. Hoffmann, anche a motivo del
proprio prestigio, che era in gioco, perché era stato si era procurato il rico-
noscimento statale all’università18.
15
Sul comportamento della Chiesa cattolica in Giappone di fronte allo shinto di Stato
fino all’incidente dello Yasukuni Jinja, si veda più dettagliatamente ID., The Chinese Rites
Controversy, 121-138.
16
D’ELIA, Evoluzione di popoli, 282 s.
17
Così nella relazione di Küenburg: «Il 7 maggio aveva poi, in presenza del segretario
della scuola, un colloquio (in giapponese) con il direttore, nel quale mostrava una grande
mancanza di comprensione per i punti di vista religiosi. Così domandò, se il P. Hoffmann
avesse avuto delle obiezioni, se gli studenti avessero fatto un inchino davanti al palazzo
imperiale, per esprimere il loro rispetto verso Sua Maestà. Ma finalmente promise di
esplorare più accuratamente la dottrina cattolica e la scuola. Per questo gli fu dato un li-
bro, che spedì al ministero della guerra come documento con i suoi atti», ARSI Japonia
1005, III 9; traduzione italiana dell’autore.
18
Così secondo la relazione di Küenburg: «Il ministero della guerra voleva per questo
il consenso del Ministero dell’Educazione. Ma gli ufficiali di quest’ultimo dicevano, che
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
non potevano in nessun modo rispondere ad una tale lettera, perché conteneva per il Mi-
nistero dell’Educazione, che aveva approvato la scuola, una grave offesa; perciò chiede-
vano il ritiro della lettera». ARSI Japonia 1005, III 9; traduzione italiana dell’autore; pa-
rola sottolineata nell’originale qui riprodotta in corsivo.
19
Il vicariato Apostolico di Hiroshima (con sede ad Okayama), che comprendeva il
Sud-Ovest di Honshu (le prefetture Okayama, Hiroshima, Yamaguchi, Shimane e Totto-
ri) era stato annesso nel 1922 alla provincia gesuita della Germania Inferiore (Germania
Inferior).
20
Sappiamo dalla relazione Küenburg, che il parere di Ross di giugno partiva dal can.
1258 CIC. Il parere di ottobre, identico al testo citato da MINAMIKI, The Yasukuni Shrine
Incident, 218-220, ed ID., The Chinese Rites Controversy, 146-148, si trova come allega-
to nella relazione del delegato Apostolico Everard Mooney del 20 gennaio 1933. AP N.S.
1152, f. 127-132. Qui scrive Ross, che avrebbe già redatto una prima versione del pare-
re nel giugno di quell’anno, ma poi avrebbe aspettato la dichiarazione imminente del Mi-
nistero dell’Educazione e dopo avrebbe rifatto il parere. Nella versione di ottobre si rife-
risce parecchie volte a questa dichiarazione, il più delle volte per rafforzare i suoi argo-
menti. Ma essenzialmente se ne può ricostruire la sua argomentazione nella versione di
giugno.
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21
CIC 1917 C. 1258 § 2: «Tolerari potest praesentia passiva seu mere materialis, ci-
vilis officii vel honoris causa ob gravem rationem ab Episcopo in casu dubii probandam,
in acatholicorum funeribus, nuptiis, similibusve solemniis, dummodo perversionis et
scandali periculum absit».
22
La concentrazione sulla partecipazione “passiva” si trova nel Giappone già dal 1868.
Allora (quando il cristianesimo era ancora vietato e perseguitato) si trattava del problema
delle cerimonie funebri eseguite dai bonzi buddisti e della questione se fosse lecito esse-
re presenti ad esse. Cf. MINAMIKI, The Chinese Rites Controversy, 124.
23
Così secondo la relazione Küenburg: «Le seguenti settimane trascorsero nelle tratta-
tive tra i due ministeri, che alla fine portarono alla conclusione, che ci venne comunica-
ta in forma non ufficiale dal Ministero dell’Educazione (unicamente con il quale doveva-
mo trattare, come nostra autorità superiore), che il ministero della guerra era ormai sod-
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
disfatto e che il colonnello, fatto che sarebbe considerato un po’ strano da molti, sarebbe
stato richiamato in luglio. Ma questo non avvenne, e lui continuò a lavorare contro di noi».
ARSI Japonia 1005, III 9; traduzione italiana dell’autore.
24
Ivi.
25
Testo (in traduzione francese dell’originale inglese) come allegato della relazione del
delegato Apostolico Everard Mooney del 20 gennaio 1933. AP N.S. 1152, f. 133; passi de-
cisivi anche in: MINAMIKI, The Yasukuni Shrine Incident, 216, ed ID., The Chinese Rites
Controversy, 145.
26
Allegato della relazione del delegato Apostolico Everard Mooney del 20 gennaio
1933. AP N.S. 1152, f. 134; D’ELIA, Evoluzione di popoli, 196; MINAMIKI, The Yasukuni
Shrine Incident, 216 n. 37; ID., The Chinese Rites Controversy, 145.
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tarsi “sine gravi incommodo”, potevano fare l’inchino insieme con gli allie-
vi non-cristiani, essendo questo da parte loro solo un atto civile, perché
questo era richiesto27.
Questo sembrava risolvere la questione. Ma così non fu. Già a partire dal
1° ottobre iniziò una campagna di stampa contro l’università Sophia ed in
generale contro le scuole cattoliche, accusate di mancanza di patriottismo.
Dietro questa campagna c’erano il ministero della guerra ed i circoli più
giovani e più radicali. Nell’università Sophia, si decise in un’assemblea dei
professori del 22 ottobre di non alimentare la polemica con controdichiara-
zioni, perché la stampa dipendeva totalmente dall’esercito per ricevere no-
tizie dalla Manciuria, e non avrebbe osato difendere i Gesuiti. Questa cam-
pagna degli ambienti nazionalistici non rimase senza conseguenze. Il nu-
mero degli studenti a metà del 1934 scese da circa 360 a 196. Questo crea-
va, insieme con la mancanza di leadership del già settantenne p. Hoffmann,
una certa atmosfera di depressione e rassegnazione28.
Ma questa controversia ebbe effetti permanenti sull’atteggiamento eccle-
siastico verso i riti. Questo rimase in un primo tempo sul livello pragmati-
co della cooperazione “passiva”, basandosi sulla dichiarazione del Ministe-
ro dell’Educazione. In questo senso il delegato apostolico Mooney rilasciò,
nel gennaio del 1933, una dichiarazione: prestare omaggio ai “Jinja”, cioè
i santuari nazionali dello shinto, che sarebbero «ugualmente monumenti del
patriottismo e della religione pagana» poteva essere tollerato (“tolerari po-
test”) per gravi ragioni, perché sulla basi della dichiarazione autentica del-
l’autorità statale era da intendersi «solamente come manifestazione dell’a-
more della patria e della fedeltà verso l’imperatore», in quanto dalle circo-
stanze era chiaro, che i fedeli non partecipavano ad un culto religioso non-
cristiano29. Mooney spedì poi a Roma i documenti, soprattutto il parere di
ottobre di Ross e la dichiarazione del Ministero dell’Educazione30.
Ma tra questi documenti si trovava anche un parere chiaramente negati-
vo del prefetto Apostolico di Formosa ed amministratore Apostolico di Shi-
27
Su questo permesso, ormai non più solo provvisorio, non riferisce la relazione Küen-
burg, ma una lettera dello stesso al superiore generale del 6 ottobre1932. ARSI Japonia
1005, II 26.
28
Relazione del P. v. Küenburg al generale del 3 luglio 1934. ARSI Japonia 1005, IV 34.
29
D’ELIA, Evoluzione di popoli, 283 s.; MINAMIKI, The Yasukuni Shrine Incident, 220 s.;
ID., The Chinese Rites Controversy, 148 s.
30
Relazione del 20-I-1933 (AP N.S. 1152, f. 120-126) con gli allegati.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
koku, Thomas de la Hoz, o.p.31. Egli partiva dall’unità morale del culto
shintoista e dall’intimo legame con la venerazione degli dei e spiriti protet-
tori dell’impero32. Fino a che quindi i prototipi fossero stati presentati co-
me Dei o spiriti protettori, sarebbe stato illegittimo il corrispettivo inchino;
solo quando queste persone fossero state presentate come eroi nazionali o
come modelli, avrebbe potuto essere tollerato. Mooney osservava, che l’au-
tore non conosceva ovviamente la dichiarazione del Ministero dell’Educa-
zione33. Questo è vero senz’altro, perché non la menziona mai. D’altra par-
te ci si può chiedere se essa avrebbe soddisfatto alle sue esigenze, perché
lui si riferisce espressamente non solo all’inchino (per il quale la dichiara-
zione del ministero aveva affermato una interpretazione solamente civile e
patriottica), ma al contesto generale del culto shintoista nei Jinja, per il
quale egli (de la Hoz) avrebbe voluto una interpretazione puramente “seco-
lare”, nazional-patriottica. Infatti, restringere la questione al semplice in-
chino della testa era il punto debole dell’argomentazione. Essa rendeva
possibile per il momento un accomodamento pragmatico, ma non poteva es-
sere alla lunga soddisfacente. Solo il delegato successivo, Marella, affrontò
il problema in maniera più radicale.
31
Ibid., f. 135.
32
Frasi centrali: «Cum actus humani naturam propriae moralitatis sumant praecipue
ab obiecto seu fine operis ab istisque specificentur, et in casu obiectum et finis inclina-
tionis capitis sit venerare tamquam deos seu numina protectores imperii prototipa, quae
in praedictis templis coluntur, debemus dicere actionem inclinationis capitis ab ipsis
prototipis seu diis aut numinibus suam propriam naturam moralem sumere ab ipsisque
specificari; id est talis inclinatio capitis, quia fertur ad deos, sumit caracterem adora-
tionis et secumfert sensum divinitatis, cuius proprius venerationis actus, si Deus verus
est, dicitur adoratio, si non veri sed falsi, actus venerationis istorum denominatur ido-
lolatria, quam numquam licet praebere» (Parole sottolineate nell’originale qui riprodotte
in corsivo).
33
«Animadversio: In praedicto argumento exponendo nulla videtur haberi ratio decla-
rationis gubernii quae tamen vim videtur habere in determinando praecise obiecto quo
specificatur actus; unde argui posse videretur: Hic actus (inclinatio capitis in visitatione
“Jinja”) ex vi declarationis Gubernii intelligitur dirigi in illa entia in quorum honorem
“Jinja” erigitur prouti merentur venerationem ratione amoris patriae et fidelitatis erga Im-
peratorem (v.g. quatenus talem virtutem exemplificant vel qualitercumque in mentem ve-
nire faciunt). Atque hoc idem est ac dicere illa entia vi declarationis Gubernii proponi ut
venerentur veneratione quae est ordinis civilis tantum. Ergo ille actus prouti specificatur
ab obiecto per illam declarationem praecise determinato est ordinis civilis tantum et non
religiosi» (ibid., f. 136).
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Nel dicembre del 1933 il nuovo delegato Apostolico Paolo Marella entrava in
carica. Nella sua prima relazione dell’8 gennaio 1934 al Cardinale Prefetto
della Congregazione di Propaganda, Fumasoni Biondi34, riferisce general-
mente di una atmosfera migliorata verso la Chiesa cattolica, ma anche che
non avrebbe trascurato nulla per invitare i missionari alla massima pruden-
za, aggiungendo che in particolare i padri tedeschi erano ansiosi di evitare
ogni sospetto di mancanza di lealtà nazionale35. Ma per lui, almeno i Gesui-
ti tedeschi appartenevano a quei missionari, che avevano capito meglio i se-
gni dei tempi. Invece ciò che egli combatteva continuamente, era lo spirito di
Nagasaki, ovvero la mentalità paternalistica di molti missionari francesi del-
la Société des missions étrangères di Parigi, che a partire dell’apertura del
Giappone era quasi esclusivamente responsabile delle missioni in questo
paese36, in combinazione con la mentalità conservatrice dei vecchi cristiani,
mantenuti in uno stato di immaturità da questi missionari e continuamente
rafforzati nel loro isolamento e nella loro chiusura verso la cultura nazionale.
Così, il 5 aprile 1935, scrisse al Cardinale Prefetto37 che nella sua poli-
tica tesa ad evitare ogni contrasto si trovava tra due fuochi: da una parte gli
34
AP N.S. 1152, f. 253-256.
35
«[...] sentendosi, specialmente i Padri di nazionalità tedesca, gravemente umiliati e
feriti nell’animo, per aver dovuto sottostare alle condizioni di cui parla nei Memorandum.
Li ho compatiti, ho detto loro parole di lode e d’incoraggiamento, ma li ho pregati al tem-
po stesso che facessero ben comprendere ai loro Religiosi che nel servizio della Chiesa
non v’è scelta di sacrifici, ma occorre fare quel che il Signore domanda per la sua gloria
e per la propagazione del suo Regno nel mondo» (f. 254). Nella sua relazione del 24-X-
1937 al Cardinale Prefetto (1284, f. 738-749), dunque già a distanza di quasi 4 anni, rac-
conta come nel suo arrivo a Tokyo nel dicembre del 1933 aveva trovato i padri tedeschi:
«i Padri erano non soltanto avviliti, com’era da aspettarsi, ma irritatissimi, pieni di risen-
timento e collera: né mancava chi avrebbe voluto, contro ogni regola di prudenza, com-
battere a spada tratta, e chi insisteva per andarsene tutti e farla finita... Non ci voleva mol-
to infatti ad accorgersi che in quei cuori non aveva mai albergato un sentimento di affet-
to per quella che era in fondo la loro patria di adozione: da buoni intellettuali tedeschi si
sentirono offesi nel più vivo della loro dignità e non riuscivano ad umiliarsi, se non da-
vanti agli uomini, almeno sub potenti manu Dei!» (f. 741 s.).
36
Solo la regione di Niigata sulla costa occidentale era affidata ai Verbiti (SVD), l’iso-
la di Shikoku ai Domenicani, poi a partire del 1922 la missione di Hiroshima ai Gesuiti
tedeschi.
37
AP N.S. 1281, 24-33.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
38
«Due o tre di questi, e tra i più intelligenti, in una recente Riunione per la Commis-
sione della stampa e Azione Cattolica, tenuta qui alla Delegazione, accusarono di debo-
lezza il nostro modo di procedere: vorrebbero protestare, combattere all’ultimo sangue,
mentre danno prova di non conoscere a fondo le condizioni attuali del paese. Parlano e
agiscono a base di sentimenti, come del resto i loro compatrioti militari, e sarebbero ca-
paci di qualsiasi eccesso, sempre credendo di aiutare la santa causa. E ci vuole molta pa-
zienza per persuaderli e calmarli», ivi.
39
Positivamente menziona un articolo accluso di H. Noll in “Actio missionaria” del
marzo 1935 (Fasc. 16), che richiede di partire positivamente dalla coscienza nazionale
giapponese ed anche dai suoi miti. In ogni caso non sarebbe stato conveniente urtare, me-
diante attacchi contro istituzioni e miti venerabili, quantunque antistorici, le sensibilità di
un popolo così sviluppato, ma anche suscettibile.
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ti a vedere oasi europee, per così dire, in Giappone, con gente del tutto
ignara delle tradizioni giapponesi. Tutto ciò fa gran danno alla reputa-
zione della Chiesa, conferma l’accusa di antipatriottismo e ci espone al
pericolo di perdere la nostra gioventù cristiana. I missionari antichi con
eccesso di zelo e, come un missionario stesso delle MM.EE. [Missions
Étrangères] mi osservava, non senza una punta di rigorismo giansenisti-
co, hanno fanaticamente distrutto senza edificare, Hanno distrutto ciò
che era superstizione e ciò che non era, senza riguardi a tante tradizio-
ni e soprattutto senza sostituire nessuna cerimonia pubblica cristiana,
che attestasse a tutti, fin dai primi anni della riapertura del Giappone,
come la Chiesa inculca amore e fedeltà alla patria ed all’imperatore. Il
Francese che è tanto patriota per sé stesso, non comprende infatti que-
sto nobile sentimento negli altri. Per anni ed anni ha deriso impruden-
temente le cose giapponesi e non ha fatto nulla nelle feste nazionali e
nelle grandi occasioni di gioia o di lutto per la nazione. Solo un tre an-
ni fa è stata fatta la preghiera per l’Imperatore che leggono dopo la mes-
sa, in qualche solennità, ma devo ammettere io stesso, che è cosa fred-
da e non accompagnata dal cuore, Hanno così abituato i cristiani a vi-
vere in margine, come dice bene Mons. Roy, della società giapponese,
con assenteismo da tutto, con coscienze in molti punti falsamente for-
mate, lieti di avere, come dicevano, cristiani veri, tutti d’un pezzo, ma,
di fatto “sgiapponesizzati”. Anche oggi, dopo tanto tempo che è passa-
to, la tendenza dei Missionari è pericolosa. Sebbene prudenti, non fan-
no nulla per meglio istruire i cristiani: gli stessi libri del catechismo e
del libro delle preghiere in certi punti sono compilati in modo da far na-
scere sospetti e dovrebbero esser ritoccati. Insomma c’è da rivedere tut-
te le nostre posizioni lasciate intatte ed invecchiate negli anni scorsi,
nel decennio in cui potevasi e dovevasi far qualche cosa40.
40
Copia in AP N.S. 1281, 541 s.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
41
«Essi, dicono, sono la missiologia vivente, i loro sacrifici, la loro esperienza e non le
teorie dei professori. Che non è necessario per i missionari studiare in patria circa i po-
poli che vanno ad evangelizzare; che lo studio si fa sul posto e alla direzione del vecchio
missionario, proprio come si fa dalla Società delle MM.EE. E così si spiega la immobili-
tà; il giovane arriva ignorante di tutto ed è subito circondato e istruito senza che abbia op-
portunità di formarsi idee da per sé stesso, se non quando è troppo tardi», ivi.
42
AP N.S. 1283, 670-673.
43
«Vogliono portare anime a Cristo, senza però immedesimarsi nella cultura, nella mi-
stica, negli interessi, nelle aspirazioni di questa grande nazione; anzi, ciò che è grave,
senza smetterla talvolta di rilevare difetti, lasciandosi anche sfuggire ironie sui modi di fa-
re e di pensare. Non c’è insomma, Eminenza, quella “unio animarum”, che è appunto, se
non erro, la definizione dell’amicizia», ivi.
231
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44
Così nella lettera di Marella citata nel testo seguente: «Inoltre gli Ordinari e gran
parte dei Missionari, specialmente non francesi e non legati perciò da antiche tradizioni,
sono convinti che una reale evoluzione è avvenuta tanto nel governo che nel popolo: ma
nessuno osa prendere una decisione generale apertamente e su tutto il problema se non è
sicuro che la sua attitudine sarà ben vista dai Superiori».
45
AP N.S. 1281, 661-708.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
46
«E non bisogna poi dimenticare che la Russia è vicina, vicinissima al Giappone, e
che il pericolo del comunismo non è poi soltanto una chimera. Solo l’attaccamento all’Im-
peratore può salvare questo paese dal bolscevismo che cerca d’infiltrarsi nelle classi in-
tellettuali. I “Rossi” della Cina non sono in fondo che briganti; ma se il fuoco attaccasse
il Giappone avremmo un bolscevismo organizzato con a capo degli studenti per leaders e
sarebbe più terribile di quello russo nella sua opera di distruzione di tutto un passato. Che
Iddio ce ne salvi per la salute dell’Asia!», AP N.S. 1281, 661-708.
47
Qui si riferisce a LOUIS BRÉHIER e PIERRE BATIFFOL, Les survivances du culte impé-
rial romaïn, à propos des rites shintoïstes (Auguste Picard, Paris 1920), che acclude. Sul-
l’importanza dello studio di Batiffol, da parte sua motivato dai problemi giapponesi: MI-
NAMIKI, The Chinese Rites Controversy, 131-134.
233
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48
«Evitava il problema nel suo complesso e non osava domandarsi se la laicizzazione
degli Jinja era tale da rendere accettevole il culto ai fedeli giapponesi alla stessa guisa
della tomba del soldato ignoto in Occidente. Si limitava soltanto a considerare se le cir-
costanze esteriori erano tali da giustificare una cooperazione da parte dei cattolici, senza
timore di scandalo, e per obbedire al governo» AP N.S. 1281, 661-708.
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sastrose49. Se si dice che certe decisioni non andrebbero prese in una situa-
zione di pressione, per non cedere semplicemente alla coazione, precedente-
mente si sarebbe detto il contrario, cioè che non si dovrebbero prendere cer-
te decisioni finché non ci fosse stata la necessità di decidere, perciò si pote-
va prender tempo. Quando dunque si sarebbero dovuti affrontare certi proble-
mi50? Mentre il suo predecessore Giardini riteneva che un tale sviluppo
dello shintoismo avrebbe richiesto secoli, e Marella stesso forse avrebbe
espresso un giudizio simile dieci anni prima, ora il tempo stava per scade-
re, ed in ogni caso non si poteva rimanere da parte inerti in un tale proces-
so. Quindi chiedeva la risposta ad alcuni Dubia:
1) Appartiene il Giappone a quei paesi, per i quali deve essere prestato
il giuramento dei riti?
2) Siccome le cerimonie presso i Jinja, secondo le ripetute dichiarazioni
ufficiali delle autorità statali ed anche a causa della mentalità moderna,
hanno un significato puramente patriottico, possono i fedeli parteciparvi
senza problemi di coscienza51?
Una risposta a queste domande, negativa alla prima e positiva alla secon-
da, sarebbe stata di grande importanza per il progresso del cristianesimo
cattolico in Giappone. I cattolici avrebbero potuto confessare senza riserva
il loro patriottismo, ed il cattolicesimo avrebbe potuto dare il suo contribu-
to all’opera di rinnovamento nazionale. Il governo avrebbe riconosciuto che
non c’è contraddizione tra “cattolico” e “giapponese”, ed avrebbe accre-
sciuto il suo rispetto per il potere spirituale della Chiesa cattolica.
Inoltre, molti riti familiari in occasione di matrimoni, funerali etc., seb-
bene avessero la loro origine nel buddismo ed altre religioni, avevano per-
duto già da molto tempo questa connotazione ed erano diventati normali
49
«Nell’atmosfera attuale, e la S.C. ben lo comprende, il minimo sbaglio può solleva-
re una violenta persecuzione generale in tutto il Giappone, senza che il Governo, anche
volendo, possa trattenerla: e noi ne porteremo senza dubbio la responsabilità», AP N.S.
1281, 661-708, p. 36 della lettera.
50
«Quando allora, possiamo domandarci, dovranno affrontarsi certi problemi, mai?»,
ibid., n. 39 alla p. 36.
51
«Cum cultus, qui a gubernio Japonensi apud monumenta Jinja sustentantur, tam ex
ipsius gubernii declarationibus pluries iam repetitis, quam ex evolutione idearum in Ja-
ponia modernizata, significationem mere patrioticam habeat, scilicet filialis reverentiae
erga familiam imperialem et venerationis erga patriae benefactores, utrum fideles in par-
ticipatione huic cultui civili a gubernio desiderata sicut ceteri cives agere possint, sine ul-
la conscientiae dubitatione?», ivi.
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formule naturali di cortesia, che non potevano essere trascurate senza vio-
lare tutte le convenzioni sociali. Ma anche in questo caso si potevano espor-
re i cattolici a conflitti di coscienza inutili. Così una ragazza cattolica stava
per essere diseredata, perché si rifiutava di lavare insieme con sua sorella
la lapide di sua madre. Ed in ultima istanza tutto dipendeva dalla ristret-
tezza o dalla larghezza di vedute del missionario52.
Quanti cristiani intelligenti a Tokyo avevano pregato Marella di porre fi-
ne a questa confusione! Molti missionari erano lungimiranti, ma tutto si sa-
rebbe potuto bloccare per paura di una decisione negativa di Roma.
3) Infine si sarebbe potuto formulare il terzo Dubium: Possono i fedeli,
in occasione di funerali, matrimoni ed altri eventi sociali, partecipare a ri-
ti, che, certo, hanno una origine religiosa (“superstiziosa”), ma nella con-
vinzione generale sono diventati forme convenzionali di cortesia e di con-
vivenza sociale53?
Subito dopo giunse, se non ancora la decisione richiesta riguardante i ri-
ti shinto, la decisione sulla venerazione di Confucio per il Manciukuò. Es-
sa era la prima grande revisione delle decisioni del Settecento sulla que-
stione dei riti. E le decisioni e gli sviluppi nel Giappone e nel Manciukuò
erano strettamente collegati54. Nell’impero del Manciukuò, fondato nel
1932, i valori tradizionali cinesi e particolarmente la venerazione di Con-
fucio servivano come fondamento ideologico dell’ordine pubblico, special-
mente come legame delle diverse etnie. Tutto ciò fece nascere nei cattolici
dei dubbi di coscienza. Grazie al modello giapponese si aveva così un pre-
cedente per risolvere il conflitto. Anche in questo caso il vescovo Ernest
Gaspais di Kirin aveva sollecitato una dichiarazione del governo, che gli at-
ti richiesti di venerazione di Confucio avrebbero avuto solo un carattere pa-
triottico commemorativo e non un significato religioso; e questa dichiara-
zione fu resa il 5 marzo 1935 dal Ministero dell’Educazione del Manciu-
52
«Vi è insomma anche oggi una tortura di coscienze che fa veramente pena: tutto dipen-
de se prendono consiglio o da un vecchio Missionario, che vede paganesimo in ogni canto-
ne, o da un giovane o da una Suora, che non ha chiare idee su queste materie» ibid., 45.
53
«In funeralibus, matrimoniis, vel aliis ritibus privatis in vita sociali japonensi usita-
tis, quum caerimoniae quae ab omnibus fiunt, quamvis a superstitione originem forte du-
xerint, ex circumstantiis locorum et personarum et ex communi aestimatione non actuali-
ter retineant nisi sensum urbanitatis et mutuae benevolentiae, utrum fideles in talibus ca-
sibus sese habere possint sicut ceteri adsistentes?» ibid., 47.
54
Su questo: MINAMIKI, The Yasukuni Shrine Incident, 221-223; ID., The Chinese Rites
Controversy, 159-181.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
kuò. Una settimana dopo la questione fu decisa in una riunione dei vesco-
vi della Manciuria. In questa riunione ebbero una parte importante non so-
lo il canone 1258 CIC, ma anche un documento sullo shintoismo in Giap-
pone, che la congregazione di Propaganda aveva inviato in modo confiden-
ziale55. Le decisioni dei vescovi, che permettevano ai cattolici la partecipa-
zione ai riti di pubblica venerazione di Confucio, furono approvate nell’i-
struzione di Propaganda del 28 maggio 193556.
Chiaramente, questo incoraggiò Marella ad andare avanti. In uno scritto
ai vescovi giapponesi del 10 agosto 193557 si riferì da una parte ad alcune
difficoltà manifestate particolarmente dei missionari francesi, che vedeva-
no dovunque l’interpretazione religiosa dei riti shintoisti, dall’altra parte al-
le tendenze di ambienti giapponesi sciovinisti ad attribuire ai riti un signi-
ficato religioso per affermare l’unità ideologica della nazione58. La soluzio-
ne sarebbe stata invece quella di chiarire ai cristiani in qualsiasi occasio-
ne il significato meramente patriottico dei riti. Sarebbe stato importante,
che gli Ordinari informassero chiaramente i missionari ed anche le suore,
che spesso non erano correttamente informati, e chiarissero anche che la
Delegazione Apostolica era pienamente al corrente della situazione e rima-
neva in contatto costante con Propaganda.
L’8 dicembre 1935 seguì una lettera a tutti i Superiori degli ordini reli-
giosi maschili e femminili in Giappone59. Essa riguardava anzitutto le scuo-
55
Così nella lettera del vescovo Gaspais al cardinale prefetto Fumasoni Biondi del 25-
III-1935: «[...] nous nous sommes également inspirés de la lettre qui m’a été confidentiel-
lement communiquée par la S.C. de la Propagande sur le Shintouisme au Japon» [stam-
pato prima nell’Osservatore Romano del 2-VII-1936; poi in: “Periodica de Re Morali Ca-
nonica Liturgica” 26 (1937), 90 s.]. Di che “lettera” si tratta qui? La menzionata lettera
ampia di Marella fu scritta solo l’8-V-1935. Probabilmente si tratta dell’istruzione di Moo-
ney del gennaio del 1933.
56
Testo in: METZLER (ed.), Sacrae Congregationis, 786-788; “Periodica de Re Morali
Canonica Liturgica” 26 (1937), 96 s.
57
AP N.S. 1281, 499 s.
58
«On the other hand, I am well aware that certain parties are striving, through the pa-
pers and other means, for a complete unification of national thought regarding this matter,
and that, in their efforts to attain this end, no respect is paid to the guarantees for freedom
of conscience and religious belief, so that they endeavor to inject a real religious signifi-
cance», ivi.
59
“Periodica de Re Morali Canonica Liturgica” 25 (1936), 88-100; cf. MINAMIKI, The
Yasukuni Shrine Affair, 223 s.; ID., The Chinese Rites Controversy, 152 s.
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60
AP N.S. 1281, 510 s. e 508 s.
61
Protocollo in AP Acta 307, 202 s.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
62
«Gli Eminentissimi Signori Cardinali [...] considerato il carattere pratico dell’Istru-
zione, e l’urgenza di definire una questione dalla quale dipende in gran parte l’espansio-
ne della fede cattolica nel Giappone, rilevata la rapida e radicale evoluzione del pensiero
e dei costumi dei popoli orientali [...] approvarono unanimemente il senso dell’Istruzione
proposta[...]», ivi.
63
Questo testo in: Collectanea Sacrae Congregationis de Propaganda Fide I (Roma
1907), 42; METZLER (ed.), Sacrae Congregationis, 702.
64
Sulle ragioni: K. SCHATZ, Jesuiten und Propaganda-Missionare. Zwei unter-
schiedliche Wege der Akkomodation, in Evangelisierung und Geschwisterlichkeit in der plu-
ralen Welt. Festschrift 400 Jahre Propaganda, “ZMR” 106 (2022), 1-4, Doppelausgabe,
M. DELGADO – M. ECKHOLT – KL. VELLGUTH (eds.), 281-289. Il passo citato viene del re-
sto già adottato nella convenzione di Canton del 1668 (un consenso tra Gesuiti e Dome-
nicani, poi) per la tolleranza dei riti. Cf. MINAMIKI, The Chinese Rites Controversy, 34.
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«in praesentia nihil immutetur». Pertanto era lecito aspettarsi una revisio-
ne fondamentale in un futuro non troppo lontano65. Ma non ci si trovava già
nel corso di un processo di cambiamento? Così si decise, per evitare ogni
spiacevole contestazione, di lasciare solo la richiesta di ubbidienza all’i-
struzione attuale66.
La nuova versione dichiarava dunque ripetutamente che era stata fatta
richiesta alla Congregazione di Propaganda di norme di comportamento
per i cattolici in Giappone, se leggi o consuetudini richiedessero da essi
atti che sembravano avere la loro origine in riti religiosi non-cristiani. Poi
segue un riferimento al passo riguardante l’adattamento missionario nell’i-
struzione del 1659 e si afferma che la fede cattolica non diminuisce l’a-
more per il proprio paese. In questa materia si tratta di atti che, sebbene
abbiano una origine pagana religiosa, non sarebbero intrinsecamente cat-
tivi in sé stessi, bensì indifferenti, e la cui prestazione non sarebbe stata
chiesta in senso religioso, ma come espressione di lealtà civile e patriotti-
ca67. Tutto ciò è giustificato in dettaglio dalla dichiarazione ufficiale delle
autorità statali, cioè: 1) la distinzione tra lo shinto di Stato con i suoi Jinja,
e lo shinto religioso, che erano anche soggetti a differenti autorità; 2) la di-
chiarazione ufficiale del Ministero dell’Educazione del 1932; 3) la legge
del 1899, che proibiva l’istruzione religiosa o cerimonie religiose in scuole
statali o riconosciute dallo Stato. Questo era valido per gli atti ufficiali che
avevano luogo nei Jinja nazionali, ed ugualmente per le usanze di matrimo-
ni e funerali, che, sebbene avessero un’origine religiosa, erano diventati or-
mai, secondo l’opinione comune, meri gesti di cortesia, con la conseguen-
za che i cattolici, che rifiutavano questi atti, sarebbero stati considerati co-
65
Così nel Concilio plenario cinese a Shanghai nel 1924 si prescindeva coscientemen-
te della questione dei riti, perché si era coscienti di entrare con questo in un “nido di ca-
labroni”; dall’altra parte si era persuasi, che tutta la questione doveva essere nuovamen-
te studiata e che questo doveva farsi a Roma. Cf. J. METZLER, Die Synoden in China, Japan
und Korea 1570-1931, Schöningh, Paderborn 1980, 211 s.
66
«Si ritocchi il terzo punto dell’Istruzione concernente il giuramento contro i riti ci-
nesi, per modo che i missionari sappiano di dover seguire in subiecta materia le norme
dell’Istruzione» AP Acta 307, f. 202 s.
67
«Agitur de illis actibus, qui, quamvis ab ethnicis religionibus primitus orti, non sunt
intrinsece mali, sed per se indifferentes, neque iubentur ut religionis signa, sed tantum
veluti civiles actus ad pietatem manifestandam et fovendam erga patriam, omni intentio-
ne remota compellendi sive catholicos sive non catholicos ad significandam quamlibet ad-
haesionem religionibus a quibus ritus illi orti sunt», ivi.
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
68
«[...] catholici qui renuant huiusmodi caeremoniis interesse, facile incusantur, et fa-
cile ab hominibus vel non inimicis doctrinae catholicae creduntur esse frigidi erga pa-
triam vel ingrati et inurbani erga familiares et amicos. Valde propterea optandum videtur
ut removeantur causae existimationis huiusmodi falsae et iniuriosae, quae non tantum fi-
deles japonicos multum afflictat, sed etiam animos avertit a via salutis ingredienda», ivi.
69
Protocollo in AP Acta 307, f. 212.
70
Testo in: AAS 28 (1936), 406-409; METZLER (ed.), Sacrae Congregationis, 789-791;
“Periodica de Re Morali Canonica Liturgica” 26 (1937), 103-108.
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Con questo, era completato il passaggio dal tolerari potest, nel senso di una
mera partecipazione passiva secondo il canone 1258, fino all’accettazione in
principio. La base di tutto era la visione dello shinto di Stato come un’ideo-
logia secolare nazionale, secondo Marella, come baluardo contro il comu-
nismo. Di conseguenza, fu data molta importanza al fatto che durante la pri-
ma visita di un cardinale in Giappone, il cardinal Dougherty arcivescovo di
Philadelphia, ricevuto anche dall’imperatore Hirohito il 18 febbraio 1937,
questi visitasse anche il sacrario Meiji e lo Yasukuni e rendesse loro omag-
gio. La visita fu mostrata anche nei cinegiornali giapponesi71.
Ma Marella dovette riconoscere che il fronte comune contro il comunismo
era solo apparente, quando l’enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo 1937
contro il comunismo venne pubblicata in Giappone, e solo con delle restri-
zioni, come lui scrisse il 15 maggio al cardinal Fumasoni Biondi72. La ragio-
ne era che specialmente gli ambienti militaristi pensavano che l’unico rime-
dio contro il comunismo fosse il principio giapponese del kokutai, ovvero l’u-
nità genealogica della nazione giapponese basata sull’origine divina della ca-
sa imperiale, una ideologia, come osserva Marella, che era vicina al razzismo
nazionalsocialista73. Ciononostante, Marella conservò il suo ottimismo. Biso-
gnava riconoscere, così diceva, i meriti del kokutai, che aveva mantenuto l’u-
nità e l’indipendenza del Giappone per 2000 anni; ed anche la Chiesa recen-
temente si era avvicinata al patriottismo giapponese74. Anche il recente opu-
scolo del Ministero giapponese dell’Istruzione sul kokutai, distributo nelle
scuole, non conteneva dottrine contro il cristianesimo75. In questo senso ave-
71
Relazione di Marella su questo viaggio: AP N.S. 1283, 53-61.
72
Ibid., 149-153.
73
«Benché non paragonabile alle degenerazioni del neo-paganesimo tedesco, che ri-
pudia espressamente il Cristianesimo, ci troviamo anche qui di fronte ad una ideologia
razzista di antichissima marca, che fa del Giappone una sola ristretta ma potentissima fa-
miglia», ibid., 53-61.
74
«Anche la Chiesa, da parte sua, è venuta incontro in questi ultimi tempi, con mira-
bile comprensione, al patriottismo giapponese, approvandone anche le forme esterne tra-
dizionali, che per sè, nei giorni in cui viviamo, e con le ripetute dichiarazioni ufficiali, non
urtano contro la dottrina rivelata e il sentimento cristiano», ivi.
75
«Nonostante la vaghezza della lingua, difficile per gli stessi giapponesi, nulla vi è
contro il Cristianesimo; si asserisce soltanto in generale, che le “ideologie occidentali”,
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
va scritto una lettera agli ordinari e missionari, dicendo che quanto più gli
estremisti avrebbero attaccato per motivi religiosi, tanto più era importante
distinguere chiaramente la religione soprannaturale da credenze patriottiche
«che non condanniamo». Questa distinzione era chiaramente ancora nuova,
e per questo forse i militari ancora non l’avevano compresa. Forse sarebbe
stata compresa in futuro, quando si sarebbe capito che la base del kokutai
non sarebbe stata sufficiente a salvare il Giappone dal comunismo. Questo
tempo sarebbe probabilmente arrivato quando la crisi economica in Giappo-
ne fosse passata e vi fossero circostanze serene per un ripensamento.
L’enciclica Divini Redemptoris contro il comunismo offriva almeno un
ponte comune. Fu molto più difficile creare accoglienza per la quasi con-
temporanea enciclica Mit brennender Sorge, contro il nazionalsocialismo te-
desco, in un governo alleato con la Germania a partire del 25 novembre del-
l’anno precedente nel Patto Anti-Comintern. Marella assolse questo compi-
to con una certa abilità, ma anche mediante una interpretazione minimali-
stica dell’enciclica, separando il nazionalsocialismo dal neo-paganesimo.
Quando il 21 giugno 1937 presentò al nuovo ministro degli esteri giappo-
nese insieme con la Divini Redemptoris anche la traduzione inglese della
Mit brennender Sorge, lo fece insieme ad un promemoria interpretativo76,
dove spiegava che l’enciclica era stata male interpretata, leggendovi falsa-
mente un significato politico. Ma la Chiesa non rifiutava nessun determina-
to sistema politico; la migliore prova ne era l’accordo tra Chiesa e Stato nel-
l’Italia fascista, il che dimostrava che la vita cattolica poteva ben adattarsi
ad uno Stato totalitario, se questo rispettava l’autonomia della religione.
Nazionalsocialismo e neo-paganesimo non erano necessariamente legati77.
che prescindono dal Kokutai, non possono attecchire in Giappone. Dell’Imperatore chia-
ramente si dice che, nel considerarlo come “Kami” (essere superiore), non si vuole affat-
to intendere il Dio transcendentale, omnipotente, omnisciente etc. delle religioni, ma so-
lamente l’espressione vivente e veneranda di quella ininterrotta serie di Imperatori, come
un tutt’uno, secondo le antiche tradizioni giapponesi che formano appunto lo Shintoismo
di Stato», ivi.
76
Copia della sua lettera del 22-VI al Cardinale Segretario di Stato Pacelli: AP N.S.
1283, f. 355 s.; Pro-memoria francese, ibid., 357-361.
77
«L’établissement du régime national-socialiste et le mouvement anti-chrétien n’ont
aucun lien interne; leur coexistence s’explique par des circonstances historiques tout-à-
fait indépendentes. Le programme politique et culturel du nazisme comme tel n’implique
aucunement la négation d’un Dieu créateur, de l’âme immortelle, de la divinité du Christ
et de l’autorité spirituelle de l’église, qui sont les bases de la vie catholique», ibid., 2.
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Conclusione
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78
«Die Ursache des Kampfes ist aber in der extrem-nationalen Geistesströmung zu su-
chen, deren Anhänger (von manchen als japanische Fascisten bezeichnet) in der Wieder-
belebung des altjapanischen Nationalgeistes das Heil des Landes erblicken. Nur dadurch
könne man Japan vor dem Kommunismus und Bolschevismus bewahren. Diese Geistes-
richtung wird von den im öffentlichen Leben Japans ja von jeher sehr einflußreichen Mi-
litärkreisen gefördert [...]. Ahnen- und Kaiserkult gehören nun gewiß zu den charakteri-
stischen Bestandteilen altjapanischer Sitte und es ist auch klar, daß jener Kern darin, der
als religiöser gelten muß (und über dessen Abgrenzung vom Profanen man verschiedene
Ansichten hören kann), der christlichen Glaubenslehre und einer monotheistischen Philo-
sophie widerstreitet. Wenn daher die Anhänger jener Nationalpartei unter “altjapani-
schem Geist” das geschichtlich gegebene Ganze verstehen, so sehen sie richtig ein, daß
ein Katholik nie ein “guter Japaner” oder ein “guter Patriot” in ihrem Sinne sein kann
[...]. Eine ähnliche Schwierigkeit objektiver Natur ist auf dem Gebiete der besonderen Sit-
tenlehre vorhanden. Wir lehren, daß die Gebote des natürlichen Sittengesetzes dieselben
sind für alle Menschen und Völker, daß folglich die von uns vorgetragene Ethik auch für
die Japaner paßt; sie hingegen halten an einem eigenen, japanisch-nationalen Sittenko-
dex fest und wer diesen preisgibt, gilt ihnen als schlechter Staatsbürger. Zu dieser jap. Na-
tionalmoral gehört z.B. die Erlaubtheit, ja heldenhafte Lobwürdigkeit des Selbstmordes
unter gewissen Umständen, z.B. um zu zeigen, daß man für einen Vorgang skandalöser
Natur die “Verantwortung” auf sich nehme oder um nicht als Soldat lebendig in die Hand
des Gegners zu fallen u.ä. Man sagt den Studenten im militärischen Unterricht, ein jap.
Soldat dürfe sich unter keinen Umständen lebendig vom Feinde gefangen nehmen lassen;
eher müsse er sich umbringen. Wenn unsere katholischen Studenten uns dann über die-
sen Punkt fragen, dürfen wir die Wahrheit doch nicht verleugnen. Unser Urteil in der Sa-
che wird aber selbstverständlich bei vielen bekannt und kommt auch dem Offizier zu Oh-
ren und wird getreulich dem Kriegsministerium reportiert. Die Offiziere haben davon be-
greiflicherweise eine Stütze für ihr Urteil, die christliche Moral “passe nicht zum japani-
schen Nationalgeist”». Relazione del P. v. Küenburg al generale del 3 luglio 1934. ARSI
Japonia 1005, IV 34, n. 16.
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se la tanto auspicata revisione del divieto dei riti da parte di Roma negli an-
ni 1935-39 sia stata nel concreto contesto politico di allora un omaggio
molto problematico all’imperialismo giapponese, tanto più che il Vaticano
fu il primo stato a riconoscere lo stato fantoccio del Manciukuò?
Dall’altro lato è difficile pensare realistiche alternative possibili a quel
tempo. La continuazione di una politica missionaria paternalistica dello
“stare in disparte” non era una opzione saggia. Se si voleva continuare ri-
solutamente sulla strada tracciata dall’enciclica Maximum illud, era impos-
sibile farlo senza conseguenze in un paese che tecnicamente, politicamen-
te e militarmente era paragonabile alle nazioni europee e che si considera-
va guida e maestro dell’Asia. Nella storia è spesso così. Se si fa una deter-
minata opzione, le implicazioni e le circostanze concrete non sono nella
propria disposizione, ma determinate dalla situazione, e più tardi possono
manifestarsi come problematiche. Ed inoltre, era impossibile aspettarsi una
distanza critica di fronte alla politica estera del proprio paese, che i catto-
lici di allora non erano in grado di realizzare in nessun paese d’Europa, dal-
la minuscola minoranza cristiana in Giappone.
Klaus Schatz
Philosophisch-Theologische Hochschule Sankt Georgen
([email protected])
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L’ affaire dello Yasukuni Jinja, Paolo Marella e la revisione della questione dei riti
ABSTRACT
The question of the homage to the Yasukuni shrine in Tokyo confronted, since
1932, the ecclesiastical authorities with the problem if this reverence would be
of religious or patriotic-civil nature. Already Minamiki has emphasized that these
controversies played a key role for the revision of the Roman Rites prohibitions
of the XVIII century (Propaganda instruction of 26 May 1936, which refers to
Japan; instruction of 8 December 1939, which permitted the previously forbid-
den rites of worship of Confucius and the ancestors). This contribution sheds
new light on the whole context, based on the documents of the Propaganda
archive. These sources reveal especially the crucial role of the Apostolic Dele-
gate and later Cardinal Paolo Marella. The first documents and permissions of
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UUJ
RECENSIONI /
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Lorenzo Prencipe
MASSIMILIANO SCALICI, « Troisième Testament » et nouvelle
évangélisation. L’autobiographie comme composante
analogique de la Révélation.
De l’hypothèse d’une théologie autobiographique
à une pastorale autobiographique d’évangélisation
Gaetano Sabetta
FRANCESCO MARCELLI (a cura di), Charles De Foucauld.
Storia di un missionario controcorrente. Un santo con
una missione speciale
Gabriella Ianieri
CORNELIO FABRO, Metaphysica. Corso di Metafisica
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MASSIMILIANO SCALICI
« Troisième Testament » et nouvelle évangélisation.
L’autobiographie comme composante analogique de la Révélation.
De l’hypothèse d’une théologie autobiographique à une pastorale
autobiographique d’évangélisation, (Praktische Theologie im
Dialog / Théologie pratique en dialogue, vol. 58)
Schwabe Verlag, Basel 2021, 682 pp.
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Recensioni / Segnalazioni bibliografiche
La convinzione profonda che spinge l’A. nel suo lavoro di ricerca e nel-
la presente pubblicazione è che la narrazione-scrittura autobiografica, pen-
sata e realizzata teologicamente, può aiutare l’azione pastorale della Chie-
sa a rendere sempre più chiara e condivisa quella correlazione tra vita e fe-
de (annuncio del Vangelo) così spesso relegate in ambiti diversi, se non
contrapposti, dell’esistenza umana.
Questa convinzione di partenza diventa l’ipotesi di lavoro dell’A. che
vuole argomentare la maniera per la quale l’autobiografia diventa categoria
teologica capace di giustificare una teologia e una pastorale autobiografica.
Il volume si articola in tre Parti, che corrispondono ai tre campi di rifles-
sione (ambito dogmatico, biblico e pastorale), e sette capitoli. La I Parte po-
ne le fondamenta teologiche circa le condizioni di possibilità di un discor-
so autobiografico di Dio e su Dio. Vengono così sviscerate le due premesse
epistemologico-teologiche, vale a dire la questione analogica e la questio-
ne sacramentale della Parola di Dio.
In questa prima parte troviamo due capitoli. Il cap. 1 tratta dello status
quaestionis circa l’evoluzione della teologia narrativa (ambito dogmatico) e
della questione analogica come prima premessa teologica della ricerca. Il
cap. 2 affronta la dimensione narrativa delle Scritture (ambito biblico) e illu-
stra la seconda premessa teologica, vale a dire la “cristosacramentalità della
Parola-Scrittura” e i suoi elementi analogici: l’autobiografia e la sinestesia.
In effetti, l’A. sostiene che, se la categoria “rivelazione” può essere rilet-
ta e interpretata come “narrazione”, lo stesso concetto teologico di “autori-
velazione”, come definito da Dei Verbum 2, può essere riletto e interpreta-
to come “auto-narrazione” divina.
Tale percorso è possibile perché, secondo l’A. non solo Dio rende la pa-
rola umana “analogica” a “dire Dio”, ma anche perché, trattandosi di una
Parola divina viva ed efficace, nonostante il veicolo umano che la esprime,
l’autobiografia intesa teologicamente assume anche una qualifica di “sacra-
mentalità”.
Riformulando in modo analogico (come teologia positiva) la Parola di
Dio, l’A. pone così le basi per una teologia autobiografica capace di offrire
alla teologia fondamentale che studia la Rivelazione una nuova prospettiva
ermeneutica, quella della “cristosacramentalità”, dove Cristo è allo stesso
tempo Parola di Dio e Immagine del Padre, che si rende presente a partire
dall’“interno stesso dell’umanità” (il Terzo Testamento).
Entriamo allora nella II Parte, con tre capitoli, che costituisce il cuore
della dissertazione, affrontando direttamente la questione di una possibile
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badito il Concilio di Trento «il Signore ha iscritto anche il suo Vangelo nei
cuori degli uomini».
In sintesi, abbiamo tra le mani un volume degno di interesse e con una
proposta teoretica “non usuale”, ma suggestiva: rendere teologica una ca-
tegoria riflessiva – l’autobiografia – che proviene da altro ambito del sape-
re diverso da quello comunemente chiamato “teologale”.
Lo scopo della ricerca che ha prodotto questa dissertazione è quello di
riconoscere l’autobiografia sia come componente analogica della Rivelazio-
ne e quindi nella Scrittura e nella Tradizione, sia come dimensione dell’e-
vangelizzazione che è il cuore e la ragion d’essere della Tradizione della
Chiesa.
Le riflessioni e le analisi proposte dall’A. rivelano il necessario rigore
metodologico di una ricerca scientifica inter e transdisciplinare, l’accura-
tezza e pertinenza delle fonti e la coerenza delle argomentazioni oltre ad
una certa originalità dell’argomento.
A tal proposito, se una criticità può essere rilevata, questa è dovuta pro-
prio all’oggetto stesso della dissertazione. In effetti, non si tratta né di un
autore in particolare né di un’opera specifica, ma di una tematica ampia, i
cui confini e limiti di ricerca sono mobili e spesso difficili da definire e ab-
bracciare.
Ad ogni modo, riteniamo che quanto prefissato dall’A. raggiunga il suo
obiettivo di offrire alla “nuova evangelizzazione” nuove piste di riflessione
teologica e di pratiche pastorali caratterizzate dalla prospettiva autobiogra-
fica di un Dio che continua a comunicare e comunicar(si) agli uomini e ne-
gli uomini (e donne) di ogni tempo.
Infatti, con le stesse parole dell’A., possiamo concludere che «la Parola
di Dio, in quanto Parola autobiografica e sacramentale, dice insieme Dio e
l’umanità, vale a dire veicola e racconta allo stesso tempo “il dire su Dio
dell’uomo” e “il dire sull’uomo di Dio”, “il dirsi di Dio” e “il dirsi dell’uo-
mo”» (p. 602).
Lorenzo Prencipe
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prima e berberi poi, con i quali ha intessuto prima di tutto un dialogo del-
la vita. È venticinquenne quando tra il 1883 e il 1884 visita il Marocco,
nel Maghreb, la terra del tramonto, accompagnato da un rabbino ebreo ma-
rocchino con una lunga esperienza di guida a servizio dei francesi. Nel
percorrere il Paese da nord a sud, da Tangeri a Tissint, de Foucauld incon-
tra l’Islam delle confraternite sufi, le zawiya, custodite da famiglie di ma-
rabutti e sotto la guida di shaykh. Le zawiya sono luoghi di accoglienza e
ospitalità per studenti e pellegrini, dove si custodisce lo stile di ricerca
spirituale e di preghiera fervente, dove i sufi, i mistici e i poeti islamici
praticano la religione del cuore, nutrita dal silenzio, dalla meditazione,
dalla ripetizione del nome divino (dikr), dalla lettura spirituale del Cora-
no, dalla memoria dei santi. A Tissint il giovane de Foucauld è sedotto dal-
le persone, dal loro stile di vita, dalla loro mitezza, dall’accoglienza, dal
loro atteggiamento di preghiera e adorazione. Sappiamo dalle sue lettere
che, con gli anni, l’esperienza del Marocco lascia nel suo animo un’im-
pronta indelebile, tanto da costituire per lui il modello di riferimento per
la povertà, l’abbassamento, il nascondimento, lo stile di preghiera e d’o-
spitalità, sia riguardo a sé stesso sia riguardo alle future fraternità che co-
stituirà. Era partito per il Marocco per approfittare della sua giovinezza e
partendo non aveva senza dubbio pensato a Dio. Ma Dio l’aspettava, gra-
zie ai musulmani incontrati, per un viaggio diverso da quello che aveva
programmato. A confronto con un mondo straniero ed estraneo, ritroverà sé
stesso e, nell’intimo di sé stesso, ritroverà Dio. Il fatto certo e documenta-
to, rispetto al ritorno a Dio di de Foucauld, è che nei mesi successivi ai
viaggi attraverso tutto il Sahara, trovandosi a Parigi per redigere il suo Re-
connaissance au Maroc. 1883-1884 una “grazia interiore fortissima” lo
raggiunge e lo spinge a passare lunghe ore nelle chiese e a ripetere la stra-
na preghiera “Mio Dio, se esisti, fa’ che ti conosca!”. La sua è una conver-
sione vera e propria. Si tratta di un incontro con il Dio della fede cristia-
na della sua infanzia e non con quello della šahāda islamica, anche se il
fascino per l’Islam non lo abbandona immediatamente al punto che per
qualche tempo continuerà a leggere insieme il Corano e i Vangeli. Nel suo
viaggio in Palestina, tra la fine del 1888 e gli inizi del 1889, tocca con ma-
no il Dio di Gesù di Nazareth, che lo invita a venire e vedere, per imitar-
lo nella “vita nascosta di Nazareth”. Si sente, così, fortemente chiamato a
vivere tra i musulmani per portare loro la salvezza al modo di Gesù, aman-
doli fino alla fine. Soppesando l’itinerario spirituale di de Foucauld non
possiamo non considerare il suo andamento a spirale. Esso potrebbe de-
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scriversi come il passaggio dal “Dio più grande”, quello dell’Allāhu akbar,
al Dio che si abbassa fino ad annientarsi sulla croce, per aprirsi, infine, al
Dio amore. Dal Dio “sempre più grande”, che tende all’infinito, al Dio
“sempre più piccolo”, che si avvicina allo zero, fino al Dio che sfocia nel-
l’oceano dell’amore. Questo, in estrema sintesi, è il senso e la direzione
del cammino di fede di frère Charles: dal Dio delle altezze a quello della
vastità oceanica passando per quello delle profondità del nascondimento.
È il Dio che è sempre oltre, a cui nulla può associarsi quello che attrae
de Foucauld. Ha preso coscienza del senso purissimo della trascendenza
divina e ad essa si è arreso, si è abbandonato. Ma d’un tratto, a Betlemme,
a Gerusalemme, a Nazareth, avverte il mistero inaudito, vertiginoso, di que-
sto Dio che, nella sua trascendenza, irrompe nel tempo. Questo Dio che si
rivela “più grande” proprio nel farsi “più piccolo”, nel cedere gratuitamen-
te la sua gloria, nello spogliarsi di ogni grandezza e potenza per mettersi a
servizio delle creature umane e prendersene cura con amore appassionato.
Egli si sente “afferrato da Cristo” (Fil 3,12). Tutto questo abbassamento ha
infine una sola spiegazione: l’agape-carità-gratuità, lo specifico della fede
cristiana e del Dio di Gesù Cristo. Dio non solo ama, Egli è amore (1Gv
4,8), un amore che ama fino alla fine, nell’estrema consegna di sé. Evocan-
do la fede islamica che l’ha attratto, leggendo la Bibbia, frère Charles per-
viene così a ciò che hanno intuito e cantato i grandi mistici di tutti i tempi
e di tutte le fedi, i grandi cercatori dell’assoluto ebraici, cristiani e musul-
mani: la religione dell’amore. Al-Hallaj (858-922), mistico e martire mu-
sulmano, nel suo Diwan iniziava un canto dicendo: «Ho molto pensato al-
le religioni per capirle, e ho scoperto che sono molti i rami di un’unica fon-
te». Ibn ‘Arabi (1165-1241) parla invece della religione dell’amore con
questi versi: «Il mio cuore è divenuto capace d’accogliere ogni forma, è un
pascolo per le gazzelle, un convento per i monaci cristiani, è un tempio per
gli idoli, è la Ka‘ba del pellegrino, è le tavole della Torà, è il libro del sacro
Corano. Io seguo la religione dell’amore, quale che sia la mia strada che
prende la sua carovana: questo è mio credo e mia fede».
Anche l’esperienza vissuta da Charles de Foucauld, quel suo passaggio
dal Dio delle altezze islamiche a quello dell’abbassamento cristiano avvie-
ne, come nel caso dei mistici senza sostituzioni o annullamenti, senza
esclusioni o condanne. Questa è forse la grande eredità spirituale che ci la-
scia frère Charles. Egli mostra una strada che può aiutare ognuno di noi ad
aprirci a una relazione con l’altro che non sia di conquista o superiorità, ma
di accoglienza rispettosa delle radici comuni e di rispetto amoroso per le
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nostre rispettive alterità. Solo così si può favorire un cammino comune che
sia di stimolo reciproco così da trarre il meglio dal proprio e dall’altrui pa-
trimonio spirituale e culturale. Solo così si può procedere insieme verso
Dio, verso quel Trascendente che supera tutti noi. Il Corano e la Bibbia lo
suggeriscono senza alcuna esitazione.
In conclusione, il bel testo di Francesco Marcelli è un forte invito alla
speranza sia per i lettori che volessero avvicinarsi alla figura di frère Char-
les per la prima volta, sia per gli studiosi che proprio attraverso questo te-
sto volessero approfondire qualche aspetto saliente della sua personalità,
del suo spirito e del suo stile missionario.
Gaetano Sabetta
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CORNELIO FABRO
Metaphysica. Corso di Metafisica
a cura di ELVIO CELESTINO FONTANA, testo latino a fronte,
traduzione di ANDREA DALLEDONNE, ED.IVI, Segni 2022, 601 pp.
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1/2023 ANNO LXXVI, 259-261 URBANIANA UNIVERSITY JOURNAL
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ficiente fisica (capp. 1-3), sulla nozione metafisica di materia prima e sul-
la nozione di natura (capp. 4-5), infine sulle proprietà dell’ente e dei suoi
modi di predicazione (cap. 6-7).
In questo corso, precisa Fabro nell’introduzione «seguiremo i testi stessi,
sia del Filosofo sia dell’Aquinate, con esattezza e, parola per parola, nella
loro connessione logica e storico-filologica [...]» (19). L’intento del profes-
sore non è tanto o solo quello di «[offrire] una raccolta di tesi quanto la pro-
blematica delle verità che sono le prime e le supreme per l’uomo e che lo
elevano alle realtà più alte, dove l’essere (esse) è l’origine e il termine di
qualsiasi realtà [...]» (p. 19).
Il proemio e l’epilogo offrono l’orizzonte complessivo di questi “appunti
per studenti”. Non sono solo una raccolta di tesi di metafisica classica (ari-
stotelico-tomista) riuniti intorno alla problematica delle verità e arricchiti
dal dialogo serrato e puntuale con altre filosofie (medioevali, moderne ed a
lui contemporanee). Sono anche l’indicazione di un compito e di un sentie-
ro da percorrere.
Scrive Fabro nel proemio: «[è] noto a tutti che l’odierna crisi della filo-
sofia è la crisi della metafisica. Come dimostrano il suo destino e la sua sto-
ria, la metafisica è infatti la suprema investigazione dell’uomo, finalizzata
al contempo alla conoscenza e al raggiungimento dell’Assoluto» (p. 13).
Nella storia del pensiero il concetto di Assoluto, da trascendente quale era,
(in particolare nella tradizione aristotelico-tomista) è stato reso immanente
nella modernità e, eccetto pochissime eccezioni, liquidato dalla novissima
nella quale sottolinea Fabro «non c’è nessuna norma salda di verità perché
non c’è nessun fondamento intrinseco e stabile della realtà» (p. 13). Ecco,
il corso di metafisica di padre Fabro ha questo più ampio orizzonte abbrac-
ciando lo stato problematico della filosofia a lui contemporanea. Agli stu-
denti fornisce gli strumenti necessari per comprendere la metafisica aristo-
telico-tomista, per riconoscerne lungo la storia derivazioni e deviazioni e
per imparare a leggere i tempi (a loro) attuali, senza rimanerne disorienta-
ti. Il compito dei futuri filosofi non è da poco: affrontare la crisi della filo-
sofia, risolvendo quella della metafisica, attraverso l’impegno a «ripristina-
re [...] il realismo aristotelico» (p. 15). Così si esprime padre Fabro: «[...]
noi, con l’aiuto della grazia di Dio, ritorniamo al metodo aristotelico-tomi-
stico e, adattandolo alle esigenze dei tempi, abbiamo la ferma convinzione
che la metafisica del Dottore Angelico sia, nel suo nucleo teoretico, piena-
mente valida in tutti i tempi e, al contempo, virtualmente posta all’inizio di
tutti essi per soddisfarne le esigenze» (p. 19).
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Gabriella Ianieri
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1987, 15-23; V. DE PAOLIS – A. D’AURIA, Le Norme Generali. Commento al Codice di
Diritto Canonico, (Manuali – Strumenti di studio e ricerca 35), Urbaniana University
Press, Città del Vaticano 20142, 2-60;
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de Chardin, (in dialogo 6), Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2015; E.
ULRICH – F. MORE CROSS – E.F. RUSSELL – J.E. SANDERSON – P.W. SKEHAN – E. TOV
(eds.), Qumran Cave 4: X. The Prophets, (Discoveries in the Judaean Desert XV),
Clarendon Press, Oxford 1997, 39;
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STEIN, In der Kraft des Kreuzes, 24;
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ULRICH – MORE CROSS – RUSSELL – SANDERSON – SKEHAN – TOV (eds.), Qumran Cave 4;
CHROUST, The Function of Law and Justice, 319;
EDWARDS, “For Your Immortal Spirit Is in All Things”: The Role of the Spirit in Creation;
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STEIN, In der Kraft des Kreuzes, 24.
EAD., On the Problem of Empathy, (The Collected Works of Edith Stein, 3),
transl. by W. STEIN (orig. Zum Problem der Einfühlung), ICS Publications,
Washington, DC 1989;
singolo autore: usare, dopo la prima citazione, ID.
L. SILEO, De rerum ideis. Dio e le cose nel dibattito universitario del tredice-
simo secolo. I Editio textuum Odonis Rigaldi et aliorum, (Saperi Testi Con-
testi), Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2011, 67*, nota 127;
ID., Teoria della scienza teologica. ‘Quaestio de scientia theologiae’ di Odo
Rigaldi e altri testi inediti (1230-1250), (Studia 27), 2. voll., ed. Antonianum,
Roma 1984, I, 15-19:
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ran Cave 4: X. The Prophets, (Discoveries in the Judaean Desert XV), Clarendon
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Law and Justice in the Ancient World and the Middle Ages, “Journal of the History
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Tivoli (Roma)
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Pontificia Università Urbaniana
ISBN 978-88-401-9066-2