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1

2
Alessandro Orsini

CASA BIANCA – ITALIA


La corruzione
dell’informazione di uno Stato
satellite

3
© 2025 PaperFIRST by il Fatto Quotidiano
Edizione 1 – Anno 2025
Società Editoriale Il Fatto SpA
Redazione, Sede Legale: Via di Sant’Erasmo, 2 – 00184 Roma
www.ilfattoquotidiano.it

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere
riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo,
elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi
cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore.
È consentita la riproduzione, parziale o totale, a uso personale dei lettori purché
non a scopo commerciale.

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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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4
Indice

5
Premessa e ringraziamenti

6
La corruzione dell’informazione

7
Il metodo del sospetto

8
Il realismo politico

9
Gorbačëv fu ingannato dalla Nato?

10
Note

11
A mio padre, Arturo Orsini

12
La libertà è soltanto la possibilità di dire la verità.

13
Premessa e ringraziamenti

Questo è il libro di un sociologo in difesa della


società libera.
È un libro sulla corruzione dell’informazione in
Italia, l’informazione di uno Stato satellite, uno
Stato che ruota intorno a un altro Stato.
La società giornalistica italiana afferma
sussiegosa di essere completamente libera di dire
quel che vuole.
Sospetto che non sia vero.
Gli uomini si sforzano sempre di apparire
migliori di quel che sono. Quando una civiltà, uno
Stato o una categoria professionale parla di sé
soltanto in termini positivi, è buona regola
sospettare che nasconda qualcosa di cui si
vergogna. Questo insegna la “scuola del sospetto”
che vanta tre grandi autori: Marx, Nietzsche e
Freud[1], cui aggiungo Vilfredo Pareto.

14
Chiamo “corrotta” l’informazione che calpesta la
verità sostanziale dei fatti per compiacere il potere
politico. La corruzione di cui parlo in questo libro
non ha niente a che vedere con il concetto di
“tangente” o “bustarella”.
Questo libro si compone di quattro parti.
Nella prima parte, analizzo la corruzione del
sistema dell’informazione in Italia sulla politica
internazionale. Spiego il suo funzionamento, le sue
regole, ma anche i trucchi, gli inganni e le sue
bassezze professionali ricorrendo al metodo del
sospetto.
Nella seconda parte, chiarisco che cosa sia il
metodo del sospetto parlando degli studi di Marx
sulla nascita del capitalismo. Siccome la borghesia
imprenditrice si presentava in una luce molto
nobile, Marx ha sospettato che nascondesse
qualcosa di ignobile. Nel racconto degli
imprenditori borghesi, lo spirito del capitalismo è
radicato nella virtù del sacrificio e della dedizione
al lavoro. Nel Capitale, Marx spiega che il
capitalismo è radicato nella violenza dei forti
contro i deboli.
Nella terza parte, rivelo il mio debito verso il
realismo politico italiano che vanta molti autori.

15
Mi richiamo maggiormente a Machiavelli, Mosca,
Pareto e Michels, cui aggiungo Luciano Pellicani.
Per i realisti, il potere politico è essenziale per
capire l’organizzazione della società. Io stesso ho
usato il potere politico per spiegare la corruzione
dell’informazione in Italia. Pellicani ci aiuterà a
capire che cosa significhi esaltare il potere politico
come fattore decisivo del mutamento storico.
Nella quarta parte, mi occupo della promessa a
Gorbačëv sulla non espansione della Nato a est.
Parlerò anche delle mie e-mail con Mary. E
Sarotte, autrice del libro Not One Inch. Il tema della
promessa a Gorbačëv è accennato nel primo
capitolo; in quest’ultimo capitolo, lo sviluppo
approfonditamente alla luce dei documenti
desecretati relativi ai dialoghi tra Gorbačëv e i
leader occidentali prima della firma del Trattato
sullo stato finale della Germania, il 12 settembre
1990 a Mosca.
C’è un giorno preciso in cui ho pensato per la
prima volta di scrivere questo libro. Era il 19
novembre 2015, durante una cena organizzata dal
Massachusetts Institute of Technology al
Cambridge Hyatt Regency Hotel, in onore
dell’ambasciatrice Wendy Sherman, che ha

16
condotto i negoziati sul programma nucleare
iraniano discutendo con il presidente Rouhani.
Introdotta dal teorico delle relazioni internazionali
Barry Posen, la Sherman raccontò l’impegno della
diplomazia americana. Un collega del MIT, nel
pieno di una conversazione sui rapporti tra Europa
e Stati Uniti, mi disse: “Alessandro, hai mai pensato
di concepire l’Italia come uno Stato che gira
intorno agli Stati Uniti?”.
Il nostro dialogo continuò negli anni.
Tutte le volte che mi recavo al Center for
International Studies per i miei soggiorni di studio
al MIT o che incontravo un collega ad Harvard,
Boston College, Boston University, Northeastern
University, cercavo di capire quale fosse la sua
opinione dell’Italia. Uno dei più autorevoli
professori del dipartimento di scienza politica del
MIT mi disse, nel 2019: “Alessandro, credo che
l’Italia sia un Paese privo di importanza sulla scena
internazionale. Forse può avere qualche
importanza in Europa per il problema
dell’immigrazione. Non molto più di questo”. Il 18
maggio 2018 la New York University mi invitò a
tenere una relazione a un convegno nella sua sede
di Parigi. Trovai le solite conferme. Ridendo

17
dell’Italia con altri colleghi americani, un celebre
professore di Stanford mi disse: “La battaglia più
importante dell’Italia dopo la Seconda guerra
mondiale è la battaglia di Eni contro Total per
accaparrarsi un pozzo di petrolio in Libia”. Per non
avvilire troppo il lettore, tralascio i giudizi
sull’irrilevanza dell’Italia di altri miei colleghi
americani.
Ad aprile 2023 sono stato invitato a tenere una
conferenza all’hotel Sheraton di Tunisi dal Centre
arabe de recherche et d’études politiques (CAREP) in
occasione della traduzione in arabo del mio libro
Anatomia delle Brigate rosse. Le radici ideologiche del
terrorismo rivoluzionario. Ai miei colleghi professori,
protagonisti della rivolta contro il dittatore Ben Ali,
chiesi che cosa pensassero dell’Italia. Mi dissero di
vedere l’Italia come un Paese molto declinante.
Uno di loro disse: “La caduta di Gheddafi ha
mostrato che l’Italia è un Paese che ormai conta
pochissimo. In Tunisia abbiamo interpretato la
caduta di Gheddafi come una vittoria della Francia
sull’Italia”. In Oman, Turchia, Marocco, Qatar, Sri
Lanka: ovunque mi sia recato in questi ultimi anni
ho sentito pronunciare gli stessi giudizi sull’Italia.

18
Capovolgendo l’approccio della teoria
postcoloniale di Said[2], Bhabha[3] e Spivak[4], ho
guardato l’Italia attraverso gli occhi dei dominatori
anziché dei dominati. Al MIT ho iniziato a vedere
l’Italia come un Paese declinante attraverso gli
occhi dei miei colleghi americani. Tuttavia, un
Paese declinante è anche un Paese dipendente: chi
cade ha bisogno di aggrapparsi per essere sorretto.
Al MIT ho ricevuto tutti gli stimoli per studiare il
moto di rotazione della Repubblica italiana intorno
alla Casa Bianca e le sue conseguenze sul sistema
dell’informazione. La guerra in Ucraina ha fatto il
resto. Il governo Draghi e il governo Meloni si sono
lasciati guidare dalla Casa Bianca di Biden in
un’avventura disastrosa per l’Europa, mentre il
sistema dell’informazione dava lo spettacolo che
descrivo in questo libro.
Vorrei ringraziare tutte le persone che mi sono
state vicine con il loro affetto in questi anni. Il mio
canale YouTube ha raggiunto 170.000 iscritti in due
anni. Questa vicinanza e questa stima mi hanno
consentito di non vacillare quando sono stato al
centro di una violenta campagna di odio e di
diffamazione per avere detto che la Russia avrebbe
sopraffatto l’Ucraina e che la trattativa immediata

19
con Putin era la soluzione migliore per proteggere
gli ucraini. Dissi: “Per ogni proiettile della Nato che
l’Ucraina lancerà contro la Russia, la Russia lancerà
dieci proiettili contro l’Ucraina”. I fatti hanno dato
ragione alle tante persone che hanno creduto nella
bontà della mia analisi.

20
La corruzione dell’informazione

Due tipi di filo-americanismo


Scoppiata la guerra in Ucraina, tutto ciò che è
russo ha assunto un significato negativo.
Paolo Mieli e Radio 24 hanno assicurato che la
libertà d’informazione in Italia è minacciata dai
loro colleghi “filo-russi”, che infestano i media con
la loro disinformazione: “La rete di Putin in
Italia”[5]. Anche la Repubblica ha assicurato che le
“spie russe” sono ormai in tutti i talk show
confidando nell’intervento dei servizi segreti per
fare pulizia[6]. Le Monde ha lanciato l’allarme in un
articolo del suo corrispondente a Roma: “Guerra in
Ucraina: propaganda filo-russa nella tv italiana”[7].
Persino il presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, ha parlato di una “diffusa tempesta di
fake news russe in Italia” durante un incontro con
la presidente della Moldova[8], il 18 giugno 2024.
21
In questo libro, sostengo una tesi opposta: la Casa
Bianca, e i giornalisti a lei fedeli, sono la causa
principale della corruzione dell’informazione in
Italia.
La mia analisi dell’informazione è radicata
nell’analisi della politica.
Crollata l’Unione Sovietica, è nato un sistema
internazionale unipolare dominato dagli Stati Uniti.
Con la Russia a pezzi, il potere della Casa Bianca in
Europa si è espanso vertiginosamente, come
dimostra il numero di Paesi europei entrati nella
Nato tra il 1999 e il 2024 su impulso di Washington:
Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia,
Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Bulgaria,
Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro, Macedonia
del Nord, Finlandia e Svezia. Nel 2014 la Casa
Bianca ha favorito una rivolta in Ucraina per
includerla nella Nato.
E l’Italia?
Il filo-americanismo è diventato il codice binario
della Repubblica italiana per distinguere il Bene
dal Male. Il filo-americanismo è diventato il
requisito necessario per assumere il ruolo di
presidente del Consiglio, presidente del Senato,
presidente della Camera, ma anche per diventare

22
capo di Stato maggiore della Difesa, come
vedremo studiando il caso di Giuseppe Cavo
Dragone.
La fedeltà alla Casa Bianca è necessaria anche per
diventare presidente della Repubblica.
Durante un’intervista con Massimo Giletti a La7,
il 29 maggio 2022, Matteo Renzi ha spiegato che la
candidatura di Franco Frattini come presidente
della Repubblica nelle elezioni di gennaio 2022
sfumò dopo che la Casa Bianca aveva avvisato i
principali partiti italiani di non gradire Frattini al
Quirinale. Renzi ha rivelato che gli americani gli
telefonarono per dirgli: “Frattini è filo-russo”. Ha
anche raccontato di aver telefonato a Enrico Letta,
all’epoca segretario del Pd, per ricordargli che la
Casa Bianca non voleva Frattini al Quirinale e per
invitarlo a stroncare sul nascere la sua candidatura.
Renzi ha dichiarato a Giletti che i sospetti degli
americani sul filo-putinismo di Frattini erano
probabilmente infondati ma, nel dubbio, ha
preferito sottomettersi alla volontà della Casa
Bianca senza condurre verifiche o
approfondimenti[9].
L’Italia è uno Stato satellite degli Stati Uniti. La
relazione di potere tra l’Italia e la Casa Bianca è la

23
stessa che lega la Bielorussia al Cremlino. Le
decisioni più importanti di politica estera dell’Italia
e della Bielorussia vengono suggerite dal presidente
americano e dal presidente russo sotto la minaccia
della ritorsione. L’Italia ospita molti soldati
americani; la Bielorussia ha molti soldati russi sul
proprio territorio. L’Italia ospita sul proprio
territorio le testate nucleari degli Stati Uniti come la
Bielorussia ospita quelle della Russia. La Bielorussia
e l’Italia devono stare molto attente a quel che fanno
quando prendono decisioni di politica estera che
toccano gli interessi dei russi e degli americani.
Per mostrare il moto di rotazione della
Repubblica italiana intorno alla Casa Bianca citerò
soltanto un caso, avendo già trattato questo tema in
un mio libro precedente[10].
Il fatto riguarda il rapimento dell’imam Abu
Omar sotto il governo di Silvio Berlusconi, che
rappresenta uno dei casi più documentati di azione
illegale condotta dai servizi segreti americani in un
Paese straniero. Abu Omar fu rapito a Milano il 17
febbraio 2003 da dieci agenti della Cia. L’imam fu
portato nella base aerea di Aviano e poi condotto
in Egitto, dove fu torturato con l’accusa di essere
legato al fondamentalismo islamico. Dalle sentenze

24
della magistratura milanese emerge che i vertici
dei servizi segreti italiani erano informati e
coinvolti nell’operazione della Cia. Nel dicembre
2010, la Corte d’appello di Milano ha stabilito un
risarcimento di un milione di euro per Abu Omar
e di 500mila euro per la moglie a carico di ben 23
agenti della Cia, tutti cittadini americani. I vari
governi italiani hanno sempre cercato di fornire
protezione agli agenti americani, ricorrendo
persino al segreto di Stato che ha ostacolato le
indagini della magistratura. La magistratura
italiana ha condannato anche alcuni agenti segreti
italiani che hanno partecipato al rapimento di
Omar. In sintesi, il governo italiano ha consentito
agli agenti americani di violare le leggi italiane sul
territorio nazionale per assecondare una richiesta
illegale della Casa Bianca.
Quando uno Stato consente a un altro Stato di
spadroneggiare sul proprio territorio, la relazione
tra di loro è asimmetrica. L’Italia non può condurre
rapimenti sul territorio americano, ma gli Stati
Uniti possono condurli sul territorio italiano. Come
la Terra con la Luna, la Casa Bianca vede sempre la
stessa faccia dell’Italia: quella della soggezione.
Nella Prima repubblica non era così, come

25
dimostra la crisi di Sigonella dell’ottobre 1985,
quando Bettino Craxi, presidente del Consiglio,
ordinò ai carabinieri di puntare i mitragliatori
contro i soldati americani.
Se il filo-americanismo è necessario per
occupare le cariche più alte della Repubblica, allora
è necessario per occupare le cariche più alte del
sistema dell’informazione. Se il presidente della
Repubblica, il presidente del Consiglio, il
presidente del Senato, il presidente della Camera e
il capo di Stato maggiore della Difesa sono fedeli
alla Casa Bianca, il governo dell’informazione sarà
altrettanto fedele a Washington perché il potere
politico è il centro che coordina le parti del
sistema. È inconcepibile che il presidente della
Repubblica italiana sia filo-americano e il
presidente della Rai filo-russo.
Ma di che cosa parliamo quando parliamo di
filo-americanismo?
Preliminare alla mia analisi è la distinzione tra
due tipi di filo-americanismo: il filo-americanismo
culturale e il filo-americanismo politico.
Il filo-americanismo culturale è un sentimento di
ammirazione e di amicizia verso la società
americana.

26
Il filo-americanismo politico, invece, è un
atteggiamento di cinica soggezione alla Casa
Bianca per ottenere benefici di carriera. Il filo-
americanismo politico non è un insieme di valori o
una concezione del mondo; è un calcolo costi-
benefici. Il filo-americanismo politico è un
ascensore sociale.
In questo libro mi occuperò del filo-
americanismo politico che, per brevità, chiamerò
soltanto filo-americanismo.
La società “meloniana”
In alcuni casi, il filo-americanismo culturale e il
filo-americanismo politico convivono
armoniosamente nella stessa persona. Alcuni
giornalisti amano la società americana e ostentano
la loro soggezione alla Casa Bianca per ottenere
benefici di carriera. In questo caso, il cinismo è
temperato dall’amore.
Ma può anche accadere che i due filo-
americanismi siano in conflitto. Può accadere che
un politico si sottometta alla Casa Bianca senza
amare la società americana. È il caso di Giorgia
Meloni.

27
Meloni ha sempre manifestato una profonda
avversione per il modello sociale del melting pot,
quel “crogiolo” o “calderone” a fondamento della
società americana basato sulla convivenza tra
gruppi etnici, culturali e religiosi che costruiscono
un’identità comune. La società ideale teorizzata da
Giorgia Meloni è la negazione della società
americana. La società “meloniana” è una società
composta da italiani etnicamente “puri”, atterriti
dall’ibridazione culturale con i musulmani, i cinesi
e gli africani. Meloni, per usare le sue stesse parole,
lotta contro gli africani per impedire la
“sostituzione etnica” degli italiani. Meloni ha più
volte tuonato contro quelle che chiama: “Prove
generali di sostituzione etnica in Italia. Nel 2015
più di 100.000 italiani – ha scritto Meloni il 6
ottobre 2016 – hanno lasciato la nostra nazione per
cercare fortuna all’estero. Di questi, oltre il 30%
sono giovani tra i 18 e 34 anni. In compenso,
sempre nel 2015, sono sbarcati in Italia 153mila
immigrati, nella stragrande maggioranza uomini
africani. Questi sono i risultati della fallimentare
politica del governo Renzi-Alfano: porte aperte a
tutti gli immigrati del pianeta e povertà crescente
degli italiani costretti a emigrare. Ma perché non

28
espatriano questi incompetenti che ci
governano?”[11].
Meloni ha sempre sfoggiato una forte avversione
per le moschee e l’Islam, che concepisce come una
minaccia alla sicurezza e all’identità cristiana degli
italiani. Nella videointervista del 2018 riportata in
nota, Meloni dichiara che è in atto un pericoloso
processo di islamizzazione dell’Europa, e invita a
vedere i musulmani come un pericolo contro cui
lottare[12].
Il 26 luglio 2015, quando la Lega propose il nome
di Pietrangelo Buttafuoco come governatore della
Sicilia per le elezioni regionali, Meloni scrisse su
Facebook che il sistema politico italiano avrebbe
dovuto basarsi sulla discriminazione contro i
musulmani. Secondo Meloni, agli italiani che
abbracciano l’Islam dovrebbero essere preclusi gli
incarichi di governo per punire la loro conversione
religiosa: “Non credo sia una buona idea candidare
una personalità che ha deciso di convertirsi
all’Islam. Ognuno è libero di professare la religione
che vuole, ma credo che in questi anni l’Italia e
l’Europa debbano rivendicare le proprie origini
greche, romane e cristiane davanti a chi vorrebbe
spazzarle via. Non vorremmo dare un segnale di

29
resa ai fanatici che rimpiangono il passato dominio
arabo e musulmano sulla Sicilia”[13]. Il 7 giugno
2024 Meloni ha nuovamente ammonito che i
musulmani vogliono islamizzare l’Europa:
“Abbiamo il compito di risvegliare questa Europa
dal sonno in cui è piombata e difenderla dal
relativismo e dall’islamizzazione strisciante”[14].
Una condotta così discriminatoria contro gli
appartenenti a una fede religiosa diversa dal
cristianesimo è incompatibile con i valori a
fondamento della democrazia americana. Meloni è
culturalmente anti-americana e politicamente filo-
americana. Da una parte, disprezza il modello
multietnico di società tipicamente americano;
dall’altra, profonde il massimo impegno per
compiacere la Casa Bianca indipendentemente dal
fatto che il suo presidente sia di destra o di sinistra.
Baciata amorevolmente sulla testa dal democratico
Biden il 1° marzo 2024 per aver assecondato tutte
le richieste della Casa Bianca in Ucraina[15], Meloni
è altrettanto amata dal repubblicano Trump, di cui
è la donna di fiducia in Europa.
Ecco sette esempi del filo-americanismo politico
di Meloni.

30
Meloni ha accolto la richiesta di Biden di uscire
dagli accordi per la nuova Via della seta con la
Cina, sebbene gli investimenti cinesi siano
un’occasione di sviluppo per l’economia italiana[16]
(6 dicembre 2023).
Meloni ha accolto la richiesta della Casa Bianca
di inviare due Samp-T all’Ucraina, il suo sistema di
difesa aereo più avanzato. Inizialmente, il ministro
della Difesa, Guido Crosetto, aveva lasciato
trapelare la sua contrarietà. La situazione è stata
sbloccata da una telefonata di Jake Sullivan,
consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, a
Francesco Talò, consigliere diplomatico di Meloni
(7 gennaio 2023)[17]. L’Italia non ha un interesse a
fare politiche ostili contro la Russia, ma la Casa
Bianca glielo chiede e Meloni si rende disponibile.
Meloni ha prontamente aderito alla coalizione
contro gli Houthi promossa dalla Casa Bianca,
inviando il super cacciatorpediniere Duilio nel Mar
Rosso (19 febbraio 2024)[18]. L’Italia non ha un
interesse a fare politiche ostili contro gli Houthi,
ma la Casa Bianca glielo chiede per difendere
Netanyahu e Meloni si rende disponibile.
Meloni ha accolto la richiesta di Biden di inviare
la sua nave da guerra più importante nell’Indo-

31
Pacifico, la portaerei Cavour, in funzione anti-
cinese[19] (1° giugno 2024). L’Italia non ha un
interesse a fare politiche ostili contro la Cina, ma la
Casa Bianca glielo chiede e Meloni si rende
disponibile.
Meloni ha accolto la richiesta della Casa Bianca
di arrestare a Malpensa un ingegnere svizzero-
iraniano, Mohammad Abedini-Najafabadi (16
dicembre 2024), innocente per le leggi della
Repubblica italiana ma accusato dalla Casa Bianca
di aver fornito materiale tecnologico per la
costruzione di droni al Corpo delle guardie della
Rivoluzione islamica: un’organizzazione
terroristica per gli Stati Uniti, ma non per l’Italia[20].
L’Italia non ha un interesse a fare politiche ostili
contro l’Iran, ma la Casa Bianca glielo chiede e
Meloni si rende disponibile.
Quando l’Iran ha arrestato una giornalista italiana
per ottenere il rilascio del suo connazionale, Meloni
si è recata da Trump a Mar-a-Lago per chiedergli
l’autorizzazione a usare i propri poteri di
presidente del Consiglio. Meloni aveva il potere di
liberare Abedini immediatamente, ma non ha
voluto usarlo senza l’autorizzazione della Casa
Bianca. L’articolo 718 del codice di procedura

32
penale, al comma 2, prevede che, in caso di arresto
con richiesta di estradizione, “la revoca è sempre
disposta se il ministro della Giustizia ne fa
richiesta”. Dopo aver ottenuto il via libera di Trump
e di Biden, Meloni ha liberato Abedini. Meloni ha
incontrato Trump il 5 gennaio 2025. Abedini è stato
liberato sette giorni dopo, il 12 gennaio. La crisi con
l’Iran ha mostrato il movimento rotatorio del
governo Meloni intorno alla Casa Bianca. Con la
sua visita a Mar-a-Lago, Meloni ha mostrato che la
relazione di potere tra l’Italia e la Casa Bianca è la
stessa che intercorre tra la Bielorussia e il Cremlino.
Il 7 febbraio 2025 Trump ha colpito con le
sanzioni i giudici della Corte penale internazionale
che indagano sui crimini di Netanyahu a Gaza. 79
Paesi Onu hanno emanato un documento in difesa
della Corte penale internazionale, inclusi
Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Giorgia
Meloni si è rifiutata di firmare. Il presidente del
Consiglio europeo, Antonio Costa, ha condannato
il decreto della Casa Bianca: “Sanzionare la Cpi
minaccia l’indipendenza della Corte e mina il
sistema di giustizia penale internazionale nel suo
complesso”. Dal canto suo, Ursula von der Leyen
ha dichiarato: “La Corte penale internazionale

33
garantisce la responsabilità per i crimini
internazionali e dà voce alle vittime in tutto il
mondo. Deve poter perseguire liberamente la lotta
contro l’impunità globale. L’Europa sarà sempre a
favore della giustizia e del rispetto del diritto
internazionale”. Meloni non si è associata alla
condanna. L’ordine esecutivo di Trump vieta
l’ingresso negli Stati Uniti a dirigenti, dipendenti e
agenti della Corte penale internazionale, nonché ai
loro familiari più stretti e a chiunque abbia assistito
le indagini della Corte. Il decreto prevede anche il
congelamento di tutti i beni detenuti da queste
persone negli Stati Uniti[21].
Concludo con il settimo esempio del filo-
americanismo politico di Meloni.
Quando Trump ha deciso di escludere l’Unione
europea dal tavolo delle trattative con la Russia sul
futuro dell’Ucraina, Macron, il 17 febbraio 2025, ha
organizzato un summit ristretto al palazzo
dell’Eliseo con i principali leader europei per uno
scatto di orgoglio contro l’umiliazione subita dal
presidente americano. Giunta alla riunione con
un’ora di ritardo, Meloni ha prontamente
dichiarato: “Questo non può essere un tavolo
contro Trump”[22].

34
Il caso Giuseppe Cavo Dragone
Se il filo-americanismo è necessario per
diventare presidente della Repubblica, allora è un
principio ordinatore.
Che cosa significa?
Il filo-americanismo serve per stabilire chi sta
sopra e chi sta sotto; chi sale e chi scende lungo la
piramide sociale. Un uomo al vertice dello Stato
italiano cade in disgrazia quando viene sospettato
di non essere fedele alla Casa Bianca. Per salvarsi
da un simile sospetto, l’indiziato deve umiliarsi
pubblicamente giurando la sua fedeltà
incondizionata al presidente degli Stati Uniti.
Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore
della Difesa, disse che l’Ucraina e la Russia erano
giunte a una situazione di stallo in un’intervista a
La Stampa del 24 febbraio 2023. A suo dire,
nessuno dei due eserciti sarebbe potuto avanzare a
spese dell’altro. Le parole di Cavo Dragone erano
inequivocabili: “Non esiste una soluzione militare,
né Kiev né Mosca possono vincere”[23]. Così
dicendo, Cavo Dragone negava che l’Ucraina
avrebbe sconfitto la Russia. Biden affermava il
contrario in preda a un ottimismo smisurato.

35
Durante una puntata di Cartabianca a Rai Tre del
1° marzo 2023, dissi che l’Ucraina non avrebbe
potuto sconfiggere la Russia sul campo: “Lo dice
anche Giuseppe Cavo Dragone nella sua ultima
intervista a La Stampa”. Questo mio commento
esponeva Cavo Dragone a molti rischi: poteva
essere sospettato di non avere fede nella promessa
di Biden che l’Ucraina avrebbe sconfitto la Russia.
Cavo Dragone si precipitò a emanare un
comunicato stampa dello “Stato maggiore della
Difesa-Ufficio pubblica informazione e
comunicazione” per accusarmi di avere
strumentalizzato le sue dichiarazioni[24].
Nel suo comunicato contro il professor Orsini,
Cavo Dragone sfoggiava una soggezione completa
alla Casa Bianca, ripetendo pedissequamente gli
slogan sulla guerra elaborati da Biden.
Il comunicato stampa merita di essere riportato
integralmente giacché rappresenta un documento
prezioso per capire il livello di sudditanza della
Repubblica italiana alla Casa Bianca. Come appare
evidente dalla lettura, Cavo Dragone si preoccupa
unicamente di esibire la sua fedeltà alle decisioni
del presidente americano giurando, in buona
sostanza, di essere dalla sua parte. Il sospetto di

36
non essere fedele alla Casa Bianca atterrisce il
vertice della Repubblica italiana come il vertice dei
grandi media.
Nelle parole di Cavo Dragone:
Durante il programma Cartabianca andato in onda ieri sera su
Rai Tre il professore Alessandro Orsini ha liberamente e
faziosamente interpretato alcune delle mie dichiarazioni rilasciate
a un quotidiano nazionale nell’ambito di una intervista.
In merito, oltre a rigettare ogni tentativo di
strumentalizzazione delle mie parole, ribadisco che, nella attuale
guerra in Ucraina, non ci sono spazi interpretativi né è possibile
lasciare adito a dubbi che forse stanno in casa altrui.
Esiste un aggressore, la Russia, e un Paese aggredito, l’Ucraina.
Sin dalle fasi iniziali dell’invasione russa ho fermamente
condiviso la necessità di fornire supporto, sostegno e aiuto, anche
militare, a un popolo che sta difendendo i propri confini
nazionali, i propri valori e soprattutto la propria libertà.
In qualità di capo di Stato maggiore della Difesa dell’Italia,
riaffermo che il nostro impegno, dal 24 febbraio 2022, è lo stesso
di oggi e tale sarà anche domani, come Paese Nato e come
membro fondatore dell’Unione europea.
Sono fermamente convinto che sia un dovere per ogni Paese
democratico sostenere la resistenza delle Forze Armate Ucraine
contro la vile invasione russa che non ha risparmiato le atrocità

37
della guerra neppure alla popolazione civile, causando troppe
vittime innocenti in violazione delle più elementari norme del
diritto internazionale.
Strumentalizzare la mia analisi, in cui affermo che una
soluzione esclusivamente militare al conflitto non è possibile
senza una contemporanea azione diplomatica che costringa la
Russia a sedersi al tavolo della Pace, è dunque offensivo e
ingannevole.
Una cosa è certa: fino a quando la Russia non mostrerà di volere
concretamente sedersi al tavolo della Pace continueremo a
sostenere l’Ucraina nel rispetto delle decisioni adottate dal
Parlamento della Repubblica italiana (Giuseppe Cavo Dragone, 2
marzo 2023).
Il 2 marzo 2023 ho avuto uno scambio di e-mail
con l’autore dell’intervista, il quale mi ha detto che
quanto avevo riportato a Cartabianca
corrispondeva al pensiero espresso da Cavo
Dragone a La Stampa: non c’era stata nessuna
strumentalizzazione da parte mia[25].
Quando Cavo Dragone ha terminato il suo
incarico di capo di Stato maggiore della Difesa, è
diventato l’italiano più alto in grado alla Nato, dove
si è insediato come presidente del Comitato
militare, il 17 gennaio 2025.

38
Il giornalista e la Casa Bianca
Se la Casa Bianca è la divinità davanti alla quale il
giornalista filo-americano recita le sue preghiere,
allora la sua massima aspirazione sarà quella di
condurre una vita professionale gradita al suo
Dio[26].
Il filo-americanismo ha raggiunto un livello
elevato di istituzionalizzazione grazie
all’ambasciata americana a Roma, che conferisce il
Premio Amerigo ai giornalisti più fedeli alla Casa
Bianca: conduttori televisivi, radiofonici e
inviati[27]. La premiazione avviene a dicembre,
presso il Consolato americano a Firenze, palazzo
Canevaro.
La società giornalistica filo-americana persegue
tre fini principali.
Il primo fine è ritrarre la Casa Bianca in una luce
sempre positiva: se la Casa Bianca viene sconfitta in
Ucraina per mano della Russia, i grandi media
affermano il contrario e dicono che la Russia
avrebbe dovuto conquistare l’Ucraina in tre giorni.
Siccome ha impiegato più tempo, allora ha perso
la guerra. Lo stesso slogan della Casa Bianca
imposto ai generali della Nato: “È palese il
fallimento strategico di Putin: siamo a tre anni di
39
guerra e lui mirava a vincere in tre giorni”, ha
dichiarato Cavo Dragone il 25 febbraio 2015[28]. La
Casa Bianca è sempre dalla parte giusta in tutte le
crisi internazionali.
Il secondo fine è nascondere i crimini contro
l’umanità della Casa Bianca o parlarne il meno
possibile: se la Casa Bianca arma il massacro dei
palestinesi a Gaza, questo non è oggetto di
dibattito, né di condanne morali o arringhe
infuocate. I crimini contro l’umanità e le violazioni
del diritto internazionale da parte della Casa
Bianca sono sempre perdonabili, perché: “Gli Stati
Uniti sono una democrazia” o perché: “Gli Stati
Uniti hanno liberato l’Italia dal fascismo”.
Il terzo fine del giornalismo filo-americano è
attaccare i critici della Casa Bianca: se uno studioso
spiega, nel primo giorno di guerra, che le politiche
della Casa Bianca causeranno la distruzione e lo
smembramento dell’Ucraina, allora la società
giornalistica filo-americana opera per la
distruzione della sua immagine umana e
professionale attraverso operazioni di “character
assassination”.
Il caso Bruno Vespa

40
Il filo-americanismo divampa in occasione dei
conflitti internazionali severi. È infatti nelle
situazioni di guerra che la macchina della
propaganda della Casa Bianca profonde il massimo
sforzo per costruire consensi intorno alle proprie
politiche belligeranti. I giornalisti filo-americani
devono persuadere gli italiani che i loro sacrifici
per sostenere le guerre promosse dalla Casa Bianca
sono doverosi. Gli italiani non amano le guerre,
men che meno i sacrifici che queste comportano
per servire gli interessi di uno Stato straniero
contro i propri. Il 6 dicembre 2024 il Censis ha
pubblicato una ricerca secondo cui il 66,3% degli
italiani ritiene che la guerra in Ucraina sia colpa
dell’Occidente, soprattutto degli Stati Uniti[29].
Maggiore è l’opposizione degli italiani alle guerre,
maggiore è il bisogno di manipolarli con
l’informazione filo-americana.
Scoppiata la guerra in Ucraina, il governo dei
grandi media ha preteso che tutti i giornalisti e gli
opinionisti italiani si schierassero dalla parte della
Casa Bianca. Nel marzo 2022 la Rai ha annunciato
la decisione di strappare i contratti degli esperti di
politica internazionale che criticavano le politiche
della Casa Bianca in Ucraina. Il governo della Rai

41
decise che soltanto gli esperti che dichiaravano la
propria fedeltà alla Casa Bianca potevano ricevere
un compenso per le loro prestazioni lavorative
come ospiti televisivi[30]. Lo slogan imposto dalla
Rai ai professionisti dell’informazione in Italia è
stato lo slogan della Casa Bianca: “Armi all’Ucraina
fino alla sconfitta della Russia”.
Pochi giorni dopo l’annuncio della Rai, Bruno
Vespa rilasciò un’intervista a Repubblica in cui
assicurava che non avrebbe invitato nella sua
trasmissione (Porta a Porta, Rai Uno) gli esperti di
politica internazionale che non si erano schierati
apertamente con la Casa Bianca: “Con la guerra nel
mio talk non c’è posto per il né-né”[31]. Con la sua
intervista, Vespa assicurava al governo Draghi che
la sua trasmissione non sarebbe stato uno spazio
pluralista, come si addice alla società libera, bensì
una roccaforte filo-americana a sostengo della Casa
Bianca. Il codice binario di Porta a Porta è “filo-
americano/anti-americano”. La binarietà del codice
permette al sistema di ridurre la complessità a due
opzioni: bene/male. Essendo binario, il codice non
accetta terzi valori. Come insegna Niklas Luhmann,
la binarietà del codice assicura la chiusura del
sistema[32].

42
Bezos, Cazzullo e Netanyahu
Il fenomeno della corruzione dell’informazione,
intesa come compenetrazione dei poteri, è stato
colto dal proprietario del Washington Post, Jeff
Bezos.
In un editoriale del 28 ottobre 2024, intitolato
“La dura verità. Gli americani non si fidano dei
media”, Bezos ha spiegato che i cittadini che non si
fidano dei grandi media sono sempre più
numerosi perché i grandi media hanno tradito la
loro fiducia troppe volte: “La maggior parte delle
persone crede che i media siano di parte.
Chiunque non se ne accorga sta prestando scarsa
attenzione alla realtà, e coloro che combattono
contro la realtà perdono. La realtà è un campione
imbattuto. Sarebbe facile incolpare gli altri per la
nostra lunga e continua caduta di credibilità e,
quindi, per il declino nell’impatto [sull’opinione
pubblica], ma una mentalità da vittima non aiuterà.
Lamentarsi non è una strategia. Dobbiamo
impegnarci di più per controllare ciò che possiamo
controllare per aumentare la nostra credibilità”[33].
Bezos ha colto un sentimento di disaffezione
molto diffuso anche tra i cittadini italiani: i grandi
media sono di parte. Nel caso dell’Italia, sono dalla
43
parte della Casa Bianca. L’informazione in Italia è
dominata dai giornalisti filo-americani, i quali
attribuiscono sembianze mostruose agli Stati
nemici della Casa Bianca producendo una continua
distorsione dei fatti e delle loro cause.
Un modo tipico di procedere del giornalismo
filo-americano è di iniziare a raccontare i fatti da
dove è più vantaggioso per la Casa Bianca. Ad
esempio, in un’intervista a Patrick Zaki del 16
ottobre 2023, Aldo Cazzullo ha affermato che tutti
i discorsi sulla guerra a Gaza devono partire
obbligatoriamente dall’attentato di Hamas del 7
ottobre 2023. Perché?
La risposta è semplice: iniziare a raccontare il
conflitto israelo-palestinese dal 1967, l’anno in cui
Israele occupa la Cisgiordania, getterebbe una
cattiva luce sugli Stati Uniti giacché il processo di
disumanizzazione dei palestinesi è stato sostenuto
dalla Casa Bianca che ha consentito a Israele di
sterminare i palestinesi nell’impunità.
Zaki aveva criticato Israele per lo sterminio di
Gaza, definendo Netanyahu un “serial killer”.
Cazzullo, schierato in difesa di Netanyahu, è
insorto contro questa definizione, a suo dire,
“inaccettabile”.

44
Lo scambio tra Cazzullo e Zaki evidenzia due
punti fondamentali. Il primo è l’uso strumentale
delle date storiche da parte di Cazzullo per
difendere Netanyahu: “Non crede che qualsiasi
discorso debba cominciare con la condanna del
massacro del 7 ottobre compiuto da Hamas?”. Il
secondo è il ricorso alla retorica democratica per
difendere Israele: “Netanyahu è lì perché con i suoi
alleati ha vinto le elezioni”[34], dimenticando che
anche Hitler giunse al potere vincendo le elezioni.

CAZZULLO: Patrick Zaki, sono venuto qui per


intervistarla sul suo libro, in cui lei racconta due
anni trascorsi senza colpa nelle prigioni
egiziane. Sono pagine che confermano la forza
morale che noi italiani abbiamo visto in lei, e
che ci ha indotti a impegnarci tutti insieme,
destra e sinistra, per la sua liberazione. Per
questo molti di noi si sono sentiti feriti dalle sue
parole contro Israele, che ho trovato
inaccettabili.
ZAKI: Io sono contro l’attuale governo di
Israele e le politiche che ha seguito negli ultimi
anni. E non sono l’unico a pensarla così: le azioni
di questo governo sono state criticate sia in

45
passato sia in questi giorni da diversi Paesi,
compresi gli Stati Uniti. Ho già messo in chiaro
qual è la mia opinione riguardo all’attuale
governo israeliano al Tg1 e nella mia ultima
lettera a Repubblica.
CAZZULLO: La chiarisca anche ai lettori del
Corriere. Cosa le è venuto in mente di definire
Netanyahu un serial-killer?
ZAKI: Cosa mi è venuto in mente? Ho pensato
a tutti i civili, a tutte le persone tra cui donne e
bambini che sono state uccise a Gaza negli ultimi
anni, alla mia cara amica Shireen Abu Akleh, la
giornalista che è stata uccisa l’anno scorso da
soldati israeliani mentre lavorava in Cisgiordania.
CAZZULLO: A parte il fatto che Netanyahu è
lì perché con i suoi alleati ha vinto le elezioni,
cosa che non possiamo dire di nessun leader
arabo, non crede che qualsiasi discorso debba
cominciare con la condanna del massacro del 7
ottobre compiuto da Hamas?
ZAKI: Io sono contro tutti i crimini di guerra.
Condanno l’uccisione di civili. L’ho già ribadito
più volte in diverse interviste. Sono un militante
pacifico per i diritti umani e sono contro ogni
forma di violenza. Credo che adesso sia il

46
momento di pensare a come risolvere la
situazione e lavorare per la pace in questa parte
del mondo.
Il finto piano di pace di Draghi
È giunto il momento di fare alcuni esempi di
informazione corrotta per capire meglio gli
obiettivi del giornalismo filo-americano.
Citerò il caso del finto piano di pace di Mario
Draghi. Successivamente, parlerò dell’attentato
contro il gasdotto North Stream 2; dell’invio di
armi italiane all’Ucraina e della finta richiesta di
cessate il fuoco da parte della Nato.
Scoppiata la guerra, Mario Draghi è diventato
l’esecutore più zelante della volontà di Biden in
Ucraina[35]. Draghi decise di inviare armi in Ucraina
per sconfiggere la Russia sul campo secondo le
indicazioni di Biden. Draghi stava a Biden come
Lukashenko stava a Putin; il rapporto di
subordinazione di Draghi verso Biden era lo stesso
di Lukashenko verso Putin.
Draghi sapeva che la grande maggioranza degli
italiani era contraria a una guerra all’ultimo sangue
con la Russia, consapevole del rischio di una guerra
nucleare. Per manipolare l’opinione pubblica, il 18

47
maggio 2022, il governo Draghi annunciò un finto
piano di pace. I grandi media e Repubblica, che
lanciò lo scoop, celebrarono Draghi per giorni
ritraendolo come un promotore della pace
universale preoccupato soltanto di spegnere la
guerra. Questo era ciò che gli italiani volevano
sentirsi dire, ma era l’opposto di ciò che Draghi
stava facendo. Con la complicità dei media filo-
americani, Draghi mostrava agli italiani ciò che
apprezzavano, la pace, nascondendo ciò che
disprezzavano, l’invio di armi, che secretò. La
verità sostanziale dei fatti è che Draghi operava
soltanto in favore della guerra per aderire alla
formula radicale di Biden: “Nessuna diplomazia
con Putin; vittoria finale sulla Russia usando gli
ucraini”.
Draghi esplicitò il suo impegno contro la pace
nel suo intervento all’assemblea generale dell’Onu
del 21 settembre 2022[36], ma anche nel discorso al
Massachusetts Institute of Technology del 6 giugno
2023, dove spiegò che la sconfitta della Russia per
mano degli ucraini era assolutamente doverosa.
Dai microfoni del MIT, Draghi incitò gli ucraini a
combattere fino all’ultimo sangue contro la Russia:
“Non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro

48
alleati se non garantire che l’Ucraina vinca questa
guerra. Accettare una vittoria russa o un pareggio
confuso indebolirebbe fatalmente altri Stati
confinanti e manderebbe un messaggio agli
autocrati che l’Unione europea è pronta a scendere
a compromessi su ciò che rappresenta e su ciò che
è. Vincere questa guerra per l’Europa significa
avere una pace stabile”[37].
Tornando al piano di pace di Draghi del maggio
2022, questo non era stato concordato né con la
Russia, né con l’Ucraina. Per questo motivo era
“finto”, giacché la regola della diplomazia
internazionale prevede che i piani di pace debbano
essere concordati con i contendenti. Il 24 maggio
2022 il Cremlino ridicolizzò il piano di pace di
Draghi con questo messaggio di Dmitrij Medvedev,
ex presidente della Russia e vicepresidente del
Consiglio di sicurezza russo: “Sembra che questo
piano di pace [di Draghi] non sia stato preparato da
diplomatici, ma da politologi locali che hanno letto
molti giornali provinciali e hanno a che fare
soltanto con falsi ucraini”[38]. Il finto piano di pace
di Draghi fu denunciato dallo stesso governo di
Kiev, che disse di non saperne niente.

49
L’inganno mediatico del piano di pace fu utile
per consentire all’informazione di lodare Draghi
per qualche giorno, il tempo di spostare le
attenzioni degli italiani dalle armi pesanti verso la
pace: Draghi stava inviando a Zelensky gli obici
FH-70.
Draghi utilizzò una tecnica di manipolazione
dell’opinione pubblica che consiste nel mostrare
ciò che piace al pubblico (la pace) nascondendogli
ciò che non gli piace (i cannoni). Denunciai questi
fatti il 29 maggio 2022 nella trasmissione di
Massimo Giletti a La7[39]. Pochi giorni dopo, il 5
giugno 2022, il Corriere della Sera pubblicò
l’articolo “La rete di Putin in Italia”[40] per
accusarmi di essere parte di una sorta di rete
criminosa collegata al Cremlino che operava per
destabilizzare il governo Draghi. Il Corriere della
Sera difendeva la Casa Bianca criminalizzando i
suoi critici. Sotto il profilo storico-sociologico,
quest’articolo di Fiorenza Sarzanini e Monica
Guerzoni rappresenta un documento
fondamentale nello studio del filo-americanismo
come agente di corruzione dell’informazione in
Italia.

50
Il North Stream 2
Il secondo esempio di informazione corrotta dal
filo-americanismo è l’attacco contro il gasdotto
North Stream 2, il 26 settembre 2022. I grandi
media, seguendo la propaganda della Casa Bianca,
negarono che Zelensky fosse l’artefice del piano. È
stato poi scoperto, anche grazie alla magistratura
tedesca, che l’attentato contro il North Stream 2 è
stato realizzato dal governo ucraino dopo avere
informato la Casa Bianca[41]. Il North Stream 2 era
anche di proprietà tedesca. Un Paese non-Nato,
l’Ucraina, ha attaccato le strutture di un Paese Nato,
la Germania. Questo fatto, rilevante ai fini della
sicurezza dell’Unione europea, non è stato oggetto
di critica, né di dibattito, da parte dei grandi media
italiani giacché, come stiamo per vedere, una delle
regole del filo-americanismo è di non discutere i
temi che possono creare imbarazzi alla Casa
Bianca.
L’invio di armi
Il terzo esempio di informazione filo-americana
o corrotta è il sostegno dei grandi media all’invio
di armi all’Ucraina.

51
L’articolo 11 della Costituzione italiana ripudia la
guerra come strumento di risoluzione delle
controversie internazionali. In sintesi, l’articolo 11
suggerisce che, quando scoppia una guerra che non
coinvolge l’Italia, e in cui l’Italia non ha nessun
dovere di intervenire in base ai trattati stipulati, è
proibito ai governi italiani di combatterla fino
all’ultimo sangue ripudiando la diplomazia. Draghi
e Meloni, invece, hanno deciso di usare la guerra
all’ultimo sangue per dirimere la controversia con
la Russia in Ucraina. I giornalisti filo-americani
hanno sostenuto che l’esecrazione della diplomazia
avrebbe avvicinato la pace attraverso l’invio di armi
sempre più pesanti all’Ucraina.
Perché una narrazione così contraria alla logica?
Siccome la grande maggioranza degli italiani
ripudia la guerra, Draghi non poteva dire di voler
usare la guerra per sconfiggere la Russia in un
conflitto ad alto potenziale nucleare. I giornalisti
filo-americani hanno pertanto capovolto la realtà
sostenendo falsamente che lo scontro all’ultimo
sangue per sconfiggere la Russia fosse una “politica
di pace”. L’informazione dominante in Italia ha
presentato come vera una relazione bivariata falsa,
secondo cui: “Quanto maggiore è la quantità di

52
armi inviate all’Ucraina, tanto minore sarà la
durata della guerra”. La relazione bivariata corretta
è stata demonizzata. Ecco qual era: “Quanto
maggiore è la quantità di armi inviate all’Ucraina,
tanto maggiore sarà la durata della guerra”.
I critici spiegavano che la strategia dello scontro
all’ultimo sangue con la Russia avrebbe causato la
distruzione e lo smembramento dell’Ucraina. La
stampa filo-americana ha reagito demonizzandoli
come “putiniani” nemici del popolo ucraino e della
democrazia.
La vera storia del cessate il fuoco
Il quarto caso di informazione corrotta è il
raggiro del cessate il fuoco ai danni del pubblico
italiano.
Per ritrarre Biden in una luce positiva, il
giornalismo filo-americano ha sostenuto che Putin
non volesse il cessate il fuoco e la Casa Bianca sì. In
realtà, la posizione ufficiale della Casa Bianca è
sempre stata di rifiuto radicale ad ogni sospensione
dei combattimenti. Per nascondere l’attitudine alla
guerra della Casa Bianca, i media filo-americani
hanno colpevolizzato la Cina dicendo che Pechino

53
si rifiutava di fare pressioni sulla Russia per il
cessate il fuoco.
Era vero il contrario.
La Cina si stava impegnando per il cessate fuoco,
al quale si opponeva la Casa Bianca.
Il 24 marzo 2023, quando la battaglia di
Bakhmut infuriava, il presidente della Cina si recò
al Cremlino per mediare un cessate il fuoco in
Ucraina. Appresa la notizia, Biden disse, per bocca
di John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza
nazionale della Casa Bianca, che gli Stati Uniti
erano contrari alla mediazione della Cina e che gli
ucraini avrebbero dovuto rifiutare qualunque
proposta di cessate il fuoco. Secondo Kirby, il
cessate il fuoco avrebbe danneggiato gli ucraini e
avvantaggiato i russi[42]. Per i primi due anni di
guerra, la narrazione dei media filo-americani è
stata questa: “L’Occidente vuole la tregua e la
Russia non la vuole”.
Ma qual era la vera posizione della Russia verso il
cessate il fuoco?
Questa risposta richiede di periodizzare la guerra
in due fasi fondamentali. Nella prima fase, dal 24
febbraio alla fine di settembre 2022, Putin cerca di
chiudere la guerra rapidamente con una trattativa

54
diplomatica per evitare gli investimenti smisurati,
a cui è stato costretto dalla perseveranza della Nato.
In questa prima fase, la posizione ufficiale della
Casa Bianca è di esecrare il dialogo per sconfiggere
la Russia sul campo. Putin cerca il dialogo; la Casa
Bianca lo rifiuta.
La seconda fase inizia quando Putin capisce che
la Nato è determinata a fare un grande
investimento economico e militare per sconfiggere
l’esercito russo mediante l’esercito ucraino. La vera
svolta, nella prospettiva di Putin, si verifica con la
battaglia di Kherson. Sebbene i russi fossero
sovrastanti, gli ucraini riuscirono a colpire il ponte
Antonovsky con alcuni missili americani
Himars[43]. I russi furono costretti ad abbandonare
la città giacché il danneggiamento del ponte
impediva la logistica necessaria a una battaglia
campale. Nel settembre 2022, Putin valutò la
possibilità di lanciare le testate nucleari per
proteggere i soldati russi intrappolati a Kherson a
causa del danneggiamento del ponte.
Persa la città (11 novembre 2022) Putin smise di
credere al dialogo con la Nato e avviò gli
investimenti smisurati che fino a quel punto aveva
sperato di evitare. A partire da quel momento,

55
Putin ha deciso di risolvere tutti i problemi con la
Nato sconfiggendo l’Ucraina: ha sfondato il fronte
con soli 180.000 soldati, diventati 617.000 nel giro
di un anno e mezzo, secondo quanto dichiarato da
lui stesso in una conferenza stampa del 14
dicembre 2023[44]. Come appare evidente da
questo dato e da moltissimi altri documenti,
l’investimento di Putin è stato graduale. Ha
investito risorse nella guerra in base al livello di
impegno della Nato per sconfiggere la Russia.
Perché Putin ha sfondato il fronte con
pochissimi soldati rispetto a quelli ucraini? Ecco la
risposta: perché era ottimista su una soluzione
diplomatica immediata. Perso l’ottimismo, ha
deciso di combattere seriamente investendo
altrettanto seriamente. La mia frase “Putin sta
combattendo con una mano dietro la schiena”,
pronunciata all’inizio della guerra, era corretta. Nel
febbraio 2022 Putin stava effettivamente
investendo pochissime risorse nella guerra rispetto
al potenziale della sua difesa. La tesi del Corriere
della Sera e dei suoi figli minori, invece, era
opposta: Putin sta investendo poche risorse perché
la Russia è priva di risorse. Il suo esercito è
debolissimo.

56
In sintesi, non è possibile rispondere con un “sì”
o un “no” alla domanda se Putin sia favorevole o
contrario al cessate il fuoco. È stato favorevole a
una soluzione diplomatica del conflitto fino alla
battaglia di Kherson, e ha smesso di esserlo dopo.
Non dare fastidio
I giornalisti filo-americani devono rispettare due
regole fondamentali per proteggere le loro
carriere. La regola del “non dare fastidio” e la
regola del “non criticare”.
Se il fastidio che la Casa Bianca riceve dalla
discussione di un certo tema è alto, la probabilità
che la televisione italiana si occupi del tema
diminuisce.
Il non dare fastidio influenza la scelta dei fatti e il
modo di raccontarli.
Nella fase iniziale della guerra, la Casa Bianca
assicurava che gli ucraini avrebbero riportato
soltanto vittorie sfolgoranti: la televisione italiana
era interamente dedicata alla guerra in Ucraina.
Nel periodo novembre 2022-giugno 2023, i media
filo-americani hanno creato enormi aspettative
intorno alla controffensiva ucraina che, iniziata il 5
giugno 2023, è terminata con il fallimento di tutti

57
gli obiettivi dichiarati. Il 20 marzo 2024 il Foglio
negava il successo della Russia sostenendo che il
fronte era bloccato[45]. Ma era falso. La Russia
avanzava senza sosta.
Nel 2024 l’esercito russo ha conquistato 4.168
chilometri quadrati di territorio ucraino, oltre sette
volte di più rispetto al 2023 (584 kmq), secondo
l’analisi dell’Institute for the Study of War (ISW)[46].
La strategia di Biden di sconfiggere la Russia sul
campo usando gli ucraini era fallita. Il Foglio non
poteva dirlo per non violare la regola del non dare
fastidio. Quando è diventato chiaro che l’esercito
ucraino boccheggiava, il tema della guerra in
Ucraina è scomparso dalla televisione.
Il bombardamento di Gaza è un altro tema che
dava fastidio alla Casa Bianca. Le trasmissioni filo-
americane l’hanno prontamente silenziato. Il
bombardamento di Gaza, essendo stato uno dei
più grandi stermini della “storia universale”, un
termine con cui Max Weber indicava la storia
dell’umanità, ha creato molti imbarazzi ai
giornalisti filo-americani.
Il primo motivo di imbarazzo è che le armi con
cui Netanyahu ha massacrato i palestinesi sono
state fornite dalla Casa Bianca.

58
Il secondo motivo di imbarazzo è che il
bombardamento di Gaza ha mostrato che la Casa
Bianca, all’occorrenza, vìola i diritti umani e il
diritto internazionale più delle dittature.
Il terzo motivo di imbarazzo è che il massacro dei
palestinesi rende evidente il cinismo del
giornalismo filo-americano. Il giornalista filo-
americano non può condannare la Casa Bianca per
le armi che dà a Netanyahu. Più tempo dedica al
massacro di Gaza, più evidente diventa il suo
cinismo. I giornalisti filo-americani hanno chiesto
di colpire la Russia con sanzioni severissime, ma
non Israele.
E il libero mercato? Ghali, Ranucci, Giletti
Secondo gli apologeti del libero mercato, se il
pubblico è interessato al conflitto in Palestina la
televisione parlerà di Gaza perché gli ascolti alti
producono profitti alti. Tuttavia, in un sistema
dell’informazione compenetrato dal potere
politico, la legge della domanda e dell’offerta non
produce i risultati attesi quando si tratta di politica
internazionale. Il pubblico interessato a Gaza è
grande; eppure, i conduttori televisivi filo-
americani hanno smesso di parlarne quando è

59
parso evidente che Israele stava sparando
intenzionalmente sui civili con il sostegno della
Casa Bianca.
In un sistema dell’informazione corrotto la
razionalità politica, che massimizza il potere, ha il
sopravvento sulla razionalità economica, che
massimizza il profitto. Questo spiega come mai
alcuni conduttori dagli ascolti alti siano stati
cacciati dalla Rai. La razionalità politica domina
anche le reti private.
Il caso di Massimo Giletti lo dimostra.
Giletti ha terminato il suo rapporto con La7 per
aver infastidito il potere politico e per averlo
contrastato. In un articolo per il Fatto Quotidiano,
Marco Lillo ha scritto:
Per capire quanto sia stata dura per [Giletti] la cancellazione
della trasmissione su La7, bisogna leggere gli atti della Procura di
Firenze depositati nel procedimento per calunnia a carico di
Salvatore Baiardo. Due giorni dopo la chiusura, il generale dei
carabinieri in pensione, Domenico Balsamo, lo chiama e gli dice:
“Massimo, purtroppo come tu sai, sono stati attaccati personaggi
importanti, tra virgolette, della politica, che hanno fatto addirittura
parte di governi e ovviamente nessuno ha piacere di queste cose”.
Giletti accenna a un verbale che aveva trovato. Il generale lo

60
interrompe, gli dice di non parlarne al telefono, lo invita a pranzo.
Giletti a quel punto, annota la Dia, piange e dice che per lui è
molto dura. […] A Massimo Cacciari spiega via sms: “Professore, mi
hanno censurato. Imbavagliato. Stavo per toccare Dell’Utri con
nuove intercettazioni e Berlusconi… […]”. Chiama Giovanni Minoli.
Giletti gli confida quel che poi ripeterà ai pm. Urbano Cairo
[proprietario di La7] ai primi di marzo gli avrebbe chiesto di
incontrare Berlusconi. Giletti racconta: “Io rifiutai perché dissi:
‘Guardi presidente [Cairo, nda] devo affrontare dei momenti un po’
complicati […] non voglio farmi influenzare e voglio andar
tranquillo’” (17 ottobre 2023)[47].

In un sistema dell’informazione politicamente


compenetrato, la razionalità politica sovrasta la
razionalità economica.
Il Festival di Sanremo
Un altro caso che ha reso evidente il controllo
politico dell’informazione sulla politica
internazionale è lo scandalo Ghali.
Il 10 febbraio 2024 Ghali ha denunciato il
genocidio a Gaza in Rai dal palco del Festival di
Sanremo. L’ambasciatore israeliano a Roma, Alon
Bar, ha immediatamente inveito contro la Rai:

61
“Ritengo vergognoso che il palco del Festival sia
stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni
in modo superficiale e irresponsabile”[48].
Il giorno dopo, intervistato da Mara Venier a
Domenica In (Rai Uno), Ghali ha replicato così: “Mi
dispiace che [l’ambasciatore d’Israele] abbia
risposto in questo modo, c’erano tante cose da dire.
Ma per cos’altro avrei dovuto usare questo palco?
Sono un musicista ancor prima di essere su questo
palco, ho sempre parlato di questo da quando sono
bambino. Sono nato grazie a internet, è da quando
ho fatto le mie prime canzoni a 13-14 anni che
parlo di quello che sta succedendo, non è dal 7
ottobre, questa cosa va avanti già da un po’. Il fatto
che l’ambasciatore parli così non va bene.
Continua la politica del terrore, la gente ha sempre
più paura di dire stop alla guerra e stop al
genocidio. Stiamo vivendo un momento in cui le
persone sentono che vanno a perdere qualcosa se
dicono ‘viva la pace’, ed è assurdo. Non deve
succedere questo. Ci sono dei bambini di mezzo. Io
da bambino sognavo e ieri sono arrivato quarto a
Sanremo. Quei bambini stanno morendo, chissà
quante star, quanti dottori, quanti geni ci sono.
Perché?”.

62
Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia filo-
Netanyahu e componente della commissione di
Vigilanza Rai, chiese alla Rai di scusarsi con Israele:
“La Rai ha perso un’altra occasione. Spero che i
vertici dell’azienda si scusino con le autorità di
Israele e attuino interventi riparatori, tenuto conto
delle giuste proteste dell’ambasciatore di
Israele”[49].
Come si addice agli Stati satelliti, Mara Venier fu
costretta a leggere in diretta un comunicato stampa
dell’amministratore delegato della Rai, Roberto
Sergio, a sostegno di Israele e privo di accenni al
massacro dei palestinesi per mano di Netanyahu:
“Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri
programmi raccontano, e continueranno a farlo, la
tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a
ricordare la strage dei bambini, donne e uomini
del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele
e alla comunità ebraica è sentita e convinta”.
Terminata la lettura, Mara Venier ha dichiarato di
essere completamente d’accordo con il comunicato
stampa pro-Israele.
Nel comunicato non si trova alcuna critica a
Netanyahu, giacché criticarlo avrebbe significato

63
criticare la Casa Bianca che stava offrendo sostegno
incondizionato al bombardamento di Gaza.
Report (Rai Tre) è un altro caso che ha mostrato il
controllo politico dell’informazione sulla politica
internazionale. Report aveva condotto una serie di
servizi sgraditi al governo Meloni. Uno di questi
riguardava i legami profondissimi tra Tajani e la
lobby israeliana che cura gli interessi di Netanyahu.
In un’altra puntata, Report aveva svelato che
Gasparri era presidente di Cyber Realm, società di
cybersicurezza controllata da un israeliano, piena
di ex agenti segreti d’Israele. Gasparri si era poi
dimesso dopo quella rivelazione. Il conduttore di
Report, Sigfrido Ranucci, è stato bersagliato dal
governo e dai suoi ambienti.
Il 25 gennaio 2025 la Rai ha deciso di imporre un
“supervisore” a tutti i conduttori televisivi: una
persona di fiducia del presidente del Consiglio ha
acquisito il potere di controllare i contenuti di
Report con un giorno di anticipo sulla messa in
onda[50].
Carlo Conti, che ha sostituito Amadeus come
conduttore del Festival di Sanremo 2025, ha voluto
depoliticizzare l’evento. Il processo di distruzione
di Gaza è stato completato nel periodo incluso tra

64
il Festival di Sanremo 2024 di Amadeus e il Festival
di Sanremo 2025 di Conti. Il rischio di un nuovo
messaggio contro Israele era aumentato
all’aumentare dei morti palestinesi e delle proteste
studentesche. Le inchieste giornalistiche avevano
rivelato il coinvolgimento di Giorgia Meloni nel
genocidio. Meloni ha infatti dato a Netanyahu, a
sterminio in corso, le seguenti armi: bombe,
granate, siluri, mine, missili, cartucce e altre
munizioni, proiettili e loro parti, per un valore di
730.869,5 euro a dicembre 2023, quasi raddoppiati
a 1.352.675 euro a gennaio 2024[51].
Era necessario un conduttore che desse un certo
tipo di garanzie. Conti ha deciso di escludere i
monologhi affidati a personalità dello spettacolo
che avrebbero potuto lanciare messaggi politici. La
scelta di Conti è stata notata da molti osservatori:
“Un taglio netto ai monologhi e un Festival
depoliticizzato. Inizia così la nuova èra di Sanremo
guidata da Carlo Conti dopo il quinquennio dei
record di Amadeus”[52].
In realtà, non è vero che Conti ha depoliticizzato
il Festival. Ha parlato di stragi, eccome, ad esempio
ha parlato delle foibe, un tema carissimo a Meloni
e alla destra italiana. Meloni si è sempre battuta

65
affinché si parlasse di foibe in televisione e non
soltanto.
Il fatto che Conti abbia parlato di quelle terribili
stragi, ma non di Gaza, è balzato agli occhi di tutti.
I siti ufficiali di Fratelli d’Italia hanno lodato Conti
per averne parlato. La pagina Facebook di Fratelli
d’Italia di Gallura, il 16 febbraio 2025, ha scritto: “Al
Festival di Sanremo, Carlo Conti ricorda il progetto
promosso dal ministero per lo Sport e i Giovani, il
‘Treno del ricordo’, per non dimenticare le vittime
delle foibe. Il treno è partito da Trieste il 10
febbraio con ultima tappa Sassari il 24 e 25
febbraio”[53].
Il 10 febbraio 2017 Giorgia Meloni, quando era
all’opposizione, aveva esortato pubblicamente
Carlo Conti a parlare delle foibe al Festival di
Sanremo, di cui era il presentatore, con questo
messaggio: “Dispiace molto che la Rai non abbia
voluto dedicare al Giorno del Ricordo dei martiri
delle foibe e del dramma dell’esodo giuliano-
dalmata l’attenzione che avrebbe meritato questa
ricorrenza: lo spazio riservato al 10 febbraio nel
palinsesto del servizio pubblico è stato
estremamente ridotto. Mi auguro che stasera
almeno il Festival di Sanremo, sempre molto

66
attento a questioni che attengono poco alla musica,
voglia celebrare degnamente questa giornata anche
con un’azione simbolica: Carlo Conti indossi sul
palco dell’Ariston il fiocchetto tricolore. Intanto il
nostro ringraziamento va a tutti quelli che anche
nelle altre reti hanno deciso e decideranno di
parlare del dramma del confine orientale, come ha
fatto bene Giovanni Minoli e altri colleghi insieme
a lui”[54]. Da quando Meloni è presidente del
Consiglio, i presentatori di Sanremo ricordano le
foibe.
La legge che introduce la commemorazione
delle vittime delle foibe risale al 30 marzo 2004 e
fissa il Giorno del Ricordo al 10 febbraio di ogni
anno. Il Festival di Sanremo 2025 si è svolto dall’11
febbraio al 15 febbraio. Quando Conti ha ricordato
le foibe, il Giorno del Ricordo era già passato.
La censura dell’ovvio
Il “non criticare” è la seconda regola della società
giornalistica filo-americana. Dobbiamo prestare
molta attenzione a questa regola perché, come
mostrerò citando un’intervista a Boris Johnson, la
regola del non criticare crea un fenomeno

67
peculiare dell’informazione italiana che è la
“censura dell’ovvio”.
Il 18 dicembre 2024 Zelensky, dopo un’ecatombe
al fronte, ha dichiarato che l’Ucraina non aveva le
forze per riconquistare i territori occupati dai
russi[55]. Eppure, la Nato aveva armato l’Ucraina per
raggiungere proprio questo fine. In un sistema
dell’informazione libero, la dichiarazione di
Zelensky avrebbe scatenato le critiche dei grandi
media contro le politiche fallimentari della Nato,
ma questo non è accaduto. I grandi media non
hanno rivolto alcuna critica alla Casa Bianca per
aver sospinto l’Ucraina in una guerra all’ultimo
sangue con la Russia perché essi stessi hanno
sostenuto quelle politiche.
Durante la campagna elettorale per le elezioni
nazionali del 25 settembre 2022, il giornalismo filo-
americano ha evitato di sfidare in televisione i
candidati sulla guerra in Ucraina, sebbene fosse il
tema cruciale per il futuro dell’Italia. Un sistema
dell’informazione libero avrebbe preteso una
campagna elettorale incentrata sul tema della
guerra. Tanto più che Putin, come ha rivelato Bob
Woodward nel suo libro War, è stato vicino a
colpire l’Ucraina con le testate nucleari intorno al

68
mese di settembre 2022, durante la battaglia di
Kherson, quando la contesa elettorale in Italia era
nel suo momento più intenso: “Il momento forse
più teso nel libro è nel settembre 2022, quando
l’intelligence Usa valutò che la probabilità che i
russi usassero armi nucleari tattiche in Ucraina era
passata dal 5% al 50%”[56].
La notizia, resa di dominio pubblico dalla Casa
Bianca[57], non entrò nel dibattito elettorale. Giorgia
Meloni ed Enrico Letta, candidati premier, non
furono sfidati dai giornalisti su questo tema. Un
dibattito elettorale sulla possibilità della guerra
nucleare in Ucraina poneva gli italiani nella
condizione di criticare il presidente degli Stati
Uniti per la sua gestione spericolata della crisi.
Nessun italiano trovava conveniente accrescere il
rischio della guerra nucleare con la Russia per
assorbire l’Ucraina nella Nato. La grande
maggioranza degli italiani ha sempre condannato
le politiche della Casa Bianca in Ucraina,
consapevole che la causa profonda della guerra era
l’espansione della Nato in quel Paese. Il 6 dicembre
2024 il Censis, come abbiamo già visto, ha
pubblicato una ricerca secondo cui il 66,3% degli
italiani ritiene che la guerra in Ucraina sia colpa

69
dell’Occidente, soprattutto degli Stati Uniti[58].
Questa era l’opinione degli italiani anche durante
la campagna elettorale del settembre 2022. La
società giornalistica filo-americana ha evitato di
dirlo per non dare fastidio alla Casa Bianca.
La regola del non criticare comporta anche
l’esclusione dei termini che contrastano con la
propaganda della Casa Bianca.
Il giornalismo filo-americano ha bandito
l’espressione “guerra per procura” per riferirsi alla
guerra in Ucraina. Una guerra per procura è una
guerra combattuta da uno Stato per conto di un
altro Stato da cui è armato e finanziato. La Casa
Bianca di Biden, non potendo bombardare
direttamente la Russia, ha dato i missili agli ucraini
per realizzare l’opera. La locuzione “guerra per
procura” dava fastidio. Per questo motivo, il
governo dei media ha bollato il suo uso come
“propaganda del Cremlino”, privando gli italiani di
uno strumento concettuale fondamentale per
comprendere gli eventi. L’informazione di uno
Stato satellite non può dire nemmeno l’ovvio se
questo danneggia l’immagine dello Stato da cui è
dominato. È la censura o autocensura dell’ovvio.

70
La censura dell’ovvio dell’informazione italiana è
stata resa evidente da Boris Johnson durante
un’intervista al Telegraph del 28 novembre 2024.
Johnson ha spiazzato il Corriere della Sera e i suoi
figli minori dichiarando che “La guerra in Ucraina
è una guerra per procura” della Nato contro la
Russia[59].
Il finto coraggio: il caso Giannino
La tecnica del finto coraggio è l’arma segreta con
cui il giornalista filo-americano impressiona
positivamente il pubblico attraverso l’inganno
scenico.
Siccome l’autocensura dell’ovvio danneggia la
sua reputazione professionale, il giornalista filo-
americano ha elaborato una serie di strategie per
apparire migliore di quel che è.
La tecnica del “finto coraggio” consiste
nell’insultare un governante straniero nemico della
Casa Bianca che però non può contrattaccare. Il
giornalista che attacca Putin riceve gli applausi del
potere politico senza esporsi ad alcuna punizione.
Attaccare Putin fa bene alla carriera.
Per comprendere la tecnica del finto coraggio,
occorre innanzitutto sapere che il coraggio non

71
dipende da ciò che un uomo dice, ma dalla
situazione in cui lo dice. Un giornalista che critichi
Putin in Russia è coraggioso; un giornalista che lo
critichi in Italia non è coraggioso.
Un giornalista italiano è coraggioso se attacca un
politico italiano potente che può vendicarsi
distruggendogli la carriera o cacciandolo dalla
televisione. Enzo Biagi contro Berlusconi è un
esempio di coraggio. Di contro, il giornalista
italiano che insulta Putin è un esempio di finto
coraggio. Non c’è nessun coraggio nel denigrare il
presidente della Russia come fa Paolo Mieli
parlando da Radio 24. Un giornalista italiano è
coraggioso se denigra Biden per lo sterminio a
Gaza, non se denigra Putin per l’invasione
dell’Ucraina, giacché l’Italia è uno Stato satellite
degli Stati Uniti e non della Russia. Se un
giornalista critica il presidente degli Stati Uniti,
riceve una punizione; se critica il presidente della
Russia, rischia di vincere il Premio Amerigo del
consolato americano a Firenze.
Nel suo capolavoro, Violenza. Un’analisi sociologica,
Randall Collins ha spiegato che gli individui, prima
di attaccare una vittima, riflettono sulla sua

72
capacità di reazione. Se il potenziale offensivo della
vittima è alto, la probabilità dell’attacco è bassa[60].
L’insulto contro Putin è un esempio di finto
coraggio. Insultando Putin, il giornalista filo-
americano acquisisce consensi sulla base di una
rappresentazione falsa basata su un coraggio che
non ha. Un giornalista russo è coraggioso se attacca
Putin, non se attacca Biden. Analogamente, un
giornalista italiano è coraggioso se attacca Biden,
non se attacca Putin. Il coraggio non deriva
dall’attacco, ma dal bersaglio. L’attacco di per sé
non consente di valutare il coraggio. Soltanto le
caratteristiche dell’attaccato possono fornire
informazioni sul coraggio dell’attaccante.
Oscar Giannino è uno degli esempi migliori di
finto coraggio del giornalismo filo-americano. I
suoi post insultanti contro Putin sono
numerosissimi. Il 26 febbraio 2023, su Facebook,
Giannino scrive che Putin è: “Un despota
sanguinario terrorista”[61]. Il 4 dicembre 2023 in un
post su X, Giannino scrive che nell’Unione
europea nessuno ha il coraggio di dire in faccia a
Putin che è un “criminale terrorista” lasciando
intendere che egli sia il solo ad avere un simile
(finto) coraggio[62]. Il 16 gennaio 2024, su X,

73
Giannino scrive di nuovo che Putin è un
“criminale terrorista”[63]. Oscar Giannino non ha
mai rivolto queste parole contro Netanyahu,
nemmeno dopo che la Corte internazionale di
giustizia dell’Onu ha avviato il processo per
genocidio contro Israele; nemmeno dopo che
Netanyahu è stato raggiunto da un mandato di
cattura della Corte penale internazionale per
crimini di guerra e contro l’umanità. Nemmeno
dopo che la prestigiosa rivista scientifica Lancet,
nel 2024, ha rivelato che i palestinesi morti sotto i
bombardamenti di Netanyahu erano stati circa
64.000 tra ottobre 2023 e giugno 2024. Perché
Giannino agisce così? Il governo russo non può
intimorire i giornalisti italiani. Il governo
Netanyahu, invece, può, come dimostra il
comunicato stampa contro Ghali, soprattutto
quando il vicepresidente del Consiglio è un
esponente della lobby israeliana come Tajani.
Nel 2006 Tajani, all’epoca europarlamentare, è
entrato nel direttivo dell’European Friends of
Israel che promuove gli interessi dell’industria di
Netanyahu in Europa. Nel 2010 Tajani è diventato
commissario europeo all’industria promuovendo
le finalità contenute nello statuto di quella lobby.

74
Intervistato da Giorgio Mottola in una puntata di
Report trasmessa il 12 gennaio 2025 (Rai Tre),
quando i morti a Gaza erano 40.000, Tajani ha
rivendicato orgogliosamente di essere un
esponente della lobby israeliana e ha spiegato di
non essere turbato dal fatto che Netanyahu
fronteggiasse un processo per genocidio all’Onu
perché: “Il 50% di coloro che vengono indagati in
Italia sono assolti”: un paragone bizzarro, visto che
nessun italiano ha mai ucciso 40.000 persone.
Mottola gli ha fatto notare che Netanyahu aveva
ucciso 40.000 palestinesi. Tajani ha risposto:
“Israele non ha commesso crimini di guerra a
Gaza”[64]. Nel 2000, l’Europa importava beni da
Israele per meno di 8 miliardi di euro. Nel 2011,
con Tajani commissario europeo, questo valore è
schizzato a 17,6 miliardi di euro.
Il giornalista filo-americano, essendo un cinico
massimizzatore dell’utilità individuale, ascolta
queste parole di Tajani e ragiona come segue: “Vivo
in Italia: se insulto Putin, la mia carriera sarà
beneficiata; se insulto Netanyahu, sarà
danneggiata”.
Termini proibiti

75
Il giornalismo filo-americano bandisce i termini
e le espressioni che non piacciono all’ambasciata
americana a Roma.
I giornalisti filo-americani non usano i termini
“sconfitta” e “umiliazione” per descrivere i rovesci
della Casa Bianca. La società filo-americana
riserva espressioni come “umiliazione”, “umiliato”,
“sconfitto” e “sconfitta” soltanto per descrivere i
rovesci dei nemici della Casa Bianca. L’espressione
“Putin è stato umiliato” in Ucraina è stata usata
migliaia di volte dall’inizio della guerra, ma
nemmeno una volta con riferimento a Biden.
La controffensiva ucraina, iniziata il 5 giugno
2023, si è conclusa con la sconfitta della Nato e
della Casa Bianca. È stato lo stesso Zelensky a
riconoscerlo il 18 dicembre 2024: “L’Ucraina non ha
le forze per liberare la Crimea e il Donbass”[65]. Il
fine della controffensiva era la liberazione di tutti i
territori. In ottemperanza alla censura dell’ovvio, il
giornalismo filo-americano ha scelto di usare la
locuzione: “La controffensiva ucraina non ha dato i
risultati sperati”. Le espressioni rispettose della
verità sostanziale dei fatti non sono state usate.
Erano queste: “La controffensiva ucraina è fallita”,
“La Russia ha umiliato la Casa Bianca”, “Biden è

76
stato umiliato da Putin”, “Il fallimento della
controffensiva è stata un’umiliazione per la Nato”.
Quando gli ucraini conseguivano un successo sui
russi, il successo era della Nato e degli ucraini.
Quando i russi riportavano un successo sugli
ucraini, la sconfitta era soltanto degli ucraini.
Quando gli ucraini riconquistarono la città di
Kherson (11 novembre 2022) Luciano Fontana, il
direttore del Corriere della Sera, spiegò che la Casa
Bianca aveva umiliato la Russia in un’intervista con
Myrta Merlino[66]. Quando i russi, pochi mesi dopo,
vinsero la battaglia di Bakhmut (20 maggio 2023),
Luciano Fontana non disse che la Russia aveva
umiliato la Nato, perché il giornalismo filo-
americano proibisce di accostare la parola
“umiliazione” alla Casa Bianca.
Il caso della Siria
La Siria è un altro caso importante nello studio
del filo-americanismo come agente di corruzione
dell’informazione in Italia.
L’esercito russo ha combattuto in Siria dal 30
settembre 2015 per proteggere Bashar al-Assad
che, alla fine, è stato rovesciato l’8 dicembre 2024
dai ribelli jihadisti di Ahmed al-Sharaa, noto come

77
al-Jolani. Il giornalismo filo-americano ha ripetuto,
fino allo sfinimento, che: “Putin ha subìto
un’umiliazione in Siria”. Putin ha subìto senza
dubbio una sconfitta. Tuttavia, nel rispetto della
regola del non dare fastidio, il giornalismo filo-
americano non ha spiegato che la Casa Bianca e
l’Occidente hanno subìto almeno quattro sconfitte
in Siria.
In primo luogo, la Casa Bianca è stata sconfitta da
Putin. Scoppiata la guerra civile in Siria, la Cia ha
lanciato il piano segreto Timber Sycamore per
rovesciare Bashar al-Assad e sostituirlo con un
presidente filo-americano. Obama e Biden hanno
inviato armi e soldi per alimentare la guerra civile.
Il 30 settembre 2015, Putin è intervenuto
militarmente per tagliare le mani dell’Occidente
che si protendevano sulla Siria. Putin ha distrutto il
piano Timber Sycamore.
Nel luglio 2017 Trump, preso atto della sconfitta
degli Stati Uniti per mano di Putin, ha deciso di
porre fine al piano Timber Sycamore.
Tornato Biden alla Casa Bianca nel gennaio 2021,
gli Stati Uniti si sono opposti a qualunque processo
di pacificazione in base al seguente ragionamento:
“Putin ci ha sconfitto. Se la Siria resta nelle sue

78
mani, tanto vale che venga distrutta”. Nella base di
al-Tanf, costruita illegalmente in territorio siriano,
la Casa Bianca ha addestrato per anni i ribelli anti-
Assad.
In secondo luogo, l’Occidente è stato sconfitto e
umiliato in Siria dalla vittoria di al-Jolani.
Risultato: la Siria passa da un regime anti-
occidentale a un regime jihadista ancor più anti-
occidentale. Al-Jolani, colmo di entusiasmo per
l’attentato contro le Torri Gemelle, si è arruolato
con al Qaeda in Iraq dove ha combattuto contro gli
americani. L’organizzazione guidata da al-Jolani,
Hayat Tahrir al-Sham, proveniente da al Qaeda, è
considerata un’organizzazione terroristica da Stati
Uniti e Onu. L’Occidente può considerare un
successo la caduta della Siria nelle mani dei
jihadisti? Evidentemente, no. Non è un successo, è
una sconfitta.
In terzo luogo, l’Occidente è stato sconfitto e
umiliato in Siria giacché la vittoria di al-Jolani
conferma il fallimento della lotta degli Stati Uniti
contro il terrorismo. La Casa Bianca ha investito
miliardi di dollari e combattuto in Afghanistan la
guerra più lunga della sua storia con la promessa di
eliminare tutti i terroristi dal Medio Oriente che,

79
invece, si sono moltiplicati a dismisura. I terroristi
islamici, che celebrano l’attentato contro le Torri
Gemelle, si sono rafforzati talmente tanto che
hanno conquistato la Siria.
La quarta sconfitta dell’Occidente in Siria è
rappresentata dalla caduta di Assad su Zelensky. La
caduta di Assad ha consentito a Putin di investire in
Ucraina e in Libia le risorse che investiva in Siria.
Basandosi su un articolo del Wall Street Journal,
persino un giornale filo-americano come Repubblica
ha dovuto prendere atto che: “Mosca sta
trasferendo uomini e armi dalle basi siriane
all’aeroporto libico di Al Jufra con un ponte aereo
che va avanti da una settimana. Secondo il Wall
Street Journal anche i potentissimi missili contraerei
S-400 sono stati portati lì, assieme a dozzine di
veicoli blindati […]. Sulla carta la Cirenaica è l’unica
alternativa alle basi siriane: il porto di Tobruk è il
rimpiazzo ideale da cui minacciare le rotte navali
della Nato verso il Bosforo e verso Suez. E oltre alle
piste di Al Jufra, le foto satellitari hanno mostrato
potenziamenti anche in quelle di Ghardabiya, non
lontano da Sirte”[67] (22 dicembre 2024).
Il delirio mediatico

80
Il bombardamento israeliano dell’Iran è molto
importante nello studio della corruzione
dell’informazione in Italia.
Il 26 ottobre 2024 Israele ha condotto un’azione
militare contro l’Iran. Il Corriere della Sera ha
spiegato che Israele ha umiliato l’Iran violando i
cieli indifesi di Teheran. Non era vero. Gli aerei
israeliani non sono mai entrati nello spazio aereo
dell’Iran, limitandosi a sganciare i loro missili da
una lunga distanza di sicurezza. Prima di mostrare
le distorsioni dell’informazione causate dal filo-
americanismo, devo spiegare che cosa sia il “delirio
mediatico”, come propongo di chiamarlo, e come il
giornalismo filo-americano lo utilizzi per
manipolare l’opinione pubblica.
Quando le democrazie occidentali conducono
un’azione di guerra, il giornalismo filo-americano
riporta i fatti passando attraverso tre fasi:
1) Esaltazione collettiva;
2) Distacco dalla realtà;
3) Capovolgimento della realtà.

Quando gli ucraini ripresero una parte di


Kherson nel 2022, i giornalisti filo-americani si
abbandonarono a un’euforia irrefrenabile (fase 1,

81
esaltazione collettiva). Anziché mantenere il
dovuto distacco emotivo e capire che i russi si
erano ritirati senza combattere, i giornalisti filo-
americani conclusero che gli ucraini erano
fortissimi (fase 2, distacco dalla realtà). Subito dopo
dissero che l’Ucraina era fortissima e la Russia
debolissima (fase 3, capovolgimento della realtà).
Il bombardamento israeliano dell’Iran
Il delirio mediatico si è verificato anche con il
bombardamento israeliano dell’Iran. Israele ha
condotto due bombardamenti aerei contro l’Iran
nel 2024: il 19 aprile e il 26 ottobre.
Il giornalismo filo-americano ha descritto Israele
come fortissimo e l’Iran come debolissimo. La
narrazione, in sintesi, è stata questa: “Gli aerei
israeliani sono entrati nei cieli di Teheran
bombardando la capitale senza alcun tipo di
opposizione”. Niente di tutto ciò è mai accaduto. In
entrambi gli attacchi, gli aerei israeliani hanno
lanciato i loro missili da una grande distanza senza
mai entrare nello spazio aereo dell’Iran, come ha
rivelato il Times of Israel. Teheran ha affermato
perentoriamente: “Gli aerei israeliani hanno

82
lanciato i loro missili rimanendo lontani dal nostro
spazio aereo”.
Per capire come il giornalismo filo-americano
abbia corrotto l’informazione sullo scontro Iran-
Israele, dobbiamo armarci di un’informazione
fondamentale: il 10 febbraio 2018 un F-16
israeliano è stato abbattuto dalla difesa aerea della
Siria nel nord d’Israele[68]. I due piloti israeliani si
salvarono paracadutandosi. Il sistema anti-aereo
siriano, che ha abbattuto gli israeliani, era stato
fornito dall’Iran[69]. Il che significa che la contraerea
iraniana è in grado di abbattere gli F-16 americani.
I media filo-americani in Italia hanno sempre
sostenuto che l’Iran non ha la capacità di abbattere
gli F-16. Anche in questo caso affiorano i consueti
complessi di superiorità eurocentrici, che
inducono il giornalismo filo-americano a
sottovalutare i rivali dell’Occidente, a partire dalla
Russia, salvo poi sapere, dal segretario generale
della Nato Mark Rutte, che: “L’industria militare
della Russia produce in tre mesi ciò che la Nato
produce da Los Angeles ad Ankara in un anno
intero”[70] (13 gennaio 2025).
Siamo pronti per iniziare.

83
In primo luogo, il giornalismo filo-americano ha
scritto che Israele ha impiegato 120 aerei nel
bombardamento e che l’Iran era privo di difesa
aerea. Il Corriere della Sera ha parlato di un “raid su
Teheran”[71], mai avvenuto giacché gli aerei
israeliani non hanno mai sorvolato la città.
L’Iran sarebbe totalmente privo di difesa aerea?
Questa idea si scontra con il fatto che la prima
missione degli aerei israeliani è consistita nel
colpire la difesa aerea dell’Iran, memori
dell’abbattimento dell’F-16 nel 2018 in Siria. L’idea
che Israele sia sovrastante rispetto all’Iran si
scontra con il fatto di aver dovuto mobilitare 120
aerei sofisticatissimi per rispondere ai missili
iraniani. I missili ipersonici iraniani impiegano 7
minuti per raggiungere il territorio israeliano; gli
aerei israeliani, come vedremo, impiegano ore per
raggiungere il territorio iraniano.
Israele, per poter bombardare l’Iran, ha dovuto
organizzare un’impresa aerea complicatissima. Ha
dovuto mobilitare: 1) aerei da guerra per il lancio
dei missili; 2) aerei-spia per monitorare possibili
minacce; 3) aerei per il rifornimento in volo; 4)
aerei-salvataggio per raccogliere i piloti israeliani
lanciati con il paracadute dopo un eventuale

84
abbattimento. Ma se l’Iran non ha difesa aerea,
perché gli israeliani hanno prefigurato
l’abbattimento dei propri aerei per mano dell’Iran?
Continuando a misurare la forza d’Israele
rispetto all’Iran, mi occupo, adesso, della durata del
bombardamento.
Israele ha dichiarato che la sua missione è durata
quattro ore. Attenzione: la missione militare, non il
bombardamento, è durata quattro ore. Il fatto che
la missione sia durata così tanto è un segno della
debolezza d’Israele. L’azione militare è durata
quattro ore perché gli aerei israeliani sono dovuti
tornare in Israele e ricaricare i missili per poi
ripartire nuovamente per l’Iran. In sintesi, gli aerei
israeliani hanno fatto per due volte il tragitto
Israele-Iran, andata e ritorno. Ecco spiegate le
quattro ore. Siamo a quattro ore contro i 7 minuti
dei missili ipersonici iraniani e i 12 minuti dei
missili balistici iraniani.
Continuando a misurare la forza d’Israele
rispetto all’Iran, mi occupo, adesso, del numero di
aerei impiegati nella missione.
La narrazione dei media è che Israele è entrato
nei cieli dell’Iran con 120 aerei. Dove sono le foto?
Netanyahu avrebbe un interesse smisurato a

85
mostrare le foto che nessuno ha mai visto. Nessuno
ha visto il cielo di Teheran ricoperto di aerei
israeliani.
Se Teheran non ha difesa aerea di alcun tipo,
com’è possibile che abbia abbattuto un certo
numero di missili israeliani? Se l’Iran può
abbattere i missili lanciati dagli aerei israeliani,
com’è possibile che non abbia la tecnologia per
abbattere gli F-16?

Riassumo i punti fondamentali di questa


controanalisi:
1) Gli aerei israeliani non sono mai entrati a
Teheran.
2) Mentre i missili ipersonici dell’Iran colpiscono
Israele in sette minuti, gli aerei israeliani
impiegano molte ore per bombardare l’Iran e
hanno pure bisogno del sostegno logistico
dell’esercito americano per il rifornimento in volo
e molto altro.
3) Gli F-16 israeliani possono essere abbattuti
dalla contraerea dell’Iran, come dimostra
l’abbattimento avvenuto in Siria nel 2018.
4) Il giornalismo filo-americano distorce
l’informazione, talvolta ricorrendo a vere e proprie

86
fake news, per ritrarre i nemici dell’Occidente
come arretrati, incapaci, debolissimi e sempre
dalla parte del torto.
L’anomalia Bruno Vespa
Finora, abbiamo detto che non criticare la Casa
Bianca è una regola aurea della società giornalistica
filo-americana.
È giunto il momento di spiegare un’apparente
anomalia.
In un’intervista con Enrico Cisnetto del 23
novembre 2017, Bruno Vespa ha condannato
l’espansione della Nato verso la Russia e ha persino
solidarizzato con Putin riconoscendo che la sua
rabbia verso la Nato e gli Stati Uniti era giustificata:
“Bisogna riconoscere che l’Occidente ha sbagliato
con Putin”. Poi Vespa ha condannato la decisione
della Casa Bianca di installare i missili americani in
Polonia, riferendosi a un progetto degli Stati Uniti
del 2008.
Abbiamo visto che l’atteggiamento di
subordinazione alla Casa Bianca è la condizione
necessaria, ancorché insufficiente, per occupare
una posizione apicale nel sistema
dell’informazione in Italia sulla politica

87
internazionale. Eppure, nel 2017, Vespa
solidarizzava con Putin.
Come possiamo spiegare questa critica alla Casa
Bianca da parte di Vespa che occupa il vertice del
potere mediatico?
Per spiegare questa anomalia, dobbiamo
ricorrere al metodo storico e calare le parole di
Vespa nel contesto in cui sono state pronunciate.
Quando Vespa parlava con Cisnetto – siamo nel
novembre 2017 – il presidente degli Stati Uniti era
Trump, il quale stava lavorando alacremente per
ristabilire buoni rapporti con la Russia. Parlare
bene di Putin nel novembre 2017 significava essere
allineati con la Casa Bianca; Trump aveva espresso
stima e apprezzamento per Putin sin dalla
campagna elettorale del 2016. Ecco spiegata
l’apparente anomalia: nel novembre 2017, parlare
bene di Putin non dava fastidio alla Casa Bianca e
ai suoi rappresentanti in Italia giacché
l’ambasciatore americano a Roma viene nominato
dal presidente degli Stati Uniti in carica.
Per comprendere la difesa di Putin da parte di
Vespa nel novembre 2017, bisogna introdurre altre
informazioni.

88
Nel 2016 il governo Gentiloni aveva espresso il
desiderio di porre fine alla crisi con Putin, iniziata
con l’invasione russa della Crimea del 2014. Il
governo Gentiloni voleva addirittura reintegrare
Putin nel G7. Il 10 gennaio 2017 l’allora ministro
degli Esteri italiano, Angelino Alfano, dopo aver
partecipato alla riunione del Consiglio di sicurezza
dell’Onu al Palazzo di Vetro di New York,
dichiarava: “Bisogna guardare al rientro della
Russia nel G8, ma non sappiamo ancora se sarà
possibile entro maggio 2017”[72]. Il 7 luglio 2017
Trump rese chiara la distensione tra Stati Uniti e
Russia nel faccia a faccia di oltre due ore con Putin,
a margine del G20 ad Amburgo. Quando
difendeva le ragioni di Putin nel novembre 2017,
Vespa sapeva che le sue parole non erano in
contrasto con gli orientamenti del governo
americano e del governo italiano. Le aperture di
Trump verso Putin continuarono nei mesi
successivi. Nel giugno 2018, prima di partire per il
G7 in Québec, Trump disse: “Che piaccia o no, e
potrebbe non essere politicamente corretto,
abbiamo un mondo da governare e il G7, che era il
G8, ha cacciato la Russia, ma potrebbe riportarla
dentro, perché dovremmo averla al tavolo delle

89
trattative”[73]. Il 16 luglio 2018 a Helsinki, Finlandia,
Trump e Putin ebbero la loro prima riunione
formale e ufficiale. In conferenza stampa, Trump
difese Putin da molte accuse.
E poi?
Con la vittoria di Biden su Trump, ciò che nel
novembre 2017 era considerato “filo-americano”
divenne “anti-americano”.
Divenuto presidente nel 2021, Biden dichiarò
che Putin era il più grande nemico degli Stati Uniti.
A questo punto, dobbiamo ricorrere ai
documenti per capire se la posizione di Vespa
verso Putin cambiò con il cambio alla Casa Bianca.
La risposta è sì. Prima di procedere, devo ribadire
un punto fondamentale della ricerca sociologica: la
sociologia è una scienza generalizzante. Il
sociologo che studia la compenetrazione dei poteri
nella società giornalistica è interessato a Bruno
Vespa come rappresentante di una categoria più
ampia di individui e non come singolo individuo.
La società giornalistica filo-americana può essere
compresa soltanto attraverso il modo di agire dei
suoi membri.
Vespa contro De Masi

90
Il 15 maggio 2023, durante un faccia a faccia con
il sociologo Domenico De Masi su Rai Uno, Vespa
spiegò la guerra in Ucraina in questo modo: “C’è
un invaso e un invasore”. De Masi, professore
emerito di sociologia alla Sapienza[74], rispose che
questa spiegazione poteva andare bene “per un
bambino” e non “per un professore universitario
come me”. De Masi disse che la guerra era iniziata
prima dell’invasione russa del 24 febbraio 2022,
per indicare che anche la Casa Bianca aveva la
propria parte di responsabilità per avere armato il
massacro dei civili russi in Donbass per mano del
governo di Kiev. Poi De Masi disse a Vespa: “Non
finga, lei lo sa meglio di me”[75]. Il “non finga” di De
Masi a Vespa fustiga la compenetrazione del potere
politico e del potere mediatico.
Vespa è diventato un fustigatore dei critici di
Biden.
In un editoriale del 7 dicembre 2024 per QN,
rilanciato da Huffington Post, Vespa ha ritratto
Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5
Stelle, come un alleato della Russia che opera in
favore di Putin contro le democrazie.
Perché?

91
Conte aveva proposto di investire nella
diplomazia contro l’invio incessante di armi
sempre più pesanti che, inasprendo la guerra, stava
causando la distruzione dell’Ucraina. L’invito alla
diplomazia di Conte era in contrasto con
l’esecrazione della diplomazia di Biden. Ed ecco
che Vespa scrive questo brano contro Conte in
difesa di Biden: “[Conte] non accetta di essere
considerato filo-russo, ma non c’è dubbio anche
che alcune posizioni politiche sono quelle che il
Cremlino ama”[76]. Il mutamento di posizione di
Vespa verso Putin conferma la critica di Bezos ai
grandi media.
La fedeltà diretta e indiretta: Loquenzi
Il giornalista filo-americano manifesta la propria
fedeltà alla Casa Bianca in modi diretti e indiretti.
Nelle manifestazioni di fedeltà diretta, il
giornalista dichiara esplicitamente di difendere il
presidente americano così come il giornalista russo
dichiara apertamente di sostenere il presidente
russo. L’intervista già citata di Vespa a Repubblica
del 9 aprile 2022, “Orsini non lo invito”[77], è,
invece, un esempio di fedeltà indiretta. Vespa
esprimeva fedeltà alla Casa Bianca annunciando

92
che non avrebbe invitato esperti di politica
internazionale critici della Casa Bianca.
Siccome la fedeltà diretta indica asservimento
intellettuale e mancanza di libertà professionale, il
giornalista filo-americano sente il bisogno di
abbellirla per apparire migliore di quel che è. Il
giornalista filo-americano usa la retorica della
libertà per nascondere la propria mancanza di
libertà.
Le frasi più utilizzate per abbellire la fedeltà
diretta alla Casa Bianca sono cinque:
1) “Dobbiamo sostenere la Casa Bianca perché gli
Stati Uniti hanno liberato l’Italia dal fascismo”.
2) “Dobbiamo sostenere la Casa Bianca perché gli
Stati Uniti difendono le nostre libertà”.
3) “Dobbiamo sostenere la Casa Bianca perché gli
Stati Uniti sono una democrazia”.
4) “Dobbiamo sostenere la Casa Bianca perché gli
Stati Uniti rispettano il diritto internazionale e i
diritti umani in tutto il mondo”.
5) “Dobbiamo sostenere la Casa Bianca perché gli
interessi degli Stati Uniti coincidono con gli
interessi dell’Italia”.

93
In realtà, è statisticamente impossibile che gli
interessi di due Stati siano sempre coincidenti. Gli
interessi degli Stati Uniti sono spesso in contrasto
con quelli dell’Italia. Questo è parso evidente
quando Trump, appena insediato, ha minacciato
di colpire con i dazi i Paesi dell’Unione europea,
Italia inclusa, per arricchire gli Stati Uniti e
impoverire l’Europa. Il Corriere della Sera e i suoi
figli minori hanno assicurato che gli interessi degli
Stati Uniti e dell’Unione europea fossero
coincidenti nella guerra con la Russia in Ucraina. Il
vicepresidente americano, James David Vance, ha
smentito questa narrazione durante la conferenza
sulla sicurezza di Monaco, il 14 febbraio 2025.
Il nuovo capo del Pentagono, Pete Hegseth, aveva
appena dichiarato che gli Stati Uniti hanno un
interesse a fronteggiare la Cina nell’Indo-Pacifico e
non a combattere la Russia in Ucraina.
Vance ha rincarato la dose dicendo che le
democrazie europee assomigliano alle dittature
per il ricorso eccessivo alla censura e per la loro
incapacità di ascoltare i cittadini. In particolare, a
una settimana dalle elezioni in Germania, ha detto:
“La minaccia che mi preoccupa di più nei
confronti dell’Europa non è la Russia, non è la

94
Cina, non è nessun altro attore esterno. Ciò che mi
preoccupa è la minaccia dall’interno: il progressivo
allontanamento dell’Europa da alcuni dei suoi
valori fondamentali. […] Temo che in Europa e nel
Regno Unito la libertà di espressione stia
arretrando”[78]. Vance ha fatto altre affermazioni
per spiegare che gli interessi dell’Unione europea e
degli Stati Uniti divergono su molte questioni
fondamentali e che la Casa Bianca non intende
investire ulteriormente per proteggere l’Europa
dalla minaccia della Russia. Le parole di Vance
sono parse umilianti ai leader europei, tant’è che il
ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, è
intervenuto contro il vicepresidente americano
definendo “inaccettabili” le sue critiche all’Europa:
“Non posso lasciare senza commento il
vicepresidente americano. Questa democrazia è
stata messa in discussione dal vicepresidente Usa. E
se ho capito bene, lui paragona la democrazia
europea ai regimi autoritari. Questo non è
accettabile. Io respingo in modo energico quello
che ha sostenuto”[79].
Giancarlo Loquenzi, il conduttore di Zapping
(Radio Rai), ha fatto sfoggio di fedeltà diretta e
fedeltà indiretta. Durante la guerra in Ucraina, la

95
sua trasmissione è stata il corrispettivo radiofonico
di Porta a Porta: uno spazio rigorosamente filo-
americano per diffondere la propaganda della Casa
Bianca, secondo cui tutte le colpe della guerra sono
della Russia. Loquenzi, uno dei più facinorosi
sostenitori di Biden in Ucraina, ritrae sempre i
Paesi nemici della Casa Bianca in una luce
negativa; il giornalista ha ricevuto il Premio
Amerigo 2022 per la radio dal console americano
(dicembre 2022). Claudio Pagliara, invece,
corrispondente-responsabile dell’ufficio Rai di New
York per i servizi dagli Stati Uniti, ha ricevuto il
Premio Amerigo 2022 per la televisione. I premiati
sono stati sette, come riportato in nota[80].
Il caso Giuliano Ferrara
Non tutti i giornalisti filo-americani sentono il
bisogno di abbellire la loro fedeltà alla Casa Bianca
con la retorica e l’uso strumentale di nobili ideali.
Nella premessa, ho spiegato che la corruzione di
cui parlo in questo libro non ha niente a che
vedere con la “bustarella”. Esiste un’eccezione.
Nel 2003 Giuliano Ferrara, all’epoca direttore del
Foglio, ha confessato con fierezza che nel 1985-1986
aveva fatto l’“informatore prezzolato della Cia” e si

96
era “lasciato corrompere senza troppi problemi” da
un “giovane sveglio e simpaticissimo agente
americano” che lo pagava in “dollari avvolti in una
busta giallina, fantastica, del peso giusto. E perdere
l’innocenza era meraviglioso. Qualche
conversazione avveniva al Pincio” e “il passaggio di
mano della busta aveva qualcosa di erotico”. Non
risulta che l’ordine dei giornalisti sia mai riuscito a
prendere provvedimenti contro questa
rivelazione[81]. Questo dettaglio conferma il potere
delle agenzie della Casa Bianca di corrompere
l’informazione sulla politica internazionale. Il fatto
che la società italiana abbia assorbito serenamente
questa confessione di Ferrara indica che la
corruzione che la Casa Bianca introduce in Italia è
considerato un fatto relativamente normale.
Secondo la teoria della devianza di Durkheim,
quando un comportamento è molto diffuso non
suscita più riprovazione morale e, di conseguenza,
non viene più sanzionato. Il sociologo può
soppesare la forza dei valori in base alla reazione
emotiva della collettività davanti alla loro
violazione. Il sociologo desume la morale collettiva
dalla sanzione. Può, infatti, accadere che un valore
perda importanza, o che venga soppiantato da

97
valori rivali, e allora la pena diventa sempre più
lieve e rara, fino a sparire. Se una società smette di
punire un certo comportamento, dopo averlo
lungamente represso, vuol dire che un valore, o un
sistema di valori, si è estinto, giacché: “La reazione
sociale che costituisce la pena – scrive Durkheim –
è dovuta alla intensità dei sentimenti collettivi che
il reato ha offeso”[82].
Siccome il potere della Casa Bianca in Italia è
assoluto, alcuni giornalisti possono permettersi di
fare simili rivelazioni con disinvoltura perché
sanno di essere nelle grazie del potere dei poteri.
Come dimostra il bombardamento illegale della
Serbia (1999), dell’Iraq (2003), della Libia (2011) e di
Gaza (2023), la Casa Bianca può violare qualunque
regola impunemente. Un privilegio non troppo
diverso è concesso ai giornalisti che promuovono i
suoi interessi.
La santificazione di Zelensky
Le manifestazioni di fedeltà indiretta avvengono
in due modi principali.
Il primo modo è la sottomissione per interposta
persona, che consiste nel celebrare un capo di Stato
gradito alla Casa Bianca per esprimere deferenza al

98
presidente americano. Il secondo è la sottomissione
mediante creazione del nemico interno.
Analizzerò questi due modi separatamente.
La santificazione di Zelensky da parte dei grandi
media italiani è stato un tipico caso di fedeltà
indiretta alla Casa Bianca. Per difendere la propria
carriera o per favorirla, il giornalista filo-
americano ha sfoggiato un ossequio assoluto verso
Zelensky, ritratto come un uomo infallibile dalle
virtù etiche straordinarie. I giornalisti filo-
americani si inchinavano a Zelensky per
inchinarsi a Biden. Ma poi il colpo di scena:
Trump, il 23 gennaio 2025, ha detto a Sean
Hannity che Zelensky è stato il principale
responsabile della tragedia del suo popolo per aver
voluto combattere contro la Russia invece di
trattare all’inizio della guerra[83]. A partire da quel
momento, la genuflessione a Zelensky dei
giornalisti filo-americani è terminata. Nel gennaio
2025 l’esito della guerra era ormai chiaro:
l’Ucraina aveva perso tutto.
L’Ucraina ha combattuto per difendere i territori
più ricchi e strategici che, invece, perderà.
L’Ucraina ha combattuto per entrare nella Nato,
ma non entrerà nella Nato.

99
L’Ucraina ha combattuto per entrare nell’Unione
europea, ma non si accinge affatto a entrare
nell’Unione europea.
L’Ucraina ha combattuto per salvare la propria
dignità, che Trump ha calpestato escludendola
dalle trattative con Putin nel febbraio 2025.
L’Ucraina ha combattuto per diventare un Paese
chiave dell’Europa, ma diventerà uno dei Paesi
politicamente più insignificanti del vecchio
continente a causa della sua debolezza, dovuta alle
distruzioni della guerra aggravate dal suo
indebitamento smisurato.
L’Ucraina ha combattuto per salvare le ricchezze
del proprio sottosuolo dalla Russia, che Trump ha
annunciato di volersi accaparrare per rientrare
delle spese.
L’Ucraina ha combattuto per separare la Russia
dagli Stati Uniti, che, almeno mentre scrivo (marzo
2025), si riavvicinano.
Trump ha iniziato a lanciare messaggi di pace a
Putin prima ancora di insediarsi alla Casa Bianca
perché i soldati ucraini erano disperati. Le parole
di Kyrylo Budanov erano state inequivocabili. Il 27
gennaio 2025 il capo dei servizi segreti militari di
Zelensky ha rivelato che l’Ucraina è

100
fondamentalmente spacciata. Budanov ha detto
che se l’Ucraina non si fosse accordata con Putin
entro l’estate, sarebbe potuta morire come Stato:
“Se non ci saranno negoziati seri entro l’estate,
allora potrebbero generarsi processi molto
pericolosi per l’esistenza stessa dell’Ucraina”[84]. Il
deputato ucraino, Oleksiy Goncharenko, ha
aumentato il panico dichiarando che “il fronte
comincerà a sgretolarsi” se i combattimenti
continueranno a questo ritmo. Tutto questo
mentre l’Ucraina perdeva una roccaforte
importantissima in Donbass, Velyka Novosilka,
rivendicata dai russi proprio il 27 gennaio 2025[85].
Molti soldati ucraini, ormai accerchiati, sono stati
obbligati a mantenere le loro posizioni. E,
purtroppo, sono stati orrendamente massacrati.
Urlavano contro i loro generali consapevoli di
essere usati come vittime sacrificali in una guerra
persa molto tempo prima. Il che aiuta a capire la
fuga degli ucraini per evitare il fronte.
La ragione della fretta di Trump è tutta qui.
Trump non è l’uomo della pace; è l’uomo che
gestisce la sconfitta strategica della Nato in Ucraina
per mano della Russia[86].

101
In sintesi, le politiche della Nato hanno causato la
distruzione di un Paese e l’annichilimento di un
popolo. Si è creata così una situazione paradossale.
Il Corriere della Sera e i suoi figli minori, che
dovrebbero criticare gli errori del potere politico
che si abbattono sui cittadini, tacciono perché
quegli errori sono anche loro. In questo modo,
vengono meno a quella funzione di controllo dei
governanti che la società libera affida alla stampa.
Il 12 febbraio 2025 Marco Travaglio ha scritto un
articolo che dimostra che la società giornalistica
filo-americana non è tutta l’informazione in Italia,
ma la sua parte sovrastante:
Nella commedia Viva l’Italia di Massimiliano Bruno, Michele
Placido è un politico corrotto colpito da un morbo che gli inibisce
le bugie e le ipocrisie e gli fa dire solo la verità. È quel che accade
su scala planetaria ora che Trump inizia a svelare, senza trucco né
maquillage, il vero volto degli Usa. Che hanno sempre badato al
loro tornaconto, fregandosene di perdite di tempo tipo
democrazia, diritto internazionale, principi umanitari,
autodeterminazione dei popoli, solidarietà fra alleati. Come i loro
nemici di turno. Ma sinora erano riusciti a nascondere i cazzi loro
dietro alti valori morali, grazie alla propaganda ben pagata dei
loro servi sparsi per il mondo. Trump, con la brutalità di un

102
castigo divino veterotestamentario, annuncia che il re è nudo. E i
trombettieri atlantisti non sanno cosa mettersi. Il caso Kiev, se non
avessimo mandato al macello centinaia di migliaia di ucraini e in
rovina l’economia europea per una guerra persa, sarebbe perfetto
per una farsa di Baron Cohen. Tre anni a ripetere che armavamo
l’Ucraina per difendere la Democrazia dall’Autocrazia, l’Impero
del Bene dall’Impero del Male; e ora Trump dice che l’Ucraina
“potrebbe diventare Russia”. Ma, se vuole altre armi, deve
sganciare 500 miliardi in terre rare, sennò lui che ci guadagna? E
deve chiedere le armi all’Ue, che dovrà acquistarle dagli Usa.
Come il gas che, dopo le sanzioni a Mosca, compriamo dagli
States a prezzo quadruplo e dobbiamo pure rigassificarlo […].
Trump e Putin si accordano senza di loro […]. Zelensky, comico
sempre più tragico, deve inseguire Trump come un barboncino. E
gli ucraini rimpiangono la neutralità di Yanukovich, due volte
eletto e cacciato per conto terzi, costretti come sono a scegliere se
farsi rapinare dalla Russia o dagli Usa. Più probabile da
entrambi[87].

Il nemico interno e Rai Tre


Dopo aver chiarito che cosa sia la sottomissione
alla Casa Bianca per interposta persona, vengo ad
analizzare il secondo modo di manifestare la
fedeltà indiretta ovvero la sottomissione alla Casa

103
Bianca mediante costruzione del nemico interno.
Questo secondo modo di sottomettersi è più
complesso del primo perché richiede un passaggio
intermedio, rappresentato dalla costruzione
mediatica del nemico collettivo.
Una volta stabilito che Zelensky è l’uomo da
santificare per ossequiare la Casa Bianca, la società
giornalistica filo-americana ha individuato un
capro espiatorio da attaccare quotidianamente
come nemico di Zelensky. Nel caso della guerra in
Ucraina, il giornalismo filo-americano ha inventato
la figura del “putiniano”.
La costruzione televisiva della figura del
“putiniano” – il nemico interno inventato da
Repubblica, Corriere della Sera, Stampa, Libero,
Giornale e Foglio – ha seguito quattro fasi.
Nella prima fase, il Corriere della Sera è rimasto in
attesa di capire quale fosse il nuovo capo di Stato
da santificare per compiacere la Casa Bianca:
Zelensky.
Nella seconda fase, il Corriere della Sera ha
demonizzato tutte le critiche verso il nuovo santo
della politica internazionale, sempre Zelensky.
Nella terza fase, il Corriere della Sera ha
etichettato tutti i critici di Zelensky,

104
indistintamente, come “putiniani” o “pacifinti”
nemici della democrazia.
Nella quarta fase, il Corriere della Sera ha ritratto i
critici di Zelensky come traditori del governo
Draghi, meritevoli di essere indagati dai servizi
segreti[88]. Più il giornalismo filo-americano agiva
ignobilmente, più parlava di Zelensky nobilmente:
un tipico caso di nobilitazione di una condotta
ignobile.
La costruzione del nemico nazionale consente di
risolvere un problema che rischia di distruggere la
credibilità del giornalista filo-americano.
Quale?
La società libera prevede che l’informazione sia
plurale. In realtà, il giornalista filo-americano opera
contro i principi liberali che professa. Il che
danneggia la sua reputazione. Affermando la falsa
equivalenza “critico della Casa Bianca – amico delle
dittature”, il giornalista filo-americano spaccia la
sua condotta liberticida come una battaglia per la
libertà. Strumentalizzando il paradosso della
tolleranza di Popper (“Non si può essere tolleranti
con gli intolleranti”), il giornalismo filo-americano
soffoca il pluralismo dell’informazione fingendo di
difenderlo.

105
La società giornalistica filo-americana costruisce
il nemico immaginario manipolando le sue frasi e
attribuendogli pensieri che non ha mai espresso.
La mia vicenda è utile, sotto il profilo
sociologico, perché ha costretto la Rai a produrre
una serie di documenti scritti che rendono
evidente la compenetrazione corruttiva dei poteri.
Il 5 aprile 2022, a Cartabianca (Rai Tre), avevo
affermato che è stato un errore uccidere migliaia di
bambini in Iraq con le bombe americane per
esportare la democrazia occidentale in quel Paese.
La società giornalistica filo-americana mi ha
attribuito, falsamente, di aver detto di preferire le
dittature alle democrazie. In realtà, avevo detto: “Io
non ragiono in un’ottica politica, ma umanitaria. Io
preferisco che i bambini vivano in una dittatura
piuttosto che muoiano sotto le bombe occidentali
per esportate la democrazia”. Ho poi precisato: “A
Cartabianca non ho detto che voglio che i bambini
vivano sotto una dittatura. Questo è assolutamente
falso. […] Preferisco che i bambini vivano in
democrazia”[89].
Siccome il mio ragionamento in difesa dei
bambini musulmani conteneva una critica alla
Casa Bianca per il bombardamento americano

106
dell’Iraq, il direttore di Rai Tre emise un
comunicato di censura contro le mie parole per
manifestare la sua fedeltà alla Casa Bianca
mediante costruzione del nemico nazionale: “Sono
affermazioni riprovevoli, assolutamente
incondivisibili, di cui il professor Orsini si assume
naturalmente la responsabilità”[90].
Riferendosi a questa vicenda, Roberto Severoni
spiegò quale fosse il vero problema dei grandi
media: “L’attacco fortissimo contro il professor
Orsini è dovuto al fatto che è uno dei più bravi
analisti, che è cattedratico, ma soprattutto perché
può spostare l’opinione pubblica. Tuttavia, il
governo Draghi e certi media sono organizzati per
la guerra. Quindi è partita l’azione di
screditamento, bullizzazione e cyberbullizzazione
nei confronti di Orsini da parte dei media e
soprattutto in ogni talk show, con continue
interruzioni che hanno lo scopo di spezzare il
discorso e il suo senso logico, indirizzandolo, se
possibile, in quello morale, che non ha senso”[91].
L’“assurdità statistica”
Il criterio dell’“assurdità statistica”, come
propongo di chiamarlo, consente di valutare se un

107
ambiente giornalistico è corrotto.
In che cosa consiste questo criterio?
Un governo in guerra prende migliaia di
decisioni. Secondo i giornalisti filo-americani
Zelensky, fino a quando è stato nelle grazie della
Casa Bianca, ha preso soltanto decisioni giuste e
corrette. Il che è statisticamente impossibile.
Provo a riassumere la regola dell’assurdità
statistica come segue, facendo riferimento a cinque
Paesi che la società giornalistica filo-americana
concepisce come l’incarnazione del Male assoluto:

Se un giornalista o un analista di politica


internazionale sostiene che l’Iran ha torto nel cento per
cento delle crisi internazionali con la Casa Bianca,
allora quel giornalista o quel quotidiano sono
sicuramente “corrotti”, nel senso inteso in questo libro,
giacché è statisticamente impossibile che l’Iran abbia
torto nel cento per cento delle sue dispute con la Casa
Bianca o con Israele.

Se un giornalista o un analista di politica


internazionale sostiene che la Russia ha torto nel cento
per cento delle crisi internazionali con la Casa Bianca,
allora quel giornalista o quel quotidiano sono

108
sicuramente “corrotti”, nel senso inteso in questo libro,
giacché è statisticamente impossibile che la Russia abbia
torto nel cento per cento delle sue dispute con la Casa
Bianca.

Se un giornalista o un analista di politica


internazionale sostiene che la Corea del Nord ha torto
nel cento per cento delle crisi internazionali con la Casa
Bianca, allora quel giornalista o quel quotidiano sono
sicuramente “corrotti”, nel senso inteso in questo libro,
giacché è statisticamente impossibile che la Corea del
Nord abbia torto nel cento per cento delle sue dispute con
la Casa Bianca.

Se un giornalista o un analista di politica


internazionale sostiene che la Cina ha torto nel cento per
cento delle crisi internazionali con la Casa Bianca,
allora quel giornalista o quel quotidiano sono
sicuramente “corrotti”, nel senso inteso in questo libro,
giacché è statisticamente impossibile che la Cina abbia
torto nel cento per cento delle sue dispute con la Casa
Bianca.

Se un giornalista o un analista di politica


internazionale sostiene che il Venezuela ha torto nel

109
cento per cento delle crisi internazionali con la Casa
Bianca, allora quel giornalista o quel quotidiano sono
sicuramente “corrotti”, nel senso inteso in questo libro,
giacché è statisticamente impossibile che il Venezuela
abbia torto nel cento per cento delle sue dispute con la
Casa Bianca.

Dopo la caduta di Bashar al-Assad in Siria, i


principali nemici della Casa Bianca sono cinque:
Russia, Iran, Corea del Nord, Venezuela e Cina. Se
un quotidiano ritrae questi cinque Stati in una luce
sempre negativa, se sostiene che hanno torto nella
totalità delle loro dispute con la Casa Bianca, allora
siamo in presenza di un’assurdità statistica che
fornisce una prova certa della corruzione di quel
quotidiano, di quell’istituto di ricerca sulla politica
internazionale o di quella trasmissione radiofonica.
Il criterio dell’assurdità statistica è valido anche per
valutare la libertà di giudizio dei singoli analisti di
politica internazionale.
L’analisi sociologica dell’informazione mostra
che i giornalisti filo-americani operano secondo le
stesse regole e gli stessi schemi precostituiti che
guidano i giornalisti russi, cinesi e nord-coreani. Il
criterio dell’assurdità statistica lo rende evidente.

110
Anche i giornalisti russi, cinesi e nord-coreani
sostengono che i loro governi hanno ragione nel
cento per cento delle crisi internazionali con la
Casa Bianca. Ma questo è statisticamente
impossibile.
I giornalisti filo-americani si riconoscono anche
per la mancanza di senso storico.
Citerò due esempi di giornalisti filo-americani
privi di senso storico. Parlerò prima di Paolo
Valentino e, più avanti, di Aldo Cazzullo.
In un articolo del 26 gennaio 2025 Valentino,
colmo di indignazione, ha rimproverato la Russia
di aver violato le promesse prese con l’Ucraina nel
1997: “Nel 1997 la Russia si era impegnata a
rispettare la sovranità dell’Ucraina in cambio della
consegna a Mosca delle armi nucleari ex
sovietiche”. Sulla base di questi fatti, Valentino
ritiene che la Russia debba essere ritenuta un Paese
non affidabile. Lo studio dei fatti, nel rispetto del
metodo delle scienze storico-sociali, rivela che la
Russia ha violato gli accordi con l’Ucraina del 1997
perché la Nato ha violato la promessa di non
espandersi fino ai confini della Russia presa con
Gorbačëv nel 1990.

111
La storia di questa promessa merita una
riflessione a parte.
La promessa della Nato a Gorbačëv
Per ritrarre la Casa Bianca in una luce positiva, il
giornalismo filo-americano distorce la storia con
disinvoltura.
Citerò il caso della promessa americana a Michail
Gorbačëv di non espandere la Nato a est.
Nel 1990 gli Stati Uniti promisero a Gorbačëv
che la Nato non si sarebbe espansa verso la Russia
nemmeno di un passo se il Cremlino avesse
acconsentito alla riunificazione della Germania
nella Nato: “La Nato non avanzerà verso est
neppure di un centimetro”. La promessa “non un
centimetro a est” si riferisce a un colloquio del 9
febbraio 1990 a Mosca sul contenimento della
Nato, pochi mesi dopo la caduta del Muro di
Berlino, tra il segretario di stato americano James
Baker e Gorbačëv.
Il giornalismo filo-americano ha negato che
questa promessa sia mai stata fatta, appoggiandosi
al libro della storica Mary E. Sarotte, Not One Inch:
America, Russia, and the Making of Post-Cold War
Stalemate[92].

112
Cercherò di chiarire la vicenda alla luce della
documentazione emersa finora.
Tutta la documentazione storica dice che
Gorbačëv era preoccupato della presenza di truppe
Nato nell’ex Germania dell’Est o DDR. Essendo
preoccupato dell’espansione della Nato verso la
Russia, Gorbačëv ottenne che la Nato non
dispiegasse truppe non tedesche nella parte
orientale della Germania. L’accordo sul non
dispiegamento di truppe straniere sul territorio
dell’ex DDR fu incorporato nell’articolo 5 del
Trattato sullo stato finale della Germania, firmato il
12 settembre 1990 dai ministri degli Esteri delle
due Germanie, Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran
Bretagna e Francia. Steven Pifer, all’epoca
vicedirettore dell’ufficio relazioni con l’Unione
Sovietica del dipartimento di Stato americano, l’ha
confermato in un suo articolo apparso sul sito di
Brookings Institution, il 6 novembre 2014.
L’importanza della testimonianza di Pifer
giustifica l’ampia citazione:
Ciò che tedeschi, americani, britannici e francesi
concordarono nel 1990 fu che non ci sarebbe stato
alcun dispiegamento di forze Nato non tedesche
sul territorio dell’ex DDR. All’epoca ero
113
vicedirettore dell’ufficio relazioni con l’Unione
Sovietica del dipartimento di Stato, e questo era
certamente il punto delle discussioni del segretario
James Baker con Gorbačëv e il suo ministro degli
Esteri, Eduard Shevardnadze. Nel 1990, pochi
prendevano seriamente in considerazione la
possibilità di un più ampio allargamento della Nato
a est. L’accordo sul non dispiegamento di truppe
straniere sul territorio dell’ex DDR è stato
incorporato nell’articolo 5 del Trattato sulla
risoluzione definitiva nei confronti della
Germania, firmato il 12 settembre 1990 dai ministri
degli Esteri delle due Germanie, Stati Uniti, Unione
Sovietica, Gran Bretagna e Francia. L’articolo 5
conteneva tre disposizioni: 1) Finché le forze
sovietiche non avessero completato il ritiro dall’ex
RDT, in quel territorio sarebbero state schierate
solo unità di difesa territoriale tedesche non
integrate nella Nato. 2) Non ci sarebbe stato alcun
aumento del numero di truppe o di
equipaggiamenti delle forze armate statunitensi,
britanniche e francesi di stanza a Berlino. 3) Una
volta ritirate le truppe sovietiche, le forze tedesche
assegnate alla Nato avrebbero potuto essere

114
dispiegate nell’ex RDT, ma non vi sarebbero state
schierate forze straniere e sistemi di armi nucleari.

Pifer sta dicendo che la Nato promise a Gorbačëv


che sarebbe rimasta molto lontana dai confini della
Russia, tant’è vero che la Casa Bianca si impegnò a
non schierare soldati Nato non tedeschi nella Germania
dell’Est affinché la Nato non si avvicinasse alla Russia di
un solo centimetro. Sulla base di questa
rassicurazione, Gorbačëv acconsentì alla
riunificazione delle due Germanie sotto l’egida
degli Stati Uniti.
Lo stratagemma di Pifer
La questione sembrerebbe chiarita, ma Pifer
ricorre a uno stratagemma per giustificare la
successiva espansione della Nato alle porte della
Russia.
Secondo Pifer, la Nato aveva promesso a
Gorbačëv di non dispiegare armi nucleari e soldati
non tedeschi in Germania dell’Est, ma non in
Polonia, in Ucraina o altrove in Europa dell’Est. È
chiaro che Pifer sta usando un argomento
logicamente assurdo. Se Gorbačëv non accettava
soldati Nato non tedeschi in Germania dell’Est,

115
figuriamoci se poteva accettarli in Polonia, Estonia,
Lettonia, Lituania e Ucraina. Per chiarire l’assurdità
logica dell’argomento di Pifer e dei giornalisti filo-
americani, ricorrerò a un esempio alla portata di
tutti.
Immaginiamo che la Svizzera prometta all’Italia
di non schierare mai i propri carrarmati al confine
con la Lombardia perché Roma teme uno
sfondamento del fronte. E immaginiamo che,
dopo pochi anni in un clima di tensioni crescenti,
la Svizzera punti decine di missili balistici a medio
raggio verso l’Italia proprio dove si era impegnata a
non piazzare i carrarmati, scatenando le proteste
del governo italiano che si sente tradito. E
immaginiamo che la Svizzera dica al governo
italiano: “Ma noi abbiamo stretto un patto sui
carrarmati, mica sui missili balistici”. Ma se gli
italiani non vogliono i carrarmati svizzeri al
confine, figuriamoci se possano accettare i missili
balistici.
Analogamente, se Gorbačëv non voleva la Nato
nella Germania dell’Est, è ovvio che non la volesse
nemmeno in Polonia, men che meno in Estonia,
Lettonia, Lituania e Ucraina.

116
Ma allora perché Gorbačëv non pretese un
documento della Nato con l’impegno alla non
espansione verso il confine russo? Risponderò a
questa domanda nell’ultimo capitolo sulla base dei
documenti desecretati dal governo americano sui
dialoghi che portarono alla firma del Trattato sullo
stato finale della Germania del 12 settembre 1990.
Per ora, accontentiamoci della risposta di
Gorbačëv. In un’intervista del 2014 pubblicata
dalla testata giornalistica Russia Beyond the
Headlines, Gorbačëv ha dichiarato che il tema
dell’espansione della Nato a est non fu discusso nel
febbraio 1990 perché, a quel tempo, era assurdo
pensare che la Russia avrebbe accettato una
discussione sull’espansione della Nato in Polonia,
Estonia, Lettonia e Lituania. Se la Nato avesse
avviato una discussione sull’espansione della Nato
nei Paesi baltici, Gorbačëv non avrebbe
acconsentito alla riunificazione della Germania.
Nel febbraio 1990 Baker non discusse con
Gorbačëv dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato.
L’oggetto del dialogo era la non espansione della
Nato in Germania dell’Est.
Tutto questo emerge chiaramente dalle parole di
Gorbačëv nell’intervista citata del 2014: “Il tema

117
dell’espansione della Nato non è stato affatto
discusso, e non è stato sollevato in quegli anni.
Nessun Paese dell’Europa orientale ha sollevato la
questione, nemmeno dopo che il Patto di Varsavia
ha cessato di esistere nel 1991. Nemmeno i leader
occidentali l’hanno sollevata. Abbiamo discusso di
un’altra questione: assicurarsi che le strutture
militari della Nato non sarebbero avanzate e che le
forze armate aggiuntive dell’Alleanza non
sarebbero state dispiegate sul territorio dell’allora
Germania dell’Est dopo la riunificazione tedesca.
La frase di Baker è stata detta in quel contesto”[93].
Queste parole di Gorbačëv furono subito
commentate dai maggiori istituti di ricerca
americani, tra cui Brookings Institution, da cui ho
preso la citazione.

Proverò a riassumere quanto detto finora in


cinque punti:
1) La Nato promise a Gorbačëv di non espandersi
in Germania dell’Est in cambio del suo assenso alla
riunificazione delle due Germanie.
2) Gorbačëv acconsentì.
3) La Nato si è espansa fino all’Ucraina.
4) Putin ha protestato.

118
5) La Nato ha replicato di non aver mai promesso
a Gorbačëv che non si sarebbe espansa in Ucraina.

In attesa che escano nuove ricerche


accademiche, la mia conclusione, al momento, è la
seguente: l’espansione della Nato nell’Europa
dell’Est rappresenta una violazione della promessa
degli americani a Gorbačëv.
Gli studenti odiano l’Occidente? Il caso Galli
della Loggia
Finora, mi sono concentrato sul filo-
americanismo politico come atteggiamento di
cinica sottomissione alla Casa Bianca per ottenere
benefici di carriera. Il giornalista politicamente
filo-americano non rispetta la verità sostanziale dei
fatti in piena consapevolezza. Il filo-americanismo
politico non è un’ideologia giacché l’ideologia
comporta l’autoinganno. Il giornalista
politicamente filo-americano non s’inganna affatto;
calcola razionalmente i costi e i benefici per
difendere i propri interessi egoistici; è disposto a
cambiare convincimenti in qualunque momento o
ad attenuare quelli precedenti per sopravvivere ai
cambiamenti negli equilibri di potere.

119
Il discorso cambia quando parliamo del filo-
americanismo culturale. In questo caso,
l’autoinganno conta eccome.
Il filo-americanismo culturale è un sentimento
impetuoso come l’anti-americanismo. I sentimenti
intensi distorcono la realtà. L’uomo culturalmente
filo-americano ha la mente piena di pregiudizi
come l’uomo culturalmente anti-americano. Anti-
americanismo e filo-americanismo sono due facce
della stessa medaglia.
Ernesto Galli della Loggia e Federico Rampini
sono ottimi esempi di filo-americanismo
culturale. Mi occuperò di un articolo di Galli della
Loggia, “L’ostilità che ferisce l’Occidente” (17
maggio 2024), giacché i suoi contenuti sono
condivisi anche da Rampini. Criticando il filo-
americanismo culturale del primo, criticherò
implicitamente anche quello del secondo.
La prima tesi di Galli della Loggia è che gli
studenti protestano contro il massacro di Gaza
perché odiano l’Occidente, di cui Israele sarebbe
un nobile rappresentante. Questa idea è stata usata
dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per
proibire le manifestazioni contro Netanyahu del 5

120
ottobre 2024: “Sono manifestazioni contro i valori
dell’Occidente”[94].
L’osservazione partecipante – una tecnica di
raccolta delle informazioni basata su un misto di
osservazione e partecipazione alle attività di un
gruppo – consegna una realtà opposta a quella
descritta da Galli della Loggia.
Gli studenti protestano contro Israele non perché
odino i valori dell’Occidente, ma perché li amano.
Gli studenti italiani hanno interiorizzato i tipici
valori occidentali: la difesa dei diritti umani e il
rifiuto del razzismo. Il razzismo c’entra eccome
con Israele: si pensi ai ministri razzisti d’Israele,
Bezalel Smotrich e Ben Gvir. Quest’ultimo ha
sfoggiato per anni nel salone di casa un grande
ritratto del terrorista Baruch Goldstein, il colono
ebreo autore del massacro contro la moschea di
Hebron del 25 febbraio 1994, rimosso per
assumere ruoli di governo e sopire le polemiche
sul suo estremismo religioso che esalta il
terrorismo contro i musulmani[95].
Qualunque professore dell’università italiana che
dialoghi senza pregiudizi con gli studenti sa che
questi, tolti pochissimi, sono intrisi di valori
occidentali. Secondo Galli della Loggia, il massacro

121
di Gaza non avrebbe un ruolo causale nella genesi
delle proteste studentesche. A suo dire, gli studenti
usano Gaza come pretesto per sfogare il loro odio
contro l’Occidente. Galli della Loggia afferma che
le proteste degli studenti contro Israele sono
radicate “per intero in un campo
programmaticamente e radicalmente ostile
all’Occidente in quanto tale. In sostanza i suoi
protagonisti si servono di Israele ma come un
simbolo, un capro espiatorio. Attaccano Israele
solo per esprimere il proprio rifiuto nei confronti
dell’Occidente, della sua storia, dei suoi valori, dei
fondamenti della sua antropologia – dall’ordine
della bisessualità a una genitorialità fondata sulla
presenza di un uomo e di una donna”[96]. Per non
prendere in considerazione ciò che i giovani
dicono, Galli della Loggia afferma che gli studenti
che protestano contro Israele per il massacro di
Gaza non appartengono più alla società
occidentale per una loro scelta: “Le migliaia di
grida Palestine will be free from the river to the sea è
una potenziale ma già virtuale secessione
dall’Occidente dei suoi figli”.
Parlando con gli studenti che scendono in piazza
emerge una realtà completamente diversa. Quegli

122
studenti protestano perché Israele calpesta tutti i
valori dell’Occidente. Come mi ha detto un
laureando in protesta: “Professor Orsini, ci
accusano di attaccare i valori dell’Occidente. Noi li
difendiamo da Israele che li vìola”. Il pregiudizio
filo-americano contro gli studenti è inveterato,
quindi è utile ripeterlo: gli studenti protestano
contro Israele perché la socializzazione occidentale
ha avuto successo.
La seconda tesi contenuta nell’articolo di Galli
della Loggia è che l’odio dei giovani per l’Occidente
sarebbe soprattutto una colpa degli adulti incapaci
di trasferire i valori occidentali alle nuove
generazioni, a causa di “un’istruzione via via a pezzi
e ormai pressoché inesistente”. Per Galli della
Loggia, gli studenti che protestano contro gli eccidi
di Netanyahu sono: “I figli dell’Occidente che per
colpa nostra non sanno né vogliono più
riconoscersi in esso dal momento che vedono in
esso solo il male, e che si ribellano volendo
distruggerlo”.
È vero il contrario.
Gli studenti protestano contro Israele perché la
scuola ha avuto successo nel trasferire in loro i
valori della Costituzione italiana. Gli studenti

123
protestano contro Israele in difesa dei palestinesi
anche perché la scuola italiana ha saputo insegnare
loro l’amore per la libertà individuale (il significato
di libertà inteso dall’Occidente). Questi studenti
difendono il valore della sacralità della vita umana
e rifiutano la punizione collettiva d’Israele tipica
dei regimi totalitari. Rifiutano ciò che Hannah
Arendt ha chiamato l’“ingegnoso principio della
colpa per associazione” nel suo Le origini del
totalitarismo[97] – la dottrina ufficiale dello Stato
d’Israele contro i palestinesi – in cui Arendt ha
indicato il tratto tipico dello Stato totalitario. Gli
studenti odiano l’Occidente? Una società può
essere libera e vivere nella menzogna. D’altra parte,
chi è libero di parlare è libero anche di mentire o
di imbottirsi di ideologia filo-americana, che
obnubila come l’ideologia anti-americana.
La colpa per associazione descrive il
meccanismo della punizione collettiva. Lo Stato si
incunea nei rapporti tra amici e familiari per
aumentare il terrore che esercita sulla società, un
meccanismo descritto molto bene nei libri di Jean
Pasqualini[98] e Chen Ming[99], relativi al terrore
nella Cina di Mao, e nel libro di Ong Thong
Hoeung[100], relativo al terrore della Cambogia di

124
Pol Pot. Un individuo innocente riceve una
punizione per un fatto che non ha commesso
giacché lo Stato gli imputa di non essersi
impegnato abbastanza per evitare un certo
accadimento.
In un discorso in televisione del 30 gennaio 2023,
ben prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023,
Netanyahu ha annunciato la revoca dei documenti
di identità delle famiglie palestinesi che, a suo dire,
sostengono i terroristi, e ha annunciato
l’abbattimento delle loro case. Il video in oggetto
può essere rintracciato su YouTube sotto il titolo
“Israel accused of collective punishment against
Palestinians – Al Jazeera Newsfeed” ovvero “Israele
accusato di punizione collettiva contro i
palestinesi”[101]. Queste sono state le parole di
Netanyahu: “Abbiamo deciso di revocare il diritto
all’assicurazione nazionale, le carte d’identità e di
residenza delle famiglie che sostengono il
terrorismo. Inoltre aumenteremo e renderemo più
rapidi i permessi di portare armi in favore di
migliaia di civili israeliani”.
Nancy Hawker di Amnesty International ha
commentato le parole di Netanyahu in questo
modo: “La demolizione di ogni casa o proprietà

125
della popolazione protetta, ovvero i palestinesi, nei
territori palestinesi occupati, è contro il diritto
umanitario internazionale e può equivalere a un
crimine di guerra. Esiste un’eccezione in caso di
assoluta necessità militare, ma nella grande
maggioranza dei casi, cioè in tutti i casi che [noi di
Amnesty International] abbiamo documentato non
sono necessità militari. Si tratta di demolizioni
illegali di abitazioni private che possono
corrispondere a uno spostamento forzato della
popolazione che è anch’esso un crimine di guerra.
C’è un problema più ampio e sistematico nei
territori palestinesi occupati e in Israele. I civili
palestinesi sono sistematicamente discriminati e i
bambini che crescono in queste condizioni si
sentiranno senza speranze. Sentiranno che non
esiste giustizia. Si sentiranno isolati e abbandonati.
La comunità internazionale dovrebbe avere un
ruolo in questa vicenda e dovrebbe avere il dovere
di non favorire l’apartheid e i crimini di guerra
come il progetto illegale di costruire colonie
ebraiche”.
Secondo la dottrina ufficiale del governo
Netanyahu, oltre due milioni di abitanti di Gaza

126
devono essere puniti per la strage realizzata da
alcuni militanti di Hamas, il 7 ottobre 2023.
Il 9 ottobre 2023 Yoav Gallant, ministro della
Difesa israeliano, annunciando da Beersheba
l’assedio totale di Gaza, ha dichiarato che gli
abitanti di Gaza sono “animali umani” e che Israele
avrebbe tolto a tutti loro l’acqua, la corrente
elettrica e la benzina[102]. Il distacco della corrente
elettrica ha accelerato il collasso degli ospedali,
causando persino la morte di alcuni neonati nelle
incubatrici. Gli ospedali sono stati privati dei mezzi
essenziali per curare i feriti. Il 2 dicembre 2023 il
medico britannico-palestinese Abu-Sittah ha
testimoniato di aver dovuto amputare i bambini
palestinesi senza anestesia: “A Gaza è una guerra
contro i bambini. Ho operato senza anestesia: non
dormo la notte”[103]. Nonostante ciò, Israele ha
continuato a impedire l’ingresso di aiuti umanitari
commisurati ai bisogni della popolazione.
La dottrina della punizione collettiva diffonde il
terrore in una popolazione.
Telese contro Bonaccini
Come abbiamo visto, la società giornalistica filo-
americana non coincide con la società giornalistica

127
nella sua interezza. Non tutti i giornalisti sono filo-
americani. Il filo-americanismo politico, essendo
basato sul codice binario Bene/Male, ha una
vocazione totalitaria, ma il sistema è imperfetto e
le falle non mancano.
Il 12 luglio 2024, durante una diretta a La7, Luca
Telese violò la regola del non dare fastidio con una
domanda sulla guerra a Stefano Bonaccini, allora
presidente della Regione Emilia-Romagna e
vicepresidente del Partito democratico. Bonaccini
ha sempre creduto che l’Ucraina avrebbe sconfitto
la Russia e ha mantenuto il Pd sulla linea dello
scontro con Putin fino alla vittoria completa sui
russi.
Da una parte, Bonaccini voleva investire milioni
di euro in armi per la guerra in Ucraina; dall’altra,
si lamentava per la mancanza di fondi per i
cittadini colpiti dall’alluvione in Emilia-Romagna
del 2023. Telese gli fece notare la contraddizione.
Sara Menafra rincarò la dose chiedendo a
Bonaccini che cosa avrebbe fatto se la Russia avesse
conquistato il Donbass, dove stava avanzando di
continuo.
Bonaccini reagì con uno scatto d’ira,
riconoscendo di non avere la più pallida idea del

128
modo in cui rispondere all’incedere della Russia. In
preda alla frustrazione, esortò polemicamente i
due conduttori a proporre una soluzione al crollo
dell’esercito ucraino: “Se siete tanto bravi, fate voi
una proposta!”. Telese, sarcasticamente, fece notare
a Bonaccini che il compito di proporre soluzioni
per risolvere i problemi è dei politici, non dei
giornalisti: “I giornalisti fanno le domande”.
Quando scoppiò la guerra in Ucraina, Bonaccini
sollecitò la Rai a strappare i contratti di lavoro dei
professionisti che criticavano le politiche della
Casa Bianca in Ucraina con due messaggi del 22
marzo 2022 e del 6 aprile 2022[104]. La Rai esaudì la
richiesta di Bonaccini: un altro caso che dimostra
la corruzione del sistema dell’informazione in
Italia sulla politica internazionale.
Enrico Letta e la Rai
Il Pd di Enrico Letta, che sosteneva il governo
Draghi, chiese di strappare il contratto con la Rai
del professor Orsini, reo di aver criticato le
politiche della Casa Bianca in Ucraina. La Rai
accolse la richiesta immediatamente, dimostrando
che il sistema politico e il sistema
dell’informazione non sono due campi autonomi e

129
separati. Sono due campi ordinati gerarchicamente
con il potere politico in cima alla piramide.
Il 31 marzo 2022, nella trasmissione di Corrado
Formigli (Piazzapulita, La7), Michele Santoro disse
che la rescissione del contratto del professor
Orsini per accontentare la richiesta di un partito di
governo rappresentava: “Una violazione della
Costituzione”. Santoro chiese a Enrico Letta di
rimediare a questo abuso di potere nel seguente
appello-dialogo con Formigli:
SANTORO: Voglio mandare un telegramma a
Enrico Letta affinché, in nome di quei valori per i
quali i partigiani si battevano, e per la
Costituzione che è nata nel nostro Paese, egli
protesti contro la discriminazione che ha subìto il
professor Alessandro Orsini in Rai e quindi che gli
faccia restituire il maltolto, perché pretendere di
non pagare un pensiero nel quale [Letta] non si
riconosce…
FORMIGLI: Come sai, questa richiesta è
provenuta proprio dal partito di Letta, cioè, dai
commissari del Pd che siedono nella commissione
di Vigilanza della Rai.
SANTORO: Ecco, allora, siccome dalla guerra
partigiana è nata una Costituzione che impedisce

130
che le persone vengano discriminate per quello
che pensano, Enrico Letta intervenga perché c’è
una violazione costituzionale in questo
atteggiamento di non pagare un pensiero che si
considera scomodo…[105]
L’appello di Santoro cadde nel vuoto e il governo
della Rai strappò il contratto.
Il filo-americanismo come apparato
burocratico
Il filo-americanismo non è soltanto un
atteggiamento di cinica sottomissione alla Casa
Bianca per motivi di carriera. È anche un
potentissimo apparato politico-burocratico capace
di mobilitare milioni di euro.
I due principali istituti di ricerca in Italia sulla
politica internazionale – ISPI e IAI – sono
roccaforti filo-americane. La direttrice dell’Istituto
affari internazionali (IAI) Nathalie Tocci, una delle
voci più presenti nella televisione italiana sui temi
della politica internazionale, sedeva nel consiglio
di amministrazione di Eni quando è scoppiata la
guerra in Ucraina. Il 23 maggio 2022 Mario
Giordano spiegava le affinità tra la direttrice di IAI
e i giornalisti di Putin: “Siede nel consiglio

131
d’amministrazione dell’Eni. E dirige un Istituto
(sua retribuzione nel 2021: 94.706 euro lordi) che
viene finanziato fra gli altri dalla medesima Eni
(76.000 euro nel 2020), da Banca d’Italia (25.000
euro) e dal ministero degli Esteri (356.000 euro).
Tutti soldi che arrivano da enti pubblici, proprio
come gli stipendi dei giornalisti russi”[106]. Tutte le
analisi e le previsioni sulla guerra in Ucraina della
direttrice di IAI ed editorialista del quotidiano La
Stampa si sono rivelate sbagliate, inclusa la sua
previsione che gli ucraini avrebbero sconfitto la
Russia con le armi della Nato esecrando la
diplomazia.
La direttrice IAI ha rilanciato in Italia tutti i
messaggi di propaganda elaborati dalla Casa
Bianca. Il 1° aprile 2022, ospite di Giovanni Floris,
disse che la Russia rischiava di implodere come
Stato perché sovrastata dall’esercito ucraino: disse
anche che la sconfitta della Russia per mano
dell’Ucraina era soltanto questione di tempo[107].
Esattamente ciò che diceva, falsamente, la Casa
Bianca. Il 3 luglio 2022 a La7, ospite di Alessandra
Sardoni, la direttrice di IAI disse che era
necessario seguire tutte le direttive di Biden
giacché le sanzioni contro Putin avrebbero ridotto

132
la capacità della Russia di combattere la guerra[108].
Si è verificato il fenomeno opposto: all’aumentare
delle sanzioni, la Germania è andata in recessione
mentre il Pil della Russia è aumentato. La Russia
ha accresciuto progressivamente i suoi
investimenti militari mettendo in ginocchio
l’Ucraina. In quella stessa trasmissione, la
direttrice IAI disse che la Russia avrebbe registrato
un crollo della sua capacità militare in Ucraina
nell’autunno 2022: “La Russia non avrà la capacità
di sostenere questo livello di violenza”[109]. È
accaduto esattamente il contrario: la Russia ha
aumentato progressivamente il suo livello di
violenza mettendo in ginocchio l’Ucraina.
Il Nato Defense College, un collegio militare
della Nato basato a Roma, è un pilastro del filo-
americanismo e uno dei principali agenti di
disinformazione in Italia sulla politica
internazionale. Come è ovvio che sia per una
struttura della Nato, il suo compito è di intervenire
nel dibattito pubblico per diffondere la
propaganda della Casa Bianca. I suoi giovani
ricercatori vengono formati per creare narrazioni
caricaturali in radio e in televisione secondo cui la
Nato è l’incarnazione del Bene universale motivata

133
soltanto da intenti altruistici e democratici. I
conduttori televisivi presentano questi ricercatori
della Nato come esperti imparziali, sebbene il
sottopancia “ricercatore della Nato” indichi che
lavorano per un’organizzazione militare
egemonizzata dalla Casa Bianca. Un sistema
dell’informazione corrotto è pieno di
contraddizioni: il sottopancia del Cremlino
squalifica; il sottopancia della Nato qualifica. In
realtà, i ricercatori del Cremlino diffondono la
propaganda del Cremlino e i ricercatori del Nato
Defense College diffondono la propaganda della
Casa Bianca. Quando parlano nella televisione
italiana, i ricercatori della Nato ragionano e si
esprimono come i funzionari della Casa Bianca.
In alcuni casi, i ricercatori della Nato hanno
pubblicato articoli su riviste scientifiche, che i
conduttori televisivi esibiscono come garanzia di
imparzialità. In realtà, si tratta di un inganno
mediatico. La retorica della pubblicazione
scientifica è un inganno tipico della società
giornalistica filo-americana su cui dobbiamo
soffermarci.
Il fatto che un ricercatore della Nato vanti un
articolo su rivista scientifica non fornisce alcuna

134
garanzia sulla sua imparzialità, né sulla sua onestà
intellettuale. Un ricercatore può vantare
pubblicazioni scientifiche e mentire sulla guerra in
Ucraina per paura di perdere i propri contratti di
lavoro o per proteggere la propria carriera. Può
anche vantare pubblicazioni scientifiche e sbagliare
le proprie analisi perché la sua mente è obnubilata
dall’ideologia filo-americana.
È proprio ciò che è accaduto in Italia.
Nel novembre 2022, i ricercatori che sfoggiavano
il sottopancia della Nato a La7 ritraevano l’esercito
russo come un esercito debolissimo, nettamente
inferiore a quello ucraino. Il 22 ottobre 2022 il
ricercatore “senior” del Nato Defense College
dichiarava: “Russi stanchi e col morale a pezzi,
difficile che superino l’inverno del 2022”. In sintesi,
la previsione era che l’Ucraina avrebbe sconfitto la
Russia nel primo anno di guerra. Alla fine di
ottobre 2022 il medesimo ricercatore “senior” del
Nato Defense College dichiarava: “Di sicuro, per le
forze russe non sarà facile arrivare fino alla
primavera [2023] tra freddo, assenza di
rifornimenti, morale a pezzi e soprattutto anche le
loro retrovie sempre più esposte all’artiglieria
ucraina”[110]. Nessuna di queste affermazioni era

135
vera. Questo ricercatore ritraeva la Russia come
uno Stato debolissimo. Una smentita clamorosa
delle analisi completamente sbagliate di questo
ricercatore “senior” del Nato Defense College
sarebbe arrivata dal segretario generale della Nato
in persona, Mark Rutte. Il 13 gennaio 2025 Rutte
dichiarava alla commissione Affari esteri del
Parlamento europeo: “L’industria militare della
Russia produce in tre mesi ciò che la Nato produce
da Los Angeles ad Ankara in un anno intero”.
A conferma che non esiste nessuna relazione
certa tra pubblicazioni scientifiche e onestà
intellettuale, è documentato che i ricercatori del
Nato Defense College più presenti in televisione
usano i loro social come un’arma per irridere,
screditare e attaccare sul piano personale gli
studiosi critici delle politiche della Casa Bianca in
Ucraina dai loro profili X e Facebook all’interno di
una rete social filo-americana, con la
pubblicazione di post contro l’immagine umana e
professionale del malcapitato rilanciati da un
account all’altro dentro una rete amicale che vìola
tutte le regole del dibattito scientifico-accademico.
Il caso degli attacchi dei ricercatori “senior” del
Nato Defense College contro la persona del

136
professor Andrea Zhok, di cui parlo
dettagliatamente in nota, conferma che non esiste
nessun rapporto certo tra pubblicazioni
scientifiche sulla politica internazionale e onestà
intellettuale[111]. Questi post scatenano migliaia di
insulti non contro i detentori del potere pubblico,
ma contro semplici professori universitari senza
alcun incarico politico, rei di criticare la Casa
Bianca. In questi casi, la rete social filo-americana
assume l’aspetto di un gruppo di energumeni
social nel campo degli studi sulla politica
internazionale.
Quando accedono ai grandi media, il compito
delle organizzazioni militari non è la ricerca della
verità, bensì l’inquinamento dell’informazione per
tutelare i propri interessi.
L’inganno dell’“esperto”
I ricercatori filo-americani più presenti sui
grandi media hanno diffuso molte idee errate sulla
ricerca scientifica per affermarsi come gli unici
esperti legittimati a parlare di politica
internazionale in televisione. Una di queste idee è
che: “Soltanto i ricercatori di relazioni

137
internazionali sono titolati a parlare di politica
internazionale”.
In primo luogo, la politica internazionale non è
una disciplina, bensì un fenomeno politico, un
oggetto di studio, che può essere studiato da
ricercatori di discipline accademiche diverse. Non
a caso, lo studio della politica internazionale
precede la nascita della disciplina accademica
“relazioni internazionali”. Esiste anche una
disciplina accademica denominata “sociologia delle
relazioni internazionali” insegnata da professori di
sociologia. La frase “Quel professore non può
essere considerato un esperto di conflitti
internazionali perché è un sociologo” è errata,
logicamente e accademicamente , come dimostra
l’ultimo libro della sociologa Valeria Rosato[112] –
L’altro come oggetto d’odio. Per una sociologia dei
conflitti internazionali – docente all’Università
“Roma Tre”.
In secondo luogo, esistono pubblicazioni
scientifiche importanti sulla sicurezza
internazionale che non appaiono su riviste
accademiche specializzate in “relazioni
internazionali”. Non poche università americane
considerano lo studio del terrorismo come una

138
branca delle relazioni internazionali[113]. Io stesso, al
Center for International Studies del Massachusetts
Institute of Technology, ho imparato che un
esperto di terrorismo deve essere anche un esperto
di relazioni internazionali giacché il terrorismo
internazionale può essere compreso correttamente
soltanto all’interno della politica internazionale. Un
esperto di terrorismo deve essere anche un esperto
di guerre giacché le guerre tra gli Stati hanno dato
origine alle maggiori organizzazioni terroristiche
contemporanee, come l’Isis, mentre le
organizzazioni terroristiche hanno causato lo
scoppio delle più grandi guerre tra gli Stati, ad
esempio la Prima guerra mondiale, ma anche
l’invasione americana dell’Afghanistan del 2001.
Inoltre, le pubblicazioni scientifiche non sono
l’unico modo di “titolare” una persona a parlare di
politica internazionale, altrimenti Henry Kissinger
o Thomas Friedman, noto editorialista di politica
internazionale del New York Times, non dovrebbero
avere diritto di parola. Lucio Caracciolo, colui che
più di ogni altro ha diffuso la cultura della
geopolitica in Italia, fondatore della rivista Limes,
non ha pubblicazioni su riviste scientifiche
internazionali.

139
In terzo luogo, molti professori universitari di
relazioni internazionali sono compenetrati dal
potere politico. Pur avendo pubblicato monografie
accademiche sulle relazioni internazionali,
sbagliano le loro analisi clamorosamente. Alcuni
professori universitari di relazioni internazionali
mentono; altri si autocensurano perché
collaborano con il ministro della Difesa, Guido
Crosetto, o perché sono membri del comitato
scientifico di qualche grande società italiana che
produce armi, come Leonardo, o perché sono
pavidi e conformisti e cantano sempre nel coro per
avere una vita serena e tranquilla. Altri professori
universitari critici della Casa Bianca, invece, hanno
paura di essere aggrediti dal Corriere della Sera e dai
suoi figli minori.
Il 29 gennaio 2024 una delle professoresse più
autorevoli della Scuola Normale Superiore, tra le
istituzioni accademiche più prestigiose d’Italia, mi
disse: “Mi hanno invitato in televisione. A me
piacerebbe parlare, ma ho paura di essere
aggredita dai giornali com’è accaduto a te. Guarda
quello che ti è successo. Preferisco evitare di
partecipare al dibattito pubblico sulla guerra in
Ucraina perché è troppo pericoloso”.

140
Molti professori universitari di relazioni
internazionali sono posseduti dall’ideologia filo-
americana, e allora propongono teorie assurde
come: “L’Ucraina sconfiggerà la Russia”; “La Russia
è il Male assoluto”; “L’espansione della Nato non è
una causa della guerra”; “L’invio di armi sempre
più pesanti avvicinerà la pace”; “Gli ucraini si
salveranno superando tutte le linee rosse di Putin”;
“La controffensiva ucraina sarà un successo”; “Gli
ucraini vinceranno a Bakhmut”; “La Russia ha un
esercito inconsistente”; “Putin non mangerà il
panettone” perché sarà rovesciato prima di Natale
2022; “La struttura dello Stato russo è fradicia”;
“Putin uscirà indebolito dalla rivolta di
Prigozhin”[114]; “Putin è un mediocre
delinquente”[115]; “Per Putin l’Ucraina è come la
Grecia per Mussolini”[116]; “La Russia si troverà
sempre più isolata internazionalmente con il
passare del tempo”; “Persino la Cina e la Corea del
Nord hanno scaricato Putin”[117]. Queste frasi sono
state pronunciate dal professore universitario di
relazioni internazionali più presente nella
televisione italiana. Tutto questo dimostra che
l’affermazione secondo cui soltanto i professori che
insegnano relazioni internazionali sono titolati a

141
parlare di politica internazionale è
epistemologicamente sbagliata.
Farla franca
Abbiamo appena finito di leggere le frasi più
assurde sulla guerra in Ucraina pronunciate dai
ricercatori di relazioni internazionali filo-
americani. Domandiamoci adesso come sia
possibile che queste persone mantengano sempre
la stessa centralità in televisione nonostante la
faziosità e l’assurdità delle loro analisi.
La risposta proviene, ancora una volta, dal
capolavoro di James Coleman, Fondamenti di teoria
sociale[118].
Affinché il filo-americanismo possa prosperare e
corrompere l’informazione liberamente, è
necessaria una struttura di potere che consenta ai
suoi epigoni di “farla franca” sempre. È necessario
che tutti i ricercatori e i giornalisti filo-americani
possano dire: “Se svolgo un’analisi assurda in
televisione per creare consensi intorno alle
politiche della Casa Bianca, non pagherò nessun
prezzo”.
Abbiamo detto che il professionista filo-
americano è un cinico carrierista che agisce in base

142
al calcolo costi/benefici per massimizzare la
propria utilità soggettiva. Prima di diffondere le
falsità della propaganda della Casa Bianca, il
professionista filo-americano deve essere sicuro di
operare dentro una struttura di potere che lo
ricompenserà per le sue analisi faziose. Come
insegna la teoria dello scambio di George Homans,
affinché un comportamento sia ripetuto è
necessario che sia ricompensato[119]. In un sistema
dell’informazione corrotto, le analisi filo-
americane portano sempre qualche beneficio.
Il 6 marzo 2023 Guido Crosetto ha individuato i
professori di relazioni internazionali che hanno
sviluppato le analisi più errate sulla guerra in
Ucraina. E li ha premiati, includendoli in un
comitato del ministero della Difesa che la
Repubblica ha presentato così: “Al ministero nasce
un nuovo think tank, il Comitato per lo sviluppo e
la valorizzazione della cultura della Difesa, che
elaborerà documenti, direttive, proposte. Un
comitato di esperti e docenti a sostegno del
ministro Guido Crosetto, per comunicare
l’importanza degli investimenti nel settore della
Difesa. Professori universitari, giornalisti,
economisti ed esperti comunicatori sono stati scelti

143
dal ministro per far parte di una sorta di think tank
della Difesa nel governo di centrodestra guidato da
Giorgia Meloni”[120].
Un discorso analogo vale per tutti quei
conduttori televisivi e radiofonici che hanno
diffuso quotidianamente la propaganda della Casa
Bianca nelle case degli italiani. Sebbene abbiano
usato il servizio pubblico per creare consensi
intorno alle politiche fallimentari di Biden in
Ucraina, conservano le loro posizioni apicali alla
Rai e non sono soggetti a critiche. Questa assenza
di critiche verso gli errori dei giornalisti filo-
americani contribuisce alla degenerazione
dell’informazione sulla politica internazionale.
Il “farla franca”, anche quando i giornalisti filo-
americani mancano di rispetto alla verità
sostanziale dei fatti nei modi più impudenti ed
eclatanti, diventa ancora più premiante quando i
giornalisti che hanno fatto il proprio dovere
professionale, come Innaro, vengono puniti.
Apparentemente, il sistema dell’informazione di
uno Stato satellite inverte il criterio per assegnare i
premi e le punizioni punendo i bravi e premiando i
cattivi. Questa conclusione sarebbe superficiale
giacché un sistema dell’informazione corrotto,

144
essendo governato dalla razionalità politica, non
conosce giornalisti “bravi” e “meno bravi”. Conosce
soltanto giornalisti fedeli. L’ambasciata americana
non premia i giornalisti bravi, premia i giornalisti
fedeli. Infatti, si tratta di un premio all’amicizia
verso la Casa Bianca; non è un premio alla bravura
nel campo giornalistico.
Questo modo di usare i premi e le punizioni
scoraggia la critica e incoraggia il conformismo
intellettuale. Tanto più che il giornalista che ha
informato il pubblico rispettando la verità
sostanziale dei fatti, una volta punito come
“nemico interno”, precipita in un vuoto relazionale
che rafforza la regola del “farla franca”.
Francesco Verderami del Corriere della Sera è uno
dei giornalisti che ha lavorato maggiormente per
diffondere la propaganda della Casa Bianca in
Italia. In un articolo del 28 maggio 2022 Verderami
scriveva che la Russia aveva esaurito il 70% delle sue
risorse militari in Ucraina. Ma era falso: “Dal 24
febbraio, data d’inizio del conflitto, la Federazione
russa ha utilizzato in Ucraina il 70% della sua forza
militare convenzionale, con un impegno
economico quotidiano che si aggira attorno ai 700
milioni di euro. Sono numeri elaborati da centri di

145
analisi occidentali in possesso della Nato e dei Paesi
che ne fanno parte. Danno la misura dello sforzo di
Mosca pur di soggiogare Kiev. Testimoniano una
volta di più quanto fossero ‘sopravvalutate le
capacità belliche’ degli invasori, come ha detto
anche Draghi”[121].
Un dato statistico decisivo che mostra la
corruzione dell’informazione sulla politica
internazionale è che il 100% dei conduttori
radiofonici e televisivi dei grandi media si è
schierato con la Casa Bianca di Biden per l’invio
delle armi fino alla sconfitta della Russia sul campo,
con l’eccezione di Mario Giordano.
Oltre a farla franca sempre, il giornalista filo-
americano non riconosce mai i propri fallimenti.
Paolo Mieli aveva incitato gli ucraini a combattere
all’ultimo sangue fino alla sconfitta dei russi.
Quando l’Ucraina è stata distrutta dalla Russia,
Mieli ha affermato, il 20 febbraio 2025 a
Piazzapulita, di non avere alcuna responsabilità
nella distruzione dell’Ucraina giacché gli ucraini
sono responsabili di aver chiesto le armi per
combattere. Usando lo slogan: “Esiste un diritto dei
popoli a resistere”, Mieli si è deresponsabilizzato,
scaricando, implicitamente, tutte le responsabilità

146
della distruzione dell’Ucraina sugli ucraini stessi.
La logica di Mieli si può riassumere come segue:
“Le armi le hanno chieste gli ucraini; la Casa
Bianca e la Nato non hanno colpe, né
responsabilità di alcun tipo relativamente allo
smembramento e alla distruzione dell’Ucraina”.
Il campo di Bourdieu
La società giornalistica filo-americana può essere
compresa meglio grazie alla sociologia di Pierre
Bourdieu.
Bourdieu immagina la società come un insieme
di campi, dove gli uomini lottano per il potere: il
campo giornalistico, il campo accademico, il
campo sportivo e così via. Ognuno, nel proprio
campo, lotta per mantenere o acquisire una
posizione dominante. Ogni campo è dotato di
relativa autonomia rispetto agli altri campi ed è
regolato da leggi caratteristiche. Secondo
Bourdieu, il campo politico è in posizione
dominante rispetto agli altri campi e condiziona la
loro strutturazione. Non a caso, Bourdieu chiarisce
che la prima mossa per condurre un’analisi di
campo consiste nel definire il rapporto tra il campo
studiato e il campo politico. In breve, il campo

147
giornalistico filo-americano è un universo quasi a
parte inserito all’interno della più ampia società
italiana. Ha regole proprie, ma dipende dal mondo
politico, che lo sovrasta. Una delle regole del
campo del giornalismo filo-americano è che tutti i
propagandisti della Casa Bianca la fanno sempre
franca. Il campo è un insieme di posizioni
oggettive che formano una rete di relazioni di
potere[122]. “Il campo è anche un campo di
battaglia”[123], fatto di “posizioni strategiche […] da
difendere e da conquistare in un campo di
lotte”[124].
È giunto il momento di leggere la definizione di
campo. Citerò le parole che Bourdieu ha impiegato
in una conferenza del 1995, verso la fine della sua
carriera intellettuale, per essere sicuro di cogliere
la sua definizione più matura e meditata.
Secondo Bourdieu, ogni campo è: “Un mondo
autonomo, un microcosmo inserito e vivente
all’interno del macrocosmo sociale. […] È una sorta
di piccolo universo che vive all’interno delle leggi
di funzionamento del grande universo sociale di
cui fa parte, e tuttavia è dotato di una autonomia
relativa all’interno di questo grande universo e
obbedisce alle sue proprie regole, al suo proprio

148
nomos, alla sua propria legge che si caratterizza per
essere, in una parola, indipendente. […] Parlare di
campo significa nominare questo microcosmo che
è anche un universo sociale […]. Questo
microcosmo è un universo quasi a parte, dotato di
sue proprie regole, di un suo proprio nomos,di una
sua propria legge di funzionamento, e però non
del tutto indipendente dalle leggi esterne”[125].
Vespa e Solovyev
I giornalisti filo-americani giurano che il sistema
dell’informazione in Italia è un sistema
perfettamente libero, dove tutti possono parlare e
criticare senza limiti. Abbiamo già incontrato i
documenti che smentiscono questa
rappresentazione della realtà: la testimonianza di
Bianca Berlinguer, Corrado Formigli, l’appello di
Michele Santoro a Enrico Letta, i contratti che la
Rai ha strappato agli esperti critici della Casa
Bianca e la vicenda di Marc Innaro, che
incontreremo a breve, ma anche l’intervista a
Repubblica in cui Bruno Vespa assicura che non
avrebbe ospitato nella sua trasmissione gli esperti
critici di Biden.

149
I giornalisti filo-americani reagiscono
impetuosamente alle accuse di sottomissione al
potere politico e conseguente mancanza di libertà.
La scuola del sospetto insegna che le comunità
umane tendono sempre ad apparire migliori di
quel che sono. I giornalisti filo-americani
confermano questa regola. Non esistono, infatti,
differenze sostanziali tra il modo di fare
informazione dei giornalisti filo-americani e quello
dei giornalisti russi collegati al Cremlino.
L’osservazione mostra che i giornalisti filo-
americani in Italia svolgono la stessa funzione
sociologica che i giornalisti legati a Putin svolgono
in Russia: i giornalisti come Vladimir Solovyev
creano consensi intorno al Cremlino; i giornalisti
come Bruno Vespa creano consensi intorno alla
Casa Bianca. I Solovyev diffondono la propaganda
di Putin; i Vespa diffondono la propaganda di
Biden. I primi hanno dato voce agli esperti di
politica internazionale fedeli a Putin; i secondi
hanno dato voce agli esperti di politica
internazionale fedeli a Biden. I Solovyev danno
voce a coloro che dicono che la Russia sconfiggerà
la Nato; i Vespa danno voce a coloro che dicono
che la Nato sconfiggerà la Russia. I Solovyev

150
dicono che tutte le ragioni sono dalla parte della
Russia; i Vespa dicono che tutte le ragioni sono
dalla parte della Casa Bianca. Massimo Gramellini
è un altro giornalista filo-americano che conduce
In altre parole su La7, la domenica in prima serata.
Nella puntata del 2 marzo 2025, in un alterco con
Alessandro Di Battista, Gramellini ha detto che
Putin ha una brutta faccia e che tutte le analisi sulla
guerra tra la Russia e l’Occidente dovrebbero
basarsi proprio sulla faccia di Putin, intesa come la
parte anteriore della testa dell’essere umano
rivestita da parti molli e cavità. La tecnica del
disprezzo dell’aspetto fisico del nemico politico e la
sua “mostrificazione” sui grandi media sono tipiche
dei giornalisti dei regimi autoritari maggiormente
impegnati a diffondere la propaganda dei loro
governi per ottundere l’opinione pubblica con
l’odio. La tecnica della mostrificazione usata da
Gramellini contro i nemici della Casa Bianca è
usata anche dai conduttori televisivi russi contro i
nemici di Putin, ma anche dai giornalisti della
Corea del Nord contro i nemici di Kim Jong-un.
Attenzione agli inganni

151
I giornalisti filo-americani affermano che è
sempre possibile imbattersi in qualche critico della
Casa Bianca nella televisione italiana.
Bisogna stare attenti agli inganni.
I professori di storia dell’arte, come Tomaso
Montanari, di filologia, come Luciano Canfora, o di
fisica teorica, come Carlo Rovelli, che criticano la
Casa Bianca, rappresentano un fastidio, ma non
una minaccia al dominio dell’informazione filo-
americana. Non essendo esperti di sicurezza
internazionale, nessuno di questi professori può
smascherare le menzogne di ministri, giornalisti e
ricercatori filo-americani, esponendoli al pubblico
ludibrio. Possono tutt’al più dire di essere contrari
alle politiche della Casa Bianca in Ucraina ed
esprimere la loro riprovazione morale per le sue
politiche di guerra in Ucraina e in Medio Oriente.
La loro testimonianza morale è importante, ma
non possono fare molto più di questo. La società
giornalistica filo-americana li considera fastidiosi,
non pericolosi.
La corruzione del sistema dell’informazione sulla
politica internazionale dell’Italia si misura
principalmente in base al numero di esperti di
politica internazionale e di giornalisti schierati con

152
la Casa Bianca che hanno accesso continuo a radio
e televisioni.
Il controllo politico degli esperti di politica
internazionale è fondamentale per il controllo filo-
americano dell’informazione. Soltanto gli esperti
di sicurezza internazionale fanno la differenza. Ad
esempio, il 13 marzo 2022 a Piazzapulita dissi, per
la prima volta in Italia, che la Nato aveva condotto
tre esercitazioni militari in Ucraina nel giugno,
luglio e settembre 2021. Spiegai che queste
esercitazioni avevano fatto precipitare la crisi con
la Russia, spaventata dalla penetrazione americana
in Ucraina. Fui il solo a rivelare queste
informazioni in televisione, consentendo a molti
italiani di difendersi dalle menzogne degli analisti
filo-americani, secondo cui la Nato non aveva mai
tentato di assorbire l’Ucraina[126].
Essere un esperto di sicurezza internazionale con
una cattedra all’università significa dedicare la
propria vita a raccogliere informazioni sui conflitti
internazionali. Uno storico dell’arte, un filologo, un
fisico teorico, per quanto colti, brillanti e
coraggiosi, non potranno mai rappresentare una
minaccia alla corruzione del sistema
dell’informazione filo-americano. Il fatto che

153
questi professori abbiano accesso alle trasmissioni
di La7 non è sufficiente a garantire
un’informazione sulla politica internazionale
plurale e trasparente. Per capire meglio il senso di
questo discorso, occorre imparare a distinguere
l’informazione sulla politica internazionale dal
dibattito sulla politica internazionale. Dire che la
Nato ha condotto una serie di esercitazioni militari
in Ucraina nel 2021, fornendo i relativi dettagli per
la prima volta in televisione, è un esempio di
informazione sulla politica internazionale che
rende possibile un dibattito. Criticare queste
esercitazioni militari della Nato è un esempio di
dibattito sulla politica internazionale che può
avvenire soltanto dopo essere stati informati. È
l’informazione che rende possibile il dibattito e
non il contrario. Nessuno può avviare un dibattito
su ciò di cui non è informato.
La società giornalistica filo-americana non attacca
i commentatori fastidiosi; concentra le sue energie
per distruggere l’immagine umana e professionale
di quei professionisti del sapere che possono
influenzare l’opinione pubblica creando contro-
narrazioni basate sui fatti. Per chiarire la differenza
tra un commentatore fastidioso e un commentatore

154
pericoloso sulla politica internazionale, citerò
quattro menzogne sulla Nato diffuse dai giornalisti
filo-americani: menzogne che soltanto gli esperti di
sicurezza internazionale possono smentire in una
diretta televisiva dove tutti gli ospiti parlano sulla
base del sapere che hanno accumulato nei decenni.
Se quel sapere non è stato accumulato, questo
emerge in una diretta televisiva. Uno Stato satellite
deve sempre controllare gli esperti di politica
internazionale che parlano in radio e in televisione.
Se non riesce a controllare quel che dicono, deve
distruggerli con la calunnia e la diffamazione
Quattro menzogne sulla Nato
Indicherò quattro bugie sulla Nato che la società
giornalistica filo-americana ha usato per diffondere
la propaganda della Casa Bianca nelle case degli
italiani.
La prima menzogna del giornalismo filo-
americano è che la Nato è del tutto incolpevole
della crisi in Ucraina. Il 7 settembre 2023 Jens
Stoltenberg, davanti alla commissione Affari esteri
del Parlamento europeo, ha dichiarato che la causa
della guerra in Ucraina è stata l’espansione della
Nato in quel Paese. Stoltenberg ha anche

155
dichiarato che Putin aveva cercato una soluzione
diplomatica alla crisi alcuni mesi prima del 24
febbraio 2022, ma la Nato ha preferito esporre
l’Ucraina al rischio dell’invasione piuttosto che
trattare con Putin, giacché la linea ufficiale della
Nato è che essa avanza senza rispettare le linee
rosse né della Russia, né di nessun altro Paese al
mondo. Stoltenberg chiama “politica delle porte
aperte” questo approccio radicale della Nato.
La seconda menzogna del giornalismo filo-
americano è che la Finlandia e la Svezia hanno
deciso improvvisamente di entrare nella Nato
dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Secondo il
giornalismo filo-americano, senza l’invasione
russa, Svezia e Finlandia non sarebbero entrate
nella Nato. La conclusione dei giornalisti filo-
americani è che la “colpa” dell’ampliamento della
Nato ai confini della Russia è di Putin. Ma è falso.
Svezia e Finlandia sono diventate membri di fatto
della Nato ben prima del 24 febbraio 2022. La prova
è Trident Juncture 2018, la più grande esercitazione
militare della Nato dopo il 1991, la fine della guerra
fredda, che si è svolta tra ottobre e novembre 2018
con la partecipazione della Svezia e della Finlandia.

156
La verità sostanziale dei fatti, contrariamente a
quanto affermato dai giornalisti filo-americani, è
che Finlandia e Svezia hanno smesso di essere
neutrali molto prima dell’invasione russa
dell’Ucraina, contribuendo a far precipitare la crisi
tra Mosca e Kiev. Il New York Times colse
perfettamente che la Finlandia, partecipando a
Trident Juncture 2018, rischiava di scatenare l’ira
della Russia. Ecco che cosa scriveva il New York
Times il 31 ottobre 2018: “La Finlandia, sebbene
non sia membro della Nato, questa settimana ha
rischiato l’ira russa inviando truppe in Norvegia
per unirsi alle forze americane che prendono parte
a Trident Juncture, la più grande esercitazione
militare dell’alleanza militare dalla fine della
guerra fredda nel 1991”[127].
Durante la guerra in Ucraina, riportare
un’informazione come questa in Italia era
giudicato un caso di “putinismo” da punire con il
licenziamento. Eppure, la verità sostanziale dei
fatti è che la Finlandia e la Svezia sono state incluse
nella Nato molti anni prima che la Russia invadesse
l’Ucraina. L’esercitazione Trident Juncture 2018 è
stata condotta sotto scenario dell’articolo 5,
l’articolo sulla difesa collettiva del Trattato

157
istitutivo della Nato. Fu la Nato stessa ad
annunciarlo sul suo sito, l’11 giugno 2018. Ho
seguito gli sviluppi del processo di inclusione della
Svezia e della Finlandia nella Nato quando ero
direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza
internazionale della Luiss. Come appare evidente,
si tratta di un lavoro di osservazione quotidiana
che un filologo, uno storico dell’arte o un fisico
teorico non possono fare, essendo coinvolti in altri
tipi di ricerche accademiche.
La terza menzogna del giornalismo filo-
americano è che la Finlandia, la Svezia e l’Ucraina
sono diventati membri della Nato per una
decisione partita da loro: una decisione a cui essi
stessi hanno dato impulso.
Questo è falso.
L’articolo 10 del Trattato istitutivo della Nato
non consente a nessuno Stato non-membro di
chiedere di aderire all’Alleanza atlantica. Il
processo di adesione deve necessariamente essere
avviato dai Paesi Nato. Soltanto i Paesi membri
possono invitare un Paese non membro ad
aderire. Il Paese in questione può presentare la sua
domanda di adesione soltanto dopo aver ricevuto
un invito ad aderire. Questo vuol dire che è stata la

158
Nato a chiedere all’Ucraina di diventare un suo
membro; è stata la Nato ad aver avviato il processo
di adesione dell’Ucraina. La versione falsa serve a
deresponsabilizzare la Nato dalla guerra in
Ucraina. La versione falsa ha consentito alla parte
più corrotta del giornalismo italiano di dire: “La
Casa Bianca non ha nessuna colpa; l’inclusione di
fatto dell’Ucraina nella Nato è stata una decisione
dell’Ucraina. Come avrebbe potuto la Nato dire di
no?”. Anche Israele farebbe parte della Nato se
dipendesse dalla sua volontà. Israele sarebbe ben
contento di ricevere la protezione della Nato ogni
volta che subisce un attacco da qualche nemico.
Israele non fa parte della Nato perché è la Nato
che decide chi può entrare e chi no. Israele non fa
parte della Nato perché la Nato non lo trova
conveniente.
La quarta menzogna del giornalismo filo-
americano è che: “La Nato è un’alleanza difensiva
che rispetta il diritto internazionale e che non ha
mai fatto la guerra a nessuno”, come disse il
vicedirettore del Corriere della Sera, il 3 marzo 2022
a Piazzapulita di Corrado Formigli. La Nato si è
trasformata da alleanza difensiva in alleanza
offensiva nel 1999 con il bombardamento della

159
Serbia, in violazione del diritto internazionale. La
Nato ha poi condotto un’altra guerra illegale nel
2011 contro Gheddafi per il suo rovesciamento in
combutta con i ribelli libici.
Con queste quattro menzogne, ho voluto
mostrare che la tesi dei giornalisti filo-americani,
secondo cui l’informazione sulla politica
internazionale in Italia è libera perché Montanari
e Canfora sono liberi di criticare la Nato a La7, è
una tesi fuorviante.
Il caso Innaro
Il caso di Marc Innaro, che dal 2014 al 2022 era
stato responsabile della sede di corrispondenza Rai
a Mosca, è molto istruttivo.
Innaro riferì subito, in un collegamento con il
Tg2, la versione ufficiale russa secondo cui la
trentennale espansione della Nato a est era stata la
causa scatenante dell’intervento militare in Ucraina.
Per aver svolto i suoi doveri professionali, il
giornalista è stato ripetutamente attaccato da
numerosi esponenti politici italiani (con
interrogazioni parlamentari di Pd, +Europa, Forza
Italia, Italia Viva), gradualmente demansionato e
silenziato dalla Rai. Alla fine del 2022, fu trasferito

160
in Egitto dopo aver verificato che gli era
impossibile continuare a svolgere liberamente il
proprio lavoro giornalistico. Durante un
collegamento con Tg2 Post, alla fine di febbraio
2022, Innaro aveva detto: “Dopo il crollo
dell’Unione Sovietica, chi si è allargato non è stata
la Russia. È stata la Nato”. Da quel momento il Tg1
ha smesso di utilizzare i suoi servizi e la sua firma
da Mosca[128].
La corruzione imperfetta: Berlinguer e
Formigli
Il governo dei media è filo-americano, ma alcuni
conduttori invitano alcuni esperti, come il
sottoscritto, che criticano le politiche della Casa
Bianca in Ucraina e in Palestina.
Com’è possibile?
La risposta è semplice: il sistema
dell’informazione in Italia è corrotto, ma
imperfetto. Nessun sistema corrotto è mai
perfettamente corrotto, così come nessun sistema
sano è mai completamente sano. Questo accade
perché, come insegna Max Weber, le società sono
composte da individui ed è sempre impossibile,
nelle dittature come nelle democrazie, controllare

161
il cento per cento delle azioni e dei pensieri di
milioni di persone. Le eccezioni esistono anche in
Italia. Tuttavia non è la trasgressione, bensì la
reazione alla trasgressione che aiuta a capire una
società. Quale solidarietà ha ricevuto Marc Innaro
da parte della società giornalistica filo-americana?
Nessuna. Quale giornalista filo-americano ha difeso
i suoi diritti? Nessuno.
Uno dei documenti più importanti per studiare il
filo-americanismo come agente di corruzione
dell’informazione sulla politica internazionale è la
testimonianza di Bianca Berlinguer alla festa
nazionale del Fatto Quotidiano dell’8 settembre
2024 (Antonello Caporale e Martina Castigliani
come conduttori del dibattito).
Sul palco con Enrico Mentana e Paolo Corsini,
Bianca Berlinguer ha raccontato che la Rai aveva
minacciato di chiudere la sua trasmissione nel
2022 se avesse continuato a ospitare le critiche del
professor Orsini verso le politiche della Casa
Bianca in Ucraina:
Tutti conoscete la vicenda del professor Orsini. Per aver voluto
ospitare, contro la volontà della Rai, che ha strappato il contratto al
professor Orsini il giorno dopo la firma, senza comunicarmelo – e

162
io l’ho scoperto dalle agenzie di stampa, il professor Orsini che
diceva la sua opinione sull’Ucraina, che si può condividere o non
condividere, ma che comunque è un’opinione che rappresenta
anche una parte importante di questo Paese perché in tanti la
pensano come lui –, io ho rischiato per un anno intero la chiusura
della mia trasmissione, Cartabianca, e ho dovuto chiedere al
professor Orsini di partecipare gratuitamente per un anno, quando
vi assicuro che dalla concorrenza ho assistito io stessa alle
telefonate che gli arrivavano, gli offrivano 3.500 euro a puntata,
perché in quel momento, lo sapete, il professor Orsini andava
molto molto bene negli ascolti. È capitato a me di stare con lui la
mattina alle dieci, quando commentavamo la trasmissione e
facevamo il punto di come dovevamo comportarci durante la
settimana per fronteggiare questa situazione di grave difficoltà con
la mia azienda, di assistere a queste telefonate che arrivavano,
credetemi, da tutta la concorrenza, da La7 e da Mediaset, perché
tutti ci tenevano ad averlo. Devo dire grazie al professor Orsini per
essere rimasto con me gratis, senza prendere una lira, quando
poteva prenderne davvero tantissime per tutto l’anno in cui ho
condotto Cartabianca. […] Purtroppo la lottizzazione della Rai la
fanno tutti[129].

In una diretta del 24 marzo 2022 Corrado


Formigli ha pronunciato queste parole molto utili

163
nello studio della corruzione dell’informazione
sulla politica internazionale in Italia:
Vorrei parlarvi di Alessandro Orsini. La Rai gli ha strappato il
contratto. In tanti anni di carriera, non avevo mai visto
un’aggressione così impressionante contro un professore
universitario. Qui non stiamo parlando di critiche alle sue idee ma
di attacchi veri alla sua persona. […] Fino a un mese fa Alessandro
Orsini era uno stimatissimo professore che ha diretto
l’Osservatorio sulla sicurezza internazionale di una grande
università come la Luiss di Roma, poi è diventato un appestato, un
imbroglione, una quinta colonna di Putin per avere detto: “Siamo
sicuri che armare l’Ucraina non porti più svantaggi che vantaggi,
non porti più massacri e a mettere più in pericolo l’Europa cioè a
mettere con le spalle al muro Putin portandolo a conseguenze non
più controllabili?”. È una posizione come molte altre. Eppure, il
professor Orsini è diventato un criminale che non ha diritto di
parola. Alla faccia dei garantisti e dei democratici. E allora ci
domandiamo in che cosa ci sta trasformando questa
guerra[130].

Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della


Sera, auspicò che il governo chiudesse Cartabianca
per porre fine alle critiche del professor Orsini
verso la Casa Bianca su Rai Tre. Bianca Berlinguer
164
rispose ad Aldo Grasso, il 24 giungo 2024, con
queste parole: “Ma vi sembra normale che il critico
televisivo del gruppo editoriale al quale appartiene
la trasmissione mia diretta concorrente, diMartedì,
si auguri la chiusura d’autorità di Cartabianca?”[131].
Un sistema dell’informazione corrotto è un
sistema colonizzato dal potere politico che usa i
premi e le punizioni per innalzare il costo delle
critiche alla Casa Bianca. La possibilità di criticare
la Casa Bianca in Ucraina e in Palestina esiste, ma
la probabilità è bassa poiché il sistema impone al
giornalista di calcolare il prezzo imposto al rispetto
per la verità sostanziale dei fatti. Questo prezzo,
sotto il profilo della carriera, è alto. La verità
sostanziale dei fatti è che la Nato, espandendosi in
Ucraina, ha creato la crisi con la Russia, come ha
dichiarato lo stesso Jens Stoltenberg, segretario
generale della Nato, il 7 settembre 2023 al
Parlamento europeo.
Il filo-americanismo accresce a dismisura le
possibilità di una carriera di successo nei grandi
media. Più il giornalista è giovane, più gli conviene
essere filo-americano. Il giornalista filo-americano
è una “creatura edonistica”[132] che massimizza la

165
propria utilità individuale senza badare troppo al
sottile.
Aggiungo una breve nota personale perché è
utile ai fini della nostra indagine sull’informazione
di uno Stato satellite e per dovere di verità contro
le notizie false di Wikipedia, i cui abusi sono
denunciati sull’ottimo blog “Wikipedate” di Gitz.
La pagina Wikipedia dedicata al Fatto Quotidiano
riporta un’informazione falsa: non è vero che io
scelsi di lasciare il Messaggero per passare al Fatto
Quotidiano dopo il primo intervento a Piazzapulita
del 3 marzo 2022. Il nuovo direttore del Messaggero,
che aveva sostituito Virman Cusenza, mi telefonò
per dirmi che non avrebbe mai più pubblicato un
mio articolo sull’Ucraina. Sono stato la firma
principale del Messaggero per la politica
internazionale dal 2015 fino alla guerra in Ucraina
con una rubrica settimanale, “Atlante”, che usciva la
domenica. Marco Travaglio mi scrisse un
messaggio per invitarmi a collaborare con il Fatto
Quotidiano soltanto dopo che la notizia della
chiusura della mia rubrica sul Messaggero era
diventata di dominio pubblico (per la semplice
ragione che il Messaggero aveva smesso di
pubblicare i miei articoli). Il fatto che io sia stato

166
cacciato dal Messaggero per aver criticato le politiche
della Casa Bianca in Ucraina è un dettaglio utile
nello studio dell’informazione in Italia sulla politica
internazionale. La vicenda della chiusura
dell’Osservatorio sulla politica internazionale della
Luiss, di cui ero direttore, è un altro caso utile alla
ricerca sociologica sull’informazione di uno Stato
satellite, di cui ho parlato diffusamente nel mio
primo libro per PaperFirst: Ucraina. Critica della
politica internazionale (2022).
Per riassumere
Riassumo i concetti fondamentali contenuti in
questo libro.
1) L’Italia è un Paese satellite degli Stati Uniti. Il
suo sistema dell’informazione è filo-americano
nello stesso modo in cui quello della Bielorussia è
filo-russo. Nessuno Stato satellite può avere un
sistema dell’informazione autonomo rispetto allo
Stato intorno al quale compie il proprio moto.
L’Italia non fa eccezione a questa regola.
Controllando il vertice della Repubblica italiana, la
Casa Bianca riesce a imporre la propria
propaganda al sistema dell’informazione sulla
politica internazionale.

167
2) Esistono due tipi di filo-americanismo: il filo-
americanismo culturale, che è un sentimento di
ammirazione verso gli Stati Uniti, e il filo-
americanismo politico, che è un atteggiamento di
cinica soggezione alla Casa Bianca per ottenere
benefici di carriera.
3) Il principale agente di corruzione del sistema
dell’informazione in Italia sulla politica
internazionale è il filo-americanismo. Il pericolo
principale alla libertà di critica e di informazione
in Italia proviene dalle agenzie collegate alla Casa
Bianca.
4) L’anti-americanismo e il filo-americanismo
sono entrambi nemici della conoscenza, essendo
due sentimenti impetuosi di odio e di amore che
offuscano i ragionamenti sulla politica
internazionale.
5) L’informazione filo-americana si basa su due
regole: non criticare e non dare fastidio.
6) Il filo-americanismo è anche un apparato
politico-burocratico capace di mobilitare milioni
di euro, come il Nato Defense College a Roma, IAI
e ISPI.
7) Un sistema dell’informazione corrotto è un
sistema compenetrato dal potere politico dove la

168
razionalità politica prevale sulla razionalità
economica. I professionisti dell’informazione filo-
americani antepongono la propaganda della Casa
Bianca alla verità sostanziale dei fatti.
8) Il concetto di corruzione in questo libro non
ha niente a che vedere con il concetto di “tangente”
o di “bustarella”.
9) Il sistema dell’informazione filo-americano in
Italia ha una vocazione totalitaria, ma non è
perfetto. Cerca di assorbire tutti gli spazi, ma non
ci riesce pienamente. Alcuni spazi di libertà
esistono e resistono, ma sono assediati, come
dimostrano gli assalti per chiudere Cartabianca a
Rai Tre.
10) Le eccezioni esistono sempre. Il primo
governo di Giuseppe Conte contrariò Trump nel
marzo 2019, quando firmò a Roma gli accordi con
Xi Jinping per l’adesione dell’Italia alla nuova Via
della seta. La possibilità che nasca un governo che
pone fine al moto di rotazione dell’Italia intorno
alla Casa Bianca esiste, ma richiede cambiamenti
talmente profondi nella politica italiana e
nell’architettura internazionale da essere una
possibilità molto poco probabile al momento.

169
Penisole di resistenza
Mi rendo conto di aver dipinto un quadro
avvilente dell’informazione in Italia sulla politica
internazionale. L’informazione sulla politica
internazionale è importantissima perché le nostre
vite dipendono molto dalle relazioni tra gli Stati
che dispongono di eserciti e bombe atomiche.
È comprensibile che il lettore si interroghi sui
possibili rimedi.
Non sono molto ottimista circa la possibilità di
sconvolgere l’informazione in Italia sulla politica
internazionale per quattro ragioni fondamentali: a)
il sistema politico internazionale; b) il sistema
politico italiano; c) il mercato del lavoro dei
laureati in relazioni internazionali e discipline
affini; d) l’informazione su YouTube.
Per quanto riguarda la prima e la seconda
ragione, la corruzione si accumula nel sistema
politico tracimando nel sistema dell’informazione.
L’ordine dei giornalisti può dotarsi di tutti i
regolamenti che vuole, ma non può cambiare il
sistema politico italiano che, a sua volta, non può
cambiare il sistema politico internazionale. Le
riforme dell’ordine dei giornalisti non possono
porre fine al moto di rotazione dell’Italia intorno
170
alla Casa Bianca. Questo è un compito che
spetterebbe ai partiti, ma qui ci addentriamo in un
discorso che oltrepassa l’obiettivo di questo libro.
Le buone riforme dell’ordine dei giornalisti
possono migliorare alcuni problemi
dell’informazione di uno Stato satellite, ma non
possono eliminarli.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, non
esistono industrie private in Italia interessate ad
assumere migliaia di laureati ogni anno per
studiare la politica internazionale. Mediaset,
Stellantis, Hera, per citare alcuni dei più grandi
gruppi italiani privati per fatturato, non offrono
contratti di lavoro a tempo indeterminato a
migliaia di laureati in relazioni internazionali e
discipline affini per studiare la politica
internazionale. Lo Stato, la Nato, l’IAI, offrono un
numero infinitesimale di contratti di lavoro
rispetto al numero di giovani appassionati alla
politica internazionale. Ma si tratta di roccaforti
filo-americane. Il giovane laureato che entri in
quegli ambienti deve stare molto attento a quello
che dice, soprattutto in pubblico. Quando parla di
questioni relative alla Casa Bianca – Ucraina,
Israele, Russia, Iran, Corea del Nord, Venezuela,

171
Cina, Taiwan, ecc. – non può esprimersi
pubblicamente con l’autonomia di giudizio che si
addice a uno scienziato sociale. Quel neolaureato
deve stare molto attento a quel che dice sulla
politica internazionale anche in privato. Dire a una
cena in quegli ambienti che la Russia ha invaso
l’Ucraina perché la Nato si è espansa al suo confine,
violando la sua promessa a Gorbačëv, significa
chiudersi tutte le prospettive di carriera con un
livello altissimo di probabilità. Figuriamoci dirlo a
un convegno di studi o in televisione.
Il modo migliore per combattere contro la
corruzione dell’informazione sulla politica
internazionale è creare quelle che chiamo
“penisole di libertà”, ad esempio sostenendo quei
quotidiani che, come il Fatto Quotidiano, rifiutano i
finanziamenti dello Stato. Ho parlato di “penisole
di libertà” e non di “isole” per una ragione precisa.
Un’isola è una porzione di terra completamente
circondata dall’acqua. L’isola suggerisce
isolamento. La mia idea è di stare dentro il sistema
filo-americano come un pungolo, un fastidio, che
manda in crisi ambienti di lavoro, studi televisivi e
convegni. L’obiettivo è rendere il sistema
imperfetto. Gli ambienti filo-americani ambiscono

172
alla “purezza”: non vogliono punti di vista
discordanti perché le loro narrazioni sono
fragilissime essendo infarcite di menzogne, falsità,
inganni e distorsioni storiche facilmente smentibili
dagli studiosi inclini a usare il sapere in modo
critico: “La Nato non ha mai fatto la guerra a
nessuno”, per citare un giornalista filo-americano a
tutto tondo come il vicedirettore del Corriere della
Sera.
Questa risibilità delle tesi dei giornalisti filo-
americani spiega la loro ossessione per il
licenziamento o l’emarginazione dei loro colleghi
più liberi, fino a richiedere la chiusura di intere
trasmissioni televisive, come per Aldo Grasso
contro Cartabianca di Bianca Berlinguer. Si voleva
trasformare quella trasmissione in una roccaforte
filo-americana per imporre agli italiani una sola
narrazione sulla guerra in Ucraina. Cartabianca ha
resistito ed è diventata una penisola di libertà
dentro la Rai, cioè dentro un sistema
dell’informazione rigorosamente filo-americano.
La reazione a questo affronto è stata furibonda.
Alla fine, Bianca Berlinguer ha spostato la sua
penisola a Rete 4 nel settembre 2023, dove ho

173
potuto spiegare le ragioni per cui Israele è uno
Stato terrorista.
E YouTube?
Finanziare alcuni canali YouTube potrebbe essere
una buona idea per combattere la corruzione
dell’informazione sulla politica internazionale.
Alcuni di questi canali hanno svolto un lavoro
eccellente nel contrasto alla disinformazione dei
ricercatori della Nato durante la guerra in Ucraina.
Penso, ad esempio, ad Andrea Lombardi, ma anche
a “Pubble l’imbannabile” (Paola Ceccantoni).
Pubble usa il dialetto romano per coinvolgere un
grande pubblico con la satira. Pubble è laureata in
Storia e conservazione del patrimonio culturale a
Roma Tre, specializzazione in archeologia, con una
tesi magistrale intitolata I mosaici del Cristo-Helios
nella necropoli vaticana. I suoi video sono ricchi di
contenuti usati per sollecitare il ragionamento
critico e contrastare le false narrazioni della società
giornalistica filo-americana.
Alcuni canali YouTube sono ottimi, ma generano
profitti appena sufficienti a retribuire una o due
persone e non riescono a creare posti di lavoro per
i neolaureati in relazioni internazionali e discipline

174
affini. In una situazione di questo tipo, è quasi
scontato che i giovani appassionati di politica
internazionale finiscano per bussare alle porte
dell’apparato burocratico filo-americano ricco di
risorse. In altri casi, è l’apparato burocratico filo-
americano che fa reclutamento.
Ma attenzione: c’è molta ingenuità sul ruolo di
YouTube.
Molti canali hanno contribuito a diffondere la
propaganda della Nato usando le stesse tecniche
della grande stampa. Hanno addirittura peggiorato
la situazione con insulti, irrisione, diffamazione e
campagne d’odio spacciate per “critica legittima”
contro i critici delle politiche della Casa Bianca in
Ucraina. Il fatto che l’Italia sia uno Stato satellite
degli Stati Uniti ha ripercussioni su tutta la società,
anche su YouTube. Anche YouTube è pieno di
canali filo-americani. I cosiddetti “youtuber”
italiani vivono in Italia e devono fare i conti con la
vita quotidiana di uno Stato satellite degli Stati
Uniti. Il cinismo e l’opportunismo esistono anche
su YouTube. Qualunque youtuber abbia criticato le
politiche di Biden in Ucraina ha avuto il suo prezzo
da pagare. Senza considerare che molti youtuber
sognano di essere invitati in televisione e lo dicono

175
chiaramente. Per realizzare il loro sogno,
rispettano tutte le regole della società giornalistica
filo-americana, con gli immancabili appelli a
chiudere trasmissioni televisive e a licenziare
giornalisti e professori universitari che hanno
contrastato la propaganda della Nato. Credere che
YouTube sia sempre migliore della televisione è
ingenuo. YouTube è un mezzo; se è usato da
individui filo-americani diventa un mezzo filo-
americano. L’informazione filo-americana su
YouTube è spesso più degradante di quella in
televisione.
Ho detto che nessun sistema corrotto è mai
perfettamente corrotto. Questa è una buona
notizia. Guardare il bicchiere mezzo pieno è un
buon modo per riempirsi di ottimismo e lottare
per un’informazione più adeguata a una società
libera. La società giornalistica filo-americana è
sovrastante, ma non ha il controllo completo
dell’informazione. Le penisole di libertà esistono e
resistono. Io stesso ho fondato un quotidiano
online sulla politica internazionale, Sicurezza
internazionale, che rifiuta pubblicità e finanziamenti
esterni. I miei video su YouTube non hanno
pubblicità per una mia scelta. Mi è stata offerta la

176
possibilità di monetizzare introducendole, ma l’ho
rifiutata. Nonostante i suoi limiti, credo molto in
YouTube, ma senza ingenuità.
L’Italia è una società libera?
Mi occupo, adesso, della domanda delle
domande.
La divisione dei poteri è buona garanzia di
libertà. Nessuna società libera è veramente tale se il
suo sistema dell’informazione non è indipendente
dal potere politico.
L’Italia è un Paese libero?
Questo libro si propone di indagare un tema più
circoscritto, ma pur sempre collegato al dibattito
sulla società libera. Mi sono limitato a dimostrare
che il sistema dell’informazione in Italia sulla
politica internazionale svolge le stesse funzioni
sociologiche che svolge nei regimi autoritari. La
domanda al centro di questo libro non è se l’Italia
sia un Paese libero, ma se sia libero il suo sistema
dell’informazione sulla politica internazionale. La
risposta è complessa. La riassumo come segue:
l’Italia è un Paese satellite degli Stati Uniti e il suo
sistema dell’informazione è organizzato per

177
favorire il moto di rotazione intorno alla Casa
Bianca.
Questo significa che l’Italia non è una società
libera?
Anche in questo caso, le cose sono più complesse
di come appaiono.
Almeno sotto il profilo logico, una società può
essere libera e avere un sistema dell’informazione
sulla politica internazionale corrotto giacché la
libertà è soltanto la possibilità di dire la verità. Una
società può essere libera e vivere nella menzogna.
D’altra parte, chi è libero di parlare è libero anche
di mentire o di autocensurarsi.
Libertà e verità andrebbero tematizzate
separatamente per poi capire come interagiscono
nell’informazione sulla politica internazionale in
Italia.
Molti opinionisti della società libera preferiscono
mentire o autocensurarsi piuttosto che dire
scomode verità sulle guerre. In alcuni casi, operano
in questo modo per ottenere un vantaggio; in altri
casi, per evitare uno svantaggio, ad esempio evitare
di essere diffamati dalla grande stampa o insultati
su YouTube. Essendo l’Italia uno Stato satellite
degli Stati Uniti, ogni dibattito sulla politica

178
internazionale tocca gli interessi della Casa Bianca
che ha moltissimi “cani da guardia” in Italia.
Le istituzioni della società libera offrono ai
giornalisti e ai professori universitari soltanto la
possibilità di essere fedeli alla verità sostanziale dei
fatti. La libertà è la condizione necessaria ancorché
insufficiente per esprimersi liberamente. La libertà
è soltanto la possibilità della verità.
La libertà non basta.
Che cosa manca?
L’educazione al coraggio
La possibilità di parlare liberamente ha bisogno
di essere accompagnata da un progetto pedagogico
basato sull’educazione al coraggio. La prima
qualità di uno studio è una qualità extrascientifica:
il coraggio. Un giornalista o uno studioso della
società libera non dirà mai una verità scomoda in
televisione sulle guerre o sul terrorismo se è privo
di coraggio, giacché dire una verità scomoda su
questi temi mortiferi significa toccare interessi
molto grandi che i governi difendono con la mano
pesante.
A questo punto il lettore potrebbe concludere
che il coraggio possa risolvere il problema, ma,

179
anche in questo caso, le cose sono complesse
perché il coraggio individuale è una variabile che
dipende, in larga misura, da una serie di garanzie
politico-istituzionali, cioè da un certo tipo di
società. Nessuno avrebbe il coraggio di denunciare
la mafia senza avere la speranza di essere protetto
dallo Stato. Il coraggio di un uomo isolato aumenta
soltanto il numero dei martiri; non produce una
crescita della libertà per tutta la società. Il coraggio
di Julian Assange lo dimostra. Il fatto che la società
giornalistica filo-americana non abbia mai difeso
Assange dice molto sul suo rapporto problematico
con la verità che emerge dalla documentazione
scritta.
L’istituzionalizzazione della libertà di opinione e
il coraggio individuale, di per sé, non bastano per
avere un’informazione libera sulla politica
internazionale.
Cos’altro manca?
Manca la certezza che il potere politico non violi
le leggi impunemente, ad esempio licenziando o
distruggendo le carriere di chi riporta
informazioni vere, ma scomode per la Casa Bianca.
Immaginiamo di vivere in un Paese dove la
Costituzione garantisce la libertà di opinione, ma i

180
partiti politici la violano impunemente. Gli
individui fanno il loro calcolo costi/benefici
intorno alla libertà di espressione. Il risultato è ciò
che mi disse l’autorevole professoressa che ho già
citato della Scuola Normale Superiore. Questo è il
clima psicologico creato in Italia dal Corriere della
Sera e i suoi figli minori, con le loro liste di
proscrizione e molto altro.
In sintesi, un’informazione meno corrotta sulla
politica internazionale richiede molte condizioni.
Mi limito a indicare tre condizioni necessarie
ancorché insufficienti: 1) l’istituzionalizzazione
della libertà di opinione; 2) l’educazione al
coraggio; 3) la certezza che la libertà di opinione
non verrà violata impunemente dal potere politico.
Questa terza condizione non potrà mai essere
assicurata in uno Stato satellite come l’Italia. La
ragione è semplice: le università, le radio e le
televisioni possono distruggere le carriere dei
critici della Casa Bianca senza lasciare prove, nel
silenzio oppure con atti burocratici finalizzati a
punire, minacciare e ricattare i professori e i
giornalisti. L’idea che tutti gli abusi nelle società
libere siano denunciabili è molto autocelebrativa.

181
Quando la Rai strappa il contratto di un analista
di politica internazionale che riporta informazioni
vere, ma sgradite alla Casa Bianca, danneggia la
società libera in più modi. In primo luogo, la Rai
chiarisce che le istituzioni liberali in Italia sono
malferme perché l’informazione è sottomessa al
potere politico. In secondo luogo, educa i cittadini
ad avere paura di esprimersi liberamente
mostrando che il prezzo della libertà di critica sulla
politica internazionale è alto. In terzo luogo,
mostra che la Costituzione viene violata. In base
alla Costituzione italiana, la Rai non potrebbe
strappare il contratto di un esperto perché un
partito politico non gradisce un’opinione.
Ancora una volta, il mio caso è sociologicamente
utile per i documenti scritti che ha prodotto sulla
corruzione dell’informazione.
Quando dissi a Rai Tre che la rivolta di Prigozhin
(23 giugno 2023) avrebbe rafforzato Putin anziché
indebolirlo, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi,
quest’ultima all’epoca presidente della
commissione parlamentare di Vigilanza della Rai,
presentarono un’interrogazione per controllare i
presunti versamenti effettuati dalla Rai sul mio
conto corrente[133]. La mia analisi era corretta, ma

182
contrastava con la propaganda della Casa Bianca
secondo cui Putin sarebbe stato rovesciato da una
rivolta. Renzi e Boschi chiedevano di indagare
soltanto sui miei versamenti. I versamenti della Rai
sui conti correnti degli opinionisti schierati con la
Casa Bianca non creavano loro alcun problema. Le
regole che governano l’informazione di uno Stato
satellite sono queste. Secondo l’impostazione
politica di Renzi e Boschi, la Costituzione italiana
difende soltanto la libertà di opinione degli esperti
che diffondono la propaganda della Casa Bianca in
televisione. Soltanto gli opinionisti filo-americani
possono fare il proprio mestiere senza essere
assediati da insulti, minacce e intimidazioni.
Ovviamente il problema non sono soltanto Renzi e
Boschi. Ho citato loro due perché hanno prodotto
alcuni documenti scritti molto utili per studiare la
corruzione dell’informazione in Italia; ma i
senatori, i deputati, i presidenti di Regione che
agiscono come Renzi e Boschi contro la libertà di
espressione e di informazione sono
numerosissimi.
Carlo Calenda ha dato uno spettacolo addirittura
peggiore esortando pubblicamente Confindustria
al mio licenziamento dalla Luiss, senza sapere che,

183
in una società liberale, Confindustria non può
licenziare i professori dietro richiesta dei senatori
giacché tra Confindustria e i professori della Luiss
c’è una cosa chiamata “Costituzione”[134]. Per non
parlare degli insulti inverecondi che il liberale
Calenda ha lanciato contro i professori critici verso
la Casa Bianca dai suoi social. Ci sarebbe molto da
dire sui legami tra la cultura autoritaria e la cultura
liberale in Italia. Benedetto Croce votò in favore
del governo Mussolini dopo il rapimento di
Matteotti (10 giugno 1924) nella seduta del Senato
del 26 giugno 1924, e continuò a dichiarare che il
fascismo aveva risposto a seri bisogni e fatto molto
di buono[135]. In un’intervista rilasciata il 1° febbraio
1924 Croce dichiarò di considerare “un grande
beneficio la cura a cui il fascismo ha sottoposto
l’Italia”[136]. Croce poi cambiò atteggiamento verso
il fascismo, ma questa fascinazione dei liberali
italiani per l’autoritarismo, la censura e le liste di
proscrizione si è conservata fino a noi, come
dimostra il caso del Corriere della Sera.
Questo mio libro e quello precedente
Giunto a questo punto, voglio chiarire la
differenza tra questo mio libro e quello precedente.

184
In Ucraina-Palestina (2024), ho studiato come
l’informazione in Italia venga distorta dai
complessi di superiorità dell’uomo eurocentrico,
altrimenti detto “uomo del Corriere della Sera”,
un’espressione con cui indico l’uomo medio che
vive di frasi fatte e luoghi comuni sulla politica
internazionale.
Le previsioni sulla guerra in Ucraina di Corriere
della Sera, Repubblica, Stampa, Libero, Giornale,
Foglio, si sono rivelate sbagliate perché partivano
dal pregiudizio eurocentrico che la Russia fosse
una civiltà inferiore all’Occidente da tutti i punti di
vista. Nel mio libro precedente ho indicato cinque
pregiudizi dell’uomo eurocentrico verso la Russia:
il pregiudizio economico, militare, industriale,
morale e intellettivo, secondo cui Putin è uno
stupido che si è lanciato in una guerra che può
soltanto perdere.
In Ucraina-Palestina ho individuato il tema
culturale dell’Occidente nella convinzione di essere
una civiltà superiore a tutte le altre. Il concetto di
“tema culturale” è stato introdotto nelle scienze
sociali dall’antropologo Morris Opler, che lo
impiegò per descrivere le caratteristiche generali
della cultura degli Apache. Il tema culturale è

185
un’idea indimostrata che controlla e stimola il
comportamento dei membri di una comunità[137].
Un esempio di ciò che Opler intende per tema
culturale è l’idea, alla base della cultura Apache,
che: “Gli uomini sono fisicamente, mentalmente e
moralmente superiori alle donne”[138].
In sintesi, nel mio libro precedente, Ucraina-
Palestina[139](2024), ho studiato gli errori non
intenzionali del giornalismo italiano: gli errori che
nascono dai complessi di superiorità
dell’Occidente. In questo libro, invece, studio gli
errori intenzionali: gli errori che nascono dal
calcolo strategico dei professionisti
dell’informazione in quel campo di forze oggettive
che è la società giornalistica filo-americana. In
questo nuovo libro studio come l’informazione
venga manipolata intenzionalmente da una
minoranza organizzata per compiacere il potere
politico da cui riceve i propri privilegi. Le analisi
filo-americane dei grandi media sulla politica
internazionale sono faziose (“i torti sono soltanto
della Russia”) o assurde (“l’enorme invio di armi
avvicinerà la pace”) perché i giornalisti filo-
americani difendono le loro carriere piuttosto che
la verità sostanziale dei fatti.

186
Questo cinismo spiega il profluvio della
propaganda della Casa Bianca in televisione: “La
Nato non ha mai fatto guerra a nessuno”; “L’Ucraina
sconfiggerà la Russia”; “I russi odiano Putin e lo
rovesceranno”; “Tutti gli ucraini vogliono andare al
fronte”; “L’esercito russo è di cartone”; “I russi non
vogliono combattere”; “La Russia andrà in
bancarotta in tre settimane”; “Hamas è la causa del
conflitto israelo-palestinese”; “I morti palestinesi
sono numerosi perché Hamas li usa come scudi
umani”; “Israele non ha commesso crimini di
guerra”, “L’Iran è la causa dell’instabilità in Medio
Oriente”; “L’Occidente rispetta il diritto
internazionale”; “Le democrazie occidentali sono
pacifiche” e così via.
Gli errori non intenzionali e quelli intenzionali
producono un’informazione sulla politica
internazionale corrotta.

187
Il metodo del sospetto

Marx e i sospetti sulla borghesia


In questo capitolo chiarisco che cosa sia il
metodo del sospetto, un termine coniato da Paul
Ricoeur[140].
Tutte le comunità umane tendono ad apparire
migliori di quel che sono. Il metodo del sospetto
serve a sollevare dubbi sulle narrazioni
autocelebrative dei gruppi umani: civiltà, Stati,
eserciti, categorie professionali.
Il metodo del sospetto è uno dei lasciti più
importanti di Marx. Marx ha applicato il metodo
del sospetto contro il modo in cui i capitalisti
hanno nobilitato il loro ruolo nella nascita della
società moderna. Marx ha sospettato che la
borghesia imprenditrice parlasse così bene di se
stessa per nascondere le pagine più buie della sua
storia.
188
Come nasce il capitalismo?
Nel pensiero di Marx, interrogarsi sulla nascita
del capitalismo significa interrogarsi sul “segreto
dell’accumulazione originaria”[141]. L’accumulazione
originaria è il processo di accumulazione del
capitale, ovvero la concentrazione di una grande
quantità di ricchezza nelle mani di una minoranza
di individui e la creazione di una massa di
diseredati costretti a vendersi come merce sul
mercato del lavoro.
Marx non si fidava di ciò che la borghesia
imprenditrice diceva di se stessa, cioè che il
capitalismo è nato dall’amore dell’imprenditore
per il lavoro e dal suo spirito di sacrificio. Le classi
dominanti si ritraggono sempre in una luce
positiva. Uno degli aspetti più interessanti della
teoria di Marx è proprio questo: gli uomini non
lottano soltanto per il profitto, ma anche per
affermare interpretazioni della realtà legate a
interessi di classe. Gli uomini lottano per il
predominio sulle narrazioni collettive – si pensi
alla lotta sulla narrazione della guerra in Ucraina –
con la stessa foga con cui lottano per accumulare
denaro. Queste due lotte per il denaro e le
ideologie fanno parte di una stessa battaglia per

189
imporre il dominio sulla società. È interesse della
borghesia dare un’immagine positiva di sé.
Conquistando l’apprezzamento degli sfruttati, la
borghesia rafforza il suo dominio su di loro. Marx
si incaricò di dimostrare che alle origini del
capitalismo vi è stata la violenza dei borghesi sui
contadini. A suo dire, alle origini del capitalismo
non c’è una storia nobile, ma ignobile.
Il processo di accumulazione del capitale ebbe
inizio con l’espulsione dei contadini dalle terre; la
separazione del produttore dai mezzi di
produzione fu la condizione necessaria per
l’accumulazione originaria. Il capitalismo può
nascere quando si trovano di fronte capitalisti e
proletari, vale a dire proprietari e nullatenenti. Ne
consegue che spiegare la nascita del capitalismo
significa spiegare la creazione di una massa di
poveri a cui imporre condizioni lavorative
disumane per ricavare un grande plus-lavoro,
precondizione del profitto. La prima domanda di
Marx, pertanto, non è: “Com’è nato il
capitalismo?”, bensì come sono nati i proletari che
hanno consentito il decollo del capitalismo.
L’espulsione dei contadini dalle terre

190
In primo luogo, Marx fornisce un’indicazione
storica e geografica: i momenti salienti
dell’accumulazione originaria avvennero in
Inghilterra tra l’ultimo terzo del XV secolo e i
primi decenni del XVI, quando la dissoluzione dei
legami feudali gettò sul mercato del lavoro una
massa di proletari. Il processo ebbe inizio con
l’espansione della manifattura laniera nelle
Fiandre e il conseguente aumento del prezzo della
lana, che spinse i signori feudali a trasformare le
terre arabili in pascoli per le pecore per trarre
maggiori profitti. Ciò richiedeva di espellere i
contadini dalle terre. Il fenomeno assunse presto
dimensioni inquietanti e le campagne iniziarono a
spopolarsi. Fu così approvata una legislazione per
salvare almeno i piccoli fittavoli e contadini
impedendo la loro espropriazione. Fu anche
stabilita una proporzione tra la terra coltivabile a
grano e quella da pascolo, ma i risultati non
sortirono alcun effetto. Il modo di produzione
capitalistico, che aveva preso forma lentamente
all’interno del modo di produzione feudale,
esigeva che una massa sempre più grande di
contadini fosse ridotta in condizioni servili: aveva

191
bisogno di creare i proletari per poi acquistare la
loro forza-lavoro a un prezzo bassissimo.
Anche la riforma protestante ebbe un ruolo
importante nella storia dell’accumulazione
originaria. La soppressione dei conventi, di cui era
proprietaria la Chiesa cattolica, trasformò i
contadini, che abitavano le terre circostanti, in
proletari. La Chiesa cattolica, infatti, era
proprietaria di larghissima parte delle terre inglesi.
I suoi beni furono incamerati dai cortigiani più
influenti oppure furono acquistati a prezzi
bassissimi da abili speculatori, che avviarono il
processo di fusione dei piccoli poderi in unità più
grandi. Il processo di espropriazione continuò
sotto la restaurazione degli Stuart e subì una brusca
accelerazione con la gloriosa rivoluzione (1688),
che portò al potere Guglielmo III d’Orange. In
questo periodo, proprietari fondiari e capitalisti
aumentarono le proprie ricchezze, acquisendo, in
forme per lo più illecite, molte terre demaniali.
A ciò si aggiunsero le leggi sulla recinzione dei
fondi comuni (la politica delle enclosures
orecinzioni), con cui il Parlamento inglese fornì un
sostegno legale agli abusi dei proprietari fondiari.
Gli espropriatori potevano contare sul sostegno

192
della legge. I contadini, espulsi dalle terre da cui
ricavavano il cibo per sopravvivere, si
trasformarono in una massa di mendicanti, di ladri
e di vagabondi. Dopo essere stati spogliati di ogni
bene, furono colpiti da una legislazione che puniva
il vagabondaggio. Sotto il regno di Enrico VIII
(1509-1547), le sanzioni contro i vagabondi furono
durissime. Si andava dalle frustate alla pena
capitale per i recidivi. Simili misure rimasero in
vigore con alcune modifiche, che non ne
attenuarono la durezza, fino ai primi anni del
XVIII secolo.
La violenza dello Stato
Lo Stato ebbe un ruolo fondamentale nel
processo di accumulazione del capitale e, quindi,
nella sfera dei rapporti economici.
La legislazione sul salario, introdotta per la
prima volta sotto Edoardo III, nel 1349, fu uno
degli strumenti che la borghesia nascente utilizzò
per accrescere la propria ricchezza ai danni del
proletariato. Furono stabiliti salari per la città e per
la campagna, per il lavoro a cottimo e per il lavoro
a giornata. Per favorire i proprietari contro i
lavoratori, la legge fissò un livello massimo di

193
retribuzione, ma non si preoccupò di stabilire un
livello minimo. Ciò aggravò la condizione degli
operai e consentì molti abusi ai loro danni. In più,
fino al 1825, le coalizioni operaie furono proibite e
questo lasciò i lavoratori salariati in balìa dei
capitalisti.
Analizzando il processo di espulsione dei
contadini dalle terre, Marx aveva spiegato la genesi
dei grandi proprietari fondiari, ma non quella del
capitalista.
Nel XVI secolo, Marx scorge “un elemento di
importanza decisiva”[142].
A quei tempi, i contratti per l’affitto dei campi
potevano durare fino a novantanove anni. La
caduta costante del valore dei metalli pregiati, e di
conseguenza del denaro, avvantaggiò i fittavoli, i
quali si arricchirono enormemente. Mentre le
persone si impoverivano, i fittavoli continuavano a
ricevere la stessa rendita fondiaria, che rimaneva
stabile grazie a contratti d’affitto a lunga scadenza,
invece di diminuire seguendo l’andamento
negativo dell’economia. E così i fittavoli si
arricchirono a spese dei lavoratori e dei proprietari
della terra e l’Inghilterra si ritrovò, sul finire del

194
XVI secolo, con una classe di ricchi fittavoli
capitalisti.
Marx ribadisce che la violenza dello Stato fu
assolutamente centrale nella nascita del
capitalismo e indica altre sue funzioni, oltre a
quelle già incontrate. Lo Stato accelerò il processo
di transizione dal feudalesimo al capitalismo
attraverso il sistema coloniale, il sistema del debito
pubblico, il sistema tributario e il sistema
protezionistico moderno. Una volta giunta nella
madrepatria, la ricchezza, estorta ai Paesi extra-
europei con il saccheggio e la rapina, si convertiva
in capitale. Il sistema del debito pubblico crebbe di
pari passo con il colonialismo, trasformandosi in
una delle leve più energiche dell’accumulazione
originaria. Il ricorso al debito pubblico “conferisce
al denaro, che è improduttivo, la facoltà di
procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che
il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e
al rischio inseparabili dall’investimento industriale
e anche da quello usuraio”[143].
Dal momento che lo Stato deve pagare gli
interessi sul debito, il sistema delle imposte divenne
indispensabile strumento per sostenere i prestiti
nazionali. Infine, Marx cita il ruolo del sistema

195
protezionistico, a cui lo Stato fece ricorso per
proteggere i commerci della borghesia nazionale,
favorendo in tal modo il trapasso dal modo di
produzione antico a quello moderno.

196
Il realismo politico

Il primato della politica


Dopo aver chiarito il mio debito verso la scuola
del sospetto, chiarisco quello verso il realismo
politico italiano, secondo cui il potere politico è
fondamentale per comprendere l’organizzazione
della società[144]. Gli esponenti del realismo politico
italiano sono numerosi. Mi richiamo soprattutto a
Machiavelli, Mosca, Pareto, Michels e Luciano
Pellicani (1939-2020).
Non esiste una definizione del realismo politico
universalmente accettata dagli studiosi[145]. Mi
limiterò a elencare le idee che accomunano i
realisti politici nonostante le loro differenze.
La prima idea è che la politica è essenzialmente
conflitto generato dalla scarsità delle risorse.
La seconda idea è che la politica è fatta di
sostanza e di apparenza, come spiega Machiavelli
197
nel capitolo XV del Principe. Bisogna sempre
diffidare di ciò che il potere dice. Il potere usa la
retorica e gli ideali per nascondere o dissimulare
quel che fa. In apparenza, Giorgia Meloni
dichiarava di essere preoccupata per la vita dei
palestinesi durante il bombardamento di Gaza;
nella sostanza, ha dato armi a Netanyahu a
sterminio in corso e si è sempre rifiutata di votare
in favore del cessate il fuoco umanitario all’Onu
per salvare i palestinesi.
La terza idea è che la società è guidata da
minoranze organizzate e che la lotta per il potere
politico tra di loro determina il corso della storia.
La quarta idea è che la separazione tra i
sentimenti e i ragionamenti è sempre necessaria
per capire la realtà della politica. Il realismo
politico si oppone al Wishful Thinking, cioè alle
analisi basate sulla speranza, ad esempio:
“L’Ucraina sconfiggerà la Russia”. Esiste una realtà
esterna che l’individuo non può modificare con la
sola volontà. La realtà del realismo politico è la
realtà empirica, la realtà che può essere colta
attraverso gli organi di senso: occhi, orecchie,
bocca, naso e pelle.

198
La quinta lezione del realismo politico mette in
guardia dal realismo politico. Da una parte, il
realismo politico è usato per disingannare;
dall’altra parte, è usato per ingannare, ad esempio
quando i realisti politici affermano che la realtà è
una forza esterna immutabile per giustificare
qualunque violazione dei diritti umani, pregiudizio
o interesse indicibile. Si pensi alla tesi “realista” di
Trump secondo cui la tragedia dei palestinesi non
potrà mai essere risolta se non con la loro
espulsione dalla Palestina. In questo caso il
realismo politico viene “abusato” per consegnare la
terra dei palestinesi a Israele.
Parlare di Pellicani ci aiuterà ad approfondire il
cosiddetto “primato della politica” tipico del
realismo politico.
Il realismo politico di Pellicani
Pellicani è stato il maggiore teorico italiano della
società libera. I suoi capolavori, entrambi tradotti
negli Stati Uniti, sono La genesi del capitalismo e La
società dei giusti.
Secondo Pellicani, gli aspetti fondamentali della
vita in società dipendono dal potere politico.
Pellicani attribuisce al potere politico l’importanza

199
che Marx attribuisce al potere economico. La
sociologia di Pellicani è una sociologia del potere e
del modo in cui le interazioni tra gli uomini ne
sono influenzate o regolate. Anche nella nascita del
capitalismo: “Il fattore che in ultima istanza è
determinante è la produzione e la riproduzione del
potere politico”[146], concepito come il motore
fondamentale dello sviluppo storico[147].
Secondo Pellicani, i conflitti tra gli uomini sono
dappertutto. Pellicani è arrivato a dire che:
“L’uomo è l’animale che genera conflitti. Ovunque
il sociologo volga lo sguardo, nei Parlamenti come
nelle cucine dei ristoranti, nei governi come nelle
famiglie, trova sempre conflitti”[148].
La concezione dello sviluppo storico di Pellicani
è animata da una visione intimamente conflittuale
della vita sociale, che riassumo in tre punti.
a) Le risorse – materiali e immateriali – cui
ambiscono gli uomini, sono limitate. Il mondo è
contrassegnato dalla scarsità;
b) Ciò rende ineliminabile il conflitto dallo
spazio politico e non esiste alcun assetto
istituzionale che possa contenerlo o superarlo in
via definitiva;

200
c) Il compito di impedire che il conflitto degeneri
in una guerra civile permanente è affidato alla
legittimità del potere politico, cioè il consenso
intorno al governo. È questo consenso che
consente il passaggio dalla violenza anomica e
orizzontale al potere verticale e organizzato. La
politica è il governo del conflitto[149].

Per Pellicani, in ogni comunità dotata di un


livello minimo di differenziazione sociale vi è
sempre una minoranza dominante che decide e
dirige. Una macro-società, in cui il potere sia
distribuito in modo egualitario, non è mai esistita,
tantomeno nella società internazionale. Questa è la
ragione per cui: “La guerra potenziale è una realtà
che nulla e nessuno possono cancellare dalla
condizione umana. Neanche mille anni di pace
perpetua potrebbero far sparire dall’orizzonte la
nube, sempre minacciosa e sempre gravida di
orrori, della guerra”[150].
La storia dell’umanità è la storia del modo in cui
le classi dominanti si sono imposte sulle classi
subalterne. Pellicani nega che la proprietà dei
mezzi di produzione sia la fonte più importante
del potere. Per Pellicani, le variabili decisive per

201
comprendere il funzionamento della società sono
le caratteristiche culturali e strutturali delle élites
politiche. L’economia è importante, ma non
determinante come la produzione e la
riproduzione del potere politico. Si tratta di un
punto decisivo per cogliere l’originalità
dell’interpretazione di Pellicani delle origini del
capitalismo.
Pellicani ha riscritto i momenti cruciali delle
origini del capitalismo in modo alternativo rispetto
a Marx.
Il Saggio sulla genesi del capitalismo di Pellicani non
intende “semplicemente” spiegare l’“arcano”
dell’accumulazione originaria, bensì dimostrare
che “ogni tentativo di spiegare l’economico con
l’economico […] è votato al fallimento”, perché
“non può produrre che spiegazioni circolari”[151].
Pellicani è di una chiarezza esemplare quando
scrive che: “I principi del materialismo storico
sono costitutivamente incapaci di svelare l’‘arcano’
dell’accumulazione originaria”[152]. Il passo citato
non dice che l’interpretazione di Marx è sterile.
Dice che il modello interpretativo di Marx non è in
grado di spiegare la transizione dal feudalesimo al

202
capitalismo. La critica non è rivolta all’uomo, ma
alla rete concettuale nella quale si muove.
Il ruolo della città-mercato
Pellicani si distingue, in primo luogo, per
l’originalità con cui imposta il problema.
Marx, Weber e Sombart erano andati alla ricerca
dei fattori che avevano reso possibile
l’affermazione del capitalismo in Occidente.
Pellicani capovolge questa impostazione e studia i
fattori che, nelle civiltà orientali, impedirono al
capitalismo di svilupparsi. Anziché domandarsi
che cosa abbia favorito il capitalismo in Europa, si
domanda che cosa lo abbia ostacolato in Asia. In
altre parole, Pellicani ragiona in termini di stop
factors piuttosto che di push factors. Non è possibile
rendere qui, neppure approssimativamente,
l’“enorme serie”[153] di informazioni (storiche,
statistiche, bibliografiche) che Pellicani fornisce al
lettore. Mi limiterò, pertanto, a riassumerne la tesi
nelle sue linee essenziali.
Secondo Pellicani, ciò che ha impedito alle civiltà
orientali di imboccare la via del capitalismo fu il
“dispotismo burocratico-liturgico”, ovvero quella
particolare forma di dominio politico che

203
comporta la massima ingerenza dello Stato nella
vita dei cittadini. La coerenza metodologica di
Pellicani è granitica: è sempre il politico che spiega
l’economico e mai il contrario. La sua riflessione
sulle origini del capitalismo inizia quindi da
un’analisi comparata della struttura del potere
pubblico in Asia e in Europa.
A tal fine, chiarisce i concetti fondamentali del
suo discorso.
Il dispotismo
Il dispotismo è una macchina politica che salda il
monopolio della violenza, il monopolio della
produzione e il monopolio della morale religiosa.
È una forma di dominio capace di stroncare sul
nascere la formazione di ogni forza sociale
autonoma. In un simile regime, la distinzione tra
Stato e società civile non è nemmeno ipotizzabile.
Privo di antagonisti, il potere dispotico si
preoccupa di perfezionare continuamente la
propria capacità di controllare, sorvegliare,
inquadrare e dirigere ogni elemento della società.
In un regime dispotico, la razionalità economica
viene sempre immolata sull’altare della razionalità
politica. Tra la “tecnologia del potere” e la

204
“tecnologia della produzione” è sempre la prima a
prevalere[154].
Poste simili premesse, Pellicani passa a
dimostrare il nesso, a suo giudizio evidentissimo,
tra dispotismo e stagnazione economica[155].
La civiltà islamica – non diversamente da quella
cinese e da quella indiana – non imboccò la via del
capitalismo poiché non fu in grado di
istituzionalizzare i diritti di proprietà. Questi
venivano continuamente calpestati dal sovrano, il
quale temeva che i sudditi, arricchendosi,
avrebbero sviluppato un pericoloso contro-potere.
Lo Stato dispotico, paralizzando l’iniziativa privata,
condannava l’economia alla stagnazione.
Che si tratti di spiegare la crisi della civiltà
islamica[156], il crollo del comunismo[157] o la nascita
del capitalismo, l’impostazione di Pellicani non
muta: il progresso economico e sociale dipende
dall’istituzionalizzazione dei diritti di proprietà.
Dove questi sono assenti, le classi lavoratrici sono
condannate alla miseria.
Anche l’Occidente – precisa Pellicani – conobbe
un’esperienza analoga a quella delle società
orientali. Nell’epoca del tardo Impero romano, lo
spirito mercantile, che aveva ricevuto uno

205
straordinario impulso dopo la seconda guerra
punica, fu soffocato da uno Stato burocratico-
liturgico che ridusse ai minimi termini il mercato e
le sue istituzioni. Ma la disgregazione dell’Impero
romano offrì ai popoli europei la straordinaria
opportunità di edificare sulle sue macerie una
nuova civiltà. In tal senso, la fine della civiltà antica
fu – a giudicarla con il senno di poi – un evento
fortunato, “quasi provvidenziale”[158].
Dopo un’epoca “lunga e penosa”[159], dominata
dalla barbarie, riemersero, a partire dall’anno
Mille, le città-Stato. Tale processo fu favorito dallo
scontro tra il potere temporale e il potere
spirituale.
La lotta per le investiture
Pellicani non ha dubbi: le origini del capitalismo
vanno ricercate nella lotta per il potere tra
l’Impero e la Chiesa avvenuta nell’XI secolo.
Con la lotta per le investiture, la Chiesa e
l’Impero si indebolirono a vicenda e il movimento
comunale ne approfittò per colmare il vuoto di
potere che la crisi delle due massime istituzioni del
Medioevo aveva lasciato. Fu così che ebbe inizio
un’“Europa nuova”[160], che coincise con la nascita e

206
lo sviluppo della società civile. Ma fu anche l’inizio
della storia della borghesia, cioè della classe sociale
che avrebbe trasformato la civiltà europea.
Le città furono la culla del capitalismo
mercantile, con le sue tipiche istituzioni, dalla
cambiale alla banca, dalla partita doppia alla società
per accomandita e ai contratti di assicurazione.
Nelle città la proprietà privata fu istituzionalizzata,
e agli abitanti fu garantito che il frutto del loro
lavoro non sarebbe stato più espropriato
arbitrariamente. Emerse, in tal modo, un’economia
regolata dalla legge della domanda e dell’offerta,
basata sulla ricerca metodica del profitto e del
calcolo razionale. In Occidente avvenne un
processo storico, cui la civiltà orientale rimase a
lungo estranea: la separazione tra sovranità e
proprietà privata. Il capitalismo non sarebbe mai
nato neanche in Occidente se le città mercantili e
manifatturiere fossero state sconfitte nella loro lotta
secolare per l’autonomia politica.
Dunque, la soluzione dell’enigma andrebbe
cercata nel “policentrismo politico” determinato
dalla debolezza della struttura politica del sistema
feudale, che non poteva contare su un apparato
burocratico, su una solida base finanziaria e su un

207
esercito in grado di soffocare le spinte
autonomistiche delle città.
Per Pellicani, l’impulso allo sviluppo economico,
scientifico e tecnologico esige determinate
precondizioni di carattere politico-istituzionale:
“Non è neanche immaginabile la mercatizzazione
dei processi produttivi e distributivi senza
determinate precondizioni giuridiche. In breve, si
tratta di questo. La rinascita di una economia
basata sulla domanda e l’offerta presuppone due
cose: la tutela della proprietà privata e la garanzia
che i profitti derivanti dagli investimenti non
saranno sottoposti a interventi vessatori da parte
dello Stato. Il che significa che all’economia di
mercato si può arrivare a una tassativa condizione:
che i cittadini abbiano la ragionevole aspettativa
che i loro beni non verranno espropriati e che i
loro guadagni non verranno fagocitati dal fisco”[161].
Forti del metodo del sospetto e del realismo
politico, possiamo occuparci della promessa degli
americani a Gorbačëv sulla non espansione della
Nato in Europa dell’Est.

208
Gorbačëv fu ingannato dalla
Nato?

Quattro tesi filo-americane


In questo capitolo mi confronto con quattro tesi
del giornalismo filo-americano: quattro tesi tipiche
dell’informazione di uno Stato satellite, l’Italia, che
distorce la storia per ritrarre lo Stato dominante,
gli Stati Uniti, in una luce positiva.
La prima tesi del giornalismo filo-americano è
che il processo di inclusione dell’Ucraina nella
Nato è stato deciso e voluto degli ucraini per paura
di essere invasi dai russi. Il processo di inclusione
dell’Ucraina nella Nato – dice la società
giornalistica filo-americana – è una questione di
“volontà popolare”.
Non è affatto vero.
I documenti storici mostrano che la decisione di
assorbire l’Ucraina nella Nato fu presa da Bill
209
Clinton nell’ottobre 1994. La decisione di lavorare
per l’inclusione dell’Ucraina nella Nato è stata la
decisione di un’élite e non di un popolo. È stata una
decisione oligarchica e non democratica.
La seconda tesi del giornalismo filo-americano è
che la Svezia e la Finlandia hanno deciso di entrare
nella Nato dopo il 24 febbraio 2022, come reazione
all’invasione russa dell’Ucraina. Anche in questo
caso, la società giornalistica filo-americana sostiene
che la Svezia e la Finlandia si sono incamminate
verso la Nato per una decisione dal basso, una
decisione del popolo.
Non è affatto vero.
La documentazione pubblicata dalla Nato e i
documenti desecretati dal governo americano
mostrano che la Svezia e la Finlandia sono
diventati membri di fatto della Nato molti anni
prima dell’invasione russa dell’Ucraina, come
dimostra la partecipazione di quei due Paesi
all’esercitazione della Nato Trident Juncture del
2018.
La terza tesi del giornalismo filo-americano è che
gli ucraini consegnarono le testate nucleari alla
Russia perché si fidarono ingenuamente dei russi,
che avevano promesso di rispettare la loro integrità

210
territoriale. In realtà, la Casa Bianca pressò gli
ucraini a spogliarsi delle armi nucleari perché non
voleva che l’Ucraina diventasse improvvisamente
la terza potenza nucleare mondiale, alterando la
geopolitica in Europa.
La quarta tesi del giornalismo filo-americano è
che la Casa Bianca non fece alcuna promessa a
Gorbačëv sulla non espansione della Nato a est
dopo il crollo del Muro di Berlino. Quella
promessa è stata fatta. Ricostruirò i momenti
fondamentali del dialogo tra Gorbačëv e la Casa
Bianca durante i mesi che precedono la firma a
Mosca del Trattato sullo stato finale della Germania
del 12 settembre 1990. La documentazione storica
descrive una situazione complessa che cercherò di
rendere comprensibile a tutti.
La prima tesi: l’Ucraina nella Nato
Inizierò dalla vera storia del processo di
inclusione dell’Ucraina nella Nato. Molti credono
che quel processo sia iniziato con il summit della
Nato di Bucarest dal 2 al 4 aprile 2008.
Non è così.
Il 13 ottobre 1994 Anthony Lake, consigliere per
la sicurezza nazionale (1993-1997), consegnò un

211
documento a Bill Clinton in cui spiegava che la
Nato avrebbe fatto bene a inglobare i Paesi baltici e
l’Ucraina. Clinton approvò l’idea con una nota
scritta con la sua mano sinistra su quel foglio
(Clinton è mancino): “Looks Good!”.
Come ho accennato nel primo capitolo, Mary E.
Sarotte ha pubblicato un libro che approfondisce la
questione della promessa di Baker a Gorbačëv, Not
One Inch: America, Russia, and the Making of Post-Cold
War Stalemate162. In una lezione alla Hoover
Institution del 13 novembre 2021, Sarotte ha detto:
“Una delle sorprese della mia ricerca è quanto
l’Ucraina sia stata immensamente importante” sin
dai primi anni Novanta. Trascrivo le sue parole
testuali: “That was one of the surprises of my research:
how hugely important Ukraine was from the very
beginning”163.
L’idea di assorbire l’Ucraina nella Nato non nasce
nel 2014 dopo l’invasione russa della Crimea, come
sostiene la società giornalistica filo-americana, ma
dalla volontà della Casa Bianca di estendere il suo
potere in Europa ai danni della Russia dopo lo
scioglimento dell’Unione Sovietica. La scuola del
sospetto torna nuovamente in nostro aiuto: la
decisione di includere l’Ucraina nella Nato non è

212
nata dal nobile ideale di proteggere gli ucraini dal
pericolo di un’invasione, bensì dalla sete di potere
della Casa Bianca. Dopo la dissoluzione dell’Unione
Sovietica, la Casa Bianca ha cercato di sottrarre alla
Russia la maggiore quantità possibile di quote di
potere mondiale approfittando del suo momento
di debolezza, come stiamo per vedere.
Da Clinton a Biden
Nei primi anni Novanta, Clinton decise che
l’Ucraina sarebbe entrata nella Nato, ma esortò i
suoi ufficiali a procedere con cautela per non
scatenare l’ira del Cremlino e le sue eventuali
contromosse. Tutti i presidenti americani hanno
portato avanti il progetto di Clinton, anche Trump,
che ha dato agli ucraini i Javelin nell’ottobre
2019164. Durante il suo primo mandato
presidenziale (2017-2021), Trump ha dato almeno
400 milioni di dollari all’Ucraina in assistenza
militare che il governo di Kiev ha usato nei
bombardamenti contro il Donbass. La tesi secondo
cui Trump ha promosso la pace in Ucraina durante
il suo primo mandato presidenziale non è vera.
Sotto Biden, il processo di assorbimento
dell’Ucraina nella Nato ha ricevuto una brusca

213
accelerazione.
Nel 2021 Biden ha firmato due protocolli con
Zelensky per la penetrazione militare degli Stati
Uniti in Ucraina, pubblicati sul sito della Casa
Bianca.
Il 31 agosto 2021 Lloyd Austin, segretario alla
Difesa americano, e Andrij Taran, l’allora ministro
della Difesa ucraino, hanno firmato a Washington
il “US-Ukraine Strategic Defense Framework”165,
un accordo di penetrazione degli Stati Uniti nella
difesa ucraina.
Il 10 novembre 2021, Antony Blinken, segretario
di Stato americano, e Dmytro Kuleba, ministro
degli Esteri ucraino, hanno firmato il “US-Ukraine
Charter on Strategic Partnership”166, un altro un
accordo di penetrazione della difesa americana
nella difesa ucraina.
Questi protocolli sono stati firmati per
completare il processo di trasformazione
dell’Ucraina in un membro di fatto della Nato
iniziato nel 2014.
Le esercitazioni Nato in Ucraina del 2021
Nel giugno, luglio e settembre 2021 la Nato ha
organizzato tre esercitazioni militari in Ucraina.

214
La prima esercitazione militare, denominata Sea
Breeze (brezza marina), si è svolta dal 28 giugno al
10 luglio 2021 e ha coinvolto ben 32 nazioni.
All’epoca la Nato si componeva di 30 membri, ma
l’Occidente ha voluto invitare anche alcuni Paesi
“amici”, come l’Australia. Le esercitazioni si sono
svolte nel Mar Nero e a Odessa. Il Washington Post
espresse la preoccupazione che l’esercitazione
avrebbe accresciuto le paure della Russia per
l’espansione del blocco occidentale ai suoi
confini167. L’autrice dell’articolo, Robyn Dixon,
rivelava una serie di informazioni piuttosto
preoccupanti per la tenuta della sicurezza
internazionale in Europa: informazioni non diffuse
in Italia168. Durante l’esercitazione Sea Breeze, il
cacciatorpediniere inglese HMS Defender aveva
attraversato le acque del Mar Nero, rivendicate
dalla Russia dopo l’annessione della Crimea del
2014. Non meno grave era la notizia che la marina
militare russa, stando alle dichiarazioni del
ministro della Difesa, aveva sparato alcuni colpi e
bombe di avvertimento contro gli inglesi, che però
negarono che ciò fosse accaduto. Putin rincarò la
dose affermando che il cacciatorpediniere inglese
aveva provocato la Russia intenzionalmente e che

215
la sua marina militare avrebbe potuto affondarlo se
avesse voluto. Davanti alle proteste della Russia, i
comandi della Nato replicarono con ostentata
superiorità. Il capitano Kyle Gantt disse che le
acque del Mar Nero erano acque internazionali
navigabili da tutti. Il Washington Post esprimeva la
convinzione che la Nato avesse scelto di provocare
la Russia per dimostrarle di non temere le sue
minacce in Ucraina. L’articolo spiegava quanto
fosse alta la tensione con la Russia che, tra marzo e
aprile, aveva inviato 100.000 soldati al fronte
ucraino. La portavoce del ministero degli Esteri
russo, Marija Zacharova, definiva Sea Breeze “una
provocazione della Nato per sfoggiare i muscoli” e
aggiungeva: “Mentre afferma la propria
disponibilità al dialogo, in realtà la Nato sta
deliberatamente esasperando la situazione lungo il
perimetro delle nostre frontiere, aumentando il
rischio di un incidente armato”.
La seconda esercitazione militare, denominata
Three Swords (tre spade), si è svolta a Javoriv dal 17
al 30 luglio 2021, vicino al confine con la Polonia.
Questa è stata definita dall’agenzia Reuters una
esercitazione di “ampie dimensioni”, che ha

216
coinvolto anche gli Stati Uniti, la Polonia e la
Lituania169.
La terza esercitazione militare, Rapid Trident
(tridente rapido), di nuovo a Javoriv, è iniziata il 20
settembre 2021 e ha coinvolto dodici Paesi. Nel
frattempo, anche la Russia svolgeva esercitazioni
militari sempre più imponenti con la Bielorussia.
Una di queste, Zapad-21, iniziata il 10 settembre
2021, ha coinvolto la cifra impressionante di
200.000 soldati170. Tutto precipitava.
Il 13 aprile 2022 il Wall Street Journal ha rivelato
che la Nato ha addestrato 10.000 soldati ucraini
all’anno a partire dal 2014 nell’articolo intitolato “Il
successo militare dell’Ucraina: anni di
addestramento Nato”171. Quest’articolo ha fornito la
conferma che l’Ucraina è stata trasformata in un
membro di fatto della Nato a partire dal 2014.
Prima di assorbire un nuovo Stato, la Casa Bianca
lo rende “interoperabile” (questo è il termine
tecnico usato dalla Nato). Nel periodo
dell’interoperabilità, lo Stato aspirante conduce
esercitazioni militari con la Nato e acquisisce i suoi
armamenti diventando un suo membro di fatto.
Molti giornalisti filo-americani credono che gli
Stati inizino a integrarsi nella Nato dopo essere

217
diventati suoi membri, ma è vero esattamente il
contrario. L’ingresso ufficiale nella Nato è soltanto
un atto formale; è la fine del percorso di inclusione
e non il suo inizio.
La seconda tesi: Svezia e Finlandia nella Nato
La seconda tesi del giornalismo filo-americano è
che la Finlandia e la Svezia hanno deciso di entrare
nella Nato dopo l’invasione russa dell’Ucraina del
24 febbraio 2022. La conclusione dei giornalisti
filo-americani è che la “colpa” dell’ampliamento
della Nato ai confini della Russia è di Putin. In
questa narrazione, Putin sarebbe uno sprovveduto
che ha costretto la Finlandia e la Svezia a entrare
nella Nato.
La Casa Bianca ha avviato il processo di
inclusione nella Nato di Finlandia e Svezia molti
anni prima dell’invasione russa dell’Ucraina del 24
febbraio 2022.
Le prove sono numerose, ad esempio Trident
Juncture, la più grande esercitazione militare della
Nato dopo il 1991, svolta in Norvegia tra ottobre-
novembre 2018. Il New York Times colse
perfettamente che la Finlandia, partecipando a
Trident Juncture 2018, rischiava di scatenare l’ira

218
della Russia. Ecco che cosa scriveva il New York
Times il 31 ottobre 2018: “La Finlandia, sebbene
non sia membro della Nato, questa settimana ha
rischiato l’ira russa inviando truppe in Norvegia
per unirsi alle forze americane che prendono parte
a Trident Juncture, la più grande esercitazione
militare della Nato dalla fine della guerra fredda
nel 1991”172.
L’esercitazione Trident Juncture 2018 è stata
condotta sotto lo scenario dell’articolo 5, l’articolo
sulla difesa collettiva del Trattato della Nato. Fu la
Nato stessa ad annunciare la partecipazione di
Svezia e Finlandia sul suo sito, l’11 giugno 2018. Ho
seguito gli sviluppi del processo di inclusione di
Svezia e Finlandia nella Nato quotidianamente
quando ero direttore dell’Osservatorio sulla
sicurezza internazionale della Luiss (2016-2022).
Ho registrato tutte le loro mosse.
Quando il Senato mi ha convocato per parlare
della crisi in Ucraina, il 4 dicembre 2018, sapevo
che quei due Paesi erano nella Nato da un pezzo.
Dissi ai senatori della commissione Affari esteri
che la situazione al confine russo-ucraino era
gravissima e pericolosissima perché ero a
conoscenza del processo di assorbimento di tutta

219
l’Europa nella Nato, deciso nel 1994 da Clinton e
perseguito da tutti i presidenti dopo di lui. In
Senato dissi che gli interessi nazionali degli italiani
erano a rischio perché l’invasione dell’Ucraina
avrebbe costretto l’Italia ad aderire alle sanzioni
americane contro la Russia, danneggiando la
nostra economia.
La Nato ha dichiarato, ufficialmente, che
l’Ucraina sarebbe diventata un suo membro nel
summit di Bucarest dell’aprile 2008. Ma non è
questo l’anno in cui la Casa Bianca ha deciso di
assorbire l’Ucraina. Come sappiamo, la decisione
fu presa da Clinton nel 1994. Nel summit della
Nato a Bucarest dell’aprile 2008 George W. Bush si
è limitato a ricercare il consenso degli europei
verso una decisione presa quattordici anni prima
da Clinton, per dare una parvenza democratica alla
gestione oligarchica della Nato, egemonizzata dagli
Stati Uniti.
La storia è mossa da minoranze organizzate. La
storia della Nato in Europa dopo il crollo del Muro
di Berlino è stata fatta prevalentemente dalla Casa
Bianca. Anche quando le masse sembrano essere le
protagoniste assolute del mutamento politico, la
ricerca storica rivela sempre il ruolo

220
preponderante di qualche minoranza organizzata
nelle proteste popolari173.
La strategia per manipolare l’opinione pubblica è
sempre la stessa: far credere che il processo di
inclusione nella Nato sia radicato nella volontà dei
popoli. I documenti dimostrano che, anche nel caso
di Svezia e Finlandia, si è trattato di un processo
oligarchico e non democratico. Non a caso la
premier svedese, Magdalena Andersson, ha
bocciato la proposta di un referendum sull’ingresso
nella Nato avanzata da Nooshi Dadgostar, leader del
partito di sinistra Vänsterpartiet. Il 28 aprile 2022
Andersson ha definito una “cattiva idea” il
referendum sulla Nato: “Ci sono molte
informazioni di sicurezza nazionale che sono
confidenziali; pertanto, ci sono domande
importanti in un referendum di questo tipo che
non possono essere discusse e fatti importanti che
non possono essere messi sul tavolo”174.
Anche il presidente della Finlandia, Sauli
Niinistö, si era opposto a un referendum
sull’adesione alla Nato, il 1° aprile 2022175.
È sempre la scuola del sospetto ad aiutarci a
distinguere la realtà dalla fantasia. La realtà del
processo di inclusione nella Nato è oligarchica; la

221
fantasia è democratica. La Casa Bianca decide quali
nuovi Paesi possono entrare nella Nato. Ai popoli
viene lasciata soltanto l’illusione di decidere e, in
alcuni casi, nemmeno quella.
La teoria delle élites
Ciò che abbiamo detto finora fornisce una
nuova conferma alla teoria delle élites di Mosca,
Pareto e Michels: la storia è mossa da minoranze
organizzate che detengono il potere politico.
La decisione di trasformare l’Ucraina in un
membro di fatto della Nato non è stata presa dal
popolo ucraino; è stata presa da una cerchia
ristretta di persone: Clinton e il suo gruppo
dirigente. Successivamente, questa oligarchia ha
lavorato per orientare il popolo ucraino nella
direzione congeniale al suo disegno geopolitico
attraverso un processo complesso, intricato, pieno
di passi avanti e di battute d’arresto, fino
all’invasione russa dell’Ucraina.
Quindi le minoranze organizzate decidono e i
popoli eseguono?
No, il meccanismo concepito dai teorici delle
élites non è così semplicistico e superficiale.
Vilfredo Pareto ha spiegato che la storia è piena di

222
casi in cui i governanti prendono decisioni per
ottenere l’effetto X, ritrovandosi a conseguire
indirettamente l’effetto Y che non avevano né
previsto né voluto. Per dirla nel modo più semplice
possibile, Clinton non muove gli ucraini come
burattini senza volontà. Il mutamento storico è un
fatto complesso pieno di protagonisti e di
imprevisti. Le oligarchie decidono, ma i loro piani
possono fallire o dare risultati subottimali a causa
dello scontro con le oligarchie rivali che
perseguono progetti alternativi o per accadimenti
imprevedibili. In altri casi, l’élite governante
consegue risultati non desiderati perché si scontra
con i suoi rivali interni. Per gli elitisti, la storia non
è una storia di lotte di classi, cioè di maggioranze;
la storia è una storia di lotte di minoranze, una
storia di lotte tra le élites politiche.
La teoria delle élites non afferma che tutto ciò che
è accaduto nella storia è stato deciso a tavolino da
una minoranza organizzata. La teoria delle élites
afferma, ben diversamente, che le minoranze
organizzate prendono decisioni valevoli per
milioni di persone, come la decisione di avviare il
processo di inclusione dell’Ucraina nella Nato.
Dopodiché, la storia segue un corso talvolta

223
imprevedibile dando spesso esiti opposti a quelli
auspicati. Le azioni delle oligarchie sono
intenzionali, ma gli effetti delle loro azioni sono
inintenzionali. L’oligarchia nazista aveva progettato
l’invasione della Polonia, ma non aveva progettato
lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel
1994 Clinton aveva progettato di assorbire
l’Ucraina nella Nato, ma non aveva progettato
l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel
2022. La teoria delle élites si limita a dire che la
storia è mossa dalle oligarchie ed è forgiata dallo
scontro tra di loro per la conquista e la
conservazione del potere. La teoria delle élites è
una teoria del potere. Il potere politico è quel
potere che ha la facoltà di prendere decisioni
vincolanti per un’intera comunità. Nel caso della
Casa Bianca, questo potere di decidere per tutti
oltrepassa i confini americani. Essendo alla guida
di una superpotenza che domina l’intero emisfero
occidentale, la Casa Bianca è in grado di prendere
decisioni valevoli anche per gli italiani. Nel caso del
conflitto con la Russia in Ucraina, la Casa Bianca ha
preso decisioni valevoli per tutti gli europei.

224
La terza tesi: il memorandum di Budapest del
1994
Mi occupo, adesso, delle testate nucleari che
l’Ucraina consegnò alla Russia. Gli Stati Uniti
esercitarono pressioni fortissime sull’Ucraina
affinché consegnasse le testate nucleari alla Russia.
Perché?
L’Ucraina divenne indipendente nel 1991.
Ereditando circa 1.900 testate nucleari strategiche
dell’Unione Sovietica, 176 missili balistici
intercontinentali, 44 bombardieri strategici e
centinaia di missili da crociera a propulsione
nucleare lanciati da aerei176, l’Ucraina era diventata
di colpo la terza potenza nucleare più grande del
mondo. Per gli Stati Uniti era inaccettabile.
Quando Bush perse le elezioni contro Clinton nel
novembre 1992, il suo segretario di Stato, James
Baker, era disperato per le testate nucleari in mano
agli ucraini in cui vedeva una minaccia
incontrollata. Baker spiegò alla nuova
amministrazione Clinton quanto fosse importante
privare gli ucraini delle testate nucleari.
E poi?
Dopo l’indipendenza, gli ucraini furono colpiti
da una terribile crisi economica dai tragici risvolti
225
umanitari. La Casa Bianca disse agli ucraini che
avrebbero ricevuto gli aiuti economici americani
se avessero rinunciato alle testate nucleari. Gli
americani dissero agli ucraini che sarebbero stati
considerati alla stregua di uno Stato canaglia come
la Corea del Nord se avessero tenuto per sé le
testate nucleari, come ha ricordato Mary E. Sarotte
in una conferenza all’Academy of Fine Arts di
Vienna del 10 ottobre 2023. Gli ucraini si divisero.
I recalcitranti cedettero per fame. Questo condusse
al memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994,
con cui gli ucraini trasferirono le testate nucleari
alla Russia e la Russia si impegnò a rispettare la
loro integrità territoriale.
È della massima importanza ricordare che la
Nato, con il bombardamento illegale della Serbia
del 1999, si trasformò da organizzazione difensiva
in organizzazione offensiva. A partire dal 1999, la
Nato si è espansa verso il confine russo nella sua
nuova veste bellicosa. Putin e Gorbačëv hanno
conosciuto due Nato diverse. Gorbačëv ha
conosciuto la Nato difensiva; Putin quella
offensiva. Il cambiamento della natura della Nato
ha causato un drastico peggioramento dei rapporti
tra la Russia e l’Occidente. Da Clinton in poi, non

226
soltanto la Nato si è avvicinata sempre di più al
confine della Russia; si è avvicinata come
organizzazione offensiva pronta a violare il diritto
internazionale con le bombe per perseguire i
propri fini, come è accaduto nei Balcani nel 1999 e
in Libia nel 2011.
“Non un centimetro a est”
È vero che il 9 febbraio 1990 Baker promise a
Gorbačëv che la Nato non si sarebbe spostata di un
centimetro dalla Germania dell’Ovest se il
Cremlino avesse autorizzato la riunificazione delle
due Germanie? È giunto il momento di
approfondire questo tema.
Il 9 novembre 1989 cadde il Muro di Berlino. La
Germania e gli Stati Uniti avviarono una trattativa
con Gorbačëv, presidente dell’Unione Sovietica,
per ottenere il suo assenso alla riunificazione
pacifica della Germania. L’Unione Sovietica aveva
600.000 soldati in Germania dell’Est. Come
convincere Gorbačëv a ritirarli?
I protagonisti principali della storia della
promessa a Gorbačëv sono: James Baker, segretario
di Stato americano (1989-1993); George H.W. Bush,
presidente americano (1989-1993); Helmut Kohl,

227
cancelliere tedesco (1982-1998); Hans-Dietrich
Genscher, ministro degli Esteri e vice-cancelliere
tedesco (1982-1992); Eduard Shevardnadze,
ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica (1985-
1990).
Baker fu l’uomo che trattò con Gorbačëv. Baker
incontrò Gorbačëv al Cremlino, il 9 febbraio 1990,
e gli disse: “La Nato non si muoverà di un
centimetro a est rispetto alla sua posizione attuale”.
La “posizione attuale” della Nato, nel febbraio
1990, era la Germania dell’Ovest.
Possiamo essere certi che Baker abbia detto
quella frase?
Sì, la frase si trova nei documenti desecretati dal
dipartimento di Stato americano che citerò in nota
a tempo debito. I documenti da cui cito sono
disponibili anche sul sito del National Security
Archive, che ha sede presso la George Washington
University. Svetlana Savranskaya e Tom Blanton
hanno pubblicato le trascrizioni declassificate di
tutti gli incontri tra Gorbačëv, Reagan e Bush nel
loro The Last Superpower Summits177(2016).
Nell’incontro al Cremlino del 9 febbraio 1990,
Baker rassicurò Gorbačëv con queste parole
inequivocabili:

228
Voglio che tu sappia che una cosa è certa. Né il
presidente [Bush] né io intendiamo trarre alcun
vantaggio unilaterale in questo processo. […] Noi
comprendiamo il bisogno di garanzie ai Paesi
dell’Est. Se noi manteniamo una presenza in
Germania che è parte della Nato, non ci sarebbe
alcuna estensione della giurisdizione della Nato,
per le forze della Nato un solo centimetro a est. In
fin dei conti, se questo è accettabile per tutti,
potremmo avere una discussione in un contesto di
due [governi] più quattro [governi] che potrebbe
raggiungere questo tipo di risultato178.

Gorbačëv rispose a Baker:


Condivido il tuo ragionamento179.

Gorbačëv disse anche:


È inutile dire che un ampliamento della zona
della Nato è inaccettabile180.

Baker rispose:
Siamo d’accordo su questo181.

Il giorno dopo, 10 febbraio 1990, Gorbačëv


ricevette le stesse rassicurazioni sulla non

229
espansione a est della Nato anche da Kohl, il quale
disse al presidente dell’Unione Sovietica: “Noi
riteniamo che la Nato non debba espandersi oltre
la sua sfera di attività”. Genscher, ministro degli
Esteri tedesco, diede la stessa rassicurazione a
Shevardnadze, ministro degli Esteri sovietico: “Per
noi, è fermo: la Nato non si espanderà a est”.
Gorbačëv, soddisfatto di queste rassicurazioni,
accettò di procedere con il dialogo.
Attenzione: con la formula “non un centimetro a
est”, Baker non incassò il consenso di Gorbačëv alla
riunificazione delle due Germanie. Ottenne
soltanto la luce verde ad avviare il percorso
diplomatico per ottenere quel risultato: un
percorso difficile e accidentato, dove l’Occidente
ricorse prima alla dissimulazione e poi alla
corruzione, come stiamo per vedere.
Mary Sarotte: “Non fu una promessa”
E, adesso, prestiamo la massima attenzione alla
ricostruzione di Mary Sarotte, la quale, in una
conferenza alla Kyiv School of Economics (23
marzo 2022), ha dichiarato che l’invasione di Putin
è un fatto talmente ripugnante e immorale da
provocare il “voltastomaco”. Sarotte ha detto che

230
Putin usa la retorica della “promessa violata” a
Gorbačëv per giustificare la sua condotta inumana
verso gli ucraini.
Nel ricostruire la sua interpretazione, userò
cinque fonti: 1) l’articolo di Sarotte del 2014 per
Foreign Affairs “A Broken Promise? What the West
Really Told Moscow About Nato Expansion”; 2) il
suo libro 1989: The Struggle to Create Post-Cold War
Europe182 del 2009; 3) il suo libro Not One Inch183del
2021; 4) tre conferenze pubbliche tenute da Sarotte
alla Kyiv School of Economics, all’Academy of Fine
Arts di Vienna e alla Hoover Institution tra il 2021 e
il 2023; 5) un nostro scambio di e-mail del febbraio
2025.
Sarotte sostiene che Baker non fece alcuna
promessa sulla non espansione della Nato a
Gorbačëv giacché il suo discorso fu ipotetico: “Che
cosa ne dici se la Nato non si muove di un
centimetro a est?”.
Sarotte poggia questa interpretazione su una
lettera segreta per Kohl che Baker lasciò
all’ambasciatore della Germania Ovest a Mosca,
conservata negli archivi tedeschi. In quella lettera,
Baker spiegava a Kohl di aver posto la formula
della non espansione della Nato a est sotto forma

231
di domanda e non sotto forma di promessa. Baker
disse a Gorbačëv: “Preferiresti vedere una
Germania unita fuori dalla Nato, indipendente e
senza forze statunitensi, oppure preferiresti una
Germania unita legata alla Nato, con la garanzia
che la giurisdizione della Nato non si sposterebbe
di un centimetro verso est dalla sua posizione
attuale?”184.
Questa interpretazione di Sarotte solleva
immediatamente un problema metodologico e un
problema documentale.
Il problema metodologico: quando trattiamo il
tema della promessa a Gorbačëv, l’unica cosa che
conta è ciò che Baker disse a Gorbačëv e non ciò
che Baker disse a Kohl. Stiamo discutendo della
promessa di Baker a Gorbačëv del 9 febbraio 1990
e non di ciò che Baker ha detto ad altre persone
riguardo alla sua promessa a Gorbačëv.
Il problema documentale: leggendo i documenti
desecretati dal governo americano, la
rassicurazione di Baker a Gorbačëv del 9 febbraio
1990 a Mosca sulla non espansione della Nato a est
non appare in forma ipotetica. Il 9 febbraio 1990 a
Mosca Baker disse a Gorbačëv di avere capito
perfettamente che il Cremlino non avrebbe

232
accettato il dialogo sulla riunificazione delle due
Germanie senza la garanzia della non espansione
della Nato dalla Germania dell’Ovest alla Germania
dell’Est. Come abbiamo visto sopra, nell’incontro
del 9 febbraio 1990 Gorbačëv disse a Baker: “È
inutile dire che un ampliamento della zona della
Nato è inaccettabile”. Baker rispose: “Siamo
d’accordo su questo”. Questo scambio non ha
niente di ipotetico.
Ma andiamo avanti con il racconto contenuto nel
sesto capitolo del libro di Sarotte Not One Inch.
Ma Bush si oppose…
Il 9 febbraio 1990 Baker fece la sua promessa a
Gorbačëv. Ma tutto si complicò tremendamente
quando Baker riferì a Bush di avere ammansito
Gorbačëv con la formula: “Non un centimetro a est
dalla sua posizione attuale”.
Bush disapprovò la formula e proibì a Baker di
ripeterla in futuro giacché non voleva precludersi
la possibilità di espandere la Nato verso la Russia
dopo la riunificazione della Germania. D’altra
parte, Bush riteneva assurdo che la Germania, una
volta riunificata, fosse per metà dentro la Nato (la
parte occidentale) e per metà fuori (la parte

233
orientale). Baker era stato sconfessato dal
presidente degli Stati Uniti in persona. Baker disse
ai suoi alleati di non usare più la formula: “Non un
centimetro a est”. Il problema è che Baker non
disse niente a Gorbačëv; non gli disse che Bush
aveva deciso di non dare alcuna garanzia alla
Russia sulla non espansione della Nato oltre la
Germania dell’Est. In un incontro a Camp David
del 24 febbraio 1990, Bush disse a Kohl che i
sovietici avevano perso e che avrebbero dovuto
accettare il loro ruolo di sconfitti senza pretendere
troppe concessioni dalla Nato.
Ma come dirlo a Gorbačëv?
Sarotte, nel suo articolo del 2014 per Foreign
Affairs, scrive che gli occidentali superarono
Gorbačëv “in astuzia”.
Da perfetti allievi di Machiavelli, Bush e Kohl
decisero di non essere trasparenti con Gorbačëv,
altrimenti la trattativa sarebbe morta sul nascere. I
due valutarono la possibilità di corrompere
Gorbačëv con le “mazzette”. Nell’aprile 1990 Bush
inviò un messaggio al presidente della Francia,
Mitterrand, dicendogli che la Nato non avrebbe
dovuto accettare le richieste di Gorbačëv sulla non
espansione della Nato.

234
Con il passare delle settimane, Gorbačëv iniziò a
chiedere con insistenza che la promessa della non
espansione della Nato a est fosse formulata
ufficialmente. Baker cercò di superare l’ostacolo
con una serie di rassicurazioni verbali. Tutto ciò
che disse a Gorbačëv è che la Nato non aveva
intenzioni ostili verso la Russia. A maggio 1990
Gorbačëv mise Baker con le spalle al muro,
proponendogli l’ingresso dell’Unione Sovietica
nella Nato185. Baker respinse la proposta di
Gorbačëv come una “fantasticheria”. Gorbačëv
insistette dicendo che l’Unione Sovietica e gli Stati
Uniti erano un tempo alleati contro la Germania di
Hitler, che avevano combattuto dalla stessa parte
durante la Seconda guerra mondiale, ma Baker
alzò un muro. Il giorno dopo, Baker inviò un
telegramma a Bush dicendogli che Gorbačëv aveva
accusato, “per la prima volta”, gli Stati Uniti di
approfittare del momento di difficoltà dell’Unione
Sovietica.
Il 22 maggio 1990 Gorbačëv rilasciò un’intervista
al Times, in cui disse che per i sovietici: “La Nato è
associata alla guerra fredda, […] come
un’organizzazione concepita dall’inizio per essere
ostile all’Unione Sovietica, come una forza che

235
eccita la corsa agli armamenti e il pericolo della
guerra”. Gorbačëv aggiunse che la Nato, nonostante
le sue rassicurazioni sulla sua trasformazione,
rimaneva un “simbolo del passato, un passato
pericoloso e di scontro”. Gorbačëv concluse con
queste parole: “Noi non accetteremo mai di dare
[alla Nato] un ruolo di guida nella costruzione di
una nuova Europa. Io voglio che noi [sovietici]
veniamo compresi chiaramente su questo”186.
Tre giorni dopo, il 25 maggio 1990, Gorbačëv
ribadì la sua opposizione all’allargamento della
Nato in una conversazione privata con Mitterrand,
appena prima di partire per Washington. Gorbačëv
disse al presidente francese che la Nato: “Non deve
entrare nella parte orientale della futura Germania
unita”187. Gorbačëv era preoccupatissimo
dell’espansione della Nato dalla Germania
dell’Ovest alla Germania dell’Est.
La Nato si è espansa verso la Russia nella piena
consapevolezza che avrebbe scatenato la rabbia del
Cremlino.
Però Gorbačëv cedette…
La domanda è: perché Gorbačëv firmò il Trattato
sullo stato finale della Germania del 12 settembre

236
1990 senza l’impegno della Nato a non espandersi
a est?
Ecco la risposta: la Nato corruppe i russi con i
marchi tedeschi. Pareto ha scritto che i mezzi per
indurre un uomo a fare qualcosa sono la forza,
l’inganno e la persuasione. Nel caso di Gorbačëv,
ha contato molto la corruzione, che è una forma di
persuasione illecita. Tuttavia, non direi che
Gorbačëv è stato “ingannato”, poiché la
documentazione storica rende evidente che
Gorbačëv aveva compreso che la Casa Bianca stava
cercando di raggirarlo. Non a caso, il Trattato sullo
stato finale della Germania rischiò di saltare il
giorno prima della firma, proprio perché Gorbačëv
aveva intuito le trame della Casa Bianca ai danni
della Russia.
Robert M. Gates (Bob Gates), vice consigliere alla
sicurezza nazionale di Bush nel 1990, ha raccontato
che la Casa Bianca usò una strategia basata sulla
corruzione per vincere le resistenze di Gorbačëv.
Gates ha chiamato questa strategia per ottenere il sì
di Gorbačëv “To bribe the Soviets out”188. Nella lingua
inglese, bribe significa “mazzetta”, “bustarella”,
“tangente”, “somma di denaro usata per
corrompere”. Gates sarebbe poi diventato

237
segretario alla Difesa sotto George W. Bush e pure
sotto Obama. Fu la Germania ad assumersi questo
costo economico. Gorbačëv aveva un disperato
bisogno di soldi. In un messaggio del maggio 1990
indirizzato a Washington, l’ambasciatore
americano a Mosca, Jack Matlock, scriveva: “I
segnali di crisi sono legioni”. Secondo Matlock,
Gorbačëv era sensibile ai soldi occidentali perché
la Russia stava crollando internamente. Per dare
un’idea del bisogno di soldi della Russia, Gorbačëv,
il giorno dopo la firma del Trattato, chiese a Baker
un prestito di un miliardo di dollari. Baker declinò.
Putin, che era un ufficiale del Kgb in Germania
dell’Est quando il Muro di Berlino cadeva, fu
deluso e amareggiato dalla condotta cedevole di
Gorbačëv verso la Nato. Putin ha sempre ritenuto
che la Russia non avrebbe dovuto fidarsi della Nato
perché l’Occidente usa l’inganno, la menzogna e la
dissimulazione come strategia abituale nella
gestione delle relazioni diplomatiche.
Le mie e-mail con Sarotte (febbraio 2025)
C’è un’altra questione cruciale di cui dobbiamo
occuparci.

238
Sarotte, nella conferenza alla Kyiv School of
Economics del 23 marzo 2022, ha affermato che il
Trattato sullo stato finale della Germania del 12
settembre 1990 riconosce esplicitamente il diritto
della Nato di espandersi a est verso la Russia.
Sorpreso da questa affermazione, ho condotto le
mie ricerche, ma non ho trovato conferme
leggendo il Trattato.
Procederò con ordine, iniziando dalle parole
testuali pronunciate da Sarotte nella conferenza
alla Kyiv School of Economics del 23 marzo 2022.
Secondo Sarotte: “L’accordo finale
sull’unificazione della Germania, firmato nel
settembre 1990, non prevede alcun tipo di
impegno nei confronti della Nato, anzi prevede il
contrario. Quel trattato consente espressamente
alla Nato di espandere il suo articolo 5 oltre la linea
della guerra fredda e nella Germania orientale”.
Trascrivo le parole di Sarotte in inglese per amore
della precisione: “The final settlement on the
unification of Germany, which is signed in September
1990, does not include any kind of pledge about Nato, in
fact it includes the opposite. That treaty expressly allows
Nato to expand its article 5 across the Cold War line and
into eastern Germany”189.

239
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Sarotte ha
espresso la stessa idea all’Academy of Fine Arts di
Vienna (10 ottobre 2023): “C’è un trattato sulla
riunificazione tedesca che chiarisce che la Nato
può allargarsi e Mosca non solo ha firmato quel
trattato, non solo lo ha ratificato, ma ha incassato
l’assegno relativo e questo è qualcosa che Putin
ignora”. Ancora una volta, trascrivo le parole di
Sarotte in inglese: “There is a treaty on German
reunification that makes clear Nato can enlarge and
Moscow not only signed that treaty, not only ratified it,
but cashed the associated check and this is something that
Putin ignores”190.
Il Trattato sullo stato finale della Germania del 12
settembre 1990 è disponibile sul sito dell’Onu. L’ho
scaricato e letto191. La parola “Nato” non compare
da nessuna parte. Non sono riuscito a trovare un
brano nel Trattato sullo stato finale della Germania
del 12 settembre 1990 che riconosca alla Nato il
diritto di assorbire l’attuale Polonia, Ungheria,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria,
Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Svezia,
Ucraina.
Domenica 23 febbraio 2025 ho scritto una e-mail
gentilissima a Sarotte per complimentarmi per il

240
suo lavoro e chiederle un chiarimento. Le ho
chiesto di indicarmi l’articolo del Trattato sullo
stato finale della Germania del 12 settembre 1990
che giustifica la sua frase sul diritto della Nato a
espandersi a est verso la Russia, pronunciata alla
conferenza presso la Kyiv School of Economics il
23 marzo 2022. Per essere preciso, nell’e-mail a
Sarotte ho riportato anche la frase su cui la
interrogavo: “Quel trattato consente espressamente
alla Nato di espandere il suo articolo 5 oltre la linea
della guerra fredda e nella Germania orientale”.
Sarotte mi ha risposto dopo tre ore.
Anziché indicarmi un brano del Trattato sullo
stato finale della Germania, come mi aspettavo,
Sarotte mi ha invitato a leggere le pagine 97-105
del suo libro Not One Inch. Le avevo già lette e le ho
rilette, ma non ho trovato il riconoscimento da
parte di Gorbačëv del diritto della Nato a
espandersi verso la Russia muovendo dalla
Germania dell’Ovest. Nelle pagine 97-105 del suo
Not One Inch, Sarotte spiega che il Trattato sullo
stato finale della Germania del 12 settembre 1990
contiene un’aggiunta finale importantissima che
quasi tutti ignorano (agreed minute). L’ho letta, ma

241
nemmeno quell’aggiunta finale riconosce alla Nato
il diritto di espandersi in Europa verso la Russia.
Devo pregare il lettore di seguirmi con la
massima attenzione.
L’aggiunta finale al Trattato sullo stato finale
della Germania
Per capire l’aggiunta finale, occorre conoscere
l’articolo 5 del Trattato sullo stato finale della
Germania, giacché l’aggiunta finale è stata
concepita per integrare l’articolo 5 con un
chiarimento.
Che cosa dice l’articolo 5 e che cosa c’era da
chiarire?
L’articolo 5 paragrafo 3 del Trattato sullo stato
finale della Germania proibisce al governo tedesco
di collocare sul territorio della Germania dell’Est
(to deploy) soldati non tedeschi e vettori nucleari:
“Le forze armate straniere e le armi nucleari o i
loro vettori non saranno di stanza in quella parte
della Germania né vi saranno schierati”.
Riporto l’articolo 5 paragrafo 3 del Trattato sullo
stato finale della Germania in italiano e in inglese,
per non avere dubbi:

242
Dopo il ritiro completo delle forze armate
sovietiche dal territorio dell’attuale Repubblica
Democratica Tedesca e di Berlino, unità
dell’esercito tedesco assegnate alla struttura
dell’alleanza militare potranno essere posizionate
anche in quella parte della Germania, allo stesso
modo di quelle presenti nel resto del territorio
tedesco, ma senza vettori di armi nucleari. Ciò non
si applica ai sistemi d’arma convenzionali che
possono avere altre capacità oltre a quelle
convenzionali ma che in quella parte della
Germania sono attrezzati per un ruolo
convenzionale e designati solo per esso. Le forze
armate straniere e le armi nucleari o i loro vettori
non saranno di stanza in quella parte della
Germania né vi saranno schierati.

Ecco l’articolo 5 del Trattato sullo stato finale


della Germania in lingua inglese:
Following the completion of the withdrawal of the
Soviet armed forces from the territory of the present
German Democratic Republic and of Berlin, units of
German armed forces assigned to military alliance
structure in the same way as those in the rest of German
territory may also be stationed in that part of Germany,
243
but without nuclear weapon carriers. This does not
apply to conventional weapon systems which may have
other capabilities in addition to conventional ones but
which in that part of Germany are equipped for a
conventional role and designated only for such. Foreign
armed forces and nuclear weapons or their carriers will
not be stationed in that part of Germany or deployed
there192.

Se ci limitiamo a leggere l’articolo 5, il discorso


sembra chiuso: il Trattato sullo stato finale della
Germania del 12 settembre 1990 non riconosce il
diritto della Nato a espandersi in Europa dell’Est.
Ma Sarotte, con un colpo di scena storiografico,
spiega che Gorbačëv ha riconosciuto il diritto della
Nato a espandersi in Europa dell’Est nell’aggiunta
finale al Trattato.
Che cosa dice questa aggiunta finale che integra
l’articolo 5?
Come ho anticipato, nemmeno l’aggiunta finale
al Trattato riconosce il diritto della Nato a
espandersi in Europa fino alla Russia.
Leggiamo l’aggiunta finale:
Tutte le questioni riguardanti l’applicazione della
parola “schierato” come utilizzata nell’ultima frase
244
del paragrafo 3 dell’articolo 5 saranno decise dal
governo della Repubblica Federale di Germania in
modo razionale e responsabile, tenendo conto
degli interessi di sicurezza di ciascuna Parte
contraente, come stabilito nel preambolo.

Leggiamo l’aggiunta finale al Trattato anche in


inglese per non avere dubbi:
Any questions with respect to the application of the
word “deployed” as used in the last sentence of
paragraph 3 of Article 5 will be decided by the
Government of the united Germany in a reasonable
and responsible way taking into account the security
interests of each Contracting Party as set forth in the
preamble193.

Questa aggiunta finale stabilisce che la Germania


dovrà sempre tenere in conto gli interessi
dell’Unione Sovietica e, quindi, della Russia,
quando decide che cosa fare in Germania dell’Est
sotto il profilo militare. L’aggiunta finale lascia
nell’ambiguità la parola “schierato” per concedere
al governo tedesco una relativa libertà di agire in
Germania dell’Est. Il governo tedesco avrebbe
potuto consentire ai soldati non tedeschi, per
245
esempio americani, di varcare il confine della
Germania dell’Est, ma non avrebbe potuto
consentire ai soldati non tedeschi di stazionare
stabilmente in Germania dell’Est; insomma, niente
basi della Nato.
Farò un esempio per chiarire quanto sia ambigua
questa aggiunta finale.
Immaginiamo che il governo tedesco consenta a
10.000 soldati americani di attraversare il suo
confine per andare in Polonia. Ecco la domanda
delle domande: in base al Trattato, questi 10.000
soldati americani sono “schierati” in Germania
dell’Est oppure sono soltanto di passaggio? Se i
soldati americani sono “schierati” in Germania
dell’Est, allora il Trattato sullo stato finale della
Germania è violato. Se sono di passaggio, non è
violato.
Gorbačëv lasciò questo punto nell’ambiguità,
altrimenti non avrebbe ottenuto i soldi che
chiedeva alla Germania. Anche Kohl lasciò tutto
nell’ambiguità, altrimenti non avrebbe ottenuto la
riunificazione.
Quale fu l’uomo che propose di risolvere il
problema in questo modo tanto ambiguo con
quell’aggiunta finale al Trattato?

246
L’accordo che portò all’aggiunta finale fu preso a
porte chiuse dal ministro degli Esteri russo,
Shevardnadze, e da quello tedesco, Genscher, la
sera dell’11 settembre 1990. Genscher si trovò in
grande difficoltà. Da una parte, era pressato dagli
americani che volevano un riconoscimento scritto
del diritto della Nato a espandersi. Dall’altra, era
pressato da Gorbačëv che voleva un impegno
scritto alla non espansione della Nato.
Quando la notte sopraggiunse, i sovietici
capirono che la Nato era divisa e furono sul punto
di far saltare il Trattato. In preda al panico,
Genscher si precipitò all’una di notte nell’hotel di
Baker, che dormiva sotto gli effetti di un drink
molto alcolico194. Quella notte, Baker e Genscher
concordarono di scrivere l’aggiunta finale che oggi
chiude il Trattato sullo stato finale della Germania.
In sintesi, Baker si accordò prima con
Shevardnadze e poi chiese luce verde a Baker in
piena notte.
Nel 1990 Bush progettava di assorbire la Polonia
nella Nato, cosa che sarebbe accaduta nel 1999
sotto Clinton. Era necessario che i soldati
americani passassero in Germania dell’Est per
stabilire le loro basi in Polonia. Nelle parole di

247
Sarotte: “Quell’aggiunta servì come conferma
scritta che, dopotutto, le truppe straniere della
Nato potevano oltrepassare la linea della guerra
fredda”195.
Questa conclusione di Sarotte mi sembra
corretta.
Non mi sembra corretta, invece, la frase che
Sarotte ha pronunciato nella sua conferenza alla
School of Economics di Kiev, secondo cui:
“L’accordo finale sull’unificazione della Germania,
firmato nel settembre 1990 […] consente
espressamente alla Nato di espandere il suo articolo 5
oltre la linea della guerra fredda e nella Germania
orientale”.
Le interpretazioni, per quanto basate sui
documenti, sono sempre soggettive. Tuttavia, è un
fatto che il Trattato finale sullo stato della
Germania del 12 settembre 1990 non riconosce
“espressamente” alla Nato il diritto di includere
tutti i Paesi dell’Europa dell’Est nel suo seno. Di
certo non riconosce un simile diritto
“espressamente”, giacché l’addendum è
caratterizzato dall’ambiguità e non dalla chiarezza.
Un diritto non è mai riconosciuto “espressamente”
se non cita espressamente il suo titolare. E, nel caso

248
del Trattato finale sullo stato della Germania, la
parola “Nato” non compare mai.
Dopo la firma del Trattato, Kohl vinse le elezioni,
Gorbačëv ebbe il premio Nobel per la pace e Bush
ebbe l’espansione della Nato in Europa dell’Est.
Gorbačëv fu contestato dai russi per non aver
difeso gli interessi della Russia adeguatamente
contro l’Occidente. Fu contestato pure dai suoi
generali, i quali condussero un test nucleare per
sbiadire il premio Nobel per la pace di Gorbačëv.
L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, o
URSS, ufficialmente costituita il 30 dicembre 1922,
fu sciolta l’8 dicembre 1991 con l’accordo di
Belavezha tra Ucraina, Russia e Bielorussia.
L’Unione Sovietica scomparve, lasciando molti
problemi irrisolti dietro di sé.
Gorbačëv era molto preoccupato
Nella sua e-mail, Sarotte mi ha chiesto la
gentilezza di citare il contenuto delle pagine 97-105
del suo Not One Inch in questo mio nuovo libro196.
Nell’e-mail le avevo infatti spiegato che le stavo
chiedendo un chiarimento per scrivere questo
capitolo. Sono lieto di accontentarla anche perché

249
si tratta di pagine importanti per capire meglio la
vicenda della promessa di Baker a Gorbačëv.
Le pagine 97-105 si concentrano sui dialoghi tra
Gorbačëv e la diplomazia americana e tedesca nel
settembre 1990, pochi giorni prima della firma a
Mosca del Trattato sullo stato finale della
Germania. I punti fondamentali che emergono da
questo paragrafo di Not One Inch, intitolato
“September struggle”, sono i seguenti.
In primo luogo, emerge la grandissima
preoccupazione di Gorbačëv che la Nato avrebbe
approfittato del suo assenso alla riunificazione
delle due Germanie per espandersi verso la Russia.
Gorbačëv era atterrito che la Nato potesse piazzare
le sue armi nella Germania orientale. I russi erano
spaventati di qualunque cosa la Nato potesse fare,
anche soltanto respirare, nella Germania dell’Est.
Figuriamoci in Ucraina.
Emerge anche che la Casa Bianca, da una parte,
rassicurava Gorbačëv sulla sua non-espansione;
dall’altra parte, progettava di espandere la Nato
verso la Russia. Sarotte arriva addirittura a scrivere
che, per Bush, la riunificazione della Germania
aveva importanza soltanto in funzione
dell’espansione della Nato verso la Russia; scrive

250
anche che Bush era pronto a far saltare gli accordi
nel caso in cui il Trattato sullo stato finale della
Germania del 12 settembre 1990 avesse proibito
esplicitamente alla Nato di espandersi in Europa.
La riunificazione della Germania non aveva un
valore in sé per Bush. Nella visione geopolitica di
Bush, era soltanto un mezzo per raggiungere un
fine: l’espansione della Nato verso la Russia. Tant’è
vero che Bush non si presentò alla cerimonia per la
riunificazione della Germania, il 3 ottobre 1990,
nonostante gli inviti insistenti di Kohl.
Il terzo punto che emerge da queste pagine di
Not One Inch è che, a partire dall’agosto 1990, la
riunificazione della Germania perse molta
importanza per Bush a causa dell’invasione del
Kuwait da parte di Saddam Hussein con i suoi
150.000 soldati. Alcuni studiosi, ad esempio
Angela Stent, hanno affermato che la Germania,
quasi certamente, non si sarebbe riunificata se
Saddam Hussein avesse invaso il Kuwait in un
momento diverso. Se il Muro di Berlino fosse
caduto poco dopo lo scoppio della guerra del
Golfo, la riunificazione della Germania sarebbe
stata molto più difficile o forse impossibile: “In

251
questo caso – ha scritto Stent – il tempo è stato
essenziale”197.
Il quarto punto che emerge dalle pagine 97-105
di Not One Inch è che Gorbačëv attribuì
un’importanza enorme ai soldi promessi
dall’Occidente in cambio del suo assenso alla
riunificazione della Germania.
La trattativa si bloccò la prima volta sui soldi.
Gorbačëv chiedeva una somma smisurata, 36
miliardi di marchi tedeschi, mentre Kohl era
disposto a dare soltanto 6 miliardi. Alla fine, si
misero d’accordo dopo molte tensioni. Gorbačëv
accettò 12 miliardi di marchi tedeschi più 3
miliardi senza interessi.
Gorbačëv bloccò la trattativa una seconda volta
per la paura dell’espansione della Nato a est.
Una volta chiuso l’accordo sui soldi, Gorbačëv
continuava a essere inflessibile sulla sua richiesta
che non ci fossero truppe non tedesche nella
Germania dell’Est. Le preoccupazioni di Gorbačëv
per l’espansione della Nato erano talmente grandi
che l’11 settembre 1990, il giorno precedente alla
firma, il Trattato non era ancora pronto. Il
vicecancelliere della Germania era furioso con i
suoi alleati occidentali. Genscher temeva che gli

252
accordi con la Russia sarebbero saltati per
l’impuntatura di Bush. Genscher avrebbe voluto
dare garanzie scritte a Gorbačëv sulla non
espansione della Nato, ma Bush lo impediva. Kohl
aveva una gran fretta di incassare l’unificazione
anche perché voleva spendersi quel successo alle
elezioni nazionali previste per il 2 dicembre 1990.
L’espansione della Nato era talmente importante
per Bush che la Casa Bianca era disposta a rischiare
tutto, persino di far saltare la riunificazione
tedesca198. Bush fece sapere che non avrebbe mai
accettato un trattato con Gorbačëv che avesse
esplicitamente proibito alla Nato di espandersi
oltre la Germania dell’Ovest. I sovietici si
adirarono davanti alle resistenze americane. L’11
settembre 1990 comunicarono di essere pronti a
far saltare la firma degli accordi. I tedeschi erano
inclini a impegnarsi per iscritto alla non
espansione della Nato a est. Bush dovette
intervenire personalmente per impedire a Kohl di
accontentare Gorbačëv. L’aggiunta finale al Trattato
rese possibile il compromesso tra russi e
americani.
L’inganno dei realisti

253
C’è ancora qualcosa di molto importante che
dobbiamo sapere sulla storia dell’espansione della
Nato fino all’Ucraina.
Nella sua conferenza alla Hoover Institution del
12 novembre 2021, Sarotte ha spiegato che, dopo la
riunificazione tedesca del 1990, la Casa Bianca si
divise in due gruppi: gli “idealisti”, secondo cui
l’espansione della Nato avrebbe portato pace e
stabilità in Europa, e i “realisti”, secondo cui la
Russia non avrebbe mai accettato l’espansione
della Nato verso il suo confine.
I realisti pensavano che gli idealisti fossero
“idioti” (l’espressione è di Sarotte), inconsapevoli
delle tensioni che l’espansione della Nato avrebbe
scatenato in Europa. Tuttavia, i realisti pensavano
cinicamente che i realisti fossero sì idioti, ma “utili
idioti” (l’espressione è sempre di Sarotte). I realisti
rimasero in silenzio dietro le quinte per lasciare la
scena agli idealisti. I realisti sapevano che le idiozie
degli idealisti piacevano al grande pubblico. I
realisti erano interessati soltanto a portare a casa il
risultato dell’espansione della Nato. Quindi
lasciarono che gli idealisti dicessero l’assurdità che
l’espansione della Nato avrebbe portato pace e
stabilità in Europa.

254
Sarotte ha dichiarato di essere favorevole
all’espansione della Nato. A suo dire, l’espansione
della Nato è stata una ragionevole risposta ai
problemi geopolitici dei primi anni Novanta dopo
la caduta del comunismo in Europa. Tuttavia,
Sarotte è critica verso il “come” dell’espansione,
cioè verso il modo in cui è avvenuta. Sarotte ha
detto che la Casa Bianca, terminata la guerra
fredda, ha lasciato in vita le istituzioni tipiche della
guerra fredda, la Nato, nonostante la retorica sulla
nascita di un ordine nuovo. Da una parte, c’erano i
movimenti democratici in Polonia che chiedevano
un nuovo ordine in Europa; dall’altra, c’era la Casa
Bianca che manteneva in piedi la struttura del
vecchio ordine della guerra fredda basata sulla
Nato. Le istituzioni – osserva Sarotte – resistono ai
cambiamenti: non è facile abolire
un’organizzazione complessa come la Nato una
volta che sia nata. L’Europa ha assistito alla
continuità del vecchio ordine nonostante la
dissoluzione dell’Unione Sovietica. Anche questa è
una conferma della teoria delle élites di Mosca,
Pareto e Michels.
Alla fine, i movimenti democratici che
sognavano un ordine nuovo dopo la dissoluzione

255
dell’Unione Sovietica sono stati soggiogati da
un’oligarchia che, ben nascosta negli uffici della
Casa Bianca, ha preso una serie di decisioni che,
anno dopo anno, hanno posto le condizioni
internazionali per la guerra tra la Russia e l’Ucraina
scoppiata il 24 febbraio 2022. Come ha scritto
Gaetano Mosca nel suo Elementi di scienza politica:
“Cento, che agiscano sempre di concerto e di intesa
gli uni con gli altri, trionferanno su mille presi uno
a uno e che non avranno alcun accordo fra loro; e
nello stesso tempo sarà ai primi molto più facile
l’agire di concerto e l’avere un’intesa perché sono
cento e non mille”199. Max Weber, un altro celebre
elitista, ha parlato della “superiorità del piccolo
numero”.
La Casa Bianca, espandendo la Nato fino
all’Ucraina, ha soggiogato i movimenti
democratici che chiedevano un nuovo ordine
internazionale in Europa dopo la fine della guerra
fredda. Vengono in mente le parole con cui Robert
Michels conclude il suo capolavoro, La sociologia
del partito politico nella democrazia moderna. Michels
paragona le correnti democratiche alle onde che si
infrangono contro gli scogli.

256
Nel nostro caso, le onde rappresentano i
movimenti democratici e pacifisti che, dopo la
caduta del Muro di Berlino, invocavano un nuovo
ordine internazionale in Europa libero dal pericolo
della guerra nucleare con la Russia. Le onde del
mare sono continue, ma sempre uguali a se stesse e
destinate alla stessa fine ingloriosa: infrangersi
contro lo scoglio. Lo scoglio rappresenta la legge
ferrea dell’oligarchia di Michels; rappresenta ciò
che in politica internazionale non muta mai,
ovvero la presenza di un’oligarchia che prende le
decisioni valevoli per tutti sottratte al controllo
democratico. Com’è accaduto con la guerra in
Ucraina, i popoli si trovano spesso precipitati nelle
guerre tra gli Stati senza capire il perché a causa
della legge ferrea dell’oligarchia.
Scrive Michels: “Le correnti democratiche della
storia assomigliano a onde successive. Si
infrangono sempre sullo stesso banco. Si
rinnovano sempre. Questo spettacolo duraturo è
incoraggiante e deprimente allo stesso tempo.
Quando le democrazie hanno raggiunto un certo
stadio di sviluppo, subiscono una trasformazione
graduale, adottando lo spirito aristocratico e in
molti casi anche le forme aristocratiche, contro cui

257
all’inizio hanno lottato così ferocemente. Ora
nuovi accusatori sorgono per denunciare i
traditori; dopo un’èra di gloriosi combattimenti e
di potere inglorioso, finiscono per fondersi con la
vecchia classe dominante; dopodiché vengono
nuovamente attaccati a loro volta da nuovi
oppositori che fanno appello al nome della
democrazia. È probabile che questo gioco crudele
continuerà senza fine”200.
Nella teoria di Michels, la chiave per capire la
perpetuazione delle oligarchie è l’organizzazione:
“Chi dice organizzazione dice tendenza
all’oligarchia”.
Michels ha chiarito il potere anti-democratico
dell’organizzazione studiando il partito
socialdemocratico tedesco, che, nato per difendere
la democrazia, diventa un’oligarchia. Secondo
Michels, la forza dei lavoratori è
nell’organizzazione. I deboli possono sperare di
battere i forti soltanto se si uniscono. I forti hanno
le risorse per combattere in pochi, mentre i deboli
devono essere in tanti: i deboli devono essere
numerosi per compensare la mancanza di risorse
scarse, tra cui il denaro, la conoscenza e il prestigio
sociale. Dunque, i lavoratori hanno bisogno di un

258
apparato stabile di funzionari che coordini le
proteste contro i capitalisti in virtù delle sue
competenze tecniche201. Il risultato è che tutti i
poteri decisori della massa vengono trasferiti nei
dirigenti, rendendo del tutto illusorio l’esercizio
democratico. Si verifica così un fenomeno
paradossale: se aumenta il potere
dell’organizzazione, aumenta anche il potere dei
capi sindacali e di partito, i quali si distaccano dai
luoghi produttivi e dalle masse, abituandosi a una
vita di privilegi202.
Michels ha riassunto la sua “legge ferrea
dell’oligarchia” in questo brano:
L’organizzazione implica la tendenza all’oligarchia. In ogni
organizzazione, che sia un partito politico, un sindacato
professionale o qualsiasi altra associazione del genere, la tendenza
aristocratica si manifesta molto chiaramente. Il meccanismo
dell’organizzazione, mentre conferisce una solidità alla struttura,
induce gravi cambiamenti nella massa organizzata, invertendo
completamente la rispettiva posizione di chi guida e chi è guidato.
Come risultato dell’organizzazione, ogni partito o sindacato
professionale si divide in una minoranza di dirigenti e una
maggioranza di diretti203.

259
Dopo la caduta del Muro di Berlino, la
“minoranza dei dirigenti” – per usare l’espressione
di Michels – ha sviluppato una serie di politiche in
Europa contrarie agli interessi della “maggioranza
dei diretti”.
Ripensare il giudizio su Gorbačëv
Dopo aver studiato la questione, sono giunto a
due conclusioni.
La prima conclusione è che Gorbačëv non ha mai
riconosciuto il diritto della Nato a espandersi in
Europa dell’Est. Nel Trattato sullo stato finale della
Germania del 12 settembre 1990, non ho trovato il
riconoscimento esplicito del diritto della Nato a
espandersi verso la Russia. Il riconoscimento di
Gorbačëv del diritto della Nato di espandersi verso
la Russia non si trova né nel Trattato sulla
sistemazione finale della Germania del 12
settembre 1990, né nell’addendum al Trattato. Se il
Trattato avesse stabilito “espressamente” un simile
diritto, la parola “Nato” dovrebbe apparire da
qualche parte, ma non c’è.
La mia seconda conclusione è che il giudizio
storico su Gorbačëv andrebbe ripensato. Gorbačëv
è un uomo molto celebrato in Occidente per

260
essersi aperto alle richieste della Casa Bianca con
amichevolezza. Tuttavia, la documentazione offre
la possibilità di un giudizio storico severo su di lui
nella gestione degli accordi per la riunificazione
della Germania. Gorbačëv non sembra aver gestito
la trattativa con la Nato in modo adeguato al suo
ruolo di garante degli interessi dei russi. Si è
lasciato corrompere dal denaro occidentale e direi
anche che non è stato bravo a ottenere le
opportune garanzie scritte per difendere la
sicurezza della Russia. Il giudizio storico è
aggravato dal fatto che Gorbačëv era consapevole
dei pericoli, come dimostra la sua insistenza nel
richiedere garanzie scritte sulla non-espansione
della Nato. Le ha chieste e poi ha accettato di non
riceverle. Gorbačëv non riconobbe il diritto della
Nato di assorbire i Paesi al confine con la Russia,
ma non ottenne nemmeno un impegno scritto alla
non espansione.
Ripensare il giudizio sull’Unione europea
Alla luce della guerra in Ucraina, anche il
giudizio storico sui leader dell’Unione europea
andrebbe ripensato.

261
I segretari di Stato americani hanno sempre
riconosciuto candidamente di aver preso una serie
di decisioni ostili alla Russia approfittando del suo
momento di debolezza dopo la caduta del Muro di
Berlino. I governi americani sono sempre stati
consapevoli che i russi stavano accumulando una
grande rabbia per la superbia con cui l’Occidente
ignorava le loro richieste e le loro preoccupazioni.
I leader europei avrebbero dovuto frenare le spinte
aggressive della Casa Bianca verso la Russia in
Europa.
Nel suo Duty: Memoirs of a Secretary at War (2014),
Gates ha elencato un gran numero di decisioni
della Casa Bianca ostili alla Russia che hanno
causato la rabbia del Cremlino, tra cui
l’abrogazione del trattato anti-missili balistici nel
2002 e il tentativo di assorbire l’Ucraina e la
Georgia nella Nato.
Gates ha scritto204:
L’abrogazione del trattato anti-missili balistici (ABM) del 1972 da
parte del presidente Bush nel 2002 (che consentiva agli Stati Uniti
di sviluppare qualsiasi tipo di difesa missilistica desiderassero), e il
nostro successivo sviluppo di intercettori e radar basati a terra in
Alaska e California, i nostri sforzi per portare la Georgia e l’Ucraina

262
nella Nato e il nostro sostegno all’indipendenza del Kosovo (a cui i
russi si opponevano fortemente), presi insieme all’opposizione
russa agli Stati Uniti in Iraq e altrove, avevano tutti portato le
relazioni bilaterali al punto più basso dell’invettiva di Putin del
febbraio 2007 a Monaco.

Nel 2021 l’Unione europea avrebbe dovuto


lavorare per la distensione con il Cremlino.
Decidendo di partecipare alle esercitazioni della
Nato in Ucraina, i leader europei hanno aggravato
le tensioni con la Russia. Le politiche della Casa
Bianca in Europa erano contrarie agli interessi
degli europei.
Dopo il rovesciamento di Yanukovich nel 2014,
l’Unione europea ha lasciato che Biden gestisse la
partita con Putin muscolarmente in Europa anziché
preoccuparsi di proteggere il territorio europeo dal
rischio di una guerra. Ha partecipato addirittura
alle esercitazioni della Nato in Ucraina del 2021: i
Paesi dell’Unione europea che fanno parte della
Nato sono ventitré. Il risultato di queste politiche
dell’Unione europea è noto: la Russia, dopo essersi
risollevata economicamente e militarmente, ha
attaccato l’Ucraina per allontanare la Nato dal suo
confine. La Russia ha fatto nel 2022 ciò che non
263
aveva avuto la forza di fare nel 1999: usare la forza
militare per fermare l’avanzata della Nato verso i
suoi confini.
La classe governante dell’Unione europea è
criticabile anche sotto un altro aspetto.
Le guerre svolgono in politica internazionale la
stessa funzione che le ipotesi svolgono nella
scienza. Le ipotesi sono spiegazioni provvisorie in
attesa di conferma empirica attraverso la ricerca.
Le guerre servono a verificare o a falsificare le
ipotesi dei governi sulla forza degli eserciti nemici.
Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, l’Unione
europea ha ipotizzato che la Russia fosse
debolissima e l’Unione europea fortissima. La
guerra in Ucraina ha mostrato che è vero il
contrario. Questi fatti consentono un giudizio
molto negativo sulla classe governante dell’Unione
europea, che ha scommesso nella guerra all’ultimo
sangue con la Russia in Ucraina senza aver stimato
correttamente i rapporti di forza tra le potenze in
campo.
La guerra in Ucraina ha reso evidente che
l’Unione europea ha un esercito inadeguato a
combattere una grande guerra contro la Russia,
tant’è vero che Ursula von der Leyen, nel marzo

264
2025, ha annunciato un piano di riarmo del valore
di 800 miliardi di euro. La difesa aerea dell’Unione
europea non è in grado di intercettare i missili più
avanzati della Russia. Mentre scrivo (marzo 2025),
l’Italia ha soltanto cinquanta carrarmati operativi205
e tre Samp-T disponibili su cinque: due sono in
Ucraina. Uno dei Samp-T prestati a Zelensky è
stato probabilmente distrutto dai russi nel gennaio
2024. Crosetto si è sempre rifiutato di confermare
o di smentire questa notizia. Ogni Samp-T è in
grado di difendere una grande città. Ma l’Italia non
è un Paese prevalentemente desertico come
l’Oman. Tutte le città italiane sono capolavori da
proteggere con una difesa aerea avanzatissima.
Chiudo queste pagine quando il dibattito sul
riarmo dell’Europa è iniziato da pochi giorni.
Il futuro è incerto e tutt’altro che roseo, ma
l’autocritica da parte dell’Unione europea è
necessaria per non ripetere in futuro gli errori del
passato. Alla fine di febbraio 2022, Putin chiedeva
pochissimo rispetto al marzo 2025 per fermare la
sua invasione. Il 28 febbraio 2022 i russi e gli
ucraini si incontrarono a Gomel in Bielorussia. La
delegazione ucraina era composta da David
Arakhamia, capogruppo alla Rada del partito

265
Servitore del Popolo di Zelensky, e includeva il
ministro della Difesa Oleksii Reznikov e il
consigliere presidenziale Mychajlo Podoljak.
Quella russa era capitanata da Vladimir Medinsky,
consigliere senior di Putin. In quell’incontro, Putin
chiedeva pochissimo per fermare la guerra.
Anziché incoraggiare la diplomazia, il 1° marzo
2022, Mario Draghi chiedeva al Parlamento di
approvare una risoluzione per dare pieni poteri al
suo governo di inviare “armi letali” a Zelensky.
Draghi aveva sposato la linea iper-radicale di
Biden: opporsi a qualunque ipotesi di trattativa per
sconfiggere la Russia sul campo. Tutta la
documentazione disponibile dimostra che Putin ha
profuso il massimo impegno per chiudere la
guerra immediatamente, per evitare di trovarsi
impantanato in una guerra sanguinosissima e
costosissima per la Russia.
Per mettere a fuoco le responsabilità dell’Unione
europea nell’escalation che ha causato la
distruzione dell’Ucraina, abbiamo bisogno di
capire che cosa Putin chiedesse nel marzo 2022.
Quel che Putin chiedeva allora è pochissimo
rispetto a quello che chiede oggi (marzo 2025).

266
Le notizie che riporto qui sotto sono tratte dal
sito dell’Università di Cambridge e da un articolo
di John Simpson, il responsabile per la politica
internazionale della Bbc.
Il 17 marzo 2022 Putin – in una telefonata con
Erdoğan che era il mediatore accettato dalle parti –
chiedeva: 1) la neutralità dell’Ucraina ovvero la non
adesione alla Nato: una richiesta che Zelensky
accettò immediatamente; 2) la rinuncia ucraina a
possedere armamenti che avrebbero potuto
minacciare la sicurezza della Russia; 3) la
possibilità di parlare il russo in Donbass; 4)
l’espulsione dei neonazisti dall’esercito ucraino e
dall’apparato statale. Secondo gli articoli pubblicati
sul sito dell’Università di Cambridge, Putin
chiedeva anche l’indipendenza del Donbass206.
Attenzione: chiedeva l’indipendenza del Donbass e
non la sua annessione integrale. Putin chiedeva
anche a Zelensky di riconoscere l’annessione alla
Russia della Crimea. La Bbc osservava che, tutto
sommato, le richieste di Putin erano contenute:
“Le richieste del presidente Putin non sono così
dure come alcuni temevano”. Queste sono le parole
testuali con cui la Bbc commentava le richieste di

267
Putin a Zelensky del marzo 2022: “President Putin’s
demands are not as harsh as some people feared”207.
Mi scuso per la ripetizione, ma è davvero
necessaria: anziché avviare un dialogo intorno a
quelle richieste di Putin per fermare la guerra
immediatamente, i principali leader europei
preferirono lasciarsi guidare da Biden che giurava
che gli ucraini avrebbero sconfitto la Russia sul
campo, esecrando la diplomazia.
Mentre scrivo (14 marzo 2025), Trump prega
Putin di risparmiare la vita dei soldati ucraini
intrappolati a Kursk dai russi con questo messaggio
pubblicato sul social Truth: “In questo momento,
migliaia di truppe ucraine sono completamente
circondate dall’esercito russo nella regione di
Kursk, in una posizione molto difficile e
vulnerabile. Ho chiesto con forza al presidente
Putin che le loro vite vengano risparmiate. Questo
sarebbe un massacro orribile, uno come non si
vedeva dalla Seconda guerra mondiale. Dio li
benedica tutti”208. Putin ha dichiarato l’annessione
del Donbass, Kherson e Zaporizhzhia soltanto il 30
settembre 2022, dopo aver capito che l’Unione
europea aveva abbracciato la linea iper-radicale di
Biden che non consentiva compromessi. Il

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discorso di Putin si potrebbe riassumere in questo
modo: “Volete sconfiggermi sul campo? Vediamo
se ci riuscite”.
L’Unione europea ha parlato con Putin soltanto
con le armi. Non avendo più le armi, non ha niente
da dire. L’Unione europea ha basato la sua politica
sulla forza. Non avendo la forza, non ha nemmeno
la politica.
In un’intervista del 13 marzo 2025 a Piazzapulita,
Corrado Formigli, un conduttore televisivo che si è
battuto molto contro la società giornalistica filo-
americana affinché io potessi esprimermi
liberamente, mi ha chiesto: “Professor Orsini, ma
era giusto accettare una resa a Putin? Usiamo le
parole giuste: era una resa”.
Ecco la mia risposta: l’Unione europea non ha
voluto la resa e ha avuto la disfatta.

Le mie previsioni sulla guerra alla prova dei


fatti
Le previsioni che feci all’inizio della guerra sono
state oggetto di un dibattito infuocato che ha
trovato in Repubblica il mio più ostinato detrattore.
Per tre anni i giornalisti di Repubblica hanno scritto

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e detto in televisione che tutte le mie previsioni si
sono dimostrate errate. In realtà, l’osservazione
empirica suggerisce che erano corrette. Le
previsioni che feci in televisione all’inizio della
guerra furono le seguenti:

1) “Per ogni proiettile della Nato che l’Ucraina


lancerà contro la Russia, la Russia lancerà dieci
proiettili contro l’Ucraina” (così è stato).
2) “La guerra finirà con la sconfitta e lo
smembramento dell’Ucraina che perderà i suoi
territori più ricchi e strategici” (così è stato).
3) “Per ogni passo avanti, l’Ucraina farà due passi
indietro” (così è stato).
4) “L’Ucraina non entrerà nella Nato” (così è
stato).
5) “La guerra si ‘sirianizzerà’ e durerà a lungo”
(così è stato).
6) “La Russia non rimarrà isolata a livello
internazionale: godrà dell’appoggio della Cina”
(così è stato).
7) “Se l’Ucraina continuerà a bombardare
Belgorod dall’Oblast di Kharkiv, Putin invaderà
Kharkiv per creare una zona cuscinetto” (così è
stato).

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8) “La rivolta di Prigozhin rafforzerà Putin
anziché indebolirlo” (così è stato).
9) “La guerra in Ucraina aumenterà i consensi
popolari per Putin anziché ridurli” (così è stato).
10) “Alla fine gli Stati Uniti abbandoneranno
l’Ucraina e l’Europa si ritroverà in ginocchio” (così
è).

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Note

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