È evidente come nella storia della cultura occidentale, il rurale diventa motivo ricorrente nei momenti di
crisi politica o di trasformazione delle consuetudini esistenziali.
Ma la campagna, in particolare dall’età classica alla rivoluzione industriale era identificabile con il
complesso strutturarsi dell’idea di natura.
Il sentimento della natura si è affermato già a partire dalle prime società urbane, come l’Egitto o la
Mesopotamia. Tuttavia già con l’avvento delle società greca e romana, ha iniziato a delinearsi una forte
opposizione tra urbano e rurale.
Anche ai giorni d’oggi, così come nel passato, l’idea di natura è associata al bello e inizia così a delinearsi
una serie di caratteri che costituiscono il paesaggio ideale.
Il primo di questi elementi è l’albero o il gruppo di alberi, necessari per proteggere dal violento sole
mediterraneo, poi il defluire dell’acqua in vasti prati adornati di fiori.
Si tratta però di un contesto territoriale dove la vocazione agronomica dei sedentari, lascia il posto al
pascolo del bestiame e ciò consente al pastore di oziare e meditare o poetare. Siamo quindi di fronte alla
geografia poetica di Teocrito.
In età augustea la percezione della campagna si svincola dal pastoralismo ellenista, accostandosi più a
un’idea di natura in cui si svolge la pratica agronomica e alla consuetudine delle residenze in ambienti
lontani dalla città e in cui si poteva oziare e contemplare sulla ciclicità del lavoro agricolo.
Esemplari a tal punto sono Virgilio e Orazio, che vedono la campagna come locus amoenus e quindi la sua
costituzione in contrapposizione al caos della Roma imperiale.
In età medioevale non si potevano produrre altrettanto rasserenanti immagini legate alla celebrazione di
miti rurali e ciò è dovuto alla chiusura in sé del sistema feudale e la sua conquista dell’extraurbano.
È invece in età Umanesimo che si ripropone il dualismo tra l’armonia rurale e i disagi della città, soprattutto
a causa delle pestilenze del periodo.
Considerando il caso dell’Italia centro-settentrionale, alla ripresa di interazione tra polarità urbana ed
entroterra non manca anche la coesistenza di interessi tra l’oligarchia di ascendenza feudale e l’alta
borghesia cittadina.
Inoltre, la campagna era anche costituita da fiumi non regolati, fitte boscaglie e praterie incolte che la
rendevano perfetta per attività come l’equitazione, la caccia e la pesca e quindi assumeva sempre più
carattere ludico.
La campagna riacquista poi con forza il suo connotato di locus amoenus nell’opera di Petrarca, che oltre a
plasmare una straordinaria sensibilità geografica, rafforza in lui il desiderio del ritiro in un luogo solitario e
allietato.
Il poeta ama la riflessione filosofica in tali luoghi e quando poi si trasferisce ad Arquà, sui colli Euganei,
appare evidente uno sfondo geografico svuotato di conflitti sociali e politici, ma anche del poco efficace
deflusso delle acque in pianura.
Ad Arquà il linguaggio della vita in campagna è strettamente legato ai topoi della tradizione classica, ma è
connesso anche alla circostante quotidianità agronomica dominata dalla coltura di vite e olivo.
La vita in villa non riguarda solo attività intellettuali ma anche pratiche come il giardinaggio dell’hortus
conclusus che tanto appassionavano Petrarca. Si vede il giardinaggio come pratica deliziosa, di
riconciliazione con la natura.
A partire dalla metà del XV sec. vi furono diversi lavori di bonifica e più in generale, lavori dedicati alla
trasformazione ingegneristica delle reti idrauliche per assicurare la coltivabilità delle terre e favorire il
deporto dell’acqua.
Le classi dominanti così iniziarono a trasferire capitali sulla campagna anche se ciò allontana dall’idea di
campagna come luogo di seduzione ambientale.
L’iconografia inoltre rappresenta tavole imbandite che però rimandano alla feracità campestre e alla
presenza di paesaggi semi naturali ricchi di selvaggina.
Il ruolo degli sfondi è tutt’altro che trascurabile non solo per le ovvie ragioni di critica d’arte ma anche per le
interpretazioni geo-umanistiche che presentano.
A tal proposito è importante la committenza ecclesiastica e nobiliare, responsabile delle scelte iconiche
raffigurate nell’opera pittorica.
Ecco che al verismo descrittivo della campagna, si sostituiscono itinerari rappresentativi aulici e astorici, le
cui finalità sono la ridefinizione del ruolo dell’uomo rispetto al creato.
Tornando a Petrarca, l’hortus conclusus è in grado di ospitare le silenziose riflessioni del dotto, ma anche le
brigate allietate da esibizioni letterarie e musicali; in generale è un luogo libero da attività politiche,
economiche o agronomiche.
Tra le prime rilevanti elaborazioni iconografiche ci sono quelle dell’entroterra veneto. Le quotidiane
geografie dell’entroterra veneziano trovano ampio riscontro negli sfondi, su cui si adagiano scene sacre.
In questo ambiente citiamo Giovanni Bellini, considerato il fondatore dell’interesse per la descrizione di
elementi ordinari nel paesaggio campestre e non solo in quanto supporto ma in qualità di autonomia
simbolica come nel caso del Baccanale.
Qui l’esplicito riferimento alla classicità, espressa dalla prevalente ambientazione silvana, si integra con
l’evocazione di piaceri campestri rappresentati dalla botte di vino e dalle fruttiere ricolme.
La presenza a Venezia del pittore non poté che giovare a favore della formazione di un altro grande artista;
Cima da Conegliano, il quale mostra un radicamento alle sue prime sensazioni ambientali che plasmano un
senso di appartenenza allo spazio vissuto nella sua infanzia.
Oltre a Cima non si può non considerare la figura di Jacopo Bassano il quale non esita ad usare richiami alle
classi meno abbienti, sia urbane che rurali, in sintonia con il superamento della satira del villano che in terra
veneta era corrispondente agli scritti di Angelo Beolco.
Le scelte iconiche del genere pastorale si devono più all’osservazione della transumanza tra l’altopiano di
Asiago e i pascoli del medio Brenta che al linguaggio figurativo di Tiziano.
Nella seconda metà del XVI sec, la bottega di Jacopo si impegna nel creare un’imponente collezione di
quadri campestri richiesti dal collezionismo dotto.
Nella cultura iconografica veneta non si può escludere come anche all’interno delle abitazioni, nelle ville, vi
era la consuetudine di decorare gli interni della villa di campagna come fossero finestre che danno su
giardini, montagne o campi in generale.
Gli affreschi nelle ville di campagna appartengono a un genere meno elevato rispetto a quelli che adornano
i palazzi di città.
A partire dagli affreschi palladiani, l’affresco diviene parte integrante dell’architettura della villa,
richiamandone le funzioni portanti e le aperture verso l’esterno con la tecnica del trompe-l’oeil (inganna
occhio).
Come già sottolineato da Leon Battista Alberti, i piaceri della vita in campagna dipendono in larga misura
dalla disponibilità di edifici adeguati, ben ubicati e resi confortevoli.
Nel suo trattato, Andrea Gallo tra i piaceri della villa dà preminenza alle variazioni connesse con la natura e
la sua ciclicità come l’alternanza delle stagioni, del dì e della notte e delle varie sfumature che si creano nel
passaggio tra giorno e notte; alba e tramonto.
Altrettanta importanza dei colori è data nel trattato di Cristoforo Sorte, in cui si auspica a restituire le
fattezze di una natura antropizzata e le regolari ciclicità che la governano.
A proposito della contemplazione della natura e delle conseguenti riflessioni filosofiche, emblematico è
Andrea Palladio.
Il suo trattato dei “quattro libri” oltre a testimoniare la sua adesione ai temi più elevati della cultura
rinascimentale, offre molteplici spunti per interpretare il ruolo dello stile di vita campestre nel nuovo
processo di territorializzazione.
Anche qui, come nel “de re aedificatoria” di Leon Battista Alberti, è evidenziata la scelta del sito, ribadendo
in tal modo i ben noti canoni di estetica del paesaggio mutuati dalla classicità, che aiutano a cogliere
l’importante ruolo delle geografie mentali nel dirigere le prassi territoriali.
Si tratta di una pragmatica evocazione di commodi et piaceri che hanno divulgato e tramandato con
successo l’idea di una campagna potenzialmente armoniosa.
Palladio si sofferma anche sulla salubrità ambientale, dipendente per lo più dal controllo delle acque.
L’acqua è l’elemento per eccellenza che definisce il bel paesaggio.
Le molteplici tipologie di appropriazione dell’acqua, costituiscono tra i momenti più significativo
dell’inserimento dell’uomo nella natura. Ne consegue che i confini tra scopo utilitaristico e spirituale si
assottiglino in diverse tradizioni culturali.
Nel corso della storia l’uomo ha sempre interagito con le acque e ha cercato di dominarle a proprio
piacimento.
Gli effetti dell’antropizzazione idraulica facilitano anche una più sicura abitabilità dei territori extraurbani,
nella maggior parte dei casi ampliando la maglia insediativa e perfezionando la rete di trasporti, sia terrestri
che fluviali.
La via d’acqua non tarda a ridefinirsi come sfondo attraente che arricchisce il tradizionale fascino della vita
in campagna. Oltre a ciò, l’elemento fluviale afferma il suo ragguardevole valore iconico all’interno della
pittura paesaggista che promuove armonia e serenità.
La campagna non tarda dunque a identificarsi anche con il regolato distribuirsi dei deflussi naturali. Le vie
navigabili consentivano infatti di abbandonare le banchine urbane per iniziare suggestivi percorsi tra il verde
dei paesaggi di pianura.
Esplicite referenze dell’uso delle vie d’acqua sia ricreativo sia come scelta itineraria iniziano a diffondersi
proprio a seguito della pax veneta del primo decennio del ‘500.
Nei secoli successivi le relazioni tra residenza rurale e idrografia veneta si fanno ancora più strette, tanto che
oggi è possibile constatare la presenza di numerosi edifici signorili lungo la rete idraulica. Un esempio è la
riviera del Brenta.
Nelle iconografie culturali il paesaggio quotidiano assume i toni di un suggestivo idillio idraulico e questo
status di icona serena e astorica costituisce la principale attrattiva per le classi dominanti.
La nostalgia rurale è un atteggiamento costante, quasi dipendente dai processi evoluzionistici della specie
umana e al contempo interagisce con il susseguirsi di valutazioni cognitive mediate culturalmente.
I paesaggi rurali tradizionali si avvicinano molto a quella condizione di naturalità che grazie a osservazioni
sperimentali avvalorano le indicazioni della teoria evoluzionistica.
È provato come la preferenza della campagna, così con spazi coltivati e non, è sempre stata apprezzata e ci
avvicina ad essa in quanto risponde ai nostri bisogni naturali e filosofici e in essa troviamo pace.
Componente biologica e cultura risultano quindi inscindibili.
Facendo quindi un sunto, la campagna è sempre stata elogiata, dai greci ai romani, dal feudalesimo al
rinascimento ecc. è sempre stata vista come una fuga ristoratrice dai mali della città o come modo ludico di
impiegare il tempo durante il feudalesimo.
Sono state tuttavia poste alcune critiche, infatti, spesso la campagna è stata raffigurata con i contadini felici
della loro pratica agronomica, personaggi di rilievo ripresi al lavoro nei campi o come nel ventennio fascista
come mezzo di propaganda, tuttavia venivano nascosti i problemi legati alla vita nella campagna come le
violenze sui contadini da parte della nobiltà e in generale ingiustizie.
Al di fuori del conflitto tra città e campagna si colloca la figura esemplare di Alvise Cornaro, per lui la
campagna è l’esaltazione della vocazione agricola e coniugando i personali vantaggi economici con una più
attenta gestione del territorio non può che conseguire una migliore qualità della vita.
Questo è uno dei perni di quello che è definito “santa agricoltura” e dunque garantisce il primato etico della
campagna. Con il concetto delle bonifiche si rende sano e coltivabile un ambiente malsano e quindi al
concetto santità si accosta la sanità.
Nella visione di Cornaro quindi gli effetti edificanti della ristrutturazione campestre sono estendibili alle
plebi rurali e ne consegue la rivalutazione del villano e non solo dal punto di vista utilitaristico.
Il villano non è più quindi oggetto di satira, o per lo meno in terra veneta, visto che il villano si nobilita con i
significati acquisiti dal suo duro lavoro.
Un’altra occasione di riavvicinamento della possidenza agraria alla realtà contadina è rilevabile in età
romantica quando, a seguito del fallimento degli ideali rivoluzionari, vi è un ritorno alla campagna.
Come già si è visto nel movimento arcadico rinascimentale, anche la percezione romantica della campagna
è responsabile di una trasfigurazione dei siti agresti, riattivando il tradizionale dualismo tra urbano e rurale
con la supremazia morale di quest’ultimo.
Un altro caso di riabilitazione della ruralità in età romantica coincide con la nascita dell’idea di nazione. Ciò
si evince dalle opere di Sand sui contadini e sul riconoscimento della dignità di questi anche se però non
prosegue con analisi circa il divario tra la sempre più opprimente classe borghese e le scarse condizioni dei
braccianti.
La sua produzione, anzi, è molto apprezzata proprio dalle classi più alte; la vita in campagna viene
trasformata e idealizzata in un modello esistenziale non solo eticamente dignitoso ma anche attraente.
Le morfologie ambientali delineate dalla Sand sono ben lontane dall’idea di una natura primordiale, aspra e
sublime, tanto cara alla prima generazione di romantici. Si tratta bensì di un paesaggio dai lineamenti pacati.
In Italia, la lezione della Sand ha condizionato lo sviluppo di una specifica corrente letteraria sensibile non
solo al fascino delle rievocazioni di scenari rustici nostrani, ma anche ai problemi sociali che affliggevano le
campagne italiane alla vigilia della rivoluzione del 1848.
Tra i protagonisti italiani c’è Ippolito Nievo, che fa proprie le posizioni di Gioberti, specialmente ciò che
riguarda l’impegno civile dei letterati, occupando un posto di rilievo nel dibattito sulla necessaria alleanza
con le ingenti masse contadine. L’obbiettivo di Nievo vuole sottolineare la dignità dei contadini.
La rivalutazione dei contadini e la costante menzione delle loro vicende nei testi letterari esprime dunque
un tentativo di riabilitarne le difficili condizioni di vita anche se Nievo esclude dalla sua produzione le tristi e
pesanti vite dei braccianti che egli vide e di cui non volle parlare.
In età postunitaria la mitizzazione ruralista si attenua per il prevalere dell’immaginario positivista. I piaceri
della campagna sopravvivono solo in alcuni episodi letterari di maniera o nei salotti delle ville padronali.
Il meridione non tende nemmeno a celare le problematiche della vita in villa; basta pensare a Verga la cui
opera è un anti-idillio dove l’unica via d’uscita è la trasfigurazione del contadino/cafone e del
pastore/brigante in soldati.
Con la retorica del contadino-soldato si cerca di evidenziare il pregio della campagna come incorruttibile
deposito di valore patrio. Ciò contribuisce a plasmare l’idea di soldato: semplice ma ubbidiente.
Invece la politica del ritorno alla terra è proprio durante il primo dopoguerra e in particolare a seguito della
crisi del ’29. La campagna rappresentò il luogo ideale in cui confinare l’esercito industriale, ingigantitosi per
effetto della disoccupazione di massa.
Questa tendenza del ritorno alla terra trovò ampio riscontro sociale proprio tra le classi cittadine meno
abbienti e di più recente inurbamento.
La rivalutazione culturale del mondo dei campi è identificabile anche tra le classi medie le quali, dopo la
perdita della centralità, si sono avvicinate alle tematiche del ruralismo da contrapporre al predominio
sempre più evidente dell’alta finanza.