Le Cittc3a0 Invisibili Italo Calvino
Le Cittc3a0 Invisibili Italo Calvino
avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo,
Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a
1. Corsivo d’apertura I crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.
2. Anastasia
3. Tamara
4. Ottavia
5. Fillide
6. Eudossia Le città e il desiderio. 2. Anastasia
7. Leonia
8. Corsivo d’apertura VIII Di capo a tre giornate, andando verso mezzodì, l'uomo s'incontra ad Anastasia,
9. Trude città bagnata da canali concentrici e sorvolata da aquiloni. Dovrei ora enumerare le
10. Corsivo di chiusura VIII merci che qui si comprano con vantaggio: agata onice crisopazio e altre varietà di
11. Perinzia calcedonio; lodare la carne del fagiano dorato che qui si cucina sulla fiamma di legno
12. Raissa di ciliegio stagionato e si cosparge con molto origano; dire delle donne che ho visto
13. Cecilia fare il bagno nella vasca d'un giardino e che talvolta invitano - si racconta - il
14. Corsivo di chiusura IX passeggero a spogliarsi con loro e a rincorrerle nell'acqua. Ma con queste notizie non
ti direi la vera essenza della città: perché mentre la descrizione di Anastasia non fa che
risvegliare i desideri uno per volta per obbligarti a soffocarli, a chi si trova un mattino
in mezzo ad Anastasia i desideri si risvegliano tutti insieme e ti circondano. La città ti
Le città invisibili appare come un tutto in cui nessun desiderio va perduto e di cui tu fai parte, e poiché
1972 essa gode tutto quello che tu non godi, a te non resta che abitare questo desiderio ed
esserne contento. Tale potere, che ora dicono maligno ora benigno, ha Anastasia, città
ingannatrice: se per otto ore al giorno tu lavori come tagliatore d'agate onici crisopazi,
la tua fatica che dà forma al desiderio prende dal desiderio la sua forma, e tu credi di
I godere per tutta Anastasia mentre non ne sei che lo schiavo.
Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli
descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari
continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni
altro suo messo o esploratore. Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue
all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla Le città e i segni. 1. Tamara
malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a
comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l'odore degli L'uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l'occhio si ferma
elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una su una cosa, ed è quando l'ha riconosciuta per il segno d'un'altra cosa: un'impronta
vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d'acqua, il
planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi fiore dell'ibisco la fine dell'inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e
eserciti nemici di sconfitta in sconfitta e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai pietre sono soltanto ciò che sono.
sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte
di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento d'insegne che sporgono dai muri. L'occhio non vede cose ma figure di cose che
disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le
meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo alabarde il corpo di guardia, la stadera l'erbivendola. Statue e scudi rappresentano
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leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa - chissà cosa - ha per segno un leone o
delfino o torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che in un luogo è proibito -
entrare nel vicolo con i carretti, orinare dietro l'edicola, pescare con la canna dal ponte
- e di ciò che è lecito - abbeverare le zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei VI
parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue degli dei, raffigurati ognuno coi suoi Le città e gli occhi. 4. Fillide
attributi: la cornucopia, la clessidra, la medusa, per cui il fedele può riconoscerli e
rivolgere loro le preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna insegna o figura, la Giunto a Fillide, ti compiaci d'osservare quanti ponti diversi uno dall'altro
sua stessa forma e il posto che occupa nell'ordine della città bastano a indicarne la attraversano i canali: ponti a schiena d'asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi,
funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la scuola pitagorica, il bordello. Anche le con i parapetti traforati; quante varietà di finestre s'affacciano sulle vie: a bifora,
mercanzie che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma moresche, lanceolate, a sesto acuto, sormontate da lunette o da rosoni; quante specie
come segni d'altre cose: la benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la di pavimenti coprano il suolo: a ciottoli, a lastroni, d'imbrecciata, a piastrelle bianche
portantina dorata potere, i volumi di Averroè sapienza, il monile per la caviglia e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che
voluttà. Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a
devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. «Felice chi ha ogni giorno Fillide sotto
che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti. gli occhi e non finisce mai di vedere le cose che contiene», esclami, col rimpianto di
Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o dover lasciare la città dopo averla solo sfiorata con lo sguardo.
nasconda, l'uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s'estende la terra vuota Ti accade invece di fermarti a Fillide e passarvi il resto dei tuoi giorni. Presto la
fino all'orizzonte, s'apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole.
vento danno alle nuvole l'uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una Come tutti gli abitanti di Fillide, segui linee a zigzag da una via all'altra, distingui
mano, un elefante... zone di sole e zone l'ombra, qua una porta, là una scala, una panca dove puoi posare il
cesto, una cunetta dove il piede inciampa e non ci badi. Tutto il resto della città è
invisibile. Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto,
la via più breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel
creditore. I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro,
V sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti più gaio è perché è
Le città sottili. 5. Ottavia quello in cui passava trent'anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamate, oppure è
solo perché riceve luce a una cert'ora come quel portico, che non ricordi più dov'era.
Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città-ragnatela. C'è un Milioni d'occhi s'alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una
precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due pagina bianca. Molte sono città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che
creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a se le cogli di sorpresa.
non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non
c'è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s'intravede più in
basso il fondo del burrone.
Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il Le città e il cielo. 1. Eudossia
resto, invece d'elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a
sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d'acqua, becchi del gas, girarrosti, A Eudossia, che si estende in alto e in basso, con vicoli tortuosi, scale, angiporti,
cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, catapecchie, si conserva un tappeto in cui puoi contemplare la vera forma della città.
lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. A prima vista nulla sembra assomigliare meno a Eudossia che il disegno del tappeto,
Sospesa sull'abisso, la vita degli abitanti d'Ottavia è meno incerta che in altre città. ordinato in figure simmetriche che ripetono i loro motivi lungo linee rette e circolari,
Sanno che più di tanto la rete non regge. intessuto di gugliate dai colori splendenti, l'alternarsi delle cui trame puoi seguire
lungo l'ordito. Ma se ti fermi a osservarlo con attenzione, ti persuadi che a ogni luogo
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del tappeto corrisponde un luogo della città e che tutte le cose contenute nella città vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse,
sono comprese nel disegno, disposte secondo veri rapporti, quali sfuggono al tuo o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità.
occhio distratto dall'andirivieni dal brulichio dal pigia-pigia. Tutta la confusione di Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i
Eudossia, i ragli dei muli, le macchie di nerofumo, l'odore di pesce, è quanto appare resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira
nella prospettiva parziale che tu cogli; ma il tappeto prova che c'è un punto dal quale devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci
la città mostra le sue vere proporzioni, lo schema geometrico implicito in ogni suo da pensare.
minimo dettaglio. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori
Perdersi a Eudossia è facile: ma quando ti concentri a fissare il tappeto riconosci la della città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arretrare
strada che cercavi in un filo cremisi o indaco o amaranto che attraverso un lungo giro più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste s'innalzano, si stratificano, si
ti fa entrare in un recinto color porpora che è il tuo vero punto d'arrivo. Ogni abitante dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel
di Eudossia confronta all'ordine immobile del tappeto una sua immagine della città, fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo,
una sua angoscia, e ognuno può trovare nascosta tra gli arabeschi una risposta, il alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli
racconto della sua vita, le svolte del destino. indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di
Sul rapporto misterioso di due oggetti così diversi come il tappeto e la città fu montagne.
interrogato un oracolo. Uno dei due oggetti, - fu il responso, - ha la forma che gli dei Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del
diedero al cielo stellato e alle orbite su cui ruotano i mondi; l'altro ne è un suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni
approssimativo riflesso, come ogni opera umana. giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle
Gli àuguri già da tempo erano certi che l'armonico disegno del tappeto fosse di spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi
fattura divina; in questo senso fu interpretato l'oracolo, senza dar luogo a controversie. giorni e anni e lustri.
Ma allo stesso modo tu puoi trarne la conclusione opposta: che la vera mappa Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo se sullo sterminato
dell'universo sia la città d'Eudossia così com'è, una macchia che dilaga senza forma, immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai
con vie tutte a zigzag, case che franano una sull'altra nel polverone, incendi, urla nel d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il
buio. mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno
con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e
nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a
vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo,
VII un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga
Le città continue. 1. Leonia di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel
proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa,
risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine
indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio,
latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.
d'apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d'ieri
aspettano il carro spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine
fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni,
enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno VIII
vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che Ai piedi del trono del Gran Kan s'estendeva un pavimento di maiolica. Marco
ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la Polo, informatore muto, vi sciorinava il campionario delle mercanzie riportate dai
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suoi viaggi ai confini dell'impero: un elmo, una conchiglia, una noce di cocco, un Il Gran Kan cercava d'immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del gioco
ventaglio. Disponendo in un certo ordine gli oggetti sulle piastrelle bianche e nere e a sfuggirgli. Il fine d'ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Qual era la
via via spostandoli con mosse studiate, l'ambasciatore cercava di rappresentare agli vera posta? Allo scacco matto, sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del
occhi del monarca le vicissitudini del suo viaggio, lo stato dell'impero, le prerogative vincitore, resta un quadrato nero o bianco, A forza di scorporare le sue conquiste per
dei remoti capoluoghi. ridurle all'essenza, Kublai era arrivato all'operazione estrema: la conquista
Kublai era un attento giocatore di scacchi; seguendo i gesti di Marco osservava definitiva, di cui i multiformi tesori dell'impero non erano che involucri illusori, si
che certi pezzi implicavano o escludevano la vicinanza d'altri pezzi e si spostavano riduceva a un tassello di legno piallato: il nulla...
secondo certe linee. Trascurando la varietà di forme degli oggetti, ne definiva il modo
di disporsi gli uni rispetto agli altri sul pavimento di maiolica. Pensa: «Se ogni città è
come una partita a scacchi, il giorno in cui arriverò a conoscerne le regole
possiederò finalmente il mio impero, anche se mai riuscirò a conoscere tutte le città
che contiene».
In fondo, era inutile che Marco per parlargli delle sue città ricorresse a tante Le città continue. 2. Trude
cianfrusaglie: bastava una scacchiera coi suoi pezzi dalle forme esattamente
classificabili. A ogni pezzo si poteva volta a volta attribuire un significato Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi
appropriato: un cavallo poteva rappresentare tanto un vero cavallo quanto un corteo lettere, avrei creduto d'essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I
di carrozze, un esercito in marcia, un monumento equestre; e una regina poteva sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse
essere una dama affacciata al balcone, una fontana, una chiesa dalla cupola case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse
cuspidata, una pianta di mele cotogne. piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non
Tornando dalla sua ultima missione Marco Polo trovò il Kan che lo attendeva cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già
seduto davanti a una scacchiera. Con un gesto lo invitò a sedersi di fronte a lui e a l'albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con
descrivergli col solo aiuto degli scacchi le città che aveva visitato. Il veneziano non si compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite
perse d'animo. Gli scacchi del Gran Kan erano grandi pezzi d'avorio levigato: guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano.
disponendo sulla scacchiera torri incombenti e cavalli ombrosi, addensando sciami di Perché venire a Trude? mi chiedevo. E già volevo ripartire.
pedine, tracciando viali diritti o obliqui come l'incedere della regina, Marco ricreava - Puoi riprendere il volo quando vuoi, - mi dissero, - ma arriverai a un'altra Trude,
le prospettive e gli spazi di città bianche e nere nelle notti di luna. uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un'unica Trude che non comincia e
Al contemplarne questi paesaggi essenziali, Kublai rifletteva sull'ordine invisibile non finisce, cambia solo il nome all'aeroporto.
che regge le città, sulle regole cui risponde il loro sorgere e prender forma e
prosperare e adattarsi alle stagioni e intristire e cadere in rovina. Alle volte gli
sembrava d'essere sul punto di scoprire un sistema coerente e armonioso che
sottostava alle infinite difformità e disarmonie, ma nessun modello reggeva il
confronto con quello del gioco degli scacchi. Forse, anziché scervellarsi a evocare … Il Gran Kan cercava d'immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del
col magro ausilio dei pezzi d'avorio visioni comunque destinate all'oblio, bastava gioco a sfuggirgli. 1l fine d'ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Qual
giocare una partita secondo le regole, e contemplare ogni successivo stato della era la vera posta? Allo scacco matto, sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del
scacchiera come una delle innumerevoli forme che il sistema delle forme mette vincitore, resta il nulla: un quadrato nero o bianco. A forza di scorporare le sue
insieme e distrugge. conquiste per ridurle all'essenza, Kublai era arrivato all'operazione estrema: la
Ormai Kublai Kan non aveva più bisogno di mandare Marco Polo in spedizioni conquista definitiva, di cui i multiformi tesori dell'impero non erano che involucri
lontane: lo tratteneva a giocare interminabili partite a scacchi. La conoscenza illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato.
dell'impero era nascosta nel disegno tracciato dai salti spigolosi del cavallo, dai Allora Marco Polo parlò: - La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni:
varchi diagonali che s'aprono alle incursioni dell'alfiere, dal passo strascicato e ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno
guardingo del re e dell'umile pedone, dalle alternative inesorabili d'ogni partita. strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre?
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Qui si scorge un nodo appena accennato: una gemma tentò di spuntare in un giorno
di primavera precoce, ma la brina della notte l'obbligò a desistere -. Il Gran Kan non Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani,
s'era fin'allora reso conto che lo straniero sapesse esprimersi fluentemente nella sua impreca ai bambini che piangono, s'appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i
lingua, ma non era questo a stupirlo. - Ecco un poro più grosso: forse è stato il nido pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi
d'una larva; non d'un tarlo, perché appena nato avrebbe continuato a scavare, ma dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l'ago, o sulle
d'un bruco che rosicchiò le foglie e fu la causa per cui l'albero fu scelto per essere colonne di numeri tutti storti dei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle
abbattuto... Questo margine fu inciso dall'ebanista con la sgorbia perché aderisse al file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti
quadrato vicino, più sporgente... risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per
La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto saperlo: d'estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.
sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d'ebano, delle zattere Eppure, a Raissa, a ogni momento c'è un bambino che da una finestra ride a un
di tronchi che discendono i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre... cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore
che dall'alto dell'impalcatura ha esclamato: - Gioia mia, lasciami intingere! - a una
giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo
all'ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da
una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d'un ufficiale che le ha sorriso
IX nel saltare l'ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli
Le città e il cielo. 4. Perinzia ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da
un pittore felice d'averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella
Chiamati a dettare le norme per la fondazione di Perinzia gli astronomi stabilirono miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: «Anche a Raissa, città triste,
il luogo e il giorno secondo la posizione delle stelle, tracciarono le linee crociate del corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa,
decumano e del cardo orientate l'una come il corso del sole e l'altra come l'asse attorno poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a
a cui ruotano i cieli, divisero la mappa secondo le dodici case dello zodiaco in modo ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d'esistere».
che ogni tempio e ogni quartiere ricevesse il giusto influsso dalle costellazioni
opportune, fissarono il punto delle mura in cui aprire le porte prevedendo che ognuna
inquadrasse un'eclisse di luna nei prossimi mille anni. Perinzia - assicurarono -
avrebbe rispecchiato l'armonia del firmamento; la ragione della natura e la grazia degli
dei avrebbero dato forma ai destini degli abitanti. Le città continue. 4. Cecilia
Seguendo con esattezza i calcoli degli astronomi, Perinzia fu edificata; genti
diverse vennero a popolarla; la prima generazione dei nati a Perinzia prese a crescere Tu mi rimproveri perché ogni mio racconto ti trasporta nel bel mezzo d'una città
tra le sue mura; e questi alla loro volta raggiunsero l'età di sposarsi e avere figli. senza dirti dello spazio che s'estende tra una città e l'altra: se lo coprano mari, campi
Nelle vie e piazze di Perinzia oggi incontri storpi, nani, gobbi, obesi, donne con la di segale, foreste di larici, paludi. Ti risponderò con un racconto.
barba. Ma il peggio non si vede; urli gutturali si levano dalle cantine e granai, dove le Per le vie di Cecilia, città illustre, incontrai una volta un capraio che spingeva
famiglie nascondono i figli con tre teste o con sei gambe. rasente i muri un armento scampanante.
Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere -Uomo benedetto dal cielo, - si fermò a chiedermi, sai dirmi il nome della città in
che tutti i loro calcoli sono sbagliati e le loro cifre non riescono a descrivere il cielo, o cui ci troviamo?
rivelare che l'ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri. -Che gli dei t'accompagnino! - esclamai. - Come puoi non riconoscere la molto
illustre città di Cecilia?
-Compatiscimi, - rispose quello, - sono un pastore a transumanza. Tocca alle volte
a me e alle capre di traversare città; ma non sappiamo distinguerle. Chiedimi il nome
dei pascoli: li conosco tutti, il Prato tra le Rocce, il Pendio Verde, l'Erba in Ombra. Le
Le città nascoste. 2. Raissa città per me non hanno nome: sono luoghi senza foglie che separano un pascolo
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dall'altro, e dove le capre si spaventano ai crocevia e si sbandano. Io e il cane - Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data
corriamo per tenere compatto l'armento. dell'approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s'apre nel bel mezzo d'un paesaggio
-Al contrario di te, - affermai, - io riconosco solo le città e non distinguo ciò che è incongruo, un'affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che
fuori. Nei luoghi disabitati ogni pietra e ogni erba si confonde ai miei occhi con ogni s'incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo
pietra ed erba. la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d'istanti separati da intervalli
Molti anni sono passati da allora; io ho conosciuto molte città ancora e ho percorso di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il
continenti. Un giorno camminavo tra angoli di case tutte uguali: mi ero perso. Chiesi a mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, non
un passante: - Che gli immortali ti proteggano, sai dirmi dove ci troviamo? devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta
- A Cecilia, così non fosse! - mi rispose. - Da tanto camminiamo per le sue vie, io affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo
e le capre, e non s'arriva a uscirne... che t'ho detto.
Lo riconobbi, nonostante la lunga barba bianca: era il pastore di quella volta. Lo Già il Gran Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte delle città che
seguivano poche capre spelate, che neppure più puzzavano, tanto erano ridotte pelle e minacciano negli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave
ossa. Brucavano cartaccia nei bidoni dei rifiuti. New World2.
- Non può essere! - gridai. - Anch'io, non so quando, sono entrato in una città e da Dice: - Tutto è inutile, se l'ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed
allora ho continuato ad addentrarmi per le sue vie. Ma come ho fatto ad arrivare dove è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
tu dici, se mi trovavo in un'altra città lontanissima da Cecilia, e non ne sono ancora E Polo: - L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che
uscito? è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi
- I luoghi si sono mescolati, disse il capraio, - Cecilia è dappertutto; qui una volta ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e
doveva esserci il Prato della Salvia Bassa. Le mie capre riconoscono le erbe dello diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige
spartitraffico. attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo
all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
L'atlante del Gran Kan contiene anche le carte delle terre omesse visitate nel
pensiero ma non ancora scoperte o fondate: la Nuova Atlantide, Utopia, la Città del
Sole, Oceana, Tamoé, Armonia, New-Lanark, Icaria1.
Chiese a Marco Kublai: - Tu che esplori intorno e vedi segni, saprai dirmi verso
quale di questi futuri ci spingono i venti propizi.
2
I cinque nomi costituiscono il corrispettivo negativo delle città ideali elencate sopra.
1
Calvino nomina otto città, immaginate e in parte anche realizzate, da filosofi e Enoch è il primo discendente di Caino e primo costruttore di una città, alla quale pose il suo
utopisti per garantire agli uomini la migliore convivenza possibile. La Nuova Atlantide è la stesso nome (Genesi 4,17). Secondo la Bibbia, dunque, il primo aggregato urbano nasce dalla
città pensata da Francesco Bacone (nome italianizzato di Francis Bacon, filosofo inglese, 1561- stirpe del primo omicida. Babilonia è pure un nome biblico: si tratta della capitale
1626). Utopia è l’isola immaginaria descritta da Tommaso Moro (Thomas More, 1478-1535, mesopotamica dell’impero di Nabucodonosor, dove fu deportata la classe dirigente giudea,
ministro del re Enrico VIII, santo) nell’opera omonima. In modo analogo, La Città del Sole è il dopo la distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 587 a.C. Yahoo è il termine che, nei Viaggi
titolo del libro di Tommaso Campanella (1568-1639) nel quale il filosofo calabrese racconta la di Gulliver di Johnathan Swift, designa una razza umana ridotta allo stato di bruti e di schiavi.
sua repubblica ideale. Tamoè è un’immaginaria isola australe che compare nell’opera del Butua è l’antitesi infernale di Tamoè, nel libro di Sade citato nella nota precedente. Infine,
marchese De Sade (1740-1814) Tamoè e Butua (1793). New Lanark e Armonia (New Brave New World è il titolo di un romanzo di Aldus Huxley (1931), ed è anche il nome dello
Harmony) sono, invece, luoghi reali: si tratta di una cittadina scozzese e di una località degli Stato futuro, globale e perfettamente totalitario ivi rappresentato. Si può notare che, mentre le
Stati Uniti in cui l’industriale e riformatore sociale inglese Robert Owen (1771-1858) tentò di città ideali rimandano tutte a utopie sorte tra il XVI e il XIX secolo (coprono cioè l’età
realizzare una società più equa e umana. Infine, anche Icaria appartiene ai progetti utopistici di moderna), il catalogo delle città-incubo estende la sua ombra dal mito biblico, che si affonda
convivenza civile del XIX secolo. all’origine dell’umanità, fino al futuro della fantascienza.
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