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GLI INDOEUROPEI E L'ORIGINE DELL'EUROPA - Villar

riassunto del testo di villar sulla storia degli indoeuropei, dalle origini alle varie fasi evolutive

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GLI INDOEUROPEI E L’ORIGINE DELL’EUROPA

PARTE I (CAPP. 1-4)

CAP. 1: CHI SONO GLI INDOEUROPEI

La rivoluzione più importante nella storia dell’umanità è lo sviluppo del linguaggio articolato. La lingua è
infatti:

 Uno strumento di comunicazione

 Un filtro fra noi e la realtà e quindi uno strumento di analisi ed interpretazione della realtà stessa

 Una sintesi della storia di una civiltà

 Il primo elemento che consente ad una società di identificarsi come tale; è ciò che ci permette di
avere una coscienza identitaria.

La lingua, quindi non è semplicemente un sistema attraverso il quale noi ci esprimiamo; è ciò che in tedesco
viene definito WELTANSCHAUUN (una visione del mondo).

Noi non sappiamo molto degli indoeuropei (i nostri progenitori); ciò che sappiamo circa la loro lingua e la
loro cultura, lo abbiamo dedotto attraverso le eredità linguistiche.

N.B.: Il termine indoeuropeo, con cui oggi si indicano tutte le lingue derivate da una unica matrice e
presenti in Europa e Asia, fu coniato verso la fine dell’800 dallo studioso JANG. Prima di allora i
nomi dei nostri progenitori sono stati tre:

 INDOGERMANO

 INDOEUROPEO

 ARIANO

Noi sappiamo che senza fonti scritte è difficilissimo essere certi circa l’etnocentrismo di un popolo. Per ogni
popolo esistono, infatti due nomi:

1. UN NOME ENDOETNICO= ovvero il nome che un popolo da a sé stesso;ad esempio i tedeschi


chiamano sé stessi Deutshe.

2. UN NOME ESOETNICO= il nome che viene dato dai popoli vicini; ad esempio gli abitanti della
Germania vengo chiamati dagli italiani Tedeschi.

1
A volte i due nomi coincidono (come nel caso dell’ITALIA perché noi ci chiamiamo italiani; ma veniamo
chiamati italiani anche da inglesi, francesi, tedeschi ecc); mentre altre volte i due nomi non coincidono (un
esempio è quello della GERMANIA: gli abitanti della Germania chiamano se stessi Deutsche, tant’è che
chiamano la Germania Deutscheland; mentre vengono chiamati dagli italiani Tedeschi, dai polacchi Niemci,
dagli spagnoli Alemanes, dagli inglesi Germans).

ANCORA: Proprio perché prive di attestazione, è difficile individuare il nome esoetnico dei nostri
progenitori. Per quanto riguarda il livello endoetnico possiamo applicare un procedimento di
tipo deduttivo: tutte le lingue europee ed asiatiche, tranne le eccezioni (Finlandia, Ungheria,
Caucaso e aria basca per l’Europa; estremo oriente [la Cina non è i.e.] per l’Asia), sono figlie
di UN’UNICA LINGUA MADRE. Scavando in queste lingue figlie dobbiamo cercare di
ricostruire la storia, le usanze ed il nome originario di questo nostro progenitore.

Gli i.e. si sono sviluppati in età preistorica; quello che sappiamo per certo è che i popoli che derivano
dall’i.e. sono:

 POPOLO INDIANO

 POPOLO AFGANO

 POPOLO PAKISTANO

 POPOLO PERSIANO

Questi quattro popoli chiamavano sé stessi ARYAS ‘signori’, termine conservato:

 nel libro sacro del Rigveda ‘(1028) inni della conoscenza’aryas;

 nel nome del bisnonno di Dario: Aryaramna [Aryaramnes]

 nel nome moderno dell’Iran (iranici e iraniani);

 in sanscrito come parola comune arya- ‘signore, persona appartenente alla nobiltà e alle caste
superiori’

Nell’estremo occidentale del mondo europeo, sono invece attestati:

• antroponimi come Ariomanno (tra i celti), Ariovisto (tra i germani);

• Eire, Irlanda che secondo alcuni studiosi, nella forma più antica Eriu, derivava da Ariu.

N.B.: Pokorny smentisce queste teorie affermando che essa sia una parola gallese che volesse significare
ISOLA.
Alla fine cosa si evince da questa microindagine?
2
1. Che il termine Ayas è presente in atroponimi

2. Che sia nella zona indiana che in quella iraniana, diffusamente si indicavano i popoli stessi con il
nome di ariani, aryas

3. Come afferma Bartoli con la teoria della CONSERVATIVITA’ DELLE AREE LATERALI: “nelle
aree laterali di un dominio linguistico ci sarebbero le aree più arcaiche e più conservative”

Questo aggiunge un dato importante nel discorso sull’etnonimo originario degli i.e.; in quanto abbiamo
ritrovato negli antroponimi delle aree occidentali e asiatiche (orientali). In verità l’i.e. ARYO, per come ci
racconta il sanscrito [antica lingua indiana], doveva significare “SIGNORE”.

ANCORA: Nel 1989, venne alla luce come ad Ugarit (Siria) si utilizzasse ancora un’antica parola
ugaritica (fam. camito-semitica), Ary, ‘parente, membro della famiglia’. SZEMERE’NYI
sostenne che fosse da riportare all’egiziano Iry ‘compagno’. Se in periodo nazista, il termine
“ariano” fu utilizzato a scopo propagandistico ad indicare come gli ariani fossero “signori”
degli altri e si pertanto fossero legittimati ad imporsi sull’“impura” razza ebraica,
Szemerènyi dimostrò invece come la parola avesse origine semita. Nonostante le congetture,
non possiamo comprovare come si definissero quelli che noi oggi chiamiamo “indoeuropei”.

A partire dal 17° sec., ancor prima che nascesse l’indoeuropeistica e che gli studiosi avessero piena
consapevolezza dell’esistenza della fam. indoeuropea, si tentò di definire questo “gruppo”.

 Ad ANDREAS JAGER [IEGHER], si deve la prima formulazione dell'esistenza di un comune


antenato, la lingua del Caucaso, di gran parte delle lingue storiche dell'Europa (greco, latino, lingue
germaniche, celtico, lingue slave, persiano) e dell'Asia (persiano) a lui note. «SCITOCELTICO»,
fu il nome che egli diede ai nostri progenitori.

 In GERMANIA, nel sec. XIX si propose il nome “INDOGERMANICO”, per indicare questa cultura
antica da cui siamo derivati: INDO come membro più orientale e GERMANICO come membro più
occidentale.

 ITH. YOUNG, nel 1813, per la prima volta conia il termine «INDOEUROPEO».

Poniamoci un'altra domanda: LE CULTURE ANTICHE ERANO CONSAPEVOLI DI AVERE UNA


MATRICE COMUNE? La risposta è NO. Prendiamo la cultura greca e quella latina: i Greci non avevano
nessuna consapevolezza di questa sorellanza tra lingue. Esi avevano avuto contatti con tutti i popoli i.e.
(romani, celti, persiani, indiani, traci); ma non avevano capito di questa unità culturale e linguistica, tant’è
che chiamavano gli altri popoli BARBARI.

E i Romani, i Latini avevano questa consapevolezza? È impressionante notare che essi non percepirono la

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grande similarità che c’era tra la loro lingua e quella dei Celti (con i quali furono in contatto fin dal IV
secolo a.C.). Si resero conto invece di una certa somiglianza [IN DERIVAZIONE DELLA LEGGENDA
DELL’ORIGINE DI ROMA AD OPERA DI DUE GRECI: ENEA ED EVANDRO] tra la loro lingua e
quella dei Greci.

Nel Medioevo, non si prestava attenzione alle altre lingue europee e, inoltre, nessuno sospettava che le
lingue potessero cambiare nel corso del tempo. Nessuno intuiva che dal latino si fossero create le diverse
parlate volgari e le diverse lingue, intese come deformazione del latino. Infatti c’erano solo due lingue di
cultura:

 il latino, che si credeva fosse immutato dai tempi di Cicerone; era la lingua dell’attività
intellettuale;

 l’ebraico, anch’esso inteso come immutato e immutabile perché lingua di Dio, lingua che Dio
aveva concesso agli uomini in Paradiso.
Nel XVI secolo si inizia ad avviare un discorso un po’ più aperto verso una prospettiva di comunanza tra
lingue occidentali e orientali. Sassetti ebbe un’intuizione: in una lettera al Davanzati scrisse di questa
similarità che si riscontrava tra il sanscrito e il latino nei numerali:
- lat. TRES sanscr. TRAIAS [3]
- lat. SEX sanscr. SAS [6]

Sassetti non trovò delle similarità soltanto nei numerali; ma anche nel campo semantico dei nomi di
parentela:
- lat.PATER sanscr. PITAR [padre]
- lat. MATER sanscr. MATAR [madre]

N.B.: nel 1790 = PAULINUS A SANCTO BARTHOLEMEO scrisse la prima grammatica del
sanscrito, basata su grammatiche indigene; nel 1805 H. TH. COLEBROOKE compone, nel
1805, la Grammar of the Sanskrit language, prima opera di qualità conforme alla tradizione
grammaticale europea. Nel 1813 TH. YOUNG, nella sua recensione al Mithridates di Johann
Christoph Adelung, usa l’espressione «indoeuropeo».

La vera svolta si ebbe, però, ad opera dei due fratelli Schlegel, ed in particolar modo con il minore
Friedrich.
 August Whilem Von Scleghel= può essere considerato l’introduttore degli studi sul sanscrito in
Germania.
 Friedrich Von Scleghel= scrive un’opera importantissima per la conoscenza della cultura
sanscrita in Europa: “SULLA LINGUA E LA SAPIENZA DEGLI INDIANI”. La cosa più

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importante che egli fa è quella di classificare per la prima volta le lingue in: FLESSIVE,
AGGLUTINANTI, ISOLANTI e PLURITEMATICHE (queste definizioni sono ancora in
uso).
Nell’800 troviamo ancora:
 Ser William Jones che a soli 22 anni traduce dal persiano al francese, per il re di Danimarca
Cristiano VII, la vita di Shan Nadir [Shak Nadir].
 Coueurdeoux, ancora, iniziò a fare una comparazione tra latino e sanscrito che va oltre gli
ambiti semantici dei numeri e dei nomi di parentela:
- lat. Donus sanscr. Danas
- lat. Agnis sanscr. Ignis
- lat. Novus sanscr. Navas

N.B.: L’idea dominante nella prima metà dell’800 fu quella di vedere

 nell’India = la patria originaria;

 nel Sanscrito = la lingua ancestrale.

Con Bopp e Rask nasce effettivamente un approccio scientifico all’indoeuropeistica. Essi danno
un’impronta scientifico-metodologica al discorso; affrontando il problema della comunicazione delle
lingue figlie non solo a livello lessicale, ma anche morfologico. Questo consentirà di acquisire il concetto
che: “LE LINGUE EVOLVONO E CAMBIANO”.

1. La grande novità di FRANZ BOPP sta nel fatto che egli trova coincidenze tra le lingue i.e. nel
campo dei sistemi grammaticali. Quando scoprì che anche nel campo dei sistemi morfologici, le
lingue i.e. presentano numerose coincidenze, stabilì con rigore scientifico che tali lingue erano
geneticamente imparentate.

2. RASMUS RASK, nel 1814, scrisse un saggio dal titolo “RICERCHE SULL’ORIGINE DELLA
LINGUA NORDICA ANTICA O ISLANDESE” nel quale, sebbene non conoscesse né il sanscrito
e né il persiano (tanto che i suoi paragoni si basano su greco e latino), giunse come Bopp a
riconoscere che la prova decisiva della parentela genetica delle lingue è costituita dalle parentele
sistematiche; cioè che la quantità di parole simili in lingue diverse deve essere tale da consentire di
trovare le regole sistematiche di trasposizione dall’una all’altra.

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CAP. 2: QUANDO VISSERO E DOVE ABITAVANO

Con Bopp e Rask nasce l’APPROCCIO SCIENTIFICO ALL’INDOEUROPEISTICA; un approccio


metodologico e scientifico che ricostruisce il parallelismo linguistico che esiste tra le varie lingue i.e.

La 1° domanda che sorge è: QUANDO NACQUERO E DOVE VISSERO I NOSTRI PROGENITORI?

La linguistica è arrivata alla conclusione che la maggior parte dei popoli dell’Europa e alcuni popoli
dell’Asia appartengono alla medesima lingua.

N.B.: Per quello che riguarda le lingue Europee esse sono tutte i.e. ad eccezione della LINGUA BASCA,
del FINNICO (Finlandia) e dell’ARIA UNGHERESE. Perché esse non sono i.e.?

 Per la zona basca e finlandese probabilmente perché li, gli i.e., non sono mai arrivate a colonizzare;

 Per l’aria ungherese pur essendo stata la 1° ad essere colonizzata dagli i.e., deve aver subito una
ondata migratoria successiva proprio dalla zona finnica ed ha quindi perso le originarie lingue di
derivazione i.e., a favore di lingue pre i.e.

Il termine “indoeuropeo” è concettualmente linguistico, ma la sua scoperta ed affermazione ebbe


ripercussioni decisive sugli studi storici, anch’essi volti a ricercare la “patria originale”, l’Urheimat. Per
individuare la sede di questo popolo si doveva infatti capire quando, come e perché esso si diffuse in Europa
e come questa fosse prima dell’arrivo degli Indoeuropei. Bisognava studiare l’“europeizzazione
dell’Europa”. Linguistica e Archeologia si sono progressivamente poste come due scienze complementari.
Infatti:

1. i linguisti possono determinare con precisione l’identità fra sue lingue (e quindi popoli e culture), ma
dallo stato di sviluppo della lingua non possono stabilire la cronologia di una cultura;

2. gli storici e gli archeologi: forniscono la cronologia, ma non possono stabilire la filiazione etnica,
l’identità dei proprietari delle culture che dissotterrano.

N.B.: Il punto di convergenza fra le due discipline risiede nelle scoperte della paleontologia linguistica o
archeologia linguistica (Pictet [Pictè], Les origines indo-européennes, 1859-1863) che si propongono
di stabilire elementi cultura, religione, habitat, attraverso il lessico comune ricostruito da quello delle
lingue storiche.

Alla metà del 20° sec., però, ci furono delle critiche al metodo di Pictet basate su due principi della
linguistica:

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• deriva semantica: il significato delle parole cambia col tempo; ad es. lavizzu (da lat. lapideus: pentola
in pietra ollare che circolava in Italia settentrionale, ma che nel Tardo Medioevo si distribuisce in
tutta Italia. Come è arrivata in Sicilia? Con l’arrivo in Sicilia di gruppi del Nord chiamati dai
Normanni che poi vengono a costituire le colonie gallo-romanze; quando poi l’oggetto sparisce,
rimane il nome che inizia poi a designare le pentole in rame);

• prestiti: le lingue possono esibire prestiti (e pertanto la “paleontologia linguistica” può sbagliare
nell’attribuire ad una lingua parole mai esistite in essa, ma prese a prestito da altre).

Tuttavia, è impossibile che tutto il lessico indoeuropeo sia cambiato in maniera indipendente in tutte le
lingue storiche nella stessa direzione indicando un habitat settentrionale, una cultura pastorale,
un’organizzazione familiare patriarcale, l’adorazione dei fenomeni atmosferici (soprattutto se si considera
che le lingue indoeuropee si trovano ubicate negli ambiti geografici più eterogenei, dall’India all’Europa
sino al Nord ecc.). Il metodo dell’archeologia linguistica è dunque inutile se si applica ad una sola parola,
ma di rilievo se applicato all’intero lessico.

ANCORA: Bisogna sottolineare che la scoperta della lingua sanscrita (la lingua dei testi sacri indiani)
ebbe una importanza incredibile tant’è che, a partire dall’800, si parlò di
PANSANSCRITISMO (tutto viene ricondotto al sanscrito). Il sanscrito, secondo alcuni
studiosi (Picktet, Scleghel e Young), è la lingua perfetta, la lingua originaria i.e. [anche se
questa affermazione non è vera in quanto il sanscrito è una lingua figlia].

Ora ci si domanda perché il sanscrito ebbe tutto questo successo?

1. Perché trovandoci in piena epoca romantica, vi era una vera e propria predilezione per tutto ciò che
era esotico;

2. Perché si riteneva che tutta l’umanità provenisse dalla cultura asiatica;

3. Perché il sanscrito era una lingua molto antica e questo consolidava l’idea che fosse, appunto, la
lingua madre.

Una volta avviata la desanscretizzazione, alcuni studiosi hanno iniziato a supporre che la patria dell’i.e.
potessere in Europa:

1. LATHAM nel 1851 propose come culla originaria dell’i.e. la Lituania. Nel 1870 furono ritrovati,
nella zona indicata da L. dei reperti antichissimi che indicavano che vi erano stati degli insediamenti
arcaici anche in Europa e non solo in Asia;

2. POESCHE (Psece) individuò nella regione (paludosa) del Baltico la sede originaria, perché:
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- immaginava che gli indoeuropei dovessero essere biondi e con gli occhi azzurri, come i celti e i
germani descritti dagli storici latini e greci;

- il Baltico era indiscutibilmente l’epicentro della gente con i capelli biondi e l’area mostrava segni di
insediamenti umani sin dalla preistoria.

Il presupposto (erroneo) era che la lingua più arcaica si dovesse trovare nella regione dove nella
preistoria si trovava la patria originaria. Poesche provava a dimostrare che:

A) i lituani parlavano una lingua incontaminata, in quanto discendenti della popolazione


indoeuropea che non era riuscita mai a spostarsi dalla sua patria ancestrale;

B) gli altri popoli indoeuropei parlavano lingue diverse («alterate») in quanto discendenti di gruppi
emigrati che avevano colonizzato le diverse regioni del mondo.

Il ragionamento non teneva però conto di due cose: 1) i lituani sono brachicefali [cranio piccolo] e
non dolicocefali [cranio allungato, come i primi indoeuropei]; 2) anche greci e romani sono di
origine indoeuropea [esattamente come celti e germani!].

3. PENKA individua nella Scandinavia l’Urheimat perché essa è adatta all’agricoltura e non ha subito
invasioni (è autonoma). Penka portava come prova a carico della sua tesi la parola MARE; ed è qui
che si sbagliava in quanto il termine MORE presente in tutte le lingue i.e. d’ Europa [FR. Mair, LAT.
Marem, CELT. Muir], mancava in greco e nelle lingue dell’Asia (sanscrito, persiano). Un’ altra
parola che Penka usava per avvalorare la sua tesi era FAGGIO che non c’è in gran parte della Spagna
e dell’Europa meridionale; ma era presente solo in Scandinavia e nelle zone contigue.

N.B.: a Penka si rimprovera l’uso, nella sua analisi, di singole parole e non il lessico per intero o un
numero elevato di parole.

 Nel 1902 KOSSINNA afferma che la zona di origine i.e. fosse la parte meridionale della Scandinavia
e la parte settentrionale della Germania;

 Nel 1922 GILES (Gils) afferma che ci troviamo di fronte non ad un popolo di agricoltori, ma di
pastori e poi in seconda battuta di agricoltori; i quali non sono nomadi perché posseggono tante
parole che indicano stanzialità (es. casa, villaggio ecc.). secondo Giles l’Urheimat i. e. era da
collocarsi in Ungheria e soprattutto nella regione della Pannonia [piena di aree pianeggianti molto
fertili, adatte quindi anche al pascolo degli animali, ed attraversata dal Danubio, fiume navigabile.
Questa ubicazione permette inoltre di spiegare la facilità migratoria rivelata dalla diffusione
indoeuropea in Eurasia: il Danubio avrebbe infatti costituito la rotta seguita per gli spostamenti.

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 SCHROEDER fu il primo a proporre come Urheimat il sud delle steppe Russe. Anche se nelle steppe
a sud della Russia non ci sono faggi, salici, roveri, betulle, orsi, tartarughe, salmoni, anguille che,
secondo l’archeologia linguistica caratterizzavano la flora e la fauna dell’habitat originario.

 CHILDE, nel 1926, ritenne che dalle conoscenze archeologiche e linguistiche si potesse dedurre che
il popolo i.e. fosse un popolo di pastori e che avessero acquisito la cultura agricola in uno dei territori
europei colonizzati. Essi quindi non sarebbero, in origine, tanto pastori quanto agricoltori; ma
sarebbero stati, al principio, pastori e nomadi e questo ha generato la capacità di colonizzare un’area
così estesa; cosa che non avrebbero potuto fare se fossero stati stanziali. Infatti solo a seguito della
migrazione in Europa avrebbero appreso l’arte dell’agricoltura. Questa affermazione, venne poi
confermata anche archeologicamente quando l’archeologa Maria GHIMBUTAS scopre, nell’area sud
delle steppe russe dei reperti archeologici che, formati per lo più da tumuli funerari, della civiltà dei
KURGAN [Kurgan infatti vuol dire tumulo]. La G. trova anche dei pollini, resti fossilizzati di
animali tanto da convincersi e da convincere tutta l’opinione pubblica che quella fosse la madre
padre dell’i.e.

Ma come si sono spostati lungo il loro dominio? Secondo la GHIMBUTAS ci sono stati vari flussi migratori
che si sono susseguiti nei millenni. Le popolazioni migrano sia ad Est che ad Ovest perché:

a. il clima aveva subito dei peggioramenti nella loro area provocando l’inaridimento della steppa alla
ricerca dei pascoli per le mandrie;

b. erano attratti dalla prosperità di altri popoli (gli agricoltori), testimoniata dalla produzione e
commercializzazione di prodotti di lusso (ad es. oggetti in oro e in rame).

Ella, in particolare individua tre fasi:

1) Prima fase: V millennio a.C., in questa fase i Kurgan avrebbero raggiunto l’area Balcanica e l’area
Danubiana;

2) Seconda fase: IV millennio a.C., in questa fase la migrazione avrebbe coperto l’area Transcaucasica,
L’Iran e la zona dell’Anatolia;

3) Terza fase: dal 3000 al 2800 a.C., in questa fase la migrazione avrebbe coperto l’area dell’Egeo e la
zona Adriatica.

N.B.: L’ultima area europea colonizzata dagli i.e. fu Creta. Nella terza fase si sarebbe poi avuto un incontro
tra gli i.e. spostatisi nelle zone della Pannonia e le popolazioni di area germanica o scandinava, e
sarebbe solo in questo momento (3400-3002 a.C.) che finalmente si sarebbero incontrati gli i.e. con il

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fototipo chiaro [occhi azzurri, biondi, alti e con pelle chiara]. I greci sarebbero poi stati colonizzati
durante l’espansione verso l’Egeo.

PROVE DELLA TESI DI GHIMBUTAS: la studiosa rinviene reperti della cultura materiale e dell’habitat
che corrispondono a quelli che ci mostra l’archeologia
linguistica. Stando ai ritrovamenti nei giacimenti archeologici, i
Kurgan avevano vita seminomade (come sciti, saci e sarmati), si
spostavano a cavallo, conoscevano i villaggi e sapevano creare
alture fortificate, pur vivendo di norma in case semi sotterranee,
abbandonate con facilità. I ritrovamenti archeologici
testimoniano:

• villaggi e alture fortificate, case semi sotterranee;

• allevamento di pecore, vacche, maiali, cavalli (allo stato brado o domestici);

• caccia di toro, alce, cinghiale, cavallo brado, orso, lupo, volpe, castoro, tasso, scoiattolo, serpenti,
rane (e quindi fauna di tipo settentrionale);

• uso del metallo: prima solo punteruoli di rame, pugnali appuntiti a forma di foglia e piccoli stiletti;
nel periodo tardo kurgan, asce piatte fabbricate sul posto; dal 3° millennio, nascita di una metallurgia
in rame, oro, argento;

• uso di ceramica grezza, non dipinta, con pochi ornamenti artistici, tra cui gli «scettri» zoomorfici,
identificati come teste di cavallo (ma forse si tratta anche di ippopotami, maiali e cani.

• limitata attività agricola (ritrovamento di pestelli, macine, selle da macina o pietre piatte; chicchi di
miglio e semi di melone; uno strumento triangolare in arenaria, forse usato come vomere);

• uso del carro: resti di veicoli a due e quattro ruote (per le sepolture regali), forse trainato da buoi;

• habitat: polline dei giacimenti rivela esistenza di roveri, betulle, abeti, sambuchi, olmi, pioppi, faggi,
salici (flora settentrionale), grano

• divinità maschili e zoomorfe (il cinghiale);

• culto del sole.

Per quanto riguarda le prove di archeologia linguistica, Ghimbutas porta diversi esempi:
PECORA = *ovis (i.e) [sans *avis, lituano *avìs, irland *oi, graco *ois]

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BUE = la radice è *guous (i.e.) [lat *bos, greco *bous, sans *gaus] dal punto di vista fonetico, per le
consonanti il sanscrito è la lingua più conservativa.

CAVALLO = la radice è *ekwos equos (i.e) [lat *equus, greco *ippòs, in sansc. *ashvas]

MAIALE = qui si sono riscontrate due parole i.e *porcos e *sus; in questo caso dobbiamo supporre che la
convivenza di queste due forme indicasse: porcos come maiale domestico e sus come maiale
selvatico. Altri studiosi propongono che porcos indicasse l’animale adulto e sus l’anima
giovane, il cucciolo.

CANE = la radice è * kwon (quon), in sansc. Schvan, in latino canem, in greco cuon; era un animale
importante in una comunità di pastori

TORO = la radice è *tauros (greco e latino tauros, in lituano tauris inteso però come bisonte, in celtico
tarvis). Il nome del toro è presente anche nella antroponimia dei popoli i.e. [il nome del toro
veniva inserito nei nomi propri che venivano dati ai bambini]. Ma perché il toro veniva così
sacralizzato? Perché gli i.e. gli riconoscono doti come la forza, la potenza sessuale, la
fecondità (non a caso le lingue germaniche chiamano il toro BULL [che deriva dalla radice
i.e. *BHELL che è la radice di un verbo che significa CONFICCARE, CONFICCARSI; da
qui la parola latina Fallo e greca Fallòs che indicano l’organo maschile in grado di
“conficcarsi”].

ORSO = l’orso non veniva definito con il proprio nome; in quanto l’uomo da sempre, per ciò che teme,
ha paura che la parola abbia un valore evocativo. Ma come si evitava, quindi, di pronunciare
la parola orso?

 Cambiando una vocale (es. sansc, lat, gr)

 Definendolo con una perifrasi (es. il mangiatore di miele)

 Oppure indicando un termine che ne rappresentasse una qualità (ad esempio in Germania il nome
dell’orso, Bear, indica: bruno, castano, riferendosi al colore del manto).

LUPO = era un altro animale molto importante per gli i.e.; infatti le derivazioni della radice *ULPOS
sono presenti in quasi tutte le lingue i.e. [ad es. il lat. *lupos,]. Ma cosa significava il lupo per
gli i.e.? esso corrispondeva a delle qualità fondamentali quali: fierezza, gerarchia, disciplina;
ed esattamente come il toro, anche il lupo si trova in antroponimia.

N.B.: in sanscrito, però, il nome lupo assume una connotazione opposta, in quanto esso significava:
perverso, che dà il male, che gode del male. Ma perché questa accezione negativa? Perché
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l’elemento che piaceva del lupo era la sua struttura gerarchica, ma al tempo stesso il lupo era
l’animale che depredava le bestie degli allevamenti.

CERVO= *kervo [lat *cervuus, gr *keros]. Keros originariamente significava “dotato di corna”; quindi
non tanto cervo in quanto tale, ma portatore di corna. Da questa radice che indica il cervo
deriva il nome castigliano della birra [cervesa]; ma qual è il riferimento? È naturalmente il
manto del cervo che ha lo stesso colore di alcune tipologie di birra.

Andando avanti di questo passo non si può non parlare della vegetazione ed in particola di un albero:

FAGGIO = sulla parola faggio si sono scatenate le polemiche più ampie:

 Alcuni studiosi parlavano del faggio come elemento centrale dell’ambiente i.e.

 Altri, invece, lo escludevano in quanto la radice che è alla base della parola faggio [fakkè],
significava anche sambuco, quercia ecc.

L’elemento fondamentale è però il fatto che l’ambiente cambia e quindi non si può far capo
ad una parola per cercare di ricostruire l’ambiente. L’unica certezza è che la Ghimbutas ha
trovato pollini di faggio.

N.B.: nel 1970 RENFREW (Renfriu), inizia anch’egli a parlare di Urheimat; e propone come Urheimat la
zona dell’Asia minore; e siccome in questa zona vi erano popoli che praticavano l’agricoltura; questo
negherebbe quanto detto fin ora [ovvero che gli i.e. fossero pastori nomadi che avevano appreso
l’agricoltura successivamente, invadendo l’Europa (V millennio a.C. zona Danubiana)].

RICAPITOLANDO = Renfrew dice che gli i.e. sono agricoltori, che erano partiti dall’Asia minore e che poi,
una volta giunti in Europa, avevano insegnato a questi popoli l’agricoltura. Gli scavi
archeologici ci mostrano, però, che in Europa era già presente l’agricoltura e questo ci
porta a propendere per la tesi della Ghimbutas.

Le teorie storico-archeologiche volte a spiegare la diffusione delle lingue indoeuropee in Eurasia devono
rispondere a tre domande:

1. QUANDO AVVENNE L’ESPANSIONE= i dati linguistici, appoggiati in parte da quelli


archeologici, ci consentono di datare come epoca di migrazione i.e. il 4500-2500 a. C.

DA DOVE AVVENNE L’ESPANSIONE= Per stabilire dove si trovi la patria originale, è


fondamentale l’archeologia linguistica. Si è già visto come le scoperte di questa disciplina abbiano
portato a delineare le caratteristiche dell’Urheimat.

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• Fauna e flora di tipo settentrionale: compatibilità con tesi kurganiche e centroeuropee, non
anatoliche.

• Esiguità del lessico legato all’agricoltura; forse gli indoeuropei ignoravano (o conoscevano molto
poco) l’agricoltura. È infatti impossibile immaginare che un popolo inventore dell’agricoltura fosse
privo di un lessico e di un vocabolario specifico. Quindi essi erano, in origine pastori e allevatori.

IN CHE MODO AVVENNE L’ESPANSIONE= come sono arrivati a coprire un’area così vasta? Le
culture i.e. si sono diffuse o sono migrate?

- La tesi DIFFUSIONISTA (es.: Renfrew, Ehret), che sostiene cioè la DIFFUSIONE, IN


TUTTA L’EURASIA, DI LINGUE INDOEUROPEE da una ZONA LIMITATA, deve essere
SCONFESSATA perché:

a) RICHIEDE NUMEROSI E CONSIDEREVOLI MOVIMENTI DI POPOLAZIONE;

b) NON PUÒ ESSERE SPIEGATA supponendo che l’indoeuropeo si fosse trasformato in una
LINGUA FRANCA PER IL COMMERCIO;

c) presuppone un LUNGO PERIODO di: dialettizzazione (‘differenziazione dialettale’) delle


lingue; sviluppo di complessi sistemi morfologici.

Secondo KOSSINNA tutto è frutto di grandi migrazioni che egli spiega chiamando in causa gli
“SPOSTAMENTI A STEP”, cioè dalla sede i.e. questi popoli si stanziavano in un altro luogo e poi da lì
partiva un’altra migrazione; quindi non tutto frutto di grandi migrazioni da un unico punto di partenza; ma
migrazioni da vari punti in fasi diverse.

13
CAP. 3: LA VECCHIA EUROPA

Poco sappiamo sulla realtà pre indoeuropea, prima del 7° millennio, situata nella zona centro-orientale
balcanica, definita da Gimbutas “Old Europe” e della quale rimangono poche tracce. L’Europa
preindoeuropea è, secondo la tesi di Gimbutas e Villar, un MONDO COMPLESSO, multiforme e
variegato, con migliaia di anni di tradizioni e religioni.

N.B.: Il primo episodio di “mescolanza”, secondo la linguistica e l’archeologia, avvenne in Europa in fase
preistorica, come testimoniano molte fonti. Nel 7000 a.C., in Oriente, si affermò l’agricoltura, poi
ben stabilizzata in: Anatolia, Mesopotamia, Valle del Nilo. Da queste aree cominciò la
DIFFUSIONE DELL’AGRICOLTURA verso Oriente ed Occidente; in Europa giunse, fra l’8° e il
7° millennio, nella zona centrorientale balcanica.

Lo sviluppo della Vecchia Europa fu favorito dall’AGRICOLTURA (produzione e conservazione di


alimenti, grazie alla clemenza del clima postglaciale).

6°-5° MILLENNIO: IL DILUVIO UNIVERSALE


Le recenti scoperte geologiche (Pitman) hanno fornito testimonianze del diluvio universale, databile al 5600
a. C.: testimonianze archeologiche indicano l'insediamento di nuove popolazioni in: Anatolia, Egitto,
Mesopotamia, Ucraina, Urali proprio attorno a 7.400 anni fa, come se fossero precipitosamente fuggite da
un'altra regione. Inoltre, nel settembre del 2000, a 90 metri di profondità e a circa 12 km dalle coste turche,
sono stati scoperti sotto le acque del Mar Nero (da un team di ricercatori statunitensi del National
Geographic tra cui Robert Ballard), resti di un edificio rettangolare di quattro metri per quindici, con mura
costruite mediante un impasto di fango e canne, e grandi tavole lavorate che forse coprivano l'edificio,
perfettamente conservato date le particolari condizioni prive d'ossigeno di tale mare. L’edificio sembrerebbe
essere stato sommerso proprio 70 secoli fa dall'innalzamento repentino delle acque (in conseguenza di un
terremoto o di una violenta tempesta o della pressione del Mar Mediterraneo stesso che aumentava).

Il 5° MILLENNIO

Nel 5° millennio la civiltà della Vecchia Europa era cristallizzata in diverse VARIETÀ REGIONALI:

•Cucuteni e Lengyel (oggi territori di Austria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca e Polonia);

•Tisza e Vinča (Serbia)

•Grecia peninsulare e insulare.

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Caratteristiche:

- Le città erano di facile accesso, in pianura o su basse alture e spesso vicino a fiumi e laghi; erano
situate in luoghi che spiccavano in bellezza, abbondanza di acqua e terreno di buona qualità. Non
avevano bisogno di fortificazioni perché erano tutte popolazioni pacifiche.

- Lavoravano la pietra per lame, coltelli, raschini, punte di frecce.

- Abitazioni di 2/3 stanze, con un ingresso all’aperto, per mangiare e fabbricare strumenti.

- Possedevano degli animali domestici: capre, pecore, maiali.

- Si cibavano di cacciagione: cervi, cinghiali, tori selvatici e cani.

- Si cibavano anche di pescagione: carpe e storioni.

- È certo che fabbricassero utensili in rame (intorno al 5500 a.C.) e oro (che poi penetrarono fino alle
steppe), ma non si sa se utilizzassero il metallo; di certo non il bronzo, perché ignoravano la lega per
produrlo.

- Producevano ceramiche policrome.

- Commerciavano: oro, rame e altri lussi.

- Non si hanno indizi sulla loro organizzazione sociale, se esistessero governanti o se la società fosse
divisa in classi o ceti.

- Non sono stati ritrovati palazzi sontuosi, né monumenti funerari; molti, invece, i templi (i più grandi
nei pressi di Bucarest) che abbondavano di decorazioni e ornamenti preziosi, cosa che ha fatto
pensare ad una possibile teocrazia o monarchia teocratica. In ogni caso, la religione aveva un ruolo
centrale nella società. A testimoniare la complessità dei rituali, il ritrovamento di: vasi dalle forme di
uomo, di uccello e di altri animali; ornamenti per sacerdotesse; figurine della dea uccello o della dea
serpente.

- È possibile che esistesse una qualche forma di scrittura: alcuni oggetti rituali della cultura di Vinča
apportano iscrizioni con segni rettilinei; alcuni studiosi l’hanno definito “prescrittura”, ma dopo le
tesi di Haarmann si considerano vera e propria scrittura pittografica, utilizzata unicamente per scopi
religiosi e legati al culto. Haarmann ha comparato infatti tale scrittura alla lineare A di Creta,
trovando molte affinità con essa. Questa tesi ha costretto alla revisione delle varie correnti
sull’origine della scrittura, “nata indipendentemente”:

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1. in Mesopotamia: Uruk (oggi Warka, Iraq), 3300 a. C.: pittogrammi e ideogrammi;

2. in Egitto: 3200 a. C.: geroglifici;

3. nella valle dell’Indo: 2600 a. C (ma forse già dal 3500 a. C.);

4. in Cina: 1200-1050 a. C. (ma già in età neolitica);

5. nel centro dell’America precolombiana: cultura Zapoteca (odierno stato messicano di Oaxaca), 600 a.
C.: elementi ideografici e fonetici.

La scrittura NON nasce dunque nel 4° millennio con la scrittura sumerica, ma ben 2000 anni prima, nella
Vecchia Europa. La nascita della scrittura in Mesopotamia e nella valle dell’Indo nel IV millennio coincide
con la scomparsa della scrittura nella Vecchia Europa, a testimonianza del momento culminante della
pressione indoeuropea sulla Vecchia Europa.

La scrittura della Vecchia Europa è impenetrabile, anche se alcuni dati ci giungono dalla toponomastica e
dai prestiti conservati nelle lingue storiche indoeuropee, riconducibili a lingue indoeuropee di sostrato (non
più definibile “mediterraneo”), con i quali è possibile fare ipotesi di ricostruzione di alcuni elementi del
vocabolario, ammesso che non si tratti di antiche forme indoeuropee. Ad es.:

a. gli europei della «Vecchia Europa, neolitici, dovevano avere un nutrito vocabolario per designare la
pietra nelle sue varie forme e usi: possono forse rimandare ad esso le radici «realmente o
presuntamente» non indoeuropee integrate in un sistema di derivazione nettamente indoeuropeo:

 *kar- ‘pietra’ (Harund, Karrona, Carad, Carisa ecc.; cfr. sic. Carra, top. e cogn.; carrancu anfratto,
burrone, calanco; terreno sterile’; carrivali, ‘tipo di roccia rossastra, assai friabile’);

 *mal- ‘roccia’ (Maltein, Malventum, Malasca, Malontum ecc.);

 *lap-/*lep- /pal- (lat. lapis, gr. Λεπτά, pala ‘lapide’ nelle iscrizioni lepontiche, pala ‘lapide’ nelle
iscrizioni lepontiche del nord d’Italia; cfr. sic. Lapa (contrada, Monte, Stretta della, Volta di).

b. Il nome della città nelle lingue preindoeuropee:

- Basco uri, iri

- Sumero Ur, Uruk

- Lat. urbs (forse basato su un elemento di sostrato); cfr. gr. λαβύρινθος..

c. Nomi di animali, piante, prodotti e tecniche sconosciuti: Menta, origano, rosa, giglio, fico, violetta,
lauro, asino, mulo, lepre, piombo, ferro, forse anche vino.

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Cfr. sic. agurra ‘salicone’, alastra ‘ginestra selvatica’, ‘gigaro (pianta velenosa)’, cròpanu ‘abete
bianco’, scaleri, ‘gambo del carciofo’.

Cfr. anche sic. calancuni ‘burrone’, chjappa ‘lastra di pietra’, galofaru ‘vortice d’acqua’, gravina
‘letto asciutto di un fiume’, lavanca ‘frana’, tiffuni ‘zolla’, timpa ‘fianco scosceso di un colle’.

- Per quanto riguarda la religione, la linguistica non ci aiuta, ma un grande supporto ci arriva
dall’archeologia: la Vecchia Europa venerava la Grande Madre, simbolo di fertilità, assimilata alla
terra che genera il frutto del raccolto dalla terra umida, processo essenziale in una società su base
agricola. È presumibile che il nome della Dea fosse Ana, oppure Dana (nome sopravvissuto in
diverse zone dell’Europa posteriore: latino, messapico, celtico). I simboli erano: terra umida, acque
vivificatrici, organi femminili; molte decorazioni raffiguravano labirinti, vulve, seni e dei sepolcri
ovali o antropomorfici evocavano il corpo della Grande Madre.

Nella rappresentazione della vita era implicata la rigenerazione dopo la morte, come dal seme piantato
rinasce un nuovo albero. La vita dopo la morte era piacevole e allegra: il mondo terreno era separato
dall’aldilà da una barriera d’acqua che i morti attraversavano su una barca.

N.B.: La società era matriarcale. L’eredità veniva trasmessa per via femminile, come il nome della
famiglia. La società della Vecchia Europa, tuttavia, era molto paritaria e non implicava la
sottomissione dell’uomo. La donna sceglieva liberamente il marito o i mariti. Non esisteva il
concetto di adulterio, che nelle società patriarcali obbedisce infatti alla necessità di garantire
purezza della successione per via paterna. Neanche la verginità aveva valore. La madre educava i
figli, che non avevano nemmeno bisogno di conoscere il padre. Questo perché non esisteva il
concetto di paternità. Ancora gli Aborigeni australiani, all’epoca della loro scoperta, lo ignoravano;
infatti: disconoscevano la distanza di nove mesi fra causa ed effetto (concezione e nascita);
distinguevano, da un lato, il piacere della coppia nell’accoppiamento, dall’altro l’evento formidabile
del parto, per la sola donna.

Il 5° millennio rappresentò il periodo di massimo splendore della Vecchia Europa.

FRA IL 5° E IL 4° MILLENNIO: DECLINO DELLA “VECCHIA EUROPA” e PASSAGGIO ALLA


“NUOVA EUROPA”

Tra il 5° e il 4° millennio si verificarono cambiamenti culturali profondi, spiegabili solo con grosse
alterazioni delle etnie e delle lingue: con incursioni e razzie, i pastori barbari delle steppe (popoli più
evoluti) penetrarono e distrussero la civiltà della Vecchia Europa, mettendone in crisi identità etnica,
culturale e religiosa. Imposero: lingua, organizzazione sociale, religione, costumi.

17
Ciò avvenne in 3 fasi:

1. 4400-4200: prime invasioni zona danubiana e balcanica dell’Europa, centro secondario


dell’indoeuropeizzazione dell’Europa settentrionale e occidentale dal 3° millennio;

2. 3400-3200: verso l’Iran e parte dell’Anatolia (Transcaucasia) e in Europa centrale;

3. 3000-2280: Egeo.

Fra il 5° e il 4° millennio avvenne dunque L’INDOEUROPEIZZAZIONE DELL’EUROPA


CENTROORIENTALE, attraverso la CONFLUENZA DI DUE STIRPI:

a. agricoltori civilizzati;

b. pastori delle steppe.

Da questa mescolanza nacque il CENTRO SECONDARIO DELL’INDOEUROPEIZZAZIONE


DELL’EUROPA SETTENTRIONALE E OCCIDENTALE.

Maria Ghimbutas scrive che attorno al 4300 a. C. l’età dell’oro dell’Europa antica nel bacino del Danubio
ebbe fine. Infatti:

 molti degli INSEDIAMENTI abitati per centinaia o migliaia di anni furono ABBANDONATI;

 in altri siti il cambiamento fu più inquietante: strati bruciati attestano INCENDI, DISTRUZIONI E
MASSACRI DI PERSONE;

 ALCUNI VILLAGGI furono RIOCCUPATI, ma da altri popoli, con tradizioni di ceramica


completamente diverse e con un simbolismo e un sistema religioso antitetici;

 I NUOVI INSEDIAMENTI furono posti su colline e promontori sopra gli argini del fiume;

 si passò alle tombe a fossa ricoperte da tumuli di pietre;

 si diffuse la tendenza alla pastorizia.

In sintesi, è possibile affermare che sono esistite «due» VECCHIE EUROPE:

1. zona centro-orientale balcanica (8°-5°millennio) = nucleo originario, zona di gestazione e di


irradiazione della civiltà e della cultura agricola, divenuta dal 4400 a.C. obiettivo dei pastori barbari
delle steppe;

2. Europa occidentale e neolitica (5°-4° millennio, stabilizzatasi nel 3° millennio)= zona secondaria di
naturale espansione della prima, lenta avanzata degli agricoltori dell’Europa centroorientale, spinti
dalla necessità di ampliare i terreni agricoli, gli spazi per l’allevamento e la produzione di alimenti.

18
Il 3° MILLENNIO E LA “NUOVA EUROPA”

L’archeologia rileva l’intrusione di asce da combattimento già nel 3° millennio nel Nord Europa.

Nel 1500 a. C. avvenne l’INDOEUROPEIZZAZIONE DELL’OVEST E DEL SUD-


OVEST EUROPEO: Francia, isole britanniche, penisola iberica. Si trattava di zone in cui il sostrato
occidentale era neolitizzato e impregnato della vecchia cultura europea, ma carente di grandi focolai
di civiltà urbana di tipo orientale.

Non indoeuropeizzati ancora oggi: Paesi Baschi, Finlandia, Ungheria.

Preindoeuropei nell’antichità: in Grecia, prima dei greci c’erano Pelasgi, Lelegi, Cari; in Italia
sopravvivevano gli Etruschi; in Scozia c’erano, ancora nell’8° sec. i Picti; a Creta la cultura
matrilineare sopravvisse fino alla metà del 2° millennio; nella penisola iberica gli indoeuropei
arrivarono tardi, come testimoniano i resti scritti di varie lingue non indoeuropee (ad es.: iberico,
tartasso).

N.B.: Recentemente, con il metodo della dendrocronologia è stato possibile datare gli strati culturali del
tardo neolitico e dell’età del rame con maggiore precisione della datazione con il radiocarbonio, che
dà risultati approssimativi per periodi più antichi del 1000 a.C. Le datazioni dei siti archeologici
dell’Europa sudorientale sono state pertanto corrette con il metodo della dedrocronologia:
l’orizzonte cronologico dell’antica civiltà europea è stato fissato al 6° millennio: la più antica civiltà
europea è precedente alla cultura sumerica di almeno duemila anni

19
CAP. 4: LA PRIMA EUROPA I.E.

L’archeologia individua due momenti di grande intensità migratoria nell’area dei KURGAN verso l’Europa
centro-orientale:
 Uno verso il 4400 a.C
 E l’altro verso il 3400 a.C
N.B.: sicuramente questi non furono gli unici periodi di migrazione infatti, nella stessa direzione, vi sono
stati per quanto minori, flussi migratori durante tutto il IV millennio e buona parte del III millennio.

Va detto, però che è molto probabile che LE LINGUE INDOEUROPEE STORICHE derivino dalla parlata
degli invasori più recenti (quelli arrivati per buona parte del 3000 a.C.) che dovettero fare i conti con i
discendenti dei primi migranti in quella zona che, a loro volta, avevano fatto i conti con gli abitanti della
Vecchia Europa.

ABBIAMO QUINDI 2 SOSTRATI E 2 SUPERSTRATI CHE SI SONO INCROCIATI ED OGNUNO, DI


VOLTA IN VOLTA, AVEVA DOVUTO SCONFIGGERE CHI C’ERA PRIMA, SOTTOMETTERLO ED
IMPORRE LA PROPRIA LINGUA.

Tra le lingue i.e. storiche, normalmente ritenute tali, non c’è nessuna che derivi direttamente dalle prime
migrazioni del 5000 a.C.; della lingua di questi primissimi invasori non è rimasta nessuna lingua erede
diretta; questo porta quindi a definire le lingue i.e di oggi come figlie di una successiva stratificazione.

N.B.: solo alcuni popoli sopravvissero, in qualche maniera, alle ondate migratorie i.e.; tra cui etruschi,
liguri e picti, nella zona siciliana lelegi, pelasgi, paleocretesi ed infine baschi e popoli iberi.

È anche probabile che LE COSIDDETTE LINGUE NON INDOEUROPEE


possono rappresentare:

 un membro non identificato della famiglia linguistica indoeuropea, varietà derivata dalle lingue degli
invasori più antichi;
 lingue preindoeuropee in senso stretto, sopravvissute alla fase di indoeuropeizzazione.

Per ricostruire le caratteristiche della lingua indoeuropea originaria dobbiamo far fronte ad una
MANCANZA di DOCUMENTAZIONE SCRITTA (che ci giunge solo dal II millennio per Asia Minore e
Balcani e dal I millennio per l’Occidente europeo).
Importanti notizie sulla lingua indoeuropea delle prime fasi ci giungono dalla TOPONOMASTICA (secondo
i linguisti la scienza che studia i nomi dei luoghi) e, soprattutto, dall’IDRONIMIA. I nomi dei fiumi, infatti,

20
nell’ambito della toponomastica, rappresentano la categoria maggiormente conservativa. Diventano pertanto
uno strumento prezioso per lo studio dell’identità delle antiche popolazioni di qualsiasi territorio:
• talvolta sono parole comuni (Fiumefreddo, Villanova, Acquappesa)
• spesso sono parole semanticamente svuotate di significato: hanno infatti mantenuto
inalterato il significante, ma hanno perso il significato originario per via dell’affermazione di altre lingue su
quella originaria.
Lo studioso H. Krahe ha notato l’esistenza di un SISTEMA OMOGENEO DI DENOMINARE I FIUMI IN
UN’AMPIA ZONA DELL’EUROPA, che comprende i seguenti territori:
- Paesi Baltici
- Coste occidentali dell’Atlantico (incluse isole britanniche)
- Scandinavia
- Sud dell’Europa
- Italia
- Spagna e Portogallo
In quest’area, ha notato l’uso, negli idronimi, delle seguenti parole:
*war- ‘acqua’
*pal- ‘acqua stagnante’
*mar- ‘laguna, mare’
*tar- ‘forte, penetrante’
*albho- ‘chiaro, bianco’
• ais- ‘rapido’
Gli idronimi osservati furono creati da genti indoeuropee, ma conservano traccia di una lingua non
conosciuta. Alcuni hanno sostenuto fosse la lingua dei Liguri, altri degli Illiri, ma la mancanza di fonti rende
inverosimile qualsiasi ipotesi.
Krahe si chiede se la LINGUA DEGLI IDRONIMI sia l’ANTENATA PREISTORICA DI TUTTE LE
LINGUE STORICHE INDOEUROPEE; ed arriva ad ipotizzare l’esistenza di una LINGUA INTERMEDIA
(EUROPEO ANTICO O PALEOEUROPEO, localizzato tra la Germania del Nord e la Scandinavia, come
sostenevano anche Penka e Kossinna) tra l’indoeuropeo propriamente detto e le lingue storiche. Da questa
lingua intermedia sarebbero derivate tutte le lingue del Nord e dell’Ovest d’Europa, quando già le altre
lingue indoeuropee (ittita, greco, indiano, iranico) erano separate e perfettamente differenziate.
In realtà, l’eterogeneità delle forme suggerisce l’esistenza di MOLTEPLICI LINGUE APPARTENENTI A
DIVERSE POPOLAZIONI INDOEUROPEE.
Alla “re-indoeuropeizzazione” ci sono dei limiti:
 CRONOLOGICI: NON È POSSIBILE RISALIRE ALLA DATA PRECISA in cui arrivarono i popoli
indoeuropei che dovettero occupare l’Europa prima dell’epoca storica;
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 legati alla CULTURA MATERIALE, alle ISTITUZIONI SOCIALI, alle CREDENZE; infatti,
dall’idronimia emerge che:
a. la PATRIA ANCESTRALE (la prima o la seconda) può essere stata RICCA DI ACQUE;
b. i popoli indoeuropei storici d’Europa (latini, celti, germani, balti) non furono i primi agenti
indoeuropeizzanti, ma furono preceduti da altri gruppi della medesima filiazione, poi assorbiti da
quelli storici.

22
PARTE II (CAPP. 1-5)

CAP. 1: UNA SOCIETA’ GUERRIERA

È un luogo comuno assai diffuso che gli i.e. fossero un popolo bellicoso estesosi in Eurasia grazie alle
capacità e alle tecniche militari. Colpisce però la scarsità, nell’ambito del vocabolario comune, di termini
specifici per la guerra e le sue tecniche.

Tra quel poco che c’è troviamo:

 la radice *nsi- “spada”, convertito in ensis latino e asì in sanscrito.

N.B.: in sanscrito oltre a spada asì significa anche coltello per sacrificare gli animali (anche se questo
naturalmente non è il significato semantico più antico).

Minore fondamento ha la ricostruzione di una parola comune per “ascia”; o ancora per “lancia” che, sebbene
molto diffusa tra gli i.e. (che sembrerebbe non lottassero con le frecce ritenute ad uso di gente codarda e
senza onore; a differenza del combattimento con la lancia) non ha una parola comune per designarla.

 Indubbiamente i.e. è la radice *gwhen “colpire, uccidere colpendo”: ha dato origine a diversi lessemi
nelle lingue indoeuropee: da essa deriva in italiano of-fendere/di-fendere; come in greco teino
“uccidere” e fonos “assassinio”, russo gon’ba “caccia”.

Il carattere guerriero degli i.e. può dedursi anche dal loro comportamento storico e protostorico più che dal
vocabolario comune. Molto probabilmente gli indoeuropei impiegavano il cavallo non solo per trainare i
carri da trasporto merci, ma anche in contesto bellico:

1) per trainare i carri da guerra. Il primo documentato risale al 2700 a.C.

2) come mezzo per i guerrieri a cavallo. Tuttavia, nelle ARTI FIGURATIVE non c’è testimonianza di
guerrieri a cavallo fino a epoche tarde, probabilmente per la necessità di perfezionare il morso (già in
uso in Ucraina all’inizio 3° millennio, ma diffuso in Europa solo nel 1.000 a.C.).

ANCORA: uno dei punti su cui c’è pieno accordo tra gli studiosi è che gli i.e. avevano cittadelle e luoghi
fortificati. Tali cittadelle avevano nella lingua comune un nome che possiamo ricostruire
come:

 *plH-s* “città”; la radice da cui deriva il greco polis “città”, in lituano pilìs “castello”, e in sancrito
pur “città”.

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 alcuni popoli i.e, soprattutto in area germanica (celti, germani ecc) invece, hanno sostituito l’antico
termine indoeuropeo, con un’altra parola, sempre i.e, che significava “alto/elevato” e la cui radice
ricostruita è *bhrgh-, da cui derivano tutte le forme che troviamo nelle lingue anglosassoni che
finiscono in –burg (Amburgo, Lussemburgo), mentre invece dal modello polis greco abbiamo
formazioni come Persepoli, Decapoli, Costantinopoli; finendo per essere dei suffissoidi.

24
CAP. 2: LA RELIGIONE

Uno degli studiosi più importanti che si è interessato alla religione indoeuropea, è stato lo studioso francese
DUMEZIL, capogruppo della linea definita degli ottimisti; viceversa vi fu un gruppo di studiosi, tra cui
spiccano SCHLERATH e ZIMMER, che facevano parte del gruppo definito dei pessimisti.

 I PESSIMISTI AFFERMAVANO CHE LE LINGUE STORICHE I.E PRESENTANO IN COMU NE


UN UNICO NOME DI DIVINITA’ CHE PERMETTEREBBE QUINDI DI INDIVIDUARE UN
UNICO DIO.

La radice ricostruita sarebbe *dyeus- che diverrebbe: in sanscr. Diaus, in greco Zeus, in latino Iovis (nel
latino arcaico la forma genitiva era diovis); alcuni associano anche la forma Tyr dell’antico sassone ma non
sono tutti d’accordo. Quindi forme molto simili che evidentemente derivano dalla stessa radice e che fanno
tutte riferimento allo stesso significato (ovvero la divinità più importante, il padre degli dei). Il nome di
questo unico dio è di solito accompagnato dalla parola Pater (per esempio in latino abbiamo IUPPITER che
altro non è che la forma più contratta di “dieus pater”).

 IL GRUPPO DEGLI OTTIMISTI, INVECE, DESCRIVEVANO DETTAGLIATAMENTE I


MOLTEPLICI DEI I.E.

Essi ritenevano che il nome delle divinità, in fondo, non fosse così importante perché ogni divinità poteva
avere più nomi (pensiamo ad esempio nella nostra cultura cristiana quanti nomi ha Gesù) e quindi una lingua
poteva conservarne prioritariamente uno e un’altra lingua un altro.

Quindi non è importante che non ci siano nomi equivalenti per ogni divinità; secondo DUMEZIL, bisogna
cercare non i nomi; bensì le funzioni delle divinità. Egli però incorre in alcuni errori; uno fra tutti quello di
attribuire al sanscrito la priorità attributiva delle forme (pertanto un fatto riscontrato nei Veda veniva
automaticamente riportato al mondo indoeuropeo).

N.B.: Nel grande lavoro di ricostruzione della religione indoeuropea, Dumezil si è imbattuto in una nuova
difficoltà: un conto era la ricostruzione della religione del popolo originario fino al V millennio; un
conto la ricostruzione di una religione inerente la civiltà del III millennio, perché è ovvio che in 2
millenni si registrano dei notevolissimi mutamenti: purtroppo non abbiamo abbastanza elementi per
ricostruire la religione originaria (quella del popolo delle steppe), mentre, la religione che più
probabilmente ricostruiamo (quella dal III a.C) è una religione sì indoeuropea, ma che presenta
comunque delle incursioni, degli elementi, certamente non indoeuropei.

Vediamo quindi a cosa si è arrivati seguendo questo filone degli ottimisti, che è quello più accettato dal
mondo scientifico.
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 La religione indoeuropea doveva essere una religione di tipo naturalista, ossia una religione che
venerava specifici fenomeni naturali (quali per esempio, il sole, il fuoco, il fulmine, le acque, i venti,
ecc), tutto ciò che è relegato a ciò che è celeste o a fenomeni atmosferici.

 Molto estesa e diffusa è l’adorazione del disco solare che, a quanto sembra, è stata più persistente tra
i Germani: infatti molte tracce protostoriche di questo culto le ritroviamo proprio in scavi
archeologici compiuti in area germanica; uno per tutti il carro del sole di Trundholm, e d’altro canto
in Cesare si trovano vari riferimenti al culto del sole in area germanica, e ancora sono stati trovati,
incisi in alcune rocce della Scandinavia, disegni dei dischi solari.

Vi sono poi delle rappresentazioni grafiche più stilizzate del sole: per esempio il sole è rappresentato con
delle spirali o con le cosiddette svasticàs (nome derivato dal sanscrito, che vuol dire “benessere”); queste
forme stilizzate sono poi associate nel mondo antico anche ad amuleti portafortuna (ancora oggi in Grecia
nei monili vengono inserite le svastiche come portafortuna, quindi è una cosa che si è tramandata).

I. Un altro elemento centrale nell’ambito degli elementi naturali, è il fuoco. Ovviamente per loro il
fuoco era un elemento fondamentale, per due motivi: perché da un lato li riscaldava (specie per
l’escursione termica notturna), dall’altro teneva lontano i predatori.

Il culto del fuoco ha lasciato tracce nelle aree laterali del mondo indoeuropeo: in india esiste una divinità che
si chiama Agnis (che ricorda il latino ignis; Agnis in sanscrito significa “il fuoco” – in questa cultura Agnis
ha un ruolo importante, quasi predominante, in quanto è centrale in tutti i rituali) e d’altro canto anche a
Roma abbiamo degli indizi che ci rimandano a questo culto del fuoco (pensiamo al fuoco sacro dei templi,
tenuto acceso dalle vestali).

II. Un dato certo, è l’esistenza della divinità di “*dyeus patèr” che, probabilmente altro non doveva
essere per i nostri avi, che la personificazione del cielo, della volta celeste, e proprio per questo,
siccome tutti i fenomeni atmosferici vengono dal cielo, *dyeus patèr era il padre di tutte le divinità
(Il fatto che ci sia un'unica forma per tutte le lingue storiche, indica che questa doveva essere la
divinità centrale, più importante). Se la volta celeste veniva personificata come padre, è logico
pensare che i fenomeni atmosferici sono figli: il rapporto era, non tra divinità estranee, ma tra un
padre e tanti figli. Il nome più generico di Dio (quindi deus del latino) risale alla parola indoeuropea
ricostruita *deiwos, che troviamo in sanscrito devàs, in latino deus, in celtico deva, in lituano dievas,
e potrebbe significare più genericamente “i celesti”, cioè coloro che vengono dal cielo, per intendere
divinità.

26
ANCORA: Secondo Dumezil bisognava intravedere/ricostruire delle funzioni, e quindi egli propone un
panteon tripartito in base a funzioni diverse. Queste tre funzioni sono:

1. quella del sacro

2. quella della guerra

3. quella della fertilità, del benessere

SACRIFICIO DI ANIMALI = tra i riti presenti nella religione indoeuropea, doveva esisterne uno che
presupponeva il sacrificio di animali, in modo particolare di tre animali: maiale, toro e pecora; nonché
mogli, figli, concubine perché intesi quali possesso del morto. I sacrifici avvenivano normalmente per
combustione e all’aria aperta (gli i.e non costruivano templi).

SACERDOTI = è difficile sostenere che ci fossero sacerdoti; non esiste infatti una parola comune antica;
ma diverse realizzazioni: flamen latino, sanscrito brahman, messapico blamini (tutte e tre con significato di
sacerdote).

Secondo Dumezil, e la scuola francese la primitiva società i.e sarebbe stata ripartita in 3 classi:

 CLASSE SACERDOTALE = responsabile di riti e dei rapporti con la divinità; nonché della
conservazione delle tradizioni

 NOBILTA’ GUERRIERA

 ARTIGIANI E ALTRI LAVORATORI

N.B.: di sostegno a questa tesi è il fatto che il phanteon è tripartito con divinità corrispondenti a ciascuna di
queste classi.

ANCORA = fondamentale era il rito funerario connesso alla concezione che un popolo ha dell’aldilà. In
questo caso, oltre alla lingua, ad aiutare subentra anche l’archeologia e alcune tradizioni di
popoli storici che ci danno delle indicazioni:

gli i.e erigevano tumuli funerari che coprivano le tombe (costruite a modello di abitazioni con a volte pareti
decorate). Se gli abitanti della vecchia Europa praticavano il rito della cremazione, le ceneri del defunto
venivano messe in un’urna a forma di casa; gli abitanti della nuova Europa che venivano inumati erano
messi nei kurgan a forma di abitazione (questa tendenza a concepire il sepolcro come un’abitazione, è
coerente con l’uso di porre nelle tombe vari oggetti di valore [armi, strumenti e animali sacrificati]), la cui

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abbondanza variava a seconda del rango sociale del defunto; cosa che non avveniva con gli abitanti della
Vecchia Europa che non avevano livelli sociali e questo indica anche due diverse concezioni di vita e morte.

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CAP. 3: FAMIGLIA E SOCIETA’

L’ARCHEOLOGIA LINGUISTICA ci aiuta a:

1. stabilire parentele, quali esistevano e quali no presso gli indoeuropei, attraverso le


corrispondenze nel vocabolario comune;

2. comprendere le dinamiche delle istituzioni familiari, ricavando dal lessico notizie circa le
funzioni e i ruoli familiari, la loro natura etc.

L’inventario dei termini familiari era stato allestito alla fine del ‘900 da Delbruck. Dopo di lui ci sono stati
pochi studi.

• CONSANGUINEI

Ci sono due classi di termini per esprimere certe parentele, in particolare ‘padre’ e ‘madre’:

1. Vocabolario adulto:

• Padre = *pǝtē̒r < pa- ‘proteggere’? O dalle prime combinazioni che i bambinitē̒(n);r < pa-
‘proteggere’? O dalle prime combinazioni che i bambini sono capaci di realizzare? (sanscr. pitā, celt
athir, lat. Pater);

• Madre = *mā̒(n);tēr < ma- ‘misurare’? gr. πατηρ, ted. Vater, tocario pākar,

2. Vocabolario infantile:

• Papà = *atta/*tata (itt. Attaš, gr. αττα e τατα lat. atta e tata, got. atta, sanscr. Tttás) e *papa/*appa (gr.
παππα e αππα, lat. pappa. Tocario B appa(-kke))

• Mamma = *mā̆

• Figlia = *dhug(h)ǝtē̒r < pa- ‘proteggere’? O dalle prime combinazioni che i bambinitē̒(n);r <
‘mungere’?

• Figlio = *sunus e *ku-/*pou-/ *bhu- (radici che significano ‘piccolo, giovane’)

• Fratello = *bhrā̒(n);tēr < bhra- ‘trasportare’?

• Sorella= *swesōr

• Nonno [ma anche ‘zio materno’]= *awos [avuncolato= lo zio materno assume determinati diritti e
doveri nei confronti del nipote (in partic., una posizione autoritaria e normativa nei sistemi

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matrilineari, affettiva in quelli patrilineari; ad es., quando una donna rimaneva vedova il padre si
occupava; se il padre era morto, se ne occupava, per mezzo dell’avuncolato, il fratello)];

• Nonna = *anos

• Nipote = *nepōs

PARENTI ACQUISITI

• suocero = *swékuros

• suocera = *swekrūs̒(n);

• nuora = *snusos

• genero = alcune lingue rimandano alla radice *gem- ‘sposare’

• vedova = *widhewā (non esiste un termine i.e. per ‘vedovo’)

• marito = generico *nēr o *wiros

• moglie = generico *[e]sōr o *gwena

• cognato (fratello del marito) = *daiwer

• cognata (sorella del marito)= *glo[u]s

• cognata (moglie di un fratello del marito)= *yenǝtē̒r < pa- ‘proteggere’? O dalle prime combinazioni
che i bambinitēr̒(n);

FAMIGLIA DI TIPO PATRIARCALE

Il tipo di famiglia indoeuropea era quello noto come grande famiglia. L'autorità spettava al capofamiglia, il
pater. I discendenti maschi, dopo essersi sposati non abbandonavano l'unità familiare, né fondavano una
famiglia nuova. Chi prendeva moglie la introduceva in seno alla grande famiglia. L'uomo concordava le
proprie nozze con una donna di un'altra famiglia, che conduceva nella propria (lat. Ducere uxorem). La
donna, nello sposarsi, smetteva di appartenere alla propria famiglia di sangue e si integrava nella famiglia
del marito che, quando moriva, lasciava la moglie vedova, ovvero priva di una famiglia (cfr. "vedova" e
"avos" infra.).

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I NOMI DELLA FAMIGLIA E DI UNITA’ MAGGIORI

• *su ‘generare’= Nome più antico, poi sostituito da altri più rispondenti a nuovi costumi, non presente
in nessuna lingua indoeuropea storica, ricostruito sulla base di altre con stessa radice (sanscr. sute
‘generare’, *sunus ‘figlio’, swesor ‘sorella’);

• *woik(o)s ‘famiglia, clan’ = gr. oikos, lat. vicus ‘gruppo di case, villaggio’, sanscr. vis-‘popolo’ ecc.

• *treb-/*trb- ‘edificio, abitazione’ = ted. Dorf ‘villaggio’, lit. trobà ‘casa, edificio’, irl. medio treb, gr.
τεραμνον ‘casa’, osco triibum ‘casa’, lat. trabes ‘trave’ e taberna ‘capanna’;

• *dem- ‘edificare’= gr. δομοσ ‘casa’, russo dom, lat. domus ecc.;

• *teuta ‘tribù, nazione’ = irl. a. tuath ‘tribù, popolo’, osco touto ‘città’, lit. tautà ‘popolo’;

• lat. tota ‘il popolo di Roma’ (i tedeschi chiamano se stessi Deutsch).

• *ghostis = ‘ospite’ e ‘staniero, nemico’. Fa ipotizzare che il clan avesse carattere chiuso, ma queste
attestazioni son presenti solo nelle lingue indoeuropee occidentali).

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CAPITOLO 4: ECONOMIA E SVILUPPO MATERIALE

Gli indoeuropei erano un popolo di pastori e di allevatori; agricoltori diventarono successivamente, cioè
dopo la conquista della zona balcanica (quindi non erano originariamente agricoltori). Un ruolo
predominante nell’ambito dell’economia ha la pastorizia e questa sua predominanza si rispecchia anche
nella lingua (vedemmo infatti pecus, che originariamente significava “bestiame” ma alla fine significa
“soldi, pecunia”).

Per quanto riguarda il vocabolario inerente all’agricoltura, invece, rileviamo una grande scarsità di vocaboli
ed è, partendo da questo presupposto linguistico, che noi abbiamo ritenuto che l’agricoltura non ricoprisse
un ruolo predominante nell’economia indoeuropea, mentre invece abbiamo visto che esiste un vocabolario
variato, per ambiti e aspetti diversi della pastorizia ( vari nomi di animali e cuccioli, o il nome del pastore e
della mungitura che è comune a tutte le lingue storiche; abbiamo ipotizzato anche il sacrificio di tre animali
in particolare).

La lingua ci restituisce elementi che fanno parte di una società pastorale.

Gli archeologi trovarono in diversi luoghi dell’Europa già indoeuropeizzata (quindi dal VI millennio in poi)
alcune costruzioni di forma absidale (le stesse strutture che ancora oggi troviamo in alcune aree della
Bulgaria) che servivano, e servono ancora, come rifugio notturno per il pastore e il bestiame: nella lingua
bulgara (che è lingua indoeuropea) questa specie di costruzioni si chiamano poljati, nome che è stato messo
in relazione con il latino palatium (termine che fa anche riferimento al colle Palatino, che in epoca remota fu
lungamente considerato proprio dimora dei pastori e originariamente significava “stalla”: Augusto fece
costruire la propria residenza sul colle Palatino e quindi la residenza venne chiamata palatium, e da lì prese a
significare edificio di grandi dimensioni, e non più stalla).

N.B.: Siccome nella lingua sanscrita esiste il termine palàs, col significato di pastore, sembrerebbe che da
questi nomi possiamo ricavare il nome della stalla nella lingua comune.

CAMPAGNA = Per quanto riguarda poi il termine agricolo “campagna”, la parola indoeuropea sarebbe
*agros, attestata diffusamente: tale termine sarebbe derivato da una radice *ag-, che
significa “portare”, quindi si è presupposto che, a fronte di un apparenza agricola, il
termine agros originariamente fosse il luogo/il campo dove si portavano gli animali;
questa è una scuola di pensiero che avvalorerebbe la nostra teoria, ma riguardo alla
parola agros c’è anche un'altra scuola di pensiero che ritiene che la parola in questione
sia un prestito dal sumero àgar, che significherebbe “terreno destinato alla
coltivazione”, e questo avvalorerebbe la tesi che l’origine dell’arte dell’agricoltura
debba collocarsi nella zona sumerico-egizia e che da lì sia arrivata all’area balcanica.
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In ogni caso le due interpretazioni indicano comunque che l’agricoltura non era
un’arte originaria degli indoeuropei.

LANA = Per quanto riguarda le attività complementari alla pastorizia, troviamo diverse parole comuni,
per esempio quella che fa riferimento alla lana, la cui parola indoeuropea ricostruita è
*wl̥Əna, termine comune a tutte le lingue, (latino lana, lingue germaniche wool -inglese- o
wolle –tedesco- ,ecc).

LATTE/MUNGERE = Non è possibile, invece, nonostante gli sforzi fatti, ricostruire una radice
comune per il latte, mentre ne abbiamo una per l’atto del mungere che, in
alcune lingue, ha finito anche per assumere significati più generici, come
“strofinare, sfregare” che richiama l’atto della mungitura. Molte lingue hanno
ricavato il termine che indica il latte da questa radice: la radice indoeuropea
ricostruita è infatti *melg- da cui milk inglese e milch tedesco, e anche Tocario
B e altre lingue; dall’altro lato, il greco gala e il latino lac fanno invece pensare
a una forma *galact, che non sembra avere in nessuna maniera un legame con
la radice di cui abbiamo parlato poco prima.

ARATRO= il termine più diffuso nelle lingue indoeuropee e riferito all’agricoltura è la parola *arƏtrom,
che vuol dire aratro (greco àrotron, latino aràtrum, tocario arctlom, e via dicendo, quindi è
molto diffusa); tuttavia la parola non è attestata nel ramo satem (quindi nella zona asiatica,
indo-iranica), cosa che ha portato degli studiosi alla conclusione che gli indoeuropei originari
non conoscessero affatto l’agricoltura e che questa sia stata introdotta nella loro cultura dal
contatto con la vecchia Europa. Però il tocario, è vero che sia una lingua kentum, ma non di
meno è una lingua asiatica, quindi la situazione è un po’ complessa, perché non abbiamo in
questo caso dati sufficienti per poter trarre delle fila e avere un quadro chiaro della situazione,
come invece abbiamo potuto fare linguisticamente ricostruendo ambiti con una maggiore
ricchezza lessicale.

SEME= Esiste sicuramente un termine per seme, per cui la radice ricostruita è *semen-, derivato a sua
volta da un’altra radice *sei- che vuol dire “lasciar cadere, gettare”; ma la cosa strana è che
anche questa radice e quindi consequenzialmente le parole che da esse derivano, sono presenti
solo nelle lingue europee (pensiamo al latino semen, al tedesco samen, slavo antico sem) e
quindi questo continua a metterci in crisi.

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MIELE/APE/ BEVANDE = Gli indoeuropei sicuramente conoscevano il miele e l’apicoltura: la cosa viene
soprattutto avvalorata dal fatto che le steppe meridionali della Russia
costituiscono proprio un habitat adatto alle api. Il termine indoeuropeo per
miele è *melit, attestato nel greco mèli, nel latino mel, e anche nell’albanese
mial; è anche vero che questo termine non è molto attestato nella zona
indoiranica, ma non è nemmeno del tutto assente come gli altri due termini di
cui abbiamo appena parlato, e questo lo sappiamo con certezza grazie anche al
lessicografo greco Esichio, che nei suoi scritti parla del miele proprio come
bevanda scitica. Invece, non è cosi sicura la parola indoeuropea per l’ape:
infatti a riguardo troviamo una radice comune nell’area nord occidentale
europea (celtico, germanico, baltico, slavo), che molto probabilmente altro non
è che una voce onomatopeica e la cui ricostruzione è *bhei-; ma in verità la
forma varia fortemente da lingua a lingua. È possibile che anche il latino, nella
sua preistoria, abbia condiviso questa denominazione, se è vero, come alcuni
studiosi propongono, che la parola fucus, che vuol dire “calabrone, fuco”, è
imparentata con la radice a cui abbiamo appena fatto riferimento. In altre
lingue (compreso il greco), invece, la forma per indicare l’ape deriva dalla
parola miele, per esempio la parola greca mèlissa, che è una struttura derivata
dal tipo “mel”. Poiché la parola per l’ape che abbiamo ricostruito come più
diffusa , ovvero *bhei-, è diffusa solo in occidente, non è certa la sua origine
indoeuropea: alcuni studiosi, per quanto sono una minoranza, ritengono che sia
un termine originariamente egiziano, quindi che sia evidentemente un prestito
dalle lingue camito-semitiche e in effetti questa idea nasce dal fatto che il
termine egiziano è molto simile (ape si dice infatti biit); se questo fosse vero, si
potrebbe ipotizzare che la pratica dell’apicoltura fosse arrivata in Europa
dall’Egitto e, siccome l’esistenza in Egitto è sicuramente attestata fin da prima
del terzo millennio a.C, la cosa non sarebbe del tutto impossibile.

La ricostruzione testuale, con la ricerca archeologica e la ricostruzione linguistica, offrono buone prove e
buone ragioni per pensare che gli indoeuropei non utilizzassero il miele solo come alimento, ma che
ottenessero da esso anche una diffusa bevanda alcolica, che sembrerebbe essere stata formata da un
miscuglio di acqua e miele, probabilmente fermentato con l’aiuto del lievito: per aromatizzarla sembra che
amassero aggiungervi erbe o spezie, tra quelle più usate sicuramente il timo, il rosmarino, il ginepro e il
chiodo di garofano. La parola per indicare questa bevanda, dalla comparazione nelle varie lingue storiche,
sarebbe *medhu, da cui il greco metu e il sanscrito madhu (il sanscrito conserva le aspirate); questa parola

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però mancherebbe in latino e, di conseguenza, nelle lingue romanze; d’altra parte questa parola rappresenta
un caso proprio di quelle parole che vengono definite parole viaggiatrici, vale a dire quelle parole che si
trasmettono di lingua in lingua insieme a ciò che designano. In effetti, quindi, non si tratterebbe solo e
necessariamente di una parola comune, ma di una parola che è partita da un punto in una cultura e poi è stata
trasmessa, attraverso la bevanda che indica, nelle altre lingue. D’altro canto presso molti popoli indoeuropei
questa bevanda probabilmente corrispondeva con l’idròmele, che si utilizzava sia in Grecia che a Roma.
Sicuramente i popoli germanici hanno utilizzato qualcosa di simile (bevanda a base di miele) fino al
medioevo, (per esempio nell’epica del Beowulf, si parla dell’idromele come bevanda degli dei).

Questa comunque sembrerebbe l’unica bevanda conosciuta dagli indoeuropei originari. Sicuramente
l’idròmele è una bevanda alcolica di qualità inferiore tanto al vino quanto alla birra, e quindi evidentemente
è la bevanda di popoli che non conoscono la viticultura e che non dispongono di cereali sufficienti o adatti
alla produzione della birra; essi insomma utilizzavano la materia prima che forniva la natura, per questo è
normale riscontrare una sostituzione graduale di questa bibita originaria con il vino, la birra o altre bevande
che avevano senza dubbio qualità superiori e che esistevano già presso altri popoli, soprattutto quelli che
praticava l’agricoltura. I romani, pur quando disposero di vini eccellenti, continuarono ad usare il miele, ma
non come bevanda ottenuta mischiandolo all’acqua, bensì mischiandolo al vino, dando origine così a una
nuova bevanda che i latini chiamavano mulsum; invece, nell’area britannica e nell’area germanica (ma prima
in quella britannica), l’idròmele fu scalzato dallo sviluppo della birra. Da ciò che conosciamo a partire dal
lessico comune, possiamo dire che l’idròmele fosse l’unica bevanda alcolica conosciuta dai nostri antenati
delle steppe, i quali ignoravano la vite. Le steppe, d’altro canto, non hanno condizioni favorevoli a far
crescere vitigni, né avevano aree sufficienti per coltivare cereali. Pertanto la parola vino deve essere
anch’essa una parola che abbiamo definito viaggiatrice; l’origine della viticoltura è nella zona meridionale
del Ponto e, più in generale, nell’Asia minore, quindi il termine che indica il vino deve provenire da
quell’area, perciò da lingue non indoeuropee ma camito-semitiche: E infatti tra varie lingue arabe abbiamo
parole che rimandano a una comune radice originaria antica *vain-; la parola, probabilmente ittita (ma su
questo non abbiamo alcuna certezza, parliamo per continuità) ? insieme ai processi di viticoltura e raggiunse
il mediterraneo occidentale, non a caso è presente in greco oinos, in albanese , in latino vinum; poi il latino
fu veicolo perché questa parola arrivasse al celtico, al germanico e allo slavo, quindi è una parola
viaggiatrice trasmessa da cultura a cultura, da lingua a lingua, con la trasmissione delle tecniche di
viticoltura.

Per quanto riguarda la parola birra, anche per essa non esiste un termine comune, infatti all’interno delle
nostre lingue storiche esistono addirittura 3 denominazioni principali:

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1. da un lato abbiamo una forma originaria di area celtica che viene trasmessa anche al latino,
ovvero cervesia, da cui la parola spagnola cerveza o l’italiano antico cervogia, (questa forma che
designa la birra prende il via dalla stessa parola che designava il cervo, facendo riferimento al
colore del manto);

2. invece la forma birra è di ambito germanico, che poi passata anche nel francese e nell’italiano più
moderno: questa parola ha una storia un po’ discussa per alcuni studiosi si tratterebbe di una
parola presa dalla lingua germanica a partire dal termine latino ecclesiastico biber che significava
genericamente bevanda; per un altro filone di pensiero, invece, sarebbe una parola autoctona
tedesca derivata da una antica radice verbale, che significava “gonfiarsi” (ma il gonfiarsi bella
bevanda, schiuma morbida);

3. una terza è di area inglese: il termine ricostruito di antico germanico sarebbe *alu (oggi inglese
ale) e farebbe riferimento al sapore amaro che la birra ha; poi questo termine dalle lingue
germaniche avrebbe raggiunto anche le lingue baltiche, quelle slave, e addirittura avrebbe
raggiunto anche una lingua non indoeuropea come il finlandese.

METALLI= I metalli e la metallurgia intesa come arte furono molto scarsi nella società indoeuropea,
sempre facendo riferimento al fatto che mancano termini comuni a riguardo. Si riconosce un
unico termine piuttosto diffuso nelle lingue storiche, che è *àyos, termine assente in latino e
in greco, ma presente in celtico e indo iranico (aree laterali); questo termine significherebbe
genericamente “metallo” o in alcuni contesti “ferro”. In verità nelle lingue germaniche, a
conferma che doveva indicare un termine generico per metallo, può significare anche rame,
bronzo, metallo grezzo, e in alcune lingue prende anche successivamente il significato di
danaro (evidentemente facendo riferimento al fatto che le monete fossero di metallo).

Quindi possiamo dedurre che la società indoeuropea non dava particolare importanza alla lavorazione dei
metalli e quindi alla creazione di manufatti (contrariamente alla vecchia europea): infatti i nomi dei vari
matalli nelle varie lingue indo presentano origini molto diverse, a volte sono parole viaggiatrici importate da
altre culture e diffuse, come per la viticoltura, insieme all’arte per lavorarli.

Diciamo che due parole inerenti i metalli sono un poco più diffuse, il nome dell’argento e il nome dell’oro,
ma teniamo presente che si parte sempre da termini che ne indicano una qualità, una caratteristica: per
esempio il termine per indicare in latino argento altro non è come significato che “il bianco, il brillante” e,
alla stesso maniera, gold delle lingue germaniche significa il “giallo” e infatti per questi due termini non si
può ricostruire, come fatto fin qui, in senso stretto una parola indoeuropea, ma possiamo riconoscere, per
una coincidenza più che rara tra le lingue storiche, che ci sono denominazioni che fanno riferimento alla

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caratteristiche di colore: pertanto si è ipotizzato che esistessero la radice *ghel- che significava “giallo” e la
radice *arg- che significava “bianco”, utilizzate per designare i due metalli. È anche probabile che gli
indoeuropei si siano trovati in contatto casualmente con manufatti in oro o in argento provenienti da altre
culture e abbiano occasionalmente definito in base al caratteristico colore i due metalli importati da altre
regioni; la cosa importante è che sicuramente la metallurgia non era arte indoeuropea.

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CAPITOLO 5: LETTERATURA, POESIA, ARTE

Tra il I millennio a. C. e il Medioevo si incontrano coincidenze nelle letterature di diversi popoli che ci
portano a domandarci se si tratti di casi fortuiti o di echi di un’antica eredità comune.

Il problema è stato sollevato da Kuhn, alla metà del 19° sec (poi ripreso da Pictet). Egli si accorse infatti
quasi per caso (in un lavoro di tutt’altro genere) dell’esatta coincidenza fra l’espressione vedica aksitam
sràvas e quella greca αφθιτον κλεοσ (aphtiton kleos), a significare entrambe “gloria imperitura”.

Secondo le prime analisi, la civiltà indoeuropea aveva:

• struttura familiare (provata dai termini di parentela)

• struttura statuale al cui vertice sta un re

• religione

• allevamento del bestiame

• agricoltura (termini per animali domestici, vegetali coltivati, aratura)

Ma non basta, come abbiamo già detto a proposito del ‘re’, OCCORRE UTILIZZARE NON I LESSEMI,
MA I TESTI, ANCHE AL DI LÀ DI OGNI SOMIGLIANZA LESSICALE. Occorre attuare una
RICOSTRUZIONE CULTURALE; ma bisogna chiarirne e sceglierne i criteri. Fra questi si annoverano:

-IL CRITERIO DEL CLICHÉ LETTERARIO risulti coerente con aspetti della realtà indoeuropea. Ad es.: •
il «Lupo grigio» presente nel sanscrito e nel greco, potrebbe essere attribuito alla lingua comune, trattandosi
di un animale tipico della fauna indoeuropea;

• il re «pastore del popolo» presente nel sanscrito, nel greco e nel germanico, potrebbe essere attribuito alla
lingua comune, perché si confà ad un popolo allevatore di bestiame.

-IL CRITERIO DELL’ISOLAMENTO DI UNO DEGLI ELEMENTI IN UNA O VARIE DELLE LINGUE
NELLE QUALI E’ ATTESTATO. Ad es.:

• la greca (omerica) espressione νυκτοσ αμολγω, “il latte della notte”, è incomprensibile se non rapportata
alla metafora vedica “la notte e l’aurora come vacche che danno latte”; in tal senso, la metafora vedica
“scioglie” l’espressione omerica e greca, altrimenti incomprensibile. È dunque impossibile che la metafora
sia nata nel greco, dove è invece chiaro come si tratti dell’eredità di uno stadio inferiore, meglio conservato
nella letteratura vedica.

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-IL CRITERIO DELLE «AREE LATERALI»: la contemporanea presenza di un elemento culturale
nell’estremità orientale e in quella occidentale deve aver interessato anche le lingue intermedie. In generale:
è bene scartare i concetti troppi “ovvi”, perché possono essere sorti indipendentemente e spontaneamente in
ciascuna area; e poi, di norma, i concetti ovvi non hanno identica realizzazione formale. Inoltre, bisogna
riconoscere le coincidenze che si limitano al greco e al sanscrito da quelle che raggiungono una più ampia
diffusione, fino all’occidente europeo. La ricostruzione della POETICA COMUNE riguarda:

 METAFORE E FORMULE CONCETTUALI: dèi immortali; dèi dispensatori di beni; l’aurora che
illumina; l’ampia terra; i cani agili; il veloce messaggero; la donna dal bel vestito; ecc

 MODALITA’ FORMALI: fra gli espedienti stilistici di comune eredità indoeuropea si ricordano
arcaismi; affermazioni seguite dalla negazione del contrario: che viva, che non muoia (sanscrito);
volontariamente e non contro la sua volontà (greco); esigo attenzione e proibisco disattenzione
(germanico), ecc.; ma anche la “ring composition” (struttura ad anello) che consiste nel concludere
un’unità comunicativa superiore alla frase con la stessa parola, la stessa espressione o lo stesso
concetto con cui essa inizia. Questo fa presupporre che la LETTERATURA (poesia) fosse
PURAMENTE ORALE e che implicasse dunque un certo tipo di professionalità da parte dei poeti
(infatti si attestano forme di isosillabismo, allitterazione, verso accentuativo).

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