Memoria 1982 n5 Web OCR
Memoria 1982 n5 Web OCR
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memo r 1 a rivista di storia delle donne.numero 5
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Rosenberg
&_Sellier -v-21 ~~
Sia le illustrazioni della copertina sia quelle che accompagnano
le singole rubriche sono tratte dall'opera:
Paul Klee, 1923, 198 Ein Hexenblick(sguardodi strega)
Federzeichnung, schwarze Tusche,
Briefpapier, 29:22,5
signiert rechts oben
© 1981, Copyright by COSMOPRESS,Genève
memoria
rivistadi storia delle donne
redazione:Maria Luisa Boccia, GabriellaBonacchi,Marina D'Amelia,Michela De Giorgio,
PaolaDi Cori, YasmineErgas,AngelaGroppi, MargheritaPelaja,SimonettaPicconeStella.·
comitatodi redazione:AngiolinaArru, GinevraBompiani,Anna Bravo, EvaCantarella,
ManuelaFraire, Nadia Fusini, MariellaGramaglia,RaffaellaLamberti, Luisa Passerini,
Michela Pereira,Tamar Pitch, Gianna Pomata,Anna RossiDaria, MariucciaSalvati,
ChiaraSaraceno.
pubblicazione quadrimestrale, autorizzazione del tribunale di Roma n. 75/81 del 16 febbraio 1981
direttore responsabile Mariella Gramaglia, stampa Rosada arti grafiche, Torino
per corrispondenza, lavori proposti per la stampa, libri per recensioni, riviste in cambio, informazioni, scrivere a:
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memoria rivista di storia delle donne, numero 5, novembre 1982
sommario
il tema
interpretazioni
5 Anna Scattigno, Simone Weil. La volontà di conoscere.
23 Andreina De Clementi, Una mistica contadina: Caterina Paluzzi di Morlupo.
34 Michela Pereira, Le visioni di Ildegarda di Bingen.
46 Sherrill Cohen, Convertite e Malmaritate. Donne «irregolari» e ordini religiosi
nella Firenze rinascimentale.
64 Carro! Smith-Rosenberg, Il Grande Risveglio. Religiose radicali nell'America
jacksoniana.
82 Paola Di Cori, Rosso e bianco. La devozione al Sacro Cuore di Gesù nel primo
dopoguerra.
un'esperienzadi ricerca
108 Marion Kaplan, Continuità religiosa e tradizioni familiari nelle comunità ebraiche
tedesche (1871-1918).
Il'
fonti e documenti
115 Teresa Viziano Fenzi, Il « Fondò Giuliano Capranica del Grillo ».
118 Carla Dappio, I periodici femminili dell'800 in due biblioteche romane.
151 notiziario
153 libri ricevuti
il tema
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Anna Scattigno
Simone Weil
La volontà di conoscere
« La sagesse, il en a ouvert la vaie pour les mortels, en posant
camme loi souveraine: "Par la souffrance la connaissance" ».
5
La volontà di conoscenza mi pare il tratto più significativo
dell'esistenza di Simone Weil, perché ne improntò costante-
mente il percorso intellettuale e, per sua stessa testimonianza,
le scelte di vita. La sua ricerca si proponeva come oggetto la
realtà. Conoscere la realtà ha in Simone molteplici significati,
ma soprattutto mi pare indicare la necessità di restituire al
pensiero il suo oggetto proprio; quella capacità cioè di aderire
alle cose e trasformarle che la separazione tra lavoro manuale e
lavoro intellettuale, e la crescente specializzazione e astrattezza
della scienza e della cultura contemporanea le parevano avere
irrimediabilmente compromesso, con conseguenze funeste per la
vita degli uomini. Restituire allo sguardo quella capacità di
attenzione che gli permetta di superare lo schermo che l'imma-
ginazione frappone tra il pensiero e la realtà, fino a percepire
e a pensare con fermezza, come condizione stessa dell'esistente,
la contraddizione, il vuoto, il limite. È la sola conoscenza in
grado di avviare fra gli uomini rapporti non dominati dalla falsa
immaginazione, e dalla forza. Ma inevitabilmente essa passa
attraverso la sofferenza.
L' « intuizione », di per sé non originale, del valore della
sofferenza ai fini della conoscenza, divenne in Simone motivo
di riflessione particolarmente fecondo. La sua analisi della realtà
contemporanea, fra le più lucide e coerenti nell'intento di una
« lettura » di essa non immaginaria, e perciò impietosa, ha per
tema centrale la riflessione sulla sofferenza: circa i modi in cui
si produce, le alterazioni che provoca nel rapporto fra l'uomo e
le cose, e degli uomini fra di loro, ma soprattutto come condi-
zione dell'esistenza, aspetto della necessità. Senza farne ricerca,
gli uomini dovrebbero amarla e acconsentirvi: per non giungere
a morire senza aver mai veramente colto l'oggetto dei propri
pensieri e dei propri sentimenti, l'universo delle cose. Per sof-
ferenza Simone non intendeva il tormento interiore, l'angoscia:
ella provava anzi nei confronti di queste « affezioni», cosl dif-
fuse nella cultura contemporanea una sorta di fastidio, di re-
pulsione; parte in fondo di quell'insofferenza che provò sempre
per gli intellettuali, uomini non «veri», ma anche tratto signi-
ficativo della sua personalità, cosl schiva nella manifestazione
della propria vita interiore, e « regolata» negli affetti e nei
sentimenti.
Preferiva esprimere la sua immagine della sofferenza con il
termine malheur, piuttosto che douleur: le pareva tradurre con
maggiore proprietà quel sentimento della sofferenza come sven-
tura, male subito, pathos, che trovava espresso nei Greci con
insuperata semplicità e purezza. Per questa via era stata con-
cessa loro la conoscenza: « Elle caule goutte dans le sommeil,
auprès du / coeur, / la peine de la mémoire douloureuse; et
sans qu:on / le veuille vient la sagesse. / De la part des dieux,
c'est une grace violente, / eux qui sont assis au gouvernail
céleste ». È un passo dell'Agamennone di Eschilo, nella tradu-
zione di Simone Weil (SG 43). Sono un esercizio costante di
lettura e di approfondimento dei Greci anche questi frammenti
di traduzione, talora assai belli, che si incontrano spesso nei
Cahiers. La « memoria dolorosa», commentava Simone, è la
sofferenza che l'uomo deve subire perché sottoposto al limite,
6
alla necessità. Nel tradurre più avanti il passo la Justice accorde
de comprendre à ceux qui ont souffert, osservava: « Vorrei
quasi mettere: coloro che hanno sublto ( ... ) per ben sottolineare
che coloro che sanno, sono quelli che hanno sublto la sventura,
non quelli che si tormentano ... » (SG 45).
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violentemente l'esistenza di ciascun uomo, privando soprattutto
i giovani del sentimento della realtà: « La crisi ha spezzato tutto
ciò che impedisce a ogni uomo di porsi fino in fondo il problema
del proprio destino, cioè le abitudini, le tradizioni, la stabilità
dei cardini sociali, la sicurezza; soprattutto la crisi, nella misura
in cui non la si considera, in generale, come una interruzione
passeggera nello sviluppo economico, ha chiuso per ciascun
uomo, considerato isolatamente, ogni prospettiva d'avvenire( ... )
Ma il tragico della situazione risiede meno in questa miseria
stessa che nel fatto che nessun uomo, per quanto energico sia,
può formarsi la minima speranza di sfuggirvi con le proprie
forze. I giovani soprattutto, che appartengano alla classe operaia
o alla piccola borghesia, - e per i quali la crisi costituisce lo
stato di cose normale, il solo che abbiano conosciuto, .._ non
possono neanche formarsi un pensiero di avvenire qualsiasi che
si rapporti a ciascuno di essi personalmente ( ... ). Il pensiero
degli anni futuri non è riempito per essi di• alcun contenuto »
(EHP 126-127).
Un altro aspetto che colpì particolarmente Simone durante
la permanenza a Berlino era la riduzione della vita individuale
sotto l'urgenza della necessità collettiva: « In Germania, in
questo momento, il problema politico è per ognuno il problema
che lo tocca più da vicino. Per dire meglio, nessun problema
concernente ciò che vi è di più intimo nella vita di ciascun uomo
è formulabile, se non in funzione del problema della struttura
sociale» (EHP 126 ). Questa dipendenza dell'individuo dalla
società, costantemente affermata dal pensiero rivoluzionario a
livello di teoria, pareva a Simone che trovasse in Germania una
quotidiana e dolorosa verifica: fin da allora, la costrizione eserci-
tata sugli uomini dall'organizzazione sociale le appariva come
una fonte permanente di sofferenza. Per il suo carattere di
necessità, e per la violenza con cui per lo più si esercita, la
contrainte sociale assumerà più tardi nel suo pensiero il signi-
ficato preciso di malheur, come una delle sue espressioni più
radicali.
La conclusione tragica dei fatti di Germania fu avvertita da
Simone come disfatta del movimento operaio, in particolare di
quella classe operaia tedesca di cui aveva ammirato e amato,
nell'estate del '32, il coraggio e la dignità. Nell'avviare con forza
il pensiero di Simone ai grandi temi degli anni successivi, la crisi
tedesca portò a maturazione in lei quel dissenso nei confronti
. del partito comunista francese, latente fin dall'inizio della sua
attività politica e sindacale a Le Puy. Fin dagli anni del liceo
Simone si era dichiarata comunista, ma nutriva diffidenza nei
confronti del partito: « Perché il potere possa passare effetti-
vamente ai lavoratori, questi devono unirsi non con il legame
immaginario che crea la comunità delle opinioni, ma con il
legame reale che crea la comunità della funzione produttrice»
(SPI 184).
Negli articoli sulla crisi tedesca, la sua analisi delle forze
politiche e sociali in Germania non aveva mancato di rilevare,
e in modo drammatico, le carenze del partito comunista tedesco,
colpito dalla crisi economica nella sua stessa composizione so-
ciale, indebolito dall'apparato burocratico e da una politica ver-
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bosa e illusoria: « Ma la rivoluzione non è una religione, in
rapporto alla quale un cattivo credente vale più di un incre-
dulo; è un compito pratico( ... ) È rivoluzionaria soltanto l'azione
che prepara una trasformazione del regime; o anche le analisi e
le parole d'ordine che non predicano semplicemente, ma pre-
parano tale azione» (EHP 188). Pareva invece a Simone che il
proletariato tedesco avesse come avanguardia solo uomini « de-
voti e coraggiosi», ma sprovvisti di esperienza e cultura poli-
tica, e quasi tutti respinti fuori dalla produzione e dal sistema
economico: « Un tale partito può propagare sentimenti di ri-
volta, non proporsi la rivoluzione come compito » (EHP 174 ).
Oltre che come collaborazione a varie riviste militanti, l'im-
pegno politico di Simone si era svolto nella partecipazione at-
tiva al movimento sindacale, in particolare fra i minatori di
Saint Étienne e i disoccupati di Le Puy. Questo impègno pro-
segui ancora per qualche tempo: è del '33 l'incontro con Boris
Souvarine (radiato nel '24 dal PCF per la sua opposizione al
processo di bolscevizzazione del partito), con il quale manterrà
a lungo un profondo rapporto di amicizia e collaborazione.
Entrata nella Federazione unitaria dell'insegnamento, vi sosten-
ne le posizioni del sindacalismo rivoluzionario ed ebbe scontri
violenti con la componente allineata sulle direttive del Partito
comunista. Nel marzo del '34, scrivendo all'amica Simone Pé-
trement, le annunciava la decisione di ritirarsi del tutto dal-
1'attività politica, « salvo per quel che riguarda la ricerca teo-
rica», e aggiungeva: « Ciò non esclude per me nel modo più
assoluto l'eventuale partecipazione a un grande movimento di
massa spontaneo (nei ranghi, come soldato), ma non voglio
nessuna responsabilità, per quanto piccola, neppure indiretta,
perché sono sicura che tutto il sangue che verrà versato verrà
versato invano, e che si è battuti in partenza» (SPI 401 ).
Nella ricerca teorica, di cui avvertiva con drammaticità l'ur-
genza, dopo la sconfitta del movimento operaio in Germania,
Simone individuerà il « compito » prioritario della propria esi-
stenza. Proprio nella riflessione di questi anni affonda le radici
quell'esercizio dell'attenzione, difficile e dolorosa virtù, che la
severa lezione dei fatti imponeva ormai come questione dirvita
o di morte; Simone si proporrà costantemente, nella riflessione
teorica come nei rapporti umani, l'applicazione di questa virtù,
tanto da farne il tratto forse più originale e più proprio del suo
modo di pensare. I suoi scritti sono spesso rivolti, negli anni fra
il '33 e il '38, al disvelamento critico dei miti diffusi nel movi-
mento comunista europeo: dall'immagine quasi« religiosa» del-
la rivoluzione (« come se la rivoluzione tendesse a divenire un
mito - scriveva nel '33 - che avrebbe semplicemente per effetto,
come gli altri miti, di far sopportare una situazione intollera-
bile»; EHP 175), alla inadeguata concezione del fascismo e del
regime staliniano: l'uno ritenuto, in base ad una errata im-
magine della lotta di classe, l'ultima carta della borghesia prima
dell'avvento rivoluzionario; l'altro un regime di transizione, in
sostanziale continuità con lo stato operaio. Simone affermerà
ben presto l'analogia tra il fascismo e il regime staliniano, e la
loro estraneità nei confronti della concezione tradizionale della
lotta di classe.
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Al di là delle rappresentazioni immaginarie, ciò che ormai le
premeva era capire a fondo la natura dell'oppressione, i cui
effetti aveva colto fra gli operai e i giovani, in Germania so-
prattutto, come una violenza estrema, che svelle fin dalle radici
le ragioni dell'attività della speranza e della felicità. Con uno
sforzo teorico proseguito con continuità nel corso di due anni,
Simone riusd a concentrare in due saggi, Perspectives ( 1933) e
soprattutto Réfl,exions sur les causes de la liberté et de l'op-
pression sociale (1934) i risultati della sua ricerca. Non giunse
mai a pubblicare le Réfl,exions, ma le considerò a lungo come
il frutto migliore del proprio lavoro intellettuale, ed attese con-
tinuamente a migliorarne la forma. L'analisi verteva sull'orga-
nizzazione della produzione in fabbrica. Accanto alle forme « sto-
riche» dell'oppressione, esercitata prima dalla forza armata, poi
dalla ricchezza trasformata in capitale, Simone notava nell'orga-
nizzazione produttiva l'emergere di una nuova oppressione,
« esercitata in nome della funzione » (OL 21 ). Introdottasi a
ritmo accelerato nel dopoguerra, questa nuova forma dell'op-
pressione ha il suo momento determinante nell'organizzazione
del lavoro in fabbrica, con l'emergere della funzione di coordi-
namento come funzione primordiale e la progressiva scomparsa
dell'operaio qualificato a favore dei tecnici di direzione. Indi-
viduata nella specializzazione l'origine della nuova burocrazia
industriale, lo stesso meccanismo le sembra riprodursi in tutti
gli ambiti della società contemporanea, fin nella stessa cultura:
per cui la fabbrica razionalizzata è l'immagine della società me-
desima, e la nuova oppressione che vi si esercita le appare il
tratto più significativo della propria epoca. Le sue forme, d'al-
tra parte, sono autonome dal capitalismo, e tanto più grave la
minaccia che essa porta ai valori individuali, in quanto l'op-
pressione burocratica tende alla totalità dei poteri.
La concezione marxiana dello sviluppo delle forze produttive
appare a Simone insufficiente a spiegare il fenomeno, e più an-
cora la deformazione mitologica fattane nella letteratura socia-
lista: essa attribuisce alla materia quell'aspirazione al meglio,
propria dello spirito. La natura dell'oppressione le appare tale
che nessun progresso delle forze produttive può radicalmente
eliminarla: essa accompagna sempre le forme più elevate del-
l'economia, si esercita con la forza, e ogni forza ha la sua ori-
gine nella natura, procede cioè da condizioni oggettive. La vali-
dità del marxismo le appare piuttosto nel suo metodo di cono-
-scenza e di azione: poiché nella società come in natura tutto si
esercita per trasformazioni materiali, occorre conoscere le con-
dizioni materiali della trasformazione e dell'azione, cioè il modo
di produzione. Simone si chiedeva, ed è in questo senso che
intendeva rivolgere la propria ricerca, se fosse possibile un'orga-
nizzazione della produzione che permettesse alla duplice op-
pressione sull'uomo della natura e della società, di esercitarsi
senza schiacciare corpi e spiriti; se no, sarebbe stata almeno
possibile una legittima rassegnazione.
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particolarmente dura. Scrivendo a un'allieva diceva: « È questo
il " contatto con la vita reale" del quale vi parlavo. Ci sono
arrivata solo per via di favori ( ... ) Ai nostri giorni è quasi im-
possibile entrare in una fabbrica senza libretto di lavoro - so-
prattutto quando si è, come me, lenti, maldestri e non molto
robusti » (CO 31 ). E più avanti: « ... sono in fabbrica princi-
palmente per informarmi su un certo numero di problemi molto
precisi, che mi preoccupano e che non posso enumerarvi». La
interessava lo studio della produzione e in particolare la mac-
china, nel processo di trasformazione della materia e nel rap-
porto tra lavoro e automatismo.
La fabbrica era anche, finalmente, la sensazione di essersi
sottratta a un mondo di astrazioni, di trovarsi tra uomini « rea-
li», buoni o cattivi, « ma di una bontà e di una cattiveria vera».
E d'altra parte la realtà della vita, proseguiva nella lettera, « è
l'attività - intendo l'attività e nel pensiero e nell'azione» (CO
34 ). C'era, in Simone, una difficoltà grande a percepire la realtà,
difficoltà che la seguirà tutta la vita, e che lei chiamava la sua
prima tentazione, la tentazione della pigrizia (paresse): « Fuga
davanti alla vita reale, con le sue limitazioni, e la limitazione
essenziale, il tempo ( ... ) In me la pigrizia significa innanzitutto
un panico davanti al pensiero del tempo - quell'obbligo in quel
momento: insopportabile. (Che sollievo il lavoro in fabbrica!).
E questa pigrizia è la fonte di rimorsi e di disperazioni che
bruciano. Ma il tempo è il primo limite, l'unico, sotto forme
diverse» (Quaderni 182-183). Capace di grandi sforzi nell'eser-
cizio del pensiero, sentiva d'altra parte con sofferenza come
propria inferiorità nei confronti degli amici e compagni delle
esperienze di quegli anni la propria mancanza di costanza, l'in-
capacità di attenzione e applicazione alle « piccole cose » della
vita quotidiana e del lavoro («è la virtù dei bravi operai»), i
lunghi periodi in cui si lasciava andare, soprattutto la resistenza
allo scorrere del tempo, limite necessario della condizione di
esistenza delle cose. Ma vi era un'altra tentazione, nefasta per
la vita degli uomini come individui e come esseri sociali. Simone
la chiamava tentazione della vita interiore: « Tutti i sentimenti
che non sono immediatamente bevuti dal pensiero metQ.dico e
dall'azione efficace. Bisogna annoverarvi tutti i pensieri, tutte
le azioni che non raggiungono l'oggetto» (Quaderni 182).
Questa tentazione la tormentava spesso in quegli anni: « Non
venire alle prese se non con difficoltà che incontri effettiva-
mente. Non permetterti, in fatto di sentimento, se non ciò che
corrisponde agli scambi effettivi, o è assorbito dal pensiero a
titolo d'ispirazione. Troncare senza pietà quanto v'è d'immagi-
nario nel sentimento» (Quaderni 111). Era questo il« secondo
schermo » tra lei e la realtà, molto più difficile a vincere perché
richiedeva una disciplina più dura e più incerta dell'addestra-
mento che si acquisisce attraverso il lavoro. L'unica disciplina
che Simone riconosceva di possedere « un poco » era inerente
al pensiero: « Un essere completo le possiede tutte e tre. Tu
devi essere un essere completo» (Quaderni 119).
Al fondo di questo severo esercizio di educazione interiore
vi era in lei una precisa aspirazione di bene: « la gioia altro non
è che il sentimento della realtà » e Simone tendeva a possederlo
11
con tutte le sue forze. Strumento fondamentale di contatto e di
conoscenza della realtà le appariva il lavoro. Non il lavoro spe-
cializzato della fabbrica moderna, ma il lavoro manuale reinte-
grato nella sua dignità mediante una diversa organizzazione del-
la produzione: solo esso pone in contatto l'intelligenza con il
mondo, restituendole cosi il suo oggetto proprio. Soprattutto, il
lavoro è rapporto con il tempo; scriverà nei Cahiers: « Il lavoro
manuale. Il tempo che penetra nel corpo ( ... ) Chi deve lavo-
rare tutti i giorni sente nel suo corpo che il tempo è inesora-
bile» (Quaderni 310-311). Nel tempo e nello spazio, è l'intero
universo delle cose materiali che l'uomo afferra mediante la
prova del lavoro: « il tempo come condizione, lo spazio come
oggetto della mia azione » ( SP I 146). Cosi il segno che il
lavoro, quando non sia inumano, è fatto per noi, è la gioia.
Cosi attenta nel discernere la natura dei sentimenti, Simone
non pensò mai l'amore come una diversa possibile fonte di gioia.
La sua riflessione vi si sofferma spesso in questi anni: « amore:
sentire in tutto il proprio essere l'esistenza di un altro essere? »
(Quaderni 116). Ma occorrerebbe che nell'amore non vi fosse
de "derio, che è bisogno di dominio e fonte di soggezione; che
l'amore fisico potesse, almeno teoricamente, essere «puro»,
amore dell'altro per la sua esistenza in sé, per la sua realtà:
« Che altri esseri, esseri particolari, esistano senza dominarli,
né esserne dominati». Pareva a Simone che le condizioni della
vita moderna avessero rotto ormai ovunque l'equilibrio dello
spirito e del corpo « nel pensiero e nell'azione - in tutte le
azioni: il lavoro, la lotta ... e l'amore, che è voluttà, più gioco
(di ciò necessariamente risente la vita effettiva ... ). La civiltà in
cui viviamo, sotto tutti i suoi aspetti, schiaccia il corpo umano »
(Quaderni 149). Sostanzialmente, nella riflessione di Simone,
l'amore non si sottrae al potere: è una forma del potere, « o
piuttosto della ricerca del potere», e ha un rapporto troppo
diretto con il bisogno e il desiderio, che di per sé infinito, genera
falsità nella speranza di trovare appagamento in cose finite.
Nemmeno con l'amicizia Simone ebbe facile rapporto, o meglio
con il proprio bisogno, « sogno » dell'amicizia. « Desiderare
l'amicizia è una colpa grave. L'amicizia deve essere una gioia
gratuita, come quelle che dona l'arte, o la vita (come le gioie
estetiche)». Sapeva distinguere il senso della solitudine dalla
disponibilità all'amicizia: « L'amicizia non si cerca, non si so-
gna, non si desidera; si esercita (è una virtù)» (Quaderni 156-
157); ma non riusciva ugualmente a liberare i propri senti-
menti da un margine che sentiva come «impuro», «torbido».
A questa sua insufficienza a superare quello che definiva « stato
adolescenziale » attribuiva la ragione di non essere mai stata
amata: occorreva imparare, « serenamente e gioiosamente», a
vivere la solitudine: « In questa tempesta - scriveva nei
Cahiers - è già molto conservare la nozione della direzione
(la nozione concreta)» (Quaderni 149). E ancora: « la vita non
ha bisogno di mutilarsi per essere pura » ( Quaderni 117 ). D' al-
tra parte, scrivendo di questo nel '34 a un'allieva, aggiungeva:
« Non vi do ciò come un esempio; ciascuna vita si svolge se-
condo le sue proprie leggi; ma potete trovarvi materia di ri-
flessione» (CO 35).
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Nell'estate del 1936 Simone Weil raggiunse la Spagna per
prendere parte alla guerra civile. In una successiva lettera a
Georges Bernanos, preciserà i motivi che ve l'avevano indotta:
« Nel luglio del 1936 ero a Parigi. Non amo la guerra; ma ciò
che nella guerra mi ha sempre fatto più orrore, è la situazione
di quelli che si trovano nelle retrovie. Quando ho capito che,
malgrado i miei sforzi, non potevo impedirmi di partecipare
moralmente a questa guerra, cioè di desiderare tutti i giorni,
tutte le ore, la vittoria degli uni, la disfatta degli altri, mi sono
detta che Parigi era per me la retrovia, e ho preso il treno per
Barcellona, con l'intenzione di arruolarmi. Era ai primi di ago-
sto del 1936 » (EHP 221). L'esperienza, in un gruppo interna-
zionale di volontari agli ordini dell'anarchico Buenaventura
Durriti, fu breve: un incidente costrinse infatti Simone a rien-
trare a Parigi alla :6.nedi settembre. Ma le cose viste in Spagna
si imprimeranno con forza nella sua mente, e la riflessione vi
tornerà con frequenza, :6.nnei Cahiers.
La lettera a Bernanos rievoca ancora con precisione i senti-
menti di allora: la delusione nei confronti di un conflitto che
non le appariva più, come all'inizio, una guerra di contadini
affamati contro i proprietari terrieri e un clero complice dei
proprietari, ma piuttosto opera di «mercenari», al servizio di
diversi stati; il disamore nei confronti degli anarchici spagnoli,
che le erano parsi un tempo la naturale espressione delle tare
e delle grandezze di quel popolo (il cinismo, il fanatismo, la
crudeltà, « ma anche l'amore, lo spirito di fraternità, e soprat-
tutto la rivendicazione dell'onore, cosl bella presso uomini umi-
liati»); il disprezzo verso i volontari stranieri, per lo più intel-
lettuali deboli e inoffensivi nei quali Simone aveva scoperto con
orrore l'indifferenza e anche la condivisione nei confronti del
sangue e delle atrocità che necessariamente accompagnano la
guerra civile. Ma soprattutto la crudeltà degli uomini, più an-
cora che dei fatti in sé, le pareva eccedere in Spagna il limite di
ogni possibile adesione. Partita dunque suo malgrado e con
l'intenzione di tornarvi, non avvertl più in seguito quella ne-
cessità interiore che già l'aveva motivata, e non vi fece più
ritorno.
Il periodo che segul fu per Simone di grande soffererib fi-
sica; già dal '30 soffriva di gravi emicranie, che le rendevano
spesso dolorosa l'attività intellettuale e particolarmente difficile
l'applicazione al lavoro. I mesi di fabbrica erano stati a questo
riguardo particolarmente penosi. Ad Albertine Thévenon, cara
amica e compagna di quei tempi, scriveva: « Tu vivi a tal segno
nell'istante - e ti amo per questo - che forse non immagini
nemmeno cosa vuol dire concepire tutta la propria vita davanti
a sé e prendere la risoluzione ferma e costante di farne qualcosa,
di orientarla da cima a fondo con la volontà e con il lavoro, in
un senso determinato. Quando si è cosi - e io sono cosl, e
allora so cosa vuol dire - la peggior cosa al mondo che un es-
sere umano possa farti è quella di infliggerti sofferenze che spez-
zino la vitalità e quindi la capacità di lavoro ( ... ) So anche
troppo (a causa dei miei mal di testa) che cosa significa assapo-
rare cosl la morte da viva; vedere gli anni stendersi innanzi a sè,
avere mille volte di che riempirli, e pensare che la debolezza
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fisica costringerà a lasciarli vuoti, che sarà un compito schiac-
ciante anche solo percorrerli, un giorno dopo l'altro» (CO
23-24).
A parte un breve tentativo, nell'inverno fra il '37 e il '38,
Simone non tornerà più a insegnare. Il 1938 fu l'anno peggiore,
lo ricorderà talvolta anche nei Cahiers come il momento più
duro. E tuttavia la sua scrittura si infittisce, lucida e appassio-
nata, in uno sforzo estremo di disvelamento della realtà contem-
poranea, nel suo aspetto più significativo, di sventura, e di pro-
cesso verso la «catastrofe»; uno sforzo che se anche non le
appare utile ormai a scongiurare quella catastrofe, vale tuttavia
a conoscere almeno il male di cui si muore: « Tutti, anche i
più giovani, siamo in una situazione analoga a quella di Socrate,
quando attendeva la morte nella sua prigione e imparava a
suonare la lira» (Quaderni 159). Nazione sicurezza capitalismo
comunismo fascismo ordine proprietà autorit~ democrazia, tutte
le parole insomma del vocabolario politico e sociale, le ap-
paiono prive di contenuto reale: sono degli assoluti, astrazioni,
frutto di una civiltà tecnica raffinata, ma incapace di applicare i
metodi elementari del pensiero razionale: « In ogni campo sem-
briamo aver perduto le nozioni essenziali dell'intelligenza, le
nozioni di limite, di misura, di grado, di proporzione, di rela-
zione, di rapporto, di condizione, di legame necessario, di con-
nessione fra mezzi e risultati» (EHP 258-259). La spiegazione
dei conflitti fra nazioni in termini di antagonismi capitalistici
le appare del tutto inintelligibile, e carica di conseguenze ne-
faste: « Chiarire le nozioni ( ... ) un lavoro che potrebbe preser-
vare delle vite umane» (EHP 258). Cosl anche l'opposizione
tra fascismo e comunismo le appare, alla luce dell'evoluzione in
URSS del regime staliniano, altrettanto astratta e densa di mi-
nacce: « il fatto che questa opposizione determini oggi per noi
una doppia minaccia di guerra civile e di guerra mondiale è
forse il sintomo più grave, fra quelli che possiamo constatare
intorno a noi, di carenza intellettuale» (EHP 261). Fra i con-
flitti che oppongono dei gruppi umani, la lotta di classe le ap-
pare il più fondato, il solo serio, purché non intervengano entità
immaginarie: « Ciò che è legittimo, vitale, essenziale, è la lotta
eterna di quelli che obbediscono contro quelli che comandano,
quando il meccanismo del potere sociale comporta l'annienta-
mento della dignità umana di quelli che sono in basso» (EHP
264 ). Questa lotta le appare eterna, perché quelli che coman-
dano tendono sempre, più o meno consapevolmente, a umiliare
h dignità umana: essa può trasformarsi in una guerra, ma non
vi è in ciò alcuna fatalità.
14
dell'oppressione: lungi dall'essere un fatto di politica estera,
come vuole la maggior parte degli studi ad essa dedicati, la
guerra riproduce ad un livello molto più acuto i rapporti sociali
che costituiscono la struttura stessa del regime. Di qui l'impossi-
bilità teorica di concepire una guerra «rivoluzionaria». In pace
come in guerra, l'umiliazione continua e metodica è il fatto
essenziale della nostra organizzazione sociale: « che le guerre
siano fatte da schiavi è proprio della nostra epoca» (EHP 247).
L'analisi approfondita della guerra come ingranaggio essenziale
nel meccanismo dell'oppressione, porta Simone ad appuntare
con forza l'attenzione su un aspetto che, già rintracciabile negli
scritti degli anni precedenti, vi restava però in qualche modo
sfuocato a causa dell'interesse prevalente portato sull'organizza-
zione del lavoro. Ed è l'aspetto del potere.
Nelle Perspectives aveva rilevato l'inadeguatezza della lette-
ratura marxista a cogliere la reale essenza della società: già-
allora questa appariva a Simone, e ormai sempre più, come una
forza della natura, « cieca come le altre e altrettanto pericolosa
per l'uomo se non giunge a padroneggiarla». Le rivoluzioni
sono fenomeno secondario nella storia, mentre i lenti rivolgi-
menti delle trasformazioni sociali sono opera di forze cieche
fluttuanti in una sorta di equilibrio instabile, dove l'oppressione,
determinata in fondo dalla lotta per il potere, ha il carattere
della necessità. La lotta per il potere racchiude una fatalità cui
non sfuggono quelli che obbediscono, ma neppure quelli che
comandano. Ora, osservava Simone, vi è nella natura del potere
un'assurdità, fonte a sua volta di tutte le assurdità che fanno
assomigliare la storia a « un lungo delirio »: il potere è neces-
sario, ma la sua attribuzione è arbitraria, sebbene tale non
debba apparire. « Il prestigio, cioè l'illusione, è al cuore stesso
del potere». La contraddizione essenziale della società umana è
che « ogni situazione sociale riposa su un equilibrio di forze,
un equilibrio di pressioni analogo a quello dei fluidi; ma i pre-
stigi non si equilibrano, il prestigio non comporta limiti » (EHP
272). E d'altra parte il prestigio è inseparabile dal potere, per
cui la difficoltà non appare risolubile. Priva di limite, la ricerca
del potere non raggiunge mai il suo oggetto: inapplicabile dun-
que come mezzo, il potere è fine a se stesso. Proprio in lltale
sostituzione dei mezzi ai fini, inerente alla natura stessa del
potere, Simone scorgeva l'origine di quella «follia» dei rap-
porti sociali, che pesa come una fatalità esterna sugli individui
ed è fonte di doloroso squilibrio nella vita privata. In tutto il
corso della storia pareva a Simone di trovare verifica di questo
terribile paradosso: che le guerre più sanguinose fra gli stati
sono quelle di cui non è dato individuare il fìne. « Questo para-
dosso, una volta scorto chiaramente, è forse una delle chiavi
della storia; esso è senza dubbio una delle chiavi della nostra
epoca » (EHP 256 ).
Ma ormai la guerra era inevitabile; Simone si convinse della
necessità che essa non fosse subita, ma piuttosto affrontata con-
sapevolmente, al fine di introdurre già, nel modo stesso di con-
duzione della guerra, i germi di quei principi che avrebbero
dovuto costituire i fondamenti del nuovo ordinamento interna-
zionale: principi che, travalicando l'intera tradizione della cul-
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tura occidentale, limitassero i poteri dello Stato sui cittadini e
ne impedissero il ricostituirsi come potenza aggressiva. A que-
sto progetto Simone dedicò, letteralmente, le sue ultime forze.
O almeno, le forze che le erano rimaste disponibili per gli altri,
per un progetto di avvenire comune.
Perché in questi anni, successivi all'esperienza di Spagna, e
forse anche a partire da quell'esperienza - di una rivoluzione
trasformatasi in guerra civile - sembra che anche in Simone
vengano esaurendosi le fonti dell'attività, della gioia e della
speranza; e che la sua energia abbia ormai cambiato segno.
Scrivendo a Georges Bernanos nel '38, e confrontando con
quella di lui la propria esperienza della guerra di Spagna, gli
diceva: « Io non sono cattolica, benché ( ... ) nulla di cattolico,
nulla di cristiano mi sia mai parso estraneo» (EHP 220). Le
ragioni della sua « adesione » al cristianesimo sono già conte-
nute in quella esperienza della schiavitù che del periodo tra-
scorso in fabbrica è l'aspetto più rilevante, ai fini del suo per-
corso intellettuale e spirituale. Nella costrizione « brutale e
quotidiana » subita allora le pareva che fossero andate distrutte
in lei tutte le ragioni esteriori, « che prima credevo interiori»,
su cui poggiava il sentimento della sua dignità. « Lentamente,
nella sofferenza, ho riconquistato attraverso la schiavitù il sen-
timento della mia dignità di essere umano, un sentimento che
questa volta non si appoggiava su nulla di esterno, e sempre
accompagnato dalla coscienza di non avere alcun diritto a niente,
che ogni istante libero dalla sofferenza e dalle umiliazioni do-
veva essere ricevuto come una grazia, come il semplice effetto
di casi favorevoli » (CO 20-21 ). L'immagine dello schiavo ri-
chiama una delle forme storiche dell'oppressione, ma esprime
anche con la più alta efficacia quanto Simone W eil andava com-
prendendo della reale condizione umana nei confronti della na-
tura e più ancora della società: questa immagine entrò con forza
nel pensiero di Simone e la sua riflessione vi torna in questi
anni con particolare pregnanza. Nell'esperienza della schiavitù,
così come l'aveva vissuta in fabbrica, era nato in lei il senti-
mento di una profonda simpatia per il cristianesimo. Durante
un viaggio compiuto in Portogallo nel settembre del '35 si era
trovata a contatto con la vita dei pescatori: « Ho avuto all'im-
provviso la certezza che il cristianesimo è per eccellenza la
religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi,
e io con loro» (AD 36-37). La lettura del Vangelo, come più
. tardi la liturgia e le preghiere cristiane, si accompagnano ormai
costantemente all'esercizio di lettura e meditazione dei Greci.
Le due fonti si intrecciano nella riflessione mediante richiami
continui e Simone vi scorge analogie profonde; nel cristiane-
simo ella percepisce affinità di ispirazione e continuità con lo
spirito greco, mentre ai Greci si accosta ora con rinnovata capa-
cità di lettura e penetrazione.
Nasce così, nell'inverno '39-'40, l'alta meditazione sull'Iliade.
L'opera, L'Iliade, ou le poème de la farce è fra gli scritti di
Simone, sempre ugualmente nitidi e tesi, forse il più bello:
l'unico, a ben vedere, in cui ella abbia veramente raggiunto
quella forma della bellezza cui aspirava tutta la sua scrittura.
Non so se ne sia stata consapevole. Attraverso una mirabile
16
traduzione e un originale commento vi meditava il terribile
potere della forza, l'unica reale costante della storia: « Quelli
che avevano sognato che la forza, grazie al progresso, apparte-
neva ormai al passato, hanno potuto vedere in questo poema
un documento; quelli che sanno discernere la forza, oggi come
un tempo, al centro di ogni vicenda umana, vi trovano il più
bello, il più puro degli specchi» (SG 11 ). La forza che è maneg-
giata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza
davanti a cui la carne degli uomini si ritrae; la forza è ciò che
•fa di chiunque le è sottomesso una cosa. « Strano essere una
cosa che ha un'anima; strano stato per l'anima( ... ) Essa non è
fatta per abitare una cosa; quando vi è costretta, non vi è più
nulla in lei che non soffra violenza» (SG 13 ). L'eroe Ettore,
trascinato dai cavalli nella polvere, lontano dai bagni caldi che
Andromaca andava apprestando per il suo ritorno, è una cosa,
senza che nulla, gloria patria immortalità possa riscattare qùe-
sta realtà. Ma non era il solo: « Quasi tutta l'Iliade si svolge
lontano dai bagni caldi, quasi tutta la vita umana si è svolta
sempre lontano dai bagni caldi» (SG 12). Vi è contraddizione
nel pensare che un uomo sia una cosa « ma quando l'impossibile
è divenuto una realtà, la contraddizione diviene nell'anima lace-
razione» (SG 16). La forza, al pari della natura quando entrano
in gioco i bisogni vitali, cancella ogni vita interiore, rende inca-
paci di percepire la prdpria miseria. Ma nessuno possiede vera-
mente la forza: quelli che la maneggiano ne ignorano il limite e
lo oltrepassano, inevitabilmente; cosi sono anch'essi esposti
« nudi » alla sventura. A colui che la impone, come a colui che
la subisce, la forza appare dunque estranea: nasce così l'idea di
un destino, che nel suo cieco imperversare stabilisce una sorta
di giustizia. « Questo castigo di un rigore geometrico, che puni-
sce automaticamente l'abuso della forza, fu il primo oggetto
della meditazione dei Greci» (SG 22). Simone pensava che
questa nozione greca, divenuta familiare dovunque è penetrato
l'ellenismo, sussistesse ancora in Oriente, nei paesi impregnati
di buddismo, sotto il nome di kharma. « Ma l'Occidente l'ha
perduta e non ha nemmeno più, in nessuna delle sue lingue,
parola per esprimerla; le idee di limite, di misura, di equilibrio,
. che dovrebbero determinare la condotta della vita, non '1.anno
più che un impiego servile nella tecnica. Noi non siamo geome-
tri se non davanti alla materia. I Greci furono prima di tutto
geometri nell'apprendimento della virtù» (SG 22-23). Il Van-
gelo è ancora animato dello spirito della Grecia; secondo Simone
Weil ne è anzi l'ultima, « meravigliosa espressione». Perché vi
è ordinato di ricercare, ad esclusione di ogni altro bene, « il re-
gno e la giustizia del nostro padre celeste», ma anche perché
vi è esposta in modo pregnante la miseria umana, in un essere
che è divino e umano allo stesso tempo: « I racconti della
Passione mostrano che uno spirito divino, unito alla carne, è
alterato dalla sventura, trema dinanzi alla sofferenza e alla mor-
te, si sente, nel fondo del suo abbandono, separato dagli uomini
e da Dio. Il sentimento della miseria umana dà loro quell'ac-
cento di semplicità che è il segno del genio greco, e che è tutto
il pregio della tragedia attica e dell'Iliade» (SG 39-40).
Vi era ormai in Simone la convinzione che vi fosse nei Greci
un'ispirazione che, ancora operante nel Vangelo, si era poi persa
17
nel corso della storia, a causa di un'azione violenta per opera
dell'Impero Romano; riapparsa poi in modo misterioso nella
civiltà occitanica, e ancora percepibile nei suoi frammenti, è
forse in questa ispirazione, nella possibilità di ritrovarla, che
Simone intravede la speranza, unica, di salvezza per la vita col-
lettiva, di limitazione e contenimento degli effetti distruttivi
della forza. Vi sono nel Nuovo Testamento una quantità di testi
« meravigliosamente belli e oggi totalmente inintelligibili», co-
me molte tracce di ciò che è scomparso, distrutto dai vincitori.
La storiografia contemporanea non le appariva di alcun aiuto
a ritrovarne il senso, per quell'idea di progresso inteso come
miglioramento per gradi « dal meno buono al più buono » (EHP
75), che ne costituiva il presupposto metodologico e che a
Simone appariva «superstizione», sottoprodotto della « men-
zogna » con cui si è trasformato il cristianesimo in religione
romana ufficiale. L'idea di progresso è legata alla distruzione
della cultura e della spiritualità dei popoli conquistati da Roma,
alla « dissimulazione » della continuità esistente fra tali culture
e il cristianesimo. Soprattutto le pareva che essa fosse connessa
a qi.ella concezione storica della redenzione, che nel farne·
un'operazione temporale e non più eterna, aveva privato il
cristianesimo del suo afflato universale. Occorre, secondo Si-
mone, superare l'involucro storico che fa da schermo tra il pas-
sato e l'uomo contemporaneo, per ritrovare del passato « la
carne e il sangue ». Al fratello André, che la sollecitava a vivere
e pensare per il proprio e l'altrui avvenire, ella rispondeva:
« l'avvenire ( ... ) per come me lo raffiguro, non ha bisogno di
me più di quanto io di lui». Avrebbe voluto ripercorrere il
tempo verso il passato, anche oltre i Greci, fino all'epoca egeo-
cretese: « come un miraggio per un uomo perduto nel deserto.
Ciò mi rende assetata. Meglio non pensarci, dal momento che
si è chiusi in questo minuscolo pianeta e che esso non tornerà
più a essere grande, fecondo e vario, che molto tempo dopo di
noi - se mai tornerà a esserlo» (SPII 260-261).
Ora, il proprio di quell'ispirazione che Simone ritrovava nel
passato e nei Greci riletti alla luce del Vangelo, è il contatto
con il sovrannaturale. Essi ebbero la forza d'animo di contem-
plare la sofferenza senza il velo dell'immaginazione, e ne furono
ricompensati con il dono della conoscenza. Conobbero la neces-
sità come armonia disarmonica che regola la materia e i rapporti
tra la materia e l'uomo: condizione unica della giustizia e del-
l'amore perché è già, nell'atto conoscitivo, obbedienza. Fu però
dono della grazia: perché, ed è un punto di particolare rilievo
nella storia intellettuale di Simone, segnandone ormai un di-
verso orientamento, quella facoltà dell'attenzione a lungo eserci-
tata ai fini di una conoscenza reale del mondo, non le appare più
sufficiente. Scriverà nei Cahiers che la conoscenza ci è inter-
detta: « Sempre troppa o troppo poca attenzione» (Cahiers
II 52). La miseria dell'uomo è la sua modificabilità nel tempo,
condizione necessaria dell'esistente: non vi è nulla di più intol-
lerabile che la coscienza di ciò: « Per contemplarla fissamente,
occorre la luce della grazia». Per questo è importante il passato:
« ... se le facoltà puramente umane dell'uomo sono sufficienti,
non c'è nessun inconveniente a far tabula rasa di tutto il pas-
18
sato e a contare sulle risorse della volontà e dell'intelligenza
per vincere ogni specie d'ostacoli. È ciò che si è creduto, ed è
ciò che nel fondo nessuno crede più ( ... ) Se l'uomo ha bisogno
di un soccorso esterno e se si ammette che questo soccorso è
di ordine spirituale, il passato è indispensabile, perché esso è il
deposito di tutti i tesori spirituali. Senza dubbio l'operazione
della grazia, al limite, mette l'uomo in contatto diretto con un
altro mondo. Ma l'irraggiamento dei tesori spirituali del passato
può solo mettere un'anima nello stato che è la condizione ne-
cessaria perché la grazia sia ricevuta ( ... ) La perdita del passato
equivale alla perdita del sovrannaturale» (EHP 375).
Simone non fece del sovrannaturale l'oggetto della sua ri-
flessione: « Non si deve osare di farne un oggetto, o lo si ab-
bassa» (Cahiers II 47). Esso le apparve piuttosto come la luce
necessaria a illuminare la sua ricerca, orientata ormai a ritrovare,
fuori del divenire storico e nel presente, il contatto con l'eter-
nità. Nel tempo, questa contraddittoria condizione della realtà
delle cose e della loro irrealtà, Simone trova finalmente, e pro-
prio all'interno di questa lacerazione, il punto di superamento,
il passaggio fra il divenire e l'eterno. Esso è nel tempo come
ritmo: ritmo del corpo nella respirazione, ritmo del mondo nella
rotazione diurna del cjelo e nelle stagioni. È possibile sentire
costantemente questa associazione, « sentire anche il perpetuo
scambio di materia mediante il quale l'essere umano è immerso
nel mondo» (Quaderni 262). Sentire attraverso il ritmo,« come
con un bastone da cieco » ( Quaderni 229) il sole e le stelle.
Il ritmo non si definisce per la sua regolarità, bensl per i suoi
arresti. L'immagine del divenire è il moto alterno del punto
che va e viene sul diametro chiuso del cerchio, « fatto di rotture
di equilibrio successive e contrarie, equivalente mutevole di un
equilibrio immobile e in atto» (GIP 275). Negli arresti del
tempo entra l'eternità: perciò il ritmo assume nel pensiero di
Simone la figura di «intermediario», di µe:·mçu, « punto di
contatto tra il reale non-esistente e il divenire. Qualcosa di
sensibile, la cui realtà non è che relazione. Interamente passato
e futuro, e dà solo il presente. Uniforme e non-ripetizione.
Fonte di un'energia che eleva» (Quaderni 348).
L'energia che arresta. Il potere di arrestarsi. La leva può
essere nella natura contraddittoria del desiderio, « illimitato
nel suo oggetto, limitato nel suo principio» (Quaderni 338).
Il desiderio, come ogni attività che ne procede, cessa per la
fatica: essa lo limita in partenza, è una contraddizione essen-
ziale, irrimediabile. Ritmo e alternanza di dispendi e recuperi:
occorre sospendere mediante il ritmo il desiderio, « costringerlo
a far cerchio su se stesso e a volgersi sul presente. I moti dei
corpi celesti ( ... ) sono ( ... ) il nostro modello, perché i ritorni vi
sono cosi regolari che per gli astri l'avvenire non differisce in
nulla dal passato. Se contempliamo in essi questa equivalenza
dell'avvenire e del passato, noi penetriamo attraverso il tempo
fin nell'eternità, e liberati anche dall'immaginazione che lo
accompagna e che è l'unica fonte dell'errore e della menzogna
( ... ) partecipiamo della rettitudine delle proporzioni, ove non è
nessun arbitrio ... » (GIP 132).
19
A ciò Simone dedicò quanto le restava di energia intellet-
tuale e di vita. Nel settembre del '39 c'è la dichiarazione di
guerra; Simone avrebbe voluto prendervi parte attiva, per quel
bisogno di condivisione della sventura collettiva che sempre ne
aveva determinato le scelte, e di verifica mediante l'esperienza
diretta di quanto andava meditando e scrivendo. Invece nel
giugno del '40 le truppe tedesche entravano a Parigi e Simone
dovette partire con i genitori, per porli in salvo. A Marsiglia
attesero a lungo di poter abbandonare la Francia; nel maggio
del '42 si imbarcarono per l'America, ma solo due mesi dopo
giunsero a New York.
Nei Cahiers, scritti in parte a Marsiglia ed in parte in Ame-
rica, Simone andava appuntando giorno per giorno il progredire
della sua riflessione verso quella realtà che è altra dall'esistenza
e che è il bene: nella sua scrittura esso ha ormai il nome di Dio.
Ma il termine «appunti» è improprio per i Cahiers: essi non
hanno il carattere di una scrittura privata, per quanto ne con-
servino talora il fascino, né lo scrivere è quello consueto a
Simone, per cui tante volte sembrava voler materializzare con
le 1>arole,mediante la loro «fisicità», il proprio rapporto con
il mondo. I Cahiers sono piuttosto graduali manifestazioni di
verità, testimonianza di un percorso spirituale, ma soprattutto
comunicazione di conoscenza. In tal senso essi costituiscono, fra
le opere di Simone, accanto alle Réfl,exions, il testo più impegna-
tivo, perché vi riprende tutti i temi del suo pensiero in uno
sforzo estremo di sintesi teorica e di ricerca di verità.
La riflessione vi procede per antinomie: anima corpo, spiri-
tuale naturale, peccato virtù, alto basso, bene male. Ma il pen-
siero entra in profondità nell'unica reale contraddizione che le
altre ripetono in modi diversi, e che da sempre era oggetto della
sua indagine: la distanza, e la coincidenza al tempo stesso, del
bene e della necessità. La contraddizione è reale, ma il pensiero
è insufficiente a coglierla, perché l'immaginazione tende a miti-
garne la natura e vela lo sguardo. Il peccato è in fondo questo,
il tentativo di colmare il vuoto che si apre nella contraddizione;
ma se si sospende il lavoro dell'immaginazione e si fissa l'atten-
zione sui rapporti tra le cose, « una necessità appare, a cui non
si può non obbedire » (Cahiers II 24 ). La cultura contempo-
ranea doveva apparire a Simone quasi interamente impregnata
di peccato, perché incapace di usare il linguaggio nella fun-
zione che gli è propria: per Simone, quella di esprimere i rap-
porti tra le cose.
Solo il distacco opera in noi la distruzione delle false imma-
gini e rende possibile percepire la « realtà reale » del mondo
esterno, finché il pensiero giunga a coglierne, senza ritrarsi, la
radicale condizione di impossibilità. Il sentimento di impossi-
bilità è il sentimento del vuoto: esso pareva esprimere a Si-
mone nel modo più puro, benché con sofferenza, l'unico rap-
porto reale, e perciò giusto, tra il pensiero e il mondo. Soppor-
tare l'impossibilità è - e la parola stessa, supporto, lo indica -
« essere in equilibrio» (Cahiers II 22). Sono quegli istanti di
arresto del pensiero, di vuoto morale e mentale, di intuizione
pura, in cui l'uomo è alfìne capace di cogliere il sovrannaturale.
La sofferenza, meglio di ogni altra pratica, inizia nell'anima il
20
distacco. Tutta la riflessione di Simone si era sempre scontrata
ed esercitata su questo aspetto della sventura, lo sradicamento
che opera nell'uomo alterandone il senso della realtà. Nei Cahiers
il pensiero torna quasi quotidianamente su questi temi; la guerra
di Spagna, la prigionia, i campi di concentramento, le esecu-
zioni capitali, tutti i paurosi incubi del presente occorrono con
frequenza nelle pagine di Simone, quasi scarnificati, oggetto di
una riflessione attenta e rigorosamente aliena da ogni distra-
zione emotiva. Su questa via, Simone trova però il passaggio per
una nuova e più alta sintesi, che ha nella meditazione della Pas-
sione di Cristo narrata dai Vangeli e nell'immagine della Croce
il suo momento più significativo. Esse offriranno a Simone l'in-
tuizione del valore della sofferenza, del suo uso sovrannaturale:
usare la sofferenza come esperienza della contraddizione, solo
così essa diviene mediatrice, e opera la redenzione.
Seguire il procedere dei Cahiers nell'approfondimento di
questo tema non è possibile in breve spazio. Esso passa tra l'al-
tro per la meditazione della Bhagavad Gita, di cui Simone pos-
sedeva dal '40 una copia in sanscrito e che arricchirà il suo pen-
siero di una fonte nuova e particolarmente feconda. Se un ter-
mine è possibile individuare nella sua riflessione, esso è forse
nell'inizio di quel nuovo percorso che sufficientemente delineato
nella scrittura era forse già parte della sua esperienza di vita:
la decreazione. Cessare di essere per amore, rendersi mezzo
trasparente dell'amore di Dio: è l'annientamento della volontà,
il silenzio interiore, la morte fisica al limite, quando il processo
giunga ad intaccare l'energia vegetativa. È allora che l'uomo
« passa una porta, entra sulla via della perfezione che rende
capace di sofferenza redentrice » (Cahiers II 241 ). Non è grato
sostenere fino in fondo la lettura di queste pagine, dove la soffe-
renza è così continuamente e impietosamente riproposta al pen-
siero, senza che la martellante quasi ossessiva ripetizione del
tema permetta mai alcuna distrazione in uno scorcio narrativo,
in un brano di biografia. L'effetto è quasi intollerabile.
Qualche mese dopo il suo arrivo in America, Simone si im-
barcò di nuovo per l'Europa: voleva infatti tornare in Francia
per partecipare alla Resistenza. Visse a Londra durante l'inverno
'42-'43, senza tuttavia poter realizzare il progetto. La sua sa-
lute già da qualche anno era assai precaria: Simone non vi
aveva mai posto attenzione, se non costretta; usava piuttosto
affrontare gli stati di crisi con un tenace sforzo di applicazione
pratica e intellettuale. La tubercolosi l'aveva colpita probabil-
mente già da tempo, ma la fine fu rapida, anche per una non
volontà di curare il corpo malato che, se era da sempre nel suo
carattere, divenne allora consapevole determinazione. Morì nel-
l'agosto in un sanatorio ad Ashford, nel Kent. Nei Cahiers que-
sta scrittura cosi fitta, quasi quotidiana, degli ultimi anni, il
pensiero ha ormai l'andamento di un procedere forte e sereno,
nella sua eguale tensione, di grado in grado lungo la via di una
conoscenza che Simone sapeva esserle stata alfìne concessa. Al
tempo stesso la morte vi è presente quasi in ogni pagina, anche
la sua morte: non come presagio, né come aspirazione, ma piut-
tosto come fine, atto di obbedienza, elemento necessario di
un'armonia, di un equilibrio che essa andrà a ricomporre. Nel
21
rileggere i Cahiers, ciò desta un'inquietudine che l'attrazione
per il rigore e la lucidità della scrittura non basta a dissipare.
Sigle
(CO) La condition ouvrière
(EHP) Écrits historiques et politiques
(GIP) La Grecia e le intuizioni precristiane
(Q) Quaderni
(SG) La source grecque
(SP) Simone Pétrement, La vie de Simone W eil
22
Andreina De Clementi
23
proteste, ma inaugurarono una fase di latente conflitto con la
famiglia che conoscerà anche momenti di scontro aperto. Cate-
rina intendeva praticare l'obbedienza, ma la sua volontà non
riusciva sempre a reprimere un temperamento ribelle, che le
costerà fatica dissimulare e dominare.
A tredici anni, le venne attribuito un mestiere. Caterina di-
venne tessitrice, un'occupazione ben accetta perché le consentiva
di estraniarsi da una socialità sgradita, e che continuerà a svol-
gere per tutta la vita: garantirà l'autosufficienza alla prima
comunità religiosa da lei fondata e sarà più tardi l'unica risorsa
del suo monastero. •
Poco dopo, da un giovane compaesano che aveva compiuto
i suoi studi a Siena, sentì parlare per la prima volta di .Santa
Caterina: « Mi fermai a sentire - racconta -, e intesi che era
zitella e che era santa e mi parve di sentire una cosa nuova».
Poté apprendere solo più tardi che le sarebbe stato impossibile
incontrarla perché la santa era morta da tempo. Presa dal desi-
derio di conoscerne la vita, volle imparare a leggere - aveva già
quindici anni - e ricorse all'aiuto degli scolari del paese.
F,µ l'inizio di un rapporto di fervida identificazione. La gio-
vane contadina elesse la santa senese a sua protettrice. Da que-
sta parentela spirituale trasse un suo personale sistema norma-
tivo, l'imitazione dell'altra ne modellò i comportamenti e le
aspirazioni. Decise di entrare nel suo stesso ordine, ne assunse
il nome quando divenne terziaria domenicana e a lei dedicò il
monastero di Morlupo. Tanta devozione venne ricambiata con
frequenti apparizioni, colloqui, consigli e segni di predilezione.
Caterina intensificò le sue pratiche penitenziali e comunicò
ai genitori la decisione di entrare in convento. Questi non na-
scosero il loro disappunto: il sollievo che avevano sperato da
lei sarebbe in tal modo venuto meno e le negarono il loro con-
senso. Superato il primo momento di sorpresa, la ragazza ebbe
un'impennata di orgoglio e rispose « esser lei determinata ser-
vire a Dio ( ... ) ch'era tempo che ormai pensasse alla sua anima
e preparasse opere buone per l'altro mondo, poiché quando essa
fosse stata tepida e negligente per se medesima non trovaria
che altri affaticassero e negotiassero i beni eterni per lei».
Si pentì subito di queste parole e ne portò il rimorso per
tutta la vita, tanto da incolparsene ancora, ormai settantenne,
con l'ultimo confessore.
La delusione fu cocente e la fece cadere in un profondo stato
di prostrazione. Caterina attraversò il più lungo periodo di crisi
della sua vita; durò un intero triennio. Meditò l'abbandono dei
suoi progetti e fu assalita dal dubbio di aver perseguito obbiet-
tivi troppo ambiziosi. I suoi conflitti interiori, filtrati dal simbo-
lismo della cultura religiosa, assunsero Ja forma dissociata della
persecuzione diabolica. Il demonio la tentava « di pusillani-
mità » e le consigliava di desistere perché non sarebbe mai riu-
scita nell'intento di imitare Santa Caterina.
La gravità delle sue condizioni e l'impossibilità di confidarsi
con chicchessia la fecero sprofondare nel delirio: era atterrita
da visioni orrifiche, tormentata dalle percosse dei diavoli e inse-
guita da allucinazioni che popolavano il pavimento di serpi,
draghi, vipere. Caterina somatizzava le sue sofferenze, il corpo
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le si ricoprl di pustole e vesciche, la carne le si piagò. Dovette
soffocare di nuovo l'impulso di togliersi la vita per troncare
una situazione tanto penosa.
Per un mese, fu in preda alla febbre, i medici non riuscirono
a guarirla e a Morlupo cominciò a spargersi la voce che fosse
indemoniata. L'opinione comunitaria le aveva finora attribuito
lo stigma della santità, ma questi fenomeni inspiegabili indus-
sero al ripensamento e le si fece attorno un vuoto carico di
sospetto. La giovane non tardò ad accorgersene e traspose la
sua percezione nello scherno del demonio: « Ricordati, le di-
ceva, quando tutti ti tenevano per santa, e per il gran credito
di tua persona si giudicava felice chi potesse teco parlare; si
sono adesso mutate le cose, habbiamo il rovescio della medaglia;
sei diventata la favola di Morlupo, l'opproprio del mondo.
Ogn'uno ti sprezza, ti fugge, e tenendoti per ossessa da diavoli
ti aborrisce ». •
Fu quello il momento di maggior rischio; il capovolgimento
della sua immagine sociale avrebbe potuto compromettere irri-
mediabilmente il significato della sua vicenda interiore.
Furono anni di dubbio, senti vacillare la sua fede e subì il
richiamo delle cose terrene, ma trovò la forza di resistere. Fu
questo forse il periodo in cui si addensarono le prove più ardue
prima di intraprendere definitivamente il suo cammino di avvi-
cinamento a Dio. Fu una sorta di rito di passaggio, un'espe-
rienza iniziatica che avrebbe mutato il corso della sua vita.
Si trovava già nel vivo di questa difficile congiuntura, quando
giunse a Morlupo un nuovo arciprete, don Alessandro Migliacci,
discepolo di Filippo Neri. Era dunque costui un personaggio di
tutt'altra pasta rispetto ai predecessori accidiosi e distratti che
avevano avuto in cura la comunità; la prima confessione gli
rivelò subito la levatura superiore di Caterina e ne divenne la
guida.
Il rapporto col Migliacci fu, specie all'inizio ricco e grati-
ficante. Le somministrò la prima comunione e, dopo qualche
tempo, le concesse di accostarvisi quotidianamente; la istradò
nell'orazione, « la porta, nella definizione di Teresa d'Avila, per
cui entra nelle nostre anime il Signore», e le insegnò a prati-
carla in tutti i momenti della giornata, dimodoché le vislòni
soprannaturali la sorprendevano anche mentre sedeva al telaio.
Ma, soprattutto, cercò di smorzare l'ansia penitenziale di Cate-
rina anteponendo a quella sorta di furore autopunitivo una rigo-
rosa disciplina interiore: l'annientamento della volontà e l'ob-
bedienza incondizionata, la repressione dell'amore per se stessa
e per ogni altra cosa terrena valevano, nell'insegnamento del-
l'arciprete, assai più delle sofferenze :fisiche.
Per Caterina le «porte» d'accesso al mondo sovrasensibile
divennero quindi due, l'orazione e l'eucarestia. La prima rien-
trava nel novero delle attività coscienti e della progettazione
volontaria, verso l'eucarestia ella provava invece un trasporto
irresistibile, una dipendenza fisica che le astinenze forzate vol-
gevano in indecifrabili stati morbosi. Quest'anelito si fece ancor
più traboccante e incontrollabile quando, secondo un motivo ri-
corrente anche in altre esperienze mistiche, nel corso di un'appa-
rizione il Cristo cambiò il cuore di lei con un altro di ptove-
25
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nienza divina. È il caso comunque di ricordare che l'enfasi euca-
ristica era una reazione del cattolicesimo controriformistico alla
polemica protestante al riguardo.
A differenza dalle irruzioni diaboliche, legate in genere a
momenti di crisi esistenziale, le apparizioni celesti delineavano
una sorta di itinerario teologico disancorato dalla vicenda umana
di Caterina. La sua attitudine visionaria la proiettò più volte
nell'ambito spazio-temporale della chiesa trionfante: assistette
alla morte e all'assunzione in cielo di un francescano del vicino
convento e di Filippo Neri, noto soltanto dai colloqui col con-
fessore; partecipò, tra l'estate e l'autunno del 1595, a un intero
ciclo di feste religiose, celebrate tra sfolgorii di luci, teorie di
angeli e di santi, celestiali salmodie, evocatrici di scenografie e
rappresentazioni barocche.
Le apparizioni più frequenti mobilitavano i protagonisti della
vicenda salvifica cristiana e le protettrici di Caterina, la santa
eponima, Santa Maria Maddalena, patrona dei Predicatori, e
Santa Teresa, di cui la Paluzzi conobbe gli scritti: una congrega
femminile che fungeva da tramite con i vertici della gerarchia
ce!este. In questi casi, il ruolo di Caterina non era di semplice
spettatrice, ma di partner di un rapporto vario e multiforme:
consolatorio nei frangenti di maggior contrarietà e smarrimento,
altre volte familiare e colloquiale, pervaso di gestualità affettiva,
oppure pedagogico, allorché le venivano svelati i misteri della
fede. Questi incontri definivano una gamma di situazioni emo-
tive ricca di diapason drammatici, raggiunti con la visione del
Cristo crocefisso piagato e sanguinante, fulcro e modello del-
l'identificazione mistica. Le reazioni di smarrita stupefazione del
risveglio si accompagnavano spesso a un profondo disgusto di
sé e ad un'« abbominazione » della realtà terrena, che rappre-
sentavano i momenti più critici della perdita dell'io.
L'intensa attività visionaria fruttò a Caterina un bagaglio di
conoscenze teologiche di tipo, diremmo, sperimentale e un fer-
vore espressivo che avrebbe di U a poco conquistato l'élite
socio-religiosa dell'ambiente romano.
La sua vita spirituale non era comunque affatto confinata alla
sfera intellettiva. Essa pervadeva anche la sua fisicità corporea;
il corpo ,era anzi il luogo di una sensitività esaltata e dispiegata
in tutte le sue capacità espressive. L'abbassarsi della soglia di
vitalità che preludeva agli stati estatici e coincideva con la per-
dita di coscienza oppure un'immobilità attonita e stuporosa,
implicava anche una dilatazione dell'universo sensoriale. Le sen-
sazioni di pacificante quiete o di calore, le vampate di rossore,
gli struggimenti, rivelavano, come altri hanno identificato il
lessico della possessione diabolica, il linguaggio corporeo del-
l'ascesi mistica.
L'intensificazione della reattività sensoriale apparteneva ai
momenti di assenza dalla storia; la pratica penitenziale aveva,
dal canto suo, riorganizzato e ridefinito, ma non soppresso, la
sensualità di Caterina, soprattutto incanalata in una prorom-
pente oralità. Il gusto era probabilmente il senso più manipolato
e trasfigurato dalla lunga autodisciplina, ed esso era il veicolo
delle gratificazioni più sublimi. Era stato sottoposto a un'in-
cessante e spietata mortificazione, punito non tanto coi digiuni
26
quanto colla costante astinenza dal vino - a quanto pare rite-
nuta allora sicuro canone di santità - e coll'insulsaggine dei
cibi che Caterina si rassegnava a trangugiare: « Cominciai - rac-
conta nella sua prosa scarna e allusiva - a lasciare il vino, e il
mangiare voleva che fosse amaro per non sentirci gusto essendo
costretta a farlo per necessità». Questo disinvestimento libi-
dico raggiungeva le punte di parossismo, evidenziate da una
sequenza miracolistica, quando succhiò la ferita purulenta di
una donna che ne aveva implorato le virtù taumaturgiche. In
compenso, nel corso di una delle sue visioni, le fu dato di acco-
stare la bocca al costato di Cristo « e il sapore il gusto e la
sostanza che mi parse di averne non c'è lingua che lo potesse
raccontare, e tale atto capire senza l'aiuto di Dio particolare».
Nessuna rinuncia, nessuna sofferenza si esaurivano in se stesse;
ogni sacrificio di una parte di sé le veniva restituito, moltipli-
cato, in un profluvio di sensazioni psico-fisiche più ricche e·
pregnanti.
L'incontro con Don Migliacci accelerò e orientò il suo itine-
rario spirituale, ma fu anche fonte di inenarrabili angosce. La
lotta alla stregoneria e poi alla possessione avevano reso la ge-
rarchia ecclesiastica e alcune delle maggiori personalità religiose
del tempo, più che diffidenti. L'obbedienza di Caterina dovette
per diversi anni sottostare a prove durissime, necessarie, se-
condo il confessore e i suoi autorevoli consiglieri, primo fra
tutti Filippo Neri, a smascherare le simulazioni diaboliche e a
saggiare l'autenticità delle visioni. Durante una settimana di
passione, venne costretta ad astenersi dalle pratiche penitenziali
e le furono minacciati pranzi a base di carne. Le si proibl l'ora-
zione e anche la comunione, una volta in circostanze particolar-
mente umilianti perché negata con ostentazione al cospetto del-
l'intera comunità. Questo esercizio di raffinato sadismo rag-
giunse il culmine nella prescrizione di scacciare le apparizioni
celesti con gesti osceni e di scherno, fino, cosa che Caterina
esegul scrupolosamente tra le lacrime, a sputare sul volto del
Cristo, sceso a dilettarla della sua compagnia.
Ella dovette dunque in questo periodo subordinare il rap-
porto col trascendente a quello con l'istituzione ecclesiastica,
timorosa del potenziale eversivo intrinseco al misticismt> e
pronta a chiedere un prezzo esoso in pegno della sua legittima-
zione. La donna era costretta a far violenza a se stessa, ma non
riusd a tacitare del tutto la sua intima ribellione; di nuovo
divenne preda delle raffigurazioni diaboliche, più accattivanti
che mai nel solleticarne l'autostima e nel suggerirle di emanci-
parsi dalla tutela dell'arciprete. Esse le rivelarono anche l'ambi-
guità dei suoi sentimenti verso di lui: venne assalita da visioni
di prepotente erotismo, assistette ad accoppiamenti infernali e
visse la sua deflorazione simulata fin nei particolari più realistici.
Le irruzioni diaboliche assolvevano dunque alla funzione di
portare alla superficie i conflitti inconsci; il loro travestimento
simbolico, anziché integrarli, ne sanciva l'alterità, ne prescriveva
e avviava la risoluzione.
Dopo l'ingresso nel terz'ordine domenicano, che le consen-
tiva di non abbandonare l'ambiente familiare, alle aspirazioni
originarie si frapposero ulteriori ostacoli. A breve distanza
27
l'una dall'altro morirono entrambi i genitori. Caterina, prima
femmina di una così numerosa famiglia, dovette ereditarne
tutto il peso. Divenne « balia e serva di tutti» e lo fece assai
a malincuore. In altre circostanze della sua vita dovette assog-
gettarsi a incombenze forse più faticose, ma solo ricordando
questo periodo si sarebbe poi lasciata sfuggire un'esclamazione
di autocommiserazione: « Dio sa se ci ebbi da fare». Neppure
questo sacrificio la lasciò senza ricompensa; l'ultimo scorcio del
secolo fu, a suo dire, prodigo più di grazie che di giorni.
Caterina cominciava ormai a farsi alquanto attempata; a
ventisette anni, era ancora una contadina ignorante dall'aspetto
dimesso, che faceva di tutto per dissimulare una forte persona-
lità e una traboccante spiritualità. Non aveva mai messo piede,
se non nelle sue visioni, fuori da Morlupo. Don Migliacci de-
cise che era tempo di rompere quest'isolamento e, in occasione
dell'Anno Santo, le propose un soggiorno a Roma. Nei vent'anni
che precedettero la fondazione del suo monastero, la vicenda
terrena di Caterina mutò radicalmente.
I dubbi, le perplessità e l'esigenza di condividere con altri
la responsabilità di una guida cosl impegnativa spinsero l'arci-
prete, che non poteva più contare sulla supervisione di Filippo
Neri, a metterla in contatto con alcune tra le maggiori perso-
nalità religiose dell'epoca.
Il primo incontro significativo, tra i tanti fatti a Roma, fu
col carmelitano scalzo fra' Pietro della Madre di Dio, poi gene-
rale dell'ordine, che ne fu conquistato e, disapprovando l'ope-
rato del Migliacci, la sciolse dalle sue assurde imposizioni. Sug-
geri anche a quest'ultimo di indurla a mettere per iscritto i dati
salienti della sua esperienza, un compito cui ella si acconciò con
riluttanza, lasciando un documento di sorprendente efficacia e
sincerità.
Il Migliacci, dal canto suo, aveva già iniziato a raccogliere
appunti desunti dalla consuetudine con Caterina e prima di mo-
rire li consegnò al fratello che avrebbe preso il suo posto perché
li utilizzasse e li continuasse. Questa sorta di catena non venne
interrotta da nessuno dei confessori che si avvicendarono alla
guida della donna. A questo insieme, già notevole, di scritti,
va aggiunto un libro sulle sue estasi, opera dell'agostiniano Gia-
como della Marca, andato perduto durante un naufragio. La vita
di Caterina venne dunque attentamente osservata, vagliata e
registrata dall'età di quindici anni, data del suo incontro col
Migliacci; al periodo precedente supplivano le sue stesse anno-
tazioni autobiografiche. Su queste fonti si basò il suo primo
biografo, il teologo carmelitano Filippo Maria di San Paolo.
Come si spiega questa provvidenziale grafomania cresciuta
intorno alla figura della mistica contadina? Lo scopo dichiarato
era l'esigenza di fornire una mappa orientativa ai nuovi diret-
tori spirituali; c'era poi forse il disegno inconfessato di preco-
stituirne la futura canonizzazione, ma questa decisione sembrava
affondare le radici nella progrediente penetrazione dello spirito
scientifico del tempo. La singolarità della sua vita interiore non
rendeva Caterina soltanto oggetto di ammirazione e venerazione,
induceva anche all'osservazione e alla disamina critica. L'occhio
clinico e indagatore dell'intellettualità laica sembrava aver con-
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quistato, almeno in parte, anche l'ambiente ecclesiastico e l'ari-
stocrazia romana. Quest'ultima, che aveva spalancato a Caterina
le porte dei suoi palazzi, indulgeva a volte ad interrogarla sulla
tipologia visionaria rivelando una qualche assimilazione di un
quadro mentale proteso alla catalogazione della diversità.
Inoltre, il suo atteggiamento complessivo lasciava trapelare,
al di là della deferenza per la sua virtuale santità, un misto di
curiosità e di dissimulata arroganza verso un'appartenenza so-
ciale inferiore. Da lei si pretendeva una sottomissione indiscri-
minata all'impulso di averla presso di sé e su di lei incombeva
una sorta di prelazione possessiva rivelata tra l'altro dalla con-
dotta del marchese Crescenzi, che le era assai devoto e che,
quando venne informato della sua morte, mandò subito un
messo a Morlupo perché ne riportasse il cuore onde arricchirne
il reliquiario di famiglia.
Questa pressante richiesta di disponibilità costringeva Cate- •
rina a frequenti viaggi a Roma, che suscitarono in breve le
calunnie e le maldicenze dei compaesani. Si prese a stigmatizzare
la sconvenienza di queste assenze, indizi di un poco limpido spi-
rito vagabondo, e poiché i favori dell'aristocrazia romana le
fruttavano continue offerte per il monastero che aveva in animo
di fondare, fu tacciata di ipocrisia, si insinuò che il suo scopo
recondito fosse quello di accumular denaro e arricchire i parenti.
La comunità vedeva nella mobilità e nelle inconsuete, incon-
trollabili relazioni sociali di Caterina un'oscura minaccia, il peri-
colo di una turbativa esterna e reagiva ricorrendo a questi mec-
canismi di autodifesa. L'eccezionalità della donna non bastava
a depurare l'ammirazione da una venatura di diffidenza né ad
esimerla dalle regole della vita comunitaria e da un controllo
sociale più rigido verso un anticonformismo femminile. Sulla
base dell'intreccio di questi elementi, si potrebbe ipotizzare che
h decisione di fondare a Morlupo il suo monastero, rifiutando
anche proposte assai più vantaggiose, sia scaturita dall'insoffe-
renza per un ambiente comunitario asfittico che l'aveva ripetuta-
mente frustrata e più volte ferita, ma di cui era rimasta prigio-
niera, e che ella intendesse in tal modo ripagarsi dell'incompren-
sione e della svalutazione sociale di cui era stata vittima fin
dall'infanzia.
Gli abitanti di Morlupo erano tuttavia anch'essi persuasi
della santità di Caterina e l'ininterrotto controllo della sua con-
dotta non contraddiceva quest'opinione; a dettarlo era una su-
periore sollecitudine per la coesione e le certezze collettive e,
per altro verso, una rappresentazione tipicamente antropomorfa
della santità, a maggior ragione applicabile ad una persona vi-
vente.
Anche le doti paranormali della Paluzzi, quest'effetto secon-
dario un po' imbarazzante dell'ascesi mistica, venivano disarti-
colate dall'appartenenza sociale dei postulanti. Alle sue capacità
di veggente ricorse più volte la società romana: Caterina indicò
l'esatta ubicazione degli introvabili resti di Santa Cecilia e dette
risposte anche a quesiti meno impegnativi, l'esito della cano-
nizzazione di Teresa d'Avila o la sorte di una missione religiosa
in Medio Oriente di cui si erano perse le tracce. I poveri di
Roma e i contadini di Morlupo preferivano invece impetrarne
29
la guarigione delle loro infermità, cancrene, piaghe purulente,
stigmi di una vera e propria condizione sociale. Gli attributi
della santità consentivano agli uni un controllo supplementare
di dati reali o la rassicurazione sull'efficacia di condotte strate-
giche; rientravano per gli altri nel rigido schema protettivo del-
l'intervento taumaturgico.
A circa vent'anni dall'ingresso nel terz'ordine domenicano
e dalla creazione in Morlupo di una piccola comunità femmi-
nile, dopo aver superato ostacoli d'ogni sorta ivi compresa l'im-
ph1cabileopposizione del feudatario locale, Caterina riusd final-
mente, ormai quasi cinquantenne, a fondare il suo monastero,
retto dalle regole della più rigorosa clausura. Con dispensa spe-
ciale, la Congregazione dei Vescovi e Regolari la nominò priora
a vita. Lì trascorse l'ultimo venticinquennio della sua esistenza.
Alternava il lavoro di filatura alla lettura di trattati spirituali e
alla direzione della comunità, un compito che svolgeva con
grande efficacia rifuggendo dall'esibizione d'autorità, attingendo
alle profonde cognizioni psicologiche acquisite nella consuetu-
dine introspettiva e nel lungo addestramento al dominio di sé
e della propria emotività.
La sua vita psichica registrò qualche mutamento; non cessa-
rono né le visioni né le aggressioni diaboliche, scomparvero
però gli stati estatici e fu Caterina stessa a volerlo perché
l'avrebbero intralciata nelle sue nuove funzioni.
Gli ultimi due anni trascorsero tra i più atroci tormenti,
preannunciati da un'apparizione del Cristo che le cedeva la sua
croce. Fu di nuovo abbandonata alla persecuzione diabolica, in
un'alternanza di deliri, allucinazioni e sofferenze fisiche che la
costringevano a letto per lunghi periodi e misero a dura prova
la dedizione e la salute psichica delle consorelle.
Questo lungo calvario al termine di un'esistenza tutta pro-
tesa all'ascesi mistica poteva sembrare il suggello di una scon-
fitta. In realtà, secondo il modello culturale di riferimento, esso
non faceva che evidenziare la dislocazione ultraterrena della meta
finale, definiva una teleologia rovesciata ricomponibile e deci-
frabile solo nell'aldilà.
Caterina riacquistò la sua serenità tre mesi prima della morte,
che sopraggiunse il 19 ottobre 1645.
Le sue spoglie mortali conobbero quasi un supplemento di
vitalità. Sottoposte ad autopsia, il bisturi del chirurgo ne fece
sprizzare sangue e mise a nudo un cuore palpitante e piagato.
Il giorno dopo, il corpo di Caterina venne esposto alla pub-
blica venerazione nella chiesa del monastero.
La popolazione di Morlupo e dei paesi vicini affluì in massa
e le guardie poste a custodia del catafalco vennero travolte da
una folla incontenibile, ansiosa di invadere lo spazio del sacri-
ficio individuale e di trasformarlo in rito di espiazione collettiva.
Si appropriò di tutti gli oggetti disposti sul cadavere e minacciò
di strappargli di dosso anche le vesti.
La morte di Caterina generò un clima di sovreccitazione,
parallelo, e quasi legato da reciprocità, con gli eventi prodi-
giosi che ne seguirono. Inspiegabili bagliori notturni illumina-
rono la chiesa seminando lo spavento tra i più curiosi; dopo la
sepoltura, si verificò ininterrottamente per quindici giorni un
30
trasudo di sangue che costrinse alla riesumazione, ne tornò alla
luce un corpo odoroso e mobile di persona appena spirata.
Per impedire manifestazioni di culto popolare che, secondo
recenti disposizioni pontificie, avrebbero compromesso la cano-
nizzazione, la nuova inumazione avvenne in segreto, i presenti
vennero vincolati da giuramento a non rivelarne il luogo a
nessuno.
Sembrava dunque che la canonizzazione dovesse essere il
logico coronamento della vicenda terrena di Caterina. Gli am-
bienti sociali con cui aveva intrattenuto rapporti non le avevano
lesinato la loro venerazione e altrettanto aveva fatto la sua co-
munità di appartenenza; una parte cospicua del suo apostolato
si era svolta a Roma, dove aveva goduto della devozione di
cardinali come Sfondrati e Rusticucci e della protezione dei papi;
la Paluzzi apparteneva infine a un ordine religioso di immutato
prestigio nella costellazione controriformistica. Tutte queste
premesse costituivano i requisiti più efficaci e idonei ad una
sanzione formale di santità per la quale l'opinione, il riconosci-
mento e l'iniziativa sociale avevano un peso decisivo.
I preliminari vennero quindi sbrigati immediatamente. Il ve-
scovo di Nepi provvide alla raccolta della documentazione sulla
sua vita, ma la pratica si arenò quasi subito. Gli ostacoli soprag-
giunti, ancora poco indagati da chi scrive, sono stati riferiti a
varie circostanze; qualcuno li ha attribuiti alla necessità di ap-
profondire alcuni aspetti dell'indagine, altri alla povertà delle
monache, impossibilitate a sostenere i pesanti oneri finanziari
richiesti dall'impalcatura processuale.
La causa di Caterina rimase a giacere per quasi due secoli.
Il suo culto però non si estinse e la sua fama di santità, i mira-
coli che le furono attribuiti aggregarono a più riprese la pres-
sione sociale sufficiente a far riprendere le fila del processo. Ciò
avvenne nel 1852 per mano di Pio IX e nel 1912 a sèguito della
casuale riscoperta della sua sepoltura, di cui s'ignorava l'esatta
disposizione, interpretata come evento miracolistico, messaggio
di provenienza divina. Neanche questa volta, tuttavia, il pro-
cesso riusd ad andare in porto, probabilmente insabbiato dagli
eventi bellici.
Scomparsa da tempo la società romana che l'aveva accolta
e circondata di mille attenzioni, la canonizzazione della Paluzzi
poteva ormai contare soltanto sull'ordine domenicano e sul
paese d'origine. Nella scala delle priorità, il primo posto spet-
tava a quest'ultimo, in quanto referente di una devozione popo-
lare ritenuta indispensabile prerequisito di richieste del genere.
La comunità di Morlupo non ha dimenticato la sua antica
concittadina e non ha cessato di insistere perché ne venga rico-
nosciuta la pubblicità del culto. Si è mobilitata ancora in questo
secondo dopoguerra e nel 1971 ha curato la pubblicazione dei
suoi appunti autobiografici.
La causa è dunque tuttora aperta, ma anziché abbandonarsi
ad improbabili congetture sul suo esito definitivo, è preferibile
riconsiderarne il primo insuccesso, il più imprevedibile, dal
momento che allora la fama di Caterina era viva in un ambiente
sociale ampio e qualificato e che autorevoli personaggi dell'epoca
si erano pronunciati a suo favore.
31
Anzitutto, il fatto che la sua peculiare religiosità non sia stata
di per sé sufficiente a promuoverne la santificazione può appa-
rire, a tutta prima, sorprendente. In realtà, i criteri che pre-
siedono a questo riconoscimento formale danno largo spazio a
valutazioni d'altra natura, coinvolgono l'orientamento politico
della gerarchia ecclesiastica e del papato, la loro attenziop.e alla
congiuntura storica attraversata dalla Chiesa. Inoltre, un'isti-
tuzione consolidata da secoli non poteva che guardare al misti-
cismo con qualche sospetto, con la diffidenza della struttura
gerarchizzata verso le manifestazioni di anticonformismo reli-
gioso. Che la religiosità estatica non implichi una canonizza-
zione automatica è dimostrato dal fatto che non tutti i mistici
l'hanno ottenuta. Ciò non significa certo che vada annoverata
tra le controindicazioni, ma neppure tra i requisiti privilegiati.
I motivi della tiepidezza verso il riconoscimento della santità
di Caterina vanno dunque ricercati altrove e sembrano rinviare
alla sua strategia comportamentale, all'appartenenza sociale e
culturale, a quell'ininterrotta integrazione nell'universo comu-
nitario del paese natale cui erano legati i più vividi ricordi
infantili.
Ad onta della sua straordinaria vicenda esistenziale, ella ri-
mase per tutta la vita una contadina e consumò anche nelle sue
scelte il radicamento in una cultura subalterna. La decisione di
ancorare il suo apostolato a Morlupo e, ancor più, quella di
dedicarsi alla vita claustrale, finirono col renderla una figura
anacronistica e di secondo piano, lontana dalle correnti riforma-
trici, specie femminili, che proliferarono in epoca controrifor-
mistica e che decretarono la crisi definitiva della comunità mo-
nastica. Le sante del 5-600 furono espressione di questo clima;
avevano militato preferibilmente nei terzi ordini, liberi dalle
regole conventuali, o ne avevano fondati di nuovi più moderni
ed erano state accomunate dall'intervento attivo e spregiudicato
nella vita sociale del tempo.
Un atteggiamento spesso ostile non impedl alla Chiesa di
indicare alla comunità dei credenti questi nuovi modelli di reli-
giosità femminile, modelli cui Caterina, assorbita dalla sua voca-
zione claustrale, non volle o non seppe contribuire.
32
- La possession de Loudun, présentée par Michel de Certeau, Paris,
Gallimard, 1970.
L. Gardet, La mystique, Paris, P.U.F., 1970.
I. M. Lewis, Ecstatic Religion. An anthropological study of spirit pos-
session and shamanism, Harmondsworth, Penguin, 1971.
R. Bastide, Sociologia e psicologia del misticismo, Rorrìa, Newton Comp-
ton, 1975.
33
2.
MichelaPereira
Le visioni
di Ildegarda
di Bingen
Ildegarda nasce nel 1098 a Bockelheim, nella contea di
Spanheim, dal cavaliere Hildeberth e da Mechtilde. Secondo il
racconto della Vita, fra il 1101 e il 1103 ha le prime« visioni»,
di cui acquisisce una confusa consapevolezza; nel 1106, all'età
di otto anni, viene accolta nel convento benedettino di Disibo-
denberg, ove riesce a confidare le visioni alla magistra Jutta, alla
cui morte, avvenuta nel 1136, Ildegarda .ne eredita la funzione
di magistra sponsarum Christi. Continua in questi anni ad avere
visioni, ma senza parlarne ad alcuno finché, nel 1141, « co-
stretta dalla volontà divina » inizia a scrivere lo Scivias (il titolo
è una contrazione della frase: Scito vias domini, conosci le vie
del signore). Nell'opera di scrittura è costantemente affiancata da
un segretario (Volmar fino al 1173, poi Godefridus e in ultimo
Wibert di Gembloux) con il compito di trascrivere in buon
latino quanto essa detta. Nel 1147-48 si trasferisce con diciotto
monache nel nuovo convento di St. Rupertsberg, poco distante
da Disibodenberg; il trasloco non avviene senza contrasti, ma
la nuova comunità fiorisce in maniera inaspettata e, negli anni
successivi alla morte della fondatrice, conta una cinquantina di
monache, due sacerdoti e sette pauperes matronae, mentre il
monastero di Eibingen, fondato in seguito, comprende una tren-
tina di monache. Nel 1148 si verificano due fatti importanti:
la corrispondenza con Bernardo da Chiaravalle e l'esame degli
scritti di Ildegarda (il primo libro dello Scivias) da parte del
papa Eugenio III, di passaggio a Treviri. Lo Scivias è termi-
nato nel 1151; nel 1153 la fondazione di Rupertsberg è defini-
tivan;iente assestata. Prima del 1159 (forse anche prima del
1155) Ildegarda si incontra ad lngelheim con Federico Barba-
rossa. Fra il 1150 e il 1160 compie un viaggio in Franconia e
visita le benedettine di Kitzingen. Fra il 1160 e il 1167 si reca
a Colonia. Visita vari monasteri e abbazie benedettine; a que-
ste visite spesso fanno seguito scambi epistolari con abati, ba-
desse e semplici monaci o monache. Compie numerosi altri viag-
gi (a Treviri, in visita ai monasteri della diocesi moguntina ecc.)
senza tralasciare di scrivere. Fra il 1151, anno in cui termina lo
Scivias, e il 1174, termine ultimo per la conclusione del Liber
Divinorum Operum, si colloca infatti tutta la sua produzione
maggiore e la gran parte delle lettere. Prima del 1170 fonda il
monastero di Eibingen, dove nel 1632, a seguito di un incendio,
si trasferl anche la comunità di Rupertsberg e furono traslate
le sue reliquie. Verso il 1170 viaggia ripetutamente in Svevia:
le sue visite ai monasteri sono legate al programma di riforma
monastica intrapreso dalla chiesa. Le profezie che dettò in que-
gli anni, che nel periodo della Riforma si ritennero previsioni
dell'avvento del luteranesimo, sono in realtà correlate coi muta-
34
menti della vita monastica del XII sec. Di un preteso viaggio
a Parigi nel 1173 non si hanno prove ed è più probabile che
quanto riferiscono i documenti per la canonizzazione debba
riportarsi ad eventi accaduti dopo la morte di Ildegarda (forse
l'esame dei suoi scritti in vista del processo di canonizzazione).
Nel 1179 muore; il tentativo di canonizzazione è attestato dagli
Acta Inquisitionis ( 1233 ). Nei secc. xiv-xv fiorisce un culto
locale, che culmina con l'inserimento di Ildegarda come Beata
nel Martirologio Romano.
Le notizie sulla vita di Ildegarda, narrate estesamente nei
tre libri della Vita e negli Acta Inquisitionis, sono in larga mi-
sura di origine autobiografi.ca.Sappiamo infatti che negli ultimi
anni della sua vita essa dettò una propria autobiografia a Vol-
mar; quest'opuscolo, oggi perduto, che si inserirebbe benissimo
nella consistente tradizione autobiografica monastica, capitò
nelle mani di Wibert de Gembloux, che ne parla come di
« un libretto che narra la vita di lei, scritto da quello (Volmar)
con semplicità, nel cui racconto si dava notizia della sua origine
e delle grazie che aveva ricevuto da Dio fin dalla più tenera
infanzia, e di alcuni miracoli che Dio aveva operato per mezzo
di lei» (Anal. Boll. I, 603 ).
Egli se ne serve per il breve resoconto biografico di Ildegarda
(incompleto) contenuto in una sua lettera all'abate Bovone (Pi-
tra, 407-14). Di tale opuscolo poté servirsi anche Teodorico,
autore dei 11.2 e 3 della Vita di Ildegarda; mentre l'autore del
1.1, il monaco Godefridus, scrisse le sue pagine negli anni 1174-
1176, quando Ildegarda era ancora in vita, con un tono che
sembra molto vicino a quello del perduto opuscolo di Volmar.
Il primo libro della Vita è infatti particolarmente attento agli
aspetti meravigliosi della biografia di Ildegarda, quasi inteso a
costruire una leggenda che ricalchi il prototipo delle antiche
mulieres sanctae, operando in maniera caratteristica l'interazione
fra l'immagine biografica tipica degli scritti agiografici e la vita
individuale.
35
menti naturali e una dettagliata conoscenza empirica del corpo
umano, specialmente di quello femminile, dei suoi processi pato-
logici, delle risorse offerte dalla medicina del tempo per la guari-
gione delle malattie; anche se, nel Causae et Curae, non manca
una vera e propria descrizione dei rapporti del corpo umano
con le forze del cosmo. Non sembra del resto privo di signifi-
cato il fatto che queste opere non siano state comprese nella
raccolta compilata dopo la morte di Ildegarda nello scriptorium
di Rupertsberg, presumibilmente in vista del processo di cano-
nizzazione.
La stessa Ildegarda dal canto suo è sempre perfettamente
consapevole del fatto che sono le visioni a legittimare la sua
presa di parola su argomenti di non poco rilievo per la vita
pubblica del suo tempo: dalla riforma monastica, ai rapporti
fra papato e impero ( al tempo di Barbarossa!) alla lotta contro
l'eresia. Infatti nei passi autobiografici tende a mettere in ri-
salto alcuni elementi della propria esperienza visionaria, che
cercheremo di valutare dettagliatamente nelle pagine che se-
guono. Essa si definisce in primo luogo una donna non istruita,
contrariamente a quanto la sua funzione nel monastero e la
ricchezza delle fonti utilizzate nelle opere attestano; le afferma-
zioni esplicite di Ildegarda al riguardo sono comunque univo-
che, sia nella pagina introduttiva allo Scivias (Protestificatio) sia
nelle formule introduttive e conclusive delle varie altre sue ope-
re; dice infatti di essere timida ad loquendum, simplex ad
exponendum, indocta ad scribendum. La lettera a Bernardo da
Chiaravalle, probabilmente la prima da lei scritta, concorda con
queste definizioni: « Io, misera creatura e più che misera perché
porto il nome di donna, fìn dall'infanzia vidi cose grandi e mira-
bili, che la mia lingua è impotente a pronunciare, se non fosse
che mi insegna lo Spirito Divino e mi istruisce come debbo
narrarle... Conosco infatti il significato interiore del testo del
Salterio, del Vangelo e degli altri libri, che mi sono mostrati
in questa visione... ma so leggerli soltanto in maniera semplice,
non commentarli suddividendo il testo (non in abscissione tex-
tus ), perché sono una persona incolta, e non ho avuto alcuna
scuola che mi desse le conoscenze esteriori; ma nell'interno
della mia anima sono dotta» (PL, 189).
Ma in effetti questa donna « semplice e incolta » non fa
altro che mettere in risalto l'eccezionalità della propria com-
prensione e il carattere non scolastico dell'apprendimento. Si
può affermare con certezza che la cultura di Ildegarda non è
quella che si viene affermando nelle scuole all'avanguardia nel
XII sec. (Parigi, Chartres, Tours ecc.): la sua conoscenza del
testo non è simile a quella dei grammatici (in abscissione textus)
né dei filosofi, è appunto la conoscenza data dalle visioni, dal-
l'illuminazione interiore in esse concretizzata.
Una lettera di Volmar contrappone la « turba modernorum
scholasticorum», che abusano della scienza donata loro da Dio
ed estinguono la scintilla divina loro inviata, allo spirito profe-
tico in Ildegarda, una donna (« in organo massae fragilioris » ),
che è la vera conoscenza interiore secondo il volere divino
(Pitra, 346-7). Di questa differenza abbiamo un esempio in una
lettera di Ildegarda scritta ai « teologi di Parigi», che l'avevano
36
interpellata a proposito delle concezioni su Dio espresse da
Gilberto de la Porrée, uno dei maggiori teologi del secolo:
« quod paternitas et divinitas Deus non sit ». Ildegarda risponde
con una costruzione piuttosto elaborata dei temi con cui nor-
malmente introduce le sue visioni, affermando che Dio stesso
le ha rivelato di essere padre e negando che di esso si possa avere
una conoscenza analoga a quella che si ha dell'uomo o di altri
elementi naturali (in cui si può riconoscere un tentativo di defi-
nire il metodo della teologia delle scuole).
La peculiarità della conoscenza di Ildegarda è espressa anche
dal fatto che i suoi testi non vivono senza l'immagine e il sim-
bolo, fattore avvertito dai suoi contemporanei e che è all'ori-
gine di due capolavori della miniatura medievale: il manoscritto
di Wiesbaden dello Scivias, miniato nello stesso scriptorium di
Rupertsberg, e il manoscritto di Lucca del Liber Divinorum
Operum. La simbologia delle immagini e dei colori è parte essen-
ziale delle idee espresse da Ildegarda; essa si rivela cosf parte-
cipe di quella cultura che finirà col soccombere all'avvento di
Aristotele, ma che nel xn sec. non ha ancora definitivamente
lasciato il campo all'avversario.
37
Ecco la ragione per cui, oltre a escludere i luoghi nascosti,
l'impurità di cuore, la sensibilità esteriore (elementi che favo-
riscono l'inganno diabolico) Ildegarda esclude anche, senza
possibilità di equivoci, che le visioni le si presentino in sogno;
nonostante una lunga riflessione infatti i pensatori cristiani erano
stati costretti a constatare che è difficile sapere se un sogno è
di origine naturale, diabolica o divina; tale capacità è concessa
solo ai santi riconosciuti come tali. Forse per questo, nonostante
le sue recise affermazioni, ci fu chi affermò che Ildegarda « in
mirabile rapimento spesso ha appreso nel sonno non solo ciò
che doveva diffondere con le sue parole, ma anche ciò che
doveva dettare perché fosse scritto in lingua latina » (Vincenzo
di Beauvais,cit. In Acta Sanctorum, PL, 73).
L'estasi in realtà è esclusa dall'affermazione che Ildegarda
nelle visioni si trova sveglia, attenta e non perde il contatto con
il mondo esterno; carattere notevolmente diverso hanno le estasi
delle due celebri mistiche a lei contemporanee, Matilde di Mag-
deburgo ed Elisabetta di Schonau, che oltre al modo differi-
scono da Ildegarda anche nel contenuto delle visioni: mentre
infatti per loro si tratta di colloqui interiori con un Dio che si
occupa della loro vita spirituale, un Dio vissuto nei termini di
affettività che caratterizzano da quel momento la mistica fem-
minile, per Ildegarda il contenuto delle visioni consiste in un
annuncio da portare all'intero mondo ecclesiastico e laico, un
annuncio di riforma centrato sulla figura dell'incarnazione del
figlio di Dio, elemento centrale della creazione (Divinorum
Operum) della storia della salvezza (Scivias), della fine dei tempi
(Vitae Meritorum). È ben vero che le profezie di Elisabetta di
Schonau finiranno per assumere una valenza del genere, soprat-
tutto sotto l'influsso del fratello Ecberto e della stessa Ildegarda,
con cui intrattenne uno scambio epistolare; ma in Ildegarda si
deve sottolineare la mancanza assoluta del colloquio e del-
l'espressione sentimentale.
Mediante la negazione della propria capacità di mediazione
culturale e la definizione della propria conoscenza come extra-
umana ma di indubbia origine divina, Ildegarda si presenta come
strumento di Dio; nella lettera « de modo visitiationis suae »,
che è il documento autobiografico più significativo, cerca di
spiegare, in termini che richiamano la concezione agostiniana
dell'illuminazione interiore, come le viene mostrato ciò che de-
ve annunciare.
« O servo fedele, io, povera creatura d'aspetto femminile
(paupercula feminea forma) ti dico queste parole rivelatemi nel-
la visione veridica ... Dio opera dovunque vuole, a gloria del suo
nome e non di quello delle creature terrene. Perciò io sono sem-
pre in trepidazione e timore; perché so di non avere in me
stessa sicurezza di potere alcunché; ma offro a Dio le mie mani,
perché come una penna, che è priva di ogni forza e peso e vola
portata dal vento, egli mi sostenga; né posso comprendere per-
fettamente le cose che vedo, finché sono composta di corpo e
anima invisibile, perché in questa composizione duplice risie-
dono le mancanze della creatura umana.
Fin dall'infanzia, quando ancora i miei nervi, le ossa e le
vene non avevano raggiunto la pienezza della forza, e sino al
38
tempo presente, ho sempre avuto nell'anima queste visioni, ed
oggi ho più di settantadue anni; in queste visioni la mia anima,
come piace a Dio, ascende fìno agli estremi del firmamento e
segue le correnti di venti diversi, e si espande fra diverse genti,
per quanto lontane e sconosciute. E poiché nell'anima vedo tutte
le cose in questo modo, nella mia visione subisco le vicende
delle nubi e degli altri elementi del creato. Queste cose non le
percepisco con le orecchie esteriori, né le penso segretamente
fra di me, né le apprendo mediante l'uso congiunto dei cinque
sensi; posso dire soltanto che le vedo nell'anima, e che i miei
occhi esteriori sono aperti, cosicché mai in esse ho subito il
mancamento dell'estasi; io le vedo di giorno e di notte, ma
sempre da sveglia. E sempre sono oppressa dalle infermità, e
spesso soffro di così gravi dolori, che mi pare che minaccino di
uccidermi; ma fìno ad oggi Dio mi ha guarita.
La luminosità che vedo non è racchiusa in un luogo, ma ha
uno splendore maggiore di quello della nube che porta il sole;
non so distinguere in essa altezza, lunghezza e larghezza; ed
essa per me ha nome Umbra viventis luminis. E come il sole,
la luna e le stelle appaiono riflessi nell'acqua, così le scritture, i
discorsi, le virtù e le opere degli uomini risplendono per me in
quella forma.
Tutto quello che vedo e apprendo nelle visioni, lo conservo
nella memoria per lungo tempo; cosicché ricordo ciò che una
volta ho visto; e contemporaneamente vedo, ascolto e apprendo
(scio), e quasi nello stesso momento, ciò che apprendo, lo com-
prendo (disco); ma quello che non vedo, non lo so, perché sono
indotta ed ho imparato soltanto a leggere. Le cose che scrivo
delle visioni, le ho viste e udite; e non aggiungo altre parole
oltre a quelle che sento e che riferisco in un latino imperfetto,
come le ho udite nella visione; poiché nelle mie visioni non mi
si insegna a scrivere come scrivono i :6.losofì,e le parole udite
nella visione non sono come quelle che risuonano sulla bocca
degli uomini, ma come fiamma che abbaglia o come una nube
che si muove nella sfera dell'aria più pura.
Di questa luminosità non posso conoscere la forma, più di
quanto possa guardare direttamente la sfera del sole. Talvolta,
non di frequente, vedo all'interno di questa luminosità un'altra
luce, che per me ha nome Lux vivens; ma non so dire quando
e come io la veda; e nel tempo in cui la vedo, si allontanano
da me tristezza e angustie, e mi comporto allora con la sempli-
cità di una fanciulla, e non come una donna ormai vecchia »
(Pitra, 332-3 ).
Si potrebbero sottolineare molti aspetti di quello che Ilde-
garda scrive in queste pagine; ciò su cui voglio ora tornare è
la sua definizione di se stessa come « paupercula femminea
forma », penna portata dal vento, strumento passivo di una
potenza indicibile. Questa donna dotata di indiscutibili doti
organizzative, di una chiara comprensione di quanto la circonda
e di un prestigio evidente in numerose manifestazioni dei suoi
contemporanei, nel momento in cui si trova a riassumere la pro-
pria esperienza, quasi in un testamento spirituale (la lettera
citata risale infatti agli ultimi anni della sua vita, dopo il 1170),
non fa altro che porsi in un ruolo totalmente passivo rispetto
39
alla divinità, negando addirittura di comprendere appieno ciò
che vede. Occorre ribadire come Ildegarda non si presenti mai
coinvolta in un dialogo con la divinità: ciò che essa afferma, non
è che la voce di Dio che attraverso di lei si manifesta al mondo.
Nel mondo spirituale di Ildegarda essa, come soggetto, non ha
diritto di cittadinanza. È interessante vedere a questo proposito
in quanti modi personali Ildegarda parla nei testi delle visioni:
talvolta è Dio, l'imago o la vox che si esprime in terza persona,
talvolta in prima ( anche rivolgendosi alla profetessa, che però
non ha facoltà di replica); talvolta infìne è una prima persona
che sembra riferirsi a Ildegarda stessa; ma non c'è differenza
sostanziale fra ciò che in questi modi diversi viene detto, e
spesso i passaggi, specialmente nei capitoli di commento alle
visioni vere e proprie, sono estremamente sfumati e difficili da
cogliere. Il massimo della dissimulazione del proprio Io coin-
cide in queste pagine con il massimo della possibilità di espri-
mere di fatto propri giudizi.
Si potrebbe pensarè, applicando a Ildegarda dei criteri di
lettura tesi ad una razionalizzazione della sua esperienza, ad un
uso strumentale del tema della profezia e delle visioni, cioè ad
un suo modo di presentarsi come « agita » da Dio cosciente-
mente, per ottenere determinate cose (o un determinato tipo di
attenzione). Alcuni elementi invitano a prendere in conside-
razione questo aspetto, e prima di tutto la vicendo della fonda-
zione del convento di Rupertsberg. Nel prologo alla Explanatio
symboli S. Athanasii (una delle opere minori di Ildegarda,
scritta per l'uso delle monache che vivevano nel suo convento,
che contiene una succinta esposizione dei principi cosmologici e
teologici di Ildegarda) le vicende che hanno accompagnato la
fondazione del convento sono ricordate con grande libertà e
semplicità, anche se la legittimazione di tutta la vicenda è
comunque affidata all'ispirazione divina e ai miracoli: « Questo
luogo, dove riposano le reliquie del beato Roberto confessore,
sotto la cui protezione vi siete rifugiate, lo scoprii per volontà
di Dio, che me lo indicò con miracoli evidenti, vi giunsi col
permesso dei miei superiori, e lo scelsi liberamente per me e
per coloro che intendevano seguirmi, con l'aiuto di Dio»
(PL, 1065).
Dopo di che, tuttavia, emergono questioni molto terrene;
la volontà di Ildegarda di essere del tutto libera da ogni vin-
colo di soggezione al convento di origine, Disibodenberg (che
si trovava a brevissima distanza, sull'altra sponda del fiume
Nahe), aveva dato origine a non pochi contrasti, di cui la Vita
dà un resoconto molto accurato. Ildegarda riporta le parole che
in nome di Dio rivolse allora all'abate: « Tu sei il padre re-
sponsabile del bene e della salvezza delle anime delle mie
figliole, piantagione mistica. Le offerte fatte a loro non spettano
né a te né ai tuoi fratelli, cionondimeno il vostro convento sia
per loro un rifugio ... E se alcuni di voi indegnamente hanno
detto: « Vogliamo prendere loro parte dei loro allodi », allora
io, che sono colui che sono, vi dico che siete dei malvagi pre-
datori. Se poi cercherete di astenervi dal fornire loro la guida
della medicina spirituale, allora vi dico che siete simili ai figli
di Belial... » (PL, 1066 ).
40
Si tratta, in breve, del fatto che le donazioni fatte a Ildegarda
e alle sue monache (fra i donatori spicca la figura della marchesa
Von Stade, che ebbe una figlia e una nipote fra le seguaci di
Ildegarda e con essa intrecciò uno scambio epistolare di grande
interesse) dovevano rimanere di proprietà delle monache di
Rupertsberg, che nondimeno volevano vedersi riconosciuto il
diritto a scegliere liberamente fra i monaci di Disibodenberg
la guida spirituale di cui avevano bisogno.
Contrasti fra i conventi maschili e le fondazioni femminili
ad essi legate sono un elemento caratteristico della vita reli-
giosa del XII sec., in stretta relazione con l'accresciuta esigenza
delle donne di una esperienza religiosa con caratteri propri.
Per Ildegarda l'episodio della fondazione del proprio convento
deve essere comunque stato un elemento di affermazione e
autoconsapevolezza anche perché, legato a un successo notevole
presso le popolazioni locali, si rivelò con gli anni un'esperienza
positiva sul piano della gestione economica, come testimonia
una lettera di Wibert de Gembloux (Pitta, 406-7), che descrive
la vita armoniosa e laboriosa di Ildegarda e delle sue monache,
nonché la fioritura del convento, non protetto da grandi perso-
naggi ma fondato « a femina paupere, advena et infirma». È
da presumere che la fondazione di Rupertsberg, avvenuta negli
anni 1147-48, sia uno degli elementi che hanno conferito a
Ildegarda importanza crescente sul piano locale (si meritò gli
appellativi di Debora e di Sibilla del Reno), ma anche su un
raggio più vasto e che probabilmente attirò su di lei l'attenzione
di quel grande personaggio della chiesa del XII sec., Bernardo
da Chiaravalle, che sottopose al papa lo Scivias e ottenne per
lei, con una procedura insolita, il riconoscimento del dono pro-
fetico.
L'aver mantenuto il silenzio sulle visioni fino alla stesura del
Liber Scivias, silenzio che non impedl tuttavia a Ildegarda di
scrivere poesie intessute di un fine e suggestivo simbolismo,
nonché il primo morality play della letteratura latina medievale,
l'Orda virtutum, potrebbe spingerci anch'esso verso una inter-
pretazione delle visioni come elemento strumentale, messo in
campo esplicitamente da Ildegarda al momento del suo primo,
vero impatto con la gerarchia maschile della chiesa. Prim• di
allora, essa narra di essere stata inconsapevole del pieno signi-
ficato delle visioni, finché non ha trovato nella badessa cui era
stata affidata, Jutta, una confidente col cui aiuto ha cominciato
a vedere chiaro in se stessa: « nacqui in quel tempo e i miei
genitori fra le lacrime mi offrirono a Dio; quando avevo appena
tre anni, vidi una luce cosl forte che la mia anima tremò: ma
non potei parlarne a nessuno, a motivo dell'età infantile. A otto
anni fui oblata, entrando in convento, e da quel momento fino
ai quindici anni vidi molte cose, e talvolta ingenuamente le
raccontavo, cosicché quelli che ascoltavano si meravigliavano,
non sapendo quale fosse la loro provenienza e di cosa si trat-
tasse. Anch'io ero sopraffatta dalla meraviglia, perché ciò che
vedevo nell'interno dell'anima lo vedevo anche all'esterno; e
poiché di nessuno avevo sentito dire cose simili; cercai di na-
scondere, per quanto potevo, le mie visioni: del mondo esterno
ignoravo molte cose, perché spesso ero colpita dal male che
soffro dalla nascita e che ancora mi tormenta, un male che inde-
bolisce il mio corpo e mi fa mancare le forze» (PL, 103 ).
Tutto questo finché « la nobildonna, cui ero stata affidata
perché mi educasse, se ne accorse» (ivi).
I cenni al rapporto con Jutta, ma soprattutto il tema della
malattia, gettano sull'esperienza delle visioni una luce che ci
impedisce di vederle in un contesto esclusivamente di opportu-
nità. Le visioni, la realizzazione delle opere maggiori, la fonda-
zione di Rupertsberg, si accompagnano a manifestazioni pato-
logiche che rendono tutta la vita di Ildegarda un corpo a corpo
continuo fra la sua fragilità fisica e la potenza da cui si sente
agita, senza tuttavia impedirle di esplicare una mole enorme di
attività organizzativa e letteraria, né di viaggiare in età già molto
avanzata. « Non le vennero mai meno, fin dall'infanzia, dolori
frequenti e duraturi languori, cosicché raramente poté alzarsi e
camminare » (PL, 94 ).
È la malattia che spinge Ildegarda a uscire dal suo silenzio:
dice infatti, nonostante il suo tempo fosse molto recettivo ri-
spetto alle profezie, di aver esitato a lungo prima di scrivere
.,. manifestando le proprie visioni: « Io tuttavia, benché vedessi e
udissi queste rivelazioni, a motivo della sospettosità e delle
cattive opinioni e dei diversi modi di parlare degli uomini, non
già per ostinazione, ma per umiltà, mi rifiutavo di scrivere;
finché non caddi ammalata, spinta a quel punto dalla punizione
divina» (Scivias, Prot.).
Le visioni sono addirittura legate, spesso, all'acutizzarsi dello
stato di malessere: « ebbi una visione che mi fece tremare in
tutto il mio essere e per la fragilità del mio corpo caddi amma-
lata» (ivi).
In un tentativo, compiuto negli ultimi anni della sua esi-
stenza, di determinare il carattere della propria malattia, Ilde-
garda (che, non dobbiamo dimenticare, possiede un'ampia cul-
tura medica) la definisce in termini di metereopatia: « essa in-
fatti è venuta all'esistenza per adempiere il dovere assegnatole
dall'ispirazione dello Spirito Santo, ed ha una complexio aerea;
pertanto risente a tal punto dell'aria stessa, della pioggia, del
vento, da ammalarsi, cosicché mai può avere in se stessa la sicu-
rezza del proprio corpo; diversamente, l'ispirazione dello Spirito
Santo non potrebbe dimorare in lei» (PL, 1038).
Nelle descrizioni della malattia si possono rilevare tuttavia
alcuni aspetti diversi a seconda delle varie situazioni: nelle in-
troduzioni alle opere maggiori si accompagna alle visioni, quasi
a dimostrare in maniera sovrabbondante come la fragilità fem-
minile di Ildegarda le impedisca ogni intervento personale nella
recezione della parola divina, funzionando cosl come uno stru-
mento di convalida della verità dei suoi enunciati; si tratta però
in genere di una malattia solo accennata, non precisata, descritta
per allusioni, cui ben si adatta lo stilizzato paragone adottato in
Vita, 2: « la beata Ildegarda, benché sopportasse spesso in sé,
come Lia, i dolori del parto, nondimeno pasceva i suoi occhi
chiari, simili a quelli della bella Rachele, col lume dell'interna
speculazione» (PL, 98).
Molti più vivaci e dettagliati sono invece i resoconti della
malattia che accompagna tutti i momenti della fondazione del
42
nuovo convento: ascoltiamone un passo: « In quel tempo, aven-
do gli occhi caliginosi, non potevo vedere la luce ed ero cosl
schiacciata dal peso del mio corpo che non potevo alzarmi e
giacevo sopraffatta da fortissimi dolori; questo mi accadeva, per-
ché non volevo render nota la visione, che mi era apparsa per
annunciarmi che avrei dovuto allontanarmi dal luogo in cui ero
stata offerta a Dio, portando con me le mie vergini. Sopportai
queste sofferenze, finché non mi fu fatto il nome del luogo in cui
ora mi trovo (Rupertsberg); subito, recuperata la vista, mi sen-
tii sollevata, ma non fui del tutto libera dal malessere. Il mio
abate, i fratelli e la popolazione del luogo si meravigliarono
molto quando vennero a sapere che volevamo andarcene da quel
bel luogo, fertile di campi e di vigne, per recarci qui, dove non
c'era acqua né agio alcuno; perciò si misero d'accordo per far
si che questo non accadesse, opponendosi alla nostra volontà.
Dicevano che io ero tratta in inganno da qualche illusione;
Quando venni a sapere questo, il mio cuore fu oppresso e la
mia carne e le vene si seccarono; per molti giorni, mentre gia-
cevo nel letto, udii una voce che mi vietava con forza di parlare
ancora o di scrivere le mie visioni in quel luogo (Disiboden-
berg) » (PL, 106 ).
Anche i contrasti successivi alla fondazione del convento
sono accompagnati da manifestazioni patologiche (fra cui l'im-
possibilità di muoversi), che si risolvono in maniera quasi mira-
colosa allo sbloccarsi della situazione.
L'attribuzione della malattia agli spiriti maligni non è fre-
quente in Ildegarda; c'è tuttavia un esempio in cui questo av-
viene, la malattia viene definita poenalis e il momento della
guarigione è annunciato da un sogno sfolgorante, nel quale
Ildegarda prevede il proprio destino glorioso e si autodefinisce
(naturalmente mediante la vox soprannaturale) col simbolo del-
l'aquila: simbolo di grande rilievo, che altrove utilizza per indi-
care Bernardo da Chiaravalle. Tutto questo ci spinge a consi-
derare la complessità di questo elemento nella vita dell'autrice;
e sembra suggerire la possibilità di considerare questi fatti nella
loro somiglianza con i fenomeni che, in figure quali gli sciamani,
precedono o accompagnano la rivelazione delle facoltà profe-
tiche.
43
chiaramente (anche se qui, necessariamente, in maniera alquan-
to schematica) le attività nel cui svolgimento essa si dimostra
sicura: sono in primo luogo quelle connesse alla vita interna del
convento, la sua organizzazione, i rapporti con le altre mona-
che, le opere scritte in funzione della vita conventuale (in pri-
mo luogo il commento alla Regola di San Benedetto; poi le
poesie, le vite di S. Disibodo e S. Rupert, l'Orda virtutum ).
L'altro aspetto è l'attività medico-empirica, quella per cui la
stessa Ildegarda si definisce « una vetula che abita dalle parti
del Reno », testimoniata da numerosi episodi di guarigione, in
gran parte da casi di sterilità femminile, malattie isteriche,
« possessioni » ecc., e dalla redazione delle due parti del Liber
Subtilitatum, scritte senza l'aiuto del segretario-amanuense e
senza che intervengano elementi tipici della conoscenza visiona-
ria. Al contrario, il massimo dell'insicurezza possiamo coglierlo
agli inizi dei rapporti con la gerarchia ecclesiastica (nell'episodio
della fondazione di Rupertsberg, che non a caso è scandito dalle
manifestazioni più vistose della patologia ildegardiana), della
sua attività profetica, dell'allargarsi della rete di relazioni al di
fuori dell'ambito più strettamente conventuale e locale in cui
fino a quarant'anni (un'età avanzata, per la sua epoca) Ildegarda
si era mossa. Dico all'inizio, perché nelle lettere, che Schrader
e Fiihrkotter hanno cercato di ordinare anche cronologicamente,
si assiste a una crescita graduale « dal timido risveglio della
consapevolezza della propria missione all'assoluta fermezza».
L'insicurezza sembra soprattutto visibile nell'addensarsi delle
manifestazioni patologiche proprio in questi momenti.
Tuttavia l'adesione profonda a una cultura, in cui le malattie
continue e la percezione visiva anomala, manifestatasi proba-
bilmente in Ildegarda fin dall'infanzia, potevano venir interpre-
tate come segni di una particolare missione affidatale da Dio,
sembra permetterle di risolvere la tensione fra quanto essa ormai
sapeva e « vedeva » del mondo circostante (non dimentichiamo
che le tematiche dello Scivias sono fortemente legate ai profondi
mutamenti sociali ed ecclesiastici del xn sec.) e il timore di
esprimersi, con la decisione di non « tradurre » la conoscenza
delle visioni in un discorso, ma di riprodurla mediante l'uso
delle immagini e dei simboli: « scrivi le cose che hai visto e
udito, per rivelare le cose nascoste».
L'insicurezza si trasforma nella certezza di essere il tramite
della parola divina, la malattia diventa argumentum certitudinis,
la peculiarità delle percezioni alterate dà luogo al gioco di luci,
colori e movimento, che anima le potenti immagini costruite, i
frammenti di conoscenza e di giudizio si inseriscono in un tes-
suto apocalittico che li trasforma in segni, elementi salienti
dapprima condensati nelle visioni, poi spiegati, con metodo ana-
logo all'esegesi scritturale allegorica, nei passi di commento,
dove l'analogia con il procedimento esegetico scritturale è sotto-
lineata dal richiamo di passi biblici fortemente evocativi, come
le profezie di Isaia, l'Apocalisse, il Prologo del vangelo di
Giovanni.
Bernardo da Chiaravalle ed Eugenio III, che si occuparono
di lei e presero in considerazione i suoi scritti, riconobbero in
lei la chiara dimostrazione dei nova miracula compiuti da Dio;
44
cogliendo probabilmente nelle sue parole elementi utili alla poli-
tica ecclesiastica, e nello stesso tempo attenti alla risonanza di
una voce singolarmente in contrasto con le tendenze culturali
più nuove (che Bernardo osteggiava), la definiscono secondo le
categorie della profezia e del miraculum, cui essa sembra ade-
guarsi assai bene, facendone uno strumento di mediazione fra
la gerarchia ecclesiastica e la rivelazione divina; questo carattere
informa la trasmissione delle sue opere e il ricordo della sua
figura presso i posteri: dagli excerpta di Gebeno nello Speculum
futurorum temporum (XIII sec.) all'ammirazione che ,ancora
provano per lei Tritemio, Osiander e Lefèvre d'Etaples alle
soglie dell'età moderna.
45
Sherrill Cohen
Convertite e Malmaritate
Donne « irregolari » e ordini
religiosi nella Firenze rinascimentale. *
46
non poter "esser" monache, havendo marito, et per diversi
rispetti... vogliamo che la casa nostra si dica delle Malmari-
tate ... ». Più avanti c'è un ammonimento: « Perché l'esperientia
ha dimostrato che alcuni mettano da noi delle convertite, con le
quali hanò qualche obbligo di sposarle, ò di monacarle, ò di
levarle altrimente dal peccato, non per aiutarle, ma per coper-
tamente abbandonarle, et dare questo carico à noi... » (ESF,
Bigallo 1691). In queste dichiarazioni abbiamo il nucleo della
storia delle case delle convertite fiorentine. Esse erano destinate
alle prostitute convertite e a una varietà di altre donne « irre-
golari», per le quali i singoli e lo stato non avevano altre
soluzioni.
La vita delle donne nella prospera Firenze del Rinascimento
era limitata da una rete di restrizioni di ruoli e di proprietà.
La maggior parte si sposava o si faceva monaca; entrambe que-
ste scelte dipendevano dal possesso di fondi per la dote. Solo
poche rimanevano nubili e vivevano in famiglia o per proprio
conto. In ogni caso, molte di loro lavoravano: come domestiche,
nelle botteghe o ai telai delle manifatture. Ma l'appartenenza
alle forza lavoro non conferiva loro l'indipendenza finanziaria
né autonomie di altro tipo; né fruttava abbastanza fiorini e non
poteva neutralizzare quei secolari meccanismi legali, che nega-
vano alle donne pieno diritto alla proprietà. Le donne fioren-
tine rimanevano sempre nella precaria posizione di dipendere
dagli uomini - padri, fratelli, mariti o parenti - per il loro so-
stentamento. In periodi di carestia o di sconvolgimenti sociali,
spesso restavano coinvolte nel fallimento di chi le manteneva,
e il governo non poteva occuparsi di loro. Fu proprio questo
bisogno economico a spingere molte donne, definitivamente od
occasionalmente, verso la prostituzione, superando cosl la linea
che separa una condizione onorevole da una disonorevole. An-
che questo era oggetto di attenzione da parte dello Stato: a
Firenze i consigli civici ed ecclesiastici fecero tutta una serie di
tentativi, di solito inutili, per tenere separate, idealmente e
spazialmente, le donne onorate da quelle malfamate, per man-
tenere basso il livello delle tensioni che nascevano quando il
con§ne diventava poco netto. Le case delle convertite offrivano
un posto alle donne che non avevano una chiara identità sd'éiale
e che a volte mancavano perfino dei collegamenti sociali neces-
sari alla sopravvivenza (Herlihy-Klapisch Zuber, 1978).
La più antica, fra le case delle quali ci stiamo occupando, è
il Monastero delle Convertite o Santa Elisabetta, la cui fonda-
zione risale ai primi del '400 e che è esistito ininterrottamente
fino a tutto il diciassettesimo secolo. Essa fu fondata, come più
tardi anche la casa delle Malmaritate, almeno in parte, dai mem-
bri di una confraternita, Santa Maria delle Laudi, della vicina
chiesa di Santo Spirito. Santa Elisabetta, trascurata casa agosti-
niana nel quattordicesimo secolo, spesso sull'orlo del fallimento
economico e piena di suore che possedevano solo il nome di
battesimo, si sviluppò fino a diventare nel diciassettesimo se-
colo un convento molto agiato e rispettabile che godeva della
protezione delle donne della famiglia dei Medici. Mentre Santa
Elisabetta era un vero e proprio convento, la casa delle Malma-
ritate, fondata oltre un secolo dopo in Via della Scala, era sem-
47
plicemente para-conventuale. Essa costitul un primo passo verso
gli istituti di beneficenza laici, per uomini e per donne, che
sarebbero venuti più tardi e ai quali assomigliava. Non mi sof-
fermerò in questa sede sui cambiamenti avvenuti a Santa Eli-
sabetta nel corso di oltre quattro secoli e sulla storia dei rap-
porti dei due istituti con la Controriforma a Firenze. Presenterò
invece una rassegna che riguarda: a) il modo in cui queste
istituzioni si inseriscono nella struttura socio-politica di Firenze,
b) i membri « difficili » del corpo politico che esse ospitavano,
c) la soluzione che queste case offrivano in teoria e nella pra-
tica (Cohen, 1983).
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mutamenti nelle forme di governo a Firenze. La Signoria cosl
come la Repubblica, cercò di proteggere gli istituti delle con-
vertite e di collaborare con loro; nel 1580 emise un bando nel
quale, pena il pagamento di multe, ordinava a « ogni, & qua-
lunche persona di qual'si voglia stato, grado, qualità, ò condi-
tione, che per l'avvenire non ardisca in modo alcuno, ne sotto
alcun quesito colore andare, ne entrare dentro alle porte del
nuovo Monastero fatto da S.A.S. in via della Scala, dove sono
congregate le donne maritate convertite ... » Le autorità civili
usavano le case come alleate per esercitare il proprio controllo
sulla popolazione. Se ne servivano alternativamente come car-
ceri o rifugi per donne sbandate e come fonti di informazioni
su prostitute sospette. Gli istituti contraccambiavano la bene-
ficenza ricevuta dall'oligarchia ammettendo le figlie impoverite
di persone un tempo benestanti (Sommario, 1583 ).
Un altro aspetto della vita civile delle convertite riguarda i
rapporti con il settore ecclesiastico. L'arcivescovado si interes-
sava molto alle case delle convertite. Sottoscriveva i rapporti
delle visite apostoliche condotte negli istituti ed è possibile che
abbia effettuato delle ispezioni per proprio conto. Alcune per-
sone cercavano di essere ammesse nelle case attraverso l'ufficio
arcivescovile. Nel 1577 un certo Antonio Serguidi scrisse al-
l'arcivescovo Alessandro de' Medici per chiedere un favore a
cui lui e numerosi amici a corte tenevano molto: che le due
figliolette di Maria Marrocchini, probabilmente una cortigiana,
fossero sistemate, dietro richiesta, nel Monastero delle Conver-
tite, dove le loro due zie avrebbero potuto dar loro una migliore
educazione di quella che avrebbero ricevuto vivendo con la
madre. La confraternita che poco dopo fondò la casa delle Mal-
maritate fece appello all'arcivescovo per ottenerne consenso e
protezione. Le donne sposate che desideravano entrare venivano
accettate solo esibendo una sentenza di separazione emanata dal
suo ufficio. Esso poteva anche condannare le adultere ad entrare
nell'istituto. Il controllo e l'autorizzazione alle visite nella casa
ricadevano in parte sotto la giurisdizione dell'arcivescovo. Un
caso giudiziario del 1580 testimonia del coinvolgimento attivo
dell'ufficio: Pier Francesco da Diacceto, cittadino fiorentino, fu
condotto di fronte agli Otto di Guardia perché si ostin*a a
compiere atti di disturbo fuori dalle Malmaritate - gridava e
tirava pietre contro le finestre nel tentativo di parlare a una ex-
prostituta - nonostante che il vicario dell'arcivescovo gli avesse
intimato di smettere (ESF, Conventi soppressi; Mediceo Avanti
il Principato; Bigallo 1691; Acquisti e Doni).
Verso la metà del secolo diciassettesimo, l'ufficio arcivescovile
emette sentenze di separazione coniugale per le nuove ammesse
non solo delle Malmaritate ma anche di Santa Elisabetta. In
uno di questi documenti si dichiara nullo il matrimonio perché
la moglie è schedata nel registro delle prostitute dell'Onestà.
Alla donna viene ordinato di ritirarsi nel Monastero delle Con-
vertite per condurvi la vita religiosa. Anche precedentemente,
nel Seicento, il convento e l'ufficio arcivescovile lavoravano in
tandem, specialmente per la regolamentazione della prostitu-
zione, di cui l'autorità religiosa si occupava al pari di quella
civile. Scrivendo al vicario dell'arcivescovo per chiedere il rila-
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scio di una donna incarcerata, Michele Dati, amministratore di
Santa Elisabetta, ricorda al collega che in base all'accordo vi-
gente, ella è una delle 34 prostitute che versano regolarmente
delle somme al monastero in cambio dell'immunità dall'arresto,
e ne ottiene il rilascio desiderato (ASF, Conventi soppressi;
Acquisti e doni).
I predicatori e le preghiere nei dintorni di Firenze furono
importanti, fin dal loro inizio, per le case delle convertite.
Alcuni documenti riferiscono che un certo Simone Fidati da
Cascia fu ispirato a fondare Santa Elisabetta da prostitute pen-
tite. Anche le persone abbienti che fondarono le Malmaritate
collegarono il loro progetto alla conversione di numerose pro-
stitute che aveva avuto luogo durante la preghiera della Madda-
lena in Duomo nella Quaresima del 1579. L'annuale preghiera
della Maddalena continuò ad essere un'occasione importante per
l'accettazione di novizie da parte degli istituti. I patroni delle
Malmaritate sfruttavano a fondo gli aspetti cerimoniali della
circostanza offrendo, fra le altre attrattive, un banchetto di
iniziazione. Essi promettevano un trattamento particolare alle
donne.ammesse il giorno della festa religiosa e, per questa ra-
gione, temevano che molte tentassero di farsi passare, con mez-
zi disonesti, per le più meritevoli di essere accettate. Una volta
stabilitesi nelle case, queste moderne Maddalene ascoltavano
sermoni che le esortavano a persistere nella loro redenzione.
I regolamenti delle Malmaritate raccomandano frequenti ser-
moni da parte del governatore della casa e di religiosi chiamati
da fuori, specialmente i « reverendi padri praedicatori », che
erano molto numerosi. Avvenimenti di questo genere nei pressi
della città a volte si risolvevano in beneficenza a favore degli
istituti (ASF, Acquisti e Doni; Bigallo 1691 ).
I rapporti delle case con altre istituzioni civili coprivano
un'ampia gamma. Esse investivano nel debito pubblico e in
progetti specifici, i Monti, e ricevevano elargizioni di danaro
sotto forma di azioni del Monte. La carità arrivava dalle gilde
fiorentine e da associazioni filantropiche, dalle tarti, dalla parte
Guelfa e da Orsanmichele. Davano asilo ad alcuni degli stessi
ospiti del carcere delle Stinche e di altri ospizi. Alle volte, gli
istituti collaboravano con le case religiose fiorentine in attività
sacre, come in un caso del sedicesimo secolo, in cui i frati di
S. Maria Novella si impegnarono a dire quotidianamente messa
nella cappella di Santa Elisabetta. Potevano dividere con mona-
steri o con gli ospedali cittadini lasciti testamentari e specula-
zioni finanziarie e, in altri momenti, litigare furiosamente con
queste istituzioni per gli stessi bottini (ASF, Conventi sop-
pressi).
Gli istituti offrivano una visibile presenza nella vita e negli
avvenimenti pubblici. Nel 1497, Santa Elisabetta cominciò a
inviare le proprie sorelle in giro per la città alla ricerca di con-
tributi monetari, e, nel sedicesimo secolo, impiegati e membri
della confraternita delle Malmaritate fecero altrettanto. Nel gen-
naio del 1620 Santa Elisabetta mise in scena una grandiosa rap-
presentazione sacra con l'intenzione di radunare la cittadinanza
affinché pregasse per il Granduca Cosimo II ammalato. Dopo
che un prezioso crocefisso, di proprietà del convento, era rima-
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sto esposto in chiesa per cinque giorni e tutta la città era andata
a vederlo - ed era stata raccolta una gran quantità di offerte per
la casa - gli amministratori ordinarono che fosse portato in
processione con una fiaccolata. Raggiunto dai frati di Santo Spi-
rito con una delle loro croci, e con la gente che invocava a gran
voce il privilegio di portare l'immagine, il corteo passò per gli
altri quattro monasteri della zona. In ognuno venne salutato da
voci e strumenti che eseguivano arie sacre e da quadri viventi
di devozione e preghiera. Dopo due ore, il rito culminò con una
visita presso il Granduca e la Granduchessa a Palazzo Pitti, e
nello scoprimento del crocefisso nella chiesa di Santo Spirito.
Questi istituti ad hoc per donne godettero del sostegno dei
vari governi fiorentini e non mancarono di svolgere la loro parte
nel ciclo rituale di onore e dovere tradizionalmente svolto dalle
organizzazioni consacrate (ASF, Conventi soppressi, Bigallo
1691).
2. Le donne « irregolari »
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stinguere fra donne buone e cattive. Le società rinascimentali
continuavano a vedere la vita delle donne limitata a determinati
ruoli: buone mogli e monache, oppure indegne professioniste
della malavita e puttane. Ciononostante il confine fra queste
condizioni contrapposte non sempre era chiaro, e le donne sem-
bravano capaci di passare bruscamente dall'una all'altra. Quan-
do, all'inizio del nuovo secolo, ci fu un inasprimento del con-
trollo sulla morale pubblica, sia le donne sposate che conduce-
vano una vita dissoluta, sia le prostitute da bordello che quelle
indipendenti, divennero soggette alla pena del bando o a essere
ricoverate negli istituti. Indizi di questa situazione li troviamo
nel desiderio dei patroni delle Malmaritate di aiutare sia le
« peccatrici occulte », che quelle « pubbliche ». Se un aspetto
della redenzione riguardava questo attraversamento della linea
della virtù, un altro era di carattere economico. La meretrice
giocava una partita sottilmente calibrata con l'Onestà: poteva
cercare di evitarne le multe e le confische, facendo una dona-
zione alle case delle convertite o affermando di essersi pentita
ed entrare in uno degli istituti. Le case e l'Onestà erano alleate
nell'impedire alle prostitute di sfuggire alle tasse cui erano sog-
gette e nel decidere la politica più lucrosa relativa alle dispense,
alla permanenza o meno sulla lista ufficiale, alle pene da imporre
ai trasgressori. A volte gli alleati diventavano avversari, come
quando in una lettera spedita nel diciassettesimo secolo da
alcuni funzionari di Santa Elisabetta al Granduca si suggeriva,
ai fini di una maggiore efficienza, la totale o parziale elimina-
zione dell'Onestà come intermediario nelle transazioni mone-
tarie. Nemmeno con la morte le peccatrici sfuggivano alla rete.
In un'ordinanza dell'Onestà del 1533 veniva predisposto che
un quarto dei beni delle prostitute decedute fosse devoluto alle
case delle convertite (Trexler, 1981; ASF, Bigallo 1691; Con-
venti soppressi).
Un'altra questione da considerare prima di abbandonare l'ar-
gomento relativo alle ex prostitute residenti, riguarda la ge-
nuinità e la durata della loro conversione. I patroni delle Mal-
maritate credevano che alcune si volessero sinceramente redi-
mere. In questi casi cercavano di farle tornare alle loro famiglie,
se rispettabili, di trovar loro un marito adatto, un lavoro, op-
pure la possibilità di entrare in convento e offrivano loro l'assi-
stenza dell'avvocato e del notaio della Compagnia presso l'uffi-
cio dell'arcivescovo per evitare vessazioni da parte dell'Onestà.
Però i patroni sapevano anche che altre sarebbero venute di
malavoglia o con intenzioni insincere. Essi si aspettavano che
le « convertite soltanto in nome» avrebbero presto colto un'oc-
casione per andarsene, se non fossero state cacciate prima. In
effetti, gli Otto di Guardia dovevano occuparsi spesso di uomini
che cercavano di far uscire le loro ex amanti dalle case. Bastiano
il sarto non solo persuase l'ex-meretrice Maria a scappare con
lui da Santa Elisabetta, ma commise una colpa ancora più grave
portandosi via anche la dote che le aveva dato il padre. Nei
registri di quell'istituto si riscontrano anche casi di donne che
entravano per la seconda volta. I regolamenti delle Malmaritate
prevedevano un margine di recidività da parte di donne tempo-
raneamente prive di un lavoro onesto e da parte di quelle che
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se ne andavano in « malo modo » e ricadevano nel peccato. Le
prime sarebbero state riaccettate subito, per le altre si sarebbe
fatta una votazione. Certamente la seconda volta avrebbero
dovuto mostrarsi più umili ed essere pronte a svolgere i lavori
più servili nella casa (ASF, Bigallo 1691; Acquisti e doni; Con-
venti soppressi).
Ed ora una domanda molto importante: chi erano le altre
donne che entravano a Santa Elisabetta o alle Malmaritate?
Poche, come le vedove, vi andavano per volontà propria. Nel
1642 la signora Bartolommea Bracciolini messa, da colui .che
aveva promesso di farle da benefattore, di fronte alla scelta tra
prendere l'abito monacale o vivere una onorevole vedovanza,
entrò a Santa Elisabetta, presentata da persone rispettabili della
sua parrocchia, e divenne Suor Felice Angiola. Ad una sua con-
temporanea fu offerta un'opportunità simile, solo che si trattava
di una donazione solo temporanea. Precedentemente, in un altro
caso, l'Ufficio dei Pupilli, che sopraintendeva alle proprietà dei
minori sotto tutela dello Stato, mise a disposizione dei fondi
per completare la dote della vedova Mona Margherita, che desi-
derava entrare nel convento (ASF, Conventi soppressi).
Erano molte di più le donne che, volenti o nolenti, erano
mandate alle Convertite dalle parti interessate o dalle autorità
religiose o civili. Per tutta la durata dell'esistenza delle case,
le autorità civili dovettero affrontare il problema di che fare
con le donne « irregolari », quelle che erano uscite dai ruoli pre-
visti per loro o che non riuscivano a inserirvisi. Le autorità
risolsero il problema in modi che appaiono piuttosto confusi e
casuali: mandando la vittima di un rapimento nel carcere delle
Stinche, confinando un'uxoricida in monastero, e collocando a
Santa Elisabetta una decenne sodomizzata. In questo modo le
case delle convertite si trovarono ad ospitare una varietà etero-
genea di donne, che si trovavano li per ragioni diverse. Per
alcune, si trattava di una sistemazione temporanea, come nel
caso di due viaggiatrici che vi erano state mandate dagli Otto
essendo state assalite mentre erano dirette a Roma, o nel caso
di una ragazza per la quale Ginevra de' Medici chiese ospitalità
finché suo padre non fosse tornato a prenderla. La fanciulla pre-
feriva Santa Elisabetta alla vita con il padre e fece un tMe
trambusto al momento di andarsene, che la badessa disse che
le ci sarebbero volute mille lingue per descriverlo. Per altre, la
casa era una prigione. Nel 1537 gli Otto di Guardia chiusero
Betta di Michele per due anni nella prigione del Monasterio
delle Convertite per aver tentato di avvelenare la sua padrona.
L'istituto nel suo complesso fungeva da prigione in senso figu-
rato, quale che fosse la durata della condanna. Ed anche in
senso letterale: i regolamenti delle Malmaritate prescrivevano
che nella casa ci fosse una prigione munita di ceppi, sostenendo
che « dato che nei monasteri ci sono, a maggior ragione ne
avremo bisogno noi» (ASF, Acquisti e doni; Otto di Guardia
Repubblicana; Medico avanti Principato; Bigallo 1691).
Problemi coniugali di ogni sorta facevano finire le donne
fra le convertite. Nell'Italia rinascimentale non sempre i legami
del matrimonio erano definitivi. Essi erano soggetti in misura
sorprendente ad ambiguità ed eccezioni legali. Il governo spesso
53
interveniva di propria iniziativa e in risposta a petlZloni per
risolvere le controversie. Verso la fìne del quindicesimo secolo
troviamo Santa Elisabetta ospitare temporaneamente una fan-
ciulla di buona famiglia sospettata di essere stata indotta al
matrimonio contro la sua volontà, e una moglie fuggita di casa
alla quale era stato ordinato di tornare dal marito oppure di
farsi monaca. L'istituto fungeva anche da ricovero per mogli
maltrattate. Gli Otto comandarono a una donna particolarmente
turbolenta di restare chiusa in convento, minacciandola di ri-
spedirla dal marito se se ne fosse andata. Molto più tardi, Donna
Lucrezia di Lorenzo Ferrini, abbandonata dal marito da molti
mesi e con la garanzia addirittura di un marchese, entrò a Santa
Elisabetta per vivere la vita religiosa (ASF, Medico avanti Prin-
cipato; Otto di Guardia Repubblicana; Conventi soppressi).
In quanto istituto destinato a donne sposate, le Malmaritate
facevano parte di un più ampio fenomeno contro-riformistico.
Anche altrove in Italia, i riformatori post-tridentini considera-
vano la necessità di controllare la violenza intrafamiliare, come
una caratteristica della propria epoca turbolenta. In quella che
essi intendevano un'ampia categoria, gli amministratori delle
Malmaritate volevano che la casa accogliesse, oltre alle mere-
trici coniugate, donne « che con pericolo della vita stanno con
i loro mariti». Così, al fine di non incoraggiare le donne oneste
ad abbandonare con leggerezza i loro sposi, due fratelli della
compagnia avrebbero sempre cercato di riunire la coppia. I fon-
datori vedevano il proprio ruolo come quello di pacificatori di
famiglie o di coppie in lite, ma facevano attenzione a non far
ritornare una donna a dei parenti che, dopo aver fatto pro-
messe solenni, sarebbero stati capaci di ucciderla una volta ria-
vutala tra le mani. In teoria, fra quelle da ammettere erano
incluse le donne in grado di ottenere dall'arcivescovo una li-
cenza di separazione per giusta causa, le adultere condannate a
essere rinchiuse nella casa e mogli i cui mariti desideravano
mettervele per più humiliarle, anche queste ultime costrette ad
arrivare con la licenza in mano. In pratica, in una delle poche
testimonianze che abbiamo che ciò sia realmente avvenuto, si
racconta che un certo Giambattista Tozzi, dopo aver fatto ri-
corso alle cure mediche di Domenico Pellegrini, un farmacista
fiorentino, ed aver riguadagnato la salute, prese a frequentare
la moglie del farmacista, Margherita, senza nessun riguardo per
l'onore di Domenico o della donna. Si incontrò con Margherita
nella casa del marito e la convinse a scappare con lui, portan-
dola in giro qua e là a suo piacimento e infine abbandonandola
alle Malmaritate senza il permesso del marito (ASF, Bigallo
1691; Acquisti e doni).
I fondatori delle Malmaritate vietarono l'accettazione di don-
ne vergini. Comunque, vedevano di buon occhio il fatto di rice-
vere fanciulle alle quali era stata tolta la verginità. Alcune per-
sone consideravano Santa Elisabetta un ambiente adatto in cui
sistemare delle innocenti per una educazione decente. In pre-
cedenza, il convento aveva dato asilo a fanciulle che erano state
sodomizzate. Esso fornì lo scenario in cui una sedicenne, tro-
vata colpevole di incesto con il padre, fu murata viva per cinque
anni. I patroni delle Malmaritate si aspettavano di avere fra la
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propria clientela anche ragazze di nobile famiglia che erano state
traviate. La cosa più importante è che le case delle convertite
servivano come luoghi di raccolta delle donne dif!ìcili, comprese
quelle che non potevano trovare rifugio presso altri monasteri.
Anche se riempivano alla rinfusa gli istituti di innocenti e di
colpevoli, i funzionari del governo e del convento si preoccu-
pavano di mantenere una qualche sorta di limite. Santa Elisa-
betta rifiutò a volte di accettare donne che erano state condan-
nate ad andarvi, e i magistrati ordinarono ad altre di tenere
lontana dalla casa la propria presenza contaminante. Nella se-
conda edizione dei loro regolamenti, gli amministratori delle
Malmaritate dimostrarono grande cruccio per la politica di
mescolare donne oneste e convertite. Non vedevano l'ora che
arrivasse il giorno in cui avrebbero potuto tenere due istituti
distintamente separati (ASF, Bigallo 1691; Otto di Guardia
Repubblicana; Otto di Guardia Granducale; Sommario 1583 ):
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gestione e ai profitti del convento, e sopra di loro le madri del
titolo. Quelle che intendevano seguire la carriera religiosa da
conversa a professa/velata, con i costi, i riti e i voti che l'accom-
pagnavano, potevano farlo sin dall'inizio o per gradi nel corso
del tempo. Il punto di partenza scelto dalla donna al momento
del suo ingresso in convento, sembrava dipendere da due fat-
tori: la preferenza personale o quella del benefattore, e la quan-
tità di denaro di cui poteva disporre. In seguito a un processo
si scopri che la « povera puttanuccia » Margherita di Pavolo
Giardinieri, entrata a Santa Elisabetta nel 1638 grazie alla ca-
rità di alcune gentildonne, aveva abbastanza denaro per diven-
tare monaca servigiale/conversa, ma non monaca velata. Alcune
sue contemporanee, dieci prostitute registrate all'Onestà, entra-
te il giorno della preghiera della Maddalena del 1661, si com-
prarono l'accesso al grado - conversa o velata - che potevano
permettersi, costando il secondo circa quattro volte più del
primo. Il possesso o meno della somma necessaria non era sem-
pre una determinante esclusiva. In alcuni casi le autorità o
rinunciarono a esigere la dote o concessero un rinvio. E le donne
potevano cambiare il proprio grado dopo un certo periodo tra-
scorso nell'istituto. Una ex-prostituta convertita del sedicesimo
secolo rimase a Santa Elisabetta per due anni prima di diven-
tare monaca, dando come dote la sua unica proprietà: la casa
(ASF, Conventi soppressi).
Le donne che volevano entrare alle Malmaritate dovevano
rivolgersi all'assemblea della confraternita e poi aspettare una
indagine e spesso una votazione. Quale che fosse la condizione
sociale delle donne ammesse, si esigeva che tutte quelle in grado
di farlo, pagassero in parte o per intero le spese per il cibo, la
legna, ecc., che ammontavano mensilmente a tre scudi. Da quelle
che veramente non possedevano nulla, il contributo a queste
spese veniva ottenuto tassando i loro lavori, oppure con lo svol-
gimento di lavori domestici extra. Allo scopo di cautelarsi con-
tro i benefattori che potevano sottrarsi alle promesse di aiuto,
i fondatori richiedevano un deposito in denaro da usarsi per le
spese della convertita e, in seguito, per aiutarla a diventare suora
o a sposarsi. La casa delle Malmaritate offriva un percorso di-
verso da quello di Santa Elisabetta. Le sue ospiti, alla fìne, pote-
vano diventare domestiche o suore fuori dell'istituto, ma non
al suo interno. Oltre a un noviziato che durava da uno a due
mesi, non esistevano altre differenze ufficiali di grado fra le
abitanti. Tuttavia, sforzandosi di tenere una condotta partico-
larmente buona, le donne delle Malmaritate potevano migliorare
la loro posizione. A quelle particolarmente virtuose veniva pro-
messa come premio l'esenzione dai pagamenti per brevi periodi
e un aiuto sotto forma di rendita, dote e altri mezzi quando,
con il beneplacito della Compagnia, lasciavano la casa (ASF,
Bigallo 1691).
La vita quotidiana delle convertite era più comoda che asce-
tica. Alle Malmaritate, dove mangiavano tutte insieme nel re-
fettorio, avevano carne tre giorni e mezzo alla settimana; uova,
pesce, verdure e cereali gli altri giorni; e cibi particolari, come
la frutta, in occasioni speciali. Nqn venivano sollecitate a digiu-
nare più di una volta a settimana, di venerdl, come richiesto
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dalla Chiesa. Ad eccezione di brevi periodi iniziali di precarietà
finanziaria, le sorelle di Santa Elisabetta condividevano una si-
mile abbondante dieta, compreso il vino (ASF, Conventi sop-
pressi).
Oltre a mangiare bene, le donne vivevano in ambienti rela-
tivamente gradevoli. Le residenti alle Malmaritate occupavano
tre piani di un grande appartamento in Via della Scala. Avevano
una cappella a pianterreno, una cucina, un refettorio, un dormi-
torio, una zona separata per le novizie, una prigione e una sala
per le udienze dove avevano luogo le riunioni della confrater-
nita. Dai regolamenti si ricava l'impressione che la casa fosse
adeguatamente ammobiliata e attrezzata; fra gli altri articoli,
c'era una cassa chiusa a chiave per ogni residente.
In inventari aggiornati ogni sei mesi si teneva nota degli og-
getti di uso domestico comprati, donati e imprestati per le ne-
cessità delle convertite (ASF, Bigallo 1691).
Il convento di Santa Elisabetta era composto da una cap-
pella, un refettorio, una cucina, una dispensa, una prigione, un
parlatorio e da altri ambienti di uso comune, e da molte stanze
singole e appartamentini dove vivere e dormire. Alcune suore
vivevano in appartamenti fuori dal monastero, ma la maggior
parte soggiornava all'interno, in stanze che avevano ereditato,
acquistato al momento di entrare o subaffittato da altre. Le
stanze erano proprietà sulle quali qualcuno - una singola per-
sona o il monastero - vantava sempre un diritto legale. Spesso
quelle che entravano acquistavano l'alloggio di suore decedute
da poco. Cosf, in un caso del diciassettesimo secolo, le stanze
di Suor Andrea, monaca defunta, furono vendute a Filippo di
Baccio Castellani, affinché le mettesse a disposizione di Cate-
rina di Salvetti detta la Bigia, che doveva entrare nella casa
entro l'anno, con la clausola che dopo 12 mesi la proprietà delle
stanze sarebbe tornata al convento. Le sorelle approffittavano di
ogni possibilità offerta per migliorare la propria condizione, tra-
slocando in alloggi migliori non appena le circostanze e le fì.
nanze lo permettevano e arrivando perfino all'imbroglio per
ottenere gli spazi preferiti. Opere d'arte minore, soprattutto im-
magini pie della Madonna e della Maddalena ingentilivano la
casa, nelle stanze comuni o in quelle private (ASF, Conven •
soppressi).
Com'era prevedibile, soprattutto nell'epoca post-tridentina di
riforma dei conventi femminili, la clausura era destinata a re-
gnare in queste case. Ambedue gli istituti cercavano di tenere
le donne chiuse dentro e i visitatori fuori. A parte i rari estranei
autorizzati, le residenti alle Malmaritate potevano aspettarsi di
ricevere, occasionalmente, il governatore e tre volte la settimana
le gentildonne della confraternita, che calavano su di loro per
esortarle, incoraggiarle e ammonirle. Le donne convertite non
potevano lasciare gli edifici tranne che in situazioni di estrema
emergenza e, in quel caso, dovevano essere accompagnate da
membri della Compagnia. Il regolamento delle Malmaritate pre-
scriveva che: i magazzini fossero ispezionati mensilmente; la
corrispondenza fosse controllata - in effetti carta e inchiostro
erano tenuti sotto chiave -; nessun visitatore fosse ammesso
senza autorizzazione, nemmeno membri della famiglia, e nessun
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colloquio con visitatori autorizzati si svolgesse senza sorveglian-
za. Il fervore con cui i fondatori accumulavano precauzione su
precauzione nel regolamento sembra testimoniare una implicita
timorosa consapevolezza che la pratica non si sarebbe mai ade-
guata a una prescrizione cosl severa (ASF, Bigallo 1691).
Persino nel convento di Santa Elisabetta, sottoposto a un
regime di clausura ufficiale, una certa rilassatezza e un margine
di manovra mitigavano, a volte, l'atmosfera. Vi si verificò l'in-
teressante caso di Suor Antonina Ferrante Vannucci, le cui
spese venivano pagate da un benevolo sacerdote, anche perché
ella svolgeva mansioni di sagrestana, a condizione che vivesse
da brava monaca e che non se ne andasse al cancello a chiacchie-
rare con visitatori non autorizzati, specialmente con i genitori
o i parenti. Negli anni seguenti, sorsero numerosi contrasti
quando il sacerdote accusò Antonina di aver contravvenuto alle
sue raccomandazioni. Una volta, dimostrando una notevole
inclinazione ai cavilli, ella negò che i contatti per corrispondenza
costituissero una violazione, perché scrivere lettere non era
stato specificamente proibito e arrivò a mettere in discussione
le clausole generali poste dal sacerdote con la motivazione che
e~e interferivano con l'autorità legale, e in alcune circostanze
anche con i desideri dei suoi superiori al monastero.
A volte gli uomini irrompevano nelle case e convincevano le
donne a seguirli. Altre se ne andavano con sorprendente faci-
lità sotto lo sguardo benevolente degli amministratori. Un docu-
mento del diciassettesimo secolo registra dettagliatamente le
numerose partenze - spesso autorizzate - che avvengono ogni
anno sia prima che dopo la monacazione, di donne che scopri-
vano improvvisamente che i loro mariti erano vivi o che sempli-
cemente decidevano di non poter tollerare la vita del convento
(ASF, Conventi soppressi, Acquisti e doni).
Il programma di rieducazione che i fondatori avevano in
mente per le convertite poneva l'accento sull'attività di devo-
zione e sul rinnovamento spirituale. Esse prendevano parte agli
uffici divini e adempievano ai doveri religiosi alle cui osservanze
le case erano obbligate per via delle beneficenze godute. A Santa
Elisabetta le suore dovevano occuparsi del culto divino, e nella
cappella delle Malmaritate si celebravano messe per i membri
della Compagnia vivi e defunti, per le convertite e i loro bene-
fattori, e per tutte le feste. Le convertite assistevano alla messa
almeno due volte a settimana. Dovevano ascoltare sermoni, con-
fessarsi e comunicarsi. Soprattutto i loro superiori si aspetta-
•vano che pregassero, per gli altri e come penitenza, o per le
azioni cattive commesse di recente nella casa. Alcune donne
prendevano molto a cuore questi compiti e il ruolo stesso. Una
delle sorelle di Santa Elisabetta, Madre Suor Maria Lorenza
Giordani, pare abbia svolto la funzione di guida spirituale di
una famiglia: riceveva una devota corrispondenza da una coppia
di marito e moglie. L'uomo, Pier Lorenzo Bracciolini, nel 1669
le scrive di aver avuto l'intenzione di farle visita per confessarle
i suoi peccati, ma di non aver potuto, e acclude il contratto di
una donazione a suo favore.
Altre invece si sottraevano alle pressioni e alle richieste cui
venivano sottoposte: nel 1661, a Santa Elisabetta le suore« non
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fanno la musica». Negli istituti era possibile infatti cavarsela
con un minimo di osservanza religiosa e seguire l'inclinazione a
uno stile più laico, secolare, e occuparsi di altre attività (ASF,
Conventi soppressi, Bigallo 1691).
Secondi in ordine di importanza nel riempire la giornata
delle donne venivano i lavori domestici. Alle Malmaritate le
regole esigevano che a ognuna fosse assegnato un compito nel
ruolino di servizio settimanale. Oltre ad essere una necessità
pratica, il lavoro domestico serviva a rendere umili. Alcune po-
tevano farne più di altre a parziale contributo delle spese. _Pro-
babilmente, le convertite si assistevano fra di loro, cosl come
facevano le suore a Santa Elisabetta, con l'aiuto di un medico
e di un'infermiera. Inoltre le donne alle Malmaritate lavora-
vano. I loro lavori - organizzati in base alle loro capacità e
con materiali forniti dal provveditore - costituivano probabil-
mente una sorta di industria a domicilio. I fondatori destina- •
rono al lavoro una collocazione precisa nel regime della casa.
Sarebbe servito a tenere a bada il diavolo e avrebbe costituito
una risorsa tassabile per il rimborso delle spese di sostenta~
mento e per pagare necessità particolari delle abitanti. Essi fe-
cero molta attenzione che le convertite non fossero sfruttate,
dando istruzioni ai funzionari della casa di usare le conoscenze
della Compagnia per trovare loro dei lavori, preferibilmente per
estranei, con i quali gli accordi sarebbero stati presi al giusto
prezzo. Proibirono alle gentildonne « sorelle » di obbligarle an-
che a piccoli lavori, come piegare i panni, senza compenso.
Da alcuni accenni è lecito pensare che anche le monache di
Santa Elisabetta possano aver lavorato (ASF, Bigallo 1691;
Conventi soppressi).
Le convertite difficilmente si staccavano dall'ambiente del
commercio e delle transazioni finanziarie. In una certa misura,
gli amministratori degli istituti le incoraggiavano ad affinare,
per conto proprio e delle case, quella sensibilità economica che
avevano acquisito con la prostituzione o in qualunque altra si-
tuazione. Per dirla in un altro modo, è innegabile che molte
donne approfittarono delle possibilità che si offrivano negli isti-
tuti per sviluppare questo acume. Nella casa delle Malmaritate
i funzionari da un lato desideravano veder soddisfatte le t!si-
genze delle abitanti e perciò ripartivano le donazioni speciali fra
tutte in modo egualitario, riconoscevano dall'altro anche il prin-
cipio di una considerazione differenziata dei redditi e delle pro-
prietà delle inquiline. Dopo una completa dichiarazione dei pro-
pri beni richiesta per stabilire il pagamento, colei che entrava
poteva trattenere tutto quello che aveva portato con sé per uso
personale. Poteva conservarlo in una cassa chiusa a chiave ed
esigere la restituzione delle cose prestate alla casa, se se ne an-
dava dietro autorizzazione. Gli amministratori delle Malmari-
tate incoraggiavano le donne a ricorrere al loro aiuto per pro-
teggere o aumentare i loro beni. Persone appositamente inca-
ricate di tale compito le avrebbero aiutate a rientrare in pos-
sesso di proprietà impegnate o rimaste presso terzi, oppure a
venderle in contanti, se la convertita lo desiderava. Funzionari
della compagnia avrebbero assistito le donne con cause in corso,
che avessero voluto fare pressione su chi le aveva frodate, chi
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si era sottratto alla promessa di fornire una dote o « preso »
la loro verginità (ASF, Bigallo 1691).
Le monache di Santa Elisabetta si occupavano delle questioni
finanziarie del monastero. Esse avevano una partecipazione agli
affari che riguardavano l'istituzione nel suo complesso come le
donazioni, le rendite delle proprietà della casa e il prestito dei
suoi fondi. I contratti standard per simili transazioni, come'
quelli usati da altri conventi, elencavano uno per uno i nomi
delle suore congregate; la maggioranza dei due terzi delle mo-
niales professae aveva pieni poteri di rappresentare il capitolo
e di agire nel suo interesse. A volte la badessa esponeva questi
progetti finanziari alla comunità riunita in refettorio, dove veni-
vano discussi e poi accettati o respinti. Le suore, oltre a chie-
dere la carità nelle strade, cercavano di arricchire le finanze del-
l'istituto in altri modi. All'inizio del diciassettesimo secolo, tro-
viamo due monache che provvedono al pagamento di alcune case
acquistate dal convento. Esse dovevano essere rimborsate con
azioni del Monte delle Graticole e con messe celebrate per loro
prima e dopo la morte. Le proprietà appartenenti a suore pote-
vano finire a beneficio della comunità, come entrate che esse
desideravano spartire collettivamente o lasciare in eredità (ASF,
Conventi soppressi).
Alcune delle proprietà possedute dalle donne di Santa Elisa-
betta potevano restare nettamente private. Contravvenendo di-
rettamente alle prescrizioni del Concilio di Trento, le suore non
incorporavano tutti i loro beni nel convento. Al contrario, si
tenevano ben stretti i loro palazzi e le loro terre e si facevano
aiutare dai procuratori ad affittarli e amministrarli. Apparente-
mente questo fenomeno sfuggl all'attenzione e alla collera del-
l'unica visita apostolica del sedicesimo secolo. Dall'abbondante
corrispondenza riguardante affari economici, contratti e processi
legali, che è rimasta da Santa Elisabetta, possiamo farci un'idea
delle prime donne moderne che lottano per la sicurezza econo-
mica. Dalle più povere e ignoranti a quelle capaci di far sfoggio
di eloquenza, tutte cercavano di proteggere se stesse e di aumen-
tare il loro benessere. Esse intentavano cause o venivano citate
in giudizio per debiti, proprietà e validità delle opere di bene-
ficenza. Esse commerciavano, vendevano, investivano e lascia-
vano in eredità, le loro terre, stanze, possedimenti e capitale.
Le monache imprestavano denaro a persone esterne, civili, e
l'una all'altra. Questo spirito imprenditoriale non risparmiava
nemmeno le analfabete, che si impegnavano in manovre finan-
ziarie e speculative. Nel '600 tre appartenenti al convento strin-
sero un patto per dividere una specie di progetto di assicura-
zione sulla vita - le spoglie. Suor Francesca Zenobia Strozzi,
loro contemporanea, faceva il cambio di valuta per tre fratelli
e rimase implicata in una causa per falso. Una vedova consegnò
una grossa somma di denaro a un nobile fiorentino, forse il suo
mundualdo, o tutore, e si accordò con lui in modo che il denaro
le fosse versato in quote annuali. In breve, abbiamo qui un'ulte-
riore possibilità di correggere l'antiquata immagine che le donne
nella società Rinascimentale fossero non possidenti. Persino
quelle che erano prive di tutto all'esterno, potevano trovare in
convento nuove opportunità per sviluppare il proprio talento
60
manageriale (Archivio Vaticano, Roma; Archivio Sacra Con-
gregazione del Concilio, Visite Apostoliche; ASF, Conventi sop-
pressi).
Per quanto riguarda la qualità della vita nelle case delle con-
vertite, le aspettative e l'esperienza non divergevano di molto.
I fondatori speravano in un'atmosfera fatta in gran parte di
armonia e di reciproco conforto. Nelle loro intenzioni, ammi-
nistratori e personale dovevano avere rapporti di assistenza,
sebbene a distanza, con le donne degli istituti. Essi speravano
che le convertite particolarmente virtuose servissero da esempio
alle loro compagne. I fondatori cercarono di limitare certe forme
di intimità: vecchie e nuove familiarità fra amministratori e
residenti e contatti fisici fra le convertite. Era ammesso l'uso di
dividere le stanze, ma non i letti. Alle Malmaritate l'accettazio-
ne delle nuove dipendeva dalla disponibilità di un letto privato,
sia che fosse della casa o loro personale. I funzionari vi imposero
l'uso di tenere accese tutta la notte le luci nel dormitorio e dei
controlli periodici da parte della priora per assicurarsi che ogni
convertita fosse nel proprio letto. A parte queste limitazioni, in
effetti si supponeva che le donne conducessero una vita comune
sul lavoro e negli svaghi. Sebbene non sembra che si siano spinte
cosl lontano come le abitanti della casa delle convertite di Milano
nel sedicesimo secolo, dove quasi metà delle ospiti aveva for-
mato delle coppie per darsi sostegno emotivo e sessuale, le don-
ne degli istituti fiorentini certamente traevano giovamento e
conforto nella reciproca presenza. Vincoli familiari e legami di
affetto e dipendenza univano molte donne nelle case. Come Suor
Bartolomea Leonora Corsini, che nel 1695 lasciò in eredità una
somma di denaro e la sua stanza alle suore Maria Stella e Laura
Francesca che l'avevano assistita durante la malattia, molte mo-
nache di Santa Elisabetta facevano nel testamento dei lasciti in
ringraziamento per l'amicizia e l'assistenza (ASF, Bigallo 1691;
Conventi soppressi; Liebowitz 1978}.
I patroni degli istituti previdero un certo grado di conflittua-
lità interna. Il regolamento delle Malmaritate offre dei sugge-
rimenti per evitare gelosie, favoritismi e lotte di potere fra
quelle che ricoprono ruoli direttivi. È possibile che le donne di
quella casa abbiano trovato pesante il tono paternalistico de
l'istituzione. Appartenere alla confraternita di Santa Maria Mad-
dalena sopra le Malmaritate significava al tempo stesso parteci-
pare allo spirito della fratellanza cristiana e poter riaffermare la
superiorità di classe; per lo meno cosl doveva essere, se i membri
seguivano le esortazioni dei fondatori a instillare sentimenti di
umiltà e sottomissione nelle convertite e ad assicurarsi che esse
fossero adeguatamente riconoscenti per le attenzioni loro rivolte
da persone che, in passato, le avrebbero abbandonate al loro
stato di peccato.
I fondatori intuirono che se le convertite fossero state trat-
tate finanziariamente con troppa disparità, non ci sarebbe mai
stata pace fra di loro. Infatti questo accadeva a Santa Elisabetta.
Nel 1619 gli amministratori vi introdussero due riforme desti-
nate a diminuire le occasioni di litigio fra le donne. Essi comin-
ciarono a servire vino puro oltre che alle velate, anche alle
servigiali, che prima lo ricevevano allungato con acqua; e fa-
61
cendo qualche taglio sugli approvvigionamenti di carne e di
altri viveri, eliminarono l'annuale riscossione di tasse. Un fun-
zionario manifesta il proprio sollievo per il nuovo progetto,
raccontando che « ogni volta che si havevano à risquotere le
dette tasse si faceva sempre una comedia, petche chi diceva io
ho hauto, et ho male, chi diceva io non ho da lavorare, chi
diceva io sono in ufuio, e chi una caso, e chi un altra, è tal che
era sempre romore e contesstazione fra loro ... » (ASF, Bigallo
1691; Conventi soppressi; Trexler 1973).
Davanti alle convertite che non riuscivano ad adattarsi alla
vita nella casa, si aprivano due strade: la punizione e l'abban-
dono dell'istituto. Il convento di Santa Elisabetta usava la pro-
pria prigione. Gli amministratori delle Malmaritate escogitarono
una varietà di punizioni come severi ammonimenti di fronte al-
l'iptera Compagnia, e atti di penitenza, fra cui la condanna a
restare in piedi davanti alle altre che mangiavano, con un baston-
cello in bocca - imitando atteggiamenti di donne virtuose; per
atti di disobbedienza gravi, brevi periodi in una cella sprangata.
Già all'epoca in cui redassero il regolamento, gli organizzatori
de e Malmaritate si trovarono ad affrontare minacce di abban-
dono da parte del gruppo di convertite volontarie. Le donne
convertite avevano cercato di procurarsi l'aiuto di altre - so-
relle della Compagnia e una religiosa esterna - contro dei supe-
riori che esse consideravano eccessivamente zelanti. Esse affer-
marono di aver resistito molti mesi per il desiderio di salvarsi
l'anima, ma di non poterlo più fare, e minacciarono di andarsene.
In un caso, l'aver dato sfogo alla collera fu sufficiente per dissi-
parla; in un altro, il governatore andò a « vedere » il bluff di-
cendo « noi non le vogliamo cosl inquiete, et che però chi non
ci vuol stare satisfaccia per le sue spese et se ne vadia ... » e non
trovando nessuna che accettasse, concluse che si era trattato di
finte minacce. Da Santa Elisabetta le ospiti potevano congedarsi
con un permesso. Alcune invece fuggivano illegalmente, spesso
con l'aiuto di uomini. Una simile azione era soggetta a puni-
zione per ambo le parti e a volte le donne venivano rimandate
nell'istituto. Sia Santa Elisabetta che le Malmaritate ammette-
vano la recidività. Le case fiorentine delle convertite, non facen-
do richiesta di voti perpetui, mantenevano dunque aperta una
via di ritorno nel mondo per quelle che erano decise ad affron-
tare le incertezze della vita all'esterno (ASF, Bigallo 1691;
Acquisti e doni; Conventi soppressi).
62
una certa misura un'alternativa all'autorità e al dominio pa-
triarcali, cosi come questi si manifestavano specialmente nella
famiglia. Molte donne trovavano dentro le case la libertà e
l'opportunità di sviluppare capacità di amministratrici di pro-
prietà, che non avrebbero mai trovato all'esterno. Le case of-
frivano anche una quarta alternativa alla scelta fra monastero,
matrimonio o prostituzione, sia che vi si andasse per propria
scelta o per costrizione. La segregazione negli istituti non era
necessariamente permanente: essi offrivano alle donne la possi-
bilità di essere restituite alla società per un secondo tentativo
o con una nuova identità. Infine, gli istituti delle convertite
erano comunità femminili solo in parte religiose: le loro abi-
tanti avevano, o si prendevano, la facoltà di scegliere il proprio
stile di vita, decidendo a volte perfino di abbandonare l'istituto.
Sotto questo aspetto, le case costituirono il prototipo per alcuni
modelli di istituti laici che conosciamo oggi: scuole, collegi,
ospedali e ospizi.
63
Carroll Smith-Rosenberg
Il GrandeRisveglio
Religiose radicali nell'America jacksoniana *
64
simili le forme culturali diventano come i vetri di un caleido- -------
scopio, le componenti frammentate e diverse di un tutto che
non è mai armonioso e compatto, oppure danno luogo a un'ela-
borazione che sottolinea i cambiamenti strutturali in atto, la
trasformazione della struttura del potere, le aree di conflitto
emergenti.
L'antiritualismo è alla base di tale elaborazione, poiché è
nei momenti di trasformazione della struttura sociale che l'anti-
rituale emerge come linguaggio dell'antistruttura. Ma questa
assenza della struttura è ben diversa a seconda che sia vissuta
come movimento o come marginalità e inferiorità. Perciò l'anti-
ritualismo, in quanto espressione dell'antistruttura, parla con
voci divergenti. Quando è espressione dei. soggetti che si tro-
vano al centro dei mutamenti sociali e della loro esperienza di
movimento, di paura e di attesa, è una voce asessuata, la voce
di tutti coloro, uomini o donne, che sperimentano tali cambia-
menti. Ma l'antiritualismo possiede un'altra valenza linguistica,
che fa presa particolarmente sulle donne. È il linguaggio di chi
è perennemente in posizione marginale ed inferiore rispetto alla
struttura economico-sociale. Quando un rapido cambiamento so-
ciale sgretola l'ordine costituito, questi gruppi, nella speranza
di un rivolgimento, gettano parole di rabbia e disordine, inneg-
giano al caos, progettano di mettere il mondo sottosopra, aspi-
rano al potere. In questi momenti le donne, che in tutte le cul-
ture e in tutti i tempi personificano l'Altro, il Marginale, si acco-
steranno al linguaggio dell'antiritualismo, facendolo proprio.
Attraverso le parole di tale linguaggio le donne condanneranno
non soltanto la struttura patriarcale, ma la struttura in quanto
tale, e reclameranno il loro diritto alla soddisfazione individua-
le e a una liberatoria riconsiderazione delle idee di comunità e
di famiglia, nonché di quella che per definizione maschile, è la
biologia femminile.
L'antiritualismo attrae le donne solo fugacemente, in quei
rari momenti in cui la società stessa è sospesa ed esitante tra due
strutture; ma l'attrazione sparisce non appena una nuova strut-
tura prende piede, e le donne si ritirano in recessi socialmente
accettabili all'interno di quel mondo. Tuttavia, mentre la mag-
gior parte delle donne sono assorbite dalla struttura sociale, per "
quanto alterata nella forma, alcune di esse ne rimangono al di
fuori. Ai margini della forma, esse si appiglieranno all'antiri,
tualismo e ne useranno il linguaggio per combattere continua-
mente contro l'ordine.
È essenziale distinguere tra queste due voci dell'antirituali-
smo: da una parte quella provvisoria di gruppi in movimento
tra diverse posizioni sociali e dall'altra quella di chi riesce a
resistere all'assimilazione, e quindi riferirle entrambe ad una
diversa esperienza di antistruttura. L'intero fenomeno va inqua-
drato sullo sfondo realistico, anche se complesso, di una società
negli spasmi di una fondamentale riorganizzazione strutturale.
Il mio intento è di studiare il complicato rapporto delle
donne con l'antiritualismo religioso come un esempio dei modi
in cui diverse forme culturali vengono originate da esperienze
sociali differenti e a loro volta le riflettono. Nel periodo consi-
derato, cioè i primi quarant'anni del XIX secolo, ha luogo una
65
3.
massiccia trasformazione strutturale in America, che vede lana-
scita del capitalismo borghese, lo sviluppo di un dilagante,
sfrenato entusiasmo religioso e di movimenti revivalistici, e una
fondamentale riorganizzazione delle strutture familiari e ses-
suali.
Tra il 1790 e il 1850, tre rivoluzioni economiche distrussero
in America la società agraria tradizionale. Tali rivoluzioni tra-
sformarono i meccanismi di comunicazione, trasporto e produ-
zione economica (Henretta, 1973 ). I giovani muovevano a
frotte dai tradizionali e statici villaggi agricoli del New England
rurale verso l'ovest e, più significativamente per la nostra ana-
lisi, verso la nuova frontiera urbana, i grandi porti della costa
orientale e i nuovi centri commerciali che fiorivano lungo i ca-
nali e le strade ferrate verso l'ovest e il cuore agricolo ame-
ricano. Pochi potevano sapere per certo dove avrebbero trovato,
all'interno di questo mondo sconosciuto ed in continua evolu-
zione, spazi di potere o di sicurezza. Nel nuovo mondo borghese
difatti, instabilità economica e mobilità verso il basso erano più
frequenti della mobilità verso l'alto. La funzione e la struttura
della famiglia e della conduzione familiare, le dinamiche di po-
tere tra padri e figli, il ruolo e lo spazio delle donne cambiarono
drammaticamente quando la prima famiglia borghese, isolata ed
economicamente non produttiva, fece la sua comparsa nel pae-
saggio urbano. L'esperienza che di questi cambiamenti ebbero
le donne fu intensa e conflittuale. Le giovani donne che si spo-
stavano tra fattoria e città sperimentavano la stessa insicurezza
dei loro fratelli, inoltre le rivoluzioni economiche trasformarono
la vita delle donne, sposate e non, in modo molto più radicale
che non quella degli uomini.
Com'era da prevedere questi anni furono testimoni del dila-
gare dei revival e dei frequenti tumulti religiosi del secondo
Grande Risveglio. Con l'emergere di nuove sette, le vecchie
confessioni sperimentavano una frammentazione conflittuale.
Comunità utopiste e millenariste si misero a praticare forme di
visionaria idealizzazione dei rapporti familiari, sessuali e raz-
ziali, su cui l'individualismo era sovrano (McLoughlin, 1964 ).
La fede seguiva gli stessi percorsi tracciati dalla rivoluzione del
commercio e dei trasporti, si spostava verso ovest lungo il
canale Erie e si irradiava attraverso tutto il bacino del fiume
Ohio. L'entusiasmo religioso contava le sue maggiori vittorie
nei nascenti centri commerciali: tumulto religioso e ripudio di
legami costrittivi e gerarchici accompagnarono la trasformazione
economica dell'America (Johnson, 1978; Cross, 1950).
All'interno delle diverse chiese, uomini nuovi e nuove regole
lottavano per imporsi. Il movimento era guidato da chierici e
riformatori maschi, ma numericamente furono le donne a do-
minare nei revival e nella crescente partecipazione alla vita ec-
clesiastica del secondo Grande Risveglio. Fin dai tempi di San
Paolo, le donne erano state subordinate e messe a tacere all'in-
terno dello spazio sacro. Ora invece esse cominciavano a inter-
rompere il servizio divino per pregare a voce alta per le proprie
anime, per le anime dei mariti, dei figli e degli uomini a capo
della comunità, come anche per conoscenti e parenti donne.
Alcune perdevano il controllo del proprio corpo, gridavano, si
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mettevano a girare vorticosamente o a danzare; altre comincia-
vano a parlare lingue sconosciute; sante donne si sentivano chia-
mate da Dio a pregare e profetizzare. I ribelli religiosi di .sesso
maschile incoraggiavano decisamente le proprie donne ad orga-
nizzare incontri di preghiera, a criticare i ministri, a pregare a
voce alta in chiesa, perfino a lasciare la casa per andare per il
mondo a preparare il millennio. I Battisti del Libero Volere,
per esempio, e perfino alcune congregazioni presbiteriane, al
colmo del loro entusiasmo revivalistico, permettevano alle don-
ne di salire sul pulpito o di alzarsi in piedi per parlare durante
il servizio divino. Le donne, nuove elette, erano la voce ed il
simbolo della rivolta teologica degli uomini.
Le donne convertite nei revival formarono delle Bande Sacre
per assistere l'evangelista uomo nei suoi sforzi revivalistici. Esse
si incontravano con lui all'alba per la preghiera e poi lo aiuta-
vano a pianificare le strategie revivalistiche della giornata;
affiggeranno manifesti nei luoghi pubblici chiamando al ser-
vizio divino, premevano sui commercianti perché questi chiu-
dessero i negozi per partecipare al culto, agguantavano i pec-
catori e li facevano pregare con loro. Benché fossero « soltanto »
delle donne, esse tenevano veglie di preghiera nelle loro case
fino a tarda notte. Rivestite di zelo millenarista, membri spo-
sati e rispettati delle comunità, queste donne violavano restri-
zioni imposte per tradizione al comportamento femminile, si
appropriavano dello spazio sacro e portavano coraggiosamente
il messaggio di Cristo nelle strade.
Per raggiungere una maggiore efficacia esse oltrepassarono
l'individualità dell'ispirazione e formarono un gran numero di
organizzazioni non tradizionali e addirittura iconoclaste. Spinte
dalla religione, alcune donne attraversavano i precisi confini
tra le razze per fondare scuole per bambini e adolescenti neri,
provocando nella comunità violente reazioni. Facendo proprio
l'ideale radicale di William Lloyd Garrison, esse diventarono
membri attivi dell'Associazione Americana Antischiavista, col-
laborarono al giornale della società e ne costituirono di gran
lunga il nucleo più consistente dei suoi affiliati nei singoli centri
locali. Sulle pagine del giornale si reclamava il diritto per le "
donne a parlare in pubblico, ad avere posti di responsabilità
nelle organizzazioni maschili, a presentare petizioni agli organi
statali e federali, e tutto ciò in nome di una maggiore luce
interiore. Le donne parlavano liberamente di prostituzione e
doppia morale, facevano irruzione nei bordelli per discutere con
le prostitute e ammonire i protettori; formarono inoltre un'orga-
nizzazione femminile separatista ed un bollettino che pubbli-
cava i nomi degli uomini licenziosi, senza badare al loro prestigio
sociale o potere economico, e appoggiavano le donne della classe
operaia contro i borghesi. Tutto ciò nonostante la vigorosa oppo-
sizione dei capi religiosi, della stampa laica, e perfino delle
Poste degli Stati Uniti, che misero al bando la pubblicazione
dell'Associazione dichiarandola oscena. Nel 1835, il Consiglio di
Amministrazione della società spiegò il senso della propria mis-
sione con queste parole: « Non dobbiamo curarci delle opinioni
e delle influenze mondane, poiché esse sono pervertite e sba-
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gliate; individualmente dobbiamo agire come se fossimo al co-
spetto di Dio ».
La maggior parte di queste donne rimasero legate al mondo
tradizionale del matrimonio e della maternità; ma non tutte.
Visioni apocalittiche e voci selvagge attirarono alcune di loro
lontano da famiglie e comunità e le chiamarono a fondare nuove
religioni radicali: esse si consideravano le annunciatrici di un
mondo nuovo, al di là di restrizioni morali e norme comunitarie.
Fin dal 1780, due furono le figure femminili carismatiche
dei nascenti entusiasmi religiosi, che guidarono migliaia di don-
ne e di uomini nei movimenti religiosi rivoluzionari.
L'« Amica Pubblica Universale», Jermina Wilkinson, figlia
di un facoltoso agricoltore del Rhode Island, credeva di essere
morta e che Dio l'avesse resuscitata e mandata di nuovo sulla
terra come la Nuova Incarnazione. Già il nome che si era scelta
enfatizzava i valori universalisti e comunitari che dominavano il
movimento. Chiamandoli a ripudiare il mondo materiale e ad
affidarsi all'ispirazione diretta dello Spirito Santo, essa guidò i
suoi seguaci verso la frontiera dello stato di New York per
foqdare una nuova Gerusalemme dove la civiltà non era arri-
vata. Mescolando dottrine quacchere e credenze mistiche, il
suo movimento andava al di là delle denominazioni confessio-
nali e faceva a meno di una teologia formale e di ministri speci-
ficatamente istruiti. L'Amica Universale chiedeva di rinunciare
al peccato, condannava la guerra e la schiavitù, predicava il
celibato e la semplicità nella vita comunitaria, nel linguaggio e
nel modo di vestire. In quanto reincarnazione di Cristo, essa
personificava i nuovi poteri che l'entusiasmo religioso dava alle
donne e provocò un rovesciamento nel mondo religioso del
diciottesimo secolo.
Madre Ann Lee, fondatrice degli Shakers (Andrews, 1953),
predicava un messaggio simile ed altrettanto radicale. Come
l'Amica Pubblica Universale, Madre Ann credeva di essere la
reincarnazione di Dio in terra. Proclamandosi « Madre della
Nuova Creazione» e « Signora Vestita di Sole», la Lee fondò
una serie di comunità religiose tra le città che punteggiavano le
colline del Berkshire. La Madre predicava l'uguaglianza di tutti
i credenti, femmine e maschi, ricchi e poveri, insisteva sul celi-
bato assoluto e sulla vita comunitaria. Seconda apparizione di
Cristo, Madre Ann impersonava la parte femminile di Dio: per
gli Shakers Dio era allo stesso tempo il Padre del Potere e la
_Madre della Saggezza. Convinti della presenza interiore dello
Spirito Santo, i seguaci di Madre Ann gettarono al vento la
liturgia tradizionale. Quando si incontravano per pregare e
celebrare il servizio divino, essi non seguivano nessun ordine:
ognuno cantava, danzava, parlava lingue straniere, sedeva in
silenzio o girava vorticosamente in tondo per ore a seconda di
quello che decideva lo Spirito. Essi credevano che la loro fede
potesse curare le ossa rotte e renderli immuni dal freddo, dalla
fame e dal dolore. In particolare negli anni tra il 1830 e il
1850, da essi chiamati « i Giorni di Madre Ann », gli Shakers,
soprattutto le donne, furono caratterizzati da un intenso spiri-
tualismo, espresso in libelli, frequenti messaggi delle « Donne
Vestite di Sole» e selvagge pratiche liturgiche; il vino dello
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spmto intossicava, le vesti dello spmto seducevano. Le bare
dei morti erano trasportate insieme alle vesti dello spirito, e
Il Padre del Potere, La Madre della Saggezza, Cristo e Madre
Ann erano visti danzare sulle tombe. Cosi gli Shakers, riuniti
in comunità praticanti il celibato, avevano letteralmente sca-
valcato le barriere normative di comunità e famiglia. Il mondo
in cui vivevano aboliva confini e categorie codificati: quelli tra
donne e uomini, tra tempo ed eternità, tra spirito e materia.
Ma un'altra fonte di fervore entusiastico cominciava a pro-
filarsi sull'orizzonte spirituale; i Perfezionisti Cristiani crede-
vano che il paradiso potesse essere raggiunto sulla terra. I Per-
fezionisti erano convinti che il fatto di esser stati scelti da
Cristo li poneva al di là dei limiti della Legge, e unica guida
era la parola di Dio che si manifestava attraverso l'ispirazione
diretta. Né il peccato, né una moralità di routine, né le tradi-
zionali aspettative della comunità o della famiglia potevano le-
gare coloro che Cristo aveva reso liberi. Secondo John Hum-
phrey Noyes, Perfezionista di Y ale e capo spirituale carismatico
del movimento, lo Spirito Santo aveva abolito i legami tradi-
zionali del matrimonio e la proprietà sessuale. Gli eletti da Dio
formavano un'unica famiglia indivisibile.
Negli anni 1840, Noyes aveva condotto il suo entusiastico
gruppo di seguaci, femmine e maschi, ad Oneida, nello Stato di
New York, dove egli fondò una comunità perfezionista basata
sull'amore libero, l'uguaglianza tra i sessi, la crescita comunitaria
dei bambini, che non appartenevano ai genitori ma alla comu-
nità, e la limitazione nella frequenza degli orgasmi maschili (ma
non di quelli femminili). Altri Perfezionisti, che si erano dati
una struttura anche più semplice, cercarono soddisfazione spi-
rituale e sessuale in gruppi più piccoli e più informali. Altre
donne, prese dall'entusiasmo religioso, ripudiarono il cristiane-
simo tradizionale e la famiglia per unirsi ai Mormoni. Altre
ancora aprirono la mente e il cuore al mondo dello spirito:
erano molte più le donne che non gli uomini a diventare medium
dello spirito. Queste donne ripudiavano non solo la Trinità ed
il clero regolare, ma anche tutte le divisioni tra maschio e fem-
mina, tra corporeo e spirituale, tra passato e futuro.
I ribelli religiosi di sesso maschile avevano inizialmente so- "
stenuto gli entusiasmi religiosi delle donne. Ma ad un certo
punto la spinta rivoluzionaria della religione si esauri: nuovi
uomini e nuove regole arrivavano per costituire una nuova
norma; rituali e simboli fornivano di nuovo una tranquillità
spirituale. Una pubblica moralità sempre più in armonia con
l'individualismo economico e con la fiducia in se stessi predi-
cata dai testi laici prendeva piede al posto dell'ispirazione reli-
giosa. A questo punto i ribelli maschi cominciarono a dissociarsi
dalla ribellione socialmente iconoclasta delle donne.
Ripudiando le loro profetesse, questi uomini glorificavano
la nuova figura vittoriana della madre paziente e legata alla casa
e la nuova istituzione costituita dal nucleo isolato della famiglia
borghese. Svalorizzando l'intensa religiosità delle conversioni
revivalistiche, i sacerdoti sostenevano ora che la salvezza fioriva
nella pratica dell'educazione cristiana, ed era il risultato del-
l'amorosa disciplina materna. Ristabilendo i decorosi confini che
69
la tradizione aveva tracciato attorno alla figura della donna, i
ministri evangelici ricondussero il gregge femminile verso una
contenuta femminilità familiare e tradizionale. Quelle donne
che da poco si erano abbeverate di attivismo a una fonte reli-
giosa dovettero rinunciare alle loro speranze in un cambiamento
radicale di ruoli sociali e religiosi o rimettere in discussione la
loro aderenza al Protestantesimo evangelico.
Le donne scelsero entrambe queste strade. Molte seguirono
i loro ministri per riacquistare una rispettabilità: con lo sce-
mare del loro fervore revivalistico si avvicinavano ad organizza-
zioni filantropiche strutturate gerarchicamente e socialmente
accettabili, distribuivano Bibbie e opuscoli religiosi, fondavano
case protestanti per orfani cattolici e cercavano di portare Ja
parola di Dio alle larghe masse di poveri nelle città. Le ausiliarie
femminili, che al colmo del revival avevano assunto ruoli inno-
vativi ed autonomi, dovettero nuovamente sottomettersi alla
guida delle associazioni maschili. Organizzazioni di donne una
volta iconoclaste e radicali cominciarono a glorificare il focolare
domestico e ad agire in modo da riconoscere ed infine rafforzare
i nuovi rapporti di classe.
ia storia di alcune istituzioni illustra questa tendenza. La
Female Moral Reform Society, fondata da donne mosse da
profondo zelo religioso al culmine dei revival newyorkesi di
Charles Finney per denunciare la prostituzione e l'egemonia
sessuale ed economica dell'uomo che essa rappresentava, entro
la metà degli anni 1840, era cambiata significativamente unen-
dosi alle « Associazioni Materne ». Il suo scopo era ora quello
di salvare il mondo attraverso la materna manipolazione dei
bambini e il controllo sessuale sulle donne della classe operaia,
in particolare le domestiche. Nata come organizzazione femmi-
nile separatista, i cui membri avevano violato ogni norma so-
ciale in nome delle richieste immediate di Cristo e del millennio
ormai prossimo, essa divenne un baluardo dei principi sociali e
sessuali vittoriani (Smith-Rosenberg, 1971).
Ma altre donne ispirate reiterarono le loro rivoluzionarie
visioni religiose e sociali. Incapaci di rinunciare sia alla loro
partecipazione religiosa intensa ed individualista sia alla loro
esperienza di un nuovo ruolo femminile libero da restrizioni,
esse continuarono il loro assalto all'ordine costituito sia dentro
che fuori i confini religiosi.
Un decennio di millenarismo religioso riformista le aveva
portate a fondere antistrutturalismo e femminismo. Gli anni
1830, '40 e '50 le avevano viste impegnate in un'intensa egira
religiosa. Cosl quando il Protestantesimo Evangelico riaffermò
la necessità di un'organizzazione gerarchica e ritualistica, queste
donne cercarono la purezza intellettuale e spirituale in un com-
portamento religioso sempr~ più antistrutturale e riformista.
Femministe quacchere come le sorelle Grimké, Susan B. An-
thony e Lucretia Mott ripudiarono il Quaccherismo ortodosso
e la sua organizzazione sempre più moderata e formale. La
Anthony, insieme con l'ex-ministro congregazionalista Antoi-
nette Brown Blackwell, abbracciò l'Universalismo. La congrega-
zionalista Sally Holley denunciò il Trinitarianismo per diventare
un'Unitaria. Altre, in cerca di affiliazioni religiose che sotto-
70
lineassero rivelazione individuale, fluide strutture democratiche
e attivismo individuale, si avvicinarono prima ai Quaccheri di
Hicksite e poi ai non ortodossi e non strutturati Amici Progres-
sisti. Elizabeth Cady Stanton, con l'aiuto di Mary Livermore,
si costrul una propria Bibbia femminista che rigettava sia la
cristianità tradizionale sia i presupposti sessuali. Le sorelle
Grimké, Abby Kelly Poster e molte altre femministe volsero
le spalle alla cristianità tradizionale per abbracciare decisamente
lo spiritualismo. Tanto più si trattava di femministe decise,
tanto meno esse rimanevano entro i confini della cristianità tra-
dizionale o di organizzazioni riformiste strutturate gerarchica-
mente o socialmente accettabili.
Benché rappresentassero un ampio spettro di alternative con-
fessionali e politiche, le proteste religiose delle donne, e di
quelle che rappresentavano i quadri testardamente radicali, al
colmo della loro partecipazione entusiastica, e delle loro sorelle·
meno costanti, avevano in comune alcune caratteristiche basi-
lari: il ripudio di strutture organizzative sia rituali che formali,
la preferenza per forme intuitive od istintive di conoscenza ed
esperienza religiosa, la celebrazione dell'individuo; il rigetto di
sistemi punitivi contro la violazione di norme comunitarie, l'in-
debolimento, se non la negazione, delle divisioni tra spirito e
materia, tra tempo ed eternità.
Durante questi anni di radicali spostamenti sociali ed econo-
mici e di sperimentazione ideologica, l'antiritualismo delle don-
ne americane segul uno schema complesso: un iniziale confluire
di iconoclastia religiosa maschile e femminile; il ristabilimento
del rituale e dell'ordine da parte dei radicali uomini e di certe
donne; il persistere di altre donne nella marginalità; la maggiore
attrazione dell'antiritualismo sulle donne piuttosto che sugli uo-
mini attraverso tutto il periodo, come è evidente dal numero
dei convertiti del revival. Ma un tale schema non appartiene
solo all'America jacksoniana o al Protestantesimo evangelico:
ne ritroviamo i caratteri nell'eresia albigese e in altri movimenti
religiosi medievali, all'interno del Protestantesimo della Rifor-
ma nella Francia e nella Germania del sedicesimo secolo, nel
New England durante la controversia antinomiana e in Inghil-
terra durante la Guerra Civile (Thomas, 1958; Taylor, 19"/8;
Koehler, 1974 ).
L'avvicinamento delle donne all'antiritualismo avviene so-
prattutto nei momenti di rapido rivolgimento sociale. Tuttavia
le esponenti dell'antiritualismo superano le divisioni di classe
insieme alle distinzioni teologiche formali. Tra di esse troviamo
non solo donne oppresse economicamente e ai margini della
società, ma anche aristocratiche e specialmente borghesi. Perciò
l'antiritualismo femminile, anche se apparentemente legato ad
una dis~ontinuità economica, elude una semplice spiegazione
economicista. La chiave del problema sta nel fatto che durante
le prime decadi del diciannovesimo secolo le donne americane,
soprattutto del New England, non ebbero un rapporto costante
con l'antiritualismo. Le espressioni culturali da esse create cam-
biavano come cambiava il mondo intorno a loro. Non vogliamo
quindi semplificare il nostro problema congelando queste donne
ed il loro sfondo sociale in un singolo momento del tempo.
71
Mary Douglas, nella sua ricerca sui Simboli naturali, sugge-
risce l'esistenza di un'armonia intrinseca tra i sistemi di classi-
ficazione, di valori e di credenze e i sistemi economici ed isti-
tuzionali su cui una società si regge. In particolare, essa sostiene
che l'esperienza di un cambiamento sociale porta alla denuncia
del rituale, alla celebrazione del disordine e all'affermazione del-
l'individualismo. In un contesto simile sottogruppi ed individui,
distaccatisi dalla complessa rete dei rapporti e dei valori sociali,
si ritrovano sparsi, al di fuori dell'ordine riconosciuto. Ma per
sfidare le idee ricevute, per incoraggiare l'autonomia, per rifiu-
tare il controllo autoritario e i simboli del potere gerarchico
esiste il linguaggio: e qui, secondo la Douglas, troveremo « la
letteratura di rivolta» (Douglas, 1979).
Tuttavia, come da molto tempo sostengono gli storici, la
distruzione di una forma di organizzazione sociale non porta
al disordine permanente ma in definitiva alla ricostituzione del-
l'ordine. Così, forma e rituale ritornano; ma per coloro che
rimangono insoddisfatti dal nuovo ordine, o marginali ad esso,
disordine e fluidità possono mantenere la loro attrattiva; questi
.,.. gruppi possono continuare ad usare l'antiritualismo religioso
per resistere alla nuova struttura sociale e alle dinamiche del
potere, o semplicemente per dar voce alla loro marginalità.
Gli sviluppi sociali e religiosi nell'America dei primi anni
del diciannovesimo secolo rispondono al modello analitico gene-
rale della Douglas. L'uomo era ora responsabile della propria
salvezza; i gruppi riformisti insistevano sulle nuove categorie
dell'emarginazione sociale, sottolineando cosi il cambiamento
degli schemi sociali e le crescenti diversità sociali e culturali.
E fu proprio in questo momento che i ribelli religiosi di sesso
maschile si rivolsero alle donne come ad un gruppo ricettivo,
il cui attivismo simbolizzava un rigetto più generale di rituali e
restrizioni tradizionali. Le donne risposero all'invito degli uomi-
ni con entusiasmo, un entusiasmo che chiaramente rifletteva
una frammentazione sociale generale ed un movimento che don-
ne ed uomini sperimentarono insieme.
Ma il senso del cambiamento nelle donne era diverso da
quello degli uomini. L'ordine gerarchico e rigidamente struttu-
rato del New England del diciottesimo secolo aveva assoggettato
le donne ad un elaborato sistema di restrizioni sociali, economi-
che e religiose. Nonostante la loro produttività economica esse
si muovevano in una sfera di dipendenza: il loro status era
sempre quello di figlie e di madri; perfino la vedovanza offriva
poca autonomia.
Il loro forzato silenzio in materia religiosa sottolineava ri-
tualmente l'insistere delle istituzioni e della legge sulla loro
inferi ori tà.
La trasformazione dell'America in un paese commerciale e
di avvio dello sviluppo industriale sembrò offrire alle donne,
per un momento, la possibilità di nuovi ruoli e di un nuovo
potere. Rese alcune di esse economicamente indipendenti, forzò
altre a diventare tali. Il processo di urbanizzazione e commer-
cializzazione portò ad una ridefinizione dei loro ruoli e del loro
potere di fronte agli uomini della stessa classe. Inoltre, le donne
beneficiarono in modo specifico dei cambiamenti nella gestione
72
e dei revival religiosi di Utica nello stato di New York, ci offre
uno strumento teorico ideale per esplorare una serie di nuove
ipotesi. Utica, primo grosso porto sul canale Erie, costituisce
un esempio tipico di trasformazione di una comunità agricola
tradizionale in un nuovo centro commerciale. Tra il 1810 e gli
anni 1840, le figure socialmente ed economicamente fluide del-
l'agricoltore e dell'artigiano dell'epoca mercantilista, su cui Utica
e l'intero New England poggiavano nel diciottesimo secolo,
divennero obsolete. Insieme alla nuova classe operaia emerse
una borghesia stratificata, formata di mercanti, imprenditori in-
dustriali, professionisti e commercianti. La struttura e la mole
del lavoro domestico cambiarono: lavoro e residenza vennero
separati. Queste trasformazioni furono accompagnate a Utica
da un entusiasmo religioso che cominciò nel 1813-14 e continuò
fino alla fine degli anni 1830 (Ryan, 1981).
La Ryan fornisce un'analisi accurata dei tratti socio-econo-
mici e familiari dei revivalisti, le cui caratteristiche salienti fu-
rono, durante tutto il periodo e in tutte le chiese revivalistiche
di Utica, la giovinezza, la transitorietà e il loro essere donne.
« ~ano giovani» spiega la Ryan, « ... peripatetiche ... legate alla
chiesa e alla comunità da radici fragili ... da poco sradicate dalle
famiglie della frontiera». L'entusiasmo revivalistico si confa-
ceva soprattutto a quelle donne socialmente sradicate e poten-
zialmente ai margini del nuovo ordinamento economico, estro-
messe, almeno temporaneamente, dalla famiglia tradizionale e
dal villaggio agrario; e, tra queste, specialmente alle giovani.
Ma mentre queste caratteristiche d'insieme rimanevano co-
stanti, ci sono altri elementi pertinenti alle conversioni reviva-
listiche di Utica che possono spiegare le fasi ascendenti e di-
scendenti dell'antiritualismo delle donne. In certi momenti chia-
ve dell'evoluzione economica di Utica, il fervore religioso attirò
gli uomini quasi in egual numero delle donne, ed erano in buona
parte uomini ricchi e potenti. Il primo revival del 1813-14,
coincise con il primo forte impatto della rivoluzione commer-
ciale sulla struttura sociale tradizionalmente agraria di Utica.
Fu durante questo revival che si registrò la più alta percentuale
di convertiti maschi (48% ), provenienti dalla fascia più alta
dell'élite borghese di Utica: si trattava degli uomini che ave-
vano orchestrato la rivoluzione commerciale di Utica e ne bene-
ficiavano direttamente, i mercanti più ricchi, gli avvocati, i
proprietari terrieri e gli industriali. Nel 1819 invece, durante
• il secondo revival di Utica, quando i primi effetti dello sviluppo
improvviso del canale cominciarono a toccare la contea agraria
dell'Oneida, si verificò un cambiamento significativo nella com-
posizione sociale ed economica dei gruppi di convertiti maschi.
Durante questo secondo revival, furono più che altro esponenti
della fascia più bassa della nascente borghesia di Utica ad unirsi
al fervore e ad abbracciare le nuove idee. Al contrario l'alta bor-
ghesia di Utica, ormai stabilizzatasi, non rispondeva più al ri-
chiamo dell'antistrutturalismo; il suo entusiasmo era già stato
ristrutturato (Noyes, 1970).
È importante tuttavia non comprimere e semplificare arti-
ficialmente questo processo; un cambiamento sociale non è mai
improvviso, e il travaglio che accompagnò la nascita della bar-
74
della chiesa e nel rituale. Dopo essere state ripetutamente messe
a tacere dentro i confini sacri del rituale, le donne ricevevano
ora un ruolo centrale nella rivolta religiosa. In più, la denigra-
zione della struttura gerarchica, l'asserzione dell'autonomia indi-
viduale contro il primato di norme familiari e comunitarie offri-
rono risonanza alla loro esperienza di oppressione femminile
nella società patriarcale del New England rurale. Cosl le donne,
al di là delle divisioni di classe, sposate e nubili, sperimentarono
brevemente la visione rivoluzionaria, ed invero inquietante, di
un nuovo potere e di una nuova autonomia, che era loro offerta
e legittimata, anche se solo temporaneamente, dai loro capi
spirituali maschi al colmo del loro entusiasmo revivalistico.
Ma alla fine sia il disordine che una struttura sociale aperta
si dimostrarono temporanei: le donne ottennero in realtà una
autonomia economica e una centralità istituzionale limitate; in
generale, l'egemonia del maschio bianco diventò più concentrata
e più intensa; per rinforzare quest'egemonia si svilupparono una
nuova teologia e nuove istituzioni religiose, e insieme nuovi va-
lori e rituali.
Insomma la spinta rivoluzionaria del Protestantesimo evan-
gelico si esaurl prima che le donne riuscissero ad usare la reli-
gione per ristrutturare in maniera stabile i rapporti di potere
tra donne e uomini. Cosl come i capi religiosi maschi avevano
utilizzato l'attivismo e la presenza pubblica delle donne per
simboleggiare la loro rivolta di maschi contro l'ordinamento del
vecchio mondo congregazionalista e l'esperienza di un nuovo
ordine sociale in trasformazione, cosl il silenzio delle donne
divenne ugualmente simbolico per i ministri quando questi cer-
carono di restaurare l'ordine ed il rituale nel mondo sociale e
religioso. Entro la fine degli anni 1840 la donna vittoriana,
economicamente impotente e decorosamente religiosa, era
assunta a simbolo e personifìcazione dell'egemonia borghese
maschile. Tuttavia è noto che alcune di loro, sensibili alla per-
dita del potere e della centralità appena acquisite, si batterono
contro il tentativo dei pastori di tacitarle di nuovo. Il loro scon-
tento e la loro resistenza persistettero esprimendosi in forme
religiose e sociali fino a sfociare più tardi nel femminismo.
La coerenza della struttura sociale e cosmologica sembra dun-
que accertata a livello macroscopico, ma il nostro problema
originario rimane, anche se leggermente modificato. Perché una
vasta maggioranza di donne appartenenti all'evangelismo abban-
donarono con tanta prontezza l'autonomia da poco acquisita in-
sieme alle loro posizioni e al loro linguaggio rivoluzionario, per
seguire i ministri maschi nella rispettabilità e nell'ordine?
Quali donne, resistendo invece alla pressione religiosa e sociale,
persistettero nella loro devianza? È a questo punto che, con il
sorgere di diversi modelli comportamentali all'interno dello
stesso gruppo di donne, emerge il problema della diversità non
solo tra donne e uomini, ma tra le stesse donne.
Ai fini dell'analisi è bene mettere a fuoco, per il momento,
le fasi ascendenti e discendenti dell'entusiasmo revivalistico.
Una volta spiegato questo fenomeno potremo occuparci delle
voci discordanti dell'antiritualismo religioso.
Mary Ryan, con la sua superba analisi della struttura sociale
73
ghesia americana durò mezzo secolo se non di più. Il cambia-
mento economico e tecnologico coinvolse gruppi diversi in mo-
menti diversi e con diversa intensità: donne e uomini strappati
al loro ambiente dai rivolgimenti economici ma ai margini dei
nuovi posti di potere, o esponenti della nascente borghesia.
Durante questo periodo (all'incirca tra gli anni 1790 e 1850),
non si può stabilire una precisa egemonia economica. Gruppi
differenti sperimentarono in forme diverse l'assenza di un ordi-
ne sociale, e le forme culturali con cui essi esprimevano la loro
esperienza variavano l'una dall'altra e cambiavano con il tempo.
Solo a metà del secolo, se non dopo la guerra civile, si creò un
consenso vittoriano; ma allora, naturalmente, nuovi dissidenti
e nuove eresie già si preparavano dietro le quinte (Tesselle,
1972; Lockridge, 1963).
Ma perché l'antiritualismo accompagna la mobilità sociale?
Attraverso quali canali, concettuali, strutturali, psicologici, la
selvaggia asserzione del disordine serve agli individui negli spa-
smi della riorganizzazione sociale come un linguaggio con cui
esprimere le qualità emotive della loro esperienza? Ci si sugge-
risce un'analogia: il rito di passaggio. Per il momento immagi-
niamo metaforicamente le ondate successive di revival evange-
lici come un massiccio rito di passaggio che segni l'emergere
della borghesia americana. Un tale schema ci aiuterà a esaminare
le varie componenti psicologiche e sociologiche dell'antirituali-
smo revivalistico e dunque a suggerire una diversa prospettiva
da cui affrontare il nostro problema ancora insoluto: perché
alcune donne siano passate attraverso i revival per essere poi
reintegrate nella decorosa posizione sociale della signora vitto-
riana ed altre no.
I riti di passaggio accompagnano cambiamenti importanti di
posizione, status e ruolo sociale, attraverso i quali un individuo
abbandona una serie di diritti e responsabilità riconosciuti, per
adattarsi ad una nuova posizione sociale e ad un nuovo ruolo
pubblico. Per tradizione, le culture hanno elaborato dei rituali
che concretizzano il rivolgimento personale, l'essere al di fuori
della forma, e allo stesso tempo cercano di contenere la poten-
ziale minaccia della confusione sociale. I rituali assumono un'im- fi
portanza particolare quando la società stessa è in movimento, e
non solo i gruppi chiave al suo interno.
I riti di passaggio, sostiene Victor Turner, contengono tre
fasi specifiche (Turner, 1972). Innanzitutto la separazione, che
dà luogo a « un comportamento simbolico atto a significare il
distacco dell'individuo o del gruppo da un precedente punto fisso
della struttura sociale... ». L'individuo passa poi attraverso una
seconda fase, la cosiddetta liminalità, durante la quale la donna
giace « a metà strada tra le due posizioni assegnate ed ordinate
dalla legge, il costume, la convenzione e il cerimoniale». Le
persone « liminali » sono recepite come fossero al di fuori di
costrizioni e norme sociali, personificazioni del potere illimitato
del disordine. Nella fase finale del rito di passaggio, l'aggrega-
zione, la società cerca di reintegrare la persona «liminale» in
un nuovo ruolo o una nuova posizione sociale. Rituale ed anti-
rituale demarcano i tre diversi stadi. Mentre riconosce, e anzi
dà espressione al potere del disordine contenuto in un processo
75
di cambiamento sociale, il rito di passaggio funziona essenzial-
mente come uno strumento sociale conservatore e restauratore.
È attraverso il rito che spostamento e cambiamento sociali,
insieme all'ebbrezza e alla paura che accompagnano tale sposta-
mento, proprio per il loro essere ritualizzati vengono formaliz-
zati e controllati. In realtà, le società usano i rituali « liminali »
non solo per contenere emozioni corrosive ed esplosive ma
anche per socializzare l'individuo non strutturato, per addestra-
re la donna ad accettare i suoi nuovi ruoli e le sue nuove respon-
sabilità. « In molti riti di passaggio » sostiene Vietar Turner,
« i neofiti devono sottomettersi ad un'autorità che non è altro
che quella della comunità intera».
Esistono forti parallelismi tra i rituali e la simbologia che
Turner associa al passaggio «liminale» e quelli che gli storici
descrivono come facenti parte della conversjone revivalistica.
Sia i riti « liminali » che i revival evangelici uniscono caratteri
di umiltà e di sacralità. Sia il convertito revivalista che la per-
sona « liminale » assumono un comportamento sfrenato e spe-
rimentano nuovi, violenti poteri spirituali. Tollerando momen-
taneamente disordine e contestazione dei ruoli, i revival fun-
zionarono anche come mezzi risocializzanti.
Un compito importante dei riti di passaggio è quello di pre-
parare la persona « liminale » a nuovi ruoli e nuove responsa-
bilità: gli iniziandi « liminali » imparano ad essere ubbidienti
ed umili, a smussare l'orgoglio e l'individualismo. Vengono in-
coraggiate la continenza sessuale e la subordinazione della per-
sona alla comunità. Questi aspetti si ritrovano soprattutto nei
riti di passaggio che accompagnano una mobilità sociale verso
l'alto. Certamente le donne che abbracciarono l'evangelismo
udirono ed interiorizzarono simili messaggi nelle loro esperienze
di conversione. Esse tendevano a celebrare soprattutto gli aspetti
sacrificali della simbologia cristiana, molto spesso con l'inco-
raggiamento dei ministri maschi. Umiltà, sottomissione, devo-
zione agli altri, in teoria mete ideali di tutti gli eletti evangelici,
costituirono in realtà le caratteristiche che definivano il ruolo di
una nuova creatura, la casalinga borghese. Cosi, mentre il revi-
valismo aveva liberato la nuova donna borghese da forme di
subordinazione religiosa appartenenti al diciottesimo secolo, e
le aveva promesso nuovi poteri ed accesso alla sfera pubblica,
la nuova teologia conteneva un messaggio fortemente restrittivo.
Pur sanzionando gli atti individuali di autorivendicazione reli-
giosa delle donne (in fìn dei conti episodi di una crisi liturgica),
i revival instillarono in queste 'donne un maggior senso di infe-
riorità spirituale, che poi, quando il loro fervore «liminale»
scemò ed esse furono integrate in un nuovo ruolo sociale, poté
essere trasformato in subordinazione agli uomini della stessa
classe e alle strutture della nuova famiglia borghese.
I revival del secondo Grande Risveglio e il riformarsi di
norme e di uno spazio sociale per le donne seguirono dunque
uno schema estremamente complesso e problematico. I cambia-
menti economici ed istituzionali che queste sante femmine speri-
mentarono, comprendevano anche quelli che le univano ai loro
padri, fratelli e mariti in quanto membri della nuova borghesia.
E includevano una rapida ed estrema ridefinizione del ruolo
76
della donna, che non trova uguali nell'esperienza dell'uomo.
Lo spostamento della donna borghese nella sua nuova posizione
sociale fu tempestoso e traumatico e l'antiritualismo fece dun-
que maggior presa su di lei che non sugli uomini, la cui espe-
rienza di spostamento sociale era stata, dopo tutto, relativa-
mente lineare.
Il fervore religioso della donna assunse un andamento senz'al-
tro più sinuoso e contraddittorio. Ad un primo livello, l'inten-
sità dell'invasamento «liminale» della donna ed il suo amaro
confronto con i capi spirituali e sociali maschi tradivano l'attra-
zione che esercitavano su di lei l'autonomia spirituale, nuovi
ruoli di potere, lo stesso diritto di parola dopo secoli di silen-
zio: l'invasamento «liminale» portava con sé una rimunera-
zione. Ad un secondo livello, i caratteri estremizzati di ognuno
dei tre stadi del rito di passaggio (separazione, liminalità, ag-
gregazione), cioè trasformazioni liturgiche radicali, rifiuto di
gerarchie sociali e spirituali e quindi pia sottomissione alla nuo-
va famiglia e alla comunità, simboleggiavano i contraddittori
processi sociali che la affrancavano dalla condizione di moglie
settecentesca, attraverso l'espansione momentanea del suo ruolo
nell'età jacksoniana, per riportarla nei limiti imposti alla casa-
linga borghese. Ma la sua accettazione della reintegrazione ri-
mase problematica in ogni momento. Il suo invasamento era
espressione della sua rabbia profondamente radicata e delle sue
richieste di reale autonomia e di potere. Non c'è da sorpren-
dersi se la società avviluppò la sua riaggregazione negli elabo-
ra ti rituali dell'era vittoriana. Il suo recente silenzio, cosl diffi-
cile da assicurare, era stato scelto dal potere maschile come sim-
bolo della propria egemonia.
Una precisazione. Negheremmo la complessità di questo fe-
nomeno, e delle reazioni di queste donne, se le vedessimo, alla
fine dei revival, ritornate alla società completamente prive di
ogni potere, portavoci passive della propria classe e del proprio
marito. Le donne uscirono dai revival rivestite delle nuove capa-
cità acquisite come membri della borghesia, con i loro diritti.
Esse furono alla guida di organizzazioni regionali e nazionali di
donne che non sarebbero mai potute esistere cinquant'anni pri-
ma, e rivestirono cariche dalla denominazione maschile come "
presidente, tesoriere o amministratore. Si introdussero nei con-
sigli cittadini e negli organi legislativi statali per sostenere la
causa delle donne, stilarono statuti, raccolsero e investirono
denaro. Le loro pubblicazioni e le loro richieste di sostegno
finanziario seguivano sempre le linee tracciate dalla rivoluzione
commerciale che le aveva trasformate in borghesi cittadine.
Anche se finirono per sostenere piuttosto che minare il nuovo
ordinamento economico, queste nuove organizzazioni di donne
servirono comunque ad alterare l'equilibrio dei poteri all'inter-
no del nuovo focolare borghese. Attraverso queste organizza-
zioni riformiste le donne borghesi uscivano dalla casa e fami-
liarizzavano con la nuova realtà economica ed istituzionale.
Dai cambiamenti economici e dai revival religiosi degli anni
1820, 1830 e 1840 era emersa una donna nuova: essa aveva
familiarità con il mondo esterno della politica e dell'economia;
aveva creato ruoli ed organizzazioni extradomestiche; aveva,
77
in breve, una conoscenza ed un potere che andavano oltre le
più azzardate previsioni delle loro nonne e delle loro bisnonne
come anche quelle dei ribelli religiosi maschi che avevano orche-
strato i primi tentativi di autoespressione religiosa delle donne.
Il mondo delle donne, ed anche quello degli uomini, era cam-
biato totalmente rispetto alla fine del diciottesimo secolo ed
all'inizio del diciannovesimo. Le donne avevano non soltanto
servito l'evangelismo e il nuovo ordine borghese, ma ne ave-
vano fatto uso e tratto beneficio.
Ma bisogna tornare su un punto cruciale. Prendere alla let-
tera l'analisi dei revival come un rito di passaggio che segna
l'emergere della donna borghese come nuova categoria nasconde
il pericolo di una deformazione semplicistica. La concezi_onedi
Turner del rito di passaggio può servire allo storico solo come
un'analogia o una metafora. Nell'America jacksoniana forma
e assenza di forma non si alternavano in successione hegeliana;
i gruppi dominanti non controllavano più i rituali di consenso
e di mediazione; tutto era in movimento; non si poteva preve-
dere nulla, né quale forma avrebbero assunto i rituali ed anti-
ritWli religiosi, né come si sarebbero risolti i conflitti sociali che
essi denotavano. La conflittualità e l'iconoclastia che caratteriz-
zarono questo periodo non erano contenute in un rito accurata-
mente orchestrato. Esse si verificarono perché la stessa società
americana era in bilico tra due organizzazioni economiche ed
istituzionali, incapace di frenare quelli che le forze economiche
avevano scacciato dalle loro posizioni abituali. Il disordine non
era un momento di sfogo psichico ritualmente organizzato, tra
due strutture stabilmente definite: radicato nella realtà econo-
mica ed istituzionale, sfuggiva al potere di contenimento e di
guida del rituale (Geertz, 1973).
Alla fine, tuttavia, come la Ryan ha dimostrato a proposito
di Utica, una borghesia bianca maschile emerse effettivamente,
poiché alcuni di questi individui senza una collocazione precisa
riuscirono ad entrare nella nuova struttura capitalistica come
1I1ercanti, professionisti, matrone e figlie vittoriane, ministri
evangelici recentemente affermati. Questa nuova classe si creò
pazientemente un consenso, abbellendolo di rituali. Mentre al-
tri individui rientravano nella società o diventavano soggetti al
potere della borghesia bianca maschile (come ad esempio mogli
e figlie, o impiegati e domestici), essi accettavano il nuovo con-
senso e spesso esprimevano la loro accettazione con nuovi ri-
tµali di sottomissione alle norme comunitarie e familiari. Ma
finché tale consenso non venne raggiunto e non si fu rafforzato,
tutto rimase problematico: per anni coloro che erano rimasti
fuori delle emergenti strutture di potere rifiutarono di ricono-
scere la vittoria della borghesia, sperimentando piuttosto strut-
ture alternative o ripudiando la struttura in quanto tale.
Pur descrivendo la « liminalità » come parte integrante del
rituale, Victor Turner distingue altre due fonti di « liminalità »,
che ci portano dall'analisi del rituale a quella delle strutture
sociali ed economiche: si tratta della « liminalità » dei social-
mente inferiori e dei socialmente marginali. Al di fuori della
struttura, essi non rientravano nell'influenza del rituale. È tra
questi gruppi, chiaramente distinti dalle donne della borghesia
78
negli spasmi della riorganizzazione sociale e probabilmente dai
primi gruppi di giovani donne geograficamente mobili, che dob-
biamo cercare le nostre indefesse radicali, le nostre profetesse e
contestatrici.
Ironicamente, mentre l'era jacksoniana si sviluppava e la
nuova borghesia diventava economicamente ed istituzionalmente
sempre più solida, l'insistenza sull'inferiorità femminile diven-
tava un'affermazione culturale indiscussa. Mentre la retorica
egualitaria caratterizzava sempre di più il mondo politico e i
principi educativi di quest'era dell'Uomo Comune, le donne
venivano trasformate in esseri inferiori non solo agli uomini
della stessa classe, ma a tutti gli uomini bianchi. Inoltre, men-
tre il mondo tradizionale del diciottesimo secolo accettava l'ine-
guaglianza come destino naturale dell'uomo, il secolo dician-
novesimo la negava e condannava per quanto riguardava gli
uomini bianchi. Cosi la definizione dell'inferiorità femminile di-
venne più globale. Gli uomini, impegnati a resistere agli sforzi
che le donne facevano per accedere a quei diritti che l'illumi-
nismo e il repubblicanismo del diciannovesimo secolo avevano
concesso agli uomini, svilupparono elaborate giustificazioni del-
l'inferiorità femminile rivestite con il linguaggio della scienza e
della biologia. Pietismo e religioni estatiche offrivano una via
d'uscita da questa nuova definizione dell'inferiorità femminile,
specialmente per il fatto che difendevano un sistema cosmo-
logico che poteva sfidare l'autorità della scienza; e lo stesso
facevano gli attacchi politici riformisti contro la nuova egemonia
borghese e specialmente contro l'esclusione delle donne dalle
nuove promesse di uguaglianza. Presumibilmente questi aspetti
del riformismo religioso e laico erano per le donne particolar-
mente attraenti.
Ma, ancora una volta, per quali donne? Gli affari e la poli-
tica, il mondo degli uomini e del potere, occupavano uno spazio
proibito alle donne borghesi e senz'altro a tutte le donne spo-
sate. Ecco dunque la rinnovata attrazione della religione, visto
che lo spazio sacro era di nuovo aperto alle donne e costituiva
l'unico spazio pubblico in cui esse potessero rivendicare il pro-
prio diritto ad essere presenti e, a volte, ad essere ascoltate.
La religione, sotto forma di fervore millenarista, offriva anch~
un mezzo per trasformare lo spazio pubblico e secolare in spazio
sacro: alle donne si comandava infatti di portare la parola di
Cristo nelle strade e nei vicoli, e di purificare così il mondo con
la Sua venuta.
Alla nuova ed universale esperienza femminile di marginalità
economica ed istituzionale alcune donne borghesi aggiunsero
altre forme di marginalità. Questo era vero soprattutto per le
donne nubili, istituzionalmente marginali alla famiglia sempre
più nucleare tipica della borghesia e ideologicamente marginali
alle credenze sociali vittoriane, che sostenevano la determinazio-
ne biologica del ruolo femminile di moglie e madre. E tuttavia
proprio le forze economiche e demografiche che avevano creato
la struttura di classe e la famiglia borghesi avevano causato
anche un deciso incremento nel numero di donne nubili, che
non si sposavano affatto o che si sposavano tardi. Ritroviamo
questo schema soprattutto nella borghesia e all'interno delle
79
vecchi~ comunità agricole, proprio i gruppi sociali che genera-
rono riformismo radicale e fervore religioso.
Le donne sperimentarono poi un'altra forma di marginalità
nelle loro famiglie piuttosto che al di fuori di esse. La rivolu-
zione commerciale, per quanto inarrestabile, passò in modo
ineguale sul territorio americano: perfino negli anni 1850
rimanevano ancora delle isolate comunità tradizionali. Inol-
tre singole famiglie potevano ancora aggrapparsi ad un ordi-
namento economico ed istituzionale preindustriale, mantenen-
do un'organizzazione domestica allargata che permetteva che
apprendisti e operai a giornata vivessero con i padroni artigiani
e con i fattori, e che i vecchi valori fossero ancora onorati. Que-
ste famiglie erano economicamente e strutturalmente marginali
alla rivoluzione borghese; a volte esse rimanevano marginali
anche da un punto di vista geografico. E la loro marginalità
aveva spesso una componente ideale, come l'appartenenza ad un
gruppo quacchero, dove la chiesa presbiteriana dominava le
strutture sociali e politiche. Queste famiglie restavano al di
fuori dell'otdine emergente, rifiutavano di far parte dei suoi
politici, delle sue chiese rispettabili, delle sue organizza-
,'IJ_Jartiti
zioni filantropiche, che sempre di più agivano per sostenere il
sistema. Era come se esse osservassero i nuovi modi di vita
da lontano e li giudicassero, spesso molto duramente.
Nancy Hewitt, nel suo studio sulla mobilità sociale delle
donne a Rochester, individua un tale gruppo di famiglie strut-
turalmente marginali, che negli anni 1840 e primi '50 ancora
mantenevano un'organizzazione allargata. Esse vivevano al-
l'esterno del centro di potere politico ed economico di Roche-
ster e, significativamente, nelle frange residenziali della città.
Si trattava per lo più di quaccheri, o di gente che aveva rap-
porti con le famiglie quacchere di Rochester. Le donne che
venivano da queste famiglie abbracciarono le posizioni religiose
riformiste più estreme. Furono queste le donne che si impegna-
rono in un'egira spirituale senza sosta, muovendosi sempre in
direzione dell'antiritualismo. Esse scioccarono la società abbrac-
ciando pubblicamente l'anarchismo inerente all'abolizionismo
garrisoniano e si appellarono perfino ai diritti delle donne. Le
loro organizzazioni riformiste avevano una struttura molto flui-
da, comprendente una visione del mondo senza radici parroc-
chiali, ma universalista, con forti legami religiosi e riformistici
a livello regionale, nazionale ed internazionale (Hewitt, 1980).
Cosl, al di fuori della struttura, queste donne fusero l'espe-
rienza di una marginalità rispetto alla struttura sociale con quel-
la di un'inferiorità intellettuale e politica. Con queste armi esse
resistettero vigorosamente alla riassimilazione sociale, ritorsero
il loro potere di donne ai margini del nuovo ordine e perciò al
di fuori di costrizioni e limiti contro la struttura che voleva
opprimerle. Tale struttura, ancora in formazione, non aveva il
potere di frenare i loro assalti. Per decenni queste donne riusci-
rono ad asserire la loro autonomia ideologica. Erano queste le
profetesse che rifiutavano di essere messe a tacere, le invasate
che testardamente respingevano la struttura, le arrabbiate che
ripudiavano i nuovi modi di vita capitalistici e chiedevano giu-
80
stlZla sociale ed uguaglianza per tutti gli emarginati sociali, e
in particolare per le donne.
81
Paola Di Cori
Rosso e bianco
La devozione al Sacro Cuore di Gesù
nel primo dopoguerra
82
esse ai cappellani militari. Oltre le bandierine si spedirono cin-
quemila copie di un arazzo economico rappresentativo del Sacro
Cuore, in sostituzione dei quadri che non si potevano trovare.
Bandierine speciali di seta furono fatte per gli ufficiali». (Ba-
relli, 1939; Rumi, 1979)
La documentazione su Armida Barelli - della quale è in
corso un processo di canonizzazione promosso da Gemelli su-
bito dopo la morte nel 1952 - concorda nel riportare le lunghe
titubanze, non della fede ma della vocazione, incerta tra il con-
vento e l'apostolato nel mondo.
Si decise infine per quest'ultimo. I dubbi che l'avevano assa-
lita sul proprio destino, come quelli che segneranno tutti i pas-
saggi successivi della sua lunga attività di organizzatrice, si
dissipano dietro le insistenze di confessori e autorità ecclesia-
stiche che la vogliono attiva in terra. Ogni scelta, e ciascuna
crea angosciosi conflitti sulla propria inadeguatezza, inesperien-
za ed incapacità, è determinata dall'imperiosa richiesta del Sacro
Cuore: « Occorre agire per Lui».
Così avviene quando all'inizio del 1918 fonda la Gioventù
Femminile di Azione Cattolica a Milano, e in seguito lavora per
farne in poco tempo una grande e solida organizzazione di
massa nazionale, e via via nel corso della nascita dell'Università
Cattolica del Sacro Cuore, di cui sarà « la Cassiera » fino alla
morte; poi nell'attività delle Terziarie francescane consacrate
all'avvento del regno sociale del Sacro Cuore, dell'Opera della
Regalità di Cristo e infine del Pio Sodalizio delle Missionarie
della Regalità di Cristo.
Si agisce nel mondo e si trasforma la propria natura - forse
più portata alla contemplazione e alla preghiera che non all'atti-
vismo tra la gente - soprattutto perché qualcun'altra l'ha voluto.
La propria fede, testimoniata dalla felice costatazione, una volta
fatti i voti, che non si appartiene più a se stessi ma ad altri
( « a Roma l'anima sua era pacificata nella dedizione totale»)
si allarga libera sugli spazi sociali. (Sticco, 1967)
L'esperienza della consacrazione dell'esercito, su cui gran-
deggia l'immagine del Sacro Cuore, ha avuto per Armida il po-
tere di trasformare la realtà dolorosa della guerra, dei morti e
delle trincee, in una impresa esaltante di santificazione nazio-_.
nale.
I morti sono veramente tali soltanto se benedetti; così i vivi.
Il mondo le sembra inesistente e inintelligibile se non ha il
suggello divino, la cui potenza è tale da rovesciare il reale nel-
l'irreale e viceversa; l'impatto con la materialità avvenendo
infatti soltanto attraverso la mediazione del soprannaturale.
Armida Barelli può accedere ed agire nel mondo solo se essa
stessa si considera strumento del volere divino e se pensa che
sia quest'ultimo a guidarla e a ordinarle di agire.
Il Sacro Cuore le ha permesso di entrare finalmente nella
realtà, di sconfiggere le proprie debolezze; servirà quindi da tra-
mite per vivificare l'intero esistente, persone, cose, situazioni.
Si procede con ritmo scalare. La santificazione della guerra
ha trasformato massacri e atrocità in cristallizzazioni non più
terrene, il resto della società deve subire il medesimo processo
di cambiamento.
83
Pochi mesi dopo la consacrazione dell'esercito, all'inizio del
1918, Armida è impegnata nell'opera di organizzare le giovani
donne nella recente struttura dell'Azione Cattolica, dopo che la
gerarchia vaticana le ha affidato il compito di porre le basi di
una nuova militanza femminile di segno cristiano.
Il successo della Barelli in questa impresa fu grandioso e
durevole, come anche le nude cifre possono testimoniare.
Già nel 1922 si contavano più di 220.000 socie, distribuite
in 4.360 circoli fondati in 230 diocesi sparse in tutte le regioni.
Alla fine degli anni Venti si giunse a raddoppiare le iscrizioni
e i circoli, ormai diffusi in 294 diocesi. (Giunta, 1927) La
relativa stasi degli anni Trenta fu rinvigorita subito dopo la fine
della guerra e in particolare durante e dopo le elezioni politiche
del 1948, che videro la massiccia partecipazione di tutte le socie
nella campagna elettorale per la Democrazia Cristiana, cui segul
una verticale ascesa per tutto l'inizio del successivo decennio.
(Annuario, 1954)
Si tratta di dati, numeri che la Barelli (rimasta alla guida
dell'organizzazione per trent'anni) non trascurava di segnalare
aci ogni ricorrenza commemorativa, beandosi di quest'aritmetica
progressiva che si evidenziava nei raduni oceanici degli anniver-
sari e Anni Santi, e calcolando continuamente con ingenuo pun-
tiglio le moltiplicazioni dei tesseramenti che avrebbe voluto per
le scadenze successive, in una sorta di cosmologia onirica sul-
l'evoluzione umana orchestrata e diretta dall'Azione Cattolica.
(Barelli, 1922).
Cosa corrispondesse realmente a questi numeri è ancora diffi-
cile dire, e non è compito di queste pagine.
Molto poco è infatti consentito di studiare sulle modalità e
dinamiche di socializzazione e partecipazione delle socie nei cir-
coli parrocchiali della Gioventù Femminile; ed è evidente che
soltanto singole ricerche locali, provinciali e regionali potranno
restituire un quadro più significativo e articolato di quanto non
sia ancora possibile fare; ma questa indagine è resa difficile in
particolare dall'impossibilità di poter accedere alla documenta-
zione conservata nell'archivio centrale dell'Azione Cattolica, che
comprende anche i fondi relativi all'attività periferica, e dal fatto
che buona parte del materiale è andato distrutto dai bombarda-
menti su Milano dell'agosto 1943.
Pur con questi limiti, anche la ricostruzione parziale dell'atti-
vità di questa organizzazione rivela elementi ricchi e suggestivi
. di una realtà finora totalmente ignorata o ristretta alla memo-
rialistica di parte, e di questa vorrei in particolare mettere in
luce alcuni aspetti relativi al culto cui le giovani cattoliche erano
consacrate.
Quella al Sacro Cuore non era una devozione di origine re-
cente, né la Gioventù Femminile di Azione Cattolica fu unica
protagonista delle pratiche ad essa legate. Tuttavia, l'uso che
ne fu fatto in quella sede, il modo con cui tante vissero la pro-
pria militanza e attivismo in adesione stretta con le scadenze
delle preghiere e dei riti connessi al culto, costituiscono indub-
biamente un'esperienza di straordinario interesse.
84
Terziarie nell'Azione Cattolica
85
dalla costante presenza, nei raduni di fondazione dei circoli, del
vescovo o del parroco. Non è facile tuttavia, per la maggioranza,
rispondere all'invito di attivizzarsi per l'espansione dell'organiz-
zazione, parlare in pubblico, articolare gli obiettivi di mobilita-
zione con iniziative pratiche, modificare i ritmi di vita quotidiana
e spesso entrare in conflitto con le proprie famiglie a causa dei
nuovi impegni assunti. La fede non bastava, anche se soda.
Dopo il primo giro di propaganda nazionale fatto nel 1919
si cominciò a selezionare il gruppo delle dirigenti, scelte con
cura da Armida e dai suoi consiglieri in base a criteri in cui
oltre alla disponibilità di tempo libero e all'estrazione sociale
medio-alta erano tenute in gran conto le particolarità della
propria vocazione.
Il gruppo iniziale più ristretto che costituf, diresse e impron-
tò con maggior forza la Gioventù Femminile nel primo ven-
tennio era formato da donne che, oltre ad aver scelto di lavo-
rare attivamente per l'organizzazione, appartenevano a un
Terz'Ordine francescano che imponeva compiti di natura parti-
colare: « consacrazione a Dio con i voti di castità, povertà, obbe-
dienza; osservanza della Regola del Terz'Ordine francescano;
obbligo di apostolato nell'Azione Cattolica, propaganda della
cultura cattolica, in particolare della nascente Università ».
(Sticco, 1967)
La regola era ritenuta talmente inusuale da provocare con-
tinue modificazioni nel corso degli anni: invisa a molti eccle-
siastici per l'ambigua promiscuità laico-religiosa che proponeva
alle terziarie, fu causa di costante preoccupazione per la Barelli,
perché i pontefici, in particolare Pio XII, ne ritardavano una
definitiva approvazione con la continua revisione dei vari punti.
L'appartenenza a questo sodalizio significava per alcune la
possibilità di soddisfare in qualche modo la propensione all'in-
teriorità del chiostro; per altre fu anche la garanzia del potere
dentro l'organizzazione, poiché la Barelli tendeva ad accentrare
tutto il controllo nelle sue mani (e questo fu causa di duri scon-
tri con le dirigenti del ramo Donne negli anni Trenta) - spar-
tendolo in particolare con le sorelle terziarie che con lei condi-
videvano la duplice affiliazione nell'Azione Cattolica e nel
Terz'Ordine.
Tuttavia la tensione che molte di esse vissero, divise tra l'in-
tensità del lavoro nelle strutture della Gioventù Femminile e
la scelta monacale era lacerante.
Marta Moretti, attiva dirigente responsabile per il Mezzo-
giorno, malata e sofferente nel 1930 entrò in un convento be-
nedettino e scrisse ad Armida una lettera di congedo in cui
annotava: « Per la salute non temo. Sono convinta che tutto
il mio malessere fisico veniva dallo sdoppiamento che mi consu-
mava dentro». (Barelli, 1949)
Nonostante il papa avesse esplicitamente vietato che la Gio-
ventù Femminile fosse solo un momento di passaggio prima del-
l'ordinazione, molte (tra il 1923 e il 1925 se ne contarono
5.620) seguivano la via del convento, e Armida, ricordandone
alcune nella sua storia dell'organizzazione, commenta che« spes-
so proprio le Dirigenti più attive sceglievano la clausura ».
(Terzo Congresso, 1925; Barelli, 1949)
86
Tra i problemi principali che si ponevano alla fondatrice e
ai suoi amici gemelliani, il più urgente era quello di poter con-
tare su quadri dirigenti preparati, con una sicura base dottri-
nale e dedizione assoluta all'autorità papale, che si adoperassero
non solo per l'espansione dell'Azione Cattolica ma anche per
l'impresa dell'Università Cattolica - di cui la Gioventù Femmi-
nile fu supporto valido nell'organizzare il reperimento di fondi
tramite la mobilitazione per le questue nazionali effettuate ogni
anno in occasione della Giornata Universitaria. (Sticco, 1974)
Alle militanti veniva richiesta infatti anche l'adesione al più
complessivo progetto di Gemelli per un poderoso inserimento
dei cattolici nei vari livelli dell'istruzione inferiore e superiore.
Accanto alla formazione vi era inoltre la necessità di rispon-
dere in modo soddisfacente al conflitto di vocazione vissuto dalle
terziarie del gruppo barelliano.
L'opera di cristianizzazione del paese richiedeva un agire
all'esterno spesso vissuto come una violenza su se stesse, e a
questo scopo le future dirigenti furono invitate a tradurre l'in-
terno conflitto religioso in una singolare mimesi, ad acquisire i
caratteri di una « invisibile visibilità».
« Anime consacrate a Gesù con i voti religiosi dovranno
restare in mezzo al mondo come secolari in apparenza, per
poter penetrare senza difficoltà dove la divisa religiosa è ban-
dita, o suscita diffidenza e antipatia; dovranno perciò essere nel
mondo senza però essere nel mondo». (Sticco, 1967)
Questa caratteristica che certamente rispondeva agli aneliti
delle più devote risolveva in parte, ad altri livelli, anche i conflitti
del tutto terreni di quelle che vivevano con passivo tormento
le difficoltà di inserimento e di identità nei luoghi di lavoro e
di socializzazione femminile nel primo dopoguerra, nonché la
complessa operazione di adeguamento ai nuovi modelli emanci-
patori emersi nei decenni precedenti.
Propaganda,sublimazione,purezza
87
In questa fase iniziale si insegnavano soprattutto tecniche
per il contraddittorio in pubblico e si distribuivano schemi di
conferenze che sarebbero serviti nei raduni di fondazione dei
nuovi circoli nella diocesi. « Non era l'istruzione catechistica
vecchio metodo della parrocchia e del collegio; erano le verità
del cristianesimo messe a riscontro delle teorie avverse, con
ampia inquadratura storica; erano non tanto precetti quanto
idee, e con le idee argomenti validi da opporre alle critiche
demolitrici degli anticattolici». (Sticco, 1967)
Gli argomenti di maggiore importanza nel dibattito politico
nazionale - il socialismo, il femminismo, i sindacati, la crisi eco-
nomica, gli scioperi, l'organizzazione del sistema scolastico, la
questione romana, ecc. - venivano ridotti nei loro termini essen-
ziali, se ne ricavavano le contraddizioni rispetto alle posizioni
ufficiali della Chiesa e finivano riassunti in alcune domande-
chiave su cui le iscritte si addestravano a formulare risposte
efficaci. (Olgiati, 1934)
Dopo la fondazione di circoli in altre diocesi, si tenne una
prima settimana riservata alle delegate regionali (2 per regione)
nell'autunno del 1919. A mano a mano che si nominavano le
responsabili regionali e diocesane, e le propagandiste, quelle
cui spettava di sovrintendere a problemi specifici di categoria
(studentesse, operaie, impiegate, insegnanti), venivano organiz-
zati corsi preparatori diversi a seconda dei compiti che ciascun
gruppo avrebbe dovuto assolvere. C'erano inoltre incontri in-
terregionali, interdiocesani; su temi specifici quali il lavoro della
donna, la scuola, la moda, il ballo, assieme a quelli riguardanti
la formazione religiosa delle socie; si strutturavano scuole di
propaganda dedicate alle tecniche del proselitismo, seminari di
studio, ecc. A questi incontri, intensi e accurati per i gruppi
ristretti, di informazione più generale per vaste assemblee di
socie, si alternavano le giornate spese negli Esercizi spirituali,
particolari ricorrenze della liturgia e ritiri mensili e annuali.
L'attenzione maggiore era comunque riservata alla fascia alta
della dirigenza. Tra il 1920 e il 1921 furono tenute per le diri-
genti 18 settimane regionali d'organizzazione e 140 settimane
diocesane. Nel 1923 esistevano ben 118 scuole di propaganda,
e le propagandiste effettuarono solo quell'anno oltre 6.000 vi-
site di propaganda. Dal 1923 al 1925 si tennero 163 corsi di
Esercizi spirituali solo per dirigenti, 402 Giornate diocesane,
68 Settimane sociali, 841 ritiri e 115 corsi di Esercizi per socie.
(Terzo Congresso, 1925)
Le Presidenti diocesane - circa 280 nel 1925, rappresentanti
la quasi totalità delle diocesi italiane - erano la fascia più im-
portante e quella che eleggeva l'organo direttivo, il Consiglio
Superiore, formato da otto-dieci donne. Esso veniva coadiuvato
da un Consiglio Generale, che comprendeva oltre alle presidenti
diocesane, le delegate regionali. Dai singoli consigli diocesani
dipendeva la costituzione delle scuole di propaganda locale e
dei circoli parrocchiali, anche questi retti da un proprio consiglio
di presidenza; nei 215 Centri diocesani che compilarono nel
1925 un lungo questionario che servi a preparare una statistica
completa dell'organizzazione, funzionavano 5.608 circoli, cia-
scuno con una propria presidente, vice-presidente e cassiera, e
88
di questi il 91 % teneva regolarmente le riunioni di presidenza.
(Statuto, 1923; Terzo Congresso, 1925)
Le dirigenti con più tempo libero e maggiore zelo videro in
pochi anni rivoluzionata la propria esistenza: convegni e raduni
continui, viaggi e pellegrinaggi in altre città e paesi, corsi da
seguire, nuove responsabilità dipendenti dalla carica. Tutti gli
impegni si svolgevano all'interno di strutture autoritarie ma
protettive a un tempo, per la costante presenza di assistenti
ecclesiastici e parroci, vissute come attività nuove e liberatorie
ma rassicuranti e controllate; l'emotività e il sentimentalismo
erano severamente condannati, l'indisciplina inammissibile. (01-
giati, 1919 e 1934)
I corsi poggiavano su uno schema che voleva essere l'appli-
cazione pratica delle teorie psicologiche sull'educazione del ca-
rattere e della volontà, da anni sviluppate in Francia da medici
come Eymieu, Gillet, Sollier e dal loro progenitore Descuret, .
autore fin dal 1852 di una Medicina delle passioni, più volte
ristampata. (Sollier, 1905; Gemelli, 1908)
Uno degli scopi prefissi era l'attuazione della cosiddetta
« educazione alla purezza » di cui le socie della Gioventù Fem-
minile avrebbero dovuto rappresentare l'immagine vivente; essa
consisteva per Gemelli in una esemplificazione del concetto di
sublimazione.
« Dunque noi, scriveva frate Agostino nel 1920, se vogliamo
raffrenare l'istinto sessuale, dobbiamo cercare come sostituire
delle tendenze artificialmente acquisite a quelle istintive della
vita sessuale. Questo processo è stato chiamato dagli psicologi
sublimazione dell'istinto sessuale, e consiste nell'adoperare la
energia del quale esso dispone facendola convergere a un altro
scopo». E questa «convergenza» fu attuata tramite i corsi in
tre fasi che venivano cosl caratterizzate: a) la sorveglianza dello
sviluppo degli istinti; b) la sublimazione degli istinti; c) l'edu-
cazione della volontà. (Gemelli, 1920)
Dunque non semplicemente tecniche di propaganda nei corsi
di Gemelli, ma psicoterapia di gruppo, scuola di repressione de-
gli istinti sl, ma soprattutto dell'emotività individuale, e della
forza di questa emotività. « Dimenticate il vostro io - soste-
neva il primo foglio della Gioventù Femminile milanese.nel
1918 - parlate il meno possibile personalmente ... »
Ma tutto ciò non basta a spiegare il tipo di attivismo profuso
da queste donne in oltre trent'anni, e il fatto che le contraddi-
zioni da esse sentite non riguardavano solo i pur diflìcili pas-
saggi che le portavano dal circolo parrocchiale ai raduni nazio-
nali, all'organizzazione di servizi sociali negli anni Trenta, alla
campagna elettorale del 1948, ad assumere alte cariche politi-
che dagli anni Cinquanta in poi. Ed è, credo, ripensando alla
loro accezione della vita religiosa che possiamo forse compren-
dere meglio il senso complessivo della loro esperienza.
Tempo e religione
89
cessario coinvolgere se stesse totalmente, non lasciare spiragli
all'autoanalisi esistenziale o al compiacimento sentimentale, e
trovare un equilibrio interno nella costante trasfigurazione della
realtà, nella lettura rovesciata del mondo.
Una prima costatazione, direi soprattutto una considerazione
di senso comune, che sembra però aver scarsamente attirato gli
storici, è il fatto che queste donne dedicavano una gran parte
del proprio tempo alla pratica religiosa (preghiere, messe, ve-
spro, comunione, confessione, ore di meditazione individuale e
collettiva, ritiri mensili e annuali, raduni e conferenze di argo-
mento religioso, letture pie, ecc.).
La loro realtà quotidiana era permeata di simboli, di gesti
o di specifiche attività che avevano come oggetto quello di
manifestare e praticare la propria fede.
Per le dirigenti più attive le scadenze e i compiti legati alla
diffusione e alle iniziative promozionali dell'organizzazione, non
erano vissuti come qualcosa di sostanzialmente diverso e sepa-
rato dai momenti che erano invece dedicati a manifestazioni più
specificamente religiose. E nella scansione temporale delle loro
vite, i due piani si intrecciavano continuamente fino a confon-
dersi l'uno nell'altro. (Williams, 1975)
Una duplice operazione avveniva nella loro percezione del-
l'esistenza: la sfera cosiddetta religiosa si allargava fino a com-
prendere gesti e attività tradizionalmente considerati estranei
alla religione. Per esse, organizzare volantinaggi e dibattiti pub-
blici contro il progetto di legge per introdurre il divorzio era
considerato alla stessa stregua che diffondere immaginette del
Sacro Cuore. Parallelamente alla sfera cosiddetta religiosa - luo-
ghi e situazioni non destinati alla pratica di fede (scuole, fab-
briche, ospedali, raduni di lavoratori, ma anche treni, autobus,
piazze) subivano una mutazione inversa. La presenza del croci-
fisso e del Sacro Cuore nell'aula scolastica, nelle cucine o nel
laboratorio a domicilio era simbolicamente avvertita come aven-
te la capacità di mutare i banchi di scuola in panche da chiesa,
di trasformare abitazioni private nella casa di Dio.
Maria Sticco, docente all'Università Cattolica, fondatrice e
direttrice del mensile della Gioventù Femminile « Fiamma
Viva», l'unica che ha potuto consultare l'archivio e i carteggi
privati di Armida Barelli per stenderne l'apologetica biografia,
riporta il minuzioso orario di una normale giornata feriale di
Armida nel 1942 (Sticco, 1967), il periodo in cui la sua attività
è certamente minore rispetto agli anni Venti, ma che è indica-
tivo di come era scadenzata la sua vita:
7:45 Sveglia
8:15- 9:15 S. Messa e meditazione
9: 15 - 9: 30 Colazione
9:30 -12 Lavoro, posta e disbrigo pratiche
12:15 -12:45 Adorazione
12:45 -13:30 Pranzo
13:30 -14:30 Lettura spirituale e riposo
14:30 -17 Lavoro, adunanze, ricevimenti, visita uffici
17 - 17: 30 Rosario e Benedizione
90
17:30 -18:30 Lavoro con una dattilografa nel periodo invernale,
o visite nell'altro periodo
18: 3 O- 19: 15 Lavoro con una segretaria
19:15-19:30 Rosario
19:30 - 20 Preghiere
20 - 21:30 Cena e riposo
21: 30 - 23 Lavoro (due giorni la settimana no)
23 - 24 Preghiere e a letto
91
Il problema che le dirigenti dovettero affrontare fin dagli
inizi era quello di spostare la soglia di confine per le donne tra
la centralità del loro ruolo domestico interno alla casa e alla
famiglia, e la loro presenza nei luoghi di lavoro, nei partiti poli-
tici, nei sindacati, nelle associazioni culturali, in organismi fem-
minili autonomi.
Le donne cattoliche dovevano ormai essere presenti in tutti
questi luoghi, modificare cioè il baricentro della propria identità
sociale mantenendo fermo il postulato basilare dell'identità
femminile - la maternità, intesa nel senso più lato possibile.
Il ruolo privato familiare della donna doveva estendersi alla
più ampia sfera dell'intera società senza tuttavia apportare frat-
ture alla identità tradizionale di madre, contrapporsi ai modelli
di emancipazione proposti dal femminismo laico evitando lace-
razioni interiori e senza riflettere sulla società la contraddizione
sessuale.
I nuovi compiti delle donne cattoliche erano caratterizzati
secondo una dinamica di movimento costante per una trasfor-
mazione della società ai fini del mantenimento dell'ordine esi-
,iiìtente. Ciò significava che occorreva entrare attivamente nel
mondo per impedire che le trasformazioni del progresso indu-
striale e i perniciosi effetti di questo sul comportamento femmi-
nile minassero definitivamente le basi dell'assetto sociale: immo-
bilizzare in un certo senso la realtà dopo averla conquistata.
Era necessario operare su di sé per controllare le proprie ten-
denze al ripiegamento ed essere invece presenti e attive nel
mondo, dialetticamente muovendosi tra un polo e l'altro del-
l'esistente, tra il suo esterno manifestarsi materiale e disordi-
nato, e l'interna trasfigurazione in composto universo pacifi-
cante.
L'intera analisi teorica e storica sviluppata nei corsi e negli
scritti ad uso delle militanti stabiliva continui passaggi dal
«fuori» (lo spazio urbano, il lavoro extra-domestico, l'aspetto
fisico, il pubblico) al «dentro» (il focolare di casa, la coscienza
religiosa, il lavoro domestico, il privato).
Questo ritmico procedere era anche il nucleo essenziale della
devozione al Sacro Cuore, che costituiva per le donne della
Gioventù Femminile il centro della propria pratica religiosa, cui
erano dedicate gran parte delle preghiere e degli esercizi spiri-
tuali.
Come vedremo meglio in seguito analizzando i testi delle
preghiere e riti connessi, il cuore di Gesù è per i devoti un
rifugio, un luogo dove si riceve protezione; essi devono entrare
nel cuore aperto di Gesù, immergersi interamente in esso e
alimentarsene per poi riversarsi all'esterno. La liturgia descrive
i momenti di progressivo avvicinamento al cuore come un pro-
cesso di inabissamento, di viaggio verso una profondità da dove
si riemerge rinnovati e arricchiti, e in cui gli elementi caratte-
rizzanti sono dati dal movimento continuo di entrata, di sosta
e di riaflìoramento alla superficie.
L'esistenza stessa all'esterno è garantita solo da questo pre-
cedente viaggio all'interno del Sacro Cuore, che funziona come
una corazza protettiva per l'impatto col «fuori». Allo stesso
tempo questa esperienza interiore deve essere percepita visi-
92
bilmente; di qui l'insistenza sul comportamento e sulla osten-
tazione del simbolo.
Anche se la teologia ha riscontrato tracce della devozione
al Sacro Cuore nell'Alto e Basso Medioevo, l'affermazione del
culto risale alla seconda metà del secolo xvn nel clima della
lotta che la Chiesa cattolica ingaggiò contro i giansenisti, e viene
fatta coincidere con una serie di apparizioni di Gesù a Marghe-
rita Maria Alacoque, monaca dell'ordine della Visitazione. Dopo
numerose perplessità e rifiuti di riconoscerne la legittima vali-
dità, nel 1756 fu approvata come festa liturgica e nel 1856 la
festa venne estesa da Pio IX alla chiesa universale. Pochi anni
dopo, nel 1864, Margherita Maria veniva beatificata.
La devozione, sostenuta dalla Compagnia di Gesù, di cui
faceva parte il confessore di Margherita Maria, cominciò a
espandersi in maniera visibile verso la seconda metà dell'800,
e alla fìne del secolo scorso in Francia e in Italia poteva contare
su centinaia di migliaia di adepti. Con l'enciclica « Annum
Sacrum » del 1899 Leone XII consacrava solennemente tutto
il genere umano al Sacro Cuore. (Bremond, 1929; Hamon, 1923)
All'inizio del nostro secolo cominciarono a diffondersi altre
due pratiche connesse, la consacrazione delle famiglie e la co-
siddetta Intronizzazione del Sacro Cuore nelle case, cioè la
collocazione - con una cerimonia in presenza di un sacerdote -
di una immagine del Sacro Cuore nel luogo centrale della casa,
come su un trono. Quest'ultima pratica fu diffusa da un prete
anglo-peruviano, Mathéo Crawley-Boevey, che sosteneva di es-
sere guarito da una malattia mortale dopo essersi recato al san-
tuario di Margherita Maria nella Francia meridionale, a Paray-
le-Monial. Padre Crawley fu tra i più amati dalla Gioventù
Femminile, e tenne per alcuni periodi corsi per dirigenti relativi
al culto.
Nel corso dei primi decenni di questo secolo, la devozione
aveva avuto un impressionante seguito in Francia, in Italia e
anche nei continenti extra-europei. L'antropologo Raymond
Firth sostiene che negli Stati Uniti in quel periodo oltre due
milioni di famiglie furono consacrate. (Firth, 1977; Wilson,
1980)
A livello teologico, agli inizi del '900 la devozione cominciò
a suscitare un'arroventata discussione intorno all'interpretazione
del simbolo: se esso dovesse intendersi in senso materiale - il
cuore fisico di Gesù che sanguina -, o in senso metaforico - il
cuore come simbolo dell'amore di Gesù per gli uomini. Una
successiva enciclica, « Miserentissimus Redemptor » di Pio XI
del 1928, che esaltava il culto come il più perfetto del cattoli-
cesimo, metteva l'accento su un'altra pratica, quella della ripa-
razione. Il cuore di Gesù aveva sofferto per gli uomini fìno a
spaccarsi di dolore per la loro malvagità - come testimonia la
ferita aperta da cui esce il sangue - e occorreva riparare all'em-
pietà umana con apposite pratiche contrittive. (Teologia, 1956)
Infine l'enciclica di Pio XII « Haurietis aquae » del 1953 fa.
ceva il punto finale delle controversie teologiche riconfermando
la fondamentale centralità di questo culto nella chiesa cattolica
contemporanea, e ribadiva la duplice interpretazione del sim-
93
bolo, da intendersi a un tempo come cuore fisico e come cuore
metaforico.
Il Concilio Vaticano II non ne fece alcuna menzione, testi-
moniando il progressivo declino della devozione che da molti
cattolici negli anni Sessanta era considerata un culto femmineo
e sentimentale. (Le Coeur, 1950; Colombo, 1974)
Quest'ultimo aspetto è di grande importanza nel delineare
le diverse trasformazioni del culto e la sua identificazione con
il sesso femminile.
Fino alla metà dell'800 non esiste nessun esplicito orienta-
mento della gerarchia in questo senso; al contrario, la prima e
principale confraternita romana con questo nome, detta anche
dei Sacconi di San Teodoro, nata nel 1729, è maschile e tale
rimarrà a lungo. Inoltre è interessante rilevare che la diffusione
del culto nel corso del secolo XIX avviene in concomitanza con
il grande rilievo che acquistano altre devozioni del corpo e del
sangue legate a due ordini missionari che avranno larga influenza
nell'800 e anche in seguito - quello del Preziosissimo Sangue
iniziato da S. Gaspare del Bufalo e quello dei Passionisti devoti
del crocifisso e in particolare dei segni della passione di Cristo.
Il dilagare della presenza del sangue e del cuore nella cul-
tura ottocentesca - ampiamente rilevata per il caso francese -
(Barthes, 1954; Bohwman, 1981) coincide nella pratica religiosa
con la progressiva femminilizzazione delle devozioni emergenti,
di cui quella al Sacro Cuore è il caso più clamoroso.
Cuore e cervello
94
dell'emancipazione attraverso l'istruzione è inteso come svi-
luppo del cervello per educare il cuore. « L'ignoranza della
mente genera la corruzione del cuore, ed allora tutto quanto vi
ha di nobile e grande, tace e vien meno». (Di Cori, 1981)
L'intensità dell'identificazione con il cuore vissuto dalle don-
ne cattoliche - e qui varrebbe la pena di soffermarsi a lungo
sul fatto che si tratta di un cuore maschile - provocò contro-
versie a proposito di chi dovesse avere la responsabilità di
diffondere la devozione.
Nel 1916 esplose apertamente un conflitto di competenza tra
il gesuita Augusto Maria Anzuini - Direttore Nazionale del-
l'Opera di Consacrazione delle Famiglie al Sacro Cuore, organo
dell'Apostolato della Preghiera, dipendente dalla Compagnia di
Gesù - e le socie dell'Unione Donne, il ramo femminile adulto
dell'Azione Cattolica, molto attive nell'Opera. Il vertice del-
l'Unione Donne e in seguito anche quello della Gioventù Fem-
minile pretendeva di essere legittimo destinatario dell'impresa
di propagare il culto, ma dopo due anni di contrasti con i
gesuiti vi fu la resa alle disposizioni emanate dall'autorità pa-
pale che restituivano ad Anzuini il pieno controllo dell'inizia-
tiva. (Dionisi, 1959)
Questa insistenza sull'importanza del cuore come perno del-
l'identità femminile e come elemento di differenziazione dal
sesso maschile è anche contemporanea allo sviluppo degli studi
neurofisiologici sulla origine e sede delle emozioni, che vide tra
i protagonisti William James, Wundt e alcuni noti neurologi
francesi, e che chiaramente poneva come questione centrale il
rapporto degli impulsi del cervello sul cuore. (Feinstein, 1970;
Starobinski, 1980 e 1981)
La teologia del Sacro Cuore, attraverso gli studi di Gemelli
in proposito, utilizzò molti elementi della discussione neuro-
fisiologica per interpretare i due significati del cuore - quello
fisico, corporeo, e quello simbolico - come coincidenti nella
realtà e nella devozione. La persona umana è fatta di un cuore
fisico, che pompa il sangue, ma è anche fatta di emozioni e
sentimenti. Questi ultimi, pur avendo origine nel cervello, sono
sempre percepiti attraverso il cuore, che palpitando registra le
variazioni degli stati emotivi.
Anche nell'interpretazione del simbolo religioso occorre tener
presenti questi due piani. Il cuore di Gesù è quello fisico, raf-
figurato infatti spesso con impressionante realismo anatomico,
ed ha una ferita da cui esce sangue vero, il sangue di chi si è
sacrificato per il genere umano. Ma esso è anche la rappresenta-
zione simbolica dell'amore di Gesù per gli uomini.
I teologi erano comunque soprattutto preoccupati dei risvol-
ti che la femminilizzazione del culto comportava; e Gemelli non
perdeva occasione per condannare gli atteggiamenti sentimen-
tali che tante donne vi profondevano, per la loro « esuberanza
di affettività». Esse, lamentava, concepivano la devozione sotto
« la forma di un cuore sensibile. Quel Cuore rosso di sangue
richiama alla mente le passioni, i dolori, e il cristiano igno-
rante si commuove ai dolori fisici della passione di Gesù e di-
mentica gli altri dolori, quelli dell'Uomo-Dio, e quindi non sa
elevare la devozione alla sua funzione». (Gemelli, 1920)
95
La centralità del cuore
Vuotarsi e riempirsi
96
bri dell'organizzazione sono tanti cuori diversi protesi verso un
unico grande cuore; si cerca di analizzare il cuore di una situa-
zione, di un problema, ecc. E il Sacro Cuore è il centro di tutti
i cuori. (Olgiati, 1919)
Parallelamente si articola l'operazione inversa di personaliz-
zare il simbolo. Il Sacro Cuore è una realtà viva, che parla, cam-
mina, è fisicamente sempre insieme alle militanti. Raccontando
i primi mesi di intensa propaganda in tutto il paese, Armida
Barelli ricorda come un suo nipotino le avesse chiesto: « Non
andrai mica sola cosl lontano vero? » « No certo, ho invitato
solennemente il Sacro Cuore. Come potrei senza di Lui istituire
le nuove sezioni della Gioventù Femminile? » « Zia, hai preso
anche per Lui il biglietto? » « Oh, Lui ha da un pezzo l'abbo-
namento: Comunione quotidiana». (Sticco, 1967) .
L'appello di Armida alle donne cattoliche della fine del 1919
fu infatti interpretato cosi: « Quella voce non chiamava in •
nome proprio, né in nome del dovere, o della virtù, o della
giustizia, o dell'umanità, o in nome di altri principii astratti;
chiamava in nome di una Persona: il Sacro Cuore». (Sticco,
1967)
La sua materialità fisica viene confermata negli episodi nar-
rati come « realmente accaduti », comuni a tanta agiografi.ami-
racolistica cattolica.
Padre Mathéo Crawley racconta cosa avvenne in una casa
dove il Sacro Cuore è stato intronizzato nel salotto per volontà
di una donna sposata a un uomo non religioso. Quando la ceri-
monia è finita l'uomo entra incuriosito nel salotto a guardare
il quadro, ma non può« sostenere lo sguardo del Sacro Cuore».
« Esce dal salotto, ma attirato da una forza misteriosa, vi ritor-
na ... Quello sguardo lo perseguita, lo turba, lo esaspera. Chia-
ma sua moglie: "Chi hai fatto entrare in casa mia? Qui c'è
qualcuno: ti dico che c'è qualcuno"». (Crawley, 1926)
La personalizzazione del Sacro Cuore corrisponde al processo
di annullamento di sé dei devoti dentro il Sacro Cuore, cosf
come il perno della vita di ogni socia deve essere l'annullamen-
to di sé nell'organizzazione. Armida racconta come, dopo aver
ottenuto dal papa l'ordine ufficiale di fondazione, « scendendo
dalle scale del Vaticano, ebbi la strana impressione di nonll'ap-
partenermi più». (Barelli, 1949)
Nel manuale di istruzioni delle giovani cattoliche è scritto:
« La socia del circolo deve avere questo sentimento profondo e
radicato; essa non rappresenta più solo se stessa, ma anche la
sua associazione, la sua bandiera, la sua idea». (Olgiati, 1919)
Ma la donazione totale di sé nell'organizzazione e nel Sacro
Cuore non è solo consegna ad altri dei propri pensieri, desideri
azioni; essa comporta anche l'acquisizione di una nuova consa-
pevolezza della propria disponibilità: la percezione di sé come
contenitore vuoto che è riempito da altro, la esasperata insi-
stenza sulle potenzialità dell'essere umano di contenere e rac-
chiudere. (Maltz, 1978)
Tutti i momenti della vita quotidiana sono riempiti dai com-
piti dell'organizzazione e dall'osservanza dei doveri religiosi, ed
è fondamentale che nessun attimo sia riservato a pensieri, fan-
tasie o attività esterni a questi. Allo stesso tempo, le azioni e i
97
4.
pensieri individuali devono essere guidati dalla perenne arren-
devolezza ad accogliere altro. « Dovete essere dei serbatoi »,
raccomanda Mathéo Crawley, « vuotarvi di voi stessi è la condi-
zione preliminare; ricolmarvi di Nostro Signore, per donarlo,
è lo scopo». « L'oblio di sé è il grande segreto, il punto essen-
ziale». (Crawley, 1926)
L'organizzazione e i singoli circoli sono i luoghi dove si per-
dono progressivamente i caratteri della personalità esteriore e
si subisce una radicale trasformazione, mediante una rigida di-
sciplina di orari e presenze, il severo apprendimento dei testi
cattolici sulla storia religiosa e politica e sulla dottrina sociale,
l'obbligo di assolvere numerosi doveri religiosi, l'addestramento
a parlare in pubblico, lo studio di tecniche con cui esercitare un
efficaceproselitismo.
Il tempo esterno delle socie - nettamente separato e diverso
da quello della società civile - è scadenzato dagli impegni per
organizzare l'attività dei circoli, per partecipare ai convegni di
studio e settimane sociali, per fondare nuovi circoli, per i pelle-
grinaggi. A questo si aggiungono gli obblighi della liturgia: oltre
la Comunione quotidiana e la messa domenicale, sono previste
pratiche speciali per il Sacro Cuore ogni venerdì della setti-
mana, il primo venerdì di ogni mese e il mese di giugno che è
tutto consacrato al culto. Molte socie osservano inoltre l'adora-
zione perpetua al Sacro Cuore in una cappella dove si alternano
per tutte le ore della giornata (di notte sono sostituite da uomi-
ni) affinché vi sia sempre qualcuno in adorazione; l'Ora Santa
(ogni giovedl dalle 23 alle 24) e i Nove Uffici del Sacro Cuore,
dove nove persone si distribuiscono nove diversi compiti di
adorazione. (Venturi, 1890) Numerose socie diventano zelatrici,
una particolare categoria di devote associate all'Apostolato del-
la Preghiera di padre Anzuini. (Apostolato, 1923)
Oltrepassarei confini
98
« ... è la porta dell'Arca, dove entrano coloro che non deb-
bono perire nel diluvio». (Mattalia, 1927)
Uno degli attributi del Sacro Cuore nelle litanie è quello di
essere « abitazione di Dio e porta del cielo». Il cuore di Gesù
è infatti anche casa, la casa di Dio, dove occorre risiedere e
permanentemente entrare e uscire: « Il Cuore suo umano e
divino è nostro asilo, asilo di giorno e di notte, asilo che mai
si chiude, in cui l'anima purificata e resa libera della libertà dei
figli di Dio, entra per uscirne e da cui esce per rientrarvi».
(Uccello, 1930)
Le apparizioni di Gesù a Margherita Maria, la iniziatrice del
culto, tra il 1673 e il 1675, che vengono raccontate spesso nella
stampa diffusa alle socie, descrivono come il cuore di Gesù si è
rivelato in una lenta progressione attraverso quattro successive
apparizioni.
Comune a tutte e quattro è l'apertura del petto di Gesù e.
l'esibizione del cuore, in maniera ogni volta diversamente carat-
terizzata, con una gradualità che culmina nell'ultima, detta « la
grande apparizione», in cui Gesù prescrive la necessità di un
culto pubblico, e dove il protagonista è diventato ormai il
cuore, fuori e dentro il corpo allo stesso tempo. (Bainvel, 1919)
Nel racconto delle apparizioni compaiono gli elementi prin-
cipali che saranno utilizzati dalla teologia: il cuore come un
rifugio protettivo, un'apertura dove entrare e rimanere, la
prescrizione di soffrire perché il cuore di Gesù ha sofferto fino a
sanguinare e consumarsi, la promessa di amore e di inebriante
soddisfazione per chi si abbandonerà nel cuore, la necessità di
riversare all'esterno quanto ricevuto.
Nel periodo tra i secoli XIX e xx, in cui la devozione ha
una grandiosa espansione, si assiste a una ricchissima produzione
di testi, periodici, manuali che descrivono e ampliano modalità
e significati del culto.
Di questa produzione ho preso in esame soprattutto gli
scritti più diffusi tra le giovani donne cattoliche e i testi obbli-
gatori della liturgia, ripetuti in ogni funzione - litanie, giacula-
torie, meditazioni e commenti su pratiche particolari. Si tratta
di un materiale di grande interesse per la straordinaria sugge-
stione evocativa delle immagini adoperate.
In tutti questi testi è possibile ricostruire quelle fasi in cre-
scendo precedentemente rilevate. Nelle litanie, per esempio, i
32 attributi del Sacro Cuore seguono un ritmo progressivo che,
nell'ordine, lo definisce come « tempio di Dio», « porta del
Cielo », « fornace ardente di carità», « ricetto di giustizia e
amore», « abisso di tutte le virtù», « centro di tutti i cuori»,
« pienezza della divinità», « spezzato per la nostra scelleratez-
za», « trafitto dalla lancia», « fonte di ogni consolazione»,
« vita e resurrezione». (Sauvé, 1922)
Ma più importanti per la nostra analisi sono soprattutto le
prediche tenute durante i ritiri spirituali, in particolare quelle
di Mathéo Crawley, insieme ai testi che spiegano il significato
delle diverse fasi dell'adorazione.
La devozione descrive le 7 Stazioni del Sacro Cuore, una per
ciascun giorno della settimana, a partire dalla domenica, in cui
ogni giorno è prevista una modalità diversa per entrare e stare
99
nel cuore. Eccone alcuni esempi: la domenica « entrerete in
questo Sacro Cuore come dentro una fornace d'amore per puri-
ficarvi d'ogni macchia e sozzura contratte nella settimana». Il
mercoledì è il giorno del viaggio (« entrerete in questo amabile
Cuore come viaggiatore in un naviglio sicuro»); il giovedì
l'incontro col cuore è descritto come un convegno tra amanti
(«vi entrerete come un'amica invitata al festino d'amore del
vostro unico e perfetto amico, che vuol regalarvi ed inebriarvi
del vino delizioso del suo puro amore»); il venerdi è raffigurato
il parto (« entrerete in questo sacro Cuore come un figlio d'amo-
re, perché egli vi ha partorito sulla croce con tanti dolori, ch'Ei
n'è tutto coperto di piaghe e di sangue... Egli non desidera
nulla più che mettervi in possesso del suo regno, e farvi ripo-
sare sopra il suo seno, come un figliolo d'amore che s'abbandona
interamente alle cure della sua adorabile Provvidenza, la quale
ne piglia la cura e non gli lascia mancar nulla e non lo lascerà
perire, perché Egli è onnipotente»); l'ultimo giorno, il sabato,
è quello dell'abbandono e perdita di sé («entrerete come una
vittima che si presenta al suo sacrificatore per essere svenata ed
igimolata sull'altare del suo puro amore, il quale deve consu-
marla, come un olocausto con le sue fiamme divine, affinché non
le rimanga più nulla di se stessa»). (Venturi, 1890)
Come appare evidente da questi testi, le pratiche della devo-
zione rinviano a esperienze umane fondamentali; mimano il mo-
vimento della.nascita fisica, della regressione prenatale, dell'atto
sessuale e della gravidanza. (Anzien, 1974; Ledoux, 1980)
La devozione è una pratica mentale, descritta però sempre nei
movimenti del corpo fisico; è la mente che deve abbandonarsi
ma sono corpi reali quelli che viaggiano nel Sacro Cuore e ne
riemergono fisicamente ristorati.
L'atto di abbandonarsi è anche un atto di allontanamento
dall'età adulta, un ritorno allo stato indifeso dell'infanzia che
soggiace a una dispotica autorità paterna, come si ripete negli
inni della messa.
Ad ogni antifona in cui il Sacro Cuore stabilisce i livelli pro-
gressivi del suo dominio, si risponde sempre, « Voglio vivere
come un bambino, senza preoccupazioni, nel Cuore del mio buon
Padre», e la preghiera che segue aggiunge: « O cuore santis•
simo, fa' ch'io non abbia più altra sollecitudine per me fuor
quella d'abbandonarmi tutta in Te e nella tua amorosa provvi-
denza, lasciandomi condurre in ogni cosa con la semplicità di
un bambino, non avendo altra mira, né altro desiderio, in tutto
ciò che farò, che di accontentarti». (Piccolo Breviario, 1935)
L'abbandono infantile è cessione della propria volontà, di-
sponibilità a subire una sostituzione di personalità, a vivere
come occupati da un altro. L'antifona della messa suona: « Sono
venuto a te per sostituire la mia anima al posto della tua, il mio
Cuore, il mio spirito, al posto del tuo, affinché tu non viva più
che di me e per me». E il devoto risponde: « Signor mio, metti,
te ne scongiuro, cosl addentro, nel tuo Costato la mia volontà
e rinchiudila cosl bene, ch'essa non ne esca mai più. E perché
Tu possa stabilire la tua dimora nell'anima mia, dammi un'intel-
ligenza senza curiosità, un giudizio senza volontà e un cuore
100
senza altri moti che quelli del tuo amore». (Piccolo Breviario,
1935)
Il processo rigenerativo che avviene dentro il Sacro Cuore
raggiunge il suo apice nella perdita della percezione di aver dei
confini misurabili, nell'illimitato allargamento delle possibilità
di contenere per poter essere contenuti. È un'operazione di
annullamento sacrificale, in cui si è soprattutto strumenti di
altri.
« ... abbandonarsi senza riserve e senza divisioni... in che
misura? Senza misura». « Dimenticatevi per non pensare che
a Lui». « Non vi sia nullo di vostro! ( ... ) Egli vuol far tutto
in voi: a Lui importa semplicemente la vostra docilità». « Vo-
glio che tu sia lo strumento del mio Cuore. Bisogna che tu
divenga un vaso d'elezione e che la mia gloria rifulga sulla tua
indegnità». (Crawley, 1926)
Per le donne la necessità di essere uno strumento, un tra-
mite, è rinforzata dall'identificazione con la Vergine Maria,
mezzo per entrare nel cuore di Gesù.
Il cuore di Maria, oggetto anch'esso di una devozione parti-
colare, compare spesso nella pratica di adorazione a entrambi
i cuori, in una gerarchia che esplicita la concezione cattolica
della donna. Maria è una mediatrice, è colei che intercede e
favorisce ai devoti l'avvicinamento e l'ingresso nel cuore di
Gesù; anch'essa è porta del cielo, « distinta, ma non separata
dalla porta divina che abbiamo in Gesù» (Bainvel, 1919), e che
« ci dà il coraggio per entrare e dimorare nella casa di Dio».
(Uccello, 1930)
Verginità
101
mento dei circoli e l'intenso coinvolgimento psicologico della
loro religiosità le assorbiva completamente.
Quasi indenni da attacchi e persecuzioni, al di fuori della
breve parentesi tra il maggio e il settembre 1931, avevano at-
traversato « visibilmente invisibili » e indisturbate il fascismo,
senza manifestare nessuna palese ostilità alla politica sociale del
regime, semmai diffidenza nei confronti degli aspetti anti-catto-
lici dell'ideologia fascista.
Diventarono invece visibilissime dopo la fine della seconda
guerra mondiale, quando ormai l'organizzazione aveva quasi
trent'anni di storia alle spalle.
In occasione delle elezioni del 1946, in cui le donne italiane
esercitano il diritto di voto per la prima volta, le giovani catto-
liche si mobilitano nelle scuole di propaganda e corsi di forma-
zione, e con volantinaggi e comizi a tappeto ripercorrono le
parrocchie del paese. Ancor più efficace sarà la loro azione du-
rante la campagna per le elezioni politiche del 1948. (Barelli,
1949) Ed è solo allora che si avrà una qualche consapevolezza
dell'esistenza di svariate migliaia di donne cattoliche emancipa-
tesi silenziosamente all'ombra del regime.
Fino a quel momento considerate come volonterose e inco-
lori zitelle, parenti, vicine, colleghe, domestiche, si trasformano
in attiviste politiche per il partito cristiano e per il papa.
Eppure il loro quieto passaggio attraverso il fascismo, privo
di episodi drammatici o particolarmente rilevanti non è da
valutare guardando solo agli effetti di lunga durata - donne
dalla religiosità inquieta che a un certo punto diventano elet-
trici, iscritte, dirigenti e deputati della Democrazia Cristiana.
È chiaro che questi effetti non sono trascurabili, e altrove ho
discusso gli aspetti più rilevanti della loro emancipazione e
iniziative nel ventennio. (Di Cori, 1979; De Giorgio-Di Cori,
1980)
Ma la loro presenza durante il fascismo merita di essere stu-
diata da un'altra angolazione, interna al problema dell'identità
femminile e al rapporto che intercorre tra auto-rappresentazione
e presenza all'esterno.
In realtà, fin dall'inizio furono percepite e si percepivano
come diverse dalle altre donne.
Quando la Gioventù Femminile cominciò a diffondersi nel
paese tra il 1919 e il 1921 il nodo centrale del dibattito sulle
donne e il femminismo era quello di ridefinire le caratteristiche
specifiche dei due sessi.
Che si parlasse di diritti e doveri dell'uno e dell'altro, di
emancipazione controllata, di mascolinizzazione delle donne con
il lavoro extra-domestico e di loro ruolo naturale nella mater- .
nità, si trattava sempre di stabilire confini e ambiti riguardanti
la classificazione delle caratteristiche sessuali all'interno delle
categorie maschile/femminile.
Le posizioni della Gioventù Femminile. sul ruolo e compiti
della donna erano tra le più conservatrici e tradizionali, e la
totale adesione alle analisi e prescrizioni che su questo tema
provenivano dalla gerarchia vaticana, è sufficientemente elo-
quente in proposito.
La diversità che vollero più di altre enfatizzare non riguarda
102
infatti l'ideologia, il tipo di iniziative e strutture dell'organizza-
zione, o le particolarità della vita religiosa, ma una caratteristica
sessuale: la verginità,
La loro presenza veniva spesso avvertita con un certo disagio;
subivano imperterrite grossolane battute per il rigido moralismo
e il comportamento austero, ma non erano considerate né trat-
tate alla stregua delle altre donne, quasi appartenessero a una
categoria sessuale particolare.
La società maschile considerava pericolose soprattutto le fem-
ministe radicali; queste donne cosl avverse all'emancipazione di
stampo femminista e apparentemente desiderose solo di un ordi-
namento sociale autoritario e di pulizia morale sembravano ben
poco temibili; eppure in qualche modo intimidivano.
Nei versi scritti pochi anni prima della nascita della Gio-
ventù Femminile, Palazzeschi aveva offerto un indimenticabile
ritratto delle vecchie beghine dei suoi tempi, cui rivolgeva incal-
zanti domande: « Cosa fate? Cosa foste? Cosa siete? / Vecchie
cameriere pensionate? / Signore decadute? / Siete nonne di fa-
miglie perbene? ( ... ) Di temi, / nella purità siete cosl avvizzite, /
o nel vizio? »
Facile era percepire nelle vecchie come nelle giovani le mo-
venze impacciate, la ritrosia dello sguardo e dei gesti rigidi;
ma anche l'occhio intelligente, burlone e curioso di Palazzeschi
avvertiva un altro messaggio inquietante: « V'intanaste nel-
l'ostinazione della virtù / o nessuno vi volle? / O conosceste
bene l'amore? / Questo è il mistero che m'interessa in voi».
Le donne di cui ci occupiamo non sono vecchie beghine av-
vizzite, anche se comune a entrambe era il tratto sessuale che
Palazzeschi coglieva con -acutezza e con personale senso di sgo-
mento. Tuttavia, al contrario di quelle, la diversità della Gio-
ventù Femminile consisteva nell'uso sociale della verginità, non
assunta come ripiegamento difensivo, ma ostentata come ele-
mento di forza e potenziale minaccia.
Vissuto come un rigoroso addestramento fisico e mentale, il
raggiungimento della purezza era garanzia dell'avvenuta armo-
nia tra corpo e anima. Questa « pratica della purezza », come
venne chiamata nei corsi di formazione, prescriveva di educare
le giovani « alla custodia del cuore perché rendano soprann:JW
turali e sempre subordinati a Dio i sentimenti, gli affetti e i
desideri; alla purezza di mente, frenando fantasie, ricordi, im-
maginazioni; a considerare il proprio corpo come « tempio di
Dio » e tabernacolo vivente della SS. Eucarestia, onde rispettarlo
come cosa sacra, ed evitare ogni occasione di male; ad avere
particolai;e cura del loro esteriore per evitare ogni minima con-
cessione alla moda immorale, alla leggerezza e alla vanità fem-
minile; ( ... ) - [all']esercizio volontario dei piccoli sacrifici e di
rinunzia a cose lecite, per riparare alle concezioni illecite delle
anime impure, e per farle risorgere a vita di grazia». (Olgiati,
1934)
L'ostentazione della castità era fonte di turbamento ma pro-
babilmente anche di fascino per le altre donne.
La Gioventù Femminile sosteneva di voler indicare alle don-
ne italiane una terza via, diversa dal femminismo laico e socia-
lista, fermamente contraria all'emancipazione femminile, con-
103
fessionale, caratterizzata da una militanza tutta interna alle
strutture della chiesa e sottoposta al controllo della gerarchia
ecclesiastica. In tal senso l'organizzazione cattolica non forniva
un modello nuovo di emancipazione - quantunque per certi
versi ne risultasse anche questo - ma un modello di autonomia
sessuale.
L'antropologa Kirsten Hastrup ha di recente analizzato la
verginità in un importante studio che riprende le precedenti
ricerche di Edmund Leach intorno alla maternità della Vergine
Maria e di Mary Douglas sui concetti di purezza e pericolo.
(Hastrup, 1974 e 1978; Leach, 1966; Douglas, 1975)
L'opposizione tra femminile e maschile è un'equazione ine-
guale, afferma Hastrup; laddove il maschile si present!\ come
generalizzazione, il femminile è specificato nella divisione tra
vergini e donne. Le donne che non sono madri non sono sem-
plicemente donne, sono vergini; e questa categoria è dotata di
un'ambiguità che riguarda entrambi i sessi, cosi come ambigua
è la classificazione di femminile dovuta alla distinzione tra
vergini e donne.
t noto come lo stato sessuale di una donna sia in molte
società simbolo di purezza sociale. La verginità e la castità svol-
gono infatti una importante funzione simbolica rispetto agli ordi-
namenti sociali, e la perdita della verginità può contaminare al-
tre donne, gli uomini e in alcuni casi l'intera società.
D'altra parte, l'abbandono dello stato verginale e la possi-
bilità stessa di raggiungere un'identità specificadi donna avviene
solo attraverso il rapporto sessuale con un uomo. La vergine si
trova cosi a vivere in uno stadio intermedio tra i due sessi, e
questa peculiare posizione la rende al tempo stesso vulnerabile
e potente.
La potenza della vergine è data dal fatto di esprimere a
livello simbolico la capacità di mediare tra le categorie ses-
suali, laddove la Madonna, concentrando l'anomalia di essere
vergine e madre allo stesso tempo, è la mediatrice per eccel-
lenza tra la divinità e il genere umano.
L'esempio di Giovanna d'Arco citato da Hastrup nella sua
analisi, « il cui potere reale e simbolico era in relazione con
la sua ambigua classificazione sessuale», è significativo anche
per il nostro caso, perché la « pulzella d'Orléans », insieme con
un'altra santa vergine e combattiva, S.ta Rosa da Viterbo, era
tra le protettrici della Gioventù Femminile. (Barelli, 1920)
Una castità militante, fuori dai conventi, era infatti anche
l'ideale delle nostre donne; essere vergini interiormente e di
fronte all'esterno, ma non monache.
Il gruppo dirigente della Gioventù Femminile esplorò con
seria determinazione le possibilità di abitare negli spazi di con-
fine della categorizzazione del femminile - in questo oltrepas-
sando i limiti stessi stabiliti dalla Chiesa. Un'utilizzazione pub-
blica e sociale della verginità era infatti sconcertante perfino per
alcune fasce del clero maschile.
Per molti ecclesiastici il rifiuto di queste donne di essere
inquadrate nei Terz'Ordini tradizionali era spesso motivo di
preoccupazione - segno che non si trattava soltanto di un mero
problema di ubbidienza alla gerarchia o sincerità di fede, ma di
104
uno spostamento delle linee di demarcazione che definivano sia
lo stato laicale che l'identità sessuale conseguente. Non era in
questione l'osservanza dei voti ma le ragioni che muovevano
queste donne a fare una dichiarata scelta trasversale.
Se ai laici intimoriva lo stato verginale in sé, per gli eccle-
siastici incomprensibile e inquietante era che questo stato non
venisse semplicemente scelto e vissuto con seria consapevolezza,
ma si allargassero gli ambiti della sua utilizzazione, come se il
fatto di esibirlo in luoghi e in compiti estranei al controllo ec-
clesiale potesse degenerare in una contaminazione pericolosa.
La sacralità della condizione verginale era in qualche modo mi-
nacciata e minacciosa se si pretendeva di accostarla a quanto
sacro non era.
Il clero delle diocesi non toccate da profonde modificazioni
nel comportamento femminile, oppure ostile e lontano ai rinno-
vamenti del gemellismo, era sospettoso nei confronti di queste
vergini che rifiutavano la vestizione monacale e l'irreggimenta-
zione negli ordini secolari ma si insinuavano negli interstizi del
potere vaticano tramite l'appoggio incondizionato di cui godet-
tero almeno fino a Pio XII. (Moro, 1979)
Un problema di potere e controllo da un lato. Armida Barelli
era infatti vista come una papessa nera per la familiarità dii
rapporti con i pontefici e per l'autoritarismo con cui controllava
che la dirigenza della Gioventù Femminile fosse composta di
persone a lei legate tramite l'Opera della Regalità. Ma c'era
anche la più piana considerazione che proprio la peculiarità di
condizione religiosa avvicinava queste donne ai modelli di eman-
cipazione femminile che si volevano invece comprimere. La loro
verginità espansiva nascondeva quindi una potenziale carica di
opposizione.
Questa latente conflittualità, oltre a essere consapevolmente
adoperata dalle dirigenti, si vestiva di particolari caratteri difen-
sivi e offensivi all'esterno, che ricordano quanto già detto da
Mary Douglas a proposito del santo: un'immagine di sé omo-
genea, chiusa, e compatta, uno sforzo per rivelare solo l'assenza
di aperture, spiragli e luoghi penetrabili. L'attenzione con cui
si auto-rappresentavano in questa figurazione intatta e opaca,
era il punto di superficie estremo di una tensione interiore rav-
vivata invece da toni abbaglianti e intensi, il bianco e il rosso
inestricabilmente legati nel loro immaginario. (Hillman, 1979)
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107
un esperienzadiricerca
<ii>~
MarionKaplan
108
sione dalla politica, dalla maggior parte degli impieghi pubblici
e dall'istruzione superiore. L'analisi storica dimostra - secondo
l'ipotesi che la ricerca propone - che sebbene le donne abbiano
accolto l'avvento della società industriale con entusiasmo, non-
dimeno esse sono rimaste lungamente attaccate alle tradizioni
religiose - spesso anche molto dopo che mariti e figli avevano
smesso di prestarvi attenzione - valendosene per trarne prestigio
all'interno di quella sfera domestica nella quale erano comunque
ancora relegate. Se le donne si sono rivelate più « tradizionali »
- termine col quale non si intende esprimere né approvazione né
riprovazione morale - ciò si deve al fatto che esse dovevano
adattarsi a compiti nuovi pur assolvendo ancora a quelli vecchi.
109
mento difendevano tradizionali sentimenti e pratiche religiose.
La nuova famiglia borghese si sviluppò in concomitanza con
quel faticoso e discontinuo processo di secolarizzazione a cui
gli ebrei partecipavano assieme agli altri tedeschi. Prodotto dal-
la « separazione » della società dalla religione e dalla derubri-
cazione di quest'ultima a semplice « categoria denominazio-
nale », la secolarizzazione comportò la fine del primato proprio
dell'ebraismo e dell'ebraicità, quello di essere forza omnicom-
prensiva, dominante nel determinare condotte individuali e vita
sociale (Greive, 1980). Desiderosi di acculturarsi, alcuni ebrei
modernizzarono i loro rituali, minimizzandone gli aspetti non-
occidentali. Altri tentarono di spogliarsi completamente delle
loro specificità etniche, sociali e, talvolta anche religiose. Ma la
famiglia mantenne la sua centralità e sperimentando la seco-
larizzazione a partire dalla loro collocazione familiare per le
donne religione e famiglia costituirono un'unica realtà.
Ancora più che in altri casi, l'osservanza ebraica avveniva in
quella sfera domestica nel cui ambito la religione assegnava alle
donne una posizione privilegiata, « compensandole » in tal mo-
d0t per la marginalità in cui venivano relegate nella sinagoga.
Vita familiare ed osservanza delle regole - del Sabato, delle
festività e delle leggi dietetiche - erano chiaramente di compe-
tenza femminile. È per questo che se della religiosità maschile
possono costituire indicatori validi la frequenza della sinagoga
o l'adesione a regole relative alle condotte extradomestiche
(come il divieto di lavorare il Sabato) e, solo in ultima istanza,
la partecipazione a rituali in casa, il rapporto delle donne con
la religione deve misurarsi in modi del tutto diversi: partendo
proprio da dati « domestici » per valutare il mantenimento del-
1'« ebraicità » della casa in relazione tanto all'adesione a speci-
fiche norme comportamentali quanto ad atteggiamenti affettivi.
Mentre alla trasmissione formale dell'ebraismo erano depu-
tate sedi istituzionali come la scuola e la sinagoga, quella infor-
male - «etnica», privata e personale - era essenzialmente
demandata alle donne. Imprimendo ai figli sentimenti religiosi
e consuetudini all'osservanza, le donne forgiavano ambienti in
cui la tradizione si rafforzava. Ed infatti, ripensando alle loro
vite, gli autori di numerose memorie sembrano essere stati in-
fluenzati più dagli atteggiamenti - positivi e negativi - delle loro
madri che non dalla partecipazione paterna alla sinagoga o dalla
loro stessa istruzione religiosa. Per tutta l'epoca imperiale, ebrei
· delle zone rurali ricordano in termini elogiativi le festività ed
i Sabati familiari. (Richarz, 1979) Madri e nonne, coadiuvate da
domestici, addobbavano la casa e cucinavano pranzi tradizionali
creando, col loro impegno, quell'atmosfera speciale del Sabato
in cui erano caratteristici pietanze particolari, tovaglie bianche
imbandite con le stoviglie migliori, candele illuminate, vestiario
particolarmente curato e riunioni familiari. Quando le donne
accendevano le candele significava che lo spirito del Sabato era
entrato in casa; uno spirito indissolubilmente legato all'unità
familiare: « La pace e la cerimonia di un venerdl sera tradizio-
nale ... erano unici. Era un'occasione in cui l'intera famiglia si
riuniva. Impegni e sofferenze della settimana lavorativa erano
dimenticati. Era come entrare in un altro mondo» (Stern, 1968).
110
Le donne si occupavano anche dei preparativi delle princi-
pali festività. La pulizia della casa per Pesach iniziava spesso a
gennaio per terminare ad aprile, in una notte interamente dedi-
cata alla sostituzione degli utensili di cucina e delle stoviglie
usati normalmente con quelli speciali della festa (Calvary, LBI;
Geismar, LBI; Hirsch, LBI).
Queste testimonianze non alludono a pratiche diffuse solo
nelle campagne. Numerosi documenti autobiografici indicano
che pur prevalendo nelle città una cultura laica, gli ebrei - urba-
nizzati, già nel 1910, per il 58% - e, fra essi, soprattutto le
donne, erano comunque a conoscenza del calendario ebraico
come anche del significato di particolari rituali e delle usanze
culinarie proprie dei giorni festivi. Il Sabato e le altre festività
rappresentavano celebrazioni religiose e familiari, intrecciando
elementi dei due tipi difficilmente scindibili l'uno dall'altro.
La famiglia sosteneva cosl la pratica religiosa la quale, a sua
volta, rinsaldava l'unità familiare. Come ricorda una donna de-
scrivendo Berlino nel 1880, « oltre alla cerimonia del venerdl
sera, vigeva anche la regola ferrea (strenges Gebot) dell'unità
della famiglia (Familienzusammengehorigkeit1 » (Loevinson,
LBI).
Gli ebrei delle città - specie quelli inurbati da oltre una gene-
razione - riducevano spesso il numero di ricorrenze osservate,
minimizzandone anche i significati. Ma ad eccezione di una
ristretta minoranza, notoria per l'aver adottato alberi natalizi
ed uova pasquali, essi erano generalmente consapevoli delle
principali scadenze religiose e cercavano di commemorarle con
incontri familiari e pasti tradizionali. Nonostante lo smarrimento
di vecchi rituali, sul piano simbolico si stabiliva un'analogia fra
festa e famiglia che per un verso, facilitava l'adattamento ad
una società quasi esclusivamente scadenzata dalle festività cri-
stiane mentre, per l'altro, rafforzava quei vincoli primari che la
tradizione, lo status minoritario della comunità ed i processi
socioeconomici in atto promuovevano. La famiglia divenne allora
l'emblema dell'« imborghesimento della religiosità ebraica»
(Mosse, 1980), l'asse portante di un ebraismo secolarizzato.
Nello stesso periodo, la borghesia protestante registrava tra-
sformazioni analoghe. Alla « riprivatizzazione » di cerimonialir
pubblici normalmente svolti in chiesa, faceva infatti riscontro
l'assegnazione di valori spirituali alla vita familiare (Henning,
1972). In questo contesto, la maggiore religiosità veniva attri-
buita alle donne, le quali partecipavano alla vita della chiesa più
regolarmente degli uomini e, specie fra i cattolici, si facevano
carico dell'osservanza dei rituali domestici. Settimane prima
delle principali occasioni religiose, in ossequio a tradizioni fami-
liari piuttosto che a specifici precetti della fede, le donne avvia-
vano infatti grandi pulizie e preparativi culinari.
Anche fra gli ebrei, l'osservanza dei riti ebbe un declino
particolarmente graduale fra le donne. Nel loro mondo privato,
più tradizionale che moderno, ritmato da parti, anniversari,
morti e dai rituali corrispondenti, la dissonanza fra pratica reli-
giosa ed organizzazione della vita quotidiana risultava indubbia-
mente meno rilevante di quella vissuta dagli uomini. Inoltre,
se la fedeltà maschile alle regole incontrava ostacoli non secon-
111
dari nel mondo del lavoro, nell'ambito domestico la gestione
femminile doveva misurarsi con un numero inferiore di interfe-
renze esterne. Le donne potevano, per esempio, decidere di
mantenere il « kasher » anche contro il parere dei loro mariti:
« quel che fai nella cucina - dichiarò uno di essi - riguarda
solo te» (Poster, in corso di stampa). Per di più, l'ideologia
comune permetteva, tollerava ed incoraggiava persino la reli-
giosità femminile, tanto che negli ambienti praticanti, questa
conferiva alle donne un potere sociale altrimenti inaccessibile.
Infine, l'esclusione da gran parte delle manifestazioni pubbliche
dell'ebraismo - come per l'appunto, i riti svolti in sinagoga -
facilitavano l'autodefìnizione delle donne come credenti. Se il
trascurare i doveri imposti dalla fede può essere considerato
indicativo di un declino della religiosità maschile, al contrario
le donne - per le quali la stessa fede si pone in maniera meno
formale e più interiore - potevano pertanto conservare i loro
modelli di compor.tamento senza intaccare lealtà o affetti. Si
applica particolarmente alle donne ebree l'ammonimento ancora
recentemente ripetuto dagli storici a ricordarsi che « coscienza
e sentimenti religiosi possono sopravvivere anche senza trovare
espressione in comportamenti socialmente osservabili» (Stern,
1980).
Persino fra gli ebrei « secolarizzati » ed ormai irrispettosi del
Sabato o delle leggi dietetiche, le donne sono rimaste le ultime
a mantenere le tradizioni e le regole attinenti alla casa. Il ram-
pollo di una famiglia benestante berlinese, nato nel 1876, pur
rammentando di non aver ricevuto nessuna forma di educazione
religiosa, tuttavia riconosce: « è vero anche che mia madre mi
insegnò a pregare tutte le sere» (Richarz, 1979) ed un altro
giovane - anch'egli del 1876 - nel richiamare l'assoluta inos-
servanza di entrambi i genitori, nondimento aggiunse: « ogni
venerdì sera vedevo pregare mia madre, coscienziosamente,
alzandosi nei momenti prescritti ... » (Richarz, 1979). Analoga-
mente, Charlotte Wolff, nata Reisenburg nel 1901 e cresciuta
in una famiglia fortemente assimilata, evoca l'eccitazione del
giorno di Natale e le ricche torte di quel giorno per poi notare
« un giorno speciale della settimana da anticipare con piacere -
il sabato... Il venerdì sera mia madre metteva a tavola due
candelabri di argento; il cibo era particolare ed abbondante ed
alla fìne bevevano un piccolo bicchiere di porto» (Wolff, 1980).
Le testimonianze reperibili glissano, normalmente, sul tema
delle preghiere private recitate dalle donne, informando quindi
di più sulle percezioni che i loro biografi avevano della presunta
inferiorità delle loro pratiche religiose che non sulla loro reale
negligenza in questa sfera. Ma anche quando le donne abbando-
navano le usanze tradizionali, ciò avveniva frequentemente
dopo che già lo avevano fatto i loro mariti. Anna Kronthal,
nata a Posen nel 1862, ricorda che mentre sua madre osservava
il Yom Kippur digiunando e dedicando la giornata alle pre-
ghiere, per suo padre « era più facile digiunare dopo un'abbon-
dante colazione» (Kronthal, 1932). Un'altra donna, ancora,
descrive un padre che mangiava carne suina mentre la madre
pregava fervidamente (Kahler, LBI).
Anche quando una coppia rinunciava contemporaneamente
112
alle pratiche religiose, le donne sembrano esserne state più
preoccupate. Freud, per esempio, convinse sua moglie a lasciar
cadere ogni rituale, ma sino alla fine dei loro giorni continua-
rono a litigare perché Martha voleva accendere le candele il
Sabato (Aberbach, 1980). Non sempre con successo, le donne,
insomma, resistevano all'abbandono completo della tradizione
ebraica, manifestando la loro opposizione nell'unico modo che
poteva apparire accettabile: tranquillamente, nell'alveo protet-
to della casa. Tuttavia, quest'attaccamento specificamente fem-
minile era probabilmente considerato di scarso rilievo da am-
bedue i sessi, dal momento che gli uomini attribuivano status e
prestigio alle manifestazioni pubbliche del culto.
Alcune donne, naturalmente, preferirono dimenticare rituali
ed osservanze. Talune si «laicizzarono» mentre altre scelsero
percorsi forse più convenienti. Una insistette che « si poteva
essere religiosi selettivamente » e persuase suo marito a man-
giare il giorno di Yom Kippur (Richarz, 1979). Altre ancora
credettero che negando la loro identità ebraica - religiosa e
socioculturale - avrebbero ottenuto vantaggi nella società tede-
sca. Ma questi casi rimasero chiaramente una minoranza. Secon-
do i dati riguardanti matrimoni misti e conversioni nella Germa-
nia guglielmina, gli uomini ebrei erano assai più propensi a
tagliare i legami con la comunità d'origine di quanto lo fossero
le donne (Theilhabar, 1914; Zeitschrift, 1924).
« Incapsulate » nella famiglia, le donne avevano scarse pos-
sibilità di accedere ad ambienti «gentili», incontrare non ebrei
o subire direttamente esperienze di anti-semitismo. La colloca-
zione di classe, posizione geografica, vitalità e qualità dei legami
propri della comunità ebraica, come pure gli atteggiamenti ma-
schili e l'ostilità del mondo circostante contribuirono a plasmare
l'identità religiosa ed etnica delle donne ebree. Ed il loro ruolo
familiare diede loro una possibilità unica di conservare la tradi-
zione anche quando si assimilavano alle norme dell'ambiente
esterno. Con il declino generale della fede, gli ebrei - come gli
altri borghesi tedeschi - cercarono nella famiglia quel nucleo
di significati e valori precedentemente depositati nella « reli-
gione».
Il'
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114
---:
fonti e documenti
Il <<FondoGiulianoCapranica
del Grillo))
Il « Fondo Giuliano Capranica del raro se non unico riuscito intreccio di vita
Grillo » è conservato al Civico Museo privata e professione.
Biblioteca dell'attore del Teatro di Genova Entrata nell'Ottocento più puttana che
ed è la più ricca documentazione che artista, la teatrante italiana, infatti, dove-
esista su di un'attrice italiana: Adelaide va scivolare nel matrimonio, dimenticando
Ristori. le tavole del palcoscenico, se voleva rien-
trare in una tranquillità di affetti. Non
Adelaide Ristori (1822-1906) fu la più mancano certo le eccezioni come Carlotta
illustre rappresentante femminile delle sce- Marchionni, maestra della Ristori, morta
ne teatrali italiane del pieno Ottocento. nel 1861 nubile, rispettata, vagamente in
Figlia d'arte, contava nella sua famiglia odore di castità (e sia detto questo senza
attori che raggiunsero una discreta noto- vituperio), per anni primattrice della
rietà. La sua carriera artistica fu lunga e Reale Sarda, Compagnia di Stato Sabaudo,
piena di successi e non volendola qui rias- che richiedeva, quale requisito insindaca-
sumere, basterà dire che ottenne la sua bile, un comportamento corretto e moral-
prima parte da protagonista nel 1836 e mente ineccepibile ai suoi scritturati.
cinquant'anni dopo si ritirerà dalle scene, In clima di definizione sociale dell'at-
dopo un'ultima tournée negli Stati Uniti tore, indispensabile all'affermata funzione
durante la quale aveva recitato Macbeth civile del teatro, Adelaide Ristori, soprat-
con il più celebre attore americano d'allo- tutto in quanto donna, è figura talmente
ra, Edwin Booth. Monumento ormai sto- emblematica da passare il segno dell'esem-
rico, Eleonora Duse si rivolgeva a lei con plarità. E questa eccedenza l'ha resa e la
deferente ammirazione, fors'anche velata rende agli occhi di molti (da Gustavo Mo-
di impenetrabile ironia. Nel 1902, per il dena era chiamata « la marchesana ») ar-
suo ottantesimo compleanno, dignitosa si- rampicatrice sociale senza finezze e ricer-
gnora con cuffietta e nastri, riceveva a catrice instancabile di un'adeguata imma-
casa sua la visita inusuale di Vittorio gine pubblica. Fuorviata dall'obbligante
Emanuele III. Lontano, ovviamente, era trasgressività di un'arte ai confini della
il tempo in cui consolidava una promet- società per vocazione, non sfiora il sospetto
tente carriera con un nobile matrimonio, che il preteso moralismo della Ristori be-
115
ne s1 mcastonasse in un'epoca che cer- ticare certe assolutezze che corrono il ri- -
cava la suprema aspirazione per una donna schio di diventare luoghi comuni per me-
nell'essere madre esemplare e per un atto- glio considerare quanto di anticipatore ab-
re l'abbandono della veste del saltimban- bia portato nell'arte della recitazione e
co. E allora anche un suo rifiuto a recitare ancor più nell'organizzazione teatrale, a-
accanto alla cugina Laura perché « mante- prendo i palcoscenici di tutto il mondo
nuta del re » non è da circoscrivere nella all'attore italiano.
pruderie snob di chi è riuscita a trava- Ultima conseguenza dell'oculata ammi-
licare la sua origine, ma nel coerente per- nistrazione di Giuliano Capranica fu la
seguimento di un modello da attuare an- sistematica registrazione della corrispon-
che con un certo margine di libertà indi- denza con teatri e impresari di tutto il
viduale, non oggetto di chiacchera, però. mondo e l'uso del copialettere. Preservate
La sua personalità forte e ricca di con- dalla dispersione, queste carte sono state
trasti, l'inamovibile e caparbia sicurezza donate, assieme ad una ricca collezione di
dei propri diritti risalta ben chiara già costumi, al Civico Museo Biblioteca del-
dagli anni giovanili. Conosciuto nel 1846 l'attore nel 1967 dalla famiglia Capranica.
Giuliano Capranica marchese del Grillo, Offrono, per la loro organicità, un'ampia
è estremamente ricettiva ad ogni consiglio, posslbilità di studio non solo della vita di
senza tuttavia mai derogare dal proprio una grande attrice, ma anche del teatro
modo di essere. Il matrimonio, contrasta- italiano della seconda metà dell'Ottocento
tissimo, nulla vieta di pensare possa es- nei suoi vari aspetti: organizzazione, arte
sere iato il romantico coronamento dì un della recitazione, drammaturgia, scenogra-
incontro d'amore. Senz'altro non avvenne fia. Eccone un rapido inventario:
per denaro, che anzi l'attrice fu costretta a Corrispondenza. Circa trentamila lette-
dimenticare il suo progetto di abbandona- re in arrivo, oltre i copialettere e le mi-
re le scene per problemi economici. Giu- nute. Comprende il carteggio famigliare
liano non era ricco (condizione che Ade- della Ristori e del Marchese Giuliano, la
laide non aveva mai ignorato) e trasportò corrispondenza personale con autori, atto-
la sua esperienza in campo finanziario, nel- ri, impresari ed esponenti della cultura
la gestione della professione della moglie, dell'epoca non solo italiani. Lettere il cui
dandole un impulso di tipo imprendito- valore non si esaurisce nel semplice omag-
riale. Nel 1855 prepara personalmente la gio all'arte della Ristori (seppur avvalo-
campagna di abbonamenti, avvalendosi di rato dalle celebri fume di Giuseppe Verdi,
lettere credenziali presso la migliore socie- Camillo Cavour, Charles Gounod, Alphon-
tà, per quella tournée a Parigi, in occa- se Lamartine, George Sand per citarne al-
sione della prima grande Exposition Uni- cune) ma entrano nel particolare della
verselle, che segnerà una svolta decisiva, realizzazione scenica attraverso gli auto-
in chiave internazionale, nella carriera del- grafi di Alexandre Dumas che della Ristori
1'attrice. Nel maggio i parigini, decretando fu un assiduo ammiratore.
il successo della Riiitori « tragica » la indi- Di particolare importanza, il carteggio
rizzeranno verso una maggior scelta del tra l'attrice e Paolo Giacometti che scrisse
repertorio da cui scomparirà il dramma per la Ristori numerosi lavori drammatici
domestico per privilegiare le regine: Ma- di cui si può ricostruire le varie fasi di
ria Stuarda, Elisabetta, Giuditta, Maria stesura, integrandone lo studio con i co-
Antonietta, Lady Macbeth. pioni in nostro possesso. Si potrebbe cita-
Sui giornali oltre che le sue doti d'in- re, sempre a carattere, esemplificativo, il
terprete, si esalteranno l'esemplare costu- carteggio con Ernest Legouvé, uno degli
matezza di tenera madre e di sposa inat- autori italiani della Comédie-Française, che
taccabile. Questo filo continuo che la in- dedicò alla Ristori la sua Medea portata
segue e che persegue sul palcoscenico e dall'attrice al successo in tutta Europa;
nella vita privata, la sua fedeltà a un ideale con Francesco Dall'Ongaro, autore del ce-
monarchico, le hanno procurato l'antipati- lebre Fornaretto di Venezia, che tradusse
ca veste di una sin troppo abile manipola- per la Ristori la Fedra di Racine; con Giu-
trice di se stessa soprattutto in quanti, giu- lio Carcano uno dei rari e più accreditati
stamente, riconoscono in Gustavo Modena traduttori shakespeariani dell'Ottocento
la punta avanzata di un intervento pro- che ridusse per l'attrice il Macbeth; col
gressista dell'attore nella storia del Risor- patriota Giuseppe Montanelli che scrisse
gimento. Ma per una giusta valutazione per lei Camma. Va segnalato un consi-
della sua figura, sarebbe opportuno dimen- stente corpo di lettere di Eleonora Duse
116
che illustrano i rapporti tra le due diverse disegni e materiale iconografico per lo stu-
generazioni di attori. dio di scene e costumi storici.
Ancora più preziosi sono i carteggi che Fotografie. 1750 fotografie molte delle
forniscono elementi per ricostruire la sto- quali in grande formato (numerose di au-
ria della scenografia e del costume teatrale tori famosi quali Nadar, Disdéri, Bettini,
dell'Ottocento, aspetti pressoché inediti e Sdutto, Sarony, Van Lint, ecc.) che ripro-
scarsamente documentati del teatro di al- ducono la Ristori, in scena e nella vita;
lora per il carattere di improvvisazione sette album di fotografie varie (famigliari,
che avevano. amici, personalità, attori, ecc.).
Anche allo storico del Risorgimento H Musiche. Materiale unico per ricostrui-
Fondo offre interessanti spunti poiché nel re l'accompagnamento musicale degli spet-
lunghissimo elenco di corrispondenti non tacoli di prosa dell'epoca. Partiture e spar-
mancano personalità politiche: Nicola A- titi delle musiche di scena (autori Paola
more, Giovanni Arrivabene, Massimo d'A- Giorza, Franco Faccio e altri da identi-
zeglio, Camillo Cavour, Guido Bacelli, ficare) per Macbeth, Maria Antonietta,
Tommaso Corsi, Luigi Coppola, Giuseppe
ecc.
La Farina, Liborio Romano, Giorgio Ma-
nin, Filippo Meucci, Giuseppe Montanelli, Costumi. L'insieme dei costumi teatrali
Benedetto Musolino, Costantino Nigra, che la Ristori conservò è imponente per
Michele Novato, Cesare Orsini, Urbano la qualità e la quantità. Il « Fondo Ri-
Rattazzi junior, Oreste Regnoli, Timoteo stori » comprende almeno venti costumi
Riboli, Giuseppe Ricciardi, Antonio Som- completi e inoltre; circa trenta pezzi di
ma, Ottavio Tasca, Ferdinando Mattini, abbigliamento (sciarpe, veli, gonne, cor-
ecc. setti, cuffie, ecc.) sessanta gioielli di scena,
Carte amministrative. La serie dei bor- sei ventagli, venti paia di scarpe. È un
derò (registro degli incassi serali) è ric- complesso che permetterà di valutare il
chissima dal 1855 al 1885. Circa duecento costume « storico » del pieno ottocento in
le scritture; una ventina i contratti tra la modo diretto e in una delle massime
Ristori e i suoi autori, alcuni con sceno- espressioni. Alcuni di essi - come il co-
grafi; alcune fatture di fornitori teatrali; i stume di Maria Antonietta, eseguito dal
fascicoli delle non poche azioni legali pro- più grande sarto dell'epoca, il parigino
mosse o subite dall'attrice. Worth inventore della crinolina - furono
Copioni. Centoventi copioni (la mag- realizzati fuori d'Italia, a Parigi e a Lon-
gior parte usati per la scena, con le revi- dra. Il costume di Medea fu disegnato dal
sioni di censura); ventisei frammenti di pittore Ary Scheffer, considerato il capo
copione; circa quaranta parti levate; vari dei romantici olandesi; quelli per Elisa-
« addii » e « omaggi » al pubblico; il re- betta da Delphine Baron, figurinista del
pertorio poetico declamato dalla Riston Teatro dell'Opera di Parigi.
nelle sue dizioni di versi. Locandine • Manifesti • Programmi.
Bozzetti e figurini. Si tratta di mate- Circa 1000 unità. Presenti i teatri di tutto
riale raro. Una « rubrica » del direttore di il mondo. Tra le altre una locandina che
scena della Compagnia Ristori, datata la vede affiancata, nel Macbeth, da Edwin
1862, e contenente i bozzetti, le pianta- Booth, primo interprete americano che ot-
zioni, gli accessi e altre indicazioni sce- tenne fama europea.
niche relative a dodici drammi in reper- Album ritagli stampa. 50 volumi che
torio; qualche altro schizzo scenografico documentano l'attività teatrale di Adelai-
per Macbeth, Maria Antonietta e Maria de Ristori attraverso i giudizi della critica
Stuarda; i figurini per Béatrix; numerosi di tutto il mondo.
117
Carla Dappio
I periodicifemminilidell'800
in due bibliotecheromane
118
nostri giorni nei voti dell'umanità». Tra Contiene per lo più novelle, poesie,
i collaboratori figurano però solo sporadi- racconti fantastici, sentimental-amorosi.
camente nomi femminili. Contiene novelle Tra gli pseudonimi dei collaboratori com-
amorose, poesie, e in ultima pagina giochi, pare qualche nome femminile.
rebus, sciarade.
« Letture per le giovinette. Scritte scelte
« Giornale delle donne», Torino, 1868, o compilate», Torino, Firenze, 1883, men•
bimensile. Direttore: A. Vespucci. sile. A cura della C.ssa Della Rocca Ca-
1872; 1882; 1884-1885; 1887-1888; 1890- stiglione.
1895 1883-1889
Nel programma di apertura del perio-
Giornale di tendenza laica e moderata, dico, non esplicitamente cattolico, si legge
è favorevole all'emancipazione femminile. che si vogliono offrire argomenti di mo-
Si batte per il lavoro, l'istruzione, l'accesso rale, letteratura, storia, scienz-a. Pubblica
alle professioni, il diritto di voto per le inoltre racconti, temi di composizione e
donne. Vi compare qualche articolo favo- nel 1884 una rubrica, « Profilo femminili »
revole al divorzio. (biografie di donne).
119
1882; 1885; 1895 mezzi per poter conquistare l'emancipa-
Il periodico cattolico progressista, af- zione. Riporta notizie su altre associazioni
fronta il tema dell'istruzione della donna femminili, su congressi nazionali ed inter-
per « emanciparla dalla miseria e dalla nazionali del movimento femminista, ana-
ignoranza, le due fonti perenni ... d'ogni lizzando la condizione delle donne anche
suo più grave sconforto». Da notare: le in altri paesi europei (cfr. la rubrica « La
firme degli articoli sono nomi noti: Ma- donna -all'estero »). Si occupa inoltre di
rietta Bianchini, Erminia Fuà Fusinato, Te- spiegare gli articoli del codice civile ri-
resita De Amicis. guardanti il ruolo sociale femminile.
« La moda. Giornale delle dame», Mila- « Il tesoro delle famiglie. Giornale istrut-
no, 1878, mensile. tivo pittoresco», Milano, 1865, mensile.
1885; 1887-1891 Direttore gerente responsabile: Enrico
Pubblica figurini a colori, disegni, mo- Reggiani.
delli. 1870; 1876; 1881-1882; 1884; 1888
Contiene disegni artistici, figurini colo-
« La moda genovese. Giornale illustrato», rati, poesie, proverbi, nozioni di medicina,
Genova, 1882, mensile. Direttore-gerente: di igiene, di gastronomia; articoli sulla
Luigi Vegetti. bellezza della donna e sul matrimonio.
1889-1890
Rivista di moda per signore. « Vittoria Colonna. Periodico scientifico
artistico letterario per le donne italiane »,
« La.»moda illustrata. Giornale settimanale Padova-Napoli, 1891, mensile. Direttrice:
illustrato per la famiglia », Milano, 1886, Vincenzina De Felice -Lancellotti. Geren-
settimanale. Gerente: Antonio Cazzaniga. te responsabile: Giuseppe Bruniera.
1889-1891 1891; 1895-1896; 1898; 1901-1902
Presente in apertura, nella rubrica Di impostazione cattolica, divulga gli
« Corriere della moda», gli ultimi arrivi ideali tradizionali della vita domestica.
dell'abbigliamento femminile. Contiene i- Contiene aneddoti, novelle a carattere al--
noltre spiegazioni di lavori domestici, mo- legorico morale, consigli sulle buone let-
delli, ricami, aneddoti e infine romanzi di ture per le giovanette.
avventure a puntate.
120
rente amministrativo: G. B. Patellani. Di stampo patriottico, si rivolge alle
1855-1857 donne per ribadire i loro doveri verso
Nell'esposizione del programma, il pe- la patria e i loro sacrifici, uno dei qua-
riodico non cerca di profilare la « donna li è « non frapporre ostacoli alla par-
forte dell'antica sapienza, ma bensì la don- tenza dei vostri cari, di non impedire che
na dei tempi nuovi quella che è indispen- essi accorrano sul campo » per salvare la
sabile alla civiltà del mondo». Il giornale patria « dall'artiglio austriaco». Delinea
non ha un'aperta impostazione politico- un'ideale di donna educatrice dei figli,
patriottica, ma ribadisce che le leggi non amabile, coraggiosa, con sentimenti di li-
danno una giusta collocazione alla condi- bertà e di patriottismo, partecipe delle
zione femminile. Si batte per l'istruzione lotte al fianco degli uomini.
della donna, ma solo per aiutarla « nel suo
santo mistero di educatrice dei propri « Giornaletto pei fanciulli. Dedicato alle
figli ». madri di famiglia», Roma, 1848, bisetti-
manale. Direttore: R. Parma.
« Una donna bizzarra. Giornale politico- 1848, n. 1-2
critico », Roma, 1848. Responsabile: D. Consigli alle madri su come educare i
Sarcheri. Redattrice: V. Gazzìni. propri figli.
1848, n. 1-4
L'impostazione del giornale è forte- « La moda. Appendice al Poliorama pitto-
mente patriottica, ironica sia nei confronti resco », Napoli, 1839. Direttore proprieta-
delle donne salottiere poco informate, sia rio: Filippo Cirilli.
nei riguardi degli uomini politici. Da no- 1839-1844
tare: gli articoli sono firmati solo da Virgi- La rivista pubblica figurini di moda
nia Gazzini. con relativi commenti e aggiornamenti sul-
le ultime novità. Riporta in succinto qual-
« La donna italiana. Giornale politico let- che notizia riguardante il teatro. Ogni nu-
terario», Roma, 1848, settimanale. Diret- mero s_iapre con un ritratto di qualche
tore: Cesare Bordiga. personaggio conosciuto o famoso nel cam-
1848, n. 1-24 po artistico, e di seguito la biografia.
121
i materialidelpresente
discussioni e dibattiti
..
La nuova critica femminista cui si può conseguire un titolo di Laurea
americana specifico in« Women's Studies » e, in ogni
caso, non a livello di Graduate School.
Il problema dell'emarginazione dai curri-
Il dibattito sull'estetica femminista si cula universitari e dal mercato letterario
è sviluppato nell'ultimo decennio preva- viene affrontato con la compilazione di
lentemente all'interno del mondo accade- storie letterarie e antologie alternative, con
mico, coinvolgendo, in primo luogo, do- la riscoperta di scrittrici dimenticate e,
centi e studentesse dei dipartimenti d'in- ovviamente, con l'apertura di case editrici
glese al livello « junior». In questo set- controllate da donne.
tore si incontra, infatti, un'elevata percen- Per quanto riguarda il dibattito critico,
tuale di donne, che si sono dovute scon- che è l'aspetto del discorso femminista
trare con le pratiche discriminatorie di sulla letteratura che mi interessa appro-
ammissione e di assegnazione di cariche fondire in quest'articolo, è soprattutto at-
universitarie e con la logica competitiva e traverso periodici letterari e riviste fem-
meritocratica dell' establishment accademi- ministe di recente fondazione che le donne
co, con i presupposti teorici della tradi- hanno potuto confrontarsi su questioni po-
zione critica e con i criteri applicati alla litiche ed estetiche, su critica testuale e
scelta di programmi, testi, raccolte anto- valutativa, e sulla compatibilità di altri
logiche e bibliografiche (Showalter, 1970- approcci critici con il femminismo. « Pro,
1971). babilmente gli scritti più innovatori ed
La formazione della Modem Language immaginativi sono ora pubblicati su perio-
Association's Commission on the Status of dici - sostiene Sydney Kaplan in un sag-
Women nel 1970 dà l'avvio ad un lavoro
gio del 79 - dal momento che il maggior
critico organizzato e ai primi contatti fra le
femministe del mondo accademico. Uno conservatorismo degli editori 'accademici
dei risultati è fa pubblicazione della serie impedisce spesso ai libri speculativi di
Female Studies, sette volumi di proposte raggiungere il pubblico» (Kaplan, 1978-
e saggi sull'insegnamento della « cultura 1979). È anche vero che i contributi più
delle donne ». Nel frattempo vengono isti- interessanti sono stati raccolti in antologie,
tuiti nelle università americane corsi, dap- accanto ad analisi di personaggi femminili
prima sperimentali, di « Women's Stu- e di scritti di donne. La raccolta più sti-
dies », che toccano argomenti letterari, molante, dedicata esclusivamente a que-
storico-sociali, psicologici, legali, ecc., e stioni di teoria critica, è Feminist Literary
che saranno, in seguito, strutturati all'in- Criticism: Explorations in Theory, pubbli-
terno di veri e propri dipartimenti. Sono cata in seguito ad un simposio su femmi-
ancora poche, comunque, le università in nismo e letteratu:·a, tenuto nel corso della
122
Kentucky Foreign Language Conference dies», affinché collaborino con lei nella
del 1974. ricerca di Patterns of Strength, ossia di
Carattere distintivo della nuova scuola « personaggi letterari femminili che siano
è la sua carica eversiva nei confronti del- autosufficienti, indipendenti, forti e corag-
1'establishment accademico. « Non mi in- giosi » (Holly, 1975), e ad Ellen Morgan,
teressa particolarmente che il femminismo che descrive in ::iuesti termini il suo con-
diventi una componente rispettabile della cetto di romanzo realista: « Dobbiamo an-
critica accademica; mi preoccupa molto, cora scoprire un romanzo realista in cui
invece, che le critiche femministe diven- un'eroina ci dimostri cosa significa vivere
tino una componente utile al movimento come essere femminile libero e completa-
delle donne », dichiara Lillian Robinson mente umano in una società patriarcale.
nel 71. La rabbia dell'escluso, la poten- Quella eroina, mi sembra, sarà il prodotto
zialità rivoluzionaria dell' « altro », la ri- finale dell'influsso neo-femminista sulla let-
cerca di autenticità dopo secoli di stereo- teratura» (Morgan, 1972).
tipizzazione fanno sl che la critica femmi- La tendenza realista si esprime comun-
nista si presenti, soprattutto nella prima que, e soprattutto, nella riscoperta della
fase, più polemica e di « assestamento », sfera privata e delle « assenze»: esiste un
come critica politica e culturale, antimeri- filone, più storico che letterario, di ri-
tocratica ed eclettica, impressionistica e cerca nella tradizione orale, negli archivi,
« persino non rifinita» (Holly, 1975). In nelle lettere e nei diari delle «nonne»,
mano alle donne, la critica si propone di alla cui base sta una volontà di ridefini-
diventare un atto collettivo e, allo stesso zione dei canoni letterari e storici tradi-
tempo, un'esperienza squisitamente sog- zionali, nonché delle distinzioni fra let-
gettiva, di servire da foro e di promuo- teratura universale e regionale, fra « arte »
vere la « sisterhood » (Register, 1975), di ed «artigianato» (Bauer Maglin, 1978-79).
mettere in discussione le distinzioni ma- Si parla, a questo proposito, di « sotto-
nichee fra arte e non-arte, e di essere, in cultura femminile», per indicare non solo
realtà, « meno critica e più apprezzamen- la cultura del quotidiano, ma anche quella
to» (Donovan, 1975). tradizione di letteratura d'evasione - ro-
Il problema è non soffocare lo specifico manzi rosa, feuillettons, romanzi episto-
femminile - immediatezza, concretezza, lari - spesso prodotta da donne, e snob-
intuizione - con il rigore e l'astrattezza bata dalla critica ufficiale.
critica; il modello è, per molte, Virginia Il lavoro di ricostruzione della storia
Woolf. La figura stessa del critico, spo- letteraria delle donne, compiuto in questi
gliata della tradizionale impersonalità, di- ultimi anni, ha sollevato una questione an-
venta umana, meno autoritaria: è più cora più cruciale e spinosa, seppure am-
common reader che critico onnisciente. piamente discussa, che è quella della « cul-
Cosl Tillie Olsen, nel suo bellissimo sag- tura femminile», della possibilità, cioè, di
gio sui « silenzi » delle donne (Olsen, identificare e definire quella tradizione di
1972), parla dei suoi tentativi personali di « saggezza ed esperienza delle donne (wo-
conciliare la vita di casalinga e le ambizio- mankind), cosl come si è sviluppata e
ni di scrittrice, e Florence Howe, dopo aver tramandata nei secoli» (Donovan, 1975).
rievocato la sua formazione di donna Le femministe non negano l'esistenza di
ebrea, si sofferma ad analizzare l'evoluzio- caratteristiche di gruppo, non determina-
ne di una coscienza letteraria femminista bili su una base biologica ma, piuttosto,
a partire da esperienze concrete di inse- storico-culturale. Le donne, scrive Elaine
gnante (Howe, 1972). Showalter nel 71, « hanno una specifica
Assistiamo, dunque, ad un processo di storia letteraria suscettibile di analisi, le-
rivalutazione del rapporto letteratura-vita, gata a considerazioni complesse, quali l'e-
che si esprime in una vera e propria sete conomia del loro rapporto con il mercato
di autenticità e di realismo. Questo im- letterario, gli effetti sul singolo delle tra-
plica una ricerca di modelli nuovi e posi- sformazioni sociali e politiche nello status
tivi per le donne, da opporre agli stereo- femminile, le implicazioni degli stereotipi
tipi della tradizione letteraria, con il ri- sulla donna scrittrice e le limitazioni alla
schio, laddove tale esigenza sia stata por- sua autonomia artistica» (Showalter,
tata alle estreme conseguenze, di incorag- 1970-71).
giare un « realismo femminista » trionfale Nello sforzo di risalire alla « matrice »
e propagandistico. Mi riferisco, ad esem- di tale cultura comune, si è anche parlato
pio, a Marcia Holly, che lancia un appello di esperienza femminile archetipa e di
a più di 150 donne dei « Women's Stu- mitologia femminile. Annis Pratt propose,
123
nel '71, ad un workshop della Moder Lan- riprodotti nella letteratura deliberatamen-
guage Association su « Letteratura Fem- te o inconsciamente» (Showalter, 1975-
minista e Coscienza Femminile », un ap- 1976). Gli studi sulle differenziazioni nel-
proccio archetipico alla critica femminista, le modalità di internalizzazione e mani-
che si occupi dello « sviluppo psico-mito- polazione del linguaggio, come Language
logico dell'individuo femminile nella let- and Woman's Place di Robin LakofI, han-
teratura» (Pratt, 1970-71). Ciò significa no evidenziato diversità lessicali e sintat-
scoprire l'esistenza di un « mito dell'eroi- tiche tra linguaggio maschile e femminile,
na», parallelo a quello dell'eroe, e di un nonché l'esistenza di un «bilinguismo»
bildungsroman femminile, di cui Annis nelle donne - particolarmente vissuto co-
Pratt offre alcuni autorevoli esempi. Joan- me problema dalle scrittrici - dovuto alla
na Russ suggerisce addirittura un'opera• sovrapposizione di quello che Adrienne
zione di mitopoiesi, in quanto i miti, le Rich ha chiamato the oppressor's language
immagini ed i plots che la tradizione ci alle modalità espressive più congeniali alla
offre hanno ormai completamente esaurito coscienza e all'esperienza femminile.
la loro funzione e, soprattutto, corrispon- Uno dei primi studi degli anni settanta
dono alla realtà esperienziale maschile. La sul linguaggio letterario d Ile donne è il
sua proposta è di esplorare quei generi let- saggio di Josephine Donovan Feminist
terari che trascendono i ruoli sessuali e Style Criticism, che prende spunto dalle
le tematiche ad essi subordinate - succes- considerazioni di Virginia Woolf e di
so, castrazione, educazione, amore, identi- Dorothy Richardson sull'esistenza di una
tà personale - per occuparsi di problemi female mind e sulla necessità di svilup-
umani collettivi, nel loro aspetto spiri- pare uno stile adeguato a rappresentarla
tuale, sociale, percettivo e cognitivo, e per artisticamente, attento ai « dettagli inte-
ipotizzare nuovi modelli di interazione. I riori psichici personali ed emotivi dell'esi-
suoi esempi vanno dalla fantascienza al stenza, in un modo che non sia né anali-
romanzo poliziesco, dalla letteratura poli- tico, né autoritario». Uno dei contributi
tica alla parabola e all'allegoria (Russ, più originali delle donne alla letteratura
1972). consiste, secondo Donovan, nell'aver svi-
Sempre sulla questione dei «generi», luppato quello che lei definisce « tropismic
Ellen Morgan sostiene che né il romanzo leve! of awareness », ossia la « coscienza
psicologico né quello sociologico sono for- della vita sotterranea o dello spirito più
me adatte ad esprimere la concezione neo- profondo del reale».
femminista della donna, che non è sol- Sydney Kaplan, in Femininine Con-
tanto psiche, ma anche realtà politica, non sciousness in the Modern British Nove!,
soltanto prodotto e vittima della sua cul- traccia lo sviluppo teorico della « coscien-
tura, ma anche personalità che la trascen- za femminile » e studia le tecniche usate
de. La tecnica dello stream-of-conscious- per riprodurla nel romanzo, per conclu-
ness, considerata da molte femministe co- dere, tuttavia, che si tratta di una « co-
me lo strumento più adeguato ad esplorare struzione difensiva», ossia di una strate-
la coscienza femminile, si rivela, in que- gia culturale che rappresenta il recupero
st'ottica, insufficiente ad esprimere la tota- dell'intuizione, della spontaneità, della di-
lità dell'esperienza delle donne, che è poli- versità, della complessità del quotidiano,
tica e sociale, oltre che personale e psico- piuttosto che di una libera espressione
logica. Le preferenze di Ellen Morgan si dell'identità femminile.
orientano, invece, verso il bildungsroman Un'altra autorevole posizione sull'argo-
- . come nel caso di Annis Pratt - il ro- mento è quella di Annette Kolodny, autri-
manzo storico ed il romanzo propagandi- ce, tra l'altro, di un affascinante studio
stico, in quanto essi rispondono alle esi- storico-psicologico dell' « impulso pastora-
genze della donna in questo periodo di le » nella letteratura americana maschile
transizione, in cui la sua storia « è la sto- (Kolodny, 1975), che, nell'articolo Some
ria di un'educazione, di un risveglio di Notes on Defininga « Feminist Literary Cri-
coscienza, con un conseguente sviluppo del ticism », polemizza con la tendenza a sof-
sé ed una ricerca di autenticità, di ribel- focare la ricchezza e la varietà della lette-
lione e di risoluzione» (Morgan, 1972). ratura delle donne entro categorie biolo-
Esiste anche un filone, più ricco e sti- gico-linguistiche, e a liquidare con ecces-
molante, di ricerca propriamente linguisti- siva facilità il rapporto fra stile e limita-
ca e stilistica che, partendo da un close zioni espressive ed esperienziali imposte
reading di opere di donne, ipotizza « mo- alle donne nelle diverse culture e nei di-
delli individuabili di discorso femminile, versi periodi storici, fra tradizione eredi-
124
tata e scelta artistica individuale e con- same della critica esistente sulle donne let-
sapevole. Compito della critica femmini- terate. Essa consiste nella formulazione di
sta è invece sviluppare metodi rigorosi di standards letterari rispondenti alle esigen-
analisi dello stile e delle immagini lette- ze di liberazione sociale e culturale delle
rarie, e poi applicare tali metodologie alle donne. Josephine Donovan riprende tale
singole opere senza preconcetti né conclu- concetto in un'ottica più politica, propo-
sioni affrettate. Un esempio di questo tipo nendoci la figura del critico prescrittivo
di lavoro ci è offerto dalla stessa Kolodny come « critico engagé », che « è attivamen-
che, dopo anni di lettura e di insegnamen- te impegnato nell'incoraggiare la realizza-
to della letteratura femminile nord-ameri- zione sociale e culturale di quelle trasfor-
cana, è riuscita a individuare delle « di- mazioni che promuovono la liberazione
mostrabili ripetizioni di specifiche preoccu- umana» (Donovan, 1975). Le perplessità
pazioni tematiche, modelli immaginativi e espresse da Kolodny a questo proposito
tecniche stilistiche», che illustra nel suo non si riferiscono soltanto alla strumenta-
saggio (Kolodny, 1975-76). lizzazione della letteratura a fini propa-
Le preoccupazioni di Annette Kolodny gandistici, quanto, soprattutto, alla « ten-
rispecchiano il vissuto di molte critiche: denza a fissare dei canoni e delle compe-
fino a che punto è lecito parlare di lin- tenze » all'interno del vastissimo e polie-
guaggio, cultura e coscienza femminile, drico quadro dei linguaggi femminili. Pur
senza generalizzare e limitare le potenzia- appoggiando la separazione di ideologie
lità espressive delle donne? L'antiautori- politiche da giudizi estetici, anche Kolodny
tarismo e l'eclettismo della critica femmi- rivendica, in ogni caso, la « politicità »
nista, la volontà di dialogo e di rispetto della critica femminista, nel senso che
dei contributi individuali, e il rifiuto di « un onesto critico femminista non potrà
presentarsi con un ben definito manifesto fare a meno di portare alla lettura gli
teorico, pongono, d'altra parte, il proble- atteggiamenti e le ideologie di un'accre-
ma della credibilità e della « visibilità del- sciuta coscienza femminista, una consape-
la nuova scuola agli occhi del mondo acca- volezza che, secondo il modo in cui è usa-
demico» (Showalter, 1975-76). La rispet- ta, potrebbe limitare la sua capacità dì
tabilità, attaccata da Lillian Robinson, è occuparsi di letteratura nel suo proprio
senz'altro un « valore borghese», ma ri- contesto, o, nella migliore delle ipotesi,
sponde anche all'esigenza dì uscire dal aprirla a nuovi modi di comprensione e
ghetto della sottocultura e di offrire dei analisi...» (Kolodny, 1975-76). Alla figu-
nuovi, e più stimolanti, modelli di lettura ra dell'intellettuale impegnato la critica
alle donne. L'esigenza di autodefinizione, femminista affiancadunque quella del « cri-
continuamente negata e riaffermata, di- tico cosciente», il cui lavoro, cioè, deve
venta una questione sia dì serietà critica essere preceduto da un processo di con-
che di sopravvivenza. Inoltre, il problema sciousness-raising, svolto a livello sia indi-
del rapporto tra letteratura e impegno, eti- viduale che collettivo. Per poter valutare
ca ed estetica, si è rivelato particolarmente l'autenticità e l'attinenza dei conflitti let-
cruciale per una teoria critica intimamen- terari alla realtà femminile dobbiamo, in
te collegata ad un movimento di libera- primo luogo, sostiene Marcia Holly, « por-
zione. Cercherò ora di analizzare più det- tare a livello conscio le nostre fondamen-
tagliatamente tale nodo, emerso, in parti- tali, e forse erronee, convinzioni sulla na-
colare, nella polemica sulla tendenza pre- tura, il carattere e il destino delle donne »
scrittiva, nel concetto di « critico coscien- (Holly, 1975) ossia i miti culturali domi-
te», nella posizione nei confronti del for- nanti e gli stereotipi sessuali, razziali e
malismo, e nel dibattito su critica testua- religiosi che il nostro ambiente ha inter-
le e valutativa. nalizzato.
La questione della « critica prescritti- Questo interesse nello smascheramento
va » o « profetica » suscitò un famoso di- dei meccanismi reali della « politica ses-
battito fra Donovan e Kolodny. La prima suale » in letteratura, per usare la termi-
a parlare di critica prescrittiva fu, in real- nologia introdotta da Kate Millet, è rin-
tà, Cheti Register che, nella sua introdu- tracciabile nel filone sociologico marxista
zione all'antologia Feminist Literary Criti- della critica femminista, particolarmente
cism: Exploratìons in Theory, la indicò vivace agli inizi degli anni settanta. Nel
come una delle tre principali suddivisioni 71 furono pubblicati due saggi di Lillian
della nuova critica femminista, accanto al- Robinson, e uno di Fraya Katz-Stoker, che
l'analisi dei personaggi femminili e al rie- focalizzavano una serie di istanze centrali
125
al dibattito sull'estetica femminista. Una modello femminista del sé come femminile
di queste è l'attacco della nuova critica e dell'altro come maschile incontra ben
femminista al formalismo, che ha influen- pochi punti di riferimento :filosofici:è per
zato la critica letteraria degli ultimi ven- questo che « la critica femminista è sog-
t'anni, privilegiando gli aspetti « tecnici» getta a rischi intellettuali e professionali
della letteratura, e favorendo l'illusione più elevati, offrendo possibilità più ampie
che l'artista, indipendentemente dalle sue di creatività e, allo stes_sotempo, un mar-
motivazioni, operi in un vuoto assioma- gine più alto di errore» (Schumacher,
tico. Vengono messe cosl in discussione la 1975). La critica femminista, dunque, è
moralità dell'artista e del critico « disin- nuova e radicale, non in quanto essa capo-
teressato », e la pretesa di scindere il pro- volge i modelli interpretativi tradizionali
dotto artis_tico dall'autore, dal contesto e - semmai si rivela, proprio in questo
dai rapporti di potere. Il rilievo dato al- senso, conservatrice, perché ne fa uso - ma
l'universalità ed alla neutralità formale per il semplice fatto di smascherare, attra-
dell'opera d'arte contribuisce, secondo la verso tale capovolgimento, l'esistenza di
critica femminista, da un lato al mante- un sex-linked criticism e di una scuola di
nimento dello status quo e della politica critica maschilista, accanto a quella fem-
sessuale della cultura patriarcale e, dal- minista. Tale rivelazione è, allo stesso
l'altro, all'esclusione delle donne e del- tempo, una sfida e un richiamo all'onestà.
l'esperienza femminile dalla letteratura. Il Viene introdotta cosl dalla critica fem-
punto su cui si vuole far chiarezza è que- minista una nuova coordinata nell'analisi
sto: la cultura è maschile e non « uma- del testo letterario, che è quella del gen-
na-">,o per lo meno lo è secondo quella der point of view. La coscienza di classe,
concezione rinascimentale di umanesimo razziale e sessuale risultano, secondo Lil-
che le femministe vogliono mettere in di- lian Robinson, nella coscienza delle « e-
scussione, e la realtà femminile è perife- sclusioni » e dell'esistenza di modi di-
rica rispetto agli interessi centrali della let- versi di rapportarsi al prodotto artistico.
teratura, che sono fa lotta dell'uomo con- Uomini e donne posseggono « modalità
tro la natura, Dio, il destino, se stesso, separate di percezione del contenuto ses-
o la donna, intesa come « altro». La let- suale nell'arte» (Robinson-Vogel, 1971-
teratura delle donne viene, di conseguen- 1972). Nel caso delle ballerine di Degas,
za, relegata, dal mondo accademico, allo ad esempio, « il punto di vista dell'osser-
status di sottocultura. vatore femminile si identifica non con
Le femministe insistono, invece, nel ri- l'invisibile possessore, ma con gli oggetti
vendicare la biasedness, ossia la tenden- posseduti, non con il voyeur ma con le
ziosità di qualsiasi approccio critico. A donne viste attraverso il buco della serra-
questo proposito, vale la pena di citare un tura. Lei riconosce i suoi predecessori,
interessante articolo di Dorin Schumacher, donne che, come lei, tendevano ad essere
che si serve di un metodo di analisi strut- più cose che persone per gli uomini che
turalista. Il presupposto è che l'atto cri- le osservavano e vivevano con loro. La
tico sia scientifico-oggettivo e creativo- realtà della sua esperienza e delle sue rea-
intuitivo allo stesso tempo. Dal momento zioni partecipa del significato di questi
che i dati semantici e sintattici di un quadri» (Robinson-Vogel, 1971-72).
testo sono manipolati dal critico, il si- Il discorso femminista diventa, in que-
gnificato che questi produce è soggettivo; sta chiave, un « approccio materialista alla
tale operazione è, tuttavia, compiuta se- letteratura », in quanto esso « cerca di
•guendo regole specifiche, e sempre all'in- negare l'illusione formalista che la lette-
terno di un preciso modello interpreta- ratura sia in un qualche modo separata
tivo. Una delle variabili di un modello dalla realtà» (Katz-Stoker, 1972). Non si
interpretativo può essere il sesso: se il tratta semplicemente di rapportare gli ste-
modello applicato è basato sulla dicotomia reotipi letterari alla realtà quotidiana del-
«sé-altro», considerando un sesso come le donne, o di collocare opere ed autore
normativo, o « sé », e l'altro come devian- nel loro contesto, quanto di « capire la
te, o « altro», il critico « maschilista » misura in cui l'identità sessuale è in sé un
e quello «femminista» perverranno, ne- fatto materiale» (Robinson, 1970-71). Qui
cessariamente, ad interpretazioni contra- si inserisce uno dei primi dibattiti fra cri-
stanti. Questo procedimento è concreta- tiche femministe, quello fra Annis Pratt
mente illustrato dall'analisi di Schumacher e Lillian Robinson su « College English ».
di un brano del dramma di Jean Girar- Pratt suggerisce tre linee di lavoro: critica
doux Pour Lucrèce. Il problema è che il bibliografica, testuale e contestuale. L'iden-
126
tificazione e la collocazione di scritti di valori maschili e femminili. L'esplorazione
donne, femminìste e non, dovrebbero esse- di realtà strettamente femminili diventa,
re seguite dall'analisi formale - e valuta- in questo modo, uno stadio verso l'inte-
zione estetica - di un'opera e, parallela- grazione della « dark side of the moon »
mente, dalla considerazione di tale opera, nella nostra visione dell'universo. Carolyn
« anche se artisticamente carente, come Heilbrun riscopri l' « androginia » di Vir-
riflesso della condizione femminile». La ginia Woolf nel suo libro Toward a Reco-
proposta di Annis Pratt pone il problema gnition of Androgyny del 1973. Presen-
delle possibilità e delle modalità di utiliz- tare temi androgini significa imparare a
zazione dei metodi critici della cultura trattare « il sesso ed i problemi ad esso
maschile, nonché della posizione della don- collegati in una prospettiva umana invece
na « cosciente » di fronte ad un « lavoro che maschile» (Holly, 1975). La critica
che sia notevole e formalmente valido ... femminista si presenta, anche in questa
[ma] sciovinista» (Pratt, 1970-71). La ri- chiave, come un discorso di liberazione,
sposta di Lillian Robinson è che « il fem- anzi, per usare le parole di Josephine Do-
minismo è necessariamente alienato » da novan, una « dialettica della liberazione».
quegli strumenti critici che ignorano i pro- Nell'articolo che conclude la raccolta Fe-
cessi di socializzazione ed i presupposti minist Literary Criticism, Donovan evi-
ideologici e morali delle scelte formali, denzia due posizioni complementari, una
siano essi l'analisi testuale, o quella psico- «negativa», di rifiuto di « una serie di
mitologica di stampo junghiano, di cui atteggiamenti e di imm·agini false ed op-
Annis Pratt si fa portavoce (Robinson, pressive, che sono state perpetrate contro
1970-71}. le donne sia nella letteratura che nella
Fino a che punto è, tuttavia, giusto e critica letteraria », e una «positiva», di
possibile rinnegare quella tradizione cul- sensibilizzazione e nuovi modelli di perce-
turale patriarcale, che è penetrata anche zione immaginativa (Donovan, 1975).
nelle pieghe più nascoste del nostro, d'al- Alla finalità umanistica di integrazione
tronde non ben definito, « specifico fem- della prospettiva femminile e di quella
minile»? Noi non possiamo, secondo An- maschile nello studio della letteratura, si
nette Kolodny, « dimenticare che le im- accompagna, tuttavia, la convinzione che
magini della Natura-come-Donna o del- la critica femminista debba rimanere, al-
la Donna...:.Come-Musaun tempo custo- meno per un certo periodo di tempo, un'at-
divano una loro verità e funzionavano tività autonoma, un momento dì confron-
efficacemente all'interno della nostra psi- to e di ricerca gestito da e per le donne.
che collettiva », e che, come tali, « ri- In un saggio sul rapporto fra etica ed este-
marranno sempre con noi » (Kolodny, tica, la stessa Donovan dichiara tre anni
1975-76). È nel riconoscimento dell'inevi- più tardi, nel 77, che le femministe, in
tabilità del nostro coinvolgimento nella quel necessary interlude di attesa del su-
cultura ereditata che alcune critiche fem- peramento del sessismo culturale, « devo-
ministe hanno suggerito di scoprire la no continuare ad esprimere i principi di
« grace of imagination », come nel caso un'estetica femminile, che sia radicata nel-
di un altro famoso dialogo-dibattito fra l'episteme femminile ed in un sistema di
Catharine Stimpson e Carolyn Heilbrun. valori femminile» (Donovan, 1975-76). La
Essa consiste nella capacità di « vedere posizione presa, a questo punto, da Do-
ciò che, fino a questo momento, la ma- novan, è determinante rispetto agli svi-
scolinizzazione della nostra società ci ha luppi futuri, e ancora aperti, della critica
impedito di vedere», di leggere in modo femminista, e vale perciò la pena di ana-
nuovo la tradizione, secondo nuove inter- lizzare nei dettagli il suo brevissimo ma
pretazioni dell'universalità e dell'umanità coraggioso articolo. Donovan dice di es-
dei conflitti letterari. La tragedia di Edi- sere approdata alla convinzione che esi-
po, ad esempio, anziché una tragedia ma- stano opere letterarie universalmente ac-
schile della volontà, può essere letta co- clamate per la loro perfezione tecnica e
me un « movimento quintessenzialmente sofisticazione estetica e, come tali, anno-
umano dall'intenzione alla percezione, un verate fra i classici, rispetto alle quali
movimento possibile a tutta l'umanità » alcuni gruppi di lettori continueranno,
(Heilbrun-Stimpson, 1975). inevitabilmente, a sentirsi « alienati », per
Giungiamo cosi a quella ridefinizione motivi razziali, sociali e sessuali. La cri-
e dilatazione del concetto di « umanesi- tica femminista non può essere semplice-
mo», a cui accennavo precedentemente, mente una scuola, un'etichetta letteraria:
che va inteso nella complementarietà di a causa dell'intimo e sofferto rapporto che
127
instaura fra letteratura e vita, fra presa di trice di determinanti politiche, culturali e
coscienza e volontà di trasformazione, essa letterarie, nonché di essere « sufficiente-
diventa una scelta totale, etica ed estetica mente esperto da aver internalizzato le
allo stesso tempo. In quest'ottica, diventa proprietà dei discorsi letterari, dalle tec-
impossibile per una « femminista accet- niche espressive più locali (figure del di-
tare l'imperativo estetico del romanzo di scorso, ecc.) ai diversi generi» (Fish,
Faulkner... (Donovan cita come esempio 1972). Come potrà, tuttavia, tale lettore,
Light in August) ... che richiede all'autore si c.hiede Kolodny, confrontarsi con usi
di creare un personaggio femminile inau- linguistici che non sono mai comparsi
tentico e di usarlo immoralmente per fini nelle opere lettetarie che lui conosce, o
estetici» (Donovan, 1975-76). Se vogliamo con testi che non si adattano alle defini-
superare la schizofrenia tra critico e fem- zioni di genere esistenti o, ancora, con
minista, che già era emersa come proble- « quelle " tecniche espressive locali " che
ma nel dibattito fra Pratt e Robinson su provengono dalla stanza del cucito o dalla
critica testuale e contestuale, non è suffi- capanna per le mestruate, a cui lui non
ciente distaccarsi dai metodi formalisti di ha mai avuto accesso?» (Kolodny, 1976-
analisi letteraria, col rischio di limitarsi 1977). In breve, come potrà comprendere
ad una critica contenutistica o propagan- un linguaggio, plasmato da ben precise
distica. Occorre avere il coraggio di fon- attività pratiche e sociali, se non ha mai
dare una nuova estetica, organica ed auto- preso parte, o non è mai stato al corrente
noma, sulla base di una :filosofiafemmi- di tali attività? Non è certo l'esser nate in
un corpo femminile o l'aver vissuto un'e-
ru.tGli sviluppi più recenti della critica sperienza femminile - concetto di per sé
femminista sembrano, di fatto, approdare già molto vago - ciò che autorizza le
ad una richiesta di maggior autonomia di donne ad occuparsi di critica letteraria
giudizio e di spregiudicatezza, di supera- femminista, puntualizza Kolodny. Il fatto
mento dello spontaneismo e dell'eclettismo è che la letteratura delle donne richiede
iniziale, e di una più precisa definizione una conoscenza profonda ed immediata di
dei canoni della nuova estetica. Sydney quell'« esperienza», da parte di coloro che
Kaplan si chiede, in un review essay, usano e analizzano i linguaggi con cui essa
quando il mondo accademico cesserà di si esprime.
premiare e di dare il suo riconoscimento I linguaggi femminili si presentano in
solo a quelle donne che si mantengono questo momento come una realtà polifo-
cautamente uncommitted, mentre molte nica da esplorare, identificare e, in un certo
valide critiche « hanno dovuto pagare senso, difendere, nel momento in cui rie-
con la carriera la loro onestà » (Kaplan, sce a trovare una sua libera espressione.
1978-79). Esistono, in particolare, delle voci « ai
L'autonomia di ricerca ha significato margini» dell'esperienza femminile che
anche una difesa dei propri spazi all'in- chiedono di essere prese in considerazione
terno del mondo accademico illuminato, « nel loro specifico ». Si è iniziato a par-
coinvolto nel crescente interesse per la lare in questi ultimi anni di tradizione cul-
letteratura femminile. Annette Kolodny, turale lesbica e dell'impossibilità di omo-
in una polemica con William Morgan sul- geneizzarla e di integrarla con il resto
la questione del separatismo e dell'acces- della letteratura femminile. Elly Bulkin,
so degli uomini all'insegnamento di corsi ad esempio, critica alcune recenti antologie
sulla letteratura delle donne, apparsa su di poesie di donne, come Rising Tides e
• « Criticai Inquiry » (Morgan, 1976-77; No More Masks!, in cui « le poetesse
Kolodny, 1976-77), rivendica il diritto lesbiche erano praticamente impossibili da
delle donne alla room of their own, in identificare, a meno che non fossero rap-
quell'area di « Women's Studies » in cui presentate da poesie su argomenti diretta-
la maggior parte di esse ha investito la mente ed esplicitamente collegati all'op-
propria carriera, e in cui la presenza di pressione o alla sessualità lesbica. Tale
un uomo in veste di autorità intellettuale invisibilità perpetuava la concezione dif-
potrebbe scoraggiare la liberazione dai vec- fusa delle lesbiche come esseri puramente
chi ruoli accademici. sessuali» (Bulkin, 1978-79). Adrienne
Kolodny risale alla definizione di Stan- Rich parla della sua resistenza all' « uni-
ley Fish dell'informed reader/critic, che versalizzazione» delle sue poesie: « Due
ha la responsabilità di rappresentare non mie amiche, entrambe artiste, mi dissero
uno ma tanti « lettori informati », ciascu- di aver letto Twenty-One Love Poems con
no dei quali sarà identificato da una ma- i loro uomini, assicurandomi che si trat-
128
tava di poesie « universali ». Ciò mi irritò, possibile cogliere in molti loro romanzi,
e quando mi chiesi il perché, mi resi conto misteriosamente combinato con la coscien-
che era rabbia nel vedere la mia opera za della propria oppressione, e che, forse,
essenzialmente assimilata e spogliata del ha a che vedere con un'accettazione della
suo significato, « integrata » nel romanti- propria identità e coll'essere calate nel
cismo eterosessuale... Questa brama di quotidiano, con « questa faccenda di vi-
semplificare, di mitigare il femminismo vere. nel mondo e di trionfare su di esso »
invocando l' « androginia » o l' « umanesi- (Steptee, 1977-78).
mo», di assimilare l'esperienza lesbica di- La rivendicazione del proprio specifico
cendo che il « rapporto » è sempre lo e l'esigenza di autodefinizione che possia-
stesso, che l'amore è sempre difficile - io mo cogliere nelle donne delle minoranze
vedo questo come una negazione, una sor- ci riportano agli eterni nodi femminili del-
ta di resistenza, un rifiuto a leggere e sen- l'identità e del rapporto col potere. Se,
tire ciò che ho realmente scritto, a rico- da un lato, il dibattito « interno » alla
noscere chi sono» (Bulkin, 1977-78). critica femminista non si è ancora esaurito
L'esigenza di « individuazione » delle e, anzi, come sostiene uno dei saggi più
lesbiche si collega, d'altra parte, all'assen- recenti, Archimedes and the Paradox of
za di un tracciato di storia letteraria in Feminist Criticism di Myra Jehlen, « la
cui riconoscersi. I criteri di identificazio- maggior parte dei "Women's Studies"
ne delle scrittrici lesbiche contemporanee ha intrapreso la strada di un'accentuazione
devono perciò necessariamente ampliarsi del carattere globale e strutturale delle sue
in una considerazione di quelle donne che istanze separate » ed è, tutto sommato, riu-
espressero profondi legami emotivi verso scita a creare_un contesto alternativo, una
altre donne - le « women-loving wo- « specie di territorio femminile isolato dal-
men » - e di cui spesso la critica pa- l'universo dei presupposti maschili », il
triarcale ha saputo solo evidenziare, in problema è che le questioni che « le donne
negativo, la mancanza di rapporti d'amore definiscono globali, gli uomini trattano,
con l'uomo (Smith-Rosenberg, 1979). dall'" esterno ", come periferiche » e che,
Un'altra area da esplorare è quella quindi, esistono « scarse indicazioni di un
della letteratura femminista nera. Nell'ar- impatto femminista sull'universo del di-
ticolo Toward a Black Feminist Criti- scorso maschile».
cism, Barbara Smith lamenta l'assenza di Il rischio è, dunque, quello di un per-
scrittrici nere dal canone letterario e di corso « circolarmente femminile», perife-
un'estetica femminista nera. Il suo discor- rico e ripetitivo. Se non si accetta di
so si estende anche alla letteratura lesbica sporcarsi le mani in un rapporto osmotico
nera e all'uso delle lesbiche come « esca » con la tradizione critica, si insiste su stra-
per adombrare la contaminazione di razzi- de già battute da tutta quella critica let-
smo e sessismo. La scrittrice Toni Morri- teraria che si pone anche come critica poli-
son esprime le sue considerazioni sulla sua tica e culturale (rovesciamento della cul-
scrittura e sulle romanziere nere in un'in- tura al potere, messa in discussione del-
tervista con Robert Steptoe, apparsa sulla 1'autonomia dell'opera d'arte, dei rapporti
Massachussets Review nell'autunno del 77. tra forma e contenuto, letteratura e impe-
Morrison insiste sul confronto con gli gno, cultura e sottocultura), strade inevi-
stereotipi e con le loro implicazioni poli- tabili in una prima fase di chiarificazione,
tiche - ad esempio, con la donna nera ma da superare.
come figura genitoriale-protettiva all'in- I contributi femministi verso una nuo-
terno della comunità, portatrice dei suoi va estetica, c;he identificherei con la smi-
valori più positivi, o con la show business tizzazione delle distinzioni tra critica, scrit-
woman, che cerca nel mondo dello spetta- tura e lettura e dell'autoritarismo critico,
colo una possibilità di evasione e di rot- l'introduzione del gender point of view e
tura delle leggi della comunità, contropar- di nuovi modelli di analisi tematica e sti-
te femminile dell'« Ulisse nero», ossia listica, la ricostruzione di una tradizione
dello stereotipo del negro sradicato, in culturale al femminile, l'ampliamento del
perenne movimento. L'individuazione di concetto di umanesimo, la rivalutazione del
una serie di temi ben precisi potrebbe es- soggettivo e la discussione dei ruoli, de-
sere il primo passo verso la definizione del vono diventare il fondamento per una
canone letterario nero e non solo femmi- confidence critica, che è poi la libertà,
nile. In aggiunta, Morrison invita ad ana- per la donna che si occupa di letteratura
lizzare la posizione delle scrittrici nere e, e ha preso coscienza di una nuova pro-
in particolare, quel senso di gioia che è spettiva critica, di scegliere gli strumenti
129
5.
di analisi a lei più congeniali. Questo si- J. Donovan, Afterword: A Critica! Revision,
gnifica un uso indipendente e costruttivo in Feminist Literary Criticism... cit., 1975.
della tradizione e, come suggerisce Jehlen, J. Donovan, Feminism and Aesthetics, « Cri-
delle contraddizioni tra critica e ideologia, ticai Inquiry », 2, 1975-76.
misoginia e ricerca di nuove rappresenta- M. Farwell, Adrienne Rich and an Organic
Feminist Criticism, « College English, 39,
zioni, e una definizione « alternativa dei 1977-78.
Women's Studies come analisi, dal punto S. E. Fish, Self-Consuming Artifacts: The
di vista delle donne, del tutto, che sfidi e Experience of Seventeenth Century Litera-
coinvolga direttamente ed organicamente ture, Berkley-Los Angeles, 1972.
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minista sono soprattutto: « College English » ters, Garden City, N.Y., Doubleday and
e « Criticai Inquiry ». Fra le riviste di orien- Co., 1976.
tamento femminista che sono proliferate in E. Morgan, Humanbecoming: Form and Focus
questi ultimi dieci anni, possiamo ricordare: in The Neo-Feminist Novel, in lmages of
• « Aphra », « Conditions », « Chrysalis », « Fe- Women in Fiction... cit., 1972.
minist Studies », « Frontiers », « Quest », W. W. Morgan, Feminism and Literary Study:
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the Critical Process, in Feminist Literary R. Steptee, Intimate Things in Place: A Con-
Criticism... cit., 1975. versation with Toni Morrison, « Tue Mas-
A. A. Shockley,The Black Lesbian in Ame- sachussetsReview», 18, 1977-78.
131
Le ultime attività del Centro sono sta- pazione, ecc. relative a testi editi e mano-
te: una collettiva di pittrici ferraresi e scritti esistenti nelle biblioteche di Ferrara.
una serie di incontri sulla storia delle
donne dal medioevo agli anni cinquanta
del novecento. Centro Documentazione Donna,
Inoltre alcune compagne del Centro Contrada della Rosa 14, 44100
hanno dato l'avvio alla schedatura delle Ferrara, tel. 0532 - 33.197; aperto
voci donna, famiglia, figli, lavoro, emanci- il martedl e il giovedl ( ore 16-19)
i libri
M. Anderson, Interpretazioni storiche del- ria molto diversi e stanno quindi adot-
la famiglia. L'Europa occidentale 1500- tando approcci differenti per quanto ri-
1914, Torino, Rosenberg & Sellier, 1982. guarda la scelta dei problemi su cui svi-
luppare la ricerca, il tipo di fonti da uti-
Quello della famiglia è un destino co- lizzare, il modo in cui la documentazione
mune a molti oggetti della ricerca storica: viene e può essere usata e la pertinenza
a una loro presenza apparentemente scon- della teoria sociale ed economica per il
tata e naturale nel tessuto sociale, corri- loro lavoro» (p. 35).
spd!'i.deun'identità divisa, se non addirit- Una volta rotta l'illusione, peraltro po-
tura una mancanza d'identità, che rende co feconda, di una realtà oggettiva e peren-
estremamente complesso, confuso e talora ne da ricostruire e restituire, si resta alle
confondente il farne la storia. I vari studi prese con i rischi derivanti da una fram-
esistenti suggeriscono condizioni 'e struttu- mentazione storiografica e storica che può
re diversificate e spesso contraddittorie tra rappresentare un argine talora insormon-
loro che vanificano qualsiasi volontà di tabile per un discorso critico.
mettere a fuoco le evoluzioni di un feno- Merito notevole di questo agile saggio
meno a lungo preteso unitario. Come scri- di M. Anderson - autore anche di un ap-
ve Michael Anderson, nella prefazione a prezzato e ormai classico studio sull'im-
questo suo utile bilancio storiografico del- patto dell'industrializzazione e della mi-
la produzione anglosassone (l'edizione in- grazione sulle comunità cotoniere del Lan-
glese è del 1980), in mezzo a tanta confu- cashire (Family Structure in Nineteenth
sione « L'unica cosa chiara che è emersa Century Lancashire, London, 1971) - è
negli ultimi vent'anni è che non può es- di offrire una ricognizione critica degli stu-
servi una semplice storia della famiglia oc- di prodotti negli ultimi venti anni, for-
cidentale dal secolo XVI in poi, poiché non nendo in tal modo una preziosa mappa
esiste, né è mai esistito un unico sistema per orientars_i tra ricerche particolari e
familiare. L'occidente è sempre stato ca- proposte di generalizzazioni. Nello scon-
ratterizzato da una grande varietà di for- certo che si finisce per provare di fronte
me di famiglia, di sue funzioni e di atteg- a sintesi che appaiono troppo generaliz-
giamenti verso le relazioni familiari non zanti o a casi che rischiano di apparire
solamente nel corso del tempo ma anche troppo «unici», il vaglio critico e la com-
in ogni determinato periodo storico » parazione della produzione disponibile co-
(p. 34). stituiscono un'utile e forse necessaria piat-
Accanto a questa discontinuità storica taforma di partenza per orientarsi e muo-
ad Anderson preme rilevarne anche una versi nel panorama delle ricerche sulla fa-
storiografica. La famiglia, ma sarebbe più miglia. Da questo punto di vista è uno
esatto dire le famiglie, dei demografi, de- strumento indispensabile.
gli storici economici e degli storici delle Alcuni limiti derivano dall'essere il
mentalità, hanno connotati, strutture e, censimento circoscritto alla produzione
quindi, valenze profondamente differen- dell'area anglosassone, con qualche rara
ziate. « Negli ultimi anni sta diventando incursione in quella tedesca e francese.
vieppiù evidente che nella storia della fa- Ma si tratta di una scelta di campo ri-
miglia molte delle dispute sorgono perché spetto alla quale forse si può esprimere
gruppi differenti di studiosi, anche quando rincrescimento piuttosto che rimprovero, e
apparentemente lavorano sul medesimo che denuncia comunque una propria logi-
soggetto, stanno cercando, spesso inconsa- ca tutt'altro che casuale nell'ossatura del-
pevolmente, di scrivere dei generi di sto- l'indagine scandita per approcci storiogra-
132
fici. Resta il fatto che una miscela più am- tamento perché è necessario stabilire se _il
pia avrebbe fornito potenzialità critiche più comportamento era realmente nuovo m
ricche. . quel particolare periodo o se invece aveva
II saggio prende in esame tre appr~cc1 semplicemente cominciato allora, per la
allo studio della famiglia, dall'autore rite- prima volta, a comparire nelle fonti di•
nuti attualmente i più validi oltre che i sponibili » (p. 67).
più fecondi. Si tratta dell'approccio demo- Gli studiosi dell'economia dell'aggre-
grafico, di quello dei sentimenti, e di q1;1el- gato domestico analizzano invece la fami-
lo dell'economia dell'aggregato domestico. glia in relazione al compor_tamentoecono-
Un altro, quello della psicostoria, di <:tii mico dei suoi componenti. In tale pro-
spettiva importanza fondamentale ha avu-
pur si declina. l'~s~stenz~,yie?e tralascia-
to la presa in considerazione delle strate-
to in quanto s1 ritiene s1 s~a impantan~t?
in problemi di documentazio~e 10s~lubil1, gie familiari rispetto alle strategie produt-
tive in relazione al fenomeno dell'indu-
mentre apparirebbe per .altr~ ".e~s1poco strializzazione. Cosl, « al contrario di mol-
conciliabile con molti dei pr10c1p1fonda-
ti contemporanei e degli studiosi prece-
mentali della disciplina storica. Si tratta
denti che mettevano in rilievo la disgre-
di un giudizio severo, rispetto al q~ale ~ gazio;e e il disfacimento delle relazioni
lettore italiano amerebbe avere a disposi- familiari, le ultime ricerche sottolineano
zione più informazioni per poter esprime- il grado in cui gli atteggiamenti « tradizio-
re un proprio punto di vista. Sfortunata: nali » influenzavano le strategie adottate
mente la psychohistory, se appare ormai
dalle famiglie i cui componenti erano oc-
superata ad alcuni settori della storiogra-
cupati in fabbrica o in qualche altra strut-
fia anglosassone, è da noi ancora larga- tura di lavoro capitalistico su larga scala »
mente sconosciuta o quasi (per un'utile (p. 115). Naturalmente « una cosa è sug-
rassegna di questi temi: L. La Penna, La gerire trasformazioni strutturali plausibili
Psychohistory: proposte e studi nella sto- e tutt'altra documentare il loro esatto im-
riografia americana, « Quaderni storici », patto sugli atteggiamenti e sul comporta-
47, 1981). mento della famiglia ed escludere inter-
Degli~approcci presi in considerazione pretazioni culturali alternative, come quel-
vengono sottolineati utilità e limiti. ,.Cosl le che potrebbero essere fatte da alcuni sto.
l'approccio demografie<;>, att!aver~o 1mda: rici dei sentimenti» (p. 122).
gioe delle età del matrimoruo, dei mode~ Le conclusioni di M. Anderson sono
cli fecondità, dei concepimenti extramatr1- di tipo ecumenico ed egli si augura che
moniali della dimensione e della compo- i tre approcci continuino ad essere seguiti
sizione dell'aggregato domestico..., ha con- nella storia della famiglia, in quanto è
tribuito in modo determinante a una de- necessario proseguire in un gioco di inte-
scrizione delle configurazioni strutturali grazioni e di incastri.
dei sistemi familiari occidentali. Ma n~o Di fatto il problema che resta oggi an-
stesso tempo si connota come una ga!'bia cora aperto è proprio quello del come
troppo sta.tica o « t~pic~zat~,» .che s1 la: restituire unità - al di fuori di sempli ••
scia sfuggire « molti dei J?lU 1mp~rt~nti stiche giustapposizioni - a un discorso
mutamenti dei modi in cui la famiglia e storico su una famiglia che appare divisa
la parentela agiscono in società particola- tanto sul piano storico quanto su quello
ri » (p. 62), ment_r: « le statis;_iche a _li- storiografico.
vello della comumta danno un 1mpress10- Da segnalare anche l'interessante in-
ne erronea perché celano un~ d_eif~ttori troduzione di Simona Cerutti che offre uno
essenziali della vita della fam1gha: 1 mu- scorcio della produzione storiografica ita-
tamenti della composizione dell'aggregato liana, illustrando studi esistenti e diversità
domestico lungo il ciclo di v_ita» (p. 54): d'approccio.
L'approccio dei sen~im~nti che cere~ d~ Angela Groppi
indagare le trasformaz1001 ~elle .rela~1oru
affettive e degli atteggiamenti reciproci tra
i vari membri della famiglia e che come S. M. Gilbert and S. Gubar ( eds.), Sha-
tale cerca di dinamizzare qualitativamente kespeare's Sisters. Feminist Essays on Wo•
un quadro troppo rigid_amente q~~tita- men Poets, Bloomington & London, In-
tivo si impatta in grossi problemi di do- diana University Press, 1979.
cum~ntazione e di fonti, essendo « parti-
colarmente difficile dimostrare con sicurez- Il lessico teologico che per tradizione
za l'emergere di nuovi modelli di compor- descrive l'attività poetica contiene in sé
133
un'esclusione di genere, il genere femmi- strega, mezza pazza, temuta e dileggiata;
nile. Perché l'attività poetica non ha a se fosse riuscita a scrivere, la sua opera
che fare con lo specifico ma con gli uni- sarebbe forse stata di Anonimo, forse spac-
versali (Aristotele); perché essa è forma ciata per opera di maschio. Travestimento
privilegiata di creazione che pone il poeta non solo epidermico di tanta scrittura
accanto a Dio come gli unici due creatori femminile che è percorsa in realtà fin nel
(Tasso); perché chi la esercita sottomette suo intimo essere dall'obliquità, dalla de-
la natura alla sua volontà creativa e « con formazione ingìunta da quel difficile rap-
la forza di un alito divino genera cose che porto che la donna ha con la dimensione
superano di gran lunga » la natura stessa pubblica, da quella sua propensione a
(Sidney); perché l'immaginazione poetica celarsi dietro un velo, un velo che come
è una forza vitale e conscia che riproduce dice V. Woolf è reliquia del feticcio della
nella mente finita dell'uomo l'eterno atto castità che ogni donna è destinata stori-
creativo di una coscienza universale (Co- camente a portarsi dentro.
leridge); perché le parole del poeta pene- Che per troppo tempo molte donne
trano l'apparenza, svelano verità somme, debbano aver vissuto soprattutto la pato-
permanenti (Shelley) e perciò sono parole logia dell'eccesso soggettivo proprio del-
di oratore, di maestro, di profeta, di sa- l'attività immaginativa (l'allucinazione, la
cerdote. suggestione stregonesca, la malinconia, l'i-
Sono parole che per essere dette hanno steria), che nei casi migliori l'approdo al
bisogno della mediazione delle convenzioni mondo della forma abbia dovuto servirsi
del genere, le « antiche regole » della tra- del linguaggio formulaico della visione mi-
élizione colta, il controllo severo comun- stica, del vocabolario della rivelazione, lo
que del metro, della forma, patrimonio capiamo dal saggio di Catherine C. Smith
della cultura maschile. (lane Lead: Mysticism and the Woman
Il Soggetto Creatore, il Profeta, il Sa- Cloathed with the Sun) che apre la prima
cerdote, le Regole, la Forma. Sono ter- sezione del libro (« A Lonesome Glee »:
mini che stabiliscono una contraddizione Poets Be/ore 1800).
fra genere femminile e genere poetico. Un Il seguito di Shakespeare's Sisters dise-
libro sulla donna poeta - sono diciannove gna il tracciato tortuoso di un faticoso
i saggi che in questa bellissima raccolta processo di rimozione di un'interdizione
statunitense contribuiscono a delinearne patriarcale che la donna ha finito con l'in-
la storia nella letteratura inglese e ameri- teriorizzare e che, una volta rimossa dalla
cana dal Seicento a oggi - non poteva pratica interdetta, si ripresenta inscritta
essere dunque che la storia di una « crea- nell'ordine stesso del discorso, in una pa-
tura presuntuosa » come dicono i versi con rola che porta in sé l'impronta prescrittiva
i quali Anne Finch si presentava poeta, dell'altro.
verso la fine del Seicento, e con in quali Nell'ambito del più generale rapporto
Gilbert e Gubar (le autrici di The Madwo- fra storia della letteratura e statuto so-
man in the Attic) hanno scelto di aprire ciale della donna poeta, i vari contributi
la loro introduzione: « Alas! a woman that al libro indagano dunque sulla relazione
attempts the pen, / Such an intruder on fra identità sessuale femminile e il simbo-
the rights of men, / Such a presumptuous lico. Indagano innanzitutto sulle resisten-
Creature, is esteem'd, / Tue fault can by ze opposte dalla donna, dal suo essere
no vertue be redeem'd ». Filomèla, materia resa muta, materia da
Su questo peccato di presunzione, su imprimere, Eco, voce che rimanda suoni,
questo gesto trasgressivo, sui suoi costi, nei confronti di una pratica immaginati-
ancora rifletteva nel 1928 Virginia W oolf va - la poesia - che richiede un lo asser-
quando messasi - come già Elisabeth Bar- tivo, capace, anche quando si dà come fit-
rett Browning - a interrogare la manifesta tizio, di porsi al centro della propria crea-
esiguità di una tradizione poetica femmi- zione come soggetto conoscitivo. Un lo
nile, rispondeva inventando per Shake- come quello della poesia 508 di Emily
speare un'ipotetica sorella - Judith - pos- Dickinson, abbastanza « presuntuoso » da
seduta anch'ella dalla passione poetica (A autoincoronarsi regina dopo essere rinato
Room of One's Own). Sarebbe fuggita a all'identità con un secondo battesimo; ab-
Londra una notte d'estate dove tutti bastanza «presuntuoso» da saper dire con
avrebbero scoraggiato la sua vocazione e Sylvia Plath « 1/Have a self to recover, a
infine messa incinta da qualcuno si sareb- queen ».
be ammazzata in una notte d'inverno. Se Ma qual è il prezzo di questa mascolina
fosse sopravvissuta sarebbe finita mezza affermazione di volontà e di potenza che
134
schiude la creatività artistica e permette corazza contro « infesting Eyes » (E. Dic-
di giungere al télos, alla realizzazione del- kinson), in una conchiglia può maturare
la forma? Se lo chiede H. Cooper quan- una perla, nutrirsi un mollusco, sentirsi
do nel suo saggio su E. Barrett Browning l'eco di antichi misteri cancellati da pub-
(W orking into Light: E.B.B.) cita i versi bliche parole, dietro una parola interdetta
di The Soul's Expression. Si trattò per può maturare l'elusività della Sibilla (H.
E. Barrett Browning di rischiare gli effetti Doolittle).
potenzialmente distruttivi dell'energia La compressione, l'ellissi, la parsimonia
creativa, i suoi effetti prosciuganti sulla linguistica caratterizzano il discorso di
carne, sulle pulsioni vitali. questa voce che ha imparato a dire quello
Per E. Dickinson si trattò, come dice che non può o non vuole farsi parola, che
A. Gelpi (E.D. and the Deerslayer) sulla sa dire il segreto lasciandolo enigma. La
base di una delle poesie più controverse modalità diaforica tipica della letterntura
della poetessa (My Life had stood - A e dell'arte moderna del Novecento e che
Loaded Gun) di soggiogare a favore del procede per sovrapposizione di immagini
principio maschile il principio femminile, a discapito dei connettivi esplicativi e
i suoi oscuri misteri, di allearsi col cac- generalizzanti della modalità epiforica, si·
ciatore nella sua quest di identità, nell'uc- rivela secondo J. Kammer (The Art of
cisione del cervo, di farsi strumento fal- Silence and the Forms of Women's Poe-
lico di aggressione, padrone e predone in- try) come prevalente nella poesia femmi-
sieme a lui di Madre Natura, di esistere nile, espressione di una voce poco pro-
nella cultura e nell'arte uccidendo in essa pensa a farsi autorevole bardo di conclu-
e distanziandola, l'esperienza, che cosi sioni « universali ».
sfugge alla morte nell'immortalità della La poesia contemporanea americana, a
forma. cui è dedicata l'ultima sezione del libro
Per la donna poeta dell'Ottocento si con saggi che coprono anche il panorama
trattò anche, come dice A. Rich (Vesu- afro-americano, è oggi impegnata a rin-
vius at Home: The Power of E. Dickin- tracciare, in una costruttiva critica delle
son ), di osare rischiare la pericolosità di mitologie che strutturano la coscieDZ'l! fem-
un medium - la poesia - che rispetto alla minile, i segni dell'interazione fra storia
maggiore dissimul'llzioneconsentita dal ro- e psiche. L'ultimo saggio di R. Blau Du-
manzo, costringeva a entrare nelle stanze plessis analizza la poesia di D. Levertov,
segrete dell'io, a scoprirne le incande- M. Rukeyser, A. Rich (The Critique of
scenze, la forza talvolta mostruosa, inac- Consciousness and Myth in L. R., and R.)
cettabile. Si trattò di vivere la scissione indagando sui modi e sugli esiti di volta
schizofrenica di chi conosce la propri'll in volta diversi di questa ricerca che vuole
forza e sa di doverla celare dietro una ridare spessore al segno piatto del mito,
maschera di innocuità. resistere alla sua forza omologante, riper-
Sintomatica di una tradizione nelle mo- correrlo e reinventarlo per strapparlo alla
dalità di autoraffigurazione del femminile sua presunta universalità e conferirgli la
fra Ottocento e Novecento sembra essere profondità dello specifico dell'll storia em-
in effetti fa ricorrenza di immagini della minile. La posta in gioco della quest in-
vulnerabilità e dell'occultamento che pos- trapresa verso l'identità della differenza è
sono invece essere immagini dissimulate di essere eroe senza rinunciare a essere
e oblique di affermazione di identità. Tale donna; e anche di mettere insieme la bel-
tradizione è delineata nei saggi di D. Ro- la, rassicurante Andromeda e la mostruo-
senbiu_m(C. Rossetti: The Inward Pose), sa, inquietante Medusa che Perseo ha se-
T. D1ggory (Armored W omen, Naked parato; e ancora di fare di Andromeda
Men), ]. Stanborough (Edna St. Vincent non il dono per l'Eroe ma il dono per se
Millay and ·the Language of Vulnerability), stessa.
S. Gubar (The Echoing Spell of H. D. 's Contributo assai ampio a quella che
Trilogy), S. M. Gilbert (A Fine, White E. Showalter ha chiamato sull'esempio
Flying Myth: The Life / Work of Sylvia francese gynocritique (cfr. M. }'l!cobus,ed.,
Plath). Women Writing and Writing about Wo•
Il camoufl,agepuò anche farsi 8trategia men, London, Croom Helm, 1979), Sha-
dunque. Dietro un volto condannato al- kespeare's Sisters ricostruisce con passio-
l'innocuità può maturare un'ostinata te- ne, e insieme con l'autorevolezza di un'in-
nacia, la forza aggressiva di un angelo- dagine critica rigorosa, la storia di un do-
medusa (C. Rossetti), il velo può farsi no, il dono della visione che da eccesso
135
soggettivo, da desiderio inibito, si è fatto ricorda le « menzogne vitali », grazie alle
faticosamente scrittura. quali le comuni sognano libertà da ma-
Maria Del Sapio trimoni e nascite illustri; ma se le seconde
sono passive, consolatorie, rette dal caso
il primo, nel subordinare la fruibilità ~
Laura Mariani, Quelle dell'idea, Bari, De il significato stesso dell'evento alla ferma
Donato, 1982. osservanza dei principi, rischia di volgersi
in rigorismo e controllo reciproco, fino ai
Il lavoro di Laura Mariani sulle mili- casi estremi in cui evoca per durezza delle
tanti comuniste detenute nel carcere di regole e delle sanzioni - prima fra tutte
Perugia in tre diverse fasi politiche si l'ostracismo - il volto punitivo dell'istitu-
offre a vari piani di lettura: specificità zione.
dell'istituzione in quanto subita e agita La rigidità dell'ortodossia verso i dis-
da donne; politica carceraria verso le dif- senzienti è nota. Tuttavia l'isolamento e
ferenti figure di recluse (comuni, semplici la morte in solitudine di Iside Viana, gio-
militanti, intellettuali e dirigenti) e rispet- vane militante biellese, « colpevole » di
tivi modelli di azione e reazione; contri- aver partecipato, già fragile e malata, ai
buto per l'analisi dell'« ortodossia rivolu- i;iti religiosi, turbano profondamente. Cer-
zionaria», dalla sua assunzione più rigida to l'atteggiamento su questa materia era
fino al manifestarsi di inquietudini e cedi- allora terreno eminente dell'immagine po-
menti; campo di interazione tra soggetti- litica, polo centrale delle pressioni delle
vttà femminili fortemente segnate da un suore e dei contrasti interni; pesò, anche,
intreccio di imperativi interni e esterni. una concezione del carcere come banco di
Sono dunque sul terreno nodi di grande prova della militanza. Ma se le inquietu-
complessità, esposti come pochi altri alla dini, i cedimenti, il rifiuto di irrigidirsi di
pressione di vecchie e nuove ideologie, a alcune - come appare nella bella testimo-
tentazioni definitorie, a cortocircuiti emo- nianza di Giorgina Rossetti - ci restitui-
tivi; la ricerca si muove efficacemente tra scono persone intere con una loro tensione
questi scogli, senza che la complicità af- magari confusa verso una diversa conce-
fettiva verso le protagoniste, di cui si fa zione della politica, nella durezza delle più
cenno nell'introduzione, addomestichi il intransigenti non si può non avvertire una
carattere tragico di alcune esperienze e sconfitta della soggettività, un assottiglia-
la sostanza delle loro radici politiche e mento del reale a favore di principi che
umane. non mediano più, ma comandano l'espe-
La documentazione (materiali dell' Ar- rienza.
chivio centrale dello Stato, dell'Archivio « L'assioma della coerenza lasciò il
del PCI, del carcere di Perugia, carteggi campo a una più pragmatica valutazione
privati, testimonianze orali dirette e indi- dei comportamenti » lungo la seconda fase,
rette) è di grande efficacia e si presta bene dal 1934 al 1943, che vede la creazione
a un approccio individualizzante, mentre di un collettivo in carcere e al tempo stes-
la scelta di evidenziare alcuni personaggi- so una crisi dei contatti con fa direzione
guida, non perché tipici o esemplari, ma del PCI. Le contraddizioni partitiche si
in quanto coagulo di problemi-rafforza proposero su altri piani, tuttavia le de-
questo taglio dando al testo momenti di tenute riuscirono a coltivare « una fede
forte presa anche emotiva. tenace nel sacro dei piccoli incontri, dei
Il tema dell'ortodossia e del suo impat- piccoli fatti»: il gioco, la cucina, la festa,
to su sensibilità e comportamenti si im- 11gergo comune, la ricerca collettiva di pic-
pone nella prima parte della ricerca, che coli spazi strappati al regolamento e al-
riguarda l'ondata di condanne a cavallo tide~logia c~rc~raria; al centro, progetto
degli anni trenta. Isolate, sottoposte a m cut tutte s1 riconoscono, lo studio l'uni-
condizioni materiali molto dure, a ricatti versità proletaria. Momento di ide~tifica-
e soprusi, queste militanti possono con- zione e di solidarietà, il rapporto con la
tare quasi esclusivamente sulla tenuta del- cultura ne -accogliecomunque tutte le im-
la propria « corazza filosofica», cioè sul plicazioni classiste e sessiste senza metterle
mantenimento a ogni prezzo della identità in discussione, ricalcando - ed era forse
politica e sulla fiducia nel vicino, inevi- inevitabile - il modello gerarchico delle
tabile crollo del regime. Forma alta di so- carceri maschili.
pravvivenza spirituale, questa scelta - co- I caratteri di novità presenti nel col-
me nota Laura Mariani - può tuttavia lettivo non si proiettano tuttavia al di là
trasformarsi in un sistema di certezze che del microcosmo realizzato. Nota l'autrice
136
come le comuniste continuarono a consi- isterismi; bizze; capricci; stranezze; mise-
derare le comuni un blocco a sé, anonimo, riole », capaci di mettere in pericolo il ri-
senza mettersi in gioco né tener conto di spetto imposto da « una linea di condotta
forme particolari della ribellione: tra le seria, conseguente, e tranquilla di spirito
costanti di questa scelta, la ripugnanza per e di modi».
l'omosessualità e l'orgoglio del proprio es- Questo dogma della rispettabilità, l'e-
sere diverse, il voler stare da sole quasi a secrazione di ogni «stravaganza», l'ansia
proteggersi dal contagio di passioni, « ir- ùi non essere né apparire femmine isteri-
razionalità », istinti sentiti automatica- che, dovettero risultare doppiamente pe-
mente come degradanti. santi, carichi com'erano di investimenti
È nel confronto con la terza fase, quan- soggettivi, e al tempo stesso effettiva ma-
do ad affollare il carcere sono prevalen- teria di verifica e occasione di riconosci-
temente contadine umbre (donne-ostaggio, mento da parte delle dirigenti e delle
partigiane, poi le protagoniste delle lotte compagne: rispettabilità in quanto co-
mezzadrili e dei moti successivi all'atten- muniste, coerenti ma senza « grossolane
tato a Togliatti), che appaiono più chiare insubordinazioni»; in quanto donne, cal-
le radici dell'intreccio forza - fragilità del- me, serie, padrone di sé; in quanto dete-
le militanti. Il problema dell'autoimma- nute, puntigliosamente disciplinate di con-
gine è certo presente anche in questi tro al disordine delle comuni.
nuovi gruppi di detenute, tra cui non È attraverso la difficoltà di vivere cer-
mancano le politicizzate e le comuniste; tificando a tanti e molteplici livelli l'orto-
ma l'identità che si tende a preservare, se dossia che si intendono non solo i dubbi
da un lato è più vicina ai modelli tradi- e i cedimenti, ma la durezza di chi sceglie
zionali, dall'altro appare più solida, legata di costruirsi una « corazza bolscevica »
com'è a una quotidianità meno invasa dal- tanto più rigida quanto più fragile è l'iden-
le gerarchie del politico, socialmente le- tità che deve difendere. Doppiamente im-
gittimata grazie alla diffusa radicalità del prigionata, la libertà di queste donne può
periodo in questa zona. Gioca, in parti- contare solo su opzioni individuali, che
colare, il motivo per cui ci si trova in magari confusamente ridefiniscano la ge-
carcere: nella maggior parte dei casi per rarchia delle rilevanze. Il libro di Laura
reati compiuti da tutta la famiglia o addi- Mariani è in questo senso anche una testi-
rittura dal villaggio, legati al ruolo di cu- monianza dei percorsi nei quali questa
stode dei beni e dell'unità familiare che la tensione si è espressa, dell'umanità che
società contadina affida alle donne. Questa ha rischiato e salvaguardato.
qualità del reato - sottolinea Laura Maria- Anna Bravo
ni - conferisce quasi automaticamente una
rispettabilità, un'identità garantita, un re-
troterra culturale e affettivo quali le poli- David Marsh e Johanna Chambers, Abor-
tiche sembrano destinate a inseguire con tion Politics, Junction Books, Londra,
affanno. 1981.
Trasgressive sul piano dei ruoli perso-
nali prima ancora che su quello politico, Abortion Politics intenda descrivere
le « bolsceviche » degli anni 30 appaiono e spiegare « le vicende e gli eventi che
strette tra l'isolamento sociale cui le ha hanno avuto luogo durante l'esame della
portate la loro scelta, e un nuovo, mino- proposta di legge Corrie » - il tentativo
ritario quanto cogente, modello di « nor- che nel 1979-80 un parlamentare, John
malità». Oggetto di diffidenza, sottoposte Corrie, compl per introdurre limiti nella
a continue verifiche dai compagni, evocano legislazione inglese sull'aborto con un dra-
la condizione di chi ha lasciato un mondo stico emendamento alla legge esistente dal
per un'altro in cui non si sente mai pie- 1967. Lo studio si basa sull'analisi delle
namente e definitivamente riconosciuto, votazioni parlamentari succedutesi dal 1966
quasi bambine di fronte all'autorità di (proposta di legge Steel) al 1980, e su
adulti giudicanti o supposti tali, diverse interviste e lettere ottenute e scambiate
che l'iniziazione non fa uguali del tutto. con parlamentari, rappresentanti della pro-
Se si guarda alle espressioni con cui fessione medica e gruppi di pressione. •
Camilla Ravera definisce, nel suo rappor- Marsh e Chambers si occupano dunque
to del 1932, alcuni comportamenti delle della legislazione sull'aborto, non delle
compagne, questa impressione di riduzio- pratiche in uso fuori dal parlamento per
ne alla minorità trova più di un riscontro: facilitare o restringere l'accessibilità del-
« atteggiamenti bizzarri e puerili; scene; l'aborto, né del modo col quale il movi-
137
mento delle donne ha fatto dell'aborto una alla salute fisica e mentale della donna e
delle sue principali preoccupazioni. Al dei figli già esistenti. Infine la proposta
centro dell'interesse sono quindi i motivi tendeva a ridurre il numero degli enti
che hanno spinto i parlamentari a cam- morali - le cliniche che operano non a
biare parere durante le successive vota- scopo di profitto - rendendo più difficili
zioni e le difficoltà particolari che la que- le procedure ad essi necessarie per otte-
stione aborto crea quando i governi ne nere la licenza. Si stimò che per effetto di
fanno un problema di coscienza indivi- queste misure gli aborti legali sarebbero
duale, e quindi materia per l'iniziativa del diminuiti di due terzi.
singolo membro del parlamento, invece di Come segnalano M. e C., la proposta
imporla attraverso la disciplina di partito di legge progredl per un lungo tratto nel-
con la mediazione di un capogruppo parla• l'itinerario parlamentare che le proposte
mentare. private di singoli deputati debbono per-
La legge sull'aborto del 1967 rappre- correre. Il secondo dei dibattiti (il più
sentò il punto d'arrivo di una serie di importante) diede a Corrie una larga mag-
tentativi di liberalizzazione iniziata nel gioranza, che si rispecchiò nella composi-
1953. La proposta di legge di David Steel zione della commissione permanente, do-
riusci alla fine vittoriosa per svariate ra- ve sedettero due sostenitori di Corrie per
gioni: lo stesso Steel ottenne un alto pun- ogni deputato favorevole alla scelta li-
teggio nel ballottaggio; il governo aveva bera. La fase dei lavori di Commissione
concesso alla legge un tempo più lungo di fu completata e nella successiva fase di
c:l,iscussione;e in generale la propensione relazione al Parlamento alla proposta fu
ana liberalizzazione era forte, specialmen- consentito un tempo di discussione parti-
te dopo lo scandalo del talidomide. C'è colarmente lungo. Malgrado questo, essa
da aggiungere che gli anti-abortisti in par- fallì. Non fu approvata e non divenne leg-
lamento erano male organizzati, mentre ge. M. e C. forniscono un elenco di ra-
Steel e i suoi sostenitori si mostrarono gioni per le quali la proposta cadde fuori
parlamentari abili. dal tempo limite. Da un lato l'unità e
Immediatamente approvata la legge, l'esperienza della lobby pro-aborto in par-
tuttavia, i deputati anti-abortisti comin- lamento, che riusci a imporre una lunga
ciarono la loro campagna per restringerne serie di emendamenti da discutere, e i
la portata. Furono approvati cinque emen- forti legami tra gli abortisti parlamentari
damenti tra il 1967 e il 1975; nel 1971 e i loro sostenitori nel movimento poli-
una commissione fu incaricata di investi- tico esterno; dall'altro la frammentarietà
gare il funzionamento della legge e di ela- dell'area di Corrie e l'effetto suscitato da
borare raccomandazioni al riguardo. Du- alcuni sondaggi d'opinione (un sondaggio
rante questo periodo l'opinione dei Con- riportò che 1'81% delle donne erano fa.
servatori nella Camera dei Comuni mutò vorevoli al diritto a decidere della donna
assai poco, come si può vedere dall'anda- e 1'80% dichiarò di voler ricorrere a
mento delle votazioni, mentre dal canto pratiche illegali qualora l'aborto legale ve-
loro i Laburisti appoggiarono sempre più nisse loro negato); inoltre il sostegno della
spesso gli emendamenti proposti per la professione medica alla legge del 1967 e
legge, soprattutto a causa dell'allarme che infine il fatto che il congresso delle Trade-
l'aumento degli aborti legali dopo il 1967 Unions, aveva manifestato opposizione alla
andava suscitando, e per lo spazio che la proposta di legge. Particolarmente efficaci
stampa accordava ai supposti « abusi ». si rivelarono le campagne extraparlamen-
La proposta di legge del deputato tari, tra cui la « National Abortion Cam-
Corrie, nel 1979, rappresentò un attacco paign » e la « Campaign against Corrie ».
quanto mai insidioso. Essa proponeva di Il libro fornisce un resoconto utile e
abbassare il tempo di sicurezza per l'abor• ricco di particolari sulla vicenda del 1979-
to da 28 a 20 settimane, e di ampliare 1980. L'analisi del voto e delle abitudini
la clausola dell'obiezione di coscienza con di voto è ben condotta e spiega adegua-
la quale il personale medico poteva rifiu- tamente i motivi per i quali deputati di
tare di compiere interventi abortivi per diversa appartenenza avevano in varie oc-
ragioni morali. E, più grave ancora, mi• casioni modificato il loro comportamento.
rava a sovvertire le basi stesse della li- L'aspetto più rimarchevole è tuttavia la
bertà di aborto, legalizzandolo solamente discrepanza che, emerge tra come i par-
nei casi in cui la gravidanza poteva arre- lamentari discutono e votano in Parla-
care seri rischi alla vita della donna in- mento e ciò che le donne effettivamente
cinta, o sostanziale rischio di danno grave sentono e vogliono.
138
Siccome il libro si concentra sulla le- Salute e della Sicurezza sociale. È stato
gislazione e sulle procedure parlamentari, semplicemente deciso che la domanda d'a-
non vi troviamo un'analisi delle campagne borto deve essere sostenuta da una ragio-
condotte aldifuori dai vari movimenti. Se ne « medica » ben precisa, con una chiara
è vero che, come M. e C. sostengono, la allusione al fatto che i motivi sociali e
decisione finale sulla pericolosa proposta morali menzionati dalla legge non posso-
di legge dipendeva soprattutto dai parla- no considerarsi accettabili. È una modifica
mentari, è anche vero che essa ebbe ri- che è stata apportata senza consultare il
percussioni su tutto il movimento delle Parlamento. Una semplice decisione buro-
donne e in generale sul movimento labu- cratica ha avuto l'effetto di restringere po-
rista in Inghilterra. Nel paese si moltipli- tenzialmente le possibilità della donna di
carono le iniziative e le campagne locali, ottenere l'aborto. Contro di essa una cam-
aggregando donne e sindacalisti insieme, pagna per la libera scelta si sta già orga-
per la prima volta, in un'azione massiccia nizzando ma questo è un esempio di come
che non servi solo a controbattere l'attac- la battaglia parlamentare rappresenti solo
co di Corrie sulla difensiva, ma a solle- una faccia del nostro problema; a meno che
vare nuove domande e ad elaborare nuove essa non sia affiancata da una lotta fuori
tattiche riguardanti una più ampia libe- dal parlamento, la conquista dei nostri di-
ralizzazione della legislazione abortiva esi- ritti legali rappresenterà poco o nulla nella
stente o, addirittura, la richiesta della sua pratica.
eliminazione completa. Mary Wilkins
La campagna del 79-80 ebbe ripercus-
sioni anche sul movimento laburista. Il
Trade Union Congress venne allo scoperto Franca Romé, Per una ruga in più, Mi-
pronunciandosi ufficialmente contro la pro- lano, Rizzali, 1982.
posta di legge, e organizzò una manifesta-
zione nazionale nell'ottobre 1979. Ciò si Come vivono e come si vivono oggi
rivelò importante non solo per la manife- le donne cosiddette di mezza età? Quale
stazione e la campagna in sé, ma perché gamma di scelte è offerta loro, quale per-
fu una delle poche occasioni nelle quali il cezione sociale le accompagna? A che mo-
TUC si mobilitò e scese in campo su una delli femminili possono richiamarsi come
questione politica « delle donne ». Ciò do- terreno di orientamento e confronto? Que-
vrebbe rendere più facile per il futuro pre- sti gli interrogativi di fondo di Per una
mere affinché il sindacato entri in azione ruga in più, saggio inchiesta pensato e
anche su altre questioni concernenti le organizzato intorno al rapporto tra imma-
donne in modo vitale, finora lasciate da gine sociale e identità nelle donne tra i
parte. 45 e i 60 anni.
Tuttavia il problema fondamentale di Materia all'estero di ampie e diversifi-
una ricerca che si interessa solo dell'aspet- cate ricerche, i temi della maturità e del-
to giuridico-politico dell'aborto è che essa l'invecchiamento sono in Italia ancora pre-
trascura quello essenziale della realizzabi- valentemente affidati a indagini spec~sti-
lità pratica del servizio. Nel sistema sa- che, o, all'opposto, a ricognizioni sbriga-
nitario inglese vi è un'enorme disparità tive magari legittimate dal parere dell'e-
tra regione e regione riguardo alle strut- sperto di turno; appena agli inizi è la ten-
ture essenziali e una scarsità cronica in denza verso approcci al tempo stesso do-
generale di attrezzature e personale in- cumentati e preoccupati della propria ac-
dispensabile alla assistenza per l'aborto. cessibilità.
Di conseguenza molte donne sono costret- Questa duplice attenzione percorre il
te a rivolgersi agli enti morali o alle cli- lavoro di Franca Romé, che assume come
niche private - e persino gli enti morali documentazione base 250 colloqui con
risultano troppo costosi per le donne po- donne di diversa condizione familiare, so-
vere o malpagate. I tagli di spesa che il ciale, culturale, nate fra il 1920 e il 1935:
governo ha operato colpiscono sia il siste- un universo vasto e disomogeneo - ai li-
ma sanitario che i servizi specifici per miti del rischio di dispersione -, tuttavia
l'aborto. ben integrato da una struttura espositiva
Più in particolare, quanto sia inade- in cui la singola esperienza, mentre da un
guato uno studio del diritto all'aborto con lato si confronta con le partizioni classi-
l'occhio rivolto solo al Parlamento lo di- che della condizione femminile, dall'altro
mostra la recente reinterpretazione della volentieri vi sfugge, ed è lasciata sfuggi-
legge 1967 avanzata dal Ministero della re, per lasciare spazio a profili individuali
139
e a curvature particolari dei problemi. Diventa allora centrale - ed è una
Coagulo tradizionale di proiezioni ne- delle angolature che percorre tutta la ri-
gative, dal mito alla fiaba al proverbio, la cerca - il rapporto con l'immagine corpo-
figura della donna anziana appare ancora reo, ancora spggetta alle equazioni gio-
oggi un punto dolente dell'immaginario vinezza - bellezza, giovinezza - efficienza,
collettivo. I mutamenti della percezione giovinezza - desiderabilità: un rapporto
sociale che sarebbe lecito aspettarsi sia da specialmente carico di ansie per quelle
fattori demografici e socioeconomici di donne che, pur non puntando sulla bel-
lungo periodo, sia dall'impatto sul costume lezza quale merce di scambio o matrice
di fenomeni quali in primo luogo il fem- esclusiva dell'identità, hanno vissuto a
minismo e il movimento delle donne, lungo il corpo come un abito piacevole,
sembrano scontare una vischiosità partico- una consolidata chance in più. Ora - dice
lare, quasi che su questo terreno il rap- un'intervistata - « avere perso tutto que-
porto tra mutamento sociale e valori cul- sto è stato un po' come cambiare casa
turali esprima il massimo della tensione perché mi hanno sfrattata, o essere cac-
verso il polo della continuità e delle per- ciata in esilio»; all'esilio può aggiunger-
manenze, magari variamente adottate. Se è si - disagio propriamente legato a questa
vero infatti che la concezione dell'età, i fascia di età e ai suoi modelli di forma-
momenti di passaggio da una fase all'altra zione - il rimpianto di aver goduto trop-
del ciclo vitale sono oggi mutati, e una po poco il corpo giovane, la sua fisicità,
donna diventa ed è considerata anziana magari il suo potere.
ai;iiaipiù tardi di qualche decennio fa, re- E oggi, che i diritti del corpo vengono
stano comunque ben vivi molti dei vec- assunti a norma, che il proliferare del
chi vincoli e limitazioni. « Nessuno ose- discorso sulla sessualità ha se non altro
rebbe sostenere che una donna vale sol- legittimato il desiderio femminile, che la
tanto finché è giovane e bella»; tuttavia, sessuologia celebra i fasti dell'amore an-
passata una certa età, « si rischia di avere ziano? Non parrebbe che per questo una
davanti un mucchio di tempo da vivere e cinquantenne riesca molto più facilmente
di non sapere più bene cosa farsene». a realizzare quanto, spesso faticosamente,
Come viene affrontata una prospettiva è riuscita a « liberare » di se stessa. Acuti
così poco gradevole? Molte delle quaran- e senza reticenze mi sono sembrati in que-
tacinque-cinquantenni sollecitate in propo- sta prospettiva i capitoli sulla sessualità,
sito dall'autrice sembrano non preoccu- l'amore, la bellezza e i suoi additivi chi-
parsene, nel senso preciso di non volersene mici e chirurgici: temi cui giova parti-
occupare prima del tempo; semplicemen- colarmente l'adesione affettuosa, ma non
te dichiarano di non avere problemi, di acritica, all'esperienza delle intervistate.
non stare a pensarci. Che il punto di crisi Non che nulla sia cambiato; in parti-
cominci a spostarsi in avanti, almeno al- colare sui rapporti tra donne di età di-
l'interno di certe fasce sociali e culturali? versa e sugli ormai più frequenti legami
È possibile - suggerisce Franca Romé, sot- di donne mature con uomini giovani, la
tolineando però gli elementi di rimozione, ricerca scopre aspetti nuovi su cui riflet-
e insieme il sostanziale adeguamento a un tere. Nel primo caso, emerge una crescen-
modello che chiede alla donna matura di te e meno codificata circolazione di idee
affrontare appunto con maturità i muta- ed esperienze, legata alla prolungata coesi-
menti all'orizzonte. Per altre intervistate, stenza di donne anche molto diverse nel
mezza età e vecchiaia saranno necessaria-- lavoro, sul mercato sessuale, nella sfera
mente all'insegna dell'eccezionale, appun- pubblica, e fonte di solidarietà e competi-
tamenti con una libertà mai sperimentata, zioni specifiche. Nel secondo, si individua
con un'immagine di sé ricalcata su anziane una curvatura nuova del fenomeno anche
glorie dello schermo o su improbabili figu- sul piano qualitativo: denunciato lo ste-
rine letterarie. reotipo del maschio superedipico e del-
L'impressione è che gran parte delle l'incesto per interposta persona, l'accento
donne si trovino oggi sole e impreparate è posto sulle motivazioni delle donne, in
di fronte alla realtà dell'invecchiamento, cui, accanto o in luogo della componente
e che l'esperienza dei cambiamenti fisici e materna, giocherebbe il desiderio di un
psichici legati all'età possa facilmente tra- compagno più disponibile dei loro coetanei
sformarsi in un grumo irrisolto, quasi un e allargare lo spazio dell'affettività e l'at-
lutto non elaborato per la perdita di tenzione al rapporto di coppia.
un'identità la cui trasformazione è imme- Di fronte alla complessità di questi te-
diatamente avvertita come decadimento. mi, alcuni degli interventi qui riportati di
140
medici, psicologi, esperti vari, appaiono gerarchizzazioni per sesso e per età.
semplificatori e alquanto sordi al muta- Dopo gli anni 50 il rapporto tra indi-
mento, fino a riproporre di queste donne viduo e parentela si è capovolto. L'indi-
stereotipi ricalcati piuttosto sull'immagine viduo tende a inserirsi in una rete di rap-
delle loro madri. porti di lavoro e di scambio più autonomi
In realtà, il quadro complessivo della dai vincoli familiari e comunitari; a usare
ricerca disegna una generazione che si i legami di parentela come il più potente
trova ad affrontare maturità e invecchia- mezzo per attuare l'esigenza di integrarsi
mento senza potersi rifare né ai vecchi mo- nella moderna società di mercato. Il qua-
delli, né a proposte per una realmente dro dei valori tradizionali diventa sempre
nuova strutturazione del ciclo vitale; e più mobile e dilatato oppure sopravvive al
che al tempo stesso si sente per cosl dire servizio di nuovi modi di vivere mutuati
scrutata, da parte di molte donne anche dalla città industriale. L'emigrazione si in-
appena più giovani, alla ricerca di figure serisce su questo sfondo, al servizio di
gratificanti, capaci di esemplificare percorsi strategie individuali di manipolazione, che
di vita in cui lo scorrere del tempo non mirano a rafforzare posizioni economiche
significhi automaticamente decadimento oppure di prestigio e potere.
sconfitta, perdita di diritti e identità. ·:fi Una donna, sposata da otto anni, insi~
nell'attenzione puntuale a questa singola- ste perché il marito torni a lavorare in
rità, e nello sforzo di disarticolare queste Africa (dove ha già lavorato sette anni)
equazioni, che la ricerca dà il suo contri- [ ...] « Deve andare ali'Africa perché devo
buto più interessante. comprare la !cucina] Salvarani e costa tre
milioni. Mio marito a dire la verità non ce
Anna Bravo voleva proprio andare. " Mo' che ne fac-
ciamo di tanti soldi? " dice. Mo' sta volta
F. Piselli, Parentela ed emigrazione. Mu- la compro davvero. Me l'ha ficcata int'a
tamenti e continuità in una comunità ca- capa la televisione! Qui a Altopiano non
labrese, Torino, Einaudi, 1981. l'ho vista a nessuno. » (p. 159)
I valori tradizionali vengono dunque
Questo lavoro affronta il tema del sot- messi al servizio di una nuova mentalità
tosviluppo meridionale secondo un metodo utilaristica e consumistica, cui viene su-
di ispirazione antropologica: restringe dun- bordinato anche il sacro. Ne è esempio la
que il campo di indagine a una sola co- storia del pellegrinaggio organizzato dal
munità del Cosentino, chiamata con lo prete di Altopiano negli Stati Uniti, por-
pseudonimo di Altopiano, e più precisa- tando con sé le spoglie del beato protetto-
mente a cinque vicinati, nei quali (pur re. Mentre i quaranta partecipanti fanno
mantenendo anche rapporti in altre zone) conti su conti cercando di calcolare quanto
l'autrice ha compiuto diciannove mesi di guadagneranno in scambi di doni e transa-
lavoro sul campo dal 1975 al 1978. zioni economiche, viene deriso l'unico che
Il primo motivo di interesse del libro vuole usare il viaggio per motivi d' « ono-
è l'interpretazione nuova e rivelatrice dei re», cioè per uccidere un compaesano che
rapporti sociali connessi con l'emigrazione, molti anni prima gli avrebbe insidia o la
contro i luoghi comuni che collegano moglie (pp. 159-161).
quest'ultima univocamente con la prole- Già da questi accenni è evidente che
tarizzazione o con la disgregazione delle il secondo motivo di interesse del libro è
strutture sociali tradizionali. Ciò è otte- la ferma applicazione del principio di « non
nuto con la collocazione del processo in dissociabilìtà tra oggetto della ricerca me-
prospettiva storica. Fino agli anni 50 remi- todologia seguita e contenuti sociop~litici
grazione funzionava come meccanismo di e culturali affrontati ». Piselli usa infatti
riequilibrio, di espulsione della devianza diverse discipline e diversi approcci a se-
e di soluzione di conflitti familiari (ad es. c~nda ?ei mutamenti dell'oggetto: l'idea
come forma di divorzio all'italiana), perché di coscienza collettiva durkheimiana per la
agiva in un sistema di alta coesione e sta- parentela tradizionale; i concetti di mani-
bilità. Fondamento dell'omogeneità del si- P?lazione, analisi situazionale, dramma so-
stema era la struttura parentale, che de- ciale della Scuola di Manchester per il
terminava anche i ritmi e le forme del- periodo successivo. Adotta inoltre tutti gli
l'emigrazione. I rapporti parentali erano strumenti di rilevazione del metodo sto-
allora legami di soggezione, obbedienza, rico-comparativo: dall'osservazione parte-
sottomissione, anziché di mutualità, soli- cipante all'inchiesta, dai dati anagrafici al-
darietà e confidenza, e agivano secondo l'analisi delle classi. E soprattutto intesse
141
la sua esposizione di casi raccolti nell'in- mezzi di elevarsi per i ceti medi e subal-
tensa ricerca sul campo, che ha dovuto ri- terni. Illuminante è al proposito la tabella
solvere problemi non indifferenti: « potevo del grado di parentela degli impiegati co-
avere informazioni solo se assistevo per- munali di Altopiano con sindaci, vice-
sonalmente allo svolgersi degli eventi e sindaci, assessori, consiglieri comunali (t.
solo dalle persone con cui avevo avuto d, p. 237). O l'elenco di chi ha più pro-
stretti e prolungati rapporti personali; ma babilità di accedere ai pochi posti liberi
sovente, anche in questo ultimo caso, dello nell'insegnamento (al primo posto è la
stesso fatto ricevevo versioni diverse, a moglie di un preside, p. 243).
seconda della persona che lo riferiva e del Piselli mostra anche l'intreccio del nuo-
momento in cui veniva riferito. Le genea- vo clientelismo con i circuiti politici (p. 270
logie venivano inventate, a seconda delle sgg.). Il rapporto di interdipendenza tra
situazioni, di volta in volta, soprattutto le due sfere politica e personale fa sl che
quando si trattava di nascite illegittime, le organizzazioni di partito si collochino
convivenze, [ ...] conflitti di famiglia » all'interno delle -strutture parentali usan-
(p. 13). dole come strumenti di penetrazione e di
Alle naturali difficoltà del lavoro antro- dominio, ma a loro volta siano risucchiate
pologico si aggiungono infatti quelle pro- in un sistema di rapporti clientelari che
venienti da una situazione in cui gli indi- soppiantano una vera attività politica. È
vidui non formano gruppi stabili, ma sono cosl garantita la permanenza al potere di
coinvolti in una molteplicità di legami che interessi personali e familiari. Se la ma-
cambiano continuamente, in piccoli e spes- nipolazione individuale permette il con-
so effimeri gruppi che si formano e si sciol- trollo delle risorse disponibili, la dinamica
gono a seconda delle necessità. In questi che ne risulta favorisce la passività del
reticoli « aperti » prevale la « libera » ma- singolo rispetto alla struttura sociale e ai
nipolazione individuale, che diventa il nuo- valori esistenti ed esclude la possibilità di
vo fondamento della coesione. I drammi liberarsi delle vecchie strutture creando
sociali di Altopiano si svolgono quindi nuove forme di espressione e aggrega-
sempre in modi diversi, senza percorrere zione.
le stesse fasi, e non provocano il ristabi- La ricerca su Altopiano mostra cosl in
limento della situazione preesistente, ma modo esemplare come l'indagine sulle mi-
una nuova combinazione, dall'equilibrio crostrutture e sull'individuo, se condotta
sempre instabile e precarìo. Rapporti tra- fino in fondo, possa mettere in luce le
dizionali, come l'adozione e il comparag- radici di grandi fatti economici e politici.
gio, si evolvono in legami mutevoli, di- Si tratta di ammettere, contro gli stereo-
screzionali, strumentali. La parentela è ri- tipi di un vecchio meridionalismo, che gli
dotta a « feticcio », riproposto da nuovi altopianesi traggono benessere dalla par-
ceti in espansione come ideologia al ser- tecipazione al mercato del lavoro tramite
vizio dei loro interessi. l'emigrazione e che le strutture di paren-
La scoperta, sotto l'apparente disorga- tela vengono perpetuate sotto forme diver-
nizzazione, di una rete di legami e di in- se, senza nascondersi i costi sociali che
croci in continuo movimento, non cela il implicano questi processi. Questi processi
carattere patologico del nuovo tipo di vengono esposti con singolare limpidezza
coesione sociale. Il controllo delle risorse n~l libro di Fortunata Piselli; l'alto grado
avviene attraverso tutti i mezzi possibili: d1 consapevolezza metodologica e di leg-
pettegolezzo, lettere e telefonate anonime, gibilità (ci sono pagine molto godibili,
spese « onorifiche », astuzie di ogni tipo. come la descrizione delle nuove case di
La minaccia costante alla propria identità parata, con bagni e cucine che nessuno
che deriva da un sistema cosi difficile da usa per non sciuparle) ne fanno un testo
padroneggiare ha come risultato forme di eccellente - come ho sperimentato - an-
nevrosi, regressione, malattia mentale (ca- che per l'insegnamento.
si di esaurimento nervoso nell'80% delle Luisa Passerini
famiglie).
L'integrazione di Altopiano in una so-
Libreria delle donne, Milano - Biblioteca
cietà pluralistica comporta alti costi non
delle donne, Parma, Catalogo n. 2. Ro-
soltanto per gli individui. Il fenomeno del
manzi. Le madri di tutte noi, Milano,
nuovo clientelismo vizia profondamente 1982.
tutto il sistema, agendo particolarmente
nei settori del pubblico impiego e del- Ecco il secondo catalogo. Giallo bril-
l'insegnamento, che rappresentano i sicuri lante, costa lire tremila. La materia di cui
142
tratta sono i romanzi, i romanzi più amati si delira. Per le vincenti, Stein ( è la prima),
e le loro autrici, le più amate. Ed in ra- Compton-Burnett e Austen. Perché si di-
gione di questo amore filiale non vien menticano le sofferenti suicide vittime? A
meno una acuta voracità inquisitiva che ai causa di ipermemorizzazione - si rispon-
testi e alle autrici domanda molte cose. de -, troppo ricordare madri, nonne, don-
Poiché non mancano affatto della cupidità ne, e di lì l'eccesso quantitativo di dolore
di conoscere, sceverare, dispiegare il testo femminile, è tanto; non lo si rinnega an-
lungo o corto che s_ia,le autrici del cata- che se non se ne parla sempre. Una di-
logo hanno quindi la qualità di esser esse menticanza è una dimenticanza. Ma ciò
stesse buone narratrici. In circa settanta che si dimentica non è un fatto essenziale.
pagine narrano dei loro libri de chevet Vincenti o perdenti. Per quanto ri-
« in movimento ». Perché il gruppo che ha guarda le scrittrici non è una scelta di
lavorato al catalogo, con i suoi cari libri campo, né un'indicazione di guadagno po-
si è spostato da Milano a Caspoggio a litico più facile da scovare - qui o lì. La
Salsomaggiore, ha ricevuto lettere, ha com- distinzione fra scrittrici vincenti e per-
missionato i fumetti che illustrano il cata- denti può essere un'invenzione. È un'in-
logo stesso, ha discusso, ridiscusso e scrit- venzione. In realtà c'è solo una differenza
to. Tutto questo bel lavoro si vede chiara- « fra chi afferma il linguaggio e chi lo
mente, senza spionaggi faticosi, e di que- rincorre. Tra chi riempie di parole il di-
sto chi legge gode molto, è grato e si scorso e chi dà conto degli scarti dei vuoti
diverte. Talvolta si dimentica l'arduo pun- dei buchi nell'ordine del discorso, della
to di partenza del viaggio delle donne del non perfetta coincidenza tra quello che una
catalogo e dei loro libri: esiste una neu- donna sa e può dire, e la legalità del
tralità sessuale dello scrivere così come mondo. Tra chi si affanna con parole sul
hanno dichiarato alcune scrittrici donne? buco minaccioso e chi parla di quelle po-
Tale questione è spezzettata in molte, pur che rose di cui si può parlare e altre e
con scuse delle autrici del catalogo alle varie cose. Abbiamo riconosciuto un noc-
autrici dei libri: « Noi però volevamo ciolo sobrio e scarno del parlare, e il fatto
vedere se i loro scritti, magari in misura che era nostro; le cose da dire non sono
ridotta, a sprazzi, momenti, facessero ap- molti_ssimee sono proprio quelle; la ri-
parire un simbolico delle donne. Contro nuncia alla compattezza del discorso è
la loro volontà abbiamo voluto affermare stato il vero luogo del godimento ».
la nostra, ridurle alla parzialità per aver- La ricognizione letteraria è stata com-
ne un guadagno politico ». piuta. Ne vien fuori sconfitto quel favore
E l'operazione vien fatta marciando al- inquieto che sognava unità e ricomposi-
l'opposto, contro una linea di tendenza zione. « L'unità esiste, ma solo come no-
che vede il movimento femminile e fem- stalgia, le vincenti ci sono apparse come
minista esaltare invece la presenza delle signore scettiche e con pochi trasporti e
donne nella storia per potersi inserire con le perdenti perdute a causa di essi. Ma se
pari dignità in tutti i livelli della vita la nostalgia ci appartiene, se ne può par-
sociale. Così si dice. Di questo evento mi lare, forse è un lusso pensabile ... ». Per
par difficile aver conferma o smentita. niente ottuse dal lusso, le autrici de cata-
Si vorrebbe sperare che le letture che de- logo fanno da guida accorta e solerte alla
formano e riducono il testo siano di molte, lettura, e contro l'ineluttabile somma di
e di poche ormai l'esegesi un tantino mec- coazioni storico-psicologiche del femmini-
canica e contabile di quante han preso la le a~s~ia~ilt?ente danno consigli mai enig-
penna in mano ed hanno lasciato segno più ma~1c1.S! mcon~ra sovente l'accoppiata
duraturo di un diariuccio. « r1sparm10 emotivo », ma l'aggettivazio-
Ovviamente il catalogo parla di grandi ne è saggia, mai avara. Ed irremovibile
scrittrici, grandissime. Ma non per questo qu~ll'altra « guadagno politico », mai pa-
uguali. Ed ecco il problema (politico o tetica né trionfale. Quindi un successo
relazionale?). Le scrittrici sofferenti ( Ka- della passione e dell'intelligenza. È pro-
van, Bachmann e Plath) di cui pur si par- prio un bel catalogo.
la, rischiano dimenticanze. Per altre invece Michela De Giorgio
143
le riviste
Aut Aut dalla « domesticità ». Il binomio donna-
casa appare dunque cosl ovvio da rendere
187-188, gennaio-aprile 1982 appannata l'immaginazione e la pratica
Maria Antonietta Trasforini, Corpo isteri- delle donne sullo spazio abitativo e sulla
co e sguardo medico. Storie di vita e storie sua trasformazione; i vari interventi (Cul-
di sguardi fra medici e isteriche nell'800 tura della casa nell'Italia del dopoguerra
francese. di Alessandra Muntoni; Le categorie di
L'analisi del « male delle donne», che igiene e decoro nella casa degli anni Cin-
si diffonde rapidamente nel corso dell'800, quanta di Cristina Chimenti; « Parva sed
e di un rapporto, quello fra isterica e apta mihi »: note sulla cultura e sulla
medico, attraverso il quale ognuna delle politica della casa negli anni venti in Ita-
due figure acquista un'identità sociale. lia di Vanna Fraticelli; La villa, il tempio,
la casa, l'aula. L'interno dei Promessi
Sposi di Marina Beer; Il tempo di so-
La critica sociologica gnare. Le donne scrivono la casa di Maria
Antonietta Saracino) sono strutturati dun-
que « a formare una cornice, un contesto
62, primavera 1982 al discorso-casa», che risulterebbe il
Marijrosa Dalla Costa, Percorsi femminili « grande rimosso del movimento fem-
e politica della riproduzione della forza- minista».
lavoro negli anni '70.
L'articolo, originato dal convegno « F-
conomic Policies of Female Labor in Italy Quaderni di sociologia
and the United States » del Centro Studi
Americani e del German Mashall Fund 3, 1980-81
(1980), attraversa il decennio 1970-80 con Chiara Saraceno, La condizione femminile
l'occhio a due serie di fenomeni: i nuovi come caso specifico di emarginazione?;
comportamenti femminili verso la mater- Guido Martinotti, Un commento; C. S.,
nità e la politica statale nelle aree dei Risposta a Martinotti.
servizi che direttamente o indirettamente Sarebbe impreciso definire questa no-
riguardano le donne. L'A. rileva statisti- ta critica di C. Saraceno sull'uso del con-
che, episodi di lotta, manifestazioni di cetto di marginalità a proposito della po-
resistenza che segnalano a suo parere un sizione della donna uno scambio di opi-
« duro rifiuto del lavoro gratuito di ri- nioni col sociologo G. Martinotti; il lungo
produzione » da parte femminile, oltre a ragionamento della S. è solo brevemente
un crescente distacco dalle formule tradi- e parzialmente commentato da M. Un'oc-
zionali di organizzazione familiare. I fe- casione mancata, si potrebbe dire, per un
nomeni riepilogati e sottolineati nella loro dialogo intorno al bel tema del « pubblico-
consistenza numerica ci comunicano un'im- privato » e della centralità dei ruoli ses-
pressione precisa della velocità ed esten- suali nei due ambiti secondo le definizioni
sione di cambiamenti messi in moto dalle della teoria antropologica e sociologica
donne negli ultimi dodici anni; occorre contemporanea. C. S., per suo conto, svi-
tuttavia impegnarsi, nella lettura, a tenerli luppa compiutamente una riflessione sulle
separati (e non è sempre facile) dal tono categorie già elaborate intorno a questo
militante e dall'interpretazione politica tema (con riferimento, tra gli altri, alla
esplicitamente proposta, che ne da assai antropologa Rosaldo e alla teoria di Par-
spesso una versione sopra le righe. sons) e propone i termini nei quali un
n~o:7? lavoro d'analisi potrebbe essere og-
gi p1u correttamente avviato.
Nuova DWF
19-20, inverno-primavera 1982 Quaderni storici
Il numero è dedicato alla Casa dolce
casa, come metafora ma anche come rea- 49, aprile 1982
lizzazione concreta di una condizione fem- Maria Pia Casarini, Maternità e inf antici-
minile in cui spazio e tempo sono scanditi dio a Bologna: fonti e linee di ricerca.
144
I primi risultati di una ricerca in cor- costitutive di un sistema culturale e di
so sul periodo 1816-1823 nel Tribunale analizzarle allo stesso livello di astrazione
criminale dell'Archivio di Stato di Bologna teorica della parentela, della politica, ecc.
e negli Stati delle anime delle parrocchie Quello che si apprende sulle donne deve
di residenza delle imputate. L'autrice met- far riconsiderare quello che si suppone sa-
te in luce l'atteggiamento clemente dei pere sugli uomini.
giudici verso un reato, quello di infanti-
cidio, che anche quando viene scoperto e
perseguito non sembra rappresentare un L'Homme
evento irreversibile e infamante nella vita
delle donne. Gravidanza e parto vengono 1, gennaio-marzo 1981
del resto mascherate, a se stesse e alla Nicole Loraux, Le lit, la guerre
comunità, e percepite come una malattia, L'articolo sottolinea, con sapienti gio-
la madrazza: il gesto stesso dell'infantici- chi di incastri documentari, le equivalenze
dio non appare cosl alle donne che lo com- stabilite presso i Greci tra il letto - luogo
piono come l'atto drammatico e criminale in cui la donna dà alla luce i propri figli,
dell'uccidere il proprio figlio. realizzando la sua figura di donna/sposa/
madre, e la guerra - luogo in cui l'uomo
manifesta la sua essenza virile: nelle iscri-
Annales E.S.C. zioni funerarie spartane la morte di parto
ha uguale dignità della bella morte del
2, marzo-aprile 1982 guerriero in battaglia. Tra i dolori di chi
Luisa Accati Levi, Entre mari et enfants: partorisce e le sofferenze del soldato in
aspects sociaux d'un confUt affectif guerra esistono relazioni evidenziate dal
In un articolo pieno di suggestioni l'a. vocabolario dell'epoca e della tragedia.
mette a confronto due modelli di biogra- L'A. invita a cogliere la relazione com-
fie - quello di un gruppo di contadine del plessa e il reciproco gioco di scambi tra
Friuli, oggetto di un'inchiesta, e quello maschile e femminile, andando al di là
delle ricercatrici che hanno condotto l'in- dell'apparenza di una società greca mono-
chiesta stessa - nel tentativo di evidenzia- liticamente misogina.
re e comprendere due diverse rappresenta-
zioni del matrimonio. I modelli individua-
ti, di una famiglia allargata e di una fami- Le mouvement socia!
glia nucleare, vengono dialettizzati secondo
una griglia interpretativa che prevede per 118, gennaio-marzo 1982
i due gruppi schemi diversi di costituzione Numero monografico, coordinato da Y.
e risoluzione dell'Edipo, nonché valori dif- Lequin, e dedicato agli Ouvriers dans la
ferenziati riguardo al significato e all'im- ville. Due articoli (Elinor Accampo, En-
portanza del lavoro nelle relazioni fami- tre la classe sociale et la cité: identité et
gliari. In entrambi i casi il matrimonio è intégration chez les ouvriers de Saint-
un momento centrale della biografia fem- Chamond, 1815-1880; Gérard Jacquemet,
minile, ma con implicazioni profondamen- Belleville ouvrière à la Belle Epoque) af-
te diverse sul piano sociale e su quello frontano trasversalmente il tema del lavoro
individuale. Identità, poteri e dipendenze delle donne e delle strategie matrimoniali
femminili vengono analizzati sulla falsari- e familiari, in un'ottica che privilegia un
ga di casi specifici nel tentativo di cogliere discorso complessivo sulla classe operaia.
similitudini e diversità tra i due modelli, Una maggiore disaggregazione per sessi
ma anche all'interno di essi. avrebbe arricchito un discorso peraltro non
privo di stimoli.
Annette B. Weiner, Plus précieux que l'or:
relations et échanges entre hommes et
f emmes dans les sociétés d'Océanie American Anthropologist
L'A., analizzando in un'inchiesta sul
campo nelle isole Trobriand, le relazioni 1, 1982
tra uomini e donne, rivede i postulati clas- D. Willner, The Oedipus Complex, Anti-
sici formulati su questa società da Mali- gone, and Electra: The W oman as Hero
novski. and Victim
Su un piano più generale l'articolo è Una reinterpretazione del mito di Edi-
interessante come tentativo di cogliere le po e dell'analisi freudiana dalla prospettiva
relazioni tra maschile e femminile come di Antigone, figlia di Edipo ed eroina del-
145
la tragedia di Sofocle. La tragedia antica Analizza i ruoli di madre e di moglie
consentiva ad alcune donne mitiche il ruo- in due diverse comunità latinoamericane
lo di eroine, sebbene nella società greca (Cali, in Colombia e San Francisco, in
le donne fossero confinate nella sfera do- California). Le donne di Cali mettono l'ac-
mestica. Ma fra i messaggi rivelati dall'ana- cento sul legame coniugale e rivolgono re-
lisi del mito vi è quello della dominanza lativamente minore attenzione al legame
maschile e delle deprivazioni in cui in- con i bambini; le « ladinas » di S. Fran-
corrono le donne che cercano ruoli nella cisco, al contrario, si dedicano completa-
sfera pubblica e politica. mente al ruolo materno e considerano di
secondaria importanza le relazioni col ma-
W. P. Handwerker, P. V. Crosbie, Sex rito. Queste differenze hanno le loro ra-
and Dominance dici nei diversi contesti economici e so-
Una falsificazione della spiegazione so- ciali.
ciobiologica relativa all'emergenza della
dominanza sessuale maschile in piccoli
gruppi inizialmente non strutturati. L'arti- AmericanAnthropologist
colo suggerisce una strategia per valutare
razionalmente questi argomenti emotiva- 2, aprile 1982
mente carichi.
Sarah Melhado White, Sexual Language
and Human Conftict in Old French Fa-
Alnerican Anthropologist bliaux
Attraverso l'esame di alcuni tra i più
1, 1982 famosi fabliaux, l'emergere, in contrappo-
G. Petersen, Ponapean Matriliny: Produc- sizione ai modelli dell'amore cortese, di
tion, Exchange, and the Ties that Bind un linguaggio di allusione esplicita alla
Nella teoria etnologica la matrilineari- sessualità e di rappresentazione diretta
tà è messa in relazione con la matrilocalità delle tensioni nei rapporti fra i sessi.
e con una divisione del lavoro che assegna
alla donna i compiti produttivi fondamen-
tali. Essa si dissolverebbe quando inter- Ethnology
vengono mutamenti nella residenza, nella
proprietà della terra e nella divisione del 4, 1981
lavoro. I dati presentati, relativi alla so- T. Sugiyama Lebra, Japanese Women in
cietà Ponapea, contraddicono questa posi- Male Dominated Careers: Cultura! Barriers
zione e mostrano, da una parte, la forma and Accomodation for Sex-Role Trascen-
deli'organizzazione matrilineare nel mo- dence
dellare i legami sociali e di scambio, e, Descrive come alcuni aspetti salienti
dall'altra, come essa non si disintegri sot- della cultura giapponese insieme ostaco-
to la pressione di questi mutamenti. lano e potenziano le opportunità e l'im-
pegno nella carriera delle donne giappo-
T. Buckley, Menstruation and the Power nesi.
of Y urok W amen: Methods in Cultura!
Reconstruction P. Lyons-Johnson, When Dying is Better
L'analisi dell'atteggiamento delle don- that Living: Female Suicide among Gainj
ne Yurok verso le mestruazioni e i rituali of Papua New Guinea
associati consente una migliore compren- Discute il suicidio delle donne fra i
sione della posizione della donna in questa Gainj (Nuova Guinea Papua), che cerca
società. L'articolo propone anche una me- di ocmprendere soprattutto attraverso l'a-
todologia per investigare questi argomenti nalisi dell'ideologia. Conclude che è il pro-
(sui quali i dati sono spesso incompleti e dotto e la conseguenza logica del sistema
si riferiscono a società ormai molto mu- tradizionale di credenze relative ai maschi
ta te) in modo che vengano generate ipotesi e alle femmine.
di validità generalizzabile e non limitate
ad una singola società. 1, 1982
J. M. Taggart, Class and Sex in Spanish
M. Harness Goodwin, Female Altruism and Mexican Oral Tradition
Reconsidered: The Virgin Mary as Econo- Descrive come le credenze sessuali,
mie Woman espresse nella tradizione orale, varino con
146
\.
le posizioni rispettive degli uomini e delle Journal of Anthropological Research
donne in due comunità con differenti
strutture sociali. 4, 1981
S. Le Vine, The Dreams of Young Gusii P. C. Rice, Prehistoric Venuses: Symbols
W omen: A Content Analysis of Motherhood or W omanhood?
Esplora la relazione fra il contenuto Le figurine di Veneri del Paleolitico su-
manifesto e il tono affettivo dei sogni delle periore sono tradizionalmente interpretate
donne Gusii, da una parte, e le circostan- come simboli della fertilità femminile. In
ze sociali e psicologiche delle loro vite, questo lavoro si avanza l'ipotesi che sia la
dall'altra. femminilità e non la maternità a essere
riconosciuta simbolicamente e onorata, si
suggeriscono possibili motivazioni alla
History Workshop creazione di queste figure e possibili loro
funzioni. L' A. fa ampio uso di dati de-
sunti dalle attuali società di caccia-raccolta.
13, primavera 1982
Judith R. Walkowitz, Male Vice and Fe-
minist Virtue: Feminism and the Politics
of Prostitution in Nineteenth Century Bri- The Journal of Economie History
tain
L'A. ripercorrendo le forme di coin- 1, marzo 1982
volgimento femminile nelle crociate mo- Susan B. Carter-Mark Prus, The Labor
rali (lotta alla prostituzione, alla porno- Market and the American High School
grafia, alla violenza sessuale e all'omo- Girl, 1890-1928
sessualità) mostra l'ambivalenza della Con la sinteticità dei modelli matema-
« strategia sessuale » sia del movimento tici ricostruiti la presenza e il destino
d'emancipazione che del femminismo; differenziato di maschi e femmine nel-
compresenti sarebbero, infatti, secondo la l'high school americana in rapporto al
tesi dell' A. momenti di autonomia e pro- mercato del lavoro.
vocazione nella messa in luce e condanna
dell'oppressione maschile e azioni di re- Peter Philips, Gender -Based W age Diffe-
pressione della sessualità non riproduttiva rentials in Pennsylvania and New Jersey
e non coniugale. Un articolo da discutere Manufacturing, 1900-1950
ma utile alla ripresa di un confronto su Sulla base delle tendenze espresse nei
questi temi. due casi esaminati la convinzione che l'o-
mogenizzazione del lavoro attenuerà le
sperequazioni salariali tra uomini e donne.
Journal for the Scientifìc Study of
Religion
The Journal of lnterdisciplinary
1, 1981 History
A. Suziedelis, R. H. Potvin, Sex Diffe-
rences and Religiousness 4, primavera 1982
I risultati di una indagine svolta fra Joel Best, Careers in Brothel Prostitution:
ragazzi e ragazze di diverse scuole parroc- St. Paul 1865-1883
chiali cattoliche indicano che la religiosità In polemica con gli stereotipi preva-
è collegata nei maschi alla definizione del lenti sulla esistenza della prostituta, l' A.
ruolo sessuale, mentre non lo è nelle mostra come in una piccola città del Min-
femmine. nesota tra il 1865-1883 la prostituzione
potesse configurarsi come una scelta consa-
pevole, non esente da traguardi economi-
4, 1981 ci e da opportunità di mobilità sociale.
H. M. Nelson, Gender Differences in Re-
ligiousness Paul Kleppner, Were Women to Blame?
In base a un'analisi condotta su 2724 Female Suffrage and Voter Turnòut
giovani appartenenti a famiglie del Minne- Un Problema cruciale nelle vicende e-
sota si mostra l'importanza differenziale lettorali americane: la simultaneità della
delle relazioni familiari nella trasmissione concessione del voto alle donne nel 1920
della religione ai maschi e alle femmine. e il calo del numero dei votanti nel nord,
147
affrontato mediante una sofisticata analisi Socialist Review
dei dati elettorali e una precisa sensibilità
per le condizioni politiche del momento. 62, marzo-aprile 1982
Secondo l'A. sono queste ultime che de- Alix Kates Shulman, Dancing in the Re-
terminano il calo e non secondo una tesi volution: Emma Goldman's Feminism
prevalente la partecipazione femminile. L'A. (che ha pubblicato due libri su
Emma Goldman) richiama gli scritti, l'au-
Ed inoltre in James R. Lehning, Family tobiografia, le campagne di lotta, le frasi
Life and Wetnursing in a French Village pregnanti della celebre agitatrice per co-
una esemplificazione della utilità del ba- gliere la sua affinità con alcuni aspetti del
liatico nell'economia familiare contadina. femminismo contemporaneo - per collo-
care il suo pensiero politico e la sua ri-
flessione personale nel quadro degli inte-
The Journal of Modern History ressi oggi più vivi tra le femministe. È
molto efficace l'analisi del forte volonta-
2, giugno 1982 rismo che caratterizzava il discorso di E.G.
Jan Goldstein, The Hysteria Diagnosis alle donne, e interessante il parallelo pro-
and the Politics of Anticlericalism in Late posto tra alcuni tratti essenziali dell'anar-
Nineteenth Century France chismo e il movimento femminista.
La storia dell'isteria non più vista co-
me momento della conoscenza sulla ses-
sll1!lità ma come capitolo della secolariz- Telos
zazione della società francese alla fine del- 6250, inverno 1981-82
1'800. L'equazione tra demoniaco ed iste-
rico, la definizione dei sintomi isterici pro- Mary Papke- Eileen Manion- Julia Visor,
posta da Charcot costituiscono secondo W omen respond to Racism
l'A. tasselli fondamentali nella individua- Esteso resoconto di una dibattuta con-
zione di una moralità laica da contrappor- ferenza sul razzismo organizzata dall'Ame-
re a quella religiosa. Un articolo interes- rican National Women's Studies Associa-
sante e ricco ,di documentazione sul milieu tion.
medico e sulla continuità di visione ed
intenti tra questo e la nuova classe diri-
gente della III Repubblica. Das Argument
Claire G. Moses, Saint Simonian Men/Saint 132, marzo-aprile 1982
Simonian W omen: The trasformation of Si tratta di un numero speciale la cui
Feminist Thought in 1830's France parte mono.graficaè dedicata alle Donne e
Una ricostruzione dell'esperienza fem- la teoria. Dopo le poesie di Dorothee Solle,
minile saintsimoniana come contesto di Con gli occhi delle donne, troviamo gli ar-
fondo nella creazione di un movimento ticoli di: Michèle Barrett, Begriffsproble-
delle donne nel secondo ottocento. me marxistisch-feministischer Analyse
(Problemi concettuali dell'analisi marxista-
femminista); Londa Schiebinger, Liberale
Kapitalistate Philosophie zwischen Misogynie und Phal-
lokratie (La filosofia liberale tra misoginia
9, e fallocrazia); Donna Haraway, Klasse,
Patricia Morgan, From Battered Wife to Rasse, Geschlecht als Objekte der Wissen-
Program Client: the State's Shaping of schaft (Classe, razza, sesso, come oggetto
Socia! Problems della scienza).
Analizzando le forme di cooptazione di
alcuni dei gruppi di assistenza alle donne
picchiate negli Stati Uniti e le forme di Kursbuch
difesa e di assistenza messe in atto dalle
amministrazioni governative, l' A. esamina 68, 1982
le modificazioni intervenute nella coscien- Hans Magnus Enzensberger, Verteidigung
za del problema, nonché nelle forme stesse der Normalitat
dell'assistenza. Una recisa messa in guar- Simone Weil diceva, citando Leibniz,
dia contro le illusioni della neutralità del- che il normale è solo un caso eccezionale
l'apporto pubblico. dell'anormale, che è la norma. Di tutt'al-
148
tro avviso è Enzensberger che in un sa- regressione come alimento di base di una
piente e brillante saggio si assume, appun- strategia di sopravvivenza che va ben al
to, la Difesa della normalità. Nonostante di là della generazione su cui di volta in
il taglio settecentesco e il dandismo dello volta si appunta l'interesse dei « rischiara-
stile, il contenuto dell'articolo non è affat- tori » del popolo. Superstizione, sport e
to paradossale. Enuncia, anzi, spoglie e divertimento sono amati dalla maggioranza
disadorne, alcune verità fondamentali. In- proprio perché non significano nulla e non
nanzitutto le strategie della normalità, comportano quell'onore di impegni e re-
questa sconosciuta. Di fronte al duplice sponsabilità che la storia, la dimora del
pericolo della cancellazione ad opera dei significato, chiama ad assolvere. 3. Il con-
cultori dell'eccezionale e della colonizza- servatorismo. La normalità è memoria col-
zione da parte delle scienze sociali, la nor- lettiva nella sua forma più massiccia, e in
malità mette in atto le sue storicamente quanto tale appare sempre « arretrata ».
dispregiate manovre di accerchiamento che, Di qui nasce lo scandalo e l'esecrazione di
guarda caso, hanno a che fare con la vita, chi vuole mutare il mondo. L'elefantiaca
la morte e la sopravvivenza quotidiana di memoria della maggioranza sembra asso-
gran parte del genere umano. 1. Il silen- ciare al « mutamento » esperienze meno .
zio. Solo le minoranze strillano. La mag- sfolgoranti di quelle delineate dai suoi pro-
gioranza, ogni maggioranza tace. Con gran- feti. Non solo. Anche in questo caso la
de dispetto di tutti quelli che hanno renitenza della maggioranza può nascon-
« qualcosa da dire»: politici e opinion- dere un altro sapiente segreto: un sasso
makers, educatori e imbonitori, artisti e lanciato nel meccanismo della modernizza-
predicatori. Dopo quasi un secolo di ri- zione che cancella e violenta i connotati
cerca sociologica, da tonnellate di questio- della quotidianità. Le strategie della nor-
nari e di sondaggi di opinione, da 65 anni malità sono difensive, ma invincibili. Han-
di dittatura dell'educazione in Unione so- no resistito a ideologie, guerre, concezioni
vietica, emerge che cosa: un'impercetti- del mondo e eccidi di massa. Ciò significa
bile alzata di spalle, una smorfia rassegna- che nella piccola vita (ma esiste una vita
ta, un insormontabile silenzio. « Questo piccola? si chiede Enzensberger) della nor-
silentium populi è la soglia davanti a cui malità è sedimentata una inesplorata ri-
si fermano tutte le industrie della coscien- serva di circospezione, capacità di lavoro,
za, tutti i media, tutta la propaganda ». astuzia, riluttanza, energia, coraggio e sel-
2. La regressione. La predilezione della vatichezza. E se provassimo ad applicare
maggioranza per il nanetto nel giardino, queste considerazioni alla storia delle don-
per il flipper, il calcio, la discoteca e la ne?
Suzuki è davvero il frutto di inconsape-
volezza o di consapevole manipolazione? * Lo spoglio delle nv1ste è stato curato
La resistenza dei più a lasciarsi portare ad da Maria Arioti, Gabriella Bonacchi, Ma-
un grado superiore di cultura, di gusto e rina D'Amelia, Gabriella Da Re, Angela
di coscienza politica, sembra in realtà sca- Groppi, Margherita Pelaja, Simonetta Pic-
turire da una antichissima sapienza: la cone Stella.
149
Le Mouvement socia! The Journal of Interdisciplinary History
La Pensée The Journal of Modem History
Population The Journal of Socia! History
Revue d'histoire moderne et contemporaine Journal of the History of ldeas
Revue historique Man
Les Temps modernes Partisan Review
Past and Present
Politics & Power
American Anthropologist Radical History Review
The American Historical Review Renaissance Quarterly Review
Church History Signs
Comparative Studies in Society and History Socia! History
Cross Currents Socialist Review
Current Anthropology Telos
Economica
Economie Development and Cultura! Das Argument
Change Geschichte und Gesellschaft
The Economie History Review Historische Zeitschrift
Eighteenth Century Studies Jahrbuch fiir Wirtschaftsgeschichte
Ethnology Kursbuch
Feminist Studies Vierteljahresschrift fiir Sozial- und
The.Jfis.torical Joumal Wirtschaftsgeschichte
The J ournal of Economie History Internationale Wissenschaftliche
Journal of European Economie History Korrespondenz
150
notiziario
Nella primavera del 1982 ha avuto luogo negli Stati Uniti, a Canaan,
nello stato di New York, il terzo incontro di un gruppo di studiose ame-
ricane e europee che hanno dato a questo convegno il titolo di « New
Woman, New Family ». Lo sforzo di collegare persone che lavorano in
paesi diversi su temi simili (si tratta di storiche, sociologhe, antropologhe,
politologhe) ha assorbito gran parte delle energie investite nei due primi
incontri del gruppo, svoltisi in Francia, Normandia, nel '79 e '80. Il con-
vegno americano ha potuto mettere in cantiere, dopo questo lungo rodag-
gio, una pubblicazione in lingua francese e una in lingua americana che
raccoglieranno i contributi presentati nelle diverse sessioni di lavoro. Le
aree generali d'analisi riguardano le forme dell'azione politica, nei movi-
menti di sinistra come in quelli di destra, le forme dell'elaborazione cul-
turale e letteraria, i mutamenti nell'identità e nei comportamenti riguardo
alla famiglia, alle istituzioni e ai valori, avvenuti dal periodo iniziale del-
l'emancipazione femminile ad oggi. Una sessione di lavoro del convegno
era dedicata al tema dell'olocausto. Le partecipanti, circa 40, sono stu-
diose residenti in Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Italia, Olanda, Ger-
mania.
« Spazio, tempo, qualità abitativa: in cooperativa la parola alle donne».
È il titolo di un convegno nazionale che si è tenuto a Firenze nel luglio
'82. L'hanno organizzato l'Associazione nazionale cooperative di abitazione
e il gruppo femminile della Lega delle cooperative. Lo scopo del convegno
era quello di spostare l'attenzione dei tecnici e professionisti e dei politici
dal condizionamento quantitativo, « realizzare il maggior numero di ~ase »,
alla qualità delle diverse tipologie di abitazione individuabili secondo il
tipo di utenti. Al convegno è stato presentata una indagine-campoine svol-
ta tra le donne che abitano in cooperative di 10 regioni d'Italia e che pre-
sentano situazioni familiari, economico-socialie culturali diverse, in rap-
porto alle quali viene affrontato il problema « quale casa».
A Ferrara il Centro documentazione donna ha organizzato un conve-
gno su « Editoria femminista: i 5 anni di autogestione» (25-26 settem-
bre '82). Sono state invitate a partecipare le principali riviste e le case
editrici femminili e femministe e un insieme di gruppi che curano a livello
locale la pubblicazione di Bollettini di nformazione e documentazione,
organizzano in altre forme la raccolta e circolazione di testi e materiali
scritti di donne. I temi discussi sono stati l'orientamento della ricerca e
della cultura delle donne, le forme di autogestione, i problemi di mercato
e di produzione che queste iniziative incontrano. È stato proposto un
prossimo incontro a Firenze a novembre per discutere la proposta di una
società di distribuzione comune.
A Cagliari a cura di un gruppo di lavoro sulla migrazione in Italia e
della Associazione dei geografi si è tenuto in settembre un convegno sul
ruolo della donna nella redistribuzione della popolazione sul territorio.
151
I contributi di ricerca sono stati di studiosi italiani e stranieri ed hanno
riguardato un aspetto molto ampio di problemi e situazioni specifiche
(aree territoriali, movimenti demografici, organizzazione familiare e del
lavoro).
152
Libri ricevuti
Bernardi Ulderico, Comunità come bisogno, Identità e sviluppo dell'uomo nelle culture
locali, Milano, Jaca Book, 1981, pp. 133, L. 7.200.
Boserup Ester, Il lavoro delle donne, La divisione sessuale del lavoro nello sviluppo econo-
mico, Torino, Rosenberg & Sellier, 1982, pp. 236, L. 13.000.
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Michael Anderson
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l'Europa occidentale 1500-1914
introduzione di Simona Cerutti
pp. 136, L. 8.000
finalmente una sintesi
Ester Boserup
il lavoro delle donne
la divisione sessuale del
lavoro nello sviluppo economico
introduzione di Cristina Savio
pp. 236, L. 13.000
un'analisi comparata tra economie e società diverse
Rosenberg
&_Sellier
Editoriin Torino
rivista di estetica
abbonamento 1983 L. 25.000
Rosenberg &..Sellier "da leggere": Touraine,L'evoluzione del lavoro operaio alla
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Bois,Contadini dell'Ovest, le radici sociali della mentalità controrivoluzionaria, a cura di
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introduzione di Butera; Vernon,Sovranità nazionale in crisi, l'espansione multinazionale
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per una fenomenologia dell'atteggiamento naturale, a cura di Riconcia;
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di Meloni; Redfield,La piccola comunità, la società e la cultura contadina, introduzione
di Scaraffia; Needham,Credere, credenza linguaggio esperienza, introduzione di
Marconi; Buckley,Sociologia e teoria dei sistemi; Dennis,Henriques,Slaughter,
Una vita per il carbone, analisi di una comunità mineraria dello Yorkshire, introduzione
di Pistoi; Apel, Comunità e comunicazione, introduzione di Vattimo; Lewis,Il pensiero
e l'ordine del mondo, schizzo di una teoria della conoscenza, a cura di Cremaschi;
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Hechter, Il colonialismo interno, il conflitto etnico in Gran Bretagna: Scozia Galles e
Irlanda 1536-1966, introduzione di Pistoi; Burchardt,Kalecki,Worswick,Schumacher,
Balogh,Mandelbaum,L'economia della piena occupazione, introduzione di Caffè;
Gribaudi,Mediatori, antropologia del potere democristiano nel mezzogiorno, con note
introduttive di Graziani e Grendi; Davis,Antropologia delle società mediterranee,
un'analisi comparata; Montgomery,Rapporti di classe nell'America del primo '900,
introduzione di Benenati Marconi e Foa; Romero,Il sindacato come istituzione,
la regolamentazione del conflitto industriale negli Stati Uniti 1912-18, prefazione di
Migone; Dieci interventi sulla storia sociale, contributi di Bologna, Sonacchi, Bozzini e
Carbognin, Foa, Gibelli, Grendi, Levi, Marucco, Passerini, Ramella;
Vaudagna,Corporativismo e New Deal, integrazione e conflitto sociale negli Stati Uniti
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introduzione di Sala; Boserup,Il lavoro delle donne, la divisione sessuale del lavoro
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della famiglia, l'Europa occidentale 1500-1914, introduzione di Cerutti.
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&..Sellier
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dal proprietario agricolo al fittavolo capitalista, a cura di Ambrosoli,saggi di Hoskins,
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subalterne, a cura di Passerini,saggi di Ewart Evans, Thompson, Tonkin, Samuel,
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stratificazione sociale, a cura di Bertolinie Meloni,saggi di Serpieri, Sereni, Barberis,
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Jaskowski, Da Costa, Routley, Meyer, Rescher; Estetica e antropologia, arte e
comunicazione dei primitivi, a cura di Carchiae Salizzoni,saggi di Boas, Lowie, Firth,
Gehlen, Lévi-Strauss, Bateson, Bloch, Leroi-Gourhan.
&..Sellier
Rosenberg "periodici": Dossierdi Le Mondediplomatique,trimestrale di
informazione internazionale; Memoria,rivista di storia delle donne; Movimentooperaio
e socialista,rivista quadrimestrale di storia e bibliografia; Prospettivasindacale;
Rivistadi estetica;Studi francesi,cultura e civiltà letteraria della Francia.
~
~ Sellier
Rosenberg Edm>riin Torioo
Anna Scattigno
Simone Weil. La volontà di conoscere.
Andreina De Clementi
Una mistica contadina: Caterina Paluzzi di Morlupo.
Michela Pereira
Le visioni di Ildegarda di Bingen.
Sherrill Cohen
Convertite e Malmaritate. Donne "irregolari" e ordini religiosi nella Firenze
rinascimentale.
Carroll Smith-Rosenberg
Il Grande Risveglio. Religiose radicali nell'America jacksoniana.
Paola di Cori
Rosso e bianco. La devozione al Sacro Cuore di Gesù nel primo dopoguerra.
Rosenberg
& Sellier
Editori in Torino Via Andrea Daria 14
isbn 88-7011-165-2
L. 6.500 [... ]