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Immagini Che Evocano Intrecci Di Vite Passate - 01 - 070438

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24.06.

2025 Immagini che evocano intrecci di vite passate – 01 1


Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

OFS Lucera – 24 Giugno 2025

47º anniversario della Regola

Immagini che evocano intrecci di vite passate - 01

Tela di Santa Maria della Provvidenza (Chiesa “San Francesco” di Lucera):


Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia con l’Ordine dei Frati Minori
(Stefano Colelli)

Tela di Santa Maria della Provvidenza con Elisabetta di Ungheria-Turingia e Rosa da Viterbo (prima metà
XVIII sec)
Fino al 1943 la tela, dipinta a olio, era collocata nel primo altare a sinistra, dedicato a “Santa Maria della
Provvidenza” e di patronato della famiglia Nocelli, che attualmente ospita la statua lignea di san Francesco d’Assisi (G.
Colombo, 1713). Come risulta dal Catalogo Generale dei Beni Culturali (Istituto Centrale per il Catalogo e la
Documentazione), l’opera è attribuita a Gerolamo Cenatempo 1, pittore napoletano nato tra l’ottavo e il nono decennio
del XVII secolo, contemporanea a tela raffigurante san Gennaro con san Bonaventura da Bagnoregio e santa Chiara
d’Assisi, visibilmente firmata e datata nel cartiglio dipinto nella parte inferiore del dipinto: “Ger. Cenatempo 1714”.
Entrambi i dipinti furono commissionati da san Francesco Antonio Fasani durante i lavori di ristrutturazione della chiesa
“San Francesco” di Lucera.
In ogni caso, l’identità del pittore della tela ha un’importanza relativa: concentrarsi su di essa rischia di spostare
l’attenzione sull’elemento accessorio — lo strumento che veicola il messaggio agiografico — a scapito della simbologia
e, quindi, del messaggio teologico che l’opera intende trasmettere.
Nella composizione sono raffigurate santa Elisabetta di Ungheria-Turingia (1207–1231) e Rosa da Viterbo (1233–
1251) (santa o beata?) 2 ai piedi di Santa Maria della Provvidenza, incoronata dagli angeli.

1
Voce CENATEMPO, Gerolamo, di Sandra VASCO ROCCA, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 23 (1979).
2
«Già nel 1252 Papa Innocenzo IV pensa di farla Santa e ordina un processo canonico, che però non comincia mai. Il suo successore,
Alessandro IV che, non sentendosi più sicuro a Roma si è intanto trasferito a Viterbo, riceve in sogno più volte la visita della giovane
Rosa e così ordina la traslazione delle spoglie nella chiesa delle Clarisse, religiose alle quali ne viene affidata la custodia e il culto e
dove ancora oggi è ancora possibile venerarne il corpo, completamente incorrotto e uscito indenne anche da un incendio nel 1357.
Nei due secoli successivi cresce la venerazione intorno alla giovane; così nel 1457 Callisto III ordina un nuovo processo di
canonizzazione, ma nel frattempo muore e non se ne fa più nulla. Tuttavia, nel 1583 il nome di Rosa, in qualità di Santa, è già
inserito nel Martirologio Romano e a lei si dedicano chiese in tutto il mondo. Dal 4 settembre 1258, giorno della traslazione dei
suoi resti, Viterbo celebra la sua Santa con tre giorni di festeggiamenti, preferendo questa data a quella della morte, avvenuta il 6
marzo» (https://www.vaticannews.va/it/santo-del-giorno/03/06/santa-rosa-da-viterbo--vergine-francescana.html).

Basilica “San Francesco d’Assisi” – Santuario “San Francesco Antonio Fasani”


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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

Basilica “San Francesco d’Assisi” – Santuario “San Francesco Antonio Fasani”


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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

L’immagine, che richiama intrecci di vite passate, raffigura Elisabetta di Ungheria-Turingia con la tonaca da
penitente delle sorores in saeculo e con la corona e lo scettro regali da principessa — attributi che le spettavano in
quanto figlia del re d’Ungheria e moglie del langravio di Turingia — deposti a terra, ai suoi piedi, alla stessa altezza del
busto di un demone posto sotto due angeli e le ginocchia di Rosa da Viterbo. L’Ordine Francescano Secolare, di cui
oggi ricorre il 47º anniversario della Regola (24 giugno 1978) e che ha come patrona santa Elisabetta, che stiamo
celebrando nella chiesa “san Francesco” dei Frati Minori Conventuali di Lucera, città che fino al 1250 faceva parte del
dominio di Federico II, legato a Elisabetta da lontani vincoli di parentela.

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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

Il 1° maggio 1236, a Marburgo, una città della Turingia (Germania), Federico II partecipò alla traslazione del corpo
di santa Elisabetta d'Ungheria-Turingia nella splendida chiesa costruita in suo onore. La santa era stata canonizzata
l'anno precedente, il 27 maggio 1235 a Perugia, da Gregorio IX. L'imperatore volle renderle personalmente omaggio,
ponendole una corona d’oro sul capo.

Elisabetta di Ungheria-Turingia, l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine Teutonico


Elisabetta era una principessa di sangue reale, figlia del re d’Ungheria, andata sposa in giovane età al langravio di
Turingia. Rimasta vedova prematuramente, si distinse per la sua dedizione ai poveri, ai malati e agli indigenti, mettendo
la propria persona – quasi regale – al loro servizio. È questa la ragione principale della sua rapida canonizzazione,
avvenuta il 27 maggio 1235, appena quattro anni dopo la morte, sopraggiunta nel novembre 1231.
Fu in qualche modo legata al mondo dei Frati Minori. Sappiamo infatti che, divenuta vedova, fondò a Marburg,
nel 1228, un ospedale dove venivano curati i malati di ogni genere, compresi i lebbrosi, che ella stessa curava
personalmente. La chiesa annessa all’ospedale era intitolata a san Francesco, morto due anni prima e canonizzato
proprio quell’anno, in un’epoca in cui simili intitolazioni erano relativamente comuni in Italia, ma ancora rarissime al di
fuori di essa: si tratta infatti della prima chiesa dedicata al santo di Assisi al di là delle Alpi, prova certa di una precoce
devozione a san Francesco.
È altrettanto certo che Elisabetta avesse stretto legami cordiali con i Frati Minori locali già durante il periodo in cui
viveva ad Eisenach come moglie del langravio. Ebbe come maestro di vita spirituale e penitente un certo frate Rüdiger,
che l’accompagnò in un cammino profondamente segnato dalla spiritualità di san Francesco. Giordano da Giano, nella
Chronica fratris Jordani, ci informa che un suo confratello, Rodogerio, divenne nel 1223 «gurdianus et magister
discipline spiritualis beate Elyzabeth» 3. Gli atti dell’inchiesta condotta dal vescovo Corrado di Hildesheim e dall’abate
Hermann di Georgenthal, per sincerarsi dell’effettiva santità di Elisabetta, ci informano che ella «Item vivo marito ipsa
cum suis ancillis lanam filabat, telam fieri faciens ad vestes fratrum minomm et pauperam» [Inoltre durante la vita del
marito ella stessa con le sue ancelle filava la lana, facendo il tessuto per le vesti dei frati minori e per i poveri] 4. Da
un altro documento che risale probabilmente al febbraio 1233, informa che Elisabetta rinunziò ai beni del mondo: «Et
in ipso Parasceve, cum nudata essent altaria, positis manibus super altare in quadam capella sui opidi, ubi Minores
fratres locaverat, presentibus quibusdam fratribus, parentibus et pueris et proprie voluntati et omnibus pompis mundi
et hiis, que salvator mundi in ewangelio consulit relinquenda renuntiavit» [E in quella stessa Parasceve, quando gli
altari erano spogliati (Venerdì Santo), con le mani posate sull’altare, in una certa cappella della sua città, dove aveva
collocato i frati minori, alla presenza di alcuni frati, genitori e bambini, e alla propria volontà e a tutti i fasti del mondo,
e a queste cose che il Salvatore del mondo, nel Vangelo, raccomanda di lasciare, rinunciò] 5.
Sebbene qualcuno abbia voluto assimilarla ai Terziari francescani, ciò è scorretto, non solo perché i Terziari
francescani non esistevano in un’epoca così precoce 6, ma anche perché, fino al 1231, fu sotto la guida spirituale del
canonico premostratense 7 Corrado di Marburg (1190-1233), che fu anche suo confessore. Sarebbe dunque una

3
Chronica fratris Jordani, a cura di Heinrich Boehmer, in Collection d'études et de documents sur l'histoire religieuse et littéraire du
Moyen Age, vol 6, Paris, Librairie Fischbacher, 1908, p. 29.
4
Albert HUYNSKENS, Quellenstudien zur Geschichte der Heilingen Elisabeth Landgräfin von Türingen, Marburg, NG Elwert, 1908,
p. 118.
5
HUYNSKENS, Quellenstudien p. 157.
6
Il Terz’Ordine Francescano verrò istituito come ordine solo con la Bolla Supra Montes del 1289 di papa Niccolò IV (1227 – 1292).
7
Premostratense: ordine religioso che apparteneva al gruppo dei canonici regolari, fondato da S. Norberto nel 1120. Il nome di
premostratensi deriva dal luogo della prima fondazione: Prémontré (Praemonstratum), presso Laon in Francia.

Basilica “San Francesco d’Assisi” – Santuario “San Francesco Antonio Fasani”


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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

forzatura considerarla una Terziaria francescana, mentre la sua profonda devozione a san Francesco e i forti legami
con l’Ordine minoritico sono storicamente attestati e indiscutibili.
Quando Elisabetta morì, Corrado di Marburg si incaricò di avviare il processo di canonizzazione. L’aveva seguita
durante tutto il suo cammino di progressivo avvicinamento a Dio e, mentre suo marito era ancora in vita, raccolse da
lei la promessa di condurre una vita casta una volta rimasta vedova e di dedicarsi completamente a Dio. Per questo,
alla morte di Elisabetta, si incaricò di promuoverne la santità e iniziò a raccogliere le testimonianze delle donne che più
le erano state vicine negli anni del matrimonio, della vedovanza e del suo servizio ai poveri e agli ammalati 8.
Nel 1233 Corrado di Marburgo, impegnato in una lotta molto vigorosa contro l’eresia in qualità di predicatore e
inquisitores haereticae pro pravitatis [inquisitore dell’eresia per (contrastare) la malvagità], venne assassinato da un
eretico. Il processo di canonizzazione avrebbe potuto arenarsi, se non fosse stato per il fatto che l’ospedale fondato da
Elisabetta era stato affidato alle cure e alla gestione dell’Ordine Teutonico (Ordo domus Sanctae Mariae Teutonicorum),
uno dei tanti ordini monastico-cavallereschi nato in Terrasanta (San Giovanni d’Acri), il quale si distingueva, almeno in
origine, per essere rivolto principalmente alla cura dei pellegrini tedeschi. Successivamente, trasferitosi in Europa,
l’Ordine conobbe un’enorme fortuna nei territori imperiali e godette dell’appoggio e della protezione di Federico II. Il
passaggio dell’ospedale sotto la sua guida fu ratificato da una decisione imperiale. Fu proprio l’Ordine Teutonico a
prendere in mano la causa di canonizzazione e a ottenerla molto rapidamente: la proclamazione avvenne infatti nel
1235. E nel 1236 si tenne una fastosa cerimonia di traslazione del corpo di Elisabetta all'interno della Chiesa di Marburg.

Federico II partecipa alla traslazione di santa Elisabetta di Ungheria-Turingia


Alla traslazione del corpo di Elisabetta, il 1º maggio 1236, partecipò Federico II, che in quel momento si trovava in
Germania per questioni personali, poiché aveva dovuto abbandonare l’Italia per affrontare un problema per lui molto
doloroso: il fatto che suo figlio Enrico, nominato re di Germania fin dal 1220, quando era ancora un bambino, a un
certo punto si rifiutò di applicare nel suo regno le decisioni del padre. Anche perché Federico, per ottenere l’appoggio
dei signori tedeschi, li aveva oltremodo garantiti e favoriti, mentre Enrico, che si trovava in Germania e vedeva nella
nascente “borghesia” e nelle città tedesche il vero punto di forza del suo regno, avrebbe invece preferito appoggiarsi
appunto sulla “borghesia cittadina” piuttosto che sulla feudalità.
Federico varcò le Alpi contro la volontà del figlio, che si era addirittura alleato con i milanesi per impedirgli di passare
le Alpi. Giunto in Germania, ci fu uno scontro molto violento e Federico si impadronì del figlio, lo fece prigioniero e lo
mandò nell’Italia meridionale, dove, qualche anno dopo, Enrico morì. Le fonti interpretarono in modo diverso la sua
morte: alcuni dissero che si era suicidato; lo stesso padre cercò di contrastare questa falsa notizia, affermando invece
che era morto in un incidente, cadendo da un dirupo lungo una strada scoscesa nelle montagne calabresi.
Fatto sta che furono tristi evenienze familiari e politiche quelle che avevano portato Federico in Germania, ma anche
cariche di conseguenze che lui stesso intuiva. Aveva goduto di alcuni anni di pace con il papato, anche perché nel 1230,
con la “Pace di San Germano”, il papa era stato costretto a venire a patti. Tuttavia, Federico II, essendosi messo contro
il figlio e preparando una vendetta contro i milanesi che avevano appoggiato Enrico stesso, sapeva anche che si sarebbe
trovato presto a scontrarsi con il papa, che invece delle città lombarde era sempre stato garante e protettore.

8
Dicta quatuor ancillarum, edizione critica di Albert HUYSKENS, Quellenstudien zur Geschichte der hl. Elisabeth von Thuringen
[Studio sulle fonti per la storia di Santa Elisabetta], Marburgo 1908, pp. 112-140.

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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

Regesta Imperii, inde ab anno MCXCVIII usque ad annum MCCLIV. Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto
IV, Friedrich II, Heinrich (VII) und Conrad IV. 1198–1254, Nuova edizione a cura di Joh. Friedrich Böhmer, Stuttgart, J.
G. Cotta’scher Verlag, 1849.

166–167 – Federico II. Anno 1236. Indizione 9. Anno imperiale 16. Regno di Gerusalemme 11. Regno di Sicilia 38.

1236 maggio 1 – Marburgo


– Traslazione delle ossa di Santa Elisabetta con un afflusso incalcolabile di fedeli, e deposizione delle stesse nel nuovo
scrigno (ancora oggi conservato). L’imperatore stesso sollevò la prima pietra dalla sua tomba e pose sul suo capo una
corona d’oro. Là vi era una tale moltitudine di persone che nessuno ricordava di aver mai visto (contemporaneamente)
insieme. Il giorno seguente l’imperatore si recò a Wetflaria (Wetzlar: città dell’Assia, Germania). Alb. Stad. [Albertus
Stadensis] (Alberto di Stade, monaco benedettino e poi francescano, vissuto tra circa il 1187 e il 1264, autore di
Chronica Alberti Stadensis).
― In quest’anno, al primo maggio, a Marburgo si tenne la solenne traslazione di santa Elisabetta, alla presenza
dell’imperatore Federico e dei tre arcivescovi di Magonza, Colonia e Brema. Dove dalle sue ossa trasudò con evidenza
dell’olio. Chron. Erph. [Chronicon Erphordiense] (Cronaca di Erfurt).
― L’imperatore intanto discese nel castello detto Marburgo, dove, al primo maggio, si radunò un’immensa moltitudine.
Secondo molti esperti, si stimò che circa un milione e duecentomila persone di entrambi i sessi si fossero radunate in
memoria della santa vedova Elisabetta, il cui glorioso corpo fu traslato in uno scrigno aureo per autorità del sommo
pontefice, che affidò l’incarico a tre vescovi: quello di Magonza, Treviri e Hildesheim, sebbene vi fossero presenti anche
molti altri vescovi e principi. Anche l’imperatore stesso fu il primo a sollevare la pietra dal sarcofago e pose sul capo
della santissima vedova una corona d’oro dal proprio tesoro. Là, oltre ai molti miracoli, fuoriuscì dell’olio dal sacro
corpo, ecc. God. Col. Vergl. auch Hist. monast. sti Lanr. Leod. ap. Martene Coll. 4,1098 [Godofredus Coloniensis
Vergleich, auch, Historia Monasterii sancti Lanfranci Leodiensis, apud Martene, Collectio, vol. 4, p. 1098] (Cfr. Godefroy
di Colonia, archivio Storico del Monastero di San Lanfranco a Liegi, pubblicato da Dom Augustin Martène in Collectio
Veterum Patrum et Monumentorum Ecclesiasticorum, vol. IV, pag. 1098).
― Lo scrigno sopra menzionato è un’opera d’arte di straordinaria bellezza. È fatto di legno di quercia, ricoperto di lastre
di rame dorato ed è ornato con figure in argento. Prima dei saccheggi operati da Girolamo Napoleone e dai suoi uomini,
era decorato anche con molte gemme antiche. Cfr. le descrizioni e le illustrazioni nelle seguenti opere: JUSTI, Elisabeth
die Heilige, Ed. II, Marburgo 1835, formato in-8°. MONTALEMBERT, Leben der heil Elisabeth, tradotta da Stadtler, Ed. II,
Aachen, 1845, formato in-8°. CREUZER, Zur Gemmenkunde. Antike geschnittene Steine vom Grabmahl der heil.
Elisabeth. Darmstadt, 1834, formato in-8°.
― Una luce che ardeva d’amore come esempio per gli altri, come si legge nel verbale delle deposizioni della sua serva,
una gloria della Germania come si può ancora leggere oggi scritto su un muro a Marburgo; un conforto e tesoro per la
spesso povera terra d’Assia, qui riposavano, venerati devotamente, i resti della pia langravia, finché, il 18 maggio 1539,
comparve suo nipote, che forzò lo scrigno contro la resistenza del comandante dell’Ordine Teutonico, e con il desiderio
che fossero tutti talleri coronati, consegnò le ossa della sua antenata materna a un certo von Collmatsch, il quale le
fece infilare dal suo servo in un sacco da foraggio portato con sé e le fece portare al castello. In quell’occasione fu anche
vista per l’ultima volta la corona d’oro di Federico II. Da allora, insieme alla devozione, si spense anche la memoria. Cfr.
la narrazione documentaria in FEDER, Unterricht von der Ballei Hessen, pagg. 45 e seg.

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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

Federico II e frate Elia (Ministro Generale dell’Ordine dei Minori)


In questo contesto Federico II pensò che fosse utile scrivere una lettera a quello che era in quel momento il Ministro
Generale dei Frati Minori, frate Elia, che esercitava una enorme influenza su tantissimi buoni cristiani dell'epoca e che
oltretutto poteva essere anche un temibile nemico, perché Frati Minori e Frati Predicatori già in un precedente conflitto
tra Federico II e il papato erano stati usati come “predicatori contro” l’Imperatore. In un’epoca priva di comunicazione
di massa, un papa che mandava ai Frati Minori e Predicatori l'ordine di ricordare tutte le domeniche durante la Messa
che l'Imperatore — nel caso specifico, tra il 1227 e il 1229 — era stato scomunicato, costituiva l’unico strumento per
conoscere la scomunica e le sue ragioni in gran parte d’Europa. Per cui, intavolare buoni rapporti con una potenza
dotata di una simile influenza e capillarità come quella dei Frati Minori era per Federico II una scelta strategicamente
prudente: «lo scrivere a frate Elia non può essere interpretato che come una captatio beneveolentiae, come il
riconoscimento che i francescani [frati minori] giocavano ormai un ruolo importante nella vita politica e religiosa del
secolo XIII» 9.
In riferimento a questa lettera, alcuni hanno ipotizzato l’esistenza di rapporti precedenti tra Federico II e frate Elia
prima della stesura di questa stessa lettera. In realtà non trapela assolutamente nulla: frate Elia non era un fidelis
noster, non ricorda mai che l’Imperatore si fosse rivolto a lui e di avere avuto rapporti. Semplicemente, nella lettera,
Federico II racconta la propria interpretazione della santità di Elisabetta, sostenendo che ella avesse riscattato la
verginità, perduta con il matrimonio, attraverso la povertà e il servizio ai poveri. In questo modo, Elisabetta veniva
idealmente associata ai valori dei Frati Minori. L’imperatore conclude la lettera chiedendo preghiere di frate Elia e
dell’intero Ordine. Si trattava di una pratica comune tra i sovrani dell’epoca: chiedere preghiere a quelli che potevano
contare come sostegno alla propria causa, considerati potenti intercessori presso Dio. I Frati Minori dell’epoca erano
ritenuti i più accreditati o credibili intercessori presso Dio.
Come mai venne in mente a Federico II di scrivere proprio a frate Elia, dato che non c’erano rapporti molto costruiti
tra Federico II e gli Ordini mendicanti?
Prima di tutto, va precisato che non è vero che Federico II perseguitasse gli Ordini mendicanti, così come non è vero
che li ostacolasse. È però un dato di fatto che, rispetto alla forte diffusione dei Frati Minori nell’Italia centrale e
settentrionale, nel Regno di Napoli erano presenti alcuni conventi dei Frati Minori, ma in numero decisamente ridotto.
Ciò significa che egli non ne aveva incoraggiato l’espansione, anche perché le sue preferenze religiose si orientavano
verso un Ordine tradizionale come quello dei Cistercensi: monaci che vivevano al di fuori delle città, con una visione
della vita religiosa molto più tradizionalista, e che, soprattutto, non potevano essere impiegati dal papa come “cassa di
risonanza” delle sue decisioni. Infatti, il monachesimo non è mai stato soggetto all’obbedienza diretta del pontefice:
ogni monastero è autonomo e risponde solo al proprio abate; nel caso dei Cistercensi, le questioni comuni sono decise
da un capitolo generale. I Frati Minori, invece, in questa fase storica rappresentavano l’unico Ordine la cui Regola —
approvata da papa Onorio III — prevede esplicitamente il giuramento di fedeltà e obbedienza del fondatore, frate
Francesco, al pontefice e a tutti i suoi successori. Ciò conferiva al papa la possibilità di utilizzarli come strumenti diretti
della propria politica 10.

9
Giulia BARONE, Da frate Elia agli Spirituali, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 1999, p. 163.
10
Cfr. Giulia BARONE, Da frate Elia agli Spirituali, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 1999, pp. 141-160.

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Federico II, frate Elia (Ministro Generale dell’Ordine dei Minori) ed Ermanno di Salza (Gran Maestro
dell’Ordine Teutonico)
Su come Federico II sia arrivato a scrivere a frate Elia, un’ipotesi plausibile è che ciò possa essere stato una
suggestione dell’allora Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, Ermanno di Salza (Turingia, circa trent’anni prima del
1209/1210 – Salerno, 20 marzo 1239), uomo legatissimo a Federico II. È probabile che Ermanno avesse conosciuto
frate Elia quando questi era responsabile della missione in Siria (Terrasanta) dal 1217 al 1220, poiché per alcuni anni
entrambi si trovarono a San Giovanni d’Acri, capitale del Regno di Gerusalemme dopo la perdita di Gerusalemme stessa,
distante circa 160 km a nord. In seguito, negli anni 1218-1219, Ermanno di Salza fu coinvolto nell’assedio a Damietta
nella celebre Quinta Crociata (1217-1221), alla quale nel 1219 partecipò frate Francesco non come crociato, ma in
qualità di predicatore di pace 11. In quell’occasione, Ermanno di Salza ebbe modo di conoscere più da vicino lo spirito
pacifico e il senso di dialogo propri dei Frati Minori. Per questo, non sembra affatto implausibile ritenere che il
suggerimento di scrivere a frate Elia sia venuto proprio da Ermanno di Salza.

11
Cfr. Giulia BARONE, Frate Elia dalla Siria a Cortona, in Gabriel Marius Caliman (a cura di), Frate Elia, il primo francescanesimo e
l’Oriente, Spoleto, Fondazione centro italiano di studi sull’alto medioevo – Centro studi frate Elia da Cortona, 2019, pp.1-15.

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Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

338. Federico II. scrive a frate Elia e a tutti i Frati Minori riguardo ai miracoli di santa Elisabetta uno dei quali egli
stesso ha sperimentato durante la sua traslazione e si raccomanda all’intercessione dei frati. (1236, dopo il 17
maggio).
Federico per grazia di Dio [ecc.] a frate Elia e a tutti i frati [ecc.]. Gli occhi degli assopiti e i cuori degli induriti una
voce che viene dall’alto nei nostri giorni ha miracolosamente risvegliato e coloro che il sapore della dolcezza del mondo
per insidie dell’antico serpente aveva ingannevolmente attratto, il pungolo di una rinnovata potenza, contro cui non è
lecito ribellarsi, non ha permesso che marcissero più a lungo nel fango delle sozzure, mentre alla loro indubitabile fede,
ciò che le Scritture testimoniano sui miracoli della potenza divina e la verità evangelica, un testimone superiore a
qualsiasi eccezione, il corpo della beata Elisabetta, certamente morto tra i viventi e vivo tra i morti, la potenza
dell’Altissimo ci ha mirabilmente presentato.
Esulti dunque il fedele e chi è assopito nei peccati e nell’errore dell’incredulità ammorbidisca il cuore di pietra.
Alzate gli occhi tutt’intorno e vedete, quanto grande è il Signore, che solo compie grandi meraviglie, che fortifica le
debolezze femminili, l’orgoglioso abbassandolo a terra, affinché l’umile venga innalzato al cielo, e la giovane vedova
dopo la prematura morte del marito nella ferma continenza si rafforzò e mentre al culmine della reale prosperità
deposta, con il servizio dell’ospitalità revocò il langraviato [di Turingia], il premio della verginità corrotta rese e al ricco
la grazia della povertà.
E non un discorso singolare, benché di un solo testimone soltanto abbiamo fatto menzione, della verità in alcun
modo diminuirebbero le prove, che le opere del corpo glorioso esposte agli occhi di molti che vedono chiaramente
testimoniano. Vive infatti, vive ancora, morto richiamato alla vita, il quale per tre giorni appeso al patibolo, all’alba, così
che mediante l’intercessione del beato corpo sopra menzionato il Vivente della vita affinché sia ridato ad essere
glorificato. Vive e vede, colui che privato della vista degli occhi, è stato completamente restituito alla vista, molti
testimoniano. Vive e cammina, colui che per dieci anni paralizzato la traslazione della beata Elisabetta alla nostra
presenza celebrata per la divina clemenza restituì le forze dei nervi e delle membra.
Non sono ignoti né nascosti i miracoli che sono confermati dalla testimonianza di molti testimoni degni di fede. Il
venerabile padre sommo pontefice e la Chiesa romana, capo e madre della nostra fede, efficacemente li condussero
affinché il nome e il corpo della medesima (santa Elisabetta) per ispirazione divina al catalogo dei santi fossero associati.
Che altro? Sebbene tutti i miracoli, che tuttavia sono indubitabili, a noi mancassero le testimonianze, la prova della
vita precedente della morte successiva anzi piuttosto dell’immortalità confermerebbe in modo chiarissimo la gloria.
Chi, dunque, non crederebbe che ella sia degna dei meriti dei santi, la quale affinché diventasse serva volle obbediente
rimanere, la quale madre dei figli temporali credette di essere, affinché del Padre eterno fosse resa figlia. Più chiara
anche delle lodi la gloria che la nostra lingua diffonderebbe, se la testimonianza ricevuta potessimo sfuggire il nome,
quasi che la sua vita volentieri e le opere noi raccomandassimo, che, come abbiamo detto, del langravio di Turingia
carissimo nostro consanguineo che con zelo abbiamo amato e con affetto sincero.
Neppure nell’elogiarla perciò sprofondiamo nell'arrossire di vergogna, poiché illuminati dai raggi della maestà
imperiale noi ci espandiamo negli elogi della donna regale. Poiché anche del nostro Salvatore Gesù Nazareno ci
rallegriamo proveniente dalla stirpe regale di Davide e l'arca dell'alleanza poteva essere toccata soltanto dal contatto
con nobili attestato dalle tavole del Vecchio Testamento.
Testimoniamo anche in tutto l’autore della verità, che riguardo a queste cose non l’affetto del sangue prossimo o
lontano, nobile o semplice, ma una santa devozione ci induce, che da queste cose, che con fede abbiamo osservato
attentamente con cura, e mentre raccomandiamo più evidentemente questa vita, agli altri ignoti gli esempi
diffondiamo volentieri.
Tuttavia nel corso della nostra vita la potenza divina per i meriti della beata Elisabetta ha fatto rivivere i miracoli
antichi, di aver visto ci rallegriamo o meglio, noi che riguardo a queste cose proviamo gioia terrena, verso la gloria
dell’eterna beatitudine aspiriamo, alla cui comunione, perché per la mancanza dei nostri meriti del sostegno
necessitiamo, delle vostre preghiere, frati, insieme a protezione, supplicando con affetto la vostra religione, affinché
ciò che a voi presenti imploriamo, da farsi dagli altri frati del vostro Ordine, la cui vita stimiamo come colonna immobile
(stabile) per i mortali, affidate attraverso le vostre lettere.

Basilica “San Francesco d’Assisi” – Santuario “San Francesco Antonio Fasani”


24.06.2025 Immagini che evocano intrecci di vite passate – 01 16
Elisabetta di Ungheria-Turingia, Federico II, frate Elia

La lettera inviata da Federico II a frate Elia


Dalla lettera inviata da Federico II a frate Elia, datata 17 maggio 1236, emerge che essa è un’esaltazione della vita
integra e delle nobili virtù di santa Elisabetta, senza trascurare i numerosi miracoli già compiuti dalla santa stessa. Nel
testo latino, l’eleganza dello stile, il ritmo armonioso delle frasi e la ripetizione dei suoni all’inizio delle parole farebbero
pensare che il documento sia stata costruito e redatto da Pier delle Vigne, il quale, entrato nel seguito di Federico II
probabilmente nel 1221, godeva intorno al 1236 della completa fiducia dell’imperatore, che lo impiegava spesso come
ambasciatore. Nei suoi numerosi spostamenti in quegli anni, Pier delle Vigne si recò, tra l’altro, due volte in Inghilterra,
nel 1233 e nel 1235, per trattare il matrimonio di Federico II con Isabella, sorella di Enrico III 12.
Nella lettera non manca il riferimento alla parentela che lo legava a santa Elisabetta: l’imperatore sottolinea la
nobiltà del proprio sangue e di quello della santa, nobiltà che, secondo lui, possiede in sé una qualità quasi sacerdotale.
Infine, Federico II chiede a frate Elia di pregare per lui e di predisporre che lo stesso avvenga per tutti i frati minori:
«orationum vestrarum, fratres, presidia convocamus, religionem vestram affectuose rogantes, quatenus quod a vobis
presentibus exoramus, faciendum a ceteris fratribus ordinis vestri, quorum vitam columnam immobilem mortalibus
extimamus, per vestras litteras iniungatis» [delle vostre preghiere, frati, insieme a protezione, supplicando con affetto
la vostra religione, affinché ciò che a voi presenti imploriamo, venga compiuto anche dagli altri frati del vostro Ordine,
la cui vita stimiamo come una colonna stabile per i mortali, affidandolo attraverso le vostre lettere].

La tela di Santa Maria della Provvidenza e l’altare di patronato della famiglia Nocelli
Dal 1714 al 1943 la tela era collocata sull’altare di patronato della famiglia Nocelli. Vi è raffigurata Elisabetta di
Ungheria-Turingia, patrona del Terz’Ordine Francescano – poi denominato Ordine Francescano Secolare – e vestita con
la tonaca penitenziale delle sorores in saeculo, che simboleggia la laica profondamente legata alla spiritualità di san
Francesco d’Assisi.
Ai suoi piedi giacciono la corona e lo scettro, simboli della sua condizione regale. L’insieme intende mostrare come
ella abbia scelto di rinunciare alla regalità per diventare esclusivamente strumento della Provvidenza divina,
concretizzato nelle sue opere di carità: servizio ai poveri, agli indigenti e agli ammalati, compresi i lebbrosi che assisteva
personalmente, e la tessitura della lana insieme alle sue ancelle per confezionare vesti destinate ai frati minori e ai
poveri. La tradizione racconta inoltre che, con le proprie mani, si occupasse di condurre al battesimo catecumeni e
bambini, accompagnandoli al sacro fonte 13.
Un interrogativo che merita approfondimento nasce dal fatto che la tela di Santa Maria della Provvidenza, con
Elisabetta d’Ungheria-Turingia e Rosa da Viterbo — entrambe figure dalla vita penitente laica ispirata alla spiritualità
minoritica — fosse collocata sull’altare di patronato della famiglia Nocelli: è possibile che i membri di questa famiglia
appartenessero al Terz’Ordine Francescano di Lucera?

12
Su Pier delle Vigne: Jean Louis Alphonse HUILLARD-BRÉHOLLES, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne ministre de
l'Empereur Frédéric II avec une ètude sur le mouvement réformiste au XIII siècle, Paris, Henri Plon, 1865.
13
Cfr. Albert HUYNSKENS, Quellenstudien zur Geschichte der Heilingen Elisabeth Landgräfin von Türingen, Marburg, NG Elwert,
1908, p. 118.

Basilica “San Francesco d’Assisi” – Santuario “San Francesco Antonio Fasani”

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