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Sapienza Cristiana San Josemaría e La Formazione Intellettuale Dei Cristia基督徒培育

Il documento esplora il contributo di San Josemaria Escrivà alla formazione intellettuale dei cristiani, sottolineando l'importanza della santificazione del lavoro e del dialogo con Dio. Escrivà propone una visione del lavoro come espressione dell'amore e strumento di santità, evidenziando il suo ruolo centrale nella vita cristiana. Il testo conclude con osservazioni sull'eredità di Escrivà e la sua influenza sulla comprensione della vocazione cristiana alla santità.

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Sapienza Cristiana San Josemaría e La Formazione Intellettuale Dei Cristia基督徒培育

Il documento esplora il contributo di San Josemaria Escrivà alla formazione intellettuale dei cristiani, sottolineando l'importanza della santificazione del lavoro e del dialogo con Dio. Escrivà propone una visione del lavoro come espressione dell'amore e strumento di santità, evidenziando il suo ruolo centrale nella vita cristiana. Il testo conclude con osservazioni sull'eredità di Escrivà e la sua influenza sulla comprensione della vocazione cristiana alla santità.

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SAPIENZA CRISTIANA.

SAN JOSEMARÍA
E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE
DEI CRISTIANI
Ariberto Acerbi

Sommario : I .La santificatone del lavoro. IL I principi del lavoro intellettuale: storia, dialogo,
sapienza. 1. L’apertura della storia. 2. L’importanza del dialogo. 3. Sapienza cristiana. III.
Osservazioni conclusive.
\
difficile riassumere in poche righe il contributo di san Josemaria ad un
E compito così urgente come la formazione intellettuale dei cristiani. Le
sue opere sono ben visibili (ad esempio, la promozione di alcune scuole e uni­
versità).1 I suoi scritti sono numerosi ed ormai abbastanza noti: da subito co­
municano il pensiero dell’autore, con stile mobile, limpido, capace di toccare
prontamente ogni registro e in cui risuonano con immediatezza le fonti citate
(soprattutto la Scrittura e i Padri).2 Come si può verificare attraverso il riscontro
biografico, anche in tal caso la parola scritta è una impronta netta dell’anima,
una traccia della mente impressa dalla mano sulla carta: una traccia del carat­
tere, della cultura e del gusto, nonché del paziente lavoro dedicato alla pulizia
dell’espressione affinché trasmetta ad altri, a tutti, quanto più urge dire. Come
si apprezza in ogni classico, anche in tal caso vi è un corpo di idee ben connesse
al quale sempre da ogni lato si fa ritorno.

* Una versione abbreviata del testo presente è stata inviata come comunicazione al Convegno
SanJosemaria e ilpensiero teologico (Roma 14-16 novembre 2013), ed è ora pubblicata inj. López Díaz
(a cura di), SanJosemaria e ilpeitsiero teologico, 11, Edusc, Roma 2015, 265-273.
1 Cfr. V. García Hoz, La pedagogia in mons. Escrivà de Balaguer. Un’antropologia cristiana, «Studi
cattolici» 20 (1976) 260-266 (dove si troverà una sintesi di particolare efficacia; l’autore è tornato
sull’argomento in altri contributi; si veda in particolare: Tras las huellas del beato Josemaria Escrivà,
Rialp, Madrid 1997); A. Del Portillo, L’Università nelpensiero e nell’attività apostolica di Mo its. Escri­
và, in Idem, Rendere amabile la verità, Lev, Città del Vaticano 1995, 611-628. Tra le cose più recenti:
cfr. M. Pelaez, San Josemaria Escrivà Cr sfida educativa, «Studi Cattolici» 55 (2011) 88-94; J. Evans,
The educational vision of St. Josemaria Escrivà, founder of Opus Dei, «International Studies in Catholic
Education» 4/2 (2012) 164-178; C. Pioppi (a cura di), Josemaria Escrivà de Balaguer. Educazione cristiana
alla professionalità, La Scuola, Brescia 2013.
2 Cfr. C. Fabro, La tempra di un Padre della Chiesa, in C. Fabro et al., Santi nel mondo, Ares, Milano
1991, 22-155; J.M. Ibañez Langlois, Josemaria Escrivà como escritor, Editorial Universitaria, Santiago
de Chile 2001; M. Fazio (a cura di), SanJosemaria Escrivà. Contesto storico, personalità, scritti (Atti del
Congresso La grandezza della vita quotidiana, Roma 2002,11), Edusc, Roma 2003; J.L. Illanes, Obra
esenta y predicación de sanJosemaria Escrivà de Balaguer, «Studia et Documenta» 3 (2009) 203-276.

«ANNALES THEOLOGICI» • 29, 2015 ' PP- 111-122


112 ARIBERTO ACERBI

Il pensiero di Escrivà è evidentemente lo stesso che la Chiesa ha dichiarato


nel Concilio Vaticano II sulla vocazione di ogni cristiano alla santità, cioè alla
identificazione con Cristo e alla sua testimonianza nel mondo.1 Come presto
a ben vedere si constata, in questo punto e in questo modo la Provvidenza ha
voluto riproporre la novità essenziale del messaggio evangelico : un messaggio
più di ogni altro atteso e d’incomparabile consolazione, poiché mostra quella
verità in cui l’esistenza umana ultimamente consiste e dalla quale, finché ne è
dato tempo, può ogni volta ricominciare.
Nel presente contributo, mi soffermo su questo senso esistenziale di verità e
sull’idea della formazione intellettuale atta a recepirla, cercando di illustrare da
un tale profilo l’eredità di san Josemaria. Anzitutto delineo un profilo del suo
pensiero sul lavoro (i), dal quale ricavo alcune conseguenze sul lavoro intellet­
tuale (ii); in particolare riguardandone: l’inserzione nella storia (ii.i), le virtù
che presiedono alla sua realizzazione (11.2), infine l’elevazione al dialogo con
Dio, dove radica e prende forma la sapienza cristiana (II-3)-2

I. La santificazione del lavoro

In un intervista del 1967, a una domanda sul significato dell’espressione "santifi­


care il lavoro”, già utilizzata da san Josemaria in molte occasioni per descrivere
la vocazione cristiana dei laici, egli stesso avvertiva:
È difficile spiegarlo con poche parole, perché in questa espressione sono impliciti con­
cetti fondamentali propri della teologia della creazione.3
Continuava poi riassumendo il nucleo del proprio insegnamento, già documen­
tato nei suoi scritti, circa l’inserzione del lavoro umano nel piano divino della
creazione e della salvezza, con speciale riferimento alle parole del Genesi sulla
missione originaria dell’uomo e al fatto mirabile del lavoro lungo e nascosto di
Cristo in un villaggio della Galilea. In questo punto si legge chiaramente l’ideale
segnato nel nome stesso della istituzione ecclesiale da lui fondata, l’Opus Dei.
Noi amiamo questo lavoro umano che Egli [Cristo] adottò come condizione di vi­
ta, che coltivò e santificò. Noi vediamo nel lavoro, nella nobile fatica creatrice degli
uomini, non solo uno dei valori umani più elevati, lo strumento indispensabile per
il progresso della società e il più equo assetto dei rapporti fra gli uomini, ma anche
un segno dell’amore di Dio per le creature e dell’amore degli uomini fra di loro e per
Dio: un mezzo di perfezione, un cammino di santità.4

1 Cif. Lumen Gentium, capp. 4 e 5; Apostolicam Actuositatem, capp. 1 e 2. Cfr. J. Escrivá Conversacio­
nes (edizione critica a cura diJ.L. Illanes, Obras completas, 1/3, Rialp, Madrid 2012; trad. it. Colloqui,
Ares, Milano 1968), capp. 1, 5 e 8. La dottrina del Concilio sulla condizione secolare del cristiano rice­
ve in Escrivà, oltreché un’anticipazione, una specificazione mediata dal suo carisma, trasmesso nei
suoi scritti e nella stessa realtà ecclesiale dell’Opus Dei. D’altro lato, come pare, tale specificazione
offre una chiave di lettura potente di quella stessa dottrina.
2 Per le opere di Escrivà e la relativa numerazione dei punti e dei paragrafi si fa riferimento all’edi­
zione Rialp di Madrid. La traduzione italiana principale (Ares, Milano) riporta tale numerazione, per­
ciò sarà citata ad locum. I testi di cui è omesso l’autore sono sempre e soltanto di Josemaria Escrivà.
3 Colloqui, n. 10. 4 Ibidem.
SAN JOSEMARÍA E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE DEI CRISTIANI II3

Tra i numerosi luoghi che potremmo citare per dare seguito a questi punti, sce­
gliamo il seguente, di speciale densità, sul quale vogliamo poi trattenerci.
Il grande privilegio dell’uomo è di poter amare, trascendendo così l’effimero e il tran­
sitorio [...] L’uomo, pertanto, non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti.
Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore. Riconosciamo
Dio non solo nello spettacolo della natura, ma anche nell’esperienza del nostro lavo­
ro, del nostro sforzo. Sapendoci posti da Dio sulla terra, amati da Lui ed eredi delle
sue promesse, il lavoro diviene preghiera, rendimento di grazie.1
Il brano contiene un’affermazione di notevole audacia, certamente suggestiva
per ogni lettore educato alla scuola del pensiero moderno : "riconosciamo Dio
non solo nello spettacolo della natura, ma anche nell’esperienza del nostro lavo­
ro”. Eppure anch’essa non è che una esplicitazione dei concetti della summen­
zionata teologia della creazione. Potremmo trovarvi conferma nell’opera di san
Tommaso, specialmente in quei testi (invero numerosissimi) in cui il teologo
cristiano è chiamato a difendere la consistenza delle cause seconde nell’ordine
naturale.2 Un passo notevole è il breve prologo che spiega il transito dalla sezio­
ne metafisico-teologica della Summa Theologiae (i pars, De Deo uno et trino) alla
sezione antropologico-morale (n pars):
Quia, sicut Damascenus dicit, homo factus ad imaginem Dei dicitur, secundum
quod per imaginem significatur intellectuale et arbitrio liberum et per se potestativum;

1 Es Cristo que pasa (1973), n. 48 (dall’omelia El taller deJosé, 19 marzo 1963); trad. it. È Gesù eke passa,
Ares, Milano 1974. Per l’importanza del passo, riporto di seguito il testo nell’originale castigliano,
includendovi le frasi sopra omesse: «Conviene no olvidar, por tanto, que esta dignidad del trabajo
está fundada en el Amor. El gran privilegio del hombre es poder amar, trascendiendo así lo efímero
y lo transitorio. Puede amar a las otras criaturas, decir tin tú y un yo llenos de sentido. Y puede amar
a Dios, que nos abre las puertas del cielo, que nos constituye miembros de su familia, que nos au­
toriza a hablarle también de tú a Tú, cara a cara. Por eso el hombre no debe limitarse a hacer cosas, a
construir objetos. El trabajo nace del amor, manifiesta el amor, se ordena al amor. Reconocemos
a Dios no sólo en el espectáculo de la naturaleza, sino también en la experiencia de nuestra propia
labor, de nuestro esfuerzo. El trabajo es así oración, acción de gracias, porque nos sabemos coloca­
dos por Dios en la tierra, amados por El, herederos de sus promesas. Es justo que se nos diga: “ora
comáis, ora bebáis, o hagáis cualquier otra cosa, hacedlo todo a gloria de Dios” (iCor 10,31)» (corsivi
nostri). Si noti l’enfasi sulla dimensione locutiva che accomuna la preghiera e il lavoro (quali altret­
tante modalità di piena significazione dell’io e del tu, nella loro stessa prossimità amicale), e che ne
sostiene la naturale, reciproca continuità. Cfr. A. Del Portillo, Il lavoro si trasformi in orazione («Il
Sabato», 7-XI1-1984), in Idem, Rendere amabile la verità, 647-651 (l’autore confronta san Josemaria e
san Giovanni Paolo II sulla spiritualità del lavoro); J.J. Sanguineti, L'umanesimo del lavoro nel beato
Josemaria Escrivá, «Acta Philosophica» 1 (1992) 264-278; G. Faro, Il lavoro nell'insegnamento del Beato
Josemaria Escrivá, Agrilavoro, Roma 2000; J.J. Borobia, F. Rodríguez, A. Aranda (edd.), Trabajo
y espíritu, Eunsa, Pamplona 2004; E. Burkhart, J. López, Vida cotidiana y santitad en la enseñanza de
sanJosemaria, m, Rialp, Madrid 2013.
2 Per un’analisi dell’agire umano nel contesto della dottrina tomistica della creazione, cfr. J. De
Finance, Etre et agir dans la philosophie de saint Thomas, Beauchesne, Paris 1945 (l’autore ha sviluppato
l’argomento nei suoi lavori successivi, sempre di speciale pregio speculativo, nonché stilistico); C.
Cardona, Metafísica del bien y del mal, Eunsa, Pamplona 1987 (trad. it. Metafisica del bene e del male,
Ares, Milano 1991).
114 ARIBERTO ACERBI

postquam praedictum est de exemplari [nella sezione precedente dell’opera, I pars],


scilicet de Deo, et de his quae processerunt ex divina potestate secundum eius volun-
tatem; restât [nella II pars] ut consideremus de eius imagine, idest de homine, secun­
dum quod et ipse est suorum operum principium, quasi liberum arbitrium habens et
suorum operum potestatem.1
Nell’agire umano è così scorto un fondo metafisico, quasi un’eco dell’atto divi­
no da cui ha avuto inizio e dove sempre ha sede l’intero movimento del mon­
do. Nella logica dell’imago Dei, si assiste infatti a un doppio rispecchiamento tra
l’immagine e il modello, da cui risulta una loro mutua chiarificazione. L’identità
dell’uomo consiste infine nella libertà, e questa è il più nitido riflesso della fonte
creativa dell’essere. Ma sono le opere di Dio a determinare il luogo e il senso
dell’agire umano. Perciò, il senso originario della creazione illustra il senso me­
tafisico del lavoro.
A tale proposito, si tratta di rendere finalmente conto dell’esistenza - una que­
stione che in diverso modo e momento tocca da vicino chiunque: l’esistenza è
segnata dall’agire; l’agire umano si dispiega per lo più nella forma del lavoro; il
lavoro dà luogo con regolarità nel tempo, con arte e con relativa fatica, ad un
prodotto qualsivoglia d’interesse comune, ossia ad un bene sociale (manufatti,
servizi, opere delle mani e dell’intelletto, etc.); il lavoro stesso è il mezzo ordi­
nario di sostentamento, di sviluppo ed espressione delle capacità personali; esso
è poi l’occasione e la modalità di buona parte delle relazioni sociali. Ci si chiede
dunque: nella complessa trama finalistica del lavoro, di ogni scambio e rapporto
ai quali l’esistenza umana è necessariamente legata, e ne è in sé costituita, c’è
forse un bene nella cui realizzazione l’esistenza umana stessa ottiene una forma,
un senso riconoscibile e, con ciò, un’ultima giustificazione?
Il passo di Escrivà dianzi citato suggerisce una risposta che comporta uno
spostamento della prospettiva pratico-finalistica della domanda su di un piano
inatteso, ma palesemente obbligato da una domanda assoluta sull’essere, qual è
quella implicita nella dottrina cristiana della creazione: il lavoro, quale sia la sua
oggettiva utilità - pur essa essenziale e indispensabile -, ha valore di immagine
o di simbolo; ha, cioè, valore e significato in quanto, nella continuità del suo
esercizio e infine nel suo prodotto, in qualche modo (alla fine, quasi per gioco),
ripete il medesimo agire in cui l’essere assoluto, Dio, consiste e si manifesta. Co­
sì, tutto ciò che di più intimo e potente motiva il lavoro quotidiano di ciascuno,
come l’affermazione o la cura del bene, dell’ordine (come l’amore appassionato
ed efficace del razionale, del giusto o del bello), la preoccupazione per i nostri ca­
ri e per la sorte del nostro paese; tutto ciò, che è il luogo più alto in cui la transi­
tività dell’agire sbocca e in cui soltanto si mantiene all’altezza dell’umano, rivela
immediatamente qualcosa di Dio, e proprio così attinge la sua autentica realtà.
In tale prospettiva, come già per gli antichi così sempre in ogni cultura, sem­
bra esserci una medesima duplice via per affrancarsi dalla contingenza: l’arte e

Summa Theologiae, i-ii, Prooemium.


SAN JOSEMARÍA E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE DEI CRISTIANI II5

la religione, ossia la trasfigurazione simbolica della materia e del tempo; pure


adesso una via finalmente tracciata nella sostanza concreta universale del lavo­
ro. 1 II lavoro, come espressione normale della persona, quale manifestazione
effettiva compiuta della ragione e della libertà nel tempo, riassume ogni giorno
Tintera finalità del mondo: cantare a Dio la propria lode, con Tofferta della pro­
pria relativa perfezione.2 Il lavoro quotidiano, così inteso e praticato, attinge
lo stesso scopo serbato, per tradizione immemorabile, alla pura contemplazio­
ne intellettiva: Tassimilazione all’eterno. Tuttavia, bisogna badare all’elemento
distintivo del cristianesimo, in cui tale visione, altrimenti prossima a decadere
in una sorta di misticismo cosmico estetico, può davvero acquisire il concreto
spessore dell’esistenza umana, e con ciò il suo reale potere di convinzione.
Amore e preghiera: ecco per il cristiano i vincoli che ci legano a Dio. Vi è
perciò una chiara destinazione personale nella comunicazione dell’esistenza e
nel messaggio divino trasmesso nell’ordine delle cose. L’ordine cosmico non
ha perciò fine e significato in se stesso.3 Così, l’amore impresso nel lavoro, e da
cui sempre, quando esso è ben fatto, trova origine, ha per il cristiano un netto
carattere personale, poiché in tal modo soltanto risponde a quel pensiero sin­
golare da cui l’esistenza ha avuto inizio. Il lavoro serve per dire qualcosa a Dio,
per esprimergli con qualcosa di veramente nostro gratitudine e affetto.4 Si può
dunque pregare con le cose; si può dire e confermare l’amore con le opere e
con i fatti del giorno, poiché il Dio cristiano è evidentemente un Dio amante, e

1 Sul rapporto di lavoro e arte, si consideri questo interessante passo autobiografico: «Mi piaceva
salire su una delle sue torri [del duomo di Burgos], per far contemplare da vicino a quei ragazzi la
selva di guglie, un autentico ricamo di pietra, frutto di un lavoro paziente, faticoso. In quelle con­
versazioni facevo notare che tutta quella meraviglia non era visibile dal basso. E, per materializzare
ciò che tanto spesso avevo loro spiegato, commentavo: questo è il lavoro di Dio, l’opera di Dio!:
portare a termine il lavoro professionale con perfezione, in bellezza, con la grazia di questi delicati
merletti di pietra. Capivano, davanti a una realtà così palese, che tutto quello era preghiera, un bel­
lissimo dialogo con il Signore» (Amigos de Dios, n. 65, trad, it., Amici di Dio, Ares, Milano 1978). Sulla
dimensione artistica del lavoro: elf. A. Fumagalli, Creazione, lavoro, arte, «Studi Cattolici» 352 (1990)
422-426 (l’autore tra l’altro confronta l’estetica metafisica di Maritain e di Gilson).
2 Cfr. Inno Trium Puerorum (efr Dn 3,52-91). Sul canto della creazione: cfr. Amici di Dio, nn. 296-
297.
3 Si ricordi come per Platone il tempo sia un’immagine mobile dell’eterno (Timeo 37d); cui nella
dottrina cristiana si aggiunge l’intemo carattere vitale e locutivo dell’eterno, il dialogo trinitario, con
l’originaria disposizione finalistica del tempo a prendervi parte (la pura ciclicità, pur se organizzata
intorno alla perfezione geometrica delle idee, risulta incoerente con una concezione autenticamente
locutiva del mondo. Secondo questa, il mondo è significativo non già solo poiché incarna un’idea,
ma in quanto è qualcosa detto da qualcuno a qualcuno, e come tale è altresì percepito). Il che ha
sollecitato e tuttora sollecita il pensiero cristiano ad un approfondimento vigoroso del logos, precisa-
mente sotto l’aspetto interpersonale.
4 Va aggiunto, come si legge nel passo di E Gesù che passa immediatamente precedente quello
dianzi citato (ibidem, n. 48), che per «il cristiano, queste prospettive si dilatano» ancora. Infatti, «il
lavoro, essendo stato assunto da Cristo, diventa attività redenta e redentrice». Perciò esso «non solo
è l’ambito nel quale l’uomo vive, ma mezzo e strada di santità, realtà santificabile e santificatrice»
(ibidem, n. 47). Il lavoro umano viene così a dispiegare nel saeculum l’opera redentrice di Cristo, per­
ché il mondo e tutto quanto esso contiene, nello spazio e nel tempo, sia finalmente ricondotto alla
sua verità originaria in Dio.
il 6 ARIBERTO ACERBI

come ogni amante potrebbe altrimenti rimproverarci: «Le opere sono amore,
non i bei ragionamenti» (Obras son amores y no buenas rabones).1

IL I PRINCIPI DEL LAVORO INTELLETTUALE! STORIA, DIALOGO, SAPIENZA


Un elemento essenziale che potremmo ricavare dalle cose dette è questo: per
la fede cristiana, Tessere creato va lentamente assumendo la figura di un’eterna
amorosa conversazione.2 Di ciò esso offre ora un inizio, l’invito e, per così dire,
l’occasione per un primo saggio. Questa formula serve a riassumere alcuni ar­
gomenti nucleari dell’insegnamento spirituale di Escrivà, particolarmente sulla
preghiera, da cui, come si è già visto per il lavoro, si dipartono molte conse­
guenze.3 Tra queste, ne menzionerò alcune tra quelle che coinvolgono più da
presso il lavoro intellettuale - forse ancora più prossimamente quello filosofico
- allegandovi un breve commento.4

ì. L’apertura della storia


La storia umana non ha una forma conclusa, un destino già scritto, né l’epoca
presente è migliore o peggiore in senso assoluto rispetto alle precedenti. La
Provvidenza dà a ciascuno il compito di cogliere e realizzare il bene con le pro­
prie risorse, nella propria situazione. L’interpretazione della storia deve perciò
anzitutto fondarsi su d’una corretta cognizione dell’uomo: su di una limpida e
salda ricognizione della sua essenza spirituale e una fiducia ogni volta rinnovata
nella sua libertà. A tale riguardo, valgono in special modo per il lavoro intellet­
tuale questi consigli:

1 Camino (1939), n. 933; trad. it. Cammino, in Cammino, Solco, Forgia, Ares, Milano 1992.
2 Cfr. Es 33,11; Le 24,i3ss (cfr. Amici di Dio, nn. 313-314); Gv 1,38-39, Gv 2i,iss. (cfr. E Gesù che passa,
n. 108; Amici di Dio, nn. 265-267); Ap 3,20 (cfr. E Gesù che passa, n. 8).
3 Escrivà ha lasciato un itinerario biografico-spirituale nelle due omelie Vita di orazione (4 aprile
1955) e Verso la santità (26 novembre 1967), raccolte in Amici di Dio (1977), capp. 5 e 8. Entrambe le
omelie sono concentrate sulla preghiera, precisamente intesa come legame amicale attuato nel
dialogo. Si confronti Forja (1987, trad. it. Forgia, in Cammino, Solco, Forgia), n. 534: «Tu - come tutti
i figli di Dio - hai bisogno anche dell'orazione personale: di questa intimità, di questo rapporto
diretto con nostro Signore - dialogo a due, faccia a faccia -, senza nasconderti nell'anonimato». Si
noti l'anticipazione performativa del messaggio (la struttura dialogica dell'orazione) nello stesso
tono confidenziale indotto dall'allocuzione in seconda persona. Si può aggiungere (ed è in realtà
proprio questo il punto capitale), che il dialogo con Dio è osservato da Escrivà anzitutto nel Van­
gelo, nella preghiera di Gesù rivolta al Padre: cfr. Vita di oratone, nn. 239-240 (cfr. Le 22,42; Gv
11,41).
4 Cfr. A.M. González, El trabajo filosòfico a la luçdelBeatoJosemaria, in G. Faro (a cura di), Lavo­
ro e vita quotidiana (Atti del Congresso La grandeva della vita quotidiana, Roma 2002), Edusc, Roma
2003, IV, 157-180 ; J. Nubiola, La tarea del filòsofo, inJ.L. Illanes (ed.), El Cristiano en el mundo, Univer­
sità di Navarra, Pamplona 2003, 458-466; J.J. Sanguineti, Aspetti degli insegnamenti di san Josemaria
rilevanti per la filosofia, inj. López Díaz (a cura di), SanJosemaria e ilpeitsiero teologico, 1, Edusc, Roma
2014, 395-409. Un concetto concordantemente sottolineato da questi autori nell’insegnamento di san
Josemaria è quello di “unità di vita”, come sintesi personale costantemente aperta di fede, ragione
e libertà, a proposito della quale rilevano l’importanza della formazione intellettuale e la speciale
funzione orientatrice della filosofia.
SAN JOSEMARÍA E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE DEI CRISTIANI II7

Per te, che desideri formarti una mentalità cattolica, universale, ne trascrivo alcune
caratteristiche: - ampiezza di orizzonti, e vigoroso approfondimento di ciò che è pe­
rennemente vivo nell’ortodossia cattolica; - anelito retto e sano - mai frivolezza - di
rinnovare le dottrine tipiche del pensiero tradizionale, nella filosofia e nell’interpreta­
zione della storia...; - una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del
pensiero contemporanei; - un atteggiamento positivo e aperto di fronte all’odierna
trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita.1
La tradizione per il cristiano, per il cattolico, non può avere dunque il significato
di una norma inderogabile del pensiero e della condotta, che l’educazione do­
vrebbe semplicemente riprodurre, ma ha piuttosto la funzione di trasmettere le
fonti da cui lo spirito umano è preservato nella sua apertura ed è alimentato nel
suo più intimo fondo sorgivo. In altri termini, la verità trasmessa attraverso la
tradizione, come l’ortodossia cattolica, è indirizzata a formare un’intelligenza,
affinché questa veda ed operi con quella padronanza e con quel radicale otti­
mismo che la fede cristiana stessa soltanto imprime.2 La fede cristiana impone
dunque ad ognuno, sebbene diversamente, una continua interrogazione della
storia, del deposito crescente della cultura e dell’interminabile vicenda della vi­
ta sociale, nonché un continuo impegno nel condurla personalmente avanti.
La storia è, infatti, per essa il luogo, pur doloroso e sconcertante, in cui tuttora
si dispiega il dialogo dell’uomo con Dio. E nel corso aperto di questo dialogo,
fatto di azioni e di parole, non c’è una derivazione necessaria dai principi della
fede (purché se ne conservi sempre il vigore e il significato originali) che possa
dispensare dal compito dell’interpretazione; sono quegli stessi principi a richie­
derlo, secondo la logica profonda dell’Incarnazione.3 *Infatti,
* * * *la* fede
lo cristiana,

1 Surco (1986), n. 428; trad. it. Solco, in Cammino, Solco, Forgia.


2 Sulla libertà del cristiano nella sfera secolare, si legga questo passo di Colloqui (n. 12), ove Escrivà,
riferendosi « alla libertà personale che hanno i laici per prendere, alla luce dei princìpi enunciati dal
Magistero della Chiesa, le decisioni concrete, teoriche o pratiche, che ciascuno reputi in coscienza
più opportune», spiega: «per esempio, per quanto riguarda le diverse opinioni filosofiche, di scien­
za economica o di politica ; oppure per quanto riguarda le correnti artistiche e culturali o i proble­
mi concreti della loro vita professionale e sociale, ecc.». A tal proposito osserva: «Non dobbiamo
dimenticare che l’esistenza di un autentico pluralismo di criteri e di opinioni, anche fra i cattolici,
nell’ambito di ciò che il Signore ha lasciato alla libera discussione degli uomini, non solo non è di
ostacolo all’ordinamento gerarchico e alla necessaria unità del Popolo di Dio, ma anzi rafforza questi
valori e li protegge da eventuali inquinamenti».
3 Alla luce della dottrina dell’Incarnazione, ciò che astrattamente considerato appare accidenta­
le rispetto alla regola universale della fede, il campo secolare del contingente e dell’opinabile, non
risulta invece ad essa estrinseca e indifferente; risulta invece come la medesima realtà che quella
fede è destinata a illuminare. Ciò che non può avvenire senza uno sforzo personale d’interpreta­
zione, ossia lo sforzo di riconoscere, appunto alla luce della dottrina cattolica dell’Incarnazione, il
significato divino dell’umano: «Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle
situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire» (Colloqui, n. 114). Nelle parole
seguenti, che riecheggiano spesso nella sua predicazione, è esplicitata nella assiduità al dialogo con
Cristo la modalità di attuazione del compito appena indicato : « Tutti dobbiamo essere ipse Christus -
lo stesso Cristo. E San Paolo che ce lo ingiunge in nome di Dio: Induimini Dominum Iesum Christum
(Rm 13,14) - rivestitevi di Gesù Cristo. Ciascuno di noi - tu! - deve badare a come indossa il vestito
ii8 ARIBERTO ACERBI

Cristo stesso, come principio formativo universale (Logos), ha da compenetrare,


per tramite della medesima libertà con cui è accolto, la materia dell’esistenza
nella sua varietà e ricchezza.

2. L’importanza del dialogo


La concezione appena abbozzata è consentanea ad un’acuta percezione della
grandezza del mondo nella quale l’uomo è collocato. Così la natura come la
storia nascondono in se stesse la presenza operosa di Dio; e in effetti esse riba­
discono con inflessibile regolarità i segni della loro trascendenza. D’altra parte,
la mente di un uomo è evidentemente intessuta dei propri limiti: nei talenti, nel
carattere, nelle occasioni, nell’esperienza... Tutto ciò suggerisce al buon senso
l’esercizio abituale della modestia - che è del resto una virtù assai attraente -, e
il dono, pur talora arrischiato, di quella cordiale fiducia su cui si regge un auten­
tico dialogo (ma a ben guardare, l’intera circolazione delle merci e delle idee).
Infatti, è l’opera stessa del pensiero che, per il suo diretto riferimento alla veri­
tà, è indirizzata più di ogni altra al rapporto con altri. Così pure, non conviene
trattenere per sé quanto di vero e prezioso si è scoperto. Ed è generalmente in
questo modo, nell’amabile intimità di una conversazione in cui si è diretti con
disarmata sincerità alla persona, che si è stati spinti ad un interesse alto e impe­
gnativo, alla condivisione di un’autentica passione intellettuale.1
Hai avuto la grande fortuna di incontrare veri maestri, amici autentici, che ti hanno
insegnato senza riserve tutto ciò che hai voluto sapere; non hai avuto bisogno di trap­
pole per “rubare” la loro scienza, perché ti hanno indicato la via più facile, anche se a
loro è costato duro lavoro e sofferenza scoprirla... Ora tocca a te fare altrettanto, con
questo, con quell’altro, con tutti!2
In queste battute è sottinteso il senso di una comune responsabilità in una im­
presa grande, universale, che sopravanza le risorse del singolo. Perciò analoga­
mente, nell’impresa della scienza, come nella conduzione della cosa pubblica
e in ogni particolare attività d’interesse sociale, devono essere poste in atto e
prontamente trasmesse quelle regole di condotta indispensabili, dettate anzi­
tutto dalla lealtà e dalla prudenza. Ad esempio, la maturazione del pensiero o di
una scelta attraverso lo studio e il consiglio; la franchezza nel dichiarare senza

di cui parla l’Apostolo; ciascuno, personalmente, deve dialogare ininterrottamente con il Signore»
(Forgia, n. 74).
1 Sull’arte della conversazione in san Josemaria (su cui in ogni caso molto si apprende dalle sue
biografie e dai filmati dei suoi incontri famigliali (tertulias), dr. G. Bettetini, Lo stile comunicativo
del beato Josemaria Escrivã, in Fazio, San Josemaria Escrivã, 137-147). Sulle virtù della conversazione,
si leggano ad esempio i seguenti capitoli di Solco: “Sincerità”, “Lealtà”, “Naturalezza”, “Veracità”,
“Ipocrisia”, “Amicizia”, “La lingua”. L’importanza della conversazione nel pensiero di Escrivà si po­
trebbe evincere dall’analisi stilistica dei suoi scritti, ove si riscontra una notevole coerenza tra forma
e contenuto. Si tratta di una direzione di ricerca già avviata e, come pare, promettente. Per uno sta­
tus quaestionis su Cammino sotto questo profilo in A. Méndiz, Panorámica sobre “Camino” como obra
literaria, «Studia et Documenta» 5 (2011) 383-386. 2 Solco, n. 733.
SAN JOSEMARÍA E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE DEI CRISTIANI II9

reticenze il proprio pensiero o nel riconoscere i propri errori (quando ciò sia uti­
le, opportuno o necessario); la discrezione e il sincero rispetto per quanti hanno
una sensibilità o un carattere discordante e per quanti sostengono punti di vista
differenti sui medesimi assunti - anzi, ancor meglio: la capacità di confrontarsi
utilmente e di collaborare con essi; il lasciar decantare l’ira e il non ritrarsi dal
peso dei conflitti attraverso il franco, reciproco chiarimento; l’uso sapiente del
tempo, perché il suo talento sia speso fino in fondo e non vada mai sprecato;1
la cura diligente dei dettagli e l’osservanza delle scadenze previste; la grandezza
d’animo del dedicarsi ogni giorno con giovanile aspettativa a quegli ideali e a
quegli impegni affatto ordinari che ci legano all’intera umanità.2

3. Sapienza cristiana
Nel concetto della scienza è presente l’idea guida di una rappresentazione ve­
ridica del mondo. La nozione di sapienza, com’è noto, vi aggiunge dettagli e
sfumature motivate dal senso della trascendenza della verità, in quanto questa
ha in sé di più riposto e definitivo. La sapienza si riferisce infatti direttamente a
Dio, e attende a raccoglierne ovunque nel mondo le tracce, con silenziosa per­
severanza.3 *Su* *questo
* * * *piano,
il la fede guadagna presto più cose di quante non
ne possa attingere da solo l’intelletto. Infatti, la fede intuisce, cerca ed aspetta

1 iCor 7,29. Cfr. Il tesoro del tempo (9 gennaio 1956), in Amici di Dio, cap. 3.
2 Una formulazione essenziale di quest’ultimo punto si trova nell’omelia Amare il mondo appassio­
natamente (8 ottobre 1967, in Colloqui, cap. 8). Si confronti poi l’omelia Virtù umane (6 settembre 1941),
in Amici di Dio, cap. 5, da cui estraggo la seguente descrizione della magnanimità : « E la forza che ci fa
uscire da noi stessi, permettendoci di intraprendere opere grandi, a beneficio di tutti [...] Il magnani­
mo impiega senza riserve le sue forze in ciò che vale la pena; è quindi capace di offrire se stesso» (ivi,
n. 80, trad. dt.). Vale la pena di notare che papa Francesco, in un discorso rivolto a insegnanti e stu­
denti (7 giugno 2013), riferendosi all’insegnamento di sant’Ignazio di Loyola, ha additato la magnani­
mità come la virtù guida dell’intero percorso educativo: «Seguendo ciò che d insegna sant’Ignazio,
nella scuola l’elemento principale è imparare ad essere magnanimi. La magnanimità: questa virtù
del grande e del piccolo (Non coerceri maximo contineri minimo, divinum est), che ci fa guardare sempre
l’orizzonte. Che cosa vuol dire essere magnanimi? Vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza
d’animo, vuol dire avere grandi ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che
Dio ci chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno».
3 Se è concesso attingere alla tradizione orale giunta a chi scrive, si potrebbero menzionare molti
dettagli della vita di sanjosemaria che illustrano la sua capacità di trarre spunto dai casi più diversi e
imprevedibili della vita quotidiana, come dai relativi racconti di altri, per cogliervi sempre, con stra­
ordinaria rapidità, un significato profondo, universale e soprannaturale. Un esempio interessante è la
sua attenzione nel leggere il giornale, per ricavarne, tra l’altro, appunti su modi di dire caratteristici
o su efficaci formulazioni linguistiche da suggerire anche ad altri, e che poi, in effetti, rifluiscono ab­
bondantemente nella sua predicazione e nei suoi scritti. Ancora, l’abitudine di prender nota durante
le escursioni o i viaggi di soluzioni architettoniche interessanti. Lo si potrebbe notare anche laddove,
con stile prettamente evangelico, e talora con autentico lirismo, si sofferma su oggetti d’uso quoti­
diano, su gesti e situazioni consuete (ad esempio, Amici di Dio, nn. 14, 254, 257). S’intravede qui come
il suo dialogo con le persone sia alimentato da un dialogo abituale attento con la realtà, poiché que­
sta è sempre colta in ogni sua parte come traccia della presenza operosa di Dio ; appunto 1’eserdzio
di quanto egli insegnava sulla contemplazione nel bel me%%o della strada. E interessante seguire sotto
questo profilo la genesi biografica dei suoi scritti. Si leggano, ad esempio, l’introduzione e le note di
P. Rodríguez nell’edizione critica di Camino (Obras completas ih, Rialp, Madrid 2002).
120 ARIBERTO ACERBI

quanto un giorno sarà finalmente a tutti manifesto, poiché è ancorata a quella


fiducia amorosa che sostiene, o dovrebbe sempre comunque sostenere, la vita
quotidiana dei cristiani.
Non è da cristiani pensare all’amicizia divina come a una risorsa per casi estremi. Po­
trà mai sembrarci giusto ignorare o disprezzare le persone che amiamo? Certamente
no. A coloro che amiamo si rivolgono costantemente le nostre parole, i desideri, i
pensieri: c’è come una loro continua presenza. Lo stesso deve essere per Iddio. Cer­
cando il Signore in questo modo, la nostra giornata si trasforma tutta intera in un’in­
tima e fiduciosa conversazione.1
È questa davvero una proposizione costitutiva dello spirito trasmesso da san
Josemaria alla Chiesa; vi è formulata una poderosa intuizione soprannaturale,
lungamente temprata, infine posta a fondamento di una solida antropologia:
quella di una gioiosa, completa confidenza indotta dal senso della filiazione di­
vina. Su questo punto la sua parola sembra più di ogni altra ricorrente ed acco­
rata: «chi non sa di essere figlio di Dio, non conosce lapin intima delle verità che
lo riguardano».2 E dunque,
Qual è la verità che inizia e porta a compimento in tutta la nostra vita il cammino del­
la libertà? Ve lo dirò sinteticamente con la gioia e la sicurezza che derivano dalla rela­
zione fra Dio e le sue creature: sapere che siamo opera delle mani di Dio, che siamo
prediletti dalla Santissima Trinità, che siamo figli di un Padre eccelso. Chiedo al Signo­
re che ci aiuti a renderci conto di tutto questo, ad assaporarlo giorno dopo giorno.3 4
Per questa via, la sapienza cristiana ha davanti a sé il compito di compenetra­
re sempre più l’intelletto dei misteri della fede, per leggere attraverso di essi il
fenomeno e il fondamento della creazione.4 La mente è così attratta in un in­

1 Amici di Dio, n. 247.


2 Ibidem, n. 26, corsivo nostro. Cfr. Rm 8,14-39. H senso della filiazione divina è documentato in
tutte le biografie di sanjosemaria disponibili. Tra gli sviluppi speculativi più notevoli, cfr. F. Ocarìz,
Hijos de Dios en Cristo, Eunsa, Pamplona 1972 (l’autore è tomato in seguito più volte sul tema, con
speciale riferimento a sanjosemaria). Per una recente trattazione d’insieme: cfr. Burkhart, López,
Vida cotidiana y santitad, il (2011), cap. 4. Per un interessante scavo nella genesi dell’opera di sanjo­
semaria dagli appunti personali di meditazione sul Nuovo Testamento, con speciale riferimento alle
lettere di san Paolo, cfr. F. Varo, Alegres con esperança. Textos de san Pablo meditados por sanJosemaria,
Rialp, Madrid 2009 (in particolare, sulla filiazione divina, 52-57).
3 Ibidem. Cfr. Gv 8,31-36. Sull’importanza della teologia giovannea nel pensiero di Escrivà, con
particolare riguardo alla filiazione divina, elf. G. Maspero, Dogma e santità. Il rapporto tra creazione e
Trinità alla luce di un’esperienza concreta della filiazione divina, in López Díaz, SanJosemaria e ilpeitsiero
teologico, 1,171-216.
4 Sull’importanza della religione per l’elaborazione di un’autentica cultura, si legga questo passo
di Colloqui (n. 73): «La religione è la più grande ribellione dell’uomo che non si rassegna a vivere
come una bestia, dell’uomo che non si adatta - non si dà pace - finché non conosce e non stabilisce
una comunicazione con il suo Creatore». L’osservazione comporta alcune conseguenze importanti
per gli studi universitari: « [Poiché la religione è] una necessità fondamentale» dell’essere umano, «la
religione deve essere presente nell’università; e deve essere insegnata al livello più altro, scientifico,
di buona teologia. Un’università in cui la religione è assente, è un’università incompleta: perché
ignora una dimensione fondamentale della persona umana, che non esclude - anzi richiede - le altre
dimensioni».
SAN JOSEMARÍA E LA FORMAZIONE INTELLETTUALE DEI CRISTIANI 121

cessante movimento ascendente, poiché, come si osserva appunto nei santi, il


Vangelo ha portato con sé una richiesta affatto incondizionata e universale di
verità: quella stessa che dovrebbe informare la formazione intellettuale dei cri­
stiani. Ed è proprio tale richiesta, ad avviso di chi scrive, il suo significato epoca­
le irrinunciabile per la filosofia.

III. Osservazioni conclusive

"Sapienza cristiana” è il titolo consueto per una riflessione sul senso cristiano
della conoscenza e sulla formazione intellettuale del cristiano.1 A tale proposi­
to, l’opera di san Josemaria offre spunti di rilievo. È questa la conclusione che si
può trarre da una pur rapida sintesi del suo pensiero sul lavoro (i), osservando­
ne il coerente rispecchiamento nella relativa concezione del lavoro intellettuale
(n). Lo si è potuto verificare esaminando l’articolazione esistenziale di quest’ul­
timo secondo alcuni rapporti fondamentali: il rapporto con la storia (ili), il rap­
porto interpersonale (11.2), il rapporto con Dio (11.3).
Rivedendo le considerazioni svolte rispetto a questi punti, si può adesso ri­
conoscervi la comune matrice in un senso spiccatamente esistenziale di verità,
quale appare con evidenza nel vissuto del dialogo e delle rispettive virtù (tra le
quali in primo luogo, la sincerità) (11.2). Come si può constatare, solo nel conte­
sto di una comunicazione così improntata può maturare un’apertura fiduciosa
alla verità (l’apertura alla universalità dell’essere è mediata dalla viva trascen­
denza che accade nel dialogo). Del resto, come si è osservato (1), il dialogo è già
la forma che per san Josemaria assume l’intero essere creato, in quanto esso nel
complesso e in ogni suo elemento riflette la relazione amorosa-filiale presente
in Dio, rivelata in Cristo, a cui l’uomo è invitato a prendere parte.
In tale prospettiva, la relazione comunicativa che media il processo formati­
vo, 0 la trasmissione della conoscenza, può essere già indicativa del suo conte­
nuto; non ne è invece il solo strumento 0 l’occasione, poiché in generale, secon­
do la dottrina cristiana, la contemplazione di Dio, alla quale la ricerca umana
della verità è indirizzata, si attinge soprattutto attraverso il legame dell’amicizia
(la realtà del Dio vivente e personale non può essere altrimenti riflessa che in un
medio vivente e personale).2
In sintesi, chi scrive ha trovato una chiave di lettura comprensiva del pensiero
di Escrivà nel dialogo, che accomuna la sua concezione della creazione, della
preghiera e del lavoro (come si evince in maniera paradigmatica da Es Cristo
que pasa n. 48 (1). Il dialogo amicale (realizzazione compiuta del logos, e perciò
forma e contenuto della verità) è così la forma che, nei suoi caratteri e requisiti,

1 Sapientia Christiana è infatti il titolo di un documento di Giovanni Paolo II sulle Università Ec­
clesiastiche (29 aprile 1979). Sulla concezione cristiana della conoscenza, cfr. ad esempio : R. Guar­
dini, Über den christlichen Sinn der Erkenntnis (1951), in Idem, Unterscheidung des Christlichen, 1963 (trad,
it. Sul senso cristiano della conoscenza, in Idem, Natura, cultura, Cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1983,
223-232).
2 Cfr. ìGv 4,7-8,12. Cfr. S. Agostino, In Epistolam Ioannis ad Parthos, ad loe. (cfr. Tract. 7, n. 10).
122 ARIBERTO ACERBI

dovrebbe presiedere ogni rapporto umano; non ultimo quel rapporto umano
privilegiato dal quale ha origine l’impresa comune del sapere e in cui, soltanto,
questa potrà ancora proseguire.1

Abstract

La nota commenta alcuni testi di san Josemaria per ricavarne alcune linee del suo pen­
siero circa le principali caratteristiche e virtù della formazione intellettuale. Una partico­
lare attenzione è prestata all’interpretazione cristiana dei concetti di lavoro, preghiera,
libertà, dialogo e sapienza, che l’opera pubblicata del santo permette di approfondire.
In an effort to understand St. Josemaria Escrivá’s teachings on intellectual work, this
essay analyzes some of his writings and oral preaching. Special attention is paid to the
Christian notions of work, prayer, freedom, dialogue and wisdom.

1 Suita compenetrazione di amore e conoscenza e le relative conseguenze nello stesso stile della
vita universitaria: cfr. Benedetto XVI, Discorso ai dirigenti, docenti e studenti dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore, 21 maggio 2011. Il legame vitale di amore e conoscenza si trova normalmente incarna­
to nel rapporto di amicizia, cui corrisponde il pieno significato del termine conversano, un aspetto del
quale è il dialogo. La densa etimologia del termine conversano coinvolge una ampia famiglia di ter­
mini nei quali si possono riconoscere le maggiori determinazioni della vita quotidiana al livello delle
relazioni personali: familiaritas, commoratio, commercium, consuetudo; infine, l’intersoggettività nel
suo intero arco di attuazione. Per una ricognizione filosofica sul tema: cfr. S. Tapia, Filosofia del la
conversación (Tesi di Dottorato, Pontificia Università della Santa Croce, Roma 2013). Per una fine in­
dagine sulla letteratura italiana (e su san Tommaso) : cfr. A. Robiglio, Appunti sulla conversazione: tra
Dante Alighieri e Baldassar Castiglione, «Rassegna Europea di Letteratura Italiana» 29-30 (2007) 93-107.
Nell’opera di san Josemaria si potrebbero riconoscere le dimensioni della conversano in alcuni termi­
ni assai ricorrenti, come “tratto”, “frequentazione”, “amicizia”, “convivenza”. Si rilegga ad esempio
il passo già sopra citato (supra, 11.3): «A coloro che amiamo si rivolgono costantemente le nostre
parole, i desideri, i pensieri: c’è come una loro continua presenza. Lo stesso deve essere per Iddio»
(Amici di Dio, n. 247). Si noti come la presenza della persona amata, in cui radica la “conversazione”,
sia costituita dalla cooperazione vitale delle principali funzioni psichiche: memoria, linguaggio, af­
fettività, pensiero. Nel passo seguente, ove sono rintracciabili alcune delle equivalenze del termine
conversano sopra menzionate, si illustra la richiesta umana più profonda di cui questo è espressione,
indicando la via attraverso la quale tale richiesta potrà essere finalmente soddisfatta : « Cerchi la com­
pagnia di amici che, con la loro conversazione e il loro affetto, con la loro frequentazione, ti rendano
più sopportabile l’esilio di questo mondo..., sebbene gli amici a volte tradiscano. - Non mi sembra
male. Però..., perché non frequenti ogni giorno, con maggiore intensità, la compagnia, la conversa­
zione del Grande Amico, che non tradisce mai?» (Cammino, n. 88).
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