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Schopenhauer e Kierkegaard

Il documento analizza il pensiero di Schopenhauer e Kierkegaard, evidenziando le loro visioni sulla vita, la volontà e l'esistenza. Schopenhauer descrive la vita come un ciclo di dolore e desiderio, proponendo l'arte e l'ascesi come vie di liberazione, mentre Kierkegaard esplora le difficoltà dell'esistenza e la necessità di scegliere tra una vita estetica e una vita etica, sottolineando l'importanza della fede. Entrambi i filosofi offrono una prospettiva profonda sulla condizione umana, affrontando temi di sofferenza, volontà e scelte esistenziali.
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Schopenhauer e Kierkegaard

Il documento analizza il pensiero di Schopenhauer e Kierkegaard, evidenziando le loro visioni sulla vita, la volontà e l'esistenza. Schopenhauer descrive la vita come un ciclo di dolore e desiderio, proponendo l'arte e l'ascesi come vie di liberazione, mentre Kierkegaard esplora le difficoltà dell'esistenza e la necessità di scegliere tra una vita estetica e una vita etica, sottolineando l'importanza della fede. Entrambi i filosofi offrono una prospettiva profonda sulla condizione umana, affrontando temi di sofferenza, volontà e scelte esistenziali.
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Schopenhauer

1. Il velo di Maya

Schopenhauer è stato un grande ammiratore della sapienza orientale; introduce


queste teorie, che comprendono il Nirvana, il mondo come apparenza ecc. nella sua
filosofia partendo dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, cioè tra la cosa
così come appare e la cosa in sé. Per Schopenhauer il fenomeno è parvenza,
illusione, sogno, ovvero ciò che nella filosofia indiana era il velo di maya, dove
"maya" sta per inganno, mentre il noumeno è la realtà che si nasconde dietro
l'ingannevole trama del fenomeno e che il filosofo ha il compito di scoprire.
Per Schopenhauer, quindi, il concetto del fenomeno è diverso da quello di Kant, e
viene svalutato e visto come ingannevole.
Mentre per il criticismo il fenomeno è oggetto della rappresentazione esistente fuori
dalla coscienza, il fenomeno di Schopenhauer è la rappresentazione ed esiste solo
dentro la coscienza. Il mondo stesso è visto come rappresentazione da parte
dell'uomo, dividendosi appunto in cosa rappresentata e l'io che la rappresenta: essa
dipende dall'io ed è quindi soggettiva e soggetto e oggetto sono sempre collegati.
Per queste ragioni conclude dicendo che la vita è sogno, cioè un tessuto di
apparenze. Al di là del sogno e del fenomeno la realtà esiste e l'uomo, specie il
filosofo, non può fare a meno di interrogarsi su di essa.

2. Tutto è volontà

Se l'uomo fosse solo conoscenza e rappresentazione non potrebbe uscire dal mondo
fenomenico, ma siccome egli esiste anche come corpo, non si vede solo da fuori, ma
vive anche dal di dentro del corpo, godendo e soffrendo. Il corpo diventa quindi
l'elemento di acesso al noumeno ed è quello che mantiene la relazione tra soggetto e
oggetto. Ripegandosi in se stesso, l'uomo si rende conto che l'essenza profonda
dell'io, cioè la cosa in sé del suo essere globalmente considerato, è la volontà di
vivere: tutte le cose che fa il corpo le fa perché desidera vivere e l'intero mondo
fenomenico è il modo in cui la volontà si manifesta nella rappresentazione spazio-
temporale. Per esprimere il concetto di supremazia della volontà Schopenhauer
ricorre spesso a una serie di immagini, scrivendo che il rapporto tra volontà e
fenomeno è lo stesso che intercorre tra padrone e servo, cavaliere e cavallo ecc.

3. Caratteri e manifestazioni della volontà di vivere

Essendo al di là del fenlmeno, la volontà di vivere (noumeno) presenta caratteri


opposti a quelli del mondo della rappresentazione (fenomeno), che si appoggia
invece a spazio, tempo e causalità.
1 La volontà primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l'intelletto
appartengono al fenomeno che, al contrario della volontà, è coscio di voler
vivere;
2 A differenza del fenomeno, la volontà non occuopa uno spazio né si differenzia
da altre;
3 Essendo oltre la forma del tempo, la volontà è eterna e indistruttibile, un
principio senza inizio né fine (il tempo descrive i fenomeni);
4 Essendo al di là delle categorie di causa-effetto e ragione, la volontà è una
forza libera e cieca, né efficiente né finale: non ha una meta oltre a se
stessa, per cui è anche irrazionale, non essendo possibile da descrivere
mediante le categorie utilizzate per il mondo della ragione.
Le conseguenze derivanti dal modo di essere della volontà si riflettono nel mondo:
miliardi di esseri non vivono che per continuare a vivere. È questa, secondo
Schopenhauer, l'unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno sempre
cercato di mascherarla postulando un Dio al quale finalizzare la loro vita e trovare un
senso per le loro azioni.

4. Il pessimismo-dolore, piacere e noia

Se l'essere è la manifestazione di una volontà infinita, allora, secondo Schopenhauer,


la vita è dolore perché il desiderio crea una tensione verso qualcosa che ci manca e
che si vorrebbe avere: essendo il desiderio, inoltre, infinito, ci fa soffrire finché non
viene appagato. Poiché nell'uomo la volontà è più cosciente che negli altri esseri, è
anche il più bisognoso di appagamento; per di più, ciò che gli uomini chiamano
godimento (fisico) o gioia (psichica) è solo una cessazione, assenza di dolore,
ossia lo scaricarsi di una tensione precedente, che è la condizione necessaria per la
quale successivamente possa esserci il piacere (realtà momentanea). Questo piacere
può essere soltanto momentaneo, una funzione derivata del dolore, che vive
unicamente a spese di esso: infatti è il dolore (che è una realtà durevole,
permanente) che si identifica con il desiderio, che cessa non appena viene meno il
suo stato di tensione e quindi anche la possibilità di godimento. La terza situazione di
base dell'esistenza umana è la noia: essa subentra quando vengono meno il
desiderio o le occupazioni. La vita umana è, quindi, un pendolo che oscilla
incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l'intervallo fugace e illusorio
del piacere.

5. La sofferenza universale

Poiché la volontà di vivere è universale e si manifesta in tutte le cose come


Sehnsucht cosmica, il dolore non rigurarda soltanto l'uomo, ma investe ogni creatura.
L'uomo soffre di più delle altre creature perché è consapevole e sente che anche gli
altri uomini lo sono e soffrono; a sua volta il genio soffre ancor di più dell'uomo
perché sa che tutti gli uomini sentono che tutti soffrono a loro volta perché possiede
più sensibilità rispetto agli uomini comuni, "chi aumenta il sapere, moltiplica il
dolore". L'espressione di tale dolore universale si trova nella lotta crudele di tutte le
cose, perché gli esseri esistono a patto di divorarsi l'un l'altro; in questa vicenda
irrazionale, l'individuo risulta essere un mero strumento a servizio della specie.

6. L'illusione dell'amore

Alla natura interessa solo il preservarsi della specie, ma nasconde questa intenzione
dietro una maschera, un inganno, che è l'amore, uno dei più forti stimoli
dell'esistenza umana. L'unico scopo per cui l'amor è voluto dalla specie è solo
l'accoppiamento. Per questo motivo non c'è amore senza sessualità, necessaria a
mantenere la specie. Appunto perché ogni innamoramento, per quanto voglia
apparire etereo, affonda le sue radici nell'istinto sessuale, l'amore procreativo viene
inconsapevolmente avvertito come peccato, vergogna, un tabù, oltre ad essere
responsabile del maggiore dei delitti, cioè della procreazione di altre creature
destinate a soffrire, per questo l'unico amore di cui si può tessere l'elogio non è
quello generativo dell'eros, ma quello disinteressato della pietà, della carità.
7. Le vie della liberazione dal dolore

Siccome la vita è sostanzialmente dolore al di là di qualsiasi apparenza ingannevole,


l'uomo cerca di capire come liberarsi dalla volontà di vivere: Schopenhauer risponde
dicendo che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe pensare, quindi, al
suicidio universale come soluzione, cosa che, invece, Schopenhauer
assolutamente condanna:
 Il suicidio, lungi da essere negazione della volontà, è un atto diforte
affermazione della volontà stessa: il suicida è tale perché non accetta le
condizioni di vita che gli toccano, per cui vorrebbe vivere meglio: nega la vita,
ma non la volontà di essa;
 Il suicidio sopprime solo una manifestazione fenomenica della volontà di
vivere e lascia intatta la cosa in sé la quale, pur morendo in un altro individuo,
rinasce in altri.

8. L'arte

Mentre la scienza è fortemente legta alle forme dello spazio e del tempo, l'arte è
conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee nel senso platonico
del termine, cioè alle forme pure delle cose e il soggetto che le contempla è il puro
soggetto del conoscere. Per questo suo carattere contemplativo, l'arte sottrae
l'individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, offrendo un
appagamento immobile e compiuto: per questo larte è catartica per essenza, grazie
alla quale l'uomo contempla la vita elevandosi al di là della volontà, del dolore e del
tempo. Le arti sono ordinate gerarchicamente, passando dal livello più basso, che ha
a che fare strettamente con i prodotti materiali, fino a quello più alto in cui la volontà
si manifesta nella materia inorganica (architettura->scultura->pittura->poesia-
>musica). Tra le arti spicca la tragedia, che usa tutte le arti: teatro, poesia,
musica... e costituisce l'autorappresentazione del dramam della vita. La musica
occupa un posto a sé poiché non riproduce mimeticamente le idee, come le altre arti,
ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa.

9. L'etica della pietà

A differenza della contemplazione estetica, la morale implica un impegno nel mondo


a favore del prossimo. L'etica costituisce infatti un tentativo di superamento
dell'egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui tra di loro, che
costituisce l'ingiustizia e rappresenta una delle maggiori fonti di dolore per l'uomo.
Schopenhauer, a differenza di Kant, non sgorga da un imperativo categorico dettato
dalla ragione, ma da un'esperienza vissuta, cioè da un sentimento di pietà o
compassione attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri,
identificandoci con il loro tormento (empatia). La morale è sempre prassi, pratica,
quindi si realizza praticamente in due virtù cardinali:
 Giustizia: è il primo freno all'egoismo, ha un carattere negativo, (nel senso di
passivo) che consiste nel non fare il male e nell'essere disposti a riconoscere
agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi;
 Carità: si identifica con la volontà positiva e attiva di fare del bene al
prossimo. Diversamente dall'éros, questo, l'agápe, è un amore autentico e
disinteressato.

10. L'ascesi
Sebbene implichi una vittoria sull'egoismo, la morale rimane pur sempre all'interno
della vita e presuppone un qualche attaccamento ad essa: infatti, se compio un atto
di carità disinteressato non nego la volontà di vivere, ma la affermo. La liberazione
vera e propria dalla volontà di vivere è l'ascesi attraverso la quale l'individuo,
cessando di volere la vita e il volere stesso, si propone di eliminare il proprio
desiderio di esistere, godere e volere.
Il primo gradino dell'ascesi è costituito dalla castità perfetta, che libera dall'impulso
alla generazione e alla perpetuazione della specie. Le altre manifestazioni ascetiche
sono la rinuncia ai piaceri, l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e
l'automacerazione. La soppressione della volontà di vivere è l'unico vero atto di
libertà che sia possibile all'uomo.
Mentre nei mistici del cristianesimo l'asesi si conclude con l'estasi, l'unione con Dio,
nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino verso la salvezza pone come fine il
nirvana buddista (uscendo dal ciclo della reincarnazione), ovvero l'esperienza del
nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso. La volontà di vivere
(voluntas), tende a farsi noluntas, cioè negazione progressiva di se medesima.

Kierkegaard
1. Le difficoltà della vita

Mandò a monte il fidanzamento con Regina Olsen, fu attaccato da un giornale


satirico, mosse polemiche contro un teologo hegeliano scrisse un Diario di circa 6000
pagine, in cui parla di un "terremoto" prodottosi ad un certo punto nella sua
esistenza, parla di una "scheggia nelle carni", si pose rispeto alla sua stessa attività
di scrittore in modo distaccato e lontano, tanto da pubblicare i suoi libri con
pseudonimi ogni volta diversi: tutti queste caratteristiche fanno di Kierkegaard un
personaggio tormentato.

2. L'esistenza come possibilità e fede

La prima e fondamentale caratteristica dell'opera e della personalità di Kierkegaard


è il tentativo del filosofo di ricondurre la comprensione dell'intera esistenza umana
alla categoria della possibilità scoprendo e mettendo in luce il carattere negativo di
ogni possibile che entri a costituire l'esistenza umana: qualunque possibilità oltre che
"possibilità-che-sì" può essere anche "possibilità-che-non", ossia che ciò che è
possibile non sia: qualsiasi possibilità implica quindi la minaccia del nulla.
Kierkegaard vive e scrive sotto il segno di questa minaccia e definisce come punto
zero l'indecisione permanente, l'equilibrio instabile tra le opposte alternative che si
aprono di fronte a qualsiasi possibilità. L'altra caratteristica fondamentale del suo
pensiero è lo sforzo costante di chiarire le possibilità fondamentali che si offrono
all'uomo, ovvero quei momenti in cui l'uomo è indotto a scegliere. Il terzo elemento
portante è il tema della fede, in particolare del cristianesimo, unica religione in cui
intravede un'ancora di salvezza, unica via per sottrarre l'uomo all'angoscia e alla
disperazione che ne costituiscono strutturalmente l'esistenza.

3. La vita estetica e la vita etica

Aut-aut è una raccolta di scritti di Kierkegaard che presentano l'alternativa tra i due
stadi fondamentali dell'esistenza: la vita estetica e la vita morale. Tra i due non
c'è una progressione, un passaggio dall'uno all'altro, ma una sorta di abisso: ogni
stadio forma una vita a sé e si presenta all'uomo come un'alternativa che esclude
l'altra.
Lo stadio estetico è la forma di vita che esiste nell'attimo fuggevolissimo e
irripetibile; per rappresentare questo stadio Kierkegaard utilizza la figura del Don
Giovanni, il protagonista del Diario di un seduttore, il quale sa trarre godimento non
dalla ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma dalla scelta deioiaceri più
intensi e appaganti. Pur condotta in questa forma "perfetta", la vita estetica rivela
tuttavia la propria inadeguatezza, conducendo necessariamente alla noia e infine
alla disperazione.
Con la scelta della disperazione nasce dunque la vita etica, la quale implica una
stabilità e una continuità che la vita estetica, in quanto incessante ricerca della
varietà, esclude. Lo stadio etico è il dominio della riaffermazione di sé, del dovere e
della fedeltà a se stessi, ovvero il dominio della libertà, poiché in essa l'uomo si
forma o afferma da sé; in questa vita l'uomo singolo si sottopone a una forma, si
adegua all'universale e rinuncia ad essere l'eccezione. Così come la vita estetica è
rappresentata dal seduttoee, quella etica ha invece come simbolo il marito: il
matrimonio, infatti, per Kierkegaard è l'espressione tipica dell'eticità.
Il pentimento costituisce l'ultima parola della vita etica, parola per cui lo stadio etico
rivela la propia insufficienza e la necessità di passare al dominio della religione. La
scelta assoluta è dunque pentimento, riconoscimento della propria colpevoezza.
4. La vita religiosa

Così come non c'è continuità transtadio estetico ed etico, non c'è nemmeno tra
stadio etico e religioso, tra i quali è presente un abisso ancora più profondo.
Kierkegaard chiarisce questa opposizione in Timore e tremore, dove la vita
religiosa viene raffigurata mediante il personaggio biblico di Abramo. Vissuto 70 anni
nel rispetto della legge morale, riceve da Dio l'ordine di uccidere il figlio Isacco,
infrangendo così la legge per la quale è vissuto: questo sacrificio non è suggerito da
un'esigenza morale, bensì da un comando divino: venendo meno ai suoi doveri di
padre passa allo stadio religioso che è al di là di quello etico; la fede, in ogni caso,
non è un principio generale, ma un rapporto privato tra uomo e Dio, un rapporto
assoluto con l'assoluto, è ildominio della solitudine. Da tuto ciò deriva il carattere
incerto e rischioso della vita religiosa: non so se è Dio che mi perdona o sono io che
glielo chiedo (Agostino sosteneva che bisogna chiedere la Grazia, ma era necessario
avercela dapprima). La fede è paradosso e scandalo, dipede da Dio (ripresa del
pensiero della dotta ignoranza ->): Dio è al di fuori delmio modo di conoscere e
pensare, quindi è anche al di là del principio di non-contraddizione, poiché Dio è
tutto, anche gli opposti, e da lui deriva la fede: proprio a causa di questa
carateristica di assurdità della fede l'uomo è posto di fronte ad un bivio, può decidere
se credere o non credere.

Il concetto dell'angoscia e La malattia mortale

In queste sue due opere fondamentali, Kierkegaard analizza la situazione di radicale


incertezza, instabilità e dubbio in cui l'uomo si trova costituzionalmente: nella prima
analizza il rapporto che ho con gli altri, nella seconda se stessi, il problema dell'uomo
come possibilità.

5. Il concetto di angoscia

L'angoscia è la condizione generata nell'uomo dal possibile che lo costituisce ed è


strettamente connessa con il peccato originale: l'uomo diventa angoscioso tante più
cose sa, mentre finché non conosce le infinite possibilità che gli spettano resta
"innocente", a differenza deglialtri animali che, per istinto, sanno sempre cosa fare.
L'angoscia non si riferisce a nulla di preciso, è il puro sentimento della
possibilità: ciò che rende inquieto l'uomo è il divieto, perché è proprio quando
questo viene esplicitato che l'uomo capisce di avere la possibilità di fare ciò che gli è
vietato, viene risvegliata in lui la possibilità della libertà. La connessione
dell'angoscia con il possibile si rivela nella connessione del possibile con l'avvenire:
il possibile, infatti, corrisponde completamente al futuro. Può essere legata al
passato solo nel caso in cui il passato si presenti come opossibile futuro, cioè come
possibilità di ripetizione: una colpa passata genera angoscia solo se non è
veramente passata, ovvero se è possibile ricadervi. Kierkegaard collega l'angoscia,
inoltre, al principio dell'infinità del possibile, cioè nel possibile, tutto è possibile,
anche e soprattutto il negativo. Per questo ogni possibilità favorevole è spesso
annientata dall'infinito numero di possibilità sfavorevoli.

6. La malattia mortale

Se l'agoscia è la condizione in cui il possibile pone l'uomo rispetto al mondo, la


disperazione è la condizione in cui il possibile pone l'uomo risoetto alla sua
interiorità, al suo io. L'io non è rapporto, ma è il ritorno su se stesso del rapporto: l'io
stesso vorrebbe negare di essere solo possibilità, ma se si nega e non vuole essere
se stesso, allora è come se negasse Dio, ma ovviamente questa volontà è impossibile
da risolvere. Questa disperazione è perciò chiamata da Kierkegaard malattia
mortale, non perché conduca alla morte dell'io, ma perché consiste nel vivere la
morte dell'io: è, appunto, il tentativo impossibile di negare la sua possibilità.
Poiché l'io è sintesi di necessità e libertà, in esso la disperazione nasce da:
 Una mancanza di necessità: l'io fugge verso possibilità che si moltiplicano
indefinitamente e, dunque, non si concretizzano mai, facendo dell'individuo un
miraggio;
 Una mancanza di libertà: l'io nega la libertà, si sente come un disperato che
non può fare nulla.
Secondo Kierkegaard, solo il credente possiede l'antidoto contro la disperazione,
riconoscendo la propria dipendenza da Dio. Nel rapporto contraddittorio tra singolo e
assoluto sta ciò che Kierkegaard definisce "scandalo del cristianesimo": il fatto che la
realtà dell'uomo sia quella di un individuo isolato di fronte a Dio e che ogni individuo,
in quanto tale, esista di fronte a Dio, poiché egli è al di là dei principi della ragione
umana e non sottostà ai principi del pensiero.

7. Eredità kierkegaardiane

La filosofia di Kierkegaard costituisce, nel suo complesso:


 Un'apologetica religiosa (vedi apologia del cristianesimo di Pascal);
 Un pensiero di fondo che sarà, agli inizi del Novecento, la base
dell'esistenzialismo.

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