Riflettere sull’idea di natura costituisce il punto di partenza più adatto per comprendere il complesso
ramificarsi delle relazioni tra uomo e ambiente.
Come indicato dal geografo culturale Yi-Fu Tuan, è opportuno iniziare dall’opposizione tra naturale e
artificiale, che si è manifestata a partire dalle prime organizzazioni antropiche dell’antichità medio orientale.
Il primo aspetto da evidenziare è che verso la metà del XVIII secolo è acquisito dalla cultura occidentale il
superamento delle posizioni cartesiane secondo cui la natura è subordinata a un progetto divino.
Si constata invece la presenza di un ordine intrinseco alla natura di cui anche l’uomo fa parte, ponendo
dunque le basi di quella importante attitudine che fino ai giorni nostri identifica il rurale con la natura.
Ciò lascia intendere che la coesistenza tra la ruralità produttiva dei pascoli e delle coltivazioni con quella
spontanea fatta di boschi fluviali, paludi e ripidi versanti montuosi necessiti di rigidi confini. Flora e fauna
selvatiche possono essere ammesse solo a compromesso che non compromettano l’integrità del
bestiame/raccolto.
È positiva però la presenza di fauna selvatica in quanto la caccia è sempre stata una pratica sfruttata da
ricchi e poveri e a cui tutti si sono adattati. In questo fenomeno di sensibilità rilevabile all’inizio dell’800,
possiamo collocare l’invenzione dell’idea di natura selvaggia, proprio grazie alla contrapposizione con le
campagne coltivate.
Il suo essere selvaggia non è più solo un disvalore, ma anche un’occasione di conoscenza. Alexander von
Humboldt non fece che consolidare, modificando in qualche modo le percezioni culturali dell’epoca.
La critica di Thomas Malthus al modernismo tecnocratico viene ripresa all’interno del discorso scientifico di
Darwin.
Al di là di ciò è interessante osservare come in ambito anglosassone si andassero diffondendo, a cavallo tra
XVIII e XIX sec., la prime espressioni di una mentalità conservazionista sensibili al degrado di un ambiente
sempre più asservito alle rapaci esigenze della rivoluzione industriale e lo sviluppo di una conseguente
coscienza ecologica.
Un’altra prova della trasformazione dell’idea di natura è costituita dall’evoluzione culturale dell’arte del
giardino che abbandona del tutto la consueta rielaborazione geometrica e ordinata della spontaneità
naturale.
In Inghilterra, dove si sviluppa uno tra i più innovativi dibattiti sul paesaggismo romantico, seguito dalle
concrete realizzazioni in ambiente rurale di architetti come Brown e Repton, l’idea di natura, oltre che
essere nutrita dall’apprezzamento del suo valore intrinseco, si associa a un forte uso simbolico degli alberi,
intesi come garanzia di ordine sociale e prosperità economica.
Anche in Italia la valorizzazione simbolica della vita in campagna, rilevabile nella prima metà del ‘900, è
strettamente legata alle dinamiche culturali alla base di una idea di natura coerente con la coscienza
territoriale di ampi strati di popolazione.
Importanti a tal proposito sono Giovanni Gentile e Benedetto Croce. Il loro contributo intellettuale ha avuto
esiti vistosi anche sulle attitudini sociali per il fatto che entrambi, e in particolare Gentile, sono stati titolari
del Ministero della Pubblica Istruzione.
Due aspetti possono ritenersi basilari nel definire l’idea di natura prodotta dalla cultura neo-idealista
italiana:
il primo riguarda lo scarso peso dato alla natura come categoria filosofica, relegandola ai contesti
utilitaristici.
Il secondo penalizza le scienze fisiche come fonte di conoscenza. Viene quindi ridotta a una risorsa da
sfruttare.
Il concetto di natura è dunque fortemente connesso all’esperienza estetica, includendo le vedute
panoramiche e i luoghi di importanza memoriale per la storia del paese. Ecco che la bellezza naturale si
carica invece di valore simbolico legato alla tradizione storica e all’identità nazionale.
Inoltre le normative di tutela ambientale italiane colpiscono per la loro natura linguisticamente confusionale
dove per fisionomie ambientali meritevoli di protezione erano indicate con “bellezza naturale” o “bel
paesaggio”, includendo anche morfologie trasformate dall’azione umana.
Dopo il secondo dopoguerra tuttavia le ambiguità relative a ambiente, natura e paesaggio si dissolvono
grazie a una progressiva consapevolezza ambientalista.
Il rurale diventa bel paesaggio con l’inizio del Grand Tour quando, le classi borghesi che viaggiavano,
andavano alla ricerca di un paesaggio ideale, un paesaggio bello da vedere, a scopo utilitaristico e che si
configurasse con bel paesaggio.
Il bel paesaggio diventa tale anche per le classi meno abbienti dal momento che riescono a trarre sempre
più vantaggi dall’organizzazione modernista del lavoro, fatta di ferie pagate e congedi per salute.
I piaceri della villa possono essere alla portata anche delle classi medie e non solo riabilitando le spontanee
relazioni tra i gruppi inurbatisi di recente e le ascendenze familiari o le amicizie del villaggio rimaste in
campagna, ma accedendo gradualmente alle abitudini ricreative un tempo esclusive della classe dominante.
In questo contesto si può collocare la rivalutazione della campagna, non tanto per ciò che riguarda gli
obiettivi di autosufficienza agroalimentare o per la coerenza dello spirito rurale con le prevalenti finalità
geopolitiche della prima metà del ‘900.
Il tema della campagna come opportunità di riequilibrio territoriale si connette non tanto a una poco
realista ripresa dell’occupazione agricola, quanto alla crescente necessità di ottimizzare la gestione degli
spazi verdi in vista del sempre più evidente cambiamento climatico.
A causa del costante aumento della temperatura, si creano isole di calore, che ormai ogni anno a partire
dall’estate del 2023 stanno via via peggiorando a causa dell’onnipresente ciclone sahariano.
In situazioni del genere, ai tradizionali vantaggi del vivere in campagna, si aggiunge il pregio di offrire una
qualche mitigazione degli estremi termici: si tratta di effetti positivi che aumentano man mano che si sale di
quota o che ci si allontana dai centri rurali devastati dalla diffusione urbana.
Oggi gli insediamenti rurali accolgono un numero crescente di popolazione residente di provenienza urbana,
con livello di istruzione medio-alto, che mantiene la propria occupazione in città e uno stile di vita per lo più
urbano, attivando il fenomeno del pendolarismo, cui segue una frammentazione sociologica e
l’antropizzazione del territorio rurale.
Anche lo sfruttamento territoriale va a creare conflitti tra l’uso arcadico e quello industriale dell’agronomia
in quanto quest’ultima si basa sull’utilizzo di pesticidi, diserbanti e eliminazione di fossati, siepi e alberi.
Gli effetti distruttivi di questo dualismo potrebbero essere limitati prima di tutto dalla forza del prestigio
culturale e dalla qualità formale della locale tradizione insediativa, ma anche la presenza di un solido nucleo
sociale autoctono.
Se ora si considerano invece i settori rurali marginali, in genere quelli penalizzati da aspre morfologie
montuose, dalla mancanza di collegamenti o dall’impossibilità di adeguarsi, ci si trova davanti alle vastissime
estensioni delle geografie dell’abbandono; sono questi i paesaggi dell’Europa mediterranea.
Il discorso sulle nuove ruralità non può prescindere dagli effetti della ristrutturazione modernista del
rapporto tra uomo e ambiente e in particolare quando ciò impone estese utilizzazioni della base naturale
come nei progetti di ingegneria idraulica che talvolta causano disastri come successo nella diga del Vajont.
L’odierno discorso sulle marginalità geografiche punta a riabilitare i loro caratteri peculiari, che erano stati
invece negati durante le fasi più dinamiche dell’urbanizzazione, cioè quando i contesti rurali erano visti
come semplice spazio-supporto, destinati alle strategie del massimo profitto.
A ciò si collega il problema della qualità della vita che costituisce certamente uno dei più significativi
movimenti culturali responsabili della ricomposizione postmoderna delle relazioni tra città e campagna.
Ecco che la promozione di adeguate politiche per contenere le esternalità negative della crescita economica
cercano di attribuire alla campagna le vocazioni rigeneranti della qualità ambientale, dell’agricoltura
biologica e delle attività per il tempo libero.
L’aspetto più evidente del recente ridefinirsi della ruralità si identifica con l’espansione urbana al di là delle
sue pertinenze territoriali; questo fenomeno è noto con il nome di “rururbanizzazione”.
Il concetto si riferisce in particolare non solo a questioni relative al cambio di destinazione dell’uso dei suoli,
ma anche alla trasformazione dei tradizionali stili di vita, per cui si affermano nuovi assetti socioeconomici
restituiti dalle statistiche relative al livello dei salari e all’aumentarsi del grado medio di istruzione.
Negli studi di geografia rurale si pone l’accento sugli effetti territoriali dell’espansione della città, in poche
parole ci dice che la transizione rurale-urbana assume le modalità di una progressiva intensificazione
dell’edificato anche al di là della fascia periferica.
Il fenomeno è l’esito di un’ulteriore espansione del settore terziario, che si traduce in una maggiore
flessibilità insediativa rispetto alla tradizionale gravitazione attorno alle zone industriali.
Ciò porta alla conversione di terre una volta coltivabili in terreno edificabile; ora oltre alle villette, residenze
a schiera e piccoli condomini, è presente anche qualche casa singola sparsa senza meticolosità istituzionale
qua e là.
Oltre a ciò bisogna aggiungere la rilevante tendenza alla ristrutturazione di vecchi edifici che costituivano il
tessuto insediativo della ruralità storica: si tratta non solo di case contadine, ma anche di insediamenti di
borgata o di villaggio, mulini, opifici ecc.
Da questa sostituzione degli autoctoni legati alla ruralità con gli strati sociali rururbani deriva un’altrettanta
vasta erosione dei paesaggi agrari.
A questo punto è stato introdotto anche il concetto di contro-urbanizzazione, un solito aumento della
popolazione extraurbana, superiore a quello della popolazione metropolitana.
La counter-urbanization è un processo di attenuazione della pressione demografica che ridimensiona i
tradizionali agglomerati urbani condizionando così l’evoluzione geografica dei modelli insediativi.
Il fenomeno della contro-urbanizzazione avviene in 2 fasi: decentralisation (trasferimento di popolazione
dall’area centrale della città verso spazi periferici) e deconceentration (cioè un più cospicuo allontanamento
dal contesto urbanizzato verso aree rurali).
La contro-urbanizzazione è stata sostenuta anche come risposta e opposizione alla giant city soprattutto nel
primo dopoguerra.
Tony Champion inoltre sentì il bisogno di opporre alla counter-urbanization, la popular redistribution, dando
maggiore enfasi non tanto ai semplici dati demografici, quanto alla effettiva rete geografica di distribuzione
della popolazione.
Quindi non più un fenomeno demografico circoscritto alla sola residenzialità, ma un vero e proprio
meccanismo di crescita economica che vede nella locazione rurale più favorevoli opportunità logistiche,
l’abbassamento dei costi ecc.
Riassumento:
- La rururbanizzazione qui si considerano gli esiti geografici della ristrutturazione formale e
funzionale delle polarità urbane.
- La counter-urbanization esprime invece uno spostamento del baricentro insediativo che
alleggerisce la densità della popolazione urbana.