Le riflessioni di padre Roberto Pasolini
TESTIMONI
Ascensione del Signore
“Noi che spesso ci sentiamo deboli, inadeguati, siamo continuamente
perdonati dal suo amore. Ciò che qualifica a essere «testimoni» non è la forza
o la coerenza della vita, ma il desiderio del Signore risorto di predicare,
è essere abitati dal dono che riceviamo.”
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L a vita della Chiesa, che «da Gerusalemme» (At 1,4) è
chiamata a estendere la sua vitalità «fino ai confini
della terra» (1,8), prende avvio proprio da quel gesto di
allontanamento che il Signore compie di fronte agli sguardi
trasognati dei suoi discepoli:
«E mentre lo guardavano, fu elevato in alto
e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9).
Il Risorto viene «portato su, in cielo» (Lc 24,51), non prima
di aver dischiuso all’intelligenza dei suoi amici una nuova
modalità di restare insieme per continuare la costruzione del
Regno di Dio nella storia e per l’eternità:
«… riceverete la forza dello Spirito Santo
che scenderà su di voi e di me sarete
testimoni» (At 1,8).
Ecco la ragione ultima per cui il Testimone fedele del Padre si
separa dal suo corpo ecclesiale: consentire la discesa sulla
terra, completa e permanente, dello Spirito Santo che rende
gli apostoli capaci di essere testimoni del mistero pasquale.
Attraverso un linguaggio più teologico, l’autore della lettera
agli Ebrei interpreta questa ascensione del Signore come un
gesto tutto orientato a infonderci la speranza di una vita più
grande: Cristo è entrato «nel cielo stesso» per «comparire al
cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24) e così aprirci una
«via nuova e vivente» (10,20) per accostarci al Padre con
«piena libertà» (10,19).
Accedere e rimanere in questa libertà è tutt’altro che
scontato, perché è sempre molto radicato in noi il desiderio
che sia ancora un altro – Dio – a compiere quello che invece
tocca ormai a noi assumere come responsabilità:
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«Signore, è questo il tempo nel quale
ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6).
Noi tutti volentieri resteremmo «a guardare il cielo» (1,11),
anziché riconoscere che, dopo l’immersione nelle acque
battesimali, i nostri «cuori» sono ormai stati «purificati da ogni
cattiva coscienza» e il nostro «corpo lavato con acqua pura»
(Eb 10,22). Ciò che qualifica a essere «testimoni» dell’evento
pasquale non è la forza o la coerenza della vita, ma il desiderio
del Signore risorto di predicare «a tutti i popoli la conversione
e il perdono dei peccati» (Lc 24,47) proprio attraverso la voce
di quanti, dopo averlo incontrato e accolto, ormai «l’aspettano
per la loro salvezza» (Eb 9,28).
Infatti, prima di avventurarsi nella missione apostolica
di testimonianza e di annuncio, gli apostoli sono invitati dal
Signore a non fare nulla, se non rimanere precisamente là
dove sono, per essere interiormente e pienamente abitati da
quel dono che solo nello spazio della comunione ecclesiale è
possibile ricevere:
«Voi restate in città, finché non siate
rivestìti di potenza dall’alto» (Lc 24,49).
Accettare le conseguenze dell’Ascensione di Cristo vuol dire
essere disposti a giocarsi autenticamente in quella porzione
di tempo e di spazio in cui la provvidenza di Dio ci ha posto,
là dove le nostre relazioni fondamentali ci stanno educando
a vivere la vita con lucida e disincantata passione. Occorre
rimanere, non dove avremmo potuto o voluto essere, non in
una migliore esperienza spirituale rispetto a quella che ci è
capitata, ma proprio là dove siamo e dove la Provvidenza di
Dio ci chiama a essere. Il Signore si è dunque allontanato da
noi solo per poter moltiplicare e intensificare la sua presenza,
facendo diventare la nostra umanità il segno concreto della sua
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sensibilità alla nostra vita umana. Siamo dunque noi i testimoni
della Pasqua, noi che sbagliamo ancora, eppure rimaniamo
uniti al Signore, attraverso la sua Parola, i sacramenti, la vita
della Chiesa e l’impegno nel mondo. Noi, che spesso ci sentiamo
deboli, inadeguati, nudi e poveri, ma che possiamo ormai
vivere «senza alcuna relazione con il peccato» (Eb 9,28), non
perché estranei alle sue seduzioni, ma perché continuamente
perdonati da un amore che ci precede e ci segue fino agli inferi
della morte. Proprio noi, chiamati oggi ad abbassare lo sguardo
dal cielo, per cercare e incontrare negli altri quei fratelli a cui
annunciare il vangelo di Dio, siamo e saremo «testimoni» (At
1,8; Lc 24,48) della vita nuova in Cristo.
Letture: At 1,1-11; dal Sal 46 (47);
Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53
(Domenica 1° giugno 2025)