USO DELLA PSICOLOGIA NELLA FORMAZIONE
SACERDOTALE E RELIGIOSA NEL RISPETTO
DEI DIRITTI DELLA PERSONA
Premessa
Anche se già in antecedenza non mancavano dei
richiami autorevoli1, è ben noto come sia stato il Con
cilio Vaticano II a dare un forte impulso all’idea che
nella Chiesa si facesse uso anche degli apporti delle
scienze umane in tutti quei campi dove si parla della
risposta che l’uomo è chiamato a dare alla divina vo
cazione (cf. GS 5.52.54.62; GE 1; CD 14; OT2). Pun
tualmente questa esigenza di integrazione tra i mezzi
tradizionali ed i moderni strumenti forniti dalle scien
ze psicologiche è stata ripresa dai documenti del Ma
gistero postconciliare in particolar modo per quanto
concerne la formazione al sacerdozio e alla vita
consacrata2. Ed il nuovo Codice di diritto canonico, in
1 Cf. Pio XII, Costituzione Apostolica Sedes Sapientiae, 31
maggio 1956, in AAS 48 (1956) 359; Pio XII, Allocuzione Ai par
tecipanti al XIII Congresso internazionale di psicologia applicata,
10 aprile 1958, in AAS 50 (1958) 274.
2 Cf. Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis caelibatus, 24
giugno 1967, in AAS 59 (1967) 654-704; EVI, 1415-1513, nn. 60-
61; Congregazione dei seminari e degù istituti di studi, Istru
zione Il presente sussidio, sulla formazione al celibato sacerdotale,
11 aprile 1974, in EV 5, 195-426, nn. 26-38-90; Congregazione
dei seminari e degli istituti di studi, Regolamento Hodierni co
natus, Regolamento fondamentale per la formazione sacerdotale,
19 marzo 1985, Città del Vaticano 1985, nn. 9.12; Congregazione
PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLI-
382 G. VERSALDI
armonia con queste indicazioni conciliari e del Magi
stero, ha emanato norme che prevedono l’uso degli
strumenti psicologici sia neH’ammissione sia nel di-
scernimento vocazionale: il c. 1051,1° richiede che il
rettore del seminario dia attestazione anche della sa
lute psichica del candidato all’ordinazione ed il c.
1041, elencando le irregolarità a tale ordinazione, po
ne al primo posto quei disturbi psichici che rendono
inabile il candidato all’esercizio adeguato del sacro
ministero ed il cui accertamento è da farsi mediante la
consultazione di esperti; e per la riammissione di un
ordinato affetto da disturbi psichici all’esercizio del
ministero sacerdotale il c. 1044, §2, 2° richiede il per
messo dell’Ordinario dopo consultazione di un esper
to; ed il c. 642, concernente l’ammissione al noviziato,
richiede ai Superiori una vigile cura nel verificare la
necessaria maturità dei soggetti ricorrendo anche a
degli esperti.
Tuttavia l’applicazione concreta di queste chiare
direttive non è stata priva di difficoltà sia per Soggetti
va problematica insita nella integrazione tra diversi
approcci disciplinari sia per gli abusi che di fatto si
sono compiuti anche in buona fede nell’uso dei meto
di e delle tecniche psicologiche. Contro tali abusi non
sono mancati nel passato opportuni richiami
autorevoli3, e si è poi provveduto ad inserire nel nuo
vo Codice una norma apposita ed esplicita a salva-
guardia del diritto naturale alla buona fama e alla di
CA, Istruzione Renovationis causam, sull’aggiornamento della for
mazione alla vita religiosa, 6 gennaio 1969, in AAS 61 (1969) 103-
120; EV 3, 694-747.
3 Cf. Pio XII, Allocuzione Ai partecipanti... (cf. nt. 1), 277;
Sacra Congregatio S. Officii, Monitum Cum compertum, in
AAS 53 (1961) 571.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 383
fesa della propria intimità: si tratta del c. 220 del vi
gente C.I.C., che recita «nemini licet bonam famam,
qua quis gaudet, illegitime laedere, nec ius cuiusque
personae ad propriam intimitatem tuendam violare».
Come giustamente commenta V. Marcozzi, «il c.
220 potrebbe far nascere in qualcuno il sospetto che la
Chiesa sia contraria all’indagine psicologica in sé. Ciò
è falso»4. Infatti, se è evidente che una approfondita
indagine psicologica non può non entrare nella «inti
mità» della persona, è altrettanto vero che a determi
nate condizioni tale indagine non solo è lecita, ma an
che utile e doverosa. Il suddetto canone, infatti, proi
bisce la violazione fatta «illegitime» a significare ap
punto che ci può essere un modo «legittimo» di entra
re nella intimità della persona. E certamente la prima
e fondamentale condizione di legittimità è che il sog
getto dia un libero e consapevole assenso alla indagi
ne psicologica. Nello stesso senso Marcozzi scriveva
che «gli esami della personalità di qualsiasi natura,
che portano alla conoscenza (più o meno attendibile)
della vita intima o interiorità dell’esaminando, non
sono leciti, se non dopo aver ottenuto il consenso in
formato e libero dell’interessato... Lo psicologo poi è
pure tenuto al segreto, e, senza il consenso dell’inte
ressato, non potrà comunicare a chicchessia le cono
scenze apprese nell’esame della personalità»5.
Il problema, dunque alla luce del Magistero ed
anche della legislazione canonica, non si pone nei ter
mini della questione se si possono usare anche le
4 V. Marcozzi, Il diritto alla propria intimità nel nuovo Codi
ce di diritto canonico, in La Civiltà Cattolica 134/IV (1983) 574.
5 V. Marcozzi, Indagini psicologiche e diritti della persona,
in La Civiltà Cattolica 127/11 (1976) 551.
384 G. VERSALDI
scienze psicologiche nel discernimento e nella forma
zione sacerdotale, ma piuttosto come usare questi
strumenti insieme cogli altri mezzi più tradizionali on
de raggiungere quel fine della formazione sacerdotale
che è quello di portare il candidato a stabilire un rap
porto personale con Cristo mediante una maturazione
integrale della persona per una idoneità all’esercizio
fecondo del ministero pastorale (cc. 244; 245). Del
resto, ogni intervento educativo, essendo sempre un
intervento anche sugli elementi psichici della persona,
fa sempre necessariamente uso di strumenti psicologi
ci: è per questo motivo che il Concilio, trattando dei
superiori del seminario, stabiliva non solo che essi fos
sero scelti tra gli elementi migliori, ma anche che fos
sero «diligentemente preparati con un corredo fatto di
solida dottrina, di conveniente esperienza pastorale e
di una speciale formazione spirituale e pedagogica»
(OT 5) ed a questo fine indicava la necessità di orga
nizzare «appositi istituti o almeno dei corsi con pro
grammi organici» (OT 5). Ed ultimamente la Congre
gazione per l’educazione cattolica ha emanato delle
«Direttive sulla preparazione degli educatori nei se
minari» in cui si legge che tali educatori devono posse
dere tra l’altro «un autentico senso pedagogico» che è
«una dote speciale che non si improvvisa», ma che
dipende anche da una «buona conoscenza dei principi
di una sana psico-pedagogia»6.
Il problema è quello di rendersi conto in modo
più reale e profondo di questi processi psichici e, dati i
progressi delle scienze in questo campo, di una accet
tazione positiva, anche se prudente, del contributo
scientifico oggi disponibile.
6 Congregazione per l’educazione cattolica, Direttive
sulla preparazione degli educatori nei seminari, in L’Osservatore
Romano, 12 gennaio 1994, n. 5.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 385
I. Il vero problema
Ed è circa i modi legittimi ed efficaci nell’uso del
la psicologia nel discernimento e nella formazione vo
cazionale che si è venuto a creare un falso problema
che, a volte, ha fatto riemergere la questione circa il
«se». Mi riferisco alla questione non raramente solle
vata circa la compatibilità tra l’uso degli strumenti psi
cologici da parte dell’istituzione formativa ed il diritto
soggettivo dei candidati alla propria buona fama e alla
tutela della propria intimità, diritto naturale contenu
to nel c. 220.
La falsità del problema consiste nel porlo in ter
mini sbagliati e cioè mettendo in alternativa o opposi
zione i diritti legittimi del candidato e quelli non meno
legittimi dell’istituzione formativa: può l’istituzione
chiedere al candidato l’uso di questi strumenti psico
logici per accertare e promuovere la sua idoneità e
può il candidato rifiutare di servirsi dei medesimi
mezzi?
Posta in questi termini la questione non porta a
nessuna possibile composizione dei diritti/doveri in
gioco, ma conduce inevitabilmente ad una scelta tra il
diritto soggettivo del candidato, che si orienta a resi
stere ad una conoscenza di sé da parte dei Superiori
appellandosi al legittimo diritto menzionato nel c.
220, ed il diritto/dovere dei Superiori che non possono
ammettere all’ordinazione nessun candidato senza
una reale e sostanziale conoscenza che li porti ad una
positiva e morale certezza circa la sua idoneità (c.
1052).
Due ragioni mi sembrano spingere ad impostare
diversamente il problema:
a) tutti i documenti citati del Magistero ed anche
la logica che ispira la filosofia del diritto portano nella
386 G. VERS ALDI
direzione di una composizione piuttosto che di una
contrapposizione dei diritti mediante la delimitazione
dei confini tra i medesimi: si tratta dunque di vedere
come si può salvaguardare la tutela dell’intimità della
persona con il diritto/dovere dell’istituzione di giunge
re ad una sua sostanzialmente piena e reale conoscen
za che comprende anche gli elementi psichici attraver
so i quali il soggetto corrisponde alla vocazione;
b) ma ancora più forte mi pare la seconda ragio
ne, che scaturisce dal fatto che la libera e spontanea
scelta del soggetto nell’uso degli strumenti psicologici
ancor prima di essere un legittimo diritto, sanzionato
nel suddetto c. 220, è una fondamentale esigenza sia
metodologica sia deontologica proprio nel campo del
la scienza psicologica applicata in questo contesto for
mativo. Nessun serio professionista, che voglia colla
borare agli stessi fini che si propone la formazione sa
cerdotale, potrebbe mai accettare di iniziare un lavo
ro psicologico con un candidato senza una sua libera e
convinta scelta e collaborazione. L’esercizio del dirit
to alla tutela della propria intimità è il presupposto o
condizione per l’uso dei mezzi psicologici e, dunque,
sarebbe vano l’esercizio del diritto/dovere dei Supe
riori di conoscere il candidato anche con l’uso della
psicologia in quanto, senza questo presupposto, non
si raggiungerebbe lo scopo desiderato.
Per impostare correttamente il problema bisogna,
a mio parere, porlo in termini seguenti: come ottenere
questa libera e responsabile collaborazione del candi
dato anche nell’uso degli strumenti psicologici così
che i Superiori possono conoscerne l’idoneità e la ma
turità per il ministero sacerdotale?
Le seguenti appaiono come condizioni che riten
go necessarie, tra altre possibili, per raggiungere que
sta collaborazione nella formazione:
USUS PS YCHOLOGI AE IN FORMATIONE 387
1) È necessaria una chiara presentazione da par
te dei Superiori già fin dai primi contatti con i candi
dati del significato dell’ammissione e della formazione
nel seminario. Deve essere chiaro al candidato che la
sua richiesta ed il suo proposito circa la vocazione sa
cerdotale, ed anche la sua ammissione al seminario,
non rappresentano la fine, ma l’inizio di un impegno,
che, pur essendo da ultimo orientato al sacerdozio,
immediatamente deve essere assunto come disponibi
lità alla formazione secondo le modalità offerte dall’i
stituzione. Si tratta dunque di avere dal candidato
questa fiducia nel progetto educativo, senza la quale
viene a mancare un presupposto essenziale per il lavo
ro formativo. Come chiaramente afferma la Ratio
fundamentalis institutionis sacerdotalis del 1985: «Se
riguardo ai mezzi si può instaurare un utile dialogo e
una fruttuosa ricerca con gli alunni, la finalità del se
minario e di tutta l’educazione deve essere sempre
ben chiara fin dall’inizio, come base di tutte le consi
derazioni e come punto di riferimento di ogni discus
sione. Infatti, quanto più chiaramente verrà proposta
ai giovani la sublime finalità della formazione, tanto
più volontieri cercheranno essi stessi concordemente i
mezzi più adatti a raggiungerla e, guidati dal desiderio
del bene comune e della volontà di Dio, scopriranno il
vero senso della libertà e dell’autorità» (n. 2). Se, al
contrario, mancasse questo dialogo e questa fiducia
oppure esistesse nel candidato una preconcetta deter
minazione a raggiungere il suo obiettivo senza la col
laborazione con l’istituzione formativa, allora man
cherebbero le condizioni non solo per un uso efficace
degli strumenti psicologici, ma altresì per qualunque
seria crescita umana e cristiana.
2) In secondo luogo ritengo essenziale che la
proposta educativa da parte dell’istituzione venga fat-
388 G. VERSALDI
ta in modo unitario e differenziato con la partecipa
zione positiva e convinta da parte di tutti i formatori
anche per quanto riguarda la proposta degli strumenti
psicologici per la loro conoscenza e crescita personale
dei candidati. E infatti molto importante che ai candi
dati giunga un messaggio univoco e positivo da parte
dell’intero corpo educativo poiché non solo i disaccor
di espliciti, ma anche i semplici silenzi o le omissioni
in questo campo portano ad ambiguità e sfiducia che
complicano ancor più il già non facile cammino di cre
scita dei giovani. Il contenuto specifico poi per quanto
riguarda la proposta degli strumenti psicologici non è
meno importante. Come verrà certamente illustrato
più ampiamente nella relazione circa gli aspetti psico
logici della formazione, questi strumenti non servono
solo e neppur principalmente per una verifica di as
senza di disturbi nell’area della psicopatologia, quan
to piuttosto per aiutare il giovane a conoscere meglio
se stesso a livello psicologico come condizione per una
maggiore libertà di aderire e di realizzare gli ideali
vocazionali. Si tratta, dunque, di un significato più
preventivo e pedagogico che non diagnostico e curati
vo da attribuire all’uso della psicologia nella forma
zione sacerdotale così che la proposta possa essere ri
volta a tutti i candidati e non solo a quelli che possono
dimostrare più fragilità dal punto di vista psicologico7.
3) È anche necessario che l’offerta degli aiuti psi
cologici non sia astratta, ma fornisca concretamente
l’indicazione di persone professionalmente preparate
che si ispirino esplicitamente ad una visione della na
tura umana e della vocazione sacerdotale conforme a
7 L.M. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana. Basi
interdisciplinari, Casale Monferrato 1985, 269ss.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 389
quella propria della stessa istituzione formativa. Infat
ti, gli inviti del Concilio e del Magistero a fare buon
uso delle scienze psicologiche è sempre accompagnato
da un richiamo perché si faccia una scelta critica tra le
diverse correnti alFinterno delle suddette scienze, che
sottointendono diverse antropologie non tutte compa
tibili con l’antropologia cristiana (cf. OT3.11)8. È in
fatti facilmente immaginabile e storicamente docu
mentabile quale danno alla formazione sacerdotale
producano interventi psicologici selvaggi ed indiscri
minati che apparentemente vogliono rimanere neu
trali di fronte ai significati della vita sacerdotale, ma
che in realtà sono riduttivi della vocazione cristiana in
generale e di quella sacerdotale in particolare. Gio
vanni Paolo II nel contesto della trattazione delle cau
se canoniche di nullità matrimoniale, diverso da quel
lo della formazione e tuttavia analogo per quanto ri
guarda la possibilità di integrazione tra scienze psico
logiche e scienze sacre, affermava: «Il dialogo e una
costruttiva comunicazione tra il giudice e lo psichiatra
o psicologo sono più facili se per entrambi il punto di
partenza si pone entro l’orizzonte di una comune an
tropologia, così che, pur nella diversità del metodo e
degli interessi e finalità, una visione resti aperta all’al
tra», e concludeva che «è, in ogni caso, fuori dubbio
che una approfondita conoscenza delle teorie elabora
te e dei risultati raggiunti dalle scienze menzionate
(scienze psicologiche) offre la possibilità di valutare la
risposta umana alla vocazione al matrimonio in un
modo più preciso e differenziato di quanto lo permet
terebbero la sola filosofia e la sola teologia»9.
8 Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzione agli Uditori della R.
Rota, 5 febbraio 1987, in AAS 79 (1987) 1453-1459.
9 Ibid., nn. 2.3.
390 G. VERSALDI
È pertanto grave dovere dei superiori, pur nel ri
spetto della libertà di scelta dei candidati, vigilare af
finché nell’offerta di diverse opportunità nell’uso de
gli strumenti psicologici si rimanga sempre all’interno
di questa compatibilità antropologica, evitando così
inutili e dannosi rischi ai giovani candidati. Questa fi
gura professionale, che si affianca a quella degli altri
formatori del seminario, si rivela di grande vantaggio
sia ai candidati sia agli altri formatori nel momento
dell’ammissione come pure nella formazione e nel di-
scernimento finale per l’ordinazione quando si do
vranno superare tutti i ragionevoli dubbi circa l’ido
neità del candidato (c. 1052, §3).
Queste condizioni dovrebbero, a mio avviso, fa
vorire il clima di collaborazione necessario perché i
candidati liberamente e spontaneamente possano fare
uso anche degli aiuti psicologici oggi disponibili. Se
così avviene, allora non sorgono problemi né giuridici
né educativi e, insieme con l’aiuto degli altri strumenti
di formazione, i fini dell’istituzione diveranno vera
mente più accessibili ai giovani candidati. Va comun
que sottolineato ancora che l’intervento dello psicolo
go rimane rivolto direttamente e primariamente al
soggetto e che solo mediante una esplicita e formale
dichiarazione del medesimo soggetto lo psicologo può
comunicare coi superiori, altrimenti vale l’obbligo del
segreto professionale. Col permesso del candidato,
che si è liberamente sottoposto alla valutazione psico
logica, la comunicazione dei risultati di tale consulta
zione ai superiori non solo è legittima, ma anche au
spicabile, differendo in ciò il ruolo dello psicologo da
quello del confessore e del direttore spirituale, il cui
parere invece non può mai essere richiesto per il di-
scernimento vocazionale (c. 240, §2).
Bisogna tuttavia considerare anche l’ipotesi che,
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 391
nonostante l’offerta da parte dell’istituzione degli aiu
ti psicologici secondo le condizioni sopra descritte, il
candidato rifiuti di servirsene oppure, una volta fatta
la consultazione psicologica, non dia il permesso di
comunicarne i risultati ai superiori. È evidente allora
che nessuna pressione o ricatto può essere fatto da
parte di nessuno degli educatori, i quali dovranno
procedere nel discernimento nel modo tradizionale,
servendosi degli altri mezzi che sono comunque a lo
ro disposizione. È altresì evidente che, in presenza di
incertezze e dubbi ragionevoli e altrimenti insorgenti,
i medesimi superiori, privati dalla legittima scelta del
candidato di un mezzo per risolverli, non potranno in
coscienza ammettere il soggetto all’ordinazione in vir
tù del già citato c. 1052, §3, secondo cui non è lecita
l’ordinazione in presenza di motivi certi per dubitare
dell’idoneità del candidato. Se i superiori procedesse
ro altrimenti o violerebbero il diritto del candidato
alla tutela della propria intimità (nel caso in cui lo
volessero costringere a sottoporsi ad una valutazione
psicologica per risolvere i loro dubbi) oppure si espor
rebbero al rischio di un grave errore nel discernimen
to vocazionale qualora, per un falso rispetto del dirit
to soggettivo, ammettessero comunque il candidato
all’ordinazione nonostante fondate ragioni di dubbio
sulla sua idoneità. Ed è questo il punto di connessione
con un’altra questione, e cioè il problema della di
spensa dagli obblighi del celibato sacerdotale, in cui
pure si ripresenta la necessità del dialogo tra scienze
psicologiche e giuridiche.
392 G. VERSALDI
II. Dispensa dagli obblighi del celibato sacerdo
tale
Sia i documenti del magistero (Ratio fundamen
talis, 1985, n. 40) sia lo stesso C.I.C. (c. 1051) richie
dono una non superficiale valutazione dei candidati
all’ordinazione come obbligo di giustizia da parte dei
superiori affinché non si permetta che il candidato si
inganni circa la propria scelta vocazionale10. Vi è una
oggettiva connessione tra questo obbligo dei superiori
e la richiesta di dispensa dagli obblighi del celibato
sacerdotale da parte poi del medesimo sacerdote che
intenda lasciare la propria vocazione.
E noto che i criteri vigenti per la concessione del
la grazia della dispensa dal celibato sono contenuti
nelle Norme emanate dalla S. Congregazione per la
dottrina della fede nel 1980, anche se, con la riforma
della Curia romana, le domande di dispensa sono ora
esaminate presso la Congregazione per i Sacramenti.
Uno di questi criteri per consigliare al S. Pontefice la
concessione della dispensa fa riferimento a quei casi
di coloro che non avrebbero dovuto essere ordinati
perché i superiori competenti, a suo tempo, non furo
no in grado di giudicare nella maniera dovuta se il
candidato fosse realmente adatto a vivere stabilmente
nel celibato11.
Trattandosi di una dispensa e non di un processo
giudiziario per la dichiarazione di nullità dell’ordina-
10 Cf. anche Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis caeli
batus (cf. nt. 2), n. 63.
11 Congregazione della dottrina della fede, Lettera cir
colare Per litteras ad universos, sulla dispensa dal celibato sacer
dotale, 14 ottobre 1980, in AAS 72 (1980) 1133-1135; EVI, 572-
578, §5.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 393
zione sacerdotale (regolato dai cc. 1708-1712 del
CIC), non si può parlare in termini di giustizia in sen
so stretto. D’altra parte l’ipotesi contemplata nel do
cumento fa riferimento ad un errore oggettivo da par
te dei superiori circa l’idoneità del candidato non solo
ad assumere, ma anche a «vivere stabilmente» la vita
celibataria. Né si tratta solo della ipotesi più grave di
una vera incapacità del candidato di vivere il celibato,
bensì dei casi in cui al momento dell’ordinazione esi
stevano già quegli elementi che potevano fondare ra
gionevoli dubbi circa l’idoneità del candidato, ma che
i superiori non furono in grado di valutare corretta-
mente e che poi portarono all’esplodere della crisi sa
cerdotale e alla richiesta di dispensa. A nessuno sfug
ge la delicatezza di questo criterio e la sua difficoltà di
applicazione in quanto appare ardua la distinzione tra
incapacità e grave difficoltà e più ancora ardua appare
la valutazione delle cause della crisi sacerdotale nei
singoli individui. Ed è qui che può ancora una volta
soccorrere la scienza psicologica, purché in armonia
con una corretta visione della natura umana e del sa
cerdozio.
Per quanto riguarda l’incapacità di vivere il celi
bato sacerdotale vale il criterio secondo cui questi casi
vanno ricercati nell’area della psicopatologia, in ana
logia con quanto la dottrina e la giurisprudenza stabi
liscono per le cause di dichiarazione di nullità del ma
trimonio canonico. Per quanto invece concerne quelle
difficoltà già presenti e non risolte nel periodo di for
mazione, che poi fanno esplodere crisi fino alla richie
sta di dispensa, la psicologia moderna ed i risultati di
appropriate ricerche indicano che la principale sor
gente di tali casi va identificata in quella dimensione
subconscia della vita psichica dove, senza l’uso di spe
cifici strumenti professionali, possono annidarsi con-
394 G. VERSALDI
flitti ed inconsistenze vocazionali che perdurano e si
aggravano nel tempo rendendo insopportabile un im
pegno, come quello del celibato, che al momento del
la ordinazione era attraente ed anche sostenibile12.
Questa dimensione subconscia della vita psichica or
dinaria diventa un fattore condizionante (anche se
non determinante in modo assoluto) la scelta e la rea
lizzazione degli ideali vocazionali così da meritare una
particolare attenzione da parte dei formatori che de
vono fare un discernimento vocazionale, come si è
detto nel punto precedente. Ma diventa anche impor
tante per l’analisi dei fallimenti e delle domande di
dispensa da parte di chi deve rispondere in accordo al
bene delle persone richiedenti congiuntamente alla
salvaguardia del bene comune. Ed è a questo punto
che il discorso sulla dispensa si collega con quello cir
ca la formazione13.
Se, infatti, durante gli anni della formazione non
si è offerto ogni mezzo disponibile, compreso quello
derivante dall’uso degli strumenti psicologici indiriz
zati soprattutto alla scoperta e controllo di questa di
mensione subconscia della vita psichica dei candidati,
come è possibile poi valutare adeguatamente le richie
ste di dispensa dal celibato? O come offrire o addirit
tura pretendere che si usino in un’età non più giovani
le e flessibile quegli strumenti psicologici necessari
12 Cf. L.M. Rulla, Antropologia... (cf. nt. 7);L.M. Rulla,
F, Imoda, J. Ridick, Antropologia della vocazione cristiana. Con
forme esistenziali, Casale Monferrato 1986; L.M. Rulla, J. Ri
dick, F. Imoda, Struttura psicologica e vocazione: motivazioni di
entrata e di abbandono, Torino 1977.
13 Cf. G. Versaldi, Celibato sacerdotale: aspetti canonici e
psicologici, in Concilio Vaticano II: Bilancio e prospettive 25 anni
dopo (a cura di R. Latourelle), Assisi 1987, 1171-1193.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 395
per comprendere e risolvere la propria crisi, che non
si sono offerti in tempi e situazioni più favorevoli?
D’altra parte, se già esistevano in germe questi ele
menti distruttivi che né il soggetto né i superiori furo
no in grado di cogliere proprio perché non si è fatto
uso degli strumenti di indagine psicologica, come non
includere tutti questi casi proprio nell’ipotesi conside
rata nel documento citato, e cioè dell’errore di giudi
zio dei superiori circa l’idoneità del candidato a vivere
stabilmente nel celibato? Ma così facendo non si ri
schia di allargare oltre misura la concessione della di
spensa con grave compromissione per il valore del ce
libato e per il bene comune della testimonianza di fe
deltà dei sacerdoti?
Diversa è invece la situazione nel caso in cui l’isti
tuzione formativa abbia offerto nei modi dovuti ogni
mezzo di conoscenza di sé e di crescita vocazionale,
compreso anche l’aiuto psicologico. È vero che ciò di
per sé non assicura la soluzione di tutti i problemi in
quanto, come già visto, il candidato può anche legitti
mamente rifiutare di servirsene. Ma anche in questo
caso la situazione è almeno più chiara al momento
della richiesta di dispensa. E mi spiego.
Se il candidato ha accettato liberamente di usare
questi mezzi psicologici, allora si ridurranno assai le
crisi dovute ad errore nel discernimento, in quanto, a
parità di condizioni, l’intervento psicologico restringe
i margini di errore fornendo nuovi ed importanti dati
di conoscenza. Le richieste di dispensa si distribuireb
bero maggiormente ai due estremi delle ipotesi: si
tratterebbe maggiormente o di casi di incoerenza col
pevole da parte del sacerdote nel tempo successivo
alla sua ordinazione (per i quali casi ovviamente sa
rebbe inopportuna ed anche nociva al soggetto la con
cessione della dispensa) oppure di casi di disturbi psi-
396 G. VERSALDI
chid abbastanza seri sopraggiunti per qualsiasi ragio
ne dopo l’ordinazione (nei quali casi è più ragionevole
ed opportuna la concessione della dispensa).
Se, invece, nonostante la debita proposta degli
strumenti psicologici da parte dell’istituzione formati
va, il candidato ne ha rifiutato l’uso per poi trovarsi
coinvolto in una crisi che lo porta a chiedere la dispen
sa dal celibato, allora, anche se i superiori hanno com
messo un errore di discernimento, è evidente che la
responsabilità maggiore rimane nel soggetto che, pri
vando i superiori dell’aiuto di conoscenza possibile
proveniente dalla valutazione psicologica, ha di fatto
ostacolato un corretto giudizio. Non sembra allora
fuori luogo in questi casi richiedere al sacerdote un
ulteriore ed anche straordinario sforzo per impegnarsi
nell’uso di tutti i mezzi per risolvere la sua crisi rima
nendo fedele alla sua scelta di celibato, e facendo ri
corso ora a quei mezzi psicologici, che gli erano stati
offerti invano prima dell’ordinazione. In tali casi sem
brano ben sagge le parole di Paolo VI quando affer
mava, a proposito delle domande di dispensa, che «la
Chiesa vuole che sia tentato ogni mezzo persuasivo,
allo scopo d’indurre il fratello vacillante alla calma,
alla fiducia, al pentimento, alla ripresa»14.
Come si vede, esiste una stretta connessione tra
lo stile di formazione e l’applicazione dei criteri per la
concessione della dispensa dal celibato15: senza una
adeguata impostazione educativa, comprendente an
che l’offerta degli strumenti psicologici negli anni di
formazione, le norme per la dispensa dal celibato di
ventano di fatto di così ardua interpretazione da apri
14 Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis caelibatus (cf. nt.
2), n. 87.
15 Cf. P.G. Magee, Dispensation from the Obligations of
Priestly Celibacy, Roma 1988.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 397
re la strada ai due estremi o di un rigorismo che sareb
be, almeno in parte, ingiusto per chi non è stato a
tempo debito sufficientemente aiutato a non ingan
narsi o di un permessivismo che danneggerebbe sia le
persone sia il bene comune del celibato qualora si
concedesse indiscriminatamente la dispensa a tutti co
loro che si trovano in difficoltà a vivere il celibato.
All’opposto, se almeno si offre da parte dell’istituzio
ne formativa ogni mezzo oggi raccomandato e possibi
le per la conoscenza di sé e la crescita vocazionale, la
situazione diventa migliore sia nel caso il candidato
accetti sia nel caso che rifiuti tali opportunità. Se in
più si considera, come abbiamo visto nel punto prece
dente, che non solo è possibile una composizione dei
diritti soggettivi con i diritti-doveri dell’istituzione for
mativa, ma che tutti i documenti al riguardo auspica
no una integrazione tra i mezzi naturali ed i mezzi
soprannaturali di formazione al sacerdozio, allora
sembra giunto il tempo di una più generale e corag
giosa applicazione delle direttive conciliari e del magi
stero in questa materia così che si realizzino le parole
di Paolo VI: «Una formazione veramente adeguata
deve dunque coordinare armonicamente il piano della
grazia e il piano della natura, in un soggetto di cui
siano note con chiarezza le reali condizioni e le effetti
ve capacità»16, 17
poiché «una vita così totalmente e deli
catamente impegnata nell’intimo e all’esterno, come
quella del sacerdote celibe, esclude soggetti di insuffi
ciente equilibrio psico-fisico e morale, né si deve pre
tendere che la grazia supplisca in ciò la natura»1'.
Giuseppe Vers aldi
16 Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis Caelibatus (cf.
nt. 2), n. 63.
17 Ibid., n. 64.
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