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La Vita Religiosa Tra Riformismo e Utopia乌托邦修会

Il documento analizza l'opera di Piersandro Vanzan, evidenziando la sua critica alla vita religiosa contemporanea e la ricerca di un equilibrio tra capitale e lavoro. Vanzan propone un modello di vita religiosa che enfatizza la testimonianza del Regno e la necessità di una metanoia profonda, piuttosto che una semplice adesione a regole rigide. La sua visione è provocatoria e sfida le convenzioni, invitando a riflessioni sulla povertà evangelica e l'uguaglianza sociale.

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La Vita Religiosa Tra Riformismo e Utopia乌托邦修会

Il documento analizza l'opera di Piersandro Vanzan, evidenziando la sua critica alla vita religiosa contemporanea e la ricerca di un equilibrio tra capitale e lavoro. Vanzan propone un modello di vita religiosa che enfatizza la testimonianza del Regno e la necessità di una metanoia profonda, piuttosto che una semplice adesione a regole rigide. La sua visione è provocatoria e sfida le convenzioni, invitando a riflessioni sulla povertà evangelica e l'uguaglianza sociale.

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RIVISTA DELLA STAMPA

LA VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA


PIERSANDRO VANZAN S.I.

Se e sempre utile sapere qualcosa delPautore d’un libro, qui e addirit-


tura necessario, pena il fraintendimento della tesi e dell’intenzione di
un’opera che, per dettato e contenuti, e tanto interessante quanto provo-
catoria1. E bene sapere, percio, che il Bergamaschi e una specie di padre
Cristoforo corso-emiliano, docente di pedagogia all’Universita di Vero-
na — anche se vanno ricordati altri suoi studi e amori intellettuali, con
pubblicazioni sul Manzoni, sul problema dell’insegnamento della storia
e sul tema della pace —, che scriveva sull’^l^j‫ ^־‬di Mazzolari, in anoni-
mo, quando ancora erano in molti a invitare quell’esaltato a non dire e
fare troppe «sciocchezze» (risultate poi «profezie») 2. Cosi pure e utile
accennare alle omelie domenicali, che il Bergamaschi tiene da oltre un
decennio nella chiesa dei cappuccini a Reggio Emilia, con toni savona-
roliani e impennate censorie tali che gli conquistano le simpatie non so-
10 del popolo, ma anche d’una parte dell’intellighen^ia del luogo. La me-
diocrita e i compromessi lo esasperano e gli fanno perdere piu d’una
volta il senso della misura.
Tutti questi pregi e difetti sono presenti anche nel libro che recensia-
mo, esponendoci a nostra volta, se ne critichiamo gli eccessi, ad apparire
come i cristiani borghesi, bollati nelle sue pagine; mentre, se ne appro-
viamo l’utopia, molti non ci perdoneranno la complicita nella denuncia.
Tant’e che EyItalia francescana (1983, p. 345) ha prudentemente preso le
distanze dall’opera, scrivendo «che, almeno all’apparenza, sembra non
del tutto cristiana e francescana, anzi nemmeno critica!». A noi pare in-
vece che si possa applicare a questo libro quanto scriveva mons. G.
D’Avack, arcivescovo di Camerino, nella Prefazione a Esperien^e pastora-
11 di don Milani, di cui, non a caso, viene qui ripresa la copertina (dato
che, anche nei contenuti, c’e molta affinita con l’irruenza del priore di

1 A. Bergamaschi, Quale voca^ione?, LEF, Firenze 1983, 294, L. 15.000.


2 E come a don Primo, cui s’appoggia spesso e volentieri, il Bergamaschi ha dedicato
una pregevole biografia — Mat^olari, un contestatore per tutte le stagioni, Ed. Dehoniane,
Bologna 1969 —, cosi al Serafico Padre ha consacrato un pluriennale studio stori-
co-teologico: Francesco tra Chiesa e Vangelo, LEF, Firenze 1985.
246 VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA

Barbiana). Scriveva dunque mons. D’Avack di quel «violento» evangeli-


co: «I suoi giudizi potranno suscitare perplessita, ma credo che a conside-
rare bene tutto [...] si potra con venire che le sue conclusioni sono — qua-
si tutte, se non proprio tutte — d’accordo col vero spirito della Chiesa».

«Theleme» 0 «Telergo»?
Dopo aver trattato delle aporie della vita religiosa oggi, denunciando
impietosamente sia antichi luoghi comuni — ivi compresa la vanifica-
zione perpetrata ai danni delle rivoluzioni benedettina e francescana,
«due occasioni perdute o il medioevo cristiano mancato» (p. 82 ss) —,
sia moderni riformismi o ancor piu recenti velleitari ritorni alle origini,
l’Autore riassume il tutto con un’amara parabola: il progetto razio-
nal-pelagiano di vita monastica descritto da F. Rabelais nel suo Gargan-
tua. In questo libello, ch’e insieme denuncia della decadente vita mona-
stica del tempo e illuministica proposta alternativa, Rabelais — prima
francescano, poi benedettino e quindi prete secolare, ma sempre incapa-
ce di cogliere la speciflcita del messaggio evangelico — descrive a vivi
colori Theleme, un luogo simbolico in cui si agisce del tutto spontanea-
mente, con onore e buon senso, cultura e organizzazione, ma dove s’i-
gnora del tutto la metanoia o conversione del cuore e, percio, si realizza
piu un convento baconiano che una comunita del Risorto, impegnata a
vivere la sua sequela.
Metanoia e sequela si vivono invece a Telergo — invenzione del Berga-
maschi, non piu di Rabelais —: un luogo altrettanto simbolico, come fa
intuire la sua etimologia, che peraltro va intesa bene. Telergo, infatti, non
significa avere come fine (telos) il lavoro (ergon), cio che sarebbe anticri-
stiano, bensi un luogo «in cui il lavoro attua il suo fine, non solo gene-
rando ma pilotando il capitale» (p. 131). E a questa sublime «fatica», che
i cristiani dovrebbero compiere nel mondo, l’Autore dedica la II parte
del libro, il cui punto centrale (e cruciale) consiste nel concepire la vita
religiosa come testimonianza e anticipazione del Regno non tanto «fab-
bricando apostoli e devozioni» (p. 225 ss), quanto piuttosto instaurando,
almeno in monastero, quella novita di rapporti che s’addice a conrisorti
e che non si esaurisce a livello personale, ma investe tutte le dimensioni,
anche quelle sociali e dei rapporti capitale-lavoro.
Utopia o profezia? Di fatto, e qui che tutti i nodi vengono al pettine.
Se Telergo e il luogo in cui si risolve l’eterno conflitto tra capitale e lavo-
ro da parte di chi e stato raggiunto dalla metanoia cristiana (ma i linea-
menti correnti di Telergo restano assai nebulosi), allora altro e scegliere
la «poverta evangelica» all’interno dell’eguaglianza raggiunta nell’Ek-
klesia, e altro e dover praticare la «poverta storica» perche qualcuno, po-
tente e ricco, consuma piu di quanto produce e costringe percio altri a
produrre piu di quanto consumino. La conclusione e ovvia: se e quando
sara annullato il conflitto tra capitale e lavoro, solo allora sara possibile
VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA 247

— all’interno della raggiunta eguaglianza detta in ^/// 2 e 4 — praticare


gli eroismi personali. In altre parole, si tratta del risvolto sociale del vo-
to di poverta religiosa che, come spesso viene rilevato, fermo restando il
valore di chi lo vive a livello individuale, a livello comunitario e molte
volte poco piu d’una formalita3.
Parifica^ione dei salari 0 «casa di carita»?
Secondo l’Autore, i guasti suddetti avvengono perche non s’e mai af-
fondato il bisturi della fede nel cancro dei rapporti capitale-lavoro, igno-
rando che non sara mai possibile vivere la carita di Cristo «a lavoro con-
cluso», cioe prescindendo dalle situazioni d’ingiustizia che nascono da
rapporti di lavoro in cui s’incarna «il peccato sociale», come ripetuta-
mente ha detto anche il Magistero, e di conseguenza si trova quasi natu-
rale e inevitabile la coesistenza di oppressi e oppressori, magari allevian-
do le pene dei primi con le elemosine dei secondi. Urge percio che alme-
no i religiosi, sia nelle loro case sia nelle varie opere, realizzino nuovi
modelli (e rapporti) di lavoro, tali da non creare piu il dualismo classista
ed economico che conosciamo. Cio avverra solo se, almeno in quest’a-
vanguardia del Regno, vi sara eguale condivisione di lavoro e di utile
tra i partecipanti al comune progetto, sulla scia degli esperimenti bene-
dettini, prima, e delle «riduzioni» gesuitiche del Paraguay, dopo.
E chiaro allora che l’episodio di Marta e Maria, tanto spesso citato
per sostenere l’opinione secondo cui chi sceglie la vita contemplativa
non deve occuparsi del lavoro rpanuale, e accettato dall’Autore per
quanto riguarda la preminenza data alia dimensione spirituale, ma conte-
stato in quelli che sono stati gli effetti d’indurre i religiosi a trascurare il
lavoro manuale. Bergamaschi cita in merito i primitivi insegnamenti di
san Francesco, che voleva per ogni frate una «madre», cioe un altro mo-
naco che provvedesse alle sue necessita materiali, consentendogli cosi di
dedicarsi alia propria vita interiore, con la consegna pero che, periodica-
mente, la «madre» e il «f1glio» si scambiassero le parti. San Francesco e
citato anche a sostegno di un’altra tesi, ancor piu esplosiva, e cioe: come
sia errato riunire gli uomini chiamati alia vita religiosa in un convento e
sotto rimperio d’una regola.
Con la consueta paradossalita il Nostro contesta la seguente proposi-
zione: «La vocazione religiosa e di per se obbligante», e aggiunge: «Cio
che stupisce e il concetto di obbligatorieta incastrato, a guisa di parassi-
ta, dentro al concetto di vocazione. Il sofisma consiste nel pensare-la vo-
cazione come un quid ontologicamente definito, mentre e un dinamismo

3 Tanto che Rahner proponeva ai religiosi di emettere un voto di austerita o parsi-


monia, anziche di poverta, se non altro per non offendere la moltitudine di veri poveri
sparsi per il mondo. Cfr K. Rahner, Teologia della poverta, Ed. Paoline, Roma 1967.
248 VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA

interiore che trascende ogni obbligatorieta giuridica e si pone sul pia-


no sublime delPamore [...]. Un cristiano che si lascia invischiare dal
concetto di obbligatorieta o dal rotismo di cio che e peccaminoso o
non, diventa un automa e rischia o il masochismo o il materialismo mi-
stico» (p. 19).
A prescindere dalla formulazione, e certo che ogni santo e stato origi-
nale nel seguire le orme di'Cristo, al punto che qualche autore ha avan-
zato Pipotesi della non trasmissibilita pura e semplice del carisma fonda-
zionale, che dovrebbe via via essere reinventato 4. A fortiori, per chi see-
glie di vivere evangelicamente — perche Cristo stesso Pha attirato a se
(efr Gv 15,16) — il primato dovrebbe essere della Parola e dello Spirito
e non della «regola», cosl problematica per lo stesso Seraflco Padre, ne
tanto meno della minuta precettistica, che sembra scandire piu i progetti
degli uomini che le promesse di Dio. Una liberta di spirito che, ovvia-
mente, sara interpretata male sia dai giuristi, sia da quei religiosi che di-
menticano come la grazia sia sempre e comunque a caro prezzo. Certo,
PAutore non e cosi sprovveduto da voler abolire ogni struttura, ma so-
stiene che possa bastare quel minimo derivante dalPIncarnazione, men-
tre il di piu rischia di trasformarsi in sovrastruttura e contraffazione, a
danno dell’originale.
Date le alte qualita che, come s’intravede, Bergamaschi richiede ai
monad di Telergo — dove ammetterebbe anche i brigatisti pentiti, in
quanto avrebbero aderito al terrorismo per ribellione alle stridenti in-
giustizie sociali gia dette —, non meraviglia vedere quali e quante cure
egli dedichi alia selezione di tali testimoni dell’avanguardia del Regno.
Scartata la pratica delle ammissioni d’individui troppo giovani, che po-
trebbero in seguito rimpiangere una vita mai gustata, PAutore sembra
privilegiare le vocazioni adulte, che non dovrebbero aver piu rimpianti

4 Sulla tematica del carisma fondazionale e del suo divenire storico (adattamento o
tradimento? reinvenzione o mistificazione?) efr, in generale, J. M. R. Tillard, Religiosi:
fedelta e rinnovamento, Cittadella, Assisi 1970; Id., Carisma e sequela, Ed. Dehoniane, Bolo-
gna 1978; J. M. Lozano, El Fundatory su Familia Religiosa, Inst. Teol. de Vida Religiosa,
Madrid 1978; Il carisma della vita religiosa, Ancora, Milano 1981; il n. 12/1982 di Consacra-
%ione e servi^io, monografico sul nostro tema; B. Secondin, Sequela e profe^ia, Ed. Paoline,
Roma 1983; mentre per l’evoluzione (o involuzione) dei carismi fondazionali in alcuni
istituti efr F. Ciardi, I Fondatori, uomini dello Spirito, Institutum Carmelitanum, Roma
1981; B. Secondin, Ea Regola del Carmelo: per una nuova interpretation, ivi, 1982; J. M.
Lozano, in Carisma e istitu^ione, Rogate, Roma 1983, 152 ss; E. Besozzi - W. Binda, Ca-
rismi e processi organi^gativi, Vita e Pensiero, Milano 1985. Un’attenzione a parte merita il
Curci che, oltre un secolo fa, aveva seri dubbi sulla permanenza del primitivo carisma
ignaziano nei gesuiti posteriori, soprattutto dopo le vicende della soppressione della
Compagnia di Gesu e della questione romana (efr C. M. Curci, Il moderno dissidio tra la
Chiesa e PItalia, Bencini, Firenze 1878, specialmente 231 ss).
VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA 249

di Sorta 5; mentre e molto critico verso coloro che scelgono la vita religio-
sa per raggiungere la perfezione personale — «legata, semmai, al battesi-
mo» (p. 17) — o per dare sfogo al naturale e gratificante proselitismo, gia
noto agli antichi farisei. Un’eresia dell’azione, anche se «apostolica» e a fin
di bene, che pud essere commiserata nel singolo ma non dev’essere tolle-
rata nell’istituzione, pena diventare corresponsabili della sua metamorfosi
dalla poverta evangelica (in tutti i sensi) alia managerialita capital-effi-
cientista, con tutti gli abusi che conosciamo (cfr p. 106 ss).
In quest’ottica, l’Autore passa in rassegna i vari istituti e movimenti,
sorti piu o meno recentemente nella Chiesa — AaXYOpus Dei a Comunio-
ne e Liberazione, dai «Focolari» ai preti operai, da Nomadelfia a madre
Teresa di Calcutta, ecc. — e, facendo d’ogni erba un fascio, li considera
lodevoli per l’impegno pratico nei rispettivi settori, ma fallimentari nei
confronti del problema di fondo che lo assilla: quello di sanare i rappor-
ti capitale-lavoro. Fanno eccezione i preti operai, che pero cadrebbero
nell’assurdo di associarsi alia lotta di classe. Causticamente l’Autore fa
notare che Cristo suscito diffidenza e opposizione proprio perche predi-
cava un diverso ordine sociale, mentre, se si fosse limitato a guarire gli
ammalati e ad assistere i poveri, gli avrebbero probabilmente conferito il
premio Nobel per la pace6.

Testimoniare il tutfaltro 0 perpetuare il simile?


Una parola, infine, sull’altra critica che l’Autore rivolge agli istituti
religiosi, vecchi e nuovi7. La sua impressione e che, forse per compen-

5 Emblematica la citazione con cui, a p. 263, s’apre il capitolo sulla controversia circa
il celibato: «Ogni volta che la storia del mondo deve fare un passo avanti e superare un
punto difficile, avanza subito una formazione di veri cavalli da tiro: i celibi, solitari, i
quali vivono solo per un’idea. Ioh. von Muller dice che due forze guidano il mondo: le
idee e le donne; ma quando si deve dare battaglia decisiva, bisogna lasciar comandare le
idee» (S. Kierkegaard, Diario 1847).
6 In quest’ottica, Telergo non e il luogo in cui gli apostoli della carita «mediano» tra il
pane dei ricchi e la fame dei poveri perche, in tal caso, la carita stessa sarebbe concepita
come un trasbordo di briciole alPinterno di un sistema ingiusto. Percio l’Autore scrive
che, nella logica di Telergo, «il dare da mangiare agli affamati e solo un’azione transeunte
e non puo quindi diventare un principio, perche consacrerebbe l’eterno pauperismo. Il
cristiano soccorre, nella immediatezza, chi e nel bisogno esistenziale (“ero affamato,
ignudo, carcerato”); ma si interroga subito sul perche c’e quel bisogno e cerca la soluzio-
ne di radice, proprio per non elevare a valore assoluto la “carita” o il “pietoso soccor-
so”, che deve restare, ripetiamo, solo un aspetto transeunte del vero Amore. Il cristiano
deve tendere a impiantare la giustizia. Ecco perche il nuovo religioso di Telergo e all’o-
pera per combattere la fame nella sua causa prima, piu che nei suoi effetti ultimh> (p. 212).
7 Particolarmente serrati gli appunti che l’Autore muove al suo stesso Ordine, cfr p.
89 ss, forse anche perche, non rinunciando a vedere la trave nel suo occhio, puo credi-
bilmente dare l’allarme alia pagliuzza dell’occhio altrui.
250 VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA

sare le lacune dette sopra e la relativa cattiva coscienza, si moltiplicano


inchieste e parate, survey e meetings con assillante spirito di proselitismo
religioso che, nonostante le buone intenzioni, ricorda tanto quello dei
farisei e fu gia contestato da Gesu. Tale zelo consisterebbe nel privile-
giare il proprio gruppo sino a identificarlo con la verita, che si vorrebbe
imporre a tutti, mentre YEkklesia fondata da Cristo — ripete il Berga-
maschi — e comunione 'originata da metanoia, con il solo compito di
mostrare la verita che si e scoperta e vissuta8.
In breve, secondo il Nostro, chi crede e vuol partecipare alia costru-
zione del Regno, deve perseguire risolutamente i rapporti fondamentali
e le dimensioni fondanti del Vangelo, e non contrabbandare Yopus reli-
gionis che sorvola sia sulla metanoia, sia sulFassetto mondano, che al piu
asperge d’acqua santa, lasciandolo pero senza salvezza quaggiu. Solo do-
po aver costruito in tal modo, cioe molto concretamente e ad angolo gi-
ro, il Regno in se e nella propria comunita, il religioso e il laico impe-
gnato o consacrato lo annunzieranno agli altri, mostrandolo attuato al-
meno per speculum et in aenigmate (cfr 7 Cor 13,12): per tutto il resto, Pie-
tro TEremita con le crociate, o Maometto con le guerre sante, sono
sempre dietro l’angolo. Cio non significa che l’Autore misconosca la
convinzione e l’impegno dei cristiani in questione; solo che gli sembra-
no troppo immersi nel tempo ciclico della «religione» — intesa qui nella
radicale contrapposizione alia fede, com’era nel primo Barth — e percio
rischiano di non tracciare il tempo lineare ascendente della salvezza cri-
stiana. Causticamente, al solito, il Bergamaschi vorrebbe che tutti costo-
ro, anziche darsi da fare per costruire «lampadine cattoliche», da oppor-
re a quelle degli altri, fossero semplicemente «luce del mondo» (cfr Mt
5,14). In caso contrario, tutto il loro proselitismo servirebbe solo ad am-
pliare la fiera dei dualismi e sarebbe sostenuto piu dallo Spirito hegelia-
no che da quello che procede dal Padre e dal Figlio.
Conseguentemente, la loro esegesi del messaggio evangelico — con la
prassi relativa — sarebbe viziata dalla presunzione d’attingere, senza zo-
ne d’ombra, tutta la verita di Cristo, disponendone da padroni anziche
cercarla da servi, insieme con tutti gli altri servitori della Parola. Si di-
mentica cioe che, secondo la Scrittura, la verita — e la prassi conseguen-
te — e solo il medium quo e in quo conosciamo Colui che tutto e tutti tra-

8 Sulla metanoia, concetto chiave delPAutore e dell’opera, ricorderemo che, con Pesa-
sperazione savonaroliana che lo contraddistingue, e sua opinione che il cristianesimo sia
scaduto al rango di «religione» (barthianamente intesa) proprio per la carenza di vera
conversione da parte di troppi cristiani che, semplicisticamente confidando nella miseri-
cordia di Dio che chiama al banchetto zoppi, storpi, ecc., dimenticano pero che nemme-
no loro entrano in massa e devono presentarsi con la «veste nuziale». La parabola e solo
apparentemente classista se, in defmitiva, non privilegia alcuno stato o classe ed esige da
tutti un minimo di dignita, rappresentata appunto dalla veste nuziale.
VITA RELIGIOSA TRA RIFORMISMO E UTOPIA 251

scende. E da questa disattesa rivelazione cristiana che discende allora la


sflda finale dell’Autore: almeno i religiosi si decidano se essere i porta-
borraccia d’una Chiesa piu o meno costantiniana e in libera uscita rispet-
to al Vangelo, oppure se presentarsi come il momento iniziale, imperfet-
to ma autentico, d’una Chiesa cosciente d’essere serva e non matrona ri-
spetto alia persona e all’opera di Cojui che e l’unico Signore.
Chiudendo il libro del Bergamaschi che, ripetiamolo, un po’ troppo
impietosamente e con toni degni delPamante tradito, ha denunciato que-
ste (e altre) responsabilita dei cristiani in genere e dei religiosi in parti-
colare — colpevoli, a suo avviso, di non aver saputo proporre il Vange-
lo nella sua radicalita, riducendolo attraverso mille adattamenti a una
dottrina del compromesso —, confessiamo d’essere stati presi da un cer-
to scoraggiamento. Non e certo tonificante vedere cosi in piena luce,
senza pie finzioni, quanto poco espresse siano tuttora le potenzialita del
Vangelo e quanto numerosi siano i cristiani mancati, anche tra i religiosi
e i laici consacrati. Ma e inutile ricorrere alia politica dello struzzo, an-
che se resta sempre vero quanto diceva don Mazzolari: «In una Chiesa
santa, nessuno si troverebbe a suo agio»! E probabile che il Bergama-
schi, vedendo come i cristiani continuino a fare dei limiti umani un co-
modo alibi per defilarsi dalla coerente e percio crocifiggente sequela Chri-
sti, abbia voluto riproporla in tutta la sua urgenza e provocazione.
Ma nel dargli atto d’esserci ben riuscito, gli vorremmo chiedere, ma-
gari in vista della II edizione, sia un supplemento d’incarnazione dell’u-
topia di Telergo nella concretezza della quotidianita — dov’e scritto, in-
fatti, che al profeta non s’addica una migliore traduzione operativa? —,
sia un maggior filtraggio delle proprie tesi e riflessioni, proprio per ren-
derle meno pericolosamente legate alia ricerca del sensazionale che, a
nostro avviso, resta il limite principale di quest’Autore. Al quale, con-
cludendo, vorremmo fraternamente ricordare l’ammonizione d’un altro
profeta, a lui come a noi ben caro. Il pur «violento» don Milani, infatti,
a proposito di certi preti che avevano «perso l’equilibrio dalla parte del-
l’amarezza» a forza di analizzare tutto do che non va nella Chiesa, scri-
veva: «Se la scoperta del male deve prendere tanto posto nella nostra vi-
ta da non saper piu guardare con un sorriso divertito e affettuoso tutte
le cose buone che pur esistono nel mondo e nella Chiesa, allora meritava
non scoprirlo»9.

9 Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di M. Gesualdi, Mondadori,


Milano 1970, 116. Cfr anche, a p. 123, l’ironia con cui sdrammatizza l’autopretesa infalli-
bilita di certi prelati: «L’infallibilita dunque per ora non copre del suo manto tutti e sin-
goli i 75 cardinali, i 281 vescovi d’ltalia, i 5 padri del consiglio di redazione della Civilta
Cattolica ecc. Via, prendiamola in ridere, se no ci si amareggia inutilmente».
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