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心理学在神职与修会培育中的运用与尊重人权Uso Della Psicologia Nella Formazione Sacerdotale e Religiosa Nel Rispetto Diritto Della Persona

Il documento discute l'importanza dell'integrazione della psicologia nella formazione sacerdotale, evidenziando le direttive del Concilio Vaticano II e del Magistero riguardo all'uso di strumenti psicologici. Sottolinea la necessità di un consenso informato da parte dei candidati e la responsabilità delle istituzioni nel garantire la tutela della loro intimità. Propone che il dialogo e la fiducia tra candidati e formatori siano fondamentali per un'efficace formazione e discernimento vocazionale.

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心理学在神职与修会培育中的运用与尊重人权Uso Della Psicologia Nella Formazione Sacerdotale e Religiosa Nel Rispetto Diritto Della Persona

Il documento discute l'importanza dell'integrazione della psicologia nella formazione sacerdotale, evidenziando le direttive del Concilio Vaticano II e del Magistero riguardo all'uso di strumenti psicologici. Sottolinea la necessità di un consenso informato da parte dei candidati e la responsabilità delle istituzioni nel garantire la tutela della loro intimità. Propone che il dialogo e la fiducia tra candidati e formatori siano fondamentali per un'efficace formazione e discernimento vocazionale.

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USO DELLA PSICOLOGIA NELLA FORMAZIONE

SACERDOTALE E RELIGIOSA NEL RISPETTO


DEI DIRITTI DELLA PERSONA

Premessa

Anche se già in antecedenza non mancavano dei


richiami autorevoli1, è ben noto come sia stato il Con­
cilio Vaticano II a dare un forte impulso all’idea che
nella Chiesa si facesse uso anche degli apporti delle
scienze umane in tutti quei campi dove si parla della
risposta che l’uomo è chiamato a dare alla divina vo­
cazione (cf. GS 5.52.54.62; GE 1; CD 14; OT2). Pun­
tualmente questa esigenza di integrazione tra i mezzi
tradizionali ed i moderni strumenti forniti dalle scien­
ze psicologiche è stata ripresa dai documenti del Ma­
gistero postconciliare in particolar modo per quanto
concerne la formazione al sacerdozio e alla vita
consacrata2. Ed il nuovo Codice di diritto canonico, in

1 Cf. Pio XII, Costituzione Apostolica Sedes Sapientiae, 31


maggio 1956, in AAS 48 (1956) 359; Pio XII, Allocuzione Ai par­
tecipanti al XIII Congresso internazionale di psicologia applicata,
10 aprile 1958, in AAS 50 (1958) 274.
2 Cf. Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis caelibatus, 24
giugno 1967, in AAS 59 (1967) 654-704; EVI, 1415-1513, nn. 60-
61; Congregazione dei seminari e degù istituti di studi, Istru­
zione Il presente sussidio, sulla formazione al celibato sacerdotale,
11 aprile 1974, in EV 5, 195-426, nn. 26-38-90; Congregazione
dei seminari e degli istituti di studi, Regolamento Hodierni co­
natus, Regolamento fondamentale per la formazione sacerdotale,
19 marzo 1985, Città del Vaticano 1985, nn. 9.12; Congregazione
PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLI-
382 G. VERSALDI

armonia con queste indicazioni conciliari e del Magi­


stero, ha emanato norme che prevedono l’uso degli
strumenti psicologici sia neH’ammissione sia nel di-
scernimento vocazionale: il c. 1051,1° richiede che il
rettore del seminario dia attestazione anche della sa­
lute psichica del candidato all’ordinazione ed il c.
1041, elencando le irregolarità a tale ordinazione, po­
ne al primo posto quei disturbi psichici che rendono
inabile il candidato all’esercizio adeguato del sacro
ministero ed il cui accertamento è da farsi mediante la
consultazione di esperti; e per la riammissione di un
ordinato affetto da disturbi psichici all’esercizio del
ministero sacerdotale il c. 1044, §2, 2° richiede il per­
messo dell’Ordinario dopo consultazione di un esper­
to; ed il c. 642, concernente l’ammissione al noviziato,
richiede ai Superiori una vigile cura nel verificare la
necessaria maturità dei soggetti ricorrendo anche a
degli esperti.
Tuttavia l’applicazione concreta di queste chiare
direttive non è stata priva di difficoltà sia per Soggetti­
va problematica insita nella integrazione tra diversi
approcci disciplinari sia per gli abusi che di fatto si
sono compiuti anche in buona fede nell’uso dei meto­
di e delle tecniche psicologiche. Contro tali abusi non
sono mancati nel passato opportuni richiami
autorevoli3, e si è poi provveduto ad inserire nel nuo­
vo Codice una norma apposita ed esplicita a salva-
guardia del diritto naturale alla buona fama e alla di­

CA, Istruzione Renovationis causam, sull’aggiornamento della for­


mazione alla vita religiosa, 6 gennaio 1969, in AAS 61 (1969) 103-
120; EV 3, 694-747.
3 Cf. Pio XII, Allocuzione Ai partecipanti... (cf. nt. 1), 277;
Sacra Congregatio S. Officii, Monitum Cum compertum, in
AAS 53 (1961) 571.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 383

fesa della propria intimità: si tratta del c. 220 del vi­


gente C.I.C., che recita «nemini licet bonam famam,
qua quis gaudet, illegitime laedere, nec ius cuiusque
personae ad propriam intimitatem tuendam violare».
Come giustamente commenta V. Marcozzi, «il c.
220 potrebbe far nascere in qualcuno il sospetto che la
Chiesa sia contraria all’indagine psicologica in sé. Ciò
è falso»4. Infatti, se è evidente che una approfondita
indagine psicologica non può non entrare nella «inti­
mità» della persona, è altrettanto vero che a determi­
nate condizioni tale indagine non solo è lecita, ma an­
che utile e doverosa. Il suddetto canone, infatti, proi­
bisce la violazione fatta «illegitime» a significare ap­
punto che ci può essere un modo «legittimo» di entra­
re nella intimità della persona. E certamente la prima
e fondamentale condizione di legittimità è che il sog­
getto dia un libero e consapevole assenso alla indagi­
ne psicologica. Nello stesso senso Marcozzi scriveva
che «gli esami della personalità di qualsiasi natura,
che portano alla conoscenza (più o meno attendibile)
della vita intima o interiorità dell’esaminando, non
sono leciti, se non dopo aver ottenuto il consenso in­
formato e libero dell’interessato... Lo psicologo poi è
pure tenuto al segreto, e, senza il consenso dell’inte­
ressato, non potrà comunicare a chicchessia le cono­
scenze apprese nell’esame della personalità»5.
Il problema, dunque alla luce del Magistero ed
anche della legislazione canonica, non si pone nei ter­
mini della questione se si possono usare anche le

4 V. Marcozzi, Il diritto alla propria intimità nel nuovo Codi­


ce di diritto canonico, in La Civiltà Cattolica 134/IV (1983) 574.
5 V. Marcozzi, Indagini psicologiche e diritti della persona,
in La Civiltà Cattolica 127/11 (1976) 551.
384 G. VERSALDI

scienze psicologiche nel discernimento e nella forma­


zione sacerdotale, ma piuttosto come usare questi
strumenti insieme cogli altri mezzi più tradizionali on­
de raggiungere quel fine della formazione sacerdotale
che è quello di portare il candidato a stabilire un rap­
porto personale con Cristo mediante una maturazione
integrale della persona per una idoneità all’esercizio
fecondo del ministero pastorale (cc. 244; 245). Del
resto, ogni intervento educativo, essendo sempre un
intervento anche sugli elementi psichici della persona,
fa sempre necessariamente uso di strumenti psicologi­
ci: è per questo motivo che il Concilio, trattando dei
superiori del seminario, stabiliva non solo che essi fos­
sero scelti tra gli elementi migliori, ma anche che fos­
sero «diligentemente preparati con un corredo fatto di
solida dottrina, di conveniente esperienza pastorale e
di una speciale formazione spirituale e pedagogica»
(OT 5) ed a questo fine indicava la necessità di orga­
nizzare «appositi istituti o almeno dei corsi con pro­
grammi organici» (OT 5). Ed ultimamente la Congre­
gazione per l’educazione cattolica ha emanato delle
«Direttive sulla preparazione degli educatori nei se­
minari» in cui si legge che tali educatori devono posse­
dere tra l’altro «un autentico senso pedagogico» che è
«una dote speciale che non si improvvisa», ma che
dipende anche da una «buona conoscenza dei principi
di una sana psico-pedagogia»6.
Il problema è quello di rendersi conto in modo
più reale e profondo di questi processi psichici e, dati i
progressi delle scienze in questo campo, di una accet­
tazione positiva, anche se prudente, del contributo
scientifico oggi disponibile.
6 Congregazione per l’educazione cattolica, Direttive
sulla preparazione degli educatori nei seminari, in L’Osservatore
Romano, 12 gennaio 1994, n. 5.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 385

I. Il vero problema

Ed è circa i modi legittimi ed efficaci nell’uso del­


la psicologia nel discernimento e nella formazione vo­
cazionale che si è venuto a creare un falso problema
che, a volte, ha fatto riemergere la questione circa il
«se». Mi riferisco alla questione non raramente solle­
vata circa la compatibilità tra l’uso degli strumenti psi­
cologici da parte dell’istituzione formativa ed il diritto
soggettivo dei candidati alla propria buona fama e alla
tutela della propria intimità, diritto naturale contenu­
to nel c. 220.
La falsità del problema consiste nel porlo in ter­
mini sbagliati e cioè mettendo in alternativa o opposi­
zione i diritti legittimi del candidato e quelli non meno
legittimi dell’istituzione formativa: può l’istituzione
chiedere al candidato l’uso di questi strumenti psico­
logici per accertare e promuovere la sua idoneità e
può il candidato rifiutare di servirsi dei medesimi
mezzi?
Posta in questi termini la questione non porta a
nessuna possibile composizione dei diritti/doveri in
gioco, ma conduce inevitabilmente ad una scelta tra il
diritto soggettivo del candidato, che si orienta a resi­
stere ad una conoscenza di sé da parte dei Superiori
appellandosi al legittimo diritto menzionato nel c.
220, ed il diritto/dovere dei Superiori che non possono
ammettere all’ordinazione nessun candidato senza
una reale e sostanziale conoscenza che li porti ad una
positiva e morale certezza circa la sua idoneità (c.
1052).
Due ragioni mi sembrano spingere ad impostare
diversamente il problema:
a) tutti i documenti citati del Magistero ed anche
la logica che ispira la filosofia del diritto portano nella
386 G. VERS ALDI

direzione di una composizione piuttosto che di una


contrapposizione dei diritti mediante la delimitazione
dei confini tra i medesimi: si tratta dunque di vedere
come si può salvaguardare la tutela dell’intimità della
persona con il diritto/dovere dell’istituzione di giunge­
re ad una sua sostanzialmente piena e reale conoscen­
za che comprende anche gli elementi psichici attraver­
so i quali il soggetto corrisponde alla vocazione;
b) ma ancora più forte mi pare la seconda ragio­
ne, che scaturisce dal fatto che la libera e spontanea
scelta del soggetto nell’uso degli strumenti psicologici
ancor prima di essere un legittimo diritto, sanzionato
nel suddetto c. 220, è una fondamentale esigenza sia
metodologica sia deontologica proprio nel campo del­
la scienza psicologica applicata in questo contesto for­
mativo. Nessun serio professionista, che voglia colla­
borare agli stessi fini che si propone la formazione sa­
cerdotale, potrebbe mai accettare di iniziare un lavo­
ro psicologico con un candidato senza una sua libera e
convinta scelta e collaborazione. L’esercizio del dirit­
to alla tutela della propria intimità è il presupposto o
condizione per l’uso dei mezzi psicologici e, dunque,
sarebbe vano l’esercizio del diritto/dovere dei Supe­
riori di conoscere il candidato anche con l’uso della
psicologia in quanto, senza questo presupposto, non
si raggiungerebbe lo scopo desiderato.
Per impostare correttamente il problema bisogna,
a mio parere, porlo in termini seguenti: come ottenere
questa libera e responsabile collaborazione del candi­
dato anche nell’uso degli strumenti psicologici così
che i Superiori possono conoscerne l’idoneità e la ma­
turità per il ministero sacerdotale?
Le seguenti appaiono come condizioni che riten­
go necessarie, tra altre possibili, per raggiungere que­
sta collaborazione nella formazione:
USUS PS YCHOLOGI AE IN FORMATIONE 387

1) È necessaria una chiara presentazione da par­


te dei Superiori già fin dai primi contatti con i candi­
dati del significato dell’ammissione e della formazione
nel seminario. Deve essere chiaro al candidato che la
sua richiesta ed il suo proposito circa la vocazione sa­
cerdotale, ed anche la sua ammissione al seminario,
non rappresentano la fine, ma l’inizio di un impegno,
che, pur essendo da ultimo orientato al sacerdozio,
immediatamente deve essere assunto come disponibi­
lità alla formazione secondo le modalità offerte dall’i­
stituzione. Si tratta dunque di avere dal candidato
questa fiducia nel progetto educativo, senza la quale
viene a mancare un presupposto essenziale per il lavo­
ro formativo. Come chiaramente afferma la Ratio
fundamentalis institutionis sacerdotalis del 1985: «Se
riguardo ai mezzi si può instaurare un utile dialogo e
una fruttuosa ricerca con gli alunni, la finalità del se­
minario e di tutta l’educazione deve essere sempre
ben chiara fin dall’inizio, come base di tutte le consi­
derazioni e come punto di riferimento di ogni discus­
sione. Infatti, quanto più chiaramente verrà proposta
ai giovani la sublime finalità della formazione, tanto
più volontieri cercheranno essi stessi concordemente i
mezzi più adatti a raggiungerla e, guidati dal desiderio
del bene comune e della volontà di Dio, scopriranno il
vero senso della libertà e dell’autorità» (n. 2). Se, al
contrario, mancasse questo dialogo e questa fiducia
oppure esistesse nel candidato una preconcetta deter­
minazione a raggiungere il suo obiettivo senza la col­
laborazione con l’istituzione formativa, allora man­
cherebbero le condizioni non solo per un uso efficace
degli strumenti psicologici, ma altresì per qualunque
seria crescita umana e cristiana.
2) In secondo luogo ritengo essenziale che la
proposta educativa da parte dell’istituzione venga fat-
388 G. VERSALDI

ta in modo unitario e differenziato con la partecipa­


zione positiva e convinta da parte di tutti i formatori
anche per quanto riguarda la proposta degli strumenti
psicologici per la loro conoscenza e crescita personale
dei candidati. E infatti molto importante che ai candi­
dati giunga un messaggio univoco e positivo da parte
dell’intero corpo educativo poiché non solo i disaccor­
di espliciti, ma anche i semplici silenzi o le omissioni
in questo campo portano ad ambiguità e sfiducia che
complicano ancor più il già non facile cammino di cre­
scita dei giovani. Il contenuto specifico poi per quanto
riguarda la proposta degli strumenti psicologici non è
meno importante. Come verrà certamente illustrato
più ampiamente nella relazione circa gli aspetti psico­
logici della formazione, questi strumenti non servono
solo e neppur principalmente per una verifica di as­
senza di disturbi nell’area della psicopatologia, quan­
to piuttosto per aiutare il giovane a conoscere meglio
se stesso a livello psicologico come condizione per una
maggiore libertà di aderire e di realizzare gli ideali
vocazionali. Si tratta, dunque, di un significato più
preventivo e pedagogico che non diagnostico e curati­
vo da attribuire all’uso della psicologia nella forma­
zione sacerdotale così che la proposta possa essere ri­
volta a tutti i candidati e non solo a quelli che possono
dimostrare più fragilità dal punto di vista psicologico7.
3) È anche necessario che l’offerta degli aiuti psi­
cologici non sia astratta, ma fornisca concretamente
l’indicazione di persone professionalmente preparate
che si ispirino esplicitamente ad una visione della na­
tura umana e della vocazione sacerdotale conforme a

7 L.M. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana. Basi


interdisciplinari, Casale Monferrato 1985, 269ss.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 389

quella propria della stessa istituzione formativa. Infat­


ti, gli inviti del Concilio e del Magistero a fare buon
uso delle scienze psicologiche è sempre accompagnato
da un richiamo perché si faccia una scelta critica tra le
diverse correnti alFinterno delle suddette scienze, che
sottointendono diverse antropologie non tutte compa­
tibili con l’antropologia cristiana (cf. OT3.11)8. È in­
fatti facilmente immaginabile e storicamente docu­
mentabile quale danno alla formazione sacerdotale
producano interventi psicologici selvaggi ed indiscri­
minati che apparentemente vogliono rimanere neu­
trali di fronte ai significati della vita sacerdotale, ma
che in realtà sono riduttivi della vocazione cristiana in
generale e di quella sacerdotale in particolare. Gio­
vanni Paolo II nel contesto della trattazione delle cau­
se canoniche di nullità matrimoniale, diverso da quel­
lo della formazione e tuttavia analogo per quanto ri­
guarda la possibilità di integrazione tra scienze psico­
logiche e scienze sacre, affermava: «Il dialogo e una
costruttiva comunicazione tra il giudice e lo psichiatra
o psicologo sono più facili se per entrambi il punto di
partenza si pone entro l’orizzonte di una comune an­
tropologia, così che, pur nella diversità del metodo e
degli interessi e finalità, una visione resti aperta all’al­
tra», e concludeva che «è, in ogni caso, fuori dubbio
che una approfondita conoscenza delle teorie elabora­
te e dei risultati raggiunti dalle scienze menzionate
(scienze psicologiche) offre la possibilità di valutare la
risposta umana alla vocazione al matrimonio in un
modo più preciso e differenziato di quanto lo permet­
terebbero la sola filosofia e la sola teologia»9.

8 Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzione agli Uditori della R.


Rota, 5 febbraio 1987, in AAS 79 (1987) 1453-1459.
9 Ibid., nn. 2.3.
390 G. VERSALDI

È pertanto grave dovere dei superiori, pur nel ri­


spetto della libertà di scelta dei candidati, vigilare af­
finché nell’offerta di diverse opportunità nell’uso de­
gli strumenti psicologici si rimanga sempre all’interno
di questa compatibilità antropologica, evitando così
inutili e dannosi rischi ai giovani candidati. Questa fi­
gura professionale, che si affianca a quella degli altri
formatori del seminario, si rivela di grande vantaggio
sia ai candidati sia agli altri formatori nel momento
dell’ammissione come pure nella formazione e nel di-
scernimento finale per l’ordinazione quando si do­
vranno superare tutti i ragionevoli dubbi circa l’ido­
neità del candidato (c. 1052, §3).
Queste condizioni dovrebbero, a mio avviso, fa­
vorire il clima di collaborazione necessario perché i
candidati liberamente e spontaneamente possano fare
uso anche degli aiuti psicologici oggi disponibili. Se
così avviene, allora non sorgono problemi né giuridici
né educativi e, insieme con l’aiuto degli altri strumenti
di formazione, i fini dell’istituzione diveranno vera­
mente più accessibili ai giovani candidati. Va comun­
que sottolineato ancora che l’intervento dello psicolo­
go rimane rivolto direttamente e primariamente al
soggetto e che solo mediante una esplicita e formale
dichiarazione del medesimo soggetto lo psicologo può
comunicare coi superiori, altrimenti vale l’obbligo del
segreto professionale. Col permesso del candidato,
che si è liberamente sottoposto alla valutazione psico­
logica, la comunicazione dei risultati di tale consulta­
zione ai superiori non solo è legittima, ma anche au­
spicabile, differendo in ciò il ruolo dello psicologo da
quello del confessore e del direttore spirituale, il cui
parere invece non può mai essere richiesto per il di-
scernimento vocazionale (c. 240, §2).
Bisogna tuttavia considerare anche l’ipotesi che,
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 391

nonostante l’offerta da parte dell’istituzione degli aiu­


ti psicologici secondo le condizioni sopra descritte, il
candidato rifiuti di servirsene oppure, una volta fatta
la consultazione psicologica, non dia il permesso di
comunicarne i risultati ai superiori. È evidente allora
che nessuna pressione o ricatto può essere fatto da
parte di nessuno degli educatori, i quali dovranno
procedere nel discernimento nel modo tradizionale,
servendosi degli altri mezzi che sono comunque a lo­
ro disposizione. È altresì evidente che, in presenza di
incertezze e dubbi ragionevoli e altrimenti insorgenti,
i medesimi superiori, privati dalla legittima scelta del
candidato di un mezzo per risolverli, non potranno in
coscienza ammettere il soggetto all’ordinazione in vir­
tù del già citato c. 1052, §3, secondo cui non è lecita
l’ordinazione in presenza di motivi certi per dubitare
dell’idoneità del candidato. Se i superiori procedesse­
ro altrimenti o violerebbero il diritto del candidato
alla tutela della propria intimità (nel caso in cui lo
volessero costringere a sottoporsi ad una valutazione
psicologica per risolvere i loro dubbi) oppure si espor­
rebbero al rischio di un grave errore nel discernimen­
to vocazionale qualora, per un falso rispetto del dirit­
to soggettivo, ammettessero comunque il candidato
all’ordinazione nonostante fondate ragioni di dubbio
sulla sua idoneità. Ed è questo il punto di connessione
con un’altra questione, e cioè il problema della di­
spensa dagli obblighi del celibato sacerdotale, in cui
pure si ripresenta la necessità del dialogo tra scienze
psicologiche e giuridiche.
392 G. VERSALDI

II. Dispensa dagli obblighi del celibato sacerdo­


tale

Sia i documenti del magistero (Ratio fundamen­


talis, 1985, n. 40) sia lo stesso C.I.C. (c. 1051) richie­
dono una non superficiale valutazione dei candidati
all’ordinazione come obbligo di giustizia da parte dei
superiori affinché non si permetta che il candidato si
inganni circa la propria scelta vocazionale10. Vi è una
oggettiva connessione tra questo obbligo dei superiori
e la richiesta di dispensa dagli obblighi del celibato
sacerdotale da parte poi del medesimo sacerdote che
intenda lasciare la propria vocazione.
E noto che i criteri vigenti per la concessione del­
la grazia della dispensa dal celibato sono contenuti
nelle Norme emanate dalla S. Congregazione per la
dottrina della fede nel 1980, anche se, con la riforma
della Curia romana, le domande di dispensa sono ora
esaminate presso la Congregazione per i Sacramenti.
Uno di questi criteri per consigliare al S. Pontefice la
concessione della dispensa fa riferimento a quei casi
di coloro che non avrebbero dovuto essere ordinati
perché i superiori competenti, a suo tempo, non furo­
no in grado di giudicare nella maniera dovuta se il
candidato fosse realmente adatto a vivere stabilmente
nel celibato11.
Trattandosi di una dispensa e non di un processo
giudiziario per la dichiarazione di nullità dell’ordina-

10 Cf. anche Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis caeli­


batus (cf. nt. 2), n. 63.
11 Congregazione della dottrina della fede, Lettera cir­
colare Per litteras ad universos, sulla dispensa dal celibato sacer­
dotale, 14 ottobre 1980, in AAS 72 (1980) 1133-1135; EVI, 572-
578, §5.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 393

zione sacerdotale (regolato dai cc. 1708-1712 del


CIC), non si può parlare in termini di giustizia in sen­
so stretto. D’altra parte l’ipotesi contemplata nel do­
cumento fa riferimento ad un errore oggettivo da par­
te dei superiori circa l’idoneità del candidato non solo
ad assumere, ma anche a «vivere stabilmente» la vita
celibataria. Né si tratta solo della ipotesi più grave di
una vera incapacità del candidato di vivere il celibato,
bensì dei casi in cui al momento dell’ordinazione esi­
stevano già quegli elementi che potevano fondare ra­
gionevoli dubbi circa l’idoneità del candidato, ma che
i superiori non furono in grado di valutare corretta-
mente e che poi portarono all’esplodere della crisi sa­
cerdotale e alla richiesta di dispensa. A nessuno sfug­
ge la delicatezza di questo criterio e la sua difficoltà di
applicazione in quanto appare ardua la distinzione tra
incapacità e grave difficoltà e più ancora ardua appare
la valutazione delle cause della crisi sacerdotale nei
singoli individui. Ed è qui che può ancora una volta
soccorrere la scienza psicologica, purché in armonia
con una corretta visione della natura umana e del sa­
cerdozio.
Per quanto riguarda l’incapacità di vivere il celi­
bato sacerdotale vale il criterio secondo cui questi casi
vanno ricercati nell’area della psicopatologia, in ana­
logia con quanto la dottrina e la giurisprudenza stabi­
liscono per le cause di dichiarazione di nullità del ma­
trimonio canonico. Per quanto invece concerne quelle
difficoltà già presenti e non risolte nel periodo di for­
mazione, che poi fanno esplodere crisi fino alla richie­
sta di dispensa, la psicologia moderna ed i risultati di
appropriate ricerche indicano che la principale sor­
gente di tali casi va identificata in quella dimensione
subconscia della vita psichica dove, senza l’uso di spe­
cifici strumenti professionali, possono annidarsi con-
394 G. VERSALDI

flitti ed inconsistenze vocazionali che perdurano e si


aggravano nel tempo rendendo insopportabile un im­
pegno, come quello del celibato, che al momento del­
la ordinazione era attraente ed anche sostenibile12.
Questa dimensione subconscia della vita psichica or­
dinaria diventa un fattore condizionante (anche se
non determinante in modo assoluto) la scelta e la rea­
lizzazione degli ideali vocazionali così da meritare una
particolare attenzione da parte dei formatori che de­
vono fare un discernimento vocazionale, come si è
detto nel punto precedente. Ma diventa anche impor­
tante per l’analisi dei fallimenti e delle domande di
dispensa da parte di chi deve rispondere in accordo al
bene delle persone richiedenti congiuntamente alla
salvaguardia del bene comune. Ed è a questo punto
che il discorso sulla dispensa si collega con quello cir­
ca la formazione13.
Se, infatti, durante gli anni della formazione non
si è offerto ogni mezzo disponibile, compreso quello
derivante dall’uso degli strumenti psicologici indiriz­
zati soprattutto alla scoperta e controllo di questa di­
mensione subconscia della vita psichica dei candidati,
come è possibile poi valutare adeguatamente le richie­
ste di dispensa dal celibato? O come offrire o addirit­
tura pretendere che si usino in un’età non più giovani­
le e flessibile quegli strumenti psicologici necessari

12 Cf. L.M. Rulla, Antropologia... (cf. nt. 7);L.M. Rulla,


F, Imoda, J. Ridick, Antropologia della vocazione cristiana. Con­
forme esistenziali, Casale Monferrato 1986; L.M. Rulla, J. Ri­
dick, F. Imoda, Struttura psicologica e vocazione: motivazioni di
entrata e di abbandono, Torino 1977.
13 Cf. G. Versaldi, Celibato sacerdotale: aspetti canonici e
psicologici, in Concilio Vaticano II: Bilancio e prospettive 25 anni
dopo (a cura di R. Latourelle), Assisi 1987, 1171-1193.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 395

per comprendere e risolvere la propria crisi, che non


si sono offerti in tempi e situazioni più favorevoli?
D’altra parte, se già esistevano in germe questi ele­
menti distruttivi che né il soggetto né i superiori furo­
no in grado di cogliere proprio perché non si è fatto
uso degli strumenti di indagine psicologica, come non
includere tutti questi casi proprio nell’ipotesi conside­
rata nel documento citato, e cioè dell’errore di giudi­
zio dei superiori circa l’idoneità del candidato a vivere
stabilmente nel celibato? Ma così facendo non si ri­
schia di allargare oltre misura la concessione della di­
spensa con grave compromissione per il valore del ce­
libato e per il bene comune della testimonianza di fe­
deltà dei sacerdoti?
Diversa è invece la situazione nel caso in cui l’isti­
tuzione formativa abbia offerto nei modi dovuti ogni
mezzo di conoscenza di sé e di crescita vocazionale,
compreso anche l’aiuto psicologico. È vero che ciò di
per sé non assicura la soluzione di tutti i problemi in
quanto, come già visto, il candidato può anche legitti­
mamente rifiutare di servirsene. Ma anche in questo
caso la situazione è almeno più chiara al momento
della richiesta di dispensa. E mi spiego.
Se il candidato ha accettato liberamente di usare
questi mezzi psicologici, allora si ridurranno assai le
crisi dovute ad errore nel discernimento, in quanto, a
parità di condizioni, l’intervento psicologico restringe
i margini di errore fornendo nuovi ed importanti dati
di conoscenza. Le richieste di dispensa si distribuireb­
bero maggiormente ai due estremi delle ipotesi: si
tratterebbe maggiormente o di casi di incoerenza col­
pevole da parte del sacerdote nel tempo successivo
alla sua ordinazione (per i quali casi ovviamente sa­
rebbe inopportuna ed anche nociva al soggetto la con­
cessione della dispensa) oppure di casi di disturbi psi-
396 G. VERSALDI

chid abbastanza seri sopraggiunti per qualsiasi ragio­


ne dopo l’ordinazione (nei quali casi è più ragionevole
ed opportuna la concessione della dispensa).
Se, invece, nonostante la debita proposta degli
strumenti psicologici da parte dell’istituzione formati­
va, il candidato ne ha rifiutato l’uso per poi trovarsi
coinvolto in una crisi che lo porta a chiedere la dispen­
sa dal celibato, allora, anche se i superiori hanno com­
messo un errore di discernimento, è evidente che la
responsabilità maggiore rimane nel soggetto che, pri­
vando i superiori dell’aiuto di conoscenza possibile
proveniente dalla valutazione psicologica, ha di fatto
ostacolato un corretto giudizio. Non sembra allora
fuori luogo in questi casi richiedere al sacerdote un
ulteriore ed anche straordinario sforzo per impegnarsi
nell’uso di tutti i mezzi per risolvere la sua crisi rima­
nendo fedele alla sua scelta di celibato, e facendo ri­
corso ora a quei mezzi psicologici, che gli erano stati
offerti invano prima dell’ordinazione. In tali casi sem­
brano ben sagge le parole di Paolo VI quando affer­
mava, a proposito delle domande di dispensa, che «la
Chiesa vuole che sia tentato ogni mezzo persuasivo,
allo scopo d’indurre il fratello vacillante alla calma,
alla fiducia, al pentimento, alla ripresa»14.
Come si vede, esiste una stretta connessione tra
lo stile di formazione e l’applicazione dei criteri per la
concessione della dispensa dal celibato15: senza una
adeguata impostazione educativa, comprendente an­
che l’offerta degli strumenti psicologici negli anni di
formazione, le norme per la dispensa dal celibato di­
ventano di fatto di così ardua interpretazione da apri­
14 Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis caelibatus (cf. nt.
2), n. 87.
15 Cf. P.G. Magee, Dispensation from the Obligations of
Priestly Celibacy, Roma 1988.
USUS PSYCHOLOGIAE IN FORMATIONE 397

re la strada ai due estremi o di un rigorismo che sareb­


be, almeno in parte, ingiusto per chi non è stato a
tempo debito sufficientemente aiutato a non ingan­
narsi o di un permessivismo che danneggerebbe sia le
persone sia il bene comune del celibato qualora si
concedesse indiscriminatamente la dispensa a tutti co­
loro che si trovano in difficoltà a vivere il celibato.
All’opposto, se almeno si offre da parte dell’istituzio­
ne formativa ogni mezzo oggi raccomandato e possibi­
le per la conoscenza di sé e la crescita vocazionale, la
situazione diventa migliore sia nel caso il candidato
accetti sia nel caso che rifiuti tali opportunità. Se in
più si considera, come abbiamo visto nel punto prece­
dente, che non solo è possibile una composizione dei
diritti soggettivi con i diritti-doveri dell’istituzione for­
mativa, ma che tutti i documenti al riguardo auspica­
no una integrazione tra i mezzi naturali ed i mezzi
soprannaturali di formazione al sacerdozio, allora
sembra giunto il tempo di una più generale e corag­
giosa applicazione delle direttive conciliari e del magi­
stero in questa materia così che si realizzino le parole
di Paolo VI: «Una formazione veramente adeguata
deve dunque coordinare armonicamente il piano della
grazia e il piano della natura, in un soggetto di cui
siano note con chiarezza le reali condizioni e le effetti­
ve capacità»16, 17
poiché «una vita così totalmente e deli­
catamente impegnata nell’intimo e all’esterno, come
quella del sacerdote celibe, esclude soggetti di insuffi­
ciente equilibrio psico-fisico e morale, né si deve pre­
tendere che la grazia supplisca in ciò la natura»1'.
Giuseppe Vers aldi

16 Paolo VI, Lettera Enciclica Sacerdotalis Caelibatus (cf.


nt. 2), n. 63.
17 Ibid., n. 64.
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