La scelta del termine “ritorno” evoca una situazione un tempo conosciuta e familiare da cui ci si è
allontanati. Bisogna adesso concentrarsi sulle relazioni tra paesaggio e memoria.
L’approccio biografico risulta dunque fondamentale in quanto è in questa che si individua la complessa
sedimentazione di significati e valori.
Il tema dell’idealizzazione della vita campestre offre stimolanti suggerimenti per valutare il ritorno alla
ruralità, andando oltre le interpretazioni geo-economiche e demografiche.
Il ritorno prevede la riabilitazione dei paesaggi della memoria, appartenenti non solo a singole esperienze
individuali, ma che costituiscono anche una ricchezza collettiva legata alla civiltà contadina.
Ma la nostalgia può essere valutata come un diritto, un percorso mentale che produce geografie alternative.
Sono queste le sfumature campestri tramandate da Pier Paolo Pasolini. Il caso delle rogge pasoliane può
essere rimarcato come simbolo del mondo che cambia.
Il processo della globalizzazione mette a dura prova le tradizionali efficienze dei sistemi locali, immettendo
nei meccanismi di riproduzione socio-economica una proliferazione di innovazioni che rendono inutili le
pratiche che legavano i gruppi umani ai loro ambienti.
Solo in pochi casi si realizzano azioni di recupero grazie alla recente affermazione del fascino del dismesso o
della ricerca del pittoresco nostrano.
Dall’affermarsi dell’urbanizzazione della campagna deriva una continua dispersione di microstorie
individuali che si concludono con l’obsolescenza formale e funzionale di specifiche unità di paesaggio rurale.
Il ritorno alla campagna può quindi consentire percorsi di recupero memoriale non solo tramite
l’apprezzamento di quadri fisionomici, ma riavvicinandosi al sapere territoriale degli anziani.
Ciò consente di attivare un proficuo rapporto tra paesaggio e memoria, promuovendo l’inventario dei beni
tangibili in dissoluzione e di coloro che sono ancora in grado di raccontarne le procedure operative. È una
preziosa generazione di esperti di luoghi e conoscenze che si sta estinguendo.
In molti casi il ritorno alla campagna coincide con le pratiche invasive del turismo di massa, responsabile di
frenetiche creazioni di immagini territoriali da diffondere e consumare.
Le esigenze del mercato del tempo libero non esitano a trasformare le autenticità geo-antropiche ancora
rinvenibili nei contesti rurali post-industriali in merce vendibile all’utenza urbana bisognosa di passato.
Insomma è un modo di produrre reddito più che rievocare tali autenticità.
La lettura della realtà rurale come magazzino di memorie a cui attingere può avvalersi della cospicua
produzione di testi letterari in cui le vicende narrate sono in grado di tramandare l’evoluzione del senso del
luogo.
In tal modo, l’illuminante paradigma dello spazio vissuto, che conferisce personalità ai luoghi, necessita di
referenze memoriali, ormai disperse dall’oblio dell’omologazione modernista.
I processi memoriali si intersecano dunque con la dialettica umanista tra macro- e microcosmo, dando avvio
a una speciale sensibilità che utilizza nella costruzione della territorialità la coscienza di far parte di
meccanismi del mondo creato e della sua ciclicità.
La regolarità cosmica si esprime anche nella ciclicità della vita umana, dalla nascita alla morte, il cui
susseguirsi nel tempo produce memorie destinate a disperdersi nel tempo. L’accumulo di ricordi si salva
dall’oblio solo grazie alla scrittura poetica e alla storiografia. Talvolta i ricordi possono creare disagio.
Dal colloquio con i contadini dei giorni nostri emergono infatti, oltre alle consuete rievocazioni di memorie
felici, anche i ricordi brutti che si vorrebbe dimenticare anche se, nonostante nascosti dal tempo, non si
possono eliminare.
Il rapporto tra paesaggi e memoria individuale interseca dunque le relazioni umane con i supporti spaziali:
dalla casa al quartiere, dal luogo del lavoro alle destinazioni ricreative.
Tornando al rapporto tra città e campagna, la costruzione moderna dell’idillio rurale può infatti essere
identificata come relazione dinamica tra età adulta e infanzia; l’adulto sogna di tornare giovane, quando
tutto era più facile e bello.
Ad esempio per i bambini il divertimento si accende premendo i pulsanti di un libro variopinto da cui
provengono versi di animali di fattoria di cui prendersi cura, imparando a dare da mangiare al bestiame,
coprire con una copertina il cavallo e tutte le attività più emozionanti di tale fattoria.
Già dall’infanzia viene quindi presentata al bambino la campagna come sintesi ludica. Nel periodo della
seconda infanzia, dai 3 ai 6 anni, il bambino fa le prime esperienze nel mondo: i disegni con cui rappresenta
il mondo, un mondo fresco, disegni che non verranno più ritrovati in seguito.
L’ambiente rurale viene quindi associato all’innocenza, al gioco, alla spontaneità. L’associazione tra infanzia
e natura affonda le sue radici in età romantica, dove i bambini e la campagna erano un’immagine unitaria
mentre oggi non è più legata a percorsi biografici proprio perché è una costruzione iconica di matrice
urbana.
Le memorie delle infanzie rurali realmente vissute sono invece privilegiati punti di partenza per una critica ai
processi territoriali che hanno alterato le tradizionali referenze paesaggistiche.
Le regioni rurali occidentali fino a pochi decenni fa offrivano opportunità ricreative ai bambini che
comprendevano fossi di bonifica, ruscelli, siepi campestri e boschetti e chiunque vi ritorni non può non
essere travolto da una valanga di ricordi.
Si ripropone quindi l’archetipo della perduta età dell’oro e anche se la responsabilità di tale furto è
facilmente identificabile, quasi mai alle rievocazioni dei paesaggi della memoria fanno seguito adeguate
strategie riparatrici se non la mistificazione edonista dell’idillio.
La memoria concerne anche e soprattutto gli altri sensi quale udito, olfatto e gusto. A tal proposito un’altra
memoria persa è quella del gallo che canta la mattina presto (anche se ultimamente anche in urbe li si può
trovare), l’odore di fresco della legna bruciata nel caminetto di una casetta antica in autunno e delle
pietanze cucinate con prodotti freschi e genuini frutto del proprio duro lavoro.
Anche i campanili della città che risuonano lontani e ricordano l’inizio della messa, l’inizio della pausa dal
lavoro in favore del riposo domenicale.
Un esempio a tal proposito è l’episodio della Madeleine di Marcel Proust dove, dopo aver assaggiato il
dolcetto imbevuto nel tè caldo, venne travolto dai ricordi di quando da piccolo ne mangiava la domenica
dalla zia prima di recarsi a messa.
Il mondo rurale possiede ancora il vigore dei tempi passati e del passato contadino. Non è difficile infatti
trovare tracce del passato anche nelle odierne campagne urbanizzate.
Anche la casa fuori dalla città ma senza campagna può rivelarsi il prezioso ricettore di memorie sensoriali
che giovano all’auspicabile processo di connessione tra gli abitanti e l’essenza dei luoghi nonostante le
profonde e tragiche trasformazioni.
Ciò porta al concetto della dolce malinconia del ritrovamento dei luoghi perduti e delle persone care che vi
hanno vissuto.
Una volta chiarito, però, che la passione per la campagna e per i suoi piaceri può anche non essere motivata
da strategie di recupero di memoria biografica, è opportuno considerare anche il peso delle
rappresentazioni elogiative del rurale nel determinare le preferenze residenziali.
Ne consegue che le tradizionali motivazioni nostalgiche ricevono stimoli provenienti dai concetti urbani del
vivere country e dal mercato immobiliare. A ciò si aggiungono le svariate modalità di mercificazione dei
paesaggi campestri.
La maggior parte delle scelte residenziali definite come ritorno alla campagna, non si realizzano a fini nobili
riguardanti la campagna stessa ma fungono più da seconde case, da casa d’appoggio nel caso in cui ci si
trovi fuori città.
A questo si aggiunge la problematica dei figli, che fin quando sono piccoli giocano e si divertono in
campagna come accennato prima ma man mano che crescono i problemi della connessione e la lontananza
dagli amici sono i sintomi dell’insofferenza adolescenziale nei confronti della vita in campagna.
Ciò è la premessa per la vendita della casa da passare ad altri proprietari che sognano le pratiche ludiche
della vita campestre come accendere il caminetto o cucinare nella cucina antica fatta di legno e con vista sui
vasti campi o anche il semplice accatastare la legna.
A questo punto entrano in gioco coscienza ecologica e competenze ambientali che sono l’humus etico per la
costruzione di una nuova territorialità, dove sia possibile mettere in pratica il rispetto per le relazioni tra
uomo, società e ambiente.
A tal proposito è fondamentale da parte di Ilaria Agostini nel suo libro, l’aver trattato l’enciclica bergogliana
Laudato si’ dal momento che la visione olistica della terra come casa comune è in perfetta sintonia con i
temi utopici del rinnovamento ciclico (renovatio).
La cultura romantica contribuisce a far coincidere l’idea di campagna con quella di armonia con la natura,
sfondo mitizzato per la pratica di stili di vita semplici.
Appare evidente ancora oggi la continuità di tale retaggio romantico, con il costante elogio dei villaggi e
delle modeste case isolate, i cottage. L’esaltazione della semplicità campestre è la più semplice reazione alle
oggettive difficoltà esistenziali prodotte dall’urbanesimo modernista.
Il prevalere dell’aspetto nostalgico si fonda su un solido immaginario culturale che dipende ancora una volta
dalla secolare antinomia tra città e campagna. In precedenza tale idealizzazione era data da testi letterari,
dipinti e musica mentre oggi dal cinema e assume linguaggi sempre più definibili nella pop culture.
A causa dell’intromissione del cinema, è di consueta pratica per il cittadino urbano fingere di giocare il ruolo
del contadino, con l’orto, il frutteto e il pollaio.
La cura maniacale del proprio spazio vissuto, accuratamente progettato come teatro di presunte nostalgie
contadine, è evidente tra le plaghe della città diffusa. Non resta poi che delimitare le proprietà, ormai
inondate di capannoni, parcheggi per la logistica ecc., con fitte siepi, concludendo all’insaputa il processo di
de-territorializzazione, dando origine a uno spazio sociale degradato dove la gente è chiusa in sé.
La tipologia neo-rurale appena descritta condivide ben poco con le motivazioni di un più consapevole
ritorno alla campagna.
Con lo sviluppo dell’idea di coscienza ecologica, l’evoluzione di queste idee di matrice urbana esprime una
visione più allargata rispetto alla produzione contadina tradizionale, implicando stili di vita più attenti agli
sprechi, atteggiamenti non violenti e che ripudiano la caccia (spesso associato a una dieta vegetariana).
Le scelte di vita idilliache, specie se in zone rurali a bassa densità, possono rivelarsi dei percorsi esistenziali
in cui la cura del proprio microcosmo rilascia effetti positivi sul paesaggio circostante e riabilitando la
sinergica relazione tra etica ed estetica.
Risiedere in campagna impone scelte operative; la semplice presenza di una superficie scoperta più o meno
estesa che circonda l’edificio favorisce l’organizzazione di una piccola agricoltura composta da orto, ulivi e
alberi da frutto.
Tutte queste pratiche necessitano di utensili acquistabili al locale consorzio agrario che per il neo-rurale (il
giorno di mercato settimanale) costituisce il più apprezzato piacere della villa innanzitutto perché è ubicato
nel centro antico del piccolo borgo, reso pedonale per l’evenienza e dove è possibile immergersi
nell’atmosfera paesana, con odori e sapori tipici locali.
Gli oggetti, con l’uso assiduo, non solo indicano la loro collaborativa efficacia ma innescano anche un
discreto livello di affezione per chi li utilizza. Il declino della materialità contadina non coinvolge solo case e
gli annessi rustici ma anche gli oggetti.
La dispersione degli oggetti tuttavia è lenta in quanto il contadino, proprio per la sua affezione a questi,
stenta a buttarli, piuttosto preferisce conservarli in un capanno degli attrezzi che viene inondato di oggetti
nel corso del tempo.
In alcune fattorie ancora attive, specie di modeste dimensioni e sparse per la campagna, non è raro trovare
oltre all’accumulo di oggetti, anche la convivenza di cani e gatti con galline, polli, anatre e tacchini ma tutto
ciò al neo-rurale non piace, per lui è confusionale e disordinato.
Ne consegue che il ritorno in campagna si inserisce in un progetto di vita ove le più elevate aspirazioni verso
una sorta di renovatio postmoderna coesistono con un’attenta strategia di arredo in grado di mettere in
scena la specifica trama neo-rurale in cui recitare il proprio ruolo di attore.
Tuttavia ci sono sgradevoli risvolti che si annidano dietro la vita rurale. È possibile concentrarsi su due
traiettorie: sociologica e ambientale:
- Sociologica le principali linee interpretative sono da una parte l’invecchiamento della
popolazione e l’esodo rurale dai territori più remoti e dall’altra la diffusione di modelli insediativi e
socio-economici decisamente urbani nelle campagne che si sono abituate alla globalizzazione.
I derelitti rurali si trasformano in operai, sia lasciando i campi per inurbarsi nelle periferie del
triangolo industriale, sia accogliendo l’arrivo delle fabbriche. Ciò alle volte causa violenza e
sopraffazione.
- Ambientale ci si pone davanti a una variegata rassegna di interferenze che mettono in
discussione la visione dominante della campagna come idillio.
Gli spazi aperti, lontani dall’addensarsi urbano sono da sempre dei vuoti dove depositare rifiuti,
discariche e stabilimenti per la produzione di sostanze pericolose, inquinando e distruggendo i più
pregiati contesti paesaggistici.