Rossi I Generi Letterari e Le Loro Leggi Scritte
Rossi I Generi Letterari e Le Loro Leggi Scritte
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[Articolo pubblicato in «BICS» 18, 1971, pp. 69–94 (ma già prima letto in varie conferenze, per
cui vd. n. 1); ripubblicato in F. Ferrari – M. Fantuzzi – M. C. Martinelli – M. S. Mirto (edd.), Di-
zionario della civiltà classica, I, Milano, BUR, 1993, pp. 47–84 (con l’aggiunta della nota inizia-
le *: “Queste pagine sono dedicate alla memoria di P. Fortunato Torniai S.J. Fu lui che, negli
anni del liceo, mi fece conoscere il sistema hegeliano di Boeckh e mi sensibilizzò alla proble-
matica dei generi. Lo ricordo con grato affetto.”)]
https://doi.org/10.1515/9783110648140-001
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1 Per l’invito un grazie cordiale ai miei ospiti: C. F. Russo, Bari 28.2 e 2.3.1970; E. W. Handley,
Londra 28.5.1970; H. Lloyd–Jones, Oxford 1.6.1970; P. Fedeli, K. Müller e M. Puelma, Friburgo/
Svizzera 3.6.1971; Th. Gelzer e O. Gigon, Berna 7.6.1971. A loro e a tutti gl’intervenuti anche un
ringraziamento per le critiche e i contributi. Devo molto anche a Gian Biagio Conte, Scevola
Mariotti, Gregorio Serrao e Vincenzo Tandoi.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 5
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2 Fra le caratteristiche sopra elencate, quella che è stata maggiormente studiata – quasi sempre
come categoria moderna – è la lingua. Ma anche qui molto resta da fare: v., per le Gattun-
gssprachen del greco, il quadro pessimistico di H. Happ, Glotta 45 (1967) 84 n. 1 (alle opere da
lui elencate aggiungerei almeno un libro fondamentale, G. Björck, Das Alpha impurum und die
tragische Kunstsprache, Uppsala 1950; e in genere gli studi degli svedesi, come A. Wifstrand, L.
Bergson etc.). Non mancano alcune ricerche su fatti minuti, ma importanti per la caratterizza-
zione dei generi: per es. Th. Wendel, Die Gesprächsanrede im gr. Epos u. Drama der Blütezeit,
Stuttgart 1929; R. Führer, Formproblem–Untersuchungen zu den Reden in der frühgr. Lyrik,
München 1967; e maggior conoscenza dei livelli stilistici in rapporto ai generi potrebbe chiarir-
ci la estensione relativa di fatti come la elisione e la sinalefe (v. RFIC 97 (1969) 433ss., spec.
440s.). Bisogna ricordare, inoltre, l’opera e l’insegnamento di Eduard Fraenkel, la cui sensibili-
tà al livello linguistico e stilistico (sia nel greco sia nel latino) è stata sempre uno dei suoi carat-
teri dominanti di studioso. Per il latino v. H. Happ, Glotta 45 (1967) 60–104 (panorama a p. 85s.;
a p. 86 n. 2 Happ annuncia uno studio più ampio) e, data la differenza col greco, le critiche ad
Axelson di G. Williams, Tradition and Originality in Roman Poetry, Oxford 1968 p.743ss.
Quanto al tema specifico del dialetto, il primo studio scientifico, fondato sull’evidenza lingui-
stica (oggi ovviamente invecchiato), è H. L. Ahrens, Ueber die Mischung der Dialekte in der gr.
Lyrik, Kl. Schr. I, Hannover 1891 [1852] p. 157ss. (p. 181: “Der Grund liegt… in dem Umstande, …
dass mit den Klängen bestimmter Dialekte sich die Eindrücke ihrer eigentümlichen Dich-
tungsweisen für jedes hellenische Ohr untrennbar verbanden und selbst durch ein leises An-
schlagen der Saiten eines jedes Dialektes sympathetisch erweckt werden konnten”).
Per musica e danza si dà il caso che praticamente nulla ci è noto direttamente, in modo che la
nostra conoscenza passa necessariamente attraverso la teoria antica: per l’ethos musicale
fondamentale il lavoro di H. Abert (1899) e v. da ultimo quello di W. D. Anderson (1966, rist.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 7
Non va dimenticato, del resto, che il tipo di considerazione per generi, che
appare oggi così ovvio, ha lungamente sofferto, specialmente in Italia, della
dittatura culturale di Benedetto Croce, che negava valore al genere per la valu-
tazione dell’opera, relegandolo in un secondo tempo tutt’al più al ruolo di
‘pseudoconcetto’ filosofico.3 Era una reazione, certo necessaria, agli eccessi
della critica positivistica, che in maniera pericolosamente meccanica aveva
recepito la teoria dei generi da una lunga tradizione di cultura, che, attraverso il
medioevo e l’umanesimo, aveva creato i nuovi ‘codici’ nel rinascimento e li
aveva trasmessi agli accesi polemisti delle querelles e al romanticismo tedesco.4
Ma opere vigorose come la Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter
(1948) di Ernst Robert Curtius hanno riportato anche da noi l’interesse su questo
campo d’indagine, che in realtà la filologia classica non aveva mai ignorato: è
dell’immediato ieri la più o meno esplicita polemica anticrociana di una perso-
nalità come Giorgio Pasquali5 e basterà ricordare l’influenza duratura che ebbe-
ro per le nostre discipline i famosi corsi, redatti nella Encyclopädie, di August
Boeckh,6 che dominò gli studi sull’antichità classica dal principio a oltre la metà
del secolo scorso.
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1968); per la danza e la distinzione fra tragedia, commedia e dramma satiresco (ἐμμέλεια,
κόρδαξ, σίκιννις) v. L. B. Lawler, The Dance of the Ancient Greek Theatre, Iowa City 1964.
Interessante l’isolamento di un ‘ethos del gesto’ da parte di F. Lasserre, “Mimésis et mimique”,
Atti II Congr. internaz. Dramma antico, Siracusa 1967, Roma 1970 p. 245ss. (e dai lavori di G.
Capone, 1935 e di A. Spitzbarth, 1946 si potrebbe tentare un primo spoglio dell’evidenza data
dagli scoli al teatro).
3 V., in proposito, le vivaci pagine di M. Barchiesi, Maia 12 (1960) p. 247ss. Mario Fubini, Critica
e poesia, Bari 1956, spec. p. 143ss. resta fedele a Croce, pur mostrandosi sensibile a esigenze
nuove, e accentua il carattere di “semplici strumenti” dei generi e la loro “provvisorietà” (p.
147; avvicinandosi a Dewey, p. 254ss.).
4 Il miglior lavoro sulla storia dei generi nella cultura europea è Irene Behrens, Die Lehre von
der Einteilung der Dichtkunst vornehmlich vom 16. bis 19. Jahrhundert. Studien zur Geschichte der
poetischen Gattungen, Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, H. 92, Halle/Saale 1940.
V. anche K. Borinski, Die Antike in Poetik u. Kunsttheorie. Von Ausgang des klassischen Alter-
tums bis auf Goethe u. Wilhelm von Humboldt, I.II, Leipzig 1914–24; B. Weinberg, A History of
Literary Criticism in the Italian Renaissance, I.II, Chicago 1961. Bibliografia ulteriore anche in
Wellek–Warren, cit. oltre (n. 10), al cap. 17.
5 Per il complesso atteggiamento di Croce di fronte all’antichità classica v. da ultimo p. Treves,
Croce e l’antico, in Lezioni crociane, Univ. di Trieste, Fac. di Lettere e Filosofia, 1967 p. 45ss. Da
parte di Pasquali un certo ‘cedimento’ sulla questione dei generi in Stravaganze quarte e su-
preme, Venezia 1951 (ristamp., Firenze 1968) p. 22s. [1929].
6 A. Boeckh, Encyclopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, hsg. v. E.
Bratuscheck. 2. Aufl. besorgt v. R. Klussmann, Leipzig 1886. Come si apprende dal Vorwort di
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Ora, se le costanti morfologiche delle opere letterarie ci fanno certi, ieri co-
me oggi, dell’esistenza di leggi, quello che invece è incerto o per lo meno poco
chiaro – e che non mi pare sia stato fatto mai oggetto di ricerca autonoma ed
estensiva – è quale vita le leggi stesse abbiano avuta nel periodo, che appare
lungo, in cui non erano state ancora fissate indipendentemente per iscritto;
quale fosse la coscienza che gli autori ne avevano: quando precisamente, a
seconda dei diversi generi, siano state ‘codificate’; e soprattutto quale sia stato
di volta in volta lo s c o p o di tali codificazioni e quali ne siano state le c o n -
s e g u e n z e per l’attività creatrice. In altre parole, il cammino dalle l e g g i
n o n s c r i t t e alle l e g g i s c r i t t e è stato lungo, diverso per i singoli ge-
neri e non senza importanti conseguenze per la stessa produzione letteraria.
Quello che si è dimenticato troppo spesso è che il genere letterario era una cate-
goria essenziale della stessa e s t e t i c a a n t i c a, categoria che ha avuto vita
ed influenza complesse ed articolate. È significativo che una gran parte di quel-
la critica filologica che non ha ignorato i generi li abbia assunti esclusivamente
come categoria p r o p r i a , m o d e r n a di giudizio: i generi sono hegeliana-
mente per Boeckh, per esempio, delle categorie immanenti (la poesia, rappre-
sentata da epos lirica dramma, a cui corrisponderebbero, per la prosa, storia
filosofia oratoria).7 E solo indiretta (ma, entro tale limite, certamente cospicua)
può essere l’utilità, per noi classicisti, della forte rinascita d’interesse per i gene-
ri presso la critica letteraria recente e recentissima. Essa si rivolge infatti allo
studio di opere moderne, spesso restringendosi addirittura alla letteratura
d’una lingua o d’un complesso politico–sociale determinato, o magari a un
ristretto numero di generi di maggior successo attuale (il romanzo, per esem-
pio), come tali più utili a servir da ‘reagenti’ per l’intelligenza di sviluppi storici
o per l’esegesi di situazioni sociali. Di tale critica sarebbe utile fare un consunti-
vo per quanto riguarda il tema specifico dei generi. Ci contenteremo qui del
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Bratuscheck, i ventisei semestri dei corsi metodologici di Boeckh si distribuirono nel periodo
1809–1865.
7 Boeckh, Encyclopädie, passim. I generi corrispondono a categorie immanenti (p. 144ss.;
“nach der geistigen Auffassungsweise”, p. 648). È messo per di più l’accento sul Nationalcha-
rakter (per es. p. 128), oltre che sull’individualità dell’autore (p. 124ss.). Ma anche uno storico
così sensibile e poliedrico come Boeckh, che giustamente affermava su piano teorico (pur in
contraddizione colle premesse) essere le caratteristiche del genere stabilite “in steter Rücksicht
auf die lebendigen historischen Verhältnisse” (p. 143) ed essere fondamentale il riconoscimen-
to dello Zweck dell’opera (pp. 131s., 144), non arrivò a studiare il rapporto concreto che lega le
leggi dei generi alle varie situazioni, o meglio occasioni storiche.
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8 P. Szondi, Theorie des modernen Dramas, Frankfurt/Main 1963 (11956) p. 10s. Sul libro, e sulla
sua importanza per la teoria moderna dei generi, C. Cases, Saggi e note di letteratura tedesca,
Torino 1963 p. 330ss. (introduzione alla traduz. ital.).
9 I formalisti russi rappresentano un momento nuovo d’interesse per i generi. Avendo ad og-
getto di considerazione la letteratura russa, domina presso di loro l’interesse per la narrativa e
le sue categorie, ma importanti sono le aperture sulla tecnica del verso, non senza rilevanza
per la teoria dei generi stessi. V. V. Erlich, Russian Formalism, 11954 (più volte ristamp. e trad.
in ital., Milano 1966) e Théorie de la littérature, 1965, antologia a cura di T. Todorov (trad. in
ital., Torino 1968): interessante, qui, la fine dell’ultimo saggio di Tomaševskij e quello di B.
Ejchenbaum sul “metodo formale”. Per lo strutturalismo possiamo ricordare, fra le formulazio-
ni più estensive e recenti, Th. A. Sebeok, in Style in Language, edito dallo stesso, Cambri-
dge/Mass. 1960 spec. p. 221s.; R. Jakobson, ibid. p. 357s.; E. Stankiewicz, in Poetics… [I], The
Hague 1961 spec. pp. 11s., 16s. Un’applicazione specifica alla ballata romantica, con osserva-
zioni teoriche, in Cz. Zgorzelski, ibid. p. 689ss. Recentissimo è T. Todorov, Introduction à la
littérature fantastique, Paris 1970 spec. p. 7ss., che, tra l’altro, polemizza contro i tentativi del
tutto astratti di costruire una nuova classificazione (‘archetipale’) dei generi di N. Frye, Ana-
tomy of Criticism, Princeton 1957 (trad. in ital., Torino 1969). Sempre di Todorov v. anche Poé-
tique in Qu’est–ce que le structuralisme?, Paris 1968. Per un panorama italiano v. I metodi
attuali della critica in Italia, a cura di M. Corti e C. Segre, Torino 1970, spec. pp. 336ss. (C. Se-
gre), 414 (M. Corti). Importanti osservazioni sul rapporto generi–autore in C. Segre, I segni e la
critica, Torino 1969 pp. 72, 87ss., 89ss. e pass.
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10 “The literary kind is an ‘institution’ – as Church, University or State is an institution. It
exists, not as an animal exists or even as a building, chapel, library, or capitol, but as an insti-
tution exists. One can work through, express oneself through, existing institutions, create new
ones, or get on, so far as possible, without sharing in politics or rituals; one can also join, but
then reshape, institutions.” (R. Wellek–A. Warren, Theory of Literature, 1949, e più volte ri-
stamp., cap. 17, prendendo da Harry Levin).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 11
Da quanto abbiamo anticipato, si vede come una storia delle leggi dei gene-
ri debba cominciare fin dall’epoca arcaica, dall’epoca, cioè, in cui, come vedre-
mo in sufficiente dettaglio, le leggi stesse non sono state ancora redatte, ma
sono presenti alla coscienza degli autori: per quest’epoca sono quindi gli autori
stessi che vanno interrogati sulle leggi. Saranno redatte solo più tardi, e in mo-
do sistematico solo in epoca ellenistica, ad opera di poeti e di poeti–filologi: e a
noi resterebbe solo il compito di raccoglierne gli sparsi materiali. È significativo
che un grande studioso dell’alessandrinismo come Rudolf Pfeiffer abbia ispira-
to, in anni fra loro lontani, due dei pochissimi lavori che, a quanto so, si occu-
pano organicamente del nostro tema: Hans Färber, Die Lyrik in der Kunsttheorie
der Antike, München 1936, che è una ordinata raccolta delle testimonianze con
un tentativo d’individuazione delle fonti per il materiale più tardo; e A. E. Har-
vey, “The Classification of Greek Lyric Poetry”, Classical Quarterly 5 (1955) 157–
75, che è un tentativo, esemplare nel metodo, di distinguere la teoria e la termi-
nologia alessandrina da quella che era la prassi (e certamente anche la teoria
implicita) dell’età arcaica. Questi due lavori tuttavia, come si vede anche dai
titoli, si limitano alla lirica.12 Lo stesso Wilamowitz13 aveva richiamato a suo
tempo la necessità di raccogliere le testimonianze relative ai diversi generi della
lirica: anche lui aveva limitato la sua attenzione alla lirica. Recentissimo è, infi-
ne, il lavoro di Severin Koster, Antike Epostheorien, Wiesbaden 1970, ispirato da
Peter Steinmetz: esso ci sarà utile nel séguito, anche perché la categoria ‘epos’ è
per gli antichi così vasta da ricoprire forme assai varie. Ma molto resta ancora da
fare, ché molti sono i generi letterari. Ed è proprio per questa ragione che non si
può considerare senza un certo rammarico il fatto che la monumentale History
of Classical Scholarship (Oxford 1968) di Pfeiffer stesso trascuri di affrontare in
modo unitario il nostro problema, dando almeno un panorama coerente del
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11 Cit. da Erlich, op. cit. cap. XIV. Lascio qui da parte la dottrina etica della musica antica o
Ethoslehre (v. n. 2), alla quale peraltro accennerò in fine, a causa della sua natura completa-
mente diversa da quella della musica moderna. Qualche anticipazione in tal senso ho data in
Atene e Roma 14 (1969) 42–6.
12 Per la quale v. anche l’introduzione a H. Weir Smyth, Greek Melic Poets, London 1900.
13 Cit. da Harvey, art. cit. p. 157.
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materiale. Strano: non solo quest’opera egregia, trattando della filologia e della
letteratura alessandrine, è ricchissima di materiale in tal senso (e ad essa siamo
e saremo largamente debitori per lo studio di questo e di molti altri fatti), ma
proprio da Pfeiffer, esemplare editore di un Callimaco, ci saremmo aspettati una
maggior sensibilità al problema.14
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14 Merita menzione anche il quadro tracciato dalla Behrens, op. cit. (n. 4) pp. 1–32 (Die Antike):
ma la filologia alessandrina è praticamente ignorata (procede per grossi autori, senza porsi
gran che il problema delle fonti) e per di più trascura l’aspetto morfologico dei singoli generi
(suo scopo è principalmente quello d’inseguire le tre grandi categorie dell’epico, del drammati-
co e del lirico attraverso l’estetica europea). Di scarsa utilità è invece J. J. Donohue, The Theory
of Literary Kinds. Ancient Classifications of Literature, Dubuque/Iowa 1943. Utile è il panorama
di J. Stroux, “Die Anschauungen vom Klassischen im Altertum”, in Das Problem des Klassi-
schen und die Antike (hsg. v. W. Jaeger), Stuttgart 1933 p. 1ss.; e, più specifico, P. Steinmetz,
“Gattungen und Epochen der griechischen Literatur in der Sicht Quintilians”, Hermes 92 (1964)
454ss. = Rhetorica, Hildesheim 1968 p. 451ss. La Wissenschaftliche Buchgesellschaft di Dar-
mstadt annuncia M. Fuhrmann, Einführung in die antike Dichtungstheorie.
15 Su questo problema, affacciatosi da non molto all’orizzonte degli interessi di studio dei
filologi, v. F. Lasserre, “La condition du poète dans la Grèce antique”, Études de Lettres (Univ.
de Lausanne) 5 (1962) 3ss.
16 Per l’estetica arcaica v. G. Lanata, Poetica pre–platonica. Testimonianze e frammenti, Firenze
1963 (con commento). Per le epoche successive non è il caso di dar qui bibliografia.
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retorica, e d’altra parte lo stile è solo uno degli elementi che caratterizzano i vari
generi, come si è detto. Ma i generi – ripetiamo – entrano quasi sempre in di-
scussione per una valutazione moderna dell’opera; mentre andrebbero conside-
rati come parte integrante di una teoria che, scritta o non scritta, è sempre esi-
stita, fin dal momento in cui i Greci hanno affrontato la creazione letteraria colla
chiara coscienza di una tradizione da seguire, fino, cioè, dall’epoca arcaica.
Insomma, quello che mi pare che manchi non è tanto una storia dei g e n e r i ,
che specialmente nel caso dell’antichità classica deve ovviamente identificarsi
colla storia della letteratura, quanto una storia delle l e g g i che hanno disci-
plinato i generi stessi.
È chiaro che un solido lavoro d’insieme può nascere solo sulla base di nu-
merosi ulteriori lavori monografici, sul tipo dei pochi segnalati qui sopra. Che la
presente breve trattazione sia solo uno schizzo non è cosa che, dopo quanto ho
detto all’inizio, abbia bisogno di ulteriore giustificazione.
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17 Il problema è ancora aperto: v. i commenti di A. Gudeman, Berlin u. Leipzig 1934 e di D. W.
Lucas, Oxford 1968 ad Ar. a.p. 48 a 20 ss.
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(τὰ εἰς τὰς προσπιπτούσας περιστάσεις), che sembrano essere al confine fra
forme di tipo letterario e forme ancora fedeli a modelli popolari. Fozio scrive il
suo riassunto nel IX secolo; Proclo è il neoplatonico del V secolo o, più proba-
bilmente, il grammatico del II. Certamente la dottrina che Proclo riporta è più
antica, e precisamente alessandrina. La distinzione fra poesia religiosa e secola-
re si trovava già in Platone (resp. 607 a ὕμνους θεοῖς καὶ ἐγκώμια τοῖς ἀγαθοῖς,
cf. legg. 822 b).18 Ma la fonte originaria di Proclo è sicuramente l’opera περὶ
λυρικῶν ποιητῶν di Didimo Calcentero, il grammatico alessandrino del I secolo
a.C. che raccoglie e sistema circa due secoli di ricerche filologiche. I parallelismi
fra Proclo e i pur scarsi frammenti di Didimo19 sono troppo forti: a parte corri-
spondenze terminologiche, c’è anche un impianto del tutto simile, e cioè per
ogni genere sono dati i principali rappresentanti e – quel che più c’interessa – le
caratteristiche salienti (soprattutto contenuto, stile, metro), messe in rilievo da
frequenti ‘distinguo’. La derivazione è confermata dai contatti che Proclo mo-
stra colla Vita Ambrosiana di Pindaro, anch’essa di buona fonte alessandrina, e
strettamente vicino è anche un passo di Polluce (4.52 ss.).20 Inutile ritracciare
qui una storia che ben si conosce e che oggi troviamo lucidamente esposta in
Pfeiffer. Tale impostazione del lavoro e tale ordinamento del materiale letterario
risultava del tutto naturale dopo l’opera dei primi grandi filologi alessandrini,
soprattutto Aristofane e Aristarco, che erano stati editori di testi e avevano fina-
lizzato le loro schematizzazioni prevalentemente a scopi editoriali: pensiamo ai
πίνακες callimachei, schedatura universale delle opere letterarie divise secondo
i generi,21 e ai cosiddetti canoni, ovvero elenchi di autori considerati classici
(πραττόμενοι, ἐγκριθέντες), divisi per categorie letterarie:22 epici giambografi
tragediografi commediografi elegiaci lirici, per la poesia; oratori–sofisti storici–
geografi grammatici medici filosofi, per la prosa; e presso i Romani, fino a Quin-
tiliano e oltre, ai canoni di autori greci, variamente tramandati, si affiancheran-
no quelli di autori latini.
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18 A. Severyns, Recherches sur la Chrestomathie de Proclos, II, Liège–Paris 1938 p. 114.
19 Didymi Chalcenteri … fragm. … coll. et disp. M. Schmidt, Leipzig 1854 p. 386ss.
20 Harvey, art. cit. p. 159; Färber, op. cit. I p. 18.
21 Pfeiffer, op. cit. p. 127ss., cf. pp. 152, 160, 181, 218.
22 O. Kroenert, Canonesne poetarum scriptorum artificum per antiquitatem fuerunt?, Diss. Koe-
nigsberg 1897; Pfeiffer, op. cit. p. 207, richiama giustamente il fatto che la parola ‘canone’ con
questo valore risale a Ruhnken (1768).
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23 V., per il fatto in generale del rapporto col pubblico, G. Williams, op. cit. (n. 2), cap. II (The
Poet and the Community). A p. 35 la felice caratterizzazione del poeta alessandrino: “They took
the forms of poetry… and used them as moulds which could shape and even suggest their own
poetic ideas. In doing this, they treated the relationship to real occasions as part of the conven-
tion: so they composed hymns to the gods, without any idea of performing them, or they wrote
epitaphs, without any idea of inscribing them on a gravestone, or they wrote symposiastic
poetry, without having any real drinking–party in mind.”
24 Per questi passi pindarici v. C. M. Bowra, Pindar, Oxford 1964 p. 196; G. Norwood, Pindar,
Berkeley and Los Angeles 1956 p. 167. Anche nell’epica si può riconoscere coscienza di leggi
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compositive (l’ordine narrativo?): v. il κόσμος ἀοιδῆς o κ. ἐπέων in θ 489, Parmenide, Democri-
to (S. Koster, op. cit. pp. 5, 24). Interessante l’ipotesi di R. Di Donato, Ann. Sc. Norm. Pisa S. II 38
(1969) 267 n. 121: in θ 492 μετάβηθι indicherebbe una deviazione dall’“ordine normale dei
canti” (e sarebbe da mettere in relazione con α 10 ἁμόθεν).
25 T. B. L. Webster, CQ 33 (1939) 170.
26 Pindaro ha anche notazioni eurematologiche: fr. 70 b, 71, 125 Sn. (A. Kleingünther, Πρῶτοϛ
εὑρετής, Leipzig 1933 p. 136).
27 Fra i pochissimi frammenti che ci son rimasti di Pratina ce n’è uno (PMG 713. ii) in cui il
poeta faceva una chiara affermazione polemica di ordine morfologico–formale (le composizio-
ni di Xenodamo sarebbero state da considerarsi iporchemi, e non peani).
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28 Secondo D. Pinte, AntClass 35 (1966) 459ss. Bacchilide (10.35–45) ci fornirebbe il primo
catalogo conservato di generi letterari che ambisca a una certa completezza: poesia lirica,
ovvero epinici; poesia religiosa; poesia erotica; didattica agricola e pastorale. Parole come
σοφός, ποικίλος e θυμὸν αὔξειν farebbero chiaro che c’era anche una gerarchia di valori.
29 Choeril. fr. 1 Kinkel:
ἆ μάκαρ, ὅστις ἔηνκεῖνονχρόνου ἴδρις ἀοιδῆς,
Μουσάων θεράπων, ὅτ᾽ ἀκήρατος ἦν ἔτι λειμών·
νῦν δ᾽ ὅτε πάντα δέδασται, ἔχουσι δὲ π ε ί ρ α τ α τέχναι,
ὕστατοι ὥστε δρόμου καταλειπόμεθʼ, οὐδέ πῃ ἔστι
πάντη παπταίνοντα νεοζυγὲς ἅρμα πελάσσαι.
Cf. l’atteggiamento, anch’esso di cosciente orgoglio, di Antiph. fr. 191 K., dove è detto che il
poeta tragico è più fortunato perché ha la strada segnata, mentre il comico deve ‘inventare’
tutto di suo.
30 L’esigenza di originalità, addirittura come richiesta di un pubblico, appare ai primordi della
letteratura greca: α 351 s.
τὴν γὰρ ἀοιδὴν μᾶλλον ἐπικλείουσ᾽ ἄνθρωποι
ἥ τις ἀκουόντεσσι νεωτάτη ἀμφιπέληται.
E i poeti arcaici introdurranno l’esigenza in prima persona, come Pratin. PMG 710 οὐ γᾶν
αὐλακισμέναν ἀρῶν, ἀλλ᾽ ἄσκαφον ματεύων.
31 B. A. van Groningen, La composition littéraire archaïque grecque, Leiden 21960 p. 22. Questo
libro è ricco di efficaci osservazioni sui generi e sul legame col pubblico (per es. pp. 22ss., 98,
388ss.; etc.).
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dro, che nel VII secolo introduce a Sparta la prima ‘legge’ o κατάστασις musica-
le, e alle parti della composizione, rigidamente fissate: ἀρχά, μεταρχά,
κατατροπά, μετακατατροπά, ὀμφαλός, σφραγίς, ἐπίλογος.32 E anche il ditirambo
presenta fin da epoca arcaica una regolamentazione precisa:33 l’unica difficoltà
è qui la distinzione fra il ditirambo cultuale e quello letterario, ma è chiaro che il
secondo è in qualche modo legato al primo.
C’è però chi pensa che l’esistenza di manuali di tecnica letteraria sia da
considerarsi possibile, anzi probabile, almeno per la fine del periodo che stiamo
considerando.34 Laso di Ermìone, il maestro di Pindaro per la musica, avrebbe
scritto per primo un περὶ μουσικῆς λόγος (Suda s.v.), il che proverebbe
l’esistenza del genere manualistico, distinto dall’insegnamento orale e dalla
pratica diretta. Siamo di fronte a un manuale, non c’è dubbio,35 ma consideria-
mo che si tratta qui di un campo che dai greci stessi veniva ritenuto strettamen-
te legato alla scienza, e precisamente alla matematica (dai Pitagorici in poi, sia
pure in diversa misura) e che in ogni caso la musica presentava per gli antichi,
così come presenta per noi oggi, aspetti ben più – direi – prepotentemente tec-
nici che non la letteratura. Nel corso del V secolo c’è una ricca fioritura di ma-
nuali tecnici: quello di Policlèto sulla scultura, di Parrasio sulla pittura, di Aga-
tarco sulla scenografia, di Anassagora e di Democrito sulla prospettiva, di
Ippodamo di Mileto sulla costituzione politica e sull’urbanistica, di Metone sul
calendario.36 Senza contare il fatto che man mano, col nascere dell’interesse
storico e col raffinarsi della tecnica storiografica, sorge un nuovo tipo di ricerca
letteraria che possiamo definire s t o r i c a , per contrapporla a quelle che più
sopra abbiamo definite n o r m a t i v a e d e s c r i t t i v a . Nasce l’interesse per
lo stabilimento della cronologia, assoluta e relativa, e per il πρῶτος εὑρετής di
espedienti e forme.37 Giova qui ricordare la figura di quello che le fonti ci danno
come il primo storiografo della letteratura e della musica insieme, Glauco di
Reggio (V secolo), figura centrale e poco conosciuta.38 La lista potrebbe conti-
||
32 Proprio dalla morfologia del nomos, così evidentemente retta da regole, van Groningen (op.
cit. p. 22) evince l’antichità delle regole stesse in generale.
33 Harvey, art. cit. p. 173.
34 Di tal parere è per es. Webster, art. cit. p. 170s., che evince l’esistenza del manuale letterario
dall’esistenza del manuale musicale di Laso.
35 G. A. Privitera, Laso di Ermione, Roma 1965 p. 37s.
36 Webster, art. cit. p. 170s.; E. G. Turner, Athenian Books in the Fifth and Fourth Centuries B.C.,
London 1951 p. 18.
37 Kleingünther, op. cit. (n. 26) pp. 23s., 135ss.
38 G. L. Huxley, GRBS 9 (1968) 47ss.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 19
Euripide dà, come elementi costitutivi della tragedia, “le parti recitate, le parti
cantate, i nervi della tragedia” (τἄπη, τὰ μέλη, τὰ νεῦρα τῆς τραγῳδίας): c’è
sotto una schematizzazione teorica già formata delle parti del dramma? E, in
questo caso, che cosa sono τὰ νεῦρα τῆς τραγῳδίας? Il mito, l’intreccio narrati-
vo, oppure si tratta di un’apposizione ai due elementi precedenti? L’ultima ipo-
tesi è stata decisamente rifiutata da Eduard Fraenkel, che ha giustamente voluto
salvare il tricolon, e recentemente Carlo Ferdinando Russo, sulla base di impor-
tanti paralleli interni e di un passo di Erodoto (2.48) e uno di Platone (legg. 644
e), ha proposto d’interpretare τὰ νεῦρα … come “i fili della Tragedia”, i fili, cioè,
che fanno muovere i personaggi, immaginati come marionette (personaggi,
movimento scenico più regìa nel senso più ampio, cioè).39 Ma più di questo non
possiamo dire, anche se chiediamo aiuto al v. 1114, dove il coro incoraggia gli
spettatori a partecipare al giudizio che si deve dare dei due tragici: gli spettatori,
infatti, sarebbero competenti, perché “ciascuno, avendo il suo libro, è in grado
di capire il giusto” (βιβλίον τ᾽ ἔχων ἕκαστος μανθάνει τὰ δεξιά). Che cos’era
questo βιβλίον? Un manuale di poetica e di estetica, come alcuni credono,40
oppure ‘libri’ in generale, per significare che gli spettatori non sono degli anal-
fabeti? Oppure le opere di Eschilo e di Euripide (cf. v. 52s.), su cui gli spettatori
possono controllare quello che si dice sulla scena? La natura dell’allusione
aristofanea ci implicherebbe anche nel problema, che dalla Einleitung in die
griechische Tragödie di Wilamowitz ad oggi ha già una lunga storia, del libro nel
V secolo e della sua diffusione.41 Possiamo solo dire che l’esistenza di leggi scrit-
te è, a questo momento, per lo meno probabile. Per avere un sistema organizza-
to, che ci sia conservato, dovremo aspettare la fine del IV secolo colla Poetica di
Aristotele: ma sono proprio le frequenti allusioni polemiche di lui a dei prede-
cessori che ci pongono il problema dell’humus su cui il suo insegnamento è
nato.42 Si sa che nella Poetica si parla solo di epos e soprattutto di teatro: so-
stanzialmente ignorata è la lirica (ad eccezione di ditirambo e nomos), e mi pare
||
39 Ed. Fraenkel, Beobachtungen zu Aristophanes, Roma 1962 p. 173 n. 3; C. F. Russo, Aristofane
autore di teatro, Firenze 1962 p. 323ss. (e Greece & Rome 13 (1966) 9 n. 1).
40 M. Pohlenz, GGN 1920 p. 142ss. = Kl. Schr. II p. 436ss. pensava a un manuale di Gorgia come
fonte per la terminologia critico–letteraria delle Rane. Oggi l’ipotesi non trova fortuna (v. M.
Gelzer, RE, Suppl.–Bd. 12 (1971) col. 1491); ma Pohlenz stesso, Hermes 84 (1956) 72ss. = Kl. Schr.
II p. 585ss. si era in gran parte ricreduto.
41 Wilamowitz credeva di poter ricostruire già per il V secolo una civiltà editoriale simile alla
nostra; ma v., da ultimo, E. G. Turner, op.cit. (n. 36), spec. p. 16ss.; B. A. van Groningen, Mnem.
16 (1963) 1ss.
42 Sulle fonti della Poetica v. W. Kranz, Stasimon, Berlin 1933 p. 4ss. e il commento di Gude-
man, cit. p. 9ss.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 21
che il fatto sia significativo.43 La lirica è ormai morta da tempo nelle sue forme
originarie e Aristotele volge il suo interesse a generi che conservino un certo
grado di vitalità. Le sue intenzioni appaiono chiare, ed è questo che fa di lui un
anello fondamentale nello sviluppo degli studi: la sua opera (ed è gran perdita
quella del περὶ ποιητῶν e della sezione sulla commedia) vuol essere a mio pare-
re nello stesso tempo s t o r i c a, riallacciandosi all’interesse storico e antiqua-
rio risvegliatosi da almeno due secoli; d e s c r i t t i v a, per la illustrazione delle
fasi anteriori e per lo studio scientifico della fase vissuta; e infine n o r m a t i -
v a, volta a dirigere, cioè, la produzione ulteriore di generi che vengono sentiti
come ancora vivi, come appunto l’epos e il teatro, anche se sono vicini al loro
tramonto:44 ed è proprio la sentita necessità, o anche soltanto utilità di queste
norme che ci conferma quello che sappiamo per altra via, come cioè perfino la
tragedia stia soffrendo un calo di vitalità, stia diventando anch’essa una specie
di relitto.
||
43 Ma non certo nel senso che si è voluto vedere da alcuni: per es. A. Rostagni, Arte poetica di
Orazio, Torino 1930 p. xli ss. pensa che la lirica mal si sarebbe prestata alla distinzione forma–
contenuto, facendo così di Aristotele un moderno influenzato dall’estetica idealistica! Direi che
l’accenno in 60 a 7 sulla ‘spersonalizzazione’ del poeta sia significativo: il parlare in prima
persona sarebbe la negazione della mimesi (qualcuno ha cercato di negare valore al passo,
affermando che non si parla di lirica: certo, si parla di epos, ma ugualmente importante è
l’esclusione della prima persona per l’epos!). La lirica interessa ad Aristotele solo per alcune
notazioni storiche: ditirambo e nomos (cap. I), a cui vanno aggiunti gli ψόγοι autoschediastici,
ὕμνοι, ἐγκώμια(48 b 27, cf. 23). La lirica era già diventata fatto letterario, elemento di remota
tradizione già nel corso del IV secolo (Wilamowitz, Textgeschichte der gr. Lyriker, Berlin 1900 p.
14 e n. 5, che cita Alex. fr. 135 K., dove, nella biblioteca, è assente la lirica).
44 Il rapporto di Aristotele colla prassi tragica del suo tempo (T. B. L. Webster, Hermes 82
(1954) 294ss.) è problematico, visto che di tale prassi conosciamo così poco. Per esempio, il suo
alto apprezzamento dell’Edipo re, che a suo tempo non aveva ricevuto il primo premio, deriva
sicuramente da un mutato atteggiamento di gusto. Buone notazioni sull’argomento in E. M.
Craik, CQ 20 (1970) 95ss. Notevole è, fra l’altro, il suo insistere sulle reazioni del pubblico tea-
trale: a.p. 49 a 8, 51 b 25s., 53 a 33ss. e tutto il cap. 26; pol. 42 a 18 ss. (cf. Plat. legg. 658 e); cf.
tale interesse anche in Hor. a.p. 98, 100, 153–5, 190, 223s., 225s. etc.
22 | Sezione 7: Critica letteraria
||
45 Viene in mente Augusto col suo programma politico–letterario di restaurazione del teatro
latino, cosi come lo vediamo trasparire in Orazio (A. La Penna, Orazio e l’ideologia del principa-
to, Torino 1963 p. 154ss. (1950), anche se la situazione era politicamente ben diversa.
46 Da alcune testimonianze che parlano di τέχνη ο τέχναι (L. Radermacher, Artium scriptores,
Wien 1951 p. 153ss.) si è voluto credere che esistesse una Retorica isocratea. F. Solmsen, Die
Entwicklung der aristotelischen Logik u. Rhetorik, Berlin 1929 p. 204ss. (v. anche 215 n. 1) ritene-
va che la polemica aristotelica all’inizio della Retorica (οἱ τὰς τέχνας τῶν λόγων συντιθέντες)
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 23
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fosse rivolta proprio contro il manuale di Isocrate. Ma tali ipotesi sembrano tutte da scartare, v.
Münscher, RE 9.2 (1916) col. 2224; W. Kroll, RE Suppl.–Bd. 7 (1940) col. 1049.
47 La Rh. ad Alex, fu per lungo tempo creduta aristotelica, ma oggi la si attribuisce per lo più ad
Anassimene di Lampsaco e la si colloca poco dopo la metà del IV secolo. Quanto a precedenti
manualistici, le polemiche dell’inizio della Retorica aristotelica (e ricordiamo anche Plat. Pha-
edr. 266 d τὰ ἐν τοῖς βιβλίοις τοῖς περὶ λόγων τέχνης γεγραμμένοις) ci documentano una ricca
fioritura del genere, che Aristotele stesso aveva studiato nella sua τεχνῶν συναγωγή, fr. 136ss.
Rose (O. Navarre, Essai sur la Rhétorique grecque avant Aristote, Thèse Paris 1900, spec. p.
255ss.: Trasimaco, Teodoro di Bisanzio, Lisia, Iseo, Callippo, Anassimene). Importante per la
formazione di Aristotele l’opera di Teodette di Faselide, di cui egli stesso avrebbe fatto una
συναγωγή, fr. 125ss. Rose. In A. Burckhardt, Spuren der athenischen Volksrede in der alten
Komödie, Diss. Basel 1924 vengono ipotizzate, già per la fine del V secolo, raccolte di Rede–
Anfänge (προοίμια) e Rede–Schlüsse (ἐπίλογοι), redatte per Lehrzwecke.
48 Il Prof. A. Momigliano mi fece osservare che questi manuali potevano essere anche destinati
a maestri di retorica, il che è del tutto possibile, anzi probabile, anche se non documentabile, a
causa del poco che sappiamo della scuola del V e del IV secolo. Ma il fatto non cambierebbe la
natura sostanzialmente ‘mediata’ del contatto fra autore e pubblico.
24 | Sezione 7: Critica letteraria
Quello che importa ormai mettere in rilievo è che in questa seconda epoca le
leggi sono r i s p e t t a t e, come già nella prima, e che, diversamente dalla pri-
ma, tendono a fissarsi p e r i s c r i t t o, pur con variabile grado di sistematicità.
Tale tendenza si svilupperà nell’epoca successiva: ma è fin da adesso che la
riflessione sulla poesia e sulle sue forme passa dalla penna del poeta a quella
del teorico puro.
||
49 Già i sofisti praticavano tale forma prosastica, ma non solo per i contemporanei, come
notava Platone (symp. 177 b).
50 La tripartizione della poesia in μίμησις, διήγησις e δι᾽ ἀμφοτέρων è in resp. 393 b ss. Sui
generi letterari e l’atteggiamento conservatore di Platone v. p. Vicaire, Platon critique littéraire,
Paris 1960 p. 236ss. Harvey, art. cit. p. 159 n. 3 ricorda che la distinzione fra lirica monodica e
corale è moderna e deriverebbe, senza reale fondamento, da Plat. legg. 764 d–e (v. anche Fär-
ber, op. cit. I p. 16s. e n. 1, che riporta anche Poll. 4.52 μέλη χορικά). È chiaro che Platone parte,
come si vede dal contesto, da esigenze pratiche: diversa è la formazione del solista e
l’istruzione di un coro!
51 V. anche legg. 701 a colla sua avversione per la θεατροκρατία τις πονηρά. Interessante in Ion
534 c l’assegnazione ‘personale’ di vari generi a seconda dei vari tipi d’ispirazione della musa.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 25
||
52 L’aver messo in luce questo fatto è merito non piccolo di Harvey, art. cit. (v. n. successiva).
53 Penso, per es., alla questione di ‘scolio’ ed ‘encomio’ com’è chiaramente esposta in Harvey,
art. cit. p. 162ss.: progressiva restrizione del senso di ‘scolio’ e necessità, sentita più tardi, di
un’altra designazione, ‘encomio’.
26 | Sezione 7: Critica letteraria
di cui ci occupiamo, e quindi più di due secoli prima dell’opera di Didimo, nu-
merosi sono i segni del costituirsi di una koiné critico–letteraria, avviata dalle
prime grandi personalità di poeti–filologi, nella quale non c’è posto per innova-
zioni autoschediastiche. La critica letteraria di cui stiamo per trattare si riattacca
tutta più o meno direttamente ad Aristotele, né si vede soluzione di continuità
in fatto di metodi e di procedimenti.
||
54 O. Regenbogen, RE, Suppl.–Bd. 7 (1940) col. 1532.
55 Un panorama degli scarsi resti della letteratura critica dei peripatetici, con riguardo alla
distinzione dei generi, in S. Koster, op. cit. p. 85 n. 1.
56 V. per es. Pfeiffer, History, cit. p. 136ss. (Callimaco).
57 Un elenco, incompleto ma utile, di opere di critica letteraria fra Glauco di Reggio (sec.V a. C.)
e Didimo in M. Schmidt, Didymi … fragm., cit. p. 386s. Su Didimo v. l’ultimo capitolo della
History di Pfeiffer.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 27
Fra le opere dei critici, sarebbe per noi utile poter distinguere fra trattazioni
descrittive e trattazioni storiche: questo è praticamente sempre disagevole, vista
la scarsità o addirittura la mancanza dei frammenti, ma che il primo tipo, quello
descrittivo, esistesse ed avesse notevole diffusione è certo per numerosi indizi.
Interessante, per esempio, la vicenda dei termini μελικός e λυρικός così com’è
delineata da Färber: il primo sarebbe usuale nella Kunsttheorie, l’altro nella
storia secondo Dichterpersönlichkeiten.58 È, per di più, significativo per una
classificazione per generi il fiorire fra i grammatici alessandrini di una letteratu-
ra come quella sulla λέξις κωμική, e cioè ricerche su lessico proprio di un genere
determinato: a tal tipo di studi aveva dato inizio già Aristotele nella sua Poetica,
quando indicava i nomi composti come tipici del ditirambo (59 a 9, cf. rhet. 1404
a 33, 05 b 35, 06 b 1),59 le ‘glosse’ come tipiche dell’epica (59 a 9 s., 61 a 10, cf.
rhet. 04 b 23, 06 b 3), la metafora come tipica del giambo (59 a 10) e
dell’esametro (59 b 36). Anche qui fioriva sicuramente tutta una letteratura volta
a chiarire nello stesso tempo, come accadeva nella Poetica, origini e strutture,
che dalla perduta trattazione aristotelica (forse conservata parzialmente nel
Tractatus Coislinianus) arriva fino ai tardi περὶ κωμῳδίας dei bizantini.60 Le
stesse Antologie epigrammatiche, che cominciano già nel III secolo,61 presup-
pongono un’attività classificatoria. È strano che da alcuni si sia voluta diminui-
re l’importanza di una figura, che certo fu centrale, come Apollonio ὁ
εἰδογράφος, e cioè ‘il classificatore per generi’, bibliotecario dopo Aristofane:62
si è voluta limitare la sua attività ad una sistemazione delle odi meliche divise
per ‘armonie’ musicali (dorica, frigia, lidia etc.), secondo una testimonianza
||
58 Färber, op.cit. I p. 7ss., spec. 11; ripresa da Pfeiffer, History, cit. p. 182s., v. n. 4. Sulla storia
letteraria secondo personalità poetiche, e cioè del tipo περὶ τοῦ δεῖνα, v. Pfeiffer, History, cit.
pp. 146, 216s., 222, 239, 259, 264, 275 (il lemma manca nell’Index).
59 Interessante a questo proposito il Pap. Hibeh 172, che ha solo epiteti composti (Pfeiffer,
History, cit. p. 92 n. 1): forse parte delle ἄτακτοι γλῶσσαι di Filita? Fondamentale l’attività
lessicografica di Aristofane di Bisanzio, con distinzione dell’uso epico, lirico, drammatico, per
di più con interessi dialettali (Pfeiffer, History, cit. p. 201). Per tutte queste categorie della Poeti-
ca cf. rhet. III.2.
60 Dalla Retorica e dalle Etiche aristoteliche, così come da Teofrasto (Caratteri), discende
anche la teoria antica sulla cosiddetta commedia di mezzo (che è distinzione molto posteriore
ad Aristotele) e sulla commedia nuova: utile il panorama di F. Wehrli, Motivstudien zur griechi-
schen Komödie, Zürich u. Leipzig 1936, passim e spec. p. 12ss.
61 F. Lasserre, RhM 102 (1959) 222ss. (sul p. Brit. Mus. Inv. 589).
62 Pfeiffer, History, cit. p. 184.
28 | Sezione 7: Critica letteraria
||
63 Etym. M. 295.53ss. εἰδογράφος· Ἀπολλώνιος εἰδογράφος, ἐπειδὴ εὐφυὴς ὢν ἐν τῇ βιβλιοθήκῃ
τ ὰ ε ἴ δ η τ o ῖ ς ε ἴ δ ε σ ι ἐ π έ ν ε ι μ ε ν . τὰς γὰρ δοκούσας τῶν ᾠδῶν Δώριον μέλος ἔχειν
ἐπὶ τ ὸ α ὐ τ ὸ [scil. ε ἶ δ ο ϛ ] συνῆγε, καὶ Φρυγίας καὶ Λυδίαϛ, μιξολυδιστὶ καὶ ἰαστί.
64 Vorrei rimandare qui al mio Metrica e critica stilistica, Roma 1963 pp. 86s., 88ss.
65 La bibliografia esistente in questo campo non è abbondante. Ne dò qualche voce: G. Leh-
nert, De scholiis ad Homerum rhetoricis, Diss. Leipzig 1896; R. Griesinger, Die ästhetischen
Anschauungen der alten Homererklärer…, Diss. Tübingen 1907; M. L. Von Franz, Die ästheti-
schen Anschauungen der Ilias–Scholien, Diss. Zürich 1945; A. Trendelenburg, Grammaticorum
Graecorum de arte tragica iudiciorum reliquiae, Bonn 1867; W. Eggerking, De Graeca artis tragi-
cae doctrina, imprimis de affectibus tragicis, Diss. Berlin 1912; etc. Prezioso è l’indice grammati-
co–retorico agli scoli all’Iliade di J. Baar (Baden–Baden 1961).
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 29
scludere che una simile raccolta ci aiuti a ricostruire qualcosa dei preziosi ma-
nuali perduti di quest’epoca.66 Sarebbe comunque una grossa impresa, superio-
re alle forze di un singolo.
A chi obiettasse che troppi sono i generi letterari di cui qui non si fa parola,
si potrebbe rispondere non solo invocando i limiti della presente trattazione, ma
ricordando anche che molti sono i generi le cui regole ci sono note solo attraver-
so le opere stesse: ma certo la teorizzazione doveva essere molto estesa. Occorre
fare comunque attenzione a non dare dignità di genere indipendente a quello
che gli antichi sentivano non più che come una sottospecie di un genere più
ampio: è quello che accade per l’epica didascalica, sentita sempre come una
sottospecie della più ampia categoria dell’epos.67 Ma è chiaro di quanta utilità
sarebbe per noi il poter rispondere, naturalmente solo per la seconda e la terza
epoca, alla seguente domanda: quando il tale autore si mette al lavoro, oltre alla
tradizione letteraria del genere nel quale si accinge a comporre, ha di fronte a sé
anche una letteratura teorico–critica sull’argomento? E quale influenza può
quest’ultima avere esercitato su di lui? È quello che, necessariamente solo per
sommi capi, ci proporremo fra poco di stabilire per un autore come Teocrito.
||
66 Spunti utilissimi in tal senso verrebbero da M. Fuhrmann, Das systematische Lehrbuch,
Göttingen 1960, che fa notare la persistenza, attraverso i secoli, di schemi e procedimenti nella
compilazione dei manuali.
67 W. Kroll, RE 12.2 (1925) col. 1842ss.; Koster, op. cit., passim e spec. p. 124ss.: c’è piuttosto da
vedervi una differenziazione stilistica, come γένος λεπτόν rispetto ad Omero, e fu certo questo
che impose Esiodo come modello agli alessandrini ‘callimachei’ (E. Reitzenstein, in Festschr. R.
Reitzenstein, Leipzig u. Berlin 1931 p. 41ss., sulla base di Call, epigr. 27 Pf.). Lo stesso sembra
avvenire per la poesia bucolica (v., oltre Koster, Th. G. Rosenmeyer, The Green Cabinet, Berke-
ley and Los Angeles 1969 p. 14s.) e per l’epillio (W. Alien jr, TAPA 71 (1940) 1ss. ne nega anche
l’esistenza come sottospecie dotata di caratteri distintivi – a torto, direi; J. F. Reilly, ClassJourn
49 (1953–54) 111ss. rintraccia il primo apparire della parola ‘epillio’ nel nostro significato stori-
co–letterario in un lavoro di Moriz Haupt del 1854). Un problema a parte rappresenta, com’è
noto, l’elegia. Può qui interessare che la parodia era stata studiata, evidentemente come genere
a sé, da Polemone d’Ilio, che ne faceva risalire l’origine a Ipponatte (Pfeiffer, History, cit. p.
249). Trascuriamo qui generi, pur teorizzati, come l’epistola etc., per rimanere nei limiti che ci
siamo proposti.
68 Devo l’introduzione di questa sezione terminologica a un’osservazione del Prof. E. G. Tur-
ner. I lessici mi sono stati di scarso aiuto e il materiale è tutt’altro che completo.
30 | Sezione 7: Critica letteraria
vede per es. da Plat. legg. 700 b ss. (εἴδη μουσικῆς, εἶδος ᾠδῆς, μέλους); Ar. a.p.,
init. (περὶ ποιητικῆς αὐτῆς τε καὶ τῶν εἰδῶν αὐτῆς…, anche se poi la parola
prende altri valori): Procl. chrest. ap. Phot. bibl. p. 320 a 7, 21 (εἴδη τῆς μελικῆς,
εἶδος ᾠδῆς; cf. 15): Etym. M. 295.53ss. (è la testimonianza su Apollonio
εἰδογράφος, v. n. 63): Men. Rhet. p.331.1s. Sp. (εἴδη ῥητορικῆς). In Athen. 619 ab
addirittura la poesia bucolica è chiamata εἶδος. Nota è poi la storia del termine
εἰδύλλιον, nato da εἶδος = ‘composizione poetica’ presso gli scoliasti alessan-
drini (e va ricordato che già in Isocr. 15.74 εἶδος vale ‘composizione oratoria’, e
cioè ‘orazione’). Che anche γ έ ν ο ς veniva usato in maniera pressoché sino-
nimica ci è chiaro da Ar. rhet. 58 a 33, 36 (cf. Procl. chrest. ap. Phot. bibl. p.321 a
34, accanto all’uso di εἶδος, v. sopra); e v. anche Ps. Plut. mus. 1134 c (γένος τῆς
ποιήσεως). Qualcosa di mezzo fra ‘genere’ ovvero ‘tipo’, ‘tema’, ‘stile’ esprime
ἰδέα (Ar. ran. 384, Isocr. 2.48, cf. il titolo stesso, περὶ ἰδεῶν, di Ermogene; v.
Ernesti s.v. εἴδη); il più vicino al valore ‘genere letterario’ è Ar. a.p. 49 b 8 ἡ
ἰαμβικὴ ἰδέα.69 In Antiph. fr. 191 K. sembra che tale valore venga alla parola
π ο ί η μ α (μακάριόν ἐστιν ἡ τραγῳδία || ποίημα κατὰ πάντ᾽ …). È bene lasciar da
parte τ ρ ό π ο ς , che coinvolge un ben chiaro valore musicale, alle volte diffi-
cilmente distinguibile dallo ‘stile’ letterario, legati come sono tutti e due i valori
al genere letterario stesso.70
||
69 Il significato di ‘stile’, o genericamente ‘tipo di…’, è attestato anche per εἶδος (Isocr. 13.17,
Rhet. ad Alex. 41 b 9) e per γένος (Ar. ran. 946s. τὸ γένος … τοῦ δράματος).
70 V. per es., su τραγικὸς τρόπος, Suda s.v. Ἀρίων, A. W. Pickard–Cambridge, Dith. Trag. Com.,
Oxford 21962 p. 99.
I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche | 31
vando singolarmente integri gli elementi tradizionali. Questa terza epoca scrive
le leggi, sì, ma per violarle. Sembra quasi che l’analisi accurata dei generi clas-
sici venga fatta apposta per violarne meglio le leggi. Vorrei caratterizzare
quest’epoca colla formula “ l e g g i s c r i t t e e n o n r i s p e t t a t e ” . Ed è
proprio come annunciavamo in principio: in questa voluta contrapposizione di
fronte ad una tradizione secolare emerge un rispetto e una pietas per la tradi-
zione stessa. Ci sarà solo da notare che il procedimento è di natura estremamen-
te intellettualistica: il lavoro di ‘smontaggio’, operato dalla teoria (reso agevole,
cioè, dalla accurata descrizione), è seguito nella prassi degli autori da un com-
plicato lavoro di ‘rimontaggio’, che mette insieme gli elementi strutturali più
disparati. E di questa n u o v a n o r m a t i v i t à c’è anche il teorico, che è il
Callimaco del Giambo XIII. Non più la rigida evocatività dei vari dialetti: si può
usare lo ionico, il dorico, il “dialetto misto” (ia. 13.18); non più la specializza-
zione in un genere solo, che era stata la regola quasi universale finora:71 “qual
dio ha ordinato che tu scriva pentametri, tu versi epici, tu tragedie?” (30–2). E
Callimaco metterà in pratica lui stesso tali nuovi e rivoluzionari precetti, che in
realtà non sono la liberazione dai vecchi nel senso che ad essi si contrappongo-
no ordinando l’opposto: userà il dorico nei due ultimi inni, praticherà un po’
tutti i generi, dandone anche un campionario, ricco per argomenti e per metri,
proprio nel libro dei Giambi, espressamente ispirato alla πολυείδεια di un pre-
cursore, Ione di Chio (ia. 13, dieg.); e il libro dei Giambi sarà il padre dei nume-
rosi Gedichtbücher o ‘raccolte di poesie diverse’ della letteratura posteriore gre-
ca e latina.72 Scriverà addirittura due epinici in distici elegiaci (frr. 383, 384 Pf.) e
uno in trimetri giambici (ia. 8); un inno, il V, Per i lavacri di Pallade, sarà
anch’esso in distici, oltre che in dorico. Ma forse il ‘delitto’ più grave è la tra-
sformazione del genere più sacro, l’epica, che, rinnegata una sua fondamentale
legge strutturale, la grande dimensione,73 diventa l’epillio: e questa novità ha la
sua giustificazione, che è teorizzata, più che nel prologo degli αἴτια, nell’Inno ad
Apollo e nell’epigramma 28 Pf.
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71 In età classica la specializzazione, nel campo del teatro, era perfino degli attori (attori tragici
e attori comici): la cosa è resa certa e dalla documentazione sulle rappresentazioni e sugli attori
e da Plat. resp. 395a (J. B. O’Connor, Chapters in the History of Actors and Acting in Ancient
Greece …, Diss. Princeton, Chicago 1908 p. 39ss.).
72 W. Kroll, Studien zum Verständnis der römischen Literatur, Stuttgart 1924, spec. p. 225ss.
Fondamentale per la critica e la composizione letteraria in Callimaco è M. Puelma Piwonka,
Lucilius und Kallimachos, Frankfurt/Main 1949; per la varietà e mistione dei generi nei Giambi
v. C. M. Dawson, YCS 11 (1950) 1ss.
73 Per Callimaco v. Koster, op. cit. pp. 119, 121; per la teoria aristotelica del μῆκος epico ibid.,
spec. pp. 55, 66, 71 (cf. spec. a.p. 49 b 12 ss., 62 a 18 ss.).
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Chi credesse che un tale atteggiamento quasi lusivo di fronte agli elementi
forniti dalla tradizione fosse un’assoluta novità, sbaglierebbe. Per certi artifici
operati già, per esempio, da Aristofane nella severa cornice formale della com-
media antica (elementi tradizionali soppressi o trasformati, con conseguente
frustrazione dell’attesa del pubblico; etc.) è stata usata la felice espressione
Spiel mit den Formen;74 è stato notato che Crizia è l’unico sofista che mette parte
della sua dottrina in versi;75 e gli esempi potrebbero aumentare. Ma del primo
non dobbiamo dimenticare il legame col pubblico, per cui c’è sempre da credere
che un fatto di spettacolo sia sempre in qualche modo ‘richiesto’ e si fondi su
esigenze concrete; del secondo si potrebbe meglio dire che si tratta di una ‘con-
trorivoluzione’, di un ritorno, cioè, all’arcaica filosofia in versi. Nuovi non sono i
procedimenti, in età ellenistica: è lo spirito che è nuovo. Quello che colpisce è,
come già dicevamo, l’intellettualismo delle scelte, la loro quasi assoluta arbitra-
rietà. Fra i molti fatti che tradiscono la loro natura di più o meno spinto virtuosi-
smo, e che si presentano in quantità ad ogni lettore della letteratura alessandri-
na,76 ce n’è comunque forse solo uno che si possa paragonare alle libertà
aristofanee, ed è anch’esso legato al costume teatrale, che in età ellenistica
continua ad esser vivo, pur con leggi e scelte sue particolari: e non è un caso che
si tratti del dramma satiresco, una delle forme più interessanti e purtroppo me-
no conosciute della letteratura greca, che proprio in età tarda presenta una
sorprendente vitalità, andando evidentemente incontro ai gusti di un nuovo
pubblico. Già a cavallo fra la seconda e la terza epoca c’era stato il Centauro di
Cheremone, che Aristotele nella Poetica (47 b 21) chiama μικτὴ ῥαψῳδία ἐκ
πάντων τῶν μέτρων e Ateneo (608 c) δρᾶμα πολύμετρον.77 Ma più interessante è
il misterioso Agen, il cui autore sarebbe stato un certo Python di Catania o di
Bisanzio oppure lo stesso Alessandro Magno e che da Ateneo (50 f, 596 d) viene
chiamato σατυρικὸν δρᾶμα ο σατυρικὸν δραμάτιον: il dramma è ambientato
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74 Th. Gelzer, RE, Suppl.–Bd. 12 (1971) col. 1521s.
75 Pfeiffer, History, cit. p. 55. E non esitò a sostituire il pentametro col trimetro nel distico elegi-
aco (fr. 2.2 D3), sia pure per inserire un nome proprio, come notava Efestione.
76 Cercida di Megalopoli (III sec.) presenta la sua filosofia parenetica in forme meliche, in
dialetto letterario dorico e nello stile del ditirambo nuovo (Kroll, Studien, cit. pp. 210, 242ss.:
anche Orazio, per es. carm. 2.2, 2.10, 2.18, 3.24, ma ha molta più scioltezza di stile); Castorione
di Soli compone il suo Inno a Pan in trimetri, per di più con virtuosismi metrici (metra limitati
da fine di parola) notati da Clearco (fr. 88 Wehrli) che lo cita (Kroll, Studien, cit. p. 209 n. 13);
nei χρονικάdi Apollodoro di Atene troviamo il trimetro (qui, a detta della fonte, lo Ps. Scimno,
la ragione è pratica: μέτρῳ … τῷ κωμικῷ … εὐμνημόνευτον; Pfeiffer, History, cit. p. 254s.); etc.
77 P. Guggisberg, Das Satyrspiel, Diss.Zürich 1947 p. 138.
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78 Guggisberg, diss. cit. p.140. B. Snell, Scenes from Greek Drama, Berkeley and Los Angeles
1964 pp. 99ss., 118ss. fa una seducente proposta di rinnovamento della cronologia e del legame
cogli avvenimenti storici (processo e fuga di Arpalo); ma v. le obiezioni di H. Lloyd–Jones,
Gnomon 38 (1966) 16s.
79 Guggisberg, diss. cit. pp. 141s., 142. C’era anche un dramma di Sositeo che attaccava il filoso-
fo Cleante (fr. 3 Steffen2; Guggisberg p. 143). Sul dramma satiresco in generale tornerò in altra
sede, anche per chiarirmi meglio quale possa essere stato l’apporto, nel senso della contami-
nazione, dei tragediografi del V secolo (si pensi all’Alcesti come esempio di ibrido fra tragedia e
dramma satiresco). Alla storiografia ellenistica (penso soprattutto a Duride di Samo) e al suo
pathos schiettamente ‘drammatico’ si può far qui solo un accenno.
80 Kroll, Studien, cit. p. 202ss. (specialmente per i poeti latini, ma con preziosi riferimenti ai
modelli greci). Solo in parte utile ancora il vecchio Ph.–E. Legrand, Étude sur Théocrite, Paris
1898 p. 413ss.
81 V. n. 67. Sicuramente, sul piano letterario, la poesia bucolica è creazione di Teocrito: vorrei
rimandare a SIFC 43 (1971) 24s., dove la ‘invenzione’ teocritea è ricavata dallo sviluppo, che è
immediatamente posteriore, di una ‘maniera’ bucolica; ma v. soprattutto, ora, G. Serrao, Pro-
blemi di poesia alessandrina. I. Studi su Teocrito, Roma 1971 p. 11ss., spec. 48, che mi pare abbia
dimostrato essere Teocrito stesso, nelle Talisie, a rivendicare a sé lo εὕρημα.
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82 R. Merkelbach, RhM 95 (1952) 312ss. Ultimamente G. Wills, CQ 20 (1970) 112ss. vi vede un
adattamento di Bettelgedicht a scopo privato, come in Phoen. Coloph. fr.2 D3.
83 Kroll, Studien, cit. p. 207.
84 M. Puelma, MH 17 (1960) 163.
85 E Teocrito conosceva bene il κῶμος cittadino (2.118ss., 7.122, 14.47). Penetrante l’analisi del
III di U. Ott, Die Kunst des Gegensatzes in Theokrits Hirtengedichten, Hildesheim 1969 p. 174ss.
Sul κῶμος come fatto cittadino e sulle sue forme v. Maia 23 (1971) 10ss. La pointe si trovava
subito, all’inizio: 3s. τίμ’ οὐκέτι τοῦτο κατ᾽ ἄντρον || παρκύπτοισα καλεῖς, …; La porta o finestra,
da cui usualmente si fa capolino, è sostituita qui dalla … grotta! Il XXV non è autentico, ma è
documento prezioso della fortuna della maniera teocritea: sulla mistione di elementi epici e
bucolici v. G. Serrao, Il carme XXV del corpus teocriteo, Roma 1962. Sul XXVI Legrand, Étude,
cit. p. 429 si domanda se è “un hymne véritable ou un pastiche d’hymne”.
86 In L. Deubner, NJb 47 (1921) 375s. già la chiara individuazione dei tre generi, pur senza
precisazioni. Deubner propone tra l’altro (p. 376ss.) la formula di sakrale Solomimen (Mischung
von Hymnus und Mimus) per Call. hymn. 2, 5, 6.
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87 Gregorio Serrao mi propone di vedere in alcune caratteristiche della sticomitia (ripetizioni
etc.) un’allusione ad un quarto genere, l’agone bucolico.
88 Wilamowitz, Textgesch. der gr. Bukoliker, Berlin 1906 p. 182ss.; cf. Gow. W. Allen jr, TAPA 71
(1940) 17 e n. 57 considera impossibile distinguere l’epillio dall’inno narrativo (ma v. n. 67).
A. H. Griffiths mi ha fatto notare che il virtuosismo teocriteo potrebbe far pensare a posteriorità
rispetto ad Apollonio (2.1–97): Teocrito farebbe ‘variazioni’ su un modello. Questo
confermerebbe quanto ha visto per il XIII e affermato anche per il XXII G. Serrao, Helikon 5
(1965) 494ss. (ora in Problemi, cit. p. 109ss.; v. anche p. 10). Non credo possa ancora convincere
A. Köhnken, Apollonios Rhodios u. Theokrit, Göttingen 1965.
89 G. Hermann, De arte poesis Graecorum bucolicae, Leipzig 1849 = Opuscula VIII p. 329ss. Una
breve storia della Strophenjagd in A. Ludwich, Homerischer Hymnenbau…, Leipzig 1908 p. 38ss.
(Ludwich cercava simmetrie meno regolari ma più complicate, fondate sull’interpretazione
simbolica dei diversi numeri: la sua si può definire una Zahlenjagd). Già Boeckh, Encyclop., cit.
p. 244 si poneva in posizione critica di fronte alla strofizzazione totale; per Teocrito v.
l’equilibrato atteggiamento di Wilamowitz, Textgesch. d. gr. Buk., cit. p. 137ss. (né da trascurare
è Legrand, Étude, cit. p. 386ss.).
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recitativi? Del resto tale contaminazione assume forme ancora più raffinate.
L’agone bucolico, che nella realtà della vita dei campi era certamente in forme
liriche più o meno libere,90 viene presentato anch’esso in carmi esametrici (V, VI
e i non autentici VIII, IX); ugualmente il canto bucolico non strettamente agoni-
stico o non strettamente amebeo (1.64ss.; 7.52ss., 96ss.; etc.); ugualmente altri
canti di tipo popolare: nel II carmi incantatori; in 3.6ss. il κῶμος in veste di
παρακλαυσίθυρον; in 10.24ss. e in 11.19ss. canti d’amore: ancora in 10.42ss. il
Litierse, un canto di lavoro e precisamente di mietitori; in 15.100ss. un inno
invocatorio; in 24.7–9, infine, viene costretta nella prigione esametrica
addirittura una ninna–nanna, e il virtuosismo ci è reso più palese dal fatto che
forse è proprio questa la testimonianza più fedele che abbiamo di un genere
popolarissimo e certo largamente diffuso quant’altro mai, come si vedrebbe da
un’analisi dettagliata (anafore, rime, parole–chiave).91 Il procedimento si pre-
senta in Teocrito in maniera particolarmente raffinata, ma è caratteristico di
tutta la poesia alessandrina. Va ricordata qui la brillante intuizione di Friedrich
Leo,92 che ha chiarito definitivamente la ragione per cui alcuni versi, già in uso
tradizionale, acquistano in età alessandrina un nome nuovo, che si riferisce ad
un εὑρετής recente (archebuleo, gliconeo, faleceo etc.). Tali versi erano stati
usati dai poeti più antichi nel libero contesto della strofe lirica e vengono usati
adesso in successione stichica, come se si trattasse di versi recitativi: questo, e
non altro, è lo εὕρημα. Leo era partito dalla ‘stichizzazione’ plautina di misure
liriche; e l’ultimo passo – l’adattamento recitativo, cioè, anche della tecnica
costruttiva interna del verso – sarà compiuto da Orazio, che imporrà ai suoi
versi lirici, sia nella strofe sia nelle successioni stichiche, delle incisioni regola-
ri, che sono anch’esse caratteristica tipica del verso recitativo.93
Siamo passati così ai poeti latini. E il nostro discorso potrebbe ora continua-
re considerando le loro soluzioni, che fin dagl’inizi sono di tanto vicine a quelle
dei poeti alessandrini. Ricordo qui i lavori di Scevola Mariotti su Livio Androni-
co (1952), Nevio (1955) ed Ennio (1951; 21963), recentemente sintetizzati in un
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90 Christ–Schmid 2.1 (1920) p. 184 e n.4: ce lo proverebbe il canto pastorale μακραὶ δρύες, ὦ
Μενάλκα (PMG fr. 850). Dubbi sull’esametro come veste originaria già in Legrand, Étude, cit. p.
422s. Kroll, Studien, cit. p. 204 nota anche che “Mimen im Hexameter sind eigentlich ein Un-
ding”.
91 I. Waern, Eranos 58 (1960) 1ss.
92 F. Leo, Die plautinischen Cantica und die hellenistische Lyrik, Berlin 1897 p. 61ss. I materiali
già raccolti in O. Leichsenring, De metris Graecis quaestiones onomatologae, Diss. Greifswald
1888.
93 V. RFIC 94 (1966) 195ss. (su Orazio p. 195s.).
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94 Sc. Mariotti, Belfagor 20 (1965) 34ss.
95 Sc. Mariotti, Lezioni su Ennio, Torino 21963 p. 130ss.; v. anche Maia 5 (1952) 273 ss.
96 Kroll, Studien, cit., spec. p. 202ss. G. B. Conte, Maia 20 (1968) 241 ss. mette in rilievo, per
Lucano, “l’inserirsi di una t e m a t i c a drammatica in una f o r m a epica che nelle linee
generali è ancora quella tradizionale” e ne dà giustificazione storica.
97 Pur restando il problema, e sul piano della teoria e su quello delle realizzazioni nella prassi,
di due generi che a Roma si presentano con caratteristiche di originalità: la satira e l’elegia.