FORMAZIONE DEL PRESBITERO, PASTORALE SOCIALE
E DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA *
Mario Toso
Salesianum 55 (1993) 335-365
1. L’Esortazione apostolica «Pastores dabo vobis» ( = PDV) postula,
per i futuri sacerdoti, la formazione alla Pastorale sociale ( = PS) e
alla Dottrina sociale della Chièsa ( = DSC)
Dalla lettura della PDV risulta evidente la sollecitazione ad una forma
zione globale dei futuri presbiteri e, in particolare, ad una formazione alla PS
e alla DSC. Vale la pena richiamare alcuni passi significativi dell’Esortazione
che, inequivocabilmente, allude all’urgenza di dare ai futuri sacerdoti adegua
ta preparazione rispetto ai problemi sociali contemporanei, per renderli ca
paci di annunciare il Vangelo all’uomo di oggi e per farne animatori solerti e
competenti dell’azione dei laici, sia all’interno della Chiesa sia nel mondo,
quanto alla diaconia relativa al sociale.
Un primo incoraggiamento viene senz’altro dalla stessa preoccupazione
della Chiesa - espressa nella PDV - di formare i futuri sacerdoti tenendo
conto delle profonde e rapide trasformazioni della società, delle culture del
nostro tempo, della molteplicità e della diversità dei contesti nei quali biso
gna annunciare e testimoniare il Vangelo (cf PDV 2 e 51). Se il presbitero
del terzo millennio non potrà non assomigliare a Cristo - argomenta l’Esor
tazione -, è altrettanto vero che la sua vita e il suo ministero sacerdotale si
concreteranno e si svolgeranno in un contesto diverso da quello in cui visse
Gesù. Ne consegue che per il presbitero del terzo millennio va programmata
una preparazione in sintonia col contesto socio-culturale in cui egli è e sarà
inserito. Tra i fattori, positivi e negativi, che la PDV segnala e che caratteriz
zano le circostanze attuali, in modo tale da non poter non tenerne conto
nella formazione alla PS dei futuri presbiteri, vanno ricordati: la vitalità e la
* Il presente articolo è la rielaborazione di M. Toso, formazione alla pastorale sodale
degli aspiranti al sacerdozio e utilizzo della Dottrina sodale della Chiesa, in «Studi sociali» 7/8
(1990), pp. 55-80.
336 Mario Toso
forza espansiva di molte Chiese giovani, con un moto sempre più rilevante
nella difesa e nella promozione dei valori della persona e della vita umana; la
diffusione di forme di religiosità senza Dio e di molte sette; l’affermarsi del
soggettivismo individualistico e «consumistico»; la crescita dell’ateismo prati
co ed esistenziale; la disgregazione della realtà familiare e l’oscuramento o il
travisamento del vero senso della sessualità umana; l’aggravarsi delle ingiusti
zie sociali e il concentrarsi della ricchezza nelle mani di pochi, come frutto di
un capitalismo disumano; il condizionamento non sempre favorevole dei
mezzi di comunicazione di massa; la riduzione della fede in esclusivo fattore
di liberazione umana e sociale; una società multirazziale e multireligiosa (cf
PDV 7).
Un ulteriore stimolo ad avere in futuro sacerdoti ben formati per l’an
nuncio del «Vangelo del sociale» viene dal bisogno - sottolineato dalla PDV
- di sacerdoti che siano «convinti e ferventi ministri della "nuova evangeliz
zazione"» (cf PDV 10). Ora, è risaputo che l’espressione «nuova evangeliz
zazione», più volte impiegata dal sommo Pontefice nei suoi ultimi documen
ti, ha molti significati.1 Tra questi non è secondario quello secondo cui la
«nuova evangelizzazione» include, quale momento essenziale e costitutivo
del suo essere, una «nuova evangelizzazione del sociale», attuata anche da/in
una «nuova» PS.2 La «nuova» evangelizzazione non è pienamente se stessa
se non è anche «nuova» evangelizzazione del sociale.3 H che, evidentemente,
1 Diversi sono i significati che può avere l’espressione «nuova evangelizzazione». Per una
prima rassegna di essi cf M. Toso, Nuova evangelizzazione e pastorale sociale in Laici per una
nuova evangelizzazione: Studi sull’esortazione apostolica «Christifideles laici» di Giovanni Paolo II,
LDC, Leumann (Torino) 1990, pp. 261-280, specie pp. 266-267. Utili approfondimenti per
ciò che concerne la «nuova evangelizzazione» in Europa si possono trovare in: La «nuova
evangelizzazione» dell’Europa («La Civiltà Cattolica» 1991, vol. IV, pp. 325-336); Quale «nuova
evangelizzazione» per l’Europa? («La Civiltà Cattolica» 1991, vol. IV, pp. 433-445); Inculturare
il Vangelo nell’Europa di oggi («La Civiltà Cattolica» 1992, vol. I, pp. 105-117).
2 L’espressione «nuova evangelizzazione del sociale» è senz’altro recente, e proprio per
questo può suscitare qualche perplessità. Tuttavia è espressione che si può formulare dopo
aver letto le due ultime Encicliche sociali di Giovanni Paolo D, la «Sollicitudo rei socialis»
( = SRS) e la «Centesimus annus» ( = G4). (Per i testi delle Encicliche sociali si fa riferi
mento a: I documenti sociali della Chiesa. Da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1991). La prima, ossia la SRS, accenna al «ministero dell’evange
lizzazione in campo sociale» e, quindi, alla «evangelizzazione del sociale», come aspetto della
funzione profetica della Chiesa, cui appartiene l’«annuncio» e la «denuncia» (cf SRS 41). La
seconda, ovvero la CA, inserendo nella «nuova» evangelizzazione, come elemento essenziale,
l’annuncio della dottrina sociale della Chiesa - strumento privilegiato dell’evangelizzazione del
sociale - (cf CA 54), fa capire che 1’'evangelizzazione del sociale è parte costitutiva della «nuo
va» evangelizzazione. Inoltre, fa intendere che l’evangelizzazione del sociale, perché collocata
nella «nuova» evangelizzazione, deve essere, essa stessa, «nuova».
3 Come l’evangelizzazione in generale dev’essere nel terzo millennio «nuova», per varie
ragioni, così lo dev’essere l’«evangelizzazione del sociale». Naturalmente, anche la «nuova»
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sociale della Chiesa 337
significa che agli attuali e ai futuri ministri della «nuova evangelizzazione»
non può mancare una preparazione atta ad abilitarli alla «nuova evangelizza
zione del sociale» ed alla relativa PS.
Un’altra sollecitazione in tal senso si trova nella PDV, allorché si spiega
come ogni identità cristiana, compresa quella del sacerdote e del suo mini
stero, prende luce all’interno del mistero della Chiesa e, in particolare, di
un’ecclesiologia di comunione (cf PDV 12) e di missione (cf PDV 16 e 18).
H presbitero, «in forza della consacrazione che riceve con il sacramento del
l’Ordine, è mandato dal Padre per vivere ed operare nella forza dello Spirito
Santo a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo» (PDV 12; cf ih.
16-18). H ministero dei presbiteri, mentre è ministero a servizio della Chiesa e
del mondo, è ministero nella comunione con il Papa, con i vescovi, con i fe
deli laici; è ministero missionario e universale, è ministero del dialogo-, il pre
sbitero «profondamente radicato nella verità e nella carità di Cristo», «ani
mato dal desiderio e dall’imperativo di annunciare a tutti la sua salvezza», è
«chiamato ad intessere rapporti di fraternità, di servizio, di comune ricerca
della verità, di promozione della giustizia e della pace con tutti gli uomini. In
primo luogo con i fratelli delle altre Chiese e confessioni cristiane; ma anche
con i fedeli delle altre religioni; con gli uomini di buona volontà, in special
modo con i più poveri e con i più deboli, e con tutti coloro che anelano, an
che senza saperlo ed esprimerlo, alla verità e alla salvezza di Cristo» (PDV 18).
Anche solo da questi rapidi e sintetici cenni è facile comprendere
quanto per la PDV sia importante la formazione del presbitero alla PS e alla
DSC, avendo una particolare attenzione anche per il dialogo ecumenico. Si
può dire, usando espressioni della stessa PDV e applicandole a quanto si va
affermando, che la formazione alla PS e alla DSC, protratta lungo tutto il
corso della vita, per la santificazione personale dei sacerdoti nel ministero e
per l’aggiornamento costante del loro impegno pastorale, è da considerarsi
come uno dei compiti di massima delicatezza e importanza per il futuro del
l’evangelizzazione dell’umanità (cf PDV 2).
Come si è già accennato, i contenuti teologici ed ecclesiologici dell’Esor
tazione PDV conducono, sicuramente, sebbene implicitamente, verso queste
evangelizzazione del sodale non ha l’obiettivo di instaurare, a proposito delle realtà sociali, i
vecchi regimi della «cristianità» medievale o moderna. Lo scopo di una «nuova» evangelizza
zione del sociale, per dirla in breve, è quello di annunciare il Vangelo alle realtà sociali, tenen
do conto sia della nuova coscienza che ha la Chiesa di sé e della sua missione dopo il Con
cilio Vaticano H, sia delle nuove situazioni socio-culturali in cui si deve oggi operare nei vari
continenti e regioni del mondo. Inoltre, allorché si parla di «nuova evangelizzazione del socia
le» non si intende solo l’annuncio del Vangelo in quanto tale ma anche quell’opera di libera
zione umana delle realtà sociali che è naturalmente connessa con la stessa evangelizzazione.
338 Mario Toso
conclusioni, che sono in parte sottintese là dove si raccomanda chiaramente,
per la formazione dei sacerdoti, anche lo studio della DSC, perché questa è
da «annoverarsi tra le "componenti essenziali" della "nuova evangelizzazio
ne", di cui costituisce uno strumento» (cf PDV 54).4
Tuttavia maturano sempre più i tempi perché si affronti e si approfondi
sca il tema della preparazione dei futuri presbiteri rispetto al loro compito di
soggetti della «nuova evangelizzazione», che comprende la «nuova evangeliz
zazione del sociale». Lo esige l’attuazione del Concilio Vaticano II, che nella
Gaudium et spes ha elaborato e presentato il «manifesto» di una nuova PS.
Lo esige l’impegno di una «nuova» evangelizzazione a tutto campo. Lo ri
chiedono varie Conferenze episcopali del mondo, che a fronte dei gravi
problemi connessi alla crisi della politica, all’economia, al lavoro, ai mezzi di
comunicazione sociale, all’ecologia, alla società mondiale, sentono ormai l’ur
genza di riflettere sulla natura, sui soggetti, sui metodi e sui fini di una rin
novata PS.
Il tema della preparazione dei presbiteri alla PS e alla DSC, a dire il
vero, non è di facile trattazione, sia perché non esiste una letteratura consi
stente a riguardo, sia perché i termini implicati, la PS e la DSC, non sono di
facile presa.5 Senza voler allora affrontare un argomento complesso, con la
4 A tal proposito, però, fa un po’ meraviglia che la PDV, pur facendo riferimento a do
cumenti certamente più autorevoli, come la SRS e la G4, non citi l’importante documento
della Congregazione per l’Educazione cattolica Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della
dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, EDB. Bologna 1989, appositamente
preparato per dare validi suggerimenti sull’uso della DSC nella preparazione dei presbiteri.
Per una sintetica presentazione del documento si veda: M. Semeraro, L’insegnamento della
dottrina sociale della Chiesa nella formazione dei futuri presbiteri in AA.W., I cento anni della
Rerum Novarum, a cura di F. Fiorentino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1990, pp.
199-212.
5 Per ciò che concerne la PS bisogna riconoscere che non si trovano molte pubblica
zioni. Per avere una qualche idea sulla PS può tornare vantaggiosa la lettura di: Secretariado
Latinoamericano de Caritas, Pastoral social, Editorial Fraga, Quito 1990. Recentemente la
C.E.I. - Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro ha pubblicato una nota: La
Pastorale per i politici, cf «H regno-documenti» n. 672 (1 dicembre 1991), pp. 677-680. Una
tale nota, seppur piccola di mole, è significativa se non altro perché con essa si riconosce di
fatto la necessità di una PS di vasto raggio, non limitata all’area del lavoro. In tal senso è an
che significativa una recente pubblicazione, ove si affronta il tema di una nuova evangelizza
zione non solo del lavoro, ma anche dell’economia, della politica e della società del benessere:
Commissione Episcopale per i Problemi Sociali e il Lavoro, Nuova evangelizzazione e solida
rietà sociale, a cura di G. Crepaldi, EDB, Bologna 1992. Ma non può essere qui dimenticato il
recentissimo documento della C.E.I., Evangelizzare il sociale. Orientamenti e direttive per la pa
storale sociale del lavoro, EDB, Bologna 1992. Esso costituisce, senz’altro, la piattaforma per
una rinnovata PS in Italia. Nato come direttorio elaborato dalla Commissione episcopale per i
problemi sociali e del lavoro è stato assunto da tutta la C.E.I. e pubblicato a nome di essa.
Fatto significativo, che sta a dire l’importanza che va assumendo un’organica PS, ancorata al
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 339
vana pretesa di esaurirlo, ci si limita a presentare un rapido ritratto della PS,
il suo «soggetto» o, meglio, i soggetti della PS; a spiegare perché è necessa
rio, e cosa significa, educare i futuri presbiteri alla PS. In un secondo mo
mento, invece, si cercherà di delineare, sempre in modo sintetico, l’apporto
della DSC nella formazione dei sacerdoti in genere e nella formazione alla PS.
2. Il Concilio e il post-Concilio: premesse per il rinnovo e il rilancio del
la PS
Non si vuole qui parlare solo della pastorale del lavoro ma della PS in
genere, comprensiva dei settori della comunità civile, della cultura, dell’eco
nomia, della politica, del lavoro e della tecnologia, della famiglia, dell’ecolo
gia, della società mondiale, dei mezzi di comunicazione di massa..., ossia di
quella nozione di pastorale che è, in certo modo, omologata nella Gaudium
et spes, e che tende ad abbracciare le principali realtà sociali.6 La precisazione
patrimonio del Vangelo e della DSC. Per ciò che concerne la DSC e il nuovo volto che è ve
nuta acquisendo dopo il Concilio Vaticano II, specie con Giovanni Paolo E, si vedano:
AA.W, Il magistero sociale della Chiesa, (Atti del Convegno di studio, Milano 14-16 aprile
1988), Vita e Pensiero, Milano 1989; AA.W., L’insegnamento sociale della Chiesa, (Atti del 58°
corso di aggiornamento culturale dell’Università Cattolica, Brescia 11-16 settembre 1988), Vita
e Pensiero, Milano 1988; AA.W., La dottrina sociale della Chiesa, Glossa, Milano 1989;
AA.W, Il compito della dottrina sociale della Chiesa, a cura di R. Bindi e E. Berti, Ave, Roma
1989; AA.W., A cento anni dalla Rerum Novarum. Continuità, modernizzazione, etica del pro
gresso (Atti del convegno di studio promosso dal Medio Credito Lombardo, Milano 9 giugno
1990), NED, Milano 1991; AA.W., Teologia e dottrina sociale. Il dialogo ecclesiale in un mondo
che cambia, Piemme, Casale Monferrato 1991. Cf anche: M. Toso, Dottrina sociale della Chie
sa e nuova evangelizzazione, in «Aggiornamenti sociali» 42 (1991) 1, pp. 35-54; Id., Catechesi e
dottrina sociale nella nuova evangelizzazione, in «Aggiornamenti sociali» 42 (1991) 2, pp. 93-
104; M. Reina, Riflessioni sulla dottrina sociale della Chiesa, in «Aggiornamenti sociali» 42
(1991) 5, pp. 317-334; P. Carlotti, LSn’interdisciplinarità ordinata. La DSC come riflessione teo-
logico-morale, in «La società» 2 (1992) 2, pp. 213-238. Tra i recenti manuali di DSC si segna
lano: R. Antoncich - J.M. Munárriz, La doctrina social de la Iglesia, Ediciones Paulinas, Ma
drid 1987; J. M. IbáNez Langlois, La dottrina sociale della Chiesa, Ares, Milano 1989; J.-Y.
Calvez, L’économie, l’homme, la société, Desclée de Brouwer, Paris 1989, tr. it.: Economia, uo
mo e società: L’insegnamento sociale della Chiesa, Città nuova, Roma 1991; H. Carrier, The So
cial Doctrine of the Church Revisited, Pontifical Council for Justice and Peace, Vatican City
1990; I. Camacho, Doctrina social de la Iglesia, Ediciones Paulinas, Madrid 1991.
6 Cf Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sodale della Chiesa, 55. Per
alcuni cenni sulla pastorale del lavoro in Italia e sul suo progressivo «aprirsi» ai problemi so
ciali, economici e politici, si può vedere: G. Grosselli, La pastorale del lavoro, EDB, Bologna
1987; G. Crf.pat.dt, La pastorale sodale e del lavoro nella Chiesa italiana, in «Presenza pastora
le» 57 (1987) 11/12, pp. 119-124. In Italia, la pastorale sociale e del lavoro si è sviluppata pas
sando attraverso alcune tappe fondamentali. Dapprima la pastorale prevalentemente operaia si
è fatta più attenta alla pastorale del lavoro nel suo complesso. Successivamente la pastorale
340 Mario Toso
è necessaria proprio in apertura del discorso, perché nel contesto italiano è
prevalsa, fino a qualche tempo fa, una nozione di PS abbastanza riduttiva o,
almeno, legata solo ad alcuni settori particolari, come quello del lavoro,
dell’emigrazione e simili.7
Rispetto ad una PS, secondo l’accezione conciliare, si è, pertanto, in fase
di allestimento e di costruzione del nuovo, con inevitabili riflessi, non del
tutto positivi, anche nella formazione dei futuri sacerdoti.
Le premesse per il rilancio e il rinnovamento della PS sono state poste,
dunque, con il Concilio Vaticano H; ma sono state sviluppate anche da altri
documenti ecclesiali post-conciliari, formulati a livello di Chiesa universale o
di Chiesa particolare.8 E così che, tanto sul terreno della prassi quanto nel
l’ambito della riflessione teologica, è venuta alla luce una nuova figura di PS:
si è passati dalla visione di una pastorale piuttosto accentrata dal clero - la
rilevanza pastorale dei laici è stata sovente ridotta ad una collaborazione gre
garia e di second’ordine - alla visione di una pastorale come azione multifor
me e compartecipata, propria della comunità ecclesiale, essenzialmente mis
sionaria in tutte le sue componenti; da una pastorale spesso centripeta, tipica
di una concezione ecclesiocentrica, si è giunti ad una pastorale di diaconia
del lavoro si è progressivamente aperta alle tematiche dell’economia e della politica, perché,
nel mutato contesto contemporaneo, i problemi del lavoro sono apparsi sempre più condizio
nati dai problemi dell’economia, e questi ultimi dalle problematiche della politica, non solo a
raggio nazionale, ma anche mondiale.
7 In Italia, ultimamente, con il già citato Evangelizzare il sociale si sono voluti delineare e
delimitare i campi della pastorale sociale attorno all’economia, al lavoro e alla politica. Ma è
certo che la PS, nel suo insieme, può comprendere anche altri argomenti e ha addentellati, ad
es., con i settori concernenti l’emigrazione, i mezzi di comunicazione sociale, la famiglia...
8 Fra i documenti ecclesiali post-conciliari si possono citare: la Lettera enciclica di Paolo
VI Populorum progressio (= PP) del 1967, YOctogesima adveniens (= OA), Lettera apostolica
di Paolo VI del 1971, YEvangelii nuntiandi (= EN), Esortazione apostolica di Paolo VI del
1975. Ma non si possono dimenticare anche le Encicliche di Giovanni Paolo II, specie la Re
demptor hominis ( = RH) del 1979, la Dives in misericordia del 1980, la Laborem exercens ( =
LE) del 1981, la SRS (1987), la Redemptoris missio (1990)la CA (1991). Per la Chiesa italiana,
fra l’altro si possono ricordare, oltre al Convegno ecclesiale «Evangelizzazione e promozione
umana» del 1976, il documento La Chiesa italiana e le prospettive del paese (1981) del Consiglio
permanente della C.E.I., che ha individuato le «priorità» verso le quali guidare l’impegno so
ciale della Chiesa: il lavoro (nn. 26-27), la cultura e la comunicazione sociale (nn. 28-31), le
istituzioni pubbliche (nn. 32-37); il documento Chiesa e lavoratori nel cambiamento (1987) del
la Commissione C.E.I. per i problemi sociali e del lavoro, ove si parla esplicitamente di pasto
rale sociale, del suo metodo, di ambiti urgenti di impegno; il documento Chiesa italiana e
Mezzogiorno (1989), le cui tematiche non sono estranee alla PS; gli Orientamenti pastorali per
gli anni novanta della Conferenza episcopale italiana Evangelizzazione e testimonianza della
carità (1990), che aiutano ad illustrare l’«anima agapica» della PS; la nota pastorale Educare
alla legalità della Commissione ecclesiale «Giustizia e pace» (1991), che invita ad aprire gli
occhi su un’urgenza fondamentale del vivere civile contemporaneo.
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 341
all’uomo e al mondo, di testimonianza della carità, quale estrinsecazione
diffusiva dell’essere della Chiesa. Simultaneamente sono state sottolineate le
istanze della lettura biblico-teologica della realtà sociale, del metodo di di-
scernimento, di un servizio all’uomo e al mondo mediante l'annuncio dei va
lori evangelici e la denuncia concreta delle situazioni di ingiustizia, di aliena
zione, di sfruttamento dell’uomo; come anche è maturata la comprensione
dell’autonomia e della sana laicità delle realtà terrestri, del ruolo «autono
mo» dei laici,9 della comunionalità missionaria, di nuovi ambid di azione pa
storale (economia, cultura, mass media, nuovi poveri, ecologia...).10
In particolare, hanno favorito la ridefinizione della PS: una nuova eccle
siologia,11 una più ampia accezione di evangelizzazione,12 e lo stesso cambio
9 E documento che recentemente ha puntualizzato e meglio illustrato una tale «autono
mia» è l’Esortazione apostolica Christifideles laici ( = CL) di Giovanni Paolo II (1988) (Libre
ria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988). In essa si può cogliere il chiaro intento di
determinare lo status dei fedeli laici, fissando compiti, doveri e diritti, strumenti di partecipa
zione.
10 Nella costituzione pastorale Gaudium et spes ( = GS) sono ben individuati gli ambiti
principali della pastorale sociale contemporanea: la comunità e l’attività umana, il matrimonio,
la famiglia, la cultura, la vita economico-sociale e politica, la solidarietà tra le nazioni e la pace.
11 Cf 1’Ecclesiam suam di Paolo VI, i documenti conciliari della Lumen gentium ( = LG),
della GS, dell 'Ad gentes ( = AG) e deìl’Apostolicam actuositatem ( = AA). E inutile rilevare che
nei documenti conciliari sono presenti varie «ecclesiologie». Complessivamente, però, sembra
che emerga sulle altre l’«ecclesiologia di comunione» (cf CL 19; Assem. Gen. Straord. Si
nodo dei Vescovi [1985], Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi.
Relatio finalis, H, c. 1). Una tale ecclesiologia implica una concezione di Chiesa in preghiera e
celebrazione del Regno, di Chiesa universale, quale comunione di Chiese particolari; una con
cezione di Chiesa nel mondo e per il mondo, in stato di missione e di servizio, specie dei più
poveri, aperta al dialogo, non schiava di autocomprensioni meramente «sociologiche», o buro
cratiche, o centralizzate. A questo riguardo può ancora tornare utile la lettura di: A. Acerbi,
La coscienza che la Chiesa ha della sua missione, secondo i documenti papali ed episcopali del post
concilio, in AA.W, Coscienza e missione di Chiesa, Cittadella Editrice, Assisi 1977, pp. 99-136;
D. Bonifazi, La missione della Chiesa come evangelizzazione, promozione umana, liberazione:
competenza specifica e limiti, in AA.W., Coscienza e missione di Chiesa, pp. 209-242; G.L. Car-
DAROPOU, Costruire la Chiesa: indicazioni di metodologia pastorale, in AA.W., Coscienza e mis
sione di Chiesa, pp. 243-297; S. Dianich, Chiesa in missione, Edizioni Paoline, Milano 1985; A.
Anton, L’ecclesiologia del dopo-Concilio, in AA.W., La teologia. Aspetti innovatori e loro inci-
denza sulla ecclesiologia e sulla mariologia, a cura di D. Valentini, LAS, Roma 1989, pp. 173-
202. Cf anche: W. Kasper, Chiesa dove vai? Il significato permanente del Concilio Vaticano II,
Piemme, Casale Monferrato 1990; U. Casale, Il Concilio è vivo. Il Vaticano II alle porte del
2000, LDC, Leumann (Torino) 1992.
12 Cf AG e EN. Specie nella EN l’evangelizzazione evoca l’intero essere ed agire della
Chiesa, ad intra e ad extra. L’evangelizzazione della Chiesa implica non solo l’annuncio del
kerigma, la catechesi, la partecipazione ai sacramenti, l’apostolato, ma anche la testimonianza,
l’impegno nelle realtà temporali per renderle più conformi al Vangelo, la difesa e la promo
zione dei diritti dell’uomo, compreso il diritto alla libertà religiosa (cf EN 17-19, in «Acta
Apostolicae Sedis» [= AAS) 68 [1976], pp. 17-30).
342 Mario Toso
del contesto socio-culturale (secolarizzazione, pluralismo ideologico e religio
so, separazione fra fede e cultura, società complessa e post-industriale, que
stione sociale mondiale).
Prescindendo dai mutamenti del contesto socio-culturale, merita senz’al
tro maggior attenzione la coscienza che la Chiesa ha maturato di sé e della
sua missione.13 Con il Concilio Vaticano II essa riconosce di essere «segno e
strumento di intima unione con Dio e unità di tutto il genere umano»;14 di
essere chiamata a continuare, sotto la guida dello Spirito Paráclito, l’opera
stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla
verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito.15 La
Chiesa mostra di sapere che, per svolgere questo compito, ha il dovere del
discernimento,16 e che la sua missione di evangelizzazione, essenzialmente
religiosa, include, come parte integrante, la liberazione e la promozione del
l’uomo.17
13 E certo che qui non si ha la pretesa di documentare e mostrare scientificamente la
coscienza che la Chiesa ha espresso circa la propria natura e missione. Si sa che per fare ciò
non basterebbe elencare una serie di testi. Sarebbero necessari la lettura minuziosa e il con
fronto critico fra i testi. Si farà riferimento solo alla coscienza ecclesiale di più immediata evi
denza, che è stata ripresa, confermata e approfondita nei documenti postconciliari già citati.
14 Cf LG 1, in AAS 57 (1965), p. 5.
15 Cf GS 3, in Enchiridion Vaticanum (= EV) 1322-1323.
16 Cf ih. 4 e 11, in EV 1324 e 1352.
17 La riflessione della Chiesa sulla sua missione, primariamente evangelizzatrice, com
prensiva della liberazione e della promozione umana, è continuata anche da Giovanni Paolo
II, soprattutto con la RH (cf RH 14, in AAS 71 [1979], pp. 284-285), e con la SRS (cf SRS
41) e con l’Enciclica Redemptoris missio ( = RM) (cf AAS 83 [1991], pp. 249-340). Prima, pe
rò, di parlare della RH e della RM, sono necessari almeno alcuni richiami alla GS e alla EN.
A proposito della missione della Chiesa, nella GS si trova scritto: «Certo, la missione propria
che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale: il fine,
infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa
scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze, che possono contribuire a costruire e a con
solidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. Così, pure, dove fosse necessario, a
seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch’essa può, anzi deve, suscitare opere desti
nate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi, come per esempio, opere di miseri
cordia e altre simili» (GS 42, in EV 1450). Ma è specialmente la Lettera apostolica EN che
approfondisce il significato complessivo della missione della Chiesa. H cuore della missione è
l’evangelizzazione; traguardo dell’evangelizzazione è la salvezza-pienezza di vita: liberazione
dal peccato e divinizzazione dell’uomo, ma anche liberazione da tutte le conseguenze del pec
cato a livello individuale e sociale, e perciò liberazione e promozioni umane integrali (per l’ap
profondimento ecclesiologico e teologico dell’EN si rimanda a: D. Valentini, Il nuovo popolo
di Dio in cammino, LAS, Roma 1984, specie le pp. 11-48, 89 e ss). Tocca, invece, alla RH
illustrare il servizio globale della Chiesa all’umanità e al mondo unendolo al mistero della re
denzione in Gesù Cristo: Gesù Cristo è la via principale della Chiesa; Egli è via «alla casa del
Padre», ed è anche via a ciascun uomo. «In questa via che conduce da Cristo all’uomo, su
questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere fermata da
nessuno. Questa è l’esigenza del bene temporale e del bene eterno dell’uomo. La Chiesa, per
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sodale della Chiesa 343
In questo modo, la riflessione della Chiesa sulla propria natura e mis
sione è venuta motivando e giustificando una nuova pastorale in genere, e
una nuova PS in specie, quali espressioni del proprio essere apostolico. La
PS - per quanto si può ricavare dai documenti conciliari - non è tanto una
sezione dell’attività pastorale, è «essere» Chiesa, è tutta quanta la Chiesa
che, come comunità, come soggetto composito ed unitario, interagisce con la
società, la cultura, l’economia, la politica, nell’espletare la sua missione di
salvezza e di servizio all’uomo. E azione di evangelizzazione e promozione
umana che non concerne solo un settore o alcuni settori della vita sociale,
ma che tende a raggiungerli tutti.
Ne consegue che ogni comunità ecclesiale deve superare o integrare una
nozione di pastorale riduttiva, limitata al settore caritativo assistenziale, la
sciata a pochi volonterosi; ne consegue ancora che nella formazione alla PS si
deve presentare e far amare un’immagine nuova di Chiesa, che come co
munità è soggetto di PS, è comunione al servizio degli ideali del Regno nella
storia e nel territorio in cui è situata, quale fermento per tutte le realtà tem
porali.
3. La PS quale compito di tutta la Chiesa e molteplicità delle sue
dimensioni
Come la diaconia è compito di tutta la Chiesa, così la PS è compito di
tutta la Chiesa, sia pure secondo modalità, funzioni e competenze diverse. E
ciò perché vivere l’amore di Cristo, attuare l’instaurazione e la ricapitolazio-
riguardo a Cristo ed in ragione di quel mistero che costituisce la vita stessa della Chiesa, non
può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo, così come non può ri
manere indifferente a ciò che lo minaccia» (RH 13). Per questo la sollecitudine della Chiesa è
per l'uomo intero (cf RH 14). In altre parole, la Chiesa, realtà essenzialmente relativa a Cristo,
con il quale vive in intima comunione, esplica una missione primariamente religiosa; tuttavia è
componente essenziale di questa missione la promozione e la liberazione integrale dell’uomo,
giacché la salvezza portata da Gesù Cristo è salvezza che riguarda tutto l’uomo. La missione
del servizio «intero» della Chiesa al mondo e all’uomo importa, pertanto, l’impegno di una
evangelizzazione globale, comprensiva dell’evangelizzazione del sodale, la quale, a sua volta,
include un impegno di liberazione umana. Nella RM, a proposito della missione della Chiesa,
vengono ripresentati, sia pure per altra via, gli stessi contenuti della RH, in un contesto cultu
rale che sembra aumentare i dubbi sull’unicità di Cristo Salvatore e che tende a separare i va
lori evangelici dalla persona di Gesù Cristo. Riassumendo brevemente, per la RM la missione
della Chiesa non potrà prescindere, nel terzo millennio, dall’annuncio del Regno di Dio, che
implica, quale elemento centrale, l’annuncio di Cristo unico Salvatore; inoltre, non limiterà la
propria opera di liberazione e di promozione a semplice opera di promozione e di liberazione
umana, separata da Gesù Cristo. Per ulteriori approfondimenti sulla RM, si rimanda a: La
missione del Redentore, a cura di E. dal Covolo e A.M. Triacca, LDC, Leumann (Torino) 1992.
344 Mario Toso
ne di tutte le cose in Cristo, è vocazione di ogni cristiano in quanto battez
zato, cresimato ed «eucarìstizzato», è vocazione universale della Chiesa in
quanto continuatrice della missione del suo Fondatore.
Pertanto, attuare la PS è opera della Chiesa nella globalità e complessità
delle sue componenti: laici, pastori, religiosi/e, i quali hanno, ognuno, il dove
re-diritto della PS; o in ragione dell’inserzione battesimale in Gesù Cristo,
Sacerdote, Re e Profeta, o in ragione del ministero episcopale e sacerdotale, o
di una particolare consacrazione.
In particolare, il laico, è soggetto della PS innanzitutto come membro
della Chiesa che celebra i misteri di Cristo per la salvezza di tutto l’uomo e
del mondo; è soggetto come colui che, oltre ad essere responsabile della co
struzione della comunità ecclesiale con la testimonianza e l’opera di cateche
si, ha primariamente ed immediatamente, sebbene non esclusivamente, il
compito, in quanto singolo e associato, di cercare il Regno di Dio trattando
le realtà temporali e ordinandole secondo Dio;18 inoltre, come chi, per le ra
gioni suddette, è a vario titolo presente negli organismi ecclesiali e pastorali
(consigli pastorali parrocchiali, diocesani, organismi ecclesiali mondiali, dica
steri e consulte pontifìcie...),19 per far presenti i problemi emergenti, per col
laborare a loro possibili soluzioni e alle iniziative missionarie e apostoliche.
Il sacerdote, invece, è soggetto della PS, specialmente - ma non solo -,
presiedendo alla carità pastorale della comunità ecclesiale, mediante l’eserci
zio di un ministero di unità, di illuminazione e di orientamento delle coscien
ze dei fedeli laici quanto all’animazione del mondo secondo lo spirito cristia
no; fornendo nutrimento, energie e forza soprattutto amministrando i sacra
menti, ma anche con l’esempio.
Il religioso, la religiosa, sono soggetti della PS, in modo particolare, vi
vendo e testimoniando un’esistenza che, mediante la pratica dei consigli
evangelici, mette a disposizione di Dio e del prossimo la propria vita e quan
to si possiede. Essi testimoniano che il mondo non può essere trasformato se
non accettando e proclamando le beatitudini del Vangelo. La persona consa
crata nella castità, nella povertà e nell’obbedienza, si pone al servizio della
carità verso il sociale anche attraverso la preghiera e la contemplazione. Il
dono totale di sé a Cristo, secondo varie modalità, compresa quella di dedi
carsi agli ultimi, è carità che nutre la comunità ecclesiale, e nello stesso tem
po sospinge laici e sacerdoti a testimoniare e a realizzare, con sempre mag
gior slancio, il «mistero» della diaconia di Cristo e della Chiesa verso la so
cietà e il mondo.
18 Cf LG 31, in AAS 57 (1965), pp. 37-38; GS 43, in EV 1455; EN 70, in AAS 68
(1976), pp. 59-60.
19 Cf CL 25-31.
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sodale della Chiesa 345
In breve, laici, presbiteri, persone consacrate sono soggetti della PS se
condo la loro specifica vocazione. La loro presenza nella PS è diversa e com
plementare, per l’annuncio e la testimonianza plenari del «Vangelo della cari
tà» nel sociale. E presenza necessaria e richiesta per la completezza organica
del significato e dello svolgimento della PS, quale espressione di tutta la
Chiesa e quale partecipazione alla pienezza dell’opera salvifica di Cristo.
L’eredità preziosa lasciata dal Concilio Vaticano II, e messa in luce dal
Sinodo dei vescovi del 1985,20 è proprio questa: la Chiesa è ascolto e acco
glienza della Parola di Dio, è koinonia, è kerigma, è liturgia, è tutto questo
per essere diaconia, per essere, in ultima istanza, PS.21 La PS è frutto e ma
nifestazione della Chiesa-comunione, è «mediazione» della salvezza di Cristo
per tutte le realtà umane. È partecipazione all’opera di Cristo, che si incarna,
redime, ricapitola tutte le realtà terrestri, offrendosi al Padre come Capo di
un’umanità rinnovata. Mediante l’attuazione della PS non solo è svelata e
vissuta la vocazione integrale dell’uomo, ma vengono anche illuminati e rea
lizzati il senso e la «vocazione» delle realtà temporali: esse devono essere
amate come Dio le ama; occorre rispettarne l’autonomia e le leggi con le
quali il Creatore le ha poste in essere e in forza delle quali sussistono per
essere messe al servizio dell’uomo. Proprio per questo la PS appare come un
modo, originale e specifico, attraverso cui la Chiesa collabora alla realizza
zione di un mondo più umano e più giusto, a partire soprattutto dalla sua
competenza etico-religiosa, offrendo mezzi ed energie non solo naturali ma
anche sovrannaturali.
In quanto partecipazione al disegno di salvezza di Dio sul mondo e,
in particolare, all’opera redentrice e ricapitolatrice di Cristo; in quanto
compito di tutta la Chiesa, la PS non è definita adeguatamente se, con le
dimensioni metodologiche e prassiologiche, non se ne considerano anche
le dimensioni teologiche (trinitarie, cristologiche, pneumatologiche),22 ec-
20 Cf II Sinodo straordinario a ventanni dal Condlio, EDB, Bologna 1985.
21 Dal titolo della relazione finale del Sinodo straordinario a vent’anni dal Concilio risul
ta che la riflessione dei padri conciliari è stata in funzione della GS\ «La Chiesa nella Parola
di Dio celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo».
22 La PS trova l’orizzonte unificatore e motivante nella vita trinitaria, comunicata all’uo
mo mediante l’incarnazione-redenzione di Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo. Per que
sto la PS propone e vive Gesù Cristo come alfa ed omega di ogni impegno di diaconale tra
sformazione delle realtà sociali. Dall’incamazione-redenzione di Cristo essa attinge i fonda
menti di un nuovo «ethos» di presenza, di impegno eroico, per la nascita di un’umanità se
condo il disegno di Dio, per sconfiggere il male e accettare la vita nuova che viene dal Padre.
Dallo Spirito Santo, Paráclito, Consolatore, Spirito di Cristo e Spirito di Dio, riceve luce per
la lettura e l’interpretazione dei segni dei tempi, la forza propulsiva dell’amore, energie di sa
pienza e di testimonianza per la realizzazione della solidarietà, della giustizia, dell'unità della
famiglia umana, della civiltà dell’amore.
346 Mario Toso
clesiologicbe,2ì liturgico-sacramentali.2A Infatti, essa ha le sue sorgenti ine
sauribili nella vita dell’amore intratrinitario; è prosecuzione e prolungamento
ad extra della vita di comunione dei credenti con Dio, con Cristo, con lo Spi
rito Santo; trova il suo punto di partenza e di arrivo, la sua forza di conte-
stazione e di profezia - in un moto di circolarità continua - nella liturgia,
fons et culmen della vita cristiana.
Legata al mistero salvifico di Cristo, mistero di incarnazione-redenzione,
mistero pasquale, incontra criteri imprescindibili di azione nella teologia della
creazione e nella teologia della speranza, al di là degli estremi deU’incarna-
zionismo e dell’escatologismo ad oltranza. Riconoscendo e stimando la sana
laicità, i valori della secolarità, propone le ragioni di una fondata speranza;
attua un servizio profetico-critico di annuncio e di denuncia; guida e sospinge
i credenti a trasformare le realtà sociali con immaginazione, con inventiva
progettuale e operosità instancabile, giacché Cristo, l’Uomo nuovo, il Futuro
- non un futuro generico e transitorio, ma trascendente e definitivo -, attira
potentemente a sé l’umanità pellegrina nel tempo, in un processo di progres
siva identificazione, che avrà compimento solo alla fine dei tempi.
4. Perché educare alla PS?
Da quanto detto finora è facile ricavare perché non si può non educare
alla PS. Occorre educare alla PS innanzitutto perché senza farlo si finirebbe
per offrire una formazione teologica che non illustra e non approfondisce
adeguatamente il mistero totale di Cristo, venuto a rinnovare l’umanità e la
storia, assumendole e risignificandole. La cristologia, l’antropologia teologica,23 24
23 Si è già detto che la PS è espressione della Chiesa-comunione in stato di missione. La
PS vive, traduce, organizza la diaconia della Chiesa alle realtà sociali presenti nel territorio, in
un determinato contesto socio-culturale. Essa è vita ecclesiale, è partecipazione al mistero di
Cristo e alla ricapitolazione di tutte le cose in Lui come fatto personale e comunitario insie
me. Inoltre, è luogo di realizzazione dell’unità della missione e, nello stesso tempo, della
varietà delle vocazioni, perché le realtà temporali alle quali deve giungere la salvezza di Cristo
sono diverse.
24 Attraverso la liturgia, la Chiesa celebra il mistero della redenzione e della ricapitola
zione di Cristo, esprime adesione al disegno d’amore di Dio sul mondo. Nell’azione liturgica
sacramentale fa memoria della salvezza, ne annuncia l’ininterrotta continuità, si impegna a es
sere profezia di un’umanità rinnovata da Cristo. Ora, anche per la PS, la liturgia è «fons et
culmen». Le Chiese particolari, chiamate a farsi serve dell’uomo, a essere PS, nella liturgia e
nei sacramenti fanno esperienza della redenzione di Cristo, dell’amore misericordioso di Dio
e, nel contempo, ricevono il mandato di portare alle realtà sociali salvezza, vera solidarietà, ri
conciliazione. Sempre nella liturgia, le Chiese particolari, i fedeli, lodano e ringraziano Dio per
l’Amore donato e ricevuto, Gesù Cristo, e presentano, associandosi al sacerdozio del Nuovo
Adamo, il sacrificio di una vita dedicata alla liberazione e alla promozione plenaria degli uomini.
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sodale della Chiesa 347
l’ecclesiologia, la sacramentaria, ma non solo, verrebbero depauperate di una
dimensione fondamentale, in quanto la diaconia al sociale e al mondo è par
te essenziale dell’opera redentiva di Cristo, della vita ecclesiale e liturgica,
dell’azione cristiana, dell’educazione alla fede. In secondo luogo, perché non
si formerebbero candidati al sacerdozio secondo la prospettiva di una spiri
tualità incarnata, ma si preparerebbero educatori e banditori di un cristiane
simo svigorito e inautentico, preoccupato della salvezza di un uomo astratto,
incapace di inculturazione e di essere forza storica.
Se nel passato potevano esserci scusanti, dopo il Concilio Vaticano II,
Concilio pastorale, ve ne possono essere assai di meno per chi ignora e tra
scura nelle programmazioni degli studi teologici sia la pastorale in genere sia
la PS.25 In tali programmazioni, sempre per quanto già detto, la PS dev’esse
re vista non come un’appendice o un sovrappiù rispetto alle altre discipline
teologiche ma come il manifestarsi e l’attuarsi compiuto di queste, in quanto
sono dottrina e «verità-per-la-salvezza». E ciò perché, in ultima analisi, la PS
esprime, tematizzato, il loro orientamento essenziale, il loro «essere per l’uo
mo». Tutti gli studi teologici e umanistici devono allora essere armonizzati e
finalizzati a rendere i sacerdoti capaci di annunciare e di portare la salvezza a
ogni uomo e a tutto l’uomo. Se è vero che non esiste e non può esistere una
comunità ecclesiale senza dimensione diaconale, non si può ritenere di pre
pararne i futuri pastori e sacerdoti, in modo adeguato, senza abilitarli a pre
siedere, a vivere e ad animare la carità pastorale secondo tutte le sue dimen
sioni, comprese quelle sociali.26
5. Educare alla PS è preparare alla elaborazione e attuazione di un rin
novato progetto educativo-pastorale della comunità ecclesiale quanto
all’esercizio della diaconia relativa al sociale
Anche la PS, come ogni altra forma di pastorale, è volta all’azione. E
amare non solo a parole, ma coi fatti e nella verità.27 Nascendo dalla Parola
di Dio, prolunga l’opera rinnovatrice e liberatrice di Cristo, ed è espressione
25 Tuttavia anche negli ultimi documenti ecclesiali che si sono interessati della forma
zione dei futuri sacerdoti non sembra si facciano cenni espliciti alla figura rinnovata della PS,
intesa come disciplina a se stante, con una propria identità e un proprio statuto.
26 Un forte stimolo in tal senso viene dai già citati Orientamenti pastorali per gli anni
novanta della C.E.I., nei quali si afferma che il «Vangelo della carità» è al centro della «nuova
evangelizzazione» (cf Evangelizzazione e testimonianza della carità, Edizioni Paoline, Milano
1990, n. 25); che la comunità cristiana è comunità che annuncia, celebra e testimonia il «Van
gelo della carità» (cf ib., n. 28); che la testimonianza della carità va «pensata in grande» e
articolata nelle sue molteplici e correlate dimensioni (cf ib., n. 37).
27 Cf lGv 3,18.
348 Mario Toso
della sua carità verso tutto l’uomo e il cosmo. Essa deve formare, animare,
analizzare, progettare flessibilmente, attuare, ma anche far revisione inces
sante dell’esercizio della diaconia ecclesiale relativa al sociale, che viene rea
lizzato in un preciso contesto storico. Proprio per questo la PS deve assume
re una configurazione progettuale, giungendo a precisare obiettivi, mezzi,
ambiti, metodi, itinerari educativi e prassiologici, individuando scelte pasto
rali e programmazioni appropriate, tali da favorire una «nuova evangelizza
zione del sociale», concretamente realizzabile nell’ambiente in cui si opera.
In ultima analisi, la PS deve diventare sempre più puntuale riflessione teolo
gica e azione ecclesiale, capace di elaborare e realizzare un rinnovato progetto
educativo-pastorale, orientato alla formazione delle comunità cristiane e dei cre
denti, perché divengano sempre più soggetti maturi dell’esercizio della diaconia
ecclesiale al sociale, diaconia ad intra e diaconia soprattutto ad extra (carità, as
sistenza, educazione, liberazione e promozione umana, opzione preferenziale
per i poveri, animazione cristiana delle realtà temporali), nell’ambito di un
territorio definito, con specifiche caratteristiche socio-culturali ed ecclesiali.
Obiettivo principale della PS è la testimonianza e l’esercizio, efficace ed
efficiente, della diaconia ecclesiale al sociale, secondo varie specificazioni e le
esigenze storiche. Per conseguenza, la PS è chiamata a strutturarsi come atti
vità ecclesiale animatrice ed orientatrice, come attività evangelizzatrice, attività
volta alla «nuova evangelizzazione del sociale», comprensiva dell’impegno di
liberazione e promozione umana: con riferimento a vari ambiti (comunità cri
stiana, convivenza sociale, lavoro, economia, politica, cultura, mass-media,
ecologia...), alle diverse categorie di persone (fanciulli, giovani, adulti, profes
sionisti, anziani, ammalati, immigrati, nuovi poveri), ¡Cambiente socio-cultu
rale. Proprio per questo è in se stessa attività di coordinamento di vari sog
getti, singoli o associati, di varie iniziative; è elaborazione di itinerari educativi
differenziati; è formazione di quadri, è approfondimento e diffusione della
DSC, è collaborazione alla difesa e alla promozione dei diritti umani. Mentre
fa conoscere e capire, mentre cerca di innescare processi di trasformazione
delle realtà sociali a partire dal discernimento, mentre forma e ri-forma le
persone e le loro coscienze, mentre indica e attua mete, processi di matura
zione commisurati ai soggetti in contesto, la PS deve proporre valori, suscita
re atteggiamenti, far assumere responsabilità, abilitare alla testimonianza co
raggiosa di una fede che si incarna nella storia.
Obiettivo intermedio della PS è, pertanto, la formazione del cristiano ma
turo, capace di scoprire e vivere la propria vocazione alla diaconia al sociale,
armonizzando fede e impegno nelle realtà temporali.28
28Nella CL si afferma chiaramente che i fedeli laici devono essere formati aU’«unità di
vita», superando la frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura. I fedeli laici devono incar-
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sodale della Chiesa 349
Mentre vive e fa vivere la diaconia ecclesiale al sociale nella fede e nella
speranza, la PS ricorre ed educa alla metodologia del «vedere, giudicare,
agire»,29 aggiornata dal Concilio Vaticano II e chiamata anche metodologia
del discernimento.
Quanto detto, sia pure in modo sintetico, suggerisce che la formazione
dei candidati alla PS, come scienza ed arte del servire il sociale, non può deri
vare indirettamente dalla più globale formazione teologica, spirituale, o dal-
l’aver frequentato un corso di teologia pastorale. Occorrono tempi e spazi
anche per un proprio e vero corso di PS, affiancato, come si dirà tra poco,
dall’insegnamento della DSC. Inoltre, con i normali corsi teologici, sarà op
portuno che vi siano corsi di pedagogia e di metodologia pedagogica, non
tanto come corsi per se stessi, ma funzionali alla «pedagogia della fede», che
impegna contenuti, metodo e linguaggio nel comunicare la rivelazione di Dio
nella sua integrità e nel formare l’uomo plenario.30
In particolare, si esige che i futuri pastori, specie i futuri parroci, chia
mati ad apprendere e ad educare al «vedere, giudicare, agire», siano:
- ben informati e competenti sui valori implicati nei problemi della que
stione sociale;
- capaci di lettura teologica della stessa questione sociale, in modo da af
frontarne i nodi, le situazioni particolari, e indicarne prospettive sintetiche di
soluzione nella fede, nella speranza, nella carità. Coraggiosi nella denuncia e,
soprattutto, operosi nell’annuncio. E, quindi:
- attivi: nell’intervento, nella proposta, nella programmazione pastorale,
nella guida personale e di gruppo, nella formazione di coscienze morati ma
ture, che fanno sintesi fra fede e vita.
Ma anche:
- testimoni veri della carità di Cristo, gioiosi, generosi, disposti alla con-
nare la loro fede nella cultura. Se la loro fede non diventa cultura è una fede non pienamente
accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta. «Nella loro esistenza - è detto
nella CL -, non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta "spiritua
le", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la
vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. H tralcio,
radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza.
Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il
"luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a
servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto - come, ad esempio,
la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazio
ne dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura - so
no occasioni provvidenziali per un continuo esercizio della fede, della speranza e della carità»
(CL 59, pp. 168-169).
29 Cf Mater et magistra ( = MM) 217.
30 Cf Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae, EDB, Bologna 1979, nn. 58-59, pp. 42-44.
350 Mario Toso
versione e al rinnovamento continuo, e, se occorre, al martirio: l’esempio, si
sa, aggiunge credibilità all’annuncio e all’insegnamento;
-fratelli con ifratelli, senza estraneità e senza invadenze: servendo nello
stile del buon samaritano, sapendo «chinarsi sull’uomo contemporaneo mi
nacciato da tanti mali di ordine spirituale e materiale; far strada in compa
gnia con lui, caricandosi dei suoi problemi, istanze, bisogni»;31
- «liturghi» della diaconia al sociale: capaci di programmare e guidare le
celebrazioni cristiane esplicitando e sottolineando i rapporti dei sacramenti,
specie quello dell’Eucaristia, con la vita della comunità ecclesiale chiamata a
vivere anche la diaconia relativa al sociale, a farne un’offerta gradita a Dio, a
prendere energie di dono da Cristo.32
6. Educare alla PS è educare alla e mediante la pedagogia della stes
sa PS
La pedagogia della PS si concreta in tre momenti: Yistruzione, l'educa
zione, l'azione. Essi sono distinti, ma collegati fra loro. Anzi, uno fluisce dal
l’altro e si alimentano reciprocamente. Non è sufficiente l’istruzione, il cono
scere e il capire i problemi. Non basta saper discernere e possedere sensibi
lità o coscienza sociale, o avere una chiara visione dei propri impegni di dia
conia al sociale. Occorre amare e volere certi fini, mezzi, tecniche. E neces
sario avere una cultura del servizio. Bisogna essere educati e educarsi (auto-
educazione) mediante l’esercizio effettivo della diaconia al sociale, con l’aiuto
di guide esperte e competenti, progettando, sperimentando, verificando, co
ordinando. Occorre saper comunicare e testimoniare, per poter efficacemen
te realizzare una «nuova evangelizzazione del sociale».
Viene allora spontaneo pensare che nell’educazione alla PS, nei Seminari
e nelle Università pontificie, nei loro programmi formativi, deve essere pre
stata maggior attenzione:
- ad una conoscenza essenziale della storia del movimento cattolico, della
storia della carità pastorale nell’epoca moderna e contemporanea, con particolare
riferimento alla storia del luogo ove vivranno i futuri sacerdoti;
31 Conferenza Episcopale Italiana, Comunione e comunità missionaria (29.6.1986), in
«Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 21 (1986) 2, p. 176.
32 Cf D. Sartore, Formazione degli operatori pastorali alla diaconia della carità nella litur
gia, in AA.W., La Carità. Teologia e pastorale alla luce di Dio-Agape, a cura del Pontificio
Istituto Pastorale dell’Università Lateranense, EDB, Bologna 1988, p. 262; L. Brandolini,
Animazione liturgica, in Nuovo Dizionario di Liturgia, a cura di D. Sartore - A.M. Triacca,
Ed. Paoline, Roma 31988, pp. 52-65.
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sodale della Chiesa 351
- allo studio dell’essere diaconale della Chiesa in se stesso e come si è espres
so attraverso i secoli, con riferimento alla Bibbia, alla tradizione patristica e
teologica, alla storia della Chiesa, all’antropologia, alla morale sociale filosofi
ca e teologica..., al fine di far assumere un’autentica cultura della diaconia-,33 34
- allo studio serio della dottrina sociale della Chiesa, contenuta anche nei
documenti delle Conferenze episcopali, come si raccomanda vivamente nei
già citati Orientamenti, secondo i quali si devono programmare corsi obbliga
tori, a sé stanti, per questa disciplina: solo così i futuri sacerdoti potranno
essere in possesso dei grandi parametri biblico-teologici, antropologici, filo
sofici, metodologici, dell’intervento pastorale nel sociale; solo così potranno
comunicare ed educare i laici ai principi di riflessione, ai criteri di giudizio,
alle direttive essenziali, che costituiscono la sostanza della dottrina sociale,
impegnata nell’evangelizzazione del sociale;
- a graduali e formative esperienze di pastorale sociale, all’incontro e al dia
logo con testimoni viventi della carità pastorale.
Ma l’obiettivo dell’educazione alla PS non è raggiunto se, dopo aver of
ferto tante nozioni sociali e metodologiche, non si è riusciti a suscitare vero
interesse, sincero amore e viva sensibilità per la diaconia al sociale e la DSC.
E, perciò, anche necessario, forse più di ogni altra cosa, educare i futuri pre
sbiteri alla spiritualità dell’incarnazione, del dono, della croce, della Pasqua, ad
una spiritualità della PS.}4 Solo quando la carità di Cristo che si incarna,
muore, risorge, diventerà atteggiamento personale e permanente della pro
pria vita sarà possibile anche amare quei mezzi e quelle prassi che aiutano a
concretarla nel quotidiano in tutta la sua ampiezza.
7. Il perché dell’utilizzo della DSC nella formazione alla PS
Sia che si consideri il presbitero a servizio del sacerdozio dei laici, sia
che lo si consideri a servizio della Chiesa, che ha il fine dell’evangelizzazione
plenaria, ossia un’evangelizzazione comprensiva dell’evangelizzazione del so
ciale, risulta indispensabile e imprescindibile l’apporto della DSC nella for
mazione alla PS e alla formazione globale del futuro sacerdote.
Infatti, la PS in quanto tale non può espletare compiutamente il proprio
33 A questo proposito possono offrire buoni spunti: AA.W., Diaconia della carità nella
pastorale della Chiesa locale, a cura di P. Doni, Libreria Editrice Gregoriana, Padova 1985; G.
BuTTURlNI, Breve storia della carità. La Chiesa e i poveri, Libreria Editrice Gregoriana, Padova
1988.
34 Alcune linee di questa spiritualità si possono trovare in Pastoral sodai, pp. 205-224.
352 Mario Toso
compito senza l’ausilio della DSC, che ne è una fonte privilegiata.35 Una PS
senza il contributo della DSC è azione ecclesiale maggiormente esposta
all’improwisazione, alla superficialità, ad un impegno missionario di evange
lizzazione ridotto e sfuocato.
D’altra parte, la DSC nasce dalla preoccupazione pastorale della Chiesa,
che vuole portare la salvezza a ogni uomo, a tutto l’uomo. Viene elaborata
con lo scopo di costituire un sapere teorico-pratico, orientativo dell’azione,
quale approccio più adeguato alla conoscenza e all’interpretazione etico-reli
giosa della realtà sociale, in vista della «nuova» evangelizzazione, intesa in
senso ampio.36 Proprio per questo la DSC è postulata dalla stessa PS come
parte integrante ed essenziale al raggiungimento del proprio fine, e può es
serne considerata, per certi aspetti, un’espressione particolare.
Ecco, in breve, perché PS e DSC non possono rimanere disgiunte nella
formazione del sacerdote, volendo entrambe servire l’uomo, la via che la
Chiesa è chiamata a percorrere, perché già battuta da Cristo.37
8. L’utilizzo della DSC nella formazione alla PS e alla formazione globa
le del sacerdote
La DSC contribuisce alla formazione del futuro presbitero non solo in
quanto pastore ma anzitutto in quanto uomo e in quanto cristiano.
Favorisce la sua crescita umana, di essere sociale, cittadino del mondo,
vocato alla solidarietà, alla fraternità universale, all’impegno della costruzione
di un mondo più giusto e pacifico. In altri termini, la DSC aiuta il futuro sa
cerdote a rendersi conto dell’interdipendenza che lo lega inevitabilmente
all’umanità, ai suoi destini e ai suoi traguardi. Gli conferisce sensibilità per i
35 Altre fonti della PS sono, a vario titolo, la S. Scrittura, la Tradizione della Chiesa, le
scienze bibliche, teologiche, sia teoretiche sia pratiche, le scienze umane - economiche, socia
li, giuridiche, filosofiche, pedagogiche, psicologiche... -, le persone e i gruppi sociali concreti
nei loro doveri-diritti e in contesto, l’azione liturgica. La DSC è fonte della PS in quanto è
sforzo continuo di interpretare le realtà sociali alla luce del Vangelo, per orientare il compor
tamento del credente (cf SRS 41). Cosi, la PS trae dalla DSC, più che un ricettario di tecni
che e di programmi per risolvere i problemi sociali, un insieme di motivazioni, di principi ispi
ratori, di profili sintetici, di indicazioni metodologiche essenziali per orientare cristianamente
l’azione dei fedeli e rinvigorirne la coscienza nello svolgere le attività a contenuto economico,
sociale e politico.
36 Negli Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa si
trova scritto che la dottrina sociale è «sapere teorico-pratico di portata e proiezione pastorale,
coerente con la missione evangelizzatrice della Chiesa, al servizio di tutto l’uomo, di ogni uo
mo e di tutti gli uomini» (cf Orientamenti, 5).
37 Cf RH 14, in AAS 71 (1979), pp. 284-285.
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 353
problemi di tutto l’uomo, l’uomo concreto e non astratto e, inoltre, lo so
spinge all’esercizio di quelle virtù umane che tanto sono apprezzate anche
dai non credenti: le virtù della prudenza, della giustizia, della fortezza e della
temperanza. Soprattutto ne favorisce l’apertura al dialogo, alla collaborazio
ne, sollecitandolo a fare della propria vita un dono gioioso.
Ne prepara, invece, la maturità cristiana in quanto lo forma all’impegno
nella diaconia, secondo le modalità della fede, della speranza, della carità,
che lo abilitano ad essere vero testimone di Cristo.
Ma qui interessa di più, ai fini del discorso scelto, considerare l’apporto
della DSC alla formazione del presbitero, soggetto responsabile, assieme ad
altri soggetti, della PS.
Per individuare un tale apporto non si può, però, prescindere dalle «me
diazioni» in cui si trova implicata l’esistenza del presbitero. Egli, in quanto
sacerdote, è segno-persona di Cristo, per l’edificazione della Chiesa e del
Regno di Dio nel mondo. È cioè a servizio di Cristo, della Chiesa, del Re
gno di Dio e del mondo. E ministro della Parola di Dio, ministro della san
tificazione con i sacramenti, guida ed educatore del popolo di Dio.38
Pertanto, considerando il futuro impegno nella PS dei candidati al sa
cerdozio e volendo determinare l’utilizzo della DSC nella loro formazione, si
dovranno tener presenti i compiti che essi svolgeranno nella Chiesa. Questi
compiti costituiscono la traccia e la guida per descrivere l’utilizzo e il ruolo
della DSC nella formazione alla PS e nella formazione globale.
In quanto impegnato nella PS il sacerdote è chiamato ad annunciare la
verità salvifica; ad educare ad una fede matura, ossia capace di incarnarsi
nella storia; ad animare e sostenere l’impegno di liberazione e promozione
umana dei laici; a illuminarli sulla «liturgia della vita», perché portino la vita
nella liturgia; a costruire e a conservare l’unità nella carità pastorale; a rende
re testimonianza alla verità, alla giustizia, alla solidarietà e alla carità, alla mi
sericordia.
8.1. Il pastore ha il dovere di essere maestro della verità salvifica
Il pastore è essenzialmente maestro, più che di una verità umana, della
verità che viene da Dio; verità che porta con sé il principio dell’autentica li
berazione dell’uomo, liberazione integrale, religiosa e temporale. La verità
che la Chiesa, il sacerdote, ma anche ogni fedele laico deve annunciare, ha il
proprio centro in Gesù Cristo, salvatore del mondo. Annunciando Gesù Cri
38 Cf A. Favale, Il ministero presbiterale, LAS, Roma 1989, pp. 113-208.
354 Mario Toso
sto, predicando il suo Vangelo, si generano uomini nuovi, si immettono nella
società e nella storia energie nuove, si pongono le basi per una prassi più
adeguata e le radici di una nuova cultura.39 Diffondendo la luce del Vangelo,
facendo vivere l’amore cristiano, gratuito e universale, che deriva la sua
natura da quello di Cristo, il sacerdote mostra come più cogenti le esigenze
della giustizia. L’annuncio del comandamento nuovo - «Come io vi ho ama
ti, così amatevi anche voi gli uni e gli altri» (Gv 13,34-35) - impegna chi
proclama il messaggio cristiano e chi lo accoglie nel rispetto di ciascun essere
umano, dei suoi diritti.
La DSC entra nel compito del sacerdote di proclamare il mistero del
Verbo incarnato - e, quindi, nell’impegno di dire la verità completa sull’esse
re umano e di annunciare una salvezza per tutto l’uomo -, come parte es
senziale, come strumento indispensabile rispetto allo scopo. Essa, infatti, co
me si è già detto, è esercizio del ministero dell’evangelizzazione nel campo
del sociale.40 Si può anche dire che è, a suo modo - lo è divenuta maggior
mente in questi ultimi anni, mentre prima si prestava di più per la pre-evan-
gelizzazione -, catechesi.41
La DSC va, pertanto, utilizzata nella formazione alla PS e nella forma
zione globale per consentire ai futuri presbiteri di essere soggetti di evangeliz
zazione plenaria. Tramite essa potranno illuminare meglio il mistero dell’uo
mo, svelandone più compiutamente la vocazione: l’uomo, immagine di Dio,
è irriducibile a una semplice particella della natura o ad un elemento anoni
mo della città umana; egli, nella sua interiorità, trascende l’universo.42 Anzi
ché essere strumento dei processi economici e politici, ne è l’autore, il cen
tro e il fine.43 L’uomo, secondo il disegno divino, è chiamato a «sottomette
re» a sé tutto il creato, per ricapitolarlo in Cristo.
Mediante la DSC, gli aspiranti al sacerdozio saranno soprattutto prepa
rati ad annunciare una verità «teorico-pratica» sull’uomo sociale, non solo
39 Cf Giovanni Paolo Et, Discorso per Vinaugurazione della III Conferenza generale del
CELAM a Puebla: Confessare Cristo davanti alla storia (28 gennaio 1979), in I documenti sociali
della Chiesa, a cura di R. Spiazzi, Massimo, Milano 21988, vol. H, nn. 2-4, pp. 1165-1168;
Congregazioni! per ij\ Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione,
Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1986, nn. 3-4, pp. 4-6; nn. 61-64, pp. 35-38.
40 Cf5R¿41.
41 Avendo Giovanni Paolo II affermato che «la "nuova evangelizzazione" deve annovera
re tra le sue componenti essenziali l’annuncio della dottrina sociale della Chiesa» (CA 5) e
che «la dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione» (CA 54), si
può benissimo concludere che la DSC è da considerarsi elemento indispensabile per l’educazione
alla fede. Su questo cf M. Toso, La dottrina sociale della Chiesa strumento necessario di educa
zione alla fede, in «Orientamenti pastorali» 4-5 (1992), pp. 77-78.
42 Cf GS 12 e 14, in EV 1355-1357 e 1363-1364.
43 Cf ih. 63, in EV 1533.
Formazione del presbitero, pastorale sodale e dottrina sodale della Chiesa 355
concernente il suo essere ma anche il suo agire. In altri termini, il loro an
nuncio integrale del Vangelo non sarà soltanto comprensivo dell’enunciazione
delle verità rivelate e dei grandi ideali morali additati da Gesù Cristo, bensì
anche dell’indicazione di come essi debbono divenire prassi cristiana nei vari
contesti storici.
Proprio per questo l’annuncio della verità «teorico-pratica» della DSC
implicherà la proposizione di elementi di valore permanente e di elementi di
valore contingente o di semplice opportunità. Toccherà, allora, ai formatori
sia presentare agli alunni lo statuto di mediazione della DSC, in modo che
ne siano evitate interpretazioni e letture escatologistiche e utopistiche, sia in
segnare a distinguere in essa principi sempre validi da formulazioni e con
cretizzazioni particolari, relative a un determinato contesto socio-culturale.'’'1
Giacché la mediazione attuata nella DSC non è mai definitiva e rappresenta
l’arte difficile di essere fedeli a Dio e fedeli all’uomo concreto, al di là degli
estremi dell’ontologismo morale e dell’etica della situazione.
In breve, grazie alla DSC, ai futuri sacerdoti sarà fornita una competenza
di base, per interpretare le realtà sociali, per esaminarne la conformità o dif
formità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vo
cazione terrena e soprannaturale, e per orientare la prassi liberatrice e pro
mozionale del cristiano, offrendogli le basi di un’etica del compimento uma
no integrale,4445 etica incarnata e della costruttività.46
8.2. La DSC aiuta il futuro sacerdote ad essere educatore di una fede matura
Il sacerdote, nel suo ministero, è chiamato a formare personalità cristia
ne mature, specialmente attraverso l’offerta e l’interiorizzazione di un pro
getto di vita attorno cui unificare scelte, impegni, attitudini. Un tale progetto
implica l’acquisizione stabile e salda di una mentalità di fede, ossia di un mo
do di vedere, giudicare, scegliere, amare e sperare, analogo a quello di Cri
sto.47
Ora, proprio lo studio e l’assimilazione della DSC, durante il periodo di
formazione, metteranno il futuro sacerdote in grado di favorire e risvegliare
44 Cf Istruzione su libertà cristiana e liberazione, n. 72, p. 42.
45 Cf G. Grisez, Christian Moral Prindples, Franciscan Herald Press, Chicago 1983, pp.
184-185.
46 Cf M. Toso, Catechesi e dottrina sodale della Chiesa, in «Orientamenti pedagogici» 37
(1990), 5, pp. 959-991.
47 Cf Conferenza Episcopale Italiana, Il rinnovamento della catechesi, Edizioni Pasto
rali Italiane, Roma 1970, n. 38, pp. 33-34.
356 Mario Toso
nei laici il desiderio della conversione o del cambio degli atteggiamenti spiri
tuali, in particolare quelli riguardanti i rapporti sociali, le responsabilità nei
confronti del «peccato sociale» e delle «strutture di peccato».'18 Contempora
neamente, lo aiuteranno a formare i fedeli laici agli atteggiamenti propri della
vita cristiana, ossia alla vita teologale, all’esercizio della fede, della speranza,
della carità, nelle situazioni concrete. Detto in altri termini, la competenza
nella DSC e l’amore per essa renderanno l’azione pastorale dei candidati al
sacerdozio più solerte nell’introdurre i credenti alla conoscenza piena del mi
stero di Cristo, nell’educarli al discernimento, nell’iniziarli all'agire «da» cristiani.
8.2.1. Gli atteggiamenti e virtù fondamentali della vita cristiana suggeriti dalla
DSC e utili per il futuro sacerdote nella formazione di cristiani maturi
Si fa qui qualche cenno più ampio sugli atteggiamenti e sulle virtù teolo
gali della fede, della speranza e della carità, come vengono proposte dalla
DSC.
Nella DSC la fede non è fede per se stessa, senza conseguenze per la
vita sociale. La fede in Dio e nel suo progetto - ricapitolazione di tutte le
cose in Cristo - diventa criterio di giudizio e di azione, capacità di discernere
le cose e le situazioni alla luce del Vangelo e di agire di conseguenza se
condo la volontà del Padre. Mentre svela le intenzioni di Dio sulla vocazione
integrale dell’uomo, guida l’intelligenza e la volontà verso soluzioni piena
mente umane dei problemi.48 49 50
Fa comprendere che nel disegno divino l’atti
vità umana - economica, politica, culturale, artistica - deve corrispondere ed
essere finalizzata al vero bene dell’umanità, e che l’uguaglianza di cui godo
no i figli di Dio non sopporta discriminazioni di alcun genere e ingiuste di
sparità economiche e sociali.30 Aiuta a riconoscere e ad apprezzare la giusta
autonomia delle realtà terrestri.51 Anziché allontanare dai doveri terreni, ob
bliga ancor di più a compierli.52 Per la fede, il Verbo incarnato perfeziona il
carattere comunionale della creazione, la Chiesa è fermento e quasi l’anima
della società umana,53 il cristianesimo è fonte di civiltà e di fratellanza uni
versale.
Proprio per tutto questo, il sacerdote che avrà approfondito il messaggio
48 Per un approfondimento sul tema delie «strutture di peccato» cf AA.W., Strutture di
peccato, a cura di S. Bastianel, Piemme, Casale Monferrato 1989.
49 Cf GS 11, in EV 1352.
50 Cf ih. 29, in EV 1409-1412.
51 Cf ib. 36 e 41, in EV 1430-1432.
52 Cf ib. 43, in EV 1454.
53 Cf ib. 40, in EV 1443.
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 357
sociale pontificio potrà presentare ai credenti una fede che tende spontanea
mente all’efficacia di vita, mediante opere: non solo quelle caritative ed assi-
sten2iali, ma anche quelle di animazione cristiana delle realtà temporali, di
pianificazione globale dell’economia, di produzione di beni e di servizi, di
gestione della cosa pubblica, di solidarietà.
Così, per la DSC la speranza, benché protesa verso la terra e i cieli nuo
vi, sollecita nel lavoro relativo alla terra presente, ove cresce il corpo di quel
l’umanità che già riesce ad offrire una certa prefigurazione adombratrice del
l’Umanità che siede alla destra del Padre.54 Ma alla speranza cristiana non
basta alcun progetto. Essa raffronta continuamente la presente realtà storica
con il progetto di Dio, per riconoscervi i segni del Regno che viene,55 per
individuarne manchevolezze e caducità.56 Pertanto, la speranza diventa, per
se stessa, incessante e continua riproposta di un disegno positivo sull’umani
tà. Nella DSC fede e speranza si intrecciano e si condizionano reciprocamen
te nel «vedere, giudicare, agire» del cristiano. Da esse il credente è sollecita
to alla denuncia e, soprattutto, all’annuncio, a vincere lo sconforto e la rasse
gnazione inoperante.
La carità, invece, intesa nella DSC specialmente come misericordia e
perdono,57 mentre è suggello dell’autenticità della fede, è la fonte più pro
fonda e più preziosa della giustizia. E la più perfetta incarnazione dell’ugua
glianza tra gli uomini.58
Non è solo legge fondamentale della perfezione umana, ma anche della
trasformazione del mondo.59
Nella carità la forza creativa della fede e della speranza è potentemente
dinamizzata e moltiplicata, fino quasi a raggiungere le dimensioni della crea
tività e della progettualità divine, suscitando iniziative, organizzazioni,60 azioni
disinteressate e più umane,61 propiziando l’instaurazione di un retto ordine
sociale, ordine di pace,62 di fraternità.63
54 Ciib. 39, in EV 1439-1441.
55 Cf PP 79.
56 Cf Giovanni Paolo II, Messaggio all'O.N.U. (25 agosto 1980) 6, in I documenti sociali
della Chiesa, vol. H, p. 1248.
57 Cf ad es. GS 38 e 78, in EV 1437 e 1589-1590.
58 Cf Giovanni Paolo Ù, Dives in misericordia 14, in AAS 12 (1980), pp. 1221-1228.
59 Cf GS 48, in EV 1437.
60 Cf Pio XI, Divini Redemptoris 47-49, in I documenti sociali della Chiesa, vol. I, pp.
354-355; PP 75.
61 Cf MAI 235.
62 Cf Benedetto XV, Pacem Dei munus pulcherrimum 1-4, in AAS 12 (1920), pp. 209-
212; Pio XI, Quadragesimo anno 138-139; GS 78, in EV 1588-1589.
63 Cf GS 38, in EV 1437-1438.
358 Mario Toso
È chiaro, allora, come il sacerdote impegnato nell’educazione di cristiani
maturi non possa prescindere dalla DSC, dalla sua articolazione specialissima
delle tre virtù teologali, indispensabili e fondamentali per la spiritualità di
ogni credente.
8.2.2. La DSC, nelle mani del sacerdote, potrà essere scuola di discernimento
La DSC, come già si è accennato, potrà divenire, nelle mani del futuro
pastore, una scuola per il discernimento, per sé e per la comunità ecclesiale
nella quale avrà responsabilità. Infatti, il magistero sociale della Chiesa è in
se stesso animato dalla metodologia del «vedere, giudicare, agire», chiamata
anche metodologia dei «segni dei tempi». Con lo stesso Concilio Vaticano
H, con Paolo VI e, soprattutto, con Giovanni Paolo II, una tale metodologia
viene proposta riflessamente come anima della prassi pastorale. Simultanea
mente, viene dotata di maggior spessore biblico-teologico, patristico. Così
nell’interazione tra Chiesa e società, tra Chiesa e cultura, tra Chiesa e terri
torio, può essere estrinsecata una prassi pastorale che nella lettura dell’esi
stente, nefl’interpretarlo e nel giudicarlo, nell’elaborazione dei piani di azio
ne, diviene più esplicitamente «cristiana» nelle motivazioni, più «profetica».64
8.2.3 .La DSC aiuta il futuro sacerdote a formare ad una prassi di ispirazione
cristiana
La DSC, infine, metterà il futuro presbitero in condizione di poter ini
ziare i credenti ad un’azione secondo l’ispirazione cristiana. Per i pontefici, la
fede, i valori evangelici e umani, conducono a scegliere metodi di azione
omogenei con i fini di umanizzazione che si devono perseguire, rispettosi
della dignità delle persone. La prassi «cristiana» del credente non può pre
scindere, oltre che dal metodo di discernimento sopracitato, dal metodo
della «lotta per la giustizia»,65 dal veritatem facientes in cantate, dal metodo
della non violenza: esattamente quei metodi - occorre riconoscerlo - che
nell’attuale contesto socio-culturale di caduta delle vecchie ideologie, paladi
64 Grazie all’accresciuto spessore biblico, teologico, patristico, il momento del «vedere»
gode di una visione più completa della realtà, considerata non solo negli aspetti misurabili o
quantitativi, etici, culturali, ma anche in quelli teologici. H momento del «giudicare» giunge ad
esprimere giudizi più puntualmente etico-teologici. Il momento dell’«agire» si apre alla pro
posizione di direttive di azione che fanno maggiormente appello alle motivazioni e alle energie
soprannaturali.
65 Cf LE 20.
formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 359
ne della violenza, appaiono chiaramente come quelli che sono umanistica
mente più adatti alle conquiste civili e democratiche.66
8.3. Il sacerdote è chiamato ad animare l’impegno di liberazione e di promozione
umana dei laici
Per i pontefici, come per san Giacomo, la fede senza le opere è morta.
Ma le opere, che sono espressione dell’impegno di liberazione e promozione
umana, sono varie. Fra quelle «sociali» si possono annoverare: le opere di
misericordia corporali e spirituali, l’assistenza, il volontariato, l’educazione
nella scuola e nella famiglia, l’impegno nei mass-media, il lavoro, l’imprendi
torialità economica, la costruzione della pace... Certamente il servizio della
politica non è l’ultima ma, forse, una delle principali opere cui è chiamato il
cristiano, perché tramite essa si pongono le condizioni sociali, economiche,
giuridiche, culturali, per lo sviluppo plenario delle persone. La politica, se
condo i pontefici, è l’ambito ove l’esercizio della carità trova un vasto campo
di applicazione, sia nell’impegno delle riforme sia dedicandosi generosamen
te all’opera di costruzione architettonica del bene comune. Basti anche solo
ricordare che per Pio XI la politica è «il campo della più vasta carità, della
carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, es
sere superiore».67 Analogamente, secondo Paolo VI, la politica è per i cristia
ni una maniera esigente - anche se non la sola - di vivere l’impegno cri
stiano a servizio degli altri.68
Orbene, grazie alla DSC, i candidati al sacerdozio impareranno ad avere
non un atteggiamento di ripulsa ma di giusto apprezzamento della politica,69
senza contrapporla e separarla dall’impegno sociale nei «mondi vitali». Inol
tre, saranno coscientizzati sui loro doveri e sui limiti del loro intervento, ri
spetto a campi di azione che appartengono più propriamente ai laici.70 A
questi, più propriamente, come afferma la Evangelii nuntiandi, spetta il com-
66 Una conferma lampante si può trovare nella CA, che propone esplicitamente come via
alternativa alla violenza e alla guerra la via della lotta pacifica e della non violenza: cf G. Mat
tai, Pace guerra non violenza nella «Centesimus annus», in Frontiere della nuova evangelizzazione:
la «Centesimus annus». Studi sull’Enciclica sociale di Giovanni Paolo II, a cura di M. Toso,
LDC, Leumann (Torino) 1991, pp. 91-102, specie pp. 94-97.
67 L'Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, p. 3.
68 Cf OA 46.
69 Cf GS 75, in EV 1573.
'° Per quanto riguarda, ad esempio, la posizione del ministero ordinato nei confronti
delle questioni politiche cf G. Frosini, Impegno cristiano. Per una teologia della politica, Edizio
ni Paoline, Milano 1992, pp. 219-225.
360 Mario Toso
pito dell’evangelizzazione nel mondo vasto e complicato della politica, della
realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle ar
ti, della vita internazionale, degli strumenti di comunicazione sociale; ed an
che di altre realtà, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e de
gli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza.71 Mentre il laico è mag
giormente vincolato all’impegno diretto nella politica, il presbitero, nei con
fronti della stessa politica, ha di più una responsabilità di ordine pastorale.72
Dalla DSC, in particolare, i futuri presbiteri apprenderanno che il loro
intervento pastorale gode di una competenza essenzialmente etico-religiosa,
non tecnica; che i cristiani che si impegnano nel sociale e nella politica non
possono rinunciare alla progettualità, all’ispirazione cristiana,73 alla legittimità
del pluralismo e alle implicanze dello stesso pluralismo.74
Nell’insegnamento sociale pontificio troveranno, sia pure non formulato
esplicitamente, un ideale storico concreto di società, fondata sui valori essen
ziali della libertà di autonomia, del sano pluralismo, dell’autonomia delle
realtà terrestri, dell’autorità come servizio, di una fraternità civile, compren
siva della prospettiva di una democrazia organica e partecipadva, da propor
re, senza tutele clericali, a chi si impegna nella liberazione e nella promozio
ne integrale.75 Non come una «terza via», non come un progetto societario
71 Cf EN 70, in AAS 68 (1976), p. 60.
72 Cf OA 25.
73 Cf GS 75, in EV 1577. Paolo VI scrive: «Nelle situazioni concrete e tenendo conto
delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni pos
sibili» (OA 50). D’altra parte il riconoscimento teorico-pratico del pluralismo politico reca
con sé alcune implicanze, quali: il rispetto dell’originalità di ciascuno; la relativizzazione della
propria scelta politica; il divieto di considerare la propria scelta come espressione unica del
Vangelo e dell’insegnamento sociale della Chiesa; la proibizione di implicare la comunità ec
clesiale e la gerarchia nella propria scelta (cf A. Martini, La comunità ecclesiale e il credente in
Cristo nell'impegno politico oggi, Edizioni LIEF, Vicenza 1976, pp. 49-54).
'4 Uno studio interessante sui vari «ideali storici concreti» elaborati dal magistero sociale
attraverso le varie Encicliche sociali dei pontefici è quello di P. De Laubier, Il pensiero sociale
della Chiesa cattolica. Una storia di idee da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Massimo, Milano
1986. Tra le Encicliche sociali di Giovanni Paolo II è soprattutto la CA che più si impegna a
delineare un nuovo «ideale storico concreto». Per conoscere i tratti essenziali di questo ideale
storico concreto si rinvia alla stessa CA e a M. Toso, Sentieri della «nuova evangelizzazione» e
dell'educazione: la «Centesimus annus», in «Orientamenti pedagogici» 39 (1992) 1, pp. 9-31,
specie pp. 27-28. Confrontando la progettualità dell’ideale storico concreto illustrato nella CA
con la progettualità di altri ideali storici del precedente magistero sociale, si nota che essa si
differenzia almeno per una particolare attenzione al fatto economico, alla dimensione morale
del vivere democratico, alla necessità di superare una cultura consumistica ed alienata, dan
nosa per l’ecologia ambientale ed umana. I tratti fondamentali della libertà e del pluralismo
risentono, poi, del nuovo contesto sociale, più intemazionalizzato, segnato dal crollo di regimi
socialisti totalitari e da migrazioni massiccie verso i Paesi del benessere.
75 Cf SRS 42.
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 361
tutto compiuto e determinato, bensì come immagine prospettica, elaborata
per un contesto socio-culturale secolarizzato, di marcato pluralismo ideologico
e religioso.
Tale ideale storico concreto ha il valore di un orizzonte ontologico, axio-
logico, teleologico unitario, valido per tutti i credenti. Esso può e deve avere
concretizzazioni storiche molteplici. Quasi «movente intenzionale» della pras
si di liberazione e promozione cristiane, aiuta i credenti, impegnati nell’opera
di costruzione di una società più giusta sulla base dell’opzione preferenziale
dei poveri,76 a non perdere l’unità sulle cose necessarie.77
Se l’ideale storico concreto proposto dai pontefici appare vicino ideolo
gicamente alla prospettiva di uno Stato sociale democratico, occorre però
sempre distinguerlo da ogni ordinamento sociale, economico e politico parti
colare, storicamente attuato. La DSC non sviluppa alcun ordinamento o si
stema sociale particolare per l’immediata applicazione alle varie situazioni,
bensì elabora principi, criteri di giudizio, direttive di azione essenziali, di ca
rattere generale. L’incarnazione e la traduzione di essi nelle diverse circo
stanze di un determinato paese è compito dei laici e delle loro competenze.78
Più concretamente, i futuri sacerdoti potranno, grazie allo studio attento
della DSC, educare il fedele laico al dovere-diritto di partecipare alla vita
pubblica, illustrare meglio i criteri che presiedono all’impegno politico secon
76 Cf OA 50; M. Toso, Chiesa e Welfare State, LAS, Roma 1987, p. 136.
7' Cf T. Herr, La dottrina sociale della Chiesa, a cura di G. Angelini, Piemme, Casale
Monferrato 1988, p. 120.
78 Criteri che presiedono all’impegno politico secondo l’ispirazione cristiana sono: fedeltà
al Vangelo, all’insegnamento sociale della Chiesa, alle persone concrete, alla situazione storica,
all’autonomia della politica. Fedeltà al Vangelo: il Vangelo riguarda tutto l’uomo, abbraccia an
che la dimensione politica della sua vita. Anche se non offre un progetto societario o politico,
offre una serie di valori e di esigenze che si pongono come ispirazione costante, come giudi
zio e profezia di ogni azione politica. Fedeltà alle persone concrete-, il cristiano in politica è inco
raggiato dall’insegnamento sociale della Chiesa a tenere presente la criteriologia della persona,
nella globalità delle sue dimensioni e, in modo particolare, i più poveri. Fedeltà all’insegna
mento sociale della Chiesa-, l’insegnamento sociale della Chiesa, elaborato in modo autoritativo
e secondo un primo grado di discernimento e di mediazione, contiene in se stesso il raffronto
fra valori, esigenze evangeliche ed azione politica. La fedeltà all’insegnamento sociale della
Chiesa e ai suoi orientamenti - alcuni più cogenti, altri meno - diventa, allora, una forma di
fedeltà - ora più diretta ora più indiretta - al messaggio evangelico. Fedeltà alla politica-, la
politica gode di una sua autonomia. E che vuol dire che è un ordine del vivere sociale, creato
da Dio come buono e valido in se stesso e per se stesso; che non ha un’autonomia assoluta,
ma dipende da Lui e dall’ordine morale. Inoltre, che non dipende direttamente dall’ordine
religioso. Da questo non prende il fine, le leggi e il metodo. Così, non è al suo servizio di
retto. Ciononostante l’ordine politico, espressione dell’uomo creato e redento da Cristo, deve
armonizzarsi con l’ordine religioso, deve ordinarsi ad esso come a ciò che l’anima e lo porta a
compimento.
362 Mario Toso
do l’ispirazione cristiana.79 Così, potranno educare più facilmente ad una
mentalità di servizio, al senso dei doveri sociali,80 ad uno stile di vita cristia
no, facendo comprendere la necessità di una coscienza morale retta e di una
solida preparazione socio-politica di base.81
8.4. Il sacerdote ha l’impegno di costruire e mantenere l’unità nella PS
La DSC va impiegata nella formazione alla PS in quanto rende il futuro
presbitero capace di essere guida e animatore di una PS comunitaria, com
partecipata , coordinando l’azione dei singoli e dei gruppi. Senza coartare la
giusta autonomia dei laici, anzi incentivandola; rendendo i laici capaci di
partecipare, secondo le loro competenze, all’elaborazione e all’applicazione
della PS e della stessa DSC, il presbitero deve svolgere il ministero o il servi
zio della comunione: comunione anzitutto con Cristo, comunione tra i mem
bri della Chiesa. Una tale comunione implica il superamento di tensioni e
difficoltà che possono sorgere fra individui e fra gruppi, sia nel modo di con
cepire sia nel modo di attuare la carità pastorale. Implica la circolazione di
idee, lo scambio di esperienze, la collaborazione fra le varie competenze, il
convincimento di essere tutti impegnati nell’unica missione salvifica della
Chiesa.
Dalla DSC non ci si può aspettare a questo proposito un vademecum.
Tuttavia si possono trovare in essa alcuni suggerimenti preziosi. L’ecclesio
logia sottesa alla Gaudium et spes e alle varie Encicliche sociali post-conciliari
sospingono il futuro sacerdote a farsi promotore e servo della comunione ec
clesiale, perché la comunità cristiana non sia divisa o ripiegata su se stessa,
ma sia unificata nello spirito missionario per una più incisiva azione evange
lizzatrice. Egli deve ricordare ai credenti il dovere di illuminarsi vicendevol
mente attraverso il dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e
avendo cura in primo luogo del bene comune.82 In tal modo, riconoscendo
l’autonomia dei laici in politica e in altri settori, il futuro pastore si prepara a
fare delle comunità cristiane organismi armoniosi, centri di pensiero e di ri
flessione morale, soggetti comunitari propositivi, aperti al dialogo con le isti
tuzioni e i vari soggetti presenti nel territorio, anche di ispirazione non cri
stiana: per convergere, senza compromessi, sulle cose oneste e buone, nel
'9 Cf M. Toso, Realtà e utopia della politica, Dehoniane, Roma 1989, pp. 94-99.
80 Cf GS 75, in EV 1578.
81 Cf GS 43, in EV 1456; OA 48, in AAS 63 (1971), pp. 437-438.
82 Cf OA 48.
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 363
servizio alle persone concrete; rispettando gli avversari, distinguendo tra
errore e errante,83 tra false dottrine filosofiche e movimenti socio-politici.84
Detto in altri termini, il futuro presbitero, grazie anche alla DSC, vivrà l’e
sercizio del proprio ministero di unità a vantaggio dell’efficacia evangelizza
trice della comunità cristiana.
Ma non si può dimenticare che l’unità nella PS si realizza più facilmente
se le menti dei fedeli laici sono «omogeneizzate» secondo una saggezza or
ganica o sapienza globale; tale cioè da consentire l’esplicazione delle attività
umane unificando gli sforzi domestici, professionali, scientifici e tecnici in
una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima dire
zione tutto viene coordinato a gloria di Dio.85 La DSC, che è sempre stata, e
sta divenendo sempre più esplicitamente, armonizzazione tra scienze antro
pologiche e discipline della fede, appare allora per il candidato al sacerdozio
anche strumento indispensabile per la realizzazione dell’unità e della coope
razione nella PS: unità e cooperazione, anche in questo caso, nelle cose ne
cessarie, senza condanne del sano e legittimo pluralismo ecclesiale nell’eser
cizio della carità pastorale.
8.5. Il pastore dev’essere testimone della verità, della giustizia, dell’amore non
violento e creatore di una pedagogia di formazione all’apostolato sociale
Dalla DSC si possono anche ricavare validi insegnamenti per formare il
sacerdote ad essere testimone coraggioso della verità, della giustizia e dell’a
more, specie in ambiti socio-culturali contrassegnati dalla violenza e da aspri
conflitti sociali e politici. Chi denuncia ed educa gli altri ad essere voce di
chi non ha voce, a lottare per la giustizia, specie mediante il metodo della
non violenza, deve lui per primo dire la verità, essere giusto e non violento,
sull’esempio di Gesù Cristo. Orbene, tutta la DSC è in se stessa, così come
è elaborata, mezzo di formazione per la testimonianza, mediante l’impegno
per la giustizia e la pace. Sebbene non lo dichiari sempre esplicitamente,
essa ha come fine quello di preparare autentici testimoni di Cristo. Quando
lo è in modo palese e dichiarato, invita la Chiesa, in tutte le sue componenti
- pastori, laici, religiosi/e -, ad essere segno visibile di unità,86 di fraternità;87
83 Cf GS 28, in EV 1407.
84 Cf Giovanni XXTTI, Pacem in terris 84.
83 Cf GS 43, in EV 1454.
86 Cf ih. 92, in EV 1640.
87 Cf ih. 92, in EV 1638.
364 Mario Toso
la sospinge alla condivisione dei beni con i più poveri,88 ma anche alla de
nuncia coraggiosa dei mali sociali e culturali, dei sistemi e delle «strutture di
peccato» che attentano alla dignità e alla libertà dell’uomo,89 per cambiarli,
se occorre e quando sia possibile, mediante il metodo della resistenza attiva
pacifica.
Vale, poi, senz’altro la pena, dopo quanto detto, tenendo conto che il
futuro sacerdote dovrà essere creatore e promotore fra i laici di una peda
gogia di formazione all’apostolato sociale, rilevare qui la necessità che nelle
Università Cattoliche, Pontificie, nei Seminari, si realizzi concretamente il
dialogo tra scienze antropologiche e discipline della fede. Senza tale incontro
- non solo dichiarato ma attuato - è impossibile fornire ai candidati al sa
cerdozio (e anche ai laici) quella cultura nella quale la fede si incarna per
rendere l’uomo più uomo, per farlo più libero e solidale. Senza un piano di
coordinamento e di interdisciplinarità risulterà anche più difficile l’integrazio
ne tra formazione spirituale, dottrinale e pastorale, raccomandata dall’Opta-
tam totius per i seminaristi.90 Proprio per queste ragioni, le Università e i
Seminari - ma non bisogna dimenticare gli Istituti di Scienze religiose - de
vono essere luoghi ove si pongono le basi di una saggezza organica e di una
pedagogia di formazione all’apostolato sociale, entrambe indispensabili per il
successo della PS. Il futuro della Chiesa nel terzo millennio, la fortuna della
«nuova evangelizzazione», evangelizzazione plenaria, di ogni uomo e di tutto
l’uomo, dipenderanno allora, per molta parte, dalle Università e dai Semina
ri, dalla loro strutturazione degli studi, dalla capacità di approntare metodi e
linguaggi atti a comunicare la totalità della rivelazione e a far capire che nel
cristianesimo si trova il vero umanesimo nel quale Dio e uomo, fede e ra
gione, sacrifìcio e azione, formano un’unità indissolubile. Dalle Università e
dai Seminari dovranno uscire coloro che domani si impegneranno ad evange
lizzare tutto l’uomo, i promotori di un umanesimo plenario, i fautori più con
vinti della cultura della solidarietà e della pace. Ecco perché le Università
Cattoliche, Pontificie e i Seminari devono oggi presentarsi come istituzioni
con vocazione di servizio all’uomo integrale, alla verità, alla giustizia, all’amo
re non violento, senza incertezze e senza lentezze.
88 etileni.
89 Cf Istruzione su libertà cristiana e liberazione nn. 74-75, pp. 53-45; SRS 36.
90 Cf OT 8, in EV 788.
Formazione del presbitero, pastorale sociale e dottrina sociale della Chiesa 365
8.6. Il pastore ha la funzione di guidare i fedeli alla «liturgia della vita» per far
ne un’offerta gradita a Dio
L’utilizzo della DSC nella formazione è anche da raccomandare per ren
dere il futuro sacerdote soggetto coordinatore e animatore di una PS in fe
conda interazione con la liturgia, con la celebrazione del mistero di Cristo.
La PS, infatti, pur non essendo direttamente e formalmente educazione
alla preghiera, iniziazione sacramentale e liturgica, è senz’altro iniziazione alla
diaconia sociale, economica, politica, iniziazione alla «liturgia della vita» nelle
cose temporali. In essa si possono trovare spunti e suggerimenti - che
potranno e dovranno aumentare nelle future Encicliche - per una preghiera
e una liturgia dense del quotidiano, lontane dal ritualismo e dal formalismo.
•k k k
Se la PS è, a vario titolo, dovere-diritto dei vescovi e dei laici, lo è an
che dei sacerdoti. Per motivi analoghi lo è anche la DSC. Se tutto ciò è vero
è necessario che qualcosa cambi nella formazione dei sacerdoti. Il futuro del
cristianesimo in Italia e in Europa dipenderà molto, lo si voglia o no, proprio
da un’evangelizzazione plenaria e, quindi, da una preparazione accurata delle
guide spirituali del popolo di Dio alla PS e alla DSC, a livello di Chiesa uni
versale e di Chiesa particolare.
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