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Rossi I Generi Letterari e Le Loro Leggi Scritte

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I generi letterari e le loro leggi scritte e non

scritte nelle letterature classiche


sua cuique proposito lex, suus decor est
Quint. 10.2.22

1 Premessa (limiti della presente ricerca)


Parlare delle leggi dei generi letterari antichi nel giro di una breve trattazione,
come qui mi propongo di fare, può sembrare da una parte impresa ambiziosa,
essendo il tema troppo vasto; dall’altra può sembrare impresa del tutto inutile,
essendo il tema apparentemente familiare e ovvio.

Alla prima obiezione vorrei rispondere denunciando fin da principio i limiti,


o meglio il ‘genere’ stesso della prestazione. Si tratta di una visione panoramica,
necessariamente priva di numerosi dettagli, che dovrebbe segnare, almeno per
me, le linee di una ricerca futura in questo campo, fatta da una angolazione
lievemente diversa da quella che è stata in uso finora. Una semplice proposta,
quindi, o, meglio, una serie di proposte. Molto di quello che dirò è stato già
detto, sia pure per lo più in contesti differenti: ma nei riferimenti bibliografici e
nell’accennare ai problemi mi atterrò ad un criterio arbitrariamente selettivo e
non sempre dichiarerò il mio debito verso altri. Quest’ultimo apparirà comun-
que evidente, anche se qualche volta lo ignorerò io stesso; e otterrò il vantaggio
di non appesantire troppo l’esposizione con un apparato erudito, che, in un
argomento come questo, non potrebbe mai essere esauriente. Necessariamente,
per di più, i primi risultati di una simile ricerca saranno in gran parte provvisori:
essi avranno bisogno di essere ulteriormente controllati, verificati, eventual-
mente accresciuti. Quello che m’incoraggia alla redazione è il fatto che le idee
qui esposte hanno già avuto ascoltatori pazienti e benevoli, che hanno contri-
buito non poco a renderle più chiare.1 Della esposizione orale, di cui offro qui

||
[Articolo pubblicato in «BICS» 18, 1971, pp. 69–94 (ma già prima letto in varie conferenze, per
cui vd. n. 1); ripubblicato in F. Ferrari – M. Fantuzzi – M. C. Martinelli – M. S. Mirto (edd.), Di-
zionario della civiltà classica, I, Milano, BUR, 1993, pp. 47–84 (con l’aggiunta della nota inizia-
le *: “Queste pagine sono dedicate alla memoria di P. Fortunato Torniai S.J. Fu lui che, negli
anni del liceo, mi fece conoscere il sistema hegeliano di Boeckh e mi sensibilizzò alla proble-
matica dei generi. Lo ricordo con grato affetto.”)]

https://doi.org/10.1515/9783110648140-001
4 | Sezione 7: Critica letteraria

una parziale rielaborazione, saranno peraltro rimasti alcuni pregi, ma anche


forse molti difetti.

La risposta alla seconda obiezione sarà più complessa e articolata. In realtà


l’importanza predominante del genere letterario per le letterature classiche in
generale, e per la greca arcaica in particolare, è fatto a tutti ben noto. Le leggi
che governano le opere di letteratura sono in origine un prodotto per gran parte
spontaneo della situazione storica, nel senso più largo, in cui opera l’autore.
All’origine le opere letterarie nascono dalla precisa ‘richiesta’ di un pubblico
che vuole determinati tipi di produzione per determinate occasioni ed esige che
certe ‘attese’ siano soddisfatte. Passiamo in rapida rassegna i generi più impor-
tanti: l’epica narrativa, la cosiddetta epica didascalica, l’elegia e il giambo, la
lirica monodica, la lirica corale religiosa e ‘secolare’, il teatro, la storia, l’orato-
ria. Per alcuni di essi la nostra conoscenza della situazione storica in cui nasco-
no e fioriscono è del tutto soddisfacente: per esempio, per il teatro conosciamo
piuttosto bene l’Atene del V secolo, la società che chiedeva un determinato tipo
di spettacolo, il modo in cui si svolgevano i concorsi drammatici, i gusti e le
reazioni del pubblico di fronte alle varie soluzioni prospettate dagli autori. Ma,
per esempio, che cosa sappiamo dell’epica omerica? Possiamo utilizzare la te-
stimonianza, interna ad Omero stesso, su Femio e Demodoco, immaginandoci
che l’epica fosse intrattenimento di società regali e ristrette? O l’epopea omeri-
ca, nella forma in cui l’abbiamo, appartiene già ad una fase in cui l’epica era
diventata passatempo del popolo, com’era sicuramente al tempo del ciclo e
com’è oggi presso quei popoli che hanno i cantastorie? E passiamo a considera-
re Esiodo: per che pubblico ha scritto la sua opera più problematica, le Opere e i
giorni? Si tratta di un manuale per l’agricoltura destinato ai suoi compaesani
beoti o di uno scritto moralistico–parenetico indirizzato al fratello Perse? O di
altro ancora? Abbiamo toccato i due estremi, quanto a condizionamenti storici,
il genere che conosciamo meglio e quelli che conosciamo peggio, per i quali
forse non troveremo mai risposte soddisfacenti. In mezzo si situano gli altri, per
i quali l’informazione non è abbondante, ma è sufficiente o almeno agevolmen-
te integrabile. Prendiamo il ‘campionario’ pindarico. Troviamo gli epinici, che
erano scritti su commissione di grossi borghesi, abbastanza ricchi da permetter-

||
1 Per l’invito un grazie cordiale ai miei ospiti: C. F. Russo, Bari 28.2 e 2.3.1970; E. W. Handley,
Londra 28.5.1970; H. Lloyd–Jones, Oxford 1.6.1970; P. Fedeli, K. Müller e M. Puelma, Friburgo/
Svizzera 3.6.1971; Th. Gelzer e O. Gigon, Berna 7.6.1971. A loro e a tutti gl’intervenuti anche un
ringraziamento per le critiche e i contributi. Devo molto anche a Gian Biagio Conte, Scevola
Mariotti, Gregorio Serrao e Vincenzo Tandoi.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 5

si lo sport in un’epoca in cui esso non era ancora professionale, o addirittura di


personaggi di stirpe regale: tali composizioni, destinate com’erano quasi sem-
pre a una festa pubblica alla quale il popolo partecipava in massa, non sfuggi-
vano all’interesse della massa stessa, ed intendo dire con questo che l’avvìo era
dato, sì, dal gusto dei committenti, ma che essi non potevano prescindere dai
gusti della società in cui vivevano e alla quale non erano certo in grado di dettar
legge completamente (ed è ovvio che, qui in particolare, ci sarà da far distinzio-
ne fra regione e regione, fra città e città: penso, per Pindaro, alle differenze fra i
committenti principeschi di Sicilia e i vari altri ambienti della Grecia propria in
cui operò, Atene, Egina etc.). Tralasciamo qui le altre composizioni secolari,
sempre prodotte per occasioni concrete, come per esempio il simposio. La lirica
religiosa a sua volta (inni, peani, ditirambi etc.) veniva commissionata dalle
amministrazioni cittadine e rispondeva forse più direttamente ancora alle esi-
genze del pubblico: e qui bisognerebbe per di più distinguere fra le composizio-
ni strettamente cultuali e quelle letterarie (pensiamo a quanto importante que-
sta distinzione sia, per esempio, per il ditirambo). Inutile dilungarci qui sulle
occasioni per cui venivano scritti l’elegia e il giambo, la lirica monodica; sulle
esigenze a cui rispondevano i logografi e gli storici fino ad Erodoto (con Tucidi-
de si sente l’influenza di un ambiente nuovo, e nell’impianto dell’opera e nella
scelta del tema); sull’oratoria, che, nel IV secolo, è forse l’ultimo vero e proprio
genere strettamente legato ad un pubblico nel senso antico e che sopravvive,
nelle sue pur recentemente fissate forme canoniche, praticamente a tutti gli
altri.

La problematica che abbiamo qui panoramicamente passata in rassegna è


familiare agli studiosi e il sottoporla a nuovo esame sarebbe giustificabile solo
da parte di chi fosse in grado di sfruttare su scala totale le recenti acquisizioni
dell’antropologia, della storia economica, della storia in generale. Vorrei qui
solo aggiungere che il chiarire perché e come certe esigenze si siano via via
determinate e imposte agli autori è compito che lasciamo agli storici; e che deli-
cato è soprattutto il distinguere quanto venga realmente ‘imposto’ da un pub-
blico e quanto sia prodotto delle singole scuole poetiche o delle personalità
creatrici, capaci anche di una autonoma autodisciplina compositiva, e capaci
così di influire a loro volta sul gusto stesso dei loro pubblici. Questione di misu-
ra, che lo storico risolverà secondo la sua vocazione: è certo, comunque, che la
Grecia arcaica fa pendere il piatto della bilancia dalla parte del pubblico. Ma è
allo storico della letteratura che spetta la ricostruzione delle leggi formali a cui
gli autori obbedivano. Ricordiamo, per esempio, il ‘codice’ tematico dell’epini-
cio: καιρόϛ, μῦθοϛ, γνώμη. Per la letteratura arcaica tali leggi si devono ricavare
6 | Sezione 7: Critica letteraria

da un e s a m e i n t e r n o delle opere stesse, in mancanza di concrete testi-


monianze esterne: e la storia dei nostri studi è per gran parte proprio la faticosa
riconquista di queste leggi. Gioverà ricordare i principali di tali elementi di ca-
ratterizzazione: la t e m a t i c a ovvero i contenuti, la s t r u t t u r a ovvero la
disposizione delle parti e le dimensioni, la l i n g u a ovvero il dialetto e il livel-
lo stilistico, ed infine il m e t r o ; si aggiungano la m u s i c a e la d a n z a ,
quand’esse sono presenti.

La diversa compresenza e il dosaggio di tali elementi dà alle opere letterarie


dell’antichità quella particolare fisionomia che ci porta ad assegnarle ad uno o
ad altro genere letterario. Ci porta, ho detto: ma in questo itinerario critico sia-
mo stati preceduti dagli antichi, e non solo dai grammatici più tardi, ma anche
dagli autori stessi, che ben conoscevano le regole del genere in cui si accinge-
vano a comporre. Il derivare gli elementi del nostro giudizio sulle opere di lette-
ratura solo dalle opere stesse può comportare qualche pericolo: più sicuro è
farci guidare, almeno inizialmente, dalle formulazioni critiche degli antichi,
beninteso quando il materiale in questo senso non ci manchi completamente.2

||
2 Fra le caratteristiche sopra elencate, quella che è stata maggiormente studiata – quasi sempre
come categoria moderna – è la lingua. Ma anche qui molto resta da fare: v., per le Gattun-
gssprachen del greco, il quadro pessimistico di H. Happ, Glotta 45 (1967) 84 n. 1 (alle opere da
lui elencate aggiungerei almeno un libro fondamentale, G. Björck, Das Alpha impurum und die
tragische Kunstsprache, Uppsala 1950; e in genere gli studi degli svedesi, come A. Wifstrand, L.
Bergson etc.). Non mancano alcune ricerche su fatti minuti, ma importanti per la caratterizza-
zione dei generi: per es. Th. Wendel, Die Gesprächsanrede im gr. Epos u. Drama der Blütezeit,
Stuttgart 1929; R. Führer, Formproblem–Untersuchungen zu den Reden in der frühgr. Lyrik,
München 1967; e maggior conoscenza dei livelli stilistici in rapporto ai generi potrebbe chiarir-
ci la estensione relativa di fatti come la elisione e la sinalefe (v. RFIC 97 (1969) 433ss., spec.
440s.). Bisogna ricordare, inoltre, l’opera e l’insegnamento di Eduard Fraenkel, la cui sensibili-
tà al livello linguistico e stilistico (sia nel greco sia nel latino) è stata sempre uno dei suoi carat-
teri dominanti di studioso. Per il latino v. H. Happ, Glotta 45 (1967) 60–104 (panorama a p. 85s.;
a p. 86 n. 2 Happ annuncia uno studio più ampio) e, data la differenza col greco, le critiche ad
Axelson di G. Williams, Tradition and Originality in Roman Poetry, Oxford 1968 p.743ss.
Quanto al tema specifico del dialetto, il primo studio scientifico, fondato sull’evidenza lingui-
stica (oggi ovviamente invecchiato), è H. L. Ahrens, Ueber die Mischung der Dialekte in der gr.
Lyrik, Kl. Schr. I, Hannover 1891 [1852] p. 157ss. (p. 181: “Der Grund liegt… in dem Umstande, …
dass mit den Klängen bestimmter Dialekte sich die Eindrücke ihrer eigentümlichen Dich-
tungsweisen für jedes hellenische Ohr untrennbar verbanden und selbst durch ein leises An-
schlagen der Saiten eines jedes Dialektes sympathetisch erweckt werden konnten”).
Per musica e danza si dà il caso che praticamente nulla ci è noto direttamente, in modo che la
nostra conoscenza passa necessariamente attraverso la teoria antica: per l’ethos musicale
fondamentale il lavoro di H. Abert (1899) e v. da ultimo quello di W. D. Anderson (1966, rist.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 7

Non va dimenticato, del resto, che il tipo di considerazione per generi, che
appare oggi così ovvio, ha lungamente sofferto, specialmente in Italia, della
dittatura culturale di Benedetto Croce, che negava valore al genere per la valu-
tazione dell’opera, relegandolo in un secondo tempo tutt’al più al ruolo di
‘pseudoconcetto’ filosofico.3 Era una reazione, certo necessaria, agli eccessi
della critica positivistica, che in maniera pericolosamente meccanica aveva
recepito la teoria dei generi da una lunga tradizione di cultura, che, attraverso il
medioevo e l’umanesimo, aveva creato i nuovi ‘codici’ nel rinascimento e li
aveva trasmessi agli accesi polemisti delle querelles e al romanticismo tedesco.4
Ma opere vigorose come la Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter
(1948) di Ernst Robert Curtius hanno riportato anche da noi l’interesse su questo
campo d’indagine, che in realtà la filologia classica non aveva mai ignorato: è
dell’immediato ieri la più o meno esplicita polemica anticrociana di una perso-
nalità come Giorgio Pasquali5 e basterà ricordare l’influenza duratura che ebbe-
ro per le nostre discipline i famosi corsi, redatti nella Encyclopädie, di August
Boeckh,6 che dominò gli studi sull’antichità classica dal principio a oltre la metà
del secolo scorso.

||
1968); per la danza e la distinzione fra tragedia, commedia e dramma satiresco (ἐμμέλεια,
κόρδαξ, σίκιννις) v. L. B. Lawler, The Dance of the Ancient Greek Theatre, Iowa City 1964.
Interessante l’isolamento di un ‘ethos del gesto’ da parte di F. Lasserre, “Mimésis et mimique”,
Atti II Congr. internaz. Dramma antico, Siracusa 1967, Roma 1970 p. 245ss. (e dai lavori di G.
Capone, 1935 e di A. Spitzbarth, 1946 si potrebbe tentare un primo spoglio dell’evidenza data
dagli scoli al teatro).
3 V., in proposito, le vivaci pagine di M. Barchiesi, Maia 12 (1960) p. 247ss. Mario Fubini, Critica
e poesia, Bari 1956, spec. p. 143ss. resta fedele a Croce, pur mostrandosi sensibile a esigenze
nuove, e accentua il carattere di “semplici strumenti” dei generi e la loro “provvisorietà” (p.
147; avvicinandosi a Dewey, p. 254ss.).
4 Il miglior lavoro sulla storia dei generi nella cultura europea è Irene Behrens, Die Lehre von
der Einteilung der Dichtkunst vornehmlich vom 16. bis 19. Jahrhundert. Studien zur Geschichte der
poetischen Gattungen, Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, H. 92, Halle/Saale 1940.
V. anche K. Borinski, Die Antike in Poetik u. Kunsttheorie. Von Ausgang des klassischen Alter-
tums bis auf Goethe u. Wilhelm von Humboldt, I.II, Leipzig 1914–24; B. Weinberg, A History of
Literary Criticism in the Italian Renaissance, I.II, Chicago 1961. Bibliografia ulteriore anche in
Wellek–Warren, cit. oltre (n. 10), al cap. 17.
5 Per il complesso atteggiamento di Croce di fronte all’antichità classica v. da ultimo p. Treves,
Croce e l’antico, in Lezioni crociane, Univ. di Trieste, Fac. di Lettere e Filosofia, 1967 p. 45ss. Da
parte di Pasquali un certo ‘cedimento’ sulla questione dei generi in Stravaganze quarte e su-
preme, Venezia 1951 (ristamp., Firenze 1968) p. 22s. [1929].
6 A. Boeckh, Encyclopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, hsg. v. E.
Bratuscheck. 2. Aufl. besorgt v. R. Klussmann, Leipzig 1886. Come si apprende dal Vorwort di
8 | Sezione 7: Critica letteraria

Ora, se le costanti morfologiche delle opere letterarie ci fanno certi, ieri co-
me oggi, dell’esistenza di leggi, quello che invece è incerto o per lo meno poco
chiaro – e che non mi pare sia stato fatto mai oggetto di ricerca autonoma ed
estensiva – è quale vita le leggi stesse abbiano avuta nel periodo, che appare
lungo, in cui non erano state ancora fissate indipendentemente per iscritto;
quale fosse la coscienza che gli autori ne avevano: quando precisamente, a
seconda dei diversi generi, siano state ‘codificate’; e soprattutto quale sia stato
di volta in volta lo s c o p o di tali codificazioni e quali ne siano state le c o n -
s e g u e n z e per l’attività creatrice. In altre parole, il cammino dalle l e g g i
n o n s c r i t t e alle l e g g i s c r i t t e è stato lungo, diverso per i singoli ge-
neri e non senza importanti conseguenze per la stessa produzione letteraria.
Quello che si è dimenticato troppo spesso è che il genere letterario era una cate-
goria essenziale della stessa e s t e t i c a a n t i c a, categoria che ha avuto vita
ed influenza complesse ed articolate. È significativo che una gran parte di quel-
la critica filologica che non ha ignorato i generi li abbia assunti esclusivamente
come categoria p r o p r i a , m o d e r n a di giudizio: i generi sono hegeliana-
mente per Boeckh, per esempio, delle categorie immanenti (la poesia, rappre-
sentata da epos lirica dramma, a cui corrisponderebbero, per la prosa, storia
filosofia oratoria).7 E solo indiretta (ma, entro tale limite, certamente cospicua)
può essere l’utilità, per noi classicisti, della forte rinascita d’interesse per i gene-
ri presso la critica letteraria recente e recentissima. Essa si rivolge infatti allo
studio di opere moderne, spesso restringendosi addirittura alla letteratura
d’una lingua o d’un complesso politico–sociale determinato, o magari a un
ristretto numero di generi di maggior successo attuale (il romanzo, per esem-
pio), come tali più utili a servir da ‘reagenti’ per l’intelligenza di sviluppi storici
o per l’esegesi di situazioni sociali. Di tale critica sarebbe utile fare un consunti-
vo per quanto riguarda il tema specifico dei generi. Ci contenteremo qui del

||
Bratuscheck, i ventisei semestri dei corsi metodologici di Boeckh si distribuirono nel periodo
1809–1865.
7 Boeckh, Encyclopädie, passim. I generi corrispondono a categorie immanenti (p. 144ss.;
“nach der geistigen Auffassungsweise”, p. 648). È messo per di più l’accento sul Nationalcha-
rakter (per es. p. 128), oltre che sull’individualità dell’autore (p. 124ss.). Ma anche uno storico
così sensibile e poliedrico come Boeckh, che giustamente affermava su piano teorico (pur in
contraddizione colle premesse) essere le caratteristiche del genere stabilite “in steter Rücksicht
auf die lebendigen historischen Verhältnisse” (p. 143) ed essere fondamentale il riconoscimen-
to dello Zweck dell’opera (pp. 131s., 144), non arrivò a studiare il rapporto concreto che lega le
leggi dei generi alle varie situazioni, o meglio occasioni storiche.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 9

succinto ma lucido panorama offerto qualche anno fa da Peter Szondi,8 che,


accanto alla negazione crociana (nata come reazione alla hegeliana “Historisie-
rung der Gattungspoetik”, per la quale “Lyrik, Epik, Dramatik werden aus
systematischen Kategorien zu historischen”), ricorda da una parte la posizione
diametralmente opposta a Hegel rappresentata dalla ipostatizzazione astratta
delle tre categorie nei Grundbegriffe der Poetik di Emil Staiger (1946), per cui
‘Lyrik’, ‘Epik’, ‘Dramatik’ diventano ‘lyrisch’, ‘episch’, ‘dramatisch’; e dall’altra
la maggior fedeltà alla storia (sempre nel quadro dello storicismo tedesco) che è
alla base soprattutto di un Lukács (Die Theorie des Romans era del 1914; più
importante per noi è Der historische Roman, del 1957). Ma gli sviluppi recentis-
simi annunciano, in questo campo, frutti più ricchi ancora: mi riferisco all’in-
teresse predominante per questioni di forma che, dalla riscoperta dei formalisti
russi, arriva alla critica letteraria ispirata, in maggiore o minor misura, allo
strutturalismo. I generi letterari hanno qui un ruolo protagonistico e, considera-
ti come un ‘sistema di segni’, riscuotono e riscuoteranno ampio interesse
nell’ambito della semiologia.9 Da tutto questo può venire a noi utilità indiretta,
dicevo: perché il riscoprire oggi con tanta maggiore urgenza la necessità di una
considerazione per generi, tale da portare ad indagare la vitalità di certi tipi di
prestazione letteraria nelle varie culture e società e la coscienza che delle leggi
dei generi stessi abbiano gli autori e i pubblici, non può non condurre il classi-

||
8 P. Szondi, Theorie des modernen Dramas, Frankfurt/Main 1963 (11956) p. 10s. Sul libro, e sulla
sua importanza per la teoria moderna dei generi, C. Cases, Saggi e note di letteratura tedesca,
Torino 1963 p. 330ss. (introduzione alla traduz. ital.).
9 I formalisti russi rappresentano un momento nuovo d’interesse per i generi. Avendo ad og-
getto di considerazione la letteratura russa, domina presso di loro l’interesse per la narrativa e
le sue categorie, ma importanti sono le aperture sulla tecnica del verso, non senza rilevanza
per la teoria dei generi stessi. V. V. Erlich, Russian Formalism, 11954 (più volte ristamp. e trad.
in ital., Milano 1966) e Théorie de la littérature, 1965, antologia a cura di T. Todorov (trad. in
ital., Torino 1968): interessante, qui, la fine dell’ultimo saggio di Tomaševskij e quello di B.
Ejchenbaum sul “metodo formale”. Per lo strutturalismo possiamo ricordare, fra le formulazio-
ni più estensive e recenti, Th. A. Sebeok, in Style in Language, edito dallo stesso, Cambri-
dge/Mass. 1960 spec. p. 221s.; R. Jakobson, ibid. p. 357s.; E. Stankiewicz, in Poetics… [I], The
Hague 1961 spec. pp. 11s., 16s. Un’applicazione specifica alla ballata romantica, con osserva-
zioni teoriche, in Cz. Zgorzelski, ibid. p. 689ss. Recentissimo è T. Todorov, Introduction à la
littérature fantastique, Paris 1970 spec. p. 7ss., che, tra l’altro, polemizza contro i tentativi del
tutto astratti di costruire una nuova classificazione (‘archetipale’) dei generi di N. Frye, Ana-
tomy of Criticism, Princeton 1957 (trad. in ital., Torino 1969). Sempre di Todorov v. anche Poé-
tique in Qu’est–ce que le structuralisme?, Paris 1968. Per un panorama italiano v. I metodi
attuali della critica in Italia, a cura di M. Corti e C. Segre, Torino 1970, spec. pp. 336ss. (C. Se-
gre), 414 (M. Corti). Importanti osservazioni sul rapporto generi–autore in C. Segre, I segni e la
critica, Torino 1969 pp. 72, 87ss., 89ss. e pass.
10 | Sezione 7: Critica letteraria

cista, per ovvie analogie di situazioni storiche, a impostare lo stesso problema


per l’antichità classica, rimeditando in luce nuova i frutti di una plurisecolare
indagine filologica. Giacché – indipendentemente dal maggiore o minore valore
teorico che ad esso si voglia assegnare – il genere letterario è
un’ i s t i t u z i o n e, colla quale lo storico deve fare i conti perché è uno degli
elementi che hanno influenzato l’autore e fa parte quindi del quadro complessi-
vo che gli compete di tracciare.10

Sarà forse utile eliminare qui in anticipo un possibile equivoco. Risulterà


chiaro, dal séguito, che una fissazione scritta non rende più cogenti le leggi,
ovvero che l’influsso positivo dell’istituzione non è direttamente proporzionale
alla sua oggettività. Si vedrà, anzi, che tende ad esser vero proprio il contrario,
che, cioè, una maggiore oggettività può dare influsso di segno negativo, ‘a rove-
scio’. Le scelte espressive (e penso alla lingua stessa) sono tutte in una certa
misura ‘obbligate’, condizionate cioè da una t r a d i z i o n e che le carica di
certi contenuti o valenze espressive, indipendentemente dalla fissazione scritta
di leggi. Tali leggi da una parte non possono essere ignorate anche quando
siano non scritte, e dall’altra, anche se codificate, possono essere superate in
virtù di una scelta innovatrice, che svecchi dei moduli espressivi e li rivolga con
intenzione ad altre più o meno imprevedute direzioni. Considerazioni simili
dovrebbero essere oggi del tutto ovvie, ma vorrei portare, ad illustrarle, un e-
sempio illuminante e sicuramente familiare: la musica europea dalla nascita
dell’espressività strumentale nel XVII secolo fino ai nostri giorni, per la quale la
prassi compositiva è stata accompagnata da una teoria, la famosa ‘dottrina
degli affetti’ o Affektenlehre. Anche qui la teoria nasce dal consolidarsi storico di
una determinata prassi, per cui per esempio una tonalità o un ritmo hanno una
loro carica espressiva, si legano, cioè, ad un determinato ‘affetto’, il che dà ori-
gine a un sistema oggettivo di norme; ma in séguito la prassi potrà innovare
rispetto al sistema normativo costituitosi in precedenza e darà alle nuove scelte
espressive un sapore particolare proprio in virtù dell’opposizione a una tradi-
zione che non è ignorata proprio perché ad essa coscientemente ci si contrap-
pone. Tutto questo non esclude successivi ritorni alla tradizione, magari attra-

||
10 “The literary kind is an ‘institution’ – as Church, University or State is an institution. It
exists, not as an animal exists or even as a building, chapel, library, or capitol, but as an insti-
tution exists. One can work through, express oneself through, existing institutions, create new
ones, or get on, so far as possible, without sharing in politics or rituals; one can also join, but
then reshape, institutions.” (R. Wellek–A. Warren, Theory of Literature, 1949, e più volte ri-
stamp., cap. 17, prendendo da Harry Levin).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 11

verso esperienze ‘laterali’, ‘non canonizzate’ o popolari: come dice Šklovskij,


“nella storia della letteratura l’eredità viene trasmessa non di padre in figlio, ma
da zio a nipote” (quella che i formalisti chiamavano ‘canonizzazione del ramo
cadetto’).11 È quello che, fra altro, vedremo avvenire nella letteratura alessan-
drina.

Da quanto abbiamo anticipato, si vede come una storia delle leggi dei gene-
ri debba cominciare fin dall’epoca arcaica, dall’epoca, cioè, in cui, come vedre-
mo in sufficiente dettaglio, le leggi stesse non sono state ancora redatte, ma
sono presenti alla coscienza degli autori: per quest’epoca sono quindi gli autori
stessi che vanno interrogati sulle leggi. Saranno redatte solo più tardi, e in mo-
do sistematico solo in epoca ellenistica, ad opera di poeti e di poeti–filologi: e a
noi resterebbe solo il compito di raccoglierne gli sparsi materiali. È significativo
che un grande studioso dell’alessandrinismo come Rudolf Pfeiffer abbia ispira-
to, in anni fra loro lontani, due dei pochissimi lavori che, a quanto so, si occu-
pano organicamente del nostro tema: Hans Färber, Die Lyrik in der Kunsttheorie
der Antike, München 1936, che è una ordinata raccolta delle testimonianze con
un tentativo d’individuazione delle fonti per il materiale più tardo; e A. E. Har-
vey, “The Classification of Greek Lyric Poetry”, Classical Quarterly 5 (1955) 157–
75, che è un tentativo, esemplare nel metodo, di distinguere la teoria e la termi-
nologia alessandrina da quella che era la prassi (e certamente anche la teoria
implicita) dell’età arcaica. Questi due lavori tuttavia, come si vede anche dai
titoli, si limitano alla lirica.12 Lo stesso Wilamowitz13 aveva richiamato a suo
tempo la necessità di raccogliere le testimonianze relative ai diversi generi della
lirica: anche lui aveva limitato la sua attenzione alla lirica. Recentissimo è, infi-
ne, il lavoro di Severin Koster, Antike Epostheorien, Wiesbaden 1970, ispirato da
Peter Steinmetz: esso ci sarà utile nel séguito, anche perché la categoria ‘epos’ è
per gli antichi così vasta da ricoprire forme assai varie. Ma molto resta ancora da
fare, ché molti sono i generi letterari. Ed è proprio per questa ragione che non si
può considerare senza un certo rammarico il fatto che la monumentale History
of Classical Scholarship (Oxford 1968) di Pfeiffer stesso trascuri di affrontare in
modo unitario il nostro problema, dando almeno un panorama coerente del

||
11 Cit. da Erlich, op. cit. cap. XIV. Lascio qui da parte la dottrina etica della musica antica o
Ethoslehre (v. n. 2), alla quale peraltro accennerò in fine, a causa della sua natura completa-
mente diversa da quella della musica moderna. Qualche anticipazione in tal senso ho data in
Atene e Roma 14 (1969) 42–6.
12 Per la quale v. anche l’introduzione a H. Weir Smyth, Greek Melic Poets, London 1900.
13 Cit. da Harvey, art. cit. p. 157.
12 | Sezione 7: Critica letteraria

materiale. Strano: non solo quest’opera egregia, trattando della filologia e della
letteratura alessandrine, è ricchissima di materiale in tal senso (e ad essa siamo
e saremo largamente debitori per lo studio di questo e di molti altri fatti), ma
proprio da Pfeiffer, esemplare editore di un Callimaco, ci saremmo aspettati una
maggior sensibilità al problema.14

Se la mia informazione non è insufficiente, appare quindi chiaro che ancora


manca una ricerca complessiva che veda le leggi dei generi d a l l ’ e s t e r n o ,
come un dato storico autonomo, e che almeno ponga il problema del momento,
diverso per ciascuno dei generi, in cui si sia cominciato a redigerle per iscritto; e
soprattutto, come già si è detto, il problema delle finalità delle redazioni stesse e
dell’influenza sul lavoro creativo. Quando si parla di estetica antica, altri sono,
in generale, i problemi che si affrontano: la funzione e lo scopo della poesia,
nella contrapposizione o nell’accordo fra il ‘giovare’ e il ‘dilettare’, fra l’utile e il
dulce, e cioè fra la cosiddetta tendenza etica e quella edonistica; il ‘mestiere’ del
poeta e la coscienza della sua missione, che comporta il problema dell’ispirazio-
ne e della sua origine, divina o no; la verità o meno di quello che il poeta canta;
l’inquadramento sociale del poeta e il modo in cui una realtà economica e socia-
le lo accoglie (in altre parole: chi gli dà il pane quotidiano?);15 e basterà solo un
accenno ai numerosi problemi connessi con una visione filosofica della vita e
della storia, come quello della contrapposizione ποίησιϛ/μίμησιϛ, se cioè la
poesia sia creazione vera e propria o imitazione.16 Nello sfondo, naturalmente, i
generi letterari non mancano: e questo è favorito dall’esistenza di una dottrina
altamente organizzata degli s t i l i , dottrina che nasce però più tardi, colla

||
14 Merita menzione anche il quadro tracciato dalla Behrens, op. cit. (n. 4) pp. 1–32 (Die Antike):
ma la filologia alessandrina è praticamente ignorata (procede per grossi autori, senza porsi
gran che il problema delle fonti) e per di più trascura l’aspetto morfologico dei singoli generi
(suo scopo è principalmente quello d’inseguire le tre grandi categorie dell’epico, del drammati-
co e del lirico attraverso l’estetica europea). Di scarsa utilità è invece J. J. Donohue, The Theory
of Literary Kinds. Ancient Classifications of Literature, Dubuque/Iowa 1943. Utile è il panorama
di J. Stroux, “Die Anschauungen vom Klassischen im Altertum”, in Das Problem des Klassi-
schen und die Antike (hsg. v. W. Jaeger), Stuttgart 1933 p. 1ss.; e, più specifico, P. Steinmetz,
“Gattungen und Epochen der griechischen Literatur in der Sicht Quintilians”, Hermes 92 (1964)
454ss. = Rhetorica, Hildesheim 1968 p. 451ss. La Wissenschaftliche Buchgesellschaft di Dar-
mstadt annuncia M. Fuhrmann, Einführung in die antike Dichtungstheorie.
15 Su questo problema, affacciatosi da non molto all’orizzonte degli interessi di studio dei
filologi, v. F. Lasserre, “La condition du poète dans la Grèce antique”, Études de Lettres (Univ.
de Lausanne) 5 (1962) 3ss.
16 Per l’estetica arcaica v. G. Lanata, Poetica pre–platonica. Testimonianze e frammenti, Firenze
1963 (con commento). Per le epoche successive non è il caso di dar qui bibliografia.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 13

retorica, e d’altra parte lo stile è solo uno degli elementi che caratterizzano i vari
generi, come si è detto. Ma i generi – ripetiamo – entrano quasi sempre in di-
scussione per una valutazione moderna dell’opera; mentre andrebbero conside-
rati come parte integrante di una teoria che, scritta o non scritta, è sempre esi-
stita, fin dal momento in cui i Greci hanno affrontato la creazione letteraria colla
chiara coscienza di una tradizione da seguire, fino, cioè, dall’epoca arcaica.
Insomma, quello che mi pare che manchi non è tanto una storia dei g e n e r i ,
che specialmente nel caso dell’antichità classica deve ovviamente identificarsi
colla storia della letteratura, quanto una storia delle l e g g i che hanno disci-
plinato i generi stessi.

È chiaro che un solido lavoro d’insieme può nascere solo sulla base di nu-
merosi ulteriori lavori monografici, sul tipo dei pochi segnalati qui sopra. Che la
presente breve trattazione sia solo uno schizzo non è cosa che, dopo quanto ho
detto all’inizio, abbia bisogno di ulteriore giustificazione.

2 Il quadro di Didimo – Proclo


Il panorama più ampio, e anche relativamente dettagliato, dei generi letterari
antichi, pur limitato a quelli poetici, ci viene offerto da Fozio nella sua Bibliote-
ca, dove, nel cod. 239 (318 b 21 ss.), riassume la Crestomazia di Proclo o almeno
una parte di essa. La principale distinzione è tra poesia narrativa, o meglio e-
spositiva (διηγηματικόν) e mimica (μιμητικόν): dicotomia, quindi, e lasciamo da
parte il rapporto fra la tricotomia platonica e la dicotomia aristotelica.17 Sotto la
prima categoria cadono l’epos, il giambo, l’elegia e la poesia melica; sotto la
seconda tutto il teatro, e cioè la tragedia, il dramma satiresco e la commedia.
Quello che richiama maggiormente l’attenzione di Proclo è la poesia melica,
particolarmente ricca di sottocategorie (πολυμερεστάτη), per la quale viene data
una distinzione in poesie religiose o dedicate agli dei (εἰς θεούς: inno, prosodio,
peana, ditirambo, nomos, adonidio, iobacco, iporchema) e poesie secolari o
dedicate agli uomini (εἰς ἀνθρώπους: encomio, epinicio, scolio, canto amoroso,
epitalamio, imeneo, sillo, treno, epicedio), mentre alcune composizioni vengo-
no considerate di tipo misto (εἰς θεοὺς καὶ ἀνθρώπους: partenio, dafneforico,
tripodeforico, oscoforico, invocazione augurale). Lasciamo qui da parte l’ultima
sottocategoria, quella dei componimenti chiamati ‘per situazioni occasionali’

||
17 Il problema è ancora aperto: v. i commenti di A. Gudeman, Berlin u. Leipzig 1934 e di D. W.
Lucas, Oxford 1968 ad Ar. a.p. 48 a 20 ss.
14 | Sezione 7: Critica letteraria

(τὰ εἰς τὰς προσπιπτούσας περιστάσεις), che sembrano essere al confine fra
forme di tipo letterario e forme ancora fedeli a modelli popolari. Fozio scrive il
suo riassunto nel IX secolo; Proclo è il neoplatonico del V secolo o, più proba-
bilmente, il grammatico del II. Certamente la dottrina che Proclo riporta è più
antica, e precisamente alessandrina. La distinzione fra poesia religiosa e secola-
re si trovava già in Platone (resp. 607 a ὕμνους θεοῖς καὶ ἐγκώμια τοῖς ἀγαθοῖς,
cf. legg. 822 b).18 Ma la fonte originaria di Proclo è sicuramente l’opera περὶ
λυρικῶν ποιητῶν di Didimo Calcentero, il grammatico alessandrino del I secolo
a.C. che raccoglie e sistema circa due secoli di ricerche filologiche. I parallelismi
fra Proclo e i pur scarsi frammenti di Didimo19 sono troppo forti: a parte corri-
spondenze terminologiche, c’è anche un impianto del tutto simile, e cioè per
ogni genere sono dati i principali rappresentanti e – quel che più c’interessa – le
caratteristiche salienti (soprattutto contenuto, stile, metro), messe in rilievo da
frequenti ‘distinguo’. La derivazione è confermata dai contatti che Proclo mo-
stra colla Vita Ambrosiana di Pindaro, anch’essa di buona fonte alessandrina, e
strettamente vicino è anche un passo di Polluce (4.52 ss.).20 Inutile ritracciare
qui una storia che ben si conosce e che oggi troviamo lucidamente esposta in
Pfeiffer. Tale impostazione del lavoro e tale ordinamento del materiale letterario
risultava del tutto naturale dopo l’opera dei primi grandi filologi alessandrini,
soprattutto Aristofane e Aristarco, che erano stati editori di testi e avevano fina-
lizzato le loro schematizzazioni prevalentemente a scopi editoriali: pensiamo ai
πίνακες callimachei, schedatura universale delle opere letterarie divise secondo
i generi,21 e ai cosiddetti canoni, ovvero elenchi di autori considerati classici
(πραττόμενοι, ἐγκριθέντες), divisi per categorie letterarie:22 epici giambografi
tragediografi commediografi elegiaci lirici, per la poesia; oratori–sofisti storici–
geografi grammatici medici filosofi, per la prosa; e presso i Romani, fino a Quin-
tiliano e oltre, ai canoni di autori greci, variamente tramandati, si affiancheran-
no quelli di autori latini.

Per quanto possa apparire deludente, il quadro trasmessoci da Proclo, e ri-


salente a Didimo, è il frammento più ampio, per estensione e completezza di
materiale, di un tipo d’indagine filologico–letteraria che potremo fin da ora

||
18 A. Severyns, Recherches sur la Chrestomathie de Proclos, II, Liège–Paris 1938 p. 114.
19 Didymi Chalcenteri … fragm. … coll. et disp. M. Schmidt, Leipzig 1854 p. 386ss.
20 Harvey, art. cit. p. 159; Färber, op. cit. I p. 18.
21 Pfeiffer, op. cit. p. 127ss., cf. pp. 152, 160, 181, 218.
22 O. Kroenert, Canonesne poetarum scriptorum artificum per antiquitatem fuerunt?, Diss. Koe-
nigsberg 1897; Pfeiffer, op. cit. p. 207, richiama giustamente il fatto che la parola ‘canone’ con
questo valore risale a Ruhnken (1768).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 15

chiamare d e s c r i t t i v a e che appare a suo luogo in epoca ellenistica,


un’epoca che tende a ‘tirar le somme’, a inventariare il patrimonio storico–
letterario, facilitata nella sua distaccata razionalistica freddezza dal fatto che
praticamente tutti i grandi generi letterari non sono ormai più forme vive, a
causa del mutato rapporto fra l’autore e il pubblico.23 La cosa più importante, in
questo momento storico, è avere una g u i d a p e r c o m p r e n d e r e le opere
del passato.

3 L’epoca arcaica: leggi non scritte, ma rispettate


Abbandoniamo adesso per un momento gli alessandrini, che chiaramente – da
quanto si è visto – scrivono le leggi, per poi tornare ad essi attraverso una ordi-
nata percursio cronologica. Domandiamoci prima di tutto: in epoca arcaica,
quando la disciplina dei generi è ancora legata ad esigenze vive, era verosimile
o anche soltanto possibile che ci fossero delle leggi scritte? In altre parole,
quando Pindaro componeva i suoi epinici, aveva davanti a sé un ‘manuale’ che
ne contenesse le regole essenziali? Nella Nemea IV (forse del 473) Pindaro sta
narrando le imprese di Telamone e a un certo punto s’interrompe (33s.) dicendo:
“il raccontare per esteso tutta la lunga storia mi è vietato e dalla l e g g e e dal
tempo che fugge” (τὰ μακρὰ δ᾽ ἐξενέπειν ἐρύκει με τ ε θ μ ό ς || ὧραί τ᾽
ἐπειγόμεναι). Le parole τεθμός e τέθμιος ricorrono anche altrove (Ol. 7.88, 13.29,
Isthm. 6.20, Pae. 6.57; importante è ritrovare τεθμός in Call. ia. 13 (fr. 203 Pf.).41,
il che conferma la sua qualità di termine tecnico della teoria letteraria). Che cosa
può essere il τεθμός se non la l e g g e d e l g e n e r e , e cioè in questo caso
dell’epinicio? E per legge si sa ormai che intendo l’incontro fra le richieste di un
committente, le esigenze di un pubblico e la autodisciplina dell’autore.
Nell’Istmica I viene detta press’a pocola stessa cosa (60ss.): “di raccontar tutto
… me lo vieta la breve misura dell’inno” (πάντα δ᾽ ἐξειπεῖν …||…|| … ἀφαιρεῖται
βραχὺ μέτρον ἔχων || ὕμνος).24 Del resto Pindaro, insieme con le frequenti ben

||
23 V., per il fatto in generale del rapporto col pubblico, G. Williams, op. cit. (n. 2), cap. II (The
Poet and the Community). A p. 35 la felice caratterizzazione del poeta alessandrino: “They took
the forms of poetry… and used them as moulds which could shape and even suggest their own
poetic ideas. In doing this, they treated the relationship to real occasions as part of the conven-
tion: so they composed hymns to the gods, without any idea of performing them, or they wrote
epitaphs, without any idea of inscribing them on a gravestone, or they wrote symposiastic
poetry, without having any real drinking–party in mind.”
24 Per questi passi pindarici v. C. M. Bowra, Pindar, Oxford 1964 p. 196; G. Norwood, Pindar,
Berkeley and Los Angeles 1956 p. 167. Anche nell’epica si può riconoscere coscienza di leggi
16 | Sezione 7: Critica letteraria

note allusioni al suo ‘mestiere’ e al modo come lo esercita in confronto cogli


altri, ha anche delle notazioni strutturali minute, come nell’Olimpica VI dove al
principio (1ss.), dopo la bella immagine architettonica che rappresenta
l’epinicio, afferma che l’inizio dev’essere “splendente da lontano” (ἀρχομένου δ᾽
ἔργου πρόσωπον || χρὴ θέμεν τηλαυγές).25 E non solo Pindaro coltivava molti
altri generi della poesia corale di cui ovviamente conosceva le leggi, ma nel
frammento di un treno (fr. 139 Sn.) ne fornisce addirittura un elenco, dandone
per di più alcune caratteristiche: peana, ditirambo, lino, imeneo, iàlemo.26 C’è
da credere che queste leggi fossero già scritte e che Pindaro lavorasse con un
manuale? Direi che questo è escluso proprio dal fatto delle frequenti riflessioni
sulla poesia e sulla tecnica che compaiono nelle composizioni poetiche e di lui e
di altri poeti,27 come se proprio le poesie fossero la sede più naturale (e certa-
mente unica!) in cui parlare di queste cose, coinvolgendosi anche in appassio-
nate polemiche personali. Nell’epoca arcaica i πρὸς τὸν δεῖνα – le opere polemi-
che che in epoca ellenistica saranno trattatelli in prosa – sono proprio i carmi.
D’altra parte, anche in mancanza di opere tecniche specifiche, tacere delle leggi
non si può: ogni opera che le ignori è condannata all’insuccesso, esse sono
l’espressione più chiara del legame col pubblico. E quale sia la parte più qualifi-
cata di questo pubblico abbiamo già visto: si tratta, in epoca arcaica, dei rap-
presentanti dell’alta cultura, della finanza, del potere politico. Una piccola oli-
garchia, a cui si contrappone una eletta schiera di artigiani del verso, educati
alla tecnica ed eletti a questo da nascita o da contatti coll’ambiente elevato. Da
chi hanno imparato Simonide, Pindaro, Bacchilide a scrivere epinici, e prima di
loro da chi aveva imparato Alcmane a scrivere parteni? Si è trattato sicuramente
di un ‘apprendistato di bottega’. Hanno imparato dai loro immediati predeces-
sori e contemporanei, dal contatto diretto coi loro committenti, magari assi-
stendo loro stessi alle feste, religiose e profane. Ce lo dice bene Bacchilide (Pae.
5.1 s.): “l’uno impara dall’altro, così in antico come oggi” (ἕτερος ἐξ ἑτέρου
σοφός || τό τε πάλαι τό τε νῦν). C’è qui una delle più belle affermazioni del sen-

||
compositive (l’ordine narrativo?): v. il κόσμος ἀοιδῆς o κ. ἐπέων in θ 489, Parmenide, Democri-
to (S. Koster, op. cit. pp. 5, 24). Interessante l’ipotesi di R. Di Donato, Ann. Sc. Norm. Pisa S. II 38
(1969) 267 n. 121: in θ 492 μετάβηθι indicherebbe una deviazione dall’“ordine normale dei
canti” (e sarebbe da mettere in relazione con α 10 ἁμόθεν).
25 T. B. L. Webster, CQ 33 (1939) 170.
26 Pindaro ha anche notazioni eurematologiche: fr. 70 b, 71, 125 Sn. (A. Kleingünther, Πρῶτοϛ
εὑρετής, Leipzig 1933 p. 136).
27 Fra i pochissimi frammenti che ci son rimasti di Pratina ce n’è uno (PMG 713. ii) in cui il
poeta faceva una chiara affermazione polemica di ordine morfologico–formale (le composizio-
ni di Xenodamo sarebbero state da considerarsi iporchemi, e non peani).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 17

so della tradizione, del legame ad un passato che non si rinnega,28 anche se


qualche volta questa tradizione è sentita come un peso, come nel famoso fram-
mento di Cherilo di Samo (fr. 1 Kinkel): “beato chi poetava in antico, ché era più
libero; ora tutto è regolato da ferree leggi”.29 Ma si tratta di recusationes compia-
ciute, dalle quali traspare l’orgoglio dello ζῆλος poetico.30Riportiamo parole di
van Groningen: “Ainsi s’accumulent petit à petit une foule d’observations de
détail transmises et précisées de génération en génération jusqu’à ce qu’à un
moment donné on les combine en un système”.31Né il poeta aveva bisogno di un
manuale n o r m a t i v o , come vedremo che parzialmente avverrà in seguito, né
il pubblico aveva bisogno di un manuale d e s c r i t t i v o , come abbiamo già
visto per l’età ellenistica: troppo legati sono gli uni e gli altri a un costume lette-
rario che deriva dalla vita stessa. Abbiamo qui ben più che un semplice argu-
mentum ex silentio dato dalla sola mancata sopravvivenza di fonti: avremmo
torto a considerar perduto quello che ogni verosimiglianza porta a considerare
come mai esistito.

Abbiamo parlato dell’arcaismo maturo. Ma in epoca più arcaica ancora, in


cui la regolamentazione dei generi appare ugualmente rigorosa, ancora più
improbabile è l’esistenza di manuali. Pensiamo al nomos citarodico di Terpan-

||
28 Secondo D. Pinte, AntClass 35 (1966) 459ss. Bacchilide (10.35–45) ci fornirebbe il primo
catalogo conservato di generi letterari che ambisca a una certa completezza: poesia lirica,
ovvero epinici; poesia religiosa; poesia erotica; didattica agricola e pastorale. Parole come
σοφός, ποικίλος e θυμὸν αὔξειν farebbero chiaro che c’era anche una gerarchia di valori.
29 Choeril. fr. 1 Kinkel:
ἆ μάκαρ, ὅστις ἔηνκεῖνονχρόνου ἴδρις ἀοιδῆς,
Μουσάων θεράπων, ὅτ᾽ ἀκήρατος ἦν ἔτι λειμών·
νῦν δ᾽ ὅτε πάντα δέδασται, ἔχουσι δὲ π ε ί ρ α τ α τέχναι,
ὕστατοι ὥστε δρόμου καταλειπόμεθʼ, οὐδέ πῃ ἔστι
πάντη παπταίνοντα νεοζυγὲς ἅρμα πελάσσαι.
Cf. l’atteggiamento, anch’esso di cosciente orgoglio, di Antiph. fr. 191 K., dove è detto che il
poeta tragico è più fortunato perché ha la strada segnata, mentre il comico deve ‘inventare’
tutto di suo.
30 L’esigenza di originalità, addirittura come richiesta di un pubblico, appare ai primordi della
letteratura greca: α 351 s.
τὴν γὰρ ἀοιδὴν μᾶλλον ἐπικλείουσ᾽ ἄνθρωποι
ἥ τις ἀκουόντεσσι νεωτάτη ἀμφιπέληται.
E i poeti arcaici introdurranno l’esigenza in prima persona, come Pratin. PMG 710 οὐ γᾶν
αὐλακισμέναν ἀρῶν, ἀλλ᾽ ἄσκαφον ματεύων.
31 B. A. van Groningen, La composition littéraire archaïque grecque, Leiden 21960 p. 22. Questo
libro è ricco di efficaci osservazioni sui generi e sul legame col pubblico (per es. pp. 22ss., 98,
388ss.; etc.).
18 | Sezione 7: Critica letteraria

dro, che nel VII secolo introduce a Sparta la prima ‘legge’ o κατάστασις musica-
le, e alle parti della composizione, rigidamente fissate: ἀρχά, μεταρχά,
κατατροπά, μετακατατροπά, ὀμφαλός, σφραγίς, ἐπίλογος.32 E anche il ditirambo
presenta fin da epoca arcaica una regolamentazione precisa:33 l’unica difficoltà
è qui la distinzione fra il ditirambo cultuale e quello letterario, ma è chiaro che il
secondo è in qualche modo legato al primo.

C’è però chi pensa che l’esistenza di manuali di tecnica letteraria sia da
considerarsi possibile, anzi probabile, almeno per la fine del periodo che stiamo
considerando.34 Laso di Ermìone, il maestro di Pindaro per la musica, avrebbe
scritto per primo un περὶ μουσικῆς λόγος (Suda s.v.), il che proverebbe
l’esistenza del genere manualistico, distinto dall’insegnamento orale e dalla
pratica diretta. Siamo di fronte a un manuale, non c’è dubbio,35 ma consideria-
mo che si tratta qui di un campo che dai greci stessi veniva ritenuto strettamen-
te legato alla scienza, e precisamente alla matematica (dai Pitagorici in poi, sia
pure in diversa misura) e che in ogni caso la musica presentava per gli antichi,
così come presenta per noi oggi, aspetti ben più – direi – prepotentemente tec-
nici che non la letteratura. Nel corso del V secolo c’è una ricca fioritura di ma-
nuali tecnici: quello di Policlèto sulla scultura, di Parrasio sulla pittura, di Aga-
tarco sulla scenografia, di Anassagora e di Democrito sulla prospettiva, di
Ippodamo di Mileto sulla costituzione politica e sull’urbanistica, di Metone sul
calendario.36 Senza contare il fatto che man mano, col nascere dell’interesse
storico e col raffinarsi della tecnica storiografica, sorge un nuovo tipo di ricerca
letteraria che possiamo definire s t o r i c a , per contrapporla a quelle che più
sopra abbiamo definite n o r m a t i v a e d e s c r i t t i v a . Nasce l’interesse per
lo stabilimento della cronologia, assoluta e relativa, e per il πρῶτος εὑρετής di
espedienti e forme.37 Giova qui ricordare la figura di quello che le fonti ci danno
come il primo storiografo della letteratura e della musica insieme, Glauco di
Reggio (V secolo), figura centrale e poco conosciuta.38 La lista potrebbe conti-

||
32 Proprio dalla morfologia del nomos, così evidentemente retta da regole, van Groningen (op.
cit. p. 22) evince l’antichità delle regole stesse in generale.
33 Harvey, art. cit. p. 173.
34 Di tal parere è per es. Webster, art. cit. p. 170s., che evince l’esistenza del manuale letterario
dall’esistenza del manuale musicale di Laso.
35 G. A. Privitera, Laso di Ermione, Roma 1965 p. 37s.
36 Webster, art. cit. p. 170s.; E. G. Turner, Athenian Books in the Fifth and Fourth Centuries B.C.,
London 1951 p. 18.
37 Kleingünther, op. cit. (n. 26) pp. 23s., 135ss.
38 G. L. Huxley, GRBS 9 (1968) 47ss.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 19

nuare con opere come i Καρνεονῖκαι di Ellanico, le notizie storico–letterarie


date da Erodoto (5.67, sulla tragedia) etc. Sembra chiaro che la riflessione sulla
letteratura si concreti all’inizio in opere storiche, e che se di manuale si vuol
parlare si dovrà parlare di manuale storico: per le opere normative e descrittive
dovrà passare ancora qualche tempo. Da una parte il tipo di ricerca storica
c’interessa qui di meno, in realtà solo per l’assegnazione più o meno estrinseca
e tradizionale delle varie figure di poeti a determinati generi (epici, lirici, giam-
bografi etc.); e dall’altra siamo ormai in pieno V secolo e stiamo così passando
all’epoca che chiameremo classica per contrapporla alla prima, l’arcaica, e alla
terza, l’ellenismo. Possiamo concludere la considerazione della prima asse-
gnandole la formula “ l e g g i n o n s c r i t t e , m a r i s p e t t a t e ” ; e pos-
siamo anticipare per la seconda la formula “ l e g g i s c r i t t e e r i s p e t t a -
te”.

4 L’epoca classica: leggi scritte e rispettate


La seconda epoca, che facciamo arrivare fino ad Aristotele, è per noi di partico-
lare interesse. Assistiamo a due fenomeni in stretta relazione fra loro. Alcuni
generi si estinguono, come la grande lirica corale (Pindaro muore intorno al 438
e nei suoi ultimi anni è ormai un sopravvissuto); altri nascono e raggiungono in
breve un ruolo di primo piano, come la tragedia, la storia, l’oratoria. L’epica è
sempre coltivata, naturalmente: ma le diverse reazioni di gusto di fronte a un
‘omerico’ come Antimaco fanno capire che essa non tiene più quel posto di
primo piano che aveva in precedenza; e del resto c’era stata la polemica dei
filosofi contro lo stesso Omero. Dall’altra parte assistiamo all’inizio, non subito
e non sempre sistematico, della ‘codificazione’ delle leggi. Che cosa poteva
contenere l’opera di Sofocle περὶ χοροῦ, di cui c’informa la Suda? Ci si dice che
era un’opera in prosa scritta contro Tespi e Cherilo, ma niente apprendiamo sul
suo contenuto. Era un’opera sulla tragedia in generale? Sofocle ci viene dato
dalle fonti biografiche come l’inventore di una serie di espedienti tecnici (il
terzo attore, quindici coreuti invece di dodici, scioglimento del singolo dramma
dalla tetralogia, ‘scenografia’), anche se per alcuni di essi ci sono dubbi sulla
veridicità delle fonti: c’era materiale comunque sufficiente per un lavoro sulla
tecnica teatrale. O si trattava solo di problemi tecnici del coro e delle parti liri-
che? E che senso preciso poteva avere la polemica? Più problematici ancora
sono alcuni passi delle Rane di Aristofane. Tutto Aristofane è ricco di notazioni
di critica letteraria, preziose per noi che cerchiamo di ricostruire il gusto del
pubblico dell’epoca. Ma alla nostra ricerca potrebbero interessare soprattutto
alcuni accenni, il cui significato non è stato ancora del tutto chiarito. In ran. 862
20 | Sezione 7: Critica letteraria

Euripide dà, come elementi costitutivi della tragedia, “le parti recitate, le parti
cantate, i nervi della tragedia” (τἄπη, τὰ μέλη, τὰ νεῦρα τῆς τραγῳδίας): c’è
sotto una schematizzazione teorica già formata delle parti del dramma? E, in
questo caso, che cosa sono τὰ νεῦρα τῆς τραγῳδίας? Il mito, l’intreccio narrati-
vo, oppure si tratta di un’apposizione ai due elementi precedenti? L’ultima ipo-
tesi è stata decisamente rifiutata da Eduard Fraenkel, che ha giustamente voluto
salvare il tricolon, e recentemente Carlo Ferdinando Russo, sulla base di impor-
tanti paralleli interni e di un passo di Erodoto (2.48) e uno di Platone (legg. 644
e), ha proposto d’interpretare τὰ νεῦρα … come “i fili della Tragedia”, i fili, cioè,
che fanno muovere i personaggi, immaginati come marionette (personaggi,
movimento scenico più regìa nel senso più ampio, cioè).39 Ma più di questo non
possiamo dire, anche se chiediamo aiuto al v. 1114, dove il coro incoraggia gli
spettatori a partecipare al giudizio che si deve dare dei due tragici: gli spettatori,
infatti, sarebbero competenti, perché “ciascuno, avendo il suo libro, è in grado
di capire il giusto” (βιβλίον τ᾽ ἔχων ἕκαστος μανθάνει τὰ δεξιά). Che cos’era
questo βιβλίον? Un manuale di poetica e di estetica, come alcuni credono,40
oppure ‘libri’ in generale, per significare che gli spettatori non sono degli anal-
fabeti? Oppure le opere di Eschilo e di Euripide (cf. v. 52s.), su cui gli spettatori
possono controllare quello che si dice sulla scena? La natura dell’allusione
aristofanea ci implicherebbe anche nel problema, che dalla Einleitung in die
griechische Tragödie di Wilamowitz ad oggi ha già una lunga storia, del libro nel
V secolo e della sua diffusione.41 Possiamo solo dire che l’esistenza di leggi scrit-
te è, a questo momento, per lo meno probabile. Per avere un sistema organizza-
to, che ci sia conservato, dovremo aspettare la fine del IV secolo colla Poetica di
Aristotele: ma sono proprio le frequenti allusioni polemiche di lui a dei prede-
cessori che ci pongono il problema dell’humus su cui il suo insegnamento è
nato.42 Si sa che nella Poetica si parla solo di epos e soprattutto di teatro: so-
stanzialmente ignorata è la lirica (ad eccezione di ditirambo e nomos), e mi pare

||
39 Ed. Fraenkel, Beobachtungen zu Aristophanes, Roma 1962 p. 173 n. 3; C. F. Russo, Aristofane
autore di teatro, Firenze 1962 p. 323ss. (e Greece & Rome 13 (1966) 9 n. 1).
40 M. Pohlenz, GGN 1920 p. 142ss. = Kl. Schr. II p. 436ss. pensava a un manuale di Gorgia come
fonte per la terminologia critico–letteraria delle Rane. Oggi l’ipotesi non trova fortuna (v. M.
Gelzer, RE, Suppl.–Bd. 12 (1971) col. 1491); ma Pohlenz stesso, Hermes 84 (1956) 72ss. = Kl. Schr.
II p. 585ss. si era in gran parte ricreduto.
41 Wilamowitz credeva di poter ricostruire già per il V secolo una civiltà editoriale simile alla
nostra; ma v., da ultimo, E. G. Turner, op.cit. (n. 36), spec. p. 16ss.; B. A. van Groningen, Mnem.
16 (1963) 1ss.
42 Sulle fonti della Poetica v. W. Kranz, Stasimon, Berlin 1933 p. 4ss. e il commento di Gude-
man, cit. p. 9ss.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 21

che il fatto sia significativo.43 La lirica è ormai morta da tempo nelle sue forme
originarie e Aristotele volge il suo interesse a generi che conservino un certo
grado di vitalità. Le sue intenzioni appaiono chiare, ed è questo che fa di lui un
anello fondamentale nello sviluppo degli studi: la sua opera (ed è gran perdita
quella del περὶ ποιητῶν e della sezione sulla commedia) vuol essere a mio pare-
re nello stesso tempo s t o r i c a, riallacciandosi all’interesse storico e antiqua-
rio risvegliatosi da almeno due secoli; d e s c r i t t i v a, per la illustrazione delle
fasi anteriori e per lo studio scientifico della fase vissuta; e infine n o r m a t i -
v a, volta a dirigere, cioè, la produzione ulteriore di generi che vengono sentiti
come ancora vivi, come appunto l’epos e il teatro, anche se sono vicini al loro
tramonto:44 ed è proprio la sentita necessità, o anche soltanto utilità di queste
norme che ci conferma quello che sappiamo per altra via, come cioè perfino la
tragedia stia soffrendo un calo di vitalità, stia diventando anch’essa una specie
di relitto.

È qui che diventa importante il problema a cui accennavamo in principio,


quello degli s c o p i delle trattazioni. Dovremmo essere in grado, specie da
questo momento in poi, di seguire due vie convergenti, i cui risultati
s’illuminerebbero a vicenda: da una parte mettere alla prova di un’indagine
esauriente la ‘resistenza’ dei vari generi nel gusto dei consumatori, e cioè valu-
tarne la vitalità; dall’altra riuscire a capire a quali finalità dovessero servire le
codificazioni corrispondenti ai vari generi. È chiaro che una impostazione de-

||
43 Ma non certo nel senso che si è voluto vedere da alcuni: per es. A. Rostagni, Arte poetica di
Orazio, Torino 1930 p. xli ss. pensa che la lirica mal si sarebbe prestata alla distinzione forma–
contenuto, facendo così di Aristotele un moderno influenzato dall’estetica idealistica! Direi che
l’accenno in 60 a 7 sulla ‘spersonalizzazione’ del poeta sia significativo: il parlare in prima
persona sarebbe la negazione della mimesi (qualcuno ha cercato di negare valore al passo,
affermando che non si parla di lirica: certo, si parla di epos, ma ugualmente importante è
l’esclusione della prima persona per l’epos!). La lirica interessa ad Aristotele solo per alcune
notazioni storiche: ditirambo e nomos (cap. I), a cui vanno aggiunti gli ψόγοι autoschediastici,
ὕμνοι, ἐγκώμια(48 b 27, cf. 23). La lirica era già diventata fatto letterario, elemento di remota
tradizione già nel corso del IV secolo (Wilamowitz, Textgeschichte der gr. Lyriker, Berlin 1900 p.
14 e n. 5, che cita Alex. fr. 135 K., dove, nella biblioteca, è assente la lirica).
44 Il rapporto di Aristotele colla prassi tragica del suo tempo (T. B. L. Webster, Hermes 82
(1954) 294ss.) è problematico, visto che di tale prassi conosciamo così poco. Per esempio, il suo
alto apprezzamento dell’Edipo re, che a suo tempo non aveva ricevuto il primo premio, deriva
sicuramente da un mutato atteggiamento di gusto. Buone notazioni sull’argomento in E. M.
Craik, CQ 20 (1970) 95ss. Notevole è, fra l’altro, il suo insistere sulle reazioni del pubblico tea-
trale: a.p. 49 a 8, 51 b 25s., 53 a 33ss. e tutto il cap. 26; pol. 42 a 18 ss. (cf. Plat. legg. 658 e); cf.
tale interesse anche in Hor. a.p. 98, 100, 153–5, 190, 223s., 225s. etc.
22 | Sezione 7: Critica letteraria

scrittiva si adatta ad un genere morto, mentre una normativa sarebbe in funzio-


ne di una pratica ancor viva, o che, nonostante tutto, si vuole mantenere ancora
in vita. Abbiamo visto che in epoca arcaica la viva prassi non richiedeva alcun
sussidio normativo, dato il particolare rapporto fra autore e pubblico; e che nel
IV secolo la nascita di un sistema normativo per la tragedia coincide colla sua
decadenza (certo la si voleva tenere in vita, come elemento tradizionale di una
polis per rifiutare la cui decadenza non era sicuramente necessario appartenere
a circoli reazionari a oltranza).45 Ma in questo momento ci si presenta un siste-
ma chiaramente normativo, precettistico per almeno un genere vivo, anzi addi-
rittura sorto da poco e già in pieno fiore: l ’ o r a t o r i a. Non dimentichiamo che
nell’epoca che stiamo considerando, la seconda, è in atto un profondo rivolgi-
mento nella situazione storico–sociale. Il nostro orizzonte è ristretto adesso
praticamente alla sola Atene, ma questo ci permette di andare più in profondità,
data la ricchezza della documentazione che abbiamo. La polis ateniese, dal suo
sorgere fino alla crisi che si manifesta alle soglie dell’età ellenistica, ci mostra
una partecipazione di pubblico che mai era stata così compatta e soprattutto
così estesa, e la tragedia del V secolo ne era stata tipica espressione. Ma è solo
nel IV secolo che l’oratoria arriva al massimo di successo e di diffusione. La
sofistica aveva fatto della cultura un bene acquistabile e fruibile da tutti: essa
era diventata un indispensabile bene di consumo e l’oratoria ne diventava il
veicolo più importante, colla ricchezza delle sue forme. Penso soprattutto
all’oratoria politica e a quella giudiziaria: l’homo novus che si dava alla politica
e il cittadino comune che esercitava il mestiere dell’avvocato o che, nella molte-
plicità dei rapporti giuridici che nascevano da una società in espansione com-
merciale, aveva bisogno di assistenza legale, non erano più nelle condizioni
degli arcaici, che producevano in pochi per un pubblico omogeneo sempre, ma
più ristretto. La formazione di una t e c n i c a diventa adesso fatto di tutti, si
devono trovare urgentemente altre vie, più veloci, a tutti aperte. Isocrate aveva
inaugurato la sua scuola di retorica nei primi anni del IV secolo, ma il suo si-
stema non sembra fosse ancora definito in un trattato: resta ancora affidato
all’insegnamento vivo, e il tono didattico compare qua e là nelle sue orazioni.46

||
45 Viene in mente Augusto col suo programma politico–letterario di restaurazione del teatro
latino, cosi come lo vediamo trasparire in Orazio (A. La Penna, Orazio e l’ideologia del principa-
to, Torino 1963 p. 154ss. (1950), anche se la situazione era politicamente ben diversa.
46 Da alcune testimonianze che parlano di τέχνη ο τέχναι (L. Radermacher, Artium scriptores,
Wien 1951 p. 153ss.) si è voluto credere che esistesse una Retorica isocratea. F. Solmsen, Die
Entwicklung der aristotelischen Logik u. Rhetorik, Berlin 1929 p. 204ss. (v. anche 215 n. 1) ritene-
va che la polemica aristotelica all’inizio della Retorica (οἱ τὰς τέχνας τῶν λόγων συντιθέντες)
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 23

Ebbene, a soddisfare un bisogno universalmente sentito vengono i ‘codici’ del


nuovo genere, le τέχναι ῥητορικαί o Arti retoriche, che, in diversa misura siste-
matizzate, sono già dei sofisti: ma i campioni più antichi a noi conservati com-
pleti sono la Rhetorica ad Alexandrum e la Retorica aristotelica.47 Specie
quest’ultima si presenta, nell’impianto e nelle formulazioni, n o r m a t i v a
quant’altra opera mai, e precisamente per un g e n e r e v i v o e in pieno fiore.
La necessità della divulgazione è solennemente affermata da Aristotele fin
dall’inizio, e viene fatta derivare dalla stessa generale u t i l i t à per t u t t i i
cittadini: … π ά ν τ ε ς τρόπον τινὰ μετέχουσιν ἀμφοῖν [scil. dialettica e retori-
ca]. π ά ν τ ε ς γὰρ μέχρι τινὸς καὶ ἐξετάζειν καὶ ὑπέχειν λόγον καὶ ἀπολογεῖσθαι
καὶ κατηγορεῖν ἐγχειροῦσιν (54 a 4 ss.). È il quadro della nuova società, come
l’abbiamo delineato sopra! E poi: “alcuni fanno questo a casaccio, altri fondan-
dosi su una disposizione e una pratica; ma tanto vale αὐτὰ καὶ ὁ δ ῷ ποιεῖν”
(ibid. 6 ss.; cf., poco più oltre, τέχνης ἔργον εἶναι; e cf., per la dialettica, top. 101
a 25ss.). Nell’Atene del IV secolo serve ormai un manuale che sia a disposizione
dei moltissimi, che sono poi la totalità dei cittadini, che devono imparare a par-
lare in pubblico. Le Retoriche sono i primi veri e propri manuali divulgativi.48

È questa un’epoca, come si è detto, in cui molti generi nascono. Siamo in un


momento in cui salgono le azioni della prosa, e per molti generi si tratta di una
specie di ‘traduzione’ dalla poesia alla prosa. Non sappiamo quale grado di
organizzazione sistematica avessero, altrove, gli sparsi accenni che troviamo in

||
fosse rivolta proprio contro il manuale di Isocrate. Ma tali ipotesi sembrano tutte da scartare, v.
Münscher, RE 9.2 (1916) col. 2224; W. Kroll, RE Suppl.–Bd. 7 (1940) col. 1049.
47 La Rh. ad Alex, fu per lungo tempo creduta aristotelica, ma oggi la si attribuisce per lo più ad
Anassimene di Lampsaco e la si colloca poco dopo la metà del IV secolo. Quanto a precedenti
manualistici, le polemiche dell’inizio della Retorica aristotelica (e ricordiamo anche Plat. Pha-
edr. 266 d τὰ ἐν τοῖς βιβλίοις τοῖς περὶ λόγων τέχνης γεγραμμένοις) ci documentano una ricca
fioritura del genere, che Aristotele stesso aveva studiato nella sua τεχνῶν συναγωγή, fr. 136ss.
Rose (O. Navarre, Essai sur la Rhétorique grecque avant Aristote, Thèse Paris 1900, spec. p.
255ss.: Trasimaco, Teodoro di Bisanzio, Lisia, Iseo, Callippo, Anassimene). Importante per la
formazione di Aristotele l’opera di Teodette di Faselide, di cui egli stesso avrebbe fatto una
συναγωγή, fr. 125ss. Rose. In A. Burckhardt, Spuren der athenischen Volksrede in der alten
Komödie, Diss. Basel 1924 vengono ipotizzate, già per la fine del V secolo, raccolte di Rede–
Anfänge (προοίμια) e Rede–Schlüsse (ἐπίλογοι), redatte per Lehrzwecke.
48 Il Prof. A. Momigliano mi fece osservare che questi manuali potevano essere anche destinati
a maestri di retorica, il che è del tutto possibile, anzi probabile, anche se non documentabile, a
causa del poco che sappiamo della scuola del V e del IV secolo. Ma il fatto non cambierebbe la
natura sostanzialmente ‘mediata’ del contatto fra autore e pubblico.
24 | Sezione 7: Critica letteraria

Isocrate: nell’Evagora (9–11) si parla dell’elogio in prosa di un contemporaneo,49


nel περὶ τῆς ἀντιδώσεως (45s.) della storia letteraria, della storia politica e di
nuovo dell’ ἔπαιvoς celebrativo (λόγους … Ἑλληνικοὺς καὶ πολιτικοὺς καὶ
πανηγυρικούς); notevole che dichiari espressamente questi λόγους come
ὁμοιοτέρους … τοῖς μετὰ μουσικῆς καὶ ῥυθμῶν πεποιημένοις, come eredi, cioè, e
quasi nuova versione della grande lirica del passato.

Se vogliamo in questo periodo tracce d’interesse teorico per la lirica, oltre


che per epos tragedia commedia, dobbiamo cercarne sparsi accenni in Plato-
ne.50 Abbiamo già visto come la distinzione fra lirica religiosa e secolare, sicu-
ramente anteriore a lui, sopravviva in Didimo–Proclo. Interessante notare che,
parlando di generi lirici, come in legg. 700 b ss., prenda occasione alla determi-
nazione di caratteristiche dei generi da una misoneistica reazione di fronte agli
arbitri dei contemporanei, che mescolano un genere all’altro (πάντα εἰς πάντα
συνάγοντες) ignorando le severe prescrizioni che la tradizione ha fissate per la
musica. Anche qui Platone è intellettualista, antistorico e conservatore e il suo
si direbbe un atteggiamento di precettistica ovvero n o r m a t i v i t à p e s s i -
m i s t i c a .51

Quello che importa ormai mettere in rilievo è che in questa seconda epoca le
leggi sono r i s p e t t a t e, come già nella prima, e che, diversamente dalla pri-
ma, tendono a fissarsi p e r i s c r i t t o, pur con variabile grado di sistematicità.
Tale tendenza si svilupperà nell’epoca successiva: ma è fin da adesso che la
riflessione sulla poesia e sulle sue forme passa dalla penna del poeta a quella
del teorico puro.

||
49 Già i sofisti praticavano tale forma prosastica, ma non solo per i contemporanei, come
notava Platone (symp. 177 b).
50 La tripartizione della poesia in μίμησις, διήγησις e δι᾽ ἀμφοτέρων è in resp. 393 b ss. Sui
generi letterari e l’atteggiamento conservatore di Platone v. p. Vicaire, Platon critique littéraire,
Paris 1960 p. 236ss. Harvey, art. cit. p. 159 n. 3 ricorda che la distinzione fra lirica monodica e
corale è moderna e deriverebbe, senza reale fondamento, da Plat. legg. 764 d–e (v. anche Fär-
ber, op. cit. I p. 16s. e n. 1, che riporta anche Poll. 4.52 μέλη χορικά). È chiaro che Platone parte,
come si vede dal contesto, da esigenze pratiche: diversa è la formazione del solista e
l’istruzione di un coro!
51 V. anche legg. 701 a colla sua avversione per la θεατροκρατία τις πονηρά. Interessante in Ion
534 c l’assegnazione ‘personale’ di vari generi a seconda dei vari tipi d’ispirazione della musa.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 25

5 L’epoca alessandrina: la documentazione


La terminologia di Platone, e quella che egli rispecchia, sono in più d’un parti-
colare diverse da quella degli alessandrini, e fanno intravedere differenze anche
di sostanza nella considerazione dei generi.52 Ed eccoci così di nuovo alla terza
epoca, l’epoca dominata dalla filologia dei grammatici. Il fatto che essi siano
spesso anche poeti dà un valore speciale alla loro attività teorica: l’inventario
del patrimonio tradizionale è fatto con pietas di epigoni devoti. Ma i vecchi ge-
neri sono morti, la società è di nuovo cambiata: non più i p o c h i legati da un
vincolo sociale determinato (le società arcaiche), non più i m o l t i integrati in
un vasto contesto politico–sociale (la polis), bensì i p o c h i s s i m i legati da
una tecnica che diventa un mestiere, la filologia, e da una passione, la poesia in
un senso più moderno e vicino a noi. In altre parole: la letteratura è ‘consumata’
da quelli stessi che la producono. È questa un’epoca di leggi universalmente
scritte e lo scopo che più salta agli occhi è quello della d e s c r i z i o n e . Gli
antichi vanno capiti, prima di poterne curare l’edizione, e se ne descrivono le
strutture. Eccessivo appare l’atteggiamento di Pfeiffer (History, cit. p. 183),
quando afferma che “indeed the whole classification of lyric poems was deter-
mined by the needs of the editor, not by any older tradition of poetical theory or
artistic practice”. Sembra quasi una giustificazione per aver tralasciato, come
dicevamo all’inizio, il nostro tema. Direi, invece, che il criterio classificatorio
(non certo improvvisato) e le necessità editoriali dovevano coincidere. Le suddi-
visioni, fra autore ed autore per assegnarli alle diverse categorie e interne ad
essi per distinguere i vari generi (edizione di Pindaro) o i vari metri (edizione di
Saffo), dovevano pur rispondere a un’idea delle forme che i filologi alessandrini
si fossero fatta: e strano sembrerebbe un atteggiamento volutamente arbitrario,
quando ben più naturale dovrebbe apparire un’adesione il più possibile fedele
ad una tradizione storico–critica solida ed estesa come quella che abbiamo
cercato di delineare qui sopra. Che poi tale adesione non riuscisse perfetta,
come abbiamo richiamato a proposito della terminologia, sarà dovuto ad in-
comprensioni e a catacresi del tutto episodiche, di cui talvolta sono addirittura
identificabili l’origine e il cammino.53 Non c’è dubbio: anche nel campo della
critica letteraria una tradizione si è già formata ed essa viene rispettata, come
ovvio corollario del rispetto della tradizione letteraria. Fin dall’inizio dell’epoca

||
52 L’aver messo in luce questo fatto è merito non piccolo di Harvey, art. cit. (v. n. successiva).
53 Penso, per es., alla questione di ‘scolio’ ed ‘encomio’ com’è chiaramente esposta in Harvey,
art. cit. p. 162ss.: progressiva restrizione del senso di ‘scolio’ e necessità, sentita più tardi, di
un’altra designazione, ‘encomio’.
26 | Sezione 7: Critica letteraria

di cui ci occupiamo, e quindi più di due secoli prima dell’opera di Didimo, nu-
merosi sono i segni del costituirsi di una koiné critico–letteraria, avviata dalle
prime grandi personalità di poeti–filologi, nella quale non c’è posto per innova-
zioni autoschediastiche. La critica letteraria di cui stiamo per trattare si riattacca
tutta più o meno direttamente ad Aristotele, né si vede soluzione di continuità
in fatto di metodi e di procedimenti.

È bene ripetere che la prima esigenza, come premessa all’attività editoriale


‘a tappeto’ (Aristofane di Bisanzio), fu proprio quella della classificazione, che è
poi la forma più elementare della descrizione (i πίνακες di Callimaco). Senza
dubbio una funzione di primo piano fu svolta dal primo allievo di Aristotele, da
Teofrasto, ma dei suoi due περὶ ποιητικῆς e del suo περὶ κωμῳδίας non siamo in
grado di dir nulla.54 La scuola aristotelica s’interessò attivamente alla storia
letteraria,55 e questo fu di gran peso per tutta la filologia alessandrina, pur se
una parte di essa si pose in atteggiamento di polemica nei confronti del Peripa-
to.56 Non ci è comunque in alcun modo chiaro quale delle diverse impostazioni
della Poetica aristotelica dominasse le varie opere di critica, di cui spesso ci
sono tramandati soltanto i titoli: ricorderemo il περὶ ποιητικῆς καὶ τῶν ποιητῶν
di Eraclide Pontico (fr. 166 Wehrli), il περὶ σατύρων di Cameleonte (fr. 37 We-
hrli), il περὶ ποιημάτων e il περὶ ποιητῶν di Prassifane, scolaro di Teofrasto (frr.
11–17 Wehrli), il περὶ ἰαμβοποιῶν di Lisania di Cirene, maestro di Eratostene
(Pfeiffer pp. 146 n. 1, 153 e n. 3), il περὶ μελοποιῶν di Euforione ed Istro, di poco
anteriori ad Aristofane (Pfeiffer p. 183). Inutile continuare qui ad elencare nomi
e titoli, visto che questi ultimi si ripetono: basta pensare che tutta questa dottri-
na si riversa nell’opera di Didimo, dal quale il nostro panorama era comincia-
to.57 Né è il caso di occuparsi qui dei filoni di critica che si occupano di ποίημα,
ποίησις e ποιητής, così come li vediamo rispecchiati nell’Arte poetica di Orazio,
e ugualmente lasciamo da parte considerazioni su correnti stoiche ed epicuree:
è che, tra i molti temi dell’estetica antica, c’interessa qui solo quello delle leggi
dei generi.

||
54 O. Regenbogen, RE, Suppl.–Bd. 7 (1940) col. 1532.
55 Un panorama degli scarsi resti della letteratura critica dei peripatetici, con riguardo alla
distinzione dei generi, in S. Koster, op. cit. p. 85 n. 1.
56 V. per es. Pfeiffer, History, cit. p. 136ss. (Callimaco).
57 Un elenco, incompleto ma utile, di opere di critica letteraria fra Glauco di Reggio (sec.V a. C.)
e Didimo in M. Schmidt, Didymi … fragm., cit. p. 386s. Su Didimo v. l’ultimo capitolo della
History di Pfeiffer.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 27

Fra le opere dei critici, sarebbe per noi utile poter distinguere fra trattazioni
descrittive e trattazioni storiche: questo è praticamente sempre disagevole, vista
la scarsità o addirittura la mancanza dei frammenti, ma che il primo tipo, quello
descrittivo, esistesse ed avesse notevole diffusione è certo per numerosi indizi.
Interessante, per esempio, la vicenda dei termini μελικός e λυρικός così com’è
delineata da Färber: il primo sarebbe usuale nella Kunsttheorie, l’altro nella
storia secondo Dichterpersönlichkeiten.58 È, per di più, significativo per una
classificazione per generi il fiorire fra i grammatici alessandrini di una letteratu-
ra come quella sulla λέξις κωμική, e cioè ricerche su lessico proprio di un genere
determinato: a tal tipo di studi aveva dato inizio già Aristotele nella sua Poetica,
quando indicava i nomi composti come tipici del ditirambo (59 a 9, cf. rhet. 1404
a 33, 05 b 35, 06 b 1),59 le ‘glosse’ come tipiche dell’epica (59 a 9 s., 61 a 10, cf.
rhet. 04 b 23, 06 b 3), la metafora come tipica del giambo (59 a 10) e
dell’esametro (59 b 36). Anche qui fioriva sicuramente tutta una letteratura volta
a chiarire nello stesso tempo, come accadeva nella Poetica, origini e strutture,
che dalla perduta trattazione aristotelica (forse conservata parzialmente nel
Tractatus Coislinianus) arriva fino ai tardi περὶ κωμῳδίας dei bizantini.60 Le
stesse Antologie epigrammatiche, che cominciano già nel III secolo,61 presup-
pongono un’attività classificatoria. È strano che da alcuni si sia voluta diminui-
re l’importanza di una figura, che certo fu centrale, come Apollonio ὁ
εἰδογράφος, e cioè ‘il classificatore per generi’, bibliotecario dopo Aristofane:62
si è voluta limitare la sua attività ad una sistemazione delle odi meliche divise
per ‘armonie’ musicali (dorica, frigia, lidia etc.), secondo una testimonianza

||
58 Färber, op.cit. I p. 7ss., spec. 11; ripresa da Pfeiffer, History, cit. p. 182s., v. n. 4. Sulla storia
letteraria secondo personalità poetiche, e cioè del tipo περὶ τοῦ δεῖνα, v. Pfeiffer, History, cit.
pp. 146, 216s., 222, 239, 259, 264, 275 (il lemma manca nell’Index).
59 Interessante a questo proposito il Pap. Hibeh 172, che ha solo epiteti composti (Pfeiffer,
History, cit. p. 92 n. 1): forse parte delle ἄτακτοι γλῶσσαι di Filita? Fondamentale l’attività
lessicografica di Aristofane di Bisanzio, con distinzione dell’uso epico, lirico, drammatico, per
di più con interessi dialettali (Pfeiffer, History, cit. p. 201). Per tutte queste categorie della Poeti-
ca cf. rhet. III.2.
60 Dalla Retorica e dalle Etiche aristoteliche, così come da Teofrasto (Caratteri), discende
anche la teoria antica sulla cosiddetta commedia di mezzo (che è distinzione molto posteriore
ad Aristotele) e sulla commedia nuova: utile il panorama di F. Wehrli, Motivstudien zur griechi-
schen Komödie, Zürich u. Leipzig 1936, passim e spec. p. 12ss.
61 F. Lasserre, RhM 102 (1959) 222ss. (sul p. Brit. Mus. Inv. 589).
62 Pfeiffer, History, cit. p. 184.
28 | Sezione 7: Critica letteraria

dell’Etymologicum Magnum.63 Ma gli scoli a Pindaro (ad Pyth. 2, inscr., p. 31.8ss.


Drachm.) ci informano che prese posizione per la classificazione della Pitica II
(ne sosteneva la natura di ode pitica, nel quadro di una accesa polemica critica);
e d’altra parte, posto che assegnasse ‘etichette’ musicali, strettamente regolate
dalla dottrina dell’ethos musicale, non avrebbe potuto farlo se non avesse pre-
ventivamente stabilito la natura, e cioè il genere, delle composizioni. Insomma,
siamo di fronte a una ingente operosità classificatoria, che arriverà fino all’
ὀνοματολόγος di Esichio Illoustrios di Mileto (VI secolo) e, attraverso lui, fino
alla Suda.

Le caratteristiche dei generi dovevano essere descritte, direi, capillarmente,


come si vede da Didimo–Proclo e dagli altri resti sopravvissuti al naufragio di
questa classificazione. Chi ha pratica di scoli ricorderà quante volte, per esem-
pio, negli scoli teocritei si parla di ethos del dialetto dorico (suono degli alpha
etc.), considerato particolarmente adatto a creare l’atmosfera bucolica (e non è
certo qui il caso di additare la goffaggine di simili procedimenti critici). Ogni
genere dovrà anche avere un suo determinato tipo di dizione, di ἀνάγνωσις,
come ci prescrive Dionisio Trace (p. 6.8ss. Uhlig): “la tragedia va resa in tono
eroico, la commedia col tono di tutti i giorni, l’elegia flebilmente, l’epos in tono
sostenuto, la poesia lirica con intonazione musicale, i lamenti in modo abban-
donato e gemebondo” (… ἵνα τὴν μὲν τραγῳδίαν ἡρωϊκῶς ἀ ν α γ ν ῶ μ ε ν , τὴν
δὲ κωμῳδίαν βιωτικῶς, τὰ δὲ ἐλεγεῖα λιγυρῶς, τὸ δὲ ἔπος εὐτόνως, τὴν δὲ
λυρικὴν ποίησιν ἐμμελῶς, τοὺς δὲ οἴκτους ὑφειμένως καὶ γοερῶς). Perfino la
velocità di lettura, il tempo di dizione (ἀγωγή) va regolato a seconda del gene-
re.64 Da questi pochi cenni si vede quanto utile sarebbe una raccolta di testimo-
nianze in questo senso prese da grammatici, da scoliasti, da lessicografi, da
retori anche tardi.65 Ci sarebbe da estrarre una immensa quantità di materiale
anonimo, veicolo però di una tradizione cosciente di sé e tenace. Non è da e-

||
63 Etym. M. 295.53ss. εἰδογράφος· Ἀπολλώνιος εἰδογράφος, ἐπειδὴ εὐφυὴς ὢν ἐν τῇ βιβλιοθήκῃ
τ ὰ ε ἴ δ η τ o ῖ ς ε ἴ δ ε σ ι ἐ π έ ν ε ι μ ε ν . τὰς γὰρ δοκούσας τῶν ᾠδῶν Δώριον μέλος ἔχειν
ἐπὶ τ ὸ α ὐ τ ὸ [scil. ε ἶ δ ο ϛ ] συνῆγε, καὶ Φρυγίας καὶ Λυδίαϛ, μιξολυδιστὶ καὶ ἰαστί.
64 Vorrei rimandare qui al mio Metrica e critica stilistica, Roma 1963 pp. 86s., 88ss.
65 La bibliografia esistente in questo campo non è abbondante. Ne dò qualche voce: G. Leh-
nert, De scholiis ad Homerum rhetoricis, Diss. Leipzig 1896; R. Griesinger, Die ästhetischen
Anschauungen der alten Homererklärer…, Diss. Tübingen 1907; M. L. Von Franz, Die ästheti-
schen Anschauungen der Ilias–Scholien, Diss. Zürich 1945; A. Trendelenburg, Grammaticorum
Graecorum de arte tragica iudiciorum reliquiae, Bonn 1867; W. Eggerking, De Graeca artis tragi-
cae doctrina, imprimis de affectibus tragicis, Diss. Berlin 1912; etc. Prezioso è l’indice grammati-
co–retorico agli scoli all’Iliade di J. Baar (Baden–Baden 1961).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 29

scludere che una simile raccolta ci aiuti a ricostruire qualcosa dei preziosi ma-
nuali perduti di quest’epoca.66 Sarebbe comunque una grossa impresa, superio-
re alle forze di un singolo.

A chi obiettasse che troppi sono i generi letterari di cui qui non si fa parola,
si potrebbe rispondere non solo invocando i limiti della presente trattazione, ma
ricordando anche che molti sono i generi le cui regole ci sono note solo attraver-
so le opere stesse: ma certo la teorizzazione doveva essere molto estesa. Occorre
fare comunque attenzione a non dare dignità di genere indipendente a quello
che gli antichi sentivano non più che come una sottospecie di un genere più
ampio: è quello che accade per l’epica didascalica, sentita sempre come una
sottospecie della più ampia categoria dell’epos.67 Ma è chiaro di quanta utilità
sarebbe per noi il poter rispondere, naturalmente solo per la seconda e la terza
epoca, alla seguente domanda: quando il tale autore si mette al lavoro, oltre alla
tradizione letteraria del genere nel quale si accinge a comporre, ha di fronte a sé
anche una letteratura teorico–critica sull’argomento? E quale influenza può
quest’ultima avere esercitato su di lui? È quello che, necessariamente solo per
sommi capi, ci proporremo fra poco di stabilire per un autore come Teocrito.

Fondandoci sulla costituzione di una t e r m i n o l o g i a , possiamo chie-


derci come veniva designato il concetto di genere letterario.68 Un termine soli-
damente affermato, pur con qualche sfumatura, sembra essere εἶδος, come si

||
66 Spunti utilissimi in tal senso verrebbero da M. Fuhrmann, Das systematische Lehrbuch,
Göttingen 1960, che fa notare la persistenza, attraverso i secoli, di schemi e procedimenti nella
compilazione dei manuali.
67 W. Kroll, RE 12.2 (1925) col. 1842ss.; Koster, op. cit., passim e spec. p. 124ss.: c’è piuttosto da
vedervi una differenziazione stilistica, come γένος λεπτόν rispetto ad Omero, e fu certo questo
che impose Esiodo come modello agli alessandrini ‘callimachei’ (E. Reitzenstein, in Festschr. R.
Reitzenstein, Leipzig u. Berlin 1931 p. 41ss., sulla base di Call, epigr. 27 Pf.). Lo stesso sembra
avvenire per la poesia bucolica (v., oltre Koster, Th. G. Rosenmeyer, The Green Cabinet, Berke-
ley and Los Angeles 1969 p. 14s.) e per l’epillio (W. Alien jr, TAPA 71 (1940) 1ss. ne nega anche
l’esistenza come sottospecie dotata di caratteri distintivi – a torto, direi; J. F. Reilly, ClassJourn
49 (1953–54) 111ss. rintraccia il primo apparire della parola ‘epillio’ nel nostro significato stori-
co–letterario in un lavoro di Moriz Haupt del 1854). Un problema a parte rappresenta, com’è
noto, l’elegia. Può qui interessare che la parodia era stata studiata, evidentemente come genere
a sé, da Polemone d’Ilio, che ne faceva risalire l’origine a Ipponatte (Pfeiffer, History, cit. p.
249). Trascuriamo qui generi, pur teorizzati, come l’epistola etc., per rimanere nei limiti che ci
siamo proposti.
68 Devo l’introduzione di questa sezione terminologica a un’osservazione del Prof. E. G. Tur-
ner. I lessici mi sono stati di scarso aiuto e il materiale è tutt’altro che completo.
30 | Sezione 7: Critica letteraria

vede per es. da Plat. legg. 700 b ss. (εἴδη μουσικῆς, εἶδος ᾠδῆς, μέλους); Ar. a.p.,
init. (περὶ ποιητικῆς αὐτῆς τε καὶ τῶν εἰδῶν αὐτῆς…, anche se poi la parola
prende altri valori): Procl. chrest. ap. Phot. bibl. p. 320 a 7, 21 (εἴδη τῆς μελικῆς,
εἶδος ᾠδῆς; cf. 15): Etym. M. 295.53ss. (è la testimonianza su Apollonio
εἰδογράφος, v. n. 63): Men. Rhet. p.331.1s. Sp. (εἴδη ῥητορικῆς). In Athen. 619 ab
addirittura la poesia bucolica è chiamata εἶδος. Nota è poi la storia del termine
εἰδύλλιον, nato da εἶδος = ‘composizione poetica’ presso gli scoliasti alessan-
drini (e va ricordato che già in Isocr. 15.74 εἶδος vale ‘composizione oratoria’, e
cioè ‘orazione’). Che anche γ έ ν ο ς veniva usato in maniera pressoché sino-
nimica ci è chiaro da Ar. rhet. 58 a 33, 36 (cf. Procl. chrest. ap. Phot. bibl. p.321 a
34, accanto all’uso di εἶδος, v. sopra); e v. anche Ps. Plut. mus. 1134 c (γένος τῆς
ποιήσεως). Qualcosa di mezzo fra ‘genere’ ovvero ‘tipo’, ‘tema’, ‘stile’ esprime
ἰδέα (Ar. ran. 384, Isocr. 2.48, cf. il titolo stesso, περὶ ἰδεῶν, di Ermogene; v.
Ernesti s.v. εἴδη); il più vicino al valore ‘genere letterario’ è Ar. a.p. 49 b 8 ἡ
ἰαμβικὴ ἰδέα.69 In Antiph. fr. 191 K. sembra che tale valore venga alla parola
π ο ί η μ α (μακάριόν ἐστιν ἡ τραγῳδία || ποίημα κατὰ πάντ᾽ …). È bene lasciar da
parte τ ρ ό π ο ς , che coinvolge un ben chiaro valore musicale, alle volte diffi-
cilmente distinguibile dallo ‘stile’ letterario, legati come sono tutti e due i valori
al genere letterario stesso.70

6 L’epoca alessandrina: leggi scritte e non rispettate (I poeti e


la ‘normatività a rovescio’)
Ma presso gli alessandrini filologia e poesia sono strettamente unite, ed è venu-
to il momento di chiederci in qual modo la così rigorosa descrizione di una lette-
ratura per gran parte ormai morta possa i n f l u e n z a r e le forme spesso nuo-
ve che si vengono creando. Si tratterebbe di un effetto che va al di là degli scopi
immediati delle trattazioni. In altre parole: il codice letterario, che nasce con
funzione prevalentemente d e s c r i t t i v a , ha anche una sua funzione norma-
tiva implicita? Direi di sì, anche se qui, per buona parte degli alessandrini, par-
lerei di una vera e propria ‘ n o r m a t i v i t à a r o v e s c i o ’ , ovvero negativa.
L’epoca ellenistica è l’ultimo momento di quello che è un miracolo costante
lungo tutto il corso della letteratura greca, e cioè la capacità di innovare conser-

||
69 Il significato di ‘stile’, o genericamente ‘tipo di…’, è attestato anche per εἶδος (Isocr. 13.17,
Rhet. ad Alex. 41 b 9) e per γένος (Ar. ran. 946s. τὸ γένος … τοῦ δράματος).
70 V. per es., su τραγικὸς τρόπος, Suda s.v. Ἀρίων, A. W. Pickard–Cambridge, Dith. Trag. Com.,
Oxford 21962 p. 99.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 31

vando singolarmente integri gli elementi tradizionali. Questa terza epoca scrive
le leggi, sì, ma per violarle. Sembra quasi che l’analisi accurata dei generi clas-
sici venga fatta apposta per violarne meglio le leggi. Vorrei caratterizzare
quest’epoca colla formula “ l e g g i s c r i t t e e n o n r i s p e t t a t e ” . Ed è
proprio come annunciavamo in principio: in questa voluta contrapposizione di
fronte ad una tradizione secolare emerge un rispetto e una pietas per la tradi-
zione stessa. Ci sarà solo da notare che il procedimento è di natura estremamen-
te intellettualistica: il lavoro di ‘smontaggio’, operato dalla teoria (reso agevole,
cioè, dalla accurata descrizione), è seguito nella prassi degli autori da un com-
plicato lavoro di ‘rimontaggio’, che mette insieme gli elementi strutturali più
disparati. E di questa n u o v a n o r m a t i v i t à c’è anche il teorico, che è il
Callimaco del Giambo XIII. Non più la rigida evocatività dei vari dialetti: si può
usare lo ionico, il dorico, il “dialetto misto” (ia. 13.18); non più la specializza-
zione in un genere solo, che era stata la regola quasi universale finora:71 “qual
dio ha ordinato che tu scriva pentametri, tu versi epici, tu tragedie?” (30–2). E
Callimaco metterà in pratica lui stesso tali nuovi e rivoluzionari precetti, che in
realtà non sono la liberazione dai vecchi nel senso che ad essi si contrappongo-
no ordinando l’opposto: userà il dorico nei due ultimi inni, praticherà un po’
tutti i generi, dandone anche un campionario, ricco per argomenti e per metri,
proprio nel libro dei Giambi, espressamente ispirato alla πολυείδεια di un pre-
cursore, Ione di Chio (ia. 13, dieg.); e il libro dei Giambi sarà il padre dei nume-
rosi Gedichtbücher o ‘raccolte di poesie diverse’ della letteratura posteriore gre-
ca e latina.72 Scriverà addirittura due epinici in distici elegiaci (frr. 383, 384 Pf.) e
uno in trimetri giambici (ia. 8); un inno, il V, Per i lavacri di Pallade, sarà
anch’esso in distici, oltre che in dorico. Ma forse il ‘delitto’ più grave è la tra-
sformazione del genere più sacro, l’epica, che, rinnegata una sua fondamentale
legge strutturale, la grande dimensione,73 diventa l’epillio: e questa novità ha la
sua giustificazione, che è teorizzata, più che nel prologo degli αἴτια, nell’Inno ad
Apollo e nell’epigramma 28 Pf.

||
71 In età classica la specializzazione, nel campo del teatro, era perfino degli attori (attori tragici
e attori comici): la cosa è resa certa e dalla documentazione sulle rappresentazioni e sugli attori
e da Plat. resp. 395a (J. B. O’Connor, Chapters in the History of Actors and Acting in Ancient
Greece …, Diss. Princeton, Chicago 1908 p. 39ss.).
72 W. Kroll, Studien zum Verständnis der römischen Literatur, Stuttgart 1924, spec. p. 225ss.
Fondamentale per la critica e la composizione letteraria in Callimaco è M. Puelma Piwonka,
Lucilius und Kallimachos, Frankfurt/Main 1949; per la varietà e mistione dei generi nei Giambi
v. C. M. Dawson, YCS 11 (1950) 1ss.
73 Per Callimaco v. Koster, op. cit. pp. 119, 121; per la teoria aristotelica del μῆκος epico ibid.,
spec. pp. 55, 66, 71 (cf. spec. a.p. 49 b 12 ss., 62 a 18 ss.).
32 | Sezione 7: Critica letteraria

Chi credesse che un tale atteggiamento quasi lusivo di fronte agli elementi
forniti dalla tradizione fosse un’assoluta novità, sbaglierebbe. Per certi artifici
operati già, per esempio, da Aristofane nella severa cornice formale della com-
media antica (elementi tradizionali soppressi o trasformati, con conseguente
frustrazione dell’attesa del pubblico; etc.) è stata usata la felice espressione
Spiel mit den Formen;74 è stato notato che Crizia è l’unico sofista che mette parte
della sua dottrina in versi;75 e gli esempi potrebbero aumentare. Ma del primo
non dobbiamo dimenticare il legame col pubblico, per cui c’è sempre da credere
che un fatto di spettacolo sia sempre in qualche modo ‘richiesto’ e si fondi su
esigenze concrete; del secondo si potrebbe meglio dire che si tratta di una ‘con-
trorivoluzione’, di un ritorno, cioè, all’arcaica filosofia in versi. Nuovi non sono i
procedimenti, in età ellenistica: è lo spirito che è nuovo. Quello che colpisce è,
come già dicevamo, l’intellettualismo delle scelte, la loro quasi assoluta arbitra-
rietà. Fra i molti fatti che tradiscono la loro natura di più o meno spinto virtuosi-
smo, e che si presentano in quantità ad ogni lettore della letteratura alessandri-
na,76 ce n’è comunque forse solo uno che si possa paragonare alle libertà
aristofanee, ed è anch’esso legato al costume teatrale, che in età ellenistica
continua ad esser vivo, pur con leggi e scelte sue particolari: e non è un caso che
si tratti del dramma satiresco, una delle forme più interessanti e purtroppo me-
no conosciute della letteratura greca, che proprio in età tarda presenta una
sorprendente vitalità, andando evidentemente incontro ai gusti di un nuovo
pubblico. Già a cavallo fra la seconda e la terza epoca c’era stato il Centauro di
Cheremone, che Aristotele nella Poetica (47 b 21) chiama μικτὴ ῥαψῳδία ἐκ
πάντων τῶν μέτρων e Ateneo (608 c) δρᾶμα πολύμετρον.77 Ma più interessante è
il misterioso Agen, il cui autore sarebbe stato un certo Python di Catania o di
Bisanzio oppure lo stesso Alessandro Magno e che da Ateneo (50 f, 596 d) viene
chiamato σατυρικὸν δρᾶμα ο σατυρικὸν δραμάτιον: il dramma è ambientato

||
74 Th. Gelzer, RE, Suppl.–Bd. 12 (1971) col. 1521s.
75 Pfeiffer, History, cit. p. 55. E non esitò a sostituire il pentametro col trimetro nel distico elegi-
aco (fr. 2.2 D3), sia pure per inserire un nome proprio, come notava Efestione.
76 Cercida di Megalopoli (III sec.) presenta la sua filosofia parenetica in forme meliche, in
dialetto letterario dorico e nello stile del ditirambo nuovo (Kroll, Studien, cit. pp. 210, 242ss.:
anche Orazio, per es. carm. 2.2, 2.10, 2.18, 3.24, ma ha molta più scioltezza di stile); Castorione
di Soli compone il suo Inno a Pan in trimetri, per di più con virtuosismi metrici (metra limitati
da fine di parola) notati da Clearco (fr. 88 Wehrli) che lo cita (Kroll, Studien, cit. p. 209 n. 13);
nei χρονικάdi Apollodoro di Atene troviamo il trimetro (qui, a detta della fonte, lo Ps. Scimno,
la ragione è pratica: μέτρῳ … τῷ κωμικῷ … εὐμνημόνευτον; Pfeiffer, History, cit. p. 254s.); etc.
77 P. Guggisberg, Das Satyrspiel, Diss.Zürich 1947 p. 138.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 33

storicamente con personaggi reali, fornendo un ambiente simile a quello della


commedia con tutto l’armamentario di satira personale, ma il tutto in presenza
di un coro di satiri.78 Abbiamo qui contaminazione fra dramma satiresco e com-
media antica: e qualcosa di simile troveremo in piena età ellenistica nel Mene-
demo di Licofrone (satira ad un filosofo contemporaneo), mentre nel Dafni o
Litierse di Sositeo (Eracle che uccide il mostro e libera Dafni) avremo contami-
nazione con elementi romanzeschi (ricerca e liberazione dell’amato) e forse
anche colla tematica bucolica (il personaggio di Dafni).79

Abbiamo parlato di contaminazione, ovvero di m i s t i o n e d e i g e n e -


r i , quella che in pagine fondamentali di Wilhelm Kroll è chiamata Kreuzung der
Gattungen.80 E vorrei chiudere con un breve panorama del comportamento di
T e o c r i t o di fronte ai generi tradizionali e del modo con cui realizza i nuovi.
È uno degli esempi più illustri, forse il più illustre, dell’influenza del nuovo
codice. Teocrito può venir sentito (e cosi è successo spesso a critici frettolosi)
come poeta spontaneo, semplice, ma è forse proprio quest’apparenza a tradire
la sua estrema raffinatezza. Lasciamo qui da parte il problema di quello che
sembra essere un genere nuovo, la poesia bucolica.81 Quello che più colpisce in
lui è proprio la mistione dei generi. Il carme IV, I pastori, si presenta in forma di
mimo (dialogo, ma privo di parte amebea), mentre la tematica e l’ambiente
richiamano il carme bucolico. Il VI, I bucoliasti, è nello stesso tempo epistola
poetica (2) e idillio bucolico nella forma dell’agone. L’XI, il Ciclope, comincia di

||
78 Guggisberg, diss. cit. p.140. B. Snell, Scenes from Greek Drama, Berkeley and Los Angeles
1964 pp. 99ss., 118ss. fa una seducente proposta di rinnovamento della cronologia e del legame
cogli avvenimenti storici (processo e fuga di Arpalo); ma v. le obiezioni di H. Lloyd–Jones,
Gnomon 38 (1966) 16s.
79 Guggisberg, diss. cit. pp. 141s., 142. C’era anche un dramma di Sositeo che attaccava il filoso-
fo Cleante (fr. 3 Steffen2; Guggisberg p. 143). Sul dramma satiresco in generale tornerò in altra
sede, anche per chiarirmi meglio quale possa essere stato l’apporto, nel senso della contami-
nazione, dei tragediografi del V secolo (si pensi all’Alcesti come esempio di ibrido fra tragedia e
dramma satiresco). Alla storiografia ellenistica (penso soprattutto a Duride di Samo) e al suo
pathos schiettamente ‘drammatico’ si può far qui solo un accenno.
80 Kroll, Studien, cit. p. 202ss. (specialmente per i poeti latini, ma con preziosi riferimenti ai
modelli greci). Solo in parte utile ancora il vecchio Ph.–E. Legrand, Étude sur Théocrite, Paris
1898 p. 413ss.
81 V. n. 67. Sicuramente, sul piano letterario, la poesia bucolica è creazione di Teocrito: vorrei
rimandare a SIFC 43 (1971) 24s., dove la ‘invenzione’ teocritea è ricavata dallo sviluppo, che è
immediatamente posteriore, di una ‘maniera’ bucolica; ma v. soprattutto, ora, G. Serrao, Pro-
blemi di poesia alessandrina. I. Studi su Teocrito, Roma 1971 p. 11ss., spec. 48, che mi pare abbia
dimostrato essere Teocrito stesso, nelle Talisie, a rivendicare a sé lo εὕρημα.
34 | Sezione 7: Critica letteraria

nuovo come epistola, contiene un canto bucolico d’amore (19ss.) e si conclude


come un carme bucolico, con una parola–chiave, credo, in questo senso (80s.
ἐ π ο ί μ α ι ν ε ν τὸν ἔρωτα). Il XIII, l’Ila, comincia ancora una volta come epi-
stola e prosegue (16ss.) come un epillio (in dorico nell’epos, per giunta!). Il XVI,
Le Cariti, e il XVII, il Tolemeo, sono degli encomi in esametri e il XVI è stato
recentemente interpretato come un Bettelgedicht ovvero ‘poesia d’accattonag-
gio’, un genere popolare che troviamo, in diversa misura stilizzato, nell’Iresione,
nel chelidonismo, nel coronisma.82 Il XVIII, l’Epitalamio di Elena, comincia col
tono narrativo dell’epillio, per passare poi (9ss.) al vero e proprio canto di noz-
ze. Il XXVIII, la Conocchia, si presenta come un carme di una certa dimensione,
per giunta in asclepiadei maggiori e in eolico, mentre il contenuto avrebbe ri-
chiesto le caratteristiche di un breve epigramma dedicatorio in distici; e
l’epigramma vero e proprio, a sua volta, può presentare – fatto del tutto nuovo,
data la novità della tematica – materia bucolica, com’è nel caso degli epigrr. 1–
6.83 Comunque si voglia interpretare il VII, le Talisie, per il quale la definizione
di idillio bucolico sarebbe imperdonabilmente restrittiva, resta valida
l’osservazione di Mario Puelma, che ci vede una delle variazioni alessandrine
del Programmgedicht, come nel prologo degli αἴτια e nel mimo VIII di Eroda.84 Il
III, il κῶμος, presenta poi un fatto singolare: la ‘traduzione’ in ambiente campe-
stre di un fatto eminentemente cittadino come il κῶμος, presentato qui nella
forma del παρακλαυσίθυρον.85 Ma il vero e proprio ‘scandalo’ è il XXII, i Dioscu-
ri, né credo che la cosa sia comunemente tenuta nel debito conto:86 i generi
contaminati sono qui addirittura tre, l’inno (1 ὑμνέομεν, formula innodica co-
mune, cf. 25s.), l’epillio (27ss., la parte narrativa) e infine la poesia drammatica
(in realtà vicina al mimo). Il v. 54, infatti, è il primo intervento di Polluce, intro-

||
82 R. Merkelbach, RhM 95 (1952) 312ss. Ultimamente G. Wills, CQ 20 (1970) 112ss. vi vede un
adattamento di Bettelgedicht a scopo privato, come in Phoen. Coloph. fr.2 D3.
83 Kroll, Studien, cit. p. 207.
84 M. Puelma, MH 17 (1960) 163.
85 E Teocrito conosceva bene il κῶμος cittadino (2.118ss., 7.122, 14.47). Penetrante l’analisi del
III di U. Ott, Die Kunst des Gegensatzes in Theokrits Hirtengedichten, Hildesheim 1969 p. 174ss.
Sul κῶμος come fatto cittadino e sulle sue forme v. Maia 23 (1971) 10ss. La pointe si trovava
subito, all’inizio: 3s. τίμ’ οὐκέτι τοῦτο κατ᾽ ἄντρον || παρκύπτοισα καλεῖς, …; La porta o finestra,
da cui usualmente si fa capolino, è sostituita qui dalla … grotta! Il XXV non è autentico, ma è
documento prezioso della fortuna della maniera teocritea: sulla mistione di elementi epici e
bucolici v. G. Serrao, Il carme XXV del corpus teocriteo, Roma 1962. Sul XXVI Legrand, Étude,
cit. p. 429 si domanda se è “un hymne véritable ou un pastiche d’hymne”.
86 In L. Deubner, NJb 47 (1921) 375s. già la chiara individuazione dei tre generi, pur senza
precisazioni. Deubner propone tra l’altro (p. 376ss.) la formula di sakrale Solomimen (Mischung
von Hymnus und Mimus) per Call. hymn. 2, 5, 6.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 35

dotto da un προσέειπεν al v. 53; ma il v. 55, la prima risposta di Amico, è data


senza formula di ‘dire’ ed è seguita nientemeno che da una sticomitia lunga altri
diciotto versi.87 Potrà qualcuno forse pensare che la parte narrativa non sia da
considerarsi un epillio, bensì che tenga il luogo della narrazione tipica degl’inni
omerici maggiori: si eliminerebbe così uno dei tre generi. Ma a dirci che ha volu-
to aggiungere al pastiche anche il vero e proprio genere epico narrativo è Teocri-
to stesso, quando, alla fine del carme (212ss.), confronta la sua poesia, di di-
mensioni ridotte quali gli sono consentite dalle sue possibilità (ὡς ἐμὸς οἶκος
ὑπάρχει), proprio coll’epica, sia che si tratti dell’Iliade sia dei Canti ciprii.88

Ma la contaminazione perseguita con più sottile tenacia è quella fra modi e


forme della poesia recitativa e modi e forme della poesia lirica. Già il secolo
scorso, con Gottfried Hermann alla testa, aveva cercato simmetrie di tipo
priamente strofico (espediente della metrica lirica) nella poesia esametrica dei
vari tipi (che è stichica, in quanto recitativa). La Strophenjagd ha una sua
ria89 ed ha avuto conseguenze di rilievo nella critica del testo, non tutte ac-
bili. In verità, se in un autore tale ricerca è almeno inizialmente giustificata,
questo autore è certamente Teocrito, anche se non si può essere certi che cer-
casse simmetrie esatte fra le ‘strofi’: penso al refrain nei primi due carmi (anche
il refrain di Cat. 64 non è simmetrico); notevoli simmetrie, più o meno evidenti,
si trovano ancora nei primi due e nel III; altre sono assai meno evidenti, e aveva
torto Hermann, e con lui chi lo ha seguito, a volersene servire per espunzioni o
denunce di lacune. Che cos’è tutto questo, se non la volontà di presentare
tuosisticamente la strofe, forma della poesia lirica, in carmi esametrici, e cioè

||
87 Gregorio Serrao mi propone di vedere in alcune caratteristiche della sticomitia (ripetizioni
etc.) un’allusione ad un quarto genere, l’agone bucolico.
88 Wilamowitz, Textgesch. der gr. Bukoliker, Berlin 1906 p. 182ss.; cf. Gow. W. Allen jr, TAPA 71
(1940) 17 e n. 57 considera impossibile distinguere l’epillio dall’inno narrativo (ma v. n. 67).
A. H. Griffiths mi ha fatto notare che il virtuosismo teocriteo potrebbe far pensare a posteriorità
rispetto ad Apollonio (2.1–97): Teocrito farebbe ‘variazioni’ su un modello. Questo
confermerebbe quanto ha visto per il XIII e affermato anche per il XXII G. Serrao, Helikon 5
(1965) 494ss. (ora in Problemi, cit. p. 109ss.; v. anche p. 10). Non credo possa ancora convincere
A. Köhnken, Apollonios Rhodios u. Theokrit, Göttingen 1965.
89 G. Hermann, De arte poesis Graecorum bucolicae, Leipzig 1849 = Opuscula VIII p. 329ss. Una
breve storia della Strophenjagd in A. Ludwich, Homerischer Hymnenbau…, Leipzig 1908 p. 38ss.
(Ludwich cercava simmetrie meno regolari ma più complicate, fondate sull’interpretazione
simbolica dei diversi numeri: la sua si può definire una Zahlenjagd). Già Boeckh, Encyclop., cit.
p. 244 si poneva in posizione critica di fronte alla strofizzazione totale; per Teocrito v.
l’equilibrato atteggiamento di Wilamowitz, Textgesch. d. gr. Buk., cit. p. 137ss. (né da trascurare
è Legrand, Étude, cit. p. 386ss.).
36 | Sezione 7: Critica letteraria

recitativi? Del resto tale contaminazione assume forme ancora più raffinate.
L’agone bucolico, che nella realtà della vita dei campi era certamente in forme
liriche più o meno libere,90 viene presentato anch’esso in carmi esametrici (V, VI
e i non autentici VIII, IX); ugualmente il canto bucolico non strettamente agoni-
stico o non strettamente amebeo (1.64ss.; 7.52ss., 96ss.; etc.); ugualmente altri
canti di tipo popolare: nel II carmi incantatori; in 3.6ss. il κῶμος in veste di
παρακλαυσίθυρον; in 10.24ss. e in 11.19ss. canti d’amore: ancora in 10.42ss. il
Litierse, un canto di lavoro e precisamente di mietitori; in 15.100ss. un inno
invocatorio; in 24.7–9, infine, viene costretta nella prigione esametrica
addirittura una ninna–nanna, e il virtuosismo ci è reso più palese dal fatto che
forse è proprio questa la testimonianza più fedele che abbiamo di un genere
popolarissimo e certo largamente diffuso quant’altro mai, come si vedrebbe da
un’analisi dettagliata (anafore, rime, parole–chiave).91 Il procedimento si pre-
senta in Teocrito in maniera particolarmente raffinata, ma è caratteristico di
tutta la poesia alessandrina. Va ricordata qui la brillante intuizione di Friedrich
Leo,92 che ha chiarito definitivamente la ragione per cui alcuni versi, già in uso
tradizionale, acquistano in età alessandrina un nome nuovo, che si riferisce ad
un εὑρετής recente (archebuleo, gliconeo, faleceo etc.). Tali versi erano stati
usati dai poeti più antichi nel libero contesto della strofe lirica e vengono usati
adesso in successione stichica, come se si trattasse di versi recitativi: questo, e
non altro, è lo εὕρημα. Leo era partito dalla ‘stichizzazione’ plautina di misure
liriche; e l’ultimo passo – l’adattamento recitativo, cioè, anche della tecnica
costruttiva interna del verso – sarà compiuto da Orazio, che imporrà ai suoi
versi lirici, sia nella strofe sia nelle successioni stichiche, delle incisioni regola-
ri, che sono anch’esse caratteristica tipica del verso recitativo.93

Siamo passati così ai poeti latini. E il nostro discorso potrebbe ora continua-
re considerando le loro soluzioni, che fin dagl’inizi sono di tanto vicine a quelle
dei poeti alessandrini. Ricordo qui i lavori di Scevola Mariotti su Livio Androni-
co (1952), Nevio (1955) ed Ennio (1951; 21963), recentemente sintetizzati in un

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90 Christ–Schmid 2.1 (1920) p. 184 e n.4: ce lo proverebbe il canto pastorale μακραὶ δρύες, ὦ
Μενάλκα (PMG fr. 850). Dubbi sull’esametro come veste originaria già in Legrand, Étude, cit. p.
422s. Kroll, Studien, cit. p. 204 nota anche che “Mimen im Hexameter sind eigentlich ein Un-
ding”.
91 I. Waern, Eranos 58 (1960) 1ss.
92 F. Leo, Die plautinischen Cantica und die hellenistische Lyrik, Berlin 1897 p. 61ss. I materiali
già raccolti in O. Leichsenring, De metris Graecis quaestiones onomatologae, Diss. Greifswald
1888.
93 V. RFIC 94 (1966) 195ss. (su Orazio p. 195s.).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 37

articolo:94 Ennio sarebbe addirittura più contaminatore di un Callimaco,95 senza


contare che i romani arcaici, veri poligrafi nel campo dei generi letterari,
recepiscono alla lettera la fine delle specializzazioni, che Callimaco aveva pre-
dicata nel suo Giambo XIII. Potremmo considerare, per la teoria e la prassi,
Lucilio e Accio; per la teoria Varrone, Cicerone, Quintiliano, Suetonio, a non
dire della ricca informazione che, sul piano del gusto letterario, ci viene da au-
tori come Petronio. Per le sottili e ‘mimetizzate’ soluzioni di un Orazio e di un
Properzio avremmo inizialmente la guida delle belle pagine, più volte qui ri-
chiamate, di Wilhelm Kroll.96 Ma non dimentichiamo che ci eravamo proposti
semplicemente d’impostare un capitolo della teoria estetica antica, quello delle
leggi dei generi letterari: i latini varieranno le soluzioni pratiche, ma non da-
ranno sostanziali apporti nuovi alla teoria.97 In realtà, per completare la
trattazione del nostro tema, sarebbe importante non tralasciare un campo, così
strettamente legato alla letteratura, in cui norme – scritte o non scritte – e prassi
– fedele o ribelle alle norme stesse – s’intrecciano in costante dialettica: quello
della musica, colla sua secolare dottrina d e l l ’ ethos. Ma il nostro discorso è già
troppo lungo e, in un certo senso, troppo ‘aperto’: ha già posto troppi problemi,
lasciandone molti insoluti, ed è forse tempo di chiuderlo e di ricominciare a
riflettere almeno su alcuni di essi.

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94 Sc. Mariotti, Belfagor 20 (1965) 34ss.
95 Sc. Mariotti, Lezioni su Ennio, Torino 21963 p. 130ss.; v. anche Maia 5 (1952) 273 ss.
96 Kroll, Studien, cit., spec. p. 202ss. G. B. Conte, Maia 20 (1968) 241 ss. mette in rilievo, per
Lucano, “l’inserirsi di una t e m a t i c a drammatica in una f o r m a epica che nelle linee
generali è ancora quella tradizionale” e ne dà giustificazione storica.
97 Pur restando il problema, e sul piano della teoria e su quello delle realizzazioni nella prassi,
di due generi che a Roma si presentano con caratteristiche di originalità: la satira e l’elegia.

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