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Dialettica Negativa-Adornohegel

La dialettica negativa rappresenta un punto culminante nella tradizione del pensiero dialettico, evidenziando la crisi della dialettica stessa dopo Hegel e Marx. Adorno, attraverso la sua opera, cerca di riformulare la dialettica, opponendosi alla positività della dialettica hegeliana e proponendo una 'negazione determinata' che mantiene la crittività senza produrre risultati affermativi. La dialettica negativa di Adorno è quindi vista come un'autocritica della dialettica tradizionale, in contrasto con le interpretazioni normative di pensatori come Habermas.

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Dialettica Negativa-Adornohegel

La dialettica negativa rappresenta un punto culminante nella tradizione del pensiero dialettico, evidenziando la crisi della dialettica stessa dopo Hegel e Marx. Adorno, attraverso la sua opera, cerca di riformulare la dialettica, opponendosi alla positività della dialettica hegeliana e proponendo una 'negazione determinata' che mantiene la crittività senza produrre risultati affermativi. La dialettica negativa di Adorno è quindi vista come un'autocritica della dialettica tradizionale, in contrasto con le interpretazioni normative di pensatori come Habermas.

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Come è stato detto la dialettica negativa costituisce di fatto l'ultimo proiettile

esploso dalla tradizione del pensiero


dialettico. Già all'interno della scuola di Francoforte, dopo la pubblicazione della
dialettica negativa, si vede
soprattutto a partire da Hbermas, un progressivo abbandono della dialettica e
qualcosa di simile era avvenuto o
avverrà in altre esperienze legate al marxismo. Penso in Francia, lui al Tuser,
penso in Italia alla scuola di
Della Volpe e poi di Lucio Colletti. Eh, oggi, diciamo, nel pensiero
contemporaneo è difficile eh individuare
una corrente dialettica propriamente detto. Ci sono dei singoli autori dialettici,
penso a Gige, che forse uno dei più noti, però è impossibile, a mio
avviso, sostenere che esista una tradizione dialettica nel pensiero
contemporaneo, che si riconosca in una
storia, in una vicenda comune. Questo invece era il caso del grande pensiero
dialettico dell'800 e del 9, quello che
nasce con Hegel. Naturalmente c'è una dialettica anche prima di Hegel, però è
con Hegel che la filosofia viene di
fatto a coincidere con la dialettica e poi passa attraverso Marx a tutta la
tradizione marxista e poi nella teoria critica. La dialettica negativa arriva alla
fine di questa vicenda e per certi
aspetti ne mostra già la crisi. Cercherò anche di dire qualcosa su questo. Eh, la
dialettica negativa intende confrontarsi più che con la dialettica di Marx con la
filosofia classica tedesca, con Hegel in
particolare, anche questo lo diceva già il professor Mustè. Em questo problema
del rapporto tra la
dialettica marxista, diciamo così, in senso lato, e la dialettica della filosofia
classica tedesca è un vecchio
tema del marxismo, no? Già Marx in una lettera a Ditzgen che citava anche eh
Anna nella sua relazione, una lettera credo del 1868, scriveva: "Quando mi è
sarà tolto
il fardello dell'economia scriverò una dialettica". Le vere leggi della dialettica
sono già contenute in Hegel,
naturalmente in forma mistica. Si tratta appunto di strappare questa forma.
Ecco, il rapporto tra Marx e Hegel è molto
complicato, voi lo avete visto sicuramente nel corso eh del professor Mustè,
però rimane in qualche modo
l'idea di un confronto definitivo sistematico come qualcosa, una promessa non
mantenuta dalla tradizione marxista.
Certo, si potrebbe dire eh questa è stata la prestazione di Friedrich Engels, no?
E la relazione di Anna ci ha
dato più di un argomento a favore di questa tesi. L'antiduring e la dialettica
della natura di Engels
costituirebbero questo confronto sistematico con la dialettica della filosofia
classica tedesca. C'è da dire
però che da un punto di vista esclusivamente storico filosofico la soluzione di
Engels ha conosciuto
un'accoglienza, diciamo, maggiore nel cosiddetto materialismo dialettico, cioè
nella tradizione sovietica, mentre è
stata perlopiù rifiutata dal cosiddetto marxismo occidentale. Se noi guardiamo i
due testi che tradizionalmente vengono considerati testi cardine del marxismo
occidentale,
pubblicati entrambi nel 1923, troviamo di fatto una traccia ancora di questa
esigenza, no? Georgi Luca, per esempio, pone alla sua raccolta di saggi,
Geschichte undlassenbewusstsein, storcienze di sottotitolo Studien über die
marxistische dialektike, studi sulla dialettica marxista. Però è chiaro che un
testo di quel genere, che è una
raccolta di saggi, alcuni dal contenuto altamente speculativo, altri dal
contenuto più politico organizzativo,
non può ambire, diciamo, a costituire un confronto sistematico con la dialettica
classica.
Anche Carl Korsche intendeva il suo famoso saggio Marxismus und Philosophy
come il primo capitolo di un lavoro più
sistematico su historis materialistici dialettiche,
cioè ricerche storico logiche sulla questione della dialettica materialista.
Ma anche in questo caso questo progetto sistematico non ha mai visto la luce
almeno
così. Questa esigenza trapassa nella scuola di Francoforte. Max Horkeimer
pubblica negli anni 30 una serie di
saggi sulla famosa Zeitrift Social Forschung che era la rivista legata all'Istituto e
e questi saggi sono, come
dire, esempi di dialettica applicata. Ma lo stesso Horkeheimer avverte
l'esigenza, la necessità di un confronto
sistematico con Hegel e nell'esilio americano progetta un libro, un grosso libro
sulla dialettica, un compito
talmente complicato da dover essere svolto con un collaboratore, inizialmente
Marcus e poi Adorno
subentra Marcuse nel ruolo di interlocutore e i due effettivamente nel 47
pubblicano un libro che ha la parola
dialettica nel titolo. la dialettica dell'Illuminismo di cui si parlava, ma anche
questo testo che è una raccolta di
saggi, addirittura nella seconda parte una raccolta di aforismi, manca di quella
di quel confronto sistematico che
pure era previsto nei protocolli che noi oggi possiamo leggere perché sono stati
pubblicati i protocolli in preparazione
del libro. Orheimer negli anni successivi abbandona questa idea. Adorno invece
a partire
dalla fine degli anni 50 dedica numerosi corsi universitari alla dialettica che
sono stati poi pubblicati e nel 66
finalmente pubblica questo libro che si porta dietro tutta questa vicenda.
Sostanzialmente questa è la prima ragione. Quindi la dialettica negativa è un
capitolo, forse un capitolo
conclusivo a suo modo, di questo corpo a corpo tra la tradizione marxista in
senso lato e la dialettica egeliana. C'è
poi una seconda ragione più legata, diciamo così, agli intenti introduttivi di
questo mio di questa mia relazione.
La dialettica negativa è per certi aspetti l'opera fondamentale di Adorno e
l'opera all'interno della quale si possono trovare tutti i temi della filosofia
adorniana. Eh, è lo stesso
adorno ad informarci di questo in un'avvertenza che pone all'inizio dell'opera
parlando di sé in terza
persona. Dice l'idea di una logica della disgregazione. Logica della
disgregazione è una delle espressioni
con cui Adorno intende l'idea di una dialettica negativa e dice l'idea di una
logica della disgregazione è la più
vecchia delle sue concezioni filosofiche. Risale agli anni in cui era studente
addirittura. Quindi è un testo
pubblicato verso la fine della vita di Adorno. Adorno muore nel 69 e però si
porta dentro, come dire, tutta una
vicenda, una biografia intellettuale. Ecco, sostenere che la dialettica negativa
sia l'opera
fondamentale di Adorno non è così banale come potrebbe sembrare. Non c'è
tempo
ora di analizzare la storia della ricezione di questo testo, anche se è qualcosa
che mi piacerebbe fare, magari
c'è tempo nella discussione oppure se avanza tempo lo farò alla fine.
Comunque per un lungo periodo Adorno è
sopravvissuto nel dibattito come sociologo, come musicologo, ma l'utorno
filosofo teoretico era di fatto
scomparso dall'orizzonte degli studi adorniani. Questo anche a causa non
solo, ma soprattutto a causa di una interpretazione del pensiero di Adorno che
di fatto ha prodotto una
liquidazione della dialettica negativa. E questa interpretazione
paradossalmente è quella fornita dal più famoso dei suoi
allievi cioè Jürgen Hubermas che sviluppa una serie di critiche di adorno.
Adesso sarebbe lungo riassumere
come queste critiche si evolvono, ma la forma più radicale è quella espressa in
un testo dell'85, il discorso filosofico della modernità, dove Haberma si
introduce Orchimer adorno in quel filone
postmoderno della filosofia che nasce con Nietzsche e produce di fatto una
scomparsa della filosofia, una sua
trasformazione in letteratura, quindi una una critica molto radicale. Per
Hubbermas la teoria
critica esiste solo come esercizio normativo. Cosa significa questo? Che la
teoria critica deve esibire il suo diritto a criticare l'esistente, cioè deve fornirci
un criterio indubitabile
attraverso il quale noi possiamo distinguere, per usare il lessico di Adorno, la
forma di vita offesa da quella che non è offesa. Senza questo
criterio noi non siamo in grado di esercitare alcuna forma di critica. Questo è il
modo in cui Habermas pensa la teoria critica e per Haberma Sadorno
fallirebbe proprio nel fornirci questo criterio e cadrebbe vittima di quella che lui
definisce prendendo in prestito
un'espressione della filosofia analitica del linguaggio contraddizione
performativa. La filosofia di Adorno si
può riassumere con un famoso forisma dei minima moraglia das ganze is
unvare,
cioè il tutto è falso. a sua volta ribaltamento di una celebre espressione geliana
della prefazione alla
fenomenologia, il vero e l'intero. Secondo Habermas questa proposizione "Il
tutto è falso", non è
in sé contraddittoria. La contraddizione sussiste tra il contenuto semantico di
questa proposizione e l'atto
performativo che si fa quando la si enuncia, cioè l'intenzione di dire qualcosa di
vero e insomma qualcosa di
simile al paradosso del mentitore cretese che dice che tutti i cretesi mentono,
no? La critica radicale della
ragione esercitata per mezzo della ragione è sostanzialmente un individuo che
taglia il ramo su cui sta seduto.
Non è in grado di esibire nemmeno la verità dell'atto critico, perché l'atto
critico è un atto critico della ragione
che però si dimostra essa stessa falsa. Naturalmente si potrebbe obiettare a
Habermas, che forse adorno non aveva in
mente una teoria critica come esercizio di disciplina normativa o normativista,
però questa è l'interpretazione che è
diventata sostanzialmente corrente, ha contribuito a una scomparsa della
dialettica negativa dal dibattito,
considerato un testo contraddittorio e sostanzialmente inconsistente. Io invece
intenderei,
come dire, inserirmi in una relativamente recente rinascita di interesse per la
teoria negativa e avrei
quindi un duplice obiettivo, il primo, come dire, espositivo didattico, mettere a
confronto la dialettica negativa con
la dialettica egegliana, a partire dal tema della negazione determinata e poi
indirettamente anche cercare di fornire
un'interpretazione delle intenzioni di Adorno diversa da quella che dopo
Hubermas è diventata in qualche modo
egemone. Inizio quindi con il tema più
specifico. Parlo quindi della negazione determinata in prima approssimazione.
Adesso vedremo meglio che cosa
significa, però potremmo dire che la negazione determinata è la forma che
assume il contenuto critico della dialettica. Se nella dialettica c'è
qualcosa di critico, e Adorno è interessato a questo, la forma di
questa criticità assume appunto la struttura della negazione
determinata. La negazione determinata non è una negazione assoluta,
cioè che annulla la realtà, la nega e non produce alcun risultato, ma è
quella che potremmo dire una negazione critica in senso etimologico,
no? Come probabilmente
sapete la parola critica deriva dal verbo greco crinain che significa distinguere,
separare. Ecco, la negazione determinata come esercizio critico distingue
dell'oggetto su cui insiste il lato, diciamo così, che è prefigurazione del suo
sviluppo progressivo dal lato che invece frena questo sviluppo. che il tema
della negazione determinata non costituisca un tema tra i tanti della dialettica
negativa, ma ci
consenta una sorta di eccesso privilegiato il senso dell'opera, è testimoniato
dallo stesso adorno nel
testo due che vi ho messo nell'Hout e che è tratto dalla prima proposizione
della dialettica
negativa. L'espressione dialettica negativa viola la tradizione. Già in Platone la
dialettica esige che
attraverso lo strumento di pensiero della negazione si produca un positivo. Più
tardi la figura di una negazione
della negazione lo ha nominato in modo pregnante. Ecco, Adorno ci dice fin
dalla sua origine, fin da Platone, la dialettica ha sempre avuto un legame
intrinseco con una positività prodotta
attraverso la negazione. La forma più perfetta è la dialettica egelliana. Qui
Adorno non lo cita, ma il riferimento
alla negazione della negazione è abbastanza evidente. Ora, adesso vedremo
nel
dettaglio come funziona questa cosa in Hegel. Ma che cosa significa che la
dialettica hegeliana ha un esito positivo, no? Cos'è la negazione
determinata in Hegel? Potremmo dire che la determinatezza si traduce
in un risultato positivo. Lo spirito, il pensiero, trova di sé, di fronte a
sé, una determinatezza. Questa determinatezza è l'altro dello spirito e
quindi è la sua negazione. Lo spirito nega la sua negazione e se ne
riappropria. Questo il presupposto che si trova di fronte si trasforma
in qualcosa di posto dallo spirito e la determinatezza che lo spirito
trova diventa un momento della sua autodeterminazione. Ecco quindi
che lo lo spirito si sviluppa attraverso la negazione della negazione.
Ha un risultato positivo. Questo è quello che ad Adorno non va bene.
Infatti la citazione
prosegue dicendo: "Questo libro vorrebbe liberare la dialettica da una sfatta
essenza affermativa senza perdere
neanche un po' di determinatezza". Quindi non si tratta di arretrare rispetto al
livello della negazione
determinata. La determinatezza deve essere salvata, ma deve essere liberata
dalla positività. Ma com'è possibile
quindi pensare alla determinatezza della negazione senza un risultato positivo?
No, questa è un po' la scommessa di
Adorno che infatti dice una delle sue intenzioni, cioè una delle intenzioni di
questo libro è l'esplicitazione del suo
titolo paradossale. Ora eh io direi che l'ideale ora è partire
dalla concezione egelliana della negazione determinata per poi capire in che
cosa consiste questa riforma
adorniana della negazione determinata. Questo, del resto è il procedimento che
lo stesso Adorno compie, perché la
dialettica negativa non è pensata adorno come un modello alternativo la
dialettica egeliana, come due marche,
diciamo così, di dialettica tra cui si può scegliere, no? La dialettica negativa
è il risultato dell'applicazione della dialettica
egeliana a se stessa, cioè è un'autocritica della dialettica,
un'autoriflessione della dialettica e
quindi necessario partire dalla tesi egeliana per vedere come Adorno
la intenda
riformare. C'è un luogo classico dove Hegel espone il tema della
negazione determinata ed è l'introduzione alla
fenomenologia dello spirito. Non la prefazione che credo sia il testo che
avete affrontato, ma l'introduzione con
un testo più breve è già interno, diciamo, allo sviluppo fenomenologico. A un
certo punto di questa introduzione
Hegel si pone il problema di come esporre la falsità delle figure insufficienti
della coscienza. E come
sapete la la fenomenologia dello spirito non parte dall'esibizione della verità,
non parte dal sapere assoluto. Questo lo
si incontra solo alla fine. All'inizio ci sono forme di coscienza, quindi forme di
sapere inadeguati rispetto al livello
del sapere assoluto. Il problema di Hegel è quindi come esporre l'inadeguatezza
di queste figure della
coscienza. Il testo 5 che ho messo nell'Hout eh registra questa riflessione
ghelliana. L'esposizione della coscienza non vera secondo la sua non
verità non è
in generale un movimento meramente negativo. Non basta la
negazione, diciamo, per esporre la falsità delle
figure della coscienza. Questo movimento appare negativo solo dal
punto di vista unilaterale della coscienza naturale e
il tipo di sapere che fa di tale unilateralità la propria essenza è una
delle figure della coscienza incompiuta.
Una figura che rientra nel corso dell'itinerario che lì si presenterà. Cioè, qui
Hegel ci dice c'è una figura
della coscienza che vuole restare ferma alla negatività e quindi noi la
rivedremo anche più avanti eh nello
sviluppo fenomenologico. Qual è questa figura? Essa è precisamente lo
scetticismo, il quale nel risultato vede
sempre soltanto il puro nulla e che inoltre astrae dal fatto che questo nulla è in
modo determinato il nulla di
ciò da cui risulta. Si tratta dunque di un nulla che è stesso determinato e ha
un contenuto. Ecco qui Hegel ci espone quindi prima di tutto due forme
diverse della negazione. la negazione
scettica, che è una negazione, diciamo così, assoluta e che ha come
risultato il puro
nulla. E dall'altra parte invece la negazione determinata, che non è la
negazione
della totalità della realtà, ma la negazione di un suo aspetto specifico,
appunto, il nulla da cui risulta e che
ha come risultato un contenuto determinato. Continua Hegel, quando
il
risultato viene inteso come è in verità, cioè come negazione
determinata. Ecco qui la parola. Allora è sorta
immediatamente una nuova forma e nella negazione si è prodotto il
passaggio grazie al quale il processo si muove e
risulta da sé stesso attraverso la serie completa delle figure. Ecco,
quindi abbiamo una tipo di
negazione, la negazione determinata che produce un contenuto
positivo, ma questo
contenuto positivo è mediato dalla negazione del contenuto di
partenza. non è un contenuto che si presenta
immediatamente, è mediato dalla negazione del contenuto di
partenza. Ma ci potremmo chiedere eh sulla base di
che cosa viene effettuata questa negazione determinata, qual è il suo
fondamento? Per quale motivo a un certo
punto noi capiamo che questa figura della coscienza che stiamo esponendo è
insufficiente? E questa non è una domanda tipica di un
pensiero normativo contemporaneo, non è una domanda è scogitata da John
Rolls o
da Hubbermass, ma è una domanda che lo stesso Hegel si pone e infatti la
citazione continua nel testo 6 che è
tratto sempre dall'introduzione solo un po' più avanti. Sembra che l'esposizione
stessa
non possa aver luogo senza un qualche presupposto che funga da unità di
misura fondamentale. Hegel si esprime proprio
così. Unità di misura, musttav in generale la misura in generale viene
assunta come l'essenza,
come l'in sé. Cioè, noi abbiamo bisogno di un'essenza, di un in sé che
ci consenta di stabilire quando una figura
della coscienza è il sapere assoluto e quando invece non lo è e quindi
va criticata. Ma qui c'è un problema, no?
Nel nostro caso, dice Hegel, invece, in cui la scienza è soltanto nel momento
del suo sorgere, non c'è nulla che si
legittimi come senza o in sé, né la scienza né alcun altra cosa. Noi ci troviamo
all'interno di un
contesto determinato, una figura della coscienza determinata. Questa figura
della coscienza ha il suo criterio, è il
criterio immanente al suo sapere, sia essa la certezza sensibile, la percezione,
insomma questo vale per tutte le figure. Noi sappiamo, dal punto
di vista del lettore che questo criterio è insufficiente perché non è il criterio del
sapere assoluto. Noi siamo, come
dice Hegel, nel momento incipiente della scienza, non nel momento conclusivo.
Il
il criterio di cui disponiamo è insufficiente. E allora com'è possibile uscire da
questa insufficienza? Come
vedete il tema della negazione determinata si colloca nell'incrocio tra
l'immanenza del contesto, perché la
negazione determinata vuole essere una critica immanente che non
prende alcun criterio dal di fuori del contesto su
cui intende insistere, ma allo stesso tempo vuole produrre una
trascendenza, cioè bisogna superare il contesto di
riferimento. Come risolvere questo apparente paradosso? Secondo
Hegel, la coscienza ha le risorse per
farlo, scrive nel testo 7: eh la coscienza reca in sé stessa la propria
unità di misura e la ricerca sarà pertanto un confronto della coscienza
con se stessa. Dentro di sé la coscienza
è un essere per un altro, a cioè in generale la determinatezza del
momento del sapere. Questo è un modo molto
complicato per dire che la coscienza è sempre un sapere di qualcosa.
Usserlianamente potremmo dire che il
sapere ha sempre una struttura intenzionale, cioè si rivolge a un oggetto.
Eh, nello stesso tempo,
continua Hegel, però la coscienza vede che questo altro non è soltanto
per essa, ma è anche al di fuori di tale
rapporto e cioè in sé. E questo è il momento della verità, cioè
l'oggetto noi
siamo ovviamente all'inizio del percorso fenomenologico, siamo ancora
ad un livello simile a quello del senso
comune, no? La coscienza è un sapere, è un sapere che ha un oggetto.
Questo oggetto è sempre oggetto per sé, ma la
coscienza sa anche che questo oggetto è un oggetto trovato, che
esiste anche quindi indipendentemente dal suo essere
sapere di un oggetto. Continua Hegel. ciò che la coscienza dentro di sé
definisce come l'in sé o come il vero. Ecco dunque la misura stabilita dalla
coscienza stessa con cui noi dobbiamo
commisurare il suo sapere. Se io chiamo concetto il sapere e essente
oppure
oggetto l'essenza o il vero, allora l'esame consisterà nel vedere se il
concetto corrisponde all'oggetto. Cioè
qui nella introduzione Hegel eh utilizza questa terminologia che ha un senso
specifico relativo all'introduzione, no? Da una parte il sapere adeguato a
quella determinata forma di coscienza, il
concetto e dall'altra parte l'oggetto che è l'oggetto di questo sapere,
ma anche un oggetto in sé. Come funziona
quindi la negazione determinata? Nel momento in cui la coscienza si
rende
conto che il suo concetto, cioè il suo sapere, non riesce a toccare
l'oggetto, cioè non è
adeguato, si sviluppa una contraddizione. Questa contraddizione
obbliga la coscienza ad adeguare il suo
concetto all'oggetto, cioè adeguare il suo sapere al all'oggetto
intenzionato. Ma la mediazione non è solo oggettiva, cioè non è che
ogni sapere è sapere di un oggetto, è
anche soggettiva, cioè ogni oggetto è l'oggetto di un sapere, diciamo
così.
KANTIANAMENTE se io modifico le strutture del sapere, modifico
anche l'oggetto che è mediato da queste
strutture. Ecco allora che trasformando il concetto io trasformo anche
l'oggetto. La posizione di Hegel è
abbastanza raffinata. Hegel scrive infatti a un certo punto l'esame non
è soltanto esame del sapere, ma è anche
esame della propria unità di misura. Quindi io critico il contesto di
partenza a partire dal suo stesso
criterio che si rivela inadeguato e la trasformazione trasforma anche
lo stesso criterio da cui è partita la
critica. Ma se ogni figura della coscienza è definita dal suo oggetto e
dal suo soggetto, diciamo così, dalla
sua forma di sapere, una volta che io ho modificato entrambe, ho
modificato anche la struttura della coscienza. e ho
sviluppato una nuova figura, la quale a sua volta svilupperà una nuova
contraddizione tra il suo oggetto e il
suo sapere e via dicendo fino alla figura del sapere assoluto. Ciò che
mi importa qui
sottolineare è la natura radicalmente immanente del procedere della
negazione determinata che non intende prendere
nessun criterio esterno, ma si basa tutta su questa distinzione tra
sapere e oggetto che è data alla coscienza nella
sua immanenza. Certo, qui emergerebbe un problema, no?
Perché com'è possibile che la coscienza sappia, avverta come
problematica la contraddizione tra il concetto e
l'oggetto, no? Beh, questo potremmo dire è possibile solo perché noi
sappiamo già
che concetto oggetto sono uguali. La figura del sapere assoluta è
l'esposizione dell'identità di concetto
oggetto, per usare adesso il lessico della introduzione. Ma la
coscienza questo non lo sa. La coscienza abita
quella verità di cui diverrà consapevole solo alla fine del percorso
fenomenologico. Questo ovviamente non è
un ragionamento circolare nel senso della cattiva circolarità, ma è la struttura
del sapere dialettico egeliano
che è diversa invece dalla struttura fondazionalista di un sistema che parte da
un principio e ne deduce
sinteticamente o analiticamente addirittura tutte le determinazioni.
Hegel lo dice, l'esperienza che la coscienza fa di sé non può includere
in sé meno dell'intero sistema della
coscienza, cioè dell'intero regno della verità dello spirito. C'è in un
certo senso un legame strettissimo tra
negazione determinata come dialettica e sistema, cioè solo nella sua
esplicazione sistematica la negazione
determinata trova quella fondazione che all'inizio in un qualche modo
è solo presupposta.
Questo diventa ancora più chiaro in un altro luogo egeliano che è
l'introduzione alla scienza della
logica. Eh vabbè sì. Eh nell'introduzione della scienza, alla scienza
della logica Hegel scrive il
testo 8. L'unico punto per ottenere il progresso scientifico, e qua io
vorrei
sottolineare questa espressione progresso, cioè la logica della
negazione determinata è una logica del
progresso, cioè noi possiamo pensare il progresso, non solo il
progresso scientifico di cui parla Hegel, ma anche
l'emancipazione di cui parla tutta la tradizione marxista solo perché
noi abbiamo una logica dialettica della
negazione determinata, cioè di una negazione che produce qualcosa,
che produce un
progresso. Quindi interrogarci su questo tema e questo è un tema
problematico in adorno, vuol dire interrogarsi anche
sulla possibilità di pensare il progresso. Dice Hegel: "L'unico punto per
ottenere il progresso scientifico è
la conoscenza di questa proposizione logica che il negativo è insieme
anche il positivo, ossia che quello che si
contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve
essenzialmente solo nella negazione del
suo contenuto particolare. Vale a dire che una tale negazione non è
una negazione qualunque, ma la negazione di
quella cosa determinata che si risolve ed è perciò negazione
determinata. Fin qua, diciamo, siamo più o meno nella
stessa costellazione della fenomenologia. Poi Hegel aggiunge poco più avanti,
qualche riga più avanti,
codesta negazione è un nuovo concetto, ma un concetto che è
superiore, è più ricco che non il
precedente. Ecco qua il progresso, diciamo così. Essa è infatti
divenuta più ricca di quel tanto che è costituito
dalla negazione o dall'opposto di quel concetto. Contiene dunque il
concetto precedente, ma contiene anche di più ed
è l'unità di quel concetto e del suo opposto. Qui forse bisognerebbe
richiamare molto sinteticamente a
livello molto superficiale i tre momenti della dialettica hegeliana, no? C'è
un primo momento che Hegel chiama
intellettuale o astratto dove si presenta una determinazione che
pretende di essere
autosufficiente, tranquilla e come dire autonoma nella sua
sussistenza.
Il momento decisivo della dialettica è il secondo, quello che Hegel
chiama appunto il movimento dialettico propriamente o negativo
razionale. Questo secondo momento deduce dalla determinazione di
partenza il suo opposto. La determinazione che pretende
di stare da sola non ce la fa, si ribalta nel suo opposto. Questo
opposizione si rivela in realtà la
condizione della sussistenza della determinazione di partenza. Il terzo
momento, quello che Hegel
chiama speculativo o positivo razionale, è il momento dell'unità degli
opposti,
cioè la verità non sta né nella determinazione di partenza, né nella
determinazione opposta che da questa è
saltata fuori, diciamo così, ma sta nel divenire dell'una
determinazione, nel
ribaltarsi dinamico dell'una determinazione nell'altra. Ma qui si è
detto qualcosa di
fondamentale. Il senso stesso della determinazione è cambiato. Cioè
la determinazione non è più un dato, non è
più una sostanza, ma è un processo, è un farsi altro della
determinazione. Cioè
il terzo momento, come dire, eh trasforma la forma del
determinare. Potremmo dire così, che la i tre momenti della dialettica
egliana non espongono, come dicono alcuni
interpreti americani contemporanei di Hegel, una incompatibilità
materiale,
come se si trattasse di una contraddizione tra due contenuti che non
possono stare assieme sotto lo stesso
aspetto. Io direi è una incompatibilità formale, cioè è la forma della
negazione, della determinazione, cioè il modo d'essere della
determinazione che si trasforma. Ciò che è avvenuto non è
un passaggio solamente logico, ma è un passaggio ontologico. In
questo senso la
determinazione di arrivo è più ricca della determinazione di partenza,
perché non è più un dato, non è più un essere,
non è neanche un nulla, è un divenire, c'è un movimento dialettico. E
Hegel conclude questa
citazione del testo 8 tratta dall'introduzione alla scienza della logica. Per
questa via, cioè per la via
della negazione determinata, il sistema dei concetti in generale deve
costruire se stesso e completarsi per un andamento
irresistibile, puro, senza accogliere nulla dal di fuori. Qui c'è un
ritorno, diciamo, del tema della radicale
immanenza, della negazione determinata che non accoglie nulla dal di
fuori e diciamo della necessità del suo
progredire, no? È un andamento irresistibile, dice Hegel. Ancora una
volta, potremmo dire così, per Hegel non
c'è contraddizione tra dialettica e sistema, come invece diventerà evidente
nella sinistra hegeliana. Anzi, per
Hegel la negazione determinata, il procedimento dialettico si può dare
solo nella sua esposizione sistematica,
altrimenti rimane in un certo senso privo di fondamento. Ecco, questa in
estrema
sintesi, diciamo così quasi imbarazzante, è un resoconto del tema
della negazione determinata in Hegel. Vediamo ora eh la riforma dorniana di
questo di questa idea egeliana. Eh, prima di tutto ci si potrebbe chiedere per
quale motivo Adorno è interessato
questo tema egeliano. Per Adorno la dialettica oggettiva egeliana ci
consente quella
che lui chiama una esperienza contenutistica dell'oggetto.
L'esperienza filosofica di
Adorno nasce in polemica con le scuole neocantiane e in generale con
un'impostazione cantiana della filosofia
intesa come filosofia della costituzione oggettiva del mondo ad opera
delle categorie del soggetto. Cioè il
formalismo cantiano, secondo Adorno, costituitì non non ci espone il
soggetto per come esso è, ma gli dà una forma, una forma che in
realtà è deformante, proietta attivamente
sull'oggetto quelle che in realtà sono le caratteristiche del soggetto. Il
pensiero pensato cantianamente trova
nell'oggetto sempre solo se stesso, perché l'oggetto è sempre
costituito soggettivamente. Nel testo tre gli ho
messo un po' a caso perché mi è venuto male l'Handout, chiedo scusa, bisogna
fare avanti e indietro. E nel testo 3
Adorno espone un po' questa idea. Il testo 3 è tratto da un saggio su soggetto e
oggetto e che è l'ultimo
degli epilegomeni dialettici di un test di una raccolta di saggi di adorno
intitolata Parole chiave. Qui Adorno
scrive: "La posizione chiave del soggetto nella conoscenza è l'esperienza, non
la forma". Ecco, qui
diciamo ci sono c'è questa contrapposizione, l'esperienza che sarebbe l'eredità
egelliana che ci
consente di fare esperienza dell'oggetto così come esso è e la forma invece che
proietta cantianamente sull'oggetto
l'apparato categoriale del soggetto. Continuo adorno. Ciò che in canta si
chiama formazione è sostanzialmente
deformazione. Lo sforzo della conoscenza è in prevalenza la distruzione del suo
sforzo consueto, la violenza nei
riguardi dell'oggetto. Cioè lo sforzo consueto della conoscenza è in realtà
violentare l'oggetto, deformarlo come
uno stampino che imprime la forma del soggetto sull'oggetto. Lo sforzo
autentico della conoscenza sarebbe
invece liberare l'oggetto da questa violenza. La conoscenza dell'oggetto si
avvicina all'atto nel quale il soggetto
lacera il velo che essa che esso stesso testa intorno all'oggetto ed è capace di
compierlo soltanto se in una passività senza paura confida nella propria
esperienza. L'esperienza di cui parla
Adorno è sempre un'esperienza soggettiva, no? Adorno non è un filosofo
precantiano. Noi abbiamo sempre una un
rapporto mediato con le cose e tuttavia questo rapporto mediato è un rapporto
dove si fa anche esperienza di una certa
passività nei confronti dell'oggetto e non c'è invece l'attività spontanea delle
categorie dell'intelletto che
imprimono il loro marchio eh sull'oggetto. Nei punti in cui la ragione
soggettiva intuisce la
contingenza soggettiva, traspare la priorità dell'oggetto, il quale trova
il suo essere tale in ciò che non è
riducibile a componente soggettiva. Ecco, in questo brano è presente già
l'idea fondamentale
della dialettica negativa. Secondo Adorne, infatti, il dominio della società
completamente
amministrata, il dominio del capitalismo avanzato, per essere
veramente pensato, deve essere ricondotto alla sua
struttura più originaria. che è quella che Adorno nella dialettica
negativa chiama identifiziren desdenken, cioè
pensiero identificante. Nel testo 12, tratto dalla dialettica negativa, come
tutti
gli altri testi che d'ora in poi citerò, Adorno dà una definizione del pensiero
identificante. Il pensiero dell'identità
dice ciò sotto cui la cosa cade, di che cosa è esemplare o rappresentante, ciò
che essa stessa dunque non è. Possiamo dire così, il pensiero identificante che
perdorno è la ragione
in quanto tale, la ragione come ragione strumentale assegna alle cose
un'identità, un'identità rigida, fissa.
E questo è funzionale al dominio sulla realtà. L'uomo domina la natura perché è
in grado di dare un nome alle cose, di
conoscerle e di utilizzarle. Eh, il pensiero identificante proietta sull'oggetto il
proprio marchio. Adorno dice il ban, il bando, potremmo dire l'incantesimo, no?
E tuttavia in questa operazione identificante il pensiero identificante non ha
l'ultima parola.
E qui si introduce il secondo concetto chiave di Adorno che è il correlato del
pensiero identificante, cioè il non
identico. Il non identico è ciò a cui si rivolge il pensiero identificante, ciò che
deve essere identificato. Ma il non
identico resiste, fa resistenza a questa attività identificante e questa resistenza
viene portata a coscienza dal
pensiero. Ovviamente noi abbiamo coscienza di questa resistenza solo dal
punto di vista del pensiero, perché è il
pensiero che è cosciente delle cose, non il non identico. E tuttavia il non il
pensiero identificante fa esperienza
della resistenza del non identico. Che forma assume questa resistenza? la
forma della contraddizione, cioè pensato fino
in fondo, il pensiero identificante si contraddice e questa contraddizione è la
traccia della resistenza del non
identico alla pretesa violenta del pensiero che vuole violentare il suo
oggetto. Da questa esperienza della contraddizione sorge il pensiero dialettico,
secondo il pensiero
dialettico non è altro dal pensiero identificante, ma è il pensiero identificante
che agisce
conseguentemente all'esperienza della contraddizione, che la prende sul serio.
Non si limita a dire che la
contraddizione è un errore soggettivo, no? Come quando si fa un errore di
calcolo in un'espressione matematica e
bisogna tornare indietro per capire dove si è sbagliato per rifarla giusta. No, la
contraddizione è oggettiva, è un dato
di fatto. La società capitalista è una realtà oggettiva ed è contraddittoria
perché è una società falsa, secondo il pensiero dialettico è quindi
conseguente all'esperienza della contraddizione. Capisce che la contraddizione
è indice della falsità del pensiero
identificante. Ecco quindi che la critica dialettica è una critica immanente, non
è altro dal pensiero
identificante, ma è come dire un pensiero identificante che è conseguente
all'esperienza della sua contraddizione.
Ecco allora che la dialettica egelliana, secondo Adorno, ci offre il modello di
questa esperienza contenutistica che non
riduce l'oggetto alle categorie del soggetto. Questo non vuol dire però che la
dialettica negativa, la dialettica
egegliana basti, perché anche lei ha un problema e il problema è quello che
Adorno chiama il primato dello spirito,
cioè l'idea di un soggetto oggetto identico. Potremmo dire così,
nell'esperienza dialettica egeghelliana noi facciamo esperienza dell'oggetto
così come esso è, perché noi sappiamo che l'oggetto è già sempre
dialetticamente identico al soggetto che
lo conosce. L'esperienza dialettica è in qualche modo, come dire, pregiudicata
dalla tesi idealistica della identità, di identità e non identità, come si esprime
Hegel. Hegel, naturalmente ci fornisce una concezione non soggettiva del
pensiero. Naturalmente il pensiero
dialettico egegliano è in grado di mostrare l'oggettività della contraddizione e
tuttavia l'assunzione
di questa contraddizione non può diventare la realtà ultima delle cose, no?
L'esercizio critico del pensiero non
deve diventare la verità. Hegel direbbe secondo sostanzialmente questo:
l'intelletto non riesce a pensare la
contraddizione. La ragione pensa la contraddizione, vede che la contraddizione
è la realtà delle determinazioni. Pensate dialetticamente,
le determinazioni si ribaltano nel loro opposto e questa è la verità della cosa.
C'è un famoso passo su cui forse vi
siete soffermati nella logica della riflessione dove Hegel dice che eh la
contraddizione, le tutte le cose sono in sé stesse contraddittorie. Questa per
Adorno è quasi un'affermazione di tipo
ontologico. A questa tesi idealistica Adorno contrappone quella che potremmo
dire una tesi materialistica, cioè la
tesi della non identità di identità e non identità. La dialettica negativa svela
come quella
positiva egeliana la falsità del pensiero identificante, ma non trasfigura questo
esercizio critico
nella realtà ontologica ultima delle cose. Questo modifica radicalmente il
senso del rapporto tra dialettica e contraddizione rispetto a quello che
avveniva nella dialettica egelliana.
Già Kant aveva fatto un progresso in questo senso di la contraddizione è
qualcosa di oggettivo, no? Non è un
errore soggettivo. La dialettica trascendentale ci mostra quella che Kant
chiama una parvenza trascendentale.
Shine è un'illusione non frutto di un errore, ma frutto di un inevitabile uso
trascendente, come dice Kant, delle categorie al di fuori della loro applicabilità
consentita, no?
Però per Kant la contraddizione rimaneva, come dire, indice di un uso
illegittimo delle
categorie, cioè bisogna distinguere tra l'oggettività della contraddizione e la
sua verità. Hegel aveva superato questa
posizione cantiana già in una famosa prolusione giovanile dal titolo
provocatorio contraddiczio regulaveri,
non contraddiczio falsi, dove ribaltava la logica aristotelica dicendo che la
contraddizione in realtà la logica della
verità. Per Hegel la contraddizione non è solo oggettiva com'era per Kant, ma è
anche indice della verità della cosa.
C'è verità solo dove c'è contraddizione e dove c'è non contraddizione siamo al
di fuori ancora di una verità adeguata
al suo concetto. Da questo punto di vista Adorno ritorna a una posizione di
tipo cantiano. nella dialettica negativa dà una definizione della dialettica come
logic science, logica della parvenza, che era proprio la definizione che Kant
dava della dialettica nella dialettica
trascendentale. Da questo punto di vista si comprende il momento conclusivo
della dialettica negativa intitolato
autoriflessione della dialettica. Cioè per Adorno la dialettica è solidale col
pensiero identificante. Anche la
dialettica è pensiero e quindi anche la dialettica è falsa. La dialettica di
Cadorno è ontologia
dello stato falso, cioè una descrizione reale di un mondo ribaltato, di un mondo
non vero, ed è quindi destinata a togliere se stessa in un ultimo movimento
dialettico contro se stessa,
perché essa è escrive adorno assieme l'impronta dell'universale contesto di
accecamento e la sua critica.
Questo non vuol dire però, secondo Adorno, ritornare a quella situazione
cantiana descritta da quella famosa metafora, no, della critica della ragion
pura, dove dove Kant descrive l'isola
della verità circondata dall'oceano della parvenza, no? dove l'isola della verità
sarebbe l'analitica
trascendentale, semplificando un po', e l'oceano della parvenza sarebbe invece
la dialettica trascendentale. Questo per
adorna un esito rinunciatario perché ciò che c'è di interessante invece è proprio
che c'è nella parte della parvenza. Ecco
allora che la posizione di Adorno si comprende solo nell'intreccio tra il
pensiero di Kant e quello di Hegel. Potremmo dire così, contro Kant e assieme a
Hegel Adorno intende superare
il formalismo dualistico della logica cantiana e neocantiana che imprime eh
sull'oggetto le categorie del soggetto e che quindi è la quinta essenza del
pensiero identificante. Dall'altra parte però
contro Hegel e assieme a Kant Adurno intende rifiutare il primato del dello
spirito, cioè
l'idea che non esista più alcuna differenza ontologica tra soggetto e oggetto,
l'idea di una riduzione della
realtà a un momento della autodeterminazione dello spirito. Da questo punto di
vista è
comprensibile ora per quale motivo Adorno recuperi uno degli aspetti più
controversi della filosofia cantiana, cioè il momento del dinganzich, della cosa
in sé. scrive adorno nel testo 9
della dialettica negativa. Nel presunto errore dell'Apologia cantiana della cosa
in sé,
che la logica deduttiva potrei mostrare trionfalmente a partire da Maimon,
sopravvive in Kant la memoria del
momento ostico la logica deduttiva, la non identità. Perciò egli, che certo non
ignorava la coerenza dei suoi critici, ha protestato contro di questa e ha
preferito farsi passare per dogmatico
anziché assolutizzare l'identità. Cioè la cosa in sé sarebbe come dire traccia
della resistenza del non identico anche già all'interno del pensiero di Kant. E
quindi il Kant di Adorno è un Kant
consapevole che il suo argomento non tiene fino in fondo, che i suoi critici
hanno ragione a dimostrare l'incoerenza
della tesi della cosa in sé e tuttavia Kant ha preferito restare fedele a questa
idea aporetica pur di non
abbandonarsi definitivamente a una logica dell'identità. Ecco, a partire da
questo contesto, a
mio avviso, è possibile eh evidenziare due differenze fondamentali tra la
dialettica
eghegliana e quella adorniana. una prima differenza più evidente, però per
certi aspetti più superficiale e una seconda
differenza invece più sottile che però a mio avviso registra la vera essenza del
confronto tra i due. Inizio da quella più eh evidente e potremmo dire così, ha
una
differenza nella forma della dialettica, cioè Adorno intende espungere dalla
dialettica egeliana al terzo momento.
Questo emerge dal testo 10 dove Adorno attribuisce a Hegel una logica
tradizionale per la quale muore
aritmetico meno per meno fa più. Cioè, per Adorno la negazione della
negazione
ghelliana non sarebbe nient'altro che quella logica elementare aritmetica per la
quale meno per meno fa più e quindi
alla fine si restaurerebbe quel contenuto positivo che il secondo momento della
dialettica aveva messo in
crisi. Ora noi sappiamo che la negazione della negazione egeliana non è
banalmente affermativa così come Adorno
lo intende in questo passaggio, no? Anzi, potremmo dire così,
eh, leggendo Hegel con le categorie di adorno, la negazione della negazione
egeliana ha un esito non identico, cioè
lo spirito si fa altro da sé. La forma dello spirito egeliana è il by sich sel
in underen, cioè l'essere presso di sé nell'altro da sé. Nell'atto della
autodeterminazione lo spirito si pone come altro da sé e quindi un esito non
identico, altro che logica aritmetica
del meno per meno fa più. E tuttavia rimane una differenza, come dire,
irriducibile tra i due autori e
consiste nella nel senso di questo esito non identico. Potremmo dire così, per
Hegel
l'esito non identico della negazione, della negazione è uno sviluppo dialettico, è
una processo progressivo
dialettico di natura concettuale in cui lo spirito si produce mediante i suoi
atti di autodeterminazione. Come dicevo prima, è
una nuova determinazione che si produce che ha una forma diversa dalla
determinazione di partenza. alla forma
del divenire, non più quella dell'essere, alla forma del soggetto, non più quella
della sostanza, ma c'è un
progresso, c'è una trasformazione progressiva, c'è uno sviluppo concettuale.
Questo è il senso del
risultato non identico della negazione della negazione egeliana.
Adorno invece ritiene necessario fermarsi al secondo momento, quello
dialettico o razionale negativo, cioè il
momento confutativo della dialettica e si vuole intende rifiutarsi
di ontologizzare, diciamo così, questo risultato confutativo, cioè Hegel
affermerebbe che questo momento negativo
della dialettica è la realtà di tutte le cose, trasformerebbe questa tesi in una
tesi ontologica. Questo è esattamente
ciò che Adorno vuole rifiutare fermandosi al secondo momento della dialettica.
Non c'è quindi in adorno nessuno
sviluppo concettuale, non c'è nessun progresso, c'è solo un arrestarsi del
pensiero di fronte alla sua
contraddizione, un arretrare del pensiero per lasciar spazio alla manifestazione
dell'altro dal pensiero.
Ma tra il pensiero e il suo altro non c'è nessun procedimento concettuale, non
c'è nessuno sviluppo, non c'è nessun
progresso. Ora si può arrivare alla differenza più significativa tra la dialettica
egeliana e quella adorniana
che va al di là del fatto che Adorno elimini il terzo momento della dialettica. e
investe la categoria centrale della
dialettica che è la categoria di mediazione. Tanto Adorno quanto Hegel pensano
che la dialettica viva di una
duplice mediazione. La mediazione soggettiva, per cui tutte le cose sono cose
per un soggetto, è la mediazione
oggettiva, per cui tutti i soggetti sono, diciamo, soggetti mediati dalla realtà
oggettiva attraverso in rapporto
con la quale si costituiscono anche in quanto soggetti. Adorno è d'accordo su
questo, ma a
differenza di Hegel, Adorno intende introdurre tra queste due forme di
mediazione una asimmetria, cioè le due
mediazioni non sono identiche. La mediazione oggettiva ha una sorta di
primato rispetto alla mediazione
soggettiva. E questo è il contenuto della tesi fondamentale della dialettica
negativa, quella che Adorno chiama il
primato dell'oggetto, espressa nel testo 11.
Adorno scrive: "Grazie alla disuguaglianza nel concetto di mediazione, il
soggetto non ricade
nell'oggetto come questo, in quello. L'oggetto può essere infatti pensato solo
dal soggetto, ma rimane sempre nei
suoi confronti un altro. Il soggetto invece è sin dall'inizio anche oggetto
in base alla sua costituzione. Le due mediazioni, quella soggettiva e quella
oggettiva, sembrano
collocarsi su due livelli diversi in adorno. La mediazione soggettiva riguarda,
potremmo dire, la razio
conoscendi, cioè una mediazione epistemologica riguarda il modo in cui noi
conosciamo gli oggetti e noi li
conosciamo sempre mediatamente. La nostra è sempre un'esperienza
soggettiva della realtà.
La mediazione oggettiva riguarda invece la razio essendi. Potremmo dire la
realtà è una realtà di oggetti. Anche il
soggetto è un oggetto in realtà e questa riguarda la struttura ultima, potremmo
dire così, della realtà. Attenzione,
questo non vuol dire che Adorno restaura l'intensire, cioè l'idea realista ingenua
di un accesso diretto alla
realtà delle cose. Potremmo dire al contrario che Adorno pensa due diversi
concetti di oggetto. c'è un oggetto che è il correlato oggettivo dell'esperienza
soggettiva e c'è un oggetto più ampio all'interno del quale rientra lo stesso
oggetto e che è sostanzialmente l'idea che ci sia una realtà irriducibile alla
prestazione soggettiva del pensiero.
Questa seconda concezione più ampia dell'oggettualità svolge una funzione
critica nei confronti della prima
concezione ristretta perché mette in crisi l'idea che l'oggetto sia
semplicemente la sua
costituzione soggettiva. C'è una famosa proposizione della dialettica negativa
che dice oggni ente è più di quello che
è. Cioè ogni ente si ribella, è qualcosa di ulteriore rispetto a ciò che il soggetto
ne fa.
Il modello di Adorno è esattamente quel rapporto tra concetto e oggetto da cui
siamo partiti nella introduzione alla
fenomenologia dello spirito, no? Che ogni ente è più di quello che è, significa
che ogni oggetto trascende la
mediazione soggettiva che lo identifica, la smaschera come shine, come
parvenza.
È quindi una trascendenza che si sviluppa nell'immanenza però della stessa
coscienza. Non c'è bisogno di un
accesso diretto all'oggettualità, di un intenso recta. è nella contraddizione del
pensiero identificante che emerge
l'ulteriorità della realtà. Se Hegel pensa questa trascendenza come
lo sviluppo dialettico dello spirito che procede per autodeterminazione, Adorno
invece
intende mostrare l'arrestarsi del pensiero, l'arrestarsi dello spirito e la
manifestazione al di fuori della
della realtà, diciamo così, non identica, irriducibile al
pensiero. Mi avvicino ora alla conclusione con alcune, diciamo,
osservazioni generali su su quello che abbiamo visto. Entrambe le forme della
negazione
determinata, tanto quella positiva di Hegel quanto quella negativa di Adorno,
producono una forma di trascendenza
nell'immanenza, per dirla diciamo così, con Hubber, ma o comunque con un
lessico egelliano, oppure producono un risultato
non identico, per dirla, con il lessico adorniano. E tuttavia il senso di questo
risultato non identico, il senso di
questa trascendenza nell'immanenza è diverso. Come ho già detto, forse fin
troppe volte, in Hegel questo risultato
è inteso come lo sviluppo dialettico, inserito, tra l'altro, in una totalità
autofondata che si
autodetermina e che costruisce mediante negazione determinata il sistema
della verità e che quindi assume un senso
positivo. Adorno invece intende liberare questo movimento di trascendenza
nell'immanenza da questo risultato positivo. Non c'è nessun processo
dialettico che unisce il pensiero identificante consapevole della propria
contraddizione alla realtà non identica.
La positività del non identico è allusa come qualcosa di
assente. La critica della determinazione di partenza in adorno apre la
possibilità di una trascendenza che però rimane, come dire, allusa. È un
alludere
a qualcosa di altro dal pensiero che però non può essere raggiunto attraverso il
pensiero stesso, né è il pensiero che
si fa altro da sé, come avveniva in Hegel. Ecco allora che entrambi gli autori,
tanto Hegel quanto Dorno, ci insegnano a pensare assieme determinatezza e
negazione. Anzi, potremmo dire così, entrambi superano il pensiero ingenuo
che pensa che la determinazione sia l'opposto della negazione e ci dicono che
la determinatezza è
negazione, però lo fanno in modo diverso. In Hegel si ha effettivamente
l'idea di una autodeterminazione come negazione della negazione. Questo
significa che la negazione della mia
negazione che trovo fuori di me è in realtà una negazione autoriferita, è un
momento dell'autodeterminazione del
soggetto. Questo significa che non c'è nessuna differenza tra il risultato
positivo e la negatività. La negatività
è questo farsi risultato positivo. Anche per Adorno positività
del non identico e negazione devono essere pensati assieme, ma nella loro
estrinsecità. E questo però mette in
crisi, a mio avviso, e questo è l'elemento di riflessione che consegna un po' alla
discussione, mette in crisi,
a mio avviso, il senso della negazione determinata. Se noi utilizziamo la
distinzione della
logica cantiana tra il giudizio negativo e il giudizio infinito, è difficile
capire a che cosa corrisponda la negazione determinata adorniana, no? Il
giudizio negativo ha la forma a non è B. Ciò che viene negata è la copula e ci
dice sostanzialmente che questo determinato soggetto non rientra in questo
determinato predicato. È un
giudizio negativo che ha un contenuto determinato. Il giudizio infinito invece
ha la forma A e non B. In questo senso ciò che apre questo
giudizio è la indeterminabilità di A, perché non B è tutto ciò che è tranne B
e quindi un risultato assolutamente indeterminato. Il soggetto viene
infinitizzato, il soggetto in questo
caso il non identico, la realtà positiva è infinitizzata, è rivendicata come una
sorta di incolmabile indeterminatezza.
Alla luce di questa dubbio, diciamo, che io vorrei avanzare, cioè si sta ancora
parlando della negazione determinata, eh
alla luce di questo dubbio vorrei introdurre l'ultimo argomento della dialettica
negativa, quello con cui la dialettica si conclude, che è l'apertura
alla metafisica. Abbastanza sorprendente. L'ultima proposizione della dialettica
negativa recita così:
"Questo pensiero è solidale con la metafisica nell'attimo della sua caduta".
Anche Adorno ha bisogno di un assoluto, diciamo così, come il sapere assoluto
egeliano che giustifichi il procedere della dialettica negativa. Se non ci
fosse un assoluto e la dialettica, come ci dice Adorno, è solamente ontologia
dello stato falso che deve togliere se
stessa, la dialettica negativa non avrebbe alcuna prestazione veritativa. Anche
il suo gesto negativo non sarebbe
vero. La dimostrazione della falsità della forma di vita offesa non sarebbe la
dimostrazione di alcunché se la
dialettica negativa fosse solo una logica falsa. Bisogna affermare positivamente
la negatività della dialettica negativa, ma per farlo ci vuole un appiglio
assoluto. Questo appiglio assoluto,
ovviamente per Adorno non può essere il sapere assoluto egeliano, cioè non
può essere qualcosa di immanente al pensiero
che si autodetermina. E che cos'è questo assoluto? è qualcosa che si trova
all'esterno, è il non identico, appunto, il non identico che diventa il criterio,
non il criterio, diciamo, la miccia che innesca il momento della negazione
determinata, quella resistenza che fa
emergere le contraddizioni interne al pensiero identificante. È quindi un
contenuto
assoluto e positivo che si dà nel pensiero come assente. È una metafisica
negativa, cui manca un referente immediato. è una metafisica, potremmo dire
così, che passa attraverso la
negazione determinata della metafisica classica. C'è una metafisica che si è
liberata dell'ontologia. Adorno è un
critico radicale dell'ontologia perché per Adorno l'ontologia dice ciò che le cose
sono, le identifica, mentre la
metafisica dice che le cose sono più di quello che sono. Ecco allora che in una
strana uno strano ribaltamento di
Heidegger Adorno alla fine della sua vita produce un'ontologia, una metafisica
senza ontologia da dove
Heidegger aveva cercato di elaborare un'ontologia senza metafisica.
È però una metafisica non solo senza ontologia, ma anche senza totalità, senza
la totalità egelliana che era
stata anche ripresa da Lucac, cioè senza l'idea di un soggetto oggetto identico.
Lo sguardo della metafisica dorniana non
è verso ciò che è grande, verso la totalità, ma come scrive Adorno verso ciò
che è minuscolo e disadorno. Cioè
una metafisica che ha come oggetto l'irripetibilità di ogni singolo oggetto non
identico, quella ineffabilità di
ogni oggetto nella sua unicità che non può essere detta perché ogni volta che
viene detta viene ridotta l'identità del
pensiero. Ecco allora che il non identico come assoluto paradossale come
assoluto paradossale come oggetto di una paradossale metafisica, mette in
moto lo stesso procedimento della negazione
determinata e della dialettica negativa. Michel Toinisen, che è un filosofo
tedesco molto importante che si ha a lungo confrontato con il pensiero di
Adorno, in un suo famoso saggio sulla
concetto di negatività in Adorno scrive: "Nella metafisica il negativismo deve
raggiungere l'appiglio che altrimenti
non trova". Solo per questo la dialettica come ontologia della condizione falsa,
essa
stessa falsa, può essere al contempo vera. Ecco qui, e con questo concludo,
gli interpreti di Adorno ovviamente si dividono, no? c'è chi evidenzia una
contraddizione, una
poria nel pensiero di Adorno che vuole essere assolutamente negativo, però poi
ha bisogno di una metafisica del non
identico eh per fondare questa negatività assoluta. Altri invece cercano di
mostrare come il pensiero di
Adorno sia un pensiero assolutamente irriducibile a qualsiasi forma di pensiero
normativo e che quindi questa
poria emerge solo se noi diamo per scontato quello che sosteneva Habermas,
cioè che Adorno sia un pensatore
incapace di fornire un criterio, diciamo così, normativo, ma forse l'intenzione di
Adorno è un'altra. adorno un
pensatore radicalmente negativo, non un pensatore normativo. Sia come sia,
mi pare che la
soluzione adorniana esibisca alcune crisi del pensiero dialettico. Eh, prima di
tutto
una crisi della figura della negazione determinata che si porta con sé una crisi
dell'idea di
progresso. Com'è possibile a partire dalle categorie adorniane, a partire dalla
riforma adorniana della dialettica
della della negazione determinata? affermare ancora l'idea di un progresso
verso una
determinazione più ricca di quella di partenza, no? Eh, certo, c'è l'idea di
una positività in Adorno, no? La chiama la bella estraneità. Ci sono molte
espressioni che Adorno utilizza, ma è qualcosa di alluso come assente. Noi
siamo sempre dalla parte di un di un
pensiero che è condannato alla falsità e alla contraddizione. Il momento
negativo che
innesca la dialettica non può assumere in adorno la forma di un movimento
sociale, la forma di un processo storico
di apprendimento. È qualcosa di condannato costitutivamente, diciamo così, a
una inevitabile
indeterminatezza. non sarebbe il non identico se non fosse indeterminabile.
Ecco quindi che il pensiero di Adorno, a
mio avviso, nel momento estremo, potremmo dire così, della tradizione
dialettica,
si colloca proprio al confine tra la tradizione dialettica e il pensiero negativo
e e esprime probabilmente, anche con la sua tesi del rinvio indefinito della
prassi su cui
ero intervenuto l'anno scorso, eh una via d'uscita possibile eh da dalla crisi
di questa tradizione. E non so se una via d'uscita, hai detto
sì, una possibile via d'uscita dalla crisi di questa tradizione. Io, diciamo, avrei
finito. Lascerei tempo a discussione. Grazie della
[Applauso] attenzione. Grazie.
Beh, insomma, la questa lezione di Andrea Bianchi intanto spiegato tante
cose particolari del pensiero di Eker su cui siamo tornati e del pensiero di
Adorno, ma soprattutto direi ha il pregio
di darci una precisa linea interpretativa, no? fa una proposta
interpretativa molto netta, se posso se posso permettermi, nel senso che
interpreta la
dialettica negativa di Adorno come l'espressione di una crisi, diciamo
così, nella storia della filosofia, forse del momento della crisi, forse del
momento principale della crisi del
pensiero dialettico. all'inizio ha detto è l'ultimo proiettile della dialettica
europea,
cioè sostanzialmente è l'espressione nella storia della filosofia nella tua
interpretazione di un punto di svolta, di un punto di
passaggio. Naturalmente qui mi piacerebbe poi come dire porre
domande e perché da tutto quello che hai
detto diciamo in qualche modo il tentativo adorniano, riassumo così per
non ripere, il tentativo ad adorniano di ripensare la negazione determinata
diversamente da come l'aveva pensata Hegel, riesce, diciamo, direire una
difficoltà da parte di Odurno a in qualche modo riafferma Hegel a
livello di dialettica. Allora, naturalmente la domanda è se questo se
l'esito della dialettica negativa di Adorno non è poi la base per quello che
succederà poi nella scuola di Francoforte e in particolare, come dire, è vero che
Habermas è un critico, come
tu hai detto Diorno, però in certo modo si trova nella dialettica negativa
già la base per passare, dirò così, da un pensiero dialettico a un pensiero
normativo. Eh, insomma, questo punto di svolta, questo punto di passaggio che
è
la dialettica negativa di Adorno in fondo non riesce in termini
dialettici e ha come conseguenza la fine del pensiero dialettico, soprattutto in
un nella maggiore corrente, come dire, del marxismo europeo che è la scuola di
Francoforte. Allora, volevo capire se
questa è la tua linea di lettura oppure se io la leggo un po' tendenziosamente,
diciamo, non avendo spiccate simpatie
francoforortesi. Allora, vediamo prima di forse dialogare, possiamo, se vuoi,
sentire intanto qualche altra
osservazione oppure vediamo se ci sono io qui non è
che vedo tutto perché son coperto dalla dal computer. Allora, vediamo. Ma
naturalmente potete porre anche delle domande, delle richieste di chiarimenti.
Tutto è l'ultima lezione, quindi potete
porre tutte le questioni che volete.
Eh sì. Non so se se ricorda ieri l'intervento del mio collega rispetto a vi al vie al
double bind, insomma, in cui avviene un
movimento autonomo della coscienza dove appunto si entrava in psicosi
oppure
come avviene eh nelle religioni, cioè oppure per assolutizzare bene o male si
si arriva alla religione o destra e sinistra. questo doppio continuo è possibile
che Adorno abbia tentato di
eliminare questo aspetto della dialettica, ovvero la rieficazione e e il e la la
completa astrazione, cioè
ilidimento degli opposti in questo senso. E poi sentiamo che dice Bianchia lui.
Vediamo se ci sono. Hai alzato la
mano lei? No, no. Sì. Volevo aggiungere, diciamo,
però cercando proprio uno sviluppo di questa logica in un piano che secondo
me
sembra sembra proprio eh una diretta conseguenza di quello a
cui arriva proprio la scuola di Francforte fino alla critica a se stessa, che
appunto
questa dialettica che alla fine critica se stessa propria negazione come valore
proprio insuperabile e non metta in moto e non costringa la filosofia a rendersi
conto
che finché non c'è una dinamica appunto complementare di relazione con
l'esterno
la filosofia non resta altro che una semplice analisi che non produce sintesi
e che non produce cambiamento nei confronti dell'esterno. E questo mi sembra
un aggiungere la
dimensione fisica a quella, diciamo, epistemologica, perché è come se questa,
lo riduco proprio a zero, una cosa semplicissima, questa contraddizione degli
opposti che si sviluppano
ponendosi sullo stesso piano, quindi essere e non essere, appena si codificano
diventano essere, non
producint che è rivolta verso l'esterno, cambia la costituzione del fenomeno,
quindi come il pensiero non divent un'azione trasformativa che in sé
lavoro. Uno pensa e tenendo al centro il pensiero dalle origini soccratiche fino
al tentativo del filosofo di rivendicare proprio un valore ontologico del pensiero
come un un principio evolutivo,
principio evolutivo per eccellenza, come io pensando sto trasformando la realtà
perché la la modifico con questo processo, appunto, a cui attraverso cui
il pensiero attraverso le contraddizioni produca queste continue scintille che
modificano la relazione che io ho all'esterno, quindi la simmetria interna
della ci sia questo continuo scambio, interazione tra me che
penso e il mondo che insegna a me nuovo perché l'oscurità che mi arriva che
tolgo io la rielaboro, la
la assimilo, la ricontradico e che mi permette di cogliere sempre nuove che io
questa quindi questa circolarità non sia soltanto interna tra la rappresentazione
differenziale reale, ma sia anche analogica questo tipo di quin da lì
principio attivo dell'evoluzione e non è né solo analitico né solo analogico.
questi due
aspetti siano poi un processo. Questo arrivare appunto Zelloo
accennato intervento precedente alla relazione inevitabile tra fisica classica e
fisica quantistica che anche
se hanno metri che tra di loro non possono essere comparati per due parti della
stessa realtà. Quindi noi
attiviamo qualcosa, poi siamo determinati modificando noi stessi come
organismi de evoluzione e che modificano anche l'aspetto
sociale. Beh, puoi cominciare forse vè spo di ricordarmi tutto. Eh,
un'osservazione perché è una cè una
scusi è nient'altro che che che ne sia la funzione
messiale e cioè il freno di emergenza di tutte queste metabole che che che
sono
state nel nostro D la domanda
invece tutto questo come rispondere alle di
[Risate]
Ok. Eh vabbè, magari inizio e poi se ce ne sono altre rispondo dopo perché
sennò
non mi ricordo tutto.
Ehm allora, eh ma l'interpretazione che il professor Mustè forniva è un po'
quella che l'idea che io ho cercato di dare. [Musica]
Ehm, direi così,
ehm la storia della ricezione della dialettica negativa è molto complicata e
non sto adesso a riassumerla, però eh sicuramente Habermas ha visto in quel
testo l'esplosione, diciamo, di un paradigma che era quello del pensiero
dialettico che a suo avviso era
diventato ormai inservibile. Eh, per fare una teoria critica
servivano altre categorie, serviva una differenziazione del concetto di ragione,
quindi non solo ragione
strumentale, ma anche ragione comunicativa. Serviva una traduzione,
diciamo così, delle categorie tipiche della dialettica che, secondo Hubbermas
sono legate al paradigma soggetto
oggetto all'interno della svolta linguistica e questo ha segnato il
filone principale della scuola di Francoforte. ci sono degli elementi divergenti,
però diciamo così la linea
Hubermas, Honnet è quella dominante.
Mh, questo è stato colpa, diciamo così, di adorno. M
io qua direi il mio rapporto con Adorno, diciamo, è un po' più sfumato, nel
senso
che io vedo, cioè mi piace tornare a rileggere la dialettica negativa perché in
questo testo io trovo un antidoto,
diciamo così, a agli esiti normativistici della della teoria critica. Cioè Adorno
fornisce l'idea di
una teoria critica diversa da quella che poi è diventata egemone, che è
egemone oggi nella contemporaneità. Certo,
restare fermi però alla soluzione adorniana non è a sua volta sufficiente.
La sfida, ma questo ovviamente bisogbe iniziare a parlare d'altro, solo per dare
una suggestione. La sfida, diciamo,
o quantomeno la direzione verso la quale io cerco di incamminarmi è di
scoprire in Hegel delle risorse per fare quello
che voleva fare Adorno. Cioè, già in Hegel, a mio avviso, si possono trovare
delle risorse per un pensiero che non
sia normativo, ma che non sia nemmeno negativistico, diciamo così. Cioè, la
teoria dialettica emerge veramente come
una terza via che corre sempre il rischio di ribaltarsi in uno dei due
opposti. Nel caso di Adorno alla fine c'è il rischio di perdere una vera e propria
dialettica, perché la dialettica
è falsa, la contraddizione non è la verità. La realtà, se il pensiero identificante
non arrivasse, come dire, a violentarla, non sarebbe dialettica per Adorno?
Eh, e dall'altra parte eh con Hubbermas c'è invece il rischio ampiamente, come
dire, corso e accettato e invece di fare della dialettica un pensiero normativo.
A mio avviso, il limite della lettura adorniana della negazione determinata
consiste nel fatto che quando Adorno
pensa la negazione determinata la pensa attraverso le categorie che abbiamo
visto oggi, cioè l'introduzione della
fenomenologia, l'introduzione della scienza della logica e sono categorie legate,
potremmo dire così, alla logica
dell'essere, cioè a un certa forma della negatività. Con il passaggio dalla
logica dell'essere alla logica dell'essenza e poi alla logica del concetto, Hegel
trasforma già lui la
negazione determinata, no? ce ne dà una visione più complessa e lì, secondo
me, c'è una risorsa che adorno non sfrutta
fino in fondo. Eh, questo non so se ho risposto, però era per dare, però
diciamo cioè sono d'accordo, anch'io ritengo che sia problematico l'esito che da
Hubbermas in poi ha prodotto la
scuola di Francoforte e credo che la prima generazione sia una risorsa per
pensare altrimenti, andando però anche la prima generazione. Ecco, quindi poi
la seconda domanda era sul
rischio in adorno di un irrigidimento degli opposti, se ho capito, cioè se la
donna volesse evitare evitare e io direi eh però bisognerebbe
intendersi poi meglio su cosa si intende per l'irrigidimento degli opposti. direi
che ad urno corre maggiormente il
rischio di irrigidire gli opposti, cioè questa netta antinomia tra il pensiero
identificante, il non identico eh è un irrigidimento che non riesce a pensare
una mediazione tra le due cose. Cioè, paradossalmente la dialettica
egegeliana, proprio in virtù del terzo momento, che era quello che trasformava
la sostanza in soggetto, per dirla adesso molto semplicisticamente, è il
momento che
evita il cristallizzarsi degli opposti perché sono sempre mediati. Eh, invece
in Adorno, venendo meno questo tema, viene meno anche la possibilità di
pensare un'effettiva mediazione e anche
il progresso è una forma di mediazione. Del resto, eh la domanda successiva,
diciamo,
proponeva una concezione filosofica proprio alternativa e molto
interessante. Vorrei saperne di più, però diciamo per quello che ho capito eh io
posso rispondere cercando di vedere
se Adorno intercetta o meno qualcosa delle cose che lei ha detto, no? E per
esempio questa apertura all'altro, anche
la dimensione naturale è qualcosa che in realtà Adorno ha presente, no? Ci
sono
delle parti interessanti di Adorno, riflessioni adorniane sulla filosofia morale di
Kant, eh che lui legge
attraverso Freud, eh, e e recupera una dimensione somatica. lui dice
dimensione
somatica del corpo, delle pulsioni sessuali che verrebbero in qualche modo
espulse dalla filosofia pratica
cantiana, ma che sarebbero in realtà implicate, cioè Kant vorrebbe spellerle,
ma non ci riesce perché non si può fare
a meno di questa dimensione corporea che arricchisce la dimensione del
soggetto trascendentale e non è a questo
contrapposto. Quindi c'è forse uno scambio non solo con la natura esterna, ma
anche con la natura interna. Eh, però
ovviamente questa è una risposta insoddisfacente per quello che lei mi ha
chiesto. Bisognerebbe parlare forse più
nello specifico di quello che diceva confronto anche con la scienza. Vabbè, il
rapporto di Adorno con la scienza è
complicato nella misura in cui Adorno è un grande critico del positivismo, in
quanto presidente verso la fine degli
anni 60 della società della sociologia tedesca ha dato avvio al cosiddetto
positivismus stright, dove Adorno e Habermas, in quanto rappresentanti di una
concezione dialettica delle scienze
sociali, si sono confrontati con Popper e gli allievi di Popper che invece
ritenevano che la dialettica non avesse
alcun fondamento scientifico, andasse quindi Quindi espulsa dalla metodologia
delle scienze sociali. I toni di Adorno
sono sempre un po' esagerati, un po' e quindi danno spesso l'idea che Adorno
sia un autore contro la scienza. Ci sono
delle pagine della dialettica, però non è chiaramente così. Il rapporto tra loro e
l'Illuminismo è un rapporto
dialettico, senò non ci sarebbe una dialettica dell'Illuminismo, un illuminismo
che deve rischiarare se stesso, non una definitiva negazione,
diciamo così, dell'Illuminismo, però è chiaramente un rapporto problematico.
Così come problematico è il rapporto tra
Adorno e Beniamin. Benjamin ha un'enorme influenza sul giovane Adorno,
soprattutto ci sono dei concetti
fondamentali, per esempio il concetto di costellazione che Adorno riprende da
Beniamin. Ci sono anche delle
differenze, però sicuramente Adorno si inserisce, diciamo così, in una
costellazione beniaminiana. Eh, per
quanto riguarda il rapporto con il pensiero di Heidegger, non solo col tema
delle Reignis, ma in generale con il
tema della filosofia deiana, questo è un tema complicatissimo, nel senso che è
uno degli aspetti più appassionanti
della filosofia di Adorno, cioè questo rapporto quasi cioè andrebbe studiato
psicoanaliticamente tra Adurno e
Heidegger perché Adorno torna in Germania negli anni 50 e dice ad amici
di Heidegger ci sono delle lettere, dice io farò della distruzione dell'ontologia
Idegariana è il mio progetto filosofico.
Nel giro di 5 anni nessuno sentirà più parlare di Heidegger. Eh, dopo la morte
di Adorno, Heidegger intervistato da non mi ricordo chi, ad Heidegger viene
chiesto "Ma cosa pensa di queste
critiche di Adorno?" No, e Heideger disse: "Boh, io non ho mai letto nulla di
questo sociologo, io faccio filosofia, non mi interessa." Quindi,
diciamo, l'obiettivo di Adorno miseramente fallito, però c'è tutta una prima
parte della dialettica negativa
che è una critica dell'ontologia egeriana. Il paradosso è che per certi aspetti i
due pensatori sembrano avere
lo stesso problema, cioè ciò che Heidegger chiama essere e ciò che Adorno
chiama non
identico sembrano in qualche modo richiamarsi. Cioè questa esigenza è quella
che Heidegger dice, superamento
della filosofia della presenza. E cioè l'idea che le cose non siano solo
forehanden, come dice lui, ma siano anche altro, no? Questo essere che sfugge
è molto simile al non identico
che va al di là della determinazione del pensiero identificante e molti hanno
sottolineato questa affinità
inconfessabile, insomma, tra Adorno e Heidegger, cioè un adorno che rifiuta
questa affinità per motivi politici, per
motivi personali e e che però fatica ad ammettere la verità, cioè che lui la
pensa come Heidegger. Io penso che in
ultima istanza ci sia una differenza radicale tra i due autori, eh, perché questa
dimensione, diciamo, di
ulteriorità in Heidegger assume la forma, diciamo così, dell'essere, appunto,
dell'essere con la E maiuscola,
di quell'origine che ci sta alle spalle e che ci determina determina in un modo
che rimane in ultima istanza opaco e di
cui non riusciamo mai a venire a capo fino in fondo. Il non identico a cui pensa
adorno invece non è qualcosa di
grande, è qualcosa di minuscolo, è la ripetibilità di ogni singolo oggetto ed
è qualcosa che non si può pensare in termini di origine. Adorno prende un
aforisma di Carl Kraus che dice, se non
ricordo male, il fine è la meta e diceanamente uno lo può intendere dicendo
eh scusate l'origine è la meta. Uno lo può intendere dicendo "La nostra meta è
l'origine, dobbiamo tornare all'origine". Io invece lo intendo all'opposto, cioè la
nostra origine è la meta, cioè quello che ci sta alle spalle
in realtà è ciò che ci sta di fronte. Eh, questo è eh un tema irrisolto, nel
senso che io credo, da quello che mi risulta, che non c'è una versione definitiva
sul rapporto tra Heidegger e
Adorno. Io penso che si, ecco, io la penso così, insomma, io
penso che si possa parlare del rapporto di Heidegger e Adorno, così come il
Conciglio di Nicea ha dato una
definizione dell'analogia, cioè una affinità pur tanto grande in una
differenza sempre più grande. Cioè sono due autori che si parlano, parlano
delle stesse cose, vengono da tradizioni
diversime, usano linguaggi contrapposti e forse in fondo questa differenza
emerge anche nel contenuto delle loro
filosofie che pur possono dialogare. Carlaccio a quest'ultima
analia. Sì, però mi domandavo dirti che cosa
intende adorno questa apertura la metaliza con cui hai diciamo
l'intervento dicendo brutto cheamo teologia metafisica. Allora io
veramente no questo è forse come dire un passo di
un'importanza fondamentale, no? Allora, non riesco bene a capire in che modo
si
muove adorno nel momento in cui critica l'ontologia va verso la metafise. Che
cosa hai in testa? Se potessi dirci
qualcosa su questo, non tanto necessariamente rispetto aer, ma cioè
come spunto, ma
sì. Ehm, Adorno pensa sostanzialmente che la metafisica sia la produzione di
una trascendenza nell'immanenza. Cioè, potremmo dire così, metafisica per
adorno significa affermare che le cose
sono più di quello che sono. Questa è la proposizione della dialettica negativa.
Le cose sfuggono alla loro
determinatezza e identificazione. Eh, nella tradizione metafisica Adorno
vede traccia di questa esigenza della filosofia. C'è una le l'ultima parte
della della dialettica negativa si intitola Meditazioni sulla metafisica e ci sono
momenti in cui lui, per esempio,
riflette e rivaluta alcuni elementi di verità della tesi cristiana dell'immortalità,
per esempio, e dice:
"Sono tutti sono tracce, diciamo così, eh nel pensiero di ciò che va al di là
del pensiero, di ciò che può essere diversamente da com'è ora. Eh, però nella
tradizione della metafisica tutto
questo è stato sporcato dall'ontologia, cioè l'ontologia è invece appunto
giudizio ontologico sulla realtà ultima delle cose e quindi l'ontologia questa è è
una è un discorso che fa adorno si può
anche criticare che la la metafisica non è questa cosa e l'ontologia
storicamente non è stata questa cosa, però
l'impressione che io ho è che Adorno veda l'ontologia come invece la chiusura
delle possibilità della metafisica in un certo senso. Per questo io dicevo che la
metafisica metafisica dorniana è la
negazione determinata della metafisica classica, cioè salva ciò che di quella
metafisica era progressivo, cioè
l'apertura all'ulteriore ed elimina ciò che invece frenava questo sviluppo, cioè
l'identificazione. Eh come questa cosa funzioni funziona con la dialettica
negativa per certi aspetti, cioè
funziona frenando il pensiero, facendolo arretrare, lasciando che le cose si
manifestino.
È chiaro che è un pensiero aporetico, secondo me, cioè non è molto difficile poi
capire come questa cosa funzioni.
Infatti adorno ne dà dei resoconti metaforici, no? prende un aforisma di una
poesia di Eichendorf è la shf, la
bella estraneità in cui il soggetto rimane diverso dall'oggetto, però non è
più violento nei suoi confronti, lo lascia essere, si lascia determinare
dall'oggetto in un rapporto che non è
più prevaricatore comera invece nell'Illuminismo, nella razentificante. che cosa
questa cosa
voglia dire rimane secondo me in ultima istanza indeterminato. Cioè forse
nell'ontologia adurno ved nell'ontologia nella tradizione ontologica, cioè vedeva
anche quella identità di oggetto soggetto Sì. e su cui tu hai poi fatto
le osservazioni, cioè mentre invece la metafisica rappresenta, per così dire,
un'ulteriorità di senso, un un e e
quindi c'è una differenza radicale, diciamo, come in altre filosofie d'altra parte,
no? tra l'ontologia intesa non in
adorno, ma in generale come identità di pensiero ed essere come e invece la
metafisica che puoi intendere
altrimenti. Forse c'era anche questo elemento. Sì, c'è sicuramente poi
un'idiosincrasia di Adorno con la parola
ontologia, nel senso che lui è molto critico nei confronti di questo termine.
Ogni volta che un altro autore util, per esempio Luca, cioè quando un altro
autore utilizza la parola ontologia, lui subito tende a criticarlo, fa forse di tutte
l'erba un
fascio. C'è un corso di lezioni di adorno su questo tema intitolato, purtroppo
non è tradotto in italiano, si chiama ontologi ont Dialectic ed è un
corso sulla ontologia. Eh, buona parte del corso dedicato a Heidegger,
ovviamente. Poi c'è una parte anche
sull'ontologia sociale nella sociologia, un confronto con Castoriadis e e lì Adorno
cerca di
mostrare l'irriducibilità tra dialettica e ontologia, cioè la dialettica nascerebbe
dall'ont dall'inconsistenza
dell'ontologia, dalle contraddizioni dell'ontologia, però questo vuol dire che una
volta che si è fatto il passaggio dalla dialettica,
dall'ontologia alla dialettica, l'ontologia non serve più, ce la si è lasciata alle
spalle,
E poi ora bisognerebbe riprendere forse quelle lezioni, le ho lette molto tempo
fa, lì ci sono forse dei chiarimenti su
questo rapporto problematico tra e l'ontologia e però è direi questo. Ecco,
ci sono altre mani alzate, altre cose ancora. Ecco, c'è lui.
Sì, diciamo il ragionamento così fila. Ovviamente poi Adorno non fa un un
confronto sistematico con con
Aristotele, con la Metafisica. Se uno legge le meditazioni sulla metafisica sono
dei testi veramente difficilissimi
da comprendere dove lui riflette sul senso che ha la domenica all'interno della
società borghese. Eh, riflette
sulla possibilità di scrivere poesie dopo Auschwitz. Cioè, questo è il contenuto
poi delle meditazioni sulla
metafisica di Adorno. Quindi lui è molto distante da questo tipo di problematica
ed è anche molto distante da una
problematica di natura storico-filosofica. Cioè, non è che lui cerchi di dare una
definizione sistematica di metafisica in rapporto a
quella che è stata data da Aristotele. Però sì, sicuramente si potrebbe dire così,
cioè al di là di quello che dice
Adorno, se è vero che Adorno vede una contrapposizione tra l'ontologia e la
metafisica, usando le categorie di
Aristotele si potrebbe dire che lui vede quella che è stata definita come
metafisica tradizionalmente vede
un'ontologia, quindi direi che è corretto il suo discenza metafisica non è
discorso con l'intero intendiamo discorso sull'essere. Questo non c'è dubbio.
Questo lo dice esplicitamente
anche nella sua presa di distanza dal concetto di totalità sia egelliano che
lucacciano. Lui dice: "La metafisica si rivolge al minuscolo e al disadorno, non si
rivolge alla totalità e quindi è una
questo è più beniaminiano, diciamo così. Cioè la metafisica consiste nel dire eh
che cos'è questo oggetto nella sua assoluta irripetibilità. E cioè senti
una volta la metafisica di Cacciari dice questa la metafisica dell'uno come non
come l'uno neoplatonico grosso, ma l'uno come il il singolo filo d'erba, diciamo,
che deve essere detto nella sua unicità e questo è un po' il la natura
bennaminiana, diciamo così, della metafisica dorniana è diversa dalla
metafisica della
totalità. Metafisica il discorso sulla totalità. Sì, intero nell'ospite loro
non può che essere discorso dietro, non può, cioè non può che essere questo
tipo
di discorso e e di conseguenza chiaramente non rientrare
assolutamente quello che lui intende con metafisica per detto che la sua
metafisica non è una metafisica di dell'identico
e perché ponevo la la come se fosse, diciamo, una questione Non totale ovio
banale, nel senso che uno potrebbe intendere il discorso sull'intero, discorso
sulla totalità come un discorso
di anche Certo. Questa è per questo io
no le raggiung cioè questo è voglio dire il sistema della totalità di Hegel, cioè
il la struttura per esempio della libertà che si fa a sistema nei cinque paragrafi,
nei tre paragrafi dei
lineamenti di filosofia del diritto 5 6 7 finiscono con la categoria
dell'individualità. quella è una
sviluppo totalizzante della libertà, quindi non c'è dubbio che eh la
soluzione adorniana non è l'unica. Io penso che il nel pensiero di Hegel ci sia
proprio l'idea di un di un
universale concreto, cioè che un universale che comprende il particolare, di
una totalità che comprende la singolarità. Eh però in adorno le cose
non stanno così. Il tema della totalità in adorno è complicato perché non c'è
dubbio che il la categoria di totalità
abbia in adorno una funzione negativa, cioè la totalità è la totalità della società
amministrata che è la la
traduzione sociologica del sistema dell'idealismo classico. Eh il sistema
di cui parlava Hegel è la perfetta descrizione, secondo Adorno, del sistema
totalitario della società dei consumi e
e del capitalismo avanzato. Questo significa che in Adorno non c'è l'idea di una
totalità positiva. Questo è un
altro tema molto dibattuto dagli interpreti di Adorno. Adorno allude, per
esempio,
questa figura della bella estraneità. È la figura di una totalità riappacificata,
dove l'uomo non domina
più la natura, ma ha un rapporto mimetico con la natura. Eh, però questa
è una totalità, come dire, allusa, non so, che emerge come
altro dalla che che non è uno sviluppo della società attuale o che è difficile
comunque pensarlo come sviluppo, non c'è
il seme di questa realtà nella società attuale. Noi possiamo solo criticare,
diventare consapevoli che l'Illuminismo si ribalta sempre nel suo posto. Il
risultato non è un illuminismo senza
contraddizioni, è un illuminismo che sa le sue contraddizioni, che quindi può
immaginare qualcosa, però al di fuori
dell'Illuminismo. E quindi anche questa idea di una totalità positiva ha una
struttura estremamente apuretica. quella
totalità positiva lì, sì, sarebbe una totalità delle particolarità e più simile a
quella,
diciamo, egelliana che però lui interpreta invece come una totalità
identificante, quindi sostanzialmente
reificante.
Sì, strategia in generale confronto con la dimensione che la tecnologia
del si chiama addigura fondamentale della dell'esposizione e
della progetto oggetto all'interno della c'è unazione possibile tra
C'è dellazioneana e della traccia con la differenza rispetto la differenza in
particolare c'è un'inità storico contestuale in cui i limiti del momento emiliano
si traducono
nelle esigenza fondamento della dialettica, per cui l'autocritica della dialettica
è un momento cestà per
ricostituzioni di sesso. Allora, eh diciamo adorno non credo si sia mai
confrontato con questo tema del Ridiano, però io penso che ci sia un rapporto
quantomeno, cioè si pongono lo stesso problema in rapporto a Hegel. Non sono
abbastanza esperto di Derridà per dare
una risposta non imbarazzante sulla valutazione dell'affinità tra i due, però
conosco c'è un autore in Germania,
Alexander Garcia Dutman, che è un allievo di Derridà e di Alfred Schmith.
e quindi incarna l'eredità francoese, quella del Ridiana, e ha scritto delle cose
su questo. Poi c'è un altro autore,
Christoph Menk, che ha scritto un saggio su Adorno e Derridà in rapporto a
Hegel.
Eh, non è, diciamo, un tema su cui sono particolarmente preparato, però mi
sembra di capire che insistano magari
con strategie argomentative diverse su uno stesso problema che per certi
aspetti, però questa è una domanda che
forse bisognerebbe fare al professor Mustè, eh se lo si intende in un senso
estremamente generale, cioè l'idea che
la dialettica, così come la realizzi Hegel, neghi la dialettica, culmini in un
risultato
calmo, diciamo così, è un tema anche di gentile, cioè è un tema molto
è la necessità di dialettizzare la dialettica, potremmo dire così, perché in Hegel
ci sarebbe, secondo questi
autori, invece una sorta di anestetizzazione di questo movimento, dei concetti
e poi sono tutte strategie
ovviamente diverse. Una strategia materialista a suo modo, quella di adorno e
una strategia iperidealista,
potremmo dire, quella di gentile. E e del ridà, secondo me, si pone un
problema simile a
questo. Vediamo se ci sono qualche ultima domanda, anche se il tempo voleva
dire aggiungere qualcosa. No, è possibile farla da noto? Sì, prego.
Sì, è possibile. Intanto ringrazio. Eh, non so se mi sentite bene. Sì, sì, la
sentiamo bene. Volevo solo chiedere questa questa questa cosa perché c'è un
passo, mi
sembra, del nei tre studi su Hegel, nel nel terzo saggio contenuto, nel saggio
del pubblicato dal Mulino in cui Adorno
faceva riferimento al fatto che il sistema egegheliano, riferendosi al sistema
egegheliano, cioè lì andava,
insomma, le andava del della questione del dell'esposizione eccetera eccetera,
ma
dice che la diciamo la sua coerenza o comunque il sistema ghiliano potesse
essere superato solo in negazione determinata. E facendo questo si
riferiva, lì parla, non non sono mai andato a vedere il testo tedesco, però
parlava di configurazione che poi è poi
comunque il la parola che spesso a cui si fa riferimento anche quando si parla
di
costellazione. E volevo chiederle questo che a me la l'idea di configurazione di
costellazione mi fa rimanere all'interno della dialettica, però le volevo chiedere
ma secondo lei qual è il
rapporto fra eh configurazione e quindi, come diceva anche lei prima,
l'attenzione al dettaglio, quell'analisi micrologica, eccetera e dialettica o se la
costellazione è già l'oltrepassamento della dialettica, cioè è già quel quello
strumento che eh anche beniaminiano eh
porta con sé l'abbandonare le le determinazioni dialettiche eccetera.
Quindi non so se sono stato chiaro, però volevo chiederle questo.
Allora, faccio una perché non si sente più? Si sente?
Sì. Nei nei tre studi su Hegel la posizione di Adorno è un po' più sfumata di
quella che io ho rappresentato oggi
in riferimento alla dialettica negativa, cioè anche quella famosa frase more
aritmetico meno per meno fa
più una cosa che nei nei tre studi su Hegel è un insomma m è è più elaborata,
è meno superficiale. Eh io parlando della dialettica negativa ho parlato del
momento massimo di distanza tra Dorn e Hegel. Eh, per quanto riguarda eh
questo
mh l'idea che comunque adorno rimanga fedele all'idea di una negazione
determinata, c'è anche nella dialettica
negativa, diciamo. Io ho messo in dubbio che poi questa cosa succeda
veramente, però è chiaro che l'intenzione di Adorno
sia quella di riformare la la negazione determinata e non superarla. Eh, questo
accade anche attraverso la
categoria beniaminiana di costellazione, eh, che è una categoria che Adorno
usa
moltissimo nel nei suoi testi più giovanili, eh, un pochino meno, per
esempio, in questa nella dialettica negativa c'è un paragrafo dedicato, due
paragrafi, se non ricordo male, dedicati
alla costellazione, ehm, però perde, diciamo così, quella estrema importanza
che aveva nei saggi giovanili, per esempio, nell'attualità della filosofia, eh,
Anche questo è un altro tema veramente complesso da dirimere perché adorno
non
dà una definizione del rapporto tra dialettica e costellazione, cioè la
costellazione beniaminiana è un modo per
pensare la dialettica negativa e oppure è qualcosa che va al di là della
dialettica.
Eh, ma per certi aspetti io tendo a leggerla in continuità con la
dialettica, con la dialettica però negativa, quindi una dialettica, diciamo, priva
di quello sviluppo
immanente dell'autodeterminazione ghelliana. E in questo senso la
costellazione beniaminiana
fornisce una costellazione appunto di idee diverse, però anche questo
comunque
un tema molto dibattuto se la costellazione sia la dialettica negativa oppure se
ha qualcosa che viene dopo la
dialettica. E stessa cosa vale per il concetto di mimesis, che è un altro concetto
adorniano che Adorno usa per
alludere alla parte positiva, diciamo, del suo pensiero. La mimesis è, come
sostiene Hubermas, mimesis, costellazione. Sono tutti strumenti alla fine
irrazionalistici che si trovano nell'arte, non nella filosofia e che quindi vengono
dopo che la dialettica ha
criticato se stessa, oppure sono tutte forme, diciamo così, di una razionalità
diversa, di una razionalità autocritica. Cioè la mimesis è un rapporto non
razionale con la natura, con la realtà,
oppure è una trasformazione del rapporto illuministico? E a mio avviso lo stesso
tema si pone a livello della della costellazione, eh, è un dibattito aperto. Io
tendo a vedere una continuità
tra dialettica e questi momenti, però eh mi rendo conto che non è che abbia
degli argomenti molto forti per sostenere
questa tesi al momento. Grazie comunque per la domanda e mi scuso per la
risposta un po'.
Grazie a lei, ci mancherebbe. Grazie. Bene, il tempo è
ampiamente scaduto e quindi grazie a

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