1.
Che cos’è il paesaggio: una lettura geografica
Il concetto di paesaggio è un esempio emblematico della complessità e ricchezza di significati
che una singola parola può contenere. Esso unisce in sé molteplici livelli semantici: da un lato, i
significati che appartengono al linguaggio comune, dove il termine evoca un panorama o una
porzione di territorio con determinate caratteristiche, una scena naturale o culturale
osservabile; dall’altro, gli usi scientifici, istituzionali e normativi, che danno al termine un valore
tecnico, operativo e analitico. Inoltre, il significato di paesaggio varia notevolmente nei diversi
contesti linguistici e culturali: il termine paesaggio/paysage nelle lingue neolatine è più legato alla
dimensione insediativa e umana, mentre landscape/landschaft in area germanica e
anglosassone tende a sottolineare l’interazione dinamica tra natura e società.
Tale pluralità si rispecchia anche nella diversità delle esperienze individuali. Ogni persona ha
un proprio modo di “guardare” e “vivere” il paesaggio, legato alla propria esperienza personale, ai
paesaggi quotidiani, ai luoghi attraversati durante i viaggi, ai paesaggi turistici o alle immagini
diffuse dai media. In questo senso, ogni individuo è a suo modo “esperto” di paesaggi: li osserva,
li riconosce, li interpreta, e in essi proietta significati e valori che derivano dal proprio vissuto,
dal contesto socio-culturale di appartenenza e dalle attività che svolge.
Di conseguenza, se da un lato esistono paesaggi differenti nei loro tratti fisici e visivi, dall’altro
esistono anche rappresentazioni diverse degli stessi paesaggi: le modalità con cui li
percepiamo, li narriamo e li valorizziamo. Le immagini mentali che associamo ai paesaggi si
intrecciano continuamente con la varietà di significati emersi sul piano concettuale.
In questo quadro complesso e stratificato, la geografia si propone di fornire strumenti
interpretativi per comprendere il paesaggio come espressione della relazione tra popolazione
e territorio. A tal fine, è utile articolare il discorso attraverso tre assi principali: la lettura del
paesaggio, l’analisi della sua struttura materiale e processuale, e l’approfondimento della sua
dimensione immateriale e relazionale.
1.1 La lettura del paesaggio
Una delle caratteristiche fondamentali del concetto geografico di paesaggio è la sua natura
relazionale. Il paesaggio non è semplicemente un insieme di elementi fisici giustapposti, ma il
risultato delle relazioni che essi stabiliscono tra loro. È una sintesi visibile, una fisionomia
d’insieme che restituisce, in un colpo d’occhio, l’organizzazione spaziale di una porzione di
territorio.
Nella pratica della geografia, questo colpo d’occhio iniziale – l’impressione estetica e immediata
che si riceve da un paesaggio – rappresenta solo il punto di partenza per un percorso di lettura
analitica e interpretativa. Tale percorso si sviluppa secondo diversi livelli. Il primo è quello della
lettura denotativa, che mira a riconoscere e descrivere gli elementi visibili del paesaggio: le
forme del terreno, i corsi d’acqua, la vegetazione, le coltivazioni, gli insediamenti, le infrastrutture, i
segni storici come ruderi o edifici religiosi. In questa fase, l’osservazione si concentra anche sulle
relazioni spaziali tra gli elementi: dove si collocano rispetto l’uno all’altro, quali pattern formano,
come dialogano tra loro.
Segue poi una lettura interpretativa, che si interroga sulle cause che hanno prodotto tali
configurazioni. Qui si passa dall’osservazione alla spiegazione: perché ci sono boschi su quei
pendii? Quali fattori – naturali, economici, tecnologici o politici – hanno determinato l’espansione
dei vigneti o la forma degli insediamenti? Per rispondere, si attinge a saperi interdisciplinari,
collegando il paesaggio visibile alle dinamiche sottostanti.
A questo punto, l’analisi si apre alla dimensione temporale: il paesaggio viene considerato nel
suo divenire storico. Gli elementi che lo compongono portano con sé tracce di trasformazioni
passate, di memorie visive e materiali che testimoniano processi lenti o repentini di
mutamento. Osservare un paesaggio significa allora interrogarsi su cosa è cambiato, quando e
come: un prato abbandonato da tempo, un edificio antico in mezzo a nuove costruzioni, un bosco espanso
su vecchie aree coltivate.
Infine, si giunge alla lettura connotativa, che riguarda il significato affettivo, simbolico,
identitario del paesaggio. Oltre alla descrizione e alla spiegazione, si esplorano le emozioni e le
valutazioni che il paesaggio suscita: è percepito come familiare, bello, disordinato, degradato? È
uno spazio vissuto o estraneo? È oggetto di tutela o di rigetto? Le risposte variano a seconda degli
occhi che lo guardano, ovvero delle appartenenze culturali, delle esperienze soggettive e delle
relazioni sociali.
Questi quattro livelli – denotativo, interpretativo, temporale e connotativo – non sono separabili.
Solo il loro intreccio consente una comprensione profonda del paesaggio come sistema
complesso di relazioni, materiali e immateriali, tra società e spazio.
1.2 La struttura del paesaggio: forme e processi
Il paesaggio, inteso come manifestazione visibile del territorio, è anche e soprattutto il
prodotto di processi dinamici, che agiscono nel tempo e nello spazio. Esso è generato
dall’interazione tra fattori naturali (morfologia, idrologia, clima, vegetazione) e fattori umani
(attività agricole, insediamenti, infrastrutture, normative, pratiche culturali). Ogni forma che
osserviamo in un paesaggio è il risultato di azioni consapevoli o inconsapevoli, di progetti
pianificati o di consuetudini sedimentate nel tempo.
La geografia riconosce che il paesaggio non è mai neutro né casuale: è sempre radicato in un
contesto, è espressione di relazioni, è segno visibile di processi profondi. Per questo, il testo
propone un modello concettuale (FIG. 1.1) che distingue tra due piani: quello superficiale, in cui
si colloca il paesaggio come oggetto percepito, e quello profondo, in cui si dispiegano le
dinamiche territoriali che lo generano. Il paesaggio è una interfaccia, un punto di contatto tra
ciò che si vede e ciò che agisce invisibilmente nella società e nell’ambiente.
In questo schema, i caratteri del paesaggio sono suddivisi in tre categorie fondamentali. I
caratteri naturali includono elementi come rilievi, fiumi, vegetazione spontanea. I caratteri
antropici comprendono coltivazioni, edifici, strade, manufatti. Infine, i significati e i valori
rappresentano la dimensione immateriale: ciò che la società attribuisce a quei luoghi in termini di
identità, memoria, simbolo, desiderio, senso del luogo.
Questi tre ambiti non sono isolati, ma interconnessi: il paesaggio non è mai la somma dei suoi
elementi, bensì il risultato delle relazioni tra di essi. Il tutto è più della somma delle parti, e ogni
elemento acquista significato solo in relazione agli altri e al contesto.
Lo schema evidenzia anche come ogni lettura del paesaggio – denotativa, interpretativa,
temporale, connotativa – trovi collocazione e senso all’interno di questo sistema strutturale. Il
paesaggio si presenta così come un ipertesto geografico, attraversabile in molte direzioni,
decifrabile da molte prospettive, continuamente riscrivibile.
1.3 La struttura del paesaggio: la dimensione immateriale e la circolarità del rapporto
popolazione-paesaggio
La riflessione si concentra infine sulla dimensione immateriale del paesaggio, cioè sull’insieme di
significati, emozioni, memorie e valori che i soggetti individuali e collettivi attribuiscono ai
luoghi. Secondo la geografia culturale, il paesaggio non è solo ciò che si vede, ma è anche il
modo in cui si guarda: è una costruzione culturale, che riflette le idee, le norme e le pratiche
della società che lo ha prodotto.
In questo senso, il paesaggio è il frutto di un rapporto circolare tra popolazione e territorio: gli
individui e le comunità costruiscono il paesaggio attraverso le loro azioni, ma sono anche
modellati da esso, perché lo vivono, lo osservano, lo caricano di significati. Questo rapporto è
stato descritto da Eugenio Turri come un teatro in cui l’uomo è contemporaneamente attore e
spettatore: costruisce ciò che osserva e osserva ciò che ha costruito.
La FIG. 1.2 rappresenta questo processo come una retroazione continua: le forme materiali del
territorio generano rappresentazioni mentali (basate su percezioni, esperienze, modelli culturali
condivisi), che a loro volta orientano comportamenti, scelte, politiche e trasformazioni,
alimentando così nuovi cambiamenti nelle forme.
Da ciò deriva un punto chiave della riflessione geografica: non è la realtà oggettiva a orientare
l’azione, ma l’immagine che ci si costruisce di essa. Le scelte territoriali – pubbliche o private –
non sono mai neutrali: sono guidate da idee, proiezioni, aspettative. Il paesaggio è dunque un
prodotto sociale, che incorpora visioni del mondo, rapporti di potere, rappresentazioni
simboliche, e che può essere luogo di inclusione o esclusione, di memoria o oblio, di
appartenenza o conflitto.
In definitiva, il paesaggio – nella sua materia e nella sua mente – è il luogo in cui si manifesta la
circolarità continua tra percezione e trasformazione, tra significato e azione, tra società e
spazio.
2. La prospettiva della Convenzione europea del paesaggio
Sebbene il testo non si proponga di trattare in modo approfondito gli aspetti giuridici o applicativi
relativi alla tutela e gestione del paesaggio, è impossibile eludere il riferimento alla
Convenzione europea del paesaggio, documento fondamentale che ha influenzato in modo
significativo il dibattito scientifico, tecnico e politico sul tema. La sua importanza risiede meno negli
effetti pratici e più nella capacità di attivare riflessioni e confronti attorno al concetto stesso di
paesaggio.
La Convenzione non solo cerca di armonizzare le differenti tradizioni culturali europee in
materia, ma propone anche una visione innovativa, che molti hanno definito rivoluzionaria, del
paesaggio. L’approccio è quello di una vera e propria democratizzazione del paesaggio: un bene
“dappertutto”, “di tutti” e “per tutti”. Il documento ha avuto, quindi, un impatto notevole anche
sulla riflessione geografica, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni sociali del paesaggio.
2.1 L’origine del documento
La Convenzione europea del paesaggio è stata ufficialmente sottoscritta il 20 ottobre 2000 da
18 Stati membri del Consiglio d’Europa, durante una cerimonia a Firenze, presso Palazzo
Vecchio. Tuttavia, la sua gestazione era iniziata già nella prima metà degli anni ’90, in risposta a
numerose sollecitazioni provenienti dalla società civile: gruppi locali, associazioni e istituti di
ricerca chiedevano un rinnovato ruolo per il paesaggio nelle politiche pubbliche, evidenziando
l’emergere di una vera e propria domanda sociale di paesaggio, legata soprattutto ai luoghi
della vita quotidiana.
Una prima risposta era giunta con la Carta del paesaggio del Mediterraneo (1993), documento
non vincolante ma significativo. Tuttavia, fu il Consiglio d’Europa – per la sua missione legata a
diritti umani, democrazia, stato di diritto e identità europea – a farsi carico di elaborare un
documento ufficiale e vincolante. Il lavoro fu avviato nel 1994, all’interno del Congresso dei
poteri locali e regionali, coinvolgendo anche organizzazioni scientifiche, e si concluse con
l’adozione da parte del Comitato dei ministri nel luglio 2000, con la firma aperta nell’ottobre
dello stesso anno.
La ratifica da parte dei primi paesi firmatari ha portato all’entrata in vigore nel 2004. Ad oggi, la
Convenzione è stata ratificata da 40 paesi, tra cui l’Italia, che ha proceduto alla ratifica con la
legge 9 gennaio 2006, n. 14. Da quel momento, essa fa parte dell’ordinamento giuridico
italiano.
L’obiettivo generale è definito chiaramente nel preambolo: perseguire uno sviluppo sostenibile
basato sull’equilibrio tra bisogni sociali, attività economiche e ambiente. L’articolo 3 specifica
che la Convenzione si propone di promuovere la salvaguardia, la gestione e la pianificazione
del paesaggio, oltre a organizzare la cooperazione europea in questo ambito. Obiettivi, questi,
ambiziosi e tutt’altro che semplici da tradurre in prassi concrete.
2.2 Il ruolo centrale delle popolazioni
L’aspetto più innovativo della Convenzione è rappresentato dall’attribuzione di un ruolo
centrale alle popolazioni. Il paesaggio non è concepito come un oggetto da tutelare per se
stesso, ma come strumento per il benessere collettivo, e come diritto delle popolazioni che lo
abitano e lo percepiscono. Le questioni di fondo sollevate dal documento toccano infatti i diritti
umani, la democrazia e le identità collettive.
Il preambolo sottolinea che il paesaggio è:
• una risorsa per lo sviluppo;
• una componente del patrimonio culturale e naturale;
• un elemento di identità;
• un fattore della qualità della vita.
Le popolazioni, quindi, hanno il diritto di godere di un paesaggio di qualità e, allo stesso
tempo, la responsabilità della sua cura.
Questo principio si riflette in tutta la Convenzione, in particolare nell’articolo 1, che propone una
definizione di paesaggio centrata sulla percezione: il paesaggio è definito come una “porzione di
territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori
naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Ciò significa che senza percezione, non c’è
paesaggio: esso è non solo un fatto materiale, ma anche e soprattutto una costruzione culturale
e simbolica.
La centralità del soggetto percepiente – concetto già affrontato nel capitolo precedente –
implica che il paesaggio sia contemporaneamente realtà fisica e rappresentazione mentale,
portatrice di significati soggettivi e collettivi. La Convenzione ammette quindi che vi possano
essere molteplici visioni e significati associati al paesaggio, senza che uno prevalga in
assoluto. Questo pluralismo di significati può anche dar luogo a conflitti, che vanno riconosciuti
come parte integrante delle dinamiche sociali.
L’articolo 2 segna un altro passaggio fondamentale: il paesaggio non si identifica soltanto con i
luoghi “belli” o “rari”, ma si estende a tutto il territorio delle parti firmatarie. È, quindi,
onnipresente e comprende anche i paesaggi della vita quotidiana, non necessariamente
pregevoli da un punto di vista estetico o naturalistico. È qui, nei luoghi ordinari, che si gioca la
qualità della vita delle popolazioni, e quindi qui devono concentrarsi le politiche di intervento.
La Convenzione propone tre tipi di azione:
• Salvaguardia: conservazione dei paesaggi inalterati;
• Gestione: accompagnamento delle trasformazioni in atto;
• Pianificazione: progettazione di nuovi paesaggi o riorganizzazione di quelli esistenti.
Queste azioni non sono alternative, ma complementari, e devono essere integrate in strategie
coerenti con le realtà locali e le aspettative degli abitanti. Si parla, infatti, di “obiettivi di
qualità paesaggistica”, cioè le aspirazioni delle popolazioni rispetto alle caratteristiche del
proprio ambiente di vita (art. 1, lett. c). Le politiche devono dunque costruirsi in dialogo con la
cittadinanza.
2.3 La Convenzione europea del paesaggio nel quadro normativo italiano
L’approccio promosso dalla Convenzione si scontra con alcuni limiti della tradizione normativa
italiana, storicamente focalizzata sulla tutela delle eccezionalità. Le leggi italiane sul
paesaggio, a partire dalla legge 1497/1939, fino al Codice dei beni culturali e del paesaggio
(D.Lgs. 42/2004), pongono infatti l’accento sulla conservazione dei “beni paesaggistici”, cioè
aree di notevole interesse pubblico, spesso coincidenti con bellezze naturali o storiche.
In questo quadro, il paesaggio è visto come qualcosa da preservare, e non come uno spazio
vissuto dalle popolazioni. Le politiche si traducono in vincoli paesaggistici e nella necessità di
ottenere una autorizzazione paesaggistica per qualsiasi trasformazione, con una logica di
controllo e limitazione, piuttosto che di partecipazione e progettazione condivisa.
Le differenze con la Convenzione sono quindi profonde:
• la conservazione è solo una parte dell’azione proposta dalla Convenzione, che mira
anche alla gestione attiva e alla progettazione futura;
• le popolazioni sono considerate attori centrali nella Convenzione, ma sono assenti nel
Codice, dove prevale il punto di vista tecnico e specialistico.
Tuttavia, i due strumenti non sono incompatibili: essi offrono prospettive complementari, una
centrata sui valori eccezionali, l’altra sulla qualità diffusa e condivisa del paesaggio come
luogo di vita.
Il problema principale sta nella difficoltà di integrazione tra i due approcci, per motivi sia tecnici
(procedure amministrative rigide e complesse), sia culturali (resistenze a riconoscere la
soggettività del paesaggio). Ciò rende ancora lento e faticoso il recepimento effettivo della
Convenzione nelle politiche italiane.
3 La percezione sociale del paesaggio come oggetto di studio
Il paesaggio contiene intrinsecamente una duplice natura: una componente materiale, fatta di
forme visibili e processi territoriali, e una componente immateriale, costituita da percezioni,
rappresentazioni, valori. È proprio questa dimensione immateriale – che insiste e dialoga con
quella fisica – a distinguere il paesaggio dai concetti di spazio, luogo e territorio. Parlare di
paesaggio equivale perciò a parlare, inseparabilmente, di percezione: si forma così un vero e
proprio binomio percezione-paesaggio, poiché è attraverso il processo percettivo che il mondo
tangibile diventa scenario significativo per i soggetti che lo abitano.
Questo capitolo ricostruisce, innanzitutto, l’evoluzione del dibattito scientifico sulla percezione
del paesaggio; poi, presenta i quadri teorici che la qualificano come oggetto di studio e le
metodologie più efficaci per indagarla empiricamente; infine, ne evidenzia le implicazioni
applicative per la gestione e le politiche paesaggistiche, soprattutto alla luce della Convenzione
europea.
3.1 Alcune tappe preliminari negli studi sulla percezione del paesaggio
La dimensione percettiva non è un’invenzione recente: già nel 1917 Olinto Marinelli sottolineava
che il paesaggio è un concetto «astratto e personale», dipendente dalla nostra facoltà
rappresentativa; senza lo sguardo umano esisterebbe «un paese», non «un paesaggio». Anche
Aldo Sestini, pur muovendosi in un quadro positivista di classificazioni tipologiche, ammetteva un
«momento emotivo-soggettivo» come scintilla iniziale della conoscenza paesaggistica.
Tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento la questione diventa centrale. Maria Chiara Zerbi,
nel volume Paesaggi della geografia, ricostruisce questi percorsi, mostrando come «il prodotto
della percezione risulta persino più importante della realtà stessa». Il campo si arricchisce
grazie alla geografia del comportamento e alla geografia della percezione, che introducono
concetti quali ambiente di comportamento e immagini mentali.
Determinante è la rassegna di Downs, che, con lo schema (fig. 3.1), collega “mondo reale –
recettori – sistema di valori – decisione”, definendo la percezione un processo interattivo e
dinamico governato da quattro variabili: stimolo, ricezione, motivazioni, esperienze
pregresse. Gold enfatizza il ruolo dei filtri culturali e delle rappresentazioni mentali, mentre la
discussione francese su L’Espace géographique (1973-74) evidenzia la distanza fra la percezione
“istruita” dei geografi e quella affettiva e utilitaria della gente comune, aprendo un dibattito sulle
diverse scale di valore e sulle ricadute decisionali.
Nel mondo anglosassone, la rassegna di Zube, Sell e Taylor classifica quattro paradigmi –
esperto, psicofisico, cognitivo, esperienziale – mostrando come la qualità di un paesaggio sia
variamente ancorata a naturalità, stimolo-risposta, teorie evolutive o significati attribuiti dagli
osservatori. La prospettiva transazionale di Ittelson sposta l’attenzione sull’interazione uomo-
paesaggio, concetto che le teorie post-rappresentazionali riprendono per studiare la co-
evoluzione di forme e percezioni. Intanto, la crescente influenza dei media rivela come le
rappresentazioni paesaggistiche possano addirittura modellare o creare ex novo le nostre
immagini del mondo.
3.2 Le ricerche francesi negli anni Novanta
Se in Italia la geografia fatica ancora a includere sistematicamente la percezione tra i suoi oggetti di
studio, in Francia gli anni Ottanta-Novanta sono un periodo fecondo. Il volume Paysage au
pluriel (1995) – frutto di inchieste etnografiche, antropologiche, geografiche e architettoniche –
anticipa molti temi poi accolti dalla Convenzione europea: centralità dei paesaggi vissuti,
attenzione ai modelli culturali e idea del paesaggio come produzione sociale continua.
Una novità cruciale di questi studi è la ridefinizione dei ruoli: la popolazione non è più “oggetto”
d’indagine, ma soggetto attivo; spesso è la committenza locale a sollecitare la ricerca,
chiedendo di chiarire valori e conflitti. Parallelamente, lo del proprio
studioso deve rendere conto
sguardo e delle proprie matrici culturali, instaurando un dialogo con la comunità. Questa
impostazione, affine agli approcci partecipativi in chiave sostenibile, apre questioni ancora
attuali sul rapporto fra sapere esperto e sapere locale.
Le indagini mettono inoltre in luce l’esistenza di “modelli” (modèles paysagés): cornici estetiche e
simboliche che orientano lo sguardo collettivo. Per parlarne serve una distanza critica (non solo
fisica, ma culturale) e la consapevolezza che il paesaggio può fungere da “pretesto” per
discutere di più ampie costruzioni sociali.
3.3 Preferenze, valutazioni, percezioni
Oggi il filone sulla percezione del paesaggio è estremamente ricco e differenziato. Alcuni studi
indagano i meccanismi percettivi e la formazione di immagini mentali; altri esplorano i
significati culturali e simbolici; altri ancora valutano le ricadute applicative (ad esempio nella
gestione o nel marketing territoriale).
Un nucleo rilevante, spesso in dialogo con la psicologia ambientale, analizza le preferenze
individuali: quali caratteristiche paesaggistiche generano risposte positive, quali stimolano
stress o disorientamento. Oltre alla dimensione visiva, cresce l’attenzione per l’esperienza
multisensoriale e per la componente emozionale, connettendosi agli studi su place
attachment e more-than-representational thinking.
Le ricerche collettive mostrano come gruppi con background simili possano condividere
preferenze, ma non sempre tali convergenze producono una percezione realmente condivisa:
emergono infatti differenze legate a età, ruolo sociale, provenienza, coinvolgimento professionale.
3.4 La dimensione sociale della percezione
Numerosi autori concepiscono il paesaggio come prodotto simbolico e bene comune, nodo di
identità e memoria collettiva. Ciò richiede un approccio genuinamente sociale: non basta
analizzare meccanismi percettivi o graduatorie estetiche; occorre comprendere come i valori
attribuiti influenzino le azioni di trasformazione e viceversa.
Il paesaggio è interfaccia tra il fare e il vedere: le collettività lo costruiscono e, insieme, lo
interpretano. La ricerca deve quindi far emergere la pluralità dei significati – spesso conflittuali –
riconoscendo la distanza tra valori esperti e quotidiani. Le divergenze, una volta rese visibili,
possono diventare base per nuovi pattismi e progetti condivisi.
Luginbühl distingue tre scale di modelli percettivi:
1. Globale – riferimenti estetici e simbolici di una cultura ampia (veicolati anche dai media), che
influenzano inconsciamente gli individui.
2. Locale – schemi costruiti dalla società che abita un luogo, intrecciando pratiche d’uso,
rapporti di forza, memoria storica.
3. Individuale – filtri personali derivanti da esperienze e attitudini.
Solo considerando l’interazione di questi livelli possiamo decifrare i processi di attribuzione di
valore, soprattutto nei paesaggi della vita quotidiana – quelli «dappertutto» di cui parla la
Convenzione europea.
3.5 Paesaggio, percezione e benessere nella prospettiva della Convenzione europea
Con la Convenzione europea del paesaggio (2000) il nesso tra popolazione e paesaggio
diventa pilastro normativo. Il paesaggio è definito «elemento chiave del benessere individuale e
sociale» e ciò introduce nuove sfide di governance: occorre ascoltare percezioni,
rappresentazioni, aspirazioni per orientare scelte e politiche.
Il benessere ha molte facce. C’è quello fisico-materiale (qualità ambientale, salute), quello
economico (valore turistico o di mercato legato al paesaggio), quello psicologico (riduzione dello
stress, rigenerazione cognitiva) e quello identitario-sociale (radicamento, senso di
appartenenza). Ma benessere significa anche partecipazione: essere coinvolti nelle decisioni sul
proprio ambiente di vita.
Le indagini sulla percezione offrono quindi un duplice contributo: conoscitivo (diagnostico) e
partecipativo (attivo). Raccogliere opinioni e valori non è neutro: genera consapevolezza, può
riequilibrare i rapporti tra attori e avviare processi di co-progettazione. È, al contempo,
un’opportunità e una responsabilità per il ricercatore, che deve gestire con cura tempi, linguaggi e
aspettative.
3.6 Le metodologie per lo studio delle percezioni
Studiare la percezione del paesaggio richiede metodi appropriati e una riflessione costante sui
limiti di ciascuno. Gli strumenti spaziano dai questionari standardizzati (utili per campioni ampi,
ma rischiosi per eccessiva rigidità) alle interviste in profondità, dai focus group ai metodi
visuali (foto-elicitazione, mappe mentali), fino alle mobile methodologies che accompagnano i
partecipanti nel paesaggio.
Le metodologie quantitative permettono confronti rapidi ma possono semplificare
eccessivamente la complessità. Le qualitative offrono profondità interpretativa, ma su campioni più
ridotti e con risultati meno comparabili. Spesso la soluzione migliore è combinare più metodi, valutando
criticamente dati e procedure.
Il ricercatore deve inoltre:
• essere consapevole dei propri filtri culturali per evitare proiezioni indebite;
• scegliere le strategie in base alla finalità (esplorativa o mirata);
• prestare attenzione alla lessicalità: il termine “paesaggio” può essere frainteso (ad esempio
ridotto ai soli “bei panorami”); talvolta conviene usare sinonimi o espressioni descrittive, o indagare
esplicitamente cosa significhi “paesaggio” per i partecipanti.
Capitolo 4 Temi e questioni sulla dimensione sociale del paesaggio
Dopo aver delineato nelle sezioni precedenti le molteplici definizioni e funzioni del paesaggio,
questo capitolo si concentra su una prospettiva centrale nella geografia contemporanea: la
dimensione sociale del paesaggio. L'autrice sottolinea che i paesaggi non sono solo vissuti e
interpretati da individui isolati, ma sono anche costruiti, modellati e significati da collettività, i cui
rapporti interni si riflettono nelle modalità di trasformazione e gestione degli spazi.
Il paesaggio, quindi, è il risultato di un insieme complesso di interazioni sociali, culturali,
economiche e politiche. All'interno di questa prospettiva, il capitolo affronta due grandi temi: la
questione della titolarità e responsabilità collettiva sul paesaggio (di chi è il paesaggio?), e la
pluralità delle attribuzioni di valore che gli vengono riconosciute. Entrambi questi nodi teorici e
pratici si inseriscono in un più ampio quadro interpretativo utile a orientare analisi, politiche e
strumenti applicativi.
4.1 – Di chi è il paesaggio?
Il paesaggio è una costruzione sociale e, come tale, è frutto di processi collettivi e di relazioni di
potere. La domanda “di chi è il paesaggio?” implica una riflessione sui soggetti che partecipano
alla sua definizione, modifica e tutela. L’interrogativo, solo apparentemente semplice, apre a una
pluralità di implicazioni complesse: chi sono i soggetti coinvolti? Quali ruoli ricoprono? Con
quali strumenti e margini di azione?
Secondo la Convenzione europea del paesaggio, tutti gli individui hanno diritto a vivere in un
paesaggio di qualità e hanno il dovere di prendersene cura. Tuttavia, tali affermazioni, pur
condivisibili in linea teorica, si scontrano con la realtà delle pratiche: spesso, i soggetti realmente
coinvolti sono pochi e dotati di strumenti diseguali.
L’autrice propone una scomposizione della generica categoria di “popolazione” in sottogruppi
dotati di ruoli e responsabilità diverse, evidenziando le asimmetrie di potere nella gestione
paesaggistica:
Politici e amministratori pubblici detengono il potere decisionale, sia diretto che indiretto. Oltre
alle politiche esplicitamente orientate alla pianificazione paesaggistica, incidono anche tutte le
normative settoriali che producono effetti esterni (es. politiche agricole, infrastrutturali,
energetiche).
Esperti e tecnici, come urbanisti, architetti, geografi e pianificatori, non intervengono direttamente
sul paesaggio, ma mediano la conoscenza scientifica e producono strumenti interpretativi e
proposte operative che influenzano le scelte politiche.
Stakeholder, ovvero portatori di interessi organizzati, come categorie produttive, associazioni
ambientaliste, movimenti civici. Il loro potere di incidere dipende dalla loro forza economica,
capacità di lobbying e visibilità pubblica. Alcuni stakeholder, come i settori agricolo, turistico e
immobiliare, agiscono direttamente sulla forma del paesaggio.
Cittadini comuni, che influenzano il paesaggio quotidiano attraverso pratiche ordinarie (uso degli
spazi pubblici, preferenze abitative, stili di mobilità) e scelte individuali (gestione della casa, del
verde, degli spazi privati). Anche se le loro azioni sembrano minute, nel loro insieme determinano
modificazioni paesaggistiche su larga scala.
Il coinvolgimento effettivo dei cittadini nei processi decisionali è ancora debole. Sebbene la
normativa italiana (art. 144 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) preveda forme di
partecipazione, nella pratica sono spesso coinvolti solo i soggetti più organizzati, mentre restano
escluse le componenti più fragili o marginali.
Castiglioni sottolinea che una reale democratizzazione del paesaggio richiede:
strumenti metodologici per l’analisi delle percezioni e rappresentazioni sociali;
la costruzione di percorsi partecipativi inclusivi, capaci di coinvolgere anche il “grande
pubblico”;
un riconoscimento della legittimità del sapere esperienziale, accanto a quello tecnico.
4.2 – Il riconoscimento dei valori dei paesaggi: dimensioni, contesti, circostanze,
conflittualità
Il paesaggio non è un oggetto neutro, ma è continuamente investito di valori. Tali valori non sono
intrinseci, bensì attribuiti dai soggetti sociali attraverso processi storici, culturali e politici. Per
comprendere questa dinamica, il capitolo propone una serie di interrogativi fondamentali:
4.2.1 – Chi attribuisce valore?
Tutti i soggetti che interagiscono con il paesaggio — cittadini, istituzioni, tecnici, associazioni —
partecipano all’attribuzione di valore, ma non tutti con lo stesso peso. Le possibilità di incidere
dipendono da fattori come:
l’accesso alle risorse (informative, economiche, politiche),
la capacità di rappresentanza,
la riconoscibilità istituzionale.
La Convenzione europea del paesaggio propone un modello democratico in cui tutti i soggetti
dovrebbero avere voce in capitolo. Tuttavia, nella realtà, le relazioni di potere condizionano
l’emergere di certi valori a scapito di altri.
4.2.2 – A quale paesaggio viene attribuito valore?
L’attribuzione di valore non riguarda solo i paesaggi eccezionali (artistici, monumentali, naturali
incontaminati), ma anche quelli ordinari, abituali, quotidiani. La vita vissuta in determinati luoghi
può essere una fonte altrettanto legittima di valore. La Convenzione europea sottolinea proprio il
valore universale di tutti i paesaggi, come contributo alla qualità della vita e alla coesione
culturale.
4.2.3 – A che cosa esattamente viene attribuito valore?
Il valore può essere attribuito:
alle forme fisiche del paesaggio (morfologia, estetica),
oppure ai processi territoriali che lo hanno generato (es. un paesaggio industriale può valere
come memoria di un’epoca produttiva e di un’identità operaia).
Spesso le due dimensioni sono intrecciate, rendendo il paesaggio testimonianza stratificata di
dinamiche complesse.
4.2.4 – Che tipo di valore viene attribuito?
Esistono molte tipologie di valori paesaggistici:
Valori storici e culturali, codificati nei testi normativi;
Valori affettivi, legati all’esperienza personale e familiare;
Valori sociali, connessi a pratiche condivise e rituali collettivi;
Valori funzionali, legati all’uso degli spazi.
Queste dimensioni sono spesso sovrapposte, e non sempre facili da distinguere. Ciò complica
l’elaborazione di politiche che riescano a tenere conto di questa pluralità valoriale.
4.2.5 – Quando viene attribuito valore?
L’attribuzione può essere:
implicita, cioè emergente dalla prassi e dalle abitudini;
oppure esplicita, attraverso strumenti normativi e pianificatori (come la dichiarazione di notevole
interesse pubblico).
Spesso i valori vengono riconosciuti solo quando minacciati, ad esempio nel caso di
trasformazioni urbane o infrastrutturali. In questi casi, il riconoscimento assume un carattere
reattivo, temporaneo e conflittuale.
La complessità del processo genera inevitabilmente conflitti tra soggetti e valori contrapposti.
Per affrontarli, è necessaria una pluralità di strumenti di ascolto e mediazione, capaci di dare
voce ai diversi attori del territorio.
4.3 – Il paesaggio come patrimonio
In questo paragrafo, Castiglioni affronta il tema del valore patrimoniale del paesaggio, inteso
come forma di attribuzione di significato a ciò che del passato è visibile nel presente. Il paesaggio
diventa “patrimonio” quando viene considerato testimonianza di processi storici, eredità da
salvaguardare, luogo di radicamento e identità collettiva.
Tuttavia, il patrimonio non è qualcosa di oggettivo o dato una volta per tutte: è piuttosto una
costruzione sociale e politica, che varia nel tempo e nello spazio, a seconda dei soggetti che vi
attribuiscono valore e delle finalità che si vogliono perseguire. La patrimonializzazione, cioè il
processo attraverso cui un paesaggio viene definito come patrimonio, può avvenire:
Dall’alto, attraverso processi istituzionali, come avviene con l’inserimento di un sito nella World
Heritage List dell’UNESCO;
Dal basso, quando è la comunità locale a riconoscere in certi luoghi una componente
fondamentale della propria memoria, del proprio vissuto, della propria identità (es. Convenzione
di Faro, 2005, Consiglio d’Europa).
Questa duplice origine conferisce al patrimonio una forte valenza politica: il modo in cui si
decide cosa conservare, cosa valorizzare, cosa trasmettere alle generazioni future è sempre
legato a scelte di potere, a rappresentazioni selettive del passato, a strategie economiche.
In certi casi, ad esempio, il valore patrimoniale viene strumentalizzato dal turismo, che
costruisce narrazioni estetizzate e spesso fittizie per attrarre visitatori, con il rischio di svuotare i
luoghi di significato reale.
Castiglioni pone inoltre una domanda cruciale: i paesaggi del passato possono essere assunti
come modelli di sostenibilità? Alcuni studiosi (Bonesio, Magnaghi, Jansen-Verbeke, ecc.)
ritengono che la lentezza delle trasformazioni, la bassa intensità d’uso delle risorse e la
continuità insediativa di certi paesaggi tradizionali costituiscano esempi di buone pratiche
territoriali. Tuttavia, l’autrice invita alla cautela: la sostenibilità va valutata nelle sue tre dimensioni
(ambientale, economica, sociale) e contestualizzata storicamente. Un sistema agricolo che
conservava la biodiversità, ad esempio, poteva basarsi su strutture sociali inique o condizioni di
vita precarie.
Perciò, il rapporto con il passato non può essere nostalgico né meccanico. La conservazione
deve essere pensata come una forma di gestione attiva, che tenga conto del divenire dei
paesaggi e delle nuove esigenze delle comunità. Conservare non significa “lasciare com’è”,
ma progettare: decidere cosa e come mantenere, quali pratiche recuperare, quali elementi
reinterpretare in chiave contemporanea. In questo senso, il paesaggio patrimoniale diventa uno
spazio di mediazione tra memoria e progetto, tra radici e futuro.
4.4 – Il paesaggio, luogo di relazione
Questo paragrafo rappresenta una delle parti teoricamente più dense del capitolo, in cui il
paesaggio viene definito come luogo di relazione per eccellenza. L’autrice propone una rilettura
della nozione di paesaggio come insieme relazionale, superando sia le visioni riduzionistiche
(che lo considerano una somma di elementi materiali), sia quelle puramente simboliche.
Il paesaggio è, piuttosto, una sintesi dinamica, un campo di interazione tra componenti naturali
e culturali, tra soggetti e territori, tra pratiche e rappresentazioni. Non si tratta di una struttura
statica, ma di un processo in divenire, che incorpora:
la dimensione fisica e visibile, cioè ciò che possiamo osservare nella forma del territorio;
la dimensione simbolica e immateriale, cioè ciò che quel territorio significa per chi lo vive;
la dimensione temporale, poiché il paesaggio è al tempo stesso memoria del passato, oggetto
del presente e proiezione sul futuro;
la dimensione collettiva e individuale, perché è costruito socialmente, ma anche vissuto in
maniera soggettiva da ogni osservatore.
Castiglioni sottolinea come la geografia del paesaggio sia particolarmente adatta a mediare tra
discipline diverse, poiché il paesaggio permette di integrare approcci scientifici e umanistici,
saperi tecnici e pratici, conoscenze esperte e locali.
In questo senso, il paesaggio diventa:
strumento di mediazione tra sapere e potere, tra esigenze ambientali e aspettative sociali;
interfaccia epistemologica, capace di far dialogare tra loro settori della conoscenza spesso
frammentati (es. scienze naturali vs. scienze sociali);
luogo di incontro tra scale temporali diverse, dalla lunga durata geologica ai ritmi quotidiani
delle trasformazioni sociali.
È proprio questa natura relazionale e molteplice del paesaggio che lo rende un concetto chiave
della geografia contemporanea, in grado di cogliere la complessità del mondo abitato.
4.5 – Il paesaggio, strumento di indagine
Infine, l’ultimo paragrafo chiude il capitolo proponendo un’ulteriore funzione del paesaggio: esso
può essere utilizzato non solo come oggetto di studio, ma anche come strumento di lettura
critica della realtà territoriale.
Il paesaggio diventa così un dispositivo euristico, cioè un mezzo per comprendere:
le dinamiche sociali ed economiche che trasformano i territori;
le relazioni di potere che si esprimono attraverso la forma degli spazi;
le identità collettive, le rappresentazioni culturali e i conflitti territoriali.
L’autrice cita Eugenio Turri, che evidenzia la natura mistificatoria e narrativa del paesaggio:
esso racconta ciò che la società vuole raccontare, può nascondere le contraddizioni, può abbellire
o semplificare. È dunque un palcoscenico che esprime visioni selettive, ma che proprio per
questo può essere analizzato criticamente, come se fosse uno specchio d’acqua: trasparente
solo in apparenza, ma capace di rimandare indizi profondi sulla società che lo ha prodotto.
Utilizzare il paesaggio come strumento di indagine significa allora:
cogliere il visibile e l’invisibile;
interrogare le narrazioni dominanti;
leggere le tracce del passato e i progetti del futuro inscritti nel presente.
In sintesi, il paesaggio si configura come una chiave interpretativa fondamentale per capire i
rapporti tra popolazione e territorio, ma anche per progettare in modo più consapevole,
democratico e sostenibile le trasformazioni del mondo abitato.
Parte seconda – Studi sulle percezioni sociali
Capitolo 5 – L’indagine sulla percezione sociale nel progetto “op! Il paesaggio è una parte
di te”
Introduzione al progetto “op!”
Il progetto “op! Il paesaggio è una parte di te”, condotto tra il 2011 e il 2012, ha costituito
un’importante sperimentazione di applicazione locale della Convenzione europea del
paesaggio, adottando lo strumento dell’Osservatorio del paesaggio come mezzo operativo. Si
tratta di un’esperienza significativa, poiché ha cercato di coniugare la dimensione istituzionale
e normativa della Convenzione con una pratica concreta e partecipata sul territorio. Sebbene
la struttura e le funzioni dell’Osservatorio vengano affrontate in modo approfondito nel Capitolo 11,
è utile qui introdurre il contesto generale in cui si inserisce l’indagine descritta nel presente
capitolo.
L’area di riferimento del progetto è il territorio dell’ex Comunità montana del Brenta, in
provincia di Vicenza, localizzato nello stretto tratto vallivo prealpino del Canale di Brenta,
delimitato geograficamente tra Bassano del Grappa e Cismon del Grappa, tra l’Altopiano di
Asiago e il Massiccio del Grappa. Il progetto è stato promosso da una rete di collaborazione tra
università, enti regionali e amministrazioni locali, e si è posto come obiettivo quello di attivare
un confronto pubblico e diffuso sul tema del paesaggio, coinvolgendo le molteplici componenti
della comunità: amministratori, cittadini, associazioni culturali, gruppi di volontariato,
categorie economiche, anziani e studenti.
All’interno di questa cornice, una delle prime attività promosse è stata un’indagine sulle
percezioni sociali del paesaggio, realizzata tramite un questionario strutturato e articolato.
Tale attività aveva una triplice funzione:
• raccogliere dati sul rapporto tra abitanti e paesaggio,
• sollevare attenzione pubblica e consapevolezza sul tema,
• e individuare tematiche critiche e nodi di confronto da approfondire nelle fasi successive del
progetto.
5.1 – La struttura del questionario
Il questionario elaborato per il progetto non è stato concepito semplicemente come strumento
tecnico per produrre dati oggettivi, ma come parte integrante di un processo partecipativo più
ampio. La sua funzione principale non era solo scientifica, ma anche relazionale e formativa:
incoraggiare le persone a riflettere sul proprio paesaggio e a condividere opinioni e vissuti.
Per evitare il rischio di rigidità metodologica e di una visione unilaterale del paesaggio, il
questionario è stato integrato con altre pratiche di ascolto, come spazi web, cartoline per
segnalazioni libere, incontri informali, ecc. Questo approccio ha favorito un’interazione più
flessibile, cumulativa e aperta tra i soggetti coinvolti e ha reso l’indagine più sensibile alla
complessità sociale del territorio.
Dal punto di vista metodologico, si è scelta una struttura mista, capace di coniugare:
• una parte quantitativa, con quesiti a risposta chiusa,
• e una parte qualitativa, con domande aperte e spazi liberi per osservazioni personali.
Un elemento di rilievo è stato il forte ancoraggio locale del questionario: le domande sono state
formulate in modo da risultare concrete, comprensibili e pertinenti per gli abitanti della valle,
evitando generalizzazioni astratte sul paesaggio.
Anche la modalità di distribuzione ha seguito logiche di capillarità e inclusione: i questionari
cartacei sono stati diffusi in numerosi luoghi pubblici e frequentati (municipi, scuole, biblioteche,
mercati, eventi locali, parchi giochi), e resi disponibili anche online per coinvolgere non residenti
ma comunque legati alla valle. Questo ha permesso di raggiungere un ampio spettro della
popolazione, favorendo una partecipazione diversificata.
Si è curato con attenzione anche il linguaggio, per evitare fraintendimenti o influenze sulle
risposte. La durata media della compilazione (circa 10–15 minuti) è stata calibrata per favorire
riflessione e accessibilità, senza risultare né troppo leggera né eccessivamente impegnativa.
Il questionario è stato articolato in cinque sezioni principali, ciascuna con uno specifico obiettivo:
1. Parte anagrafica: per delineare il profilo del compilatore (età, sesso, titolo di studio, professione,
residenza, grado di conoscenza/frequentazione della valle).
2. Parte valoriale: contenente affermazioni generali sul paesaggio, rispetto alle quali veniva
chiesto il grado di accordo, al fine di individuare la visione del paesaggio (estetica, culturale,
naturalistica, economica, sociale).
3. Parte territoriale: volta a rilevare i luoghi significativi della valle tramite:
o domande aperte su luoghi affettivamente rilevanti, luoghi di valore collettivo e luoghi degradati,
o e riconoscimento di sei immagini di landmark locali, valutati per riconoscibilità e importanza.
4. Parte sulle trasformazioni: focalizzata sulle dinamiche di cambiamento, sulle criticità
emergenti e su alcune ipotesi di trasformazione futura (es. urbanizzazione, viabilità, cave,
turismo).
5. Parte libera: uno spazio aperto per suggerimenti, osservazioni e proposte, fondamentale per
valutare l’atteggiamento propositivo del compilatore.
Nel complesso, questo strumento è stato pensato per raccogliere non solo opinioni, ma visioni
complesse e stratificate del paesaggio, considerate fondamentali in un’ottica di gestione
partecipata e consapevole del territorio.
5.2 – I risultati
L’indagine ha restituito un quadro ricco e articolato delle rappresentazioni, percezioni e
aspettative della popolazione locale nei confronti del paesaggio del Canale di Brenta. I risultati
non vengono interpretati solo in senso statistico, ma letti criticamente, con l’obiettivo di
evidenziare le tensioni, le divergenze valoriali, i conflitti latenti e le risorse simboliche del
territorio.
Complessivamente sono stati raccolti oltre 700 questionari, un numero significativo che permette
di ragionare su tendenze sociali e modelli di relazione con il paesaggio. Il campione include
sia residenti, sia frequentatori regolari, sia visitatori occasionali, permettendo un confronto fra
punti di vista differenti. La sezione è suddivisa in cinque sottosezioni, corrispondenti alle sezioni
del questionario.
5.2.1 – Il profilo dei rispondenti
Il primo elemento emerso riguarda l’alta partecipazione da parte di residenti, che costituiscono
la netta maggioranza del campione. In termini anagrafici, prevalgono adulti tra i 30 e i 50 anni,
con una significativa componente di studenti. Il titolo di studio è in media piuttosto alto, indice del
fatto che il tema del paesaggio intercetta una popolazione mediamente scolarizzata e attiva sul
territorio.
Dal punto di vista della relazione con la valle, molti rispondenti dichiarano di vivere
quotidianamente il paesaggio, sia per motivi di residenza sia per attività lavorative, tempo libero
o mobilità. Questo dato suggerisce che il paesaggio è parte integrante dell’esperienza
quotidiana, non un elemento accessorio o meramente estetico.
5.2.2 – I valori attribuiti al paesaggio
Una delle domande centrali chiedeva di esprimere il grado di accordo con diverse affermazioni che
esprimevano differenti modalità di considerare il paesaggio:
• come patrimonio da conservare,
• come spazio di vita quotidiana,
• come risorsa economica,
• come elemento identitario,
• come scenario naturale da proteggere,
• oppure come luogo da progettare e trasformare.
L’analisi dei risultati evidenzia una visione del paesaggio fortemente plurale: le persone non si
limitano a una sola interpretazione, ma combinano più dimensioni. In particolare, risultano
centrali:
• il valore affettivo e identitario,
• la percezione del paesaggio come luogo vissuto,
• e l’importanza della sua qualità estetica e ambientale.
Meno accentuata – anche se presente – è l’enfasi sul paesaggio come risorsa economica,
benché alcuni rispondenti ne riconoscano il potenziale per il turismo, l’agricoltura e la
valorizzazione locale. Emergono anche tensioni: ad esempio, alcuni vedono positivamente lo
sviluppo turistico, altri lo temono come fonte di snaturamento o banalizzazione del territorio.
5.2.3 – Luoghi significativi, luoghi di valore e luoghi degradati
Uno degli elementi più originali del questionario consisteva nella richiesta di segnalare tre luoghi
della valle:
• uno particolarmente amato,
• uno che dà valore all’intero territorio,
• e uno considerato degradato o critico.
Questa sezione ha restituito un mosaico di toponimi, immagini e racconti personali, che
rivelano un forte radicamento territoriale ma anche una diversità di sguardi.
I luoghi amati sono spesso quelli che combinano natura, memoria e relazione: il fiume Brenta, i
sentieri del monte Grappa, le “masiere” (terrazzamenti coltivati), alcune borgate storiche. La
motivazione ricorrente è la bellezza paesaggistica, ma anche il legame affettivo e la
tranquillità.
I luoghi che danno valore tendono a coincidere con quelli della collettività: la ciclabile, i
terrazzamenti ben tenuti, alcune piazze storiche, le grotte turistiche. Qui si coglie una dimensione
pubblica del paesaggio, inteso come bene comune.
I luoghi degradati fanno emergere invece le tensioni del territorio contemporaneo:
• la viabilità sovraccarica,
• le cave attive e dismesse,
• le aree industriali abbandonate,
• e in generale gli interventi ritenuti incoerenti con l’identità del paesaggio.
Questo contrasto tra valore simbolico e degrado reale rivela contraddizioni profonde nella
gestione dello spazio, ma anche un’elevata capacità critica da parte dei cittadini.
5.2.4 – Le trasformazioni in atto e i futuri scenari
Un’importante sezione del questionario chiedeva ai rispondenti di esprimersi sulle trasformazioni
recenti avvenute nel territorio e di valutare alcune ipotesi progettuali future, invitando alla
riflessione critica su continuità e cambiamento nel paesaggio del Canale di Brenta.
Le risposte hanno fatto emergere una diffusa consapevolezza dei cambiamenti in atto, in
particolare:
• la perdita di attività agricole tradizionali,
• l’espansione edilizia non sempre armonica,
• il degrado di manufatti storici e paesaggi terrazzati,
• la pressione della viabilità lungo l’asse della valle,
• la diffusione di aree industriali dismesse o semiabbandonate.
Molti abitanti percepiscono questi fenomeni come segni di declino o di perdita identitaria,
esprimendo preoccupazione per la tendenza alla banalizzazione o al consumo irreversibile del
paesaggio.
Contemporaneamente, alcuni elementi di trasformazione positiva vengono riconosciuti:
• il recupero di antichi sentieri e terrazzamenti da parte di gruppi locali,
• la valorizzazione della ciclabile del Brenta,
• il turismo sostenibile legato alla natura e alla memoria storica.
Tra le ipotesi progettuali proposte nel questionario, i rispondenti hanno mostrato maggiore
favore per interventi di qualificazione dei centri storici, infrastrutture leggere per la mobilità
sostenibile, progetti per il recupero di paesaggi terrazzati, e iniziative culturali diffuse.
Al contrario, suscitano perplessità o opposizione:
• le grandi opere viarie,
• le nuove aree artigianali/industriali,
• le urbanizzazioni intensive,
• gli insediamenti turistici di forte impatto.
Questa parte dell’indagine dimostra come gli abitanti siano capaci di formulare giudizi articolati
sulle trasformazioni, combinando esperienza vissuta, valori personali, e visioni per il futuro.
5.2.5 – Le proposte degli abitanti
L’ultima sezione del questionario – quella “libera” – ha raccolto centinaia di proposte,
osservazioni e spunti personali: un patrimonio prezioso per comprendere il modo in cui la
popolazione immagina il futuro del proprio paesaggio.
I temi ricorrenti nelle risposte aperte includono:
• la tutela delle tradizioni agricole e dei terrazzamenti coltivati;
• la riqualificazione degli spazi pubblici come piazze, fontane, ponti e percorsi pedonali;
• il desiderio di maggiore manutenzione, pulizia e cura del verde pubblico;
• l’invito a una mobilità più sostenibile, con mezzi pubblici più efficienti e piste ciclabili
diffuse;
• la necessità di una pianificazione attenta alla coerenza paesaggistica;
• la richiesta di informazione, educazione e coinvolgimento attivo dei cittadini.
Un elemento significativo è la visione progettuale espressa da molti rispondenti, che va oltre la
denuncia delle criticità. Le persone non si limitano a segnalare problemi: propongono soluzioni,
manifestano competenze, e mostrano un forte senso di responsabilità collettiva.
Il paesaggio, in queste proposte, emerge come spazio di vita da costruire insieme, non solo
come sfondo da conservare. Si chiede un rapporto più diretto e partecipativo tra cittadini e
amministratori, in grado di riconoscere il valore locale dei saperi, delle pratiche e delle identità
culturali.
5.3 Un’indagine, diversi obiettivi
L’indagine sulle percezioni sociali condotta nel progetto “op! Il paesaggio è una parte di te” ha
svolto una funzione essenziale non solo come strumento di raccolta dati, ma anche come
azione di sensibilizzazione e coinvolgimento attivo della popolazione. Fin dalla sua diffusione, il
questionario ha stimolato l’interesse della cittadinanza per il paesaggio, offrendo un’occasione per
riflettere sul proprio rapporto con il territorio, sulle preferenze, sui valori attribuiti ai luoghi e
sulle criticità percepite.
Oltre all’aspetto conoscitivo, l’indagine ha rappresentato un momento di ascolto inclusivo, volto
a raccogliere anche le istanze più marginali o inespresse. Non si è trattato di un sondaggio
d’opinione né di uno strumento decisionale diretto, ma piuttosto di un dispositivo propedeutico
alla discussione pubblica, utile a innescare processi di partecipazione e di elaborazione
condivisa delle scelte.
Per essere realmente efficace, questa azione di ascolto ha richiesto un coinvolgimento
consapevole delle amministrazioni locali, che dovevano riconoscerne il valore non solo in
termini di consenso, ma come strumento di costruzione di politiche fondate sul confronto con la
comunità.
Da un punto di vista più ampio, l’indagine si è rivelata utile anche per la riflessione scientifica sul
rapporto tra popolazione e territorio. Grazie all’ampiezza del campione e all’approccio qualitativo,
ha permesso di evidenziare le connessioni profonde tra paesaggio e vissuti individuali, tra
spazio fisico e rappresentazioni soggettive, offrendo spunti preziosi per comprendere le
logiche culturali e i presupposti valoriali che orientano le scelte di tutela, trasformazione e
valorizzazione del paesaggio.
6 Il paesaggio come mediatore culturale nell’esperienza dei giovani migranti: la ricerca
“LINK”
6.1 Paesaggio e identità: le ragioni di una ricerca
Fin dagli studi di Eugenio Turri il paesaggio viene visto come specchio delle culture e fonte di
identità collettiva: rende familiare il luogo di vita grazie a “segni” riconoscibili nella quotidianità
come nei siti eccezionali. La Convenzione europea del paesaggio ribadisce che questi significati
non sono prerogativa degli esperti: appartengono alle popolazioni intere, anzitutto nei paesaggi
ordinari. Se però i gruppi sociali adottano filtri culturali differenti, gli stessi luoghi possono
parlare linguaggi diversi. Da qui le domande che animano la ricerca: che cosa rivelano i paesaggi
sul mutamento culturale? In che modo i migranti—portatori di modelli altrettanto legittimi—li
osservano, li abitano, li trasformano? E, soprattutto, il paesaggio può diventare un vero
“mediatore culturale”, capace di costruire appartenenza e facilitare il dialogo fra culture?
6.2 Il progetto “LINK”: contesto e metodologia
Il progetto “Landscape and Immigrants: Networks, Knowledge” (“LINK”) ha coinvolto nel
2010-11 due classi seconde di scuola media: una nel quartiere urbano dell’Arcella (Padova),
l’altra nella campagna urbanizzata di Borgoricco. I ricercatori—geografi, sociologi, demografi,
antropologi, urbanisti—hanno chiesto a ciascun ragazzo (italiano o di origine straniera) di
“raccontare” il proprio luogo di vita con dodici fotografie (autophotography). Le immagini,
corredate da didascalie, sono state discusse in interviste fotoclicitate e in focus-group,
producendo 462 scatti.
Ogni foto è stata classificata su due piani:
• denotativo (che cosa mostra: parchi, strade, negozi, chiesa, ecc.);
• connotativo (che significato le attribuisce l’autore: legame personale, identità collettiva,
relazione sociale, valore estetico, funzionale, ecologico).
L’archivio ha così fornito materiali sia qualitativi (narrazioni individuali) sia quantitativi
(conteggio delle categorie), utili a confrontare sguardi italiani e stranieri, urbano e rurale.
6.3 Gli sguardi dei ragazzi
Nel complesso, i paesaggi fotografati sono fatti soprattutto di spazi verdi di vicinato, vie e piazze,
negozi, edifici simbolici come la chiesa o la scuola. A questi luoghi i ragazzi attribuiscono in
misura nettamente prevalente un valore affettivo-personale; seguono, molto staccati, identità di
gruppo e relazioni sociali, mentre i valori estetici, funzionali ed ecologici sono minoritari.
Il confronto fra gruppi rivela sfumature interessanti. All’Arcella i ragazzi stranieri affiancano al
legame personale un marcato significato funzionale (servizi, spostamenti); a Borgoricco
spiccano invece il valore relazionale e l’identità collettiva, segno di un contesto più coeso. In tutti i
casi l’“identità di comunità” è colta più spesso dagli italiani che dagli stranieri, i quali sembrano
ancorare il senso dei luoghi innanzitutto alla dimensione familiare. Curiosamente, proprio gli
stranieri mostrano un’attenzione maggiore al valore estetico del paesaggio.
6.4 Brani di intervista: il paesaggio come spazio di racconto
Le conversazioni avviate dalle fotografie scivolano naturalmente su temi cruciali dell’esperienza
migrante: appartenenza nazionale, ricordi del paese d’origine, confronto fra usi del tempo libero
“qui” e “là” , sensazioni di sentirsi—or non sentirsi—“a casa”. Parlare di scorci , vie, parchi offre ai
ragazzi un o “sfondo ne utro” privo di stereotipi, che facilita la narrazione di sé . Al tempo stesso il
metodo rafforza la didattica interculturale, perché favorisce ascolto reciproco e consapevolezza
di vissuti diversi.
6.5 Studi di paesaggio e studi sulle migrazioni: prospettive di ricerca-azione
Pur limitato numericamente, “LINK” dimostra che il paesaggio è un dispositivo euristico potente
per esplorare i processi di integrazione e per innescare percorsi educativi. Le linee guida
elaborate (De Nardi 2013) mostrano come la lettura condivisa dei luoghi rafforzi il dialogo.
Dal 2011 lo scenario migratorio veneto è mutato: crisi economica, rientri, nuove migrazioni
forzate. Ciò apre a ricerche aggiornate e a domande inedite: quale ruolo gioca il paesaggio per i
richiedenti asilo, sospesi fra passato e futuro? Come può la narrazione di paesaggi—d’origine
e di approdo—sostenere identità frantumate e favorire incontri con la comunità ospitante? Studiosi
di territorio e di migrazioni sono chiamati a collaborare, perché il paesaggio, con la sua trama di
materialità e significati, rimane una chiave privilegiata per leggere e accompagnare le
trasformazioni umane e spaziali contemporanee.
7. Dimensione spaziale e sociale nelle percezioni del paesaggio della città diffusa veneta
7.1 Una prima ricerca esplorativa nella città diffusa veneta
La sezione introduce un tema cruciale della riflessione geografica contemporanea: il rapporto tra
l’attribuzione di valore al paesaggio e i comportamenti collettivi che trasformano il
territorio. Questo nesso è particolarmente rilevante alla scala locale, in riferimento ai paesaggi
della vita quotidiana, dove le trasformazioni avvengono spesso in modo silenzioso ma profondo.
Una prima indagine esplorativa è stata realizzata tra il 2003 e il 2005, nel contesto della cosiddetta
“città diffusa” veneta, ovvero la pianura centrale del Veneto — tra Padova, Vicenza e Treviso
— che ha subito, in quegli anni, profonde trasformazioni urbanistiche. La ricerca, avviata con
Viviana Ferrario e successivamente estesa con altri collaboratori (De Nardi, Quaglia, Geronta), è
stata pubblicata in Castiglioni et al. (2015).
Il termine “città diffusa”, coniato da Indovina (1990), descrive un territorio a bassa densità
abitativa ma fortemente urbanizzato, senza una vera distinzione tra centro e periferia. Questo
spazio, apparentemente “senza forma”, ha messo in crisi la tradizionale idea di paesaggio come
“bel panorama”.
Uno dei risultati più interessanti della ricerca ha riguardato la percezione del paesaggio da parte
degli abitanti. Dalle interviste semi-strutturate è emerso un paradosso: gli abitanti sono
profondamente legati ai propri luoghi di vita, ma non li riconoscono come “paesaggio”.
Anzi, molti tendono a pensare che il paesaggio sia assente. Emblematica è la frase: «Che io
sappia, qui non c’è paesaggio».
Questo apparente paradosso può essere interpretato così: le persone vivono intensamente il
proprio territorio, ma non lo osservano con il distacco necessario per percepirlo come
paesaggio. I modelli tradizionali — come quello del paesaggio naturale, del monumento o del bel
panorama — non si adattano al contesto della città diffusa, e quindi non vengono attivati nella
lettura del proprio ambiente.
Facendo riferimento alla metafora del paesaggio-teatro proposta da Turri, l’abitante appare
come attore, capace di agire sul paesaggio, ma incapace di assumere il ruolo di spettatore,
ovvero di osservarlo e comprenderlo criticamente. Eppure, il valore attribuito al luogo non è
assente: è semplicemente fondato su altri criteri, legati a memorie, affetti, relazioni e attività
quotidiane.
Queste osservazioni hanno spinto i ricercatori a interrogarsi ulteriormente sul modo in cui le
persone attribuiscono significato al paesaggio quotidiano, in relazione alle affermazioni della
Convenzione europea del paesaggio: il paesaggio è davvero un “elemento della qualità della
vita”? Può rappresentare un “elemento chiave del benessere individuale e sociale”? E soprattutto,
le persone desiderano davvero partecipare attivamente alla sua trasformazione?
7.2 La seconda ricerca: obiettivi, metodologia e risultati
Nel 2013, a distanza di dieci anni dalla prima indagine, i ricercatori sono tornati su uno dei casi di
studio già analizzati: Vigorovea, una frazione di Sant’Angelo di Piove di Sacco, a sud-est di
Padova, esempio tipico della città diffusa. Dopo un passato rurale, il paese ha vissuto una rapida
espansione edilizia tra il 1995 e il 2005, con nuove aree residenziali e uno spazio pubblico
centrale: la piazza Madre Teresa di Calcutta. Tuttavia, la successiva crisi economica ha lasciato
tracce visibili: edifici incompleti, spazi inutilizzati, segni di discontinuità urbana.
In questa seconda fase, i ricercatori hanno condotto 16 interviste semi-strutturate agli abitanti
incontrati lungo le strade principali, e un’intervista approfondita al sindaco. Le domande
vertevano su:
• La percezione del luogo di vita («Le piace Vigorovea? Perché?»)
• I luoghi più belli, importanti e rappresentativi
• I cambiamenti nel paesaggio, passati e auspicati
• Il significato attribuito al termine “paesaggio”
L’approccio è stato volutamente qualitativo e aperto, con l’obiettivo di indagare il modo in cui le
persone vivono e attribuiscono senso ai luoghi, piuttosto che ottenere dati quantitativi o
misurabili.
Il risultato più rilevante è stata la conferma di quanto già emerso nel 2003: i luoghi non sono
valutati per la loro bellezza visiva, ma per il loro significato sociale ed esperienziale. Un
esempio emblematico è il “baraccon”, un tendone da fiera collocato dietro la chiesa, considerato
“il luogo più bello” nonostante la sua bruttezza apparente: esso è infatti uno spazio centrale per
la socialità e le attività collettive.
Allo stesso modo, la piazza Madre Teresa, indicata come luogo significativo, non lo è per ragioni
estetiche, ma perché è uno spazio di incontro e condivisione, dove si forma una identità
sociale condivisa. Al contrario, luoghi come la sala video-poker sono percepiti negativamente
non per la loro forma, ma per il tipo di frequentazione.
Anche la crisi economica è percepita non tanto per le sue conseguenze fisiche, quanto per
l’impatto sulle abitudini e sulle pratiche di vita. Il paesaggio, in questo senso, è un riflesso delle
relazioni e dei significati sociali, più che una somma di forme visibili.
7.3 Dimensione spaziale e dimensione sociale nelle attribuzioni di valore
Analizzando le risposte emerse a Vigorovea, è possibile distinguere due dimensioni
fondamentali nell’attribuzione di valore ai paesaggi:
• Una dimensione spaziale, legata alle caratteristiche visive, formali, estetiche.
• Una dimensione sociale, fondata sulle esperienze, le pratiche e le relazioni.
Queste due dimensioni possono coesistere nello stesso individuo, ma assumono pesi diversi a
seconda dei luoghi considerati e del ruolo dell’abitante (spettatore o attore). Seguendo ancora
la metafora del teatro, si distinguono:
• Lo spettatore spaziale: attribuisce valore alle forme.
• Lo spettatore sociale: valorizza le pratiche e i significati relazionali.
• L’attore spaziale: interviene per migliorare l’estetica e la funzionalità.
• L’attore sociale: si prende cura dei luoghi perché vi si riconosce, rafforzando l’identità
locale.
Il coinvolgimento con i luoghi è un fattore determinante: ci si prende cura solo di ciò che si
sente “proprio”. In questo senso, le interviste a Vigorovea mostrano tre tipi di luoghi, ciascuno con
diverse forme di relazione:
1. Luoghi privati
Sono percepiti come i “più belli”, perché vi si esercita un controllo diretto. Il valore attribuito è sia
spaziale (cura dell’aspetto estetico), sia sociale (rappresentazione dell’identità).
2. Luoghi pubblici
Il coinvolgimento è scarso. Gli abitanti non si sentono responsabili della loro cura, ritenendoli di
competenza dell’amministrazione. L’attribuzione di valore è sociale, ma passiva.
3. Luoghi di uso collettivo
Non pubblici in senso stretto, ma aperti alla comunità. Qui il coinvolgimento è medio,
motivato da relazioni di appartenenza. La cura è indirizzata al significato condiviso, non alla
forma estetica.
7.4 I valori dei paesaggi ordinari
Dalle ricerche emerge che il valore dei paesaggi della vita quotidiana si costruisce secondo una
logica diversa da quella dei paesaggi eccezionali. Non è l’estetica a guidare la percezione,
ma la dimensione sociale e relazionale.
La dimensione spaziale ha peso solo nei luoghi privati, mentre nei luoghi pubblici e collettivi
prevalgono i criteri sociali. Alcuni spazi collettivi, anche se non di proprietà pubblica, vengono
“interiorizzati” come luoghi di comunità: è lì che si sviluppa il senso di appartenenza.
Questi risultati, seppur legati a un caso specifico, offrono spunti per una riflessione più ampia sul
paesaggio ordinario. Molti luoghi non hanno valore simbolico, storico o estetico, ma sono
fondamentali per la vita delle persone. Riconoscerne il valore significa ripensare le politiche di
pianificazione e valorizzazione.
Infine, il paesaggio quotidiano può diventare uno strumento per costruire cittadinanza attiva e
responsabilità collettiva, a patto che se ne riconoscano i significati esperienziali, non solo le
forme visibili.
7.5 Paesaggio, qualità della vita e politiche territoriali
La parte finale del capitolo collega i risultati della ricerca alle politiche pubbliche. Se il paesaggio
quotidiano non viene riconosciuto, le strategie di pianificazione rischiano di rimanere disconnesse dalle
reali esigenze degli abitanti.
L’indagine mette in luce tre punti chiave:
• Integrare percezioni e politiche
Le istituzioni devono valorizzare i saperi locali e includere le percezioni degli abitanti nei processi
decisionali. Solo così è possibile creare interventi più coerenti con i bisogni reali.
• Educare alla lettura critica del paesaggio
Per colmare il divario tra spazio vissuto e spazio percepito, è fondamentale promuovere percorsi di
educazione al paesaggio che aiutino le persone a sviluppare strumenti interpretativi.
• Promuovere un senso di appartenenza collettiva
La qualità del paesaggio è strettamente legata al benessere sociale: riconoscere i luoghi della vita
quotidiana come parte del proprio patrimonio contribuisce a rafforzare la coesione comunitaria.
In conclusione, il capitolo mostra come nella città diffusa veneta il paesaggio quotidiano sia vissuto ma
poco riconosciuto, con una tensione costante tra valori d’uso e valori estetici.
Per superare questa frattura, occorre integrare percezioni, educazione e politiche, restituendo agli abitanti
la consapevolezza che il loro ambiente, anche quando ordinario, fa parte integrante della loro identità.
8. Percezioni e rappresentazioni del paesaggio: immaginari, identità e valori
Il Capitolo 8 affronta il tema cruciale delle percezioni individuali e collettive del paesaggio, analizzando
come le persone attribuiscono significati, valori e identità ai luoghi in cui vivono. L’autrice parte da un
presupposto fondamentale: il paesaggio non è solo uno spazio fisico osservabile, ma un costrutto
culturale e sociale, che nasce dall’interazione tra esperienza soggettiva e dimensione collettiva.
Comprendere queste percezioni diventa essenziale per le discipline geografiche, per le politiche territoriali e
per la pianificazione partecipata: solo conoscendo come le persone vedono, vivono e rappresentano i loro
luoghi si possono formulare strategie efficaci di tutela e valorizzazione.
Castiglioni sottolinea come le rappresentazioni del paesaggio derivino da una pluralità di fattori: memorie
individuali, immaginari sociali, modelli culturali trasmessi dai media e dall’educazione, ma anche
esperienze dirette legate alla quotidianità. In questa prospettiva, il paesaggio non è mai neutro: è uno
spazio vissuto che riflette identità personali e dinamiche collettive.
La sfida è quindi indagare come queste rappresentazioni vengano costruite e in che modo influenzino
comportamenti, decisioni e politiche sui territori.
8.1. Paesaggio, immaginario e costruzione sociale dei luoghi
In questa sezione, l’autrice approfondisce il ruolo dell’immaginario collettivo nella percezione dei luoghi. Il
paesaggio, infatti, non è solo ciò che vediamo, ma anche ciò che crediamo di vedere, ciò che ricordiamo
e ciò che desideriamo.
Gli immaginari paesaggistici si formano attraverso un intreccio di esperienze personali, narrazioni
storiche, simboli culturali e rappresentazioni artistiche: quadri, fotografie, cinema e letteratura
contribuiscono a creare un “modello ideale” di paesaggio, che spesso condiziona il modo in cui
interpretiamo la realtà che ci circonda.
Castiglioni evidenzia che, quando le persone descrivono un luogo, raramente si limitano a un’analisi
oggettiva: tendono a richiamare emozioni, ricordi e valori legati alla propria storia. Per esempio, un parco
urbano può essere percepito come “bello” o “accogliente” non per le sue caratteristiche ecologiche, ma per
il fatto che vi si è trascorsa l’infanzia, si incontrano amici o si condividono momenti significativi.
L’autrice introduce qui il concetto di costruzione sociale del paesaggio: la percezione che abbiamo di un
luogo è il risultato di una negoziazione continua tra dimensione individuale e collettiva. Ciò che per un
abitante è “casa” o “memoria”, per un visitatore può essere solo “paesaggio turistico” o “immagine
stereotipata”.
Questo meccanismo spiega perché i valori attribuiti ai luoghi possano variare anche all’interno della
stessa comunità e come la memoria collettiva giochi un ruolo determinante nel consolidare identità
territoriali.
Infine, Castiglioni sottolinea un aspetto decisivo: la forza delle rappresentazioni simboliche. I luoghi
vengono continuamente “caricati” di significati che vanno oltre le loro caratteristiche fisiche. I centri storici,
per esempio, non sono solo spazi architettonici, ma diventano simboli di appartenenza, continuità
storica e radici culturali; allo stesso modo, i paesaggi naturali possono essere idealizzati come “puri” o
“autentici”, anche quando risultano fortemente modificati dall’intervento umano.
8.2 Orizzonti aperti ed orizzonti chiusi
Il paesaggio dei Colli Berici si presenta come una realtà autonoma rispetto alla pianura
circostante. Questa autonomia visiva si manifesta soprattutto superando le pendici iniziali, dove
gli insediamenti umani cominciano a diradarsi e la natura collinare prende il sopravvento. Il rilievo
dell’altopiano, derivante da rocce calcaree terziarie e plasmato da processi carsici, è
caratterizzato da una morfologia articolata, segnata da doline e dossi, che danno vita a un
paesaggio apparentemente monotono, ma in realtà ricco di dettagli.
La distinzione tra “orizzonti aperti” e “orizzonti chiusi” è centrale nella percezione del
paesaggio. Dai punti elevati — dossi e dorsali —, lo sguardo può spaziare sulla dolcezza del
rilievo collinare, ma anche più lontano: verso la pianura, i Monti Lessini, e in giornate limpide, le
Prealpi. Si tratta di un paesaggio panoramico, che apre la vista verso l’orizzonte.
Al contrario, quando ci si addentra fra le doline o nei boschi delle depressioni, l’orizzonte si
chiude, si viene avvolti da microambienti freschi e ombrosi, con vegetazione fitta e variegata.
Questa alternanza produce un’esperienza dinamica e complessa, dove l’immersione nel
paesaggio sostituisce l’osservazione a distanza.
Dal punto di vista naturalistico, la flora è di pregio (orchidee, crochi), così come la fauna, favorita
dalle chiazze di naturalità. I coltivi si adattano alla morfologia: vigneti, frumento, mais, ortaggi e
alberi da frutto si distribuiscono seguendo la forma del suolo, talvolta con terrazzamenti e
muretti a secco.
Infine, la monotonia apparente dell’altopiano si dissolve quando l’osservazione si sofferma sui
dettagli: cumuli di pietre, filari di gelsi, prati sfalciati, coltivi terrazzati. È un paesaggio che
rivela la sua ricchezza solo a uno sguardo attento e partecipe.
8.3 Un’area rurale marginale
Le abitazioni, spesso posizionate sui bordi delle doline, sono elementi di rilevanza visiva nel
paesaggio. Anche se non più abitate da agricoltori, mantengono generalmente una fisionomia
tradizionale, favorita da vincoli edilizi comunali che limitano i nuovi insediamenti.
Negli ultimi decenni si è verificato un rovesciamento della tendenza: se in passato l’area era
soggetta a esodo rurale, ora attira famiglie in cerca di tranquillità, pur restando
economicamente legate ai centri della pianura. L’attività agricola e l’allevamento, tuttavia, non
offrono sufficiente sostentamento, e i servizi nella zona collinare sono minimi.
Il centro della frazione di Monticello, con la sua chiesa e le ex scuole, sta perdendo il ruolo di
punto di aggregazione. Architettonicamente, l’area non offre particolari emergenze, se si
escludono alcune case rurali di pregio e la Rocca Pisana, villa palladiana posta su un colle, che
nobilita e valorizza l’intero paesaggio. La sua presenza crea un contrasto armonioso tra
monumentalità e semplicità rurale.
In generale, i Colli Berici vengono percepiti come periferia povera, contrapposta sia alla città che
ai campi fertili di pianura. Solo di recente si è iniziato a rivalutare l’amenità di questi luoghi, non
solo per i prodotti agricoli, ma soprattutto come spazi verdi in una regione sempre più
urbanizzata.
8.4 Gli elementi strutturali riconosciuti e le caratteristiche più apprezzate
Grazie alla metodologia sviluppata dal gruppo di ricerca, si è potuto individuare quali siano gli
elementi paesaggistici più riconosciuti e apprezzati dagli abitanti e dai frequentatori della
zona. La mancanza di un vero e proprio centro abitato sulle colline — eccezion fatta per
l’aggregato intorno alla chiesa di Monticello — induce a spostare il riferimento verso i centri di
pianura, ossia Lonigo e Alonte. Anche gli abitanti della zona collinare tendono a considerare la
pianura come centro funzionale, confermando la marginalità percepita dell’altopiano.
Lonigo, con la sua Rocca Pisana, il centro storico e numerosi edifici storici, è percepita come ricca
di elementi architettonici e culturali, e i suoi abitanti ne riconoscono il valore storico- artistico.
Alonte, più piccolo, ha un’identità meno definita: gli unici riferimenti architettonici riconosciuti sono
la piazza del Municipio e il ricordo delle “tombe etrusche”, segno di un tentativo di recupero
di memoria storica.
Il paesaggio collinare, invece, viene generalmente considerato come “cornice verde” priva di
elementi distintivi, adatta più al tempo libero che alla vita quotidiana. Chi non abita sulle colline lo
percepisce come “altro”, mentre gli insiders, pur facendo riferimento ai centri di pianura,
sviluppano spesso un forte legame affettivo con il paesaggio dell’altopiano.
In particolare, i residenti apprezzano:
• la conformazione “a pelle di leopardo” di coltivi e boschi;
• la percorribilità delle colline;
• la morfologia dolce e priva di forti dislivelli;
• le abitazioni rurali come punti di riferimento e testimonianza architettonica.
Il paesaggio diventa così uno spazio vissuto e sentito, semplice ma ricco di significati identitari
per chi lo abita quotidianamente.
8.5 La cultura locale e il paesaggio
Lonigo è riconosciuta per la sua ricchezza culturale e storica, evidente nei monumenti pubblici
e privati, tra cui spicca il Teatro Comunale. In questo contesto, il paesaggio funge da cornice
culturale, soprattutto nei pressi delle ville signorili urbane e pedecollinari.
Tuttavia, le zone più interne dell’altopiano sembrano escluse da questo processo di
valorizzazione culturale. Gli abitanti di Monticello, ad esempio, vengono percepiti come “poveri
di cultura”, e il paesaggio collinare non è riconosciuto come segno o memoria della cultura
contadina.
L’evoluzione culturale recente, legata anche alle attività economiche moderne, ha trasformato il
paesaggio con nuovi elementi: aree artigianali e vigneti ordinati, spesso DOC, che si estendono
anche sulle colline.
Alonte mostra una minore identità culturale rispetto a Lonigo, e ciò si riflette nel modo in cui il
paesaggio è vissuto e interpretato. Complessivamente, la memoria delle trasformazioni
paesaggistiche degli ultimi decenni risulta scarsa, e il paesaggio viene spesso considerato
immutabile, neutro, non legato alla storia o alla società.
Tuttavia, alcuni insiders iniziano a percepire il ruolo attivo delle pratiche agricole nella
costruzione e nel mantenimento del paesaggio, così come il valore ambientale e le potenzialità
di sviluppo sostenibile della zona collinare.
8.6 L’importanza del “costruito”
Tra gli elementi più evidenti del paesaggio agli occhi di intervistati e abitanti, vi sono gli edifici e,
in generale, le emergenze architettoniche. Mentre questo è facilmente comprensibile per i centri
abitati, è meno ovvio per l’area collinare, dove, a eccezione della Rocca Pisana, non si trovano
edifici di particolare valore artistico o dimensioni rilevanti.
Tuttavia, gli edifici rurali disseminati sull’altopiano rappresentano i segni più tangibili della
presenza umana, anche perché si trovano spesso in posizione prominente sulle somme dei
dossi, interrompendo la monotonia del paesaggio collinare. Questi elementi diventano punti di
riferimento visivo e simbolico.
Inoltre, le politiche di tutela del paesaggio vengono prevalentemente percepite in relazione
all’edificato: alla sua distribuzione, ai tipi edilizi, e alle norme che regolano le nuove
costruzioni e le ristrutturazioni. Questo riflette anche la concreta attenzione degli amministratori
locali, spesso più concentrata su questi aspetti che sulla tutela del paesaggio naturale.
Le opinioni raccolte evidenziano posizioni contrastanti:
• Alcuni ritengono necessario costruire di più, per rendere vitale l’altopiano e permettere a
giovani e nuove famiglie di stabilirvisi.
• Altri sostengono che già si sia costruito troppo, e valutano positivamente le politiche restrittive
in atto.
Infine, si rileva una certa consapevolezza comparativa: le colline di Alonte e Lonigo sono viste
più positivamente rispetto ad altre zone dei Colli Berici, specialmente per la qualità delle
abitazioni rurali, ritenute meglio conservate o più integrate nel contesto.
8.7 Il riconoscimento dei valori naturalistici e il problema dell’acqua
L’area collinare viene generalmente apprezzata per la sua qualità ambientale: la presenza del
verde, la tranquillità, e le possibilità offerte per passeggiate o pic-nic. Tuttavia, questa
percezione convive con una scarsa conoscenza reale dei valori naturalistici del territorio.
Manca quasi del tutto una consapevolezza geologica: il carsismo, ad esempio, è quasi
sconosciuto o non viene associato all’area, anche se questa è caratterizzata da assenza di
idrografia superficiale, doline e conche chiuse. Persino la presenza di grotte carsiche non
viene considerata significativa o degna di interesse.
Anche la memoria delle difficoltà legate alla mancanza d’acqua è ormai pressoché scomparsa,
tranne in alcuni anziani o giovani coscienti della storia locale. Le vecchie fontane sono in
stato di abbandono, e gli antichi pozzi-cisterna non hanno più un ruolo nella vita quotidiana.
Tra gli agricoltori anziani, il problema dell’acqua resta però centrale: la scarsità d’irrigazione
impedisce alle colture dell’altopiano di competere con quelle di pianura. L’introduzione recente
della possibilità di scavare pozzi profondi ha rappresentato una svolta, ma non accompagnata
da consapevolezza ecologica. Non si percepisce, infatti, il rischio che queste pratiche pongono
agli acquiferi carsici, né l’effetto inquinante delle attività agricole.
Solo una minoranza riflette sui rischi ambientali per le falde acquifere profonde, o fa
collegamenti tra le pratiche agricole e la qualità dell’acqua. Un caso emblematico è quello di
un proprietario di piscicoltura, che, osservando danni improvvisi alle sue trote, ha iniziato a
porsi domande sulla qualità delle acque di sorgente
PARTE TERZA AMBITI DI AZIONE
9 - Paesaggio e sostenibilità: strumenti concettuali per la valutazione delle trasformazioni
Il collegamento tra paesaggio e sostenibilità è frequente, ma non sempre viene chiarito come e
perché i due concetti vengano associati. Entrambi sono di uso comune, utilizzati in contesti diversi
e con confini poco definiti; per questo motivo, la loro associazione appare spesso “spontanea”, col
rischio di banalizzazione.
Un approfondimento teorico appare necessario per individuare punti di riferimento che permettano
di affrontare criticamente il rapporto tra paesaggio e sostenibilità e affrontare le questioni centrali
nel dibattito e nelle pratiche di pianificazione del territorio. Si concentrerà dunque l’attenzione sul
tema della valutazione del paesaggio e delle sue trasformazioni.
Il cambiamento è una caratteristica strutturale del paesaggio, che va considerato come
costruzione diacronica. Ogni valutazione paesaggistica si basa, esplicitamente o meno, sul
confronto tra un “prima” e un “dopo”. Il paradigma della sostenibilità funge da riferimento per
guidare tale osservazione verso direzioni ritenute preferibili.
La valutazione delle trasformazioni risulta complessa: da un lato per la natura polisemica del
termine “paesaggio”, per la varietà degli approcci, per l’articolazione dei processi di attribuzione di
valore; dall’altro per la difficoltà nel definire cosa valutare e come valutare una trasformazione.
Il capitolo si articola in due parti:
• nella prima (par. 9.1–9.2) si propone un modello concettuale multidimensionale per esplicitare i
criteri di valutazione e la connessione tra paesaggio e sostenibilità;
• nella seconda (par. 9.3) si illustrano strumenti e riferimenti operativi per valutare la sostenibilità
delle trasformazioni paesaggistiche.
9.1 Un modello multidimensionale: il “mixer” per il paesaggio
Tra i contributi sul rapporto tra paesaggio e sostenibilità, si segnala un numero monografico della
rivista Landscape and Urban Planning (2006), dove il paesaggio sostenibile è quello in grado di
mantenere output ecosistemici apprezzati o necessari per le persone. L’approccio adottato è
quello dell’ecologia del paesaggio, con riferimento alla sostenibilità ambientale. Tuttavia,
questo approccio non esaurisce la complessità del concetto, che si arricchisce se ampliato verso
una sostenibilità territoriale.
La definizione del paesaggio offerta dalla Convenzione europea del paesaggio fornisce spunti
utili:
• distinzione tra paesaggio e territorio;
• centralità della popolazione nella percezione e costruzione del paesaggio;
• presenza di componenti immateriali (valori e significati attribuiti);
• compresenza di fattori naturali e umani, che lo rendono insieme bene ambientale e bene
culturale.
Il concetto di paesaggio è caratterizzato da una pluralità di significati e approcci disciplinari. In
questo contesto, si propone un modello multidimensionale – chiamato “mixer del paesaggio”
– che consente di collocare gli approcci teorici e pratici lungo sei polarità opposte, come i
cursori di un mixer audio:
• tra visione settoriale e concetto olistico;
• tra puro aspetto visivo e manifestazione della territorialità;
• tra luogo eccezionale e paesaggio ordinario;
• tra conservazione e gestione delle trasformazioni;
• tra paesaggio elitario e paesaggio democratico;
• tra risorsa da vendere e risorsa da vivere.
Il modello permette di “scomporre” ogni approccio paesaggistico nei suoi elementi costitutivi e
valutarne coerenze e criticità. La giusta modulazione tra i sei canali non è predefinita, ma
dipende dalle finalità e dal contesto. Gli approcci più semplici sono spesso più facili da applicare,
mentre quelli più complessi pongono problemi metodologici ma offrono maggiore profondità
teorica.
9.2 I canali del “mixer”: le dimensioni del paesaggio, le dimensioni della valutazione Tra
visione settoriale e concetto olistico
Il paesaggio è un sistema di relazioni e non una somma di singoli elementi. Tuttavia, molti
approcci disciplinari (ecologico, storico-culturale) risultano settoriali. L’approccio olistico, invece,
attribuisce valore all’armonia e funzionalità dell’insieme. La valutazione relazionale è complessa
e spesso priva di strumenti adeguati; prevalgono metodi qualitativi.
Tra puro aspetto visivo e manifestazione della territorialità
Una lettura visivo-percettiva del paesaggio si basa su criteri estetici. Una lettura profonda
considera i processi territoriali, le dinamiche ambientali, sociali e culturali che generano il
paesaggio. Questo secondo approccio consente di utilizzare il paesaggio come indicatore
complesso di sostenibilità.
Tra luogo eccezionale e paesaggio ordinario
L’idea di paesaggio come luogo eccezionale è ancora dominante, soprattutto in Italia. La
Convenzione europea invita invece a considerare tutti i paesaggi, compresi quelli “banali” o
trasformati. Riconoscere il valore dell’ordinarietà impone una ridefinizione dei criteri di
valutazione.
Tra conservazione e gestione delle trasformazioni
Il paesaggio è in continuo mutamento. La conservazione rischia di diventare un’azione di sola
manutenzione, nostalgica e museale. Una gestione attiva delle trasformazioni, invece, richiede
strumenti capaci di orientare le scelte verso la sostenibilità futura, valutando intensità,
reversibilità e qualità del cambiamento.
Tra paesaggio elitario e paesaggio democratico
I valori paesaggistici sono spesso stabiliti da esperti, ma la Convenzione riconosce la centralità
delle aspirazioni delle popolazioni. La democratizzazione del paesaggio implica l’ascolto delle
soggettività, anche se ciò comporta difficoltà teoriche e pratiche. Le analisi percettive possono
contribuire a una valutazione più inclusiva.
Tra risorsa da vendere e risorsa da vivere
Il paesaggio è spesso valorizzato economicamente tramite il turismo. Ma può essere anche una
risorsa di benessere e qualità della vita, con valore culturale, identitario e sociale. In questa
prospettiva, il paesaggio si configura come capitale territoriale per progettare la sostenibilità.
9.3 Un approccio integrato alla valutazione delle trasformazioni Osservando un paesaggio
Nel paesaggio della Val d’Illasi (nei pressi di Tregnago), si osserva la recente trasformazione di
un versante: la messa a dimora di vigneti ha comportato imponenti interventi (sbancamenti, muri di
contenimento in cemento), mentre nelle aree circostanti rimangono visibili i segni dell’agricoltura
promiscua tradizionale e del suo progressivo abbandono.
La trasformazione può essere interpretata secondo differenti punti di vista:
• Economico: la coltivazione del vino Valpolicella DOC rappresenta una risorsa strategica in un
contesto marginale, con terreni poco adatti ad altre colture.
• Visivo: il nuovo vigneto conferisce ordine formale, rispetto al disordine e ai segni di
abbandono dell’agricoltura precedente.
• Ecologico: il monocultivo riduce la varietà ecologica, eliminando le nicchie ambientali presenti
nella configurazione precedente.
• Geomorfologico: la stabilità del versante risulta compromessa da sbancamenti e pendenze
continue, che aumentano il dilavamento del suolo.
• Storico-culturale: si perdono segni che documentano il rapporto stratificato tra uomo e ambiente;
diminuisce il valore culturale del paesaggio.
• Percezione sociale: da un lato, la trasformazione può essere letta come segno di benessere e
innovazione; dall’altro, può comportare la perdita di riferimenti identitari e affettivi.
Strumenti e riferimenti per la valutazione
Una valutazione integrata delle trasformazioni deve partire dalla consapevolezza della loro
complessità. La prima questione metodologica riguarda il “che cosa” è cambiato:
• il paesaggio ha una dimensione materiale (elementi e relazioni tra elementi)
• e una dimensione immateriale (significati funzionali, estetici, culturali, affettivi, progettuali).
La valutazione richiede l’analisi di:
• elementi persi,
• elementi modificati o permanenti,
• elementi nuovi che contribuiscono a generare un sistema complesso.
Osservare i “guadagni” oltre alle perdite aiuta a superare atteggiamenti nostalgici. La lettura
richiede sempre un confronto tra “prima” e “dopo”, sia in termini di entità che di qualità della
trasformazione.
Un secondo criterio è l’intensità del cambiamento, ovvero l’entità della trasformazione rapportata
al tempo. Ad esempio, la trasformazione della Val d’Illasi si è compiuta in 1–2 anni, mentre il
precedente assetto rurale si era stabilizzato in tempi secolari.
Un terzo aspetto riguarda le modalità del cambiamento: ogni trasformazione deriva da decisioni
(esplicite o implicite) che avrebbero potuto essere attuate anche in modi alternativi.
• Si sarebbe potuto optare, ad esempio, per terrazzamenti invece che per un pendio continuo?
• Si sarebbero potuti usare muri a secco invece che cemento?
Il criterio della reversibilità aiuta a valutare la sostenibilità: ma è difficile applicarlo, perché il
paesaggio è per sua natura storico e irreversibile. La reversibilità può avere senso in alcuni ambiti
(es. ecologico), ma non come criterio assoluto.
Altro strumento utile è l’individuazione di valori imprescindibili: elementi o caratteri di paesaggio
che si ritiene vadano comunque conservati.
• Qui entra in gioco la valutazione esperta, chiamata a individuare i paesaggi di valore assoluto.
• Ma è fondamentale la condivisione sociale di tali valori, per quanto difficile da rilevare.
In certi casi, si può ipotizzare una compensazione: accettare una trasformazione in una parte, a
fronte della conservazione altrove. Tuttavia, nel paesaggio ciò non sempre è possibile:
• ogni luogo ha un valore legato al “qui” specifico,
• non è interscambiabile con un altro “qui”.
Conclusioni
La molteplicità degli approcci e la complessità delle trasformazioni possono generare
disorientamento, ma anche stimolare nuove letture.
Il paesaggio può diventare un punto di incontro fra discipline, valori, prospettive:
• natura e cultura,
• oggettivo e soggettivo,
• materiale e immateriale.
Se il paesaggio è un concetto integratore, allora anche nella valutazione delle trasformazioni
questa funzione di integrazione può essere essenziale.
Il paesaggio racconta le relazioni tra popolazione e territorio. Per questo può costituire un
indicatore complesso di sostenibilità territoriale, capace di mettere in dialogo molteplici aspetti
e orientare le scelte verso un futuro più consapevole.
Capitolo 12 – Educazione al paesaggio e cittadinanza attiva
12.1. Introduzione: il ruolo dell’educazione nella valorizzazione del paesaggio
L’apertura del capitolo sottolinea come l’educazione al paesaggio sia un elemento centrale per
promuovere una cittadinanza consapevole e una gestione responsabile dei luoghi in cui viviamo.
Castiglioni evidenzia che il paesaggio non è solo un concetto estetico o naturalistico, ma un
costrutto sociale: esso prende forma attraverso le percezioni, le pratiche e le rappresentazioni
condivise da una comunità.
La Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) ha avuto un impatto determinante nel
ridefinire questo approccio, ponendo l’accento sul paesaggio della vita quotidiana e
sull’importanza di un coinvolgimento attivo dei cittadini. Non si tratta più soltanto di tutelare scenari
eccezionali o contesti naturalistici “intatti”, ma di sviluppare negli abitanti una consapevolezza
critica rispetto agli spazi che abitano, frequentano e trasformano.
Castiglioni afferma che, senza un’adeguata educazione al paesaggio, la società rischia di
sviluppare una visione passiva: i cittadini diventano semplici “spettatori” delle trasformazioni,
incapaci di coglierne cause, conseguenze e possibili alternative. L’obiettivo, invece, è creare
spettatori consapevoli e attori responsabili, capaci di leggere i mutamenti territoriali e di
partecipare attivamente alle decisioni che li riguardano.
Questa prospettiva implica un cambio di paradigma educativo: l’educazione al paesaggio deve
superare la trasmissione di nozioni tecniche e diventare formazione alla cittadinanza, fornendo
strumenti per comprendere il rapporto tra identità, ambiente e società.
12.2. Paesaggio e scuola: un laboratorio per la cittadinanza
La scuola viene individuata come luogo privilegiato per costruire questa nuova sensibilità. Il
paesaggio può diventare un laboratorio educativo che unisce discipline diverse — geografia,
storia, scienze, arti — e favorisce un apprendimento basato sull’esperienza diretta.
Castiglioni sottolinea che, per troppo tempo, l’insegnamento del paesaggio si è limitato a un
approccio descrittivo e nozionistico: fotografie di panorami, elenchi di elementi morfologici,
classificazioni rigide. Ma il paesaggio, nella sua essenza, è vissuto, non solo osservato. Per
questo è necessario introdurre metodi didattici attivi, che invitino gli studenti a:
• Esplorare il territorio in prima persona;
• Osservare criticamente gli spazi quotidiani;
• Riflettere sulle trasformazioni in corso;
• Confrontarsi con i punti di vista di altri abitanti e utenti del territorio.
La ricerca didattica recente suggerisce, ad esempio, di organizzare uscite sul campo, interviste
agli abitanti, mappature partecipate e analisi diacroniche delle trasformazioni urbane e rurali.
Questo approccio favorisce la costruzione di un pensiero spaziale complesso, indispensabile
per sviluppare una coscienza ambientale e civica.
Castiglioni richiama diversi progetti sperimentali avviati in Italia, in cui gli studenti sono stati
coinvolti nella produzione collettiva di mappe e nella costruzione di narrazioni territoriali.
Questi processi non solo rafforzano le competenze geografiche, ma contribuiscono a formare
cittadini attivi, capaci di prendersi cura del proprio ambiente.
12.3 Quando la periferia si fa paesaggio: il caso del traliccio alla periferia di Padova
12.3.1
Il luogo, i fatti, gli attori in gioco
Un caso significativo si è verificato nella periferia est di Padova, tra il quartiere residenziale e la
zona industriale. Un’area residuale, tra due canali, usata quotidianamente per attività ricreative e di
socialità, è stata segnata dalla costruzione improvvisa di un traliccio alto oltre 100 metri,
destinato a ospitare antenne radio.
La struttura, visivamente dominante e percepita come estranea al contesto, ha generato un
movimento di protesta. Un comitato spontaneo ha raccolto fondi, promosso petizioni, attivato
eventi pubblici e campagne social. Nonostante il ricorso al TAR venga respinto per mancanza di
vizi procedurali, la mobilitazione continua, puntando allo spostamento del traliccio nella zona
industriale.
La protesta assume forme creative e partecipate, alimentando legami sociali e rafforzando
l’identità locale. L’argine, già vissuto come luogo di comunità, diventa spazio politico. 12.3.2
Una protesta per e con il paesaggio
Tra le motivazioni della protesta, oltre all’inquinamento elettromagnetico e al deprezzamento
immobiliare, emerge il tema del danno paesaggistico. Il paesaggio viene invocato non solo
come questione estetica, ma come bene comune, spazio del benessere e della qualità della vita.
Il paesaggio è percepito come elemento identitario: uno spazio affettivo, costruito dalle pratiche
quotidiane, che nutre il senso di appartenenza. Il conflitto svela una richiesta di partecipazione
alle scelte e di riconoscimento dei valori collettivi legati al paesaggio della vita quotidiana.
Applicando il modello dei conflitti periurbani (Ruoso e Plant, 2018), emergono quattro dimensioni
intrecciate:
• la materialità del luogo,
• le pratiche quotidiane,
• le rappresentazioni simboliche,
• l’identità che ne deriva.
Il conflitto evolve in un processo di costruzione comunitaria, in cui nuove forme di regolazione e
tutela vengono elaborate dal basso. Il comitato non chiede solo di applicare norme preesistenti,
ma sollecita la costruzione di nuove regole condivise, fondate su un’idea di “diritto al
paesaggio” che risponda ai bisogni reali di chi abita e vive quei luoghi.
12.3. Educazione informale e comunità: il ruolo dei luoghi e delle pratiche sociali
Oltre alla scuola, Castiglioni sottolinea l’importanza dei contesti educativi informali: associazioni
culturali, gruppi di cittadini, musei, biblioteche, comitati di quartiere e altre realtà territoriali possono
diventare veri e propri laboratori di cittadinanza attiva.
Il paesaggio, infatti, non è soltanto un tema accademico o scolastico: è esperienza quotidiana,
vissuta e condivisa all’interno delle comunità locali. Il suo valore educativo emerge soprattutto
quando le persone collaborano per leggere, raccontare e trasformare gli spazi che abitano.
Castiglioni cita come esempi numerosi progetti partecipativi che hanno coinvolto cittadini nella
mappatura dei luoghi significativi, nella raccolta di memorie orali e nella creazione di archivi
collettivi. Queste iniziative favoriscono una riappropriazione identitaria del territorio,
incoraggiando le comunità a riflettere sul proprio passato e a progettare consapevolmente il
proprio futuro.
L’obiettivo è trasformare i cittadini da spettatori passivi a protagonisti della costruzione e della
cura del paesaggio. In questo senso, le esperienze collettive — come passeggiate urbane,
workshop artistici o eventi culturali legati al territorio — diventano occasioni per sviluppare
competenze critiche e consolidare un senso di appartenenza.
12.4. Paesaggio e identità: memoria, luoghi e comunità
Un punto centrale della riflessione riguarda il legame tra paesaggio e identità. Il paesaggio non è
solo ciò che vediamo, ma ciò che ricordiamo, viviamo e significhiamo. Ogni comunità
attribuisce valore ai propri luoghi in base alle memorie collettive, alle narrazioni condivise e alle
esperienze quotidiane che vi si sedimentano.
Castiglioni evidenzia come il concetto di paesaggio sia sempre relazionale: non esiste un
paesaggio “oggettivo”, neutro, valido per tutti. La percezione cambia in base al punto di vista
individuale e al contesto culturale. Per esempio, un centro commerciale può essere visto da
alcuni come una minaccia all’identità locale, mentre per altri rappresenta un’opportunità di sviluppo
o un nuovo “luogo d’incontro”.
Questa pluralità di sguardi è essenziale: educare al paesaggio significa anche educare al
conflitto di percezioni, aiutando le persone a riconoscere e comprendere valori diversi dai
propri. Il paesaggio, infatti, non è mai statico, ma un campo di negoziazione continua tra
memorie, usi e progetti futuri.
12.5. Il ruolo dei media e delle nuove tecnologie
Infine, il capitolo dedica un’attenzione specifica al potere dei media e delle tecnologie digitali
nella costruzione delle rappresentazioni del paesaggio.
Oggi le immagini di un luogo circolano rapidamente sui social network, nei film, nei documentari e
nelle campagne turistiche. Questo fenomeno contribuisce a definire modelli estetici dominanti, che
influenzano profondamente il nostro modo di percepire gli spazi.
Castiglioni invita a riflettere criticamente su come le narrazioni mediatiche possano valorizzare
alcuni paesaggi e invisibilizzarne altri, creando gerarchie implicite tra luoghi “degni di nota” e
spazi “ordinari”. Un compito cruciale dell’educazione al paesaggio è, dunque, quello di sviluppare
competenze di lettura critica dei linguaggi visivi e digitali, per riconoscere i meccanismi
attraverso cui i paesaggi vengono rappresentati, commercializzati e, talvolta, stereotipati.