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Il Ramayana Di Valmici-Gapare Corresio-III Vol

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Ei
VXIV *
A
Taui
RAMAYANA
III,
Questa seconda edizione del RAMAYANA fu intrapresa per opera del
professore FRANCEsco VIGANò che ne diresse con molta sollecitudine
e aocuratezza l'esecuzione tipografica.
IL

RAMAYANA
DI

VALMICI
PER

GASPARE (G 0RRESI 0
SECIDNIDAA EDIZIONE

IDA LUI RIVEDUTA E RITOCCATA

Voluunne III,

M1 LAN o
TIPOGRAFIA di G. B. POGLIANI e C,

1 8 7' O.
PREFAZIONE

L'Epopea di cui pubblico ora il sesto Kanda


o libro, il, Kanda, cioè, del combattimento, si può
appellare, anzi è di fatto una grande trilogia epica.
Nella prima parte d' essa, Ràma il divino eroe
dell'epopea, il futuro vincitor dei Racsasi dimora
fortunato e lieto nella città d'Ayodhya sede del
l'impero avito fra le delizie della reggia paterna,
fra l'amore de' suoi e le gioie d'un felice connu
bio; ei mostra in quella prima sua età manifesti
indizi della divina sua origine e di sua futura
grandezza, spande letizia e conforto nei cittadini
e nei regnicoli ed è chiamato dal padre a parte
cipare il governo del regno. Questa parte dell'e
popea comprende i due primi libri, l'Adicanda o
libro iniziale e l'Ayodhyacanda o libro d'Ayodhya.
Succede qui un subito rivolgimento di cose, la
sacra di Ràma frastornata, l'esilio dell'eroe colle
lunghe sue amarezze, coi tristi casi che l'accom
pagnano, il rapimento di Sità sua consorte per
man del Racsaso Rávano, il dolore della città e
della reggia private di Ràma, ecc (1).
Durante il lungo suo esilio nelle contrade au
(1) Si vegga il sunto dell'epopea che ho delineato nel primo
volume.
vI PREFAZIONE,

strali dell' India Râma fortifica nella solitudine e


fra dure avversità il suo animo, esplora ogni sito
di quelle regioni meridionali, stanza di genti av
verse alle stirpi Arye, protegge i pi asceti, entra
in lega coi popoli silvestri (Vànari) che occupano
i monti Vindhyi e le alture che si stendono intorno
ad essi e si matura alla grande impresa deside
rata e preparata dai Devi, la guerra, cioè, e lo
sterminio dei Racsasi. Questa seconda parte del
l' epopea comprende l'Aranyacanda , libro delle
selve, il Kiskindhyacanda, libro della Kiskindhyà
sede dei Vànari ed il Sundaracanda. La terza
parte, quella che ora viene in luce canta la grande
guerra di Räma contro i Racsasi ed ha un solo
libro che si noma Yuddhacanda, il libro della
battaglia. Râma coll'esercito dei Vànari, valicato
il mare, approda a Lanka (Ceylan), sede dell'im
pero di Ràvano re dei Racsasi e dopo lunghi e
vari casi, battaglie ed eventi egli uccide in sin
golar tenzone il Racsaso Ràvano, ricupera la con
sorte rapita e ritorna vincitore in Ayodhya. Questa
terza parte della trilogia epica rappresenta l'Iliade
Omerica e potrebbe da sè sola cogli ultimi capitoli
del libro precedente formare un vero e compiuto
poema secondo l'idea dell'arte greca semplice ed
una. Ma questa Iliade del Ràmàyana è un' Iliade
Titanica, in cui tutto giganteggia oltre misura
combattimenti, armi, casi e battaglie, sì come ei
suole avvenire là dove le idee panteistiche gover
nano ed informano i portati del pensiero. I poemi
Omerici e l'Iliade particolarmente s'accordano nel
loro mirabile andamento colla natura del sentimento
umano e consuonano ad esso così per l'essenza e
PREFAZIONE, vIT

per la forma del pensiero, come per l'azione che


ne è la manifestazione esterna; la natura umana
colla sua propria ed energica forza v'è bensì ele
vata ad un grado altissimo ed eroico, ma non mai
eccede però i limiti suoi propri e naturali; nell'India
ella s'estolle e grandeggia a dismisura, ha qualche
cosa di sovrumano e di titanico. L'Oriente insomma,
per usare una delle formole dell'Hégel, rappresenta
qui come altrove l'idea in sè, ossia l'infinito, la
Grecia l'idea fuori di sè ossia il finito.
Il disegno dell'epopea che ho delineato nel primo
volume mostra evidentemente che colla disfatta di
Ràvano e dei Racsasi il poema è terminato e che
il sesto libro il Yuddhacanda debb'essere l'ultimo
della grande epopea dell'India. Ma v'ha un settimo
libro che la tradizione indiana unì col Ràmâyana,
annoverò e descrisse cogli altri sei libri e riputò
come parte dell'epopea; egli s'appella Uttaracanda,
ossia parte postrema. Questo libro non è certa
mente parte sostanziale del Ràmàyana con cuì
venne incorporato, e si dee riputare come disgiunto
dall'epopea propriamente detta, sebbene abbia con
essa attinenza di tema, di tradizioni, di nomi; a
quella guisa che l'Eliopide, i Kosti, la Telegonia,
ecc., hanno anch'essi attinenza coll'Iliade, ma non
son parte dell'Iliade stessa.
Sussistevano nell'India antica, come nell'antica
Grecia due grandi tradizioni, due vasti cicli epici che
comprendevano poemi differenti di età e di autori,
ma uniti fra loro, ciascuno nel proprio giro, da
un vincolo comune di leggende e di fatti. Nella
Grecia quei poemi benchè connessi colle due grandi
tradizioni epiche dell'Iliade e della Tebaide, si
VIII PREFAZIONE,

mantennero pur tuttavia distinti e separati dall'una


e dall'altra epopea; nell'India solita riunire in va
ste compilazioni opere diverse, ma aventi fra loro
qualche legame di affinità, que'poemi vennero in
corporati nel Rämäyana e nel Mahàbhàrata.
L'Uttaracanda è certamente uno dei poemi che
s'attengono alla tradizione epica del Rämäyana,
come ve ne ha altri, l'Harivansa, per cagion d'e
sempio, che s'attengono alla tradizione epica del
Mahàbhàrata e questi e quelli vennero perciò uniti
con vincolo più o men saldo alle due epopee.
Ho pubblicato a Parigi or son circa due anni il
primo volume dell'Uttaracanda e sto ora pubbli
cando pure a Parigi ed alla stamperia imperiale
il secondo volume che formerà il duodecimo ma
non l'ultimo ancora dell'opera ed uscirà fra breve
in luce. Aggiungerò, quando il creda opportuno
e ne mostrino desiderio coloro che apprezzano
ed amano questi alti studi, la versione italiana del
l'Uttaracanda ai tre volumi di questa edizione del
Ràmâyana. V

Lo studio di questo splendido monumento del


pensiero antico, dove è rappresentata in tutte le
sue parti e con mirabili colori la vita d'un popolo,
anzi scolpita l'imagine d'una grande età storica,
oltrecchè gioverà, non ne dubito, alla filosofia ed
alla storia, potrà eziandio fecondare con nuovi ele
menti e nuove idee il campo delle moderne let
terature, derivando in certo modo vigore e virtù
nuova da questa fonte ora dischiusa di semplice
e profonda poesia.
GASPARE GORRESIO.
RAMAYANA
LIBR0) (QUINT0.
SUN DAR A CANDA.

CAPITOLO XXII.

LUSINGHIE A SITA.

Alla mesta e pia Sità, fedele al suo consorte e sconso


lata, Ràvano pien d'amore rivolse queste parole:
Nel vedermi, o donna dai femori somiglianti a proboscide
d'elefante, ei par che tu voglia, nascondendoti qua e là, farti
invisibile per paura. Non v'ha qui uomo nè Racsaso alcuno,
o donna; discaccia da te, o Sità, il timor che in te nacque
per cagion mia. È proprio ed eterno ufficio dei Racsasi, o
timidetta, il torre per forza ad ogni modo le donne altrui
ed il rapirle con violenza. Ma io t'amo, o donna dai gran
d'occhi; abbimi in pregio tu pure, o mia diletta, tu fregiata
di grazia in tuttaquanta la persona, tu che rapisci l'animo
d'ogni uomo. S'adempia, o donna, ciò ch'io ti chieggo, e pur
ch'io più non ti vegga disamorata, regni pure a sua posta
entro il mio corpo l'amore. Tu non hai qui cagion di te
mere; ti confida in me, donna diletta; amami e non istar
così tutta dolente, o Videhese. A te non si convengono que
ste chiome raccolte in una sola treccia, queste vesti sordi
date, lo star sopra pensiero, il non lavarti e il digiunare;
tu sei degna, o Mithilese, di ghirlande variopinte, di pol
veri di sandalo e d'agalloco, di vesti d'ogni maniera e di
splendidi ornamenti, di serti, letti e seggi preziosi, di canti,
VOL, III,
2 RAMAYANA,

danze e suoni e di me insieme. Tu sei una gemma infra


le donne, o fortunata; adorna or via le tue membra; come
puoi tu rimanerti così, o egregia donna, or che tu sei di
venuta mia sposa? Questa bella gioventù che in te risplende,
presto se ne fugge, e allor che se n'è ita, più non ritorna,
sì come più non torna addietro l'impetuosa corrente del
l'acque.
Io credo che, dopo averti formata, si ristesse il creator
della bellezza, il facitore d'ogni cosa; perciocchè non v'ha
donna, o Mithilese, che pareggi la tua beltà. Chi mai, fos
s'anche Brahma stesso, avvenendosi in te, o Videhese, fio
rente di beltà e di giovinezza, potrebbe senza curar di te
oltre passare? Qualunque tuo membro io rimiri, o donna
dai turgidi lombi e dal volto soave come raggio di luna,
ivi rimane come legato il mio occhio. Siami sposa, o Mi
thilese, e discaccia questo tuo turbamento; sia tu donna so
vrana fra le molte e nobili mie donne: tutte le gemme che
io tolsi già per forza al mondo, tutte sien tue, o timidetta,
ed il mio regno ed io con esse. Conquistando la terra in
tiera sparsa di varie città, io la darò, o donna, per amor
di te a G'anaca; chè io non conosco sulla terra chi abbia
forza da starmi contro; odi qual sia la mia possanza ster
minata, irresistibile in battaglia. Più d'una volta furon da
me disfatti in guerra gli Asuri ed i Suri e conculcate le lor
bandiere; nè poterono essi resistere agli eserciti ch'io op
posi loro. Or manifesta il tuo desiderio, e immantinente a te
s'apprestino nobili abbigliamenti e si cingano al tuo corpo
ornati splendidissimi; ben io conosco, o donna, quanto la
tua beltà si confaccia agli ornamenti, sì come gli ornamenti
si confanno alla tua leggiadria. Usa a tua voglia cibi squi
siti, bevi e ti diletta; e largisci a cui ti piace le ricchezze
della terra. Attendi a sollazzarti fidandoti pure in me e lieta
m' imponi i tuoi comandi; e mentre che tu ti trastulli, fac
ciano per favor mio insieme con te sollazzo i miei congiunti,
Vedi, o donna avventurata, quant'io sia dovizioso d'ogni
bene; vedi il mio splendore e la mia gloria; che farai tu
di Ràma, o prediletta, coperto di misere vesti di corteccia?
Ràma ha abbandonato il regno,è caduto di sua gloria, è fatto
abitator di selve, stretto da sacri voti, e dorme sulla terra pre
SUNDARACANDA, 3
parata al sacrifizio, e non è fuor di dubbio che ei pur viva. Rà
mapiù non potrebbe in alcun modo rivederti, o Videhese, co
me non si può scorgere un digito della luna velato in cielo da
dense nubi; il Raghuide più non può ritoglierti dalle mie
mani, come non potrebbe Hiranyakasipu ritoglier Lacsmi
dalla mani d'Indra. O donna dal bel sorriso, dalla bocca
graziosa e dai begli occhi, tu rapisci l'animo mio a quella
guisa che Suparna se ne porta via un serpente; pur veden
doti così disadorna in serica veste fosca,più non trovo di
letto nelle mie donne, o cara; abbi tu signorìa , o donna,
sopra quante femmine abitan nel mio gineceo, pregevoli
per ogni rispetto; chè io ho qui, o donna dai neri capelli,
le femmine più pregiate dei tre mondi: queste ti serviranno,
come le Apsarase servon Lacsmi. Quante gemme d'ogni
sorta furono già di Vaisravana, tu fruiscine a tua voglia,
o donna dai bei lombi, e di Lanka e di me insieme. Râma
non mi pareggia, o Sità, nè d'ascetismo , nè di forza, nè
di possanza, o di ricchezza, nè di splendore, nè di gloria.
Ornata le membra di ghirlande d'oro terso ti diporta or con
me, o timida, per le selve inarborate di spesse e floride
piante, che sorgono e si spandono sopra la riva del mare.

C A PIT O IL O X X II I.

DISCORSO DI SITA.

Udite quelle parole del fiero Racsaso, la dolente e misera


Sità così rispose con voce afflitta e lenta:
A me donna onesta, nata d'una grande stirpe ed accasata
in una stirpe pura si disdice far cosa sconvenevole e bia
simata. Poich'ebbe così risposto al re de' Racsasi, la bella
e pia Videhese, dando le spalle a Rávano, così riprese a
dire: Consorte d'altri e casta io non son donna a te con
veniente; abbi or via riguardo al dovere, fa atto onesto e
virtuoso; così come le donne tue, debbonsi da te, o Rac
saso, proteggere le donne altrui; onde lasciandomi libera
di me, ti diletta colle tue mogli. La donna altrui mena a
rovina l'uom volubile che ha mente perversa e sensi insta
bili, e non si contenta delle proprie donne; o non v' ha
4 RAMAYANA , V

qui persona giusta, o se pur v'ha, tu non la segui; nè ti


fu dichiarata mai la legge che i saggi appellan buona. Ve
nuta in mano d'un insensato, la città di Lanka copiosa di
molte gemme perirà fra breve per colpa di te solo; peri
ranno le opulente contrade e le città venute in potere d'un
re insano che s'ostina pur nel male. Le creature, o Rávano,
si rallegran della ruina dell'uom malvagio e improvido che
pere per le proprie colpe. Liete diranno un dì le genti di
te perverso e vile: « Oh noi felici, male al fin ne incolse
a quel Ràvano di sangue e di corrucci! » Nè possanza, nè
ricchezze potranno mai adescarmi; io non sarò mai d'altri
che di Ràma, come Prabha non sarà mai sposa che del
Sole. Dopo essermi posata sopra il sinistro braccio venerato
di quell'uom caro alle genti, come mai potrei io posarmi
sopra il braccio d'un altro chiunque ei sia? Di quel ma
gnanimo solo io son sposa condegna, sì come è condegna la
scienza ad un Brahmano che ha vinto sè stesso e fu iniziato
ad esser capo di famiglia. Or via, o Ràvano, ricongiungi con
Ràma me afflitta, come si raccompagna nella selva un'ele
fantessa ad un caldo elefante duce di schiera. Sarà buon
per te, o Rávano, il renderti amico Ràma, se desideri scam
pare da morte atroce e salvare la tua città: chè potrebbe il
Dio della morte risparmiare l'uom mortale; potrebbe il vento
risparmiare la fiamma di fuoco; ma non risparmierà te, o Rà
vano, il Raghuide signor del mondo, ardente d'ira. Udrai
il suon terribile dell'arco di Ràma, strepitoso come il suon
del fulmine scagliato dalla mano d'Indra. Pioveran qui ra
pide e simili a serpi dalla faccia ardente, le acute saette
dai bei modi segnate colle cifre di Ràma e Lacsmano; e le
vie di questa città saran tutte ingombre in ogni parte di
Racsasi messi a morte dalla pioggia di que' dardi. O re de'
Racsasi, Ràma il grande Garuda porrà ben presto a morte
te fiero serpente, a quella guisa che il figlio di Vinata (Ga
ruda) distrugge un serpe. Fra breve il Raghuide mio sposo,
domatore de'nemici, venendo pien di sdegno contro te ini
quo, mi toglierà di botto dalle tue mani, come Visnu co'
suoi tre passi tolse la splendida Sri dagli Asuri.
Udendo que' detti della Mithilese, il re de' Racsasi infel
lonito tutto si corrucciò per ira e così rispose:Tu per certo
- SUNDARA CANDA. 5
ti credi inoffensibile,perchè sei donna; onde, smesso ogni
timore, così aspramente mi favelli; ma non è buono il dire
nel cospetto di molta gente cose discare ed aspre a chi co
manda, massime s'egli è possente: la soavità, o Sità, è detta
ornamento supremo delle donne. Come mai ti sta fissa in
mente, o fortunata, cosa impossibile ad ottenere, il desiderio,
dico, del tuo sposo? Se tal fosse la mia ira, quale è quella
che in te s'accese, io ti metterei a morte; ma perchè sei
donna, n'esci salva.
Sità non potè sopportare quelle parole del re de' Racsasi,
e come chi ha buona fama all'infamato, così gli rispose con
isdegno: Udita la strage del Ganasthàna e la morte di Khara
e Dùsana, e rammentando la nimicizia antica, tu m'hai
rapita e qui menata, perchè era in quel punto diserto
l'abituro dei due fortissimi fratelli, iti a caccia pari a due
leoni; se ciò non fosse, tu sentendo pur l'odore di Ràma
e Lacsmano, non avresti osato star fermo dinanzi a loro,
come non oserebbe un cane star dinanzi a due tigri. Male
a te s'addice la contesa a cui ti mettesti con que' due, pari
a quella che piglia tutto solo contro la luna e il sole Ràhu
lor nemico; ma Ràma col Saumitride prestamente qui ve
nendo, torrà a te ed al tuo esercito gli spiriti vitali, come
il sole consuma un poco d'acqua.

C AP IT O L O XX I V.

MINACCE DI RAVANO,

Sentite le acerbe parole di Sità, il re de' Racsasi fece a


quella donna di soave aspetto questa dura risposta:
Quanto più l'uom s'adopera a consolar la donna , tanto
più ei ne diventa ligio; quanto ei le dice più care parole,
tanto più ei n'è vilipeso. L'amor che di te m'accende, raf
frena la mia ira, sì come un buono auriga frena i cavalli
che,posto piede nella via, si danno a corso impetuoso. Egli
è pur vero che l'uomo in cui amor s'apprende, tosto sente
destarsi in lui tenerezza e compassione. Quest'è la causa
per cui non t'uccido, o donna leggiadra, benchè tu sia degna
di morte e di disprezzo, e stoltamente affezionata ad un uo
6 RAMAYANA.

mo esule dal suo regno: chè ognuna dell'aspre parole che tu


mi favelli, o Mithilese, sarebbe degna di cruda morte. Or
io sosterrò due mesi ancora; questo è il termine ch'io ti
pongo; quindi pensa di salire nel mio talamo, o donna dagli
occhi affascinanti. Ma se , passati due mesi, tu pur ricusi
d'avermi per marito, i miei cuochi minuzzandoti a brano
a brano, faran di te un manicaretto per lo mio asciolvere.
Ràma non ti racquisterà più mai, o Mithilese, siccome
Hiranyakasipu non riavrà più Laksmi dalle mani d'Indra.
Veggendo sì aspreggiata da Ràvano la Mithilese, sbigot
tirono le grandiocchiute figlie dei Devi e dei Gandharvi, e
qual con cenni di labbra e di sguardi, quale con altri cenni
di volto confortavano Sttà minacciata da quel Racsaso. Con
fortata da quelle donne Sttà superba dglla sua virtù e della
sua grandezza prese a dire a Rávano térror del mondo que
ste parole salutifere a sè stessa: Per certo non v'ha qui
persona che sia intenta alla tua salvezza: poichè niuno ti
distoglie da quest'opera abbominata. Fuor di te nessuno nei
tre mondi oserebbe pur colla mente concupire me consorte
di quel giusto, sì come Sàci d'Indra. Or avendo tu osato dir
tali parole alla consorte di quel Ràma che ha forza immensa,
vedrai, o vilissimo fra i Racsasi, quel ch'egli saprà fare. Co
me si stima un elefante altiero e una lepre imbelle, così è
stimato qual animoso elefante Ràma e tu codardo come lepre.
Tu insanisci coll'offender così l'Icsvacuide; per quanto spa
zia l'occhio di colui, tu non hai cuore di star quivi fermo.
Come mai, mentre testè mi riguardavi, non ti caddero ad
un tratto que' tuoi occhi fieri e torvi, di color tra fosco e
fulvo? Come non ti cadde la lingua, o reo, mentre tu osavi
favellare alla consorte di quel giusto, alla nuora di Dasa
ratha? Sol per non far cosa senza consiglio di Ràma e per
non isperdere la virtù del mio ascetismo, io non ti riduco
oggi in cenere col mio vigore, o iniquo. Io non potrò giam
mai esser tolta a Ràma mentre ei vive; questo, non v'ha
dubbio, è il fato disposto alla tua morte.
Come udì que' detti di Sttà, Ràvano re de' Racsasi sbar
rando i terribili suoi occhi,guardò la figlia di Ganaca. Era
il re de' Racsasi somigliante a nera nube, con grandi brac
cia e gran cervice; avea possanza ed andatura di leone,
SUNDARACANIDA, r

faccia ed occhi ardenti; portava alto un diadema con apice


ondeggiante, ghirlande di vari colori ed unguenti profumati;
avea in dosso una veste rossa ed ornamenti d'oro brunito;
era tutto risplendente e adorno d'orecchini del color del
sol che spunta, a guisa d'un monte guernito di due grandi
asochi con gemme e fiori rossi; e cinto d'una gran fascia
che gli si avvolgeva intorno ai lombi, sì come un dì si ve
dea recinto d'un serpente il monte Mandara, allor che col
diguazzar l'Oceano si voleva produrre l'Amrita. Guardando
la Mithilese cogli occhi accesi d'ira, e sbuffando come un
serpe, Rávano così disse a Sità:
Misera, infortunata, devota a quel tuo Rdma, io ti strug
gerò oggi, sì come il sol che nasce, dissipa l'alba mattutina.
Com'ebbe così parlato alla Mithilese, Ràvano flagello delle
genti, rivolto a tutte quelle Racsase d'orrendo aspetto che
stavano colà, diversamente armate, orribili e moltiformi,
lorde le membra di carni e di sangue, colla faccia e colle
mani intrise di midolle, fameliche ed insaziate, avide ognora
di carni e d'adipe, varie di statura e variamente addobbate,
portanti mazze, scimitarre e lancie, saette pennute e scuri,
con ghirlande e ornamenti diversi, rossi serti ed unguenti
odorosi; a quelle Racsase così impose Rávano: Per mio co
mando e senza riguardo alcuno fate, o Racsase, che Sità
figlia di Ganaca tosto si rechi ai miei voleri; con doni, con
blandizie e con pungenti riprensioni, carezzando ed aspreg
giando, e con minaccie di castighi fate di piegare al mio
desiderio la Videhese. Poich'ebbe così ordinato a quelle
Racsase, Ràvano vinto dall'ira e dall' amore si partì dalla
figlia di G'anaca.
Fattasi tosto allora incontro a lui l'amata sua Mandodari
ed abbracciandolo, così gli disse: Prendi con me diletto,
o re supremo; che cosa farai tu di Sità? E duramente
tormentato il corpo di colui che ama donna priva d'amore;
ma è ineffabile il diletto di chi ama una donna innamo
rata; ed i saggi affermano essere il diletto il frutto su
premo dell'amore. Così invitato da quella donna amata e
a lui conforme, Rávano entrò allora nella sua casa, risplen
dente come oro brunito.
8 RAMAYANA,

CAPITOLO XXV.

MINACCE DELLE RACSASE,

Le figlie dei Devi e dei Gandharvi e con esse le figlie


dei Naghi facendo cerchio intorno a Ràvano, entrarono
con lui nell'eccelsa sua reggia. Partitosi il re de' Racsasi
e rientrato nel gineceo, quelle Racsase di fiero e turpe
aspetto corsero tutte addosso a Sità, e deridendola dice
van parole acerbe ed oltraggiose a colei immeritevole
d'oltraggi: Perchè non ami, o Sità, abitar nel regale gi
neceo fornito d'ogni cosa desiderabile, adorno di letti di
gran pregio, e tanto hai caro nella tua mente uno sposo
di stirpe umana? Rimuovi da Râma il tuo pensiero; che
mai più tu non farai ritorno a lui. Che non pensi tu ora,
o Mithilese, a sollazzarti col re de' Racsasi nella sua gio
conda reggia, ornata di gemme d'ogni sorta? Che non
consenti ad esser sposa del re dei Nairiti, da cui furon
vinti i trenta tre Devi e il re de' Suri (Indra)? Perchè, o
leggiadra, tu donna mortale desideri pur Râma uom mor
tale, privato del suo regno,errante, sfortunato e senza amici?
Udendo le parole di quelle Racsase, Sità dal volto simile
a fior di loto, cogli occhi pieni di lacrime così rispose : I
consigli abbominevoli, orrendi, iniqui che voi m' andate
suggerendo, non s' affanno all' animo mio; benchè misero
e privato del regno, colui che è mio consorte, è pur mio
nume; siccome dalla sua donna fu altamente pregiato il
magnanimo Bhrigu, così non sarà mai ch' io abbandoni
colui che m'è consorte e nume. Come udiron que' detti
di Sità, le Racsase per ira insane si diedero a gara con
crude parole a minacciar la Videhese. Nascosto fra i rami
d'un asoka, Hanumat udiva quei rimbrotti delle Racsase
minaccianti Sità. Le quali piene di rabbia soperchiando
d' ogni parte la Videhese che tremava a verga a verga,
forte leccavan colla lingua le loro labbia spenzolate; e
dato di piglio a spade e ad ascie così le dicevan corruc
ciose: Se non vuoi per tuo sposo Ràvano, sarai per fermo
messa a morte.
SUNDARACANDA, 9
Bravata da quelle orrende Racsase, la bella Sità tutta in
pianto sguizzando si fuggì verso l'albero di asoka; e giunta
a quell'asoka perseguitata dalle Racsase quivi si fermò quella
donna dai grand'occhi, sopraffatta dall'angoscia.
Colà le Racsase si diedero per ogni verso ad atterrir la
Videhese smunta dal digiuno, squallida nelle vesti e con
volto addolorato. Una Racsasa d'orribile aspetto, per nome
Vinata, che avea denti sporgenti in fuori e ventre distorto,
così le parlò con piglio irato: Abbastanza oramai, o Sità,
tu hai dimostrato l'amor che tu porti al tuo sposo; ogni
cosa eccessiva, o donna, riesce pur sempre a tristo fine.
Son contenta di te, o pia; quel che da te dovea umana
mente farsi, è fatto; ora ascolta, o Mithilese, le veraci pa
role che io son per dirti: prendi a tuo sposo Ràvano signor
di tutti i Racsasi, prode ed avvenente, eroe pari in batta
glia ad Indra, destro e nobilmente costumato, favellante ad
ognuno con blande parole; lascia Ràma misero uomo e
dona a Ràvano il tuo amore. Profumata d'unguenti divini,
adorna di splendidi abbigliamenti sia, o Videhese, da quinci
innanzi sovrana di tutte le genti. Siccome Svàhà è con
sorte d'Agni e Saci d'Indra, siccome Uma è sposa del Dio
Rudra e Suvarc'ala del Sole, come Diksa è sposa di Soma
e la gloriosa Laksmi di Visnu, siccome Kriya è consorte di
Brahma e la bella Sandhya di Pûsan, così tu, o leggiadra,
sia consorte del re de'Racsasi. Che hai tu più a fare, o
fortunata, di Ràma misero e perituro; eleggi a tuo sposo
Ràvano che ha posto in te ogni suo pensiero e ti pregia
sovra ogni altra. Ma se tu non farai quel ch' io ti dico,
noi tutte in questo istante ti divoreremo a brano a brano.
Un'altra Racsasa di fiero aspetto, per nome Vikata, rug
gendo e levando le pugna, così le parlò con faccia irosa:
Per compassion di te, o figlia di G'anaca, per tenerezza ed
affetto verso di te noi sopportiamo assai parole avverse;
per cagion tua, o donna, noi siam forte tribolate; or con
senti a Ràvano, o Sità, ovvero muori; se tu non farai quel
ch'io ti dico, tutte costoro in questo istante ti mangieranno
senza alcun dubbio. Quindi l' orribil Racsasa Hayamukhi
colla faccia tutta pendente e floscia, con occhi e volto ac
cesi così disse ira a Sità: Tu fosti lungamente, o Mi
10 RAMAYANA,

thilese, da noi consigliata con amore; nè perciò tu vuoi


seguire i nostri consigli salutari ed opportuni; tu sei stata
qui condotta all'estremo dell'Oceano, dove altri non po
trebbe facilmente approdare; tu hai posto piede, o Mi
thilese, nel temuto gineceo di Rávano; or ti cessa dalle la
crime e pon fine a un dolore inutile; chiusa nel gineceo
di Ràvano e da noi guardata con occhio vigile, neppure
il Dio distruttore di città (Indra) potrebbe liberarti, o
Mithilese; fa quel ch'io ti dico per util tuo; piglia diletto
e gioia, e deposta questa tua perenne mestizia, ti sollazza
lietamente, o Sftà, insieme col re de'Racsasi. Tu non sai,
o timida, quanto è labile la giovinezza della donna; men
trecchè ella pur dura, fruisci le gioie della vita: inebbriata
di fervidi liquori ti diporta col re de' Racsasi per giardini
dilettosi, per colli e boschi ameni; sette mila donne staran
pronte ai tuoi comandi, o Mithilese; eleggi a sposo Rà
vano sigmor di tutti i Racsasi; che se tu non farai a punto
quel ch'io ti dico, noi schiantandoti il cuore ci pascerem
delle tue carni. Una Racsasa d'orribile aspetto, per nome
Vagrodari, brandendo allora una grand'asta, così disse:
Come io vidi rapita da Ràvano costei dagli occhi tremoli
di topazio e dal seno tremante per paura, mi nacque una
voglia ardente: oh potessi io gustare, così pensai, il fegato
e il petto di colei, il cuore coll'umor che da lui cola, le
interiora e la sua testa ! Allor la Racsasa, per nome Vikata,
prese di nuovo a dire: Si strangoli senza più costei e poi
s'annunzi ch'ella è morta; veggendola esanimata ed ita in
mano di Vaivasvata, dirà per certo Rävano: La si mangi.
Ma una Racsasa, per nome Agamukhi, così soggiunse: Se
ne faccian le parti fra noi tutte; a me non piace l'aver
contesa. Allora una Racsasa, per nome Surpanakha, così
parlò: Quel che dice Agamukhi, a me pur piace. Si re
chino qui tosto liquori inebbrianti e varie ghirlande d'ogni
sorta; pascendoci di carni umane, danziam qui lietamente
sullo spianato dei sacrifizi. Se costei, tuttocchè da noi esor
tata, pur non si piega ai nostri consigli, noi mettendole le
mani addosso, divoriamcela tutte insieme.
Minacciata in tale modo da quelle Racsase ferocissime,
Sità pari alla figlia d'un Dio, perduta ogni fermezza, si diede
sUNDARACANDA. 11
a piangere; e mentre le fiere Racsase le andavan dicendo
tali parole crudeli e orribili, la figlia di G'anaca faceva un .
dirotto pianto, bagnando con rivi di lacrime il turgido suo
seno; e rivolgendo nella mente pensiersopra pensiero, non
vedeva il termine di tanto suo dolore. Ma le femmine di
Ràvano, poich'ebbero assalita Sltà per tutti i mezzi ed ese
guito puntualmente il comando del lor signore,si tacquero
tutte ad un tratto.

C A P IT O L O X XV I.

sECURITÀ DI siTA.

Udite quelle minacce, Sità tremando come un banano


incontro al vento per paura delle Racsase, tutta quivi si
scolorò; la lunga ed ampia treccia di capelli di quella
donna egregia tutta tremante appare così agitata come
una serpe che si convolva. Allor la nobile Videhese che
avea testè udite le parole di quelle Racsase, così rispose
impaurita con voce rotta dalle lacrime : Non s'addice
ad una donna il divenir sposa d' un Racsaso; voi tutte
ben potete divorarmi; ma io non farò quel che voi dite.
E sospirando addolorata, coll'animo oppresso dall' ango
scia ed afflittissima, la Mithilese versava lacrime ed in
tal modo si doleva: Ben è vero quel che dicono le genti
e che comprendono i saggi: « Difficile è all'uomo ed alla
donna il morire fuor di tempo; » poich'io aspreggiata da
queste Racsase crudeli, divisa dal consorte e dolentis
sima pur rimango un istante in vita. Sità pari alla figlia
d'un Dio, circondata da quelle Racsase e lontana dal Ra
ghuide non trovava quivi pace; e quasi volesse tutta fic
carsi nelle sue membra, ella tremava forte a guisa d'una
cerva smarrita fuor di schiera ed assalita dai lupi nella
selva; ed appoggiatasi ad un grande e florido ramo d'asoca,
oppressa dal dolore si diede con tutto l'animo a pensare al
SuO consOrte:
O Râma, ella sclamava dolentissima, o Lacsmano, o Kau
salyá suocera mia, o nobile Sumitral Io infelice, donna di poca
virtù qui mi dolgo miseramente, combattuta come una nave
2 RAMAYANA.
onusta, percossa dai venti infra l'Oceano; lontana dalla vista
del mio sposo e veggendomi qui dinanzi questa turba di Rac
sase, io vengo meno per dolore, siccome la riva d'un fiume
battuta dall' onde. Felici coloro cui è dato di veder Ràma
dagli occhi simili a foglie di loto, di forza pari ad un leone,
conoscitor dei benefizi, favellante cose care. Duro al tutto è
il più vivere a me divisa da quel saggio Ràma, sì come a
chi abbia preso aspro veleno. Qual colpa mai ho io vivendo
un dì commessa, per cui io caddi in tanta angoscia e in
così orribile tormento! Oppressa da immenso dolore io
desidero lasciar la vita, ma guardata con occhio attento
dalle Racsase non posso ottener tal desiderio. Maledico or
l'umana condizione, maledico il trovarsi altrui sottomesso,
onde l'uom non può a sua posta lasciar la vita. Oh per
chè Yama non toglie me caduta in un dolore interminato!
Così dicendo col volto bagnato di lacrime e chino a terra,
facea lamenti tutta afflitta la giovane figlia di Ganaca; e a
guisa di farnetica, d'ebbra, d' insennata, convolgendosi a
modo di puledra ed agitandosi sulla terra, egra così
parlava :
Io devota a Ràma fui con forza e con violenza condotta
qui piangente dal Racsaso Ràvano che muta forma a sua
voglia. Venuta in potere delle Racsase e orribilmente mi
nacciata, in preda a'miei pensieri e infelicissima io più non
posso sostener la vita; più non mi giova il vivere, nè l'es
sere opulenta, nè l'ornarmi, avendo a star fra queste Racsase,
divisa dal prode Ràma. Onta a me malvagia e vile, che pri
vata di colui pur vivo un solo, istante,vivendo trista e mi
sera vita! Qual fede mai poss'io avere nella vita oppur nella
felicità, lontana da quel mio diletto, le cui parole son sì
care, da quel signore della terra cinta intorno dall'Oceano?
Si faccia a brani, si divori questo mio corpo, io l'abban
dono; ma io non soffrirò quest'immensa pena dell'esser di
visa dal mio sposo; io mai non toccherò neppur col sinistro
mio piede, non che mai io ami quel vile Ràvano , degno
di 'vitupero. Non conosce ciò che è stato annunziato, non
conosce me, nè la mia stirpe costui che per sua crudel
natura vuol farmi oltraggio. Dilaniata , fatta in pezzi
mi divorino costoro , o mi gettino nel fuoco ardente; io
SUNDARACANDA, 13
mai non servirò a Ràvano; a che giovano più lunghe
parole? Il Raghuide è pietoso, nobile, riputato, saggio
e buono, ma io temo che la mia fortuna pericolata non
abbia spento la sua pietà; poichè colui che tutto solo
distrusse sul Ganasthàna quattordici mila Racsasi, qui non
viene a ritrovarmi. Ma certamente Ràma non sa che io
sia qui; che se il sapesse quel possente, non soffrirebbe
un tale oltraggio. Ma nonpertanto colui che nella selva
Dandaca uccise con una sola saetta Viràdha eroe de' Rac
sasi, qui a me non viene. Chi mai potrà, andando a Ràma,
annunziargli che io fui rapita? Il sovrano degli avoltoi fu
esso pure atterrato da Ràvano in battaglia. Ma quel G'a
táyus benchè vecchio fece opra memoranda, stando in bat
taglia incontro a Ràvano e venendo a me per liberarmi.
Oh se sapesse ch'io son qui nella reggia di Rävano, oggi
Ráma ardente d' ira diserterebbe di Racsasi Lanka, met
terebbe la città a soqquadro e diseccherebbe eziandio il
mare, nè più lascerebbe sussistere la rea schiatta del vile
Ràvano. Allor sì risuonerebbe la città di casa in casa delle
grida delle Racsase orbate de' lor mariti, sì come or ri
suona de' miei lamenti. Ràma insieme con Lacsmano cer
cando Lanka a parte a parte la farebbe vuota di Rac
sasi; chè più non vive un solo istante chi è tocco dalle
saette di quei due. Ben è difficile ad espugnare la città
dei Racsasi, situata in mezzo àl mare; ma non v'ha luogo
sulla terra, ove non giungano le saette di Ràma. Fra breve
la città di Lanka ingombra di stormi d'avoltoi , piene le
vie del fumo dei roghi renderà imagine d'un cimitero;
udrò fra poco le disperate strida de'dolenti; sarà fra breve
adempiuto il mio desiderio, sì che arrivi alla sua morte
quel Ràvano scellerato.

C A P IT O L O XXVII.

SOGNO DI TRIGATA,

Come udiron quelle parole di Sità, le Racsase arsero


d'ira ed alcune andarono in quel punto a significare al
fiero Råvano que' detti; altre con torvo aspetto fattesi
14 RAMAVANA,

presso a Sità ricominciarono, ma senza alcun frutto, a dirle


dure cose:
« Or sì, o ignobil Sità, donna di rei consigli, le Rac
sase si pasceranno delle tue carni, troncandoti a brano a
brano ».
Veggendo Sità così minacciata da quelle triste, una vec
chia Racsasa,per nome Trigata, che era colà giacente, così
prese a dire: Divorate pur me, se vi piace, o vili, ma voi
non mangierete Sità, figlia diletta di Ganaca e nuora di
Dasaratha; chè io vidi oggi un sogno pien di spavento e
orribile, presagio della rovina dei Racsasi e della vittoria
dello sposo di costei.
Udendo que' detti di Trigata, le Racsase guardando la
Mithilese e stringendosi intorno a Trigata, così le dissero
impaurite: Noi tutte desideriamo udire l'infausta tua visione;
qual è il sogno che tu vedesti? Grande è la nostra curio
sità d'udirlo.
Incitata da que' detti la vecchia Racsasa Trigata, giunte
le mani insieme, prese a narrar quel sogno: Oggi sul finir
del sonno io vidi proprio Ràma seduto sopra una splendida
ed eburnea lettiga che andava su per l'aria ed era tratta da
molti elefanti; ei pareva divorar la terra intiera colle sue
selve e co' suoi monti, e tracannava molto sangue. Ei salì
sul monte Sveta, cinto intorno dall'Oceano, e colà Sità si
ricongiunse a Ràma, siccome Prabha al Sole. Poscia qui
venne Ràma, e con Sità sua consorte e col prode Lacs
mano s'assise sul carro Puspaka; su quel plaustro tirato
da bianchi tori e da cavalli ei si stava accompagnato da
Lacsmano, portando un bianco serto e bianche vesti. Io vidi
oggi Ràvano gettato a terra dal carro Puspaka e tratto via da
una donna, calvo, facendo risa ed involto in vesti sanguigne.
Unguentato e inghirlandato di serto sanguigno ei s' avviò
sopra un carro tirato da asini alla plaga meridionale ed
entrò in un lago di fango. Colà una donna tutta nera con
vesti di color di sangue ed occhi simili a foglie di loto, le
gato Ràvano alla gola, il trascina alla plaga australe. Io
vidi pur più volte Kumbacarna avviato alla regione australe
con un camelo, un delfino gangetico ed un scimio. Si fece
quindi un gran banchetto con danze, canti e suoni, e be
SUNDARACANDA. 15
vevan sangue i Racsasi, abbigliati di vesti tinte in rosso e
calvi il capo. Quindi io vidi la città di Lanka tutta intiera
co' suoi carri , cavalli ed elefanti profondare nell'Oceano,
rotte le sue porte e gli archi. Ridotta Lanka in cenere, so
pravvennero con gran fracasso ed alte risa tutte quante
le donne de' Racsasi, bevendo liquor di sesamo, e Kum
bakarna cogli altri prestanti Racsasi, tutti in veste gialla,
scherzanti in un lago di bovina. Solo Vibhisana con Anila
e tre altri suoi fidi consiglieri salì sul monte Sveta. Fug
gite or dunque oppur perite; chè per certo udendo Râma
i casi di Sitá porrà a morte pien di sdegno tutti i Racsasi.
Ràma non soffrirà che la pregiata e cara sua consorte, a
lui devota fino ad abitar con lui nelle selve, sia qui oltrag
giata e minacciata.
Udendo i presagi di colei sommamente cari al suo cuore,
lampeggiò d'un riso soave l' occhio sinistro della can-
dida Sità.
Vedete, soggiunse Trigata, tremolare, come una lunga
foglia di loto, al cospetto di voi tutte l'occhio di Sità; tremò
pur senza cagione un braccio della Videhese, e il rilevato
suo sinistro fianco, simile alla proboscide d'un'elefantessa;
l'aspetto di costei annunzia quasi Ràma qui presente. L'in
felice a cui si rivela un tale sogno, presto è sciolta d'ogni
sua pena e rivede quel che ama. Onde preghiam Sità, o
Racsase; che giovan più lunghe parole? Perocchè sovrasta
ai Racsasi orribil danno per opera del Raghuide. E nè pure
io scorgo nel complesso delle doti di questa donna dai grandi
occhi segno alcuno avverso, benchè minimo; sol per forza del
l'inevitabile dualismo penso esser costei incorsa in tale scia
gura; onde voi non dovete affliggere questa donna che non
merita d'essere afflitta. Per occulto consiglio dei Devi costei
qui venne per la rovina dei Racsasi, ed io preveggo immi
nente il prospero successo di Sità e lo sterminio di Ràvano
e la vittoria del Raghuide. Posato sul ramo d'un albero
cantava frattanto un augello e andava iterando voci di soa
vissimo conforto; intonando un canto benauguroso, quella
cornice pareva annunziare l'arrivo di Ràma.
16 RAMAYANA,

CAPITOLO XXVIII.

PRESAGI MIANIFESTI A SITA,

Com' ebbe inteso i detti di Ràvano e le parole crude


delle Racsase, Sità sbigottì, sì come entro la selva la figlia
d' un elefante sovrano, assalita da un leone. Stando fra
quelle Racsase, e fieramente garrita da Ràvano, Sità tutta
timida si doleva, come fa nel mezzo d'una selva deserta
una tenera fanciulla abbandonata: Ben è vero, ella diceva,
quel che affermano i Brahmani, che fuori del tempo pre
scritto non è dato quaggiù il morire; poich' io misera e
divisa dal mio sposo pur vivo un solo istante, donna di
niuna virtù. Certo egli è ben saldo questo mio cuore, che
privo d'ogni gioia e inebbriato d'amaritudine, pur non si
rompe in mille parti, come il vertice d'un monte, che il
fulmine percuote. Ma or per fermo è giunto il termine della
mia vita; io sarò uccisa da quel Rávano inamabile; chè io
mai non abbandonerò a colui il mio animo, come il Brah
mano non abbandonerebbe il grande Veda. Per certo, ove
qui non giunga quel protettor del mondo (Ràma), questo
vile Racsaso con teli acuti farà tra poco in brani le mie
membra, sì come il sarchiatore stirpa i rampolli che non
han vita. Due mesi ancora mi rimangono secondo il ter
mine statuito; quindi ardente d'ira mi dannerà quel Rac
saso a cruda pena; in tale modo è statuito il termine al
ladro incatenato e dannato a morte per offese fatte a chi
regge. Oh Ràma! oh Lacsmano! oh Sumitra! oh madre di
Ràma! oh madre mia! io pero diserta d'ogni mia fortuna,
a guisa d'una nave combattuta dal vento in alto mare. Per
certo a cagion di me perirono, per inganno di quella fiera
impetuosa che avea sembianza di cervo, que'due figli regali,
sì come un toro ed un leone percossi amendue dal fulmine.
Il Dio della morte in sembianza di cervo adescò certamente
allora me, donna di poca virtù; ond'io stolta spedii contr'esso
Ràma e Lacsmano. Mentre quella donna leggiadra stava
pensando a Ràma, alla stirpe del suo sposo ed alla propria
famiglia, apparvero presagi osservati dai Suri, dai Risci e dai
SUNDARACANIDA, 17
Siddhi. Fausti indizi si manifestavano d'ogni parte a quella
dolente e pia, ridotta a tale stato, priva d'ogni gioia e pro
fondamente afflitta, a quella guisa che gli uomini vanno dietro
all'uom che è favorato dalla fortuna. Di quella avvenente
donna palpitò il bell'occhio sinistro, dalle bene arcate ciglia,
ben lineato, fulgido, grande e nero, come palpita scosso da
un pesce un nereggiante fior di loto; tremò il suo braccio
sinistro, lungo, pieno e ben tornito, degno di squisito agal
loco e di sandalo e che il prestante e prode suo consorte
soleva avvolgere al suo corpo; ed il suo fianco, simile alla
proboscide d'un elefante, colmo, gentile e nitido, cinto di
veste gialla e terso come oro, parve, tremando, annunziare
Râma colà presente.
Da tali ed altri presagi che dovevano effettuarsi, destata
in sull'aurora, rinvigorì quella donna, come fa per pioggia
l'umile seme riarso dal vento e dal calore. Il suo volto
dalle labbra vermiglie come frutto di vimba, dalle ciglia
arcate, dai nitidi e bei denti e ben chiomato, risplendè di
nuovo, come la luna già mezzo uscita fuor della bocca di
IRàhu; e rimosso il suo dolore, rinfrancata la sua virtù,
tranquillato il suo affanno e coll'animo serenato dalla gioia,
ella splendeva oltremodo fulgida, come la notte, allor che
sorge la luna dai freddi raggi.

CAPITOLO XXIX.
DELIBERAZIONE D” HANUMAT.

Ma il valente Hanumat udì pienamente ogni cosa detta


colà dalle Racsase, da Trigata e da Sità; e guardando
quella donna regale, pari ad una Dea nel Nandana celeste,
il figlio del Vento si diede a rivolgere nella sua mente
vari pensieri. Colei che migliaia, prayuti ed arbudi di
Vánari van cercando per ogni regione, fu da me pur ri
trovata. Esploratore attento, aggirandomi qui di nascosto
per riguardo alla forza del nemico, io ho scorto ogni cosa
appieno; ho veduto questa città, la prestanza de'suoi abi
tatori e la possanza di Rávano re de' Racsasi. Ora egli è
conveniente che io cerchi di consolare la donna di quel
VOL, lII, 2
18 RAMAYANA.

magnanimo e immensurabile, la quale anela alla vista del


suo sposo, ed ignara della sventura non vede il termine
de' suoi mali. Se io me n'andrò senza aver consolato
quella donna che è qui sola ed il cui animo è oppresso
dall'angoscia, mi sarà ciò riputato a grave colpa; ed io
posso pur recar qualche conforto a quell'uom dalle lun
ghe braccia, dal volto simile a piena luna, che tutto arde
del desiderio di veder Sità. Ma ei non è opportuno che
io favelli qui con Sità nella presenza di queste Racsase;
come dunque debbo io fare ? In tali pensieri era fisa la
mente d'Hanumat. Se nello spazio che ancor rimane di
questo giorno, non è colei da me consolata, ella senza
dubbio lascierà al tutto la sua vita; e allor che Ràma mi
chiederà: « Che disse la mia diletta? » Che cosa gli ri
sponderò io, non avendo pure interrogata quella donna
di bella cintura? E se io discoraggio Ràma dagli occhi si
mili a fior di loto, sarà infruttuosa la sua venuta con tanto
esercito; oltrecchè, se io ritorno a lui avventatamente senza
recar notizie di Sità, il Cacutsthide pien d'ira m'arderà
col suo sguardo infocato; io sarò colpevole,se me n'andrò
senza avere confortato quella donna dolorosa; ma sarebbe
pur grande fallo, il favellare qui con lei. Rimanendo qui
fra tanto, ed avendone opportunità dalle Racsase, io cer
cherò di consolar colei, i cui sensi sono occupati da sì
gran dolore. Ma io son qui sconosciuto, e sopratutto sono
uno scimio; se io parlo qui sanscrito a guisa d'un Brah
mano, la figlia di Ganaca vedendo il mio sembiante e
udendo le mie parole, crederà che io sia Rávano e cadrà
in nuovo terrore; quindi piena di spavento metterà grida
quella pia dai grandi occhi, ben conoscendo che Ràvano
può mutar forma a sua posta; e fatto clamor da Sità, im
mantinente la turba delle Racsase mi verrà addosso senza
dubbio con armi crudeli d'ogni sorta; e facendomi ressa
intorno, tutte quelle laide Racsase metteranno in opra ogni
lor possa per uccidermi o per pigliarmi; ed ove non pos
sano aggiungermi, fuggendo io rapidamente di ramo in
ramo e su per li tronchi degli alberi altissimi, chiameranno
esse allora Racsasi feroci, pronti agli ordini di Rävano in
questa sede di Racsasi, ed essi armati di dardi e d'aste, di
SUNDARACANIDA, 1)
scimitarre e d'armi diverse accorreranno pronti e terribili
a quel trambusto; e colei sarà presa, ovvero sarò preso
io, e per diletto di nuocere o faranno essi offesa a me, ov
vero alla figlia di Ganaca; e sarà così perduta quest'im
presa di Ràma e di Sugriva. Perocchè se io son morto ov
vero preso da que' Racsasi accaniti, più non vedrà la Mithi
lese altro mio pari messaggier di Ràma; chè, considerando
ogni cosa, per me non veggo qual altro scimio, essendo io
morto, potrebbe valicare il grande Oceano per lo spazio di
cento yogani. La Videhese abita in un luogo inaccessibile e
lontano, cinto dal mare, ben guardato e difeso dal re de'
Racsasi; se io sono qui scoperto, io potrò bene, levandomi
con grand'impeto, sbaragliare i Racsasi, ma non potrò ri
tornare all'altra riva dell'Oceano; io sono bensì atto ad
uccidere centinaia di Racsasi; ma andrà pur così senza dub
bio in rovina questo grandissimo assunto. Son piene di for
tuiti casi le battaglie; nè mi piace quel che è dubbio; chi
mai in un'impresa certa farebbe cosa arrischiata? Sarebbe a
me grave colpa il favellare qui con Sità; ma come farò poi
ch'ella oda le mie parole e non si sgomenti? Stando così
sopra pensiero, si fermò quell'accorto in questo consiglio:
Annunziando qui con certi indizi il prode Ràma, io parlerò
quindi sanscrito a guisa d'uomo; non farò per tal modo paura
a colei , la cui mente è tutta fisa in tal pensiero. Peroc
chè udendo quella pia parlar del prode Ràma suo con
sorte, benchè poi ella mi vegga a sè dinanzi, non avrà di
me paura.

C A PIT O L O X XX.

TURBAMENTO DI SITA.

Avendo così rivolti più pensieri nella sua mente, il grande


scimio proferì lentamente queste parole, udente Sità: V'ebbe
un re per nome Dasaratha, possente d'armi e di cavalli,
giusto e di gran nome, uso di vedere i Devi e glorioso,
alieno dall'offendere, munifico, amato e forte, celebre nella
pia stirpe d'Icsvacu, accrescitor della sua fama, dotato di
segni regali, d'ampie dovizie e re supremo, rinomato per
20 RAMAYANA,

la terra cinta dai quattro mari, felice e dator di felicità.


Era figlio primogenito e diletto di colui un che s'appella
Ràma, dal volto soave come piena luna, saggio e prestante
fra gli arcieri, protettor del mondo, difensor della giustizia,
sostenitor della sua stirpe, proteggitor dei buoni. Costui
per ordine del vecchio suo padre, osservator della sua fede,
' se n'andò esule fra le selve colla consorte e col fratello.
Colà mentr'egli correva cacciando per la gran selva, gli fu
da un Racsaso rapita la sua sposa, figlia del re di Mithila.
Udita la strage del Ganasthàna (sede delle genti) e la morte
di Khara e Dùsana, l' iniquo Rávano rapì per ira e con
dusse qui colei. O donna di Videha, Râma tuo sposo ti
manda salute, e con esso ti saluta il prode Lacsmano tuo
cognato.
Ciò detto, si tacque Hanumat, figlio del Vento; e la figlia
di G'anaca, ciò udito, letiziando giubilò; quindi quella donna
di bella capellatura, coll'animo pieno d'ansia alzò timida il
volto e guardò quell'albero d'asoca; e protesasi ella vide
tutta commossa e impaurita nascosto fra i rami dell'asoca
lo scimio che favellò cose sì care. Veduto quel gran scimio
che stava colà in atto modesto, la donna Mithilese pensò
fra sè: Questo è un sogno; e vie più riguardandolo, ella
rimase come attonita e stordita; ma riavuto dopo molto il
senso, così andava fra sè discorrendo quella donna dai
grandi occhi: Questo è un mio sogno; ma pur non sono
addormentata, bensì combattuta dall'affanno e dal timore;
più non v'ha sonno per me, dacchè io son divisa da colui
il cui volto pareggia la beltà della luna. Io affascinata dal
l' amore di colui e avendo fisa in lui tutta l' anima mia e
rivolgendo di continuo lui nel mio pensiero, il veggo e
l' odo, e l'imagino co' miei desideri e lo contemplo colla
mia mente. Ma che è questo? qui non v' ha forma umana
e nondimeno colui mi favella apertamente. Io m'inchino
a Rudra, m'inchino ad Indra, a Svayambhu (Brahma) e
al Fuoco. Se le parole dette da quel scimio son veraci;
sia pure al tutto così.
SUNDARACANDA. 21

C AP IT O L O X XX I.

COLLOQUIO D'HANUMAT CON SITA.

Allora Hanumat, poste le mani giunte innanzi al capo ed


onorata la Videhese, così prese di nuovo a dirle: Chi sei
tu, o donna pari ad una Dea, dagli occhi soavi come foglie
di loto, dalla gialla veste serica, che te ne stai così appog
giata ad un ramo di quest'albero? Perchè ti sgorgano dagli
occhi lacrime nate dal dolore, simili a gocce limpidissime
cadenti da due foglie d'un bianco fior di loto? Sei tu, o
venusta, una dei Maruti o dei Rudri, ovver dei Vasu? Tu
mi sembri pure una Dea, o graziosa; oppure sei tu Rohini
regina degli astri, che abbandonata da Luno e caduta dalle
sedi dei Devi, sei quaggiù venuta, o donna dai begli occhi?
Ovvero sei tu Arundhati, che avendo per impronto desiderio
o per amore mosso a sdegno Vasistha tuo sposo, qua ne
venisti, o donna dai neri occhi? Ai segni ed alle note che
in te veggo, tu mi sembri donna di re e figlia regale; che
se tu sei Sità di Videha, rapita un dì per forza da Ràvano
sul G'anasthâna, degna, o donna, palesarmi il vero.
Intese le parole di colui, la Videhese tutta lieta dell'udita
notizia di Räma, così rispose allo scimio nascosto fra i rami
dell'albero: Io son figlia del magnanimo Ganaca Videhese
e consorte del saggio Ràma, e mi nomo Sità. Dimorai un
anno nella casa di Ràma, gustando le dolcezze umane, do
viziosa d'ogni bene; in capo ad un anno il padre di Ràma
co' suoi ministri e col domestico sacerdote chiamò il mio
sposo al consorzio del regno degli Icsvacuidi. Essendo allora
magnificata con lodi la sacra di Ràma, una donna, per nome
Caiceyi, così parlò al re suo sposo: Io più non berrò, nè
mangerò; m'asterrò da ogni alimento ed avrà oggi fine la
mia vita, se Ràma è sacrato re. Sia or verace la parola
che un dì tu mi dicesti con amore, o nobil re, e vada Râma
nelle selve. A que' detti il re rammentandosi la grazia che
un dì ei concesse a colei, tutto si turbò, udendo le pa
role di Caiceyt ingrate e crude. Quindi il vecchio re, saldo
nella verità e nella giustizia richiese, piangendo, il regno
22 RA MAYANA,

al glorioso suo figlio primogenito; e udendo le parole del


padre più autorevoli ancor che il regno, Ràma, benchè già
possedesse coll'animo l'impero , assentì liberamente a que”
detti; chè Ràma verace e forte donerebbe sì, ma non mai
riceverebbe a dispetto altrui; ei direbbe in ogni tempo pure
il vero e non mai menzogna, nè anche per amor della vita.
Egli pertanto, quell'uom d'eccelsa gloria, deposte le nobili sue
vesti e lasciato coll'animo il regno a colei ch'ei teneva per
madre, se ne partì per le selve; ed io tosto mi misi innanzi a
lui in abito d'asceta; che a me divisa da colui non piacerebbe
stare neppure in cielo; ma già prima di me avea vestiti
gli abiti ascetici di corteccia il saggio Lacsmano devoto al
suo fratello, per seguitarlo nelle selve. Noi tre, saldi nel
nostro proposto e rispettando l'ordine del re, abbandonata
la città, entrammo animosi nella selva profonda. Ma dimo
rando nella selva Dandaca quell'uom di forza immensa, io
sua consorte fui rapita da Rávano, iniquo Racsaso.
Udite le parole di colei, il prode Hanumat, affannato per
dolore, così prese a dirle: io qui venni a te messaggiere
per ordine di Ràma, o Videhese; Râma è sano e salvo, e
ti manda salute; e Lacsmano dalle lunghe braccia, figlio e
conforto di Sumitra , inchinandosi a te col capo , ti saluta
pien d'angoscia; chè quel fedele amico si ricorda assidua
mente di te come di madre. « Colui, ti manda egli dicendo,
che un dì nella selva dell'inganno, presa sembianza ama
bile e forma di cervo aurato, t'andò adescando, o donna, .
fu da Ràma mio fratello primogenito e eguale al padre, che
ha occhi soavi come fior di loto e conosce l'essenza del
dovere, meritamente ucciso con una saetta dai dritti nodi,
scoccata da lui lontana; onde , messo un grido altissimo,
cadde colui, che era il Rácsaso Màric'a ». Per tuo amore e
per obbedienza alle tue parole ei tenne dietro a Rdma;
perchè in quell' ora tu gli dicesti parole acerbe; ma Lac
smano tuo cognato, o donna, ti venera pur sempre.
Veggendo quello scimio atteggiato di reverenza, Sità dal
volto soave come la luna con lunghi e caldi sospiri così
gli disse: Se tu sei pur Ràvano stesso che usando l'arte de'
prestigi, qui vieni ad aggravare l'angoscia che già m'arde;
non è bello quel che fai. Ma se tu sei un messo di Ràma
SUNDARACANDA, 23
qui venuto; sia tu felice! io ti chieggo, o egregio scimio,
notizie di Ràma a me sì care; narrami, o scimio, le grandi
virtù di Ràma mio diletto; tu rapisci, o amico, l'animo mio,
sì come alla stagion delle piogge un torrente divelle le sue
sponde. Ma ohimè! io credo che questo è un sogno e che
in sogno io vidi uno scimio; non è possibile che a me suc
ceda cosa felice; e ciò mi sarebbe, se fosse vero, troppo
grande felicità. Ma oh dolce sogno, per cui io divisa da
Ràma, or qui pur veggo uno scimio da lui spedito! se io
vedessi solo in sogno Ràma e Lacsmano, io vivrei pur con
templandoli; ma ciò anche m'invidia il sogno. Ma che è
questo turbamento d'animo? Che questo subito mutar di
vento? Sarebbe ella follia ovvero alterazion di mente questa
mia allucinazione? Oh non è ciò follia, bensì turbamento
che le somiglia! Io ben conosco me stessa e questo scimio.
Così avendo molte cose rivolte nella sua mente, Sità
credè che quel duce di scimi fosse il possente Racsaso per
la virtù ch'egli ha di mutar forma a sua posta. Ma ella de
siderò di meglio conoscere quel scimio, e venuta in questo
pensiero, la Videhese così gli disse: Mostrami, o egregio
scimio, per nuovi indizi, come tu sia messaggier di Ràma
e che è tra Ráma ed i scimi?
A que' detti di Sttà il glorioso figlio del Vento con pa
role gioconde all'orecchio così le rispose: Colui che è ve
ritiero, probo e forte, che è la Giustizia corporeata, pro
teggitore e donatore, intento al bene d'ogni creatura, po
deroso come il Vento, invincibile come Indra, vigoroso al
par del sole, caro alle genti come la luna, amato dal mondo
intiero, pari al re Vaisravana (Kuvera), che ha possanza
eguale alla possanza del fortissimo Visnu, che parla verace
e soavemente a guisa del Dio Vac'aspati, che è bello, pia
cente e illustre, pari all'Amor vestito di corpo, vincitor
dell'ira e guerriero eccelso, e grande guidator di carro
sulla terra, all'ombra magnanima del cui braccio se ne sta
appoggiato il mondo, quel possente , io dico, ucciderà fra
breve Rávano in battaglia con saette fatte dall'ira ardenti,
e pari a serpenti avvelenati. Tu vedrai ben tosto il frutto
che coglierà colui, il quale per opera d'un Racsaso trasmu
tato in cervo, allontanato Râma dal romitaggio, t'ha rapita
24 RAMAYANA,

in luogo deserto. Inviato da quel Ràma, io venni qui mes


saggiere al tuo cospetto; dolente dell'esser da te diviso,
egli ti manda salute; a te inchinandosi ti saluta il valoroso
Lacsmano Saumitride dalle lunghe braccia, e ti saluta il
possente e forte amico di Ràma, per nome Sugriva, re de'
prodi scimi. A te pensano di continuo Ràma, Sugriva e
Lacsmano; e avventuratamente tu sei pur viva, benchè ca
duta nelle mani di queste Racsase. Presto tu vedrai Ràma,
Sugriva e Lacsmano, circondati da numerose koti di scimi»
come Vasava dai Venti. Io sono lo scimio Hanumat, mini
stro di Sugriva e messaggiere di Ràma saldo nell'operare
e re supremo; a te qui venni esortato dai detti di Ràma ,
e valicato il grande Oceano, posi piede nella città di Lanka;
ove scornato l' iniquo Ràvano, cercai Lanka a parte a parte,
adoperando la mia forza. Io non son qual tu mi credi, o
donna; deponi ogni sospetto, e ti fida, nelle mie parole.
Partitomi tutto solo dalle alture del monte Malaya, io feci
il mio cammino su per lo grande Oceano; io mai non dissi
menzogna per l'addietro; abbi fiducia, o Mithilese, in quello
ch' io ti dico.

C AP IT O L O XX XII,

L'ANELLO CONSEGNATO,

Com'ebbe udite quelle notizie di Ràma, la Videhese con


voce soave così disse all'eccelso scimio : Qual commercio
hai tu con Ràma? come conosci tu Lacsmano? in qual modo
convennero insieme uomini e scimi? dimmi qual è l'aspetto,
quale la sembianza di Ràma? quale il braccio, quali i fianchi
di Lacsmano?
Intese quelle parole di Sità, Hanumat figlio del Vento
prese a descriver Ràma conforme al vero: Io conosco, le
disse, per veduta, o donna dagli occhi di ninfea, le nobili
sembianze di Lacsmano e del tuo sposo, delle quali tu
m'inchiedi. Ràma è protettor del mondo, difensor della
giustizia, sovrano e cultore de' Brahmani ammodestati dalla
scienza, e dalla scienza fatto modesto egli stesso; Ràma è
domatore de' nemici in guerra, onorator degli onorandi,
SUNDARACANDA, 25
continente e saldo ne' suoi voti; ei sa prestar servigio ai buoni
e condur le imprese a fine; la sua voce è possente, come
lo strepito d'un timpano, il suo color soave, il suo aspetto
maestoso; egli è esperto in trattar l'arco, nella scienza dei
Vedi e dei Vedanghi, indocilito dallo studio Vedico, giusto
ed onorato da tutti i saggi; Ràma ha larghi omeri e lunghe
braccia, collo segnato di tre linee benaugurose e fausto
aspetto, salde ginocchia, occhi fulvi e vera forza; egli è
schietto della persona, e son schiettamente disposte le sue
membra; son fermi i suoi talloni, i suoi nervi e le sue
ossa; è alto quattro cubiti; ha quattro denti che sovranzano
agli altri; sono candidi i suoi denti e splendidi i suoi oc
chi; somigliano a fior di loto dieci parti del suo corpo, sei
son rilevate, dieci rivolte in giro e tre son penetrative. Egli
ha il marchio di tre linee, a tre s'inchina ai Devi, ai Brah -
mani ed ai sacri maestri e spira fragranza da quattro parti,
dalla bocca, dalle narici, dal capo e dalle ascelle; egli co
nosce i tre tempi, possiede le sei doti, ha tre membra ben
sospese e si trovano in quel magnanimo le otto grandi qua
lità; ha quattro parti del suo corpo nere, ha quattro linee
ben armoniate due delle mani, due de' piedi; ha sedici oc
chi due corporei, quattordici interni, quattro membra schiette,
quattordici ben accoppiate, cinque delicatissime ed otto dis
poste a due a due. È fratello di Ràma dal lato paterno l'in
vincibile Saumitride, fregiato di beltà, d'amore e di pro
dezza. Or odi da me, o donna di bel sorriso, come Ràma
mi fece suo messaggiere e com'ei s'affrontò con Sugriva.
Allorchè tu fosti rapita, o Videhese, e morto G'atáyus, l'in
vitto Ràma, udito il tuo ratto, si diede pien d'angoscia a
cercar per ogni parte il G'anasthàna. Mentre il tuo sposo
t'andava pur ricercando per questa terra, conobbe Sugriva,
che era allor sbandito dal suo fratello primogenito. Ei fu
da me, o donna, condotto insieme con Lacsmano sulla som
mità d'un monte, e per desiderio di ritrovarti strinse colà
amicizia con Sugriva; colla forza del suo braccio Ràma il
ripose nel regno avito, spento in battaglia il forte Bâli si
gnor dei Vànari; e riavuto il regno, il sovrano e gloriato Su
griva spedì per le dieci regioni tutti i scimi alla tua ricerca;
inviati da lui per ogni parte noi t''andiam tutti cercando,
26 RAMAYANA.

o donna, per far cosa cara a Ràma. Ma entrati in una ca


verna oscura, oltrepassammo colà il termine impostoci, e
quindi ci siam messi sulla cima d'un monte a volere morir
d'inedia. Mentre noi stavam sul monte Vindhya senza pi
gliare alcun alimento e tutti immersi in un mar d'affanno,
l'illustre Angada ci andava rammentando il dolente tuo caso,
o Videhese, e la morte di Bàli e il nostro morirsi ivi di
fame e lo sterminio di G'atàyus. Ma ciò quivi udendo allor
Sampàti fratello del re degli avoltoi, così prese a dire: Da chi
e per qual cagione fu egli ucciso il più giovane mio fratello?
ed Angada gli narrò lo crudo scempio che fece di lui sul
G'anasthàna il Racsaso di corpo smisurato e come tu fosti
colà rapita. Com'ebbe inteso la morte di G'atayus, Sampâti
dolentissimo narrò che tu, o donna, eri stata rinchiusa nella
città di Ràvano; ed io veggendo allora il grande sgomento
de' miei congiunti sopraffatti dal dolore e conscio della mia
forza, presi a valicar l'Oceano. Io, o donna, ed i principali
fra gli scimi, valorosi e forti t''andiam cercando erranti, per
far cosa cara a Ràma. Noi abbiamo, o adorna figlia di G'a
naca, trovato dispersi qua e là e riposto gli ornamenti di
gran pregio, da te gettati via, mentre eri rapita con rapida
foga; ed io, o Mithilese, ho consegnato a Ràma quegli splen
didi ornamenti; e quell'uom pari ad un Dio , recatisi in
grembo que' begli ornati, fece lamenti ripetuti e molti. Quel
magnanimo giacque per lungo tempo sulla nuda terra forte
afflitto; ed io con molte e varie parole lo sollevai da quel
suo affanno: il Raghuide così è riarso dal desiderio di ri
vederti, o donna, come è affocato da grandi e accese fiamme
il monte dove il sol declina; per cagion tua così ardono
il magnanimo Raghuide l'amore e i pensier dolenti, come
fan le fiamme il luogo dove si serva il sacro fuoco; così
egli è scosso dal dolor di non vederti, o donna, come da
un grande terremoto è scosso un monte cretoso. Lontano
da te, o regal figlia, Ràma più non trova diletto, sia ch'egli
vegga fiumi ameni, oppure ampie foreste; ma pur fra breve
ti rivedrà, o figlia di Ganaca, quell'eccelso fra gli uomini,
mettendo a morte Ràvano co' suoi amici e co' suoi congiunti.
Dalla cima del monte Gandhamàdana , da cui si scorge il
Gokarna, se ne va spesso al monte Gokarna lo scinio Kesari;
SUNDARACANDA. 27
colà quel grande scimio, che è mio padre, fruisce , come
signore, con tutte le sue conche e le sue perle un sacro
luogo lunghesso il mare, caro ai Risci e ai Devi. Nella donna
di quel Kesari, io fui generato dal Vento; Hanumat è il
mio nome, e son famose le mie gesta. Sol per confortarti,
o Videhese , io t'ho accennato l'alto valore di mio padre;
acciocchè tu mi creda veramente uno scimio e non altro
da quel ch'io ti paio. Or prendi questo anello notato del
nome di Ràma, che per contrassegno mi diede quel ma
gnanimo; Ràma, o donna, t'invia quest'anello che ha il ful
gore, la beltà, lo splendore e il color dell'oro.
Sità tutta compresa da letizia e cogli occhi pieni di la
crime prese allora quell'anello e lo sollevò sopra il suo capo;
e udito il mandato di Ràma e riguardando quell'anello, versò
lacrime di gioia fuor degli occhi dalle nere pupille, ed il
suo volto nitido , ben dentato e fregiato d'ogni grazia ap
parve simile al disco della luna svincolata dalle branche
di Ràhu.

CAPITOLO XXXIII.

PAROLE Dl SITA,

Lo scimio Hanumat mirava colà seduta appiè dell'asoka


la dolenle figlia di Ganaca pari ad una Kinnari abbandonata
dal Kinnara suo sposo; e contemplando sulla nuda terra
quella donna dai grand'occhi, così ei prese di nuovo a dire
con voce rotta dalle lacrime: Io venni messaggiere a Lanka
per ordine di Ràma, o donna leggiadra, inviato a cagion
di te dal Raghuide possente.
Udendo que' detti d'Han umat favellante a guisa d'uomo
Sità rifuggendo alla sua virtù, non si sgomentò nè mera
vigliossi; ma sopraffatta dall'affanno e dalla gioia nulla ri
spose allo scimio che sì parlava nella magion di Ràvano.
Ma stato alquanto, l'eccelso e accorto Hanumat, proster
nendosi col capo a' suoi piedi , si mise a celebrare il Ra
ghuide: Il pio Ràma, ei disse , pien di gloria, di possanza
e di fermezza, sovrano fra i pii , t' invia salute; colui che
è inconquassabile come il mare, fermo come l'Himalaya,
saldo nel vero e nella giustizia, t'invia salute; colui che ha
28 RAMAYANA,

caro il Saumitride ed è ad esso egualmente caro, che è


protettor del re de' scimi, t'invia salute. Il fratello minor
di Ràma, per cui è lieta di prole Sumitra, inchinandosi col
capo a' tuoi piedi, ti dice salute; colui che ha Ràma in luogo
di padre, e te osserva assiduamente come madre , ti dice
salute, o donna dagli occhi di loto.
Come udì que' detti del magnanimo scimio, Sità tutta
afflitta versò lacrime calde di dolore, e così risplendevano le
gocce lacrimose cadenti da' suoi occhi, come fanno le gocce
d'acqua sospese a due aperti fior di loto. Ma riasciutti colle
mani i suoi grandi occhi, conobbe allor quella pietosa ai
segni da lui mostrati esser colui messaggier di Rdma; e da
lui riconfortata e persuasa con più ragioni venne in sommo
gaudio ed in letizia inestimabile. Ella allor con occhi of
fuscati dalle lacrime guardò su per quell'asoka; e guardando
Hanumat modesto in atto e composto a reverenza, con voce
interrotta dal pianto e mista di gioia e di dolore parlò
allo scimio dolci parole quella donna dagli occhi di tenera
cerva: Possa io a debito tempo far sacrificio agli Dei per
colui, di cui tu mi parli, o nobil scimio! oh gran mercè
che pur vive il mio sposo! gran mercè che pur vive Lac
smano ! Son lieta che al fin pur odo notizie della salute di
Ràma e del prode suo fratello! Quindi ella si diede a com
mendare il figlio del Vento: Io ti saluto, o scimio; vivi per
lunga età e sia tu felice , che oggi m'annunziasti sano e
salvo il mio sposo col suo minor fratello! Possa tu crescere
in forza, in gloria e in accortezza, o nobil scimio ! tu sei
valoroso, tu sei destro e pien d'avviso che hai saputo tutto
solo superar questa sede di Racsasi, e camminando altiero
con gran passi, valicare il grande Oceano per lo spazio di
cento yogani. Io non reputo per certo uno scimio volgare
te, o valoroso, che non ti lasciasti impaurire, nè sgomentar
da Râvano; e ben tu sei degno, o nobil scimio, d'avere con
me colloquio, perciò che tu fosti qui mandato da quel Râma
che è fior di senno; chè mai l'accorto Ràma non mande
rebbe a me sopratutto messaggier non esperimentato e di
cui non conoscesse egli la forza. Oh me fortunata! è salvo
il giusto e pio Ràma, salvo il prode Lacsmano, figlio e gioia
di Sumitra. Ma dimmi; non s'ange egli Ràma, non s'addo
SUNDARACANDA, 29
lora? s'apparecchia egli quell'uom sovrano all'opere future?
afflitto, perturbato si discora egli forse nell'operare? s'adopra
egli a cose forti quel figlio di re? pon egli mano ai vari
mezzi che son di tre maniere? è egli eccitato dall'affetto ed
animoso, e pronto all'operare? L'uom che intento pure al
fato, trascura l'opera, rimaso in breve stremo d'ogni cosa
più non pensa che a ritrarsi indietro. Coltiva egli gli amici
e vien egli da loro coltivato? comportasi egli nobilmente
ed è egli onorato dai congiunti? attende egli a propiziarsi
gli Dei, quell'uom regale? s'appoggia egli ad un tempo a
conati virili ed al destino? non è dalla lunga separazione
scemato in quell'uomo eccelso l'amore ch'ei mi porta?' mi
torrà egli ancora da questa orribile sventura? assueto di
continuo alle delizie e ignaro dei disagi, non si perde egli
d'animo Ràma, benchè caduto in profonda miseria? per
amor di me, o scimio, verrà egli fra breve in questa strana
terra l'onorando e regal Raghuide? se Ràma è vivo, perchè
non arde egli colla sua ira la sede di Ràvano, sì come ignea
vampa del finimondo? Perchè sostiene egli quell'uom sde
gnoso che io qui stia in man del suo nemico , e non s'a
dopra a suo potere a distrugger Ràvano? mi torrà egli
ancora da quest'orribile sventura? e, te ritornato, verrà egli
ad arder questa città colle sue saette ? pensa egli tuttora
a me quel regal mio protettore e protettor del mondo in
tiero, a me già protetta da un eroe, poi rapita da un pos
sente ed or rimasa derelitta? il volto di colui, quel volto
sempre splendido , soave come la luna, odoroso come un
fior di loto inaridisce ei forse a cagion della mia sventura,
come fa alla calda stagione, allor che vien meno l'acqua,
un fior di loto? quand'egli per conformarsi al dovere la
sciava il regno, e pedestre mi guidava nella selva, non mo
strava allora segno di mestizia, nè di timore nè d'affanno;
mantiene egli sempre salda la medesima costanza? Udendo
questa dura mia condizione , si moverà egli con forza a
liberarmi quel signor del mondo? tanto ancora possa io
vivere, o Hanumat, che abbia di me novelle quel mio di
letto. Viv'egli Lacsmano, che inviato un dì con aspre pa
role da me insensata, se n'andò sulle tracce di Ràma? Son
elle vive Kausalyà e Sumitra gloriosa? La terribil oste del
30 RAMAYANA.

magnanimo Bharata verrà ella presto per cagion mia, mu


nita di duci e di vessilli? Verran qui pronti i scimi di ter
ribile possanza? e l'illustre Lacsmano Saumitride, guerriero
eccelso sperderà egli i Racsasi con un nembo di saette? Altro
io non desidero che veder Ràvano co' suoi figli, congiunti e
amici spento in battaglia dal fiero Ràma, guerrier sovrano.

C AP IT O L O XX X IV.

PAROLE D'HIANUMAT.

A que' nobili detti di Sità così rispose ilfiglio del Vento


con voce soave ed in atto reverente: Ancora, o donna, non
sa il Raghuide che tu sia qui rinchiusa; ma ritornando io
a lui, verrà egli prontamente ad ardere questa città colle
sue saette, ed ingombrando colla piena de'suoi dardi il
mar profondo, diserterà eziandio con grande sforzo la città
di Lanka d'ogni Racsaso. Allor che udrà le mie parole,
verrà prestamente Ràma, traendo con sè un esercito im
menso di prodi scimi. Ove pur qui fossero fra costoro Yama
ed Indra cogli altri Dei, pur li sperderebbe in battaglia
Ràma. Oppresso dal gran dolor di non vederti, Ràma come
un toro affaticato da un leone, più non trova riposo. Io tel
giuro, o donna, sulla mia fede; tel giuro sopra ciò che io
mai feci di bene; tel giuro per lo monte ov'ho mia sede,
per li frutti e le radici che son mio cibo; te lo giuro per l'al
bero varuna, ove mi dimoro, per li monti Vindhya, Meru, e
Mandara, che presto vedrai l'eroe dai begli occhi, dalle lab
bra di vimba, dal bel sembiante; che presto vedrai la faccia
di Râma somigliante a piena luna. A te sola, o donna dai
grand'occhi, pensa di continuo Ràma; e benchè giacente
pur mai ei non assonna; non si ciba egli di carni, nè si
diletta di stillati liquori: solo ei prende, come cibo squisito,
silvestri cose apprestate da Lacsmano; ma nè per proprio
desiderio, nè per eccitamento degli amici, nè per opera ch'e
gli abbia a fare, nè a ristoro delle sue forze non piglia egli
altro alimento, ancorchè sia giunta l'ora ottava. Benché sag
gio e forte sopra ogni altro, Ràma per dolor d'esser da te
diviso è divenuto come fuorsennato: più non si compiace
SUNDARACANDA, 31
nella sua prodezza, nè nel pensier dell'armi, nei diletti op
pur nei cibi, avendo l'animo sempre mai a te rivolto, o
Videhese. Lamentando di continuo e dolendosi molto e spesso
ei dispregia ognor la vita, la sua stirpe e l'esser nato.
Io detesto, ei dice, i miei teli divini, detesto la mia pos
sanza e la mia forza, detesto l'esser nato nella stirpe eroica
dei magnanimi Icsvacuidi, posciachè mi fu dai Racsasi ra
pita con disprezzo la mia sposa a me più cara che la vita,
senza tenere alcun conto della stirpe ond'io son nato.
Tutto fiso in te, donna leggiadra, il Raghuide più non
discaccerebbe dalle sue membra nè vespe, nè zanzare, nè
altro animal che strisci; sempre intento a' suoi pensieri,
sempre immerso nel suo dolore, con tutta l'anima a te rac
colta, ad altro più non ha la mente Ràma. Avendo te sola
nel suo pensiero, il nobil Ràma si desta pur dal sonno, e
con voce pietosa esclama: Oh Sità! Veggendo frutti o fiori
od altra cosa cara all'animo della donna, ei la coglie, e
sclama: Oh mia diletta! e prorompe in gran sospiri. O Sità!
o donna di mirabile sembiante, di beltà che non ha pari,
dove sei tu, ove ti trovi o Videhese! così favellando ei piange
di continuo. Quand'ei vede sòrgere nelle notti la luna, astro
giocondo, dai raggi soavi e freddi, egli dominato dall'amore
e lasciato il sonno, accompagna cogli occhi su pel monte
la luna fino all'occaso. Col pensier sempre intento a te sola,
te chiamando ognor dolente, oh mia diletta ! oh mia dilettal
quel magnanimo figlio di re, saldo ne' suoi voti s'adopera
con ogni sforzo a racquistarti.

CAPITOLO XXXV.

SPEDIENTE PROFFERTO DA HANUMAT.

Udito il discorso d'Hanumat, Sità dal volto simile a piena


luna, gli rispose con opportune e pie parole: I detti che
tu m'hai favellato, sono come amrita misto di veleno, dolci
in quanto Ràma ha tutto in me l'animo suo; acerbi per
ch'egli è tormentato dal suo amore. L'uom legato quasi con
fune dal destino è tratto ora in amplissima possanza, ora
in orribile miseria; per certo al fato non si può dall'uom
32 RAMAYANA,

resistere; mira sopraffatti da fatal sventura il Saumitride,


me e Ráma. Oh quando mai arriverà il Raghuide al ter
mine del suo affanno, come l'uom pel mare ondoso esce
fuor del pelago alla riva! Quando mai, distrutti i Racsasi,
spento Ràvano e fatta Lanka in cenere ed in caverne, mi
rivedrà il mio sposo! Tu dei dirgli in mio nome: Trapassa
omai a Lanka, innanzi che compia quest' anno ; chè tanto
solo durerà ancora la mia vita. Volge ora il decimo mese,
o nobil scimio, e due mesi sol rimangono; tale è il ter
mine che mi fu posto dal fiero Ràvano. Ben gli consigliò
il suo minor fratello , il giusto Racsaso per nome Vibhi
sano, ch'egli avesse a restituirmi; ma benchè da lui pre
gato con instanza, Ràvano nol volle fare; ed oltraggiato da
lui villanamente Vibhisano, per quel ch'io udi, se ne partì
dalla sua presenza; a Ràvano non talenta il rendermi; ca
duto, io penso, nelle mani di Yama, ei va cercando come
Ràma l'uccida. La figlia maggior di Vibhisano, per nome
Nanda, mandata a me da sua madre stessa , mi raccontò
tutto questo, o scimio. V''ha un altro Racsaso forte e sag
gio, per nome Avindhyo, costante e buono, pieno d'anni e
molto da Ràvano riputato; costui gli annunziò imminente
la rovina di tutti i Racsasi; ma quell'iniquo nè pur dà retta
alle sue parole salutari. Io ben spero, o grande scimio, che
presto verrà il Raghuide; perchè è puro il mio cuore, e
sono in Ràma virtù preclare; l'ardire, il vigor, la forza, la
prontezza e la gratitudine, il valore e la possanza, tutto è
in Râma, o scimio. Qual è il nemico che non tremi al no
me di colui, che tutto solo e senza l'aiuto del fratello pose
a morte snl Ganasthàna quattordici mila Racsasi? Nessuno
potrà smuovere dalla sua fermezza quell'uom sovrano; io
sola conosco la sua possanza, sì come Sàci quella d'Indra.
Oh quando mai quell'eroe coronato, come il sole, dai raggi
delle sue saette dissiperà irato la tenebra che spande il te
tro Råvano! A colei che dolorando per cagion di Ràma e
inondata di lacrime il volto così parlava, rispose il nobil
scimio: Io, o donna dai bei capelli, oggi, se il vuoi, ti
condurrò a Ràma, come il fuoco porta agli Dei l'oblazione
sacrificata. Vieni oggi, o Videhese, mediante un' impresa
che seconda il fato , a riveder con Lacsmano Ràma tutto
SUNDARACANDA, 33
intento al suo proposto ; vieni, t' assetta sul mio dorso e
poi t'aggrappa a' miei peli; eccomi pronto; io ti farò oggi
lieta della vista di quel prode che s'adopra con tutto sforzo
a riaverti e che se ne sta nel suo romitaggio, come Indra
sulla cima del re de' monti. Sali sul mio dorso ; non du
bitare, donna leggiadra ; vieni a ricongiungerti con Ràma,
come Rohini con Luno. Salita sulle mie spalle , valica , o
donna, il mar per aria, come la Dea Parvati montata so
pra un toro. Partito che io mi sarò con te, donna leggiadra,
non potrà seguitarmi per la mia via alcuno degli abitator
di Lanka. In quel modo che io qui venni, me ne tornerò
per certo, o Videhese, portando te per aria. Che se pur
dubiti, o donna, di salire sul mio dorso, dimmi qual forma
io debba prendere di belva ovver d'augello che viva sulla
terra. Al fiero Hanumat, scimio di terribile forza che sì
dolcemente le parlava, rispose la Mithilese tali modeste pa
role: Come puoi tu, o egregio scimio, che hai sì picciol
corpo, portarmi di qui al regal mio sposo? A quelle pa
role di Sità rispose Hanumat: Or bene, mira, o Videhese,
qual sia intera la mia forma. Ciò detto, quel prode e forte
scimio che muta forma a sua posta, saltando giù dall'albero,
crebbe a dismisura; e fatto somigliante a nera nube, e stando
dinanzi a Sità, così le disse: Mira, io ho forza sufficiente a
portar via Lanka stessa co' suoi cavalli ed elefanti, co' suoi
monti e le sue selve, co' suoi terrazzi, valli e porte; onde
rassoda, o donna, l'animo tuo, e cessa dal più contendere;
rendi lieto, o Videhese, il Raghuide con Lacsmano. Veg
gendo il natural figlio del Vento fatto simile ad un monte,
la figlia di Ganaca dai grandi occhi somiglianti a foglie
di loto, così gli disse: Io conosco, o eccelso scimio, il
tuo potere e la tua forza, la rapida tua foga simile a quella
del vento e l'alto tuo vigore pari a quel del fuoco. Qual
altro scimio, fuori di te, o prode , si potrebbe trovar mai,
pur cercando colla mente, atto a venire a proda del grande
Oceano? Io conosco, o scimio, la tua possanza a sì gran
viaggio ed a condur me pure a riva; ma ei convien por
mente innanzi tratto al buon successo d'un'impresa; egli
è impossibile, o eccelso scimio, che io vada con te per
l'aria; la tua foga pari alla foga del vento mi perderebbe;
VOL, llI. 3
34 RAMAYANA.

e cadendo nel mare pieno di mostri e di coccodrilli, sa


rei prestamente e senza mercè pasto squisito d'animali
acquatici. Senzachè, o scimio, non si conviene alla con
sorte di Ràma che tutto pospone al dovere, il salire sul
dorso d'un maschio. Non s' addice a me, o incolpabile,
devota al culto del mio sposo, il toccar membra maschili
d' altro qualunque che di Ràma; se io toccai forzata le
membra di Ràvano, che altro poteva io fare derelitta, priva
del mio maestro e donno? Ben so che tu solo, o prode,
sei atto a compiere quest'impresa; ma a che giovan più
parole? Se Ràma con pieno esercito, vinto Ràvano in bat
taglia, mi ricondurrà alla sua città, ciò sarà a lui d'eterna
gloria. Tu mena qui presto, o scimio, il mio sposo e Lacs
mano e il re de' scimi; ricongiungimi alfin con Ràma e fa
ch' io dimentichi ogni mio affanno.

CAPITOLO XXXVI.

IL DIADEMIA CONSEGNATO,

Allor, ciò udito, lo scimio valoroso, figlio del Vento


rispose a Sità queste acconcie e giuste parole: Quel che
tu hai detto, o donna graziata, è al tutto convenevole,
conforme all'animo femminile ed all'uso delle donne one
ste; tu non saresti atta, perchè sei donna, a valicar, po
sata sul mio dorso, l'ampio mare che si stende cento yo
g'ani; e la seconda ragione che tu parli, o gentil figlia di
Ganaca, che a te, cioè, non si addice il contatto d' alcun
altro che del tuo sposo, è ragion degna di te consorte del
saggio Râma; qual altra donna fuori di te direbbe mai sì
belle parole? Udrà Ràma questa ed ogni altra tua cosa
intieramente e tutto appieno ciò che tu hai detto e fatto.
Quel che io per più cagioni, o donna, e per desiderio di
far cosa cara a Râma, dissi testè con mente turbata dal
l'affetto, che io, cioè, vorrei condurti oggi innanzi a Ràma,
io l'ho detto per amore e devozione verso quel mio mae
stro e non per altro. Ma se tu non puoi venir con me
per la via de'venti, dammi un contrassegno cui possa ri
conoscer Ràma.
SUNDARACANDA, 35
Udendo que' detti d'Hanumat, Sità pari alla figlia d'un
Dio rispose con voce rotta da singulti di pianto: Tu dirai
al mio consorte: Sità tutta intenta al tuo affetto giace do
lente e misera sulla terra appiè d'un albero d'asoka; sor
didata le membra di lordura, colla faccia molle di lacrime
d'angoscia, ella ha perduto ogni beltà, come un lago disfio
rato di ninfee sul cominciar della primavera. Sopraffatta
dal dolore, anelante alla tua vista, Sità è immersa in un
mar d'affanni; a te s'appartiene il liberarla. Tu hai saette
ed armi; tu sei possente, o re della terra; e ancor vive
quel Råvano che è sol degno di morte; perchè non ti de
sti, o prode? Dov'è quella tua mirabil arme? dove son le
tue saette rilucenti come fuoco? dove la tua virtù, dove i
tuoi teli, chè così tu mi trascuri? è forse svanita la tua
forza, perchè venne meno la mia fortuna, chè, essendo tu
pur vivo, ancor sussiste quel Ràvano scelerato? è dunque
mendace la parola di color che ti dicono eroe? perciò che
non rimane in vita chi ha fatto oltraggio alla donna d'un
eroe. L'eroe protegge la sua sposa e questa il cole; e tu
non mi difendi, o forte? qual segno è questo d' eroismo?
Negli anni andati, mentre io era fanciulla, mi proteggeva
mio padre, ed or rapita dall'iniquo Ràvano, io son da te
derelitta? Io nata nella prosapia dei Ganakidi ed accasata
nella stirpe dei Raghuidi rimango or qui abbandonata e mi
sera nella magion d'un Racsaso! Come son cose non cre
dibili, o uom sovrano, che si secchi il mare, che cadano
dal cielo la luna e il sole, che sia smosso il re de' monti e
diventi freddo il fuoco, così parrà, io penso, da non cre
dersi questa cosa ignominiosa, che tu non ti dia pensier di
Rávano. Queste ed altre cose tu dei dirgli, acciocchè si muova
a pietà di me; chè agitato dal vento arde alfine la selva il
fuoco. Dee lo sposo in ogni modo sostenere e protegger la
donna, perchè hai tu dimenticato l'una cosa e l'altra, tu che
pur conosci il dovere?
Udendo que'detti dolorosi della Videhese, Hanumat com
mosso da grande angoscia, si diede a piangere; e la pia
Sità, dal volto soave come la luna, proferite che ebbe quelle
parole veraci, guardò di nuovo in su per quell'aureo al
bero d'asoka, e vide seduto sopra un ramo in atto di re
36 RAMAYANA,

verenza il gentil scimio non più lungo d'una spanna; e pur


guardando lassù colui, la dolente e pia Sità, dopo caldi e
lunghi sospiri, così prese di nuovo a dirgli:
Io mi struggo di riveder la faccia di Ràma dagli occhi
pari a fior di loto, come in una notte di plenilunio si de
sidera contemplare il colmo e puro disco della luna; chè
veggendo il volto di colui, io sarei consolata, o scimio,
come s'allegra la terra adacquata in sul germogliar delle
sue biade. Tu dirai al mio sposo queste parole, che sa
ranno il miglior de' contrassegni: Un dì, mentr'io dimo
rava nel romitorio ascetico, alle radici del monte Citracûta,
piene d'alberi e di piante repenti, dopo aver cercato ra
dici e frutti per la selva, in un luogo caro ai Siddhi, poco
discosto dalla Mandákini, ed essermi andata diportando per
lo fitto di que' boschi, olezzanti di varie fragranze, essendo
io tutta molle, mi posi a seder sul tuo grembo. Tu scher
zando allora e pigliando dell'arsenico rosso, ne imprimesti
un segno sulla mia fronte, ed io abbracciandoti lo improntai
sopra il tuo petto. Poco dopo poi un corvo si diede a por
tar via le carni di cervo sparse dinanzi al romitaggio, ed
io il respinsi con una zolla; ma quel corvo pur continuando
a portar via le carni, mi molestava e mi faceva stizzire;
ed io gettando le mie vesti per la stizza che avea di quel
l'augello e le mie vesti cadendo a terra, tu mi ponesti al
lora mente, e ti facesti beffe di me sdegnata che m'andava
agitando in qua e in là, sopravvinta da quel corvo avido
di carni. Stanca alfine io mi posai di nuovo sul grembo di
te assiso, e tutta com'era incolorita io fui da te lietamente
rappaciata. Ma il corvo tornando subitamente, mi percosse
sopra il seno; ond'io mi diedi a piangere e m'attristava e
m'andava tergendo gli occhi; tu veggendomi allora così
inasprita da quel corvo, desti di piglio a un dardo ed in
coccato quel telo di Brahma, lo scagliasti contro di lui, o
generoso. Quel telo fiammeggiò per aria; ed assalito da
quello, il corvo andò fuggendo per vie diverse, e per paura
trascorse, volando, questo mondo; mentre versa pioggia la
nube, egli svolazza a suo piacere tra goccia e goccia; ma
il telo da te lanciato lo segue rapido come ombra; onde
egli non trovando schermo nei tre mondi, lamentoso e
SUNDARA CANDA, 37
discorato se ne venne a te per soccorso, e tu gli dicesti,
o prode: Questo telo da me saettato non può cadere
senza effetto; qual de' tuoi membri degg'io distruggere?
ed il corvo gli abbandonò un occhio, ed il telo lo distrusse.
Per amor mio, gli dirai, tu lanciasti il telo di Brahma
contro un umil corvo, ed or perchè ti mostri sì paziente,
- o signor della terra, verso colui che m' ha da te rapita?
Se tu sei sovrano fra i guerrieri, possente e forte, perchè
non adoperi contro i Racsasi le tue saette? muoviti or dun
que a pietà di me, o grande arciero; io udi da te più
volte che la pietà è il supremo de' doveri. Nè i Naghi,
nè i Gandharvi, nè gli Asuri, nè i Racsasi son valevoli a
sostenere in battaglia l'impeto delle tue saette, o Ràma.
Se ancor tu hai in me qualche riguardo, o forte, perchè
co' tuoi dardi acuti non isperdi tu i Racsasi? o perchè il
possente e prode Lacsmano, sperto nell'armi ed obbe
diente ad ogni ordine del fratello non vien qui a libe
rarmi? se que' due son pur sovrani fra gli uomini, impe
tuosi come il vento e il fuoco ed insuperabili agli stessi
Dei, perchè m'hann'essi così negletta? io, mi penso , ho
commesso di certo qualche gran fallo, perciò che quei due
benchè possenti non si danno alcun pensiero di me infelice.
Tu dei dire al prode Ràma, il cui volto somiglia a piena
luna, dopo esserti a lui inchinato per amore, queste mie
parole affettuose: Perchè non ti commovi a pietà di me, o
forte! io pur ti conosco uom di grandi conati, di grande
ardire e di gran forza, so che tu sei gran saggio e grande
arciero, animoso e terribile ai nemici, invincibile, inconquas
sabile, profondo come l'Oceano. Prega dolcemente, o scimio,
e fa di propiziar col capo dimesso quel Ràma che la glo
riosa Kausalyà partorì signor del mondo: Muoviti, digli in
nome mio, a pietà di me, o arcier sovrano, se pur ti ricordi
ancora di quel che un dì tu hai detto e fatto; tu per amor
di me non curavi allora nè gemme, nè care donne, nè pur
la signoria dell'ampia terra. Tu parlerai quindi a colui per
cui è lieta di prole Sumitra, il quale, ottenuta grazia e li
cenza da' suoi genitori, volle andar dietro a Ràma; a quel
pio che, lasciate per tenero affetto le delizie supreme, se
guita il fratello nelle selve e lo protegge, che ha omeri di
38 RAMAYANA.

leone e grandi braccia, saggia mente e caro aspetto, che


onora i vecchi, è verecondo e prode e non parlator sover
chio. Quel guerriero amato dal re e pari allo suocero mio
fu sempre, e forse più di me stessa, caro a Ràma; egli ha
Ràma in luogo di padre e me pur onora come madre. Non
sa egli dunque il prode Lacsmano che io fui rapita è già
gran tempo?' chè qualunque peso venga a Lacsmano ad
dossato, sì egli il porta, costante per amor di Ràma e me
more del costume di chi è nato di nobile stirpe. Tu dirai
salute in mio nome al prode Lacsmano, caro a Ràma, mite
e sottomesso, destro e pio, e così gli dirai per parte mia:
Tu dei ardito e pronto secondar con ogni tuo sforzo Ràma.
Richiesti che avrai della lor salute Lacsmano e il fortissimo
Sugriva, ripeterai con veemenza al prode Ràma queste mie
parole:
Io sosterrò la vita un mese ancora, o Dasarathide; ma
oltre un mese più non vivrò; questo io t'affermo sulla mia
fede: a te si convien far salva me duramente oltraggiata da
Ràvano, a guisa d'una vil donna, ed oramai vicina a perire,
sì come Indra salva la terra.
Udito il discorso di Sità, rispose Hanumat: Tutto farà
Ràma quel che tu dici, o Mithilese; ma tu, o nobil donna,
degna donarmi un contrassegno , che possa Ràma ricono
scere e che gli sia cagion di gioia.
Allora Sità pari alla figlia d'un Dio cercando ogni orna
mento contessuto nella lunga sua treccia, ne spiccò una
gemma preziosa e la diede ad Hanumat, dicendo: Questa
darai tu a Râma.
Il nobil scimio, ricevuta quella gemma ed inchinatosi a
Sità, e salutatala girandosi intorno ad essa sul destro fianco
e postosi accanto a lei in atto reverente, così le disse: « Io
ti saluto, o donna dai grand'occhi ! non voler tu contristarti ».
E commosso da viva letizia prodotta in lui dalla vista di
Sità, andò coll'animo a Ràma e là rimase col corpo solo.
Avuta quella nobil gemma di gran pregio, che prima por
tava la figlia di G'anaca, Hanumat si fe tutto tremante, s
come un albero scosso dal vento.
SUNDARACANDA, 39

'C AP IT o L o XXxv II.


IL BOSCO DEGLI ASOKI DEVASTATO.

Poich'ebbe detto ad Hanumat quelle care e dolci parole,


Sità soggiunse allo scimio che era in atto di partirsi, que
sti altri detti salutari: Io tutta m'allegro d'averti veduto, o
scimio apportator di lieto annunzio, come s'allegra la terra
ristorata dall'acqua allor che son sul germogliare le sue
piade. Io di proprio grado non toccherei, è vero, colle mie
membra altro uom fuori di Ràma; tale è l'obbligo ch'io
m'imposi, o saggio. Ma tu darai a Ráma , o nobil scimio,
questi contrassegni: il telo ch'ei saettò con impeto d'ira
contro il corvo e che distrusse l'un de' suoi membri; il se
gno d'arsenico rosso ch'ei pose ed impresse sulla mia fronte;
fa d'aver questo a mente; Perchè, digli, o eroe pari ad
Indra e a Varuna, lasci tu in abbandono nella casa di Rá–
vano, nella magion d'un Racsaso la tua Sità? Tu dirai poscia
al Raghuide mio sposo: Questo nobile diadema da me cu
stodito con grande affetto e cui guardando pur mi conforto
in tanta pena, questa splendida perla, io a te la mando, o
uom che non hai colpa; io sosterrò la vita un mese ancora,
aspettando la tua venuta; oltre tal termine io più non po
trei vivere straziata dal dolore. Per amor di te io sopporto
da queste orribili Racsase pene incomportabili e parole la
ceranti il cuore; questo re de' Racsasi è formidabile; è in
certa in battaglia la vittoria; che s'io ancor ti veggo discorato
e svigorito, più non rimango in vita nè pure un istante. Tu
dirai salute a Ràma e a Lacsmano, al generoso Sugriva ed
a tutti gli eccelsi scimi. Queste cose tu dei dire, o Hanumat
acciocchè l'inclito Ràma venga a trarmi di qui viva; or
vanne a colui che è signor della giustizia; chè udendo le
parole di te che hai salda fermezza, crescerà la possanza
di Ràma a racquistarmi.
Allora il prode Hanumat desiderando far cosa cara a Ràma,
confortò Sità e così soggiunse: Presto verrà il Raghuide
circondato da scimi valorosi; chi potrà stare a fronte di
colui saettante teli in ogni parte? Per amor di te, o graziosa,
40 RAMAYANA,

Ràma è atto ad affrontare in battaglia e il Sole ed Indra


e Yama; egli è possente a reggere la terra cinta dal mare,
e per cagion di te otterrà egli vittoria, o figlia di Ganaca:
perocchè Ràma travagliato in tutti i suoi sensi dal telo d'a
more, a guisa d'un elefante aizzato da un leone, non trova
pace nè riposo. Ma tu, o donna pregiata, non voler più
rattristarti e deponi ogni tuo affanno, essendo tu, come Sri
da Visnu, protetta da uno sposo di virtù sovrana, il quale
difensor di te sua nobil donna, possente e apportator di
morte ai Racsasi, fra breve ti torrà di qui per forza.
Allo scimio Hanumat che parlava sì dolci parole ed in
grandiva pien di vigore, rispose la misera figlia di G'anaca,
colla faccia bagnata di lacrime, coll'animo afflitto dalla so.
prastante sua partenza e con voce rotta da singulti di pianto:
O Hanumat eccelso scimio, fa, se tu sia felice, che tosto io
sia liberata da questa pena; venuto al cospetto di Ràma,
narragli l'aspra violenza del mio dolore e gli oltraggi che
io soffro da queste Racsase, e sia felice la tua via.
Udendo que' detti della Videhese, Hanumat figlio del Vento
le si gittò con umil atto ai piedi, salutandola; e raggua
gliato già d'ogni cosa da quella donna regale, e conoscendo
poco rimanere ormai al compimento del suo assunto, tutto
in sè contento corse coll'animo alla plaga settentrionale.
Salutato in sul partirsi con voci benaugurose , inchinatosi
a Sità, poi dileguatosi, lo scimio così andò fra sè pensando:
Ho pur veduta quella donna dai grandi occhi, e poco è ciò che
mi resta a fare per compiere la mia impresa; or dei quattro
spedienti opportuni lasciati da parte i tre primi,si dee por
mente al quarto. Ràvano non ha gentil costume, onde abbian
luogo con lui i doni; nè anchè a lui si convengono i mezzi
di conciliazione; nè gente inorgoglita di sua possanza si può
tenere a segno col mezzo della disunione; onde or qui mi
piace adoperar la forza. Niun altro consiglio fuor che la
forza mi par conveniente a questa impresa; morti qui bat
tagliando i principali fra i suoi guerrieri, si mostrerà forse
più mite il Racsaso. Colui che incaricato d'una sola faccenda,
ne adempie molte altre insieme, pur recando ad effetto la
prima, è degno di condur negozi: perciò che non è buono
operatore chi adempie sola una cosa; ma colui che per venire
SUNDARACANDA, 41
a capo del suo assunto sa in più modi metter mano a mol
t'opre insieme, quegli è atto a condurre un'impresa. Fermo
adunque nel mio disegno io m'andrò qui aggirando per
questa magion regale: chè ben so io in che differisca da
quella del nemico la propria gioia; quindi sarà qui da me
adempito l'ordine del mio signore. Come mai potrebbe non
riuscire a bene la battaglia che io piglierò oggi violenta coi
Racsasi? Come mai potrebbe Ràvano superare in battaglia
appieno me con tutta la mia forza? Questo bosco di quel
Racsaso feroce è oltre ogni dire dilettoso e pari al Nan
dana celeste, caro agli occhi e all'animo, pieno d'alberi di
versi e di piante repenti; or bene, io tutto il metterò a
soqquadro, come fa il fuoco un'arida selva; e quando l'avrò
devastato, il re de' Racsasi avvamperà contro me di rabbia
e manderà qua una grand'oste con carri, cavalli ed elefanti,
armata di tridenti e di ferree ascie, e ne seguirà una fiera
battaglia. Ed io venuto alle mani con que' Racsasi imper
territi e di forza orrenda, e disfatta quell'oste mandata da
Råvano, me n'andrò poi al re de' scimi.
E immantinente il prode Hanumat si diede a schiantare
il bel giardino, lieto di vispi augelli e pieno di belve diverse.
Quel giardino co' suoi alberi conquassati, co' suoi ricetti
d'acque infranti, colle creste de' suoi clivi stritolate divenne
in breve squallido a vedere; co' suoi frascati, co' suoi om
braculi distrutti, coi vezzosi cerbiatti messi in fuga, cogli
alberi schiantati e colle sue case scassinate quel grand'orto
delizioso rimase qual non s'era mai più veduto. Fatto a quel
grande e altiero re quel gran dispetto, il fiero scimio de
sideroso di combatter solo contro tutti que' forti Racsasi
e tutto ardente di vivido brio, venne a porsi su la porta
esterna.

CAPITOLO XXXVIII.

ROVINA D'UN GRANDE EDIFICIO,

Dallo strepitare di quel scimio e dal fracasso del bosco


schiantato rimasero impauriti tutti gli abitatori di Lanka;
le belve e gli augelli fuggendo per ogni parte, facevan grande
schiamazzo, ed apparvero ad ora ad ora presagi funesti ai
42 RAMAYANA,

Racsasi. Risvegliatesi dal sonno le sozze Racsase videro il


bosco devastato e quivi il poderoso e grande scimio; ma
quel possente dalle lunghe braccia, viste quelle Racsase,
ingrossò fuor di modo il suo corpo, riempiendole di terrore.
Veggendo quel scimio gagliardo, sformatamente grosso
e somigliante ad una nube, le Racsase interrogarono la figlia
di G'anaca:Chi è colui? donde e perchèvenn'egli qua entro?
per qual cagione favella egli teco, o regal donna? narraci,
o donna dai grand'occhi neri, e non aver paura, perchè
costui era qui con te a colloquio. Ma Sità, leggiadra in tutta
la sua persona, così rispose: Per la possanza che hanno i
Racsasi di mutar forma a lor posta, io non mi credo ben
discernere il vero; fate di saper voi stesse chi sia costui e
quel ch'ei faccia; chè un serpente, senza dubbio, dee poter
conoscere i piedi d'un serpente. Anch'io ne fui impaurita, e
non penso a uscir di qua; io son di certo illusa dai Rac
sasi che mutan forma a lor voglia.
Udita la risposta di Sità, le Racsase piene di stupore,
parte rimaser là, parte andarono ad avvisar Råvano del
fatto; e colle mani giunte e levate in alto e col capo in
chinato fino a terra e cogli occhi stralunati così gli dissero
tremando: Nel mezzo del bosco degli asoki, o re, v'ha uno
scimio di terribile aspetto e di gran forza, il quale favella
con Sità; e la figlia di Ganaca dagli occhi di cerva, ben
chè da noi più volte richiesta, non volle dirci chi sia quel
scimio; ei sarà per avventura un messo d' Indra o un mes
saggiere di Vaisravana, o qualcuno mandato da Râma alla
ricerca di Sità. Egli ha schiantato con violenza tutto il bo
sco degli asoki, e solo il luogo, dove sta Sità, non fu da
lui distrutto, non si sa bene se per protegger la figlia di
G'anaca ovvero per istanchezza, se non che quale stanchezza
poteva arrestar colui? certo ei fu per protegger Sità. Ei
risparmiò il grand'albero d'asoca dalle belle gemme e dai
bei rami, appiè di cui si raccolse Sità, Ortu, o re, fa di
punir quella bestia efferata che osò favellar colla Videhese
e mettere a soqquadro tutto il bosco. Chi mai, o signor
de' Racsasi,fuorchè uno sciagurato disposto a perder la sua
vita oserebbe qui favellar con Sità da te rimessa nelle no
stre mani? -
SUNDARA CANDA, - 43
Udendo que' detti delle Racsase, Ràvano divampò, come
fuoco spruzzato di sacro burro, ed i suoi occhi s'accesero
di sdegno; quindi quel valoroso spedì, perchè fosse preso
Hanumat, Racsasi per nome Kinkari, generati nella mente
di Brahma. Una grand'oste d'ottanta mila di quei Racsasi
uscì dalla sua reggia, armati di magli e d'aste; e tutti al
tieri, terribili e forti, pronti al servigio del lor signore ed
avidi di battaglia corsero addosso ad Hanumat.
Ma costui pien di bravura e fidando nella propria forza,
fattosi presso ad un grande edificio dalle mille colonne, vi
salì sopra. Mentre quell'animoso saliva con grand'impeto
l'ardua scala, era colà più ardua ancora la resistenza. Salito su
quell'alto edificio, l'invitto Hanumat tutto fulgido di splen
dore somigliava al monte Paripàtra; e smisurato di corpo
qual egli era, il figlio del Vento si diè possente e baldo a
battere palma a palma, empiendo di strepito tutta Lanka.
Per lo strepito assordante, immenso di quel battimento di
braccia e di mani caddero quivi dall'aria gli augelli e ri
masero storditi i custodi dell'edificio. Vince, egli gridava,
il prode Ràma e il forte Lacsmano, vince Sugriva protetto
dal Raghuide; io sono messaggiere del re de'Cosali, di Ráma
eroe di lena infaticabile; io sono Hanumat figlio del Vento,
struggitor degli eserciti nemici; mille Ràvani non sareb
bero bastanti a resistere in battaglia a me combattente con
macigni e tronchi d'alberi a migliaia; sconquassata la città
di Lanka e salutata la Mithilese, io me ne tornerò soddis
fatto del mio intento, a dispetto di tutti i Racsasi. Ciò detto,
il prode scimio dall'alto di quell'edificio mugghiò con or
ribile mugghio facendo con quello strepito tremar Lanka;
da quel muggito fu scosso l'edificio che premeva co' suoi
piedi Hanumat, e screpò la vetta del monte, come fosse
squarciata dal fulmine.
I Racsasi appressatisi allo scimio che se ne stava su quel
l'alto edificio, gli si avventarono con grand' impeto, come
fanno le locuste al fuoco. Cinto d'ogni parte da que' Rac
sasi, il prode scimio agitando e battendo la coda,urlò ter
ribilmente; e dal fracasso di quel suono rimasi attoniti e
pieni di spavento i Racsasi, miravano Hanumat che somi
gliava ad una gran nuvola tempestosa colà sorta. Ma ripreso
44 RAMAYANA.

ardire per gli ordini di chi impera, que' Racsasi con armi
terribili e diverse assaliron lo scimio in frotta. Circondato
d'ogni intorno da que' feroci, il prestante e prode figlio del
Vento arse di rabbia, e fatto cinque volte più animoso, di
velse da quell'edificio una colonna ornata d'oro, e menan
dola a tondo in cento guise e gridando alto il suo nome,
uccise cento di que' fieri Racsasi, e disfatti que' Kinkari
orrendi, non rallentando la sua foga, ei cercava di nuovo
battaglia: e tutto ardente d'ira e con forza spaventosa vi
brando quella sua gran clava, ei ruppe quel terribile cer
chio di Racsasi. Levatosi allora in aria così parlò : Vince
il prode Ràma e il forte Lacsmano; vince Sugriva protetto
dal Raghuide. Io son messaggiere del re de'Cosali, di Rà
ma eroe di lena infaticabile ; io sono Hanumat figlio del
Vento, struggitor degli eserciti nemici. Migliaia di miei
pari e di più valenti che voi non siete, migliaia di prodi
scimi obbediscono agli ordini di Sugriva; verrà Sugriva
circondato da mille koti di que' scimi per la rovina di voi
tutti; nè più sussisterà la città di Lanka, nè voi , nè Rá
vano, che attaccò guerra con quel magnanimo eroe del
mondo. Riscossisi pur alfine da tanta paura e veggendo
colà tutti que' morti, i Racsasi vennero meno per grande
sgomento; e quei che rimaser vivi, se n'andarono difilati
alla reggia di Ràvano, e gli annunziarono esser morti tutti
que' Kinkari. Udito quell'infausto ed orribile annunzio,
arse di rabbia Rávano.

C AP IT O L O X XX IX.

MORTE DI GAMBUMALI.

Uccisi que' molti Kinkari, il valente scimio Hanumat si


diede a schiantar di nuovo quel bosco foltamente inarbo
rato e coperto di piante repenti; ei ruppe pien di rabbia
le campache e le rottlerie, le tile e le dalbergie, i noci
indici e gli asoki ed altri alberi diversi, e malmenò i cu
stodi della selva; i quali, visto colui che tutto dirompeva
in ogni parte, spaventati e correndo a furia se n'andarono
là dov'era Ràvano, ed inchinatisi fino a terra con atto re
SUNDA RACANDA. 45
verente ed occhio afflitto, dissero a Ràvano che stava colà
sdegnato: Fu distrutto il grande edificio, morti i Racsasi
più valorosi, schiantato il bosco, o re, da quello scimio
malarrivato: or tu degna farci grazia, o dator di gloria,
eroe dalle grandi braccia, ed ordina ogni sforzo, acciocchè
quel reo sia messo a morte. All'udir que' detti, il forte si
gnor di Lanka, ardente d'ira, spedì colà nuove schiere di
Racsasi; i quali, avuto quell'incarico, terribili e superbi di
lor forza e mettendo gridi di guerra s'avviaron là, dov'era
lo scimio; ed appressatisi al fortissimo e prode Hanumat,
l'assalirono con lucide aste, con clave ed ascie, con saette
ed altre armi diverse.
Allora il gagliardo Hanumat arrovellato, dando di piglio
ad un grand'albero, ne percosse que' fieri Racsasi ammas
sati, e tutti que' Kinkari andarono in conquasso, come lo
custe che cadon nel fuoco, giunte al termine della lor vita.
Come udì la rovina di que' Racsasi , Ràvano, terror del
mondo, commise la battaglia al prode G'ambumàli figlio di
Prahasta; e fa , gli disse, di non tornare addietro senza
avere ucciso quel fiero scimio. Mandato dal re de'Racsasi,
il prode figlio di Prahasta, il sannuto G'ambumáli se ne
uscì armato d' arco , portando corona e veste rossa, con
serto e lucidi pendenti. Stralunando i suoi grandi occhi
con piglio irato, e tendendo con impeto il suo grand'ar
co , munito di lucenti saette , simile all'arco d'Indra ed il
cui suono somiglia al suon del fulmine, quel prode invitto
coll'alto strepito della tesa di quell'arco, empiè ad un
tratto le plage e le regioni intermedie e gli spazi aerei. L'im
petuoso Hanumat, come vide venir colui sopra un carro tirato
da asini, diede in giubilo ed in gridi; ma il grandibracciuto
G'ambumâli con frecce acute si diede a ferir saettando il
grande scimio che s'era posto nella colombaia della porta
esterna; con un dardo il cui capo è a foggia di mezzaluna,
lo ferì nella faccia, con una saetta pennuta nella testa, con
dieci freccie ferree lo ferì nelle braccia e nel mezzo del
petto; la faccia rossiccia dello scimio ferita dal dardo così
appariva, come nell'autunno un fior di loto sbocciato e per
cosso dai raggi del sole. Divampò d'ira il grande scimio
saettato da quel Racsaso; e guatato accanto a sè un gran
46 RAMAYANA,

d'albero d'asoca, lo sradicò di botto e lo scagliò: ma il


Racsaso con dieci saette subitamente lo ruppe irato. Visto
fallito quello sforzo, il fiero Hanumat, divelta una robusta
shorea, girolla a tondo con molt'impeto; ma il possente
Gambumàli vedendo lo scimio poderoso squassar quella
grande shorea, lanciò un nembo di saette; con quattro ei
fendè la shorea, con cinque ferì lo scimio al braccio, con
una al piede e con dieci al cuore. Coperto di saette per
tutto il corpo e fieramente arrovellato, l'animoso e prode
scimio andava pur squassando quella clava, e squassatala
con gran foga, la scagliò impetuoso ed infuriato al cuore
di Gambumàli.
Or più non appare di colui nè capo, nè braccia, nè gi
nocchia; più non si discerne nè arco, nè carro, cavallo o
auriga: perocchèpercosso con furia orrenda da quel mabisso,
rimase là sgretolato tutto il suo corpo, carni, ossa e capo.
Vie più fremè d'ira e di cruccio il possente Råvano, quando
udì sfracellato G'ambumàli e morti i Kinkari dal figlio del
Vento ; e coi tremolanti suoi occhi travolti dalla rabbia,
prontamente ordinò che sottentrassero al fortissimo figlio
di Prahasta ucciso i figli de' suoi ministri, guerrieri curuli,
di forza irresistibile.

CAPITOLO XL,

STRAGE DI NUOVI RACSASI,

Allora eccitati dal re de' Racsasi i figli de' ministri usci


rono dalla reggia quattordici in numero, tutti di gran forza
ed ardenti come fiamma, circondati da forti lor seguaci e
armati d'arco. Eran essi sperti nell'armi e prodi arcieri e
s'animavano l'un l'altro colle grandi lor persone ornate d'in
segne e d'argentei fregi, cogli alti loro carri tirati da cavalli
e risonanti con istrepito di nubi. Quindi que' fortissimi, baldi
e folgoranti come nubi tesero i loro archi ornati d'oro; e
mirando que' Kinkari uccisi da uno scimio che essi aveano
a vile, rimasero dolentissimi coi loro congiunti e amici.
Eccitatisi l'un l'altro alla battaglia, que'guerrieri ornati di
pendenti di fulgid'oro assalirono Hanumat che stava saldo
SUNDARACANDA. 47
sulla porta esterna; e con fragor di carri e di cavalli av
ventando nembi di dardi, ei velarono quasi il cielo a guisa
di nuvole pioventi.
Assalito per ogíi parte da quella pioggia di saette, Ha
numat ne fu quasi inondato, come dalle pioggie il re de'
monti. Ma pure ei si schermì da quelle saette, movendosi
con gran prontezza in qua e in là, e scansò l'impeto de'
carri di que' prodi collo slanciarsi su per lo limpido cielo;
e così scherzando su per l'aria con quegli arcieri , il pos
sente Hanumat somigliava al Vento scherzante colle nubi
arciere d'Indra. Ma messo subitamente un grido orrendo
e spaventata tutta quell'oste, ei fece impeto meraviglioso
contro que Racsasi. Alcuni ne colpì colla palma della mano,
altri co' piedi; questi percosse a furia di pugni, quei lacerò
coll'unghie; chi conquassò col petto e chi coll''anche. Caduti
costoro stramazzati a terra, tutto intiero quel drappello fu
preso da grande paura; e la terra apparve coperta qua e
là di ruote infrante e di carri sconquassati, di cavalli uccisi,
di bandiere e d'ombrelli rotti. Morti que' Racsasi fortissimi
ed altieri, il prode e fiero scimio pur avido di combattere
con altri Racsasi, si riparò di nuovo alla porta esterna.

CAPITOLO XLI.

MORTE DI CINQUE DUCI.

Come udì uccisi dal magnalmo Hanumat i figli de' suoi


ministri, l'accorto Ràvano con volto rabbruscato prese nuovo
consiglio. Ei chiamò a sè cinque prodi duci di schiere,
esperti in condurre imprese, Virùpâksa, Yùpàkhya, Dur
dharsa, il fortissimo Praghasa e Bhàsakarna, e tutto acceso
nel far che fosse preso Hanumat, così lor disse: Vadano
prontamente questi duci di gran possanza e di gran lena,
con carri, cavalli ed elefanti, e si domi quel scimio furente;
assalendo quel gagliardo , si combatta di tutta forza e si
ponga ben mente all'opra, sì che riesca conforme al luogo,
al tempo e al fine: perocchè io, argomentando da' suoi fatti,
non credo colui uno scimio, bensì qualche animal fierissimo
dotato di gagliardìa e di forza immensa; non mi si acqueta
48 RAMAYANA,

l'animo, pensando che colui sia uno scimio; io non lo credo


tale, qual ei mi venne riferito; ei sarà per avventura man
dato qua da Indra per darci briga. Serpenti, Yacsi e Gan
dharvi, Devi e grandi Risci già fuggiron dinanzi a me colle
lor schiere, superati nelle battaglie; furon da me vinti i
Devi, affrontandomi con loro in guerra; ei deggiono cer
tamente macchinar contro noi qualche offesa. Colui è senza
dubbio una spia: onde sia preso a viva forza. Non si vuol
riguardar come scimio quel poderoso e fiero: io già conobbi
scimi impetuosi e di gran possanza, Bali, Sugriva e il grande
scimio Hanumat, Nila duce di schiere ed altri dei più forti;
ma nessuno di coloro ha foga sì terribile, nè tal vigore nè
tal forza, non simile accortezza, non gagliardìa e lena, nè
egual sembianza. Voi animosi e fermi nel vostro alto valore
fate di reprimere colui, chiunque ei sia, che ha preso forma
di scimio; onde state contro lui con armi sollevate, arditi, e
pronti, destri e risoluti; ben so che i tre mondi in un con
Indra, coi Suri, cogli Asuri e coi Dànavi non potrebbero
in battaglia stare a fronte di voi prodi; tuttavia un duce
esperto e sollecito della vittoria dee con ogni suo sforzo
assicurar nella battaglia il buon successo che è sì incerto.
Que' fortissimi, ricevuti col capo dimesso gli ordini del
lor signore, si levarono impetuosi e fiammeggianti come
fuoco preparato al sacrificio; ed uscirono con carri, con
elefanti accesi e robustissimi cavalli e con armi d'ogni ma
niera. Ei videro allora il grande scimio, terribile ed ardente,
raggiante come sole, cinto dai raggi del suo ardore, pien
di veemenza, di vigor, di forza e d'accortezza, con gran
lena, con gran corpo e gran possanza. Visto colui ed in
torniatolo per ogni parte, tutti gli corsero addosso in frotta
con armi acute e fiere. Durdharsa gli avventò al capo cin
que saette pentacefale che han forma di foglie di loto, fer
ree, acute ed acre; quindi col suo carro e col suo arco
teso, scagliando a furia dardi aguti, quel valoroso assalì il
grande scimio; e di nuovo l'inondò con un nembo di saette,
come sul finir della calda stagione inonda la nube con
pioggie un monte.
Tutto innaverato da quel Durdharsa, il figlio del Vento
mise un terribile grido ed ingrossò sformatamente; e preso
SUNDARACANDA, 49
ad un tratto dalla lungi un salto, cadde con grand'impeto so
pra il carro di Durdharsa, come subita folgore sopra un monte.
Di che Durdharsa stramortito, abbandonati i cavalli e il
carro sconquassato i colle ruote e il timon rotti, rovinò a
terra. Veduto colui atterrato, Virùpâksa e Yûpàkhya si le
varono con grand'ira armati di mallei e di mazzapicchi;
ed il valente e prode scimio fermo sulla porta esterna fu
da que' due levatisi con subito impeto fieramente percosso
con magli al petto. Ma rintuzzata la foga di que' furenti,
Hanumat sbalzò di nuovo a terra con rapidità pari a quella
di Suparna; e sradicata con violenza una gran palma, sfra
cellò stimolato dall'ira quei due Racsasi tremendi. Come
vide abbattuti que' due dal fiero scimio, il possente Pra
ghasa gli si mosse incontro con grande ardire, e insieme con
lui Bhâsakarna inferocito, dato rapidamente di piglio a un'a
sta; sì che due ad un tratto assalirono lo scimio solo. Praghasa
lo ferì con un'ascia tagliente, Bhâsakarna colla sua asta.
Colle membra così malconcie da costoro e coi peli in
sanguinati così appariva lo scimio, come appare il sole testè
nato. Ma spiccato un cacume di monte co' suoi alberi, colle
sue belve e co' suoi serpi, il possente scimio Hanumat schiac
ciò con esso que' due Racsasi; ed abbattuti que' cinque duci,
ei disfece intiera quell'oste. Tutto ei conquassò alla rinfusa
cavalli con cavalli, elefanti con elefanti, guerrieri con guer
rieri, carri con carri, a quella guisa che Indra sconquassa
gli Asuri; da quei cavalli ed elefanti atterrati, da que' grossi
carri infranti, da que' Racsasi sfracellati era per ogni parte
ingombrata la terra. Disfatti in battaglia que' forti duci coi
lor congiunti, il possente e prode scimio si rifuggì di nuovo in
un batter d'occhio alla porta esterna, simile a Yama allor che
distrugge le creature.

CAPITOLO XLII.
MORTE DEL GIOVANE AKSA,

Com'ebbe notizia dei cinque duci uccisi da BHanumat in


quella zuffa coi loro congiunti e seguaci, Ràvano fisò lo
sguardo sopra il giovine Aksa, avido di battaglia. Questi
fieramente eccitato da quello sguardo subito si levò con
VOL., III, 4
50 RAMAYANA,

atto altiero , brandendo l'arco ornato d'oro a quella guisa


che si leva il fuoco suscitato dai più nobili fra i Brahmani
radunati al sacrificio. Quindi ei salì prontamente sul suo
carro conquistato con grandi austerità, cerchiato di lucido
oro, imbandierato con insegna fregiata di gemme e corre
dato d'otto cavalli velocissimi; carro insuperabile ai Suri
e agli Asuri, soverchiante ogni intoppo nel suo corso, splen
dido come il sole, spaziante per l'aria e saldo, munito di
turcasso e di luogo acconcio a riporvi l'eletta spada, con
dardi e clava collocati ordinatamente, fulgido, con una tonda
luna effigiata e raggiante per molt'oro al par del sole e
della luna.Salito in su quel carro e legatasi la faretra, uscì
Aksa con prodezza pari a quella d'un Immortale. Veduto
quindi quel scimio altiero e baldo, uso a vincere nemici,
Aksa riguardoso, ma pien d'ardire e di bravura diè di piglio
all'arco ed alle fulgide saette; e tutto intento avventò al
capo dell'eccelso scimio strali con penne d'oro, pari a ser
penti inveleniti.
Il grande scimio travagliato nella zuffa dal Racsaso con
quelle saette avventategli al capo e fatto in un istante tutto
sozzo negli occhi per lo sangue ch'ei versava, mise un urlo
che parve un tuono; e movendosi per l'aria, simile al sol
novellamente surto, e terribile nell'aspetto per lo violento
dimenar che faceva le braccia e l'anche, ei balzò ad un
tratto su per lo cielo colla foga delle sue braccia e de' suoi
femori, in atto quasi di minaccioso.
Ma il valente e prode figlio del Racsaso corse col suo carro
sopra lo scimio che si levava in alto, innondandolo di saette,
come la nube innonda subitamente di pioggie un monte.
Il forte scimio per iscansar quelle saette s'andava aggi
rando fra strale e strale per la via corsa dal vento, rapido
come il vento ed il pensiero, or moventesi, ora stante ed
ardentissimo alla battaglia. Ma guardando coll'animo e col
l'occhio il giovine Aksa che coll'arco caro nelle battaglie,
e con saette acute l'assaliva, così pensò il figlio del Vento:
Questo giovane valente e forte, pari a sole nato di fresco,
fa opre da prode e non mica da fanciullo; onde non mi
venne sì tosto il pensiero d'atterrar costui che sì risplende
nei fatti di battaglia. Senza dubbio costui fa qui opere da
SUNDARA CANDA. 51
valoroso, ardue a più Yaksi e Nàghi; ei mi guarda, men
tre sto in punto di combattere, con animo bollenle d'ardire
e di prodezza. Ben ei mi soverchierebbe, ov'io lo disde
gnassi; chè la sua forza va crescendo nella battaglia; onde
or convienmi spegnerlo; che non si dee trascurare il fuoco
che ognor più cresce divampando. Allora il fiero ministro
del re de' scimi percosse colla palma della mano il carro
d'Aksa, e il carro cadde infranto a terra col sedio e giogo
e timon rotti, coi cavalli e coll'auriga morti.
Il prode Aksa lasciando allora il carro, si levò armato
di spada e d'arco, a quella guisa che un Risci affinato da
severe macerazioni si leva, lasciando il suo corpo, su per
la via de'venti.
Ma lo scimio Hanumat avventatosi ad un tratto sopra colui
che levatosi in aria s'aggirava per la via del vento e del
sovrano degli aligeri, gli afferrò con gran forza nella mi
schia ambo i piedi colle sue mani; e scossolo in cento
guise, come Suparna incollorito scrolla un gran serpente,
e disperso ogni suo ornamento, tutto lo sgretolò quell'im
petuoso e possente scimio. Il Racsaso cadde a terra ucciso
dal figlio del Vento, col petto, coi femori, coll'anche e col
collo fracassati, colle braccia spenzolate e colla compage
dell'ossa infranta, disciolto le vesti e rigato la pelle dal
sangue che scorrea. Spento il giovime Aksa, lo scimio fu
onorato dai grandi Risci, dai Vidhyâdhari e dai grandi asceti
insieme accolti, dai Bhûti, dai Yaksi e dai Serpenti, e da
Indra insieme coi Devi forte maravigliati di quel fatto.
Com'ebbe ucciso il giovine Aksa, crudo agli eroi ed agli
Immortali e rosso gli occhi come fosser di sangue, il prode
Hanumat se ne tornò in un batter d'occhio alla porta esterna
simile a Yama allor che distrugge le creature.

C A PIT O LO X L III,

uscITA D'INDRAGIT.

Ucciso da Hanumat il giovine Aksa, il magnanimo re de'


Racsasi, composto l'animo e rimossa ogni mestizia, destinò
a quell'ardua lotta suo figlio Indragit: Tu sei, gli disse,
52 RAMAYANA.

guerrier sovrano fra tutti i guerrieri; tu hai mente sedata


e sei possente nelle battaglie; son conte le tue prodezze
contro i Daityi e i Devi, e le tue armi tu le ottenesti dal
favor di Brahma. Alla forza delle tue armi non son atti a
resistere in battaglia nè i Suri, nè la schiera dei Maruti, nè
pure i tre mondi, o illustre. Col valore del tuo braccio fu
da te già protetto il popolo de' Racsasi; tu conosci il tempo
e il luogo e gli opportuni provvedimenti e sei saputo e
prode. Non v' ha fra le battaglie opra che tu non possa
compiere; nessun pareggia la tua accortezza e il tuo con
siglio, e non v'ha alcuno che sopravanzi la tua bravura e
la tua forza nel reprimere i nemici. Tu hai, o generoso ,
forza immensa, pari alla mia, prodezza e comprensione delle
cose, mente pronta ad ogni occorrenza; ed entrato nel tu
multo delle mischie, tu risoluto e saldo non cedi alla stan
chezza. Or sappi che furono uccisi i Kinkari ch'io spedii,
e il Racsaso G'ambumàli, i figli de' miei ministri e i cinque
miei prodi capitani, ed ultimo fu spento il giovine Aksa
invitto e forte; or non ho altro eguale a te nelle battaglie,
o valoroso; nè nell'altrui fermezza tanto m'affido, quanto
in te, guerrier preclaro; onde va prontamente, o figlio, a
combattere ed a vincere. Son mirabili e non mai veduti al
mondo il vigore e la possanza di quel scimio; ma tu che
sei mio figlio, va e mostra valore conforme alla tua natura.
A te è commesso il fiaccar la forza di colui, sì che non ti
vituperino i generosi; onde tu guardando al tuo valor su
premo, vanne alla battaglia e fa opra degna di te. Ei non
m'è certo a grado il mandarti a tal misléa; ma egli è que
sto il procedere riputato conforme ai doveri di re e all'uf
ficio di Ksatro. Combatti colle varie tue armi in questa
zuffa, o valoroso; che nella battaglia convien combattere a
forza e cercare d'aver vittoria.
Udito il discorso del padre, l'invitto Indragit, eroe ma
gnanimo, la cui prodezza è pari al valor del re, salutò il
signor di Lanka con atto di reverenza e coll'animo già in
tento alla battaglia; quindi salì sopra un carro di foga ir
resistibile, tirato da quattro leoni che han denti acuti e
fieri ed impeto terribile pari a quel di Garuda.
SUNDARACANDA, 53

C A P IT O L O X L I V.

PRESA D'HIANUMIAT,

Sopra quel carro risplendente come il sole, quel curule


eroe, arcier sovrano e d'ogni arme esperto si mosse contro
lo scimio. Udendo il fragor del carro e il fremito della
corda dell'arco, il fiero scimio fu tutto lieto; e come vide so
praggiungere l'eroe Indragit sul suo carro, egli mise un grido
altissimo e con subito sforzo si dilatò. Ma Indragit fermo
sul suo carro divino e armato di mirabil arco, lo caricò
con rombo pari a fulmine ed a tuono. Quindi lo scimio e
il figlio del re de' Racsasi, fortissimi amendue e feroci nel
combattere appiccarono con gran veemenza la battaglia, come
il re de' Suri e quel degli Asuri venuti a guerra l'un col
l'altro; e lo scimio immensurabile, non curando l'impeto
de' dardi saettati da quel prode arciero, gran guidator di
carro e guerriero, eccelso, si levò in aria su per la via
camminata da suo padre, e quasi sorridendo se ne stava
con possanza e con vigore pari a quel del vento dinanzi
alle saette scoccate da quell'eroe.
Que' due possenti ed esperti di battaglie fecero colà una
fiera zuffa, che stupefece ogni creatura. Il Racsaso non
iscorge difetto in Hanumat, nè questi nel Racsaso; e l'un
dall'altro di poco spazio divisi, ei parevano due serpenti
sveleniti. Ma il figlio del re de' Racsasi, conosciuta l'impos
sibilità d'esterminar quel fiero scimio, andava pensando al
modo d'afferrarlo, sì ch'ei non gli sfuggisse. E ad un tratto
il prode Indragit l'avvinse col telo di Brahma, sì ch'ei più
non poteva dare un crollo e cadde a terra.
Tosto che videro legato con quel telo il figlio del Vento,
i Racsasi si diedero ad avvinghiarlo con legami di canape
e di corteccie insieme avvolti. Ma allor che Indragit vide
legato con quelle ritorte di corteccia il valoroso e forte sci
mio, disciolse l'orribile legame del telo, senza che lo scimio
paresse accorgersi d'essere stato svincolato. Allor gridarono
i Racsasi: Oh! tu hai reso inutile il tuo gran fatto; nessun
altro Racsaso può trattare i teli divini; or che hai tolto
54 RAMAYANA,

via quel telo di Brahma, noi non abbiamo altro telo alle
mani e ci troviamo in gran pericolo.
Ma Hanumat travagliato da que' Racsasi e percosso a furia
di saette non mostrò d'accorgersi ch'ei fosse disciolto da
quel telo; nè, bench'ei ne avesse la forza, pur cercava di
liberarsene egli stesso con solenni carmi Brahmici, statigli
dati per favore. Benchè lo scimio conoscesse la virtù di
quel telo e il favor concessogli dal gran Genitore, e pen
sasse alla possanza che avea di liberarsi, pur si conformò
a quell'ordine di Brahma; e sostenne d'esser legato con
violenza e vilipeso dai Racsasi suoi nemici, pensando pur
fra sè stesso: « Se mai per curiosità il re de' Racsasi desi
derasse di vedermi ». Percosso adunque da que' fieri Rac
sasi con pugni e mazzapicchi, il figlio del Vento fu introdotto
alla presenza di Ràvano; e vide il re di Lanka, che seduto
a suo grand'agio, coi fulvi suoi occhi stralunati per cor
ruccio, dava ordini ai principali suoi ministri, ragguardevoli
per nascita e per costume.
Venuto dinanzi a quel possente, il magnanimo scimio fi
glio del Vento si manifestò dicendo: Io son messaggiere qui
venuto per ordine del re de' scimi.

CAPITOLO XLV.

DESCRIZIONE DI RAVANO.

Allora Hanumat con occhi accesi d'ira e tutto attonito


per li fatti da lui già uditi di quel terribile re de' Racsasi
si pose ad osservarlo. Ei vide quell'illustre re di Lanka
risplendente col suo diadema aurato e fulgido, d'alto pregio
e tutto ingemmato di perle, lo vide fregiato di mirabili ed
aurei ornamenti, formati con grand'arte da Visvakarma ,
gremiti di diamante e sparsi di gemme preziosissime, co
perto d'una ricca veste di lino, adorno d'eletto sandalo e
cosparso di vari profumi delicati. Grandeggiava quel pos
sente colle dieci terribili sue teste, ampie ed appariscenti,
guernite d'immani denti, acuti e fulgidi, con labbra accese,
occhi ardenti e fiero piglio, come grandeggia il monte Man
dara colle sue cime piene di serpi e di belve diverse; ei
SUNDARACANDA, 55
rifulgeva colle sue braccia ornate di maniglie e suffuse di
sandalo soave, e colle pingui sue mani simili a serpi pen
tacefali. Era egli assiso sopra un grande e nobile sedio di
cristallo, variamente ornato e lavorato d'argento, strato di
morbido tappeto, ed era ventato d'ogni parte da donne eb
bre d'amore, sfoggiatamente ornate e tenenti nelle mani
ventole crinite. Sedevano intorno a lui quattro Racsasi su
perbi di lor forza, Mahodara, Prahasta, Mahàpàrsva e il ma
gnanimo Nikumbha prode nelle battaglie, sì come cingono
la terra intiera i quattro mari; e gli stavano accanto, sic
come i Devi al Signor sovrano, ministri e consiglieri di
nobile aspetto, accorti e saggi.
Nel mezzo di costoro vide Hanumat il possente re de'
Racsasi, a guisa d'una nube acquosa cinta dai vertici del
monte Mandara; e benchè stretto con legami dai Racsasi
feroci, pur ei lo riguardava tutto pien di maraviglia. Co
m'ebbe riguardato il re de' Racsasi fulgente, Hanumat così
pensò fra sè stesso, abbagliato da quel splendore: Oh beltàl
oh possanza! oh fulgore! oh nobiltà! Ben è insignito d'ogni
alta nota il re de' Racsasi! Se costui non fosse così avverso
ad ogni legge, ei sarebbe atto a proteggere il mondo in
tiero e il cielo stesso. Ben a ragione tremano al nome di
costui gli uomini, i Devi e i Dànavi; perocchè ei potrebbe
acceso in ira ridurre il mondo a un vasto oceano. Tali e
più altri pensieri rivolgeva nella sua mente lo scimio Ha
numat, contemplando la maestà dell'oltrapossente re dei
Racsasi.

CAPITOLO XLVI.

DISCORSO DI PRAHASTA.

Allor che vide dinanzi a sè quel scimio dagli occhi fulvi


e dalle lunghe braccia, il possente Rávano, terrore de' ne- .
mici fieramente corrucciato e cogli occhi ardenti per gran
d'ira, così parlò con detti opportuni all'eccelso Racsaso Pra
hasta: S'interroghi questo ribaldo, chi egli sia e quale il
suo disegno, perchè egli abbia schiantata la selva e mal
menato i Racsasi. Udite le parole di Rävano, Prahasta così
prese a dire ad Hanumat: Confortati e sta a buona speranza,
56 RAMAYANA,

o scimio; tu non dei qui avere alcun timore; deponi ogni


paura, tu sarai tosto liberato, e narra schiettamente, se tu
fosti mandato da Indra o da Vaisravana, da Yama oppur
da Varuna a questa sede di Racsasi, o se presa quell'orri
bile forma, tu entrasti in questa città mandato da Visnu
per desiderio che egli ha d'espugnar Lanka; chè la tua
forza non è di scimio; tu di scimio non hai che la forma.
Onde palesa il vero, e sarai tosto liberato; ma se tu menti,
guai alla tua vita. Qual è dunque la cagione che ti mosse
ad entrar nella città dei Racsasi? dillo or su prontamente
e sarai sciolto; a che giovan più parole?
Esortato con tai detti, l'animoso e prode scimio figlio
del Vento, spedito favellatore, guardando fiso il re de' Rac
sasi, gli si manifestò con fermezza e sì gli disse: Io non
son messaggiere d'Indra, nè di Yama, nè di Varuna; non ho
amicizia con Vaisravana, nè son mandato da Visnu; il mio
essere è tale appunto quale qui si manifesta; io sono uno
scimio e tale son qui venuto. Siccome egli era difficil cosa
il poter vedere il re de' Racsasi, così io ho devastata per
vederti la tua selva. I fieri Racsasi venutimi incontro per
ardore di battaglia, furon da me combattuti in aperto
agone per difesa della mia persona. Nessun vincolo di teli,
per quanto ei si distendano, potrebbe mai legarmi; io ot
tenni un dì da Brahma questo gran favore; ma per desi
derio di vedere il re di Lanka, io mi son lasciato avvin
cere. Ben io m'accorsi poi d'essere stato sciolto da quel
telo, e mi lasciai tuttavia legare con vili ritorte, per adem
pier l'incarico ch'io mi presi e non già per debolezza; siane
certo, o re. Io qui venni messaggiere del magnanimo Ra- -
ghuide; or odi le opportune mie parole.
CAPITOLO XLVII,
DISCORSO DEL MESSAGGIERE.

Il valoroso scimio figlio del Vento guardando pur fiso


il possente re di Lanka, così continuò a dire con ferme ed
acconcie parole: Io venni in questa tua sede per ordine
di Sugriva; il re de' scimi mio fratello ti manda salute, o
re de' Racsasi. Ascolta ora gli avvisi del magnanimo Sugriva»
- SUNDARACANDA, 57
giusti e convenevoli, opportuni quaggiù e nell'altra vita.
V'ebbe un re per nome Dasaratha, che aveva impero sopra
uomini, cavalli ed elefanti, era come padre di tutte le genti
e splendido al par del re dei Devi. Il figlio primogenito
di colui, uom dalle grandi braccia, piacente e bello, esu
lando per ordine del padre, entrò nella selva Dandaca, in
sieme con Lacsmano suo fratello, e con Sità sua consorte,
seguendo la via del dovere camminata dai grandi Risci.
In quella selva fu perduta l'esimia sua sposa, la pia Sità
figlia del magnanimo G'anaca, re di Videha. Postosi col suo
minor fratello a cercare la sua donna, quel figlio regale
pervenne al Riscyamùka e s'abboccò quivi con Sugrfva.
Questi gli impegnò la sua fede ch'ei farebbe ricerca di Sità
e Ràma promise a Sugriva il regno: quindi ucciso Bali tuo
amico, Râma pose Sugriva nel regno e il fece signor delle
schiere de' Vànari. Fedele alla sua promessa Sugriva inviò
prontamente per ogni regione scimi alla ricerca di Sità.
Ayuti ed arbudi innumerevoli di scimi investigano in tutte
le plage per la terra e su per l'aria, altri veloci al par di
Garuda, altri impetuosi come il vento, fortissimi tutti e prodi,
rapidi e di lena inescogitabile; ed io che mi nomo Hanu
mat e son figlio generato dal Vento, valicai con rapida foga
per trovar Siltà cento yogani di mare. Or ascolta attento,
o re, il mio consiglio, che ti sarà utile quaggiù e salutare
nell'altra vita. A te che pur conosci il dovere e che con
ardue austerità hai conseguito grande stato, non si conviene
o re, far violenza alle donne altrui; che i saggi tuoi pari
non s'abbandonano ad opre malvage, contrarie alla giustizia
e che stirpano fin dalla radice chi le commette. Chi mai,
eziandio fra i Devi e gli Asuri, potrebbe resistere alle saette
scoccate da Lacsmano, od avventate dall'ira di Ràma? Non
v'ha alcuno, o re, neppur ne' tre mondi, a cui bene incolga,
ov'egli abbia fatto offesa a Ràma. Onde se hai cara la tua
salvezza, o prode, e quella de' tuoi amici, rendi a quell'uom
sovrano la Ganakide sua sposa; pondera le mie parole,
opportune, utili e giuste e rendi a Ràma la figlia di Ga
maca sua consorte. Io ho veduto quella donna ed ottenuto
quel ch'era qui arduo ad ottenere; ciò che rimane a far
più oltre, l'adempirà il Raghuide; ho veduto quella dolente
58 RAMAYANA.

dai grandi occhi, e tu che l'hai rapita, non t'avvedi che


hai fatto sì come colui che togliesse una serpe pentacefala.
Nè i Devi, nè gli Asuri potrebbero smaltir colei, come uom
non può col suo vigor vitale smaltire un cibo preso, me
scolato con molto veleno. Ad Indra stesso, o re, mal n'in
coglierebbe, s'egli offendesse Ràma, quanto più a gente tua
pari. Colei che tu credi Sità, non ne ha qui che la forma;
sappi che colei è l'ultima Notte struggitrice di tutti gli abi
tatori di Lanka. Quella possanza e quello stato che tu ot
tenesti col lungo tuo ascetismo, Râma è atto a distruggerli
e tutto ciò ancora che ti fa corteggio o difesa. Gran mo
tivo è a te di fiducia il pensare che per la virtù del tuo
ascetismo, ti fu concesso di non poter essere ucciso nè dagli
Asuri nè dai Devi; ma Sugriva non è fra i Devi nè fra
gli Asuri, nè fra i Racsasi; egli è il possente signor dei
Vànari; quindi tu non sei da lui securo: or come dunque,
o re, potrai tu sicurare la tua vita? La giustizia stessa non
è insuperabile, quando è congiunta col frutto dell'ingiustizia,
e questo frutto sol raccoglie chi distrugge i frutti dell'opere
giuste. Tu hai finora, non v'ha dubbio, ottenuto il frutto
della giustizia, ma presto tu gusterai anche il frutto dell'in
giustizia. Rammemorandoti la strage del G'anasthàna, lo ster
minio di Bàli e la lega di Räma con Sugriva, pensa al
l'util tuo. Io ancorchè solo sarei certo sufficiente a distrug
ger Lanka co' suoi carri, cavalli ed elefanti; ma tale non è
ora il mio proposto. Ma Ràma giurò sulla sua fede nella pre
senza del re de' scimi d'estirpare quel suo nemico da cui
gli fu rapita Sità. Onde abbastanza ti sei tu cimentato col
legame della morte che ti sta intorno in sembianza di Sità
ed è avvolto alla tua strozza; provvedi all'util tuo.
Come udì que' detti dello scimio, il Pulastyade re de'
Racsasi, rinfocato nella sua ira comandò ch'ei fosse ucciso.

CAPITOLO XLVIII,

DISCORSO DI VIBHIISANA.

Fermata da Rávano la morte d'Hanumat, prese a parlar


Vibhisana per impedirla. Veduta l'ira del re de' Racsasi e
la ragion di quella bisogna sopravvenuta, ei considerò quel
SUNDARACANDA, 59
ch'era da farsi secondo la norma dell'operare. Quindi con
placidezza di paciere inchinatosi a Ràvano pur fermo nel
suo proposto, quell'esperto dicitore così favellò con parole
sommamente opportune: È cosa contraria alla giustizia, bia
simata quaggiù e nell'altra vita e indegna di te, o prode,
il condannar questo scimio a morte. Costui senza dubbio
è un fiero tuo nemico; perciocchè ei t'offese oltre misura;
ma dicono i saggi che un messaggier non si dee uccidere.
Più altri modi di punizione son destinati al messaggiere;
il disformarlo nelle sue membra, il frustarlo, il radergli i
capelli, il segnarlo con marchi ignobili , tali sono le pene
che si convengono al messaggio che dice dure parole; ma
non mai si vide posta fra que' castighi la morte del mes
saggiere. Perchè un tuo pari, la cui mente mai non si di
parte dalla giustizia, e il cui intento è d'acquistar fama fra
gli ottimi e gli inferiori, s'abbandona così all'impeto dello
sdegno? i generosi non si lascian vincere all'ira. Nessun
t'agguaglia nel giudicare rettamente, nel discernere il vero
in ogni cosa, nel conoscere quel che è prescritto, in con
siglio nè in possanza; tu primeggi sovra i Devi e gli Asuri.
Noi non veggiamo che questo scimio meriti la morte in
alcun modo; si puniscano coloro, da cui fu egli mandato.
Abbia ei detto bene o male, egli espose la parola altrui, e
chi parla in nome d'altri, non merita d'essere ucciso. Inol
tre, o giusto re , spento costui, io non conosco un altro
scimio, il qual sia atto ad approdar di nuovo qui alla riva
estrema dell'Oceano; onde tu non dei, o domator de'tuoi
nemici, tanto affannarti di porlo a morte; a te più si con
viene travagliarti contro i Devi ed Indra loro duce. Ucciso
costui, io non veggo un altro messaggiere, che possa ecci
tare alla guerra, o eroe, queidue arroganti figli regali cui
tu avversi. Ma il Raghuide non potrà resistere in battaglia
a te, delizia dei Nairiti, animato da fermo ardire e da pos
sanza, cui non potrebber vincere eziandio i Devi e gli
Asuri. E v'han qui inoltre pronti ad ogni tuo cenno tutti
questi guerrieri, eroi valenti e saggi, nati di stirpi valo
rose e prestanti fra color che trattan l'armi. Insieme con
tutti costoro intorno a te raccolti tu ben combatterai que'
due figli regali; onde sen vada costui liberamente ed ecciti
tosto alla battaglia quei due destinati a certa morte.
60 - RAMAYANA.

CAPITOLO XLIX.

LA CODA D” HANUMAT ACCESA.

Sentite le parole del fratello accomodate al tempo e al


luogo,il fortissimo re de'Racsasi così rispose: Quel che tu hai
detto, è giusto; sarebbe cosa vituperevole l'uccidere un mes
saggiero; ma ei conviene pur del tutto che a costui sia
inflitta una pena altra che la morte. Ciò che i scimi han
di più caro e che s'appella lor ornamento, è, per quel ch'io
intendo, la lor coda; or bene, s'arda di presente la coda
di costui, ed ei sen vada colla coda arsa; il veggano fiera
mente disformato nelle sue membra i suoi parenti, congiunti
e amici, e il re de' scimi, e tutti coloro cui egli è caro.
Ratto che inteser quelle dure parole, i Racsasi per ira in
ferociti si diedero ad avvolgere alla sua coda vecchi cenci
di cotone: e mentre si stava avviluppando la coda del grande
scimio, ei crebbe sformatamente, come fa nelle selve il fuoco,
ove s'avvenga in aridi legni; e frattanto quell'accorto an
dava rivolgendo nella sua mente più cose conformi al tempo
e al luogo: Certamente, ei pensava, non potrebbero questi
Racsasi impedire che io, benchè legato, rompendo le mie
ritorte e slanciandomi con impeto, non me n'andassi; ma
ei bisogna pure ad ogni modo che io vegga Lanka in sullo
schiarir del giorno; che questa città dall'ardue vie non fu
da me bene osservata in ogni sua parte durante la notte;
onde vie più mi tormentino a lor voglia questi Racsasi con
legarmi e con ardermi la coda; chè per questo io punto
non mi smago. Avendo così deliberato intorno al suo caso,
il prode scimio Hanumat tutto intento al bene di Ràma,
sopportò ogni cosa, benchè avesse poter di liberarsi.
Allor que' duri Racsasi arrabbiati, unta d'adipe la coda,
v'appiccaron di forza il fuoco, e preso così legato com'egli
era il grande scimio colla coda accesa, se n'uscirono dalla
reggia, e facendo ad ora ad ora grande strepito con suon
di conche e di taballi, que' Racsasi feroci sen vanno attorno
per la città. Hanumat potè vedere allora le forti difese di
Lanka e i custodi posti a guardarle e le ampie case de' Racsasi
magnanimi, le nobili vie regali ed i cortili ben ordinati e
SUNDARA CANDA, 6I
le strade carreggiate tutte gremite di case, e stagni e templi.
Ma ardendo così la coda d' Hanumat , le Racsase corsero
tosto ad annunziarlo a Sità: Quel scimio, le dissero, dalla
faccia di color cupreo che era testè con te a colloquio, è
ora tratto dai Racsasi qua e là colla coda accesa.
Udite quelle parole crude, amare all'animo, come la morte,
la figlia di G'anaca piena d'affanno destò il fuoco, e tutta
intenta a fausti voti per lo gran scimio , quella donna dai
grand'occhi in sè raccolta venerò con preci il divo fuoco:
Se io, disse, fui obbediente ai sacri maestri, se io ho adem
pito atti pi d'austerità, se io fui fedele al mio sposo, sia tu,
o fuoco, propizio ad Hanumat. Se quel saggio scimio ebbe
di me qualche compassione, se ancor rimane in me alcuna
cosa dell'alta mia fortuna, sia tu o fuoco, propizio ad Ha
numat. Se il pio mio sposo mi conosce onesta e coll'animo
disposta al bene, sia tu, o fuoco, propizio ad Hanumat. Al
lora il divo fuoco fiammeggiò corrusco e nitido con isplen
dor soave intorno a quella donna dagli occhi di tenera
cerva, annunziando quasi prospero evento allo scimio.
Frattanto Hanumat, mentre ardeva la sua coda, così fra
sè pensava: Perchè mai questo divo fuoco, tuttochè ardente,
pur non mi brucia? Ben ei si scorge vampeggiante, e tut
tavia ei non m'offende; ma sta avvolto alla mia coda, come
fosse un viluppo di ghiaccio. È egli forse questo un prodi
gio pari a quello che per favor di Ràma io vidi già valicando
il mare, allor che convennero insieme l'Oceano e il monte
Mainàco? Se tal fu allora per amor di Ràma la viva solle
citudine dell'Oceano e del monte Mainàco, perchè non sa
rebbe ora la stessa quella del Fuoco? Ei non m'arde, io
credo, per la possanza del Raghuide, per la pietà di Sità
e per l'amicizia antica che egli ha con mio padre. Perve
nuto alla porta della città, alta come il re de' monti e sfol
gorante di sparti raggi, l'accorto e nobil scimio si raccolse
ad essa; e di grande ch'egli era al par d'un monte, rifat
tosi ad un tratto piccolissimo distrusse i suoi legami; e to
sto ch'ei fu disciolto, quel prode tornò pari ad un monte.
Guatando quindi colà intorno, ei vide sull'arco della porta
una gran clava, e dato di piglio a quella clava salda e fer
rea, lo scimio dalle forti braccia sgretolò con essa i suoi
62 RAMAYANA,

custodi. I Racsasi che pur scamparon vivi, si diedero a fug


gire qua e là senza guardarsi dietro, simili a cervi atterriti
da una tigre.
CAPITOLO L.

INCENDIO DI LANKA.

Volgendo allora lo sguardo a Lanka, lo scimio che già


era in parte venuto a capo del suo intento e sentiva cre
scere la sua forza, pensò a quel che rimaneva a fare: Qual
opera, egli pensò, oltre a quello ch'io già feci, vuolsi ora
qui mandare ad effetto, la qual vie più affligga questi Rac
sasi? Già ho sconfitta l'oste e messi a morte i Racsasi più
valorosi; una parte e la più nobile di questa selva fu de
vastata; rimane ora che si distrugga ogni luogo forte; ro
vinati i luoghi forti della città, sarà lieve a fare quel che
resta; con opra di poco sforzo io otterrò pienamente il
frutto che desidero; egli è giusto altresì che coll'incendio
di quelle case superbe io soddisfaccia a questo fuoco che
avvampa intorno alla mia coda. E immantinente il grande
scimio colla coda accesa, pari ad una nuvola che baleni,
corse su pei culmini delle case di Lanka e vi sparse il fuoco;
e il fuoco ardente, per amor del messaggiere, si fece quivi
ministro d' Hanumat.
Il vento animava col suo soffio su per quegli edifici il
fuoco ardente, e questi via più s' infiammava incitato dal
vento, e pien di baldore così appare per quelle case, come
il fuoco del finimondo. Alcuni di que' grandi edifici ricchi
di gemme e d'oro, con ispazzi di perle e di pietre preziose
si sfasciavano, altri cadevano a terra coi loro rotondi spi
ragli infranti, come cadono dal cielo i sedj dei Siddhi beati,
allor ch'ogni lor merito è consumato. Ei vide in quella
fiammeggianti le varie parti di quegli edifizi, ornati d'ar
gento e di lapislazzoli, di perle, di diamante e di coralli;
non si sazia il fuoco di travi arse, nè del fuoco il prode
scimio, nè la terra di Racsasi traboccati morti da Hanumat.
Crescendo ognora in maggior vampa, il fuoco generato dal
vento con diffusi cerchj di fiamme ardeva Lanka gremita
di Racsasi. Sgomentati da quel fracasso e soverchiati da
SUNDARA CANDA, 63
quelle fiamme, i fieri e valenti Racsasi corsero addosso ad
Hanumat, e tremendi per gran forza ed armati d'armi di
verse assalirono con dardi, lucenti come sole, il prode sci
mio; quella turba di Racsasi intorniando l'eccelso scimio,
così appariva come un profondo ed ampio vortice del Gange
ondoso. Allor que' Racsasi avventano contro ad Hanumat
aste ardenti, dardi pennuti ed ascie.
Ma il figlio del Vento acceso in ira, recatosi in forma
terribile, e divelta da un edificio una colonna ornata d'oro
e volgendola attorno in cento giri e facendo alto sonare il
proprio nome, ruppe quegli orrendi Racsasi, come Indra
col fulmine rompe gli Asuri. Lanka allora cinta per ogni
parte da ignea fiamma, spenti i suoi eroi, afflitto fuor di
modo ogni suo guerriero, e vinta dalla forza e dallo sdegno
d'Hanumat, pareva come percossa da maledizione. Ma il
magnalmo Hanumat, uccisi que' molti Racsasi, schiantata la
selva col suo grande edificio, e appiccato il fuoco alle case
de' Racsasi, andò colla mente a Sità.

CAPITOLO LI.

DUBBIO INTORNO A SITA.

Come vide la città di Lanka in fiamme ed in rovina e


sgomentato il popolo de' Racsasi, Hanumat tutto in sè tur
bato si diede così a pensare: Oimè! io ho guastato l'opera
per cui mi son messo a quest'impresa; mentr'io qui ap
piccava il fuoco a Lanka, non ho pensato a salvar Sità.
Questa mia bisogna era omai, ei non v'ha dubbio, quasi
compiuta e poco più rimaneva a fare, ed io vinto dall' ira
l'ho distrutta fin dalla radice. Oh fortunati quegli uomini
valorosi, che sanno colla virtù dell'animo rintuzzar l'ira
sollevata e accesa, come si spegne con acqua il fuoco ar
dente! Per certo perì Sità; chè non si scorge in Lanka
luogo alcuno che non sia tocco dalle fiamme; e la città tutta
quanta è fatta cenere. Or essendo per la mia stoltezza così
guasta questa impresa, io pur qui voglio lasciar la vita; o
getterò il mio corpo al fuoco, ovvero nelle regioni inferne,
o il farò pasto d'animali marini. Come potrei io vivendo
64 RAMAYANA,

vedere ancora il re de' scimi, ovvero que' due prestanti fra


gli uomini, avendo in questa impresa rovinato ogni lor cosa?
Ond' io per colpa del mio sdegno impetuoso avrò pur fatta
manifesta e divulgata nei tre mondi un'opera che non ebbe
saldo effetto. Maledetto il mio nascere guerriero, incostante
e inabile a frenar l'ira; poich'io che ne avea possanza, non
ho per insano affetto salvata Sità. Or ch'ella è perita, se
ne morranno di dolore e Ràma e Lacsmano, e per la morte
di que' due più non vivrà Sugriva nè i suoi congiunti; e
allor che Bharata amantissimo del fratello e il pio Satru
ghna udranno siffatta notizia orribile non rimarranno certo
nè pur essi vivi. E mancata la stirpe degli Icsvacuidi, chi
difenderà più la giustizia? Saran le genti afflitte da ango
scia e da dolore. Ond'io sciagurato, vinto da ira insana sarò
manifestamente rompitor del vincolo di giustizia, sovverti
tor del mondo.
Mentre colui se ne stava così turbato dall'affanno, appar
vero prodigi già veduti per l'addietro; onde nacque in lui
nuovo pensiero: O sarà stata quella leggiadra difesa dalla
sua propria virtù! No non sarà perita quella donna fortu
nata; chè il fuoco non s'apprende al fuoco; il fuoco non può
offendere la sposa di quel possente e pio, protetta dalla sua
natural virtù; certo ei fu per la possanza di Ràma e per
la virtù di Sità che il fuoco, benchè per natura ardente,
pur non m'arse. Come potrebbe perire quella donna pari
ad una Dea, cara all'animo di Râma e dei tre altri suoi
fratelli? Come arderebbe il fuoco quella donna pia e di
virtù sovrana, dedita ad astinenze e assiduamente intenta a
Ràma? Colei devota al vero e solo affetta al piacer del suo
sposo incenderebbe bensì il fuoco ma non già il fuoco lei.
Mentre Hanumat dolente - così pensava all'inviolabile virtù
ond'era dotata quella donna, udì per l'aria voci di C'àrani
celesti che dicevano attoniti per maraviglia: O ben fece
Hanumat opera impossibile coll'espandere il terribil fuoco per
la terribil città dei Racsasi! Fu incesa sì questa città di
Lanka co' suoi terrazzi, co' suoi baluardi, colle sue porte;
ma non fu arsa la figlia di G'anaca. Conosciuta per quegli
ostenti e per le parole dei Risci e per altri segni di gran
momento la verità di quel che avvenne, si riconfortò Ha
SUNDARACANDA. 65
numat; e pervenuto al fine de' suoi desiderj, fatto certo
ch'era illesa la regal figlia, lo scimio tutto intento a con
durre la sua impresa, si dispose al ritornare.

C A P IT O L O L II.

DisCORso Di sURAMA.

In quella una Racsasa per nome Surama, venendo a Sità


tutta fulgida di proprio fulgore, come un'aurora portentosa,
così le disse: Rassicurati, o diletta Videhese, in quanto ad
Hanumat; quel tuo caro messaggiere s'è svincolato, come
fa un elefante rompendo i suoi legami; quel prode scimio,
messi in fuga migliaia di Racsasi ed uccisi i più valenti,
si slanciò quindi in aria, e correndo con grand'impeto di
casa in casa , incese Lanka quel possente figlio del Vento.
Colla coda cinta di fuoco e come uscito fuor della bocca
della morte, ei tutta percorse Lanka, trascorrendo per l'aria
pari a Rahu. Veggono i Racsasi quel gran scimio su pei co
mignoli delle case, per li rotondi spiragli e sulle porte; per
ogni dove si vede splendere il solo Hanumat volante su
per l'aria, pari al fuoco, circondato da un cerchio di fiamme.
Quel grande scimio tutto ignito e pari al fuoco corporeato
si calò nei nobili abituri del gineceo di Rávano; e somi
gliante alla fiamma che arde le selve, al Dio della morte
nell'ora estrema dell'universo, somigliante al fuoco stesso,
egli incese per grand'ira tutta quanta la città di Lanka; e
per quelle fiamme diffuse dallo scimio irato e ardenti come
fiamma di selva, fu arsa intiera la città, sì come è adusta
dalle brine un'aiuola di fior di loto. I palagi biancheggianti,
involti nelle fiamme paiono monti con metalli d'oro e d'ar
senico rosso.Siveggono a migliaia per le vie regali cavalli
ed elefanti scapestrati ed accesi in fiamme di fuoco; i pa
voni dispersi e fuggenti colle lor code incese rendono ima
gine di vaganti aiuole di floridi nelumbi. Le ignee vampe
qui paion del color dei fior di butea, là somigliano a fiori
di bombace; altre sembrano rossi fior di loto. Il divo Fuoco
appoggiandovisi colle sue dita di fiamme, salì tutto fiam
mante sopra il regal palazzo, come si sale sopra un bianco
VOL, III, 5
66 RAMAYANA,

destriero; ed il gineceo di Ràvano fu arso dalle sue vampe


per ogni parte; ma non fu inceso questo luogo, dove tu
sei, o donna fedele al tuo consorte. Con ignee fiamme agi
tate dal vento e somiglianti al fuoco che arde le selve, la
città di Lanka tutta intiera fu con violento vigore dal prode
scimio offerta a guisa d'olocausto al fuoco. Io ti predico
colle mie parole felice successo; chè i saggi annunziano pur
questo come presagio di rovina; veggendo la gran forza -
di quel possente scimio, ei dicono apertamente che fu com
messo da Rávano un grande errore.
Sentendo allor la Mithilese guasta la città difesa dal brac
cio di Ràvano, e udendo le dolci parole di colei, fu gran
demente confortata e lieta.

CAPITOLO LIII.

PAROLE DI CONFORTO A SITA.

Ma lo scimio, com'ebbe ucciso i Racsasi più valorosi, fatto


sonare alto il suo nome, ed incesa la città di Lanka, si
condusse a veder Sità; e giunto a lei, le addimandò licenza
di rivalicar l'Oceano. Visto dinanzi a sè colui e riguarda
tolo più volte, Sità per amor del suo sposo e per caro af
fetto, così prese quindi a dirgli: Se pur così a te pare,
rimanti qui ancora un giorno, o prode amico , in qualche
occulto luogo; domani te n'andrai più riposato; abbia per
la tua presenza, o Vànaro, un momento ancor di posa questo
affanno inenarrabile di me sventuratissima. Appena ti sarai
tu dipartito, o nobil scimio, per l'aereo tuo cammino, che
non avranno più conforto i miei spiriti vitali. Vie più con
tristerà me angosciata ed infelice il più non vederti, o sci
mio, cadendo di dolore in più crudel dolore; e un forte
dubbio mi sta pur qui innanzi, o valoroso, intorno ai scimi
tuoi compagni: come potranno essi venire a proda dell'O
ceano d'ardue sponde quelle schiere di scimi e que' due
figli regali? Tre sole creature par ch'abbiano possanza di
valicare il mare, il figlio di Vinata (Garuda), tu ed il Vento.
Onde in tali soprastanti e terribili congiunture quale spe
diente vedi tu, che sei sì accorto? Tu solo, e non altri, io
sUNDARACANDA. 6
penso, o sperditor de' prodi tuoi nemici, sei pur atto a
condurre questa impresa. Oh ben sarebbe oltre ogni dir
glorioso, se Ràma con pieno esercito, messi a morte i Rac
sasi, mi riconducesse alla sua città! Chè così come io fui
dall'iniquo Ràvano rapita tutta piangente e divisa da quel
mio prode, così non s'addice riavermi a Ràma; ma se, messa
colle sue schiere a soqquadro Lanka, il Cacutsthide vitto
rioso mi toglie via di qua, ciò ben sarà conforme alla sua
gloria; onde fa tu in modo che l'alto valor di Ràma si mo
stri degno di lui, magnanimo ed eroe nelle battaglie.
Udite quelle opportune e modeste parole, moventi da nobile
causa, il valente Hanumat così rispose: O donna, il possente
Sugriva, il signor delle schiere de' scimi, sperditor d'ogni
suo nemico, è tutto pronto al tuo soccorso; presto egli verrà,
o Videhese, circondato da koti di scimi innumerevoli; ob
bediscono agli ordini suoi scimi valorosi, robusti e forti e
d'animo risoluto, il cui cammino non è impedito nè da alto
nè da basso, nè da sghembo; dotati di forza immensa essi
mai non si smarriscono nelle più grandi imprese. Più d'una
volta da que'valorosi che van per la via de' venti, fu cir
cuita la terra intiera co' suoi mari e co' suoi monti. V'hanno
colà scimi pari a me ed anche di me maggiori; ma nessun
v'ha intorno a Sugriva, che sia minor di me; ed io pur
son giunto fino qui; or che faranno que' fortissimi? chè
non si mandano i miglior per messaggieri, ma gli ultimi
fra i minori. Onde pon fine, o donna, al tuo dolore, e da
te rimovi ogni tristezza; coll'impeto d'un salto verranno a
Lanka que' prodi scimi, e verranno 'a te portati sul mio
dorso que' due prestanti e valorosi, Ráma e Lacsmano, pari
alla luna e al sol nascenti; e spento Ràvano co' suoi seguaci,
il Raghuide togliendo te leggiadra e bella, se ne ritornerà alla
sua città. Perciò ti conforta e datti pace, e te ne sta aspet
tando il tempo; fra breve vedrai Rávano morto in battaglia
da Ràma; ed ucciso il re de' Racsasi co' suoi figli, ministri e
congiunti, tu t'unirai con Ràma, sì come Rohini con Luno.
Consolata così la Videhese, il Márutide Hanumat deliberato
oramai di ritornarsene, salutò la figlia di Ganaca.
68 RAMAYANA,

CAPITOLO LIV.

SALITA SUL MONTE ARISTA.

Messa ch'ebbe la città a soqquadro e afflitto Rävano, mo


strata la tremenda sua forza e salutata la Mithilese, il prode
e fiero scimio sollecito di riveder Sugrtva, suo donno, salì
sopra l'eccelso monte Arista, cinto da boschi opachi, inar
borati di rotlerie e di padmakasti, folto di palme, sàle e
shoree e d'altri alberi diversi, adorno di floride piante re
penti che si stendono in più viluppi, pieno di belve diverse
e ricco di vene di metalli, sparso d'acque cadenti e d'am
montate roccie, frequentato da grandi Risci, da Yaksi, da
Kinnari e da Gandharvi. Sopra quell'ampio monte salì l'al
tero scimio, eccitato da viva gioia di riveder prestamente
Ràma. Premute dalla pianta de' suoi piedi si dirompevano
con gran fragore e si sgretolavano le roccie su per gli ameni
rispianati del monte. Salendò su per quel monte sovrano,
per quindi slanciarsi dalla riva australe dell'Oceano all'op
posta sponda, vie più ingrossava il grande scimio; e per
venuto alla sommità del monte, il possente figlio del Vento
vide dinanzi a sè il mfare orrendo, ricetto di pesci e di ser
penti. -

Il Màrutide, eccelso fra i scimi si mise allora in punto


d'entrar nell'alta via del padre, come fa il vento nell'at
mosfera: e per la forte pressura dello scimio diede suono
l'alta montagna colle creature che v'hanno stanza, adiman
dosi nella terra. Co' suoi vertici che tremano o che dirupano,
il monte scosso da colui parea quasi traballare; e gli alberi
fiorenti, conquassati dall' impeto de' suoi femori cadevano
rotti a terra, come allor che il fulmine d'Indra li scoscende.
S'udiva, come s'odon talor mugghiar le nubi, un ruggito
orrendo di fieri leoni incavernati ed oppremuti dallo scimio;
si spiccarono ad un tratto dal seno della terra le Apsarase
colle lor vesti discinte e cadenti e coi loro ornamenti scom
pigliati; i Kinnari e gli Uraghi, i Gandharvi, i Yaksi e i
Vidyâdhari calcati e pesti, abbandonando il monte, si slan
ciarono su per l'aria; e più serpenti dalle lingue accese,
SUNDARACANDA, 69
venenati e immani, schiacciati per lo capo e per lo collo,
si dibattevano furenti. E il monte eccelso calcato dal grande,
e forte scimio, qua gemeva acqua, là vivo argento ed altrove
più altri metalli, e s'adimava nella terra, benchè altero co'
suoi alberi e colle sue cime.

CAPITOLO LV.

PARTENZA D'HIANUMAT.

Strepitando con gran fracasso, romoreggiando con romor di


nube, l'infaticato scimio s'immerse nel lago dell'aria intermi
nato, che ha invece di bianchi fior di loto la soave e candida
luna, in luogo di lo splendido sole, gli asterismi
Puscio e Srávano invece di fiori di Kadamba, strati di nubi
in luogo di strati erbosi; che ha per grandi pesci il segno
costellato di Punarvasu, e il pianeta Marte in luogo di grande
alligatore; di cui Airávata è l'elefante e Svâti il cigno che
ne turban l'acque; dove il cozzar de'venti è l'onda tem
pestosa, e i raggi della luna son l'acque tranquille e fresche,
dove i Bhuganghi, i Yaksi ed i Gandharvi son gli aperti
nelumbi e le ninfee.
Udendo quell'orribile fracasso d'Hanumat, furon lietissimi
i scimi, desiderosi di rivedere il loro amico; e il preclaro
scimio Gambavat coll'animo commosso da letizia, chiamando
Angada e tutti i Vànari, così lor disse: Hanumat, non v'ha
dubbio, ha ottenuto appieno il suo intento; chè s'ei non
l'avesse ottenuto, non verrebbe con tant'impeto. Sentendo
appressarsi allora il rovinfo di quel magnanimo e la foga
delle sue braccia e de' suoi femori, i scimi tutti esultanti
si levarono d'ogni parte, e pieni di gran baldore saltavano
di cima in cima su per gli alberi e di vetta in vetta per
lo monte , bramosi di veder Hanumat; e tutti lieti ei con
quassavano le cime e i floridi rami degli alberi ed agita
vano le splendide lor vesti. Affrettandosi intanto con mag
gior impeto e sentendo per la gioia raddoppiare la sua forza,
progrediva quel valoroso nel suo ritorno sovr'esso il mare; e
toccato colla mano l'eccelso monte Sunàbha, ei camminava ra
pidissimo, come strale che si spicca dalla corda. Il preclaro e
70 RAMAYANA.

grande scimio, viaggiatore aereo, se ne vien per l'atmosfe


ra, sede del vento, solcando quasi le dieci plage; ei se ne
vien come traendo dietro sè masse di nubi e spingendo un
bianco gruppo di nuvole che gli sta innanzi infra le brac
cia. Splendevano trascinate dallo scimio le grandi nuvole
di color tra bianco e fulvo, fosco e rosso; ed ei smovendo
que'viluppi di nubi, e più e più sempre progredendo or
visibile, or nascosto, somiglia alla luna in cielo. Fattosi via
più presso e già scorgendo l'alto monte, d'onde ei s'era di
partito, Hanumat mise un grido pari al mugghio d'una nube;
e tutti que' scimi veggendo il grande Hanumat venir per
l'aria, somigliante a un'ignea meteora, si posero in atto di
riverenza; e il velocissimo Màrutide, scendendo ratto sulla
vetta di quell'eccelso monte, si fermò appiè d'un albero.
Allora tutti que' nobili scimi, pieni di giubilo circondando
il magnanimo Hanumat, gli fanno folta intorno; e presi
favi di miele, frutti ed altri doni, onorano il prode scimio
Màrutide. Alcuni mettevan gridi di letizia, altri facevan cla
mori indistinti d'allegrezza, altri se ne stavano esultando
sopra i rami degli alberi. Il possente Hanumat salutò quindi
il vecchio G'ambavat, preclaro scimio e il giovine Angada,
ed onorato da que' due, come si conveniva d'onorarlo , e
venerato da tutti i scimi, disse con brevi parole quel valo
roso: « Fu da me vista quella donna ! »
Udite quelle parole del Màrutide, soavi come l'amrita e
di gran momento: « Fu veduta quella donna ! » si fecero
via più lieti i scimi. Chi grida, chi rimugghia, chi lascivisce,
chi si dimena; altri fanno clamor confusi d'allegrezza, altri
gran segni di giubilío; e tutti gongolando, altri drizzano,
altri dibatton la lor coda, qual ravvolta, qual lunghissima
e distesa. Alcuni di que' valenti scimi sbalzando dalle cime
del monte, toccano pieni di gioia lo scimio Hanumat, e chi
loda, e chi venera, e chi abbraccia il gran Màrutide, veg
gendoselo dinanzi tutto commosso da letizia; ed Angada ,
il figlio di Bâli abbracciatolo strettamente e presolo per la
mano, gli si assise accanto.
In un'amena region selvosa del gran monte Mahendra,
tutti que' prodi scimi letiziando fuor di modo ed intorniando
Hanumat, G'ambavat ed Angada lor duce, s'adagiarono so
SUNDARACANDA, 71
vr'ampie rupi; e postisi a sedere sulle grandi roccie di quel
monte, stavan tutti in cerchio d'ogni parte e composti a
reverenza, desiderosi d'udire come fu valicato il mare, come
furono veduti Lanka, Sità e Ràvano. Corruscanti negli
occhi per letizia, taciti, attenti e fisi, tutti que''Vànari stavano .
là colla faccia intenta alle parole d' Hanumat. Fra essi ri
splendeva il nobil Angada, circondato da molti scimi, come
è corteggiato da molti Dei il Diosovvertitore di città (Indra)

CAPITOLO LVI.

RACCONTO D'HIANUMAT.

Allora l'ottimo scimio G'ambavat interrogando il figlio


del Vento intorno ai casi della sua impresa, così gli disse:
Come fu da te veduta Sità, la consorte diletta di Ràma?
come si comporta verso lei quel fiero Ràvano? parla, parla,
o prode scimmio; narraci ogni cosa a punto. Udito che avremo
come sta il fatto, delibereremo poi nuovamente intorno a
ciò che convenga fare. Tu hai nella tua mano una gemma
lucente e chiara; fu dunque da te veduta Sità; orvia, narra
ogni cosa a noi che te ne preghiamo; quel che noi dovrem
dir tornando al saggio Ráma, quel che là converrà far ma
nifesto, tu a noi qui l'apri.
Così interrogato da G'ambavat coll'assenso di tutti i scimi,
il prestante Márutide prese a narrare il fatto qual egli av
venne. Com' io al vostro cospetto mi spiccai dalla cima del
monte Mahendra, con desiderio d'approdare all'altra riva
del magnanimo Oceano, i Devi coi Gandharvi, coi Càrani
e coi Vidyàdhari, stando sui loro celesti carri e empiendo
l'aria, mi celebrarono con lodi. In quel mezzo giù da basso
una Racsasa deforme e smisurata spalancando una bocca enor
me, mi corse incontro; ed ingombrando col suo corpo l'aria,
mi disse: Io ti divoro. Veggendomi dinanzi quella Racsasa
somigliante ad una nube, turbato alquanto da timore, così
le dissi: V'ebbe un re per nome Dasaratha, possente si
gnor d'Ayodhyà; il figlio primogenito di colui , per nome
Ràma, entrò con Lacsmano e con Sità nella selva Dandaca
per adempiere il comando del padre. Colà la sua sposa, fu
72 RAMAYANA,

dall'iniquo Rävano venuto in contegno di Muni, rapita sul


Ganasthàna e rinchiusa dentro Lanka. Io ne vado a colei
e son messaggier di Ràma, o Racsasa; come avrò veduta
Sità e recata ad effetto la mia impresa, io ritornerò, o ter
ribil Racsasa, a te lo giuro sulla mia fede; ed allora tu
potrai divorarmi a tua posta. Udite quelle mie parole, non
volle ella prestarmi fede : Non m'aggrada, ella rispose, che
tu vada nè che tu torni, nè che il tempo così fugga; io
pur qui voglio ghermirti e divorarti; entra or via nel mio
ventre. Allora le dissi io con ira: Spalanca or dunque la
tua bocca sì ch'io v'entri. Ed ella guardando alla mia gros
sezza e strepitando orrendamente , aperta una bocca larga
dieci yogani, si fermò dinanzi a me. Vedutala grande dieci
yog'ani, io mi feci grosso venti; ma vistomi cresciuto a
venti, ella crebbe a trenta; come la vidi sì ingrandita, io
ingrossai quaranta, ed ella vedendomi sì ingrossato, si fe
grande cinquanta; a quella vista io m'ingrossai sessanta
yogani, ma ella, ciò mirando, ingrandì settanta; io mi dila
tai allora ottanta, ed ella veggendomi così fatto, si fe ampia
novanta yogani; allor io mi distesi fino a cento, e la Rac
sasa veggendomi cresciuto a tal misura, spalancò essa pure
una bocca ch'era larga cento yogani. Ma ella veggendo allora
ch'io prevaleva per la virtù della mia possanza, fermata ai
cento la sua bocca, così mi disse: Or basti questa tua fa
tica; entra or via nel mio ventre.
Io riguardando quivi la sua bocca spalancata ed ampia
cento yogani, raccolto l'animo e fatto snello come una lo
custa e ridotto il mio corpo alla grossezza d'un pollice,
entrai nel suo gran ventre; ed ella chiuse allora coi denti
e colle labbra la sua bocca. Veduta serrata la bocca, io pe
netrando per l'orecchio destro, me ne uscii fuori per esso;
e stando su per l'aria, così le dissi sorridendo: Sono en
trato nella tua bocca, o figlia di Dacsa; or io ti saluto; e
me n'andrò felicemente alla Videhese; sia verace la tua pa
rola. Contenta a que' detti quella divina, così mi rispose:
Io mi nomo Surasa, o eroe; e qui venni mandata dagli Dei
per far prova della tua possanza e del tuo valore; sono
contenta di te, o prode e forte scimio figlio del Vento; or
vanne, o amico, a compiere la tua impresa, e ritorna vit
SUNDARACANIDA. 73
torioso. Vinci quel nemico potentissimo; perocchè tu sei
saldo ed invincibile. Io qui venni per conoscerti e pesare
la tua possanza; ma tu sei forte, o scimio e di valore in
comparabile. Sia tu felice! or io me ne ritorno alle sedi
d'Indra.
Poich'ebbe così detto, quella divina se ne tornò alla sua
propria sede. Allora i Devi, i Gandharvi, i Siddhi e i grandi
Risci versando una pioggia di fiori, esclamaron: Bene! Bene!
Veduta, o prode, la forza maravigliosa da te mostrata sul
monte Mahendra, e questa tua altissim'opra fornita con Su
rasa, noi siam di te contenti, o eroe; sia tu felice e vitto
rioso! Ricongiungi Ráma colla Videhese; fa cosa cara al
tuo signore.
Ciò detto, se ne tornarono gli Dei, ciascuno alla sua sede.
Partitisi i Devi, io con animo esultante e con forza irre
sistibile, guardando il vasto Oceano , mi slanciai come fa
il vento, e rapido qual saetta me ne andava con gran foga
solcando l'aria, che somiglia all'acque marine. Mentre io
così camminava, mi si parò innanzi un grande e fiero in
toppo; io vidi un divino ed alto monte con auree cime
starsi in mezzo il mare, come ostacolo alla mia via. Ap
pressatomi a quell'alto monte divino ed aureo, io pensai
fra me: « Convien fendere questo gran monte ». Ed essendo
egli di botto da me percosso colla mia coda, si ruppe in mille
parti la sua cima lucente come sole. Conosciuto quel mio
proposto, il monte con voce soave e consolatrice mi chiamò
figlio e sì mi disse: Sappi ch'io sono un amico di Màruta
(il. Vento) tuo padre e pari ad esso; io mi nomo Sunàbha
e me ne sto qui fra l'Oceano. Un dì, o figlio, erano alati
i monti altissimi e pèrcorrevan la terra liberamente, dando
travaglio ai pi asceti. Ma il venerando e grande Indra di
struttor di Paca udendo quel continuo errar dei monti, tagliò
loro le ali col grave suo fulmine; ma io, o caro, fui allor
salvato dal magnanimo tuo padre Màruta e sommerso giù
nel mare. Io pure, o prode, deggio adoperarmi in pro di
Ràma; onde qui ti riposa, cibandoti di frutti; poi ti ravvia
al tuo cammino.
Udite quelle parole di Sunâbha, io narrai in succinto al
monte tutta l'importanza della mia impresa, e il magnanimo
74 RAMAYANA,

Sunàbha mi congedò. Affrettandomi allora quanto più po


teva , mi diedi a fornire il restante del mio cammino, ed
andando rapidissimo per la mia via nell'aer sereno, mi sento
ad un tratto rattenuto come per forza, e non veggo alcun
che mi rattenga. Perduta la mia lena, io mi diedi a riguardar
le dieci plage, e non discerno cosa alcuna , da cui mi sia
impedita la via. Quindi io fra me pensava: Qual nuovo in
toppo è egli mai sorto al mio cammino qui, dove è invi
sibile ogni forma viva? E pur tentando di progredire, io
avvallo in quella il mio sguardo e veggo giù un'orrenda
Racsasa in mezzo l'acque. La qual ridendo con gran ca
chinni, mi disse con voce orribile queste crude parole, im
perturbate e ferme: Dove andrai tu, o animal membruto,
ch'io sto qui guatando tutta affamata? Per buona ventura
alfine mi sei tu dal magnanimo Brahma concesso in cibo. Or
ben, così pur sia ! risposi io assentendo a que' suoi detti; ed
ingrossato il grande mio corpo, ne empiei ad un tratto il corpo
di colei. La sua bocca orrenda e smisurata era larga cento
yogani, e punto non s'accorse colei imperterrita ch'io m'era
tanto dilatato. Io allora in un batter d'occhio, rimpiccolito il
vasto mio corpo e squarciato il cuore di quella Racsasa balzai
fuori su per lo cielo. Ella mettendo feroci gridi, cadde giù
nell'acque marine, somigliante ad un monte che rovini, colla
bocca e col cuore lacerati. Io udi in quel punto su per
l'aria voci di magnanimi che van per l'etere e che dicevano:
« Prestamente fu da Hanumat messa a morte Sinhika, la
turpe Racsasa! » Uccisa colei, io pur pensando all'ardua mia
impresa mi ravviai per l'aer puro con foga pari alla foga
del vento. E progredito per lungo cammino, pervenni alla
riva australe dell'Oceano, coronata di monti dove è Lanka,
la gran città. Declinato all'occaso il sole, io entrai nella
città, sede dei Racsasi, inosservato dai suoi fieri abitatori;
e cercata colà per tutta la notte la figlia di G'anaca e pe
metrato nel gineceo di Ràvano, pur non vidi quella donna
leggiadra. Non ritrovando la Videhese nella sede del re di
Lanka , io caduto in un mar d'affanni, non ne vedeva il
termine. In quella io adocchiai un bosco chiuso nella città
ornato e bello, cinto da un aureo vallo maraviglioso; perve
nuto a quel ricinto, io vidi un mirabile giardino d'asoki den
SUNDARACANIDA, 75,
samente inarborato, somigliante al Nandana del magno Indra.
Nel mezzo di quel giardino v'aveva un grand'albero d'asoka;
salito su quell'albero, scopersi un aureo boschetto di kadali,
e poco discosto dall'asoka vidi quella donna venusta, in veste
gialla, dagli occhi simili a foglie di nelumbi e dimagrata
dal digiuno; era essa circondata da Racsase deformi e crude,
lorde di carni e di sangue, sì come da tigri una giovenca.
Vista una tal donna oppressa dall'angoscia e dall'affanno,
io me ne stetti acquattato a guisa d'augello su quell'albero
d'asoka. Ed ecco udii venir dalla casa di Rávano un gran
frastuono, misto con suon di cinture e d'ornamenti. Io allora
forte commosso, rimpiccolito nuovamente il mio corpo, mi
rimasi appiattato su quell'albero ed intento a veder che ciò
fosse. In quella giunse al luogo custodito dalle Racsase il
possente Rávano colle sue donne; e veggendo quel fiero
Racsaso, la leggiadra Sità, raccolte le sue vesti e stringen
dole colle sue braccia, se ne stette colà ferma. A quella
donna dolentissima così disse Rávano, abbassando il capo
ed inchinandosi: Abbimi in pregio, o donna; che se tu per
orgoglio, o stolta, di me non curi, oltrepassati due mesi,
io berrò caldo il tuo sangue.
Uditi que' detti del fiero Ràvano, Sità accesa di grand'ira
rispose parole conformi alla sua natura: Come non ti cade
la lingua, o iniquo, mentr'osi dir parole sconvenienti alla
consorte di quel magnanimo, difensor della stirpe d'Icsvacu?'
E qual è la tua prodezza, o vile, che qui m'hai condotta
di nascosto al mio sposo e non pur veduto da quel ma
gnanimo? Non ti vergogni, o iniquo, d'aver fatto un' opera
vile? Il Raghuide mio sposo è osservator della sua fede,
adempitor dei sacrifici e prode nelle battaglie; tu non sei
pur degno d'essergli servo; a che più parli? Se tu avessi
osato rapirmi in sua presenza, ti sarebbe pur toccata la
sorte di Viràdha.
A quell'aspre parole della figlia di G'anaca arse Ràvano
subitamente d'ira, come fuoco che divampa, e volgendo i
terribili suoi occhi e sollevando il destro pugno, quasi fu
per uccidere la Videhese; ma ne venne impedito dalle sue
donne. E levatasi in mezzo ad esse la splendida sposa di
quel reo, per nome Mandodari, fu da colei allontanato; ella
76 RAMAYANA,

gli andò allor dicendo parole soavi e blande: Che vuoi tu


far di Sità, o re possente al pari d'Indra? Tu hai qui le
figlie dei Gandharvi, le donne dei Racsasi e dei Yaksi; ti
diletta insieme con esse; che ti cale di quella Sità? Quindi
da quelle donne insieme accolte levato a forza, fu ricon
dotto il forte Racsaso per quella via, ond'era venuto.
Come si fu partito Ràvano , le turpi Racsase si diedero
a minacciar Sità con parole orrende e crude: ma la figlia
di Ganaca non stimò un fico i loro detti; e udendo i vani
lor clamori, punto non s'attristò. Inutilmente urlano quelle
Racsase deformi, e spossate se ne vanno ad annunziare
a Ràvano il fermo pensier di Sità; perduta alfine ogni spe
ranza, lasse e triste s'abbandonano vinte al sonno, stando
intorno a quella donna. Come si furon esse l'una dopo l'al
tra addormentate, Sità intenta al ben del suo sposo, dolente
e misera, pietosamente lamentando, diè sfogo al suo dolore.
Io guardando allora a quell'orribile condizion di Sità, stava
fra me pensando: « Come farò io per parlarle? » E mi venne
pensato un modo di parlare alla figlia di Ganaca, col darmi
quivi a lodare la regale stirpe d'Icsvacu, di cui Ràma è onore
e pregio. Udendo quelle oneste parole da me proferite, tutte
piene delle memorie dei re Sapienti, Sità cogli occhi pregni
di lacrime mi rispose: Chi sei tu? d'onde vieni? e come
sei tu qui giunto, o nobil scimio? Come hai tu amicizia con
Ràma? Ti piaccia narrarmi qui ogni cosa. --

Invitato da colei, io composto a reverenza presi a nar


rarle per disteso e con belle parole la lega di Râma con
Sugriva: O donna, il fortissimo re de' Vànari, per nome Su
griva, di terribile possanza è amico di Ràma tuo consorte.
Sappi ch'io son suo ministro e mi nomo Hanumat; fui
mandato a te dal tuo sposo, dall'invincibile Râma; e quel
l'uom sovrano, onor della stirpe d'Icsvacu mi diede, o Mi
thilese, per contrassegno quest'anello; ond'io desidero, o
donna, che tu m'imponga i tuoi comandi; che cosa debbo
io fare? Se tu il vuoi, io ti porterò ai piedi di Ràma.
Ciò udendo e riguardandomi, mi rispose la figlia di Ga
naca: Mi tolga di qui il Raghuide, dopo aver distrutto Rà
vano. Io inchinando allora il capo dinanzi a quella donna
gloriosa e grande, le domandai un contrassegno che fosse
SUNDARACANDA, 7
cagion di gaudio a Ràma. E quella graziosa da me richiesta
mi consegnò tutta turbata una gemma nobilissima e mi com
mise gli ordini suoi. Inchinatomi quindi a Sità tutto raccolto
e giratole intorno da man destra, rivolsi l'animo al mio ri
torno. Allor quella nobil donna mi soggiunse nuove parole
interrotte dalle sue lacrime: Racconta, o Hanumat, i miei
casi, e fa sì che, udendoli, si movan presto al mio soccorso
quei due prodi Ràma e Lacsmano, uniti con Sugriva. Ove
altramente andasse la cosa, sappi ch'io non vivrò più che
soli due mesi; se infra quel termine non mi rivede Râma,
io qui mi morrò di dolore. -

L'udir que' detti pietosi tutto m'inebriò d'angoscia; ma


io guardai allora a quel che ancor rimaneva a farsi della
mia impresa. Si dilatò in quel punto il mio corpo e divenne
simile ad un monte; ond'io desideroso di far battaglia, mi
diedi a schiantar quel bosco; e fu messo a soqquadro quel
boscato e sbaragliati augelli e belve.
Le turpi Racsase risvegliate poser mente a quel trambusto,
ed accorrendo d'ogni parte e veggendo me sì baldo e fiero,
m'andarono alcune prontamente ad annunziare a Rávano
quel che avveniva: O re, il divino tuo bosco tutto quanto
fu schiantato da un ribaldo; ed il nobile edificio (ceitya)
che soverchia ogni altro abituro, fu da uno scimio diroc
cato; ordina, o re, che sia prestamente messo a morte quel
scelerato che osò farti tanto sfregio, sì ch'ei ne vada a per
dizione. Ciò udendo, il re di Lanka spedì Racsasi, per nome
Kinkari, di gran forza e duri a vincere. Di que' Racsasi
armati di scuri e d'aste io sconfissi con una clava più mi
gliaia colà in quel recinto della selva; e coloro che pur
furon salvi, corsero a dire a Råvano che era stata scon
fitta quell'oste in una gran battaglia. A quell'annunzio il re
de' Racsasi mandò contro di me i figli de' suoi ministri,
guerrieri ardenti, accompagnati da pedestri squadre; ed io,
ripresa la terribile e ferrea mia clava, ruppi tutti que' Rac
sasi coi lor seguaci. Udendo coloro disfatti, l'eccelso Ràvano
spedì G'ambumàli, il prode figlio di Prahasta; e pur quel
Racsaso fortissimo ed esperto di battaglie e con esso lui la
sua schiera io disfeci colla mia clava poderosa. Come udì
essere stato ucciso in battaglia quel giovane robustissimo,
78 RAMAYANA,

Ràvano mandò cinque prodi duci di schiere. Ed io, rotti que'


guerrieri colle loro squadre, avido di pugna e imbaldanzito,
custodisco animoso il campo di battaglia. Ràvano mandò in
quella il guerriero suo figlio Aksa, circondato da più altri
Racsasi. Spento pur quel fiero Racsaso con tutta la sua
schiera, io vie più baldo nella battaglia desiderava pur
di combattere. Allora il re di Lanka mandò con molti
Racsasi il fortissimo suo figlio, l'eroe Indragit. Visto colui
dinanzi fermo, io tutto mi rallegrai; perocchè Ràvano
mandò pien di fiducia quel prode con molt'altri valorosi,
tutti superbi di lor forza. Ardente d'ira io ben scon
fissi con gran fracasso la schiera d' Indragit; ma quel
malavveduto cercò di legarmi col telo di Brahma. Visto
poi che io non poteva esser legato da quel telo, si diede
a vincolarmi con funi; e presomi con forza, mi condusse
innanzi a Ràvano.
Veggendomi, m'interrogò l'iniquo Råvano; ed io gli an
nunziai che era messaggier di Ràma. Egli allora comandò
ch'io fossi morto. Ma sentito il decreto di morte pronun
ziato dal reo Ràvano, un suo fratello di gran consiglio, per
nome Vibhisana, pregò per me il re de' Racsasi, e gli disse:
Non è consentita, o re, la morte d'un messaggiere, bensì
il batterlo e il disformarlo. Allora Ràvano pien d'ira disse
a que' Racsasi fortissimi: S'arda dunque immantinente la
coda di costui. Udite tali parole, que' malvagi fasciarono la
mia coda con corteccie di canape e con tele di bambagia, ed
untala con adipe, v'appiccarono il fuoco; poi facendo gran
schiamazzo, vennero alla porta della città.
Quivi io, rappiccinito il grande mio corpo e gettati via
i miei legami, tornai nel mio esser naturale; e dato di pi
glio ad una clava e postomi sulla porta della città, sbara
gliai, levandomi, que' Racsasi per ogni parte; e impertur
bato arsi, appiccandovi il fuoco colla coda accesa, la città co'
suoi terrazzi e colle sue porte, sì come arderà le genti il
fuoco del finimondo. Ma incesa la città, mi nacque un nuovo
sospetto: « Fu arsa Sità, non v' ha dubbio; io ho fatto
un' opera insensata ». Ma io udii in quel punto voci di
C'àrani che van per l'aria e che dicevano: « La città è
tutta in fiamme; ma fu preservata Sità ». Tutto questo io
SUNDARACANDA, 79
recai ad effetto per la possanza di Ràma, per la virtù asce
tica di Sità e per far cosa cara a Sugriva; ed a voi l'ho
qui narrato conforme al vero; or s'adempia tosto ciò che
ancor rimane a farsi.

CAPITOLO LVII.

LODI DI SITA,

Com'ebbe così narrato ogni cosa, il Márutide Hanumat


prese di nuovo a dire alte parole: Ottennero il lor frutto
il perseverante conato di Ràma, la sollecitudine di Sugriva,
l'alta virtù di Sità e il grande mio tragitto. Tale, o prodi
scimi, è la virtù della nobil Sità, che ella potrebbe colla sua
possanza ascetica sostenere il mondo, e l'arderebbe eziandio
irata. Ben si può dire oltrapossente quel Ràvano re de' Rac
sasi, il cui corpo, toccando quella donna, non si ruppe in
cento parti. Così non arderebbe la fiamma di fuoco toccata
con la mano, come farebbe la figlia di Ganaca infuocata
dall'ira. Ella se ne sta oltre ogni dir dolente appiè d'un
albero d'asoka nel mezzo del bosco degli asoki del crudo
Rávano, circondata dalle Racsase, oppressa dal duolo e dal
l'affanno, ella figlia di re, bella e prima fra le donne devote
ai Ior consorti. Perocchè la Videhese è tutta devota a Ràma
ed a lui raccolta con tutta l'anima, nè ad altro pensa fuor
chè a Ràma, come fa Paulomi ad Indra. E quella Sità sì
dedita all'amor del suo sposo se ne sta ora avvolta in una
sola ed unica veste, coperta di polvere e miseramente af
flitta dall'angoscia e dal dolore. A gran pena io potei ap
pressarmi a confortare quella donna dagli occhi di tenera
cerva, circondata da turpi Racsase in un giardino di diletto
ed assiduamente da loro aspreggiata, quella donna sconso
lata, la cui chioma è ravvolta in una sola treccia e il cui
pensiero è sempre fiso al suo sposo, che se ne giace sco
lorata sulla nuda terra, come un vago fior di loto al soprav
venir della fredda stagione, e il cui animo abborre Rávano
ed ha proposto di morire. Pur nondimeno io m'abboccai
con essa e le manifestai ogni cosa appieno; ed ella udendo
l'alleanza di Ràma e di Sugriva, ne sentì giocondo gaudio.
80 RAMAYANA,

Ben può chiamarsi magnanima colei che nel suo dolore


mantien costanti le pie sue osservanze e il suo proposto ed
un supremo affetto al suo sposo. Così se ne sta colà l'ec
celsa Sità, tutta immersa nel suo affanno. Or si stabilisca tutto
ciò che s'ha qui a fare.

C A PIT O L O LVI II.

DISCORSO D'ANGADA.

Udite quelle parole, il figlio di Báli così parlò al prestante


Gambavat, ad Hanumat e a tutti coloro: Qr essendo in tali
termini la cosa ed a voi qui significata, qual altro v'ha fra noi
che sia disposto ad andarne a ritrovare la regale Videhese? Io
ben potrei tutto solo conquider Rávano, e la città di Lanka
con tutti i suoi abitatori; or quanto più il potrei unito con voi
tutti fortissimi e donni di voi stessi, esperti nell'arme ed atti
ai grandi salti ed avidi di vittoria! Io sì spegnerei Ràvano
in battaglia colle sue schiere e i loro duci, co' suoi figli, con
giunti e amici; io dissiperei il divino telo di Brahma e quel
del Vento e quel di Varuna e quant'altri teli irresistibili in
battaglia possiede Indragit, e porrei Rávano a morte; il solo
vostro non consentire è ostacolo alla mia forza. La pioggia
di dardi saettati dalla forza del mio braccio sperderebbe in
battaglia pure i Devi, quanto più i Racsasi nottivaghi!! E
ben potrà l'Oceano olrepassare i suoi confini, potrà vacillare
il monte Mandara; ma non mai un'oste nemica farà tremar
Gambavat in battaglia. Questo G'ambavat prestante disper
derà tutto solo la turba intiera de' Racsasi e quei che sono
e quei che furono. L'impeto de' femori di Panasa e del
magnanimo Nala romperebbe eziandio i monti, non che i
Racsasi in battaglia. Fra i Devi, gli Asuri ed i Yaksi, fra
i Pannaghi e gli Uraghi non si troverebbe, io penso, un
emulo di Dvivida e di Meinda. Quei due eccelsi e prodi
scimi figli degli Asvini se ne vanno tutti altieri per l'or
goglio del dono ricevuto dal gran Genitore; chè per onor
degli Asvini il gran Genitor di tutto il mondo fece a que'
due eroi il dono incomparabile di non poter da alcuno
essere uccisi; e per l'orgoglio di quel dono que' due forti
SUNDARA CANDA, 8l
scimi, superato un dì un grande esercito divino bevvero
l'amrita dei Devi. Onde quei due accesi in ira subbisseranno
l' inaccessa Lanka piena di Racsasi co' suoi cavalli, carri
ed elefanti. Quando noi avrem riconquistata la divina fi
glia di G'anaca dai neri occhi, allora sì sarà bello il ritor
mare al magnanimo Raghuide; ma andare ad annunziargli
che fu veduta Sità e non ricondotta, sarebbe un vano ru
more, indegno di chi ha forza, possanza ed eroismo; ma ben
è degno il vanto della forza, quando è congiunto con nobile
prova; e nessun di voi, o prodi scimi, pari nel mondo ai
Devi e ai Daityi, si sente atto a valicar l'Oceano e a mo
strar la sua possanza? Vinta Lanka co' suoi Racsasi,spento
Rávano e tolta per forza Sità, noi, ottenuto il nostro intento
e tutti lieti, ricondurremo innanzi a Râma e a Lacsmano
la figlia di Ganaca. A che più tormentarvi, o prodi scimi?

C A P IT O IL O L IX.

ANDATA ALLA SELVA DEL MIELE (MADHUVANA).

A quelle parole d'Angada così rispose Gambavat: Non


è ottimo consiglio quel che tu parli, o generoso e forte. A
noi fu imposto dal re de' scimi e dal saggio Râma di cercar
tutta la grande regione meridionale, ma non di vincere com
battendo. Come mai si contenterà il Raghuide sovrano, che
sia stata da noi conquistata Sità, avendoci pur egli mani
festato l'alta sua stirpe, e il suo intento? Posciachè quell'uom
regale protestò in presenza di tutti i scimi più cospicui di
voler riacquistar Sità egli stesso, come sosterrà egli che sia
resa vana la sua parola? Noi dopo aver fatto una grand'opera,
non n'otterremo alcuna lode ed avrem mostrata invano la
nostra forza, o egregi scimi. Onde andiamcene colà dove se
ne stanno Ràma e Lacsmano e Sugriva dalle grandi brac
cia, e raccontiam loro come sta il fatto.
« Bene! Bene! » così dicendo tutti que' scimi, mostrarono
di gradire la partenza, e spiccatisi immantinente dalla vetta
del monte Mahendra, s'avviarono a salti e a balzi d'ogni
parte. Que' fortissimi e membruti, fatto lor capo Hanumat,
oscuravano quasi l'aria e parevan succhiar cogli occhi il
VOL., III. 6
82 RAMAYANA,

prode Hanumat, eccelso e nobil scimio, onorato da ogni


creatura. Pensando al compimento dell'impresa di Ràma,
alla gloria suprema del lor signore, felici ed esultanti del
lieto lor successo, eran tutti que' scimi bramosi d'annunziar
la cara novella, tutti anelanti con gioia alla battaglia, tutti
intenti e risoluti di far quanto è caro a Ràma.
Quegli abitator delle foreste camminando con gran salti
e ingombrando l'aria, pervennero indi a poco ad una selva
folta d'alberi e di piante repenti, pari al Nandana celeste, alla
selva di Sugriva spessa e fitta che si noma Madhuvana, in
violabile ad ogni creatura, gioconda all'animo di tutti, e che
assiduamente custodisce lo scimio Dadhimukha dalle grandi
braccia, zio materno del re de' Vànari, del magnanimo Su
griva. Pervenuti colà e veduta quella selva del re de' scimi
dilettosa e cara all'animo, furono tutti in allegrezza, e ri
guardando lieti quella gran selva Madhuvana, que' scimi
preceduti da Gambavat fecero domanda ad Hanumat di
fruirne, il quale appressatosi ad Angada, così gli disse: Ti
piaccia accordare un favore a noi che abbiam condotto a
termine il nostro assunto; ed Angada con voce soave lodando
Hanumat, gli rispose con detti affettuosi: Di' quel che tu
desideri. Udendo quelle parole d'Angada, il Màrutide Ha
numat in un co' suoi congiunti così parlò con allegrezza:
Quest'inviolabile selva del miele, ben custodita e incom
parabile, che già fu di tuo padre, tu concedila ora in dono,
arduo per noi ad ottenere, a questi prodi scimi, o regal
Angada.

C A P IT O L O IL X.

SCHIANTO DELLA SELVA DEL MIELE (MADHUvANA).

Udita la domanda d'Hanumat, il duce de' scimi Angada


gli rispose: Suggano a lor voglia il miele i scimi; vuolsi
ad ogni modo far ciò che dice il saggio Hanumat che recò
a fine una sì ardua impresa, foss'anche cosa da non doversi
fare; or quanto più una simil cosa! Raccolte quelle parole
cadute dalla bocca d'Angada, i scimi pieni di gioia gli fe
cero grande onoranza, esclamando: Oh bene! Oh bene ! ed
SUNDARACANDA. 83

la gl avuta da lui licenza ed onorato Angada lor duce, que' scimi


i Rilli tutti esultanti se n'andarono in frotta coi loro capi alla selva
tanti di Madhuvana a succhiarvi il miele, mostrando gioia inesti
nnunti mabile, perchè s'era pur veduta la Mithilese e s'era udita
di lei novella. Tutti que' duci di scimi licenziati dal giovane
, i ed avveduto figlio di Bàli, saltando dentro quella selva per
ran si ordine d'età, s'aggrapparono agli alberi stillanti sughi melati;
e tutta scrollarono in vari modi la bella selva Madhuvana, e
ma sl
sl, li pigliando fra le braccia favi di miele della misura d'un drona,
allà, il li spezzano esultanti e mangiano e bevono ingordamente. Di
vorando que' favi odorosi e pieni di suco, imbaldanzirono
ed que' scini e divennero tutti smanianti; alcuni dopo aver
grfi
m0 S
bevuto a loro posta, battono i custodi della selva; altri im
perversando si gettano di rimbecco gli avanzi di quel miele ;
si chi si convolge appiè degli alberi, chi rimpinzato e lasso
e il si giace sovra strati di foglie. Fatti baldi dal miele bevuto,
sini
mal li folleggianti ed ebbri fanno que' scimi chi grasse risa e chi
baruffe. Questi battonsi a palme e danzano a modo di gio
e fi ianti, quelli inebbriati dal miele si stan giacendo sulla terra,
ott ed altri colla faccia immelata e bruma sconquassando gli
ml alberi e la selva , suggono favi, sì come ancor non sazi.
he
Qual canta, quale parla, quale danza e quale ride; chi stre
, - pita, chi beve, chi dorme e chi favella. Questi s'accolgono
e711 l'uno all'altro, quelli cadono giù ebbri dalla cima degli alberi,
collº ed altri con impeto veemente si slanciano pur da terra su
010
per le vette arboree. Chi sen va ridendo all'indietro, chi
ga traboccando se ne va sovr''un che dorme, chi sen va subita
mente ad un che cammina innanzi, chi se ne va piangendo
ad un che piange. L'oste de' scimi era tutta sgominata, e
per lo ber del miele insanita nell'animo e negli atti; niun
v'era colà che non fosse ebbro, nessun che non fosse sazio.
In quella lo scimio, per nome Dadhimukha, veggendo
quella selva divorata, schiantati le foglie e i fiori degli al
beri, si diè a respingere que' scimi. Ma assalito con minaccie
da quegli insani, il fiero custode della selva, vecchio fra i
prodi suoi compagni, si diede a pensar per qual mezzo ei
potrebbe difender la selva dai scimi.
84 RAMAYANA,

CAPITOLO LXI.

DADHIMUKHA RESPINTo.

Com'ebber bevuto miele a lor voglia, facevano i scimi


grandi schiamazzi. Altri se ne stavano seduti, altri andavano
attornò insani ed ebbri, ed altri se ne stanno a lor agio
sopra i rami degli alberi e si fanno rimbrotti a vicenda e
lasciviscon l'un coll'altro. Quivi i scimi, benchè respinti,
punto non si curano dei custodi della selva che stanno là per
comando di Dadhimukha; i quali strascinati per forza di brac
cia, percossi e malmenati si diedero a fuggir per ogni parte,
e venuti innanzi a Dadhimukha, così gli dissero spaventati:
O scimio, la selva del miele fu tutta guasta da Hanumat,
da Angada e dagli altri lor compagni; or tu provvedi tosto,
a quello che qui si convenga fare; chè noi fummo malme
nati e tratti a terra sulle ginocchia. Forte irato Dadhimukha,
capo dei guardiani della selva, all'udir devastato il Madhu
vana, pur confortò que' scimi: Orsù, ei disse, venite, accor
rete! andiamo e saprem ben noi respingere a forza que'
scimi arroganti che divoran questo miele squisito. A quelle
parole di Dadhimukha que' forti scimi ritornarono insieme
con lui al Madhuvana. Nel mezzo d'essi e unito con loro
correva impetuoso Dadhimukha, brandendo un albero enor
me, e gli altri suoi compagni, dato di mano ad alberi, a
sassi, a piante repenti, correvano pieni di rabbia là dove
stavano que' prodi scimi; ed avendo fermi dentro l'animo
i detti del loro capo, que' valorosi armati di sassi, di palme
e di shoree corsero sopra gli scimi. Ma questi, visto venir
Dadhimukha irato, gli si mossero incontro irati ei pure ,
capitanati da Hanumat; e il fortissimo Angada colle sue
braccia afferrò pien di sdegno con tutto l'albero il robusto
Dadhimuka che gli veniva incontro impetuoso; ma, benchè
accecato dall'ebbrezza, pur ebbe pietà di lui rammentandosi
che egli era suo avo; pur nondimeno con subito impeto
tutto lo infranse a terra.
E quel fortissimo e prode scimio, fracassato le braccia,
la testa e i femori, sbalordito e insanguinato stette un mo
SUNDARACANDA. 85
mento come tramortito. Ma riavutosi, tutto cruccioso si diè
quel forte, zio materno di Sugriva, ad allontanar que' scim
or con dolcezza or con violenza. Ad alcuni ei diceva blande
parole, altri, secondo che più conveniva, ei batteva colle
palme delle mani; cogli uni, raggiungendoli, egli facea scher
maglia, ad altri pur non s'accostava. Ma da que' scimi in
sieme accolti, arditi e baldanzosi, fatti indomiti dall'ebbrezza
e da lui respinti con quanto avea di forza, ei pur veniva
senza riguardo tirato e strascinato. Tutti uniti ei lo graf
fiano coll'unghie, lo mordono coi denti, lo batton con calci
e con palmate, e non lasciano scampo alcuno a quel robu
sto e grande scimio.

CAPITOLO LXII.

PAROLE DI DADHIMUKHIA.

Disbrigato a gran pena da que' scimi e ritrattosi in dis


parte, così parlò Dadhimukha ai suoi servi sopraggiunti:
Venite, o scimi; andiamo là dove dimora il donno di noi tutti,
Sugrfva dalla gran cervice insieme col saggio Ràma, e rac
contiamogli incontanente il grave misfatto d'Angada; chè
udendoci, colui sì pronto allo sdegno non soffrirà un tale
oltraggio. Perocchè il Madhuvana è la mirabile e avita selva
tanto cara al magnanimo Sugriva e non mai violata nè pur
dai Devi; egli saprà punire con aspro castigo con tutti i
loro amici questi scimi ghiotti di miele che cercano la lor
morte; chè s'hanno pur ad uccidere questi malvagi rompi
tori de' regi comandi, e li farà tutti porre a morte il re
sdegnato di tanta ingiuria.
Ciò detto, il forte Dadhimukha, duce e custode della selva
se ne partì con tutti que' scimi; e in un batter d'occhio
quel viator delle foreste pervenne là dove stava Sugriva con
Lacsmano e con Râma; e tosto che vide il Raghuide, Su
griva e Lacsmano, discese dall'aria sulla terra che è sostegno
di tutte le cose. Come fu disceso, quel fortissimo scimio,
capo de' custodi della selva, circondato da tutti i custodi e
con volto turbato, giunte le mani sulla fronte, premeva colla
sua testa i nitidi piedi di Sugriva.
86 RAMAYANA,

CAPIToLo LXIII.
RAGGUAGLIO DI DADHIIMUKHIA.

Ma il re de'Vánari veggendo prostrato in terra col capo


a' suoi piedi e tutto sbigottito quel Vánaro, così gli disse:
Sorgi, sorgil perchè sei tu caduto a' miei piedi? io ti do
sicuranza , o prode; dimmi soltanto il vero. Che vuoi tu
parlarmi sì affannato? di' su il desiderio che hai nell'animo.
Va egli tutto bene nel Madhuvana? bramo saperlo, o scimio.
Sorgendo allora, il saggio Dadhimukha così rispose: Quella
selva, o re, che non fu mai violata per l'addietro nè dal
signor degli orsi, nè da te, nè da Bàli, fu devastata da' tuoi
scimi. Angada ed Hanumat con tutti quegli altri che li se
guono , veduti i bei favi di miele, si diedero a divorarli,
ributtando noi tutti indietro. Io insieme con questi scimi,
o re, cercai bensì di respingerli; ma eglino non curando
sene, pur continuano ad imgollare. Vie più rinfocato nell'ira,
veggendo da lor sì distrutta la selva, io m'affatico con co
storo a ributtarli con le braccia; ma Angada levandosi allora
con tutti que' scimi, numerosi e fieri, e ardenti d'ira negli
occhi, mi ruppero a furia di percosse. Chi morde coi denti,
chi fa oltraggi, chi palpita per ira, chi minaccia aggrottando
le ciglia. Di noi alcuni furon battuti a colpi di ginocchia,
altri percossi con pugni; e fummo qua e là trascinati a lor
voglia e malmenati. Così vennero insieme a zuffa tutti co
loro inviperiti e i miei custodi della selva arrovellati; così
furon questi fieramente battuti da que'forti, mentre tu sei
qui donno; e fu tutto divorato ostinatamente il Madhuvana
che tanto ami.
Mentre Sugrfva eccelso fra i scimi veniva così raggua
gliato, il prode e saggio Lacsmano l'interrogò: Chi è, o
re, questo custode della selva che è qui venuto ? e perchè
narrandoti quel che gli occorse, ti parlò egli così afflitto?
Interrogato dal magnanimo Lacsmano, così rispose Sugriva,
facondo parlatore: I prodi scimi, cui è duce Angada, ritor
nando, dopo aver cercata la regione meridionale, han di
strutto il mio Madhuvana; sopravvenuto colà, Angada con
SUNDARACANDA, 87
Hanumat e con tutti i scimi suoi seguaci entrò nella gran
selva del miele; e quella mia selva fu devastata e tutta di
vorata dai scimi, ed i custodi che volevan respingerli, furon
da loro strascinati e percossi a colpi di ginocchia. Costui
qui venne per narrarmi ogni cosa; egli è il guardiano del
Madhuvana, si noma Dadhimukha ed è scimio di gran forza.
a colti Da che Angada con Hanumat e con tutti i scimi suoi se
gli di guaci entrò senza alcun riguardo nel mio Madhuvana, io
ii penso, o figlio di Sumitra, che fu da lor ritrovata la donna
le ri di Ráma; essendochè ritornando, osaron que' scimi bere
el'anim il mio miele; che se essi non avesser veduto Sità, o uom
, 0 simi preclaro, non avrebber messo a soqquadro il Madhuvana;
e! (eli per certo fu da lor veduta la Mithilese.
o nè il Udendo quelle care parole cadute dalla bocca di Sugriva,
d'i furono oltremodo lieti il pio Lacsmano ed il Raghuide; e
che lis veggendo lieti Ràma e Lacsmano, Sugriva tutto allegro così
firrari disse a Dadhimukha: Io son contento; non voler tu darti
i simi cruccio; lo scimio che guastò la mia selva, ha condotto ad
rand effetto una grande impresa, ed a me si convien perdonare
nell'ir ciò che fece quel valoroso che s'è sdebitato d'un grande inca
con rico. Or tu ritorna tosto al Madhuvana e fa di custodirlo a
si dlr dovere; e mandami qui Hanumat con tutti i scimi ond'egli
pa ni è capo. Io ed i Raghuidi desideriam veder qui presto que”
i dei scimi altieri come leoni, guidati da Hanumat e venuti a
itd capo del loro intento; desideriamo udir da loro come venne
chi, lor fatto di trovar Sità.
i al
jt CAPITO LO LXIV.
cs PARTENZA DEI SCIMI DAL MADHIUVANA.
si
rali
Così esortato da Sugriva, lo scimio Dadhimuka tutto lieto,
g detto: « Io son contento », si prosternò ai suoi piedi; ed
, inchinatosi a Sugriva, a Ràma e a Lac smano, si slanciò con
fè tutti que' scimi per l'aria. Così com'egli venne, presto se ne
to! ritornò quel famoso scimio; e disceso dall'aria in terra, se
z% n'entrò tosto nella selva. Addentratosi nel Madhuvana, ei
t vide que' nobili scimi tutti disebbriati e ritti, e tremanti a
i verga a Verga, or ch'era sfumata la loro ebbrezza. Appres
88 RAMAYANA,

satosi a loro con atto di reverenza, quel prode disse ad


Angada queste blande e liete parole: Non recarti a sdegno,
o amico, che costoro t'abbian respinto; niun v'ha che alcuna
volta o scientemente o per ignoranza non faccia pecca. Tu
sei erede del regno, e signor di questa selva, o forte; io
giungo qui le mani sulla fronte per ciò che t'hanno detto que-
sti stolti , e imploro perdono di quello ond'io per mia stol
tezza offesi te che giunto qui da lungi e affaticato, ti ri
storavi del tuo proprio miele. Così come tuo padre fu un
dì signor delle schiere dc' scimi, così il sei tu or con Su
grfva, e non altri, o eccelso. Andato testè da tuo zio, io
gli narrai, o scimio sovrano, la venuta qui di voi tutti; ed
udendo esser tu qui arrivato con tutti que' prodi scimi, fu
egli lieto; nè punto si mosse a sdegno, benchè udisse violata,
la sua selva; e così mi disse Sugriva tuo zio, signor de'
Vànari: Va prontamente, e mandami qui tosto tutti coloro.
Udite quelle parole soavi di Dadhimukha, Angada così
parlò a tutti que' scimi, infondendo lor letizia: Il re, o scimi
valorosi, ha udito, per quel ch'io sento, ciò che abbiam
fatto; costui che ne sta dinanzi, il racconta con gran gioia;
e per tal mezzo noi qui il sappiamo; or abbiam noi tutti, mat
teggiando bevuto miele quanto ci piacque; onde giudico con
veniente andarne là dove ci attende Sugriva; ma voi tutti
o prodi scimi, dovete adoperarvi a difendermi; io a voi mi sot
topongo. Benchè io erede del regno abbia autorità di coman
dare, io debbo non pertanto sottomettermi a voi che avete
recato a fine un sì gran fatto.
Udendo Angada favellar sì nobilmente, tutti allegri fuor
di modo così dissero que' fortissimi: Chi altri mai, o nobil
scimio, essendo pur qui donno, parlerebbe in tale modo?
chè colui che è innebriato dall'orgoglio del comando, suol
dire: « Io son tutto ». Tali parole son degne di te solo e
non d'alcun altro sulla terra; e questa tua modestia, o Am
gada, ci annunzia un lieto avvenire. Noi pure, o saggio,
siam tutti pronti ad andar là dove sta Sugriva, immortal
signore dei prodi scimi; ma tacendo tu, o eccelso, non era
qui conveniente in alcun modo che parlassero gli altri scimi;
sappi da noi che questo è il vero. Mentre così parlavan
coloro, tutto s'allegrò Angada, e detto: « Orsù, io parto!»
SUNDARACANDA. 89
disse il sbalza su in aria quello scimio, e tutti que' valorosi spiccaron
a si salti dietro a colui che s'era slanciato, ingombrando tutto
e ali l'aere, come sassi che macchina balestri. Levatisi subita
etta fi mente in aria, que' scimi impetuosi mettevano grida altis
fre; i sime, come nuvole sospinte dal vento.
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mis C A PIT O L O L XV.
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DISCORSO DI SUGRIVA.
g fl ll
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Allor che Sugriva re de' scimi udì che coloro ritornavano,
io, i
cosi parlò a Ràma dagli occhi di loto, afflitto dal dolore:
uti;
Confortati e sta lieto; fu senza dubbio veduta Sità; chè,
ini, i
se così non fosse, avendo coloro trasgredito i miei comandi,
non ardirebbero di ritornare; e l'erede del mio impero, il
prestante fra tutti i scimi, Angada dalle grandi braccia non
verrebbe alla mia presenza, se gli fosse andato fallito l'in
carico ch'io gli diedi; e se pure ei venisse al mio cospetto,
senza aver recato a fine ciò che gli fu imposto, ei verrebbe
con volto dimesso, svigorito e con mente turbata; se non
avesse veduta Sità, non avrebbe quel prode scimio dato il
guasto al Madhuvana, mia selva avita e ben guardata da'
miei maggiori. O Ráma, figlio generoso di Causalya, con
fortati e non darti affanno; fu ritrovata Sftà, non v'ha dub
bio, e non da altri fuorchè da Hanumat; nessun altro al
par di lui, sarebbe atto a compiere una tal impresa. Ve'
gi
conne vengono altieri e baldi Angada e gli altri scimi; tal
non sarebbe il lor procedere, s'ei non avessero condotto ad
10
effetto il loro assunto. Dallo schianto della selva e dai favi
di miele divorati io congetturo che que' scimi han di certo
veduto Sita. Hanumat è possente, accorto e risoluto; egli
è prode, fermo e ardente come il sole. Colà dove G'ambavat
è condottiero , Angada capo, ed Hanumat ordinatore, non
può la cosa succedere altramente. Or più non conviene, o
prode, che tu te ne stia così sopra pensiero; certamente e
fuor d'ogni dubbio fu veduta la Videhese.
In quella egli udì per l'aria un romoreggiar confuso degli
scimi che strepitavano, lieti dell'opra d'Hanumat; e udendo
quello strepito de' Vànari che s'appressavano alla Kiskindhya
90 RAMAYANA.
e parevano annunziare il prospero lor successo, si mostrava
tutto allegro Sugriva, or distendendo, or ravvolgendo la sua
coda. Ed ecco arrivar que' scimi, ansiosi di veder Râma,
preceduti da Angada e da Hanumat; tutti coloro con faccia
lieta caddero ai piedi di Ràma e del re de' scimi; ed Ha
numat dalle grandi braccia inchinando il capo, salutò tutto
chino Ràma dagli occhi di loto. Sugriva in quella, pieno
di ferma fiducia nel Màrutide, e Lacsmano pien di gioia ,
riguardavan lo scimio Hanumat, e lo sperditor degli eroi
nemici, Ràma ei pure commosso da viva letizia, guardava
Hanumat con segni di gran rispetto.

CAPITOLO IL XVI.

LA GEMMA DATA PER CONTRASSEGNO,

Pervenuti al monte Prasravana sotto la scorta d'Angada,


inchinatisi col capo a Râma ed al valoroso Lacsmano e
fatto a Sugriva umil saluto, que' prodi scimi presero a nar
rare i casi di Sità; la sua chiusura nel gineceo di Råvano,
le minaccie delle Racsase, l'alto amor della Videhese e il
convegno con lei stabilito , tutto ciò raccontarono i scimi
in presenza di Ràma. Il quale udendo essere illesa la Vi
dehese, così lor disse: Dove si trova or dunque la divina
Sità? com'è ella verso me disposta? narratemi appieno, o
scimi, tutto ciò che concerne la Videhese.
Intesi i detti di Ràma, que' scimi là presenti esortarono
a parlar Hanumat che meglio conosceva ogni fatto di Sità.
Ed il Marutide e facondo Hanumat, udite le lor parole ,
raccontò come fu da lui veduta la Videhese:
Colà sulla riva australe del mar situato ad austro siede
la città del reo Råvano, per nome Lanka. Là nel gineceo
di Råvano fu da me veduta Sità che ha in te, o Ràma, se
tu sia felice, riposta l'anima sua con ogni suo desío; io la
vidi intorniata da turpi Racsase che l'aspreggian senza posa,
e da loro custodita in un giardino di diletto; là se ne sta
di continuo, oltre ogni dir dolente, la divina Sità degna di
lieta sorte, chiusa nel gineceo di Ràvano e guardata dalle
Racsase. Quell'infelice che ha in te raccolto ogni suo pen
SUNDARACANDA, 91
siero, ogni suo affetto, giace sulla nuda terra, coi capelli
ravvolti in una sola treccia, scolorata come un fior di loto
al sopravvenir della fredda stagione; ella abborre Ràvano
e s'ha posto in cuore di voler morire. Con gran pena, o
Ràma, io pur potei, appressarmi ad essa; e celebrando con
voce lena le lodi della stirpe d'Icsvacu, pur pervenni a
confortarla. Quindi io m'abboccai con essa e le narrai ogni
cosa; ed ella udendo l'amica lega di Ràma e di Sugriva,
ne prese allegrezza; ella è a te reverente, intenta e affetta;
e perchè, ella disse, non vien quel generoso a spegner Rà
vano con tutti i Racsasi? Così fu da me veduta quella donna
eccelsa, figlia di G'anaca, dedita a rigide osservanze e tutta
a te devota, o uom preclaro.
Qui Hanumat, consegnata a Ràma la gemma divina, tutta
fulgida di proprio fulgore, proseguì in atto reverente:
Colto il momento opportuno fra quelle Racsase, la bella Sità
tutta inondata da lacrime di dolore così mi disse: Tu dei nar
rare appieno al prode Râma, verace e forte ciò che qui hai
veduto ed udito da quelle Racsase, e le minaccie e i crudi
oltraggi del re de' Racsasi; due mesi ancora mi rimangono
di vita; tale è il patto ch'io ho fermato. Tu darai a colui
questa mia gemma ch'io custodi con molta cura, e gli dirai,
in nome mio, udente pur Sugriva: Questo divino diadema
da me custodito con grande affetto, io a te lo mando , o
amico e donno, per cui io ancor pur vivo; e ricordati, ella
soggiunse, del segno impressomi coll'arsenico rosso. « Tu
dei, o figlio del Vento, mi disse la figlia di G'anaca, narrar
pienamente e con gran studio a quell'uom sovrano tutto
ciò che hai qui veduto ». Io t'ho testè consegnata, o incol
pabile, quella splendida perla nata nell'acqua che ti manda
la figlia di G'anaca. « Pur riguardando questa gemma, sog
giunse Sitá, io qui mi riconforto in tanta pena; io sosterrò la
vita un mese ancora, o incolpabile Dasarathide; ma oltre
un mese io non potrei più vivere nelle mani di queste Rac
sase ». Ascolta ora, o Raghuide, quest'altro contrassegno che
m i diede la Videhese, di cosa avvenuta nell'amena falda
settentrionale del Citracùta. Colà mentre un corvo dava tra
vaglio alla Videhese per cagion di carni, tu scagliasti un
telo contro quel reo augello; ma se tu hai saettato un dardo
92 RAMAYANA. -

divino contro un corvo, spegni or questo Racsaso iniquo


e crudo, rapitore delle donne altrui. Così mi parlò coi suoi
grandi occhi spalancati a guisa di cerva, la virtuosa e pia
Sità, chiusa nel gineceo di Ràvano. Tutto io t'ho narrato,
o Ràma, conforme al vero; or tu pensa a travalicare in
qualche modo l'acque marine; fa di trovar qualche spediente,
onde tu possa fra breve con questo esercito trapassare il
mar terribile, signor de' fiumi e delle riviere.

CAPITOLO IL XVII.

LAMENTO DI RAMA,

Sentite quelle parole dette da Hanumat, Ràma Dasara


thide, posta sul suo cuore quella gemma, scoppiò in pianto
insieme con Lacsmano; e riguardando pien d'angoscia quella
nobile gemma, così parlò cogli occhi pregni di lacrime: Sì
come una vacca affettuosa versa lacrime per amor del suo
nato, così fo io guardando questa gemma preziosa, quasi
che io vedessi Sità. Questa splendida gemma fu data alla
Videhese da suo suocero al tempo delle sue sponsalizie, e
cinta intorno al suo capo vie più ancora risplendeva; e il
re mio padre un dì ebbe in dono dal saggio Indra grande
mente di lui soddisfatto questa gemma nata nell'acque, ed al
tamente pregiata. Contemplando or questa gemma, come mi
par di veder mio padre, così pur mi sembra, o amico, di veder
la Videhese. Questa nobile gemma fu portata lungamente
dalla mia diletta, ed io or riguardandola, m'imagino di ve
derla. Che disse Sità Videhese ? ripetimi, o amico, ogni suo
detto; aspergi coll'onda delle tue parole me riarso dal fuoco
del mio dolore. Qual altra cosa mai v'ha più crudele di
questa, o Hanumat, che io qui vegga questa gemma nata
nell'acqua e non vegga qui presente la Videhese? Oh vivrà
Sità lungamente ancora, se ella pur sostiene la vita un mese l
Io per me credo che più non vivreiun solo istante se fossi di
viso da colei, o caro. Conducimi tosto, o Hanumat, là dove
si trova quella mia diletta; or che ho inteso novelle di lei,
più non potrei qui rimanere un sol momento. Come se ne
sta ella in mezzo a que' Racsasi spaventosi e fieri quella
SUNDARACANDA. 93
so in mia donna bella e pia, timida e tutta sola ? Per certo il suo
tisi volto ottenebrato da que' Racsasi più non risplende, siccome
usi e il velata da nubi la chiara luna autunnale. Che cosa disse
Illfl) Sità? narrami tutto veracemente, o Hanumat; io sarò così
lire i ravvivato da' tuoi detti, come l'infermo da rimedio salutare.
spediti Quali dolci parole disse quella leggiadra mia diletta, la cui
ps voce è sì soave e che è or da me divisa? narrami tutto ,
0 Hanumat.

C AP IT O L O L XVIII,

DISCORSO D HIANUMAT.

saf Così interrogato da Ràma, il prestante scimio Hanumat


pia prese a narrar più per disteso ciò che un dì avvenne nella
quelli selva e che Sitá gli raccontò come contrassegno: un dì la
eS figlia di G'anaca, sì com' io da lei intesi, poich'ebbe con te
sl dormito, si risvegliò; e sopravvenendo in quella un corvo,
qui forte la ferì pel seno. Tu giacevi allor dormendo in grembo
alli alla tua donna, ed il corvo via più sempre la tormentava,
ie, ed assalendola più volte con subito volo, crudelmente la la
e il cerava, com'io intesi. Tu ti risentisti allora bagnato di san
gue e fosti risvegliato dal tuo sonno dalla Videhese per
cossa senza respitto da quel corvo; e veggendo la leggia
dra tua donna ferita nel seno , inviperito e sospirante
come un serpe tu le dicesti: Da chi mai, o timidetta, fu
ferito coll'unghie il tuo seno? Chi osa qui scherzare con
un serpente pentacefalo ed iroso? e menando l'occhio in
torno, tu vedesti colà il corvo che stava di contro a Sità
coll'unghie aguzze e insanguinate. Quel famoso e sovrano
augello era, per quel ch'io udi, figliuolo d'Indra, e volava
fra goccia e goccia della piova con velocità pari a quella
del vento. Tu allora, o uom dalle grandi braccia, con occhi
travolti dall'ira pensasti ad uccidere quel reo; e tolto dal
l'area sacrificale un dardo, tu l'incoccasti e saettasti, come
io udi, contro il corvo quel telo ardente. Quel telo divam
pante, come il fuoco del finimondo, fiammeggiò di contro
all'augello, e quindi tutto fiammante seguitò il corvo per
la sua via. Abbandonato da suo padre, dai Devi e dai grandi
94 RAMAYANA,

Risci, dopo aver circuito i tre mondi, quell'augello non trovò


chi lo salvasse; ond'ei ritornò a te come a suo rifugio e li-
beratore, e si prostrò in terra; e bench'ei fosse degno di
morte, pur per compassione così gli disse Ràma: Non è
possibile far che sia vano questo telo da me scoccato; ab
bandonami, o augello, un de' tuoi membri, quello che t'è
men caro; egli allor dolente abbandonò un de' suoi occhi,
e tu distruggesti l'occhio destro di quel corvo; quindi reso
onore a te, o Ràma, e al re Dasaratha, quel corvo da te con
gedato se ne tornò alla sua dimora.
Or, soggiunse Sitá, se tu pur sei supremo fra gli arcieri,
generoso, possente e forte, perchè non adopri, o Raghuide,
contro i Racsasi i tuoi teli? Nè i Nàghi, nè i Gandharvi,
nè gli Asuri, nè i Maruti sono possenti, o Ràma, a resistere
in battaglia alla tua foga; se ancor tu hai in me qualche
riguardo, o forte, perchè colle tue saette acute non vieni
a disperdere questi Racsasi? e perchè il valoroso e accorto
Lacsmano, terrore de' nemici, non vien egli a liberarmi,
esecutor del comando fraterno? Perchè così mi trascuran
essi que' due valenti e prodi, vigorosi come il vento e il
fuoco, insuperabili ai Devi stessi? Io deggio senza alcun
dubbio aver commesso qualche gran fallo, poichè que' due
così possenti, così crudi ai lor nemici non si danno di me
pensiero. Udendo, quelle parole della Videhese, pietose e
giuste, io così risposi a quella nobil donna: Ràma per tuo
. amore è tutto oppresso dall'affanno, a te lo giuro sulla mia
fede, o donna; e sopraffatto dal dolor di Ràma, Lacsmano
ei pur piange e s'attrista. Io t'ho alfin trovata, o donna;
or non è più tempo di stare ozioso; fra breve, o Mithilese,
tu vedrai il termine delle tue pene; que' due regali figli,
prestanti e generosi ed anelanti con ogni lor sforzo a ria
verti, ridurranno Lanka in cenere, ed il Raghuide, spento
in battaglia il fiero Ràvano co' suoi congiunti, ti ricondurrà,
o leggiadra, alla sua città. Ma tu, o gentile, degna donarmi
un contrassegno che Ràma riconosca e sia a lui cagion di
gioia. Ella allora, dopo aver guardato in ogni parte, spic
cata una splendida e nobil gemma, annodata nella sua trec
cia, me la diede. Presa quella gemma a cagion di te, o
Raghuide, ed inchinatomi col capo alla tua donna, io mi
SUNDARA CANDA. 95
disponeva a ritornar prontamente. Ma la gentil figlia di Ga
naca veggendomi tutto pronto alla partita e cresciuto con
forme all'esser mio, così mi disse forte afflitta, col volto
bagnato di lacrime e con voce rotta dal pianto: Tu sei fe
lice, tu sei favoreggiato e avventuroso, o grande scimio, che
presto vedrai Ràma dagli occhi di loto e dalle grandi brac
cia ed il glorioso e celebre Lacsmano mio cognato!
A quelle parole della leggiadra Sità io risposi: O donna,
non frapporre indugio; sali, o gentile, sul mio dorso; io ti
porterò oggi alla presenza del Raghuide signor della terra
e di Lacsmano e di Sugriva; questo io tengo per fermo.
Ed ella a me rispose: Non è conforme al dovere, o nobil
Vànaro, che io di mia spontanea volontà mi segga sul tuo
dorso; un dì, o prode, non essendo io libera di me, fui bensì
toccata da un Racsaso col suo corpo; ma che poteva io fare
allora stretta dal mio destino? Vanne tu, o valente scimio,
là dove sono que' due regali figli. E qui ella prese a dar
nuove incumbenze a me che già tutto m'affrettava di levarmi
a volo: O Hanumat, ella soggiunse, tu saluterai con parole
benaugurose Ràma e Lacsmano che han forza ed andamento
di leoni, e Sugriva co' suoi ministri; fa d'adoperarti affinchè
Ràma dalle forti braccia venga a trarmi fuori da questo pe
lago d'affanni. Giunto alla presenza di quel sovrano fra gli
uomini, narragli questa dura veemenza del mio dolore e le
crude minaccie di questi Racsasi; e sia felice la tua via, o
scimio ! Tali sono i contrassegni che mi diede quella regale
e nobil donna, figlia di Ganaca; or tu considerando quel
ch'io t'ho detto, pensa al modo di ricuperar Sità.

C A P IT O L O L X IX,

DISCORSO D'HIANUMAT.

Ma sul punto di levarmi a volo, nuovamente e tutta tur


bata così mi parlò quella donna e per amor di te, o eccelso,
e per grazioso riguardo al mio affetto: Se tu m' hai cara,
o prode domator de' tuoi nemici, rimanti qui un giorno
ancora in qualche nascoso luogo; domani tu te n'andrai rin
vigorito; abbia per la tua presenza, o incolpabile, un mo
96 RAMAYANA.

mento ancor di tregua questo affanno immensurabile di me


infelicissima. Come tu te ne sarai partito per lo tuo ritorno,
o nobil scimio, sarà nuovamente, ei non v'ha dubbio, tutta
in forse la mia vita; un nuovo dolore più crudel d'ogni al
tro, il dolore di più non vederti, o prode, tormenterà me
sventurata. E un'incertezza, o valoroso, mi sta pur qui fitta
innanzi, un forte dubbio intorno ai scimi tuoi compagni.
Come potranno valicar l'Oceano d'ardue sponde quelle schiere
di scimi e que' due regali figli? Tre sole creature par ch'ab
biano virtù di trapassar sorvolando il mare, Garuda, tu ed
il Vento. Onde in tali imminenti congiunture, difficili e dub
biose, quale spediente avvisi tu che sei sì avveduto in ogni
cosa? Tu solo, o domator d'ogni forte tuo nemico, sei atto,
il so, a condurre a fine quest'impresa; che val ch'io più
t'ammonisca? O se Ràma con piene schiere, vinto Rávano
in battaglia, mi riconducesse redenta dal suo braccio alla
sua città; ciò sì sarebbe a lui glorioso! Così com'io fui per
forza e per inganno rapita a quell'eroe, così non dee, vi
venti i Racsasi, riconquistarmi Ràma. Ma se quel domator
delle schiere nemiche, messa col suo esercito sossopra Lanka,
mi conducesse via di qua, ciò ben sarebbe degno di lui.
Onde fa tu in modo che la possanza del Càcutsthide si mostri
degna di quel magnanimo, eroe nelle battaglie.
Lodate quelle opportune parole, ragionevoli ed oneste, io
soggiunsi ancora: O donna, il generoso e nobile Sugriva,
signor delle schiere de' scimi, è tutto risolto di soccorrerti;
a lui obbediscono scimi robusti e forti, generosi e risoluti,
a cui non è interchiusa la via nè per alte regioni, nè per
basse, nè per isghembe, e che dotati di forza immensa mai
non si scoraggiano nelle più ardue imprese. Più d'una volta
da que' prodi, correnti per le vie aeree, fu circuita la
terra intiera, co' suoi mari e co' suoi monti. Ben v'hanno colà
scimi eguali a me ed anche di me maggiori; ma nessun
v'ha presso a Sugriva che sia minor di me; ed io pur son
giunto fino a Lanka; or che faranno que' fortissimi? chè non
sogliono spedirsi i migliori per messaggieri, ma gli ultimi
fra i minori. Onde pon fine, o donna, al tuo dolore, e sgom
bra da te ogni affanno; collo slancio d'un sol salto verranno
a Lanka que' scimi altieri, e verranno dinanzi a te, portati
SUNDARACANIDA, 9
sul mio dorso, que' due possenti e prodi, pari alla luna e
al sol nascenti. Fra breve vedrai qui davanti alle porte di
Lanka Ráma ed il fortissimo Sugriva e Lacsmano armato
d'arco; presto vedrai qui giunti scimi valorosi, pari a Su
griva, forti come leoni e tigri, armati di denti e d'unghie;
udrai fra breve sulle alture dei monti di Lanka le urla delle
ruggenti schiere de' scimi, somiglianti a fosche nubi; e ter
minata oramai la lunga dimora nelle selve, tu vedrai fra
poco il prode Râma sacrato re con te in Ayodhyà. Così da
me riconfortata con care parole benaugurose, la figlia di
Ganaca che favella con tanta fermezza, mi pregò essa pure
pace; ma non lasciò però quella pia il suo dolore.

C A P IT' O L O L XX.

LODI D'HANUMAT.

Udite le parole schiettamente dette da Hanumat, Ráma


così rispose con grande affetto: Fu da Hanumat recata a
fine una grand'opera che sarà celebre sulla terra, tal che sa
rebbe stato quaggiù difficile a qualunque altro il pur pen
sarla: perocchè io non veggo chi possa valicar, volando, il
mare, fuorchè Garuda, il Vento ed Hanumat. E la città di
Lanka è difesa da Ràvano ed insuperabile ai Devi, ai Dànavi
ed ai Yaksi, agli aligeri, ai serpenti e ai Racsasi; e non
dimeno, tuttochè forte e ben guardata e posta sulla cima
d'un monte, quella città fu da un solo prode superata! Certo
non v'ha chi di forza e di valore sia pari ad Hanumat. Egli
mettendo in opera gagliardamente la sua forza, eguale al
suo valore, recò ad effetto il grande incarico affidatogli da
Sugriva; or come colui che eletto dal suo signore a condurre
un'ardua impresa, se ne sdebita degnamente, è detto sommo
dagli uomini; così colui che non adempie un grande assunto
caro al suo signore, sia pur egli idoneo e pronto a condurre
ogni altra cosa, è detto infimo dalle genti. Ma Hanumat che
n'ebbe incarico, ben seppe menare ad effetto quest'impresa;
onde punto non menomò la sua fama, e Sugriva n'è sod
disfatto; ed io e il forte Lacsmano e la stirpe dei Raghuidi
siam tutti or giustamente sicurati e fatti salvi a cagion di
VOL, III, 7
98 RAMA YANA,

Sità ritrovata. Questo solo pur affligge l'animo di me misero,


che io non posso ricambiar costui di grazia eguale alla no
vella ch'ei mi recò, della mia diletta.
Ed il Raghuide, rivolti nella sua mente più pensieri e
guardato affettuosamente per lunga ora Hanumat, così gli
disse con amore: Quest'amplesso, o Màrutide, è tutto ciò
ch'io posso darti; ricevi da me quest'abbracciamento, dono
conforme al presente mio stato. Ciò detto, il prode Ràma
cogli occhi pregni di lacrime abbracciò Hanumat; poi ri
mase tutto assorto; e poi ch'ebbe fra sè considerato, così ri
prese a dire, udente Sugriva re de' scimi: Or ben fu con
dotta a termine la ricerca di Sità; ma quando sarem noi
giunti in riva al mare. qui di nuovo si smarrisce la mia
mente. Come potranno i scimi colà raccolti pervenire alla riva
australe dell'Oceano d'ardue sponde e d'acque immense? Ben
furon oggi da me intese novelle della Videhese; ma quale
mezzo troverem noi poi, affinchè i scimi possano valicar
l'Oceano? Com'ebbe così parlato al magnanimo Hanumat,
Ràma sperditor degli inimici, conturbato dall'affanno, si con
centrò ne' suoi pensieri.

C A P IT O L O L XX I.

DISCORSO DI SUGRIVA,

Ma l'illustre Sugriva disse a Ràma Dasarathide affannato


queste parole confortatrici: Perchè così t'affliggi, o eroe, come
farebbe un uom volgare! Non esser tu così; rimovi da te
l'angoscia, a quella guisa che l'ingrato rimove da sè l'af
fetto. Sorgi, o uom sovrano, e non voler così accorarti; chè
io non veggo qui luogo al tuo dolore, or che tu hai avuto
notizia di Sitá e conosci la dimora del tuo nemico. Tu sei
costante, accorto e saggio, e sai trattar l'armi, o Ràma; onde
cessa da questo tuo perturbamento che distrugge qualunque
impresa; chè quaggiù il dolore toglie all'uomo ogni fer
mezza; e fa or con vigore, o eccelso, ciò che deè fare un
uom che s'appoggia al suo valore. Ad uomini tuoi pari,
magnanimi e prodi non s'addice l'attristarsi di cosa anche
perduta o andata male. Tu supremo fra i valorosi e pos
SUNDARACANDA, 99
sente per tua propria virtù, secondato da seguaci nostri pari,
vincerai il tuo nemico; perocchè io non veggo, o Raghuide,
alcuno nei tre mondi, il quale armato d'arco possa starti
in battaglia a fronte. Non tornerà vana la tua impresa se
condata da questi Vànari; fra breve, o Ràma, valicato il mare,
tu vedrai Sità. Qnde cessa dal tuo affanno, e pon l'animo
piuttosto allo sdegno; tutti questi duci di scimi, valorosi
e forti, son pronti per tuo amore ad entrar anche nel fuoco.
Io il veggo alla lieta lor baldanza, ed anche ne ho ferma
credenza io stesso; io racquisterò colla mia possanza Sità,
dopo aver spento in battaglia ogni nemico. Ordina tu che
venga costrutto un ponte che ci sia passo alla città del re
de' Racsasi; e tosto che ci verrà veduta la città di Lanka
posta sulla cima del Trikàta, veduto il nostro nemico, tienlo
come rotto in battaglia. Sì tosto come sarà costrutto il ponte
sull'Oceano, e fatta accessibil Lanka, e trapassato intiero il
nostro esercito, tieni come vinto il Racsaso. Perocchè que
sti silvani che han forma di scimi, combattenti con tronchi
d'alberi e con macigni, e tutti eroi nelle battaglie, disper
deranno quella città. Ch'io pur vegga in qualche modo la
città sede di Ràvano, a che giovan più parole? tu ne avrai
vittoria intiera.

C A PIT (OL O L XX II.

RAGGUAGLIO SUI LUOGHI FORTI DI LANKA.

Confortato da Sugriva, il Raghuide accogliendo le sue


parole e superando il suo affanno, così parlò ad Hanumat:
Col gettar prontamente un ponte, o col diseccare il mare
saprò pur io ad ogni modo valicar anche l'Oceano. Ma tu,
o Hanumat che sei sì destro, narra or qui esattamente l'am
piezza e la forza di Lanka, l'opera de' suoi luoghi forti e
delle sue porte, com'ella sia guardata dai Racsasi e quali
sieno i loro mezzi di difesa; narraci a pieno e di punto in
punto ciò che vedesti in Lanka.
Intese le parole di Ràma, il Màrutide Hanumat, ottimo
favellatore, così prese quindi a dire: Ascolta; io ti dirò pie
namente, secondo che tu m'imponi, qual sia l'opera dei
100 RAMAYANA,

puoghi forti di Lanka e come sia quella città guardata e


difesa dalle schiere de' Racsasi. Lanka è una città festante
e lieta, piena d'elefanti caldi d'amore, chiusa di salde e ferme
porte ed intorniata da profondi fossi. Ella ha quattro porte
ampie e grandi fuor di modo, e sovr'esse macchine guerriere
d'ogni sorta, robuste e salde; fra quelle porte son poste
sbarre di ferro grosse e congegnate con molt'arte, ed armi
preparate in cento forme dai prodi Racsasi. V'ha colà una
grand'oste piena di carri e di Racsasi fortissimi, da cui è
respinto ogni esercito nemico che là s'appressi. Quivi è un
grande e ferreo vallo inespugnabile, tutto ornato d'oro, di
perle e di gemme, di coralli e di lapislazzoli; e v'hanno
tutt'intorno fossi profondissimi, orribili e spaventosi, pieni
di fredde acque, di pesci e d'alligatori. Son via che mena
a quelle porte, quattro angusti passi, ardui e forti, muniti
di molte macchine e di robusti e fermi arcieri; tre di quelle
strette, ove s'accosti un esercito nemico, son colle macchine
da guerra rovesciate d'ogni parte giù nei fossi; una sola è
saldissima, forte ed incrollabile, cinta di molt'auree colonne
e di tettoie. Quelle strette pur furon da me disfatte, ed i
fossi riempiuti, ed arsa la città e rotti i valli. Per qualun
que siasi via sarem noi per valicare il mare sede di Varuna,
tieni per certo che la città di Lanka sarà dai scimi messa
a terra. Sol che siano con te Angada, Dvivida e Meinda,
Gambavat, Panasa e il duce Nila, che avrai tu più bisogno
del restante esercito? Andando colà a gran salti, ben piglie
ran costoro , o Ràma, la città di Råvano co' suoi valli e
colle sue case. Tu ordina or prontamente, o Ràma, che si
raccolgano le schiere, e fa che di qui si parta in un momento
benaugoroso. Intesi que' detti del Màrutide, il saggio e regal
Râma s'accese di desiderio di trapassar l'Oceano, con animo
risoluto di dar morte al suo nemico.

C A P IT O IL O IL XXIII,
PARTENZA DELL'ESERCITO DE' SCIMII,

Ma il Raghuide di nuovo interrogò l'accorto Hanumat


intorno alla condizione di que' luoghi forti: Narrami, ei disse,
quante sono quelle bastite e di qual forma sia la principale
SUNDARACANDA, 101
«cittadella; desidero saper per ordine ogni cosa. Colui in
terrogato dal regale e prode Ràma, sì come un dì Vriha
Spati da Indra, narrò la grande possanza di Lanka, il ter
ribile aspetto dell'Oceano, la forza dell'esercito e l'ampio
apparato de' carriaggi. Ràvano è dotato, ei proseguì, di larghi
doni di natura, ed avido di battaglie; egli è operoso e at
tento alla rassegna delle sue schiere. Lanka, io lo ripeto,
è terribile, malagevole a superare e d'arduo accesso ai Devi
stessi; e perchè ella è posta in alto sopra un monte, perciò
la sua cittadella ha quattro aspetti. Allorchè, o Raghuide,
dall'alto mare che ha sponde lontane,si scorge un arduo monte;
colà è situata la bella città di Lanka, cerchiata di mirabile
vallo. Quella città, pari alla città dei Devi, splendida e bella
e sempre piena d'elefanti caldi d'amore, è posta al sommo
d'un monte ed oltremodo ardua a vincere. Picche, rotondi
sassi armati di ferree punte e macchine d'ogni sorta ormano
Lanka, la città del fiero Ràvano. Un ayuta di Racsasi, tutti
prodi, armati di scudi e di scimitarre e combattenti con
ogni sorta d'armi, sta a guardia della porta occidentale; un
arbuda di Racsasi, nati di nobile stirpe ed onorati, com
battenti a cavallo e sopra carri, guarda la porta settentrio
nale; cento centinaia di mila Yâtudhâni (Racsasi?) insupe
rabili son raccolti nella trincea di mezzo e stanno intorno
a Ràvano.
Udito il discorso d'Hanumat, Râma sperditor degli ini
mici così parlò a Sugriva dall'ampia cervice: Io giudico
conveniente, o Sugriva, che si parta in questo momento;
quest'ora mi par propizia alla vittoria, essendo giunto il
sole al mezzo del suo cammino; ed oggi domina la boreal
costellazione Phalguni, la qual domani si congiungerà col
l'asterismo Hasta. Onde mettiti in via, o Sugriva, accompa
gnato da tutto l'esercito; chè i portenti fortunati che m'ap
paiono, annunziano apertamente che io, messo a morte Rà
vano, ricondurrò con me la Mithilese. Quest’occhio che mi
tremola nella sua parte superiore, par quasi presagirmi, o
savio, che è giunto il tempo della mia vittoria. Vada innanzi
a questo esercito ad esplorar le vie Nila con cento mila
rapidi scimi; tu, o Nila egregio duce,fa di condur pronta
mente, conforme all'ordine mio, la tua schiera per vie ab
102 RAMAYANA,

bondanti di frutti e di radici, d'ombrose selve e di fresche


acque. Perocchè i maligni Racsasi corromperebbero per la
via le radici, l'acque e i frutti; onde tu con intento e as
siduo sforzo difendili da coloro. Penetrando ne' luoghi af
fondi, nei fitti delle selve e per entro i monti, i scimi armati
d'unghie esplorino, se là si nasconda qualche masnada ne
mica: qualunque sia la forza di ciascuno o molta o poca,
qui la dimostri; chè così conviensi operare agli eroi nel
l'ardue imprese. I prestanti fra i scimi ed i più forti con
ducano a centinaia ed a migliaia la terribil oste d'avanguar
dia, somigliante ai fiotti del mare; e marcino dinanzi Gaya
grandeggiante come un monte, Gaváksa ed il fortissimo Ga
vaya, a guisa di tori altieri dinanzi a un branco di giovenche.
Il valoroso scimio Risabha, duce di schiere protegga il
destro fianco dell'esercito de' scimi; l'impetuoso Gandha
mâdana, insuperabile come un elefante altiero , stia, mar
ciando , alla difesa del lato sinistro dell'esercito; io salito
sul dorso d'Hanumat, come Indra sopra Airàvata, verrò nel
mezzo, proteggendo il grosso dell'oste; e verrà dopo me
Lacsmano, montato sopra Angada, come Kuvera signor delle
ricchezze sull'elefante Sarvabhauma. G'ambavat, Susena ed
il magnanimo silvano Vegadarsi, signor degli orsi, ci pro
teggano alle spalle.
Uditi gli ordini di Râma, il valoroso e possente Sugriva,
duce supremo dell'esercito comandò ai Vànari di porsi in via,
e tutti coloro, avidi di battaglia, sbalzando fuor dalle spe
lonche e dalle vette dei monti, si levarono a salti in quel
momento. Allora il pio Ráma, onorato da Lacsmano e dal
re de' scimi, s'avviò con tutto l'esercito alla regione meri
dionale. Ei camminava cinto d'ogni intorno da ayuti e da
koti di centinaia e migliaia di scimi che grandeggiano come
elefanti; e dietro a lui che cammina innanzi, vanno altri
fortissimi scimi, lieti e baldi, capitanati da Sugriva. Spic
cando salti e sovrasalti, ruggendo imperversando e strepi
tando, tutti que' scimi marciano alla volta della region me
ridionale; ei sen vanno, mangiando radici e frutti odorosis
simi e brandendo grossi alberi e brani di roccie. Imbaldanziti
ei si urtano con impeto e si rimbeccano l'un l'altro; e chi
caduto si solleva con un salto e chi manda un'altro a terra
SUNDARACANDA. 103
« Ei s'ha da noi a spegner Råvano e tutti i Racsasi not
tivaghi »; così urlano que' scimi alla presenza del Raghuide.
Dinanzi a quell'esercito Nila e Kumuda con molti Vànari
vanno sgombrando la via; nel mezzo stanno Sugriva, Ràma
e Lacsmano, circondati da gran numero di prodi, struggi
tori de' nemici. Il forte scimio Satabali, cinto da dieci koti
di guerrieri, stando sul destro fianco, protegge l'oste de'
scimi; il valoroso scimio Kesari con cento koti di sue schiere
e con lui l'orso Atibala proteggono l'ala sinistra dell'esercito;
Gambavat, Susena e Dirghadarsi camminando dietro a Su
griva e stretti insieme, proteggono l'oste da tergo; Dadhi
mukha, Pragangha, Rambha e Sarabha corrono da ogni
lato alla difesa per ordine di Sugriva.
Così marciando que' strenui scimi, orgogliosi di lor forza,
videro da lungi l'alto monte Vindhya, folto d'alberi e di
piante serpeggianti. Quella grande e fiera oste de'Vànari, pari
ai fiotti marini, vie più sempre s'inoltrava, come fa l'Oceano
coll'impeto terribile delle sue sonanti onde; e per amor del
Dasarathide que' possenti e prodi scimi andavan tutti spic
cando rapidi salti, come cavalli generosi incitati dallo sti
molo; e i due prestanti Ráma e Lacsmano portati dai due
scimi così apparivano, come la luna e il sole fra le braccia
di due enormi Rahu.
Allor l'animoso Lacsmano, portato sulle spalle d'Angada,
così parlò con voce soave e con liete parole a Ràma: Fra
breve, ricuperata la rapita Videhese e spento Ràvano, tu
te ne ritornerai felice alla felice città d'Ayodhyà. Io discerno,
o Râma, su per lo cielo e per la terra grandi portenti, tutti
di fausto augurio al buon successo della tua impresa. Spira
sopra l'esercito un vento favorevole, soave, lieto e salutare;
e quelle belve e quegli augelli colle lor voci di piena nota
paion quasi presagire felice evento; son serene tutte le plage,
è puro il sole, ed il pianeta Usanas Bhargavo (Venere) ti
va a seconda. I puri e grandi Risci, conoscitori de' Vedi
intieri, si mostran tutti costantemente risplendenti alla nostra
destra; e nitido risplende col domestico sacerdote Vasistha
il regal Risci Trisanku, sommo fra i progenitori della stirpe
di noi Icsvacuidi. Lucidissimi pur rifulgono e liberi d'ogni
pressura i due Visakhi, suprema costellazione (naksatra) di
104 RAMAYANA,

noi magnanimi Icsvacuidi; e la costellazion dei Racsasi Mthla,


nakhsatra Nairito dei Nairiti è oppressa ed affummata da
Dhùmaketu. Per l'oppressura di quella costellazione è al
tutto imminente la rovina dei Racsasi, stretti da Yama nel
l'ora della lor morte. Son nitide e dolci l'acque, piene di
frutti le selve; e gli alberi tutti fiorenti, conforme alla sta
gione, spirano fragranze odorose fuor di modo. Sulle ordi
nate schiere de' Vànari rifulge uno splendore, pari a quel
che già rifulse sull'esercito dei Devi il dì della gran battaglia
contro il demone Tàraka. Onde tu, o generoso, riguardando
a tali segni, dei starti lieto. Così parlò a conforto del fra
tello il Saumitride pien di gaudio.
Frattanto coprendo la terra intiera, progrediva la gran
d'oste piena d'orsi e di prodi scimi, armati di denti e d'un
ghie; e la polvere sollevata dalle mani e dai piedi de' scimi
copriva il mondo terrestre e velava la luce del sole. Così
camminava l'inclito Ráma , circondato da centinaia e da
migliaia di koti di scimi tremendi. Quella grand'oste capi
tanata da Sugriva, tutta esultante e lieta marciava giorno
e notte; e camminando rapida e festina, tutta anelante alla
battaglia ed a liberar Sità, non s'arrestava pur un momento
in nessun sito.

C A P IT O L O L XXIV.

VEDUTA DELL'OCEANO.

Pervenuti quindi alla giogaia dei monti Vindhya, folti


d'alberi e coronati di molti cacumi, i scimi vi saliron sopra;
e Ràma progrediva nel suo cammino, riguardando le varie
selve, i fiumi e le cascate del Vindhya e del Malaya. I scimi
passavano colà per mezzo i sandali odorosi, i tili e le man
gifere, gli asoki, i vitici negundi, i timiri e gli oleandri,ed
ebbri di lor forza andavan colà dirompendo in ogni parte
i pterospermi e gli amaranti, le michelie e le dalbergie, le
mauclee kadambe e le ixore bandhùche, i mimusopi, le cordie
latifoglie, le arundini karke, le shoree e le palme, i xantho
cymi e le myristiche, dove avevano loro stanza vaghi augelli
di canto soave e più altre creature; e schiantavano frutti
SUNDARACANDA. 105
saporosi come l'amrita e radici e piante striscianti. Quegli
abbronzati e fieri scimi s'inoltravano rapidamente, guardando
qua e là pendenti mirabili favi di miele della misura d'un
drona, e succhiando que' dolci favi ed abbattendo alberi e
strascinando piante repenti. Ei se n'andavano innanzi, met
tendo qua e là a conquasso gli alberi più nobili del monte
e strepitando imbaldanziti dal miele bevuto, mentre altri
saltano all'ingiù e si precipitano sopra un'altro giogo. La
terra così era inondata da quegli abbronzati scimi, come
si vede talor coperta di vasti campi di riso maturo.
Pervenuto al monte Mahendra, Ràma dalle forti braccia
e dagli occhi di loto ascese al sommo della sua cima tutta
florida; e salito su quel vertice, vide il Dasarathide l'Oceano
sede di Varuna, pieno di pesci e di testuggini. Oltrepassato
il Vindhya e il gran monte Malaya, l'oste pervenne a mano
a mano al mar che mugghia orribilmente. Quivi Ràma, fonte
suprema di letizia, disceso dal dosso d'Hanumat, s'avviò
prontamenie con Lacsmano e con Sugriva all'alta selva che
si stende in riva al mare; e pervenuto alla gran ripa so
verchiata dall'onde marine e le cui roccie son tutte lavate
e nitide, Râma così parlò: Eccoci giunti, o Sugriva, all'o
ceano salsugginoso; or qui si pensi al modo di valicarlo,
sì come abbiam già prima deliberato. Quinci oltre è pro
fondissimo il mare signor de' fiumi, nè è possibile il vali
carlo senza qualche possente mezzo; or facendo qui fermata,
consigliatemi voi quel che è opportuno, affinchè questo eser
cito di scimi possa pervenire all'opposta riva. Così detto e
pervenuto in riva al mare, il nobil Ràma, dolente della ra
pita Sità, comandò che quivi si sostasse: Ogni schiera, ei
disse, o prodi scimi, qui si fermi sulle sponde del mare;
è giunta l'ora del consigliarci intorno al modo di passar
l'Oceano. Nessun di voi, o prodi scimi, lasciando la sua
schiera, sen vada altrove; vuolsi qui riconoscere questa selva
occultamente paurosa.
Uditi que' detti, Sugriva e Lacsmano fecero sostar colà
l'esercito sulla riva inarborata dell'Oceano; e quell'oste di
scimi stanziata colà nella vicinanza d'alti monti, pareva come
un secondo e grande Oceano d'acque fulve. Tutti que' scimi
coi loro duci raccolti alla selva che ombreggia la riva e colà
106 RAMAYANA.

seduti, guardavano con desiderio affannoso l'opposta sponda


dell'Oceano; quel grande esercito di scimi, capitanato da Su
griva e seduto là in tre ordini era tutto disposto e pronto in
pro di Ràma. Sostante in faccia al mare e tutta attonita, quel
l'oste contemplava il grande Oceano scommosso dallaforza del
vento, e riguardando la sede di Varuna che ha rive sì lontane,
tutta aperta dinanzi a loro e piena d'animali acquatici, si
smarriron d'animo i duci de' scimi. Ei miravano colà fisi il
profondo Oceano, ricetto degli Asuri, orrido, impervio, inac
cessibile, popolato di fieri coccodrilli e di mostri marini,
fluente nell'ora in cui muore il giorno, sollevato dal nascer
della luna e riflettente per tutto la sua imagine, impetuoso,
vorticoso, pieno di serpenti accesi e vaganti fra le linee
dell'onde, ricetto di rettili striscianti, profondo e pieno di
grandi animali e di mostri diversi. Grandi e gonfi marosi
suscitati dal vento e solcati da mostri acquatici e da ser
penti, si sollevano e ricadono.
I scimi, riguardavano quivi intenti l'Oceano sbattuto dal
vento e come infocato, co' suoi serpenti e colle sue acque illu
minate, terribil dominio degli Asuri e stanza eterna del Pàtàla;
ei vedevano il mare somigliante all'atmosfera e l'atmosfera si
mile al mare, e pressochè niuna differenza fra l'uno e l'altra.
Chè il lembo estremo dell'acqua confuso col lembo del cielo, e
il cielo congiunto coll'acqua, l'uno e l'altra appaiono quasi una
stessa cosa, quello ornato di stelle, questa di nitide perle; non
v'avea differenza fra il mare e il cielo, l'uno ingombro di
nuvole che si sollevano, l'altro d'onde che s'accavallano.
Urtati l'un contro l'altro, mugghiano con orrendo strepito i
fiotti marini, come grandi taballi percossi. Ei mirarono il
magnanimo Oceano, stanza d'animali acquatici e ricco di
gemme, sollevantesi per urto de'venti, come irato, e con
gran fragore, e quasi scisso dalla forza del vento; lo videro
sospinto dagli aquiloni salir quasi colle sue onde al cielo,
e quasi tutto in sè convolgersi co' suoi flutti vorticosi e col
fragor delle sue acque.
SUNDARACANDA. 10

C A PIT O L O L XXV.
LAMIENTO DI RAMIA.

L'esercito era stato da Nila, conforme all'ordine di Râma,


ben allogato sulla riva settentrionale del mare, con bella
mostra e tutto raccolto; e i due duci Meinda e Dvivida anda
vano attorno in ogni parte per proteggere quell'oste. Stan
ziato quell'esercito sulla riva dell'Oceano signor dei fiumi
e delle riviere, Râma veggendo al suo fianco Lacsmano,
così gli disse: Il dolor quaggiù pur se ne va coll'andar del
tempo; ma il dolor ch'io sento di più non veder la mia
diletta, vie più cresce di giorno in giorno. Nè tanto io m'af
fanno, perchè sia lontana la mia sposa o perchè sia ella
stata rapita, quant'io m'attristo, perchè il tempo se ne fugge.
Il mio corpo è riarso dì e notte dalla fiamma del mio amore,
alimentata, come da esca, dal trovarmi diviso da Sità, e
fatta tutta ardente dall'acceso pensier di lei. Privo della Mi
thilese io potrò forse, o Saumitride, trovar qualche riposo,
immergendomi nell'acque del mare; chè forse il cocente mio
amore non m'arderà giacente nell'acqua. Spira, o vento,
colà, dove si trova la mia diletta, e toccatala col tuo alito,
vieni quindi a toccar me pure; questo io desidero sopra
ogni altra cosa, rivedere, io dico, la mia donna, e sol per
questo io ancor posso sostener la vita. M'arde le membra, sì
come fuoco serpeggiante o generoso, il pensar che si consumi
in tristi lamenti quella donna da me tanto amata, da me che
tutto ardo di rivederla e pur conosco non esser questa cosa
leggiera; perocchè ed io e quella mia donna dai bei lombi
siamo ridotti amendue a giacer sulla nuda terra. Ma come
un arido campo privo d'acqua è sostentato coll'aiuto dell'acque
d'un campo vicino ben irrigato, così io pur vivo, perchè
sento colei esser pur viva. Oh quando fia che io rivegga,
sollevandolo, il volto di colei dalle belle labbra e dai bei
denti, soave come un fior di loto, e fonte sovrana di conforto,
come liquor che ristora la vita! Quella mia diletta dal nero
contorno degli occhi, circondata dalle Racsase e derelitta,
benchè io sia suo sostegno e donno, non trova certo colà un
108 RAMAYANA,

solo che la protegga. Oh quando mai, rotti e dispersi i Racsasi,


risorgerà tutta fulgida quella donna; come una striscia di
baleno che squarci la nera nuvola! quando mai, vinto il mio
nemico, rivedrò io Sità dai bei lombi, dai lunghi occhi pari
a foglie di loto, come una Lacsmi fortunata! quando porrò
giù ad un tratto questo crudo mio dolore dell'esser diviso
da Sità, come si lascia una veste che ha perduto la sua
bianchezza ! Sità sottilissima di persona per sua natura, or
sarà vie più ancora assottigliata e dal dolore e dal digiuno,
in questo misero rivolgimento di suo stato e di sua fortuna.
Oh quando mai, conficcando nel cuor del re de' Racsasi le
mie saette, ricondurrò libera con me Sità oppressa dalla
violenza del suo affanno? Mentre colà così lamentava il
saggio Ràma declinò sul morir del giorno all' occaso il sole,
menomato di forma e di splendore.

C A P IT O L O L X XVI,

DISCORSO DI NIKASA.

Ma incesa Lanka e partitosi l'accorto Hanumat, la madre


di Rávano, udita la morte de' fieri Racsasi, possenti e va
lorosi, parlò afflittissima a Vibhisana suo figlio parole di gran
rilievo: Il Raghuide, uom d'alto senno, intento a cercare
la diletta sua sposa, mandò qui Hanumat e fu da lui veduta
Sità. Egli è questo, o figlio, un sinistro e fiero presagio al
re de' Racsasi; tu ben discerni, o saggio, qual sarà l'esito
di questo evento: chè la sfoggiata prosperità, ch'uom fruisce
ingiustamente, adduce al fine orribili sventure che accre
scon la gioia de' nemici. Quell'opera biasimata che fece tuo
fratello, o giusto ed incolpato, non mi va punto all'animo,
a guisa d'un tristo cibo inghiottito. Quel giusto Ràma che
sa l'uso di tutte l'armi, or che conosce da chi gli fu rapita
Sità, farà per racquistarla opera degna di sè; chè colui co
stante nel vero ed appoggiato alla forza dei teli divini, armato
d'arco e acceso d'ira, prosciugherebbe eziandio il mare. Que'
Racsasi che un dì scamparon salvi dalla battaglia che ebber
con lui, giungendo qui atterriti e con ogni lor forza fiaccata
dalla possanza di colui, narraron la pioggia di dardi insupe
SUNDARACANIDA, I09
rabile, irresistibile, ineluttabile, fulminata da quell'eroe
sdegnato. Qual altro uom mortale avrebbe potuto tutto
solo uccidere in una gran battaglia quattordici mila fieri
Racsasi? Per certo colui è Yama in sembianza d'uomo
che va attorno fra le genti; chè tal possanza non si trova
nè fra gli Asuri nè fra i Devi. Giudicando dalla morte di
Kara e dallo sterminio di Marica, io ben credo, o duce
de' Racsasi, ch'ei non v'ha sulla terra alcuno che pareggi
Räma; e pensando qual sia quel Dasarathide dotato d'ogni
virtù, io tutta impaurita più non trovo riposo e tremo in
tutti i miei sensi. Onde tu, o eroe dai grandi occhi,
t' adopra con mente sottile e accorta sì che non fugga il
tempo opportuno; tu, destro favellatore, fa, se il puoi,
che oggi Rávano oda da te parole soavi e dolci e salutari
per l'avvenire; chè io per me, o figlio, non potrei pie
gare a mia voglia quel figlio di Pulastya che non sa
tener sè stesso a freno, che ha cuor superbo ed animo
alieno dal dovere. « Rendi Sità, o Rávano! » Questa parola
fa tu che egli oda prontamente, o parlatore egregio; chè
ciò sarà a lui proficuo. Procura di ridestare colle fredde
aure di giuste parole quell'insano, affaticato in opere orri
bili ed immerso nel sonno dell'ignoranza. In questa terra
spaventosa èd orrida, inondata da torme di Racsasi, tu solo
risplendi colla tua fama, a guisa di luna dislegata da ogni
nube; tu solo, operando rettamente , sostieni tutto questo
popolo ingolfato nell'ingiustizia, come si sostiene con saldo
argine l'Oceano. Stando avvisato in ciò che conviene, pro
caccia or tu dunque di non esser preso nel legame dei mal
vagi, di non esser privato della nobile tua fama, di non
cadere al tutto nelle mani della morte. Siccome con forti
ed acutissimi roncigli si contiene un grande elefante che
corre qua e là gocciante per le tempia ed ebbro d'amore,
così fa di contenere il re de' Racsasi con forza e con ron
cigli di utili parole.
Così esortato dalla madre ed abbracciati i belli suoi piedi,
preso commiato con atto reverente e senza invidia di niuna
cosa, si partì Vibhisana, ansio di vedere il re de' Racsasi.
]] 0 RAMAYANA,

C A PIT O L O L XXV II,

DISCORSO DI RAVANO,

Allor che vide l'opera orrenda e spaventevole, fatta da


Hanumat in Lanka, qual farebbe appunto il magnanimo Im
dra, Ràvano cogli occhi ardenti d'ira e colla faccia alquanto
china per isdegno, così parlò a tutti i suoi ministri, a Vi
bhisana ed ai Racsasi più cospicui: Qui venne Hanumat ed
entrò in questa mia città; e penetrando nel gineceo, ei vide
Sità. Ei ruppe i culmini di questa reggia, spense i Racsasi
più valorosi e tutta mise in conquasso la città di Lanka.
Che s'ha or da noi qui a fare? che cosa giudicate or qui
opportuna? Dite ciò che vi pare a noi conveniente; qual
cosa sarebbe or qui ben fatta? Perocchè gli onorandi saggi
dicono che radice della vittoria è il consiglio; onde a voi
piaccia, o forti, darmi consiglio intorno a Ràma. Tre ma
niere d'uomini v'ha nel mondo, i sommi, gli infimi ed i
mezzani; or io dirò di tutti costoro i pregi ed i difetti,
Colui che consigliatosi con consiglieri intenti al suo bene
ed atti a deliberare, o con amici che han con lui comune
il lor vantaggio o con congiunti che amano l'utile suo, pon
quindi mano ad un'impresa e adopra ogni sua virtù per resi
stere alla forza del destino, quegli è detto sommo fra gli uomini
Colui che tutto solo considera una cosa e solo esamina quel
che è giusto e solo pon mano all'operare, è detto mezzano
dagli uomini. Colui che senza considerare i pregi e i difetti
d'un'impresa e tutto commettendosi al destino e dicendo:
« Or pur farò! » pon mano all'opera, quegli è detto uomo
infimo. E così come un uomo è riputato sommo, mezzano
od infimo, così pure il consiglio dee stimarsi o sommo od
infimo o mezzano. Quel consiglio, in cui si fermano i con
siglieri, convenuti in una medesima sentenza per la via in
dicata dalle sacre dottrine, è appellato consiglio sommo. Quel
consiglio che dopo aver prodotto diversi avvisi nel deliberar
de' consiglieri, si riduce poi di nuovo ad unità di sentenza,
è chiamato consiglio mezzano. Là dove i consiglieri parlano
di continuo, biasimando l'uno il parer dell'altro, e non pos
SUNDARACANDA. 11I
Sono pur al fine accordarsi in una stessa sentenza , quel
consiglio è detto infimo. Or voi, consiglieri egregi, delibe
rate con maturo consiglio ciò che sia da farsi, quello che
voi giudicate più opportuno mandare ad effetto. Perocchè
egli è manifesto che il Raghuide, circondato da migliaia di
prodi Vànari, trapasserà senza fatica il mare. Ràma, ei non
v'ha dubbio, animato da foga irresistibile, munito d'esercito
e di seguaci, metterà certamente sossopra Lanka. In tale
frangente a me contrario, consigliate voi qui, o Racsasi, ciò
che vi par utile alla città ed all'esercito.

C A P IT O L O IL XXV III.

RAVANO INCORAGGIATO.

Esortati da que' detti del re di Lanka, que' Racsasi for


tissimi, giungendo le mani sulla fronte, così parlarono a
Ràvano: Quest'avversità, o gran re, che ti sopravviene da
gente vile, tu non dei recartela a cuore; saprem ben noi
mettere a morte quel Raghuide. Tu hai un esercito grande
e poderoso, armato d'aste e di ferree clave, d'ascie e di
scimitarre; perchè ti sgomenti, o re? Tu già un dì, perve
nuto alla sommità del monte Kailàsa, difesa da gran nu
mero di Yaksi, e fatta d'essi strage orribile, sottomettesti
alla tua possanza Kuvera signor delle ricchezze; vinto in
battaglia quel possente, reggitor della plaga settentrionale
e superbo dell'amicizia di Siva; messe a morte, domate e
conquassate torme di Yaksi, tu, o eccelso re, dalla sommità
del monte Kailása qui ne menasti lo splendido carro Pus
paka. Il duce de' Dànavi Maya, desiderando per paura la
tua amicizia, ti diede, o eroe de' Racsasi, in isposa la sua
figlia. Un altro duce de' Dànavi, Madhu, orgoglioso di sua
forza, fu da te, per cagion della bella Kumbhinasi, domato
con fiera gagliardia. Tu, o prode dalle grandi braccia, pe
netrando nell'orrido Patàla, vincesti i Nàghi (serpenti) Vàsuki,
Taksaka, Padma, Sankha, Karkata e più altri valorosi. Eroi
fortissimi e saldi, privilegiati di doni divini, armati di tutto
punto e coperti a maglia furon da te combattuti in zuffa per
un anno intero;ed appoggiato al tuo valore, o prode Racsaso,
-

T12 RAMAYANA,

tu li forzasti ad esserti amici, e con essi più altri Asuri colà


venuti. Tu, o gran re, vincesti in battaglia i figli di Varuna,
prodi e forti e seguitati da un esercito quadripartito; tu
ingolfandoti nel gran pelago della possanza di Yama che
tien lo scettro della morte, pieno d'orridi mostri e cinto
d'alberi di sàlmali e di dumi, conseguisti grande gloria e
tenesti Yama a freno; e combattendo con gran valore,
facesti liete tutte le genti. Era un dì la terra piena di
prodi Ksatri, pari di forza ad Indra, quasi d'alberi robusti,
alla cui possanza e gagliardia non s'agguaglia per certo
Ràma; e que' guerrieri invincibili pur furon da te, o re ,
disfatti con forte impeto. Tu rimanti or qui, o re possente;
che bisogno hai tu d'affaticarti? Questo solo Indragit dalle
grandi braccia manderà tutto a sbaraglio: chè colui, o sommo
re, fatti suoi sacrifizi al grande Siva, ne ottenne un dono,
difficile nel mondo ad ottenere. Colui entrato un dì nel
grande pelago della possanza dei Devi, che ha, in luogo di
pesci, lancie e clave, sparti teli in luogo di piante acqua
tiche, carri, cavalli ed elefanti in vece di fiotti, e masse di
combattenti in luogo d'isole, ne prese Indra signor dei Devi
e lo rinchiuse in Lanka; donde poi liberato per ordine di
Brahma, se ne tornò alla sua sede, onorato da tutti i Devi,
l'uccisor di Sambara e di Vritra. Non v' ha forza nei tre
mondi, che tu non abbia vinta, o re; chè la tua possanza
è suprema ed al tutto insuperabile. Or tu, o gran re, com
metti a quest'Indragit l'assunto; egli sterminerà quella gran
d'oste de' Vànari.

CAPIT o L o LXXIX.
PAROLE DE' CONSIGLIERI.

Allora il prode Racsaso, per nome Prahasta, somigliante


a nera nube e duce dell'esercito, così disse con atto reve
rente: i Devi, i Dànavi ed i Gandharvi, i Pisâci, gli aligeri
ed i serpenti non potrebbero soverchiarti in battaglia; or
quanto meno quell'oste di scimi! Noi tutti per negligenza
e per soverchia sicuranza fummo ingannati da Hanumat;
chè altrimenti, vivi nòi, non se ne sarebbe ito vivo quel
SUNDARACANDA, 113
Vànaro: ma or tu ne imponi i tuoi comandi, e noi farem
vota di scimi la terra intiera co' suoi monti e co' suoi mari,
colle sue roccie, colle sue selve e co' suoi boschi; ordine
remo esploratori per la difesa, o vincitor possente; nè c'in
coglierà disastro alcuno per nostra colpa.
Ma il Racsaso Vagradanstra, vibrando la terribile e ferrea
sua clava, lorda di carni e di sangue, così disse al re de'
Racsasi: Che abbiam noi più, o re dei Nottivaghi, a curarci del
misero Hanumat, mentre pur son vivi e il forte Ràma e
Lacsmano e Sugriva? Ma posti oggi quei tre a morte, dis
perderò ben io con questa mia clava i nemici, mettendo
in conquasso l'oste de' scimi.
Il Racsaso, per nome Trisiras, così parlò fieramente irato:
Non vuolsi in alcun modo sopportare questo oltraggio fatto
a noi tutti; egli è questo un orribile affronto, massime per
parte d'uno scimio, fatto al possente re de' Racsasi, alla città
ed al gineceo. Correndo in questo punto addosso a que”
scimi, li forzerò ben io a retrocedere; chè io non soffrirò
giammai sì duro oltraggio, fatto a colui che qui impera.
Sorse quindi il Racsaso Yagnahana , pari ad un monte
e pien di sdegno, e leccandosi la faccia colla lingua, così
disse: Se ne stiano giocondando tutti i Racsasi colle lor
donne; basterò io solo a divorar que' duci de' scimi; attendi a
sollazzarti a tuo diletto colla tua donna , o re de' Racsasi;
io metterò a morte sul campo di battaglia' Räma con tutti
i suoi seguaci.
Allor lo sdegnoso e fiero Kumbha, figlio di Kumbhakarna
così parlò oltremodo irato a Rávano, terror del mondo: Ri
mangano qui con te raccolti questi tuoi consiglieri, o grande
re; lieti si diano buon tempo e bevano senza pensiero liquori
inebbrianti; io solo porrò a morte e Lacsmano e Sugriva e
Hanumat ed Angada e quel Ràma, sì terribile a nemici.
C AP IT O L O L XX X.
DISCORSO DI VIBRIISANA.

Allora i Racsasi Nikumbha, Rabhasa e il fortissimo Sù


ryasatru, Suptaghna, Yag'nakopa, Mahodara e Mahàpàrsva,
Agniketu, Mahàbàhu e Rasmiketu, il possente Indragit, grande
VOL., llI. 8
ll 4 RAMAYANA.

artefice di prestigi, figlio di Ràvano, Praghasa, Virûpáksa


e il robustissimo Vagradanstra, Dhùmràksa, Prahasta e Dur
mukha, levatisi tutti ad una e pieni d'ira, e brandendo le
ferree lor mazze e le lor ascie, i dardi pennuti, le lancie,
l'aste, le spade, i magli, le acute saette e gli archi e le clave
cerchiate d'oro, così dissero a Ràvano, ardenti d'igneo
vigore: Oggi noi stermineremo Ràma, Sugriva e Lac
smano e quel miserissimo Hanumat da cui fu oltraggiata
Lanka.
Ma Vibhisana discostando tutti que' Racsasi che brandivan
le lor armi e facendoli seder di nuovo rimpetto a sè, così
parlò composto a reverenza: Quell'effetto che non si può
conseguire coi tre mezzi principali, il blandire, il donare,
il disunire, dicono i saggi che pur s'ottiene con altri validi
spedienti messi in opera in tre diverse congiunture. I validi
conati, o re, soglion sortire il loro effetto, adoperati conve
nientemente e con riguardo contro chi sen vive trascurato,
in chi è impedito da altri nemici, in chi è sopraffatto dal
destino. Ma come puoi tu sperare di vincer Ràma attento e
vigile, disposto alla battaglia e cupido di vittoria, sdegnato
e insuperabile? Chi può sulla terra pur comprender colla
mente la foga d'Hanumat valicante il mare orrendo, signor
de' fiumi e delle riviere? Sono immense, o Racsasi, le forze
e la possanza de' nemici; nè conviene per alcun modo dis
prezzarli avventatamente. E qual offesa fece mai per l'ad
dietro Ràma a Rávano, il quale rapì a quel magnanimo la
sua sposa fra le selve del Ganasthàna? Se l'ardito Khara
fu da Ràma ucciso in battaglia, ciò fu perchè ognun che
vive, dee necessariamente difendere a suo potere la pro
pria vita.
Or ci sovrasta un gran pericolo per cagion della regal
Sità; onde si dee per la salvezza della nostra stirpe rilasciar
quella donna senza esitare.
Tu riguardando alla tua schiatta, al regno de' Racsasi, a
questa Lanka piena di popolo e alla suprema signoria dif
ficile a conseguire, rendi Sità, o Ràvano.
A te non si conviene attaccar guerra infruttuosa con quel
possente, seguitator della giustizia; si renda a lui la Mi
thilese.
SUNDARACANDA, 115
Finch'egli ancor non mette a fuoco e a fiamma questa
città piena di cavalli e d'elefanti e doviziosa di molte gemme,
gli si renda la Mithilese.
Finchè Lanka non è ancor ridotta in cenere e non son
rotte le sue bastite e le sue porte dalla foga delle saette di
Lacsmano, si renda Sità a Râma.
Finchè la terribil oste de' scimi, poderosa e irresistibile
ancor non oppugna le mura della nostra città, si renda Sità
a Ràma.
Andrà in rovina la città di Lanka e tutti con essa i prodi
Racsasi, se non si rende a Râma la sua sposa.
Io ti scongiuro per lo vincolo del sangue; fa quello ch'io ti
consiglio; io parlo parole utili e giuste; si renda a Ràma
la figlia di G'anaca.
A te non s'addice entrare in guerra inutile con quel pos
sente, magnanimo, saggio, giusto, e valoroso, sperditore dei
nemici; rendi al Dasarathide la Mithilese. -

Affinchè non pera oppugnata dall'oste de' Vànari quest'ampia


città, ricca di gemme, fornita di cavalli e d'elefanti e po
polata di prodi Racsasi; rendi al Dasarathide la Mithilese.
Un dì il Raghuide lancierà per la tua morte saette acute
e dai bei nodi, lucenti come raggio di sole, e dardi che
mai non cadono in vano; rendi or dunque al Dasarathide
la Mithilese.
Un dì assaliti in guerra dai nemici ed oppressi nella bat
taglia dalle saette del Raghuide, fuggiranno questi Racsasi
coi capelli insanguinati e sparti; rendi orvia al Dasarathide
la Mithilese.
Un dì la fiera oste de' Vànari, superba di sua forza, im
petuosa e protetta dal braccio di Ràma, verrà di certo op
pugnando questa città; rendi al Dasarathide la Mithilese.
Perchè non sia distrutta co' suoi Racsasi questa tua città
e insieme con essa la tua vita, sommamente cara, dà retta
alle parole veraci e salutari de' tuoi amici; rendi al Dasa
rathide la Milhilese.
Salva, o Rávano, questa città e i Racsasi, il fiorente e
nobile gineceo, e questo popolo che t'è suddito e a te s'ap
poggia come a suo sostegno; rendi al Dasarathide la Mi
thilese.
116 RAMAYANA. -

Smetti l'ira che distrugge la tua gloria e la tua stirpe,


e tienti alla giustizia che accresce l'onorata nominanza; sia
tu a noi propizio sì che possiam pur vivere coi nostri figli
e coi congiunti; rendi al Dasarathide la Mithilese. ,

Rendila finchè Lacsmano colle possenti sue saette ornate


d'oro non ha qui fatto ancora ingombra Lanka, sì come
alla stagion delle pioggie Indra inonda d'acque la terra co
perta di biade. Chè le fulminee saette scoccate da Lacsmano
non pur si conficcheranno nei monti e nelle roccie, negli
elefanti e ne' cavalli, ma nella gran compage delle loriche
e dell'armadure. Tale è il fermo mio parere.

C A P IT O L O L X XXI.

DISCORSO DI PRAHIASTA.

Udite, le parole di Vibhisana, giuste, opportune e salu


tari, l'astuto Råvano n'ebbe consiglio co' suoi consiglieri.
Quindi il re de' Racsasi, facondo e destro al favellare, altiero
e circondato da gente altiera, così rispose con acconci detti:
Colui che prima di metter mano ad un'impresa, considera
ben bene la sua forza e la forza altrui, e il tempo e il luogo,
è detto uom saputo; colui che discerne in ciascun' opera
quello che v'ha d'inutile ed ogni altra congiuntura e ne esa
mina eziandio l'utilità con ogni altra sua circostanza, quegli
è chiamato savio. L'uom che ha sovra gli altri impero,
dee governarsi con consiglio ben stabilito, con fermo pro
posto di sterminare ogni suo nemico, ma non con animo
ligio all'amore, nè con orgoglio insano del suo potere, nè
con disprezzo di tutte le genti. L'inescogitabile, l'incompren
sibile destino è il movente eterno; nel mondo ogni creatura
raccoglie il frutto destinato di ciò che ella fa od utile o dan
noso. Quaggiù l'opera che è umana, non passa punto inosser
vata;ma l'opera del destino,che è diversa dall'opera umana,
quella non è punto veduta. Ma a colui che accorto e savio
osserva l'andamento delle cose, il destino, benchè donno, va a
seconda ne' suoi desideri. E come mai, se non fosse il destino,
avrebbe uno semplice scimio potuto penetrare in Lanka?
perciò il destino è grande e meraviglioso. Ma sì come nelle
SUNDARACANDA , 117
cose anche avverse i forti e i deboli me' lor atti vanno
dietro a chi li guida col consiglio, perciò il consiglio è la
guida suprema. Qual è quaggiù ai Brahmani maturi nella
lor scienza la mistica e sacra sillaba Om, così han radice
nei consigli le opere dei re sopratutto; e come la sacra sil
laba Om proferita dal Brahmano apre le vie dell'udito, così
fa appunto il consiglio nel ben comprendere un assunto. Con
quali consiglieri dee tener consiglio un re che sa governare,
con tali ei dee pur mantenerlo; tutto ciò è ben dichiarato
da coloro che conoscon le buone dottrine. Ma il re desidera
consiglieri la cui mente sia munita delle otto grandi qualità,
che abbian virtù ed amico affetto e siano di nobile stirpe;
e dee escludere chi ha qualità contrarie; tale è il prescritto
della legge; perciò io tengo consiglio con voi forniti di tutte
le doti. Or qui s'oda ogni vostra deliberazione secondo il mio
proposto.Voi dovete convenire in un sol parere intorno a ciò,
che sia ostacolo ai nemici e conferisca al solo mio vantaggio;
or ciò conoscendo, proponete consigli ben maturati; chè
non si potrebbe altramente tener lungo tempo salvo un re
gno. Il re che, dopo aver deliberato quel che è da fare,
intende ad acquistar dominio sulla terra, fruisce il frutto del
regnare. Un re magnanimo dee sopratutto considerare as
siduamente il pro e il danno d'ogni cosa e recare ad effetto
quel che ha deliberato. Sì come è occulto agli uomini il
moto su nel cielo del sole e della luna, così è lor nascosto
l'andamento dei segni costellati (naksatri) e dei magnanimi
pianeti; e per quella via in cui entrando cammina il rettor
degli uomini, per quella via calcata dal re pur se ne va la
grande turba. Sì come quaggiù è proprio d'un esercito qua
dripartito l'andar dietro al suo duce, così è proprio ufficio
di chi regge il seguitar le rette norme stabilite. Io ho pur
conosciuto per certa prova la piena e libera mia indipen
denza; poichè, sebbene io abbia qui in mio potere la Vi
dehese, pur non m'offende insania d'amore. Ma qui alcuni
donni d'ogni lor senso potrebbero riprendermi per l'offesa
da me fatta ad un uomo dedito a vita ascetica; ma sopra
ciò già prima d'ora era fermo il mio avviso. Come mai un
uom che veste nella selva abiti di penitente, dee egli mettere
in fuga ed atterrire gli abitanti della foresta con arco, saette e
118 RAMAYANA,

spada? Per certo coloro che han vinto sè stessi e portan con
alto affetto compassione a tutte le creature, deggiono ali
mentarsi di puri frutti e rimanersi di continuo dentro il
loro romitaggio. Dove mai si vide dimorare entro un abituro
ascetico un'altra donna come Sftà, vestita di sottil veste
colorata, e portante anelli d'oro brunito? Qual uom venuto
per pio dovere ad abitare nelle selve, udì egli mai per
l'addietro suon di cingoli o d'ornamenti che portan le donne
ai piedi? E perchè Ràma fece un dì strage orrenda di
Racsasi, perciò s'è egli pur qui dipartito dall'adempimento
del suo dovere; per la morte di que' Racsasi si rese egli
vituperevole al cospetto di tutti i Devi.
Ma qui primo Prahasta, esperto nell'armi e nella forza
che sono le sue scienze, prese a dire queste parole: Qua
lunque nobil pregio od atto, degno dei magnanimi, fu mai
in alcuna creatura, ei si trova in te pienamente. E chi altri
mai, o re, dotato d'ogni possente virtù, penserebbe pur fra
sè che i consigli son radice delle opere? chè i re sopratutto
sogliono essere sulla terra violenti e altieri fuor di modo,
a guisa d'elefanti ebbri d'amore. Nulla mai fu da te fatto,
nè si farà che non sia da farsi; perocchè coloro che, come
tu, han per guida la scienza del governare, mai non si di
partono dal dovere ch'ella loro addita e segna. Ma tu pon
mente, se il vuoi, ai quattro spedienti già menzionati, che
han luogo in ogni occorrenza per condurre a buon fine
un'impresa; ciò sono, il blandire ed il donare, il disunire
e il castigare; questi mezzi deggionsi da un re specialmente
adoperare con tutto l'animo. Ma le blandizie voglionsi usare
con gente nobile e valorosa, i doni con gente cupida, la
disunione con gente dubbia; tale è il mio avviso; il castigo
poi dee sempre essere inflitto ai miseri ed ai rei ed a coloro
che fanno offese; così è definito dalle leggi. Da che Ràma ci
ha un dì assaliti con tutto il nervo della sua forza, come po
trebbe un valoroso tuo pari avere or ricorso ad un tal fiacco,
qual è Ráma? Noi non siam per certo disposti a far dimande
a quell'uom dappoco con blandizie o cogli altri mezzi, bensì
sarem atti a farle con tutto lo sforzo delle nostre schiere.
Conosci intiera la verità; il castigo èsolo qui efficace; perchè
Ráma, tralasciati gli altri tre mezzi, s'appiglia ei pure sovra
SUNDARACANDA, 119

htl tutto al castigo. Stando così la cosa, il solo castigo è qui op


) portuno ed efficace; e il nostro assunto sarà pure fortunato
iro il e al tutto degno di noi. Ma voi ne dimostrate come dotato di
gran virtù l'animo del nostro nemico; onde parrebbe a voi
si conveniente l'adoperar con lui le blandizie e gli altri mezzi.
gli Ma ei sembra a me evidente che v'ha in ciògrandissima colpa,
che un nemico abbia, ei non ha guari, preso qui violen
temente forma di messaggiere. Stimano i buoni che un mes
i saggiero debba essere conoscitor delle sane dottrine, facondo,
gli benevolo, d'acuto intendimento e puro, e nato di grande
stirpe; ma quel messo mandato da Râma avea pur qualità
gi
del tutto contrarie a quelle, mostrando malvagità atta a
corrompere ogni suo negozio. Or come mai dei tu, o signore,
sottometterti agli ordini d'un che fa opere così fatte e che
l
per stoltizia di mente ha raccolti intorno a sè scimi avidi

ti di battaglia? E giunto or finalmente pe' tuoi guerrieri, de


siderosi sempre di combattere, il momento felice e deside
rato d'entrare in guerra; i tuoi guerrieri bramano or tutti
di por mano nelle battaglie alle lor clave e ai loro archi,
alle lor lancie e all'ascie. Per certo, o re, la terra assetata
desidera bere il sangue di quei scimi trucidati da noi in batta
glia. Per certo Ràma e Lacsmano assonnatisi, si sveglieranno
fra breve, sorpresi nell'ora destinata, dal loro funesto sonno.
Coperta di tronchi informi, bagnata e lisciata del sangue
d'uccisi guerrieri armati di gran denti, gioirà certamente
la terra. Si chiami, o re, qui oggi all'armi ogni guerriero,
onde sia disfatto il nemico nel conflitto della battaglia; si
mostri mirabile in vista e somigliante ad una selva di pal
mizi l'oste de' Racsasi dalle grandi braccia, colle lor clave
sollevate.

C A PIT O L O L XXX II.

DISCORSO DI MAHIODARA.

Il Racsaso Mahodara, grande in guerra ed in consiglio


proferì nel mezzo di que' savi questi assennati detti: Le alte
ed aperte parole dette testè dal re, irradiate dai raggi della
sua mente, mi paiono pur come involte in qualche velo di
120 RAMAYANA,

dubbio; ma le parole ornate, ragionevoli ed opportune che


disse Prahasta, tutte consuonano appieno coi nostri discorsi,
Piacciati ora, o re, udire eziandio i miei detti; chè già prima
ciò fu da me molto considerato nella mia mente, ed egli
è pur noto a noi tutti. I consiglieri raccolti ad una seguono
per vicendevole affetto quel consiglio ch'essi han l'un coll'altro
discisso e non discusso. Gli amici divisi mai non convengono
nelle occorrenze in un solo intento; perocchè fermi ciascuno
nella lor sentenza, ei seguono il lor parere. Ma l'unione, o
re, conferisce all'unità d'intendimento, ove il consiglio sia
di cosa salutare, e chi intende a dominare, s'attenga ad esso.
Così la divisione de' consigli e l'attenervisi ostinato non sono,
o re, cose lodate; ma amendue son grandi errori che corrom
pono i consigli di chi regna. Il consiglio ponderato con oppor
tune ragioni e con tutte le loro differenze, ed esposto con
ischietto intendimento, è giudicato consiglio ottimo. Noi tutti
conosciamo, o re, esser questa l'ora d'una giusta guerra;
onde vuolsi considerare il pro e il contro di quel che oc
corre al fatto di guerra. Chi siam noi, chi è il nemico in
questa battaglia? quali son l'armi di ciascuno? qual è la
condizione del tempo e del luogo ed a chi sarà ella qui fa
vorevole? Questo è a noi gran vantaggio, o eccelso, che il
memico è fuor di sua sede e noi siam dentro le nostre sedi.
Ai Racsasi meglio s'addice nelle battaglie l'ora notturna;
onde, o re, la nostra vittoria è riposta senza dubbio in not
turno combattimento; e deesi dai guerrieri Nairiti, avidi
di pugna e sperti nell'armi, disporre, o re, sovratutto che
la battaglia si faccia di notte. La causa giusta, inspira
trice di virtù è movente di chi opera; e grande eziandio
è il consiglio in guerra, sì come il valore dei generosi.
Così il tempo, il luogo, la forza coll'altre prestanti virtù,
tutto sta qui per noi; s'ordini adunque la battaglia. Prov
veduti compiutamente d'armi e d'armadure, noi tutti pieni
d'ardente coraggio desideriamo sol la battaglia. Bevano or qui
i Racsasi, a guisa d'assetati, il dolce sangue di que' scimi uc
cisi in guerra; e la faccia del Raghuide fatta segno nella
pugna ai curuli guerrieri inebbriati dall'armi, sia or qui su
bitamente tutta inondata di sangue. Mordano la terra i scimi
chiedenti mercè, gementi e rotti dalle ferite e da me fra la
SUNDARACANDA, 12
pugna conquassati. Or qui fra noi si deliberi al tutto, se
s'abbia da combattere ordinando l'oste per ischiere, od in
qualsivoglia altro modo.

C AP IT O IL O IL XX XIII,

DISCORSO DI VIRUPAKSA.

Pari a Vrihaspati per senno e inespugnabile nelle battaglie


Virupáksa, seguendo l'ordine, così disse: Quest'esercito qua
dripartito è composto di guerrieri combattenti su carri, di
cavalieri, di montatori d'elefanti e di pedoni ben membruti;
ove i Racsasi poderosi congiungano ordinatamente schiera
a schiera, non potranno respingerli i scimi; tale è il mio
parere. Que' scimi di mente volubile non hanno fermezza
alcuna, e non v' ha in quell'oste scimiesca facoltà d'animo
saldo. Tu vedrai quell'esercito d'animo instabile fuggire ur
lando, percuotendosi le braccia e battendosi a palme con
gran fracasso. Vedrannosi i corpi di que' scimi percossi dai
Racsasi a mano a mano, simili a rane che si dileguano. I
scimi saranno qui nella battaglia in mezzo ai Racsasi, sì come
i raggi del sole in mezzo a nere nubi; e le bianche file
de' denti di que' scimi percossi e rotti appariranno simili a
linee di neve. La terra, o re, coperta qua e là di scimi
uccisi apparirà, ma con maggior splendore, come tempe
stata di formiche. I Racsasi fatti dal lungo combattere avidi
di cibo, si pasceranno oggi tutti ad una di scimi spenti sul
campo di battaglia. La polvere sollevata a guisa di fumo
dal calpestio della battaglia sarà sedata dagli sprazzi di san
gue de' scimi abbattuti; i quali feriti dai Racsasi e stesi a
terra renderanno coi rivi di lor sangue imagine di rosso or
pimento ammassato. Le nostre mani or qui armate d'armi
taglienti coglieranno in questo campo i fior delle vite de'
nemici, come si colgono fiori sui monti. Rotti a centinaia
coll'armi in battaglia e bagnati del lor sangue, saranno i
scimi somiglianti ad alberi gementi gomme. Sarà la terra
prestamente aggravata dal peso de' corpi dei nemici abbattuti
e spenti a frotte, simili a masse di rossi fior di butea; e i
corpi de' scimi tempestati di teli in battaglia saran come
122 RAMAYANA,

una selva di pterospermi agitata dal vento. Si chiami or


dunque a battaglia, o re possente; chè io voglio qui dar
morte a quel de' nemici che è più valente; e morto quello,
ucciderò altri a mano a mano e quanti qui v'avranno lor
seguaci e miei nemici.

C A P IT' O L O L XXXIV,

NUOVE PAROLE DIVIBIHISANA.

Ma Vibhfsana, conoscitor dell'utile e del giusto e pien di


fermezza, prese di nuovo a dire queste pacate parole: Tutto
ciò che è utile e caro, fu qui detto dai consiglieri, con ogni
particolar sua circostanza e specialmente con lunghe parole.
Ma un consigliere amico, avendo a trattare un grave affare,
dee lasciar da parte quel che è caro, e dir solo ciò che è
conveniente. Ond'io rassicurato dalle amplissime tue doti,
o re, dirò pur di questa cosa considerata con mente retta.
Il frutto che quaggiù si desidera, è l'ottenere ciò che è
giusto, ciò che giova e ciò che si brama; ma convien qui
riguardare coll'occhio della giustizia quel che giova e quel
che si brama. Perocchè colui che, lasciata la giustizia, guarda
solo al suo utile per goderne o al suo desiderio per averne
il frutto, non è savio fra color che sanno. Questo consiglio
moltiforme e vano, deliberato qui per ordine tuo da mi
nistri che pur conoscon la sostanza delle cose, è al tutto
biasimevole. Qual uom savio e debitamente fermo nei con
sigli del re, potrebbe lodar come giusto l'oltraggio fatto alla
donna altrui? Quanto a ciò che si dice esser stato fatto da
Ràma con avverso intendimento, qual cosa si scorge quivi
in Ràma che paia contraria alla giustizia? Quando Ràma
uscì di sua casa armato d'arco, dirizzando i suoi teli pur
contro i Csatri, si dipartì egli forse dalla giustizia? Che se
quel saggio Ràma fallì pur mai in alcuna cosa, certo non
v'ebbe colpa in alcun suo atto, mentr'egli abitava per co
mando del padre nelle selve. Imperocchè a quella guisa che
un uom robusto, ancorchè inghiottisse doppio cibo, pur lo
digestisce, così è valente Ràma a distruggere il male. Or
così essendo, è mio parere che il valoroso Ràma riabbia la
SUNDARACANDA. 123
sua sposa, venendo a te possente e grande. Perocchè, ricor
rendo a te, o re, dotato d'ogni virtù, chi è colui, foss'egli
anche un misero ed un tristo, che non ottenga qui da te
ciò che gli è caro?
Or se a te s'addice far cose degne di te, se è da te pro
tetta la giustizia, Sità debb'essere liberata per tuo favore, o re.
C A PIT O L O L XX XV.
DISCORSO DI RAVANO.

Udendo quelle parole di Vibhisana, il possente re de' Rac


sasi tutto arrossò per ira, sì come il sole in sul crepuscolo
vespertino. I suoi occhi già foschi per natura, come cupro,
vie più s'infoscarono ancora, e terribili fuor di modo così
apparivano, come si veggono in cielo i due pianeti Budha
e Sanàisc'ara (Mercurio e Saturno).Veggendo il fiero cor
ruccio di quel rabbioso, i consiglieri che ben sapevano di
che tempra ei fosse, tutti impaurirono. Ma Ràvano stropic
ciando forte per grand'ira l'una coll'altra mano, così parlò con
rabbia a Vibhisana: Quello che tu dicesti a lungo della per
fetta virtù del nemico e della vanità della mia mente, non m'è
autorevole prova. Ma i buoni e valorosi, senza mostrar tanto
ossequio al nemico, deggiono l'un coll'altro principalmente
por mano ai mezzi efficaci ed atti a condurre al fine. Coloro
che sono esperti in tutte le cose, dicono con attento studio
ciò che fu prima ben pensato, ciò che è supremo e forte; ma
non così colui che per istoltizia va incontro alla sua rovina.
Or noi manderemo intanto a Ráma il savissimo Vibhisana,
sì come una torma di discepoli ridotta in tutto a mal termine
farebbe il suo maestro: chè tu andando a quel re della terra,
ben ti converrai con esso; perocchè quale è in lui l'imbecil
lità, la miseria e la stupidezza, la stoltizia e la perversità, tale
perversità e tale stoltizia sono in te pure. Questo è certo
grande segno d'animo eroico, che uno, a guisa di scherzante
locusta, entri come insano nel fuoco per perirvi subitamente!
Questo è segno d'alta sagacità governatrice, che taluno, non
curando i dettami delle buone dottrine, cerchi in un tempo
di grande avversità di condur le cose con mezzi miseri
S'ei v'ha qualche stabile effetto nello sforzo d'un aligero o
124 RAMAYANA,

d'altra creatura che vada per le vie aeree, così v'ha segno
di buon successo nel tuo pensiero. Questa gente per certo
non conosce la differenza che è tra il ben condurre e lo sviar
le cose, benchè ella abbia qui fra sè il valente Vibhisana, di
mente che si leva tant'alto sovra i sensi! Se i nemici sono
eroi nella battaglia e noi timidi in guerra, perchè non fac
ciam noi per dappocaggine pronto ricorso al nemico? Que
sto è nell'ora della battaglia l'eterno costume dei miseri e
dei vigliacchi e dei malvagi tuoi pari. E qual è mai, tranne
Vibhisana, quel generoso che, oltraggiato per innanzi dai
nemici, risponderebbe purvili parole? Che vien qui dicendo
col suo vario favellar questo Vibhisana, vigliacco per paura
e disutile a noi sia per consiglio sia per valore? Voglionsi
senz'altro cacciar via questi codardi e timidi nella battaglia,
questi saccenti e rei che corrompono il valor dei prodi.
Come si mostrerà onorato e forte nel conflitto colui il cui
animo si sgomenta già prima d'entrar nella fiera battaglia?
I codardi, i fiacchi, gli inetti a scindere il nemico, tutti co
storo han mente pavida, tale appunto qual è la tua. Se Ràma
lasciato il suo orgoglio, fosse a me venuto come a suo ri
fugio , qual cosa v'ha conveniente a farsi dai buoni, che
non faccia chi è placato? Vuolsi da noi evitare il dispetto
specialmente verso il nemico e compatire con tutto l'animo
a colui che a noi ricorre. Ma non avendo Ráma ciò fatto,
non v'ha tra noi possibile accordo se non come del sangue
e del veleno; quindi da me qui s'esplora l'assemblea de'
consiglieri per intraprendere la battaglia. Avvegnachè io sarei
pur atto tutto solo ad ardere fra la pugna col mio vampo
guerriero Râma e Lacsmano, sì come il fuoco suscitato arde
un'arida selva. Or voi fermi battaglieri deliberate qui la bat
taglia, escludendo il misero Vibhisana che ha pur sempre
animo vile.

C A P IT O LO LXXXVI.
DISCORSO DI VIBHISANA.

Allora il saggio Vibhisana, profondo come il mare, ge


neroso e donno de' suoi sensi, così di nuovo parlò a Rà
vano: Dicono i saggi esser segno manifesto di rovina il met
SUNDARACANDA, 125
tersi a chius'occhi in mala via, disdegnando i giusti consigli.
Voi per grande insania v'appigliate a quel che è ingiusto;
ma da colui che ha mente rea, è la vittoria difficile ad
afferrarsi, sì come gli sparti baleni indizio di prossimo tuono.
Qual vittoria possono avere i valorosi, appigliandosi a ciò
che è ingiusto? La giustizia a cui quaggiù e nell'altra vita
guardano intenti i buoni come a lor segno, è malagevole
a trapassarsi dai cattivi, sì come il mar colle braccia. A
quella guisa che l'amore e l'odio e gli altri affetti pigliano
sempre quaggiù qualità dall'animo di ciascuno, così ogni
prosperità dei fortunati piglia qualità dalla giustizia. E da
ciò tu hai potuto apprendere a proteggerla, che le genti
tutte hanno quaggiù senz'essa poco gaudio e moltissimo do
lore. Qual altro frutto v'ha più nobile, più eccellente della
giustizia e di più lieto conseguimento? E chi ben consideri
colla mente, fra le creature colui che è felice, lo è pur per via
della giustizia; e quegli eziandio che è celebrato per grandezza
di virtù ascetica e per giustizia, non potrebbe aver l'animo
cruciato. Imperocchè come la nave è principal cagione del
bene andar per acqua, così è cagione del proceder felicemente
quaggiù gli uomini la giustizia ben praticata; e come tu sei
qui sovrano e duce de' tuoi sudditi, così la giustizia costan
temente seguitata è guida a ciò che è buono, utile e desi
derato. A quella guisa che coll'abbandono d'un bene s'acqui
sta talor felicemente un altro bene, così la giustizia eserci
tata con certo e proprio consiglio procaccia vantaggio ai
buoni. Ma la nobile giustizia non si può praticare da colui
che è cupido del ben presente, da chi non guarda molto
lontano, da chi non ha mente perfetta. Così come l'opulenza
e le delizie arrecan diletto all'animo, così adducon subito
gaudio la pazienza e la giustizia. E benchè sia forte mala
gevole la pratica della giustizia, alcuni pur nondimeno pon
gono in essa ogni lor pensiero; ma non v'ha termine in
cui si fermi chi ha rivolto all'opulenza e alle delizie le cu
pide sue voglie. Dove è virtuoso colui che guida e virtuoso
chi lo seguita, là s'avrà pieno riguardo a quel che è buono,
a quel che è utile, a quel che è desiderabile; ma qui colui
che guida, è privo di virtù, e i suoi aderenti gli vanno die
tro; or così essendo, a che giova qui il consiglio? Là dove
Il 26 RAMAYAN A.

ben si considera ciò che è utile e ciò che è dannoso e si


disamina ciò che è dubbio, quello si chiama ottimo consiglio;
il rimanente altro non è che confusione. Ad un amico chia
mato a consiglio e che vede coll'occhio della mente, non
s'addice fare inganno e, sotto apparenza di bene, cosa che
torni in afflizione; ond'io abbandonando un che nel consi
glio non seguita che il suo affetto, e mette in non cale ogni
suo dovere, me n'andrò a Ràma che è sempre intento alla
giustizia. Io udi pur sempre che quell'uom sovrano è atto
a vincere i Suri e gli Asuri, ch'ei non abbandona gli amici
che a lui ricorrono, ch'egli è rifugio eziandio de' nemici.
E questa mirabile cosa. Ond'io abbandonando a malincuore
tutti i miei congiunti, me n'andrò per amor della giustizia
a rifuggirmi presso quell'uomo. Ciò fatto e poich'io me ne
sarò partito, se alcun pur v'ha che qui additi e mostri quel
che è giusto, si deliberi rettamente secondo che detta la
mente sana.

C AP IT OL O L XX XVII.

DISCORSO DI VIBHIISANA,

Il re de' Racsasi, mentre così parlava Vibhisana suo fra


tello, si levò su pien d'ira, brandendo la sua scimitarra, e
ruggiva, sì come una nera nube tutta irradiata da baleni;
e sbalzando subitamente dal suo seggio, percosse col piede
per impeto d'ira Vibhisana seduto; il quale cadde dal suo
sedio a terra, a guisa d'un nobile monte percosso ed infranto
dal fulmine.
I consiglieri testimoni di quella contesa erano così sgo
mentati, come son sbigottite le genti, allorchè la luna è af
ferrata da Rahu. Ma Prahasta allontanò soavemente il re
de' Racsasi armato di spada e ardente d'ira, e rimise il
brando nella guaina.
Allora Rávano tornato al natural suo essere, così appariva
come il mar rabbonacciato e rientrato a tempo opportuno
ne' suoi confini. Tutti coloro circondando Ràvano che s'era
riposto a sedere,gli facean corona intorno, sì come cingono
la gran vetta del monte Meru altri vertici d'allato. Tutto
SUN DARA CANDA. 127
quel cerchio di consiglieri se ne stava colà tacito, come
l'appariscente e bel contorno del disco lunare; ma Vibhisana
era altamente e fuor di misura acceso in ira, sì come il con
spicuo fuoco del sacrificio tutto corrusco di fiamme. Ma
comprimendo il destato ardor dello sdegno, andò pensando
quel giusto nella sua mente ciò che era a lui convenevole;
temperato da mansuetudine e eccitato ad un tempo da ar
dente vigore, pur ei non oltrepassò, pari a un cavallo ge
neroso, il limite posto a chi è nato di nobile stirpe. Pensato
fra sè alquanto e maturatamente deliberato, Vibhisana levan
dosi, disse queste giuste parole:
Il mio intento è a ciò che è onesto ed utile, non all' ira
e alla cupidigia; onde, benchè percosso da te col piede, pur
non mi reputo ciò ad offesa. In questo mondo son da com
piangersi i colpevoli e gli iniqui, la cui mente, bench'abbian
essi sortito il nascere da nobile stirpe, è pur soverchiata
dall'ira. Questo a me par gran segno di rovina universale,
che da voi tutti per mala sorte è approvato questo Rávano.
Un telo saettato sul campo di battaglia può solo uccidere
un corpo; ma la mente di coloro che han rei pensieri, di
struggerà essi stessi con tutti i lor seguaci; la saetta eziandio
feroce e aguzza così non offende, come offendono, allor
che si levano ad una, gli uomini insensati. Il saggio consi
dera ciò che dee avvenire; ma pur v'ha chi non intende
fuorchè all'utile e al danno presente. I valorosi guardano
quaggiù coll'occhio della mente quel che giova e quel che
muoce; onde, se lor avviene cosa lieta, non superbiscono;
nè si rattristano nella sventura. L'uom saggio che discerne
da lungi pienamente comprende le cose e si svincola da
ogni cosa dannosa, s'egli incontra qualche grave avversità;
e coloro che ben conoscono le cause e gli effetti, mai non
incorrono in colpa. Tutte le autorevoli dottrine son quaggiù
dottrine di magnanimi; chi non conosce quelle dottrine,
altro non può che cadere in colpa, e si vede come som
merso in un orribile mar d'angoscie. Coloro che ben con
siderano le dottrine tramandate dalla tradizione e le loro
conseguenze, il presente ed il futuro, come potrebbero operar
stoltamente? Ond'io abbandonando or te, la cui, rovina è
imminente e che per ira insana perdi te stesso e la tua
128 RAMAYANA.

stirpe, me n'andrò a Ràma, sì come la piena dell'acque corre


al mare. Or ch'io ben conosco la tua mente corrotta, cru
dele e violatrice della giustizia, io deggio al tutto abban
domarti, come un'elefante immerso nel fango. Ma Ràma ,
benchè uomo, manderà pur del tutto in rovina te fitto nel
limo della colpa ed involto nella melma dell'ignominia.

CAP IT o L o LXXXVIII.
NUOVE PAROLE DI VIBHIISANA.

Uditi que' detti di Vibhisana, Ràvano per ira insano ed


incitato dal suo destino rispose al fratello queste parole
crude: Potrebbe bensì taluno abitar con un serpente rab
bioso e infellonito, ma non potrebbe alcun convivere con
un traditore che parteggia col nemico. Ben io conosco, o
Racsaso, qual sia in ogni cosa il costume de' consanguinei;
ei sempre s'allegrano delle sventure dei congiunti. I con
sanguinei vilipendono ed oltraggiano il congiunto, tuttochè
eccelso e prode, saputo e intento all'operare, giusto e af
fetto ai buoni. Scambievolmente invidiosi, infesti nelle do
mestiche calamità, crudeli e d'animo cupo, i consanguinei
sono a noi continua cagione di timore. Son celebri i carmi
cantati un dì dagli elefanti colà nel Padmavana (selva dei
nelumbi), allor che ei videro uomini armati di lacci; odili,
o Vibhisana: « Nè il fuoco, nè i lacci, nè altr'armi ci in
timoriscono; bensì ci metton paura i crudi congiunti, intenti
solo al loro utile. Eglinò, non v'ha dubbio, v'indicheranno il
mezzo d'afferrarci; di tutte le paure è pur sempre stimata
la più crudele la paura dei propinqui. È naturale nei tori
l'ardore dei conflitti, è naturale nel Brahmano l'esercizio delle
pie austerità, è naturale la mobilità nella donna, è naturale
in tutti l'aver paura dei congiunti ». Non è a te caro , o
improbo, che io sia onorato dalle genti, possessore dell'im
pero ed incrollabile in faccia de' nemici.
Dette da Ràvano quelle parole, l'onorando Vibhisana mon
tato in ira così rispose, stando nel mezzo de' consiglieri:
Gli uomini insani, o Racsaso, caduti in potere della morte,
non accolgono i detti d'un amico che desidera il loro bene;
se altri avesse osato dirmi tali parole, o Racsaso, ei più
SUNDARACANDA, 129
non vivrebbe in questo momento; ma tu sia maledetto,
corrompitor della tua schiatta.
Proferiti que' detti acerbi, il nobile Vibhisana consigliator
di cose giuste s'alzò armato di scimitarra con quattro altri
consiglieri, e levatosi in aria, così prese di nuovo a dire pien
di sdegno al re de' Racsasi suo fratello: Facilmente si tro
vano, o re, uomini che dican pur sempre cose piacenti; ma
difficilmente s'incontra chi abbia cuor di dire e d'ascoltare
cose spiacenti ma pur giuste. Ma colui è veracemente fedele
compagno al re, che attenendosi alla giustizia e non guar
dando a quel che è caro ovver discaro al suo signore, dice
cose convenienti, avvegnachè ingioconde. Tu mi sei fratello,
o re; di' pur quel che a te piace; io sopporterò ogni dura pa
rola da te che cerchi la tua morte. Gli eroi, i forti, i battaglieri
sempre vengon meno, sopraggiunti dalla fatale ultima ora,
sì come ponti fondati sovra suol di sabbia. Gli insensati, o
Ràvano, venuti in balia della morte più non dan retta alle
parole salutari dette da chi parla a loro uopo. Tu sei legato
dal laccio della morte che via trascina ogni creatura; on
d'io abbandonando or te che stai per perire, sì come s'ab
bandona una casa che è in preda alle fiamme, me n'andrò
armato di saette ornate d'oro e somiglianti a vivo fuoco,
a rifuggirmi presso a Ràma, o re de' Racsasi, insieme con
questi quattro consiglieri. Io non voglio vederti spento da
Ràma in battaglia; difendi, se puoi, te stesso, questa città
ed i Racsasi; ma tu te n'andrai di certo alla magiom di
Yama, sì come già un dì Khara e Maric'a. Or io ti saluto
e parto; sia tu felice lontano da me. Mentr'io intento al
tuo bene cerco di distoglierti dal tuo proposto, tu non gra
disci le mie parole; perchè gli uomini destinati a dover
perire e stretti dal Dio della morte, non curan le parole
salutari dette dai loro amici.

C AP IT O L O IL XXXIX.

PARTENZA DI vIBHISANA.
Com'ebbe detto quell'aspre parole a Råvano, che ardeva
d'ira negli occhi, somigliante ad una nuvola nell'ora del
crepuscolo, e che seduto là nella sua reggia, guardava con
VOL, III. 9
130 RAMAYANA.
piglio dispettoso, corrugando per gran disdegno la fronte
con crespe, simili alle bieche striscie d'un serpente ed or
ribili a vedere, Vibhisana salutatolo di nuovo con isguardo
pien di sdegno, se ne uscì con quattro consiglieri. Riveduta
la madre e narratole ogni cosa, ei s'avviò quindi per le
vie aeree all'eccelso monte Kailàsa, dove ha sua sede il
possente re Vaisravana, corteggiato da molti Guhyaki e da
fortissimi Yaksi.
Ma il supremo e giusto Deva, maestro e donno degli
uomini, che ha per insegna il toro (Siva), era venuto colà
ad abboccamento col divino re Vaisravana, signor delle ric
chezze, nella sua propria magione; ed eran compagni al
Dio Siva la sua consorte Uma e molte schiere di Gani. Di
sceso prontamente dal dorso del suo toro ed onorato da tutti,
il possente e prode Siva, armato d'asta entrò nella reggia di
quel venerando. Quivi egli ed il fortunato Vaisravana col suo
seguito, abbracciatisi scambievolmente, si posero amendue
a sedere. Assisi colà que' due Devi cogli altri Devi lor se
guaci, e coi Gani,Yahksi e Guhyaki ordinatamente, si posero
quindi a giuocar coi dadi. In questo mezzo Siva, veduto
venir colà il Paulastide Vibhisana duce de' Racsasi, così
parlò a Vaisravana:
Ecco, o re, Vibhisana, che sen viene alla tua casa; quel
prode è pien di sdegno, perchè fu oltraggiato dal re de' Rac
sasi con altercar da seggio a seggio e con ispezzare a furia il
suo sedio regale e con contesa d'aspre parole fatta con mente
avversa. Qui egli viene a visitarti nella tua dimora, col pen
siero intento a te; ma oggi stesso quel valoroso, invitto e
forte sen vada al tutto prontamente per ordine tuo a Râma;
e l'eccelso Ràma, domator de'suoi nemici consacrerà al re
gno de' Racsasi Vibhisana a lui venuto. Râma e l'insupe
rabile scimio Sugriva eleggeranno a loro amico Vibhisana va
loroso nelle battaglie; quindi que' tre uniti, somiglianti ai tre
fuochi accesi, forniranno felicemente in un coi Devi la biso
gna dell'universo. Sì come i tre fuochi corruscanti, celebrati
dai Brahmani portan la fausta oblazione, destinata alla pro
sperità dei Devi, ben preparata ed offerta nel sacrificio, così
faranno quei tre, Ràma, Vibhisana e Sugriva. E quel magna
nimo, forte e riputato signor de'Vànari, secondato da Vi
SUNDARA CANDA, 131
bhisana, farà opere così grandi, o incolpabile, come si fanno
nel mondo degli Asuri e degli Immortali.
Mentre così favellava il Nume, Vibhisana colà arrivato e
caduto ginocchione, s'inchinò col capo a terra. Ma l'augusto
Siva in un col possente Vaisravana: Sorgi! Sorgi ! gli disse;
sia tu felice e non darti affanno, o Racsaso: abbi tu dopo
Ràvano la regal fortuna, o invitto. Vanne, o amico, là dove
è Ràma dalle grandi braccia, tesoro di virtù, e l'illustre
Lacsmano e Sugriva; ito colà, il possente Ràma, guerrier
sovrano sacrerà re di Lanka te, sperditor del tuo nemico.
Il prestante e pio Ráma porrà, combattendo con fiera vee
menza, a morte sul campo di battaglia Râvano colle sue
schiere; e spento colui, quel saggio e prode, dalle grandi
braccia, domatore de' nemici, ritolta Sità, se ne ritornerà
con Lacsmano alla sua città. Fra breve quell'uom glorioso
e pio stabilirà signor di Lanka te, pari ad un Immortale.
Quindi lo splendido re Vaisravana così parlò al Paulastide
Vibhisana duce de' Racsasi: Tu sarai infra poco, o valoroso,
costituito appieno signor di Lanka: ciò fu decretato già è
gran tempo. Tu vanne or prontamente al prode Ràma ot
timo fra i giusti, per la salvezza di tutte le creature, per
lo sterminio dei Racsasi e per lo tuo innalzamento; ed unito
con Ràma, o eccelso, adempi tosto il desiderio dei Devi e dei
Risci e di quanti han cara la giustizia. Così spegni tu Rà
vano, come si spegne un reprobo, un inverecondo, uno sfre
mato, un commettitor furente d'inimicizie, continuamente
avverso ai pi asceti e ad ognun che vive mansueto e mite.
Spegni quel Ràvano che si compiace pur nel male, che,
come turba ne' grandi sacrifizi il sugo dell'asclepiade, così
fa offesa al viatore ed a ciascun altro, ed è assiduamente
infesto ai Devi ed al caro mio minor fratello, Come s'evita
da lungi chi s'ostina nella mala via in cui s'è messo e dis
degna il buon sentiero, così fuggendo tu da Ravano, o incol
pabile, ne avrai gloria e quelle stesse durevoli felicità che
noi abbiamo.
Udite quelle parole cadute dalla bocca del suo fratello
primogenito, il saggio Vibhisana stette alquanto colla faccia
china e sopra pensiero; ma l'immortale e venerando Siva
così disse a lui cogitabondo: Levati! Levati, re sovrano!
132 RAMAYANA,

Disponti ad ottenere la perenne regal fortuna, o saggio,


frutto conveniente all'opere tue ed al tuo ascetismo; tutto,
ciò già da noi si vede, o prode, sì come ei fosse presente.
Onde sorgi e va a quell'antico, ed immortal signore, soste
gno di tutte le creature, indipendente e eterno; perocchè
egli è tesoro di giustizia, e via suprema di tutto ciò che si
muove; onde tu vanne a Ràma, radice di tutto l'universo.
Udite quelle parole proferite da Siva, si levò il valente
Vibhisana insieme coi quattro suoi compagni; e reso onore
al Dio Siva ed al sovrano Vaisravana, quel giusto si dispose
prontamente ad andarne a Ràma; ed entrato nell'atmosfera,
s'avviò colà dove stava il prode Raghuide; e pervenne in
un istante là dov'erano Ràma e Lacsmano.
I duci de' scimi fermi a terra videro ad un tratto su per
lo cielo colui, somigliante alla vetta del monte Meru e fiam
mante quasi col suo fulgore; chè quell'illustre s'era levato
in aria, armato d'armi elette, in sembianza d'uomo, nero
nell'aspetto e simile ad un monte nubiloso; ed i quattro
fortissimi suoi seguaci, muniti anch'essi d'armi e di scudi,
risplendevano coi loro ornamenti.
Veduto colui quinto fra quel drappello, il valoroso e in
vitto duce Sugriva si diede a riflettere insieme coi scimi;
e stato considerando alquanto, disse ad Hanumat ed a tutti
coloro queste gravi parole; Mirate ! quel Racsaso con quattro
suoi compagni, cinto d'armi e d'armadura, ne vien qui a
noi con intento di ucciderci, non v'ha dubbio. Uditi que”
detti, tutti que' duci di scimi, divelti alberi e roccie, così
dissero a Sugriva: Ordina tosto a noi, o re, che siano messi,
a morte que' malvagi, ed essi cadranno spenti a terra, ba
gnati del lor sangue.
Mentre costoro così favellavano l'un l'altro, Vibhisana per
venuto alla riva settentrionale dell'Oceano, si fermò levato
in aria; colà quel saggio così parlò, gridando con gran voce
guardando Sugriva e gli altri scimi: Io qui venni per vedere
Ràma; fate senno, o Vánari ! V” ha un Racsaso possente, per
nome Ràvano, signor dei Racsasi, da cui fu rapita Sità sul
Ganasthâna ed ucciso G'atayus; io son fratello minore di
colui e mi nomo Vibhisana. Io ammonii Ràvano più volte
con molte parole ragionevoli: « Or via si renda, gli dissi,
SUNDARACANIDA, 133
Sità a Ràma: » ma egli, benchè ammonito con giuste pa
role, le rifiutò incitato dal suo destino, come ricusa l'erbe
salutari chi vuol morire. Io fui da lui svillaneggiato, e vi
lipeso a modo di servo; per la qual cosa abbandonati con
sorte e amici, io qui venni a cercar rifugio presso a Râma;
per l'insano orgoglio di Rávano, io con questi consiglieri
a me devoti, attenendomi pure alla giustizia, venni a Ràma,
come a mio rifugio: chè io non curo della vita, nè delle
ricchezze, nè d'altre delizie; onde lasciata ogni cosa, possa io
ottener dal Raghuide la mia prosperità. Tuttochè caldamente
e a lungo da me esortato con parole opportune e giuste, ei
tuttavia non le accolse, sì come disdegna il rimedio chi sta
in punto di morire. Sebbene io conosca il valor, la forza
e la prodezza di quel Rávano insanissimo, difficili a sover
chiarsi per la copia dei doni da lui avuti; pur nondimeno
per amor della giustizia e non per desiderio della morte
de' miei propinqui, lasciato ogni mio congiunto, io venni a
Ráma, come a mio rifugio, desideroso d'abboccarmi con lui.
Basti l'aver ciò detto. Io sono al tutto intemerato; non ab
biate sospetto di me. Annunziate or prontamente al magna
mimo Raghuide, protettor d'ogni creatura che io qui venni
a rifuggirmi a lui.
Intese quelle parole, Sugriva venuto innanzi a Ràma e
a Lacsmano, così disse: Un prode, per nome Vibhisana,
fratello minor di Rávano, con quattro suoi fidi consiglieri,
è qui venuto a rifuggirsi a te; ma io credo che quel Vi
bhisana fu qui mandato esplorator da Ràvano; onde giudico
opportuno, o uom di gran pazienza, il porgli le mani addosso.
Ei qui venne con animo coperto e con mente di Racsaso
bieca e fella,per fare oltraggio a te pien di fidanza. Si punisca
con fiero castigo questo Vibhisana qui venuto, questo fratello
del crudo Rávano e con esso i suoi amici. Com'ebbe così
detto a Ráma, si tacque il duce Sugriva, destro e facondo
parlatore; e fatto da lui silenzio, Ràma ottimo fra i pi, che
a tutto antepone la giustizia, si diede a considerare.
134 RAMAYANA,

CAPITOLO XC.

INVESTIGAZIONI INTORNO A VIBHISANA,

Come udì esser giunto Vibhisana ed ebbe fra sè conside


rato, Ràma così disse a Sugriva, che mostrava sì gran fie
rezza per riguardo al presente ed al futuro: Si segga qui
a consiglio, o Sugriva; tu qui aduna Hanumat con tutti i
consiglieri e gli altri duci de' scimi; convenuto insieme con
essi, farò le indagini che convien fare; tu ben parli, o Su
griva; chè i re soglion essere pieni d'insidiose frodi. Intanto,
per ordine di Sugriva, s'adunarono i duci de'scimi, tutti
esperti delle cose, tutti prodi battaglieri; ed intese le parole
di Vibhisana, così parlarono con rispetto a Râma, desiderosi
del suo bene: Non v'ha cosa nei tre mondi, che tu non
conosca, o Raghuide; ma tu onorandoci per benevolo affetto
ci chiami a consiglio, o saggio. Tu sei veritiero e prode,
giusto e di salda forza; tu operi con sagace discernimento,
sei saggio e tutto dedito agli amici. Onde questi tuoi molti
consiglieri, accorti ne' lor consigli e investigatori delle cause,
parlino ora ordinatamente ad uno ad uno.
Ciò detto, l'accorto Angada prese a parlare con detti op
portuni sul proposto d'esplorar Vibhisana: Si ponga, ei disse,
ben mente a costui venuto da parte del nemico; non vuolsi
così prontamente aver fidanza in quel Vibhisana; chè questi
Racsasi di mente prava vanno attorno con animo infinto
ed offendono, se trovan difetto: ove colui fosse qui ben ac
colto, ei ci sarebbe di certo pernicioso. Onde ben conside
rato il pro e il danno, si prenda quindi partito o d'acco
glierlo, s'egli è buono, o di respingerlo, s'egli è malvagio.
Se v' ha in costui qualche rea perfidia, si respinga senza
esitare; che s'ei si giudica onesto e buono, gli si faccia ac
coglienza, o re.
Lo scimio Sarabha, dopo aver fra sè deliberato, così disse:
Si spedisca a colui immantinente, o uom preclaro, un esplo
ratore; spiato il fatto per un messo segreto, si scruti poscia
qual sia l'animo suo; ed esploratolo ben bene, gli si faccia
quindi accoglienza, secondo che si conviene. Perocchè que”
SUNIDARACANIDA, 135
Racsasi son di mente perversa, e nascondendo l'animo loro,
fanno offesa là dov'ei trovano difetto; se colui venisse trat
tato amichevolmente, ne farebbe forse gran danno.
L'accorto G'ambavat, considerata la cosa con mente addot
trinata, spose il suo parere con detti giusti ed incolpevoli:
Si osservi bene, ei disse, questo Vibhisana, venuto qui in
tempo e luogo inopportuni dalla sede dell'empio re de' Rac
sasi, nostro nemico.
Ma il facondo Meinda, che ben conosce ciò che conviene
o disconviene, considerato il fatto, mandò questo ragione
vole consiglio: Per ordine del regal Raghuide or s'inter
roghi di nuovo con dolci e pacate parole quel Vibhisana;
conosciuto l'animo suo, s'egli è buono o reo, tu farai quindi
con mente avvisata, o uom sovrano, quel che giudichi op
portuno.
Ma il sagace e gran consigliere Hanumat prese a dir tem
perate parole, utili, dolci ed opportune; lo stesso Vrihaspati
non potrebbe, favellando, superar quell'egregio Vànaro, fa
condo e accorto, allor ch'ei ragiona. Io, non parlerò, egli
disse, o re, nè per isperanza di doni, nè per invidia, nè
per voglia di prevalere, nè per alcun mio proprio affetto5
ma parlerò come il richiede l'importanza della cosa. Io non
veggo colpa in quello che dissero i tuoi consiglieri intorno
a ciò che è qui utile o dannoso; ma ei non è opportuno
il mandarlo ora ad effetto per la prontezza che richiede la
cosa. Senza adoperar messi segreti non possono i re, egli è
vero, conoscere i disegni del nemico; ma l'adoperar fuor di
ragione esploratori occulti mi pare al tutto biasimevole. Quel
che dissero i tuoi consiglieri circa l'investigar per un messo
segreto, non è qui conveniente metterlo in opera per difetto
d'opportunità. Imperocchè non si potrebbe da un esplora
tore conoscer Vibhisana così ad un tratto; e sarebbe errore
il protrarre in lungo; onde non ha qui luogo esploratore.
Quant'è al dire che Vibhisana è qui giunto in tempo e luogo
inopportuni, ho a ciò pronta la risposta; odi qual sia il
mio parere. Il tempo e il luogo stanno qui appunto, sì come
in ciascun uomo la virtù ed il vizio; ei suol essere senza
più fruttifero ciò che è fatto con giusta convenienza. Cono
scendo lo strenuo tuo vigore e il male operar di Bàvano,
136 RAMAYANA,

sappiendo ucciso da te Bàli e sacrato re Sugriva, deside


rando il regno e prevedendo con mente accorta quel che
dovrà accadere, per tutte queste cagioni venne Vibhisana a
rifuggirsi a te. Io ho detto secondo il mio potere queste cose
intorno alla rettitudine di quel Racsaso; ma tu sei l'oracolo
degli oracoli, e supremo fra tutti i saggi.
Ma Ràma sereno e invitto, conoscitor delle sacre dottrine
e fermo in sè stesso, udite le parole del Márutide, così
prese a favellare: Voglio io pure dire alcuna cosa intorno
a Vibhisana, e desidero che sia intesa da voi tutti, intenti
al bene. Io non potrei per alcun modo respingere chi viene
a me con animo amico, ancorachè foss'egli colpevole; chè
ciò sarebbe biasimato dai buoni. Ma voi or conoscendo che
colui venuto qui spontaneamente, è un magnanimo che
s'attiene alla via onesta, abbiatelo in conto di giusto.
Forte soddisfatto del Raghuide e contento d'Hanumat ris
pose Sugriva queste opportune parole: Qual meraviglia v'ha
che tu, generoso signor del mondo, veritiero e pio e co
stante nella via della giustizia, dica cose salutari ! Or conosco
anch'io nell'intimò del mio cuore che Vibhisana è innocente;
Hanumat ben sa qual sia l'animo di colui; ch'ei l'esplorò
già altra volta. Onde sia fatto immantinente consorte di noi,
o Raghuide, il saggio Vibhisana, ed entri con noi in ami
ClZl d.

CAPITOLO XCI.

DISCORSO DI VIBHIISANA.

Com'ebbe così favellato Sugriva, signor de' scimi, il pio


Ràma disse queste giuste ed acconcie parole: Innocente o
reo ch'egli sia, qual male, ancorchè minimo, potrebbe egli
farmi quel Racsaso? colla forza divina de' miei teli io son
ben atto a disperder subitamente quanti Racsasi, Pisàci e
Dànavi v'ha sulla terra. Egli è fama che un nemico venuto
a cercar rifugio da un colombo, fu da costui onorato, se
condo che si conveniva, ed invitato a pascersi delle sue
carni; or se un colombo, un augello accolse l'uccisor della sua
compagna, come non dovrò io, o egregio scimio, accoglier
SUNDARACANDA, 13
l'infelice fratello di Råvano,Vihhisana tutto dedito alla giu
stizia e venuto a me con que' Racsasi suoi compagni? Odi
i pissimi carmi cantati già è gran tempo dal veridico e
grande Risci Kandu, fratello minore del Risci Kanna, allor
ch'ei vide dinanzi a sè in atto di reverenza, supplichevole
e chiedente rifugio, un misero nemico oltraggiatore, minac
ciato di morte dal suo avversario.
«Un nemico afflitto od atterrito che rifugge al suo ne
mico, abbandonando a lui la sua vita, dee esser protetto da
chi è donno di sè stesso; e se costui per paura o per cu
pidigia ovvero per folle errore non protegge l'afflitto a suo
potere, egli è reo e vituperato dal mondo intiero; il sup
plichevole che pere, veggente colui che dovea difenderlo,
se ne va derelitto, portandosene ogni merito di colui che
nol difese ».
Egli è gran colpa, o amico, il non proteggere il supplice,
colpa ignominiosa, che fuorchiude dal cielo e distrugge ogni
forza e ogni vigore. Ond' io seguirò, qual si conviene, le
alte parole di Kandu, pissime e celesti, cagion di gloria
e di grande prosperità. Io accordo sicurezza ad ogni creatura,
tale è il mio voto, ed a tutti coloro che rifuggono a me
nella battaglia e dicono: « Io mi rimetto nelle tue mani ».
Conduci or qui a me colui, o Sugriva; io ho dato sicuranza
a quel Vibhisana, fosse egli anche Rávano stesso.
Fatto sicuro da Râma, il fratello minor di Rávano chiamato
dal re de' scimi, calò dall'aria co' suoi seguaci; e l'accorto
Sugriva accostatosi a lui ed abbracciatolo e confortatolo, lo
introdusse a Ráma. Il pio Vibhisana coi fidi suoi compagni
disceso dall'aria in terra e tutto lieto, appiccate ad alcuni
alberi tutte quante le sue armi, prese co' suoi seguaci no
bile sembiante, altro da quel che egli avea, e cadde insieme
coi quattro Racsasi ai piedi di Ràma, premendoli col suo
Cap0.
Ma Ráma, sollevato quel Racsaso ed abbracciatolo, gli
disse con dolci parole: « Tu sei mio amico »,
Vibhisana allora rispose a que' detti parole convenienti
e giuste e conformi alle nobili sue virtù: Io sono, ei disse,
fratello minor di Ràvano; e vilipeso da colui, son rifuggito
a te protettor di tutte le creature. Io ho abbandonato Lanka,
138 RAMAYANA,

gli amici ed ogni mia cosa; in te solo sta oramai la mia


speranza di regno, la mia vita e la mia ricchezza. Io m'a
doprerò con ogni mio sforzo, o saggio, a spegnere i fieri
Racsasi e ad oppugnar Lanka; e sarò condottiero del tuo
esercito. Ciò detto a quel figlio di re, si fe giulivo Vibhisana,
originato da stirpe di Risci, e pur guardando il magnanimo
Ràma, ei si taceva.

CAPITOLO XCII.

SEDUTA IN RIVA AL MARE.

Il prode Ràma, abbracciato Vibhisana, allor che questi


ebbe parlato, disse a Lacsmano: Reca qui acqua dal mare,
e nel cospetto dei duci de' scimi sacra oggi, o caro, per
grazia mia a re de' Racsasi in Lanka questo Vibhisana,
a cui son io favorevole. Esortato da quelle parole, il Sau
mitride là nel mezzo dei duci de' scimi e per ordine di
Ràma consacrò Vibhisana a re di Lanka. Veggendo quella
grazia conferita subitamente da Ràma, misero tutti que' scimi
grida altissime di gioia, esclamando: Oh bene! Oh bene!
Ma Hanumat e Sugriva così parlarono a Vibhisana: Dinne
or tu, come potrem noi, valicare il mare inconquassabile,
ricetto d'orridi mostri; ci addita uno spediente, o amico,
onde noi possiamo felicemente trapassar coll'esercito questo
mare, sede di Varuna, signor de' fiumi e delle riviere. A
que' detti così rispose il pio Vibhisana: Il Raghuide sovrano
dee chieder soccorso al Mare; quest'Oceano immensurabile
già un dì scavato da Sagara , veggendo la gran possanza
del Raghuide, presterà a Ràma valido aiuto di congiunto;
tale è il mio pensiero. Perocchè è fama che Sagara fu un
de' proavi di Râma; onde l'Oceano mosso da generosità,
darà di certo a Râma possente ausilio di consanguineo.
Questi detti del saggio Vibhisana piacquero a Ràma, pio per
natura; onde quel valoroso e destro all'operare, sorridendo,
così parlò per cortese riguardo a Lacsmano ed a Sugriva:
M'aggrada questo consiglio di Vibhisana; or di”, o Sugriva,
se esso piace a te pure; chè tu sei saputo e saggio, e sempre
accorto ne' tuoi consigli. Considerata ben la cosa, dite voi
amendue ciò che v'aggrada.
SUNDARACANIDA, 139
Così interrogati, que' due prodi Sugriva e Lacsmano ri
sposero queste parole dettate da giusto intendimento: Non
si potrebbe neppur dai supremi fra i Devi guidati da Indra
assalir Lanka, senza gittare un ponte sopra questo terribile
Oceano, sede diVaruna; onde, sia egli opportuno o inoppor
tuno, eseguisci, o caro, il consiglio di Vibhisana. Abbastanza
già è trascorso di tempo;or si costringa con un ponte il mare.
Per qual cagione, o uom prestante, non ti sarebb'egli gra
dito, massime in sì fatta difficile occorrenza, il consiglio che
diede Vibhisana! Ciò detto, e fatto sulla sponda del mare uno
strato di verbene, Ràma vi si coricò durante la notte, sì
come il fuoco sull'altare del sacrificio. Quell'uom sovrano,
domator de' suoi nemici, raffrenato da somma continenza
e pien d'alto vigore, deliberato di vedere il Sàgaride Oceano,
rimase quivi intento e tacito.

C AP IT O IL O X C II I.

LE SAETTE ARDENTI.

Stando l' immenso Ràma, tutto in sè raccolto, a giacere


colà sulla terra cosparsa di verbene, trapassarono tre notti;
nè si mostrava tuttavia a lui il grande Oceano, benchè fosse
degnamente venerato dal pio Ràma. Ma il Raghuide mosso
allora a sdegno contro il Mare, così parlò con ira ed occhi
ardenti a Lacsmano ch'ei vide vicino a sè: Or mira, o Lac
smano, l'orgoglio dell'Oceano ingeneroso, il quale tuttochè
da me venerato, pur non degna mostrarsi a me ! L'animo
sedato e la pazienza, la mansuetudine e il parlar caro, tutte
queste virtù sogliono produrre miseri frutti adoperate verso
coloro che non han virtù. Il mondo onora l'uomo altiero,
ardito e crudo, che poco parla ed ha ognora il castigo in
pronto. Colla dolcezza, o Lacsmano, non si può quaggiù
ottener gloria; non si può colla dolcezza ottener fama nè
vittoria sul campo di battaglia. Quest' Oceano Sàgaride
giudica me inetto, perchè son paziente; sia dannata la pa
zienza usata in gente così fattal Reca qui tosto il mio arco
e le saette simili a serpenti; oggi conquasserò ben io pien
d'ira quest'Oceano inconquassabile. Mira; io farò colle mie
140 RAMAYANA,

saette che tocchin le sue parti più ime le somme sue rive ;
tutto il turberò con onde impetuose, e gli torrò gli argini
delle sue sponde. Oggi vedrai per ogni parte, o Lacsmano,
ingombre l'acque dell'Oceano da mostri natanti, lacerati
dalle mie saette; vedrai galleggianti per lo mare membra
immani d'angui e di serpenti, da me squarciate. Co' miei
teli io metterò a secco per grand'ira questo mare colle sue
conche e colle sue perle, co' suoi pesci e co' suoi mostri.
Ciò detto, tolse Ràma dalle mani di Lacsmano il divino
suo arco e le saette, e immantinente lo incordò; ed armato
di saette e d'arco e cogli occhi corruscanti per ira così era
allora l'invitto Râma, come il fuoco fiammante del finimondo.
Teso il suo grand'arco e facendo quasi tremar la terra, ei
saettò dardi acuti, sì come Indra scaglia i fulmini. Quelle
terribili saette, fiammeggianti di fulgore e simili a vivo fuoco,
entraron subitamente nell'acque del mare e n'erano atter
riti serpenti e pesci.
Allor si levò per lo mare un orribile subuglio strepitoso,
che facevano mostri e cocodrilli ed il cader delle saette; si
sollevarono a furia, con esso i mostri e i cocodrilli, i flutti
del re de'fiumi, somiglianti alle giogaie de' monti Vindhya;
e tutto era sconvolto l'Oceano, coperto di fiotti altissimi,
ingombro di conche marine, con onde involute di fumo.
Erano sgomentati i Pannaghi (serpenti) dagli occhi e dalla
faccia ardenti e i Dánavi di corpo enorme, abitatori dei
cupi abissi del Pâtàla. Tutti costoro sconturbati andarono a
chieder soccorso all'Oceano; e il signor de'fiumi li confortò.
Veduta la gran possanza del regal Râma e l'alta impresa
che era imminente, il grande Oceano si mostrò col suo pro
prio sembiante.

C A PIT O L O X CIV.

USCITA DELL'OCEANO.

Rimossi allora i suoi grandi flutti, l'Oceano coi Pannaghi


dalla faccia ardente apparve al cospetto di Ràma. Egli era
di color simile a denso lapislazzoli, ornato d'oro, con veste
e serto tinti in rosso e con occhi somiglianti a foglie di
SUNDARACANDA. 141
loto. Fattosi subitamente innanzi a Ràma insieme co' suoi
ministri, l'Oceano in atto reverente gli disse soavi e mo
deste parole; salutatolo da prima col proprio nome, « O
Rama! » così parlò quindi quel possente dagli occhi simili
a foglie di loto: La terra, il vento e il cielo, le acque e
il fuoco rimangono costanti nella lor propria natura, se
guendo l'eterna lor via; or io ti dico, o caro, che è mia
propria natura l'esser profondo e inconsumabile, e sarebber
rotte le sue leggi, ov'io divenissi guadoso. Un tuo antenato
illustre, per nome Sagara, fu colui che mi scavò, e per lo
nome di colui io son chiamato Sàgaride, signor de' fiumi.
Fa di terrapienar quest'acque, o Ràma; io ti darò per esse
ampia via, per cui passi l'oste de' scimi; e non avrà qui
luogo alcun ponte. Troppo gran meraviglia sarebbe al mondo
il veder sorgere sopra il mare un saldo spazzo, e tu dei prin
cipalmente, o Râma, per rispetto di me evitar opera sì fatta.
Imperocchè altri possenti, minacciandomi di castigo, m'ob
bligherebbero con forza a dar loro guado o via. Tal opera
maravigliosa veduta nel mondo dagli uomini, sarebbe cosa
funesta; chè si saprebbe ch'io son valicabile; onde tu non dei
altrimenti por mano a tale impresa. Nè per amore, nè per
cupidità, nè per paura io non deggio, o incolpabile figlio
di re, dar guado per le mie acque ingombre d'animali ma
rini. Io t'ho fin qui parlato parole divine; or ti parlerò
parole umane.
Odi il mezzo, per cui tu potrai valicarmi, o Râma. V” ha
qui uno che si noma Nala, figlio dell'inclito Visvakarma,
il quale ebbe dal padre doni divini ed è tutto intento al
tuo bene; s'elegga, o uom preclaro, questo scimio valoroso
a costruire una gran colmata; faccia costui sopra di me
un'ampia gettata; io la sopporterò per riguardo all'altezza
della tua impresa; nè v'andranno errando intorno gli ani
mali marini, nè vi soffieranno contro i venti; io stesso
ratterrò l'acque per amor di te e di Nala.
Inteso colui parlare in tal modo, Nala così disse a Ràma
Ben parlò l'Oceano; io imitando l'alto ingegno di mio pa
dre, farò nel mare un'ampia gettata. Già un dì da Visva-
karma fu conceduta a mia madre una grazia eletta colà so
pra il monte Mahendra; io son figlio genuino di Visvakarma
142 RAMAYANA,

ed in tutto eguale a lui stesso; ma io non voglio qui millan


tarmi, nè magnificare le mievirtù. Orsù dunque, costruiscano
oggi i valenti scimi una gettata. Un dì nella guerra degli
Asuri e dei Devi contro Tàraka, malvagio Demone, io con
venni con tuo padre in un grande consesso di Devi; colà
tuo padre disse cose salutari ai Devi, ed egli allora, o forte,
entrò con me in amicizia. Tu sei figlio d'un mio amico e
sei quindi mio figlio per diritto; ond'io deggio di necessità
ed in ispecial modo prestarti aiuto.

CAPITOLO XCV, -

COSTRUZIONE DELLA GRANDE GETTATA.

Com'ebbe intese le parole proferite da Nala, e salutato


Ràma, entrò l'Oceano nell'acque; ed entrato colui subita
mente nella sede di Varuna che è suo natural ricetto, Ráma
Dasarathide tutto lieto così parlò al valente Hanumat, al
forte Angada e all'ottimo fra i Vànari ed amico Gambavat,
tutto pien di maraviglia: Or che avete inteso ciò che dis
sero l'Oceano e Nala, si ordini senza più tutto ciò che s'ha
qui a fare. Uditi que'detti, Sugriva signor de scimi spedì
prontamente in ogni parte le schiere de'Vánari e così lor
disse: Recate qui tosto e senza indugio alberi e brani di
mpnti, arbusti e piante repenti e tutto ciò che qui fa d'uopo.
Eccitati da quelle parole del magnanimo Sugriva, i scimi
baldanzosi s'avviarono rapidi alla selva a centinaia ed a mi
gliaia; e sradicate shoree robuste e canne e bambu, echiti
e pentaptere, nauclee kadambe, tile, sesbane e mimusopi
ed altri alberi diversi, e spiccate vette di monti, ei si diedero
accolti a migliaia a costruire nell'acque del mare una gran
gettata. Alcuni di que' fortissimi, divelti cacumi di monti e
roccie lucenti d'oro, li ponevano nelle mani di Nala; altri
di que' scimi che grandeggiano come elefanti, con masse
di monti smisurate e con grossi alberi tutti splendidi di
fiori, davan opera nel mare alla gettata. E Nala costruiva
a mano a mano nel mezzo dell'Oceano una gran colmata
larga ben dieci yogani e lunga cento; e quell'ampia via
larga dieci yogani così si distendeva per mezzo il mare,
SUNDARACANDA, 143
come alla calda stagione è disteso dal vento un gran
viluppo di nuvole. Frattanto i scimi dibarbando a furia
con tutte le lor radici alberi fiorenti, sedi d'augelli, il
gettavano giù nel mare; e que' legni, quelle piante gra
minacee, que'vertici di monti gettati giù nel mare, non
si perdevano per alcun modo. E i robusti scimi anda
vano pur dirompendo in frotta alberi enormi e rami e li
gettavano nel mare. Con frutici tutti pieni di locuste, con
canne e piante repenti legavano que' forti la gran gettata
agli alberi buttati giù nell'acque; e Nala congegnava quel
grand' argine con alberi tutti floridi e somiglianti a dense
nuvole, divelti colle lor foglie e colle lor radici. Altri to
gliendo tutti ad una vette di monti, costruivano insieme a
migliaia il grand'argine nell'acque del mare. Da que' scimi
robusti e arditi furon con impeto abbattuti e gettati giù nel
mare, signor de'fiumi, gli alberi cresciuti sulle sue sponde.
Si levò su per l'Oceano un fracasso tumultuoso di roccie
trascinate e di vette di monti dirotte; ed era scommosso,
sconquassato e come sconvolto il mare da que' scimi lavo
ranti a furia e a frotta a condurre la gran gettata. Animosi
come elefanti, impetuosi e mutanti forma a lor voglia, que'
scimi recano brani di monti e li radono coll'unghie; e Su
griva somigliante a un nugolone adoperandosi egli pure
con isforzo incessante, gettava giù nel mare cacumi di monti
a centinaia ed a migliaia. L'illustre Angada, divelta colle
sue mani la vetta del monte Dardura, la gettò nell'acque
marine, che parve una gran nuvola che baleni; e Meinda
- e Dvivida, rotto un gran giogo di monte, fiorente per ogni
parte, con tutta una selva di sandali, accorrevano là rapida
mente. S'udiva per la terra, per l'aria e per lo cielo un
gran fragore di monti spezzati dai scimi per la grand'opera
della gettata; e spaventate da quel fracasso s'acquattavano
le belve; e gli augelli per la foresta, fatti inabili a volare,
se ne stavano quieti sulle cime degli alberi.
Allora i Devi ed i Gandharvi, i Siddhi e i grandi Risci,
tutto occupando il cielo, stettero colà attenti a mirare quel
gran prodigio. Quivi convennero i Risci, i Padri, i Yaksi
e i Re Sapienti, Garuda in un cogli Uraghi (Serpenti) a
contemplare la gran gettata che si costruiva nell'Oceano;
144 RAMAYANA SUNDARACANDA,

e stando tutti levati in aria poco discosto da Ráma, ono


rarono il gran Raghuide e gli dissero queste soavi parole:
Nessun altro, fuorchè il Raghuide, non eccettuatine i Devi
ed Indra, nè fece mai per l'addietro, nè farà per l'avvenire
opera sì fatta. Saranno possenti e gloriosi, posseditori di nobili
gemme e di gran ricchezza pur i figli di coloro che avran ve
duto Râma manifestar così la sua possanza, facendo costruire
sull'Oceano signor de'fiumi una gettata. Finchè starà il
mare, tanto durerà quest'argine, e finchè avrà fama l'Oceano
tanto durerà la gloria di Ràma. « Chi è colui che costruisce
sul mare una gettata? » Così chiedevano tutti lieti i C'àrani
e i Vidyàdhari, venuti colà subitamente; e un alto grido
tumultuoso correva per le dieci regioni e s'udiva sulla terra,
grido che diceva: « Ràma è colui che costruisce sull'Oceano
una gettata ». Il sole non offendeva d'alcuna arsura i scimi
affaticati; chè si levaron nubi per le plage, velando la luce
del sole, e piovve Indra e spirò il Vento con aliti soavi; e
fu prodotto dagli alberi miele, somigliante all'alimento di
che si nutrono i scimi. Per favore dell'Oceano e per lo rapido
travagliarsi in “condur l' opera fu la gettata menata a fine
in brevissimo tempo. Cominciato sulla riva settentrional del
mare e condotto fino alla riva di Lanka, appariva mirabile
quell'argine che fendeva l'Oceano. Spaziosa, ben costrutta,
splendida e disposta a tutte le creature, così appariva quella
gettata, come una striscia che fende il mare. Tutte le crea
ture ammiravano la struttura di quella gettata per mezzo
il mare, e quelle migliaia di koti di magnanimi scimi, in
tenti al gran lavoro.
Costrutta quella colmata, passarono essi il mare dentro
lo spazio d'un mese; creato quel grand'argine, valicarono
l'Oceano que'scimi rinomati; e tutti riconfortatisi, ei leti
ziavano ciascuno nella propria sua schiera. Ma sulla sponda
australe dell'Oceano stava Vibhisana co' suoi seguaci armato
di clava e pronto a respingere i nemici.

FINE DEL LIBRO QUINTO,


LIBR0 SEST0.

YUDDHA CANDA.

C A PIT O L O I.

ESPLORAZIONE

Allor che Ráma Dasarathide ebbe insieme coll'esercito pas


sato il mare, l'inclito Rávano così parlò a due de' suoi mi
nistri, Suka e Sàrana: L'esercito de' scimi tutto intero ha
valicato il mare d'arduo pileggio, e fu da Râma, cosa non
mai veduta per l'addietro, costrutta nel mare una gettata.
Non mai si vide, nè mai s'udì per innanzi essere stato pian
tato un argine nel mezzo dell'Oceano; e temo non il destino
abbia qui proteso il suo braccio per la nostra rovina. Ella è
cosa da non credersi quell'opera fatta da Ràma; per cagion
di quella mole costrutta nell'Oceano, tutto mi si turba l'a
mimo. Egli è uopo ad ogni modo che io conosca il novero
dell'esercito de' scimi; saputo qual sia la sua forza, ordinerò
i mezzi di resistenza. Per la qual cosa voi prendendo forma
di scimi e penetrando inosservati in quell'esercito, fate d'an
moverarlo. Procacciate di conoscerne a pieno la forza e il
modo di muovere a battaglia, di sapere qual sia il proposto
de' combattenti, la loro statura e il lor valore, e quali si re
putino fra quelli i primi, quali siano i consiglieri di Ràma,
quali i consiglieri di Sugriva, quali i capi dell'esercito, quali
gli eroi fra que' scimi, come fu costrutta la gran gettata
nell'Oceano sede di mostri, quali sono gli accampamenti di
que' selvaggi scimi la cui vita è giunta al fine e chi è il
duce supremo dell'esercito, qual sia il disegno di Ràma e
del Saumitride, quali la loro possanza e l'armi. Conosciuta
che avrete a pieno la forza di Ràma, di Lacsmano e de'
scimi, fate di ritornar qui prontamente.
VOL, III, 10
146 RAMAYANA.

Avuti tali ordini e risposto che così farebbero, i due Rac


sasi Suka e Sàrana s'avviarono prontamente là dov'era l'e
sercito; ed andando nascosti con arte di prestigi e preso
sembiante di scimi, que' due consiglieri di Råvano entraron
nel campo inosservati; e quivi si diedero con ogni studio ad
annoverare l'esercito de' scimi, terribile, inescogitabile. Ei
videro quella grand'oste parte sedersi sulle cime de' monti,
sopra torrenti ed in caverne, sulle rive del mare e dentro
floride selve, parte agitarsi e correre a schiere; ma ei non
poterono numerare quell'esercito di Vànari, indestruttibile,
infinito, insuperabile; que' due Racsasi valorosi non seppero
annoverare la grand'oste de' scimi, distesa come un'ampia
selva, anzi come la terra; della qual oste parte stava pur
tuttavia valicando il mare, parte già era passata e venuta
tutta innanzi, e chi già s'era accampato e chi s'accampava,
esercito tremendo, inconquassabile, indestruttibile.
Ma il possente Vibhisana, espugnator delle città nemiche,
conobbe que' due magnanimi essere occulti esploratori ve
nuti da Lanka, e fatti prendere dagli scimi di terribile forza
Suka e Sàrana, li palesò a Râma: Sappi, ei gli disse, che
costoro sono spie venute da Lanka.
Veduto colà Ràma, forte sbigottirono que' due e disperaron
della lor vita, e giungendo le mani dinanzi alla fronte, così
dissero impauriti: Noi siam qui venuti amendue, o prode,
spediti da Råvano per esplorare il tuo esercito a parte a
parte.
Udite quelle parole, Ràma Dasarathide intento al bene
d'ogni creatura, così rispose sorridendo: Se voi avete esplo
rato intiera l'oste e bene osservato noi tutti ed eseguito
pienamente quel che vi fu imposto, ritornatevene libera
mente, e avendo qui notato ogni cosa, rientrate a vostra
posta in Lanka; ch'io vi do in questo punto ferma sicu
ranza, o Racsasi. Ma se alcuna cosa non fu qui da voi ben
esplorata, investigatela or nuovamente; Vibhisana vi mostrerà
ogni cosa a pieno. Benchè venuti presi nelle mie mani, voi
non avete a temer per la vostra vita; deposte l'armi e pri
gionieri, voi non dovete esser da me dannati a morte. Tu,
o Vibhisana, terribile sempre al nemico, libera e proteggi
questi due Racsasi esploratori. Or ch'essi hanno veduto tutto
YUDDHIACANIDA, 147
intiero quest'esercito, e moverato le patenti schiere de' scimi,
se ne tornino a lor posta nella città di Lanka. Io vi solvo
col mio perdono, tuttochè degni di morte, o Racsasi. Ma
rientrati in Lanka, voi dovete riferire al re de' Racsasi que
ste parole ch'io vi dico: « Ti prepara col tuo esercito e
co' tuoi congiunti a dimostrare a tuo potere or quella forza,
nella qual tu confidando, hai un dì rapita Sità. Vedrai do
mani conquassata dalle mie saette la città di Lanka co' suoi
valli e colle sue porte e con tutte le schiere de' Racsasi;
disfogherò contro te ed il tuo esercito l'ira mia tremenda,
sì come il fulminante Vàsava (Indra) irato scaglia contro i
Dànavi i suoi fulmini. Verrò ben io, tuttochè afflitto da cruda
pena, a capo di questa guerra coll'uccider te, o Råvano ».
Commessi loro quegli ordini, le due spie Suka e Sàrana
ritornati alla città di Lanka, così dissero al re de' Racsasi:
Noi fummo, o re, presi nel campo nemico da Vibhtsana, ed il
magnanimo Ràma, uom di virtù immensa, vedutici, ci liberò,
tuttochè degni di morte. Son colà raccolti in una, simili ai
quattro Custodi del mondo, quattro possenti e prodi, sperti
nell'armi e di salda forza, l'inclito Ràma Dasarathide, il for
tissimo Lacsmano, il valoroso Sugriva e Vibhisana tuo fratello.
Que' quattro soli, e se ne stiano pur tranquilli gli altri scimi,
son atti, ne sembra, a svellere dalla sua base la città di Lanka
colle sue porte e co' suoi valli e a trasportarla altrove; anzi
si rimangano pur da parte gli altri tre, chè Ràma solo man
derà in rovina Lanka, tale è il suo aspetto, la sua possanza e
le sue armi. Quell'esercito protetto da Ràma, da Lacsmano
e da Sugriva non potrebbe esser rotto a forza nè pur dagli
Asuri e dai Suri in un con Indra. La gran gettata fu aper
tamente costrutta a tal norma ch'ella è larga dieci yog'ani
e lunga cento; e per essa passò l'esercito il mare; son per
venuti i fieri scimi a quest'ardua Lanka e sono accampati
sulla riva australe dell'Oceano signor de'fiumi; non si vede,
o re, il termine di quell'esercito parte già trapassato, parte
in via di passare, e protetto da Ràma pari ad un Custode del
mondo; quell'oste di scimi è piena di prodi combattenti, ma
gnanimi e pronti alla battaglia; a bastanza, o re, s'è fin qui
conteso; or si fermi la pace e si renda al Dasarathide la
Mithilese.
148 RAMAYANA.

CAPITOLO II.

VEDUTA DELL'ESERCITO DE' SCIMII.

Udite quelle parole opportune e forti dette da Sàrana,


Ràvano così rispose: Quando bene ei mi fosse imposto dai
Devi, dai Dànavi e dai Gandharvi, non renderei pur tuttavia
Sità, nè pure per timor del mondo intiero. Tu, o amico,
spaventato dall'aspetto di quell'esercito di scimi e perduto
ogni tuo vigore, or mi consigli di render Sità. Ma chi è
quel valoroso che possa vincermi in battaglia, o sia pur atto
a starmi un momento a fronte, intento a superarmi?
Ciò detto, ei s'alzò pien d'ira dall'eccelso suo seggio, e
levatosi su per lo fosco cielo, fulgido a guisa d'un altro
sole, ei salì rapidamente sopra il culmine della sua reggia,
biancheggiante come neve e dell'altezza di più palmizi, per
desiderio d'esplorare l'esercito nemico. Colà fiammeggiante
nell'aspetto e guardando la terra coi due suoi ministri, ei vide
il grande esercito; vide i monti e il mare coperti di scimie
gremite di scimi le varie regioni della terra. Veduta quella
grand'oste illimitata, innumerabile, Rávano interrogò Sàrana:
Chi sono fra que' scimi gli eroi, i principali, i più valenti?
Chi sono i duci dell'esercito, chi gli animosi e i forti? Chi
son quivi coloro che traggono origine dai Devi e chi coloro
che han solo forza umana? Di chi ascolta Sugriva i consigli
e chi sono i duci supremi dei duci? Narrami prontamente,
o Sárana, chi sono i primi fra que' Vànari.
Udite quelle inchieste del re de' Racsasi, Sàrana gli andò
additando i scimi più cospicui; ch'ei ben li conosceva per nome.
Quel scimio circondato da mille centinaia di valorosi, che
se ne sta colla faccia rivolta a Lanka e mugghia, quel prode
il cui ruggito orrendo fa tremar Lanka colle sue porte e
co' suoi valli, colle sue selve, co' suoi boschi e co' suoi monti,
colui che se ne sta in capo dell'esercito del magnanimo
Sugriva, re supremo di tutti i scimi, quegli è il duce che
s'appella Nala. Da colui figlio di Visvakarma fu costrutta la
gran gettata; ei fu celebrato dall'Oceano ed è magnanimo
e altiero Vànaro.
YUDDHACANDA, 149
Quel prode che grandeggia come un vertice di monte ed
ha color di fibra di loto, che protende le braccia e raspa
coi piedi la terra, che tien la faccia rivolta a Lanka e so
vente sbadiglia per ira, e fieramente arrovellato agita di
continuo la coda, del cui strepito sembran risuonare le dieci
plage; quel prode circondato da mille padmi e da cento
sanchi fu sacrato consorte del regno da Sugriva re de' scimi;
egli è il principe regale, per nome Angada, e ti disfida alla
battaglia.
Que' prodi scimi che appoggiando le membra l'un sul
l'altro, ridono e lasciviscono, e sollevandosi sbadigliano con
ira, que' scimi irresistibili, ardenti e fieri son venuti dal
monte Malaya e son otto centinaia di mila e mille koti;
colui a cui stanno intorno que' prestanti e valorosi, è il duce
che s'appella Sutanu, condottiero di tutti que' scimi; ei può
colle sue schiere distrugger Lanka.
Quel duce che vedi colle sue squadre, bianco come argento,
illustre, saggio e rinomato nei tre mondi, che convenuto con
Sugriva, or se ne sta scompartendo l'esercito de' scimi ed in
fondendo balda allegrezza nelle schiere, quegli è lo scimio,
per nome Kumuda, che va errando per lo monte Arbuda e
per la bella riviera Godávari, ed ha sede e regno sul monte
che si noma Sankoc'ana, lieto d'ogni sorta d'augelli.
Quel valoroso che trae con sè cento migliaia di mila com
battenti, si noma Nila, ed è duce sovrano fra i duci, e con
sigliere del magnanimo Sugriva re de' scimi.
Colui la cui chioma orribile a vedere, diffusa e lunga
parecchie braccia si confonde colla lunga sua coda e somi
glia alle giubbe d'un leone, quegli, o re, si noma Vegavat,
fiero oltremodo e corruccioso, avido di battaglia e pari di
forza a Sugriva; circondato da mille centinaia di mila koti,
colui pur vuole distrugger Lanka colle sue squadre.
Quel duce che pari ad un leone, con lunga chioma e fulvo,
guarda Lanka tutto solo e rugge ad ora ad ora, ha sua
perenne sede e mugghia sul mereggiante monte Vindhya,
ameno e dilettoso, e si noma Parvata. Trenta centinaia di
mila di vigorosi scimi l'intorniano e lo seguono, disposti a
distrugger Lanka colla lor forza.
Colui che apre gli orecchi e che sbadiglia, che non rat
150) . RAMAYANA,

tiene lo sguardo e non si discosta dalla sua schiera, ed è


imperterrito fra tanto trambusto, quegli è il duce per nome
Sarabha, ed ha sua sede, o re, sul monte C''andra. I scimi
che vanno con quel prode, sono cento mila e quaranta
centinaia; colui pure, o re, spera conquider Lanka colle
sue schiere.
Quel grande che se ne sta nel mezzo dei fieri scimi, sì
come Indra in mezzo ai Devi, e ingombra l'aria a guisa
di nube, là dove s'ode pari ad uno strepito di taballi, un
gran fragore di prodi Vànari anelanti alla battaglia, quello
scimio torreggiante come un monte, mobile ed iroso, è il
duce che si noma Panasa; egli ha sua sede sul monte al
tissimo Pàripàtra, ed è sempre irresistibile nella battaglia.
Obbediscono a quel duce eccelso cento centinaia di mila
valorosi, le cui schiere son là scompartite.
Colui che se ne sta là sulla riva del mare, a guisa d'un
secondo Oceano, e guida una terribil oste di scimi, quel
Vànaro circondato da dieci koti è il duce per nome Vinata;
egli ha sua sede sul monte Dardura e beve l'onde della
riviera Parnása.
Quel scimio che è là fulvo come il sole e con occhi ac
cesi, e la cui oste ha sessanta centinaia di mila scimi, colui
che vibrando un gran macigno somigliante a una fosca
nube, ti chiama alla battaglia, è il duce per nome Krathana.
Quello scimio che nutre un corpo il cui color somiglia
all'oro e che a te si rivolge con ira, è il possente che si
noma Gavaya; obbediscono agli ordini di colui dieci mila
e dieci centinaia di koti di scimi mobili per natura e di
gran forza; colui, o espugnator delle città nemiche, è atto
a vincerti in battaglia.
Questi ch'io t'ho indicato, o re, sono i scimi più valo
rosi e di terribile possanza, grandemente altieri e forti, ed
invincibili in battaglia a tutti insieme i Devi e i Dànavi.
Mirando quel grande esercito poderoso e la sua forza e
il suo valore, e udendone fare il novero, si scolorò Rávano
in volto e venne meno la sua mente
YUDDHACANDA, 15

C APITO IL O III.
DISCORSO DI SARANA.

Ascolta l proseguì Sárana, io t'additerò più altri ancora


di que' scimi valorosi, che per amor di Ràma nulla curan
la lor vita. Colui che appare da lungi somigliante a un alto
cumulo di riso, la cui chioma è fulva come l'oro e simile
a vivo fuoco e i cui peli risplendon come raggi di sole,
quegli è cognato del magnanimo Sugriva re de' scimi, eroe
celebrato per la terra, e si noma Dadhimukha.
IDietro a colui sen vanno altieri scimi a centinaia, e co'
suoi mille koti di prodi egli è atto, o vincitor delle città
nemiche, a superarti in battaglia.
Que' prodi che tu vedi appresso, simili a grandi e nere
nubi, foschi come collirio e di saldo valore nella pugna,
armati di denti e d'unghie, ardenti d'ira e spaventosi, in
numerevoli, indescrivibili, schierati lungo le rive del mare,
quegli han lor sede su pei monti, per gli alberi e pe' fiumi
e muovono contro te, o re, invincibili nelle battaglie. In
mezzo ad essi stassi il loro re Dhûmràksa, terribile nell'a–
spetto, e cinto da loro d'ogni intorno, sì come Indra dalle
nubi; duce sovrano di tutti quegli orsi è il condottiero che
s'appella Dhùmra, il quale ha sua sede sull'eccelso monte
Riksavat e bee l'onde della riviera Narmada. Egli è minor
fratello di Dhimráksa; miralo colà pari ad un monte, so
migliante al fratello nell'aspetto, ma superiore a lui per
valore. Amendue que' forti e valorosi, mutanti forma a lor
voglia ed esperti nelle battaglie faranno opre famose. Una
grand'opera fu già da coloro un dì eseguita, allorchè Indra
coi sommi Devi stava combattendo in guerra contro Tàraca.
In quella guerra Devàsurica furono da coloro in un con
Gambavat messi a morte molti prodi. Saliti sopra vertici
di monti ei dirupano roccie smisurate ed alberi d'ogni ma
miera, e nulla paura han della morte; schiere di Racsasi ,
pari a Pisáci, poderose e di terribile forza stavano sulla
fronte dell'esercito; ma da que' due furono colà spenti in
grande numero eroi mutanti forma a lor voglia; onde non
v'ha quivi fra i scimi creatura che li sorpassi.
152 RAMAYANA,

Quello scimio che se ne sta là tutto iroso e cui osservano


gli altri scimi armati di roccie, di shoree e di palme, quel
forte circondato da un esercito di mille koti di scimi, è il
duce che s'appella Padma.
Colui che vedi somigliante ad una nuvola e mugghiante
sì come nube, il quale accampa le sue schiere e pur sbadiglia,
colui guida un padma e un koti di prodi scimi, si noma
Indrag'ànu ed è terribile e fiero fuor di modo.
Colui che, o stando fermo su quel monte, oppur moven
dosi, misura col suo fianco un yogano, e che levandosi col
suo corpo, attinge all'altezza di tre yog'ani; onde non v'ha
fra i scimi creatura che lo sorpassi; quegli è il condottiero
per nome Sannâdana, proavo de' scimi. Egli è il gran duce,
da cui fu fatta un dì fiera battaglia coll'elefante Airāvata,
e non n'ebbe egli però sconfitta, il quale ha regno sul monte
Drona, frequentato da molti Kinnari, e la cui possanza ,
quand'ei muove alla battaglia, pareggia quella d'Indra. Colui
nacque d'una figlia dei Gandharvi, generato un dì dal Fuoco
nella guerra Devàsurica, perchè fosse d'aiuto ai Devi; so
vr'esso il G'ambu di colui, o re dei Nairiti, se ne sta il re
Vaisravana tuo fratello, pio e dedito ai diporti.
Quell'altro altiero e prode scimio è re dell'Himálaya;
sempre ei si dà vanto nelle battaglie ed è il duce che si
moma Krathana. Egli è cinto da mille koti di scimi impe
tuosi come il vento, e solo egli ha speranza di conquider
Lanka colle sue schiere.
Mira colui che è sì cospicuo nell'esercito de' scimi; egli
usa andar errando lungo il Gange per atterrir le torme degli
elefanti, rammentandosi l'antica inimicizia che hanno insieme
essi ed i scimi. Egli è duce altiero, o re, di scimi, e d'orsi
ed ha sua sede in una caverna montana, là sul monte Gan
dhamâdana, lunghesso il Gange. Quel scimio eccelso andando
al monte Usiravig'a,pari al Mandara, si diletta colà, sì come
Indra nel cielo. Colui, o re, circondato da mille centinaia
di mila combattenti, è il duce per nome Pramathi, fieramente ,
sdegnoso nella battaglia.
Coloro che tu vedi appresso, simili a nuvole sospinte dal
vento, là dove sì spesso s'aggira quel gran polverío, quegli
sono i fortissimi Golànguli, per nome Kàlamukhi, e son
YUDDHACANDA. 153
cento centinaia di mila e cento koti di koti. Que' Golàn
guli, o gran re, circondano e seguono il loro duce, per
nome Gaváksa, a conquider Lanka colla lor forza.
Colui che vedi eccelso infra gli eccelsi scimi, ha sua sede
sopra un monte che rifulge al par del sole e per lo cui
fulgore così di continuo vi risplendono gli augelli, com'ei
fossero tutti d'oro, dove v'hanno alberi che portan frutti
desiderabili d'ogni maniera, intorno a cui ronzano sciami
d'api, il qual monte mai non abbandonano i Devi nè i Gan
dharvi; sopra quel monte aureo e dilettoso si gioconda quel
duce che si moma Kesari.
V” ha un gruppo di sessanta mila monti con giocondi ed
aurei vertici, e in mezzo ad essi s'aderge un monte eccelso
sì come tu, o preclaro, in mezzo ai Racsasi. Sopra quel
monte sovrano abitano que' scimi lionati, bianchi, foschi e
verdefulvi, armati d'unghie e di denti acuti, che han quat
tro zanne come i leoni e sono inaccessibili come le tigri,
orribili d'aspetto e il cui contatto è pari al contatto dei
serpenti. Colà sopra quel monte prestan continuo culto al
sole que' scimi che han code lunghe e curve, e forza d'ele
fanti infuriati, e che somigliano a grandi nuvole e a grandi
monti. Circondato da un nikharba di que' scimi rapidi come
il vento, li guida il possente e prode duce per nome Susena,
padre di Tarà, il quale nella zuffa de' scimi e degli elefanti
divelse una zanna d'elefante.
Quel valoroso, tutto intento alla battaglia e mutante forma a
sua posta, rinomato per la terra, o re, è il duce per nome Sata
bali; circondato da mille koti, egli pure agogna assalir Lanka.
Gaya, Gavàksa, Gavaya, Nala e Nila, l'invincibile Ulka
mukha, Sarabha e Gandhamàdama, ognun di costoro ha in
torno a sè dieci koti di combattenti; più altri scimi valorosi
che hanno lor sede nei monti Vindhya, e di lena impetuosa,
non si possono noverare per la grande lor moltitudine. Que
sti ch'io t'ho nomati, o re, sono i scimi più valenti della
terra, di gran forza o di gran valore, incomparabili nella
battaglia e simili a monti nell'aspetto. Tutti sono di gran
possamza, tutti han corpi che torreggiano come rupi, tutti
son atti a rompere e a distruggere in un momento le mon
tagne della terra. -
l54 RAMAYANA,

CAPITOLO IV.

DESCRIZIONE DELL'ESERCITO.

Come vide che Sàrana e il grande Racsaso gli davano


opportunità di favellare, Suka guardando tutta quell'oste,
così parlò a Ràvano: Coloro che vedi colà schierati, simili
ad elefanti furibondi, a grandi ficaie lunghesso il Gange, a
robuste shoree dell'Himalaya, son tutti forti, o re, irresisti
bili, mutanti forma a lor voglia, pari ai Daityi e ai 'Dànavi
ed eguali nella battaglia ai Devi e agli Asuri. V'hanno di
que' prodi nove, cinque e sette mila koti, e cento mila e
dieci centinaia d'arbudi. Que' scimi nati da Devi, da Dànavi
e da Gandharvi, son compagni di Sugriva ed han lor sede
perenne nella Kiskindhya.
Que' due giovani eroi, che tu vedi colà fermi e che hann
sembianza di Devi, son Meinda e Dvivida; non v'ha chi li
pareggi nella battaglia. Amendue si ciban d'amrita per con
senso di Brahma, e sperano amendue conquider Lanka colla
lor possanza.
Quegli altri due che lor stanno al fianco e sembran monti
son Sumukha e Durmukha figli di Yama e eguali al padre.
Circondati da dieci koti, ei guardano intenti la città e spe
rano ei pure conquider Lanka colla lor forza.
Colui che vedi star colà, come un elefante ebbro d'amore,
che acceso in ira scommuoverebbe a forza col suo vigore
anche l'Oceano, colui già superò per l'addietro Lanka e vide
Sità; mira quel scimio già da noi veduto altra volta ed or
di nuovo tornato fra' suoi; egli è il figlio maggior di Ke
sari e si dice generato dal Vento; il suo nome è Hanumat
da cui fu valicato il mare. Egli è prestante fra tutti i scimi,
pieno di forza e di vigore, ei muta forma a sua posta e il
suo impeto è irresistibile, sì come l'impeto del vento. Si
narra che essendo egli fanciullo, visto un dì nascere il sole,
gli si mosse subitamente incontro e varcò tremila yog'ani
di via; « afferrerò ben io il sole, non andrà egli più alto di
me, » così egli pensava nella sua mente, orgoglioso della
sua forza. Ma senza aver raggiunto il più insuperabile fra
YUDDHACANIDA, 155
i Devi, cui non posson vincere nè i Devi, nè i Dànavi, nè
i Risci, ei rovinò sopra il monte là dove nasce il sole, e
cadendo sopra una roccia, parte s'infranse d'una mascella
di quel scimio di saldo corpo, ond'ei fu detto Hanumat,
dalla mascella infranta. Io ben conobbi quel scimio, allor
ch'ei qui venne, nè si potrebbe descrivere appieno la sua
forza, la fiera sua sembianza e il suo valore. Egli ha spe
ranza tutto solo di conquider Lanka colla sua possa.
Quell'eroe a lui propinquo che ha colore oscuro ed occhi
simili a foglie di loto, è il gran curule guerriero degli Ics
vacuidi, celebrato nel mondo per la sua forza, dal quale mai
non s'allontana la giustizia, ned egli mai la trasgredisce. Quel
possente, sommo fra color che sanno i Vedi, conosce il di
vino telo di Brahma, ha il complesso di tutte l'armi e ne
sa l'uso; colle sue saette ei fenderebbe il cielo e squarce
rebbe la terra; la sua ira è pari all'ira del Dio della morte,
la sua forza alla forza d'Indra. La donna di colui fu un dì
da te rapita dal suo romitaggio colà sul G'anasthàna; egli
è Ráma Dasarathide, e muove contro te a battaglia.
Colui che gli sta dal destro lato e che somiglia ad oro
terso, che ha largo petto ed occhi fulvi, capelli neri e crespi,
quegli è il prode suo fratello, per nome Lacsmano, pari
d'animo a lui, esperto nel guidare e nel combattere, cono
scitor del modo di trattar tutte quante l'armi, sdegnoso e
insuperabile, vittorioso, ardito e forte nella battaglia; egli
è il braccio destro di Ràma, e come lo spirito suo proprio
che sen va peregrinando di fuori. Egli ha continuo uso
della guerra e sempre porta l'arco teso, e per amor di Râma
egli abbandona anche la vita. Colui pure si confida di spe
gnere in battaglia tutti i Racsasi.
Quegli che cinto da Racsasi fidati, se ne sta con atto al
tiero al fianco sinistro di Ràma, è Vibhisana tuo fratello,
che contro te indegnato, se n'andò ministro a Ràma e fu
da quell'inclito re dei re fatto sacrare re di Lanka.
Colà nel campo de' scimi io ebbi notizia d'ogni cosa. Un
dì, sì come è fama, la polvere agitata dal vento entrò nel
l'occhio sinistro di Brahma,signor delle creature, ed ei col
toccarla la trasmutò; presala poi colla sinistra sua mano e
gettatala lungi da sè, cadde quella polvere a terra. Allora ei
156 RAMAYANA,

pensò nella sua mente: «Che cosa or nascerà da quella


polve?» Ed ecco ad un tratto sorger colà una forma leg
giera di giovane donna con occhi di loto, tutta smagliante
di fulgore e somigliante a bulle di schiuma, con volto si
mile al disco della luna e con isguardo tremolo come ba
leno. Non era ella nè una Dea, nè una Gandharva, nè una
Asura, nèuna Pannaga, non mai fu veduta innanzi neppur
dallo stesso Brahma creatura di simil forma. Veggendola,
i Custodi del mondo tutti convennero in quel luogo là do
v'ella era; e il Sole fattosi innanzi, così disse a Brahma: Chi -
è quella leggiadra e per qual cagione venn'ella qui? Perchè
si condusse ella costà quella fanciulla dei Nàghi abbando
nando la città Bhogavati? Allora il signor delle creature rac
contò al Sole quel ch'era avvenuto: Colei, gli disse, racco
gliendo in una la bellezza di Siddhi, di Vriddhi e di Lacsmi,
di Prabhà, di Tusti e di Prabhákari, emerse fuori della terra.
In quella il Sole, presa con occhio d'amore quella graziosa,
nata dalla polvere entrata nell'occhio di Brahma, e tutta
fulgida, se ne partì di colà. In capo a qualche tempo, es
sendo quella donzella tutta altera della sua giovinezza e della
sua beltà, ed essendosi ella un dì bagnata sulle secrete
alture del Mandara, il Sole così le parlò: Per virtù della
mia possanza ti nascerà un figlio di gran valore, cui non
potranno superare in battaglia i Devi, i Dànavi, i Yaksi,
con esso i Pannaghi (Serpenti) ed i Racsasi, nè porre a
morte gli Immortali. Conferitole quel dono, subito ei si
partì; e per la giovine sua età fu quella fanciulla appellata
dal Sole Bâlà. Ma un dì nella stagion che è lieta di fiori
d'ogni maniera, il fulgido Indra, onorato dalle schiere de'
Suri, se n'andava errando tocco da amore; e veduta colei
sì bella in tutta la persona, n'ebbe gran maraviglia. Chi
sei tu? le disse; sei tu, o vereconda, una de' Yaksi , dei
Pannaghi o de' Racsasi? tu rapisci , o cara , l'animo mio;
perocchè tu sei degna d'amore. E mosso da divino affetto,
ei, toccò quella leggiadra colla sua mano fredda al par del
l'acqua e così le disse: Nasceranno da te, o fortunata, due
scimi di sembianza divina, conoscitori d'ogni cosa e mutanti
forma a lor voglia; tu non avrai a darti affanno: que' due
prestanti gemelli saranno Bàli e Sugriva. V'ha una gran
YUDDHACANDA, 15
caverna per nome Kiskindhya, copiosa di frutti e di fiori
divini; colà ei regneranno sopra tutti i valenti scimi. Verrà
quivi un uom di grande gloria, per nome Ràma, nato nella
stirpe degli Icsvacuidi, il qual sarà Visnu in corpo umano;
con colui farà alleanza l'un di que' due. Quel che tu vedi
colà fermo accanto a Lacsmano, egli è quel desso, Sugriva
signore invitto di tutti i sovrani fra' scimi; il quale di valor,
di forza e di senno, di gloria e nobiltà di stirpe così trapassa
ogni scimio, come fa l'Himàlaya gli altri monti. Egli in un coi
supremi duci ha sua sede nella caverna Kiskindhya, piena
di scimi, inaccessibile, situata nel mezzo d'un monte. Ri
splende sul suo capo quell'aurea corona, ornata di cento
nelumbi, sovra la qual risiede la splendida regal fortuna
desiderata dai Devi e dagli uomini; quella corona e la con
sorte Tàrà e l'immortal regno de' scimi furon conferiti a
Sugriva da Râma, poi ch'egli ebbe ucciso Bàli. Egli è tutto
disposto alla battaglia; qual uopo ha colui di più altri?
Cento centinaia di mila dicono i savi essere un koti, un
centinaio di mila koti s'appella un sankha, cento mila sankhi
chiaman gli esperti un vrinda, cento mila vrindi s'appellano
un mahàvrinda, cento mila mahàvrindi chiamansi un padma,
cento mila padml si stimano un mahápadma, cento mila
mahâpadmi diconsi un kharba. Quel Sugriva re de' scimi
è là pronto a combatterti con mille koti e cento sanki, con
mille vrindi e cento mahàvrindi, con mille padmi e cento
mahápadmi e con mille kharbi intieri. Tu delibera ciò che
convenga qui far di presente. Or che tu hai veduta, o grande
re, quell'oste tutta in punto e minacciosa, somigliante a
meteora infiammata, adopra ogni tuo sforzo supremo, affin
chè s'abbia nella battaglia vittoria e non sconfitta.

CAPITOLO V.

NUOVA ESPLORAZIONE,

Veduto, secondo che gliel venne indicando Suka, quel


l'esercito di scimi e il suo fratello Vibhisana stanie vicino
a Ràma, e il valoroso Lacsmano, braccio destro del Ra
ghuide, ed il fortissimo Sugriva, signor di tutti i scimi, Rà
158 RAMAYANA,

vano alquanto sgomentato e inacerbito dall'ira, riprese du


ramente sul finir del lor discorso que' due prodi Suka e
Sárana, minacciandoli quasi con voce rotta dallo sdegno e
con gran corruccio:
Ei non è certo cosa convenevole a ministri che vivono
dell'altrui larghezza, il dir cose spiacenti al lor signore,
donno di premiare e di punire. Tali parole da voi proferite
ben si converrebbero ad infesti nemici che s'apprestano a
combattere; ma sono in voi illodabili. Mal furon da voi
ascoltati i dottori, gli anziani ed i sacri maestri; perocchè
non fu da voi appreso l'ossequio che è l'essenza delle dot
trine che concernono i re, o se pur fu da voi appreso, ei
non fu ben conosciuto; a voi fu inutile il senso delle dot
trine. Egli è gran ventura che io ancor viva, circondato da
sì fatti stolidi ministri! Come non temete voi la morte, dopo
aver detto dure parole a me, la cui lingua, conforme al mio
comando, dispensa beni e mali? Ancorchè tocchi dal fuoco,
pur rimangono nella selva gli alberi; ma tocco dall'ira del
re più non rimane in vita chi l'ha offeso. Ben io porrei qui
a morte questi due sì fatti reprobi che osan celebrare il mio
nemico; e se la mia ira non fosse or mitigata dai prece
denti lor servigi, oggi da me spacciati, se n'andrebbero essi
a vedere il Dio Vaivasvata (Yama). Ma or sen vadano spe
ditamente lungi dalla mia presenza que' due sciagurati; io
non voglio più vedervi, nè udir da voi cose discare, nè
anche io voglio uccidervi, rammentandomi i passati vostri
servigi. Costoro tutti e due son gente ingrata e ritrosa al
mio affetto, sciagurati e stolidissimi che, innanzi a me
esaltano il mio nemico.
Così ripresi e vergognando, Suka e Sàrama, salutato Rà
vano con voci augurose di vittoria, se n'andarono di colà.
Ma Rávano così disse allora a Mahodara che gli stava
presso: Mandami qui tosto altri Racsasi, più abili esplora
tori. E nuovi esploratori vennero colà prontamente per or
dine del re, e stavan con atto reverente, amplificando il re
de' Racsasi con voti di vittoria. Quindi Ràvano così parlò
a quegli esploratori confidenti e prodi, devoti ed imperter
riti: Andate or voi a riconoscere qual sia il disegno di
Ràma, quali siano i più intimi ne' suoi consigli, quali co
YUDDHAC ANDA, . 159
loro che sono a lui più vincolati d'affetto, dove passerà egli
oggi la notte e da qual parte verrà egli ad assalirci. Co
nosciuto che avrete destramente ogni cosa, fate di ritornar
qui tosto. Il nemico ferito in prima da re sagaci col farlo
esplorare, con poco sforzo si spaccia poi, affrontandolo in
battaglia.
Sàrdùla e le altre spie, detto di sì a Rävano e salutan
dolo col girargli intorno da man destra, s'avviarono là,
dov'erano Râma e Lacsmano; e pervenuti colà nascosti, vi
dero Ràma e Lacsmano con Vibhisana e con Sugriva vicino
al monte Suvela.
Ma Vibhisana scoperse quelle spie, benchè occulte; e dis
prezzandole, ei le trattò come si conveniva. Tenuti colà
prigioni da Vibhisana a sua posta e malmenati da que' forti
e rapidi scimi, ei se ne ritornarono quindi a Lanka, sbuf
fanti e sbalorditi.

CAPITOLO VI.

DISCORSO DI SARDULA.

Veduto Sárdûla dolente e scolorato, colle membra intor


pidite dalla paura e soffiante a guisa di serpe, così gli parlò
sorridendo il fiero Ràvano: È insolito il tuo aspetto; tu sei
tutto sgomentato, o Racsaso. Sei tu forse caduto nelle mani
de' feroci nostri nemici?
Così interrogato dal terribile Råvano sorridente, gli ri
spose Sàrdúla, parlando con debile voce: Tu non potrai,
o re, venire a capo di far spiare que' fieri scimi, impetuosi
e forti e protetti dal Raghuide; egli è impossibile il sover
chiarli; non ha quivi luogo domanda alcuna. D'ogni parte
è guardata la via da que' scimi simili a monti; entrato ap
pena fra quell'oste innumerevole, io fui riconosciuto; ed
afferrato con forza da que' robusti, io fui in più modi mal
menato e tutto rotto con pugni e colpi di ginocchia, con
morsi e con palmate. Io fui al tutto vilipeso da que' scimi
robustissimi e sdegnosi e con ogni sorta di dispregi io fui
condotto al cospetto di Ràma. Colle membra tutte insangui
nate, tremante per paura ed agitato in tutti i miei sensi,
160 RAMAYANA,

percosso dagli scimi e chiedente mercè con atto supplice,


io fui fatto salvo da Ràma e per lui vivo liberamente. Dopo
aver colmato l'Oceano con grande mora di monti e di roccie,
quel Ràma se ne sta ora armato intorno alle porte di Lanka;
disposte le sue schiere a modo di Garuda, e circondato da
scimi per ogni parte, quel possente che mi liberò, intende
or solo ad assalir Lanka. Onde tu andando al vallo che cinge
la città, fa prontamente di due cose l'una, o rendi Sità im
mantinente, o commetti tosto la battaglia.
Sobbalzò quasi coll'animo il re de' Racsasi, udendo quelle
gravi parole di Sàrdtla, e così rispose: Quando purvenis
sero a combattermi i Devi, i Gandharvi e i Dànavi, io non
renderei già Sità, neppure per timor del mondo intiero.
Ciò detto, soggiunse quindi l'altiero Ràvano: Quali son essi
i prodi da te colà osservati, quali i prestanti battaglieri,
quali e quanti son eglino in quell'esercito gli indomabili
scimi? Narrami tutto veracemente e in breve; allora noi
muoveremo a battaglia, quando avrem ben conosciuto qual
sia la forza, quale l'insufficienza loro; ei conviene di neces
sità recare a giusto novero l'esercito nemico per lo buon
successo della battaglia.
A quelle parole del fiero Rávano così prese a risponder
Sàrdúla in quel congresso: V'ha colà l'accortissimo Sudur
gaya, figlio del re degli orsi, e il celebrato G'àmbavatfiglio
di Brahma; v'ha il prode figlio di Bàli, insuperabile ai ne
mici, il fortissimo Angada, principe regale, nato da Tàrà;
colà venne colle sue schiere il valoroso Kesari; ei v'ha il
forte e pio Susena generato da Dhanvantari, ed il cui figlio
tutto solo fece un dì strage di Racsasi; v'ha colà il placido
scimio, per nome Dadhimukha, generato dal Dio Soma
(Luno), e Sumukha e Durmukha e Vegadarsi, angelo della
morte sotto sembianza di scimio, procreato dallo stesso Sva
yambhu (Brahma). V'han colà Meinda e Dvivida, due eroi
figli degli Asvini, i cinque figli di Vaivasvata, somiglianti
a Yama stesso, Gaya, Gavàksa, Gavaya, Sarabha e Gàndha
màdana; v'ha il bianco Gyotirmukha figlio del Sole, e il
maestoso Hemâkûta figlio di Varuna, e il prode Sugrfva ec
celso fra tutti i scimi. V” han colà dieci koti d'eroi, avidi
di battaglia, splendidi e figli di Devi; ma non potrei no
YUDDHIACANDA. l61
verare il rimanente. V'ha quivi il giovane figlio di Dasa
ratha, Ràma che ha sembianza di leone e da cui furono uccisi
Dûsana, Khara e Trisiras; ei non v'ha sulla terra alcuno
che sia di forza eguale a Ràma, il quale spense Viràdha
e Kabandha pari ad un Immortale; Ràma è colui che fe
costrurre la gran gettata; qual altro v'ha sulla terra eguale
a Ràma? Ei v'ha colà il pio Lacsmano, pari al sovrano
degli elefanti, nella via delle cui saette ove s'abbattesse
Väsava (Indra) stesso, sarebbe spacciata la sua vita; ed il
prestante fra i Racsasi, Vibhisana tuo fratello, il quale, ri
cevuta da Ràma la signoria di Lanka, se ne sta ora intento
a servirlo. Io t'ho tutto indicato l'esercito nemico schierato
sul monte Suvela; a te s'appartiene il provvedere a ciò che
rimane a farsi. t

CAPITOLO VII.
MOSTRA D'UNA TESTA FORMIATA PER FORZA DI MAGIA.

Allor ch'ebbe udito dagli esploratori, come fossero colà


accampati Ràma e Lacsmano, rimase Ràvano alquanto turbato
e chiamò a sè i suoi consiglieri; questi, udito il suo co
mando, vennero là prontamente, ed inchinatisi col capo,
stettero dinanzi a lui in atto di reverenza. Quel Ràma Da
sarathide, ei lor disse, è qui vicino col suo esercito; voi
dovete usar gran vigilanza; chè ei verrà domani colle sue
forze ad assalire la città. Rivolti quindi nella sua mente molti
pensieri opportuni e considerato qual fosse la forza, quale la
debolezza del nemico, e licenziati i suoi ministri, se n'entrò
ne' suoi appartamenti. Fatto quindi chiamare il fortissimo
Racsaso Vidyuggiva, artefice di prestigi, e di corpo immane,
se n'andò là dove stava la Mithilese. Quivi il re de' Racsasi
così parlò a quel grande ammaliatore colà venuto: Io vo
glio con arte di prestigi ammaliar Sità G'anakide; tu, fatta
prontamente con magico ingegno una testa simile a quella
di Ráma e figurato il suo grand'arco colle sue saette, te ne
verrai poscia a me, o Racsaso. Ciò udito e risposto che sì
farebbe, il Racsaso Vidyuggiva mostrò poco stante a Ràvano
quell'opera di magia, fatta con mirabile artificio.
VOL., lII. 11
162 RAMAYANA.

Ne fu grandemente soddisfatto il re e diede in dono al


Racsaso uno de' suoi ornamenti; e fattosi quindi innanzi,
entrò nel bel giardino degli asoki. Là nel giardino degli asoki
ei vide la figlia di Ganaca, afflitta e immeritevole di tal sorte,
e tutta immersa nel pensier del suo sposo; ed accostatosi
tutto lieto a Sità, osservata da presso da orribili Racsase,
lo scelerato Ràvano così parlò all'inesperta figlia di Ganaca
che se ne stava là seduta colla faccia china e volta indie-
tro: Quanto più alcuno s'adopera a consolar le donne, tanto
più diventa loro ligio; quanto più ei lor dice care parole,
tanto più n'è disprezzato. Io pur raffreno, o Sttà la gran
d' ira che m' è nata contro di te, sì come un esperto auriga
rattiene i cavalli che si danno a correre per aspre vie. Colui, o
pia, al qual tu sempre intenta qui mi favelli, quand'io cerco
di consolarti, colui da cui fu ucciso Khara, Râma tuo sposo
fu spento nella battaglia; è recisa affatto la tua radice; fu
da me fiaccato il tuo orgoglio; per tale tua sventura, o Sitá,
sarai tu ora mia consorte. Or deponi, o donna, il tuo animo
avverso; che cosa farai tu d'un uom che è morto? Sia or
tu mia consorte, o Sità; sia donna suprema di tutte le mie
spose. Ascolta, o misera, infelice, stolta che ti credi di sa
pere, l'orribil morte del tuo sposo, pari alla morte di Vritra.
Il Raghuide circondato da grande oste, capitanata da Su
griva, venne, egli è vero, a questa riva dell'Oceano con animo
di sterminarmi; e pervenuto colla sua grand'oste alla riva
meridional del mare, ei quivi s'accampò, già declinando al
l'occaso il sole. Ma io nel mezzo della notte appressatomi
a quell'esercito, che affaticato dal cammino se ne stava dor
mendo a suo agio, lo feci in prima esplorar da spie; ed
oggi fra la notte tutta quell'oste, dov'eran Ràma e Lac
smano, fu da me rotta con un grande esercito, condotto da
Prahasta. I Racsasi brandendo a gara ascie, mazze, clave
e bastoni ferrati, nugoli di dardi, picche, rilucenti daghe e
mallei, jacoli e acuti raffi, dischi taglienti e teli a modo di
pestelli, pili, uncini, ferrei cerchi ed aste, tempestavano con
quell'armi i scimi. Ma il fiero Prahasta con man di ferro e
con più colpi di spada immane recise il capo di Ràma ad
dormentato. Lacsmano levatosi, fu ferito nel dorso ed in
frenato, poi se ne fuggì liberamente con tutti i scimi verso
YUIDIDFIACANDA, 163
la plaga orientale. Fu ucciso il fortissimo Vibhisana duce
de' Racsasi; e Sugriva re de' scimi giace a terra colla cer
vice fracassata. Hanumat fu smascellato e messo in fuga
coi denti infranti; Indragànu sollevatosi sulle ginocchia fu
atterrato, e rovinò, ferito da molte ascie, come un albero
reciso; furono abbattuti i due prodi Meinda e Dvivida e
ruggivano cadendo, insanguinati per tutto il corpo; mio fi
glio Indragit, sì come io udi, entrando fieramente nella
battaglia, percosse colla spada e recise il fortissimo Panasa,
ond'ei cadde subitamente steso a terra, come un albero con
quassato. Giace sulla terra Dadhimukha squarciato da più
saette; fu sgretolato da Padmamàli il robusto Kumuda; ed
Angada inaverato da più dardi ed abbattuto dai Racsasi che
l'assalirono, cadde a terra vomitando sangue. Alcuni stra
mazzati dai cavalli e dagli elefanti, altri dalle ruote dei carri
giacciono colà stritolati, sì come è pesto dagli armenti il
campo di lor pastura; altri si sbandarono atterriti, percossi
alle spalle e rincacciati dai Racsasi, sì come elefanti da leoni,
Chi cadde giù nel mare, chi si levò su per lo cielo; gli
orsi salirono su per gli alberi, i scimi si rifuggirono nelle
macchie. Sulle rive del mare, per li monti e nelle caverne
furono messi a morte que' battaglieri con occhi rossi dai
Racsasi d'occhi biechi. E così fu disfatto dalle mie schiere
il tuo sposo col suo esercito; e ne fu tolta la sua testa, tutta
lorda di polvere e cogli occhi sanguinosi.
Allora il re de' Racsasi tutto lieto così parlò, udente Sftà,
ad una di quelle Racsase: Fa qui entrare il feroce Vidyug
giva, che colle proprie sue mani tolse nella battaglia la te
sta del Raghuide. A que' detti la Racsasa corse sollecita e
turbata, ed introdusse il Racsaso incantatore; e Vidyuggiva,
portando la testa e l'arco, s'inchinò col capo a Ràvano e
attento si fermò dinanzi ad esso. Rávano allora così disse
al terribile Vidyuggiva che gli stava là fermo innanzi: Metti
orsù davanti a Sità il capo del Dasarathide; vegga ora quella
meschina la sorte estrema del suo sposo. Uditi que' detti,
l'iniquo Racsaso gittò dinanzi a Sità quel capo d'amabile
aspetto e immantinente si dileguò; e Rävano le pose davanti
il grand'arco rilucente, dicendo:
Ecco l'arco di Ràma, munito della sua corda; quest'è
164 RAMAYANA.
pur desso, quell'arco rinomato nei tre mondi, e recato qui
da Prahasta, dopo ch'egli ebbe ucciso nella notte quell'uom
ch'era tuo sposo.
Veggendo allor tutta piangente e costernata per la sven
tura del suo consorte quella donna che mai non gli ruppe
fede, Ràvano così le disse: Che hai tu più a considerare?
sia or tu mia sposa, o donna egregia.

C AP IT O L O V III.

LAMIENTO DI SITA.

Ma Sità guardando quell'arco poderoso e quel capo degno


d'amore, con bella cervice, con bel naso, belle ciglia e viso
aperto, gli occhi, il color del volto e la faccia al tutto simile
alla faccia del suo sposo, i capegli e il sito ov'ei furono un dì
recisi conforme al rito, e lo splendido diadema: per tutti
questi segni ebbe per certo quell'infelice ch'ei fosse Ráma;
e gemendo come un'agnella, si diede a vituperar Caiceyi:
Sia or tu lieta, o Caiceyi! chè è spento colui che era la
gloria di sua stirpe; fu da te, sì come da donna violenta ,
distrutta tutta intiera la schiatta degli Icsvacuidi. Ma qual
cosa avversa fece egli mai a Caiceyi quel nobil Ràma, che
fu da colei mandato in esilio fra le selve fuor della casa
paterna, in abito di misero asceta! Ciò detto, la pia Vide
hese tutta tremante e addolorata cadde a terra, sì come un
albero di kadali reciso nella selva. Ma riavutasi poco dopo
e ricuperato il sentimento, si diede, baciando quel capo, a
lamentar con occhi intorbidati: Oh io son perduta, o prode !
io fedele e tutta devota all'amor di te, mio sposo. Egli è
questo il fine estremo di tua vita; io son vedovata e morta.
Il rifugio del consorte è detto il primo ed il più puro per
la donna; oh me sciagurata, che or qui ti veggo venuto
al termine della tua vita! Deh perchè fosti tu abbattuto
dall'angelo della morte, mentr'io ancor non son trapassata,
anzi immersa in un mar d'angoscia, caduta d'uno in altro
affanno! Tu che t'apprestavi a liberarmi, tu pur fosti atter
rato; combattendo coi fieri Racsasi, tu fosti ucciso per ca
gion mia; e mia suocera, l'affettuosa Causalyà, è ora privata
YUDDHIACANIDA, 165
di te, suo dolce figlio, a guisa d'una vacca orbata del suo
nato. Fu mendace la parola di coloro che ti predissero lunga
vita, o uom di forza incogitabile; furon brevi i tuoi giorni,
o Ràma. Come mai tu conoscitor d'ogni alta dottrina,fosti
tu colto da morte impreveduta, tu sì accorto e provido
nel fuggire i casi avversi! Ma vien meno la saviezza del
l'uomo anche il più savio, allorchè volge contrario il destino
e ne sovrasta l'ultim'ora; chè l'immutabile e possente Dio
della morte sta maturando a punto ogni creatura. Oh perchè
mai, lasciata me, fosti tu reciso e tratto via, o uom dagli
occhi di loto, dalla cruda e fiera Kàlarâtri! Tu giaci, o prode
signor del mondo, sulla nuda terra, sì come in grembo ad
una donna amata e cara, abbandonando me infelice. Ma è
degno d'ogni delizia ed oltremodo bello, o Ràma, quel tuo
corpo che era un dì da me assiduamente culto con ghir
lande odorose. Egli è pur questo quel tuo arco sovrano,
disteso or qui sulla terra! Ma tu ti sei certamente, o incol
pabile, ricongiunto in cielo con Dasaratha tuo padre e suo
cero mio, e insieme coi Padri antichi; tu contempli in cielo
la pia tua stirpe di re santi che adempirono quaggiù grandi
sacrifizi e son ora trasmutati in costellazioni (naksatri). Deh!
perchè non mi guardi, perchè non mi parli, o Ràma? Io
son pur la tua consorte che tu giovine disposasti giovine
e che t'ho sempre seguitato. Ricordati, o Cacutsthide, di
ciò che un dì tu m'hai promesso, allorchè pigliando la mia
mano, tu dicesti: « Io t'avrò sempre cara »; conduci or
dunque con te me afflitta. Perchè lasciata qui me sola, te
ne sei tu ito, o uom di gran senno, da questo mondo alle
sedi oltramondane, abbandonando me sventurata! Oh egli
è or per certo trascinato qua e là dai Racsasi quel tuo
corpo ch'io soleva un dì abbracciare, tutto cosparso di san
dalo e d'agalloco! e dopo aver quaggiù sacrificato con Agni
stomi e più altri sacrifici accompagnati da larghi doni, tu
non avrai, tuttochè degno, le ceremonie estreme, nè sarai
arso dal fuoco. La dolente e misera Causalyà interrogherà
Lacsmano ritornato solo dei tre che s'avviarono raminghi
insieme per gli amari sentieri dell'esilio; ed egli narrerà
a colei che l'interroga, com'io fui rapita da un Racsaso e
come tu peristi, o prode, in notturno combattimento per man
166 RAMAYANA,

dei Racsasi; ed ella udendo morto suo figlio, mentr'ei giaceva


addormentato, e me rapita da un Racsaso, crudelmente lace
rata nel suo cuore, lascierà per certo lavita. Or via, o Ràvano,
uccidi tosto me pure sopra il corpo di Ràma; ricongiungi
lo sposo colla sposa; fa opera altamente lodata; colloca il
mio capo sul suo capo; componi sul suo corpo il mio corpo;
io seguiterò per la sua via Ràma, mio magnanimo consorte.
Io non voglio vivere nè pure un istante , orbata del mio
marito; ricongiungi me col mio sposo; fa opera altamente
lodata. Io udi già un dì nella casa paterna da Brahmani
conoscitori dei Vedi, che alle donne, ch'ebbero cari i lor
mariti, son destinate le sedi beatissime. Qual sarebbe ora
la condizion della mia vita, privata di colui in cui risplen
devano la pazienza, il dominio di sè stesso e il generoso
rinunziamento, la veracità, la giustizia, la riconoscenza e la
mansuetudine verso tutte le creature l
Così riguardando la testa e l'arco del suo sposo, lamen
tava tutta dolente la figlia di Ganaca, cogli occhi intorbi
dati dalle lacrime.
Ma mentre Sità si doleva, venne colà in atto reverente a
Rávano signor dei Racsasi il duce supremo dell'esercito;
ed in quella il custode della porta, colla mente affannata
per quel che ha udito, entrò ad annunziare a Ràvano una
gravissima e terribile occorrenza; ed inchinatosi a lui e salu
tatolo col dirgli: « Sia tu sempre vittorioso, o figlio di no
bile stirpe! » egli spose quindi pien di stupore la bisogna
al re de' Racsasi: È qui arrivato Prahasta con tutti i tuoi
ministri, e desidera narrarti alcun grave caso sopravvenuto.
Ciò udendo, uscì subitamente quel fortissimo, e vide stante
poco lungi Prahasta coi ministri. Udito il caso ed ito fuori
tutto turbato, ei dispose quel che occorreva a suo uopo ;
e raccoltosi quindi coi Racsasi suoi consiglieri ed entrato
con mente deliberata nell'assemblea, ordinò ogni cosa oppor
tuna, poich'ebbe inteso lo sforzo di Râma.
Ma uscito Ràvano, subito disparve quella finta testa e
quel grand'arco.
Frattanto l'eccelso re dei Racsasi, partitosi di là e cir
condato dai suoi consiglieri, deliberò con essi consigli su
premi; e udendo esser colà vicini i duci dell'esercito intenti

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YUDDHACANDA. 167
al suo servigio, così lor disse: Radunate prontamente a suon
di taballi e con aperto ed alto strepito le mie schiere; non
è questo il tempo di stare a bada. .

CAPITOLO IX.

DISCORSO DI SARAMA.

Ma scorgendo Sità così illusa, una Racsasa, per nome


Sarama, s'accostò tutta affettuosa alla Videhese sua diletta
amica. Perocchè quella Racsasa posta colà da Ràvano era
amica di Sità, compassionevole, favellante con dolci parole
e costante nell'osservanza de' suoi voti. Ella vide quivi Sità
tutta compresa di dolore, accosciata e polverosa, a guisa
d'una puledra lorda di polvere; e veggendola ridotta a tale
stato, Sarama con voce commossa da affetto così le parlò,
confortando quella dolce sua amica: Non ismarrirti d'animo,
o G'anakide dai grand'occhi! Nascosta per amico affetto
dentro il secreto bosco e non avendo a temer di Ràvano,
io ho tutto inteso, o timidetta, ciò che colui ti disse e quello
che tu gli rispondesti. Ma or veggendoti, o donna dai gran
d'occhi, così immersa in un mar d'angoscia, io più non
curo della vita , nè delle ricchezze, nè dei congiunti; per
amor di te, o grandiocchiuta, io rinunzierei pur anche alla
vita. Or, poichè se n'è uscito di qui tutto affannato il re
de' Racsasi, io ti narrerò, o Mithilese, tutto quello che io
conosco. Non è possibile che l'accorto Ràma sia stato ferito
mentr'ei dormiva; nè si può così dar morte a quell'uom
sovrano. Que' prodi scimi combattenti con tronchi d'alberi e
protetti da Ràma, sì come da Indra i Devi, non s'uccidono sì
facilmente. Il tuo sposo ha lunghe e tonde braccia, largo petto,
femori saldi e forti; egli è illustre, glorioso e grande arciero,
rinomato per la terra; è valoroso e difensor costante degli
altri e di sè stesso; il Raghuide, o donna, è, senza alcun
dubbio, sano e salvo con Lacsmano suo fratello. Non fu
per certo ucciso, o Sità, l'inclito e prode Ràma, distruggitor
delle schiere nemiche, dotato di forza e di virtù inescogi
tabile. Tu fosti illusa da quel crudo ammaliatore, iniquo e
insano, avverso ad ogni creatura. Discaccia da te ogni af
168 RAMAYANA.

fanno, o Sità; tu avrai lieta ventura; chè t'è apertamente


favorevole Lacsmi; odi or cosa che ti sarà gioconda e cara.
Ràma ha valicato il mare con tutto l'esercito de'scimi, e
pervenuto alla riva meridionale dell'Oceano, ei s'è quivi ac
campato. Lieto d'aver effettuato il suo intento, il Cacut
sthide con Lacsmano s'è posto sulle rive del mare e fu os
sarvato dai Racsasi. Furon mandati nel mezzo del suo eser
cito Racsasi di rapida lena, ed ei recarono qui la novella
che domani sarà assalita la nostra città. Udito quell'annunzio,
o donna dai larghi lombi, il re de' Racsasi se ne sta ora
a consiglio con tutti i Racsasi suoi consiglieri.
Mentre Sarama così ragionava con Sità, udì un terribile
fracasso di schiere che s'apprestavano alla battaglia, e di
scernendo il suono de' taballi percossi a furia di bastoni,
Sarama così disse a Sità con care parole: Odi! risuona al
tamente e con istrepito di nube il terribile taballo che in
vita i Racsasi ad armarsi e fiede l'animo dei timidi; s'ap
prestano i fervidi elefanti, s'attaccano ai carri i cavalli, e
corrono qua e là armati i rapidi pedoni; s'empie di schiere
per ogni parte tutta la via regale, come s'empie il mare
di vasti flutti concitati e impetuosi. Mira diffuso intorno e
sfavillante in più colori lo splendor dell'armi rilucenti, degli
scudi e dell'armadure, pari allo splendor del fuoco che arde
le selve nella stagione estiva. Odi il fragor de' tintinnabuli;
odi lo strepito de' carri; odi il nitrire de' cavalli e il suon
de' bellici stromenti. Egli è questo il confuso e orribile tu
multo de' Racsasi che colle lor armi e coi loro teli in pronto
seguitano il sovrano loro duce. Così ti protegga Lacsmi,
lenitrice d'ogni pena, o donna dagli occhi simili a foglie
di loto, com'egli è questo lo sgominio de' Racsasi dinanzi
a Râma, pari a quello dei Daityi dinanzi ad Indra fulmi
nante. Acceso in ira e di forza incogitabile, come avrà spento
in battaglia Ràvano, verrà qui il tuo sposo a riconquistarti.
Il tuo consorte in un con Lacsmano moverà con forza ir
resistibile contro i Racsasi, come Indra insieme con Visnu
mosse un dì con valor sovrano contro i suoi nemici. Presto
io ti vedrò contenta e lieta, e stretta al fianco del tuo Ràma
qui venuto, dopo aver conquiso ogni suo nemico. Ricon
giunta con lui ed abbracciata sopra il seno di quel magna
YUDIDHIACANDA, 169
nimo, tu verserai, o leggiadra, lacrime di gioia. Sarai fra
breve liberata, o Sità, e stretta alla grand'anca del tuo sposo;
Ràma, terrore de' nemici, ti scioglierà, o venusta, la lunga
treccia di capelli che tu portasti a modo di vedova parecchi
mesi; e tu contemplando, o donna, il volto di colui, somi
gliante a piena luna che sorge, rimoverai da te l'amaritudine
mata dal tuo dolore, sì come una serpe getta la sua vecchia
scoglia. Riunita fra poco col Raghuide, tu diverrai così ap
punto come alla stagion delle pioggie la terra coperta di biade.
Ucciso tosto in battaglia Ràvano, il tuo sposo, o Mithilese,
degno di lieta sorte avrà con te sua diletta intiera felicità;
e tu, o leggiadra, così risplenderai riunita a Râma, come
per nuova pioggia rinverde la terra riarsa da lunga siccità.
Volgiti, o Sità, come a tuo rifugio, a colui che somiglia
al sole confortatore delle genti, il quale pervenuto, a guisa
di nobile cavallo, presso al bel monte d'oriente, scopre ad
un tratto il suo disco luminoso.

CAPITOLO X.

SITA RICONFORTATA.

Con tali parole Sarama rallegrò la dolente Sità illusa, sì


come il cielo rallegra con pioggia la terra. Allora l'amica
Racsasa desiderando far cosa cara alla sua amica, le disse
opportunamente, siccome colei che conosceva l'opportunità,
e sorridendo nell'atto di favellare, queste parole: Potrei
ben io, o donna dai neri occhi, andando a Ràma, narrargli
tutt' intieri questi detti e ritornarmene occulta; chè il vento
stesso, benchè rapidissimo, non sarebbe atto a seguir la via
camminata da me per l'aria che non ha sostegno.
A Sarama che così parlava, rispose Sità con voce soave,
ma infievolita dal recente suo dolore, queste parole piene
di dolcezza: Tu sei atta, il so, ad andar su per lo cielo ed
a penetrare eziandio nelle regioni inferne; sappi or dunque
ciò che dei fare per mio riguardo. Tu mi sei devota e af
fezionata, sì come una sorella nata d'uno stesso sangue, e
pronta ad ogni mio bene; di ciò non ho io dubbio alcuno.
Se tu vuoi farmi cosa cara, se tu mi porti amore, or ti
10 RAMAVANA,

piaccia andare e riconoscere quello che faccia Ràvano: pe


rocchè quel crudo e reo Ràvano, terror del mondo e pos
sente in arti di malìa, così mi dementa, come farebbe un
liquore inebbriante, appena bevuto. Ei mi crucia di continuo
e sovente mi minaccia, e mi fa qui guardare assiduamente
da orribili Racsase; io son tutta sbigottita e sospettosa, e
non ha pace l'animo mio; e sopraffatta dalla paura di colui,
io qui men venni nel giardino degli asoki; qualunque s'è
mai che io vegga, desso mi par pur Ràvano. Or io desidero
ottener questa grazia da te, veritiera d'ogni tua promessa,
ch'io sappia ciò che fa Ràvano, quel che egli dice di Ràma
e ciò che è stato da lui deliberato ; sarà a me sommo fa
vore, se tu mi riferirai ogni cosa.
Uditi que' detti, Sarama oppressa dalle lacrime così ris
pose a Sità con blande e gravi parole: Se tale è il tuo
desiderio, ed io andrò, o figlia di Ganaca; e compreso l'in
tento del tuo nemico, ritornerò qui prontamente. Ciò detto
e recatasi presso a Ràvano, ella udì tutto ciò ch'ei delibe
rava co' suoi consiglieri; e conosciuto il disegno dell'iniquo
Ràvano, tosto ella ritornò al bel giardino degli asoki. En
trata colà, ella vide la figlia di G'anaca intenta ad aspettalra
e somigliante a Lacsmi col fior di loto illanguidito.
Sità abbracciò affettuosamente la graziosa Sarama ritor
mata, e le porse di sua mano un sedio, e così disse quindi
a quella donna dal favellar grazioso: Seduta qui a tuo agio,
narrami ogni cosa veracemente, e qual sia il disegno del
crudo Ràvano e de' suoi consiglieri: chè in questa misera
mia condizione nessun'altra, fuori di te, o generosa, onesta
e pia, mi sarebbe affezionata. Imperocchè quaggiù ogni uomo
ama per alcun suo proprio fine; ma tu m'ami senza alcun
fine, o donna egregia. Tu nata di pura e nobile stirpe e
immacolata in ogni tuo atto, tu te ne stai qui invero nella
sede di questi Racsasi, come in sulla terra la Ninfa Gange
purificatrice delle genti. Qual altra fuori di te, sarebbe ita
così prontamente ad esplorare, e avuta notizia d'ogni cosa,
sarebbe qui ritornata senza alcun timore? Onde ti piaccia
narrarmi quel che hai inteso.
Così interrogata da Sità, narrò Sarama a pieno il disegno
di Ràvano e de' suoi consiglieri: Odi, le disse, o Mithilese,
YUDDHIACANDA, 171
qual sia il proposto di Rávano. Il re de' Racsasi fu oggi
pregato da sua madre di liberarti, e lungamente a ciò esor
tato, o Videhese, dal più vecchio fra i suoi consiglieri: Si
renda oggi, ei gli dissero, la Mithilese a Ràma re de' Cosali,
facendogli onorevole accoglienza; basti il terribile esempio
che tu già avesti sul G'anasthàna. Qual altro uom sulla terra,
eccetto Rdma, potrebbe uccidere in battaglia tanti Racsasi,
e valicare il mare e contemplar l'Oceano nel suo proprio
sembiante? Così gli parlarono con molte parole sua madre
ed il più vecchio de' suoi consiglieri; ma ei non può in
dursi a renderti, sì come l'avaro non può rendere la ric
chezza ch'egli ha tolta; ei non potrebbe rilasciarti senza
battaglia, o Sità; tale è il fermo disegno formato dal re de'
Racsasi e da' suoi ministri; tale è il saldo proposto che gli
sta nell'animo per la sua morte; nessun può liberarti, e
neppur Ràma, senza battaglia. Ma non darti di ciò pensiero,
o Videhese; saprà ben Ràma colle sue saette, e messo Rà
vano a morte, riconquistar te sua sposa amata; il tuo con
sorte ti ricondurrà alla sua città, o donna dai neri occhi.
Si levò in quel mezzo nell'esercito di Ràma un suon con
fuso di conche e di taballi, da cui furono scosse le montagne.
Udendo quel fracasso dell'esercito de' scimi, le genti del re
de' Racsasi raccolte in Lanka, forte sbigottite e sopraffatte
nell'animo dal terrore, più non veggono alcun scampo alla
lor salute per colpa del loro re; e tutta intiera la gran città,
mal potendo sopportare quello strepito de' scimi, rimase
costernata da quell'orribile frastuono sollevatosi e portato
dall'impeto del vento.

CAPITOLO XI.

DISCORSO DI MALYAVAT.

Da quel terribile frastuono dell'esercito de' scimi che fa


ceva tremar la terra, fu subitamente riscosso Ràvano; e gli
entrò nell'animo uno insolito sgomento. Postosi a riflettere,
alquanto sbigottito, e stato un momento sopra pensiero, ei
guardò quindi i suoi consiglieri; e poichè gli ebbe riguar
dati,volgendo loro il discorso, quasi volesse ardere il mondo
172 RAMAYANA,

intiero, così parlò il possente Ràvano: Or io ho udito ciò


che voi mi diceste di Räma, la sua possanza, la forza del
suo esercito e com'egli ha valicato il mare. Passi pur l'O
ceano per l'ampia sua gettata quel Ràma iroso col suo eser
cito di scimi; ch'ei troverà qui la morte colle sue schiere
e co' suoi ministri. Già uscirono i Rácsasi colle lor armi
affilate a sconfiggere l'oste de'scimi e Ràma e Lacsmano
amendue. Or che è imminente la battaglia, ei non s'addice
l'esaltare il mio nemico; io pur ben conosco tutto il vostro
valore nella guerra.
Udendo que' detti di Rávano, i Racsasi si guardaron taciti
l'un l'altro; ch'ei ben sapevano qual fosse la forza di Ràma.
Ma intese le parole di Ràvano, un Racsaso di gran senno,
per nome Màlyavat, suo vecchio avo materno, così prese a
dire: Il re che è ammaestrato nelle buone dottrine e segue
la retta norma del regnare, mantiene per lungo tempo il
suo dominio, e riduce ad obbedienza i suoi nemici; con
ciliandosi a tempo opportuno o combattendo i suoi avver
sari e rafforzando la sua parte, egli ottiene un grande im
pero. Ma ei si dee innanzi tutto cercar pace sia con chi è
inferior di forze, sia con colui che ha forza pari; nè un
re benché possente, dee sprezzare il suo nemico; onde a
me talenta, o Råvano, che si faccia pace con Ràma, e gli
si renda Sità, per cui noi siam venuti a guerra. Non met
terti a contesa con colui, alla cui vittoria anelano i Risci,
i Devi ed i Gandharvi; ti piaccia far pace con esso. Il ve
nerando Brahma produsse due parti avverse, la parte de'
Suri e quella degli Asuri, e con esse la giustizia e l'ingiu
stizia; or tu ascolta. La giustizia distrugge la parte degli
Asuri iniqui, e così la parte dei Racsasi; tale è l'intento
dei Suri. La giustizia disperde l'ingiustizia; quindi ebbe
origine l'età mondana che s'appella Krita; l'ingiustizia op
prime la giustizia; quindi è succeduta l'età che s'appella
Treta. E tu percorrendo il mondo, hai perseguitata l'eccelsa
giustizia e dato di mano all'ingiustizia; onde noi siamo in
volti nella tenebra. Ma la giustizia rinvigorita per vigile
cura, s'è rifuggita a Râma; e l'ingiustizia cresciuta per tuo
errore, or divora la tua città. Ogni opera fatta da te ol
traggiator dei Devi, tutto dedito a cose sensuali, vie più
YUDDHACANDA. 173
afforza la parte dei Suri. Tu hai fieramente atterriti i Risci
fulgidi come fuoco; ed ora quegli invincibili Brahmani, so
miglianti a fiamma accesa, intenti a pie austerità e saldi
nel culto della giustizia, sacrificano senza ostacolo con di
versi sacrifici, ed onorano conforme ai riti con sacre offerte
il fuoco, e recitano i Vedi ad alta voce; e il risonante suon
del Veda, soverchiando i Racsasi, penetra per le dieci plage,
sì come il suon del tuono alla stagion delle pioggie. Il fumo
surto dal sacro fuoco dei Risci che il mantengono perenne,
si diffonde per la terra e spegne il vigor dei Racsasi; e
forte li affligge l'ascetismo ardente accumulato da color che
spongono i Vedi ed hanno stanza in diverse regioni. Scor
gendo i molti e vari ed orribili portenti appariti, io pre
veggo la rovina di tutti i Racsasi. Nuvole tetre, spaventose,
fieramente rimbombanti piovono sopra Lanka in ogni parte
caldo sangue; tremano, si turbano e sghignano le imagini;
mugghiano, a guisa di tori, le fonti e i laghi; i carri che
si dilettan della battaglia, or più non si muovono innanzi,
benchè allestiti, e cadono gocce di lacrime dagli occhi dei
cavalli spinti avanti; i vessilli caduti o rotti più non ri
splendono come prima. Io credo spenta, o re de' Racsasi,
la fortuna del tuo esercito; chè qui si scorgono in grande
copia, indizio di tua sconfitta, feccie di Racsasi e di cavalli,
tuttochè sia scarso il loro cibo. Io penso che quel Ràma è
Visnu in corpo umano e velato di finto sembiante; peroc
chè ei non può essere sol tanto un uomo quel Raghuide
poderoso, da cui fu costrutta su quest' Oceano quella get
tata oltramirabile. Fa pace, o Ràvano, con quel Ràma re
degli uomini; per cagion di Sità, o saggio, ci soprasta un
gran pericolo; colei in cui tu hai posto l'animo tuo ed a cui
sei tutto intento, o re de' Racsasi, per cagione di colei ci
sovrasta un gran pericolo. Io qui bene scorgo i terribili
presagi. Le cornici, i sciacali e gli avvoltoi ululano con voci
orribili, ed entrando subitamente in Lanka, ei s'assembrano
fra loro. Una donna tutta nera con denti bianchi ne sta
dinanzi e ride; e di continuo con alte voci si canta su pei
trivi da gente stupida. Durante il sonno, una donna sca
pigliata sen va correndo attorno per gli abituri; ed i vam
piri divoran per le case gli alimenti offerti alle creature.
174 RAMAYANA,

Nascon asini da vacche e sorci da icneumoni; s'accoppiano


gatti con tigri, porci con cani, Kinnari con Racsasi e con
uomini; bianchi pappagalli ed altri augelli incitati dal dio
della morte annunziano portenti che presagiscon rovina ai
Racsasi. Stridono con garrule voci le gracchie che stan negli
abituri, e cadono a terra gli augelli, come atterriti da fiere
contese. Il dio della morte in forma d'uomo, con denti
sportati e orribile, calvo e nerofulvo gira di tempo in tempo
l'occhio intorno per tutte le case. Il sole cocente ed acre
riarde co' suoi raggi la terra, e t'è avverso il vento, segno
di tua sconfitta. I carnivori augelli giubilanti preveggono
qui di certo una ferocissima battaglia; ei si pasceranno di
carni d'elefanti e di cavalli. Dopo aver detto tali parole al
re de' Racscasi, il saggio Màlyavat si fermò dinanzi a lui:
e quel forte, fra i valorosi valorosissimo, rimase quivi tacito,
guardando Ràvano.

CAPITOLO XII.

LA cITTÀ DISPOSTA A DIFESA.

L'insano Ràvano caduto in mano della morte, mal sop


portò quelle parole di Màlyavat intente al suo bene; ed ag
grottando le ciglia sulla fronte, indizio di grand'ira, e stra
buzzando gli occhi per isdegno, così rispose a Màlyavat:
Le dure parole che tu, il qual mi sei rispettabil avo, vai
dicendo a buona intenzione, ma con istolta ignoranza, ce
lebrando la parte del mio nemico, non penetrano punto
a' miei orecchi. Perchè credi tu sì possente quel Râma,
misero uomo e solo, il quale abbandonato dal padre e ri
fuggitosi nelle selve, ebbe ricorso a scimi? E perchè giu
dichi sì dappoco me, signor dei Racsasi , terribile a tutti
i Devi, che pur ho possanza e forza? Io penso che tu, o prode,
mi dicesti cose così acerbe o per odio, o per istudio di parte
nemica o per istigazione de' miei avversari. Qual uom saggio
e conoscitor delle vere dottrine direbbe mai senza instiga
zione del nemico parole sì dure ad un possente che gli
sta dinanzi in piedi? Dopo aver per forza rapita Sità, pari
Lacsmi disfiorata del fior di loto, perchè dovrò io or
YUDDHACANDA, 175
renderla, come se io temessi Ràma? Tu ben vedrai infra
pochi giorni ucciso da me quel Ràma con Lacsmano e con
Sugriva e con tutti i koti de' suoi scimi. Quel Ràvano, cui
non han cuor d'affrontare in guerra i Devi, i Dànavi ed
i Gandharvi, come sarebb'egli intimorito, or che ha per
nemico un uomo? Io sarei piuttosto rotto in due che in
chinarmi a qualunque ei sia; vizio o virtù, tale è pur la
mia ingenita natura, l'esser, cioè, indomabile. Se Ràma è
qui arrivato con que' suoi vigliacchi scimi, qual meraviglia
mai v'ha in questo, per cui t'è nata sì gran paura? Se
Ràma è qui giunto col suo esercito di scimi , ben ti pro
metto sulla mia fede, ch'ei non se ne ritornerà vivo.
Veggendo Ràvano parlar sì irato, Màlyavat si tacque ver
gognando e più non fece altra risposta; ma celebrato, qual
si conveniva, il re con voti di vittoria e congedato da lui
se n'andò alle sue stanze.
Ràvano allora, avuto consiglio e deliberazione co' suoi
ministri, ordinò la suprema difesa di Lanka. Ei pose a guar
dia della porta orientale il Racsaso Prahasta, a custodia del
lato meridionale Mahodara e Mahâpàrsva; commise a suo
figlio Indragit, gran mastro di prestigi e intorniato da molti
Racsasi la guardia della porta occidentale; e furon da lui
posti a difesa della parte settentrionale Suka e Sàrana: io
stesso, ei disse a' suoi consiglieri, sarò quivi presente. Quindi
ei collocò nella trincea di mezzo il valoroso e forte Virù
pàksa insieme con molti Racsasi. Così disposta la difesa di
Lanka, il re de' Racsasi acceccato dalla forza del destino,
si credè aver ben provveduto ad ogni cosa. Ei licenziò
quindi i suoi consiglieri, dopo ch'ebbe ordinato per la città
ogni valido mezzo di difesa; ed onorato con fausti voti di vit
toria da' suoi ministri, se n'entrò quel possente nel gineceo.

CAPITOLO XIII,

SPIE“SPEDITE E RITORNATE.

Il re degli uomini e il signor de'Vànari, il Màrutide Ha


numat, G'ambavat re degli orsi ed il Racsaso Vibhisana,
Angada, Lacsmano, Meinda e il duce Dvivida, Kumuda, Sa
176 RAMAYANA,

rabha, Risaba e Gandhamàdana, l'avveduto Dadhimukha,


Susena e Tàra, Gaya, Gavàksa e Gavaya, Nala e Nila, per
venuti alla terra del nemico, se ne stavano raccolti a con
siglio: Ecco, ei dicevano, là si scorge quella città di Lanka,
protetta da Ràvano, ardua ad espugnarsi non che dagli
uomini, ma dai Devi, dagli Asuri e dai Gandharvi, là dove
ha sua perenne e stabil sede quel Ràvano, oppressore delle
genti. Or riguardando al buon successo della nostra impresa,
si consigli qui qualche spediente efficace. -

Mentre costoro così parlavano, il saggio e pio Vibhisana,


fratello minor di Ràvano, sempre accorto ne' suoi avvisi,
disse parole utili a Ràma e avverse a Råvano, parole sa
lutari ed altamente ragionevoli: « Anala, Sampâti, Hara e
Praghasa, eroi di forza immensurabile, andati in un batter
d'occhio alla città di Lanka per forza di malìa, son testè
ritornati qui presso a me; fattisi augelli, egli entrarono nella
città nemica, e veduti i mezzi di difesa colà stabiliti, ei se
ne vennero e raccontarono gli apparecchi fatti da'reo Rà
vano; or m'odi, o Ràma; io ti dirò schiettamente il vero.
Il fortissimo Prahasta occupa e copre la porta orientale, i
valorosi Mahàpârsva e Mahodara la meridionale; Indragit
figlio di Ràvano, armato d'ascia, di spada e d'arco, e cir
condato da molti Racsasi se ne sta presso alla porta occi
dentale; e Ràvano in persona con molte migliaia di guer
rieri armati di tutto punto, s'è posto alla porta settentrio
nale della città; Virtàpàksa con grande stuolo di Racsasi,
forniti di faretre, di saette e d'archi, occupa la trincea di
mezzo. Osservato in Lanka e conosciuto questo sì fatto ap
parecchio di difesa, i quattro miei fidi consiglieri se ne son
qui ritornati. Ei v'ha colà un migliaio d'elefanti eletti, un
ayuta inoltre di cavalli, un prayuta di carri ed intiera una
Ikoti di Racsasi, guerrieri valenti e forti che mai non in
dietreggiano nelle battaglie e cui sempre ha cari il re di
Lanka; ad ognun di questi Bacsasi, o re degli uomini, stanno
intorno ministri nella battaglia mille migliaia di seguaci ».
Riferite quivi quelle notizie di Lanka, Vibhisana così riprese
a dire a Ràma lotofyllope: Allor che l'iniquo Ràvano mosse
a combattere Kuvera, uscirono con lui sessanta centinaia
di mila Racsasi, tutti eguali a lui di forza e di prodezza,
YUDDHIACANDA. p7
di valore e d'altezza d'animo. Ma tu non dei però darti af
fanno, o Ràma; io t'eccito a sdegno, non a timore; e tu
sei atto colla tua possanza a sconfiggere eziandio i Devi;
onde tu, dopo aver con grande esercito di prodi scimi sba
ragliata l'oste de' Racsasi, porrai Ràvano a morte.
Uditi que' detti di Vibhisana, Ràma così rispose intento
a rompere i nemici: Corra ad affrontare il Racsaso Prahasta
lo scimio Nila, circondato da molte migliaia di fieri scimi;
Angada figlio di Bàli vada con grande stuolo incontro a
Mahodara e a Mahàpàrsva presso alla porta meridionale;
il magnanimo figlio del Vento, circondato da molti scimi,
stringendo la porta occidentale della città, cerchi di pene
trarvi; io tutto intento alla morte del vile Ràvano re dei
Racsasi che inforzato dalle grazie ottenute si diletta di far
offese ai magnanimi Risci ed alle schiere dei Dànavi e dei
Daityi, e va attorno atterrendo con forza tutte le genti, io
col Saumitride stringendo la porta settentrionale della città,
farò d'entrare coll'esercito colà dove sta Ràvano. Sugriva
re de' scimi e Gambavat re degli orsi e Vibhisana con essi,
sipongano incontro alla trincea di mezzo. Si guardino i scimi
dal pigliar, combattendo, forma umana, affinchè non sia im
pedito il distinguerli nella battaglia fra il proprio esercito
scimiesco: « Questi è uno scimio: » tale sarà il contrassegno
fra le nostre genti. Noi sette tutti ad una combatteremo in
mezzo ai Racsasi, io col fratello Lacsmano di vigore im
mensurabile e Vibhisana nostro commilitone insieme cogli
altri quattro. Poich'ebbe così detto a Vibhisana a fin di con
durre a buon esito l' impresa, il saggio Ràma si dispose a
salire sul monte Suvela.

CAPITOLO XIV.

SALITA SUL MONTE SUVELA.

Deliberato di salire sul monte Suvela, Räma seguitato


da Lacsmano così parlò a Sugriva e al giusto Vibhisana,
Racsaso a lui devoto, sagace ne' suoi consigli e riconoscente:
Saliamo ora noi tutti su quel sovrano monte Suvela, gra
vido di cento metalli e passiamo quivi la notte; se mai per
alcun modo noi potessimo scorgere di là in parte ciò che
VOL., III. 12
178 RAMAYANA,

fece d'arduo e d'inaccessibile quel Racsaso, e vedere Ràvano


stesso. Noi osserveremo Lanka sede di quel reo, da cui per
sua rovina mi fu rapita la nobil Sità, da cui non s'ebbe
alcun riguardo alla giustizia, nè a' miei fatti, nè alla mia
stirpe, da cui con bieca mente di Racsaso fu commesso un
gran misfatto degno di vitupero; ond'è che mi si raccende
l'ira, pur rammentandomi quel Racsaso iniquo e vile, per
la cui offesa io con saette pari a fulmini ed a fiamme di
struggerò tutti i Racsasi, sì come Indra gli Asuri. Stretto
fra i legami della morte, colui commette tutto solo opere
nefande; ma per le nequizie di quel vile vedrai disfatta tutta
intiera la sua stirpe.
Così ragionando pien d'ira contro Ràvano, s'avviava Rà
ma al monte Suvela dai mirabili rispianati per passar quivi
la notte. Lacsmano tutto attento e terribile per la sua forza
camminava dietro a lui, vibrando il suo grand'arco e le
saette; salivan dopo lui Sugriva co' suoi ministri e con Vi
bhisana, Hanumat, Angada e Meinda, Nila e Dvivida, Gaya
Gavàksa, Gavaya, Sarabha e Gandhamàdana, Panasa, Ku
muda, Dhûmra e il duce Nala, G'ambavat, Susena e il fortis
simo Kesari, il valoroso Durmukha e Satabali. Questi e più
altri Vànari di rapida lena salivano su con foga impetuosa,
stritolando enormi roccie. Salito con que' scimi sul monte
Suvela, Ràma s'assise sulla vetta di quel monte sur uno
spianato di rocche; e tutta la schiera degli altri scimi oc
cupando lo spazio di tre yogani, salì dopo lui sopra il Su
vela a grandi salti e colla faccia rivolta ad austro. Quei
scimi impetuosi come il vento ed usi a correre su per monti
salivano a centinaia sopra il Suvela, dov'era Ràma; e per
venuti in breve tempo alla sommità del monte, ei videro
dall'alto della sua cima la città di Lanka, come campata in
aria. Que' valorosi contemplarono quella nobile città dalle
grandi porte, cinta di valli e piena di Racsasi, inghirlandata
d'insegne e di vessilli, guernita di macchine e d'ordigni
tutti in punto, sparsa di bandiere levate in alto, somigliante
a un gruppo di bianche nuvole e pari alla vetta del Kailasa,
stipata di prodi Racsasi, terribili e di varie sembianze; e
scorsero colà come un secondo vallo formato da Racsasi
neri come la tenebra, attendati fra le bastite.
YUIDDHIACANIDA, 179
Veduti que' Racsasi anelanti alla battaglia, tutti que' scimi
misero altissime grida, a guisa di pavoni, allor che veggono
surger le nuvole. Cadde quindi all'occaso il sole, arrossato
dal crepuscolo, e sorse la notte rischiarata dalla piena luna.
Riflesso dall'acque in sull'Oceano, il cielo colla luna, coi
pianeti e co' suoi segni costellati appariva, come una seconda
atmosfera con luna, pianeti e stelle.

CAPITOLO XV.

VEDUTA DI LANKA.

Dimorati una notte colà sul monte Suvela, que' prestanti


e forti scimi mirarono per entro Lanka giardini e boschi, la
ghi adorni di fior di loto ed ampie case; e veduti colà obietti
così giocondi all' occhio, n'ebbero essi gran maraviglia.
Piena d'asoki, di michelie e di mimusopi, di shoree e di
palmizi, coperta di boschi di xanthocymi e tutta sparsa di
galedupe, colle sue elati e pentaptere, colle sue shoree ro
buste e colle sue fiorenti alstonie, co' suoi tili, bignonie e
pterospermi, co' suoi alberi dalle floride cime ed avvinghiati
da piante repenti, adorni di fiori diversi e di rosse e tenere
gemme, così risplendeva Lanka in ogni parte, come Ama
râvati, la città d'Indra, co' suoi alberi tutti aperti, nati
nella sua selva. V'erano aiuole d'erba tenera e verdefosca,
amene regioni boscose, fiori sbocciati e frutti odorosissimi; e
gli alberi portan quivi gran quantità di gemme, e germogli
e frutti, a guisa che gli uomini portano indosso i loro or
namenti. Quella mirabile selva, florida in ogni stagione e
dilettosa, pari al Nandana celeste e tutta frequente d'api,
così risplendeva come la selva Ceitraratha. Era splendida
a vedersi quella gran selva colle sue pavoncelle, pavoni e
gallinelle schiamazzanti e co' suoi cuculi canori. Allora quei
prodi scimi, allegri e baldi e mutanti forma a lor voglia,
entrarono in que' boschi e in que' giardini, dove s'aggiran
di continuo vispi augelli ed api nere, e v'hanno gruppi
d'alberi pieni di kokili, e susurri d'ardee e canti di lani,
e aliar d'aquile e stridi di pavoni e clamori di suoni indi
stinti. Mentre que' magnanimi scimi ponevan piede entro
180 RAMAYANA.
que'boschi, spirava un alito di vento soavissimo all'odore,
olezzante d'ogni maniera di fiori. Egli entrarono colà spar
titamente in molte schiere, e col loro strepitare que' fieri
strepitanti facevano tremar Lanka. Fu, scalpitata la terra
dai piedi di que' robusti condottieri aggirantisi per que' bo
schi, e la polvere scommossa si levò rossiccia in alto. Altri
valenti duci fra que' scimi valorosi, licenziati da Sugriva,
penetrarono fino in Lanka guernita di vessilli, spaventando
augelli ed atterrando grandi alberi, battendosi a palme e
spiccando salti, conquassando i boschi ed i giardini di Lanka
e tutti agognanti la battaglia. Gli orsi, i leoni ed i cinghiali,
i bufali ed i porci spaventati da quel fracasso se ne fug
girono impauriti per tutte le dieci regioni. S'erge colà la
cima altissima del Trikùta, che attinge quasi il cielo, vestita
d'alberi d'ogni intorno e pari a un gruppo di grandi nu
vole, spaziosa in alto e in basso, lustrante a guisa di terso
specchio, vetta eccelsa e splendida, d'arduo accesso agli stessi
aligeri ed a cui è difficile il salire pur col pensiero, creata
da Visvakarma. Su quella cima è situata la città di Lanka
difesa da Ràvano. Quella città è munita d'alte porte, somi
glianti a bianche nubi e d'una regge tutta d'argento e d'oro,
è nobilmente ornata di templi e di palagi, sì come sul finir
della calda stagione è coperta di nubi la sede mezzana di
Visnu. Si scorge in essa tutto adorno , colle mille sue co
lonne, il regal palagio dell'empio Ràvano re de' Racsasi,
simile al vertice del Kailàsa e rasentante quasi il cielo, alla
cui guardia sta di continuo un centinaio intiero di Racsasi.
Osservarono allora, sgrignando, i scimi quella Lanka così
ornata e venuta al suo ultimo fato, come una donna che
sta per morire. E il fortunato e possente Raghuide fratello
maggior di Lacsmano osservò egli pure coi Vànari la città
di Lanka, sede di Ràvano.

CAPITOLO XVI.
ENTRATA DEL MEssAGGIERO ANGADA. r,
- . te
Ma scorgendo quivi portenti, l'infaticato Ràma, rivolto a
Lacsmano il discorso, così gli disse: Immergendoci nell'acqua
da noi valicata, ed entrati quindi ad alimentarci nei boschi
YUDDHIACANDA, 181
copiosi di frutti, e disposto per ischiere quest' esercito,
mettiamci tosto in punto, o Lacsmano. Io veggo qui sopra
stante un terribile avvenimento spaventoso, che sarà esiziale
al mondo e farà strage di Racsasi, di prodi scimi e d'orsi.
Spirano orridi venti ed è come scossa la terra; tremano i
vertici de' monti e mandan ruggiti le montagne. Le nuvole
inferocite a guisa di carnivore belve e mugghianti feroce
mente, ingombran la via del sole, mettendo orribile paura,
e piovono incrudelite pioggia crudele, mescolata con goc
cie di sangue. Son fieramente orribili i crepuscoli, somi
glianti al color di sandalo rosso, e cade giù dal sole un
fiammante disco di fuoco; son tristi ed hanno tristi voci, tetri
e malaugurosi augelli e belve; e nella notte par che incenda
la luna infausta, cinta di raggi foschi e rossi, qual si mos
tra allor che è sconvolto il mondo. Mira, o Lacsmano! si
scorge avvolto al disco del sole un cerchio angusto, san
guigno, orrido, malaugurato; e la luna fuor dell'ordine del
suo crescere attinge i segni costellati (naksatri); mira, o
Lacsmano! si scorgono quasi che i presagi del finimondo.
Gli aghironi, i falchi e gli avoltoi vanno attorno rasente
terra, e cantano ad alte grida fausti e infausti fati. Sarà la
terra ingombra di saette, d'aste e di scimitarre lanciate dai
Racsasi e dai Vànari, ed avrà limo di carni e di sangue. Cir
condati d'ogni parte da Vànari assagliamo noi oggi subi
tamente e con pronta lena la forte città difesa da Ràvano.
Così ragionando, il valoroso e prode Ràma, fratello maggior
di Lacsmano, scese rapidamente dalla cima di quel monte;
e disceso da quell'altura, il pio Raghuide vide il suo eser
cito inconquassabile, insuperabile ai nemici.
Allor Sugriva re de' scimi schierò quel grande esercito,
e il possente Raghuide, conoscitor del tempo, l'eccitò alla
battaglia. Quindi ad ora opportuna, quell'eroe dalle grandi
braccia circondato da quella grand'oste, mosse innanzi alla
volta di Lanka. Lo seguitavano Vibhisana e Sugriva, G'am
bavat, Hanumat e Nàla, il re degli orsi, Angada, Nila e
Lacsmano; e quindi appresso quella grandissima oste di
silvani, coprendo l'ampia terra, marciava dietro a Ràma.
Que' scimi pari ad elefanti e saldo ostacolo ai nemici, dier
di mano a cento e cento vertici di rupi e a grossi alberi;
182 RAMAYANA.
e in breve tempo i due fratelli Ráma e Lacsmano, domatori
d'ogni lor nemico, pervennero dinanzi a Lanka, sede di Rà
VanO, -

Veduta colà davanti quella nobile città, coronata di ves


silli, che ha grandi porte arcate con bandiere ergentisi in
alto, mirabili ripari, gran quantità di macchine guerriere
ed alti valli e reggi, città ardua ad espugnarsi dai Devi
stessi, i Vànari eccitati da Ràma, fatto lor campo intorno,
si posero quivi ad oste. Occupando in cerchio uno spazio
di dieci yogani e cingendo Lanka, l'esercito Vánarico stava
pronto a muovere alla battaglia; e Ráma armato d'arco in un
con Lacsmano si pose ad assedio e a guardia della porta
settentrionale della città, alta come la vetta del monte Meru.
Allor che Râma Dasarathide fu accampato sotto Lanka, s'al
legrarono i Devi ed i Gandharvi e s'attristarouo i Racsasi;
pervenuto colà quell'eroe seguitato da Lacsmano, temettero
tutti i Racsasi; ma erano senza timore i duci de' Vànari e
degli orsi. Nessun altro fuorchè Râma era atto a stringere
quella porta; chè ell'era protetta da Rávano, sì come è da
Varuna l'Oceano, custodita per ogni parte da fieri Racsasi
armati, sì come dai Dànavi il Pàtàla, e cagion di terrore
ai deboli. Difesa d'ogni intorno da innumerevoli e tremendi
Racsasi di forme diverse, così appariva Lanka, come Bho
gavati difesa dai serpenti. Ràma vide colà gettate ed am
massate in copia armi diverse di guerrieri ed armadure di
gran mole. Il duce Ntla guardava la porta orientale e con
esso Meinda e Dvivida, simili a due serpenti custodi del
monte Sveta. Il supremo scimio Angada guardava la porta
meridionale in un con Risaba, Gavàksa, Gavaya e Panasa.
Il robusto scimio Hanumat guardava la porta occidentale,
circondato da Praghasa e da Pramati e da altri prodi. Su
griva in persona si pose dinanzi alla trincea di mezzo con
tutti i suoi valenti scimi, rapidi come Suparna e il vento.
Trenta sei koti di Vànari di forza famosa stavano ad oste
colà dov'era Sugriva, forte stringendo la città; e il re dei
scimi con Vibhisana accampò a ciascuna porta una koti di
guerrieri per ordine di Ràma. Dietro a Ràma e poco discosto
dalla trincea di mezzo stavano Susena e G'àmbavat segui
tati da grande stuolo. Tutti que' fieri scimi, armati di denti
YUDDHACANDA, 183
come tigri, dato di piglio ad alberi e a creste di monti,
stavano là baldi e pronti alla battaglia. Erano tutti colle
code tentennanti, tutti armati di denti e d'unghie, tutti con
varie membra diverse e faccie torve; mostravano tutti fiero
ardire, ed eran tutti di forza divina. Hanno alcuni la ro
bustezza di dieci elefanti, alcuni dieci volte maggiore ed
altri han forza eguale alla forza di mille elefanti. Alcuni
han l'impeto de'flutti, altri la foga del vento ed altri di
que' duci hanno gagliardia immensa. Era colà mirabile,
stupendo l'accozzamento di quelle schiere di Vànari, come il
levarsi tutt'ad una d'innumerevoli locuste; era quasi ingom
bra l'aria, quasi coperta la terra da que' scimi accampati
sotto Lanka o spiccanti salti in alto. Cento centinaia di
mila Vànari si posero a parte a parte e d'ogni intorno a
tutte le porte di Lanka; ed altri forti s'accamparono in altri
siti; la città di Lanka era tutta stipata da que'Vànari colà
raccozzati; un migliaio intiero d'ayuti le stava intorno.
Lanka era cinta d'ogni parte e fatta quasi impenetrabile
al vento da que' robusti scimi armati d'alberi. S'udiva quivi
un gran fracasso dei fiotti crescenti di quell'oste, qual sa
rebbe lo strepito dell'acque nell'Oceano conquassato.
Stupirono i Racsasi stretti subitamente da que' scimi pari
a nubi, di forza e di valore eguali ad Indra; ed eran co
perte le regioni da molte migliaia di que' Vànari, simili a
gruppi di nere nuvole e grandeggianti come vertici di mon
tagne. Si levò dai fiotti di quell'oste un gran fragore come
di turbine, pari allo strepito che s'ode dall'Oceano scon
volto; e fu da quel grande turbinìo scossa Lanka tutta in
tiera colle sue porte e co' suoi valli, co' suoi monti, selve
e boschi. Erano attoniti i Racsasi stanziati per entro i valli
veggendo dinanzi a sè sì fatti Vánari abbronzati. Così Râma
assediava la città con cento migliaia di koti, con ayuti, con
arbudi e con sanku di prodi scimi. Surse come una bianca
nebbia dal calpestio di quelle schiere, e il sole fu velato dalla
polvere, come da tenebra.Tremò la città di Lanka colla sue
porte e co' suoi valli, e rimbombarono gli antri montani per
lo ruggito di que' scimi altieri. Quell' esercito protetto da
Ràma, da Lacsmano e da Sugriva divenne vie maggiormente
insuperabile eziandio agli Asuri ed ai Suri in un con Indra
184 RAMAYANA,

Ma Ràma raccoltosi a consiglio ad ora opportuna con


molti di que''Vànari strepitanti e baldi, molto deliberò con
essi; e volendo rompere ogni indugio, rammentatosi il do
vere d'un re, siccome colui che ben conosceva la ragion
de' sacri prescritti e la sostanza delle cose, con consenso
di Vibhisana chiamò a sè Amgada, figlio di Bàli e così gli
disse: Vanne, o amico, messaggiero a Rávano, e penetrando
senza timor nè turbamento nella città di Lanka, così parla
in nome mio a quell'insano e sciagurato che ha perduto
ogni sua possanza e vuol morire:
Perchè tu, orgoglioso Racsaso, hai per insania oltraggiato
finora impunemente Devi, Risci, Gandharvi e Apsarase, Nàghi,
Yaksi e re, perciò ti sei levato in superbia per la grazia
che un dì t'accordò Brahma. Ma io scommosso in ira per
la donna che m'hai rapita, e schierato dinanzi alla porta
di Lanka, tengo sopra te sospeso il castigo e son atto a
punirti d'ogni tuo misfatto. Io sottentrerò per vendicarli,
stando in battaglia, o Racsaso, ai Devi, ai grandi Risci
e ai re Sapienti. Mostra or quella tua forza, per cui tu,
soperchiatomi, o re de' Racsasi, m'hai con maliosa frode
rapita Sità. Se tu non vieni supplice a me, rendendomi la
Mithilese, io colle acute mie saette farò diserto di Racsasi
il mondo. Deposta la signorìa di Lanka, abbandonato il
regno, lasciato il regal tuo seggio, salva, o stolto, la tua
vita, rendendo a me la Mithilese. Il saggio e pio Vibhisana,
ottimo fra i Racsasi, venuto a me e da me protetto, otterrà
l'ampio impero di Lanka: chè tu iniquo e reo, inetto a go
vernar te stesso e fiancheggiato da gente stolida, non puoi
più lungamente fruire il regno. Combatti, se il vuoi, o Rac
saso, sollevandoti a nobile pensiero e mettendo in opera la
tua prodezza; ed allora ferito e spento dalle mie saette, tu
sarai purificato. Chè, sebben tu penetri per entro i tre mondi
a guisa d'augello e rapido come l'animo, venendomi pur
innanzi nella via che segue il mio occhio, non ne uscirai
tu vivo. Io ti parlo parole salutari; che se tu non le ascolti,
si preparino i riti funebri e sia Lanka d'or innanzi dischiusa
e fatta visibile ad ogni gente; chè sarà a te forte malagevole
il difender la tua vita. aao, i
Così instrutto da Râma, infaticabile nell'operare, il figlio
YUDDHACANDA, 185
di Tàrà, lanciatosi in aria, se ne partì, simile al fuoco cor
poreato; e pervenuto con istantaneo volo alla reggia di Rà
vano, vide colà assiso e imperturbato il re de' Racsasi coi
suoi ministri. Disceso quivi , poco discosto da lui, il duce
de' scimi Angada che porta armille d'oro, gli si fermò di
manzi, ardente come vivo fuoco; e manifestando sè stesso,
spose a lui ed a' suoi ministri tutte intiere l'alte e supreme
parole di Ràma:
Io sono, ei disse, messaggiero del re, dei Kosali, di Ràma
infaticato nell'opre sue; son figlio di Bàli e mi nomo Angada
se mai ne venne al tuo orecchio il nome. A te manda di
cendo Ràma, figlio e gioia di Causalya: Esci fuori a batta
glia e combatti; mostrati uomo , o crudo. Porrò ben io a
morte te co' tuoi ministri, co' tuoi figli, fratelli e congiunti;
e saran, te spento, liberi da ogni affanno i tre mondi. Colle
mie saette ardenti come fuoco estirperò te nemico eterno
dei Devi, dei Dànavi e dei Yaksi, de'Gandharvi, degli Ura
ghi (Serpenti) e de' Racsasi. Se tu inchinandoti a me e fa
cendomi onore, non mi renderai la Mithilese, io, dopo averti
ucciso, darò a Vibhisana il regno.
Mentre Angada gli andava dicendo quelle dure parole,
Ràvano sovvertitor del mondo fu preso da grand'ira, e
cogli occhi rossi e foschi e fuor di modo accesi di rabbia,
così ordinò ai suoi ministri: S'afferri quest'insensato e si
punisca con aspro castigo. Udite quelle parole, quattro fe
roci Racsasi, ardenti come fiamma viva, afferrarono colui;
e il prode figlio di Târà si lasciò prendere di sua spontanea
volontà, volendo mostrare la sua forza fra quell'esercito di
Yâtudhàni. Ghermiti quindi ad un tratto ed inserrati fra le
sue braccia, a guisa d'augelli, que' Racsasi che lo legavano
sbalzò Angada subitamente sopra il culmine della reggia,
pari al vertice d'un monte; e que' Racsasi scombuiati dal suo
impeto, caddero giù dall'aria in terra, tutti fuor di senso e
sbalorditi. Frattanto l'eccelso Angada percosse col saldo piede
il culmine della reggia, il quale forte premuto dal suo piede,
rovinò, veggente Ràvano. Rotto il colmo della reggia e fatto
suonare alto il suo nome, così egli andò gridando: Vince
il possente Sugriva, duce e re de' Vánari; vince Ráma Dâ
sarathide, ed il fortissimo Lacsmano; e il giustore Vibhi
186 RAMAYANA

sana, prestante fra tutti i Racsasi, otterrà l'ampia signorìa


di Lanka, dopo che tu, o Ràvano, sarai stato ucciso iu guerra.
Ei si battè quindi a palme tutto lieto, e di nuovo si lanciò
per aria; e venuto al cospetto del magnanimo Ráma, re
dei Kosali, e di Sugriva, narrò loro ogni cosa. .
Come Ràma udì le parole cadute dalla bocca d'Angada,
forte maravigliò e pose l'animo alla battaglia.
Ma Ràvano montò in grand'ira per l'oltraggio fatto alla
sua reggia, e antivedendo la sua rovina, stava tutto turbato
e sospiroso.
Ràma intanto circondato da gran numero di scimi stre
pitanti e baldi e intento pur alla morte del suo nemico,
movea alla battaglia; e il valoroso e prode Susena, pari al
vertice d'un monte e fiancheggiato da molti scimi mutanti
forma a lor voglia, osservando per ordine di Sugriva tutte
le porte, s'aggira esultante intorno a Ràma, animando quella
grand'oste.
Veggendo quell'esercito moltiplice di silvani accampati
sotto Lanka e soverchianti l'onde dell'Oceano, parte dei
Racsasi spantavano, parte impaurivano ed altri più con
citati alla battaglia ne prendevano allegrezza; eran tutti
scommossi i Racsasi, guardando quell'oste di scimi anelanti
alla battaglia ed osteggianti Lanka. Imperocchè schierati
sui terrapieni dei valli, ei vedevano atterriti tutto occupato
dai Vànari lo spazio tra i valli e i fossi. Quella Lanka d'ar
duo accesso e difesa da Rávano, inondata ora per ogni parte
dai scimi, era fatta oscura e tetra, come la notte. Mentre
cotal fiero ed orribile trambusto sorgeva intorno alla regal
città di Ràvano, i Racsasi, dato di piglio ad armi immani,
correvano attorno qua e là, simili ai venti del finimondo.

CAPITOLO XVII.

PRINCIPIO DELLA BATTAGLIA.

Allor que' Racsasi esterrefatti, pervenuti alla reggia di


Ràvano, gli annunziarono che la città era stretta dai Vànari
condotti da, Ràma. Come udì la città essere investita, il
grande Racsaso corrucciato, raddoppiati gli ordini di difesa,
YUDDHACANDA, 187
salì sull'alto della sua reggia; e vide Lanka co' suoi monti,
selve e boschi stretta da prodi Vànari innumerevoli, anelanti
alla battaglia. Vista tutta la selva intorno offuscata quasi dai
Vánari, egli andò pensando per qual modo potrebber costoro
esser disfatti?' Stato lungamente sopra pensiero, e ripresa
la sua fermezza, ei riguardò co' suoi fieri occhi i due Ra
ghuidi e le schiere de' scimi.
Mentre il re de' Racsasi stava osservando a parte a parte
quelle schiere, tutte pronte al servigio di Râma, elle assa
lirono Lanka. Que' Vànari fulvi come oro e con faccie ab
bronzate, disposti a perdere la vita per amor di Ràma, cor
revan pur suso a Lanka, armati di massi, di shoree e di
palmizi. Con alberi, con vertici di monti e colle pugna ei
conquassavano i più saldi valli, inconquassabili ad ogni altro,
e con essi le porte arcate, colmavan con arida terra e con
cacumi di monti i fossi pieni di limpide acque e battaglia
vano orrendemente. Così que' Vànari a cento e a mille squa
dre e a centinaia di koti assalivano allora Lanka, diroc
cando gli aurei antiporti, simili ai vertici del Kailàsa, e
scassinando le porte della città. Spiccando salti e sovrasalti
e mettendo fieri ruggiti, que' scimi grandeggianti come monti
correvan pur suso a Lanka. « Vince il fortissimo Ráma e
il forte Lacsmano, vince il re Sugriva , protetto dal Ra
ghuide; » così gridando e rimugghiando, que' scimi mutanti
forma a lor posta correvan pur suso al vallo che cinge
Lanka.
Ma in questo mezzo Virabáhu, Subâhu e il silvestro Nala
raccolsero e disposero l'esercito. Il valoroso Kumuda cir
cuncinto da dieci koti di magnanimi scimi, si fermò intorno
alla porta orientale; il robusto e prode Satabali raccoltosi
alla porta meridionale, vi si fermò intorno cinto da dieci
koti; il forte Susena, padre di Tàrà, venuto alla porta oc
cidentale vi si fermò intorno con sei koti; il prode Ràma
col Saumitride e il fortissimo Sugriva, raccoltisi alla porta
settentrionale, si fermarono attorno ad essa. Il gran duce
di terribile aspetto, il golangulo Gavàksa circondato da mille
koti stava accanto a Ráma; Dhtmra sperditore de' nemici,
capo degli orsi fieramente impetuosi e circondato da dieci
koti, si pose anch'egli vicino al Dasarathide. Gaya, Gavaya,
188 RAMAYANA.
Sarabha e Gandhamadana, il terribile e prode Dadhimukha,
Kesari e Panasa, tutti questi eletti scimi stavano a guardia
dell'esercito. Vibhisana dalle grandi braccia, armato di tutto
punto e colla clava in mano, si pose come servo al fianco di
Râma, attento agli ordini suoi.
Allora Rávano, re dei Racsasi, sopraffatto da gran rabbia
ordinò che uscissero prontamente tutte le sue falangi; e
quegli eroi eccitati da Råvano sortiron da tutte le porte
stretti insieme ed animosi, pari ai fiotti dell'Oceano. In quella
s'appiccò una terribile battaglia fra i Racsasi ed i Vànari,
pari alla battaglia degli Asuri e dei Devi. I Racsasi feroci,
vantando il lor valore, abbattevano i Vànari con clave ar
denti, con picche, lancie ed ascie; ed i Vànari abbattevano
i Racsasi d'ogni intorno con grossi alberi e con vertici di
monti, coi denti e colle unghie. Alcuni di que' fieri Racsasi,
stando sui terrapieni dei valli, laceravano orribilmente con
giavellotti ed aste i Vànari che stavan sul suolo di sotto;
e i forti Vànari arrovellati, levandosi in alto di repente,
precipitavano giù dai valli i Racsasi colle pugna. Era quella
un'orrida mischia, tumultuosa e mira, di Racsasi e di Vá
mari, che facevano limo in terra di lor carni e di lor sangue.
Il tempestar dei Vànari e dei Racsasi dentro Lanka, con
clamori, con battimenti di mani e con ruggiti, era come il
fracasso di due grandi Oceani.
C A PIT O L O XVIII,
SINGOLAR CERTAME,

Venuti a battaglia insieme i magnanimi Vänari ed i Rac


sasi, sorse colà un grandissimo sgominio. Perocchè i Racsasi
tremendi, intenti a procacciar vittoria a Rávano, eran tutti
sortiti a combattere, armati d'armi diverse e spaventosi come
nuvole balenanti, mettendo a soqquadro la terra ed empiendo
il cielo di grida altissime; egli avevan cavalli con serti d'oro
al sommo della testa e vessilli fulgidi come fiamma, carri
lucenti al par del sole e splendidissime armadure, fieri ele
fanti con tempie goccianti e fesse, tutti addobbati e con
faretre appese ai loro dorsi, adorni di grandi sonagliere e
sbaraglianti col loro impeto i scimi.
vUDDHACANDA. 189
Ma il grande esercito dei Vànari, avidi di vittoria, come
vide tutta sortita l'oste dei Racsasi d'arduo affronto, rug
gente e strepitante, le si mosse incontro a furia. E in men
trechè costoro s'affrontavano scambievolmente, s'appiccò fra
Vànari e Racsasi un vario singolar certame. L'animoso Indra
git, di valore eguale al padre, attaccò zuffa con Angada figlio
di Bàli, e Sampàti insuperabile sempre nei conflitti s'azzuffò
col Racsaso Pragangha; il prode Hanumat assalì Gambu
màli e il Racsaso Vibhisana fratello minor di Ràvano, in
fiammato da grand'ira s'affrontò con Mitraghna d'ardente
foga nel combattere; il fortissimo Nàla s'abboccò a battaglia
col Racsaso Tàpàna e il valoroso Nila con Sukarna; Su
griva re de' scimi appiccò battaglia con Praghasa e l'accorto
Lacsmano con Virùpàksa; l'invincibile Agniketu e Rasmi
ketu, Suptaghna e Yag'naketu vennero a certame con Ràma;
i due Racsasi Vagramusti e Asaniprabha combattevano con
Meinda e Dvivida, e il forte Pratàpàna, ardente come il
sole, venne alle mani con Gaya. Il valente Vidyunmàli, at
taccata battaglia con Susena, così combatteva, come un dì
Namuci con Indra; G'àmbavat si strinse a duello con Ma
karàksa, Dhùmra con Kumbha, e lo scimio Panasa si serrò
col Racsaso Naràntaka; battagliavano Devàntaka con Gavà
Iksa, Trisira con Sarabha e lo scimio Kumuda avido di pugna
col Racsaso Kampana; il prode scimio Risaba facea riotta
con Sàrana, Vinata e Rambha pugnavano con Atikàya; Ke
sari padre d'Hanumat era stretto a pugna con Dhùmraksa,
e Vegadarsi combatteva con Suka corpo a corpo; Gandha
màdana presa battaglia con Mahàpàrsva ardente d'ira e il
forte Satabali col Racsaso Vidyuggihva. Più altri guerrieri
Vànari attaccaron battaglia in singolar certame con molti
altri Racsasi; e nacque colà una ferocissima misléa, tumul
tuosa e orribile tra Racsasi e prodi Vànari che agognavano
la vittoria.Sgorgando dai corpi dei Racsasi e de'scimi, scor
revano rivi di sangue inerbati di chiome e ingombri nel
lor corso di corpi morti. Appiccatasi quell'orrida mischia,
cagion di terrore ai timidi,v'ebbe colà una lunga battaglia
tumultuosa fra scimi e Racsasi. Il prode Indragi, rompitor
delle schiere nemiche, percosse pieni di rabbia Angada colla
sua clava, come fa Indra col suo fulmine; e il nobil Angada
190 RAMAVANA,

fracassò, combattendo, il carro d'Indragit, tutto adorno d'oro


in un coi cavalli e coll'auriga, e mise urla feroci. Sampàti
lacerato in quella mischia con tre saette da Pragangha,
l'abbattè con una shorea robusta. Il fortissimo Atikàya, uso
a rintuzzar l'orgoglio dei Dânavi e dei Devi, ferì con più
dardi Vinata e Rambha. Tapana corse sopra lo scimio Nála
che gli veniva terribile incontro, e Nàla colla palma della
mano gli ammaccò amendue gli occhi; e innaverato per tutte
le membra con dardi acuti da quel Racsaso di pronta mano,
Nàla con un pugno robusto e saldo più che roccia, lo stra
mazzò. L'iroso e forte Gambumâli dritto sul suo carro ferì
in quella mischia Hanumat colla lancia; ma Hanumat figlio
del Vento, sbalzando sopra il carro di quel Racsaso, ne scrollò
colla palma il capo, pari al cocuzzolo d'un monte. Squarciato
per tutto il corpo con pungenti saette da Mitraghna, Vibhi
sana pien d'ira l'atterrò colla sua clava. Sugriva re de' Va
nari con un albero d'alstonia abbattè Praghasa che parea
divorar le schiere, e ruggì ferocemente. Lacsmano con una
sola saetta mandò morto a terra il fiero Racsaso Virûpáksa
che scagliava nembi di dardi. L' indomabile Agniketu e
Rasmiketu, Suptaghna e Yag'naketu foracchiarono Ràma con
balestri, ma Ràma inviperito recise nella mischia con quat
tro saette le teste de' quattro Racsasi, e queste caddero sbal
zando a terra. Percosso da Meinda nella zuffa con un pugno,
rovinò subitamente a terra col suo carro il Racsaso Vagra
musti, a guisa d'un culmine d'edificio. Sukarna perforò nella
zuffa con dardi aguzzi lo scimio Nila somigliante a una
massa di fosco collirio, sì come il sole fiede co' suoi raggi
una nube; e vie più acceso nella pugna il Racsaso Sukarna
di man prontissima tornò a ferir Nila con cento saette e
sogghignava. Ma il possente Nila, pari a Visnu nella batta
glia, con una ruota del carro nemico, troncò la testa del
Racsaso ed essa cadde mozza al suolo. Asaniprabha con
dardi pari a fulmini feriva in quel gran certame Dvivida
duce de' Vànari che impugnava un grosso albero, e Dvivida
dilaniato per tutto il corpo da que' dardi e per ira insano,
colla shorea ond'era armato, traboccò a terra Asaniprabha
col suo carro e coi cavalli. Vidyunmàli fermo sul suo carro
tempestava con dardi ornati d'oro lo scimio Susena e rug
YUDDHA CANDA. 191
giva a quando a quando. Ma Susena, colta l'opportunità,
gli sfracellò ad un tratto il carro con un gran vertice di
monte; in quella Vidyunmáli leggerissimo sbalzò di repente
dal carro e fermò le piante a terra, armato di ferrea clava.
Allor Susena, duce de' Vànari, sfavillante tutto d'ira, affer
rato un gran macigno, corse sopra il Racsaso; ma Vidyun
máli colla sua clava ferì subitamente nel mezzo del petto
il duce Susena che gli veniva rapido incontro; lo scimio
nulla curando quella terribil botta di clava, scagliò nel gran
conflitto quel macigno contro il petto di Vidyunmàli; ed
il Racsaso percosso dal colpo di quella roccia, cadde a terra
esanime col cuore sgretolato.
Così in quel singolar certame furon dai prodi Vànari tutti
abbattuti i prodi Racsasi, sì come i Daityi' dai Suri eccelsi.
La terra era coperta d'ogni intorno di clave e scimitarre,
di lancie e di ferree mazze e di dardi saettati, di carri guer
rieri infranti e guasti, d'ardenti elefanti e di cavalli stra
mazzati, di ruote, mozzi e temi rotti e rammucchiati al suolo,
di raffi, uncini e spade, di scuri e d'ascie, e qua e là d'au
ree armadure rotte in pezzi. Fu tremenda quella mischia;
i sciacali vi trassero a torme, e sbalzavano cionchi in aria
i trunchi de' Racsasi, de' Vànari e degli orsi. I Racsasi sgo
minati e grondanti d'atro sangue rimasero quivi esterriti,
confusi ed intronati. Fu più che tremenda ed orribile a
vedere quella gran mischia di Racsasi ferocissimi spenti sul
campo di battaglia; ne furon liete le torme de' sciacali e
degli avoltoi. Ma que' fieri Racsasi straziati colà dai scimi,
inebbriati dall'odor del sangue e vie più raccesi nell'ira,
s'ordinaron di nuovo alla battaglia, avidi di combattere.

CAPITOLO XIX.

TENZONE CON SAETTE AFFATTURATE.

Mentre così combattevan fra loro Vànari e Racsasi, calò


all'occaso il sole e sopravvenne la notte micidiale. Allor
cominciò fra quegli eroi l'un contro l'altro inferociti ed
anelanti alla vittoria, una battaglia notturna orribilmente
fiera. «Tu sei un Racsaso », gridavano i scimi; «Tu sei
192 RAMAYANA,

un Vànaro », urlavano i Racsasi; ed in quella si ferivano


l'un l'altro fra la mischia in quell'orrenda tenebría. « Rompi,
fendi, mena, sbaraglia, strazia », tali grida tumultuose s'u
divan colà fra la tenebra. I neri Racsasi colle lor splendide
armadure così apparivano fra quelle tenebre, come monti
con selve ed erbe ardenti. Gli orsi simili al buio della notte
andavan rabbiosi attorno per quell'orribil tenebría, divorando
i Racsasi; e i fieri Racsasi fatti dall'ira insani s'aggiravan
per quella fitta tenebra, divorando i scimi. I Vànari arro
vellati, spiccando salti e ricadendo, mettevan coi denti e
coll'unghie a morte i Racsasi; balzando e rimbalzando, ei
squarciavano accaniti coi denti i vessilli fulgidi come fiamma
ed i cavalli ornati di serti al sommo della testa; a furia di
salti e soprasalti ei dilaniavano coi denti e coll'ugne gli
elefanti coi loro montatori, i pedoni, i carri ed i curuli
guerrieri. Ràma e Lacsmano con saette ardenti al par di
fiamma, imberciando or questo or quello, abbattevano i
Racsasi più conspicui. La densa polvere calpestata dall'unghie
de' cavalli e sollevata dalle ruote de' carri copriva le schiere
ed ogni plaga.
Durando quella fiera ed orribile battaglia, le impetuose
correnti de' fiumi menavano acque sanguinose. Si levò in
quella un terribile fragore di timpani, di tamburi e di ta
balli, misto al suono di conche e di tibie, un alto strepito
di Racsasi moltiformi feriti e gemebondi , d'armi e di ca
valli. In luogo de' fiori che là s'offerivano, avea il campo di
battaglia saette ed armi, e limo di carni e di sangue; vi pene
travano a stento l'occhio e il piede. Atterrati da lancie ed
aste ed ascie i Vànari più valenti, abbattuti i Racsasi gran
deggianti al par di monti e mutanti forma a lor voglia, era
spaventevole quella notte micidiale ai scimi e ai Racsasi,
come l'ultima notte del finimondo inevitabile ad ogni crea
tura. Fra quell'orrenda tenebra i Racsasi inferociti correvan
tutti pur sopra Ràma con nembi di saette, e il fracasso di
que' rabbiosi che assalivano e ruggivano, era pari al fracasso
del mare, allor che son scommosse le sue onde. Il Raghuide
sovrano con sei saette acute squarciò sei Racsasi in un bat
ter d'occhio; ma ad un tratto l'indomabile Yag'nasatru,
Mahodara e Mahápàrsva, l'immane Vagradanstra e Suka
YUDDRIACANDA, 193
e Sarana s'avventarono ad una contro Ràma, armati d'armi
diverse; tutti costoro furon da Ràma con dardi aguzzi feriti
negli organi della vita. Quindi quel possente con saette pari
a serpenti e adorne d'oro tutte ingombrò le plage e le re
gioni intermedie; e quant'altri prodi Racsasi si trovarono
in faccia a Ràma, tutti furono distrutti, a guisa di locuste
che s'abbattono nel fuoco; e tuttavia pur saettando dardi
aurati e simili a serpenti inveleniti, Ràma dissipò alquanto
quella tenebra notturna.
Distenebrato coi dardi quel buio e la via alle sue saette
e fatto sì che l'occhio attingesse il suo obietto, si diede quel
possente a scoccar saette a furia; e per quelle saette pen
nute a guisa di Suparna e volanti per ogni parte, così ri
fulse quella notte, come per fitte lucciole una notte autun
male. Le fiere urla de' Racsasi ed i ruggiti de'Vànari facevan
vie più orrida quell'orrida notte; e per quello strepito or
rendo diffuso d'ogni intorno pareva rimbombare il monte
Trikùta colla bocca delle sue caverne. Gli orsi immani, di
color simile a tenebra, stringendo fra le lor braccia i Rac
sasi, li sbranavano coi denti. Infocato da grand'ira il Rà
vanide Indragit si diede allor furiando a rompere per ogni
parte la schiera d'Angada, con impeto di saette; ma il regal
Angada, robusto e pien di sdegno, divelto colle sue braccia
un gran macigno e ruggendo ad ora ad ora, essendo pur
tempestato da onde di dardi, lo scagliò con gran veemenza
e spezzò con esso furiosamente il carro d'Indragit. Quel
grande artefice di prestigi, abbandonato quivi il carro coi
cavalli e coll'auriga uccisi da Angada, sparve colà di botto.
Tutti i Devi coi grandi Risci celebrarono quel fatto d'An
gada, degno d'altissima lode ed onorarono Ráma e Lacsmano;
ed i Vánari con Vibhisana e Sugriva , visto quel Racsaso
superato, gridavano tutti lieti: Oh bene! Oh bene!
Ma Indragit vinto dal figlio di Bàli, eroe d'opre mirabili
in battaglia, si rinfiammò d'orribil ira. Dileguatosi subita
mente, quel reo Rávanide, feroce nella pugna e conoscitor
di tutte l'armi, fece conforme ai riti un sacrificio al fuoco
nel luogo a ciò destinato. Mentre colui sacrificava quivi al
fuoco, i Racsasi sgominati recarono colà dov'era il Råvanide,
un turbante rosso, addobbi e serti, armi d'acuto taglio, legna
VOL, III, 13
194 RAMAYANA,

e mirabolani, rossi abbigliamenti e una doppia cucchiara


di ferro nero, e fecero d'ogni intorno strato al fuoco con
saette, iacoli adunchi e ferree mazze. Allora Indragit, sgoz
zato vivo un nero capro e presone il sangue, sacrificò con
esso, conforme ai riti, tutto intento alla battaglia. Dalla ni
tida e viva fiamma ratto accesa emersero portenti annun
ziatori di vittoria. Il Fuoco sollevatosi visibile, somigliante
ad oro terso e colla fiamma volta a destra, accolse quell'o
blazione; quindi dal mezzo di quel fuoco surse un eccelso
ed aureo carro, tirato da quattro cavalli segnati di fauste
note e adorni d'aurei serti al sommo della testa.
L'illustre Indragit ch'era sparito subitamente, fatto ora
fulgido come fiamma viva, saziato con larghe offerte il fuoco
del sacrificio e i Daityi, i Dànavi, i Racsasi, e fatte pronun
ziare voci benaugurose, benedetto dai Brahmani salì su quel
nobile ed eccelso carro, che si movea invisibile, tirato da
cavalli non costretti da alcun freno , era guernito d'armi
diverse, munito di lancia curule, di pili e dardi a foggia
di mezza luna, con ormamenti soprapposti, e sfolgorava in
ogni sua parte, sì come oro brunito. Un serpente tutto d'oro,
fiammeggiante come sol che spunta e tutto adorno di lapis
lazuli era il vessillo d'Indragit. Com'ebbe compiuto quel
sacrificio al fuoco con formole e preci proprie dei Racsasi,
così parlò il Ràvanide: Spenti que' due degni di morte, ve
nuti male a lor uopo alla battaglia, io darò oggi a mio padre
Ràvano la vittoria cara all'animo; messi a morte Ràma e
Lacsmano e Sugriva , io farò oggi sgombra di Vànari la
terra; ciò detto egli disparve.
Poco stante ei vide colà fermi fra le schiere de' Vánari i
due prodi fratelli Ràma e Lacsmano, saettanti dardi a furia.
Egli allora stando sul suo carro aereo e fatto invisibile ad
ogni sguardo, ferì con saette affilate Ràma e Lacsmano; e
i due fratetli sopraffatti dalla foga di que' dardi, impugnati
i loro archi, si diedero a saettar per l'aria orride frecce;
ma benchè que' due possenti offuscassero il cielo con nembi
di dardi, pur mai non imbroccavano quel Racsaso, pari ad
un grande Asuro. Quel possente addensando le tenebre per
forza di magia, spariva su per le plage velate di nebbia e
di buio; non s'udiva nè il rombo della corda dell'arco, nè
YUDDHACANDA, 195
il fragor delle ruote del carro, nè si vedeva la figura di
colui che s'andava colà aggirando. Il Råvanide dalle grandi
braccia scagliava per quella cieca e fitta tenebra nembi mi
randi di sassi e ferrei dardi e saette a fusóne. Con quelle
orribili saette ottenute per dono divino e lucenti come sole,
il Ràvanide feroce ruppe in quella zuffa per tutte le membra
i due Raghuidi. I quali tempestati da que'ferrei dardi, come
da rovesci di pioggia due monti, saettavano alla lor volta
frecce acute con penne d'oro; ma que' pennuti dardi, senza
aver toccato per l'aria il nemico, cadevano dispersi a terra
a centinaia ed a migliaia. Invisibile allo sguardo il Ràva
nide ammaliatore vie più tempestava a furia di saette i due
Raghuidi, sogghignando nella battaglia; ed i Raghuidi ol
tremodo affaticati scindevano con più iacoli corruscanti e
simili a fiamme quelle saette cadenti. Dovunque egli scor
gessero acuti dardi avventati, colà scagliavano i Raghuidi
nembi di frecce; ma il prode Indragit con man leggera,
aggirandosi col suo carro per tutte le plage, andava pur
ferendo con dardi affilati i magnanimi Dasarathidi; i quali
innaverati da quelle saette pennute d'oro, diventarono si
mili a ciocche di pentapeti. Nessun scorgeva la via del Rà
vanide nè il suo aspetto, nè udiva il suon del suo arco, nè
vedeva di lui alcun segno, se non come del sole, quando
è involto nelle nubi.
Feriti da colui e stramazzati, i Vänari sì animosi per
amore del Raghuide, giacevano stesi a terra. Ma Lacsmano
inviperito così parlò con rabbia al fratello; Io scaglierò, se
il vuoi, il telo di Brahma per distruggere qui ogni Racsaso.
Ma Ràma così rispose a Lacsmano, dotato di fauste note:
Per cagion d'un solo Racsaso non voler tu uccidere quanti
Racsasi v'ha sulla terra, e quei che non combattono e quei che
stanno nascosti o supplici e quei che fuggono o che sono
immersi nel sonno; io m'adoprerò con ogni mio sforzo, o
prode, ad uccidere quel Racsaso; ed esorterem noi pure
questi prestanti Vànari di lena impetuosa, a cui son dischiuse
tutte le vie; eglino, sol che il veggano, porranno duramente
a morte quel Racsaso crudelissimo che si vela di prestigi e
si nasconde ad ogni sguardo.
Ma il reo figlio del re de' Racsasi, poichè non potè aper
196 RAMAYANA,

tamente abbattere i due Raghuidi, adoperando le sue malie


e mugghiando come nube, li avvinse con arti magiche.

CAPIToLo XX.
LE SAETTE AFFATTURATE.

L'eccelso e prode regal Ràma, seguendo le tracce d'In


dragit, scontrò dieci duci di Vánari, i due figli di Susena,
Nila prestante fra i scimi, Angada e Mahābàhu e l'impetuoso
Sarabha, Dvivida, Hanumat, il fortissimo e prode Prastha
e Risaba dagli omeri di toro; egli eccitò tutti costoro contro
quel fiero suo nemico. E tutti que' baldi scimi, vibrando
tronchi d'alberi spaventevoli, ratto si spinsero per entro l'aria
dietro le tracce del Råvanide. Ma costui esperto di tutte
l'armi, con dardi rapidissimi e con un telo sovrumano rin
tuzzava la foga di quegli animosi. Que' fieri Vànari di ter
ribile lena duramente percossi da ferrei dardi scorgevano
colà il Ràvanide involto nella tenebra, sì come il sole è
velato da nuvole; ma respinti a forza di dardi da quel
Racsaso accortissimo, ei caddero tutti a terra. Il Rávanide
vittorioso con saette acute e veementi mirava pure ad at
terrir per ogni modo Ràma e Lacsmano. In quella tenzone
il crudo Indragit colle sue saette, o vero con serpenti fatti
dardi più non avea lasciata nei loro corpi parte che fosse
intatta; dalle lor membra sgorgava copioso ed in più modi
il sangue, ed ei parevano amendue rosse butee fiorenti. Al
Iora il Ràvanide simile a massa di nero collirio e cogli oc
chi cerchiati di sangue, stando pur colà nascosto, così parlò
ai due fratelli: Indra stesso re dei Devi non potrebbe nè
vedere, nè assalir me che qui combatto occulto; quanto
meno il potrete voi due! Com'ebbe così parlato ai pi fra
telli Ràma e Lacsmano, vie più li straziò con dardi aguzzi
strepitando per gran giubilo; e diceva ai due fratelli riarsi
da quelle saette: Aizzato da grand'ira, io pur vi caccerò
alla magion di Yama; e fosco come un ammasso d'infranto
collirio, intassato l'ampio suo arco, saettò quel prode con
nuova lena contro amendue dardi orribili in quella zuffa,
infiggendo quasi le sue saette negli organi vitali di Ràma e
YUDDHACANDA, 197
Lacsmano, siccome colui che ben conosceva ogni organo della
vita, e ruggendo a quando a quando. E coll'animo bollente
di sdegno egli andava pur ripetendo a Ràma e a Lacsmano
tempestati da masse di dardi: Io pur vi caccerò alle sedi
di Yama.
In un batter d'occhio i due fratelli, avvinti sul campo di
battaglia da quelle saette affatturate, più non poterono alzar
lo sguardo; e lacerati per tutto il corpo, oppressi amendue
da dardi e da saette, ei si dibattevano colà palpitanti, come
due vessilli d'Indra legati da funi. Travagliati da quelle
saette fiammanti e laceranti le membra, que' due grandi e
sovrani arcieri caddero quivi a terra; e grondanti di sangue,
trafitti da strali per tutte le membra e forte dolorando, quei
due prodi se ne stavano giacenti sul campo di battaglia
che è il letto degli eroi. Nè lo spazio pur d'un dito era
illeso per le lor membra; niuna lor parte benchè minima
che non fosse lacera e guasta dalle saette. Que' due eroi
dalle grandi braccia, prostrati a terra e gremiti di dardi
per tutto il corpo, parevano come coperti di locuste; e dalle
lor membra sforacchiate da quel feroce Racsaso che mutava
forma a sua posta, spicciava caldo e vivo sangue, sì come
acqua da due rivi. Cadde primo Ràma,ferito in prima con
gran rabbia e dardi acuti da Indragit che vinse un dì lo
stesso Indra; quindi, pur tenendo stretto a sè il divino ed
aureo suo arco, tripiegato e cadutogli dal pugno trafitto,
giacque steso a terra Lacsmano inaverato da saette con penne
d'oro e dritta punta e cadenti rapide al basso, da molte
ferree quadrella, da schietti giavellotti, da frecce dentate a
modo di giovenchi e da verrettoni con denti leonini. Allor
chè Ràma fra il cader di quelle saette vide prostrato e gia
cente in terra il generoso Lacsmano, perdè ogni speranza
della vita.

CAPITOLO XXI.
ANNUNZIO DELL'AFFATTURAMENTO DE' TELI.

Allora i Vánari guardando per ogni parte la terra e il


cielo, scorsero i due fratelli Ráma e Lacsmano tutto trafitti
da saette. Sugriva con Vibhisana, visto ristarsi dal saettare
198 RAMAYANA,

il Racsaso, a guisa d'una nuvola che rallenti la sua foga,


in un subito sbalzò verso quel luogo. Nila, Dvivida, Meinda,
Susena, Kumuda ed Angada corsero ratti insieme con Ha
numat là dove stavano i due Raghuidi. Allor ch'ei videro
giacenti sul campo di battaglia que' due prodi, fuor di senso,
spossati e con lento anelito, immersi nel lor sangue, tem
pestati di saette, inrigiditi e stesi su due letti di dardi, so
spiranti a guisa di due serpenti, immobili e svigoriti, colle
membra rigate dal sangue che sgorga e somiglianti a due
aurei vessilli, con occhi fatti torbidi da lacrime, prostrati ed
oppressi da gran saettame e circondati dai duci de' scimi, Vi
bhisana e tutti que''Vànari rimasero costernati. E guardando
su per lo cielo e per ogni plaga, pur non scorgevano Indragit
velato per arte magica in quel conflitto; ma Vibhisana os
servando attentamente, scoperse per forza di malia il figlio
di suo fratello fermo colà e nascosto sotto magico velame;
ei ravvisò quell'eroe d'opere incomparabili, irresistibile in
battaglia ed occulto ad ogni sguardo, mercè degli alti doni
ricevuti.
Ma Indragit gran maestro d'incantamenti, fatta quell'ar
dua opera e lietissimo fuor d'ogni modo, così parlò a tutti
que' Racsasi, empiendoli d'allegrezza: Furono pur legati dalle
mie saette i due fratelli Ràma e Lacsmano, che un dì in
crudel battaglia uccisero Khara e Dúsana! I Suri stessi e
gli Asuri insieme accolti colle schiere dei Risci, non po
trebbero svincolarli da sì fatto legame de' miei dardi. Colui
per cui cagione mio padre pensoso e travagliato più non
toccava colle sue membra il letto e passava le notti insonne;
colui per cui cagione questa Lanka tutta intiera era inon
data da Vánari, come dall'onde d'un fiume, colui che va
namente presumeva distrugger noi tutti, fu quivi da me
atterrato. Io ho colle mie saette sbaldanziti, a guisa di spio
vute nuvole autunnali, quel Ráma e quel Lacsmano e con
loro tutti i Vánari.
Così detto a que' Racsasi che gli stavano a fianco, il Ra
vanide che conosceva gli organi della vita, si diede a stra
ziare per tutte le membra tutti que'duci de' scimi con dardi
orribili, donatigli per alto favore, e stupefacendoli col le
game di quelle saette, li stramazzava a terra. Straziati che
YUDDHACANDA. - 199
ebbe a furia di saette ed atterriti tutti que''Vànari, sghi
gnazzò con grandi cachinni, e così disse: Col terribil le
game delle mie saette io ho vincolati sulla fronte dell'esercito
amendue que'fratelli sovrani; ponete mente, o Racsasi! A
quei detti, tutti que' Racsasi, combattenti con inganni, span
tarono e lieti di sì gran fatto misero grida altissime, a guisa
di nuvole mugghianti; e credendo morto Ràma, onorarono il
RAvanide. Visti spossati e immoti sulla terra Ràma e Lacsmano,
ei li tennero per morti. Allora il fiero Indragit vittorioso
entrò prestamente in Lanka, portando allegrezza a tutti i
Nairiti.
Ma Sugriva re dei Vànari, sguardando colà il corpo di
Lacsmano e di Ràma tutto punto da saette, fu preso da
grande sgomento, e pien di paura e di cordoglio quel grande
scimio proruppe in pianto. In quella Vibhisana così prese
a dire al misero Sugriva, piangente ed atterrito, pieno di
lacrime gli occhi: Pon fine or via, o Sugriva, al tuo sgo
mento, e raffrena l'impeto delle tue lacrime; son così fatte
le battaglie, ned è sempre stabile la vittoria. Se la nostra
fortuna, o prode, dovrà pur avere intiero effetto, usciranno
da questa lor stupefazione i due fratelli Ràma e Lacsmano;
rincora dunque te stesso, o Vànaro, e me che son qui de
relitto. Ei non s'ha così a temere la morte di coloro che se
guono costanti la verità e la giustizia; cessa or dunque, o
grande scimio, di tremar per Ràma offeso sol da svenimento;
tale è il consiglio dei forti.
Ciò detto, con mano umida d'acqua Vibhisana asterse i
nitidi occhi di Sugriva, ed astersa che ebbe la faccia del
re de' scimi, così parlò con parole opportune Vibhisana im
perturbato: Non è questo in alcun modo, o re de' Vànari,
il tempo di scommuoversi; il soverchio affetto, allor che è
inopportuno, riesce a fine sfortunato; onde rimosso il turba
mento che corrompe ogni impresa, provvedi al bisogno delle
schiere capitanate già da Ràma. Or s'attenda a rinfrancar
que' due sopraffatti da sfinimento; allor che i due Cacutsthidi
avran ricuperato il senso, torranno via da te ogni timore. Non
v'ha in Ràma cosa rea, nè s'ha a temere la sua morte; chè
mai non l'abbandonerebbe la fortunata Lacsmi, il cui favore
difficilmente impetra chi è destinato a dover morire; per lo
200 RAMAYANA,

che ti riconforta ed ordina quel ch'io debba fare a fin di


tener ferme queste schiere sgominate; chè que' scimi coi
lor occhi sbalestrati van susurrando agli orecchi l'un del
l'altro, sgominati da terrore; ma quand'ei mi vedranno cor
rer dinanzi alle lor schiere, ei cacceranno rimbalditi ogni
paura, sì come depongono i serpi la vecchia scoglia.
Com'ebbe così parlato a Sugriva tutto devoto a Ráma,
Vibhisanà coi quattro suoi fidi consiglieri si diede a mano
a mano a rassodare quell'esercito. Bando, egli diceva, alla
paura! nulla s'ha qui a temere; raccogliete la vostra fer
mezza e state saldi; è salvo Râma, salvi Lacsmano e Su
griva.
In questo Indragit, il grande incantatore, circondato da
tutte le sue coorti entrò nella città di Lanka, come il sole en
tro una nube. Quivi fattosi innanzi a Rávano e salutatolo con
atto reverente, annunziò al padre la cara notizia, esser morti
Ràma e Lacsmano. Come udì ch'erano atterrati que' due
grandi suoi nemici, sbalzò Ràvano tutto lieto dal suo seggio
ed abbracciò il figlio in mezzo ai Racsasi, e lo baciò sul capo
con mente rasserenata; ed avendolo interrogato, questi gli
narrò per disteso ogni cosa. Udendo le parole di quel gran
curule guerriero, il re de' Racsasi commosso da impeto di
gioia, dissipò l'affanno che gli era nato per cagion del Dasa
rathide, e pien di gaudio salutò il figlio vincitore.

CAPITOLO XXII.

VEDUTA DI RAMA E LACSMANO.

Come fu entrato in Lanka, lieto del gran successo, il


figlio di Ràvano, i sovrani infra gli scimi intorniando i due
Raghuidi, stavano loro a guardia. Hanumat, Angada, Nila,
Susena e Kumuda, Gaya, Gaváksa, Panasa, Nàla e Sànu
prastha, G'àmbavat e Risabha, Rambha, Prithu e Satabali,
il valoroso Krathana e il fortissimo Sampàti, tutti costoro,
riordinata ogni schiera e dato di mano a roccie e ad alberi,
osservavano tutte le plage per ogni parte in alto e per obli
quo, e ad ogni fruscío d'erba che sia mossa, credon vedere
un Racsaso. Ma Ràvano tutto esultante ed ebro di gioia su
YUIDDHACANDA. 201
prema accommiatò il prode suo figlio Indragit che aveva
compiuto un sì gran fatto. Partitosi quel grande ammaliatore,
Ràvano flagello del mondo si diede a pensar fra sè nella
sua reggia: Fu da Indragit effettuata un'opera ardua agli
stessi Dei! Allorchè l'udirà Sità, dolente fuor di modo vorrà
ella forse lasciar la vita; ovver seguendo il natural costume
della donna, affascinata e vinta dalla mobil sua natura, si
recherà fors'oggi di buon grado al mio volere, dopo avermi
finor resistito. Io ho già qui imaginato e pronto all'uopo
uno spediente, cui udendo, saranno oltremodo liete quelle
Racsase che stanno a guardia di Sità e son ministre de' miei
voleri e sempre obbedienti al mio comando. Il re di Lanka
chiamò a sè in quella una vecchia e nobil Racsasa , per
nome Trigata, ragguardevole infra tutte, a lui devota, ese
cutrice d'ogni suo cenno, la qual venne colà pronta per
ordine suo. Come la vide dinanzi a sè, così le parlò il re
de' Racsasi:
Va ed annunzia alla Videhese che son stati da Indragit
uccisi Râma e Lacsmano, e facendola salire sull'eccelso mio
carro Puspaca, mostrale que' due eroi spenti colà in battaglia.
Quel grande suo sostegno, a cui appoggiandosi con orgoglio,
Sità mi repulsava, quel suo consorte e donno fu morto col
fratello sovra il campo di battaglia. Or per certo la Mithilese
libera da affanno e da timore, sciolta da ogni riguardo e
tutta adorna di splendidi ornati, consentirà ad essermi de
vota. Veggendo oggi svanita la lunga speranza che ella ebbe
di Ràma, Sità si disporrà per certo ad esser mia.
Uditi que' detti del reo Ràvano, Trigata coll'altre Racsase
andò colà, dov'era riposto il carro Puspaca; e tratto fuori
quel carro, le Racsase si condussero sollecite al giardino
degli asoki, dove stava la Mithilese. Quivi elle ne menaron
Sità tutta assorta nel dolente pensier del suo sposo, e la
fecero salire sul carro Puspaca. Com'ebbe fatto montar su
quel carro Sità con Trigata, Rávano signor de' Racsasi or
dinò che la città di Lanka fosse tutta coronata di bandiere
e di vessilli; e scommosso in allegrezza fece bandir per tutta
Lanka, che Ráma e Lacsmano eran morti per mano d'In
dragit. Frattanto Sità giunta al campo con Trigata, vide
d'ini, su quel carro la terra gremita di schiere di prodi
202 RAMAYANA,

scimi, vide esultanti e lieti i Racsasi di terribile aspetto e


forte afflitti i Vànari intorno a Ràma e a Lacsmano; quindi
ella scorse giacenti sur un letto di dardi , Ràma e il suo
minor fratello, fuor di senso e tutto trafitti da saette. Come ,
vide colà prostrati in terra i due fratelli eroi, tempestati di
dardi per tutto il corpo, colle loro armadure lacere, coi loro
archi infranti, Sità travinta dalle lacrime e dall'affanno, tre-
mando e dolorando, si diede a far pietosi lamenti.

C A PIT O LO XXIII,

LAMENTO DI SITA,

Veduto colà prostrato il suo sposo ed il fortissimo Lac


smano, proruppe in lunghi e pietosi lamenti Sità G'anakide.
Guardando trangosciata e con viso pien di lacrime Ràma
e Lacsmano, lamentò ella lungamente, piangendo ed escla
mando: O nobile mio sposo! Ella fece in terra gran stro
piccío di piedi, gemè con voce flebile e soave, e dopo lungo
lamentare proferì queste parole: Quei che da segni presagi
scono il futuro, mi predissero un dì ch'io sarei madre e
non sarei vedovata, or non furon dunque veridici tutti quei
pronosticatori, da che fu qui spento Ràma. Gli uomini presa
ghi che m'annunziarono ch'io sarei consorte fortunata d'un re
eroe, non furon dunque veridici, da che giace or qui spento
Ràma. Que' pii sacrificatori, assiduamente versati nelle sante
dottrine, i quali pronunziarono ch'io sarei sacrata regina,
or furon dunque tutti mendaci pronosticatori, da che fu qui
spento Râma. Que' Brahmani che mi mormoravano all'o
recchio presagi di splendida sorte avventurosa, or furon
dunque tutti mendaci pronosticatori, da che giace qui spento
Ràma. Ei pur si afferma che le donne sovra i cui piedi son
proffilati fior di loto, saran sacrate al sommo impero coi
loro consorti sovrani. Ed io pur riguardando, non veggo
in me alcuno di que' segni, per cui son destinate a vedo
vanza le donne sfortunate; sono in me stinti que' segni. I
pronostici fondati sopra i segni augurosi della donna e che
pur furon dichiarati come certi, ben si scorgono or fallaci,
da che fu qui spento Ràma. Ei son pur nondimeno sottili,
YUDDHIACANIDA, 203
lisci e neri i miei capelli, ben divisi i miei sopraccigli;
son ben tornite e non pilose le mie gambe, serrati l'un
coll'altro i miei denti; son fra loro eguali queste mie mani
e questi miei piedi ed incurvati i miei talloni; son ovate
le mie unghie, morbide e schiette le mie dita; son disgiunte,
piene e pari le mie mamme, con dentrovi ben confitte le lor
papille, internato e profondo il mio ombilico, eguali l'uno
all'altro i miei omeri ed i miei fianchi; è delicato e tenero
il mio colore, sono morbidi i miei peli; è soave la mia voce
e sempre dolce nel favellare, grazioso il mio sorriso, avve
nente e sempre placido il mio aspetto; e i pronosticatori
mi dissero ben salda sulle dodici parti benaugurose della
mia base; sono intieri, senza difetto e pari l'uno all'altro
i miei piedi e le mie mani; non è scomposto nè turbato,
ma timido con grazia il mio portamento; e coloro che co
noscono i pronostici delle donzelle, m'appellaron vergine
di casto sorriso; e mi fu predetto dai Brahmani che veg
gon per entro il destino, che io sarei col mio sposo sacrata
al sommo impero; or non furon essi veritieri. Chè quei due
fratelli, lasciato il G'anasthâna, ed avuta di me notizia e
valicato il mare inconquassabile, furono poi qui spenti so
vra il campo di battaglia. Conoscevano bensì que' due Ra
ghuidi il telo di Varuna e quel del Fuoco, il telo d'Indra
e quel del Vento e il telo Brahmacefalo; ma furon per arte
di malía da un che combatteva occulto, uccisi in battaglia
Ràma e Lacsmano, pari a Vàsava e protettori di me dere
litta; che se quel lor nemico si fosse trovato, combattendo,
sulla via del loro sguardo, non ne sarebbe uscito vivo, an
cor foss'egli così veloce come l'animo. Ma non si può so
verchiare il Dio della morte; e ben egli è insuperabile il
destino, poichè Ràma col fratello giacciono qui atterrati dal
lor nemico. Non tanto io compiango il mio consorte ucciso
e Lacsmano, nè me stessa nè mia madre, quant'io m'ad
doloro sopra la mia suocera, che certamente sta or pensando
al figlio venuto al termine del suo voto, e al dì ch'ella ri
vedrà Ràma con Lacsmano e con Sità.
Ma alla G'anakide che faceva que' lamenti, così parlò la
Racsasa Trigata: non darti angoscia, o donna; chè di certo
vive il tuo sposo. Egli appaiono indizi manifesti, allorche
204 RAMAYANA,

cadono morti i prodi; or io ti dirò i gravi e non dubbi


argomenti che mi fan certa che vive Ráma e il prode Lacs
mano. Non soglion essere ardenti d'ira ed animati da bal
danza e da vigore i volti de' nobili guerrieri, allor che fu
morto il loro duce. Questo carro che chiaman Puspaca, non
t'avrebbe pur qui portata, o Sità, se fosse spento Ràma.
Ucciso il supremo capitano, riman l'esercito nella battaglia
affranto, scoraggiato e svalorito a guisa d'una nave col timon
rotto in mezzo all'acque. Ma quest'oste imperterrita e vigo
rosa e salda nelle sue schiere custodisce il Raghuide gia
cente in fronte dell'esercito. Per tali indizi manifesti e for
tunati apprendi che non son morti i due Cacutsthidi; questo
io t'affermo sulla mia fede. Io non dissi mai menzogna per
l'addietro, nè mentirò unquemai, o Mithilese; per lo nobil
tuo costume, per l'alte tue virtù e per le tue sventure tu
mi sei entrata nell'animo. Que' due eroi non potrebbero
esser vinti in battaglia neppur dagli Asuri e dai Devi in
un con Indra; io ho scorto in loro tale segno e a te lo
faccio manifesto. Pon mente, o Mithilese, a questo indizio di
grandissima significanza: tuttochè ei siano amendue fuor
di senso, pur non gli abbandona la splendida Lacsmi; allor
che si mira il volto degli uomini esanimi ed estinti, sempre
appaiono vestigi di grande alterazione. Deponi, o figlia di
Ganaca, il tuo affanno e l'angoscia che hai nell'animo per
cagion di Ráma e Lacsmano; que' due eroi non sono estinti.
Udite le parole di colei, Sità pari alla figlia d'un Dio,
rispose con atto reverente ed accorata: Così pur sia, come
tu dici. E fatto tornare addietro il carro Puspaca, rapido
come l'animo, rientrò tutta mesta in Lanka insieme con
Trigata; e discesa quivi con essa dal carro Puspaca, fu
dalle Racsase ricondotta al giardino degli asoki. Colà in
quel bosco ameno la consorte del sovrano infra gli uomini
pur ricordando i due regali figli atterrati, non trovava alcun
riposo, ferita al cuore, come una giovane cerva, da saetta
avvelenata.
YUDDHACANDA, 205

CAPITO LO XXIV,

LAMENTO DI RAMIA.

Sugriva intanto ed i più eccelsi e prodi scimi intorniando


i due magnanimi Dasarathidi legati da quel vincolo orribile
di saette, giacenti nel lor sangue e sospiranti come serpi,
stavan colà oppressi dall'affanno. Ma dopo lungo tempo il
sovrano dei Raghuidi, benchè tutto trafitto da saette, ricuperò
il sentimento per la salda sua fermezza e per la possanza della
sua natura. Ei riguardò sè stesso tutto grondante di sangue
e fece lamenti, pur versando lievi gocce di lacrime. Ma co
me ei vide Lacsmano prostrato quivi in terra, assalito allora
da più angoscia e da dolore ei chiamò afflitto con voce do
lente il fratello, e circondato da que' scimi così parlò con
fioco accento: Che mi cale or più di Sità, di Lanka e della
vita, or ch'io veggo qui atterrato Lacsmano di fauste note?
Ben si troveranno altrove altra sposa, altri congiunti ed
altri figli, ma io non veggo donde io possa riavere un fra
tello. « Indra piove ogni cosa », tal'è il dettato Vedico;
ma egli è pur vero quest'altro detto, ch'ei non piove un
fratello. E Sumitra dolce mia madre, m'è genitrice Causalya;
ma l'alta dignità di genitrice non fece pur mai che fra lor
due io ponessi differenza alcuna. Chè potrebbe aprirsi la
terra, o cader l'astro del giorno, prosciugarsi il mare o
raffreddarsi il fuoco, perder l'acqua la sua fluidezza e il vento
la sua rapidità, ma non mai venir meno in me l'amore
verso la dolce mia madre Sumitra. Or che dirò io a Su
mitra che se ne sta aspettando anela di riveder suo figlio,
e che privata di lui lamenta e geme a guisa d'agnella? Come
potrò io riconfortarla, or ch'ella è fatta orba di Lacsmano?
Io non potrò sopportare i rimproveri che cadranno dalla
sua bocca. Che dirò io a Satrughna, che dirò al glorioso
Bharata, ritornando senza colui che si fece a me compagno,
allor ch'io m'avviava alle selve? Lacsmano allora mi seguiva
con affetto supremo, e s'io fossi caduto nel Pàtàla, ei vi
sarebbe caduto appresso. Ben si potrà, cercando, trovare
un'altra donna pari a Sità, ma non già un altro fratello
206 RAMAYANA,

pari a Lacsmano, mio consiglio e socio in guerra. Come


potrò io sopportar la vita, privo di Lacsmano ed oppresso
da crudo affanno, a guisa di chi è aggravato sott'aspro peso?
Io lascerò pur qui il mio corpo; più non poss'io sofferir la
vita. Onta a me malnato e reo, per cui cagione giace or
qui Lacsmano prostrato e come esanime sur un letto di
saette! Quel fortissimo che m'era assiduo conforto, quando
il mio animo s'accasciava, ora esanimato più non può ap
pressarsi a me dolente. L'eroe da cui furon oggi atterrati
in battaglia sciami di Racsasi, or sen giace pur esso a terra
abbattuto da un nembo di dardi. Disteso su questo letto
di frecce, bagnato del suo sangue e tutto trafitto da saette,
così egli appare, come il sole, allor che declina all'occaso.
Aggravato da strali per tutte le membra, ei più non può
muoversi; una crudel doglia l'opprime, e la sua vista è im
pedita da rubor sanguigno. Siccome quel generoso mi se
guitò un dì partente per le selve, così io me n'andrò or
con lui, seguitandolo, alla sede di Yama. Per colpa di me
sciagurato è ridotto a tal condizione costui che sempre ebbe
cari i suoi congiunti, che sempre mi fu devoto! Non mi
rammento che quel prode, benchè sdegnato, m'abbia pur mai
detto per la selva deserta parola alcuna discara od aspra.
Mentre visse quaggiù Lacsmano, sì degno di vivere, nessun
mai fu da lui aspreggiato; mai egli non disse parola oltrag
giosa. Questi che con un sol impeto lanciava cinquecento
saette, che nell'arte di saettare superava eziandio il re
Karttàvirya, che co' suoi dardi avrebbe rintuzzato i dardi
stessi del grande Indra, questi orgiace affranto a terra, ben
chè degno di letto suntuoso. Or sarà senza effetto, ei non v'ha
dubbio, quel ch'io promisi; perchè non sarà da me fatto
re de' Racsasi Vibhisana. Ben tu puoi in questo istante ri
tornartene, o Sugriva; chè non ti verrà alle spalle Ràvano,
l'altero re de' Racsasi. Preceduto da Angada, coll' esercito
e cogli amici rivalica, o Sugriva, il mare per quell'argine
onde venisti. Qual gioia potrebbe mai arrecarmi eziandio la
vittoria, or che è morto Lacsmano, se non quella che ad
durrebbe ad uno cieco la luna surta in cielo! Ma pur fu
fatta qui nella battaglia opera stupenda che sarebbe ardua
ad altri; furon da noi sconfitti i possenti e forti Racsasi.
YUDDHACANDA. 207
Bell'opera pur qui fecero e il re degli orsi e il duce de go
lânguli, ed Angada e Meinda e Dvivida, Susena Nila e Nàla;
combatterono fortemente in questo conflitto Kesari e Sam
pâti, Sarabha, Gaya, Gavaksa e Panasa, e gli altri Vànari
pronti a lasciar la vita per amor mio. Ma l'uom non può,
o Sugriva, vincere il destino. Nessun sgomento mai i rat
tenne dal combattere contro Ràvano; tutto quel che dovea
fare un compagno ed un amico, tu il facesti, o prode ei
non v'ha dubbio; or te ne ritorna alle tue sedi. Voi pure,
o prodi Vànari, faceste qui opera d'amici; or da me licen
ziati ritornatevene, come v'è a grado.
Quanti Vànari udirono quel lamento, tutti versavan lacrime
dai loro occhi dalle nere pupille. In quella, riordinate tutte
le schiere per ogni parte e sdebitato del suo incarico, s'i
noltrava colà a gran passi Vibhisana armato di clava. Visto
venir così rapido quel Racsaso, pari a un ammasso di nero
collirio, si misero in fuga tutti que' Vànari, credendo ch'ei
fosse il Råvanide.

CAPITOLO XXV.
INDIGNAZIONE DI SUGRIVA.

Ma l'animosissimo Sugriva così parlò al figlio di Bâli:


Perchè sen fugge così sgomentita quest'oste, a guisa d'una
nave rotta in mare? A que' detti di Sugriva così rispose il
figlio di Bàli: Non iscorgi tu dunque que' due prodi, Ràma
e il forte Lacsmano, oppressi da un rovescio di dardi e
duramente travagliati amendue? Non vedi que' due grandi
arcieri immersi nel lor sangue e giacenti sovra un letto di
saette? Per questo è sgominata quell'oste, priva di quel
l'uom magnanimo. Non conosci tu forse la razza Vánarica
che è mobile per natura? Ad Angada rispose Sugriva re de'
Vànari: Io non credo che tale sgomento sia nato senza causa
particolare e che ciò possa essere senza special motivo: chè
que' Vànari colla faccia sbigottita e abbandonate le lor armi,
fuggono sbandati in ogni parte, spalancando gli occhi per
terrore. Ei più non han vergogna l'un dell'altro; van guar
dandosi dietro le spalle, si scombuiano a vicenda e trava
licano a salti chi è caduto.
208 RAMAYANA.

Sopravvenne in questo ilvalente Vibhfsana armato di clava;


onorò, salutandolo, Sugriva, e prese quindi a riguardare at
tentamente i due Raghuidi. Come Sugriva vide colui che
aveva atterriti i Vànari, così parlò a Dhtmra re degli orsi
che gli stava allato: Ecco qui giunto quel Vibhfsana, cui
veggendo,spulezzarono spaventati que'silvani, temendo ch'ei
non fosse il figlio di Ràvano! Or tu va prontamente e fa
di rattenere que' paurosi che fuggono alla scapestrata e di'
loro com'è quigiunto Vibhisana. Così esortato da Sugriva,
Dhùmra signor degli orsi si diede a confortar que' Vànari:
Or via, andava egli gridando, tornate addietro, o fuggitivi!
Udendo quelle parole del re degli orsi e vedendo ad un
tempo Vibhisana, tutti que''Vànari, sbandita ogni paura, ri
tornarono addietro.
Ma il pio Vibhisana pur guardando le membra di Räma
e di Lacsmano tutte trafitte da saette, rimase costernato; e
tergendo colla sua mano umida d'acqua le membra di quei
due, fece lamenti e pianti coll'animo affannato dall'angoscia:
Da un Racsaso che combatteva con malfa fraudolenta, furon
dunque, egli diceva, ridotti a tale stato que' due prodi, gene
rosi e d'amabile aspetto! Ei che pugnavano francamente, fu
rono ingannati con mente bieca di Racsaso da quel malnato
e reo figlio di mio fratello! Trafitti per ogni parte da saette e
inondati di sangue ei qui si veggono giacenti a terra, come
due tronchi. Que' due magnanimi, alla cui possanza io ri
fuggendo, sperava altissimo stato, son qui per mia rovina
prostrati in terra. Or bench'io pur viva, sarò sventuratis
simo, privato del regno e deluso d'ogni mia speranza; ma
ben otterrà il suo intento il mio nemico, e sarà pieno ogni
desiderio di Rávano.
Ma Sugriva abbracciando Vibhisana che in tal modo si
doleva, lo confortò e così gli disse: Perchè te ne stai così
afflitto, o Vibhisana? perchè non mi favelli? Rafferma or
via te stesso, e non istar così, o possente. Tu conseguirai,
di ciò non v'ha dubbio, o pio, il regno di Lanka; nè sarà
lieto del suo desiderio Rávano con suo figlio. Riconfortato
così quel Racsaso, il re de'Vànari parlò in tale guisa a Su
sena ch'era suo suocero: Riconduci or prontamente, o Su
sena, alla Kiskindhya in un colle schiere de' scimi Räma
YUDDHACANDA. 209
e Lacsmano che son qui fuor di senso e sbalorditi; chè
saprò ben io, mettendo a morte Ràvano co' suoi congiunti
e figli, riacquistar la Mithilese, sì come Indra Sri perduta.
Andatevene or tutti con piena fidanza, eccettuatone il solo
Märutide; io sol con questo ausilio porrò a morte il re dei
Racsasi; e spento colui colle sue torme, placherò l'animo
di Ràma. Io solo potrei ridurre in cenere la città di Lanka
co' suoi Racsasi; quanto più andando unito con quel grande
guerriero dei Vànari! Oggi io commosso a sdegno disfogherò
appieno la mia ira sopra Ràvano e i suoi consorti, sopra i
suoi figli e congiunti di sanguè, da me offerti al Dio della
morte. Vedranno oggi tutte quante le creature la mia forza,
il mio valore e il peso della mia possanza, il mio affetto
e la salda mia devozione a Ràma. Oggi queste mie braccia
avvezze ai sandali squisiti ed agli ornapmenti dell'armille,
agli amplessi delle donne e alle lor carezze , a trattar
ghirlande e vesti sottilissime, s'adopreranno in pro d'un
amico. Oggi con impeto d'ira disperderò per le regioni,
come fa il vento le nubi surte, la città di Lanka, colle sue
porte e co' suoi valli e collo stuolo de' suoi Racsasi somi
glianti a nere nubi. Colla forza e col vigor delle mie brac
cia io conquasserò Ràvano, veggenti i Racsasi, come fa Ga
ruda un serpente; e distrutto colui in battaglia, Ráma Icsva
cuide deporrà ad un tratto il suo corruccio, il suo affanno
e la sua pena. Quel Ràvano che si vanta eguale in forza
a Yama, ad Indra, a Varuna ed a Kuvera, non mi sfuggirà
oggi vivo. Vedrete in breve spedito il mio assunto nella
battaglia; e conquistata Sità, la renderò al magnanimo Ra
ghuide. Con tale opera stupenda farò io contento Ràma, sarò
sdebitato del mio incarico ed acquisterò gloria suprema;
e darò sgombro da ogni ostacolo a Vibhisana il regno che
gli fu promesso dal nobile e magnanimo Raghuide. Con
tali parole forti e di gran nervo, proferite con suon di sde
gno, il gloriosissimo e generoso re de' scimi, figlio del Sole,
rinfrancò il valor de' Vànari.

VOL, IlI. 14
210 RAMAVANA,

C A P IT O L O X X VI.

SCIOGLIMENTO DAL LEGAME DELLE SAETTE.

Ma Susena, uditi que' minacci di Sugriva, così disse: Ei


v'ebbe anticamente orribil guerra fra Devi ed Asuri: in essa
i Devi straziati dai Dànavi con nembi di saette si trovarono
forte afflitti, ed eran pur tuttavia tempestati con dardi dai
Dànavi e dai Daityi. Vrihaspati allora con erbe divine ed in
cantate con sacri carmi sanò i Devi travagliati, disensati e
quasi esanimi. Orvia dunqueSampâti, Panasa ed altri Vànari
vadano pronti e rapidi al mar di latte, e rechino qui quell'erba
salutare. I Vànari abitatori di monti ben conoscono quel
l'erba divina e sanatrice, schietta e prodotta dai Devi. Sulla
riva del mar di latte dove s'ergono i due monti Drona e
C'andra, là dove un dì fu diguazzata l'amrita, colà si trova
quell'erba divina; colà sulla sponda di quel mare furono dai
Devi come confitti que' due monti. Vada colà l'accorto Ha
numat figlio del Vento.
In quella il Vento fattosi presso a Ráma, gli mormorò
all'orecchio queste parole: O Ràma! O Râma dalle grandi
braccia! rammentati nell'animo chi tu sei; tu sei il vene
rando Nàràyana (Visnu) disceso quaggiù a cagion di Ràvano;
rammentati il divino e possente Vainateya (Garuda) che si
pasce di serpenti; ei vi discioglierà amendue da questo le
game orribile di serpi.
Udita quella voce, il Raghuide si rammentò il divino
Garuda, terrore de' serpenti. E in quell'istante si levò per
l'aria un vento con nuvole balenanti, si scommossero le
acque per l'Oceano e tremarono le montagne; per lo gran
ventar dell'ali precipitavano in varie guise rotti giù nel
mare con tutte le lor radici gli alberi cresciuti sulle sue
rive; erano spaventati i serpenti e gli angui che abitano
fra l'acque; e quelli ond'è più rapido lo strisciare, allentano
per paura il loro corso; tutti gli animali acquatici s'attuf
fano nel mare per paura, e con essi i Dànavi di corpo im
mane, abitatori delle cupe regioni del Pàtàla. Poco stante
tutti i Vänari videro su per lo cielo il fortissimo Vainateya,
YUDDHIACANIDA, 211
fiammeggiante come fuoco; e scorgendolo venire, si dile
guarono tutti i serpi. Allora que' serpenti sotto forma di
saette, da cui eran legati per le lor membra que' fortissimi
due eroi, fuggirono nel seno della terra. Colà Suparna riguar
dando i due Raghuidi e salutandoli, terse colle sue branche
i loro volti, soavi come la luna; e toccate appena da Vai
nateya, si rammarginarono tutte le lor ferite e rimasero in
uno istante d'un medesimo colore colle membra del lor corpo.
Ed avendoli quindi il fulvo Garuda baciati amendue, tor
marono in loro, ma raddoppiati, il vigor, la forza, la fer
mezza ed il valore, il senno e la previdenza.
Levatisi amendue, que' fortissimi pari ad Indra abbraccia
ron lieti Garuda, e Ráma così gli disse: Per tuo favore
noi abbiam prontamente superato il grave affanno di cui ne
fu causa il Rávanide, e fummo tosto risanati. Noi siam or
disciolti dal legame di quelle saette e fortemente rinvigoriti;
mirando te qui presso, così si rasserena l'animo mio, com'ei
farebbe, s'io vedessi Dasaratha mio padre e il mio gran
d'avo. Ma chi sei tu, o preclaro, fregiato di tanta beltà, che
porti serto ed unguenti divini, divini addobbi ed ornamenti?
Così interrogato con modeste parole dal magnanimo Ra
ghuide, Garuda rispose nel mezzo di quei silvani: Io son
tuo amico, o Ráma, e come un secondo tuo spirito esterno;
io son proprio e schietto figlio di Casyapa e di Vinatà e
mi nomo Garuda, e son qui venuto per prestarvi servigio
d'amico. Nè gli Asuri robustissimi, nè i fortissimi Dânavi,
nè i Devi, nè i Gandharvi con Indra loro duce eran atti
a disciogliere quell'orrendo legame di saette, formato dal
feroce Indragit per forza di malfa. Perocchè eran esse ser
penti Nairiti vigorosi, acri e venenati, ridotti a forma di dardi
per virtù d'incanto Racsasico e confitti nel tuo corpo. Ma
tu, o pio Ráma, col tuo fratello Lacsmano fosti sortito ad
alto destino ed hai forza verace; ond'è che non fosti ucciso
in quel conflitto. Ed io sì tosto come udi tal caso, venni
qui pronto e festino per amor di te e per riguardo alla
mia affezione. Ma tu non dei ora interrogarmi, o Ràma,
sulla cagione di tal mio affetto; quando tu avrai ucciso Rà
vano, conoscerai allora tutta intiera la cagion della mia ami
cizia. Or siete amendue divincolati da quell'orrendo legame
212 RAMAYANA,

di teli; tu dei ora, o Raghuide, apprestarti a combattere


con ogni tuo sforzo. I Racsasi guerrieri son tutti per natura
pieni di frodi nel combattere; ma voi altri eroi d'animo
temperato usate lealmente la vostra forza; perciò non è da
fidarsi dei Racsasi sul campo di battaglia; per ingenita loro
indole, o pio, i Racsasi son di continuo biechi, combattenti
con inganni e al tutto vili.
Com'ebbe così parlato a Ràma ed abbacciatolo con grande
affetto, Garuda sovrano degli aligeri prese a salutarlo: O
Ràma, ei disse, mio amico, caro eziandio ai tuoi avversari,
io desidero da te commiato e me n'andrò così , come son
venuto. Tu non dei ora ricercare, o Ràma, la cagion del
l'amicizia ch'io ti porto; compiuto che avrai il tuo assunto
tu conoscerai per te stesso, o prode, onde muova il mio amore.
Allor che coll'impeto delle tue saette, ucciso Ràvano in bat
taglia, più non avrai lasciato in Lanka fuorchè fanciulli e
vecchi imbelli, tu riavrai la Mithilese.
Ciò detto e salutato Ràma col girargli intorno da man
destra nel mezzo di que' silvani, il rapidissimo Garuda, so
vrano degli aligeri, penetrando nell'atmosfera, si dileguò.
Veduto quel prodigio e i due Raghuidi risanati, i scimi
tutti lieti misero grida altissime che atterrirono i Racsasi;
quindi ei si diedero ebbri di gioia a picchiar taballi, a bat
tere tamburi, a soffiare nelle conche e a imbaldanzire come
prima. Que' Vànari di terribile forza, colla faccia sogghi
gnante per allegrezza, facevan clamori confusi di giubilo;
altri andavano saltellando e davan di piglio a rami d'alberi
e li scagliavano per ogni parte, ed altri di que' forti col
volto irradiato di gioia, dibarbando alberi a furia, se ne
stavano colà desiderosi di far battaglia. Così que” scimi stre
pitando con gran fracasso e spaventando i Racsasi, s'accosta
rono alle porte di Lanka tutti intenti a rappiccare nuova zuffa.

C A P IT O L O X XV II.
SORTITA DI DIUMIRAKSA,

Ma Ràvano in un coi Racsasi udì quel rovinío tumultuoso


degli impetuosi Vànari strepitanti; e udito il fragor di quei
silvani profondo e denso, così parlarono a Ràvano i suoi
YUDDHACANDA, 213
consiglieri: Come ei s'è levato là fra i Vánari rimbalditi
quel gran clamor confuso, simile a nuvole mugghianti, così
è certo ch'egli è surta colà qualche gran causa d'allegrezza:
perocchè que'scimi colle lor grida strabocchevoli scommuo
vono quasi il mare. L'esser Ràma e Lacsmano vincolati da
dardi acuti e l'udire ad un tempo tale strepito immoderato
ne dan molto da sospettare. Intese quelle parole de' suoi
consiglieri, Ràvano così disse ai Racsasi che gli stavano vi
cini: Si vada or prontamente a riconoscere qual motivo di
giubilo sia nato fra que' selvaggi, mentre egli hanno sì gran
cagione d'esser dolenti. Conforme a quel comando i Racsasi
saliti con frettolosa agitazione sopra il vallo, videro l'oste
nemica capitanata dal magnanimo Sugriva, e i due eccelsi
e prestanti Raghuidi risorti e sciolti dal legame delle saette;
di che rimasero tutti sgomentati; e discesi giù dal vallo co
sternati d'animo, mesti e colla faccia sbigottita, vennero
innanzi al re di Lanka, e con sembiante affannato tutti quei
Racsasi di destra favella riferirono schietto a Rávano il duro
fatto: Que' due fratelli Ràma e Lacsmano, di forza pari a
sovrani elefanti, che testè nella battaglia furon legati da
Indragit con vincolo di saette e ridotti a non poter pur
colle braccia dare un crollo, or disciolti dal legame di quei
dardi, son risorti in fronte di battaglia, a guisa di due ele
fanti che abbian rotto i lor legacci.
Uditi que' lor detti, il fortissimo re de' Racsasi col volto
smorto e coll'animo sopravvinto da tristi pensieri, così disse:
Que' due miei nemici furono pur da Indragit legati violen
temente fra la battaglia con orrende saette pari a serpenti,
infallibili e ardenti come sole, ottenute per dono divino;
se dopo essere stati allacciati fra que' vincoli di dardi, ei
pur ne vennero disciolti, ben veggo che si trova in grave
dotta tutto questo mio esercito. Tornaron dunque inutili
quelle saette che pur aveano l'acre vigor di Vàsuki e da
cui fu fra la battaglia tolta la vita ai miei nemici!
Ciò detto, divampando per grand'ira e soffiando come
un serpe, così ei parlò nel mezzo di quel consesso al Rac
saso per nome Dhùmràksa: Tu con una grand'oste di Racsasi
d'opere tremende esci a combatter Ràma e quel suo eser
cito di selvaggi. Inteso quell'ordine dell'avveduto
9
re dei
214 RAMAYANA,

Racsasi , Dhúmràksa, inchinatosi , uscì quindi tutto baldo


fuor della reggia; ed ito fuori della porta, così parlò al
duce supremo dell'esercito: Fa che tosto qui venga pronta
un'oste; non voler frapporre indugio, mentre io ardo di
combattere.
Udendo que' detti, di Dhùmràksa, il valoroso Racsaso che
soprasta a tutto l'esercito, ordinò animoso e pronto un'oste
conforme al comando di Ràvano. Que' robusti e fieri Ra
csasi, legati lor tintinnabuli, ed urlando baldanzosi, si strin
sero intorno a Dhùmràksa. Armati d'armi diverse, brandendo
aste e mallei bellici, clave, ascie, mazzapicchi e bastoni fer
rati, mazze, giavellotti, pili, spade e scuri, uscirono quei
Racsasi da tutte le parti, strepitando e agognando la bat
taglia. Altri di que' feroci, d'arduo accesso come le tigri e
ricoperti a maglia, sortirono sopra carri tutti aurati e adorni
di vessilli, sopra asini di sozzo aspetto, sopra cavalli velo
cissimi e sopra elefanti furibondi. Dhûmràksa orribilmente
strepitante salì sopra un carro eccelso tirato da asini, or
nati d'aurei addobbi, con faccie di lupi e di leoni; e cir
condato da' suoi Racsasi uscì quell'animoso, sogghignando,
dalla porta occidentale là dove stava il Vànaro Hanumat.
Mentre così progrediva quel Racsaso d'alto valore e di
terribile forza, apparvero a mano a mano più portenti spa
ventosi. Calò sulla parte più eccelsa del carro un terribile
avoltoio; e sulla sommità del suo vessillo discesero stormi
insieme accolti di nere coccoveggie. Un tronco biancheggiante,
sanguinoso e immane cadde a terra presso a Dhùmràksa ,
strepitando orribilmente; piovve gocce di sangue una nube,
tremò la terra, e spirò con fragore di bufera un vento av
verso e turbinoso; le plage s'oscurarono avvolte in fitta te
nebra; e gli avoltoi, i corvi, i falchi ed altri augelli che si
pascono di sangue, misero grida dissonanti vicino a Dhù
mràksa. Scorgendo aperti tali orribili presagi, cagion di sgo
mento ai Racsasi, rimase Dhùmràksa intimorito.
YUDDHACANDA, 215

cAP 1T o Lo xxv 111.


MORTE DI DHUMIRAKSA.

Veggendo uscire il Racsaso Dhúmràksa con occhi sangui


menti, tutti i Vànari esultando levarono grida altissime, de
siderosi di battaglia. Allor cominciò una zuffa tumultuosa
fra scimi e Racsasi , che cadevano a vicenda in quel con
flitto rotti da mazze orribili. Erano atterrati i Vànari dai
fieri Racsasi, grandeggianti e robustissimi, e vicendevolmente
i Racsasi dai Vànari con grossi tronchi d'alberi. I terribili
Racsasi arrovellati ferivano i Vánari con saette acute, pen
nate di penne d'aghirone e volanti dritte al segno; e i for
tissimi Vànari lacerati dai Racsasi con clave orrende, con
ascie e scuri, con immani mazze ferrate, con ticuspidi pic
che e con ispade, ed accesi in maggior rabbia combattevano
animosamente. Colle membra squarciate dai dardi, coi crani
fracassati dalle picche, i scimi dieder di piglio a pesanti
roccie e ad alberi, e fieramente ruggenti ed impetuosi tem
pestavano que' Racsasi, rallegrando l'oste Vànarica. Vie più
feroce venne da lor raccesa la battaglia con sassi smisurati
e con alberi ramosi. Alcuni di que' Racsasi che si nutrono
di sangue, caddero atterrati con colpi di roccie dai Vànari
vittoriosi, e vomitando sangue; altri erano lacerati per li
fianchi o sgretolati da tronchi d'alberi o infranti da maci
gni o dilaniati coi denti; ed altri fra que' Racsasi furono
stramazzati colle lor bandiere sconquassate e rotte, colle
lor scimitarre abbattute, coi loro carri fracassati. Andaron
sossopra a terra cadenti sopra caduti insieme coi loro carri
e cogli elefanti simili a monti; ed essi e i cavalieri veni
vano dai cavalli calpestati in sulla terra. Eran dai Vànari
terribilmente poderosi e spiccanti salti a furia percossi i
Racsasi e sgraffiati per la faccia con unghie aguzze; e fatti
vie più sozzi nell'aspetto coi lor capegli arruffati, e ineb
briati dall'odor del sangue, ei stramazzavano a terra. Alcuni
fra que' Racsasi di terribile forza ed oltremodo inviperiti
percuotevano i scimi colle palme della mano, i cui colpi
erano pari a colpi di fulmine; ma i scimi vie più conci
216 RAMA YANA.

tati tempestavano in quel conflitto con pugni e calci a furia


i Racsasi che li assalivano. Rotti dai Vànari e scombuiati
dalla paura, i Racsasi si sbandarono per le regioni, a guisa
di cervi straziati e malmenati dai lupi.
tia il feroce Dhíùmràksa veggendo sgominata la sua oste,
si diè con rabbia a fare scempio dei Vànari ardenti alla
battaglia. Allor fra i scimi chi fu straziato da Dhùmràksa
con dardi adunchi, chi percosso con mallei cadde steso a
terra; chi fu pesto con mazze ferrate, chi lacerato da gia
vellotti; altri furono percossi e sparati con ascie, altri tra
boccati morti a terra immersi nel lor sangue; altri furon
cacciati in fuga e sbaragliati, chi squarciato al cuore, chi
lacerato ai fianchi; altri furono scuoiati con tricuspidi picche
o sbranati coi denti da que' Racsasi innebbriati nella bat
taglia. Fu terribile quella gran zuffa combattuta fra scimi e
Racsasi, ardente, fatta con armi diverse, con macigni e tronchi
d'alberi, or distinta, or confusa ed ora occulta; ell'era come
la danza dei Gandharvi con canti e lento battere di mani;
le corde degli archi n'erano i vari stromenti incordati, i
singhiozzi la battuta del tempo. Ma Dhùmràksa, coll'arco in
mano e sogghignando, sbarattava in quella battaglia per
ogni parte i Vànari con nembi di saette.
Il Màrutide allora veggendo sì malmenato da Dhùmràksa
il suo esercito, accorse tutto irato, brandendo un gran ma
cigno; e cogli occhi per lo sdegno due volte più sanguigni
che l'usato, e con impeto pari a quel del Vento che è suo
padre, scagliò quella roccia sopra il carro di Dhùmràksa.
Veggendo venir quel masso, il Racsaso, sollevata in un
subito la sua clava e saltando giù dal carro, stette fermo
sopra il suolo; e quel gran sasso, sgretolato tutto il carro,
rovinò a terra.
Ma il Màrutide Hanumat, rotto il carro di colui col temo,
colle ruote, col vessillo e coll'arco che v'era sopra, si diede
a far strage dei Racsasi con tronchi e rami d'alberi. Infranti,
sanguinosi, colle teste fracassate caddero a terra i Racsasi
abbattuti da colui con fusti d'alberi. Sbaragliata l'oste dei
Racsasi, il Màrutide Hanumat arrappato un vertice di monte,
corse sopra Dhùmràksa. Il qual, levata rapidamente la sua
clava, corse incontro ad Hanumat che ruggendo veniva ad
YUDDHIA CANDA, 217
assalirlo nella battaglia, e con grand'impeto lanciò nel petto
dello sdegnato Hanumat la sua clava nocchioruta. Ma ben
chè percosso da colui nel petto con quella orribil clava ,
pur non isbigottì il possente Màrutide; e nulla curando quella
botta, lo scimio poderoso come il Vento scagliò sul capo
di Dhúmràksa quel gran vertice di monte. Percosso da quel
cacume di monte e scrollato in tutte le sue membra, cadde il
Racsaso subitamente a terra, disteso come un grand'albero.
Visto Dhùmràksa stramazzato, i Racsasi che pur eran ri
masi vivi, rifuggiron tremanti in Lanka, perseguìti e tem
pestati dai Vànari. Ma giacque Dhùmràksa a terra fuor di
senso, col capo ricadente e vomitando sangue dalla bocca,
tutto scommosso, cogli occhi sanguinenti, colle ginocchia
affrante, coi femori e col petto sconquassati. Veggendo la
terra intorno coperta di Racsasi morti e tutta intrisa di limo
sanguigno, il Màrutide affaticato da quella lotta mortale al
suo nemico, tutto si rallegrò, circondato da' suoi amici.

C AP IT O L O X XIX.

SORTITA DI AKAMPANA.

Come udì ch'era ucciso Dhúmràksa, Rávano turbato dal


l'ira così parlò al soprastante dell'esercito, che gli stava
dinanzi in atto di reverenza: Escano or prontamente a rin
novare la battaglia Racsasi di terribile aspetto, esperti nel
combattere e insuperabili, capitanati da Akampana. Costui ben
sa ed ordinare e far difesa, ed è sovra ogni altro saputo
in guerra; ei sempre desiderò il nnio ingrandimento e sem
pre ebbe cara la battaglia. Il prode Akampana inconcusso
e pari di vigore al sole, non potrebbe esser scrollato nep
pur dagli Asuri e dai Devi in un con Indra. Ei vincerà i
due Raghuidi e quel fortissimo Sugriva, e disperderà gli
altri Vánari feroci.
Ricevuto da Ràvano tal comando, l'animoso e pronto so
vrastante dell'esercito ordinò con subita prestezza una nuova
oste; e que' prestanti Racsasi da lui eccitati uscirono armati
d'armi diverse, con occhi fieri e fiero aspetto; e l'illustre
Akampana fregiato d'aurei pendenti e cinto da que' Racsasi
218 RAMAYANA,
tremendi sortì seduto sul suo carro. Ma mentr'ei s'affrettava
d'uscire, i cavalli del suo carro caddero ad un tratto e senza
causa sulle lor groppe, come sopraffatti da terrore; gli
prurì l'occhio ed insieme il braccio sinistro, si mutò il color
della sua faccia, e si fe' balbuziente la sua voce. S'infruscò
e rabbuiossi il cielo, spirò un orrido vento, e misero le belve
voci alte ed aspre e spaventose. Ma quel forte che ha curvi
gli omeri a guisa di leon furente e vigor pari ad una tigre,
disprezzando que' portenti, pur sortì. Mentr'egli usciva coi
suoi Racsasi, si levò un clamore altissimo che scommosse
quasi il mare; e per quell'immenso strepito la grand'oste
dei Vànari, armata d'alberi e di massi, s'apprestava alla bat
taglia.
In quella si rappiccò una nuova e terribil zuffa tra scimi e
Racsasi, disposti a perdere la vita per cagion di làvano e di
Ràma. Chè tutti e scimi e Racsasi erano eroi fortissimi, tutti
grandeggiavano come monti ed anelavano a distruggersi l'un
l'altro. S'udiva fra la battaglia il gran fracasso di que' furiosi
combattenti che strepitavano e ruggivano l'un contro l'altro
per gran rabbia. Un immenso polverio, spaventoso e fosco,
levato da terra dai Racsasi e dai scimi, ingombrò le dieci
plage; ed involti gli uni e gli altri in quella polvere, gialla,
monachina, bianca e persa, più non si vedevano sul campo
di battaglia; più non discernono fra quel polverío nè le ban
diere, nè i vessilli, nè gli scudi, nè i cavalli, nè l'armi e
i carri. Solo s'udiva fra quella puntaglia tumultuosa un ru
mor confuso di chi rugge e di chi assalta, ma niuna forma
più appariva distinta. In quella mischia i scimi irati feri
vano i scimi ed i Racsasi ammazzavano i Racsasi in quel
conflitto; Vànari e Racsasi tagliando a pezzi alla rinfusa i
loro ed i nemici, facevano rossa di sangue la terra e san
guinoso limo in quella battaglia. Ma dal sangue che sgorgava
fu sedata e spenta la polvere e si vide la terra ingombra
'da mucchi di saettame; chè scimi e Racsasi si ferivano a
vicenda e di tutta forza con roccie ed alberi, con aste e
dardi pennati, con clave, lance e mazze ferree. Lanciando
colle lor braccia simili a clave tronchi d'alberi smisurati i
terribili scimi ferivano i Racsasi in quella pugna, ed i Rac
sasi rabbiosi, armati di mallei e di dardi adunchi e d'in
YUDDHIACANIDA, 219
vincibili saette, laceravano i scimi. In questo i prodi Vànari
Kumuda e Nala, Meinda e Dvivida fecero quivi gran pun
taglia; menando pugni a furia e fronteggiando l'oste dei
Racsasi, quegli animosi duci de' scimi facevan quasi per
trastullo strage orrenda.

C A PIT O IL O XXX.

MORTE D'AKAMPANA.

Veggendo il crudo scempio de'Racsasi che facevano i


Vànari in quel conflitto, arse di fiero sdegno Akampana; e
col volto rabbuiato dall' ira, vibrando saette ed arco e
guardando dispettoso l'oste nemica, così parlò spedito al
suo auriga: Mentr'io sto pur qui tremendo a' miei nemici
e irresistibile, non fia che que' feroci Vànari mettan per
forza in rotta il mio esercito; or via, o auriga, fa di con
dur colà prontamente il mio carro: chè i scimi fanno quivi
sanguinoso mucchio di Racsasi. Io voglio rompere in bat
taglia quegli orgogliosi battaglieri, che han fatto sì gran
strage nell'esercito de' Racsasi. Ciò detto, il possente Akam
pana, eccelso fra i curuli guerrieri, assalì pien d'ira i scimi
col suo carro tratto da rapidi cavalli. Non poterono i Và
nari star fermi, non che resistere combattendo; e martel
lati dalle saette d'Akampana , ei si diedero tutti a fuggire.
Ma il fortissimo Hanumat, veggendo caduti nelle mani
d'Akampana e condotti a morte i suoi congiunti si levò in
contro al Racsaso. Allor che videro levarsi quel gran scimio,
tutti i prestanti Vánari, rannodatisi nella battaglia, intornia
rono quel prode d'ogni parte; come videro pronto a far pun
taglia il valente Hanumat, tutti que' valorosi, ringagliarditi
si raccolsero intorno a lui.
Ma Akampana con nembi di saette si diede a tempestar
Hanumat che gli stava fermo innanzi come rupe, a guisa
che il grande Indra inonda con pioggie un monte.
Ma il fortissimo Vànaro niun pensiero dandosi di quella
pioggia di saette che cadevano sul suo corpo, pose tutto
l'animo a trucidare Akampana; e sogghignando, quel prode
figlio del Vento corse addosso al Racsaso, facendo quasi
220 RAMAYANA.

tremar la terra. Era insostenibile l'aspetto di quel Vànaro


che ruggiva e ardendo sfavillava, qual è il sembiante d'In
dra, allor ch'ei vibra il fulmine. Ma scorgendosi disarmato,
ei diradicò pien d'ira una robusta shorea, alta come il ver
tice d'un monte, ed afferrata con sola una mano quella gran
shorea e levando grida altissime, atterrì quel possente tutti
i Racsasi; quindi egli assalì Akampana lor duce , sì come
Indra irato assalì un dì in battaglia Namuci per dargli morte.
Come Akampana vide da lungi sollevata quella gran shorea,
ratto ei la spezzò con dardi poderosi, somiglianti a mezza
luna; e veggendo quella gran shorea, rotta dal fiero Rac
saso e cadente dispersa per l'aria, Hanumat tutto sbaì. E
vie più fervente ad uccidere colui, il robustissimo Vànaro
dibarbò con subita foga un'altra shorea smisurata, ed affer
rato quell'albero immane e sogghignando per gran gioia,
l'andò quell'animoso squassando nella battaglia. Correndo
con tutta la foga de' suoi femori e schiantando altri alberi
e solcando coi piedi la terra, il ferocissimo Hanumat for
bottò rabbioso in quella mischia elefanti coi lor montatori
cavalli e carri e Racsasi pedestri. Veggendo colà Hanumat
che irato e pari all' angelo della morte, menava sì gran
strage nella battaglia, si diedero i Racsasi a nuova fuga. Ma
il forte e prode Akampana guardò quel Vánaro arrovellato
che assaliva ed atterriva i Racsasi, ed arse d'ira; e con
quattordici saette aguzze, laceranti gli organi vitali, quel
valoroso squarciò Hanumat nel petto. Ferito da colui con
dardi pari a fiamme, il valoroso Hanumat apparve tutto
insanguinato; ma vibrando l'albero ch'ei tenea e facendo im
peto supremo, ei percosse in un subito alla testa il Racsaso
Akampana. Il quale, toccata sulla testa l'orribil botta di quel
l'albero scagliato dallo scimio, cadde a terra subitamente e
perdè la vita.
Visto atterrato e tremebondo Akampana, si diedero a tre
mar tutti que' Racsasi, sì come alberi, allor che è scossa la
terra; e gettando le lor armi, tutti que' forti Racsasi se ne
fuggiron dritti a Lànka, incalzati dai Vànari. Scapigliati,
sgominati, sbaldanziti e vinti, e scombuiandosi l'un l'altro,
eglino entrarono nella città, guardandosi dietro a quando
a quando per lo sgominio del terrore; ed i Vànari silvani
YUDDHIACANDA, 221
veggendo la prescia di que' Racsasi che abbandonavano la
battaglia e rifuggivan per paura alla città, levavano alti
clamori.
Come si furon rinchiusi in Lanka i Racsasi, que' fortissimi
scimi assembrati, onorarono Hanumat; e il generoso Màru
tide degnamente riverito e tutto esultante , onorò alla sua
volta tutti que' Vànari; ed onorati que' scimi e compiuta
quell'ardua opera, il robusto Hanumat se n'andò là, dov'e
rano Ràma e Lacsmano. Trucidati que' Racsasi, il gran Mà
rutide ottenne gloria d'eroe incomparabile, sì come indra
uccisi i Dànavi e sconquassate le nemiche squadre degli
Asuri. Le schiere dei Devi e Ràma stesso ed il fortissimo
Lacsmano resero onore a quel gran scimio, e così Sugriva
coi Vànari più cospicui e l'accortissimo Vibhisana.

CAPITO IL O X XXI.

SORTITA DI PRAHIASTA.

Allor che l'iroso Ràvano udì la disfatta d'Akampana, en


trò fra sè in pensiero colla mente alquanto conturbata; e
com'ebbe considerato per brevi instanti ogni cosa coi Racsasi
suoi consiglieri, uscì fuor della sua reggia, movendo per
isdegno caldi sospiri. Quindi il re de' Racsasi con tutti i suoi
ministri si diede a circuire la città di Lanka per osservare
ogni falange. Ei vide Lanka difesa da schiere di Racsasi,
cinta da molte coorti e tutta sparsa di bandiere e di ves
silli. Ma osservando la città assediata, Ràvano ardente d' ira
così parlò allora a Prahasta prode in guerra: Tu uscendo
da questa città chiusa d'assedio e fortemente stretta, va e
combatti in aperta battaglia e fa di conquidere l'oste ne
mica. Nessun altro io veggo così possente in guerra, come
sei tu, guerriero esperto. Io o Kumbhakarna, ovvero tu duce
del mio esercito, od Indragit o Nikumbha potremmo soli
portare un tanto peso. Togliendo con te quest'esercito e
capitanandolo, esci or dunque ad acquistar vittoria e sperdi
tutti que''Vànari. Per la sola tua sortita, o prode, quella
volubile oste di scimi, udendo il fragore de' Racsasi stre
pitanti, si volgerà in fuga; chè i Vànari son mobili, indi
222 RAMAYANA,

sciplinati e di mente instabile; ei non sopporteranno il tuo


clamor guerriero, sì come gli elefanti non reggono al rug
gito de' leoni. Volti in fuga i principali fra que' Vànari,
Ráma e Lacsmano, rimasi senza sostegno, cadran di neces
sità nelle tue mani. Egli è pur meglio travagliarsi in cosa
dubbiosa che l'operar fuor d'incertezza; che se alcun'altra
cosa tu giudichi seconda o avversa, di' ciò che ti pare
opportuno.
Esortato da Rávano con tai detti, il prestante Prahasta
così rispose al re de' Racsasi, come Usanas al re degli Asuri
(il sole?): Ei fu già, o re, tenuto consiglio in prima con
consiglieri esperti, e nacque tra lor raccolti insieme contesa
dell'un coll'altro. Io reputai miglior partito quello di render
Sità; chè non rendendola, io prevedeva che si raccende
rebbe la guerra. Ma io fui sempre da te careggiato, o re,
con doni, con onori e blandimenti; come potrei non fare
ora quel che t'è caro? Or dunque siano oggi satollati i car
nivori augelli colle carni di que' selvaggi da me disfatti sul
campo di battaglia coll'impeto delle fulminee mie saette:
chè io non deggio aver riguardo alla mia vita, nè ai figli,
alle consorti o alle ricchezze; eccomi qui pronto a sacrifi
car per te la vita nella battaglia.
Ciò detto a Ràvano suo donno, il duce Prahasta così parlò
al soprastante dell'esercito che era colà presente: Appre
stami qui tosto una grande coorte di Racsasi; chè oggi
disperderò ben io col mio vigore quel grande esercito di
Váinari. -

Così eccitato da Prahasta, il soprastante dell'esercito mise


in pronto tutto sollecito un'oste in quella sede di Racsasi;
e in un momento Lanka fu tutta scommossa, come da ele
fanti furibondi, da que' Racsasi animosi, armati d'armi ta
glienti d'ogni sorta. Mentre costoro attendevano a satollare
con pingui oblazioni il sacro fuoco e veneravano i Brahmani
levossi olezzante un'aura, che sen portava le sacre offerte.
Satollato con larghe oblazioni conforme ai riti il sacro fuoco
e salutati quindi i Brahmani con parole benedicenti, ei
si disposero poscia alla battaglia. Tutti que' forti Racsasi
incantati con carmi magici, cinti intorno al capo di varie
ghirlande, armati di tutto punto e baldanzosi, vestiti di ma
YUDDHACANLDA. 223
glia e coll'arco in mano, spiccando salti impetuosi e guar
dando Ràvano, si schierarono intorno a Prahasta. Il quale,
poich'ebbe salutato il re, battendo il formidabile taballo e
vibrando l'arco incordato, salì sullo splendido suo carro,
fornito d'ogni arme e vittorioso, strepitante con cento tin
tinnabuli, tirato da rapidi cavalli ed incitato dall'auriga,
fragoroso come nube, radiante e splendido al par del sole
e della luna e con bandiera inalberata, cinto d'un bell'orlo
che il difende, nobilmente lavorato e insuperabile, adorno
di molt'oro e quasi fiammante col suo splendore. Salito su
quel carro ed avuto ordine da Ràvano, egli uscì rapido da
Lanka, seguitato da grande esercito; e mentre s'inoltrava
quel sommo duce, s'udì un grande strepito di taballi, pari
al fragor di nube che mugghia, e con esso il suono delle
conche. Con quel grande e fiero esercito ordinato, somi
gliante ad una gran schiera d'elefanti, uscì colui fuor della
porta orientale. Andavano innanzi e levavan grida orribili
que' Racsasi.tremendi e immani, che precedevano Prahasta;
ed al fracasso della sua sortita, ai ruggiti di que' Racsasi
rispondevano in Lanka le grida tumultuose di tutte le crea
ture.
Ma oscurando ad un tratto l'aer sereno e tuonando con
gran rombo, piovve il terribile Indra gocce di sangue sopra
il carro di Prahasta; e sulla cima del suo vessillo si posò
un avoltoio colla faccia rivolta ad austro. Orribili sciacali
vomitando fiamme di fuoco, ulularono orrendamente; cadde
dal cielo una meteora ignita e spirò un orrido vento; ed
interponendosi gli uni agli altri, più non risplendevano i
pianeti. Più non gettava ombra il corpo di Prahasta, allor
ch'ei movea alla battaglia; e mentrechè il suo auriga pe
netrava per entro l'oste, gli cadde più volte dalle mani a
terra il pungolo, con cui eccitava i cavalli. Quell'aureola di
splendore, difficile ad ottenere, che rifulgeva intorno a Pra
hasta, allor ch'egli si, partiva, venne meno subitamente, men
tr'ei s'inoltrava alla battaglia; e i suoi cavalli avean la faccia
sparsa di lacrime ed incespavano in piana via.
Scorgendo que' sinistri ed orridi portenti, Prahasta che
pur volea quivi mostrar la sua fermezza, così parlò ai Rac
sasi: Sarò qui io l'angelo della morte allo stesso letal Yama
224 RAMAYANA.

ed incenderò eziandio il fuoco; saprò ben io sottoporre alla


legge del morire Yama stesso. Udendo que' detti di Prahasta
là sul campo di battaglia, marciaromo vie più concitati i
Racsasi anelanti al gran conflitto.
In quella l'oste de' Vànari diversamente armata si mosse
a battaglia incontro a quel Racsaso che s'inoltrava, famoso
per prodezza e per valore; e si levò un fracasso tumultuoso
fra que' scimi che schiantavano alberi e davan di piglio a
roccie enormi. Erano balde e liete amendue quell'osti dei
Racsasi e dei Vànari, tutti pronti e poderosi, ed avidi di
struggersi l'un l'altro.

CAPIT o L o XXXII.
MORTE DI PRAHIASTA.

Allora il grande esercito dei robusti Vànari , esultanti e


provocanti il nemico con ruggiti, mirò il terribile Prahasta .
di forza tremenda e di gran corpo , che ruggendo s'inol
trava, circondato da' suoi Racsasi. Scimitarre e lancie, spade,
dardi, picche e mazze, clave, bastoni ferrati, ascie di varie
maniere ed archi variamente colorati risplendevano fra le
mani dei Racsasi, cupidi di vittoria e correnti sopra i Và
mari; ma questi avidi pure di battaglia brandivan alberi
fiorenti e massi d'ogni maniera. Affrontatisi insieme gli uni
e gli altri, nacque tra loro fiera battaglia, gettando gli uni
a precipizio pioggia di massi, gli altri nembi di dardi. Gran
numero di Racsasi ferirono in quella mischia gran numero
di prodi Vànari, e gran numero di Vànari spensero molti
Racsasi. Vomitavan sangue i scimi, chi rotto da picche, chi
percosso da ferree mazze, chi accismato da ascie: alcuni
caddero a terra trafelati , altri col capo infranto o lacerati
da saette; altri partiti in due da scimitarre, stramazzarono
palpitando, ed altri furono dai Racsasi squarciati ai fianchi
con aste. Ma le falangi dei Racsasi furono alla lor volta
sgretolate a terra per ogni parte dai Vànari ardenti d'ira
con alberi e con vertici di monti: ed altri zombati fiera
mente con pugni e con palmate, pari a colpi di fulmine,
vomitavan sangue dalla bocca, stesi a terra coi denti fra
YUDDHACANDA, 225
cassati. Sorse quivi un clamor confuso di Racsasi e di scimi
che mettevan urla di dolore o levavan gridi di guerra. Và
nari e Racsasi, saldi nella via degli eroi, con occhi torvi
e accesi d'ira facevan colà opere di gran bravura.
In quel mentre i prodi che stavan pronti agli ordini di
Prahasta, gli eroi Dhurandhara, Kumbhahanu, Mahànàda e
Samunnada, tutti costoro ministri di Prahasta si mossero
contro i Vànari: ma Dvivida con un cocuzzolo di monte
percosse ed atterrò Dhurandhara uno dei quattro che av
ventatisi con grand'impeto, tartassavano i Vànari; lo scimio
Durmukha, dato di piglio a un albero immenso, sfracellò
Samunnada, veggente Prahasta; il robusto G'ambavat tutto
infocato per ira, divelto un gran macigno, lo scagliò contro
il petto di Mahânàda; Tàra ferocissimo in battaglia, sbal
zando con subita foga armato d'un grand'albero, tolse in
quel conflitto la vita a Kumbhahanu.
Ma non potendo Prahasta sopportare tanto ardire, si diede
fermo sul suo carro e coll'arco in mano a fare strazio orribile
dei Vànari. Si levò allora in quel grande esercito un gran
scompiglio, simile ai vortici dell'Oceano immensurabile,
estuante nella sua piena. Chè Prahasta furente nella battaglia
straziava irato i Vànari con nembi di saette in quell'orribile
mischia. Già era la terra ingombra d'orridi corpi di Vànari
e di Racsasi, quasi di monti rovinati; ed inondata da rivi
di sangue così appariva, qual suol essere nel mese Màdhava
(aprile-maggio) tutta coperta di rossi fior di butea.
Ma Nila ravvisò prontamente Prahasta, che fermo sul suo
carro saettava nugoli di dardi e faceva strazio de' scimi; e
quel possente e grande Vànaro, dibarbato un albero, si diede
a martellar Prahasta che faceva impeto oltre ogni altro in
superabile. Ma il fiero Racsaso forbottato dallo scimio e rug
gendo irato, vie più saettava a furia nembi di dardi contro
il duce de' Vànari. E sì come un toro riceve cogli occhi
socchiusi una subita scossa di pioggia autunnale, ch'ei non
potè evitare; così lo scimio Nila cogli occhi socchiusi e con
gran fermezza sopportò quell'orrendo scroscio di dardi lan
ciati da Prahasta. Ma indegnato al fine da quella tempesta
di saette, il possente Nila, diradicata una robusta shorea,
infranse i rapidissimi cavalli di Prahasta.
VOL, III, 15
226 RAMAYANA.

Questi allora, gettati via dalle sue mani arco e saette e


dato di piglio a un'orrenda clava, saltò giù dal suo carro;
e i due guerrieri infocati di sdegno, pieni d'impeto e d'ar
dire, e insanguinati per tutto il corpo, somigliavano a due
rosse butee fiorenti. Ei si dilaniarono l'un l'altro coi denti
aguzzi, pari ad un leone e ad una tigre e amendue vigo
rosi come una tigre ed un leone: que' due prodi che mai
non indietreggiano nelle battaglie, anelanti con fiero ardore
alla vittoria, agognavano gloria sovrana, sì come un dì il
fulminante Indra e Vritra. Quivi Prahasta con gran conato
ferì Nila sulla fronte colla sua clava, e ne spicciò vivo il
sangue; e il grande scimio bagnato di sangue e corrucciato
vibrando un albero immenso, lo lanciò nel petto di Prahasta.
Ma costui nulla curando quella percossa e brandendo di
nuovo la sua clava, s'avventò con forza contro il forte sci
mio Nila; il qual veggendo venir colui concitato e impe
tuoso, arrappò colle sue grandi membra un gran macigno;
e di botto scagliò quel masso contro il capo di Prahasta,
combattente con clava in quel conflitto e tutto travinto dal
l'ira. Quel grande e orribil masso lanciato dal fiero scimio,
sfracellò la testa di Prahasta; ed il Racsaso squallido, svi
gorito, esanime e fuor di senso, cadde subitamente a terra,
come un albero eradicato. Sgorgò molto sangue dal corpo
di quel Racsaso e dal suo capo fracassato, come sgorga giù
d'un rivo l'acqua che stava rinchiusa.
Ucciso Prahasta dal magnanimo scimio Nila, i Racsasi
ravviliti corser fuggendo a Lanka; spento il duce dell'eser
cito, ei più non poterono rimaner fermi in battaglia, a guisa
d'acqua che si spande, ov'egli avvenga ch'ella trovi rotto
l'argine. Morto quel duce, nessun più v'era d'animo virile
fra quell'esercito di Racsasi che obbediva a Prahasta.

C A P IT O L O X XXIII.
DISCORSO DI MANDODARI.

Come udì la morte di Prahasta, il possente Ràvano re


de' Racsasi ordinò immantinente che s'apprestassero altri
guerrieri: Or ben veggo, ei disse, che non si vogliono aver
a vile tali nemici, da cui fu disfatto co' suoi carri ed ele
YUDDHIACANDA, 227
fanti il capitano del mio esercito, che già sconfisse le forze
d'Indra. Sortirò io stesso con carri, cavalli ed elefanti e
con intiere falangi di Racsasi a rompere il nemico e ad
ottener splendida vittoria; io stesso solverò il nodo dell'ini
micizia che ho con Lacsmano e con Râma; andrò io stesso
senza ritardo ad affrontare la battaglia. Io con nembi di
saette arderò l'oste de'Vànari e Ráma e Lacsmano, sì come
arde il vento un'arida selva. Col sangue di que' scimi farò
io satolla la terra, e manderò alla magion di Yama que' due
figli di Dasaratha.
Ciò detto, il poderoso Ràvano, terror del mondo, si dis
pose ad avviarsi ratto e pien di sdegno e cinto da tutte le
sue falangi.
Ma la leggiadra donna, consorte di Rävano, per nome
Mandodari, udendo ch'ei voleva muovere a battaglia, levatasi
s'avviò colà dov'egli era. Accompagnata da Yupäksa e te
nendo per la mano Màlyavat, intorniata da consiglieri ac
corti e saggi e da altri ministri egregi e da Racsasi por
tanti bacchette in mano per discostare le persone e strumenti
di suono giocondo, seguitata da donne attempate e da don
zelle e da gran numero di fervidi guerrieri coll'armi in pu
gno, pervenne quella donna sovrana all'assemblea, dove stava
il re de' Racsasi, assistito da Atikâya che gli teneva il re
gale ombrello, e ventato da donne prestanti con roste tutte
adorne. Quivi la figlia di Maya entrò per veder Rávano in
quella nobil aula, fulgidissima di splendore, ampia otto mila
cubti, ornata di vessilli e di ghirlande e guardata da cu
stodi che con bacchette e mazze in mano tengon discosta
ogni persona. Veggendo colà giunta la bella Mandodari,sua
consorte diletta, Rávano levossi con sollecita prontezza ad
abbracciarla, e salutatala degnamente, si ripose quindi sopra
il suo seggio regale; e contristato , afflitto per la morte
d'Akampana e di Prahasta, cogli occhi rossi d'ira per l'offesa
fatta a Lanka, coll'animo conturbato ed anelante alla batta
glia, così parlò, come si conveniva, con voce profonda e forte:
Qual è il motivo della tua venuta, o donna? ti piaccia
aprirmelo prontamente. Perchè ti sei tu qui recata così sol
lecita al mio cospetto insieme con questi consiglieri? dimmi
il vero, o donna egregia.
228 RAMAYANA.

A quelle parole così rispose la regina: Odi, o re supremo,


ciò che io ho a significarti; io te ne prego colle mani giunte;
e non voler tu sdegnarti, o mio signore, mentr'io ti parlo.
Io udi come la tua città è stretta d'assedio; udii come fu
rono uccisi i prodi Racsasi che sortirono con Dhùmråksa
e con Prahasta, e che or tu stesso, desideroso d'entrare in
battaglia, hai deliberato una nuova sortita. L'aver inteso
tali cose mi mosse a qui venire, o grande re. Ei non è
opportuno, o eccelso, l'ostinarti a stare a fronte di quel
magnanimo Ràma, di cui tu hai rapito la sposa, e del Sau
mitride Lacsmano, il qual non ha pari nella battaglia. Egli
è più che uomo quel Ràma Dasarathide che tutto solo uccise
un dì sì grande numero di Racsasi, quattordici mila valorosi
che avevan lor sedi sul Ganasthàna; egli è più che uomo
quel Ràma che atterrò in battaglia e Khara e Trisiras e
Kabandha, e da cui fu ucciso Viradha là nella selva Dan
daca; è più che uomo quel Ràma che già spense con una
sola saetta Bàli. Io penso, o grande re, che Ràma è entrato
nella selva Dandaca per comando di suo padre e per con
quidere Màric'a. Ei sen vivea col fratello nella selva tutto
intento ad ascetiche austerità; perchè gli fu da te sul G'ana
sthàna rapita la sua sposa tutta devota al suo consorte? Quel
che tu hai fatto colà senza ragione, ti s'è rivolto in grave
colpa; chè l'offesa fatta ad una donna fedele al suo consorte
contamina altrui di gran reato. Tu ti compiaci nella tua
mente e così questi tuoi consiglieri, di cosa che è impossibile;
si renda or via a Ràma la casta sua donna. Tale consiglio
già ti fu dato dal magnanimo Vibhisana; ma colui non ascol
tato, lasciando te, se n'andò colà a Ráma e regnerà forse
un dì in tuo luogo. Mandiamo ora, o re, all'eccelso Raghuide
gioie e nobili vesti, oro, argento e carri, gemme, coralli e
perle, e Sità insieme; e vadano a lui prontamente Màlya
vat e Yûpàksa e questo Atikàya che ben discerne quel che
convenga o non convenga fare. Vibhisana che se n'andò già
a lui in prima, insieme con costoro che or v'andranno, farà
di certo aperta pace, inchinandosi al Raghuide; ed onorando
la Mithilese, ei la renderà al suo sposo.Màlyavat ed Atikàya
intenti al bene de' Racsasi, supplicando a Ràma , col capo
chino, fermino pace con lui, o Råvano. Dopo che tu avrai
YUDDHACANDA, 229
perdute le tue genti, mandati a morte fratelli e figli e sarai
venuto tu stesso in grave dotta, che ti gioverà la vittoria?
È instabile la fortuna delle battaglie; si rompe talvolta il
nemico, ma si è rotti ancora;perciò non m'attalenta laguerra;
ferma or dunque la pace, o Ràvano. Inchinandoti al Ra
ghuide, o eroe dalle grandi braccia che infondi altrui letizia,
rendigli oggi Sità, e ti piaccia far pace con esso. Sovrasta
ora, ei non v'ha dubbio, un gran pericolo alla tua città ed
ai tuoi congiunti; libera or dunque, o re, la Mithilese. Egli
è per questo ch'io così ti parlo, o Ràvano; tu dei difendere
le sustanze della città e della tua stirpe; poichè ogni cosa
a te s'appoggia. Râma è paziente per natura, veritiero e
costante ne suoi voti, saldo nella giustizia ed umano verso
chi a lui ricorre; Ràma Dasarathide sarà lieto di stabilir la
pace e così Lacsmano dalle grandi braccia, sempre inteso
al bene di suo fratello. Che cosa mai ha potuto far Prahasta,
combattendo fra l'oste de' Vànari? Che cosa, dimmi o grande
re, ha fatto colà Dhùmràksa che ha di continuo la mente
rivolta alle battaglie? Che han fatto in quell'oste Vánarica
e Vagradanstra, Racsaso pien di malie, e il prode Akam
pana pugnando colà virilmente ed altri che già sortirono
a combattere? Non fu spento un solo duce nè un Vànaro
insigne nell'esercito. Ma ben furon spenti dai Vànari nella
pugna eroi, la cui possanza impauriva Indra e Varuna e
Kuvera e Yama Vaivasvata ed altri Devi e Dànavi, eroi la
cui prodezza nessun pareggia. Que' Vànari combattenti con
tronchi d'alberi é protetti da Ràma e da Sugriva non si
posson rompere dai Racsasi. Onde ti piaccia, o Rávano ,
fermar pace con Ràma. Non far che pericoli questa città
e sia distrutta la tua stirpe; io ti dico tutto ciò che t' è
salutare; tu manda ad effetto le mie parole.

C A P IT O L O XXXIV.

DISCORSO DI RAVANO.

Udito il discorso della donna sua consorte, il re de' Rac


sasi gettando lunghi e caldi sospiri e riguardando i circo
stanti, presa Mandodari per la mano, così rispose: Le dis
230 RAMAYANA,

care parole che tu, diletta regina, testè mi dicesti per de


siderio del mio bene, non m'entrarono nell'animo. Dopo aver
già un dì superato in guerra i Devi, gli Asuri, gli Uraghi
e i Dànavi, come potrei io inchinarmi ad un uomo, che
ebbe ricorso a un Vànaro? Che direbbero di me i Devi,
s'io m'inchinassi a Ràma Dasarathide? Qual sarebbe la mia
vita, s'io così avvilissi la mia possanza? Dopo avere un dì
rapito la consorte di colui e menato sì gran vanto, fatto
uccidere i miei Racsasi e stringer Lanka d'ogni intorno,
come potrei io inchinarmi ora al Raghuide, a guisa d'un
fiacco e d'un ignavo? Ben so che Sità è figlia di G'anaca;
so che Ràma è l'uccisor di Madhu (Visnu); so ch'io deggio
essere disfatto da colui; pur nondimeno non farò mai pace
con esso. Come potrei più vivere, s'io m'inchinassi a Ràma?
Tal è, o donna, la mia ingenita natura costantemente salda
ed inconcussa, ch'io potrei piuttosto essere franto che in
chinarmi a chi che sia. Non v'ha eroe nei tre mondi che
non sia stato da me vinto in guerra; e sconfitto l'esercito
dei Devi, io già superai lo stesso Indra. Come potrei ora
inchinarmi a Ràma, dopo aver conculcata la testa d'ogni
vivente creatura? Tu non darti dolore al cuore, o donna
di dolce sorriso; io sarò vittorioso; sconfiggerò Ràma e
Lacsmano co' suoi Vànari, disperderò Sugriva ed Hanumat;
ma non mai farò pace col Raghuide, nè mai per timore
gli renderò la Mithilese. Ma Ràma stesso non consentirebbe
ora a far la pace; or, ch'egli ha domato l'Oceano con un
argine poderoso, stretta d'assedio Lanka colle sue selve, uc
cisi Racsasi prestanti, come vorrà egli far pace, o mia di
letta? Nè io pur mai chieggo pace in alcun tempo. Or te
ne ritorna ed abbi fiducia, o donna; tutto questo ne sarà
sorgente di gaudio. Non darti dolore al cuore; or io uscirò
a campo e sperderò tutti que' miei nemici sulla fronte della
battaglia. Son valorosi e forti questi miei figli, fra cui pri
meggia Meghanàda; nessuno, nè purYama potrebbe scampar
dalle lor mani, o donna leggiadra. Ritorna or dunque al
gineceo, e rimanti lieta colle tue nuore. Ciò detto ed ab
bracciata la sua sposa quasi con animo esultante, rientrò
quindi la regina nella sua splendida magione, e si diede
a rivolger nella sua mente quell'orrida guerra sopravvenuta.
YUDDHIACANDA, 231
Ma Ràvano così parlò allora ai Racsasi: Sia prontamente
allestito e tosto qui condotto il mio carro; disfogherò oggi
la rabbia che mi sta chiusa nel cuore, sì come un dì nella
guerra Devàsurica,quando furon da me nella battaglia rotti
i Devi con gran forza e fu vinto Indra loro duce. Dopo gran
tempo al fine m'accade or qui di far battaglia con quel
Raghuide; sarann'oggi saettati, a guisa di serpenti, i dardi
riposti nelle faretre e voleranno acuti contro Ràma, simili
a fiamma ed a veleno. Con auree saette ben aguzze, pen
nate d'oro ed inoliate, io incenderò oggi i corpi de' nemici,
come s'incende un elefante con tizzi ardenti.

CAPITOLO XXXV.

VEDUTA DELL'ESERCITO DI RAVANO,

Così detto, quel nemico del re dei Devi salì sopra il suo
carro, tirato da cavalli nobili e generosi, risplendente come
fiamma e tutto fulgido nell'eccelsa sua compagine. Onorato
con suoni di conche, di taballi e di bellici tamburi, con
guerriere acclamazioni, con picchiar di mani, con gridi di
guerra ed alte lodi, s'avviò allora il grande re de' Racsasi;
e circondato da prodi suoi guerrieri che han corpi somi
glianti a monti e a nubi, occhi accesi come fuoco e si pa
scono di carni, così appariva Ràvano , come Rudra signor
degli Immortali, cinto da schiere di Bhùti.
Uscito quindi a un tratto dalla città, vide quel possente
la fiera oste de' Vànari, tutta pronta, armata di massi e d'al
beri e strepitante come l'onde dell'Oceano.
Ma veggendo quell'ardente esercito de' Racsasi, il magna
nimo Ràma, pari ad un Immortale, salito sopra un colle,
così parlò a Vibhisana prestante fra i guerrieri: Chi è colui
che guida quell'oste intrepida, incrollabile, tutta piena d'armi,
di bandiere e di vessilli, densa di spade e d'aste e di dardi
pennuti, di dischi e di balestri, e folta d'elefanti simili al
sovrano Airàvata?
Uditi que' detti di Räma, Vibhisana di fortezza pari ad
Indra gli nomò con lodi i prodi Ràcsasi indomabili, che
erano fra quell'esercito i più cospicui eroi:
232 RAMAYANA.

Quel magnanimo, egli disse, con occhi cuprei, somiglianti


al colore del sol mo mato , che s'inoltra sopra il dorso di
quell'elefante, movendo la sua testa elefantina, sappi, o re,
che colui è Pravirabàhu.
Quegli che sta sopra quel carro, vibrando l'arco somi
gliante all'arco d'Indra, ed ha un leone per vessillo, e che
colle fiere sue sanne ricurve somiglia a un elefante, quegli
è Indragit figlio del re de' Racsasi.
Quel prestante eroe, quel gran curule guerriero pari ad
Indra che se ne vien tutto disposto alla battaglia su quel
carro, tenendo in mano e vibrando l'arco con orribile fra
gore , quegli è Atikàya di corpo immane.
Quel malnato che ha occhi fulvi del color del sol che
spunta e che salito sopra un asino risonante di tintinnanti
sonagli, orribilmente rugge, colui è il prode che si noma
Mahodara.
Colui che montato sopra un corsiere del color d'un'aurea
nube di crepuscolo e tutto adorno di finimenti d'oro, vibra
un dardo pennuto e cinto di raggi, quegli è Pisàc'a, impe
tuoso come folgore.
Colui che armato d'arco e di scimitarra, vestito a maglia
e guernito di cresta ed ardente come il fuoco di finimondo,
sta sopra quel grande elefante che pare un monte, quegli
è il figlio di Kara e si noma Makaràksa.
Colui che stando in su quel carro munito di spada, d'arco
e di saette, guernito di vessillo e rilucente come fuoco, si
mostra così animoso, quegli è Naràntaka che combatte con
vertici di monti.
Quell'altro che s'inoltra cinto da esseri diversi e fieri,
che han faccie di tigri e di cammelli, d'elefanti e di leoni
ed occhi travolti, quegli è Sudanstra figlio di Vigitàri.
Colui che è sì appariscente per la sua foga, e squassa
un'orrida lancia, gremita di diamante e d'oro e folgorante
come fiamma, quegli, o prode, è il guerriero Devàntaka.
Colui che brandendo un'asta aguzza, corruscante come
baleno e adorna di diamanti e di sonagli, e stando sopra
un elefante grande ed alto quanto un monte, qui s'inoltra,
quegli è l'impetuoso Trisiras.
Quell'arciero che là n'appare, somigliante a una gran
YUDDHIACANDA , 233
nube, con ampio e saldo petto, che ha per vessillo un gran
serpente e tutto in sè raccolto intassa l'arco, quegli è Kum
bha.
Quel che sen viene vibrando un'ardente e orribil clava,
tempestata d'oro e di diamanti, quegli è Nikumbha, ante
signano dell'esercito de' Racsasi, d'opre stupende e fiere.
Colà dove risplende quell'eccelso e bianco ombrello, so
migliante a piena luna e con stecche d'oro, là sen viene
il magnanimo re de' Racsasi, sì come Rudra cinto dai Bhúti;
e quel prode ch'ivi s'inoltra tutto baldo, cinto di diadema,
fiammeggiante e con faccia accesa, di terribile aspetto, pari
al Vindhya ed al Mahendra, quegli è il re de' Racsasi, che
già fiaccò l'orgoglio d' Indra e di Vaivasvata.

C A P IT O L O XXXV I.

SCONFITTA DI RAVANO.

Udite le parole dette da Vibhisana intorno a Ràvano, così


gli rispose Ràma: Pape! com'è fulgente e acceso quel Ràvano
re de' Racsasi ! Quel possente è così tutto irradiato, che
quasi si vela allo sguardo, come fa il sole co' suoi raggi; nè
si scorge ben manifesto il suo aspetto sfolgorante. Così fatto,
qual risplende il corpo del re de' Racsasi, è fama essere il
corpo de'valorosi Dànavi e dei Daityi. E somiglianti a lui
sono i suoi figli, i suoi nipoti e i minori fratelli che gli van
dietro ; tutti grandeggiano come monti, tutti son forti bat
taglieri; son tutti armati di fulgid'armi i guerrieri di tuel
l'eroe. Circondato da que' guerrieri ardenti e di terribile
possanza, così appare quel re de' Racsasi, come Yama cinto
da Bhùti corporeati.
Ciò detto, il prode Ràma, preso l'arco e tratte fuori saette
elette, si fermò fiancheggiato da Lacsmano.
Allora il magnanimo re de' Racsasi così parlò a que' for
tissimi suoi campioni: Rimanete imperterriti e securi dinanzi
alle porte della città ed alle reggi delle case. E così detto,
quel mortale nemico d'Indra, vibrando l'arco e le ardenti
saette, si diede a fendere l'ondante piena dell'oste Vànarica,
sì come un pesce immane fende l'ondosa piena dell'Oceano.
234 RAMAYANA,

Veggendo avventarsi con tal impeto alla battaglia il re


de' Racsasi armato d'arco e di saette ignite, gli mosse in
contro il re de' scimi, tutto ardendo d'azzuffarsi con Rávano;
e divelto con gran forza il vertice d'un monte, ei corse ad
dosso al re de' Racsasi, e squassando quel gran cacume di
monte il cui spianato era irto d'alberi, lo scagliò contro
Ràvano.
Ma colui veggendolo venirgli addosso, lo ruppe con saette.
pari allo scettro di Yama; e spezzato quel brano di monte
che avea alto cocuzzo con grossi alberi e mirabili spianati,
il duce supremo dell'oste de' Racsasi diè di piglio a un dardo
di terribile foga e pari a un serpente immane; e tolto quel
dardo rapido come il vento, impetuoso come la folgore d'In
dra e sfavillante al par di fiamma, lo saettò contro il duce
de' scimi. Quel dardo aguzzo e somigliante alla folgore d'In
dra, lanciato dal braccio di Rävano, aggiugnendo con im
peto Sugriva, lo lacerò, sì come un'orrida asta lanciata da
Karttikeya squarcia il monte Kraunc'a. Travagliato da quella
saetta, perturbato nella mente e gemebondo per aspra do
glia, cadde Sugriva a terra; e veggendolo atterrato e fuor
di senso, levaron lieti clamori i Racsasi nella battaglia.
Allora Gavàksa, Gavaya e Sudanstra, Meinda, Nala, An
gada e Gyotirmukha, strappati massi smisurati, s'avventarono
ad una al re de' Racsasi. Ma ei con cento frecce d'acuta
punta rese vani i colpi di que''Vànari, e con nembi di saette
variamente pennute d'oro, tutti li lacerò. Que' tremendi duci
de' Vànari dilacerati dalle saette del gran nemico d'Indra,
caddero a terra; ed ei con istrosci di dardi si diede a tem
pestare la terribil oste de'Vànari. I quali dilaniati e levando
dolenti grida, sopraffatti da doglia e da paura e forte afflitti
dai dardi di Ràvano, ricorsero a Ràma dator di soccorso.
Allora quel magnanimo e grande arciero, preso l'arco,
s'avviò colà prontamente; ma Lacsmano accostatosi a lui
con atto umile, gli disse parole sommamente opportune:
Io son più che bastante, ei disse, o nobil uomo, a spegnere
quell'iniquo; io solo il metterò a morte; dammi il tuo as
senso, o prode; sia questo un mortal duello fra me e quel
nemico d'Indra e vegga oggi ogni creatura vinto da me
quel nostro avversario.
YUIDDHIACANDA, 235
A lui rispose il prode Ràma, di verace e salda forza: Va
dunque, o Lacsmano; ma pon mente a queste mie parole.
Ràvano è oltrapossente e di mirabil valore nella battaglia;
colui acceso in ira sarebbe, ei non v'ha dubbio, duro a
conquidere eziandio dai tre mondi. Cerca tu in lui qualche
mendo, e fa di ben difendere quello che fosse in te man
chevole; proteggi attento te stesso coll'arco e coll'occhio
inteso.
Udite le parole di Ràma e salutatolo, s'avviò il Saumi
tride alla battaglia coi peli del corpo arricciati. Egli scorse
colà Ràvano che colle sue braccia pari a proboscidi d'ele
fante e coll'ardente e terribile suo arco levato inondava di
densa pioggia di dardi i Vànari già tutti laceri dalle sue
saette. Ma come lo vide il poderoso Hanumat figlio del Vento,
dispergendo quella pioggia di dardi, assalì Ràvano egli stesso;
ed accostatosi al suo carro e sollevato il braccio destro e
spaventando Ràvano, l'animoso Hanumat così disse : Per lo
dono a te concesso di non poter essere da loro ucciso, tu
hai sconfitti i Devi, i Dànavi e i Gandharvi , i Yaksi e i
Pannaghi (Serpenti), ed or tu temi i Vànari! Or bene, ti
veggan oggi i Devi, i Yaksi, i Pannaghi e gli Uraghi dis
fatto e rotto dai Vànari di forza tremenda. Questo mio de
stro braccio e questa mia mano sollevati strapperanno dal
tuo corpo lo spirito vitale che troppo lungamente v'è di
morato.

Udendo que' detti d'Hanumat, il terribile Råvano cogli


occhi infiammati dall'ira così rispose: Combatti or dunque
senza dotta ed acquista durevole gloria; allor che avrò co
nosciuto la tua possanza, spegnerò io la tua vita.
A quelle parole dl Ràvano rispose il figlio del Vento: Fu
già altra volta, te ne rammenta, da me combattuto tuo figlio
Aksa.
A que' detti, l'animoso e ardente Ràvano re de' Racsasi
colla palma della mano percosse nel petto il figlio del Vento.
Colpito da colui, balenò un istante Hanumat; ma ribollendo
in lui lo sdegno ei percosse alla sua volta pur colla palma
della mano quel nemico dei Devi; il quale martellato da
quel Vànaro impetuoso, crollò a guisa d'un monte, allor
che è scossa la terra.
236 RAMAYANA.

Veggendo allora in quel conflitto percosso Ràvano da sì


forte palmata, acclamarono i Risci, i Siddhi e i Carani, i
Devi e gli Asuri. A

Ma il possente Ràvano riavutosi, così disse: E vigorosa


la tua forza, o Vánaro; tu sei prestante e nemico degno
di me.
A quelle parole di Råvano così rispose BIanumat: Sia vi
tuperata questa mia forza, da che tu pur rimani vivo, o
Ràvano! Combatti or pure una volta, a che ti glorj, o reo? e
per certo questo mio pugno ti caccerà alla magion di Yama.
A quelle parole del Vànaro, crebbe lo sdegno del re dei
Racsasi, e tutto compreso dal fuoco dell'ira ei pareva quasi
fiammeggiare: poi cogli occhi oltremodo ardenti, sollevando
il destro suo pugno, sciorinò quel forte con grand'impeto
un colpo nel petto al Vànaro.
Ferito nel largo suo petto da quel pugno, il possente sci
mio Hanumat uscì di senso e traballò come intronato. Visto
Hanumat fuor di senso, Rávamo grande curule guerriero
subito corse con rapida foga contro Nila; e con dardi pari
ai dardi di Yama e squarcianti gli organi vitali coperse a
un tratto in quell'assalto il duce dell'oste Vànarica; il quale
oppresso da quell'impeto di saette, strappata a forza una
vetta di monte, l'avventò contro il re de' Racsasi.
In quella l'animoso, il valente e prode Hanumat rinvenne,
e veggendo Rávano stretto a battaglia con Nila, non pensò
a ferirlo; ma riguardando avido di battaglia, così parlò con
ira: Fuor di ragione fu da te che ben conosci l' obbligo d'un
guerriero, appiccata quest'altra zuffa; perchè escludendo me
hai tu presa battaglia con un altro, o esperto battagliero?
Ma il forte re de' Racsasi non curando quelle parole, ruppe
co' suoi dardi in sette pezzi la vetta di monte lanciata da
Nila.
Come vide spezzato quel brano di monte, il prode Nfla
sperditor degli eroi nemici fiammeggiò sì come fuoco, e
dibarbate robuste shoree, grislee e fiorenti alstonie ed
altri alberi diversi li scagliò a furia in quel conflitto. Ma
Rávano infranse prontamente tutti que' tronchi d'alberi vo
lanti per aria, e ferì Nila con subito colpo, mostrando la
prontezza della sua mano.
YUDDHA CANDA, 237
Allora il forte Vànaro inondato da violenta pioggia di
dardi, rimpiccolito il vasto suo corpo, sbalzò al sommo del
vessillo di Rávano.
Arse di rabbia il re de' Racsasi, veggendo ritto sulla cima
del suo vessillo il figlio del Fuoco; e Nila in quella stre
pitava. Scorgendo quello scimio saltar dal sommo del ves
sillo al vertice dell'arco e da questo alla cresta del diadema,
sbaivano Ràma, Lacsmano e Sugriva; e il magnanimo Rà
vano egli stesso maravigliato alla leggerezza di quel scimio
e conturbato dentro all'animo, nulla più rispondeva.
Ma i scimi rinfrancati e baldanzosi, veggendo Ràvano in
quella zuffa tutto sbalordito dalla leggerezza di Nila, met
tevano grida altissime. Vie più inasprito da quel clamore
dei Vànari, Ràvano diè di piglio all'ardente e sovrano telo
Igneo, e presa una saetta ed accoppiatala all'Igneo telo Agne
yo, tolse di mira Nila che se ne stava sul vertice del suo
vessillo. Quindi il possente Ràvano re de' Racsasi così disse:
Tu sei leggiero e snello, o scimio, e gran maestro di pre
stigi; ma se tu lanciando a fusóne nella battaglia questi e
que' proietti a te confacenti, pur difendi colle tue malíe la
tua vita, o vile Vànaro, saetterò anch'io questo dardo in
cantato con un telo arcano, il qual ti torrà la vita che tu
cerchi di difendere. Ciò detto, il poderoso Rávano re dei
Racsasi, incoccata sull'arco una saetta, ferì il duce de' scimi.
Trafitto nel petto da quella saetta accoppiata col telo e
subitamente inceso, precipitò lo scimio a terra: ma per l'alta
virtù di suo padre e per la sua propria vigoria, sol cadde
egli a terra sulle ginocchia, ma non fu privato di vita. Ve
duto quel Vànaro privo di senso, Ràvano vie più ardente
alla battaglia si spinse col suo carro, strepitante come nube,
contro il Saumitride.
A colui che veniva tendendo l'immensurabile suo arco
così parlò l'animoso Lacsmano: T'appressa, o re de' Rac
sasi, e con me t'affronta! a te non s'addice combattere con
tro Vànari. Udendo que' detti rimbombanti e il terribile fra
gore della corda dell'arco, il Racsaso rispose:
« Così pur sia »; e tutto ardendo d'ira, egli soggiunse:
Per buona ventura sei tu pur giunto qui dove il mio oc
chio t'attinge, o Raghuide, che corri alla tua fine ed hai
238 RAMAYANA,

la mente travolta! In questo istante, trafitto in ogni parte


dalle mie saette, tu te n'andrai alla region de' morti. A colui
che si vantava con tanta fierezza e brandiva saette ed arco,
rispose senza arroganza Lacsmano: Gli eroi non si dan nella
battaglia inutili vanti; a che ti vai tu ora millantando a guisa
d'un uom volgare? Io conosco la tua prodezza, o re dei
Racsasi, il tuo valore, la tua possanza e la tua forza; ma
me ne sto pur qui saldo colle saette e coll'arco in mano;
or via dunque, t'appressa ! a che giovan qui le vane iat
tanze?
A que' detti il re de' Racsasi arrovellato saettò sette dardi
ben pennuti; ma Lacsmano li ruppe con saette aguzze e
bene alate, mirabilmente pennate d'oro. Mirando rotti ad un
tratto tutti que' dardi, a guisa di grandi serpenti, il cui
corpo sia lacerato, il re di Lanka arse di maggior ira, e
si diede a saettare nuovi dardi di punta acuta; ei versò
allora sopra il fratello minor di Râma una violenta pioggia
di saette scoccate dal suo arco; ma Lacsmano tagliò in pezzi
tutte quelle saette con dardi pennuti somiglianti a rasoi e a
luna falcata, nè punto ei si turbava. Veggendo riuscire inu
tili tutte quelle saette, forte si maravigliò quel fiero nemico
dei Devi della leggerezza di Lacsmano e sempre più sca
gliava frecce aguzze. -

E Lacsmano alla sua volta incoccando sull'arco dardi


acuti, impetuosi come il fulmine d'Indra e somiglianti a
viva fiamma, li saettava per dar morte al re de' Racsasi.
Ma costui li infranse, e rottili, ferì Lacsmano sulla fronte
con una saetta folgorante come il fuoco del finimondo, che
Svayambhu (Brahma) gli avea donata. Trafitto da Ràvano
con quella saetta, barcollò Lacsmano, lasciando allentare il
suo arco; ma riavutosi da quella doglia, ei spezzò il gran
d'arco del nemico del re dei Devi; e infrantogli l'arco, il
Dasarathide lo ferì con tre saette d'aguzza punta. Traballò
il re di Lanka per la puntura di quelle saette; ma tosto
ei si riebbe dal suo dolore; ed avendo l'arco rotto e le
membra trafitte da saette, bagnato di sudore per tutto il
corpo e grondante di sangue, ei diè di piglio alla lancia
veemente nella battaglia, donatagli da Brahma, e con ter
ribil impeto scagliò contro il Saumitride quella lancia fiam
YUDDHIACANDA. 239
meggiante, fulgida come vivo fuoco e cagion di terrore a
tutti i duci de' Vànari,
Con dardi lucenti come fuoco Lacsmano rintuzzò quella
lancia ardente; pur nondimeno quell'arme poderosa entrò
nel petto al Dasarathide. Percosso al petto da quella lancia
veemente, il Saumitride si rammentò che egli era una por
zione inescogitabile di Visnu.
Ma veggendolo pur caduto e fuor di senso, il re de' Rac
sasi, disceso rapidamente dal suo carro, corse sopra Lacs
mano. Quivi quel nemico dei Devi, colui che già fiaccò
l'orgoglio dei Dànavi, strinse fra le sue braccia Lacsmano
che era una porzione inescogitabile di Visnu umanamente
corporeata, ma ei non avea forza da levarlo; e pur serran
dolo fra le braccia, così pensava Ràvano: Io sarei pur atto
colle mie braccia a sollevare l'Himalaya, il Meru e il Man
dara e il gran monte Kailàsa, e non posso levar questo
Raghuide!
Ma in quella il prode Màrutide con un pugno pari al
colpo del fulmine percosse nell'ampio petto Rävano che
s'affaticava a tor via Lacsmano. Per la botta di quel pugno
cadde a terra sulle ginocchia il terribile Ràvano, si smarrì
e tentennò; e veggendo colà smarrito quel Rávano di forza
tremenda, acclamarono tutti lieti i Risci, i Devi e i Dànavi.
Ma il vigoroso Hanumat, preso fra le sue braccia Lacsmano
dotato di fauste note, lo portò dinanzi a Ràma; chè per
l'amicizia del figlio del Vento e per lo supremo suo affetto,
colui che nessun nemico poteva smuovere, si lasciò ire alla
leggerezza d' Hanumat; e quella lancia indomabile nelle bat
taglie, spiccandosi dal Saumitride, tornò al suo posto là sul
carro del prode Rávano. Ma costui, riavuto il senso fra
quell'orrida battaglia, diè di piglio a saette acute ed impu
gnò il suo grand'arco; ed il magnanimo Lacsmano,sperdi
tore de' nemici, rinvenuto ei pure, rammentandosi come ei
fosse una porzione inescogitabile di Visnu, era più atante
che prima.
In questo mezzo il forte Ràma, visto il poter di Rävano,
Lacsmano rinvenuto e l'esercito rimbaldito , e scorgendo
abbattuti i sommi eroi dell'esercito de' Vánari, si dispose
ad assalir Rávano in quella mischia. Ma appressandosi a
240 RAMAYANA.
lui in quel punto, Hanumat così gli disse: « Sali sopra il
mio dorso, o eroe, e disperdi quel reo Ràvano ». Assentì
all'invito fattogli il Raghuide ardente alla battaglia, e tutto
intento ad estirpare quel gran Racsaso, ei salì sopra lo sci
mio; e stando sopra Hanumat, come Indra sopra l'elefante
Airàvata, quel reggitor degli uomini scorse sopra il suo
carro e disposto a battaglia Ràvano. Sì tosto come il vide,
corse il possente Raghuide coll'arco levato ad affrontarlo,
sì come un dì Visnu ardente d'ira corse ad affrontar Viro
c'ana; e facendo risuonare la corda del suo arco con istre
pito pari al fracasso del tuono, così parlò Ràma con voce
profonda al re de' Racsasi :
Fermati, fermati, o fiero Racsaso! dove potrai tu, fug
gendo, trovare scampo, dopo avermi fatto un tanto oltrag
gio! Quando bene tu ti rifuggissi ad Indra, a Vaivasvata,
od al Sole, a Brahma, ad Agni o a Siva, ovvero alle dieci
plage, tu non saresti pur nondimeno oggi salvo dalle mie
mani. Colui che oggi da te colpito colla tua lancia, svenne
subitamente per gran dolore, quell'esso divenuto or Yama
micidiale delle schiere de' Racsasi , arderà la morta selva
del tuo esercito.
Uditi que' detti di Ràma, il re de' Racsasi assalito da gran
d'ira e rammentandosi la prisca inimicizia, si diede a ferire
con dardi acuti, ardenti come la fiamma struggitrice, il ma
gnanimo scimio figlio del Vento che portava Ràma alla bat
taglia. Vie più crebbe per le ferite di que' dardi l'ardore di
costui, ardentissimo per natura, il quale portava Ràma. Ma
l'animoso Raghuide veggendo ferito da Ràvano quel Vànaro
prestante, tutto s'accese di sdegno; ed affrontato il carro
di colui, con saette d'acuta punta ne lacerò l'insegna e il
gran vessillo e il bianco ombrello col gambo d'oro e le ruote
ed i cavalli; e con un dardo pari al fulmine ferì subitamente
quel nemico del re de' Devi nel suo largo e saldo petto,
sì come un dì il fulminante Indra ferì in battaglia il re dei
Dànavi. E quel possente che mai non tentennò nè si smosse
ai colpi delle folgori, dell'aste e dei teli divini, percosso dalla
saetta di Ràma barcollò dolorando e abbandonò tutto do
lente l'arco. Veggendolo così scommosso, Ràma diè di pi
glio a una saetta ardente, somigliante a mezzaluna, e con
YUIDDHACANDA, 241
essa quel magnanimo dilacerò in un subito il diadema del
re de' Racsasi, lucente come sole.
A quel sovrano Racsaso che, perduto ogni splendore e
colla cresta del diadema tronca, somigliava a un serpe sve
lenato, al sole che s'offuschi per lo spegnersi de' suoi raggi,
così parlòRàma in quel conflitto: Tu hai fatto opera grande
ed ardua; tu hai sconfitti i principali miei guerrieri; ond'io
veggendoti qui affranto dalla stanchezza, non ti caccerò ora
colle mie saette per le vie della morte.
A que' detti Ràvano col suo orgoglio ed il suo ardire rin
tuzzati, col suo arco infranto, coll'auriga e coi cavalli feriti,
col suo gran diadema lacero, se n'entrò prontamente in
Lanka trafitto da cordoglio ed offuscato. Tosto che fu rien
trato in Lanka il fortissimo re de' Racsasi, nemico dei Dá
navi e dei Devi, Ràma sul campo di quella gran battaglia
sferrò Lacsmano e gli altri Vànari. Si rallegrarono della
sconfitta di quel nemico dei Devi e d'Indra i Suri, gli Asuri
e le schiere dei Bhùti, le plage e i mari, i Risci e gli Ura
ghi e tutti i Devi.

C AP IT O L O XXXV II.

KUMBHAKARNA RISVEGLIATO,

Come si fu raccolto in Lanka, col suo orgoglio smunto


e coll'animo travagliato dal timor dei dardi di Ràma rimase
Rávano afflitto in tutti i suoi sensi. Superato dal magnanimo
Raghuide, era il re di Lanka come un elefante soverchiato
da un leone, come un serpente vinto da Garuda; e ram
mentandosi le saette di Ràma pari al vindice scettro di
Brahma e sfolgoranti come baleni, forte si rattristava il re
de' Racsasi. Postosi a sedere sullo splendido ed aurato regal
suo sedio, e guardando i suoi ministri, Ràvano così disse:
Or mi fu dunque inutile tutto quell'arduo ascetismo ch'io
praticai già per l'addietro; perocchè io pari al re dei Devi
fui pur superato da un uomo! S'è or avverata l'antica pa
rola proferita un dì da Brahma: « Sappi che ti sovrasta un
gran pericolo dagli uomini ! » Ben io ottenni già di non poter
esser conquiso dai Devi, dai Dànavi e dai Gandharvi, dai
VOL., III. 16
242 RAMAYANA

Yaksi, dai Racsasi e dai Pannaghi, ma furon da me sprez


zati gli uomini. Secondo che pur mi disse un dì sulle alture
dell'Himalaya Nandi irato, è ora la mia città stretta d'asse
dio da genti che hanno faccia pari alla sua: i detti di quei
due magnanimi hanno ora intiero il lor effetto. E le veraci
parole eziandio che disse il magnanimo Vibhisana, quelle
alte sue parole m' hanno ora pur esse incolto; la cosa
succede ora a punto conforme a que' giusti suoi detti.
Per l'arroganza della mia forza e pel mio orgoglio io ne
giudicai allora altramente; ma egli avvenne pur tutt'altro
da quel ch'io pensava, per effetto della mia nequizia. Non è
soverchio peso al destino l'animo fermo nella sua forza;
ma coll'unione della forza e del destino sempre s'ottiene il
buon successo. Or voi armati di tutto punto difendete la
città per ogni parte; ed altri Racsasi stiano pure alla difesa
sopra i valli e innanzi alle porte; e si vada intanto a ride
stare Kumbhakarna, quel fulminato dalla maledizion di Brah
ma, colui che già fiaccò l'orgoglio dei Dànavi e dei Devi
ed ha possanza incomparabile. Così il fortissimo Rávano veg
gendo sè stesso vinto in battaglia e disfatto Prahasta, ordinò
terribil forze di Racsasi: Si vegli, ei ripeteva, con gran co
nato alla custodia delle porte; si salga sopra il vallo, e si
risvegli Kumbhakarna gravato da sonno profondo; chè quel
poderoso, antesignano di tutti i Racsasi disperderà pron
tamente i Vànari e que' due figli regali; Kumbhakarna ri
moverà tosto ogni timore da noi conquisi dalle saette di
Ràma in questa orrenda guerra. Quel robustissimo Racsaso
dorme oramai da sei mesi; fate or dunque di risvegliar
tosto Kumbhakarna. Ei sen giace di continuo a guisa d'eb
bro fra le domestiche dolcezze ch'egli ha care; che cosa
ho io a far di lui, benchè egli abbia possanza eguale a quella
d'Indra, s'ei non viene al mio soccorso in quest'orribile
frangente?
Uditi i detti di Rávano, que' Racsasi di terribile foga
s'avviarono a precipizio alla casa di Kumbhakarna, togliendo
con gran prescia, sì come era loro stato imposto, profumi,
serti, bevande ed alimenti; e pervenuti alla casa di colui,
v'entraron per ordine del re. Penetrati nella bella e nitida
casa di Kumbhakarna, olente di puri profumi, munita di gran
YUIDDHACANDA, 243
porta ed ampia un yogano per ogni parte, ei si fermarono
in quel vasto abituro per risvegliare l'immane Racsaso dor
mente; ma benchè robusti, non poterono que' Racsasi rima
nere colà fermi per lo vento del respiro di Kumbhakarna.
Dallo soffio di quell'alito furon respinti que' fortissimi; ma
arrabattandosi con pena eglino entraron pur di nuovo in
quella casa; e rientrati in quella magione dilettosa, tutta
smaltata d'oro, ei mirarono colà giacente il formidabile Rac
saso leon dei Nairiti (Racsasi), coi peli ritti e col corpo dis
teso, soffiante come un gran serpe e mettente paura coi
suoi aliti, terribile mostro, di forza tremenda di respiro e
con bocca ampia come il Pàtàla.
Mirando quivi l'immenso Kumbhakarna addormentato,
oppresso da grave sonnolenza e pari a un monte rovesciato,
si disposero coloro a svegliarlo. Allor que' Racsasi di ga
gliardía feroce, strettamente uniti in cerchio, s'accostarono a
Kumbhakarna, simile a un monte di nero collirio; e stando
dinanzi a lui, fecero quivi que' magnanimi un gran mucchio
d'alimenti, somigliante al monte Meru ed oltremodo appe
titoso; e fecero inoltre que' prestanti biche di cervi, di bu
fali e di cinghiali e un mirabile colmo di riso bollito. Quindi
que' nemici dei Devi posero dinanzi a Kumbhakarna vasi
pieni di sangue e diversi liquori spiritosi, e lo strebbiarono
con olente e prezioso sandalo e l'addobbarono con vesti e
con ghirlande di fragranze odorose; lo profumarono con
odoriferi profumi e celebrarono con lodi quel sperditore dei
nemici; poscia ei si diedero tutti ad una a risvegliare Kum
bhakarna immerso in sonno profondo.
Que' Racsasi strepitarono qua e là a guisa di nuvole mug
ghianti, straziarono le sue membra, e percotendolo, facevano
alti clamori; ma per quanto ei s'affaticassero, pur non ve
nivano a capo di risvegliar quel Racsaso. Ei s'appigliarono
allora ad un mezzo più efficace per ridestarlo; diedero fiato
alle conche, bianche al pari della luna, e forte inacerbiti
ei fecero tutti insieme un gran fragore tumultuoso; ei si
batterono a palme e imperversando in ogni parte, fecero
colà un immenso baccano per ridestare Kumbhakarna. Ei
battevano a furia con bastoni, fruste e uncini cammelli, asini,
cavalli ed elefanti, suonavano di tutta lor forza taballi, tam
244 - RAMAYANA,

buri e conche, e percotevano le sue membra con grandi


magli e mazzapicchi, con ascie e mazze menate di tutta
forza. Udendo quel fracasso di taballi, di conche e di tam
buri e quel battere di palme e que' gridi di guerra e tutto
quello imperversare e strepitare che correva per le plage
e si spandeva su per lo cielo, fuggirono gli augelli subita
mente. Ma quando, nonostante quel gran frastuono, pur non
si svegliava il magnanimo Kumbhakarna addormentato, al
lora tutti que' Racsasi dier di mano a razzi, a mazze, a pic
che e a clave, e con vertici di monti, colle clave e colle
mazze, con tronchi d'alberi e con mallei, con pugni e con
palmate percuotevano a tutto lor potere Kumbhakarna steso
dormente a terra. Da quell'immenso strepito fu riempita
tutta Lanka colle sue selve e co'suoi monti; ned egli però
si risvegliava. Ei si diedero allora a picchiare d'ogni intorno
congiuntamente e a un tempo mille taballi rivestiti d'oro
terso; e poichè neppur per tal modo si ridestava quell'as
sonnato, stretto dalla maledizion di Brahma, si corruccia
rono i Racsasi, e pieni di stizza que' feroci di terribile forza
tentarono un altro più valido mezzo per risvegliar quel
Racsaso. Altri si diedero a picchiar taballi, altri a far grande
trambusto; alcuni gli divellono i capelli, altri gli mordono
le orecchie ed altri sciorinano senza pietà chi sul capo, chi
sul petto e chi sull'altre membra di quel poderoso colpi di
grossi magli e mazzapicchi.
Dieci mila Racsasi di forza tremenda tambussano taballi,
nacchere e tamburi e suonan conche e cennamelle , e un
migliaio di Racsasi corre su per lo suo corpo; nè si risve
glia per tutto questo Kumhhakarna addormentato.
Percosso in ogni parte con armi annodate da fasci di
corde, pur non si ridesta quel Racsaso gigantéo; gran nu
mero d'elefanti gli corrono sopra il corpo; ma tuttochè cal
pestato da loro, pur non si desta il Racsaso.
Allor que' Racsasi affaticati tentarono un'altra prova. Ei
fecero venir donne tutte adorne di nitide gemme e di ma
niglie; donzelle di Racsasi e di Nâghi , femmine di Gan
dharvi, figlie d'uomini e di Kinnari entraron colà in quella
splendida casa smaltata d'oro brunito; e quelle donne di
vine, divinamente ornate, profumate di divini profumi, olenti
YUDDHACANDA, 245
d'odori divini e spiranti soavi fragranze, postesi davanti a
Kumbhakarna , si misero a lascivire con canti e suoni in
quel nobile abituro. Eran elle tutte grandiocchiute, tutte
splendide come oro, tutte belle,tutte adorne, tutte con ampi
lombi e colmo seno, tutte con occhi somiglianti a foglie di
loto e con capelli inanellati e neri.
Per lo suono degli ornamenti che portano ai piedi, per
lo tintinno di lor cinture, per lo concento di lor canti e
di lor suoni e per la dolcezza di lor voci, per le divine fra
granze loro e per li diversi lor toccamenti, si ridestò Kum
bhakarna e sentì quel contatto delicatissimo. Distendendo
le maschie sue braccia, tonde e salde come roccie e somi
glianti ai grandi due serpenti Vàsuki e Taksaka, aprendo
la sua bocca pari alla bocca del Pàtàla, quel Nottivago so
vrano sbadigliò sformatamente; e sbadigliando, tutto si ri
svegliò quel Racsaso oltrapossente e cominciò ad alitare con
tal soffio che pareva il vento di finimondo. Mentre colui
sbadigliava, la sua bocca simile al Pâtàla così appariva,
qual si mostra il disco del sole, allor ch'ei nasce sull'alta
vetta del monte Meru; e gli occhi terribili di colui, la cui
lingua e la cui bocca erano accese e del color del cupro,
sfolgoranti come baleni, somigliavano a due grandi pianeti
ardenti. Il sembiante di Kumbhakarna, mentr'ei si levava,
era come l'aspetto d'una gran nube gravida di pioggia e
cinta di grue sul finir della torrida stagione. Allor quel
Racsaso dissonnato e rosso gli occhi, volgendo lo sguardo
intorno, così parlò a que' Nottivaghi:
Per qual cagione venn'io da voi qui risvegliato dal mio
sonno? Sopravvenne ei forse qualche sventura al re dei
Racsasi? Chè non per lieve motivo farebbe egli risvegliare
un mio pari addormentato; onde narratemi qui veracemente
la causa che v'indusse a risvegliarmi.
Ma que' Racsasi, sollevato ch'ebbero quel feroce che avea
terribili occhi, terribil possanza e aspetto, n'andarono sol
leciti alla magion di Ràvano, e gli dissero con atto reverente.
È risvegliato, o re, quel Kumbhakarna tuo fratello; verrai
or tu a vederlo nella sua casa, o vero il vedrai tu qui a te
venuto? Ràvano tutto lieto così rispose a que' Racsasi colà
giunti: Desidero vederlo qui ed onorarlo qual si conviene.
246 RAMAYANA,

Assentito a que'detti, tutti que' Racsasi colà ritornati così


dissero a Kumbhakarna per ordine di Rávano:
Desidera vederti il re, signor di tutti i Racsasi; disponti
or tu a venire e rallegra tuo fratello.
Il poderoso e insuperabile Kumbhakarna, udito l'ordine
di suo fratello e risposto di sì, sbalzò fuori dal suo letto.
Lavatasi la faccia tutto allegro e bagnatosi e addobbatosi
nobilmente, stimolato dalla sete fece tosto venir bevande
che infondono altrui vigore.
Allor que' Racsasi, solleciti per ordine di Ràvano, recaron
colà prontamente liquori spiritosi e diversi alimenti per con
fortare il suo animo; e Kumbhakarna cogli occhi accesi e
colla faccia ardente arraffò pronto ed affamato carni di bu
fali e di cinghiali ed i liquori apparecchiati, e sitibondo tra
cannò nappi di sangue; quel nemico d'Indra trangugiò li
quori inebbrianti e vasi pieni di midolle, e pasciutosi di
vari alimenti, rimase alquanto riconfortato. Veggendo allora
ch'egli era sazio, s'accolsero a lui que' Racsasi, ed inchina
tisi a lui col capo, lo circondarono d'ogni intorno.
Quel feroce Nairito confortò tutti que' Racsasi, e pur ma
ravigliando del vedersi risvegliato, così lor disse: Or perchè
m'avete voi qui venendo ridestato? è egli prospero il re?
Sovrasta a voi qui forse qualche causa di timore? Od è egli
imminente ad altri qualche pericolo supremo e indubitabile,
per cui voi tutti sì solleciti siete venuti a risvegliarmi? Ma
oggi io torrò via ogni timore al re de' Racsasi; porrò a morte
il grande Indra e disperderò ben anche Yama.
Al feroce Kumbhakarna che così parlava irato , rispose
reverente Yupáksa consiglier di Ràvano: Non v'ha in noi,
o Racsaso, alcun timore a cagion dei Devi; ma un confuso
ed orrido spavento venne al re da un uomo. Non mai ebbe
il re tale paura dei Dànavi e dei Daityi, qual è l'orribile
sgomento che or gli nacque per causa d'un uomo. Lanka
è stretta d'assedio da Vànari pari a monti, e noi siamo in
grande dotta per cagion di Ràma, esacerbato dal ratto della
sua Sità. Già fu incesa questa gran città da un solo Vànaro;
furon spenti il giovine Aksa, i figli de' ministri e i Kinkari;
e lo stesso Paulastide re de' Racsasi, nemico acerrimo dei
Devi, scampò oggi nella battaglia tutto smorto per favor
YUDDHA CANDA, 247
del fortissimo Ràma. Quello che finora non mai fu fatto a
Rávano nè dai Devi, nè dai Dànavi, nè dai Daityi, gli fu
fatto oggi da Ràma; ei fu da lui scampato dal pericolo
della vita.
Uditi que' detti di Yupàksa ed il pericolo soprastante al
fratello, Kumbhakarna stralunando gli occhi, gli rispose:
Sconfitto oggi da prima tutto l'esercito de' Vánari e Ráma
e Lacsmano in battaglia, io andrò poscia, o Yupàksa, a ve
der Rávano. Satollerò io i Racsasi colle carni e col sangue
de' Vánari, ed io stesso berrò il sangue di Lacsmano e di
Ráma.
Ma udendo le parole di colui che sì favellava con grande
alterigia e con voce ingrossata dall'ira, Mahodara, un dei
più illustri guerrieri di Rávano, così gli rispose colle mani
giunte innanzi al capo: Tu sperderai indi a poco in battaglia
i nemici, o grande arciero; or ti piaccia venire a veder
Rávano che si strugge di vederti. A que' detti di Mahodara
il valente e poderoso Kumbhakarna si mise in via circon
dato da tutti i Racsasi; e pien di sdegno, di furore e d'al
terezza quel Racsaso gigantéo camminava a grandi passi,
facendo quasi tremar la terra. Come videro quel Racsaso
crestuto, pari al vertice d'un monte, mostruoso e immane
e toccante quasi il sole col folgorar del suo favillo, i Vànari
impauriti si diedero a fuggir per ogni parte.

C A PIT O LO XXXVIII,

VEDUTA DI KUMBHAKARNA. ,

Il valoroso e prode Ràma, dato di piglio al suo gran


d'arco, dirizzò lo sguardo allora al gigantéo e diademato
Kumbhakarna. Veduto quell'eccelso Racsaso, simile ad un
monte nell'aspetto e pari al possente Nàràyana camminante
per gli spazi eterei, armato d'asta e di denti acuti, terribile
fuor di modo e spaventoso, mugghiante come nuvola che
tuoni, con lingua ardente e grandi braccia, quel Racsaso
alla cui vista tutti i Vànari vanno in fuga per le dieci
plage, Ràma pien di maraviglia così parlò a Vibhisana:
Chi è quel guerriero pari ad un monte, il qual si vede là
248 RAMAYANA,

dentro Lanka, con occhi fulvi e diademato, simile a nube


che baleni? Colui che appare colà come un ampio ves
sillo sulla terra, come una gran nuvola che surse, e al sol
vederlo sen fuggono impauriti tutti i Vànari? Dimmi chi
è quel gran membruto; è egli un Racsaso od un Asuro?
Io non vidi per l'addietro unquanco così fatta creatura.
Interrogato per tal modo dal regal Ràma infaticabile, così
rispose al Cacutsthide il savio Vibhisana: Colui è il Racsaso
Kumbhakarna, figlio di Visravas, da cui furon vinti in bat
taglia Yama ed Indra. Da colui, o Raghuide,furon già scon
fitti a migliaia in guerra Yaksi, Dànavi, Serpenti e Pisità
sani, Gandharvi, Guhyaki e Vidyàdhari. Mai non poterono i
Devi tor di vita quel fortissimo Kumbhakarna che li assaliva
armato d'asta: « Egli è il Dio della morte ! » dicevan essi
stupefatti nel vederlo. Quel Kumbhakarma, o Ràma, è per
natura vigoroso e robustissimo; la forza degli altri prestanti
Racsasi procede da grazie lor concesse; ma è ingenita e sua
propria la forza di colui, o uom dalle grandi braccia. Nato
appena e stimolato dalla fame, divorò quel feroce dieci Ap
sarase seguaci d'Indra, e più migliaia di creature venner
poscia da lui ingoiate. Ma divorate a mano a mano e vinte
da terrore si condussero le genti a domandar soccorso ad
Indra e gli narrarono quel che avveniva. Il magnanimo
Indra mosso a sdegno ferì coll'ardente suo fulmine Kumbha
karna, e quell'altiero percosso dal fulmine d'Indra barcollò
e forte urlò per ira. Come udirono il Racsaso Kumbhakarna,
urlar sì fieramente, vie più impaurirono le genti per lor
natura pavide. Ma l'invincibile Kumbhakarna storcendo la
bocca per gran rabbia, e divelta una zanna dall'elefante
Airávata, percosse Indra nel petto. Ferito dal colpo di Kum
bhakarna, tentennò il magno Indra; di che sbigottirono su
bitamente i Devi ed i supremi fra i Brahmarsi. Ma Indra
insieme colle genti a lui ricorse se n'andò alla sede di Sva
yambhu (Brahma); e tutti ad una ei narrarono al signor
delle creature la nequizia di Kumbhakarna, il divorar ch'ei
faceva le genti e l'oltraggiare i Devi, il devastare i santi
romitaggi ed il rapire le donne altrui. Se colui, ei dissero,
pur così continua ad ingoiar le creature, ei non andrà gran
tempo che rimarrà vuota la terra. Udite le parole d'Indra,
YUDDHIACANIDA, 249
il gran Genitor dell'universo chiamò a sè il Racsaso Kum
bhakarna e lo mirò; e nel riguardarlo maravigliò il reggi
tore delle genti. Quindi Brahma così parlò al sovrapossente
Kumbhakarna: Tu fosti per certo generato da Paulastya
per lo sterminio dell'universo; ma perciò che tu, così dotato
qual sei di forza immane, intendi pure a distruggere il
mondo, da quindi innanzi tu te ne starai dormendo a guisa
di cosa morta. Vinto da quella maledizion di Brahma, cadde
a terra il Racsaso. Come vide caduto il fratello e gravato
da forte sonno, Rávano tutto perturbato così disse: Ei non
s'atterra, dopo averlo prodotto, un grand'albero di ficaia
alla stagion de' frutti; ned egli è conveniente, o Signor delle
creature, il maledir così un tuo proprio nepote. Or la ve
neranda tua parola non può rimanere senza effetto; onde
costui fuori di dubbio se ne starà così assonnato; ma gli
si statuisca partitamente il tempo del sonno e della veglia.
A que'detti di Råvano così rispose Brahma: Dormirà egli
sei mesi, e veglierà quindi un giorno; costui, o prode, ag
girandosi affamato per la terra un giorno solo, farà opere
feroci, degne di sè, e si procaccierà alimento. Or da Ràvano
ridotto a mal partito fu fatto svegliare quel Kumbhakarna:
chè il re di Lanka è or forte impaurito della tua possanza;
e quel feroce pien di forza, incitato dalla fame uscirà senza
dubbio a campo, e tutto ardente d'ira divorerà l'un dopo
l'altro i Vànari. Veduto appena Kumbhakarna, si diedero i
Vànari a fuggire: come potranno essi respingere in batta
glia quel furente? S'annunzi a tutti i Vànari che colui non
è cosa viva, ma una macchina che s'erge; ciò udendo , si
rifaranno animosi i scimi.
Intese quelle gravi e persuasive parole di Vibhisana, il
Raghuide così parlò al duce Nila: Va, o figlio del Fuoco,
e riordinate tutte le schiere, t'accampa coi loro duci alle
porte di Lanka ed occupa ogni arduo passo. Togliendo d'ogni
parte vette montane, alberi e sassi, stiano armati in pronto
tutti i Vànari combattenti con brani di monti. ”
Conforme al comando del Raghuide, Nila sovrano fra i
scimi e duce dell'oste, ordinò, come si conveniva, l'esercito
de''Vànari. Risabha, Sarabha e Nila, Hanumat, Nala ed An
gada, tutti grandeggianti al par di monti, dato di piglio a
250 RAMAYANA,

cacumi di roccie s'appressarono alle porte di Lanka. Colà


quel fiero esercito di Vànari, brandendo orribilmente alberi
e rupi, così pareva come un mugghiante ed orrido gruppo
di nubi che cinge da presso una montagna.

CAPITOLO XXXIX.

ORDINI DATI A KUMBHIAKARNA,

Ma quel feroce Racsaso, ancor gravato dall'ebbrezza del


sonno, progrediva intanto a grandi passi per l'opulenta via
regale. Quel vincitor delle città nemiche s'inoltrava circon
dato da turba di Racsasi e cosparso da ogni casa con nembi
di fiori. Ei vide dinanzi a sè la reggia del re de' Racsasi,
ampia e dilettosa, tutta smaltata d'oro e sfolgorante al par
del fuoco e al par del sole; ed appressatosi alla magion
fraterna e penetrato negli interni recinti, ei vide colà nel
carro Puspaca assiso ed accorato il suo maggior fratello.
Ma allor che mirò quivi presente Kumbhakarna, solleva
tosi alquanto e mostrandosi lieto, Rávano il trasse vicino a
sè; ed il fortissimo Kumbhakarna, eccelso fra tutti i Racsasi
abbracciò allora i piedi del fratello che si stava seduto sur
un letto; e Rávano levatosi, abbracciò festoso lui. Ricevuti
quegli amplessi fraterni e degnamente onorato, si pose quindi
Kumbhakarna a sedere sopra uno splendido e nobil seggio;
e stando in su quel sedio, il fortissimo Kumbhakarna, cogli
occhi accesi d'ira, così parlò a Ràvano: Per qual cagione
fui io da te, o re degno di reverenza, risvegliato dal lungo
mio sonno? Dimmi qual causa tu hai di temere, e chi deb
b'oggi esser messo a morte? se il tuo sgomento vien da
Indra, oppur da Varuna signor dell'acque? chè io sconfig
gerò il re dei Devi e inghiottirò l'Oceano, sede di Varuna;
stritolerò i monti, squarcerò la terra e caccerò in fuga i
Devi; regna tu sovra i tre mondi. Veggano oggi le creature
da me avidamente divorate, qual sia la forza di Kumbha
karna che giacque addormentato sì gran tempo. Abbastanza
ei non è pieno per lo mio pasto tutto questo spazio aereo;
ma sarò io ben oggi satollato, divorando Suri ed Asuri.
Udendo que' detti di Kumbhakarna, si rallegrò Ravano,
YUDDHIA CANDA, 251
il gran Nottivago, e si reputò come rinato in nuova vita.
Non ignaro della forza di Kumbhakarna e ben conoscendo
la sua ferocia, Rávano letiziò, sì come la luna uscita fuor
dalla bocca di Ràhu; e con occhi alquanto biechi guardando
il fratello che gli stava innanzi, così ei parlò sdegnato: È
oggi oramai gran tempo che tu dormi, o Racsasol Tu im
merso in dolce quiete non conosci a qual pericolo m'ha
posto Ràma. Non mai io corsi per l'addietro a cagion degli
Asuri e dei Devi, dei Daityi e dei Gandharvi tale rischio,
quale ora io corro a cagion d'un uomo. Tu non sai, come
un dì fu da me rapita Sità; ed or ne sovrasta un gran pe
ricolo per parte di Ràma esacerbato del ratto della sua donna.
Quel Ràma Dasarathide, possente e stretto in lega con Su
griva, dopo aver valicato il mare col suo esercito, minaccia
di svellere la nostra radice. Or tu mira le porte e il bosco
di Lanka tutt'imbrunato dall'esercito de'Vànari qui venuto
per la gran gettata;già furono uccisi in battaglia dai Vánari
i più valenti fra i miei Racsasi, nè io veggo pur mai perir
que' Vànari fra la pugna. La città è stretta d'assedio dal
nemico; furono spenti in battaglia i miei più fidi; fu dis
sipato ogni mio tesoro; or si tenti uno sforzo supremo. Per
chè qui surse sì gran pericolo e tale sgomento, perciò tu
fosti, o prode, per ordine mio ridestato a fin di sedar tanto
terrore. Difendi or tu questa città di Lanka ridotta oramai
a soli fanciulli e vecchi; per amor fraterno, o eroe dalle
grandi braccia, or tu mi presta valido aiuto. Nessuno mai
per l'addietro fu da me così pregato, o fratel mio prode;
ma tu mi porti amore e devozion suprema. Più volte già
fra le guerre Devásuriche furon da te, o prode Racsaso,
sconfitti i Devi e vinti gli Asuri in battaglia; la tua possanza,
o valoroso e fiero, non si può superar dai Devi, e fra tutte
le creature non v'ha sulla terra chi ti pareggi. Tu or da
me esortato, o eroe di terribil forza, esci a battaglia, bran
dendo la tua asta, a guisa di Yama armato di fune; rompi
e divora i Vánari e que' due figli regali; pur mirando la
tua sembianza, si volgeranno in fuga i Vànari e si schian
terà il cuore a Râma e a Lacsmano. Protetto dalla forza
e dall'impeto del tuo braccio, o oltrapossente, sia oggi li
berato dal grande suo sgomento e fatto lieto tutto questo
252 Avasa
mio popolo; spegni o nemico dei Devi, Ràma col suo eser
cito. Fammi tal supremo e caro servigio, glorioso a te, ac
cetto e giocondo a' tuoi congiunti; disperdi in battaglia col
tuo vigore l'oste nemica, sì come il vento disperde una nu
vola autunnale surta in cielo.

CAPITOL,0 XL,

CASI PASSATI NARRATI DA KUMIBIIAKARNA.

Uditi que' detti lamentosi del re de' Racsasi, sorrise Kum


bhakarna e così rispose: Quell'errore che già un dì nel de
liberare e nei consigli fu da noi preveduto, venne pur com
messo da te improvido al tuo bene. Or di quella malvagia
azione tu hai tosto ricolto tale frutto, siccome cade nell'or
ribil Tartaro chi commette opere inique. Tu non hai, o
grande re, ben considerato in prima quest'impresa; tutto
inebbriato dalla tua forza, tu non hai posto mente agli ef
fetti che dovevano seguitarne. Colui che infatuato dalla sua
possanza fa dopo ciò che debb'esser fatto prima, e prima
quel che dee farsi dopo, mal conosce che sia buono o mal
governo. L'opere fatte a ritroso e fuor di tempo e luogo
son contaminate di vizio, siccome il sacro burro offerto da
gente impura. Colui che ben discerne i cinque modi di con
ciliare insieme le tre azioni e delibera convenendo co' suoi
consiglieri, quegli segue pienamente la via camminata dai re
saggi. Quel re che colla forza del vero cerca di vincere un
consiglio, è savio di mente e retto ed ha giusto riguardo agli
amici. L'uom coltiva a tempo opportuno, o re de' Racsasi, o
partitamente la giustizia, l'utile e l'amore o i tre accoppiati a
due a due, la giustizia e l'utile, l'utile e l'amore, l'amore e la
giustizia; ma colui che ha inteso qual sia fra quelle tre cose
l'ottima, nè però vi pon mente, sia egli re o figlio regale, gli
fu inutile quel che ha udito. Ond'egli adoperi a tempo oppor
tuno, o supremo fra i Racsasi, i doni e i blandimenti, la
disunione altrui, la forza e l'unione propria ed amendue i
mezzi, l'arte, ciò sono, diritta o bieca del governare; colui che
esperto e donno di sè stesso coltiva quaggiù co' suoi ministri
ad ora opportuna la giustizia, l'utile e l'amore, non incorre
YUDDHACANDA. 253
in alcun disastro. Guardando alle attenenze di ciò che è con
venevole e ben considerato con consiglieri accorti quel che
gli convenga o non gli convenga fare, il metta egli quindi
in opera. Molti ignari d'ogni dottrina e di mente animalesca
aman parlare per arroganza, intromettendosi ne' consigli;
di costoro che ignorano le autorevoli dottrine, che non co
noscono quel che è utile e ciò che è prescritto, e solo ago
gnano ampia fortuna, non si vogliono mandare ad effetto
le parole perniciose. Que' corrompitori de' consigli che per
tracotanza consigliano cose nocive sotto apparenza di van
taggiose, debbonsi, ben considerando, escludere dalle deli
berazioni. Cotali consiglieri incitati a dissensiòne da nemici
accorti menano a rovina chi governa, e fan qui fare azioni
a rovescio; chi regge, s'adoperi a conoscere nella discus
sione de' consigli e nella consuetudine tali consiglieri oltre
modo perniciosi che si dicono amici e d'amici non han che
l'apparenza. Ad un avventato che precipitatamente trascorre
all'opere, presto s'accostano altri avventati, sì come fanno gli
augelli ad un fesso del monte Kraunc'a. Se il nemico è
possente e risoluto, e contento di riavere la cosa sua, vuolsi
a lui tutto concedere; tal è la condotta de' saggi; chè colui il
quale sprezzando il nemico, non pensa a difendere sè stesso,
incappa quaggiù in infortunj ed è sbalzato dalla sua sede.
Ma Rávano, il gran re, udite le parole di Kumbhakarna,
raggrottò le ciglia e sdegnoso così rispose: Ei si dee rispet
tare, come maestro, chi è maggiore; a che mi vai tu disci
plinando? Basti or via la fatica delle parole ch'io ho da te
qui udite; si deliberi ciò che il tempo richiede. Egli è ora
inutile di rivangare quello che per errore o per insania di
mente o per alterigia di forza e di possanza è intervenuto;
si provegga ora a ciò che è opportuno in questa occor
renza; rimovi or tu la mia colpa e ne appiana gli effetti
col tuo valore, se tu pur hai dramma d'affetto, se ben com
prendi che sia la fratellanza, se ti sta a cuore questa bi
sogna e la giudichi bisogna suprema. Quegli è amico, il
qual sovviene a chi è disertato e misero; quegli è vero
congiunto, che è disposto a soccorrere ne' casi avversi.
A Ràvano che gli diceva parole acerbe ad un eroe, Kum
bhakarna, accortosi ch'egli era punto da ira, rispose soavi
254 RAMAYANA,
e lenti detti; e mirando il fratello oltremodo turbato nei
suoi sensi, ei si diede a confortarlo con blande parole:
Ascolta attento, o re domator de'tuoi nemici, quel ch'io ti
dico, ciò che un dì, o caro, io intesi da Nàrada. Essendomi
io un dì levato da un sonno di sei mesi e pasciutomi di
largo cibo, non mi sentiva, o re, per ancora sazio; quindi
io me n'andai alla selva. Quivi ingoiati molti e diversi ani
mali e distribuiti alimenti alle creature, m'adagiai contento
sullo spianato d'un gran sasso. Stando su quella roccia vidi
andar lentamente per lo cielo Nárada, il pio osservator dei
voti; il qual, scorgendomi, si fermò. Disceso giù prontamente
e da me salutato e sedutosi in su quel sasso, così io presi
quindi a dirgli: D'onde vieni e dove vai tu, o Brahmano? E
Nárada da me interrogato così mi rispose, o re: Io son ito
al monte Meru sede dei Devi ad un'assemblea divina; colà
ordinarono quel consesso i Devi impauriti per cagion vo
stra. Convennero quivi Brahma e Rudra, Visnu vincitor so
vrano, Indra re dei Devi, l'onniveggente Pàvaka (il Fuoco),
i quaranta nove Màruti (i Venti) e gli otto Vasu, Luno, il
Sole ed i Pianeti, i Guhyaki ed i Gandharvi, i Risci, Ga
ruda e gli Uraghi (i Serpenti). Quivi ei tennero consiglio
intorno al modo d'estirpare la schiatta de' Racsasi. Da quel
prepotente e fiero Rávano re de' Racsasi, dissero i sommi
Devi, insuperbito per la grazia ottenuta da Brahma, fu av
vinto il magno Indra e superato in battaglia Yama, furon
disfatti in guerra colle lor schiere Kuvera e Varuna, furon
ridotti in suo potere Luno e il Sole ed i tre mondi con
ogni cosa mobile ed immobile, turbati i sacrifici e spenti
re giustissimi, devastati i boschi divini e rapite a sua vo
glia le donne altrui. Ai Devi allora così parlò Vrihaspati
lorº maestro: Imaginate or voi un mezzo d'estirpare quel
reo Rávano. Udite quelle parole, Brahma così disse ai Devi:
Io ho concesso a Rávano ch'ei non possa essere ucciso nè
dai Devi, nè dai Daityi, nè dai Racsasi; ma egli ha pure
a temer gli uomini ed i scimi. Egli è impossibile l'ucci
dere colui, benchè si unissero insieme i Suri e gli Asuri.
Ma or questo Dio Hari (Visnu), lotombilicato (padmanabha),
trigradiente (trivikrama), quadribracciuto (c'aturbàhu) e sem
piterno, diventi figlio di Dasaratha; e voi discendendo sulla
YUDDRIACANDA, 255
terra e vestendo corpo di scimi, presterete aiuto al magna
nimo Visnu. Ciò detto, disparve quivi Brahma; e i Devi
ordinatamente se ne tornaroni là dove ha sede Vàsava. Que
sto mi raccontò di punto in punto e conforme al vero Nà
rada, il venerando Risci; quindi ei se n'andò al cielo sede
dei Suri. Or quel Visnu in un coi Devi è discesò a con
dizione umana; ei si noma Râma, o signor de'Racsasi, e
qui venne a fin d'esterminarvi. Onde è mio consiglio che
si renda Sità a Ràma; non voler tu proseguire con lui la
fatal guerra; ti piaccia far pace con esso. T'inchina, o re
sovrano, a Ràma, venerando ed eterno signore, a cui s'in
chinano i tre mondi; salva te stesso per tuo proprio mezzo.
Sarà a te proficuo l'aver per amico il Raghuide, e ti sarà
la pace bene supremo; e i Devi distolti dal lor conato non
otterranno il lor desiderio.

CAPITOLO XLI.

DISCORSO DI RAVANO.

Uditi que'detti di Kumbhakarna, Rävano, re de' Racsasi,


rimaso alquanto tacito e pensoso, poscia così rispose: Odi,
o saggio Kumbhakarma, le mie parole: Chi è dunque colui
che si noma Visnu e cui tu sì forte temi, o amico? Tu
non l'adori nella divina sua natura, nè pariménte gli altri
Devi e Dánavi, ed ora qual timor t'assale di colui venuto
a condizione umana ? Gli uomini, o fortissimo, sempre son
pavidi nelle battaglie; ed io, dopo averli rotti e divorati per
l'addietro, come potrei ora inchinarmi ad essi? Ov'io m'in
chinassi a Ràma uomo e gli rendessi Sità, me n'andrei deriso
dalle genti e postergato. Contemplando, io avvilito a guisa di
servo, il Raghuide e la sua fortuna, come potrei più vivere, o
prode? Dopo avere un dì rapita la sua consorte e ferocemente
superbito, s'umilierà or Ràvano a Ràma? ed è questo il tuo
consiglio? Se Ráma è Visnu medesimo, se Lacsmano è pur
Indra, Sugriva Tryambaka (Siva) sotto visibil forma, e Gàm
bavat Brahma stesso, perchè ho io di temerne? ohl furon pur
ben lette le sacre ed autorevoli scritture da te, che hai mente
così fatta e che desideri inchinarti a Ràma che è fuor d'o
256 RAMAYANA,

gni ordine di società. Come poss'io riconciliarmi con colui


che, lasciata la divina sua natura e conceputo in seno umano,
qui venne pur con animo d'esterminarci? Che se il Raghuide
è pur Visnu e te ne giunse agli orecchi certa notizia, se egli
è entrato in corpo umano per la salute dei Devi, ei rifuggì
poscia supplice a Sugriva signor de' scimi. Ohl di lui ben
degna società con tale razza animalesca! È egli dunque un
ignavo quel Visnu, che si ricolse ad orsi e a scimi? Od è
egli forse quel codardo che recatosi un dì in forma di nano,
richiese lo spazio di tre passi al grande Asuro Bali che
aveva adempiuto le ceremonie iniziali d'un sacrificio? E con
colui tu desideri entrare in amicizia? Quel Bali, da cui fu
un dì largita in dono la terra intiera colle sue selve, col
l'Oceano e co' suoi mari, fu da colui avvinto, mentr' egli
stava intento a sacrificare; e colui che sperse un benefat
tore, farà salvi noi nemici? Perchè allor quando, dato con
te l'assalto al cielo, furon da me vinti i Devi, perchè non
si mostrò allora la possanza Visnuitica di questo Dio? Ed
ora d'onde vien egli quel Visnu, cui tanto temi? Ma tu così
favelli per salvare la tua vita. Or non è questo il tempo
d'incodardire; egli è tempo di combattere, o Racsaso. Io
ottenni da Brahma signoria suprema e recai i tre mondi
in mio potere, perchè dovrò io inchinarmi a Râma stremo
di forza e di valore? Onde te ne ritorna a poltrir dormendo
e attendi a bere senz'altra cura; stando immerso nel tuo
sonno, non t' uccideranno Ràma nè Lacsmano. Distruggerò
ben io Ràma, Lacsmano e Sugriva, sterminerò i Vánari in
gran battaglia e quindi i Devi, e porrò Visnu a morte e
chi lo segue. Va, ritorna al campo del tuo riposo, vivi lun
gamente e sia felice.
Com'ebbe così parlato a suo fratello, Rávano incitato dal
suo destino e come insano soggiunse queste parole tonanti e
altere: So che Sità nacque dal seno della terra; so che Ràma
è l'uccisor di Madhu (Visnu); so questo ancora, ch'io debbo
da lui essere ucciso; e perciò appunto ho rapita la figlia
di G'anaca. Nè per amore, nè per impeto d'ira ritengo io
qui Sità, ma desidero andarne, ucciso da Ráma, alla sede
altissima di Visnu.
YUDDHACANDA. 257

CAPITOLO XLII.

MINACCE DI KUMBHIAKARNA.

Udite le parole che Ràvano proferì, lamentando pien di


sdegno, Kumbhakarna con voce lena prese a confortarlo
con questi detti: Or ti cessa, o eroe de'Racsasi, dal rat
tristarti; deponi l'affanno e l'ira e sta di buon cuore; tu
non dei così favellare, o re, mentr'io pur mi sto qui vivo;
disperderò ben io colui, per cui cagione così t'accori. Ma
io debbo pur di necessità, dirti quel che t'è salutare in
ogni caso; io ho favellato, o re, con animo di congiunto e
con fraterno affetto. Or ciò che in tale frangente è conve
nevole che si faccia da un caro congiunto, lo sterminar,
ciò è, chi t'è nemico, ecco io son pronto a farlo, combat
tendo. Vedrai oggi, o eroe dalle grandi braccia, spento che
avrò in fronte della battaglia Rà ma con suo fratello, fuggir
dispersa l'oste Vànarica. Mirando tu oggi la testa di Ràma
da me qui recata dalla battaglia, sia tu lieto, o forte; e sia
dolente Sità. Veggano oggi in Lanka i Racsasi tutti quanti
a cui furon morti congiunti e amici, il grandemente desi
derato eccidio di Ràma. Colla disfatta del nemico in sul
campo di battaglia astergerò io oggi le lacrime di chi op
presso dall'angoscia piange i suoi congiunti trucidati. Oggi
vedrai rotto in battaglia, quel scimio figlio del Sole, alto
come il vertice d'un monte, quel Sugriva re de'Vànari. Io
solo, io esperto di battaglie, uscirò oggi a campo; desidero
darti vittoria che non sia comune con altri; tu, eroe di
forza incomparabile, non dei commettere ad altri il com
battere. Come mai, o re de' Racsasi, essendo tu difeso da
me e da questi tuoi guerrieri avidi d'esterminare il Dasa
rathide, come mai puoi tu temere? Se, caduto io prima,
conquidesse te pure il Raghuide, non sentirei perciò nel
l'animo alcun affanno, o re de' Racsasi. Ma or tu, domator
di chi t'è avverso, non voler mandare alcun altro a far
battaglia; distruggerò io il tuo nemico, o vittorioso. Fos
s'egli Indra o Yama, il Vento o l'Igne, Kuvera o Varuna,
tutti io li combatterò; e lo stesso re dei Devi avrebbe pur
VOL, III, 17
258 RAMAYANA,

paura di me che grandeggio al par d'un monte, che impu


gno un'asta affilata, ruggo e ho denti aguzzi, oppur, la
sciate l'armi, stritolo i nemici colla mia foga, sì come il
vento col suo impeto schianta subitamente gli alberi. Nes
sun che ami la sua vita, oserà starmi incontro; nè con
clava, nè con ispada o con saette acute potrà respingere me
irato lo stesso Indra; chè io fiammante d'ira struggerei con
queste mie mani il Dio che impugna il fulmine. Che se il
Raghuide pur sosterrà la tempesta del mio pugno, allora
berranno il suo sangue nembi di mie saette. Perchè t'af
fanni tu nel tuo pensiero, o re, mentr'io rimango vivo? Io
son pronto ad uscire a campo per disperdere ogni tuo ne
mico. Io porrò oggi a morte tutti ad un tratto Râma ed il
Saumitride, Sugriva ed Hanumat; lo prometto al tuo co
spetto. Attendi or via ai tuoi diletti, bevi fervidi liquidi, dà
opera a'tuoi negozi e discaccia ogni tuo affanno. Cacciato
oggi il Raghuide alla magion di Yama, diverrà Sità al fine
obbediente ai tuoi voleri.

CAPITOLO XLIII.

DISCORSO DI MAHIODARA.

Come intese que'detti del forte Kumbhakarna, prestante


arciero che menava sì gran vanto, così prese a dir Maho
dara: O Kumbhakarna, tu nato di nobile stirpe pur ti mo
stri come un uon volgare; tu invanito per orgoglio non
sai comprendere ciò che s'ha a fare in ciascuna occorrenza.
Costui che è re, mal conosce quel che è opportumo o inop
portuno; ma tu, o Kumbhakarna, sei atto solo a favellare
con mente giovenile. Colui, o prode Racsaso, che sa discer
nere il tempo e il luogo, considera pur lo stare, il crescere
e il venir meno di se e d'altrui.Tu hai detto quello appunto,
che può dire un uom forzoso, di volgare intelligenza e che
non onora gli anziani. In quanto a ciò che favelli de' singoli
fonti dell'operare, dell'utile, ciò è, del giusto e dell'amore;
osserva qui bene colla tua mente; perocchè tu hai corta
veduta. L'amore è la sorgente di tutte l'opere ed è quaggiù
la causa principale eziandio dell'opere ree; i due altri, ciò
YUDDHIACANDA, 259
sono l'utile e il giusto, producon frutti di prosperità; ma
è contrario il frutto che s'ottiene da ciò che è dannoso e
ingiusto. Gli uomini attendon quaggiù all'operare, che è la
terrestre purificazione; coll'astenersi dall'opera non ottien
prosperità colui che segue pur l'amore. Quel che v'ha di
più eccelso nell'animo d'un re, l'atto più grande e più de
gno d'esser effettuato, sta appunto nel rompere il nemico
in battaglia; perchè cerchi tu qui di distoglierlo da tal atto?
Quanto alla ragion che adduci del voler uscire tu solo a
campo, qui pure io ti dirò quel che v'ha d'inconveniente
e pessimo. Come potrai atterrar tu solo quel possente Ra
ghuide da cui un dì sul G'anasthâna furono messi a morte
tanti Racsasi? Mira oggi ancora tutti pavidi per la città quei
Racsasi poderosi che furono un dì rotti da colui sul G'ana
sthâna. E quegli altri magnanimi Racsasi, riputati infra gli
eroi, che han pur veduto Ràma, quell'uom sovrano, ne sono
atterriti anche fra il sonno. E tu desideri, o insensato, de
star Râma Dasarathide, leon sdegnoso, come si desta un
serpente addormentato? Chi potrebbe affrontar colui irre
sistibile come la morte, fiammeggiante e pien di vigore e
inaccessibile nella sua ira? Ond'io non approvo l'andar colà
tu solo ad incontrare il nemico, siccome cosa pericolosa e da
nessun altro ancor tentata. Chi è colui che potrebbe stremo
di forze, a guisa d'un uomo abbietto, domare un nemico
poderoso e pronto a lasciar la vita? Come vuoi tu, o prode
Racsaso, affrontarti con colui che non ha pari fra gli uo
mini ed è eguale ad Indra e a Vivasvat?
Com'ebbe così favellato all'iroso Kumbhakarna, parlò in
tal modo Mahodara, nel mezzo di que' Racsasi, a Ràvano
re di Lanka: Fu da te sorpresa e rapita Sità; a che star
ora esitando invano? Se tu desideri piegar la Videhese ai
tuoi voleri, ascolta, o re, quel ch'io ti dico: io ho trovato
un mezzo in cui si compiace la mia mente e che recherà
Sità ad obbedirti; ascoltami, o re de' Racsasi. Fa proclamare
che debban oggi uscire a campo per dar morte a Ràma
cinque de' tuoi guerrieri, io, Dvigihva e Sanhràda, Vitardana
e Kumbhakarna; e noi quindi uscendo, appiccherem battaglia
con colui di tutta forza. Se ci verrà fatto di vincere il tuo
nemico, tu più non avrai a ricorrere ad altri spedienti. Che
260 RAMAYANA,

se pur rimane vivo il tuo nemico e fu da noi inutilmente


commessa la battaglia, porrem mano allora a ciò che già
abbiam divisato nell'animo. Noi ritorneremo qui dal combat
timento tutti grondanti di sangue e coi corpi lacerati da saette
segnate del nome di Ràma, ed annunzieremo che fu senza
alcun dubbio tutta rotta l'oste Vànarica con Sugriva e che
furon da noi uccisi Ràma e Lacsmano. Noi abbraccieremo
i tuoi piedi, e tu ne stringerai con gaudio in cari amplessi.
Fa quindi tutto lieto, o re, bandir per la città sopra dorso
d'elefanti che fu disfatto Ràma col fratello e con tutta l'oste;
e mostrandoti contento, fa doni a' tuoi servi, siccome t'ag
grada; fa quindi largire a' tuoi guerrieri alimenti, famigli e
ricchezza desiderabile, serti, vesti, unguenti e cibi eletti e
copiose bevande; e propina tu stesso lietamente. Ma allor che
si sarà diffuso e sparso per tutto tal rumore, tu, o re, en
trando a Sità e confortandola in secreto, fa d'allettarla con
ricchezze e larghi doni di riso, con gemme e cose deside
rate; e Sità, o re, sopraffatta da sgomento e da dolore per
la morte di quei due e vedovata del suo protettore, con
sentirà mal suo grado al tuo volere. Com'ella avrà per certo
che è perito il suo sposo, in cui s'appunta ogni suo affetto,
mossa da disperanza e da indole femminile si recherà ai
tuoi desideri. Cresciuta in addietro fra dolcezze, degna di
care delizie ed or afflitta dalla sventura, conoscendo Sità che
in te sta il farla felice, s'inchinerà a te con tutto l'animo.
Quest'è, a mio avviso, il miglior mezzo; chè pur vedendo
Ràma, ne seguirebbe a te gran danno; ciò che io proposi avrà
qui pieno effetto; tu non darti travaglio, o re; col non
commettere battaglia tu otterrai piena contentezza. Vinci il
nemico appieno senza combattimento, senza pur veder l'oste
nemica e senza incontrar pericoli; e fa d'acquistare chiara
gloria, fama e prosperità e il dominio della terra.

CAPITOLO XLIV.
USCITA DI KUMBHIAKARNA.

Intesi que' detti, Kumbhakarna deridendo Mahodara, im


pugnò l'asta affilata che rompe il nemico colla sua foga ,
arma tutta ferrea, con fregi d'oro brunito, spaventosa e
YUDDHIACANDA, 261
ardente, pari al fulmine d'Indra e grave com'esso il fulmine
usa a fiaccar l'orgoglio dei Dànavi e dei Devi, e struggitrice
di Yaksi e di Gandharvi. Impugnata quell'asta tagliente,
tinta di sangue nemico, il feroce Kumbhakarna così parlò
a Ràvano: Uscirò io solo a combattere; rimanga qui il tuo
esercito: colla morte di quel reo torrò via oggi, o re dei
Racsasi, l'orribil tua paura; rimanti qui tranquillo e lieto,
Non fanno gli eroi inutile rombazzo, a guisa di nuvole sen
z'acqua; vedrai or ora effettuate coll'opera nella battaglia
le sonanti mie minacce. Chi mai non sente bollor di sdegno,
sempre favella parole dimesse; ma gli eroi sdegnosi per ma
tura, fanno opere ed ardue e forti. I detti che tu, o Maho
dara, vai proferendo ognora, vanno pur all'animo di re pa
vidi e stolti, vani ed ignoranti. Voi nelle battaglie ignavi,
favellanti di continuo blande parole e assentatori assidui
di chi regna, avete guasta quest'impresa; circonvenendo
il re de' Racsasi, voi avete, o inverecondi, recato Lanka
a mal partito, dissipato il suo tesoro, messo l' esercito a
ruina. Ma uscirò io stesso oggi a battaglia, pronto a repri
mere il nemico e a compensar colla mia forza la vostra
inettitudine.
Udendo que' detti di Kumbhakarna, si rallegrò il re dei
Racsasi e reputò sè stesso come rinato a nuova vita; e per
più accendere l'ardire del saggio Kumbhakarna che in tal
guisa favellò, Ràvano cosìgli disse: Quel Mahodara è senza
dubbio esterrefatto da Ràma; ond'egli impaurito non ama
la battaglia, o prode. Io non ho chi eguagli il tuo affetto e
la tua forza; va or tu dunque, o Kumbhakarna, a rompere
il nemico e ad acquistar vittoria; ma vanne circondato dalle
mie schiere; ei vuolsi da te eseguire quel che io ti dico.
Io non approvo nella mia mente che tu vada solo e senza
compagni; chè i Vànari son magnanimi, impetuosi e riso
luti, e metterebbero a pericolo chi uscisse solo e noncurante.
Onde, o eroe invitto, esci cinto dalle mie falangi, e uccidi
e sperdi co' miei Racsasi il nemico.
- Levandosi allora dal suo seggio, il possente Rávano ap
piccò a Kumbhakarna una gemma splendida come il sole,
cinse a quel magnanimo armille e anella, una lorica di gran
pregio e una collana di perle, bella come disco di luna, e
262 RAMAYANA,

gli adornò le membra d'eletti serti aulenti, di gioie e ricchi


fregi e di pendenti preziosissimi.
Ornato d'auree maniglie, di monili e di nobil gioiello al
petto, risplendeva a guisa di fuoco il fortissimo Kumbha
karna; e con un gran cinto d'oro avvolto ai lombi e fulgido
ei somigliava al monte Mandara avvinghiato da un gran
serpe, allor che si diguazzò l'Oceano per farne emerger l'am
rita. Adorno le membra di tutti que' fregi e colla lancia in
pugno, quel gran Racsaso pareva Nàràyana, quand'ei spie
gava la sua possanza nel muovere i tre gran passi. Abbrac
ciato Rávano e giratogli intorno da man destra ed inchina
tosi a lui col capo, si dispose a partir quel robustissimo.
In quella il suo auriga condusse là il divino e grande
suo carro, ampio due mila cubiti e somigliante alla vetta
del Kailàsa, tirato da cento asini, fornito di bellica insegna
e guernito d'otto ruote, rimbombante con fragor d'immensa
nuvola. Modesto ed in atto reverente ei magnificò Kumbha
karna con voti di vittoria; e questi salito sopra il carro
s'avviò con alto rimbombo pari a strepito di nube.
Rávano l'accommiatò con fauste benedizioni, ed i Racsasi
muniti d'armi elette, e a suon di conche e di taballi, se
guitarono quel magnanimo partente, eccelso fra i curuli
guerrieri, con elefanti, con cavalli e carri sonanti al par di
nubi. Cosparso da nembi di fiori, coperto dall'ombrello ed
armato d'asta tagliente, uscì pien di furore ed ebbro di san
gue quel sovrano fra i Racsasi guerrieri. Tenner dietro a
quel fortissimo, di terribile aggrondatura, che correva pre
cipitoso, più Racsasi feroci, pedestri e armati di dardi, guer
rieri di gran corpo e d'occhi ardenti, somiglianti a mucchi
di nero collirio, vibranti spade ed aste, scimitarre, scuri ed
ascie, picche lunghe parecchie braccia, mazze e clave, tron
chi d'alberi diversi e sassi ritondi, guerniti di ferree punte
e inaccessibili. Pervenuto alla porta della città, terribile in
vista ed orrido, l'ardente ed eccelso Kumbhakarna proruppe
fuori con impeto; egli era largo quattrocento cubiti ed alto
seicento braccia stese, immane, con occhi simili a ruote di
carro, smisurato, pari al vertice d'un monte.
Uscito fuori della città, il possente Kumbhakarna gran
dibracciuto, che somigliava a un monte riarso, così parlò
YUDDHACANDA, 263
ridendo ai Racsasi: Struggerò io oggi irato queste schiere
di prodi Vànari a parte a parte, sì come strugge le lo
custe il fuoco. Non mi fecero, egli è vero, oltraggio questi
Vànari abitatori di selve; ma razza di gente così fatta cor
rompe i boschi della città. La principal cagione per cui è
stretta d'assedio Lanka, è il Raghuide con Lacsmano; morto
colui, anderà in rotta tutta l'oste; ond'io ucciderò qui il
Raghuide in battaglia.
Mentre così parlava il Racsaso Kumbhakarna, apparvero
d'ogni parte terribili portenti. Mugghiarono orribilmente nu
vole senz'acqua e pregne di folgori, e tremò la terra con
esso le selve e il mare; ulularono orribili sciacali, sbuffando
aliti di fiamme, e s'aggiravano gli augelli in cerchi infausti;
si calò sopra il carro di lui che marciava, un avoltoio; gli
si agitò l'occhio sinistro e gli tremò il sinistro braccio; fu
scosso da tremito il suo piede e s'arricciarono i suoi peli;
si ruppe la sua voce, mentr'ei s'addentrava nel campo di
battaglia; cadde dal cielo con fiero strepito una meteora
infiammata; s'oscurò il sole, nè più spirava alito di vento.
Ma non curando que'fieri portenti apparsi, annunziatori di
morte, pur si slanciò fuori Kumbhakarna, accecato dal suo
destino. Ma come ei fu uscito dalla porta della città e pari
in vista ad un gran monte, egli scorse la stupenda oste dei
Vànari, somigliante a gruppi di nubi.

CAPITOLO XLV,

INCORAGGIAMENTO DEI VANARI.

Uscito fuor della porta di Lanka, il fortissimo Kumbha


karna, seguitato da molti Racsasi ruggenti e pieni d'ira, mise
un immenso boato che fe rimbombar l'Oceano, produsse quasi
una bufera e parve scommuovere i monti. Ed i Vánari veg
gendo inoltrarsi con orrido guardo colui, cui non poteron
fiaccare nè Indra, nè Varuna, nè Yama, si diedero a fuggir
per ogni parte.
Ma come li vide volti in fuga, Angada figlio di Bàli si
diede a gridare a Gavaksa e a Sarabha, a Nila ed al for
tissimo Kumuda: Dove n'andate or voi esterriti a guisa d'i
264 RAMAYANA.
gnobili scimi, dimentichi di voi stessi, della vostra virtù e
di vostra schiatta? Venite orvia, tornate addietro! che vo
lete voi salvar la vita! dove credete voi poter, fuggendo,
cansar la morte, o prodi Vànari? Poichè di necessità convien
morire, meglio è per gente vostra pari il morire combat
tendo; la vita ovver la morte, non è in vostro potere il pro
curarle; anteponendo or dunque a tutto il dovere de' guer
rieri, combattete, o egregi Vànari. Non è quel Racsaso un
guerriero da battaglia; egli è un grande spauracchio, e noi
affrontandolo con vigore, dissiperemo quel gran spaventac
chio che surse a terror de' Vànari; ritornate or via, o scimi.
Riconfortati con gran pena e ricorandosi l'un l'altro, i
Vànari tornati addietro si posero in fronte di battaglia, ar
mati d'alberi e di sassi; e rimbalditi, come elefanti furibondi,
ei si diedero con gran rabbia a tempestare Kumbhakarna.
Ma colui percosso d'ogni parte con alti cacumi di monti,
con sassi ed alberi dalla florida vetta, punto non si crollava.
Allora il prode scimio Dvivida, di terribile forza, divelto
un monte, corse pari a vampo addosso al Racsaso, e con
grandissimo valeggio scagliò quel monte che pareva un
mugolone; ma non imbroccò il corpo immane di quel Rac
saso e schiacciò invece le sue schiere. Cadendo sulle mem
bra di Kumbhakarna si spezzavano i grandi massi e gli al
beri dalle floride vette, e ricadevano rotti a terra.
Ma egli ardente d'ira si diede con isforzo supremo a strug
ger le animose schiere de' Vànari, sì come fa le selve il
fuoco che divampa; e i robustissimi Vànari inveleniti facevan
con brani di monti strage immensa delle Racsase falangi.
Era feroce quella pugma, combattuta con vertici di monti,
ingombra di cavalli uccisi, di veicoli e di carri infranti,
grondante del sangue de' Racsasi. I quali combattenti sopra
carri, con dardi micidiali come la morte, ferivano a furia
le teste de' sommi Vànari, ruggendo avidi di battaglia; ed
i Vànari magnanimi dibarbando grossi alberi, sgretolavano
cavalli e carri, cammelli ed elefanti e Racsasi ad un tempo.
Molti prestanti Vànari, sgominati e caduti a terra, giacciono
molli di sangue, a guisa d'alberi portanti fiori sanguigni.
Alcuni fra que''Vànari forbottati dal Racsaso alle spalle, se
ne corron fuggendo per quella via, per cui valicarono il
YUDDHIACANDA, 265
mare; altri con faccia smorta e sbigottita correndo e sal
tando forre e balze, più non si guardano intorno. Valicano
altri il mare, si levan altri in aria; altri si danno a ripir
sovr'alberi, si profondan altri nell'Oceano. Chi sale sopra
monti, chi si ripara entro caverne, chi stramazza e chi si
scombuia. Veggendo in rotta tutti que' Vànari, Angada così
gridava: Fermatevi, o Vànari e combattiamo; a che vi giova
il fuggire? Io non veggo dove voi sconfitti possiate, pur
peragrando questa terra, trovar sede sicura; ritornate tutti
indietro e battagliate, o prodi Vánari. Stando in questa con
dizion mortale, dove potrete voi, fuggendo, scansar la morte?
Questo terrore che voi tutti mostrate sì vilmente, fuggendo
disarmati, fuor di senso e svigoriti, è terror degno di donne.
Nati tutti d'amplissime e grandi schiatte, egli è turpe invero
che or sì pavidi e deposta ogni fermezza, voi vi diate così
alla fuga! Dove son iti que'vanti altieri e sbardellati che
voi menavate nell'assemblee, allor che si parlava di guerra,
se or cercate di vivere macchiati da nota di codardia e vi
tuperati! Seguite orsù la via camminata dai valorosi e la
sciate la paura! O perduta la vita combattendo, giacerem noi
qui spenti sulla terra ed otterremo colla morte il mondo
di Brahma che difficilmente s'impetra, od acquisteremo ce
lebrità, rompendo il nemico in gran battaglia. Non iscam
perà vivo quel Kumbhakarna, come prima incontrerà Ràma,
a guisa d'una locusta che s'abbatta in fiamma ardente. Se
salverem colla fuga la nostra vita, sbaragliati da un solo,
essendo noi pur molti, sarà perduta la nostra gloria guer
riera.
All'eroe Angada che in tal modo favellava, i Vánari pur
tuttavia fuggendo per paura, risposero parole indegne d'e
roi: Già fu fatta di noi strage orrenda da Kumbhakarna;
non è questa l'ora di più star fermi, e ci fuggiamo, chè
n'è cara la nostra vita.
Così dicendo, tutti que' scimi si dispersero in fuga per
le varie regioni, veggendo inoltrarsi fra la battaglia con oc
chi spaventosi l'orribil Racsaso. Ma il fortissimo Angada or
con blandimenti ed or con parole altiere pur pervenne a
ritrarre indietro tutti coloro che correvan cacciati da paura.
266 RAMAYANA,

CAPITOLO XLVI.

MORTE DI KUMBHIAKARNA.

Rivoltisi indietro, all'udir le parole d'Angada, e rinfran


cato il loro animo, que''Vànari di gran corpo si fermaron
disposti a combattere. Allor que''Vànari rinvigoriti, ringa
gliarditi e rassodati dai detti d'Amgada, fecer battaglia stre
pitante e disperata, rifatti animosi dalla baldanza e delibe
rati di morire; e divelti subitamente alberi enormi e sfor
mati cacumi di monti, assalirono Kumbhakarna.
Ma quel Racsaso sfolgorante, visti avventarsi i Vànari, li
dissipò con rabida ira, come disperge le nubi il vento. In
quella nove duci dell'oste Vànarica, tenendo sollevati grossi
sassi, si serrano addosso al Racsaso poderoso. Angada, Ku
muda, Nila, Gavaksa e il fulvo C'andana, Meinda e Dvivida,
Gâmbavat e Vinata, investirono tutti ad una il fortissimo
Kumbhakarna; ma i sassi, ch'ei lanciano simili a monti,
spezzandosi sulle sue membra, schiaccian solo vessillo e
carro, asini ed auriga. Allor quel prode saltando giù dal
carro ed impugnando rapido l'asta, si slanciò con impeto,
a guisa d'un monte alato; e vibrando a furia e con gran
d'ira l'asta, l'impetuoso Kumbhakarna fece scempio de'ne
mici, sbarattandoli d'ogni parte. Sette centinaia ed otto mi
gliaia di Vànari giacciono sparti a terra, abbattuti da Kum
bhakarna; ed afferratine colle braccia sedici, otto, dieci,
trenta e venti, li sgretolò quel, Racsaso. Sì come un robu
sto elefante, cui risudan per furor le guance fesse, calpesta
e sgomina un canneto, così s'aggira Kumbhakarna, strito
lando le schiere de'Vànari.
Il poderoso Hanumat gli lancia al corpo cacumi di monti,
e più alberi d'ogni sorta; ma il feroce Kumbhakarna rompe
coll'asta que'cocuzzoli di monti e spezza gli alberi lanciati.
Quindi ei vibrando quella sua tagliente picca, di nuovo si
scaglia addosso alla terribil oste de' scimi; ed Hanumat, ar
rappata una vetta di monte, si ferma innanzi al Racsaso
che s'avventa. Con quel masso il prode scimio percuote
irato Kumbhakarna; ma quel forte, di possanza eguale a
YUDDHIACANDA, 267
Yama, benchè colpito non dà crollo; e lanciando l'asta fol
gorante, pari al fiammante vertice d'un monte, percosse il
Márutide nel petto, sì come Karttikeya percuote il monte
Kraunc'a colla sua terribil lancia.
Rotto da quell'asta il largo petto, barcollando e vomi
tando sangue dalla bocca, mise Hanumat in quella gran
mischia un grido orrendo, risonante come tuono di nube
autunnale. Come vider colui sì dolorato, levaron liete ad un
tratto alti clamori le schiere de' Racsasi; ed i scimi ester
riti e scorati si diedero a fuggir subitamente.
Ma Nila pur lanciò fra quella mischia un cacume di monte
a Kumbhakarna; e questi, visto quel masso venirgli addosso,
lo fracassò col pugno, e quel vertice di monte percosso dal
colpo di quel pugno, fiammando e scintillando si sfracellò
e cadde a terra. Veduta quell'orrida prova di Kumbhakarna
fra la battaglia, Risabha, Sarabha e Nila, Gavaksa e Gam
dhamâdana, cinque prodi dell'oste Vànarica, fecero impeto
contro il Racsaso; e tutti ad una que'robustissimi con sassi
ed alberi, con pugni e con palmate tempestarono il gigan
téo Kumbhakarna.
Ma colui, riputando quelle botte come leggieri tocchi di
mano, punto non si turbava, ed avvinse colle sue braccia
il fortissimo Risablha. Stretto fra le braccia del Racsaso e
vomitando sangue dalla bocca, cadde quindi a terra il prode
Vánaro. Ed il feroce nemico d'Indra percosse a mano a
mano in quel conflitto Sarabha col pugno, Nila col ginoc
chio e Gavàksa con una gran palmata.
Ammaccati da que' colpi e grondanti di sangue venner
meno que' Vànari e stramazzarono a terra, pari a butee re
cise. Ma caduti que' magnanimi duci de' Vànari, migliaia
d'altri assalirono Kumbhakarna; i quali ritti e grandeggianti
si diedero a ripire su per lo corpo di colui, sì come su
per un monte; e coll'unghie e con li denti, colle ginocchia,
coi pugni e colle palme straziavano a gara il gigantéo Kum
bhakarna.
Cinto d'ogni parte da quelle migliaia di Vànari, così ap
pariva l'eccelso Racsaso, come un monte vestito d'alberi.
Traendo a se colle braccia l'un dopo l'altro i Vànari, quel
l'immane li ingollava pien di rabbia, sì come Garuda i ser
268 RAMAYANA,

penti; e que'Vànari cacciati da Kumbhakarna nella sua


bocca, simili al Pàtàla, uscivan fuori per le nari e per gli
orecchi. Quel Racsaso correva insano per le schiere de' scimi,
pari al fuoco di finimondo, facendo la terra lorda di carni
e di sangue; ed armato della sua picca, così folgorava in
quella gran puntaglia, come Indra che impugna il fulmine,
o Yama armato di fune; e come il fuoco nella stagione a
dusta arde le aride selve, così quell'oltrapossente struggeva
le schiere de'Vàmari.
Questi allor sì tartassati, rotte le lor schiere e privi di
duce, levarono atterriti strida disperate; ed incalzati da
Kumbhakarna, smarriti d'animo ed afflitti si rifuggirono ai
due Raghuidi. In quella il prode Sugriva, signor de'Và
nari, veggendo correre alla sua volta il fortissimo Kumbha
karna, si levò; ed afferrata subitamente una robusta shorea,
quel grande scimio corse con impeto ad assalire Kumbha
karna in gran battaglia. Ma veduto il Racsaso star fermo, e
col corpo sozzo di sangue scimiesco divorar li scimi, così
parlò Sugriva.
Furon da te trucidati i miei prodi, e fu da te fatta opera
ardua ad ogni altro; tu hai atterrite queste mie schiere ed
acquistato gloria suprema; lascia ora tutti questi Vànari; che
farai tu oggimai di loro? sostieni or l'impeto di me solo
armato di questa shorea, o Racsaso.
Udendo quelle parole animose e forti del re de' scimi, il
feroce Racsaso Kumbhakarna così rispose: Tu sei nepote
di Brahma e figlio del re degli orsi, generato nella sua don
na dal magnanimo Sole; è famosa, il so, la tua forza; per
chè meni or tu sì gran vampo, o Vànaro! Mostra col fatto
la tua prodezza, perch'io t'atterri.
All'udir que' detti, vibrando Sugriva la sua robusta sho
rea, la lanciò con subito impeto; e con quell'arbore pari
al fuoco sterminatore colpì Kumbhakarna al petto. Ma la
shorea caduta sul petto di colui, si spezzò in un tratto.
Misvennero allora subitamente i scimi; e levaron lieti cla
mori le schiere de' Racsasi; e Kumbhakarna colpito da
quella shorea arse d' ira e sghignazzò, spalancando la sua
bocca; e squassata l'asta fulminea, la scagliò per dar morte
al re de' scimi. Ma quel valoroso, sbalzando di repente e
YUDDHIA CANDA, 269
rattenuta colle sue braccia l'asta affilata, guernita d'oro e
di diamante, lanciata da Kumbhakarma, la spezzò con im
peto e con forza; quell'animoso e prode scimio ruppe, le
vando il ginocchio, quell'asta salda, nera e ferrea, pesante
mille bhàri.
Come vide rotta l'asta, arrabbiò il magnanimo duce dei
Racsasi; e spiccata di repente una vetta di monte e su le
vatosi, percosse con quella Sugriva. Il re de'Vànari colpito
da quel vertice di monte, cadde fra la battaglia a terra di
sensato; e veggendolo atterrato e fuor di senso, gridavan fra
la battaglia lieti i Racsasi. Ma Kumbhakarna di stupenda
e terribil forza, appressatosi in quella pugna al re de'Và
mari, ed abbrancatolo, il levò via, sì come il vento impe
tuoso toglie via una nube. Rapito colui, si partì quel prode,
celebrato nella battaglia dalle schiere de' Racsasi, e udiva
il clamor dei Devi, stupefatti della presura del re de'scimi.
Portando via il re de' Vánari, pensava il Racsaso nemico
d'Indra, e di forza eguale ad Indra stesso: Tolto costui di
vita, sarà sconfitta tutta quell'oste in un con Ràma.
Ma l'accorto Hanumat, figlio del Vento, veggendo disperso
qua e là l'esercito de' Vánari e tolto via da Kumbhakarna
Sugriva loro duce, si diede a pensar fra se: Or che venne
così preso Sugriva, che cosa devo io qui fare? oh! farò pure
ad ogni modo quel che mi pare opportuno; porrò a morte
quel Racsaso che grandeggia al par d'un monte. Ucciso
che sarà da me quel robustissimo Kumbhakarna , fracas
sato dai colpi del mio pugno, e liberato il re de'Vánari,
si rifaran giulivi tutti i scimi. Ma certo il re de' Vánari si
svincolerà da per se stesso, ancorch'egli fosse in man dei
Devi. Io credo che il re de' Vànari non sia or conscio di
se stesso, perch' ei fu da Kumbhakarna tutto affranto nella
zuffa con quel colpo di macigno. Ma riavutosi fra breve, il
fortissimo Sugriva farà quel che è opportuno ai Vànari ed
a se stesso. Che se il magnanimo Sugriva venisse fatto li
bero per le mie mani, ne avrebbe ei di certo amara pena
e macchia perenne alla sua fama; ond'io aspetterò qui un
poco, tanto che si ridesti la forza del re de' scimi, e ricon
forterò frattanto l'oste de'Vànari sgominata. Rivolti nella
sua mente questi pensieri, il Màrutide Hanumat si diede a
270 RAMAYANA,

rinfrancare l' esercito de'Vànari; e come l' ebbe rincorato


con gran pena, i scimi raccozzandosi d'ogni parte, armati
d'alberi e di roccie, s'ordinarono di nuovo sulla fronte della
battaglia.
Fra tanto Kumbhakarna entrava in Lanka, portandone il
grande re de'Vànari tutto tremante; e gli eran gettate ghir
lande a fusóne da Racsasi che andavano attorno sopra carri
o stavan sull'alto delle case o alle porte della città.
In quella il magnanimo Sugriva stretto fra le braccia di
quel possente ricuperò con pena il senso, e riguardando la
via regale della città, andava così pensando: Or ch'io sono
sì avvinghiato, come potrò far resistenza! Ma farò pure in
modo che saran contenti i scimi e n'avrò vantaggio io stesso.
E levatosi in un subito, il re de' scimi lacerò coll'unghie
gli orecchi e coi denti il naso del Racsaso nemico d' Indra,
e lo squarciò ne'fianchi; e Kumbhakarna col naso e cogli
orecchi sbrandellati e forte urlando per dolore, vinto dall'ira
e grondante di sangue, gettato Sugriva a terra, lo dirompeva.
Ma il possente scimio mandato a terra e sbatacchiato da
quei nemici de' Devi, si sollevò in un tratto, e slanciatosi
per l'aria, tornò subito a Ràma. Intanto il fortissimo Kum
bhakarna cogli orecchi e il naso mozzi così appariva sgor
gando sangue, come un monte che versa acqua da' suoi rivi.
Allora quel magnanimo prorompendo subitamente fuori della
città, cogli occhi stravolti dall'ira, si diede a divorare la
fiera oste de'Vànari, sì come struggerà le genti il fuoco
ardente di finimondo; affamato ed avido di carni e di san
gue, penetrando di repente nell'esercito de' Vánari, divorava
Kumbhakarna per insania fra la battaglia Racsasi, scimi ed
orsi. Afferrando con una mano uno, due, tre o molti in
sieme Vànari e Racsasi, ei se li caccia in bocca; ed orri
bile nell'aspetto, tutto sozzo di sangue e di midolle che gli
goccian dalla bocca ed ingrossato pari ad un monte so
vrano, ei se ne va ingoiando i Vànari.
Questi messi in rotta si rifuggono in quella a Ràma, il
qual levandosi, impugnò il mirabile suo arco. Tolto l'arco
flessibile a guisa di serpente, tremendo, di salda corda e au
rato il dosso, e legatasi la gran faretra, Ràma si spinse in
nanzi, rincorando i scimi; e circondato da schiere di Vànari,
YUDDHIACANDA, 271
seguitato da Lacsmano ed armato del suo grand'arco, quel
vincitor delle città nemiche s'inoltrò imperterrito. Egli scorse
là fermo allora il cristato Kumbhakarna, magnanimo e ro
busto, lordo di sangue per tutto il corpo, che scorrazzava, sì
come un elefante furioso, ed intorniato da Racsasi cercava
con rabbia i scimi, mirabilmente ornato d'oro e somigliante
al Vindhya e al Mandara, gocciante sangue dalle membra,
tutto insano e sanguinoso, il qual leccava colla lingua il
sangue sulle sue labbra, e pari a Yama struggitore dirom
peva in battaglia i Vànari.
Veduto quel Racsaso eccelso, sfolgorante quasi col suo vi
gore, il prode Ràma caricò l'arco; ma il feroce Kumbhakarna,
udito il rombo dell'arco e mal sopportando quello strepito,
s'avventò al Raghuide. In quella il figlio di Sumitra, domator
delle schiere nemiche e sperto di balestro, mise in punto il
terribile suo arco e confisse di tuttaforza sette dardi nel corpo
di Kumbhakarna, ed altri ancor ne toglieva e li lanciava.
Ma il robusto Racsaso, non curando del Saumitride, pur
correva addosso a Ràma e faceva quasi risonar la terra.
Ràma allora così parlò fra la battaglia al gigantéo Kum
bhakarna che gli veniva incontro, somigliante ad una nube
spinta dal vento e con braccia simili al corpo immane del
re de' serpenti: Mi t'appressa, o duce de' Racsasi; io son
qui fermo colle saette e coll'arco in mano; sappi ch'io ti
sto qui innanzi come la morte, e in breve ora tu sarai
tolto di vita, o scelerato.
Come s'avvisò che colui era Ràma, sghignazzò il Racsaso con
gran fracasso, schiantando quasi il cuor de' Vànari; e come
ebbe sghignazzato sformatamente, orribilmente e a modo di
nuvola che tuoni, il feroce Kumbhakarna così rispose a Rà
ma : Non darti a credere ch'io sia Viràdha o Khara o Dù
sana, Bâli ovver Marica; sappi ch'io son Kumbhakarna;
mira quest'orrida mia picca, salda e tutta ferrea; con questa
furono un dì da me vinti i Devi e i Dànavi. Non avermi
a vile, perch'io abbia tronchi gli orecchi e il naso; chè punto
non mi dà affanno l'esser cionco del naso e delle orecchie.
Prova or via sulle mie membra l'agile tuo vigore, o Icsva
cuide superbo; e conosciuto che avrò la tua forza e la tua
possanza, allor io t'ingoierò.
272 RA MAYANA,

Uditi que' detti di Kumbhakarna, lanciò Ràma saette ben


pennate; ma benchè ferito da que' dardi impetuosi come la
folgore, pur non si commosse fra la battaglia Kumbhakarna.
Quelle fulminee saette, da cui furono un dì recisi i più so
lidi palmizi, morto Bàli ed atterrati Racsasi prestanti, punto
non offendevano il corpo di Kumbhakarna; quel gran ne
mico d'Indra suggendo quasi col suo corpo quelle saette,
come si succia acqua che stilli, rintuzzava la foga dei dardi
di Ràma, rotando la sua picca folgorante ; e mentr'ei squas
sava quella picca orridamente concitata, lorda di sangue
nemico e terribile alle possenti schiere dei Devi, metteva
terrore nel prode Ràma.
Ma il Raghuide fra la battaglia, tratto fuori di repente il
telo divino, confisse nel cuor di Kumhhakarna saette pode
rose; e dalla bocca di colui ferito da Ràma ed avventantesi
a lui con impeto ed ira ardente, usciron fiamme miste con
carboni. Le saette guernite di penne di pavone e lanciate
con isdegno dal magnanimo Ràma, confitte nel petto di Kum
bhakarna, straziavano il suo cuore; e dalle mani di lui con
quiso cadde a terra la sua grand'arme.
Come si vide disarmato, si diede quel fortissimo con calci e
colle pugna a fare orrido scempio; e tutto sforacchiato dalle
saette e insanguinato, così versava sangue dalle ferite, come un
monte spande l'acqua per li suoi rivi. Sopraffatto da grand'ira
e grondante di sangue ei va attorno divorando Vànari e Racsasi.
In quella il pio Lacsmano intento alla morte di Kum
bhakarna, rivolti nella sua mente più spedienti, così disse:
Inebbriato dall'odor del sangue, costui più non discerne,
divorando, Vànari o Racsasi, e ingoia alla rinfusa i suoi d
i nemici. Or s'arrampichino su per lo suo corpo tutti d'ogni
parte i prodi Vànari, e l'assalgano e lo stringano i prestarti
condottieri; oppresso dal grave pondo cadrà a terra quel
malvagio e insano, nè più struggerà altri scimi.
Uditi que' detti del saggio e regal Lacsmano, Gaya, G -
vàksa e Gavaya, Sarabha e Gandhamàdana, Nila, Kumu la
e Subàhu, tutti ad una ed animosi si misero a ripir u
Kumbhakarna. Ma il feroce Racsaso, esacerbato da que' sci ni
che gli ripivan su per lo corpo, li sconquassò con furi ,
sì come sbaraglia i suoi montatori un elefante infuriato.
YUDDHIACANIDA, 273
Come vide sbalzati a terra tutti que' duci de' Vánari e
conobbe la forza smisurata di colui, Ráma incoccò teli di
vini. Provocando quindi il Racsaso a battaglia, ei lanciò
contro lui il gran telo del Vento; e gli spiccò via con esso
il braccio in un col mazzapicchio ond'era armato; cionco del
braccio mise il Racsaso urla sformate. Ma il braccio di colui
pari al vertice d'un monte, spiccato in un col mazzapicchio
dalla saetta del Raghuide, cadde in mezzo all'oste Vànarica
e batacchiava a furia i Vänari. Quanti fra costoro pur scam
parono alla disfatta dell'esercito, ridotti allo stremo, tre
manti e svaloriti dalla paura, stetter mirando il fiero affronto
del sovrano fra gli uomini e del principe de' Racsasi.
Kumbhakarna col braccio troncato dal telo e somigliante
ad un monte, cui sia stata dal fulmine recisa un'ala, sradicò
coll'altra sua mano una shorea robusta e si scagliò contro
il sovrano degli uomini, battagliando; ma Râma con una
fulminea saetta, unita insieme col telo d'Indra, troncò in
un colla shorea il braccio sollevato di colui, simile al corpo
d'un serpente; e quel braccio tronco, cadendo a guisa d'un
serpe sfuggito alle branche di Garuda e guizzando quà e
là, forbottava roccie ed alberi, Racsasi e Vànari.
Veggendo quel Racsaso colle braccia mozze pur avven
tarsi a furia e con orridi boati, Ràma, dato di piglio a due
teli aguzzi e falcati a guisa di mezza luna, gli recise fra la
zuffa amendue i piedi. -

Allora Kumbhakarna cionco de' piedi e delle braccia, spa


lancando la sua bocca, simile alla bocca del Pàtàla, corse
impetuoso e ruggendo addosso a Ràma, sì come Ràhu assale
la luna in cielo.
Ma Râma con saette d'acuta punta e guernite d'auree
penne tutta gli empiè la bocca; ed il Racsaso colla strozza
piena più non poteva muover parole; ma borbogliava a stento
e venne meno. Ráma in quella diè di piglio al telo d'Indra,
dardo aguzzo e ben pennato, rapido al par del vento e lu
cente come raggio di sole, pari allo scettro di Brahma ed
alla morte e struggitore de' nemici, telo irresistibile, pode
roso e orrendo, cagion di terrore ai nemici e di letizia ai
congiunti. Incoccato quel dardo sovrano e teso l'arco, il pos
sente Raghuide scagliò per dar morte a Kumbhakarna quel
VOL, III. 18
274 RAMAYANA,

telo divino, dono d'Indra e fiammante quasi col suo splen


dore. Scoccato dal forte Ràma, squarciò quel telo acuto il
cuor di Kumbhakarna e si ficcò nella terra. Ma il Raghuide
tolse immantinente un'altra saetta divina, ch'egli assidua
mente custodiva, tenuta in grande pregio dagli stessi Devi
in un con Indra e pari allo scettro di Yàma; e lanciò contro
il Racsaso quella saetta che avea penne ornate d'oro e di
diamante, fulgida al par di fiamma e di raggiante sole e
impetuosa come il fulmine d'Indra. Quella saetta lanciata
dal braccio di Ràma, velocissima come la folgore del re dei
Devi, volò irradiando le dieci plage col suo fulgore, somi
gliante al fulgor di vivo fuoco; e spiccò via la testa del
duce de' Racsasi, la qual somigliava al vertice d'un gran
monte, con denti ritorti e con begli e lucidi pendenti, a
quella guisa che un dì Indra recise la testa di Vritra.
Messo in quel punto un urlo orribile, cadde il Racsaso
morto a terra e schiacciò col suo gran corpo due migliaia
di Vànari; tremarono i valli e le porte di Lanka e si scom
mosse il mare, allor che colui diede, cadendo, in terra il
tonfo. Visto colui disteso a terra, co' suoi ornamenti dispersi,
rimasero atterriti tutti i Racsasi scampati a quell'eccidio; e
molti affranti dalla battaglia, costernati e smorti urlarono
orrendamente con voci stemperate.
Ucciso nella zuffa Kumbhakarna, quell'altiero nemico dei
Devi, non vinto mai per l'addietro nei più forti combatti
menti, s'allegrò Ràma, sì come il supremo degli Immortali,
dopo ch'ebbe ucciso Vritra, il grande Asuro; ed i Vànari
lietissimi, colle faccie dilatate e somiglianti ad aperti fior
di loto, onorarono il Raghuide avventuroso, che spense quel
Racsaso nemico, tremendo per la sua forza. I Devarsi, i
Maharsi e i Guhyaki, i Suri e gli Asuri, i Bhati, i Serpenti
e Garuda, i Yaksi coi Gandharvi, i Daityi e i Dànavi leti
ziarono allor per gaudio della possanza di Ràma.
YUDDHIACANDA. 275

CAPITOLO XLVII,

LAMENTO DI RAVANO,

Come udirono Kumbhakarna trucidato dal magnanimo


Ràma, corsero i Racsasi ad annunziarlo a Ràvano loro re;
il qual sentendo che era stato ucciso in battaglia il pode
roso Kumbhakarna, sopraffatto da gran duolo misvenne e
cadde. Rimasero oppressi da dolore, all'annunzio della ca
duta del zio lor paterno, Devàntaka e Naràntaka , Trisiras
ed Atikaya; furono assaliti da subita angoscia Mahodara e
Mahàpârsva, udendo come fu spento il lor fratello da Ràma
di lena infaticabile. Ma riavuto a stento il senso, il sovrano
de' Racsasi, dolente fuor di modo della morte di Kumbha
karna, così prese a lamentare: Oh eroe, domator dell'orgo
glio nemico! Oh fortissimo Kumbhakarna, tu sei dunque
ito per forza del tuo fato alla magion di Yama, lasciando
qui me solo! Or sì ch'io son disfatto, poichè cadde colui
che era il mio braccio destro ed a cui appoggiandomi punto
io non temeva i Devi che han sede in cielo. Oh come mai
un tuo pari, uso a fiaccar l'orgoglio dei Dànavi e dei Devi
e simile al fuoco di finimondo, fuegli atterrato in battaglia
da Râma! Come mai, ferito dai teli di Ràma, fosti tu steso
a giacer sulla terra, tu cui mai non diedero affanno i di
rompenti colpi del fulmine ! Veggendoti morto nella pugna,
giocondano ora liete le schiere dei Devi e tutti i Risci che
han stanza in cielo. Rifatti baldi ed ottenuto il loro intento
darann'oggi per certo i Vànari assalto d'ogni intorno ai ba
luardi ed alle porte di Lanka. A che più mi giova ora il
regno? che farò io di Sità? Privato di Kumbhakarna più
non ho desiderio di vivere. S'ei non mi vien fatto di ster
minare, combattendo, quel Raghuide uccisor di mio fratello,
meglio è per me la morte che questa inutile mia vita; ed
oggi me n'andrò colà, dove è ito il mio minor fratello; chè
abbandonato da colui più non posso viver lieto. Or i Devi
imbaldanziti derideranno me che gli inimicai già per l'ad
dietro. Come potrò io vincer Indra, come superare il Deva
Yama ovvero il possente Varuna,or che tu sei morto, o
276 RAMAYANA,

Kumbhakarna ! Or m'hanno attinto i nobili detti del ma


gnanimo Vibhisana, i quali per insipienza io non accolsi un
dì; questa è dessa la maledizione che Vibhisana lanciò contro
Prahasta e Kumbhakarna. Mi stringe or d'ogni parte la spa
ventevole rovina sopravvenuta; è questo il triste frutto ch'io
raccolgo da quell'atto, per cui fu da me espulso l'illustre
e pio Vibhisana. Per tal modo, allor che intese ch'era ito
al regno di Yama suo fratello, movea lamenti diversi il re
de'Racsasi e pareva quasi prevedere la sua morte.

CAPITO LO X LV III.

SDEGNO DI TRISIRAS.

Udendo così lamentare il magnanimo Rávano , Trisiras


punto da dolore così parlò: Ciò così avvenne, o valoroso,
perchè non s'ascoltarono i detti di Vibhisana. Ma i forti così
non s'abbandonano ai lamenti, sì come tu fai, o signore.
Certo tu sei atto a tenere in freno anche i tre mondi; or
perchè così t'attristi a guisa d'un uom volgare? Tu hai la
ferrea lancia che Brahma ti donò, e l'armadura e l'arco
colle sue quadrella, e il carro tirato da mille asini e rim
bombante sì come mugghio di nube. Quando tu disarmato
hai pur rotto Devi e Dànavi, munito di tutte tue armi ben
potrai tu uccider Ràma. Ma rimanti tu pur qui, o grande
re; uscirò io a combattere e torrò via il tuo nemico, come
fa Garuda un serpente: il vegga oggi ognuno così superato
da me in battaglia, come un dì fu vinto Sambara da In
dra e Tàraka da Visnu.
All'udir que' detti di Trisiras, parve a Ràvano re de'Rac
sasi di rinascere a nuova vita per quelle nobili e forti pa
role; e come intesero que'detti, s'acceser di voglia di com
battere Devàntaka e Naràntaka ed il possente Atikäya; e
pieni di baldanza menavano vampo que''Racsasi, prodi figli
di Rávano, e di forza eguali ad Indra, tutti atti a cammi
nar per le vie aeree e grandi mastri di prestigi, tutti av
vezzi a rintuzzar l'orgoglio dei Devi, tutti avidi di batta
glia e poderosi in armi, tutti d'immensa fama; di nessun
di loro s'udì mai che, venuto a battaglia, fosse vinto. In
YUDDHIACANDA, 277
torniato da tali figli, raggianti al par del sole e rompitori
della forza nemica, così risplendeva il re de' Racsasi, come
Indra circondato dagli Immortali, usi a fiaccar l'orgoglio
dei grandi Dànavi.

C A P IT O L O XL IX.

MORTE DI NARANTAKA.

Abbracciati que' suoi figli e addobbatili con ornamenti, li


mandò Rávano alla battaglia con faustissime benedizioni; e
per difender que” giovani regali, ei mandò con loro Maho
dara e Mahāpàrsva suoi fratelli, di terribile possanza. Quei
guerrieri di corpo gigantesco, salutato il magnanimo Ràvano
re de'Racsasi e giratogli intorno da man destra, si dispo
sero alla sortita; e soffregati con ogni sorta d'erbe salutari
e con profumi, que' sei eccelsi Racsasi fortissimi ed avidi
di battaglia usciron fuori. Allor salì Mahodara sopra l'ele
fante Sudarsana, somigliante a fosca nuvola e generato dalla
stirpe d'Airàvata; e stando su quell'elefante, guernito d'o
gni arme e munito di faretre e di clava, ei somigliava al
sole librato sul balzo d'occidente,
Trisiras figlio di Ràvano salì sopra un carro eccelso, ti
rato da nobili cavalli e corredato d'ogni arme, splendente
di fiori, di ghirlande e d'auree bandiere variopinte , riso
nante per cento tintinnabuli, guernito di bell'orlo a sua
difesa, e fragoroso come nuvola che rimugghi. Seduto su
quel carro e armato d'arco, così risplendeva Trisiras, come
una nube adorna d' iride e fiammeggiante con meteore e
con baleni. Sopra quel carro eccelso così fulgeva Trisiras
coi tre suoi diademi cristati, come fulge l'Himàlaya re dei
monti co' suoi tre aurei cocuzzoli.
L'ardentissimo Atikaya, figlio ei pure del re de' Racsasi e
supremo fra tutti gli arcieri, montò sopra un nobile carro
di salda compage, con bell'asse e belle ruote, guernito di
bel fondo e di bel timone, instrutto di faretre e di saette,
di dardi pennuti e di ferree clave. Col mirabile suo dia
dema, risplendente ed aureo, e cogli altri suoi ornamenti
così sfolgorava quell'eroe, come fa il sole co' suoi raggi;
278 RAMAYANA,

cinto da prodi Nairiti, il fortissimo Rávanide risplendeva su


quel carro, sì come Indra circondato dagli Immortali.
Naràntaka salì sopra un bianco destriero, pari ad Uccei
sravas, tutto addobbato d'oro, rapidissimo e di gran corpo;
e vibrando un iacolo pennuto, simile a un tizzo ardente, ei
rifulgeva come il possente Karttikeya, allor che impugna la
lancia nella battaglia.
Devàntaka brandendo una mazza ferrata, guernita di
diamante, somigliava nella pugna a Visnu, allor ch'ei di
velse colle sue braccia il monte Mandara.
Il robustissimo Mahàparsva, impugnata una clava pode
rosa, pareva Kuvera armato di clava fra la battaglia.
Que' Racsasi magnanimi, muniti d'arme poderose si mi
sero allora in via, ed erano, sì come i Devi in Amarâvati,
alteramente lieti di combattere. Racsasi di gran valore e va
riamente armati li seguitarono con elefanti, con cavalli e
con carri rimbombanti al par di nubi. Que'giovani magna
mimi, diademati e fulgidi, lucenti al par del sole, risplen
devano sì come i sette Risci in cielo; e la fila de' bianchi
ombrelli, tesi dinanzi a loro, così appariva come una fila di
bianchi cigni, o come una nuvola autunnale. Deliberata la
sconfitta e la morte de'nemici e fermi in tal pensiero, sor
tirono que' prodi, insani per brama di battaglia; ed i Rac
sasi magnanimi uscendo pur bramosi d'azzuffarsi, ruggi
vano e strepitavano, ringhiavano e imbaldanzivano. Ei si
diedero allora a battere i taballi e a soffiar nelle conche
allegramente, e suonarono i tamburi e i timpani di guerra
ed i bellici strumenti. Per lo strepito de'lor clamori e del
lor battersi a palme parve quasi tremar la terra e quasi
fendersi l'aere per li gridi di guerra de'Racsasi. Usciti fuori
tutti gioianti, que' fortissimi duci de'Racsasi videro l'oste dei
Vànari che brandiva sassi a guisa d'armi; ed i magnanimi
scimi videro la schiera de'Nairiti, ingombra di carri, di ca
valli e d'elefanti, e risonante di cento tintinnabuli, cinta
d'ogni parte da Racsasi somiglianti a fosche nuvole, fervidi
come sol d'acceso ardore e colle loro grand'armi sollevate.
Vista venire quella schiera, i Vànari pervenuti al loro in
tento, brandendo in alto grossi macigni, levaron ripetuti ed
alti clamori. All'udir quelle grida sonanti dei duci de'Và
YUDDHIACANDA, 279
nari, le fortissime torme de' Racsasi mal sopportando la fe
roce baldanza de'nemici, misero urli più spaventosi.
Penetrando allora per quella fiera oste di Racsasi, vi s'ag
giravano i prodi scimi con vertici alzati, a guisa di monti
irti di creste. Alcuni di que' scimi levandosi su per l'aria,
altri stando pur sulla terra, correvan per le torme Racsase
inveleniti e armati d'alberi e di sassi.
Racsasi e Vánari si feriron scambievolmente con cocuz
zoli di monti e si lacerarono l'un l'altro e mettevan fra la
battaglia gridi di guerra. I scimi di forza tremenda, benchè
respinti a furia di dardi, facevan cader colà una pioggia
strabocchevole d'alberi, di roccie e brani di monti. Gran
deggianti al par di vertici, que' scimi arrangolati e pari al
mortifero Yama martellavano con vette di monti i Racsasi
fra la battaglia; ed alcuni spiccando rapidi salti, zombavano
i prodi Racsasi montati sopra carri, sopra cavalli ed ele
fanti. I prestanti Racsasi, pari a vertici montani, cogli oc
chi abbarbagliati dal menar di quelle pugna, tentennavano,
cadevano ed urlavano; ma alla lor volta ei laceravano i
prodi scimi con dardi acuti. -

Fu allora in un istante allagata di sangue la terra e co


perta d'aste, di magli, di spade taglienti e di nembi di
saette, di roccie e d'alberi lanciati dai Racsasi e dai Vànari;
ed era gremito il suolo di Racsasi pari a monti e inebbriati
dalla battaglia, quà e là distesi e sgretolati. Rincacciando e
rincacciati, Vànari e Racsasi s'atterravano a vicenda per
brama di por l'un l'altro a morte. Colà dai valenti Vànari
grondanti per le membra di sangue nemico e non curanti
della lor vita fu fatta orrenda strage di Racsasi; quivi i
feroci Racsasi forbottavano fra la battaglia Vànari con Vá
nari, ed i Vánari infrangevano Racsasi con Racsasi. I Rac
sasi ferivano i Vànari, dirompendo i lor macigni, ed i Và
nari accoppavano i Racsasi, spezzando le lor saette. Rac
sasi e Vánari si picchiavano con vertici di monti e s'acci
smavano a vicenda e mettevan fra la zuffa gridi di guerra.
I Racsasi percossi dai Vànari, rotte le lor armadure e le
corde de'lor archi, vomitavano colà sangue, sì come ge
mono sughi di gomme gli alberi; ed alcuni di que''Vànari
sgretolaron fra la battaglia il guerriero curule col suo carro,
280 RAMAYANA,

elefante con elefante e cavallo con cavallo. Ma i Racsasi


pur fecero in quella puntaglia scempio de' prodi Vànari
con frecce fatte in punta a modo di luna scema ed affilate
a guisa di rasoi, con dardi e saette acute e con iacoli ap
puntati, con mallei, ferree lance e mazze, con sassi, brani
di roccie, clave e spade e con orribili pestoni. Era colà in
gombra la terra di vertici di monti qua e là dispersi,
d'alberi spezzati nella battaglia, di scimi e di Racsasi tru
cidati.
Mentre colà si faceva tale orribile conquasso, ed era
tutta balda l'oste de'Vànari e venivano atterrati i Racsasi,
levavan liete voci i magni Risci e le schiere dei Devi; e
tutti i Vànari gongolanti mettevan gridi di guerra, digri
gnando i denti.
Allor Naràntaka inforcando il suo destriero rapido come
il vento e vibrando un'aguzza e ferrea lancia, entrò fra l'o
ste del re de' Vànari, come s'ingolfa l'Indo per entro i fiotti
dell'Oceano. Quel magnanimo e oltrapossente nemico d'In- |
dra con un adunco e ardente iacolo trafisse diciassette Và
nari e ruppe in un istante l'esercito di que' prodi. I Bhati,
i Risci ed i Vidyádhari miravano quel magnanimo saldo sul
dorso del suo destriero ed aggirantesi per le schiere dei
scimi; e la via per cui passava, si vedeva segnata da limo
di carni e di sangue e ingombra di giganteschi Vànari stra
mazzati. Quando i prestanti scimi s'argomentavano d'oppor
lor forze, in quella oltrepassandoli, li affrappava Narântaka;
il qual s'aggirava poderoso per tutte le plage, sbarattando
le torme de'Vànari, come fa le nubi il vento. Dovunque
si vedeva Naràntaka armato di dardi adunchi, colà crede
vano i Vànari che fosse il Dio della morte. Mentre che an
davano i Vámari dibarbando alberi e macigni, cadevano
percossi da iacoli uncinati, a guisa di monti squarciati dal
fulmine. Più non potevano que' prodi nè fuggire, nè star
fermi, nè sguizzare; chè il Racsaso colla punta de' suoi ia
coli imbroccava chi stava fermo e chi fuggiva. Torme di
scimi lacerati da un solo iacolo, lucente come il sole e le
tale al par di Yama, traboccarono a terra; nè potevano i
Vànari sostener la botta di quell' iacolo, sonante come il ro
vinío del fulmine, a quella guisa che l'uom non sostiene il
YUDIDHIACANDA, 281
tocco del fuoco. Così apparivano i corpi di que' prestanti
Vànari cadenti, come appaiono monti che slamino coi sommi
lor cocuzzoli rotti dal fulmine. Que' magnanimi che non fu
rono per l'addietro atterrati da Kumbhakarna, tutti furon
dispersi e rotti da Naràntaka in quel conflitto.
Sugriva in quella che girava l'occhio intorno, vide l'oste
de' scimi sgomentita per paura di Naràntaka e fuggente alla
dirotta. Veduta l'oste in fuga, scorse egli quindi colà Na
rântaka che superbo e armato di iacolo adunco s'inoltrava
sopra il dorso d'un destriero. Il possente Sugriva allora,
prode infra tutti i scimi, così parlò al valoroso giovane An
gada, pari di forza ad Indra: Affronta or tu quel tremendo
e fiero Racsaso che inforca un destriero e sbaraglia l' oste
de' scimi; e fa d'ucciderlo prontamente. Uditi que'detti del
re, Angada si slanciò fuor della schiera che somigliava a
una massa di nubi, sì come prorompe il sole fuori d'una
schiera di nuvole; e senz'armi, ma che denti ed unghie, il
valoroso figlio di Bali fattosi presso a Narântaka, così gli
disse: T'arresta! che farai tu di cotesti volgari scimi? Com
batti ora con me e sia prode nella battaglia; lancia contro
questo mio petto, saldo al tatto come diamante, quel tuo
iacolo uncinato.
Intese le parole d'Amgada, arse Narântaka di sdegno, e
stringendo co'denti le sue labbra e sbuffando ad ora ad
ora, vibrato l'orrido e fiammeggiante iacolo, lo scagliò di
repente contro Angada; ma il ferreo dardo si spezzò sul
petto adamantino del figlio di Bàli e cadde a terra. Come
vide rotto quell'iacolo, simile ad un gran serpente dilaniato
da Suparna, il figlio di Báli levando il pugno, percosse nella
testa il destriero del Racsaso; e il cavallo stramazzò a terra,
pari ad un monte, col capo sfracellato da quel picchio, col
palato schiacciato in bocca, colle pupille dell'occhio schiz-
zategli fuori e colla lingua spenzolone.
Divampò d'ira Naràntaka, allor che vide caduto e morto
il suo corsiero; e sollevando il pugno, quel trapossente per
cosse fra la zuffa sulla testa il figlio di Bàli. Ammaccata la
testa da quel pugno, versò Angada dal capo vivo sangue,
arse ad ora ad ora come fiamma e tramortì, e riavuto il
senso, rimase stupefatto.
282 RAMAYANA,

Ma il magnanimo figlio di Bali, impetuoso come il ful


mine, serrato allora il pugno pari al cocuzzolo d'un monte,
lo sciorinò sul petto di Naràntaka. Il qual col petto mar
tellato e affranto da quel pugno e colle membra lorde di
sangue vomitato dalla bocca, cadde a terra a guisa d'un
monte rotto da colpo di folgore.
S'udì per l'etera un gran clamore de' sommi Devi e l'alto
gridar de' Vànari, allor che fu atterrato dal figlio di Bàli fra
la zuffa quel Naràntaka oltrapossente. Ma Angada,fatta quel
l'ardua prova e letificato l'animo di Ràma, non superbìfuori
di modo, siccome eroe di gran possanza, e di nuovo pose
l'animo alla battaglia.

CAPITOLO IL,

MORTE DI TRISIRAS E DI MARIAPARSVA.

Come udiron morto Narântaka, arsero d'ira il prestante


fra i Racsasi Devàntaka, e Trisiras ed il Paulastide Maho
dara. Montato sopra un elefante eccelso e somigliante ad
una nube, il valoroso Mahodara fece impeto contro il for
tissimo figlio di Bàli; così, afferrata un'orrida clava, si sca
gliò addosso ad Angada il robustissimo Devântaka, corruc
ciato per la morte del fratello; e Trisiras stando sopra un
carro lucente al par del sole e tirato da nobili cavalli, in
vestì egli pure il figlio di Bàli.
Assalito da quei tre Racsasi sovrani, usi a fiaccar l'alte
rezza dei Devi, dibarbò Angada un grosso albero ramoso,
e lo lanciò quel prode eroe contro il robusto Devàntaka,
come Indra scaglia sopra un monte l' ignito fulmine; ma
Trisiras lo ruppe con dardi simili a serpenti.
Come vide rotto quell'albero, Angada eccelso fra i scimi
spiccando rapido un salto, lanciò di nuovo alberi e sassi.
Ma Trisiras pien d'ira tagliò con dardi acuti gli alberi a
pezzi, e colla punta della ferrea clava ruppe i sassi quel ne
mico mortal dei Devi; quindi egli assalì con saette il prode
Angada.
Mahodara in quella correndo col suo elefante addosso al
figlio di Bàli, lo ferì con ferree mazze pari a folgori nel
YUDDHIACANDA, 283
largo petto; e Devântaka, fattosi innanzi arrovellato e per
cosso Angada colla clava, lo investì iteratamente. Ma l'ani
moso e ardente figlio di Bàli, benchè assalito a un tratto
da tre prestanti Racsasi, punto non si smarrì; ma sbalzando
subitamente, percosse con una gran palmata l'elefante, sì
che gli schizzaron del capo gli occhi e mise barriti strepi
tosi. Il fortissimo figlio di Bàli, strappatagli allora una zanna
ed avventandosi a Devàntaka, lo ferì nel petto.
Tremò il Racsaso per tutte le membra, a guisa d'un al
bero scosso dal vento, e vomitò dalla bocca sangue del co
lor di gomma lacca. Ma raccolti gli spiriti in un istante e
lanciando la salda sua clava, l'animoso e forte Devàntaka
ferì Angada in quel punto.
Percosso da quella clava, il figlio del re de'Vànari cadde
colle ginocchia a terra, ma ratto ei si rilevò su d'un salto;
e Trisiras in quella ch' ei si levava, lo ferì alla fronte con
tre orridi dardi, che parevano serpenti.
Scorgendo fra tanto Angada stretto intorno da tre Rac
sasi poderosi, si mossero Hanumat e Nila. Nila scagliò al
lora contro Trisiras un vertice di monte, che l'accorto fi
glio di Rávano ruppe con dardi affilati; e il cocuzzolo di
monte rotto da cento sue saette e colla superficie lacerata
cadde fiammando e scintillando a terra. Visto spezzato quel
masso, Devàntaka pien d'allegrezza assalì in battaglia colla
sua clava il figlio del Vento.
Ma Hanumat, prestante infra li scimi, veggendo colui
venirgli incontro, lo percosse alla testa con un pugno, im
petuoso come la folgore; e Devàntaka, figlio del re de'Rac
sasi, col capo infranto e sgretolato, cogli occhi e coi denti
fracassati da quel pugno e colla lingua spenzolone , cadde
subitamente esanime a terra.
Morto in battaglia quel preclaro fra i Racsasi guerrieri,
quel fortissimo avversario dei Devi, Mahodara vinto dall'ira
si diede in fronte della mischia a inondar con nembi di
dardi Nila figlio del Fuoco; e quel duce dell'oste de'scimi,
percosso a furia di saette e lacerato per tutto il corpo, tut
tochè saldo di membra, pur fu come ostupefatto da quel
fortissimo. Ma riavuto quindi il senso e divelta una rupe
con tutta una macchia d'alberi e preso da lungi un salto,
284 RAMAYANA,

la scagliò al capo di Mahodara con grande e fiera foga; e


Mahodara coll'elefante, schiacciato dall'impeto di quel mas
so, cadde esanime e morto a terra, come un monte per- .
cosso dal fulmine.
Come vide morto lo zio paterno, Trisiras vinto dall'ira
si diede per grande rabbia a ferir Hanumat con dardi acuti.
Ma il Màrutide invelenito lanciò un cacume di monte, e il
forte Trisiras lo ruppe in più parti con saette d'acuta punta.
Visto andare a voto quel cacume, il fortissimo e prode Vá
naro prese a scagliar contro il figlio di Ràvano una pioggia
d'alberi; ma l'ardente Trisiras con dardi aguzzi sfendeva
quella tempesta d' alberi che gli veniva incontro con gran
foga; e faceva gran schiamazzìo. Hanumat spiccando in
quella un salto, sgraffiò coll'unghie irato i cavalli di Tri
siras, a guisa che un leone dilania un elefante sovrano. Il
Ràvanide Trisiras, dato allor di piglio ad una lancia ferrea,
l'avventò contro Hanumat, sì come Yama spande la tetra
notte di finimondo. Ma quel possente scimio, ghermita con
gran forza la lancia avventata da colui e somigliante a una
meteora ardente in cielo, la ruppe e mise un alto grido.
Allorchè videro spezzata da Hanumat quella lancia pari a
folgore, fecero lieti gran rombazzo, a guisa di nubi, tutti i
scimi. In quella il prode Trisiras, eccelso fra i Racsasi, vi
brando la sua spada, la conficcò nel petto al grande Và
naro; e il valoroso Hanumat, eccelso fra i Vànari, ferito da
quel colpo di spada, percosse con una gran palmata Tri
siras nel petto. Picchiato così dal Vànaro, il vigoroso Tri
siras, cadutagli l'arme ch'avea in mano, stramazzò a terra
fuor di senso; e il grande scimio pari ad un monte, rac
colta la spada del Racsaso caduto, mise urli, che atterriron
tutti i Nairiti. Ma Trisiras mal sofferendo quello strepito,
si levò su prontamente, e preso un salto, percosse Hanu
mat col pugno. Per lo colpo di quel pugno barcollò il grande
scimio, e tutto inviperito afferrò per lo diadema l'eccelso
Racsaso; e colla propria di lui spada lo scimio Hanumat
pien d'ira gli tagliò di netto le tre grandi sue teste coi lor
ciondoli, sì come Indra recise un dì le teste del figlio di
Tvastri; e quelle teste del Racsaso nemico d'Indra, somi
glianti a cocuzzoli di monti, grandiocchiute e rilucenti sì

- - --- --- ---------------


YUDDHACANDA, 285
Come acceso fuoco, caddero a terra a guisa di tre stelle
spiccatesi dalla via del sole.
Ucciso da Hanumat, poderoso al pari d'Indra, quel tri
cipite avversario dei Devi, levarono grida i Vànari, tremò la
terra e si misero in fuga tutti i Racsasi.
Come vide morti Trisiras e Mahodara, morti Devântaka
e Naràntaka, arse di sdegno il possente ed animoso e for
tissimo Mahàpàrsva, ed impugnò la sfolgorante e tutta fer
rea sua clava, cinta di molte fasce d'oro e grommata di
carni e di midolle, risplendente, immensa e tinta di sangue
nemico, guernita d'un serto rosso e con punta fiammante
di folgore, somigliante alla tromba dell'elefante Airàvata e
cagion di terrore ad ogni creatura. Impugnata quella clava,
il fortissimo Mahàpàrsva si scagliò pien d'ira addosso ai
scimi, come s'avventa alle genti il fuoco di finimondo. Ma
il Vánaro Risabha, figlio di Varuna, spiccato un salto ed
affrontato Mahàpàrsva, si fermò dinanzi a lui. Vedutosi fermo
innanzi quel Vànaro pari ad un monte, il prode Racsaso
adirato lo ferì colla clava al petto; e il prestante Vánaro
percosso e scrollato da quella clava, e rotto il petto, versò
sangue a più schizzi. Ma ricuperato dopo lunga ora il senso,
il prode Vànaro Risabha, ardente d'ira e colle labbra tre
manti, riguardò Mahàpàrsva; quindi quel magnanimo,strap
patagli con forza la clava ed assaltatolo con impeto, lo ferì
fra la battaglia; e Mahàpàrsva conquassato dall'orrida clava,
cogli occhi e coi denti infranti rovinò a terra, a guisa d'un
monte percosso dal fulmine.
Ucciso quel fratello di Rávano, l'oste de'Racsasi, somi
gliante ai fiotti del mare, alla quale eran stati morti gli eroi
suoi duci, si diede a fuggire sgomentata, lasciando l'armi e
solo intenta a salvar la vita.

CAPITOLO LI.

MORTE DI ATIKAYA,

Allorchè vide rotta la sua schiera e morti in quell'or


rida mischia tumultuosa i suoi fratelli, pari di forza ad In
dra; e scorse pur trucidati nella zuffa li suoi zii paterni,
286 RAMAYANA,

i due fratelli Mahodara e Mahápàrsva, prestanti fra tutti i


Racsasi, arse d' ira l'eccelso e animosissimo Atikäya, pri
vilegiato di grazie da Brahma, dotato di forza immensa ed
uso di fiaccar l'orgoglio dei Dánavi e dei Devi. Quel fiero
nemico d'Indra, stando sopra un carro rilucente al par di
mille soli raggianti ad una, assalì con impeto i duci dei
Vánari. Adorno di diadema e di ciondoli forbiti e tendendo
il suo grand'arco, ei faceva risonare alto il suo nome e
strepitava con immenso clamore; e con que'ruggiti di leone,
col gridar ch'ei faceva il suo nome, col terribile fracasso
della corda del suo arco, egli empiè di spavento i Vànari.
I quali veggendo l'aspetto di colui, pari a quel di Visnu
allor ch'ei faceva i suoi tre grandi passi, rimasero colà at
territi e si strinsero gli uni agli altri.
Trovandosi quivi a fronte d'Atikaya, que''Vànari esterrefatti
ricorsero, siccome a lor difensore, a Ràma eccelso fra gli
uomini. Il Càcutsthide allora mirò da lungi fermo sopra il
carro e pari ad un monte Atikàya, armato d'arco e rimug
ghiante, sì come una nera nuvola. Veduto quel Racsaso ol
traterribile, maravigliò il Raghuide; e rincorati i Vànari,
così parlò a Vibhisana: Chi è quel guerriero che pare un
monte, con occhi foschi e armato d'arco, il qual si sta su
quell'ampio carro tirato da tanti cavalli, e che cinto di dardi
aguzzi, di picche e clave, di iacoli adunchi e di ferree mazze
luccicanti, così fiammeggia, come una nuvola per baleni? e
que' suoi archi incordati, col lor dosso tutto d'oro così fan
splendido l'eccelso carro, come l'arcobaleno rischiara il
cielo. Chi è quell'altiero Racsaso, quel prestante carreggia
tore, che alluminando il campo di battaglia qui s'inoltra
col suo carro fulgente al par del sole ? Ei folgoreggia con
quell'imagine di Ràhu posta sulla cima del suo vessillo, e
colle sue saette lucenti come raggi di sole egli irraggia le
dieci plage. Ve come splende il suo arco adorno e aurato
il dosso, che s'allunga e si piega da tre lati, e somiglia al
l'arco d'Indra! e il grande suo carro fornito d'insegna e
di vessillo, munito di saldo fondo e instrutto di tutte l'armi
così risona, come rimbombo di nube. Son trenta due le fa
retre poste su quel nobile carro, e v'hanno archi spaven
tosi e clave d'orribile aspetto; e due splendide scimitarre,
YUDDHACANDA, 287
adatte al carro, lunghe dieci cubiti e le cui impugnature son
alte quattro, stanno ai due lati di quel prode e n'adornano
i fianchi. Quel Racsaso somigliante ad un gran monte, cinto
di serto e di veste rossi, nero e colla grande sua faccia
nera, qual è il cielo annerato da una nuvola, così risplende
colle sue braccia cerchiate d'auree maniglie, come il sovrano
monte Himàlaya con due suoi cocuzzoli ardenti. Mira! quella
faccia dai fulgidi occhi coi due suoi pendenti somiglia alla
piena luna autunnale stante fra i due Punarvasu. Dimmi, o
guerrier dalle grandi braccia, chi è quell'eccelso Racsaso,
alla cui vista tutti i Vànari si misero in fuga sgomentiti.
Così interrogato dal regal Ràma di virtù immensa, a lui
rispose il fortissimo Vibhisana: Il decacefalo Råvano, signor
de' Racsasi e fratello minore di Vaisravana, è re d'alta pro
dezza, d'opere tremende e di gran possanza; quell'eroe è
suo figlio e pari a Ràvano in battaglia. Egli onora gli an
ziani, osserva i Vedi ed è versato in ogni dottrina; egli ec
celle nello star sul dosso d'un cavallo, sull'omero d'un ele
fante o sopra un carro, e in trattar l'arco; è riputato nella
scienza del governo e nel consiglio, nell'arte di dividere,
di blandire e di donare. La possanza di colui è immensa
e celebrata dai Dànavi e dai Devi; egli ebbe per madre
Dhanyamàlini e si noma Atikàya. Quel Racsaso con mente
intenta e con pie macerazioni propiziò Brahma ed ottenne
teli divini e ruppe i suoi nemici. Brahma gli concesse di
non poter essere ucciso nè dagli Asuri nè dai Suri, e gli
donò quell'armadura divina e quell'aureo carro; ed egli vinse
a centinaia Dànavi e Devi, difese i Racsasi e mise a morte
in battaglia i Yaksi. Fu da lui fra il combattimento rintuz
zata colle sue saette la folgore del saggio Indra, e fu pur
da esso un dì fra la battaglia respinta la fune del re del
l'acque. Quell'eroe è il forte Atikàya,gran guerriero curule
de'Racsasi, figlio di Rávano e rompitor dell'orgoglio dei
Dànavi e dei Devi. Si faccia prontamente contro colui ogni
sforzo, o prode; chè colle sue saette ei metterà a morte le
schiere de'Vànari.
In quella il forte Atikàya, penetrando fra l'oste dei Vànari,
tese l'arco e levò gridi iterati, e veggendo sopra il carro
quel gran curule guerriero di corpo immane, si levaron
288 RAMAYANA.

con impeto i magnanimi che eran fra'Vànari i primi. An


gada, Kumuda, Meinda, Nila e Sarabha si precipitarono tutti
ad una con alberi e cacumi di monti.
Ma il trapossente Atikàya, prestante fra i sagittari, con
saette ornate d'oro ruppe alberi e massi; e con altre saette
tutte ferree il terribile e prode Racsaso ferì tutti que''Và
nari che gli stavan di contro nella battaglia; i quali af
franti da quel nembo di dardi e colle membra lacerate, non
poterono rimaner fermi nella pugna a fronte d'Atikàya. Il
Racsaso così atterrì quella schiera di prodi Vànari, come un
leone irato e superbo di sua forza atterrisce un branco di
cervi; ma perentro l'oste de'Vànari quel Racsaso sovrano
non ferì alcuno che non fosse intento a combattere. Venuto
rapidamente a fronte di Ràma, gli rivolse quell'arciero que
ste parole orgogliose.
Eccomi qui fermo colle saette e coll'arco in mano ! io
non sfido a pugna guerriero alcun volgare. Chi ha possanza
e ardire venga or qui prontamente con me a battaglia.
Udendo le parole che colui diceva, arse d'ira il Saumi
tride, sperditor d'ogni nemico; e pien di sdegno ei si levò
su e diè di piglio all'arco per vincere quella prova. Ei tese
a fronte d'Atikàya il suo grand'arco, empiendo d'alto stre
pito i monti, il mare e le regioni.
Sentito il terribile fragor di quell' arco, sbaì il forte e
animosissimo figlio del re de'Racsasi; mirando quindi Lac
smano minaccioso e preso un dardo acuto, così parlò Ati
kàya inacerbito: Tu sei giovane, o Saumitride; nè in te
sono ancor maturi la forza ed il vigore; vattene! a che
vuoi tu provocare a battaglia me pari al Dio della morte?
Il Vento stesso che va per gli spazi aerei, non potrebbe so
stener la foga delle saette dai curvi nodi, lanciate dal mio
braccio. Non voler tu ridestare il fuoco sterminatore,quie
tamente sopito; deposto l'arco, te ne ritorna; e non far getto
della tua vita. Che se per stupida ostinatezza tu non vuoi
tornartene addietro, rimanti pure; e lasciando qui li tuoi
spiriti vitali, te n'andrai alle sedi di Yama. Mira le aguzze
mie saette che rompon l'orgoglio de'nemici, dardi pari al
l'armi divine e splendenti d'oro forbito. Questa saetta che
tu vedi, simile a serpente, berrà il tuo sangue,come il sole
YUDDHACANDA, 289
coi caldi suoi raggi sugge l'acqua nella stagione estiva. E
se io pure ucciderò te adolescente e di forza immatura,
qual gloria n'avrò io rinomato per tutto il cielo?Ma se per
insania tu pur vuoi sfidarmi a battaglia, lancia or via con
tutto l'animo le tue saette; quindi lascierai qui la tua vita.
Udite quelle superbe e fiere parole d'Atikàya sul punto
d'attaccar la pugna, non si mosse a sdegno il regal Lac
smano, fermo nella sua forza, e così gli rispose quel ma
gnanimo: Le sole parole non fan gli eroi; nè son vantatori
i prodi; quand'io sto qui dinanzi a te colle saette e coll'arco
in mano, fa tu veder la tua forza, o tristo. Mostrati coi fatti e
non voler menar sì gran vanto; quegli s'appella eroe, che
ha vigor virile. Tu sei munito d'ogni arme, impugni l'arco e
stai sul carro; mostra la tua possanza colle tue saette oppur
coi teli; quindi co' miei dardi acuti io abbatterò la tua te
sta, sì come il vento fa cader dal suo gambo il frutto della
palma maturato dal tempo. Oggi le mie saette ornate d'oro
forbito suggeranno dal tuo corpo il sangue, sì come suggono
l'amrita gli Immortali. Riputandomi adolescente, non voler
tu dispregiarmi; giovane o vecchio, sappi che io son Yama
nella battaglia.
Sentiti que'detti di Lacsmano, ragionevoli ed altamente
sensati, divampò d'ira Atikàya ed incoccò una saetta eletta;
ma il Saumitride co' suoi dardi ruppe in tre pezzi quella
volante saetta; il Råvanide allora fieramente arrovellato
l'assalì con altre saette, e com'ebbe con migliaia di frecce
oppresso il Raghuide, si scagliò addosso a Vibhisana, a' suoi
ministri e ai duci di schiere. Ma sgomentata con nembi di
dardi l'oste Vànarica, quel possente assalì di nuovo Lac
smano in gran battaglia; ed il Saumitride dalle grandi brac
cia ricevè con saette lucenti come fuoco il fiero Racsaso
che con impeto s'avventava.
Allora i Vidyådhari ed i Yaksi, i Devi ed i Devarsi ed i
magnanimi Guhyaki stettero a contemplar quella pugna.
Ed il Racsaso Atikâya pien di rabbia, incoccata sull'arco
una saetta e tolto di mira Lacsmano, la scoccò; ma Lac
smano sperditor degli eroi nemici con un dardo arcato in
punta a foggia di luna falcata ruppe quella volante saetta
acuta, simile ad un serpente. Vista recisa quella saetta, pari
VOL., III, 19
290 RAMAYANA.

ad un serpe di cui sia tagliato il corpo, Atikâya fuor di


modo acceso in ira diè di piglio a cinque dardi e lanciò
contro Lacsmano quelle saette; ma Lacsmano con dardi
affilati le recise fra la battaglia, prima che l'attingessero.
Spezzate quelle saette acute, il valoroso Lacsmano tolse un
dardo ben appuntato, fiammante quasi col suo fulgore, e
presolo, l'incoccò sul suo grand'arco, e tese l'arco e lanciò
con impeto il dardo; e con quell'iacolo dai dritti nodi,
tratto fino all'orecchia e dischiavato, il forte Lacsmano ferì
nella fronte il prestante Racsaso. Confitto nella fronte del
fiero Racsaso, così appariva insanguinato quel dardo, come
il sovrano de' serpenti in una zuffa; e concussato dall'iacolo
di Lacsmano barcollò il Racsaso, a guisa che percossa dai
dardi di Siva tremò l'orrida porta di Tripura. Ma raccolti
gli spiriti e rinfrancatosi dalla stanchezza pensò fra se e
disse quel possente: Ben drizzasti il colpo del tuo dardo !
tu sei nemico degno delle mie lodi! E considerata la forza
di colui, raccolte amendue le braccia e fermo sul sedio del
carro, ei si fe innanzi col carro stesso. Poi da capo ei prese
tre, una, cinque e sette saette e le incoccò e tese l'arco e
le saettò; e quelle frecce pari alla morte, volanti dall'arco
del prode Racsaso, pennate d'oro e lucenti come sole, fa
cevan quasi fiammante l'aria. Ed il minor Raghuide imper
furbato con molti dardi ben affilati spezzò quel nembo di
frecce lanciate dal Racsaso. Vedute quelle saette recise dal
suo avversario, il Ràvanide nemico d'Indra arrabbiò fuor
d'ogni modo e diè di piglio a un dardo aguzzo, ed incoc
catolo, il poderoso Racsaso lo saettò. Percosso da quel dardo
al petto, balenò il Saumitride; e fieramente trafitto al cuore
da quell'iacolo fra la battaglia, versò Lacsmano caldo san
gue, sì come un elefante ebbro d'ardente amore. Ma pron
tamente si disferrò il prode Raghuide, e tolse una saetta
acuta e l'adattò sull'arco; quindi accoppiò quella saetta col
telo Ignito, e quel gran , telo fiammeggiò e insieme l'arco
del magnanimo Raghuide. L'ardente Racsaso Atikâya diè di
piglio ei pure al telo Solare e unì con esso una saetta si
mile a serpente. Lacsmano allora lanciò contro Atikâya quel
dardo sovrano, candente al par di fiamma e quasi un altro
scettro di Yama; ed il Racsaso, veduto quel dardo accop
YUDDHIACANDA. 291
piato col telo Ignito, scoccò un'ardente saetta unita col telo
Solare. Que'due dardi con punte fiammanti di fulgore dier
di cozzo per l'aria l'un nell'altro, a guisa di due serpenti
accesi in ira, e spezzatisi l'un l'altro, caddero a terra i due
dardi sovrani, stinti e inceneriti, e rimasero senza splen
dore. Atikàya in su quel punto saettò il divino telo Aisico,
e il vigoroso Lacsmano lo ruppe col telo d'Indra. Come
vide distrutto il telo Aisico, il giovane Rávanide invelenito
accoppiò con una saetta il telo di Yama; quindi lanciò con
tro Lacsmano quel telo; e Lacsmano lo rintuzzò col telo
del Vento. Ma il Ràvanide vie più concitato dall'ira inondò
allora il Saumitride con un nembo di saette, sì come con
gocce di pioggia innonda la terra una nuvola. E di rin
toppo il gran Raghuide pien di sdegno saettò a furia con
tro il Racsaso, a fin di porlo a morte, dardi simili a ser
penti. Que'dardi, toccata appena l'armadura d'Atikáya, tutta
adorna di diamante, cadevan - di subito a terra coll'estrema
lor punta rotta. Veggendo andare a voto quelle saette, il
prode Lacsmano, sperditor degli eroi nemici, lanciò itera
tamente nuovi dardi contro il Racsaso; ma il fortissimo
Atikaya cinto d' infrangibile armadura, benchè tempestato
da quel nembo di frecce, punto non si turbò.
Ma quando colle possenti sue saette pur non potè Lac
smano offendere il Rávanide, fattoglisi allora presso, gli
mormorò il Vento all'orecchio queste parole: Costui ha ot
tenuto grazie da Brahma ed è munito d'infrangibile lorica;
uccidilo col telo di Brahma, sì come Indra un dì uccise
Namuci,
Uditi que' detti del Vento, il Saumitride di forza pari ad
Indra scelse allora una saetta d'infallibile foga e l'accoppiò
col telo di Brahma; e mentre Lacsmano univa con quel
gran telo la saetta eletta e d'acuta punta, trepidarono le
plage e la luna, il sole, l'aria ed i pianeti, e tremò la terra.
Com'ebbe accoppiata col telo di Brahma quella saetta ben
pennata, acuta e pari allo scettro di Yama, il valoroso Sau
mitride, affrontando il figlio del gran nemico d'Indra, sca
gliò fra la battaglia quel dardo pari a folgore.
Mirò in quel punto Atikaya fra la pugna il dardo d'in
fallibile foga lanciato da Lacsmano, volante pari a fiamma
292 RAMAYANA.

e mirabilmente ornato di penne d'oro e di diamante; e co


me vide quel dardo volar per l'aria subitamente, lo rintuzzò
con più saette aguzze; ma il dardo pennato d'oro pur pe
netrò con grand'impeto nel suo fianco. Visto venir sopra
sè quel dardo, impetuoso come fiamma ardente, Atikàya
sbalordito si diè a ribatterlo con lancie ed aste, con ascie
e mazze e con saette. Ma il dardo somigliante a vivo fuoco,
fatte vane tutte quell'armi di forza maravigliosa, spiccòvia
con gran violenza il capo d'Atikàya, ornato di splendido
diadema; e quella testa col suo elmo, conquassata dal dardo
di Lacsmano, cadde di subito a terra, come un vertice del
l' Himavate. ,
Quei che scamparono da tal rotta andaron rapidi allora ad
annunziare a Rávano la morte de' prodi Racsasi, Naràntaka,
Devàntaka e Mahodara e degli altri campioni insieme con
Atikäya.

CAPITOLO LII.

coMBATTIMENTo D'INDRAGIT.

Udito quel loro annunzio, Ràvano commosso da dolore


e forte afflitto nulla rispose, tramortito ne' sensi per lo ster
minio de' suoi congiunti; e veggendo il Racsaso sovrano
sopraffatto da tale angoscia, nessun più osava far parola e
stava ognuno sopra pensiero. Ma scorgendo il re sì coster
nato e immerso nell'onde d'un mar d'affanni, Indragit, fi
glio del re de'Racsasi e gran guidator di carro, così prese
a dire: Non è questa, o padre, l'ora di smarrirsi d'animo;
chè pur vive Indragit, o re dei Nairiti: nessun che sia fe
rito dalle saette d'Indragit fra la battaglia può sostenere la
sua vita. Vedrai or ora, coi lor corpi innaverati e rotti dalle
mie saette, Ràma e Lacsmano giacer morti sulla terra, gre
miti di dardi acuti per tutte le membra. Odi la promessa,
che ti fa il nemico d'Indra, certissima e fondata sulla mia
forza e sul destino: oggi io consumerò colle infallibili mie
saette Ráma e Lacsmano. Vedranno oggi l'immensurabile
mia possanza Rudra ed Indra, Vaivasvata, Visnu e Mitra, i
Sàdhyi, il Fuoco, la Luna e il Sole, sì come ei videro un
YUDDHACANDA. 293
dì la possanza di Visnu. Com'ebbe così parlato e salutato
il re, quel nemico dei Devi e d'Indra, baldo d'animo salì
sopra uno splendido carro, tirato da nobili cavalli e rapido
come il vento; e salito su quel carro pari al carro di Vi
snu, si dirizzò prontamente quell'animoso domatore de' ne
mici là dov'era la battaglia. Molti fortissimi e magnanimi,
eccitati da emulo ardore ed armati d'arco, di iacoli e di
spade, seguitarono colui partente, montati alcuni sopra il
dorso d'elefanti, altri sopra corsieri e tutti muniti di dardi
pennuti, di mallei e di scimitarre, di clave e d'ascie. Quel
l'avversario d'Indra e dei Devi e vincitor d'ogni nemico si
partiva celebrato con lodi, fra orrendo fragor di conche e
grande strepito di taballi. Coll'ombrello di color somigliante
a luna ovvero a conca marina così risplendeva quel doma
tore de' nemici, qual ne' sereni plenilunii risplende il cielo;
e con elette e belle roste crinite ventavano alcuni quel fiero
eroe, adorno d'aurei ornati e supremo fra tutti gli arcieri.
Lanka in su quel punto rifulgeva per mezzo d'Indragit,
eroe di forza smisurata e di splendore pari allo splendor
del sole, come è irradiato il cielo dal grand'astro luminoso.
Rávano in quella, l'illustre re de' Racsasi, veggendo uscir
suo figlio circondato da grande schiera, così gli disse: Tu
non hai emulo in guerra, o figlio; fu già da te vinto in
battaglia Indra ; quanto più facilmente sterminerai tu il Ra
ghuide, misero uom mortale!
Eccitato da tali parole ed accolti i fausti voti di vittoria,
quell'eroe s'avviò rapidamente col carro tirato da cavalli al
luogo destinato ai sacrifizi che si fanno col sacro fuoco. Per
venuto al sito del sacrifizio, quel possente struggitore dei
nemici pose Racsasi intorno al carro d'ogni parte; quindi
igneo quasi nell'aspetto, l'eccelso Racsaso onorò di sacrifi
cio il Fuoco con fauste oblazioni conforme ai riti. Mentre
colui faceva quivi sacrificio al Fuoco, vennero là solleciti,
dove stava il Råvanide, tre Racsasi con rosse bende in capo,
portando armi d'acuto taglio, legna e beleriche terminali,
rossi abbigliamenti ed una cucchiara di ferro nero. Fatto
strato d'ogni parte intorno al fuoco con saette e ferree clave,
e tratto sangue dalla strozza d'un nero capro vivente, sa
crificò Indragit quivi al Fuoco con legna spruzzate di sangue.
294 - RAMAYANA,

Allor dal fuoco acceso con quelle legna, fiammeggiante e


fulgido, emersero segni che presagivano vittoria. Il fuoco
stesso levandosi in alto, somigliante ad oro brunito e colla
fiamma rivolta a destra, accolse propizio quell'oblazione. Il
Rávanide domatore de' nemici fece colà recare il telo di
Brahma, e tutto egli incantò con carmi solenni, l'arco, le
saette e il carro; e mentrecchè era colà onorato di culto
quel gran telo e si faceva sacrificio al Fuoco, trepidò l'e
tera col sole e colla luna, coi segni costellati (naksatri) e
coi pianeti.
Ma il Ràvanide Indragit allora, fatto sacrificio al Fuoco
ed appagati i Daityi, i Dànavi ed i Racsasi, salì contento
sul divino e splendido suo carro che invisibile s'aggira; e
protetto dal telo di Brahma, coruscante al par del sole, era
fatto più insuperabile il Ràvanide, vittorioso nelle batta
glie. Licenziata poscia la sua schiera, solo ed invisibile ed
armato di dardi e d'arco, ei si diede a saettar fra la bat
taglia per entro le schiere de'Vànari nembi di saette, sì
come versa acqua una fosca nube; ed i terribili scimi, fe
riti per forza di malia, coi corpi dilacerati dalle saette d'In
gragit e levando grida sformate, cadevano nella pugna, sì
come alberi eccelsi percossi dalla folgore d'Indra.
Solo ei vedevano i dardi orrendi che ferivan per le schiere
de''Vànari, ma non vedevan colà il loro avversario, il ne
mico del re dei Devi, occulto per arte di malia. Frattanto
quel magnanimo signor de'Racsasi piovendo dardi a furia
per tutte le plage, offuscò la luce del sole ed empiè di ter
rore i duci de' Vànari; vibrando aste, ascie e scimitarre po
derose e ardenti, sfavillanti e fulgide come fuoco, ei le lan
ciò nell'oste de' prodi scimi.
Feriti da questi e da que'iacoli, pari a fiamme, i duci
de' Vànari andavano a terra, sì come alberi recisi. Racco
gliendosi gli uni agli altri e mettendo gridi altissimi, stra
mazzavano i prodi Vànari, squarciati dai teli del Racsaso.
Urlavano alcuni forte trafitti dalle saette, pur riguardando
su per lo cielo, e s'accoglievano gli uni agli altri e cade
vano stesi a terra.
Indragit,il gran Racsaso, ferì colà fra la battaglia con saette
ed aste acute e con iacoli uncinati tutti questi prodi Và
YUDDHIACANDA, 295
mari, Sugriva, Angada e Nila, il fortissimo Hanumat, Gam
bavat e Susena, Vegadarsi, Meinda e Gandhamàdana, Ga
váksa, Gaya, Gomukha, Kesari, Panasa e Sampàti, Sùryá
nana, Gyotirmukha e lo scimio Dadhimukha, Risabha, C'an
dana ed il Vànaro Kumuda, Pàvakàksa e Nala e il duce dei
scimi Tàra, Dhàmura, Satabali, Dvivida ed altri egregi.
Com'ebbe lacerati colle sue saette, guernite di penne au
rate, quegli eroi e il re de'Vànari, ei si diede a saettare,
Ràma e Lacsmano con nembi di dardi impetuosi come la
folgore.
Inondato da quel rovescio di dardi, sì come un monte
sovrano dal cader di fitta pioggia, Ràma eroe d'alto e mi
rabile splendore, girando in su lo sguardo, così disse al
lora a Lacsmano: Or ecco, o Lacsmano, quel Racsaso so
vrano, quell'eroe nemico del re dei Devi, ricorse di nuovo
al telo di Brahma, e menando strage per l'oste de' prodi
Vánari, dispiega, stando sul carro, le sue malfe. Per qual
modo è egli possibile atterrar quell' Indragit armato di telo,
la cui persona è invisibile fra la battaglia? Ben penso che
quel telo ond'è infallibile la possanza, è il telo del venerando
Brahma inescogitabile. Or sostieni tu qui con animo fermo
insieme con me i terribili colpi de' suoi dardi; chè quel
l'eccelso Racsaso vela tutte le plage coi nembi delle sue
saette; e tutta è travagliata l'oste del re de' Vànari e son
caduti i sommi suoi eroi. Ma quando ei vedrà atterrati
e fuor di senso e rimasti dal combattere noi due , il cui
impeto è temuto nella pugna, per certo quel nemico dei
Devi lascierà qui noi, e raccolta splendida gloria dalla
battaglia, andrà cinto d'amici ad offrirla al re de' Racsasi
quell'avversario dei Devi e d'Indra.
Allora ei furono amendue colà conquisi dal nembo dei
teli d'Indragit, ed il gran Racsaso, com'ebbe così prostrati i
due Raghuidi possenti, levò gridi di gioia fra la battaglia.
Allor ch'egli ebbe con Ráma e col Saumitride conquisa
a un tratto l'oste immensurabile del re de'Vànari, entrò
subitamente nella città, protetta dal braccio di Dasagriva.
Salutato quivi con atto reverente Ràvano seduto in solio,
annunziò al padre la cara novella, che erano spenti Ràma
e Lacsmano. Com'egli udì que' detti del gran curule guer
-
296 RAMAYANA,

riero, compreso dentro l'animo dall'impeto della gioia, scac


ciò l'affanno che gli era nato per cagion del Dasarathide,
e con mente serenata salutò gratulando il figlio.

CAPITOLO LIII. -

L' ERBE SALUTARI ARRECATE.

Atterrati que' due eroi in fiera pugna, si perdè d' animo


l'oste dei duci de' scimi; eran egli tutti costernati e svalo
riti, e non sapevano che risolvere. Ma veggendo così smar
rita l'oste, Vibhisana prestante fra i saggi e d'animo intre
pido così prese a dire, rincorando colle sue parole quei
prodi e il re de' Vànari: Non temete; non è questa l'ora
d'abbandonarsi, perchè caddero fuor di senso ed oppressi
da Indragit con nembi di saette i due nobili figli regali,
che vollero onorare il telo di Brahma. Chè a colui fu do
nato da Svayambhu quel sovrano telo Brahmico d'infalli-
bile possanza; e se i due figli regali onorando altamente
quel telo, furono sì straziati, è questa perciò l'ora di sma
garsi? Hanumat in quella, il saggio figlio del Vento, udite
le parole di Vibhisana e venerato il telo di Brahma , così
disse: Or che fu atterrata da quel telo l'oste dei Vànari im
petuosi, diamci noi qui a riconfortare qualunque sostiene
ancor la vita. Ed amendue que' prodi insieme, Vibhisana e
il figlio del Vento, tenendo in mano un tizzo ardente, si
diedero allora fra la notte a perlustrare il campo di batta
glia. Ei videro quivi per ogni parte la terra ingombra di duci
de' scimi, laceri la coda, le mani e i femori, le dita de' piedi
ed i capegli, e grondanti vivo sangue, di Vànari stesi a
terra, simili a monti, e d'ardenti teli colà caduti. Hanumat
e Vibhisana videro innaverati in quella pugna Sugriva ed
Angada, Nila, Sarabha e Gandhamâdana, Gàmbavat, Susena
e Vegadarsi, Meinda, Gyotirmukha , Dvivida e lo scimio
Kesari, Risabha, Pamasa, Praghasa e Sampàti, Gavàksa, C'an
dana e Dadhimukha, Rambha, Vinata, Tàra e Nala e più
altri fortissimi duci de' Vànari. Sessanta quattro koti di va
lorosi Vànari furono da quel Racsaso feriti ed atterrati nel
l'ottava e postrema parte del giorno.
YUDDHIACANDA, 297
Perlustrando la terribil oste, dispersa a guisa dei fiotti
del mare, Hanumat e Vibhisana videro colà il prode Gàm
bavat, vecchio e per vecchiezza svigorito, oppresso da cento
saette, egro e languido sì come fuoco che s'estingua. Visto
colui ed appressatoglisi, così, gli parlò Vibhisana: Furono
ei forse da que' dardi acuti distrutti, o generoso, i tuoi spi
riti vitali ? Vivi tu ancora, o re degli orsi? è ella salda an
cora la tua forza? Uditi que' detti di Vibhisana, G'ambavat
re degli orsi, proferendo a stento le parole, così rispose: Io
ti riconosco alla tua voce, o sovrano dei Nairiti, o eroe dalle
grandi braccia; ma oppresso da un nembo di dardi e tran
gosciato, io non ti raffiguro. Dimmi, o Nairito, sostiene egli
ancora fra la battaglia gli spiriti vitali colui che Ang'ana
ed il Vento si glorian d'aver per figlio, il prestante fra i
Vànari Hanumat? Intesi que' detti di Gambavat, così rispose
Vibhisana per desiderio di ben conoscere l' intenzione e il
senno di quell'onorator dei saggi: Perchè mi domandi tu del
Màrutide, senza curarti dei due nobili figli regali per cui
noi ci travagliamo e che son la radice del nostro esercito ?
Tu non mostri, o generoso, tale affetto nè verso Sugriva
che è nostro re, nè ad Angada nè a Râma, qual tu dimo
stri verso lo scimio figlio del Vento.
A quelle parole di Vibhisana così rispose G'ambavat: A
scolta, o prode Nairito, perchè io t'inchieggo del Màrutide.
Se ancor vive quell'indomabile, è salvo l'esercito, benchè
affranto; ma se Hanumat ha perduto i suoi spiriti vitali,
noi tuttochè vivi, possiam tenerci come morti. Intese quelle
nobili parole, così rispose Vibhisana: Ei vive, o caro, il
Màrutide, prestante fra tutti i scimi, che di velocità pareg
gia il vento ed ha vigore pari al vigor del fuoco; egli è
qui venuto insieme con me, o eccelso, cercando pur di te.
In quella Hanumat, figlio del Vento, appressatosi al vec
chio G'àmbavat e salutatolo con modestia, proferì quivi il
SUlO, lì O DOG,

Come udì parlare Hanumat, si riputò quasi rinato quel


preclaro Vànaro trangosciato ne'suoi sensi; quindi il for
tissimo G'àmbavat così parlò ad Hanumat: T'appressa, o
prode scimio! fa di salvar tu i Vànari; nessun altro fuori
di te, o egregio scimio, ha possanza tale, quale or si ri
298 RAMAYANA,

chiede; egli è questa l'ora di mostrare la tua forza; io non


veggo alcun altro che sia atto a tanto uficio. Riconforta le -
schiere de' prodi Vànari ed orsi; e disferra Ràma e Lac
smano, amendue affranti a terra. Tu avviandoti per alto cam
mino e via via sorvolando il mare, fa di condurti, o Ha
numat, all'eccelso monte Himàlaya. Colà tu scorgerai, o eroe
di forza stupenda, l'aureo monte che s'appella Risabha, or
rido fuor di modo, ed il vertice del Kailàsa. Nel mezzo fra
que' due vertici tu vedrai poscia, o forte, il monte Osadhi,
mirabile e d'immenso splendore e copioso d'ogni sorta d'erbe.
Sul cocuzzolo di quel monte vedrai radicate, o prode Và
naro, quattro erbe d'acceso fulgore che sembran rischiarar
le dieci plage; l'una ritorna in vita chi è morto, l'altra
disferra chi è ferito, raccende altrui la terza il natfo colore,
e la quarta mirabil erba rammargina le piaghe. Tu, rac
coltele tutte, fa di rivenir qui prestamente, o Hanumat; e
ritorna oggi in vita tutti i scimi, o figlio del Vento.
Udendo que' detti di G'àmbavat, l'egregio scimio Hanu
mat inturgidì colla piena della sua forza, come fa il mare
coll'impeto delle sue onde; e stando colà sul vertice d'un
monte eccelso e premendolo co' suoi piedi, così rifulgeva
il Màrutide valoroso, come ei fosse un altro monte. Infranta
dai piedi d'Hanumat s'avvallava la montagna; chè calcata
dallo scimio, non poteva ella per sè sostenerlo, e rovinò
quindi a terra col suo vertice e co' suoi alberi dirotti. Men
tre era così premuto quel gran monte e n'erano spezzati
gli alberi ed i rispianati delle roccie, il videro crollarsi tutti
i Racsasi; ed il popolo di Lanka le cui porte eran conquas
sate, e scassinate le reggi delle case, sopraffatto da sgomento
correva qua e là fra il buio di fitta notte. Ma Hanumat, men
trechè calcava coi piedi il monte, aperta una bocca orribile,
pari alla bocca del Pàtàla, mise gridi altissimi, spaventando
tutti i Racsasi; e all'udire quel gran boato del Vànaro che
mugghiava, stettero immoti per terrore i feroci Racsasi ch'e
rano in Lanka. Fatta adorazione ai Devi, il Màrutide di
terribile forza e domator d'ogni nemico s'accinse allora al
l'alta impresa in pro di Ràma. Ritorta in su la coda somi
gliante ad un serpente, incurvato il dorso, rizzati gli orecchi
e aperta una bocca pari alla bocca del Pàtàla, si lanciò su
- YUDDHIACANDA, 299
per l'aria con mirabile e ardente foga; e protendendo le
sue braccia simili al corpo di due serpi, il figlio del Vento,
robusto al par di Garuda, si dirizzò verso il Meru re dei
monti, scommovendo quasi le plage. Oltrepassato il mar pe
scoso e ondante ed atterrita ogni creatura, ei girando l'oc
chio intorno, camminava con gran prestezza, a guisa del
disco che Visnu lancia colla sua mano. Mirando monti folti
d'alberi, laghi, fiumi e stagni, città eccelse e genti opulente,
ei progrediva con impeto e rapido come il Vento che è suo
padre. Entrato nella via del sole, il grande scimio s'inol
trò quindi per mezzo il cielo e scorse subitamente l'Himá
laya, rigato da molti rivi, pien di caverne e di cascate, con
vertici pari a gruppi di bianche nuvole e belli a contem
plare. Come ei pervenne a quel sovrano e grande monte,
coronato d'orrida cima, grandeggiante e altissima, ei mirò
quivi purissime selve d'ascetismo, abitate da schiere pre
clare di sommi Risci. Ei vide i santi lor ricetti, ove s'udiva
il canto de'Vedi, vide la sede d'Indra, la dilettosa stanza di
Rudra, lo splendido lago di Brahma, fatto in forma di faccia
di cavallo, ed i ministri di Vaivasvata;vide quivi la dimora
di Vaisravana tutta piena di diamanti, risplendente come il
sole e confinante quasi ad esso, il Sedio di Brahma e l'Arco
di Sankara ed altri siti di quella region montana; scorse
colà il formidabile Kailàsa e la gran roccia dell'Himavate, poi
l'eccelso ed aureo monte Risabha e il divino monte Osadhi
che risplende acceso d'ogni sorta d'erbe. Valicati mille yo
g'ani ed arrivato a quel gran monte, il prode scimio si diede
a cercar l'erbe salutifere; ma quell'erbe mutanti forma a
lor posta, conosciuto che il grande scimio era venuto con
tale intento, si fecero invisibili. S'indegnò Hanumat del non
vederle, e sbarrata la bocca, forte gridò per ira; quindi
ammiccando pien di corruccio, così parlò all'eccelso monte:
Che è quest' ostinato tuo proposto, o re de' monti, che
tu non senti compassione del Raghuide? eccoti or ora so
verchiato dalla forza del mio braccio e sfracellato. E in
contamente quel magnanimo con gran veemenza ed impeto
scrollò di tutta forza la fiammante cima del monte co' suoi
elefanti, col suo oro e coi mille suoi metalli, e ne sfracellò
l'apice estremo; quindi sradicatala, ei si levò su per aria,
300 RAMAYANA.
spaventando le genti coi sommi Suri ed Asuri; e celebrato
dalle schiere dei Devi e dei Siddhi, ei si partì con gran
d'impeto, fieramente concitato. Il figlio del Vento di corpo
enorme grandemente rifulgeva con quel cocuzzolo di monte,
sì come Visnu un dì per aria, tenendo in mano il suo disco
ignito, guernito di mille tagli.
Allor che lo videro i Vànari, misero voci di gioia; ed
egli pur vedendoli, rispose con liete voci; e udendo lo stre
pito di que' gridi, levarono gridi più spaventevoli gli abi
tatori di Lanka. Frattanto Hanumat, tenendo quel cacume
di monte, discese in mezzo all'oste de'Vànari, attentamente
riguardato dai supremi dell'esercito e lodato da Vibhisana.
Colà i due Raghuidi regali odorando la fragranza di quel
l'erbe sovrane e salutari, rimasero disferrati e i loro corpi
sani d'ogni ferita. Quindi a un tratto si levaron su con
istrepito di ruggiti tutti gli altri scimi, come sulfinir della
notte si ridesta chi stava dormendo, e celebrarono con lodi
il figlio del Vento.

CAPITOLO LIV,

COMBATTIMENTO TUMULTUOSO,

Allora il possente Sugriva re de'Vànari, dichiarando quel


ch'era opportuno, così parlò ad Hanumat: Stante che fu
morto Kumbhakarna e con lui i giovani guerrieri che il se
guitavano, e noi già qui atterrati or siamo di nuovo tutti surti
e pronti alla battaglia, tu dei di presente dare assalto alla città
di Ràvano. Egli è tempo oramai di ritornarcene; nè si può
indugiar più lungamente. Onde que'scimi che hanno valore
e forza sovrana, dato di piglio a tizzi ardenti, corrano d'ogni
parte suso a Lanka. Ito quindi all'occaso il sole e sul far
di quell'orrida notte, i duci de'Vànari con tizzi in mano si
mossero contro Lanka. Assaliti d'ogni intorno dalle schiere
de' scimi armati di tizzi, i Racsasi d'occhi sanguigni e dis
formati si diedero a fuggire alla rinfusa; ed i Vànari bal
danzosi lanciavano il fuoco sulle porte della città, per le
ampie vie, sulle diverse case e sui palagi.
Migliaia di case di tutti que''Racsasi ruggenti fra la bat
YUDDHA CANDA. - 301
taglia arse allora l'ardente fuoco. Dieci mila Racsasi abi
tatori della città, vestiti gli uni d'auree loriche e guerniti
d'armi, di bende e di serti, offuscati dal rum gli occhi e
barcollanti per ebbrezza colle mani appoggiate alle lor donne,
rompenti pur le torme de'nemici con clave, spade ed aste,
e mordendo e divorando, giacenti gli altri su splendidi letti
colle lor donne, guaiolanti e afflitti, tutti costoro arse colà
il fuoco e vie più ognora divampava. S'udiva colà, men
trechè Lanka era incesa, un gridar delle donne de'Racsasi
preganti salvezza ai figli ed agli sposi, un tumulto d'atter
riti e di fuggenti, portanti con loro i figli, di guerrieri ar
mati d'archi, di spade e d'aste che correvano ed urlavano.
Da tutti que''Racsasi che abitavano in Lanka ed eran migliaia
di koti, si levava uno strepito immenso, qual di nuvole
mugghianti. Son quivi combuste d'ogni parte le spaziose ed
ampie case, sì come nei dì caniculari son riarse le cime
de'monti; tutto ardeva colà il fuoco e vie più sempre cre
sceva la fiamma. Gli opulenti e nobili palagi, risplendenti
d'oro, coi rotondi loro spiragli adorni di gioie, spaziosi,
divisati di gemme e di coralli e toccanti quasi il sole,
risonanti de' gridi dell'ardee, de' pavoni e delle donne e
del tintinno degli ornamenti, e pieni allora di scompiglio,
son tutti divampati dal fuoco. Gli archi ornati delle porte
incesi dalle fiamme rendevano imagine di gruppi di nubi
cinte di baleni sul finir della calda stagione. Le venuste
donne addormentate ne' palagi e soprapprese dall'incendio,
abbracciando atterrite i loro sposi, guaivano altamente. Ro
vinavano colà le case arse dal fuoco, sì come i vertici d'un
gran monte percossi dalla folgore d'Indra; e ardendo così
apparivano da lungi, come le vette dell'Himalaya tutte ac
cese. Coi comignoli ardenti delle case, cogli spazzi in preda
alle fiamme così risplendeva Lanka fra la notte, come fosse
piena di rosse butee fiorenti. Coi cammelli disciolti, coi di
sciolti elefanti, coi cavalli disciolti così appariva Lanka, qual
sarà sul finir del mondo il mare co' suoi serpenti sgominati.
Qui un elefante abbattendosi ad un cavallo disfrenato, si
dava a correre impetuoso, e là un cavallo abbattendosi ad
un elefante, dava addietro spaventato. In breve ora la città
fu messa dai scimi a fuoco e fiamma, sì come sarà arsa la
302 RAMAYANA.

terra nell'orribile rovina estrema dell'universo. Lo strepito


sollevato dal gridar di femmine e di viri s'udiva, uscito
dalla lor bocca, dieci yog'ani lontano, pari allo strepito di
nubi.
Veggendo subitamente uscir fuori in quella mischia i Rac
sasi coi corpi riarsi, levavano gridi sformati i terribili scimi;
e quel gridar de' Vánari ed il tonar de' Racsasi risonavan
per le dieci plage, per lo mare e per la terra. In quella i
due Raghuidi d'ardente vigore, con Hanumat e con molt'al
tri egregi Vànari di terribile forza, uscirono assalendo, e
addentratisi nella mischia, i due magnanimi e prodi Râma
e Lacsmano, supremi fra gli arcieri, dier di piglio ai loro
archi. Ràma intassò allora il suo arco sovrano, sì come un
dì il venerando Siva irato, allor ch'ei voleva disperdere il
sacrificio. Quindi l'eccelso Raghuide con gran conato in
gombrò di membi di dardi la terra e l'aria, sì come Indra
fa colle piogge; e il romor delle grida de' Racsasi e lo stre
pito de' Vànari e il fragor dell'arco di Ràma penetravan le
dieci plage. Sfracassata dalle saette lanciate dall'arco di Ràma
ed arsa dal fuoco rovinò a terra la porta della città; e veg
gendo allora quel furor dei dardi di Ràma, si levò per le
case e pei palagi un frastuono tumultuoso de' Racsasi su
premi. Percossi dalle saette ed arsi dal fuoco andavano er
rando ed urlando e spiccavan salti i Racsasi; e da tutti
que' sommi Racsasi avvampanti e mettenti gridi di guerra
nasceva un tumulto orribile fra la notte.
Per ordine del magnanimo Sugriva re de'Vànari, i scimi
avidi pur di combattere, raccoltisi alla porta della città, vi
si accamparono: « Colui, bandì Sugriva, che durante questa
notte di battaglia farà cosa a noi avversa, vuolsi, avendovi
l'occhio, punir di morte, siccome violatore de' regali co
mandi ».
Mentre que' duci de' Vànari, obbedienti all'impero di Su
griva, stavan colà presso alla porta, entrò Ràvano in gran
corruccio. Si scorgeva figurata quasi l'ira per le membra
di quel feroce, scombuiato nell'animo per lo sdegno e per
lo turbamento ch'egli ha in cuore. Stando così pien d'ira,
il re de' Racsasi mandò alla battaglia Nikumbha e Kumbha,
figli amendue di Kumbhakarna, l'insuperabile Vidyunmàli
YUDDHIA CANDA, 303
ed il Racsaso Ulkágihva, il celebre Virúpàksa e l'inaccessi
bile Satadanstra. A tutti que' Racsasi fortissimi così impose
Ràvano, ruggendo a guisa di leon quando s'adira: «Andate
orsù prontamente ». Allor così eccitati usciron essi tutti di
Lanka con armi fiammeggianti, pieni d'ira, ruggenti e per
ardor di battaglia insani. Quella schiera di Racsasi instrutta
d'insegne e di vessilli e risonante di cento sonagli tintin
nanti, appariva simile a fiamma. Era ella tutta piena di fe
roci cavalli e d'asini, d'elefanti, di carri e di veicoli; portava
picche ardenti, spade e clave, dardi pennuti e mallei, grandi
scimitarre circonvolute ed archi armati di saette; era ter
ribile e poderosa, zeppa d'eroi e di guerrieri e rimbombante
al par di nube.
Veggendo inoltrarsi quell'instrutta schiera di Racsasi, si
scommosse l'oste de' scimi e strepitò con alte voci. Ma im
pugnati grossi alberi e sollevando sassi enormi, si fermò
raccolta ed inconcussa, sostenendosi con vicendevole conato.
Allor quella poderosa schiera di Racsasi avventandosi con
nuovo impeto, affrontò l'oste nemica, sì come fan le locuste
il fuoco; e le saette ch'ei lanciavan come folgori con grande
foga dalle lor braccia, cadevano a migliaia nella strenua
oste de'Vànari. Si levarono allor con impeto gli scimi avidi
di battaglia, armati di saldi tronchi d'alberi e d'altissimi
palmizi, e colle pugna sollevate; ed assalendo subitamente,
que''Vànari impetuosi e di terribile forza percossero i prodi
Racsasi; i quali infranti dalle pugna pari a fracasso di fol
gore, cadevano a guisa di grossi alberi scrollati dal vento
e rotti. Chi ferisce uno che fere, chi atterra un altro che
atterra; altri afferra chi vuol afferrare, altri addenta uno
che morde. Eran altri con facce infocate e affaticati dal
ferire, altri travagliati o travaglianti alla spartita. Ardeva colà
fieramente orribile la battaglia fra i Vànari e Racsasi con
grandi iacoli adunchi sollevati e a furia di spade, d'aste
e di scimitarre. Dagli ! Dagli l gridava l'uno; Io ben do !
Togli pur questo! andava dicendo un altro; Che t'affanna?
Arrestati! diceva quivi questo a quello. Qui i Racsasi atter
ravano dieci e sette Vánari; là i Vànari stramazzavano dieci
e sette Racsasi. Alcuni Vànari affrontando Racsasi cui cadon
di dosso le vesti ed han loriche ed armi disciolte, si strin
304 RAMAYANA,

gevano loro intorno; ed i Racsasi a vicenda respingevano


indietro i Vànari. Gli uni e gli altri arrovellati e come os
sessi facevan tumulto immenso.

C A P IT O L O IL V.

MORTE DI KUMBHIA,

Fervendo quella mischia tumultuosa, struggitrice degli


eroi più valenti, Angada s'azzuffò con Vagrakantha in fronte
della battaglia. Il Racsaso provocando Angada per ira, lo
percosse colla sua clava; ed Angada ferito primamente bar
collò. Ma ricuperato il sentimento, ei lanciò un cacume di
monte, e Vag'rakantha sfracellato dal colpo di quel masso,
cadde a terra. Ucciso dal magnanimo Angada quel Vagra
kantha, e veggendo il fratello stramazzato e spento fra la
battaglia, Sankampana si spinse col carro ratto innanzi, e
dissipò le schiere de'Vànari impetuosi; poi rivolse spedito
il suo corso per far battaglia e s'avventò rapido col carro.
Ei ferì precipitoso Angada con gran numero di frecce, di
dardi pennuti e di quadrella e con molte saette acute; e
il preclaro Angada figlio di Bàli, ferito per tutto il corpo,
gli sfracellò con impeto nella mischia carro, cavalli ed arco.
L'illustre Sankampana allora, abbandonato prontamente il
carro eccelso e sbalzando veloce fra la pugna collo scudo
imbracciato e colla spada, si levò rapido in aria, senza frap
por pensiero. Ma Angada, spiccato subitamente un rapido
salto e preso colui fra le sue braccia e strappatagli la spada
dalla mano, mise un grido; quindi gli conficcò la spada nella
strozza. Allora il robustissimo e feroce Sonitàksa, dato di
piglio ad una clava tutta ferrea e quasi sogghignando, ferì
Angada fra la mischia. In quella il prode e forte Pragan
gha, compagno e consiglio di Yupàksa, s'avventò irato col
carro al fortissimo figlio di Bàli; e il valoroso scimio in
mezzo a que' due, Pragangha e Sonitáksa, somigliava alla
piena luna stante in mezzo ai due Visàchi. Quivi Angada
sbalzò a terra la spada di Pragangha; ed il Racsaso for
tissimo, come vide caduta a terra la sua spada che pareva
di lapislazzoli, apprestò il pugno adamantino e percosse con
YUDDHIACANDA, 305
gran vigore sulla fronte il poderoso Angada eccelso Vànaro,
che tramortì e balenò. Ma riavuto il senso, il preclaro fi
glio di Bàli ardente d'ira infranse con un pugno la testa
di Pragangha. Allorchè vide sfracassato il suo zio paterno,
Yupàksa cogli occhi pieni di lacrime sbalzò rapido dal carro
e in un istante impugnò la spada. Ma scorgendo avventarsi
Yupâksa, il fortissimo e prestante scimio Dvivida lo per
cosse irando al petto e l'afferrò; quando vide preso il fra
tello, il possente e robustissimo Sonitàksa percosse Dvivida
pur nel petto. Martellato da colui barcollò Dvivida iterata
mente; quindi egli arrappò di mano al Racsaso la clava
sollevata. I due impetuosi Racsasi Yupâksa e Sonitàksa fe
cero quivi coi due Vànari aspra battaglia con forti tratte e
schianti. Dvivida lacerò fieramente coll'unghie Sonitàksa e
lo sgretolò con rabbia; Meinda e Dvivida stavan colà vicini
ad Angada, gli uni e gli altri con vicendevole brama di
struggersi. Ma i Racsasi armati di dardi, di clave e di sci
mitarre assalirono i prodi Vànari magnanimi, fortissimi e
di corpo smisurato; e si raccese la pugna dei tre duci dei
Vànari afferratisi unanimi coi tre Racsasi. I robustissimi sci
mi, dato di piglio ad alberi, li lanciarono; ma il forte Pra
gangha li spezzò colla scimitarra; ei scagliarono nella zuffa
massi, roccie e nuovi alberi, e Yupaksa li ruppe con saette
ornate d'oro; ed il preclaro Sonitàksa colla sua clava mise
in pezzi subitamente un nembo d'alberi lanciato per ogni
parte da Meinda e Dvivida. Vibrando l'ampia scimitarra che
fende gli organi vitali de' nemici, Pragangha s'avventò im
petuoso al figlio di Bàli; e come ei vide a sè vicino quel
fortissimo duce de'Vànari, il poderoso Racsaso lanciò di
forza e a furia la scimitarra. Ma il valente Vànaro gli per
cosse con un pugno il braccio, ch'era armato di scimitarra,
e squassandolo, il fe cadere a terra. Meinda duce de'Vànari
ardente d'ira serrò Yupaksa colle sue braccia, e questi stra
mazzò privo di vita. -

Allor l'oste de' Racsasi sgomentata, e perduti i suoi eroi,


si difilò verso colà dov'era il figlio di Kumbhakarna. Come
vide venire a furia la sua oste, Kumbha si diede a inco
raggiarla colla voce, saldo nella sua forza. Si levò quindi
con impeto l'animoso Kumbha Kumbhakarnide e fece in
VOL, III, 20
306 RAMAYANA.

quella mischia opere oltremodo ardue. Teso il suo gran


d'arco, quel sommo fra gli arcieri tutto intento saettò dardi
simili a serpenti e laceranti il corpo.
Quivi Meinda duce de'Vànari pien di rabbia piovve nembi
di macigni in quell'orrida puntaglia; Meinda con nembi di
sassi, il Racsaso con nembi di dardi, piovvero a gara in
quella mischia, a guisa di due nubi. Il grand'arco del Rac
saso colla saetta così quivi fulgurava, come in cielo l'arco
baleno cinto di lampi; e con quella saetta alata, guernita
d'auree penne, tratta fino all'orecchio e dischiavata ferì
Meinda il Racsaso. Colpito in tal modo da quel dardo, Meinda
col corpo squarciato e tremolante stramazzò pari al vertice
d'un monte, conturbato e vinto da gran dolore.
. Allor che vide il fratello colle membra rotte in quella
gran zuffa, Dvivida si spinse innanzi con gran foga, tenendo
levato un sasso enorme; e scagliò contro il Racsaso quel
masso che par fiammante. Ma Kumbha sogghignando lo
spezzò con sette dardi; ed incoccata un'altra saetta ben pen
nuta e simile a serpe, quel possente ferì Dvivida nel petto;
e il duce de' scimi percosso da colui con quel colpo al cuore
cadde a terra tramortito. Angada allora scorgendo steso a
terra il suo zio materno, corse con impeto e con ira ad
dosso a Kumbha; ma questi con due saette fere il Vànaro
che s'avventa concitato e pien di sdegno e levando in alto
un sasso, a guisa che si percuote con due tizzi ardenti un
elefante.
Ma Angada, astersisi colla mano gli occhi inondati di san
gue, impugnò una shorea che si vedeva là in disparte; e
dato di piglio a quell'albero che pareva il vessillo d'Indra,
il robusto Angada lo lanciò con impeto; ma il figlio di
Kumbhakarna l'adocchiò da lungi, e con sette saette aguzze,
laceranti il corpo, ruppe l'albero scagliato con un lancio
dal figlio di Bàli. Quindi con gran foga ei saettò nel petto
ad Angada dardi impetuosi e simili a fiamme; e il figlio
di Bàli ferito da quelle saette ornate d'oro, il cui tocco è
pari al tocco del fulmine, e forte afflitto dalla furia di quei
dardi cadde e tramortì. -

Visto Angada caduto, come un elefante steso a terra, cor


sero i prodi scimi addosso a Kumbha che stava coll'arco
YUIDDHA CANDA, 307
levato; e protessero sul campo di battaglia il regal Angada
caduto. Intanto G'ambavat, Susena e il Vànaro Vegadarsi
assalirono ad una e arrovellati il forte figlio di Kumbhakarna.
Ma veggendo venirsi incontro quegli impetuosi duci de' Và
nari, Kumbha li respinse con nembi di saette, sì come dissipa
il vento orride nubi. Abbattutisi nella via di quelle saette,
più non poterono farsi innanzi i magnanimi duci deiVánari,
a guisa degli alti fiotti, allor che incontrano la riva del mare.
Veggendo tutti que' scimi respinti da nembi di dardi,
Sugriva lasciando a dietro Angada suo nipote in quella gran
mischia, corse ad assalire il figlio di Kumbhakarna, sì come
un leone impetuoso assale un elefante che s'aggira sullo
spianato d'un monte; e sbarbando alberi diversi, li lanciò
contro il Racsaso. Ma il figlio di Kumbhakarna con varie
saette ruppe in più parti quell'irresistibile nembo d'alberi
che offuscava quasi l'aria. Quegli alberi gremiti di dardi
aguzzi dal rapido Kumbha intento al segno, così fulgevano
come rotondi orridi sassi irti di ferree punte.
Benchè vedesse rotto dall'accorto Kumbha quel nembo
d'alberi, pur non s'attristò il magnanimo ed illustre signor
dei Vànari. Dilacerato a furore e pur sostenendo que' dardi,
ei strappò l'arco di Kumbha, simile all'arco d'Indra e lo
spezzò. Levato quindi rapido un salto, dopo d'aver compiuto
quell'arduo fatto, così parlò sdegnoso a Kumbha, che era co
me un elefante a cui sian state rotte le zanne: Tu hai eroico
ardire, o fratello maggiore di Nikumbha, grande ed ammi
rabil robustezza, vigor pari al vigore d'Indragit, e la pos
sanza di Råvano; tu solo fiacchi la gagliardfa, l'alterigia e
la forza altrui, conosci la virtù e l'arte de' prestigi e na
scesti più forte assai del padre; tu oltrapossente e struggi
tore, acceso in ira e armato di saette sei atto a vincere in
battaglia i Devi stessi. Tuo zio ruppe i Devi e i Dànavi
per favore a lui concesso; Kumbhakarna ruppe i Suri e
gli Asuri colla propria sua possa; e tu sei pari di possa a
Kumbhakarna e robustissimo. Tu sei eguale ad Indragit nel
trattar l'arco ed a Rávano in maestà; tu solo sei prestante
fra tutti i Racsasi e di forza incomparabile, o prode, che
mi stai a fronte, deliberato di far battaglia. Or mirin tutte
le creature il grande sconquasso della battaglia da me presa
308 RAMAYANA.
qui con te, sì come da Indra un dì con Sambara. Chè da
te con teli diversi ben fu mostrata la tua destrezza nel saet
tare e furono atterrati i miei eroi, possenti e di forza tre
menda; e solo per timor di vitupero tu non fosti, o prode,
da me ucciso; ma or che tu hai compiuta l'opera tua e sei
rinfrancato dalla stanchezza, mira qui la mia possanza.
Fu da que'detti alteri di Sugriva offeso Kumbha; e s'ac
crebbe il suo ardore, come s'avviva l'ardor del fuoco spruz
zato di sacro burro. Il feroce Racsaso andò diritto al re dei
Vànari per combattere; ed in quel punto Sugriva e Kum
bha s'afferrarono in battaglia. Eran come due elefanti fie
ramente infuriati e sbuffavano ad ora ad ora; avean le brac
cia aggrovigliate l'un coll'altro e si tiravano a vicenda; e per
istanchezza gittavano amendue fumida fiamma dalla bocca.
Depressa dai piedi di que'due parea quasi affondar la terra;
e si conturbò l'Oceano colle sue onde sconvolte. Quivi Su
griva urtando Kumbha, lo precipitò con impeto nel mare,
e ne fe vedere il fondo. Si levò alto allora per la caduta
di Kumbha un monte d'acqua pari al Mandara ed al Vim
dhya, e si diffuse d'ogni intorno con larghi sprazzi. Ma
Kumbha sollevatosi ed avventatosi a Sugriva, lo percosse
pien d' ira al petto con un pugno veemente come la fol
gore; e dallo screpato corpo del Vànaro schizzò fuori molto
sangue; chè quel pugno impetuoso gli sfracassò la com
pagine dell'ossa. Per la foga di quel colpo si levò quivi un
gran baglior fiammante, pari alla fiamma che produce sul
monte Meru lo sgretolfo del fulmine. Ma il fortissimo Su
griva signor de'Vànari così percosso da colui strinse il pu
gno veemente al par di folgore, e sciorinò sul petto di
Kumbha quel gran pugno, orrido come fiamma ignita e
somigliante al disco del sole. Forte oppresso da quel colpo
e sbalordito cadde Kumbha nella pugna, vomitando ignee
fiamme, come cade dal cielo spontaneamente Lohitànga (il
pianeta Marte) cinto di raggi ardenti. La sembianza di Kum
bha stramazzante e rotto al petto da quel pugno era come
la sembianza di Rudra soggiogato dal gran Dio. Allor che
fu dall'eroe de' Vànari atterrato in battaglia quel fortissimo,
tremò la terra co' suoi monti e colle sue riviere, ed entrò
ne' Racsasi un grandissimo sgomento.
YUDDHIACANDA, 309

CAPITOLO LVI.

MORTE DI NIKUMBHIA,

Come vide il fratello morto in battaglia da Sugriva, Ni


kumbha divampando quasi d'ira, incitò di repente i suoi
cavalli; quindi quel valoroso impugnò la nitida sua clava
inghirlandata, che avea al di sopra un marchio di cinque
dita, ed era somigliante alla cresta del sovrano de' monti,
cinta di ferree funi, ferrea e cerchiata d'oro, pari allo scet
tro di Yama, orrida e dissipante dai Racsasi ogni paura.
Vibrando con grand'impeto quella clava, il veementissimo
Nikumbha mise, storcendo la bocca, un suono orrendo. Col
l'aureo suo ornamento (niska) sovra il petto, colle armille
cinte alle braccia, coi forbiti suoi pendenti, colla ghirlanda
ben divisata, co' suoi ornati e colla lunga e ferrea sua clava
così appar Nikumbha, come una nube cinta d'iride, tonante
e balenante. Era dirotto dalla punta della clava di quel ma
gnanimo il groppo stesso del vento; e Nikumbha divampava
a guisa di fuoco che fiammeggi. -

Nè i Racsasi nè i Vànari più non avean forza di muo


versi per terrore; ma il robusto Hanumat dai femori ton
deggianti si fermò dinanzi ad esso; ed il possente Racsaso,
le cui braccia eran pari a clave, piombò sul petto del forte
Vánaro la sfolgorante e grossa clava. Sul largo petto dello
scimio andò la clava in cento pezzi, e dispergendosi sfavil
lava, come cento meteore in cielo. Traballò per quel colpo
il grande Vànaro scrollato dalla clava, come traballa un
monte per tremuoto. Ma il robusto Hanumat, prode fra
tutti i scimi, così percosso da colui serrò il pugno pari di
foga al fulmine, e sollevandolo, quel possente e vigoroso lo
scagliò con impeto sul petto di Nikumbha, sì come Indra
lancia la folgore sovra un monte.
Si schiantò la pelle al Racsaso e spicciò sangue, e si levò
per la foga di quel pugno una subita fiamma pari a ba
leno che lampeggi. Sbadigliò per quel colpo iteratamente
il Racsaso; ma riavutosi, ghermì Hanumat. Levarono allora
altissime grida tutti gli abitatori di Lanka, bramosi di vit
310 RAMAYANA.
toria, veggendo ghermito da Nikumbha il terribile Hanu
mat; ed alcune donne Racsase dicevan colà, mirandolo: Ecco,
ei fu pur preso dal fortissimo Nikumbha quell' eccitator
d'incendil -

Ma il figlio del Vento, benchè così aggrancito dal figlio


di Kumbhakarna, pur percosse Nikumbha con un fulmineo
pugno, e lo morse per lo fianco e lo sgretolò; e svincola
tosi e saltando a terra, il Màrutide Hanumat scrollò di su
bito Nikumbha. Quindi con un rapido lancio s'avventò quel
poderoso al petto del Racsaso; e presogli e recintogli colle
braccia il collo, gli divelse di netto il capo, urlando colui
orrendamente. Ma atterrato dal figlio del Vento nel mezzo
della battaglia il ruggente Nikumbha, tutta quanta l'oste del
Dasarathide fece grande giubilio.

CAPITOLO LVII.

USCITA DI MAKARAKSA.

Come udì che Nikumbha era trucidato ed atterrato Kum


bha, Ràvano per grand'ira divampò, sì come fuoco. Ma
poich'ebbe lungo tempo pensato fra sè nella sua mente,
esagitato da due affetti, dall'ira e dal dolore, il Racsaso Da
sagriva così parlò a Makaràksa dai larghi occhi, figlio di
Khara: Vanne tu, o figlio, per ordine mio, cinto da grande
stuolo, e fa di porre a morte Râma e Lacsmano e quei
Vánari; stirpa subitamente quel mio nemico, ricorrendo alla
tua forza; quest'eroico mio Indragit ti verrà appresso. Tu
sei di valore pari a Khara e di forza immensa; tu sei prode;
sai trattare i teli divini e conosci tutte l' arti di malía.
Poich'ebbe così parlato a quel valoroso, levatosi pronta
mente dal suo sedio, l'onorò egli stesso di profumi, di vesti
e di ghirlande.
Ma il Racsaso Makaràksa figlio di Khara, che si riputava
un eroe, udite le parole di Rávano: « Bene ! » rispose im
baldanzito. E salutato Dasagriva e giratogli intorno da man
destra, uscì per comando di Rávano lentamente dalla splen
dida reggia. Poscia quel fortissimo figlio di Khara così or
dinò al soprintendente dell'esercito:Sia qui condotto pre
- UDDHACANDA 311
stamente il mio carro e si convochi qui l'oste. Intesi quei
detti, il Racsaso soprintendente dell'esercito fece colà ve
nire il carro e l'oste. Giratosi da man. destra intorno al
carro, vi salì Makaráksa, ed eccitò l'auriga con questi detti:
Conducimi or speditamente! Quindi così parlò a tutti quei
Racsasi: Venite davanti a me, o Racsasi; or moveremo in
manzi. A me impose il magnanimo Ràvano re de' Racsasi
di sterminare in battaglia Ràma e Lacsmano; ed io oggi,
o Racsasi, colle possenti mie saette porrò a morte Ràma e
Lacsmano e il grande Vànaro Sugriva e gli altri Vànari.
Oggi io sopraggiugnendo e vibrando la mia picca, arderò
quella grande oste di Vánari, come il fuoco incende aride
legna. Udendo que' detti di Makaráksa, tutti que''Racsasi di
versamente armati si strinsero intorno a quel prode. Que
gli eroi di corpo enorme e mutanti forma a lor posta,
sannuti e d'occhi fulvi, ruggenti a guisa d'elefanti, colle
chiome cadenti ed orridi, postisi intorno a Makaràksa figlio
di Khara, s'avviarono allora baldanzosi, facendo quasi tre
mar la terra. Si levò quivi d'ogni parte un grande stre
pito di migliaia di conche e di taballi percossi, di gridi
guerrieri e di battimenti di braccia con mani. Montato su
quel carro divino, ornato d'oro e lucente a guisa di vivo
fuoco, fornito d'ogni bellico stromento, tratto da grandi
corsieri fulgidi come oro, l'eccelso Racsaso armato di ma
glia, di dardi e di scimitarra, loricato e adorno d'aurei
pendenti, così risplendeva come una nube cerchiata dai
raggi del sole. Circondato da que'robusti e prodi Racsasi
di fiero aspetto, uscì fuori Makaráksa orgoglioso nella pu
gna ed avido d'irsene alla magion di Yama.
Cadde in questo di mano all'auriga il pungolo, e rovinò
subitamente dal carro del Racsaso il pennone; i cavalli che
traevano il suo carro, svigoriti e intricati ne' piedi, cammi
navano con tardo passo e colla faccia cosparsa di lacrime;
e si levò in quella sortita del feroce ed insensato Makaràksa
un vento polveroso con orrido rombo. Benchè vedessero
que'segni portentosi, tutti que''Racsasi riputati per lor bra
vura pur uscirono senza porvi mente, là dove stavano Ràma
e Lacsmano.
312 RAMAYANA.

CAPIToLo LvIII.
MORTE DI MIAKARAKSA.

Come videro uscir Makaràksa, i Vànari più eccelsi spic


cando a furia salti e slanci si posero in ischiera, avvolon
tati a combattere. S'appiccò allora fra scimi e Racsasi una
tumultuosa ed orribile battaglia, sì come fra Devi e Dànavi;
scimi e Racsasi si tambussarono a vicenda con botte d'al
beri e d'aste, con picchiate di sassi e di mazze ferrate. I
Racsasi fecer quivi grande strage delle schiere de' scimi con
lance, picche e clave, con scimitarre, ferree mazze ed ascie,
con mannaie e giavellotti, con gettar di saette in ogni parte
e con colpi di dardi uncinati, di mallei e di bastoni ferrati.
Duramente tartassati dal figlio di Khara con ascie e nembi
di saette si misero in fuga tutti i Vànari con animo sgo
mentato; ed i Racsasi veggendo fuggire i scimi, ruggivano
imbaldanziti, a guisa di leoni, e combattevano vittoriosi.
Ma spulezzando i Vànari per ogni parte, Ràma con nembi
di dardi si diede allora a respingere i Racsasi.
Come vide respinti i Racsasi, il fortissimo Makaràksa in
focato dall'ira così disse: Dove è egli quello stolto Ráma,
da cui fu ucciso mio padre andato un dì sul G'anasthàna
co' suoi seguaci e co' suoi compagni? Oggi verrò io a capo
di quella nimicizia, o Racsasi; e farò vendetta di tutti gli
amici spenti sul campo di battaglia. Ucciso quello stolido
Ràma e Lacsmano fra gli uomini il più vile, adempirò colle
gocce del lor sangue il rito funebre del dar l'acqua ai corpi
morti. Com'ebbe così detto, quel Racsaso dalle grandi brac
cia, avido di combattere cercò coll'occhio tutta quell' oste,
per desiderio di scorger Ràma. Benchè chiamato a batta
glia da'Vànari forti e valorosi, quel ferocissimo pur non
voleva altro che Ràma;e pur cercando Râma, quel possente
Racsaso s'andava aggirando per l'oste col carro rimbom
bante al par di nube. -

Ma veduti poco lungi Ràma e il forte Lacsmano e sfi


dandoli colla mano armata di dardo, così egli prese a dire:
Fermati, o Ràma, qui con me e dammi singolar battaglia;
YUDDHACANDA, 313
ti torrò ben io la vita con questi dardi acuti saettati dal
mio arco. Rammemorandomi che un dì nella selva Dandaka
tu ponesti a morte mio padre che non avea colpa e stava
intento al suo ufficio, oltremodo s'accende la mia ira; e oggi
ancora, o Raghuide scelerato, son come arse le mie mem
bra dal pensiero ch'io non ti vidi in quel tempo nella gran
selva. Ma per buona sorte tu sei pur venuto, o Ràma,
al mio cospetto sul campo di battaglia, e vi giugnesti de
siderato, sì come al leon famelico una vil belva. Cacciato
oggi dall'impeto delle mie saette alla region del re dei
morti, giacerai con quegli eroi che furon da te trucidati.
Ma a che giovan più parole? Odi, o Ràma, quel ch'io ti
dico. Ci osservino amendue qui sul campo di battaglia tutte
le genti; coi teli o colla clava ovvero colle braccia, con
quell'arme di cui tu sei più esperto, o Râma, t'afferra or
qui meco in grande pugna; combatti con quella, se tu sei
nato di nobile stirpe. Oggi ti trascinino le carnivore belve
squarciato dalle mie saette, colle membra lacere, insangui- .
nato e lordo della polvere della battaglia; venuto qui dove
t'attingon le mie saette, or ora tu più non vivrai.
Intesi i detti di Makaràksa, rispose sorridendo queste pa
role Ràma Dasarathide a colui che via più sempre schia
mazzava: Furono, egli è vero, da me spenti nella selva Dan
daka quattordici mila Racsasi e tuo padre e Trisiras e Dtà
sana; che se tu il sai, perchè meni or sì gran vampo, o
stolto l Spegnerò oggi io te pure, se stai fermo nella batta
glia. Sarann'oggi satollati colle tue carni ghiotte i sciacali,
i corvi e gli avoltoi che hanno rostri aguzzi ed artigli si
mili a graffi; coi loro rostri insanguinati andranno lieti d'o
gni intorno su per lo cielo e sulla terra Garuda e gli altri
aligeri. A che ti vanti inutilmente, o stolto, con tante e scon
venevoli giattanze? Non si può vincere in battaglia per sola
forza di parole senza combattimento.
Rimbeccato così da Ràma, il Racsaso figlio di Khara si
diede sul campo di battaglia a saettar nugoli di saette con
tro Ràma; ma il Raghuide con nembi di dardi ruppe in più
modi quelle saette, le quali guernite d'auree penne cadder
spezzate a terra in grande copia. Era terribile quella pugna
del figlio di Khara e del Dasarathide, afferratisi l'un col

–-- --- --
314 RAMAYANA.
l'altro con gran vigore; e s'udiva per lo campo di batta
glia il fragor delle corde de' due archi e degli schermi di
cuoio avvolti al braccio sinistro e con esso il rombo delle
saette scoccate dai due archi, pari allo strepito che fan due
nubi in cielo. I Devi, i Dànavi ed i Gandharvi, i Kinnari
e i grandi Serpi stettero fermi su per l'aria, bramosi di con
templare quel mirabile fatto. Ogni ferita che fa l'uno alle
membra dell'altro, è geminata di rimando; chè que' due sul
campo di battaglia s'imbroccano a vicenda e si rimbeccano.
Eran velate tutte le plage e le regioni intermedie dal nu
golo delle saette, e la terra ne appar coperta da ogni parte.
Il Racsaso scindeva con saette gli orridi dardi lanciati da
Ràma, e Ràma scindeva con dardi in più maniere le saette
scoccate dal Racsaso. In quella il Raghuide dalle grandi
braccia, ardente d'ira spezzò coi suoi dardi l'arco del Rac
saso e con otto saette ferree ferì l'auriga; e rotto con frecce
il carro, disgiunse da quello i cavalli.
Privato del carro e fatto pedestre, il Racsaso Makaráksa
vie più infocato dall'ira, impugnò la sua picca, spaventosa
a tutte le creature e fiammeggiante come il fuoco di fini
mondo; e squassata quella fiammante picca, la scagliò il
Racsaso con rabbia contro il Raghuide in quella terribil
zuffa.
Ma veduta l'ardente picca uscir dalla mano del figlio di
Khara, il Raghuide la sfesse in aria con tre saette; e la splen
dente picca ornata d'oro, fortemente percossa dalle saette di
Râma e tutta sfessa, andò in ischegge, a guisa d'un grande
tizzo ardente. Scorgendo quella picca rotta da Ráma mira
bile ne' suoi fatti: « Bene! Bene! » esclaman per l'aria i
Devi. Ed il Racsaso Makaràksa, come vide riuscita inutile
la picca, sollevando il pugno, gridò al Raghuide: Fermatil.
Fermati! Ma il Raghuide, tosto che vide colui avventarsi,
incoccò, sorridendo, sopra il suo arco il telo igneo; ed il
Racsaso ferito con quel telo dal magnanimo Càcutsthide
cadde quivi squarciato al cuore e si morì.
YUDDHIACANDA, 315

CAPITOLO LIX.

BATTAGLIA D'INDRAGIT.

Allor che udì morto in battaglia da Râma Makaràksa,


Indragit irato fuor di modo entrò là ove la pugna era più
folta. Allor cominciò colà una fiera schermaglia tumultuosa
di Racsasi con Vànari, avidi gli uni e gli altri di vittoria.
Quivi i prodi Racsasi con picche, mallei ed ascie, con fer
ree lancie e spade, con razzi di fuoco, scuri e giavellotti,
con clave, con mazze ferrate e scimitarre, con acute saette
a fusone, con raffi e pali di ferro tartassarono i Vànari nella
battaglia. « Rompi, spezza, fendi, fiedi, sbaraglia »: così gri
davano l'un l'altro; e cotale era la zuffa di quelle due osti
di Racsasi e di Vánari. Un s'azzuffa con uno, due con due;
tre atterrano tre fra quella mischia e molti abbatton molti.
Il Rávanide guardando i Racsasi, così parlò pien d'ira: Com
battete allegri e intenti a sterminare i Vánari. Allor tutti
que' Racsasi, ruggenti ed avidi di vittoria lanciarono contro
i Vánari nembi orribili di dardi; e feriti nella battaglia, i
Vànari armati d'alberi si scagliarono con impeto addosso
ai Racsasi di terribile forza; e alla lor volta, altri spiccando
vertici, altri levando le pugna, ei forbottarono i Racsasi in
quella mischia. Alcuni fra que' Racsasi percossi dai Vànari
colle ginocchia barcollavano fuor di senso, a guisa d'ebbri
sopraffatti dal trincare; altri stramazzati, coi femori, coi dorsi
e colle gambe infranti, giacevano sulla terra mettendo ge
miti. Sfracellati le orecchie e le mascella e sfessi il cranio,
versavano i Racsasi sangue in grande copia, a guisa che
spandono rosso orpimento i monti. Appariva orribile quella
puntaglia per tanti Racsasi morti, morenti e stramazzanti
e via più dirotti in gemiti.
Gran numero di Racsasi feriti colà dai Vànari fra la mi
schia , abbandonando il campo di battaglia, correvan fug
gendo a Lanka; e Lanka tremava per ogni parte sotto i
passi di que' fuggenti. In quella l'animoso e forte Indragit
ardente d'ira si diede con dardi aguzzi a dissipare i corpi
de' Vànari. Con una sola saetta ei lacerò pien di rabbia
316 - RAMAYANA.
nella battaglia nove, sette e cinque scimi, facendo lieti i
Racsasi. Quell'eroe invitto con dardi lucenti al par del sole
e ornati d'oro scombuiò i Vànari nella mischia. Poich'ebbe
con diciotto saette ferito Gandhamâdana, ei ferì con nove
saette Nala che stava lontano; con sette dardi squarcianti
gli organi vitali quel possente ferì Nila, con cinque frecce
ferì Gaya nella battaglia e con altre saette a mano a mano
ei trafisse altri Vànari.
Allora i prodi Vànari lacerati le membra, sbalorditi e af
flitti si misero in fuga grondanti di sangue. Levavano alcuni
dolenti grida, trafitti nella battaglia; ed altri inaverati dalle
saette del Racsaso cadevano a terra esanimi. Tempestati con
nembi di dardi da quel nemico nella zuffa, sbalzarono i Và
nari per le plage in ogni parte, a guisa di locuste. Inerpi
carono alcuni su per gli alberi, salirono altri sopra monti,
ed altri fra que''Vànari spiccando salti a furia, si cacciarono
nella selva.

CAPITOLO IL X.

MoRTE DI sITA PER ILLUsIoNE D'ARTE MAGICA.

Dispersa l'oste de' Vànari, il vittorioso Indragit, partitosi


dalla battaglia, si raccolse alla città. Quivi quell'eroe rian
dando col pensiero le ripetute sconfitte de' Racsasi, vinto
da grand'ira si dispose a sortir di nuovo; ed uscendo su
bitamente dalla porta occidentale, quel fortissimo deliberò
d'usar prestigi per istupefare i Vánari. Figurata per arte
di magìa Sità seduta sul suo carro, il crudo Rávanide esperto
di battaglia andò diritto contro i Vànari alla pugna. Come
videro colui venir di verso la città, i Vánari si levarono
arrangolati, armati di macigni e bramosi di combattere.
Hanumat duce de' scimi andava loro innanzi, vibrando
un gran vertice di monte, arduo a sostenere. Ma egli scorse
allora seduta sul carro d'Indragit la sconsolata Sttà, colla
chioma avvolta in una sola treccia e smunta dal digiuno.
Adocchiata su quel carro Sità tutta mesta e colle membra
sordidate, rimase Hanumat trangosciato e cosparso di lacrime
la faccia; e riguardando sopra il carro del Ràvanide scele
YUDDHA CANDA, 317
rato la pia Sità, misera, dolente e afflitta: « Che intende
di far colui?» pensava il grande scimio, e con tutti quei
prodi Vànari corse addosso al Rávanide.
Veggendo quella schiera di Vánari, il Råvanide per ira
insano, sguainata la scimitarra, scoppiò in risa strepitanti;
e tenendo in pugno quella fina spada, afferrò allora nella
folta chioma Sità figurata per arte magica e gridante o Rà
ma! o Ràma! Come vide presa Sita, cadde d'animo il Mà
rutide Hanumat, e versò dagli occhi calde lacrime di dolore; e
forte corrucciato così parlò, minacciando il figlio di Ràvano:
Non volere, o crudo e vile, stolto, ignavo, reo ne' tuoi con
sigli, far cosa sì turpe e abbominevole! Come vuoi tu uc
cidere l'innocente Mithilese, non libera di sè, privata di suo
ostello, del regno e della man di Ráma? Di che t'offende mai
costei? Puoi tu dar morte ad una donna? Se tu uccidi Sità,
o vile, lascierai tu pure in breve la cara vita;per tal misfatto
degno di morte tu sei caduto nelle mie mani; e abbando
nata qui la tua vita, fruirai nell'altro mondo le sedi desti
nate ai micidiali delle donne ed a chi uccide chi non dee
esser messo a morte. Così dicendo, Hanumat circondato
da' suoi scimi assalì in battaglia irato il figlio del re dei
Racsasi.
Ma il terribile Rávanide respinse in quell'affronto la tre
menda schiera de'Vànari e colui che l'assaliva. Sbaragliata
con migliaia di dardi quell'oste di scimi, Indragit così prese
a dire all'eccelso scimio Hanumat: Io ora, te veggente, porrò
a morte questa Sità, per cui siete qui venuti tu, Sugriva e
Ràma; ed uccisa costei, spegnerò quindi te, o Vánaro, e Ràma
e Lacsmano e Sugriva e quel vile di Vibhisana. Quanto a
quel che tu dici, o scimio, che non si debbono uccider
donne, sappi che si dee pur fare ciò che arreca travaglio
ai nemici. Ciò detto, colla scimitarra d'acuto taglio ferì In
dragit di propria manoSitàfigurata per arte magica e pian
gente; e quella pia, dai belli ed ampi lombi e di caro aspetto,
tagliata dal Racsaso, a guisa che vien reciso il sacro cordon
Brahmanico, cadde a terra. Uccisa colei di sua mano, In
dragit così parlò ad Hanumat: Mira, o scimio, da me tru
cidata questa consorte di Ràma. Com'ebbe per tal modo
tolta di vita Sità, il Råvanide Indragit, tutto lieto e ritto
318 RAMAYANA.

sul suo carro, proruppe in altissime grida; ed i Vànari che


stavan là bramosi di far battaglia, udirono quel grido, quello
strepito sformato, cagion di terrore ad ogni vivente crea
tura.

CAPITOLO LXI.

SBARAGLIO DEI VANARI,

Udito colà quel terribile rimbombo, che parea fragor della


folgore d'Indra, i prestanti Vànari si diedero a correre qua
e là, riguardando per tutte le plage. Ma il Márutide Hanu
mat andava gridando a tutti que' scimi smorti in volto e
spauriti che fuggivano sbandati per terrore: Perchè fuggite,
o Vànari, costernati e smorti, abbandonando il conato della
battaglia? Dove è ita la vostra prodezza? Venite dietro a
me che vado innanzi nella pugna. Mal si conviene il fug
gire ad eroi nati di stirpe generosa. Esortati con tali pa
role, i prodi Vánari rinvigoriti dier di piglio a brani di .
monti ed a più alberi diversi; e raccoltisi intorno ad Ha
numat, lo seguitarono nella gran zuffa ed assalirono, rug
gendo, i Racsasi. Cinto d'ogni intorno da quegli eccelsi
Vànari, Hanumat simile a fuoco rifiammeggiante arse le
schiere de' nemici; quel possente fiancheggiato dallo stuolo
di que''Vànari, e pari a Yama struggitore fece de' Racsasi
grande strage. Vinto dall'ira e dal dolore, il grande scimio
Hanumat scagliò sul carro del Ràvanide un ponderoso sasso.
Ma l'auriga, visto venir quel gran macigno, slontanò di molto
il carro tratto da docili corsieri; e quel sasso cadendo in
vano, senza attingere nè Indragit, nè il carro, nè l'auriga,
nè i cavalli, fendendo la terra, vi si profondò.
Caduto quel gran sasso, rimase costernata l'oste de' Rac
sasi, ed i Vànari strepitando correvan loro addosso a cen
tinaia. Que''Vànari di terribile forza e di gran corpo lan
ciavan nel mezzo de' nemici fra la battaglia tronchi d'alberi
e brani di monti; e gli orribili Racsasi percossi di tutta
forza con tronchi d'alberi dai Vànari membruti, si dibatte
vano sulla terra. Ma Indragit, come vide la sua schiera tem
pestata dai Vànari, vibrando irato l'arco, andò diritto contro
YUDDHACANDA, 319
i nemici; e fiancheggiato dalla sua falange, saettando nembi
di dardi, ferì il Ràvanide molti Vànari de'più valenti; e
coloro eziandio che li seguitavano, con picche pari a folgori,
con ascie, daghe e magli forbottarono i Vànari nella batta-
glia. I Vànari di rimbecco ardenti d'ira si serrarono addosso
ai Racsasi gigantéi con sassi, tronchi d'alberi e vertici di
monti; e Vànari con Racsasi, Racsasi con Vànari facevan
battaglia a furia, sì come i Devi coi Dánavi.
Il poderoso Hanumat di terribile vigorìa con tronchi d'al
beri ramosi e con macigni faceva colà macello dei Racsasi;
ed i Racsasi martellati nella battaglia da quel Vànaro d'opere
terribili si fuggirono tutti alla rinfusa dalla pugna, intenti a
salvar la vita. Respinta la schiera nemica, così parlò Ha
numat ai Vànari: Tornate addietro, o valorosi; non pera
qui questo nostro esercito. Fu uccisa quella figlia di Ganaca,
per cui noi tutti, nulla curando di nostra vita,ci travagliamo
di combattere per far cosa cara a Ràma. Andiamo ora ad
annunziare a Râma ed a Sugriva la morte di colei; e fa
rem quindi ciò che quei due ordineranno. Ciò detto a quei
prodi Vànari e ributtando con forza i Racsasi, lento, lento
e imperturbato ei si ritornò colla sua schiera. Come videro
Hanumat avviarsi là dov'erano i due Raghuidi, i Racsasi
colle membra rotte e dilaniate si ristettero; e il Rávanide
Indragit tutto lieto, partitosi il Màrutide, se n'andò al luogo
destinato ai sacrifizi, e litò al Fuoco. Colà nel sacro recinto
il Fuoco onorato dal Racsaso con sacrifizio conforme ai riti
ed invocato con preci sommesse, con oblazioni e sacri car
mi, divampò; ed apparve fiammeggiante e annunziatore di
vittoria, simile al sole nel tramonto col suo disco cinto di
raggi.

CAPITOLO IL XII.

PAROLE DI LACSMANO,

Il Raghuide in quel mezzo, udito lo strepito della batta


glia de' Racsasi e de' Vànari, così parlò a Gâmbavat: Ei si
fa di certo, o amico, da Hanumat una gran puntaglia; chè
s'ode un altissimo ed orribile fragor d'armi; onde va fian
320 RAMAYANA,

cheggiato dalla tua schiera e portagli aiuto; fatti pronta


mente, o re degli orsi, ausiliatore a colui che combatte. Così
esortato, il signor degli orsi cinto dalla sua falange si di
rizzò verso la porta occidentale là dov'era il Vànaro Hanu
mat. Ma ei si scontrò per via con Hanumat che veniva cir
condato dai Vànari che avean fatto battaglia ed erano forte
ansanti. Veduto per la via il re degli orsi pien d'ardore e
somigliante a una fosca nuvola, ed accontatosi con lui, il
fece Hanumat tornare addietro; e venuto prestamente con
tutta quell'oste al cospetto del magnanimo Râma, così parlò
pien di dolore: Mentre noi combattevamo di tutta forza, il
Ràvanide, noi veggenti, o Ráma, uccise colla sua spada Sità
dirotta in pianto. Veduta colei morta, io smarrito e con
mente affannata e involto in gran tenebrìa qui ne venni ad
annunziarti il fiero caso, o domatore de' nemici.
Udite quelle parole, Ràma vinto dal dolore cadde a terra
tramortito e coll'animo scommosso. Tosto come vide caduto a
terra il Raghuide pari ad un Dio, Lacsmano fortemente
addolorato si slanciò subitamente e lo prese. Accorsero, le
vandosi su d'ogni parte, i prodi Vànari G'àmbavat, Hanu
mat e Meinda, Nfla e Nala; e spruzzarono con acque olez
zanti di ninfee e di nelumbi quell'eroe riarso da dura an
goscia, sì come è arsa dalle fiamme una gran selva d'aride
legna.
Ma Lacsmano, stringendolo dolente fra le sue braccia,
parlò a Ráma queste opportune, ferme e ragionevoli parole:
Non può adunque l'inutile virtù difendere dagli assalti della
sventura te,uomo onorando, vincitore de'tuoi sensi e cam
minante per via purissima! Sì come l'apparenza delle cose
mobili ed immobili non è cosa reale, così nè anche la virtù;
quindi ella non è; tale è il mio parere. Se realmente sus
sistesse la virtù, andrebbe Rávano alle sedi inferne, e tu
giustissimo non cadresti in tali calamità; or da che quel
Racsaso è esente d'ogni infortunio e tu sopraffatto dalle
sventure, io scorgo la virtù confusa col vizio ed il vizio colla
virtù. Se gli uomini che sopra tutto han cara la virtù, ne
ottenessero frutto di prosperità ed avvenisse sciagura a co
loro che seguono il vizio, sì sarebbe convenevole il frutto
d'amendue. Ma perocchè crescon di beni coloro in cui s'an
YUDDHACANDA, 32
nida il vizio ed abbondano di mali quelli in cui s'accoglie la
virtù; perciò la virtù è inutile. Se son sopraffatti dall'in
giusto i giusti e pii, la virtù è dunque oppressa dal vizio;
e sendo oppressa, che cosa mai potrà ella operare? Che se
l'uom giusto è martoriato per forza del destino, ed ei martoria
un altro giusto, è da tal fatto, io penso, contaminato il sommo
Brahma, sì come da un atto iniquo. Se non si vede quaggiù
repressa l'opera malvagia, come si può, o domatore dei ne
mici, ottener colla giustizia bene supremo? Se il bene stesse
pure in mezzo ai buoni e non fosse mai fra loro alcun male,
saresti tu incappato in questa sì fatta avversità? perciò il bene
quaggiù non si trova. Che se la virtù, lasciando il debole, va
dietro al forte, vuolsi abbandonare quel che è debole, siccome
privo di fermezza; tale è il mio avviso. E se la virtù è qua
lità tutta propria della forza, tu, o largitor d'onore, lasciata
la virtù come cosa vana, volgiti, siccome la virtù, pure alla
forza. Che se la veracità è riputata appunto la somma virtù,
perchè nell'atto di mancar della sua fede, non fu da te rat
tenuto tuo padre? Od è egli forse il donare, o Raghuide,
riputato la virtù? ma tu, abbandonando il regno, hai pur
recisa la radice della virtù: chè dalle larghe ricchezze am
massate a mano a mano provengon tutte l'opere munifiche,
sì come dai monti le riviere; ed all'uom di poca mente e
sfornito di ricchezza sono intercise tutte l'opere, sì come
nella calda stagione l'acque ai rivi. L'uomo stremo di ric
chezza, avido di felicità ed infelicissimo, s'appiglia a fare
il male; perocchè nasce in lui odio del ben operare. Chi
abbonda di ricchezze ha amici; chi ha ricchezze ha con
giunti; chi ha ricchezze è uomo forte sulla terra; chi ha
ricchezze è saggio; chi ha ricchezze ha splendor di stirpe;
chi ha ricchezze ha nobili qualità; chi ha ricchezze è pos
sente; chi ha ricchezze è accorto; chi ha ricchezze è sag
gio; chi ha ricchezze è riputato; a chi ha ricchezze abbon
dan gli agi ed i diletti ed ogni cosa a lui s'inchina. Colui
che è povero e pur bramoso d'opulenza non può quaggiù
procacciar ricchezze; chè le ricchezze van congiunte colle
ricchezze, come grandi elefanti con elefanti. Que' mali che
derivano dall'abbandono della ricchezza, io li ho a te prenun
ziati; ma tu non v'hai posto mente, o eroe, allor che lasciasti
VOL, III, 21
322 RAMAYANA.

il regno. La virtù, l'amore, l'orgoglio e lo sdegno, il gaudio


e il vivere fortunato, tutte queste cose, ei non v'ha dubbio,
provengono dalla ricchezza. Or quella ricchezza, per cui gli
uomini quaggiù operano ogni atto di virtù, in te or non si
scorge, o Ràma, sì come non si veggono i pianeti in tempi
scuri e nugolosi. Fa d'acquistar ricchezza, o Râma; la ric
chezza è la radice di questo mondo; io non veggo diffe
renza da chi è povero a chi è morto. Il C'andàlo ed il po
vero mi paiono amendue somiglianti l'uno all'altro; dal
C'andàlo non si prende, il povero non dona. Venuto te in
esilio, o prode, e morto il padre, ti fu dal Racsaso rapita Sità
a te più cara che i tuoi spiriti vitali; ma or cancellerò ben
io coi fatti questa sventura orribile, intolleranda, che ti venne
per opera d'Indragit; onde levati su, o Raghuide. Sorgi, o
uom dagli occhi di fior di loto, dalle lunghe braccia, dai
saldi voti; perchè non conosci tu te stesso, magnanimo e
donno de'tuoi sensi? Oggi io, o signore, per amor di te e
riguardando con dolore alla morte della figlia di G'anaca,
subbisserò di certo a furia di saette Lanka co' suoi carri ,
co' suoi cavalli ed elefanti ed insieme col re de' Racsasi.

CAPITOLo LXIII.
DISCORSO DI VIBHISANA.

Mentre Lacsmano, devoto al fratello, stava incorando Ráma,


sopravvenne, dopo ch'ebbe rivedute e raffermate le schiere,
Vibhisana fiancheggiato dai prodi Racsasi suoi compagni,
armati di teli diversi e somiglianti a neri nugoloni, sì come
è cinto da elefanti un elefante duce di schiera. Quel fortis
simo venuto dinanzi al Raghuide, scorse dolenti i Vànari e
Lacsmano e Sugriva, e vide tramortito e posato sul grembo
di Lacsmano il valoroso Ràma, delizia della stirpe d'Icsvacu.
Veduto colà Ràma dolorante e lasso, Vibhisana, afflitto da
interna angoscia, domandò: Che cosa è questo? e Lacsmano
scorgendo Vibhisana tutto smorto e sopraffatto da pensieri,
così gli rispose lagrimando: Com'ebbe, o prode, testè in
teso per le parole d'Hanumat ch'era stata da Indragit cru
delmente uccisa Sità, svenne di subito il Raghuide.
Ma Vibhisana, discostato il Saumitride che sì parlava, prese
YUDDHIAC ANDA, 323
a dire a Ràma tornato in sè queste parole salutari: O si
gnor degli uomini, quel che ti disse Hanumat affannato, io
lo credo inverisimile, come sarebbe che il mar si dissec
casse. Io ben conosco, o uom dalle grandi braccia, l'animo
dell'empio Rávano verso Sità; egli non mai la farebbe uc
cidere. Benchè esortato con giuste e salutevoli parole dai
suoi congiunti, che gli dicevano « Rilascia Sità; » pur non
fece egli mai ciò che gli era consigliato. Nessun altro Rac
saso fuor di lui nè per doni nè con piglio di arroganza, nè
con frammettere discordia, molto meno con altri mezzi, può
giammai veder quella donna, o eroe. Ma allor che il figlio
di Rávano entra in battaglia, ei s'avvia da prima e se ne va
colà dov'è disposto il sacro recinto che s'appella Nikumbhila;
ed onorato quivi di sacrificio il Fuoco, quel Ràvanide pos
sente diviene insuperabile in battaglia ai Devi stessi in un
con Indra. Colui di certo per virtù d'un sacrificio produsse
sue arti di magia, non volendo che i Vànari facessero qui
ostacolo alla sua forza. Ed or fuor di dubbio, o Ràma, co
lui sta sacrificando là nel luogo a ciò destinato; andiam
colà con tutte le schiere, affinchè non gli venga fornito il
sacrificio. Deponi, o valoroso, questo vano affanno che in
te nacque; chè veggendoti agghiadato di dolore, verrebbe
meno tutta quest'oste. Rimanti qui coll'animo tranquillo, o
sperditore de'nemici; manda solo Lacsmano con noi che ci
trarrem dietro valenti combattitori; quel valoroso, o uom
prestante, colle sue saette acute torrà al Ràvanide in battaglia
la cara vita. Que' suoi dardi aguzzi e veememti, pennuti di
penne d'aghirone e pari a tetri augelli berranno il sangue di
quel Racsaso. Ordina perciò, o uom dalle grandi braccia, do
matore de'nemici, che con noi venga ad uccidere quel Råva
nide, Lacsmano dotato di fausti segni. Non si conviene, o
uom preclaro, l'indugiarci, ma sì porre a morte il nemico
in quel suo solenne sacrificio; onde scocca la tua parola
per la morte di quel nostro avversario, sì come fece un dì
il magno Indra per lo sterminio del grande Asuro. Chè
compiuto quel sacro rito, sarebbe il Ràvanide insuperabile
ed invincibile in battaglia; correrebbero gran rischio i Devi
stessi, affrontandosi con colui venuto al. ermine del sacri
fizio ed avido di combattere.
324 RAMAYANA.

CAPIToLo LXIV.
SORTITA DI LACSMIANO,

Udendo le parole che colui gli favellava, Ráma, oppresso


da affanno e da pensieri, non comprese da principio ciò
che gli disse il Racsaso; e con voce tarda e lena così parlò
a Vibhisana: Le parole che tu mi dicesti, o illustre signor
dei Nairiti, per la confusion della mia mente non furono
da me intese; desidero udirle di nuovo; torna a ridir quel
che m'hai detto. A quelle parole del Raghuide proferite in
suon mestissimo, così rispose con forza Vibhisana: Secondo
che tu m'imponesti, o eroe dalle grandi braccia, io ho rior
dinate a campo, immantinente dopo l'ordine tuo, tutte le
schiere. Or sono scompartite d'ogni intorno tutte le forze
dell'esercito, e son disposti, qual si richiede, partitamente
i sommi duci. Ei mi conviene significarti di nuovo tali cose;
tu degna ora udirle. Stando tu qui afflitto senza cagione,
io pur sento il mio animo angosciato; discaccia, o re, que
st'affanno che vanamente t'entrò per l'udito; ciò che tu
udisti da Hanumat, fu fatto dal Racsaso per forza di malia.
Perciò abbandona questa mestizia che infonde baldanza al
nemico; si ponga, o eroe, mano all'opera, e s'attenda a star
lietamente. Se tu pur vuoi ricuperar Sità, se dei porre a
morte il tuo nemico, ti piaccia accogliere, o uom dalle
grandi braccia, le forti mie parole. Venga or via con noi,
o uom preclaro, al luogo del sacrificio questo Saumitride
grande arciero per mettere quivi a morte il figlio di Rà
vano. Quel Racsaso con acerbe castimonie ottenne in dono
largitogli da Brahma il telo Brahmacefalo, e corsieri gene
rosi che vanno dovunque loro aggrada. Ma lo stesso vene
rando Brahma, facitore e signor del mondo, stabilì che quel
Racsaso ardente di virtù ascetica sarebbe ucciso da uno mag
giore di lui in opera d'ascetismo. Così appunto fu fermato il
mezzo di distruggere quell'iniquo; or tu avaccia la morte
di colui, sì come un dì il re dei Devi avacciò lo sterminio
di Maya. Tu dei essere, o Ráma, movente cagione della
morte d'Indragit; morto colui, sappi che è morto Rávano
con tutta la gente che gli è amica.
YUDDHIACANDA, 325
Udito il favellar di Vibhisana, così parlò Ràma a Lacsmano:
Io conosco l'arti di malfa di quell'iniquo e crudo Indragit;
chè quel Racsaso vilissimo, trattando i teli divini, stupefa
nella battaglia i Devi stessi ed Indra. Mentre colui s'aggira
col suo carro su per l'aria, nessun può discernere la sua
via, o sperditore de'nemici, pari alla via del sole per mezzo
viluppi di nubi. Tu uom di vera forza, struggitor d'ogni
nemico, uccidi colle tue saette quel trapossente che ancor
non venne all'atto del sacrificio; reca tu a fine quest' im
presa. Rinfiancato da tutta la schiera del re degli orsi, in
sieme con G'àmbavat e con quest'Hanumat, va, o Lacsmano,
e poni a morte quel Ràvanide, vincitor del Dio che im
pugna il fulmine e furente nelle battaglie. Questo magna
nimo fratello minor di Ràvano, che ben conosce quel sito,
vi verrà dietro coi quattro suoi compagni.
Uditi que' detti di Ráma, Lacsmano sperditor degli eroi
nemici e di terribile possanza impugnò l'arco sovrano e
spaventoso; ed armato di tutto punto con saette, lorica e
spada, e risplendente di molt' oro, abbracciati i piedi di
Ràma, lieto e pronto così disse: Or ora scoccate dal mio
arco e lacerato il Råvanide, voleran le mie saette sopra
Lanka, sì come cigni sopra un lago; oggi i miei dardi ba
lestrati dall'arco distruggeranno il corpo di quel feroce, sì
come il fuoco consuma un mucchio di gramigne. Ciò detto
dinanzi al fratello, Lacsmano tutto baldo ed avido di spe
gnere il Ràvanide in battaglia, sen venne fuori. Seguitarono
il fratel di Ràma Hanumat circondato da molte migliaia di
Vànari, e Vibhisana co' suoi ministri. Ito per lunga via, Lac
smano sterminatore degli eroi nemici vide da lontano schie
rata in ordine l'oste del signor de'Racsasi.

CAPITOLO LXV.

IL SACRIFICIO D'INDRAGIT STURBATO.

Ma quivi il fratello minor di Rávano disse a Lacsmano


dalle grandi braccia parole a danno de' nemici ed acconce
all'util suo: T'adopera, o Saumitride, con ogni tuo potere
a rompere quell'oste; chè rotte quelle schiere, apparirà qui
326 RAMAYANA,

di subito il figlio del re de'Racsasi. Balestrando immantinente


dardi a fusone, somiglianti alla folgore d'Indra, fa colà
impeto tu stesso, affinchè non venga compiuto il sacrificio.
Intesi que'detti di Vibhisana, Lacsmano pronto e baldo
si diede a saettar contro i Racsasi un orribile nembo di
dardi. Gli orsi e i scimi armati d'alberi, di sassi e di brani
3i monti, assalirono baldanzosi l'oste schierata; ed i Racsasi,
con picche acute, scimitarre, ascie e dardi si levarono su
di botto, avidi ognora di sterminare i Vànari.
Allor s'accese una battaglia tumultuosa fra scimi e Rac
sasi, che fe risonar di strepito Lanka, con fragore pari a
fragor di nubi. Apparve colà orrido il cielo per ingombro
d'alberi e di teli e d'altre armi diverse, e di cime di monti
sollevate. I Racsasi lanciando lor teli sopra i duci de' Và
nari stampanati le braccia e il volto, v'aprivano larghe fe
rite; ed alcuni fra i prodi Vànari con alberi folti di rami
forbottavano baldanzosi nella battaglia i sommi Racsasi. Na
cque allor grande sgomento fra i Racsasi percossi dai so
vrani Vànari ed orsi di gran forza e di gran corpo.
Ma allor che vide la sua oste sbigottita e tempestata dai
nemici si levò prontamente Indragit, senza aver recato ad
effetto il suo sacrificio. Il Råvanide, lasciato incompiuto il
sacro rito e portando in sè il dardo dell'ira, accorse a di
fender l'oste sgomentata. Diveltosi in prima dal luogo del
sacrificio , tutto oscurato da alberi, quel possente salì sul
divino suo carro tratto da corsieri fulgidi come oro; e so
migliante ad un ammasso di nero collirio, ardente d'ira,
cogli occhi e col volto sanguigni, ed impugnando il terri
bile suo arco, ei pareva un secondo Dio della morte.
Come vide colui sul carro, l'oste de' Vànari tremendi corse
addosso al nemico per combatterlo in battaglia. In questo
punto il fortissimo scimio Hanumat, schiantato un grand'al
bero poderoso, pari ad un monte, ed abbattendo le schiere
de' Racsasi, come fuoco che divora le selve, s'aperse di qua
e di là la via per mezzo i Racsasi. Migliaia di Racsasi in
torniarono d'ogni parte il Màrutide che col suo impeto sba
ragliava ogni nemico; e que' Racsasi feroci con picche af
filate e ferree lancie, con dardi adunchi ed ascie, con orride
accette e acuti jacoli, con azze ed archi, saette e clave, con
YUDDHACANDA. 327
sassi a centinaia guerniti di ferree punte e con mallei di
ferro, con pugni pari a folgore e con palmate sonanti come
fragor di nubi, coi denti e colle unghie tempestarono, assa
lendolo d'ogni parte, Hanumatgrandeggiante come un monte
fra la pugna di que' prodi, avidi di vittoria. Ma il grande
Vànaro inferocito fece pur strage di tutti coloro; levando
in alto grossi alberi ed orride vette di monti ei ne sfracellò
cinque, sei, sette, otto e dieci e venti e trenta, pari a Yama
armato di mazza.
Indragit scorse in quella l'eccelso Vànaro figlio del Vento,
truce e d'orrenda forza, il qual faceva macello de' nemici;
e disse al suo auriga: Va difilato incontro a quel gran Và
naro; chè colui, non ponendogli mente, sterminerebbe tutti
i Racsasi quanti noi siamo. Così esortato, l'auriga si dirizzò
col carro verso il Vànaro, portando fra la battaglia l'invin
cibile Indragit che v'era sopra. Quel Rávanide insuperabile
posto mano ad orride saette, a scuri, ad azze, a scimitarre,
le lanciò alla testa dello scimio; ed il Màrutide, ricevuti
que' teli orrendi, oltre misura scommosso in ira cosi disse:
Combatti, se tu sei un eroe, o Rávanide insano; chè affron
tando il figlio del Vento, non iscamperai tu vivo. Combatti
colle braccia, se tu sei qui venuto per far battaglia; so
stieni l'impeto mio, o stolto; e allor sì sarai fra i Racsasi
guerrier sovrano. -

Vibhisana in quel mentre mostrava a Lacsmano il Ràva


nide coll'arco teso e intento a uccider Hanumat, con tutto
il suo corpo tronfio per li rimbrotti uditi e colla faccia
increspata dall'aggrottar delle ciglia: Colui, egli disse, che
è figliuol di Ràvano e vinse in battaglia Indra, quel desso,
stando là sul suo carro , minaccia d' uccider Hanumat; or
tu , o Saumitride, inonda d' acuti dardi eletti , micidiali e
struggitori de' nemici colui a cui nessuno può stare a fronte.

C A P IT O L O IL X VI,
PAROLE DI VIBHISANA.

Com'ebbe così parlato al Saumitride, Vibhisana fratello


minor di Rávano, preso con sè festinatamente Lacsmano
armato d'arco, ed avviatosi rapidamente e penetrato nella
328 RAMAYANA,

grand'oste, fece vedere a Lacsmano quel Racsaso; l'animoso


fratel di Ràvano manifestò quivi a Lacsmano colui, che so
migliava a una fosca nuvola e se ne stava presso alla porta
deila gran ficaia: Immolate colà, egli disse, vittime d'ani
mali, ne vien quindi alla battaglia il Ràvanide possente. Ei
si fa allora invisibile a tutte le creature, ed accoppa in
battaglia i nemici e li lega con dardi sovrani. Tu colle
tue saette acute struggi col suo carro, coi cavalli e col
l'auriga quel Ràvanide che ancor non s'è raccolto alla sacra
ficaia.
Così esortato, l'animoso figlio di Sumitra rimase colà
fermo coll'arco in pronto. Ed ecco apparir colla sua inse
gma sopra carro fulgido come fuoco Indragit , il Ràvanide
possente armato di scimitarra e di lorica. A quel Ràvanide
ebbro di pugne così parlò Lacsmano: Io ti sfido, o prode;
t'afferra con me a battaglia. Intesi que'detti, il Ràvanide pien
d'ardore nella pugna, veduto colà Vibhisana, prese a dirgli
aspre parole: Tu mi stai qui a fronte, tu che mi sei anziano
per nascita e sei fratello di mio padre! Come puoi tu odiare
un figlio,tu che mi sei zio paterno, o Racsaso? tu non curi
adunque, o insano, corrompitor d'ogni dovere, nè parentado,
nè fratellanza, nè stirpe, nè autorità, nè caro affetto, nè
giustizia? Ben tu sei da compiangere, o stolto, e meriti il
disprezzo di tutti i buoni, tu che, lasciati i tuoi congiunti, sei
venuto a porti nella soggezione d'uno strano! Ma per vizio
di mente lasca tu non discerni, o vile, la gran differenza
che è fra il rimanersi co' suoi congiunti e il rifuggire a gente
estrania. Sia pur dotato di virtù l'estranio e stremo di doti il
consanguineo; il consanguineo sfornito di virtù è pur tutta
via migliore che lo strano, e chi è estranio, è pur sempre e
stranio. Ma tal è la cruda tua natura, o Racsaso, che tu non
puoi trovar fra la tua gente nè riposo nè dolcezze. Se mio
padre per affetto o per veneranda autorità t'aspreggiò con
dure parole; tu fosti da lui pur consolato, o Racsaso. Sic
come talor per affetto dice il maestro parole discare, così
egli poscia, o stolto, pur blandisce senza porvi mente. Chi
s'unisce col nemico a danno d'un ottimo amico, quegli lo ri
getterà come una pianta di panico che si trovi presso a un
manipolo di riso. Cacciato di Lanka, tu di certo or pur
YUDDHIA CANDA , 329
vedendola ti struggi, sì come un uom che arda d'amore e
vegga la donna amata seduta in grembo ad un eroe.
Punto con tali aspre parole da Indragit irato, da un quasi
che figlio egli ch'era suo zio paterno, così gli rispose Vi
bhisana fratello minor di Ràvano: Perchè, lasciato ogni ri
spetto, mi parli tu sì duramente, o ignobile Rávanide, quasi
che tu non conoscessi la retta mia natura? Le tue parole
son sconvenevoli, o corrompitor della stirpe dei Paulastyi;
l'ingiustizia ti tolse il conoscimento; tu più non discerni il
ben dal male. Benchè io sia nato nella stirpe de' Racsasi ini
qui, la retta mia natura opposta alla Racsasea è pur quella
nondimeno, che è la prima e più nobil dote d'ogni mortale. Io
non ho vaghezza d'un regno orribile, contaminato da opere
turpi; nè mai mi fia diletto lo star con un fratello iniquo
e di rea natura. Il rapire le altrui sustanze, il por le mani
sulle donne altrui, il diffidare degli amici son le tre colpe
che menano a perdizione. Il crudo scempio de' grandi Risci,
la guerra contro tutti i Devi, l'alterigia e l'ira, l'ostilità e la
ritrosìa, tali son le colpe di tuo padre che spegneranno la
sua possanza e la sua vita, e ricopron le sue virtù, sì come
le nubi velano i monti. Per tali vizi fu da me abbandonato
tuo padre e mio fratello; omai più non sussisterà quella
città di Lanka, nè tuo padre, nè tu stesso. Tu protervo,
altiero ed arrogante, o Racsaso, sei legato dal laccio della
morte; di' pur tutto ciò che t'aggrada. Tu più non puoi
o vile Racsaso, rifuggirti alla sacra ficaia; or che tu hai ol
traggiato Ràma, t'è impossibile il più vivere. T'affronta in
battaglia con Lacsmano uom divino; e più non porrai tu
piede in Lanka, non che tu rifugga alla sacra ficaia. Orvia
t'appresta e mostra la tua forza; esaurisci le saette e tutte
le tue armi. Chè venuto or qui in luogo dove t'attingono
i dardi di Lacsmano, non iscamperai tu vivo colla tua oste.

C A PIT O L O L XVII,

RIOTTA DI CONTUMIELIE.

Com'ebbe uditi que'detti di Vibhisana, il Rávanide tutto


scommosso in ira rispose aspre parole e si fece con impeto
innanzi. Quel Råvanide dalle grandi braccia, poderoso e di
330 RAMAYANA.

forza tremenda e pari a Yama sterminatore, stando sul grande


e adorno suo carro, tratto da meri corsieri e guernito di sci
mitarra e d'armi ben allestite, e vibrando il terribile suo arco,
smisurato, immenso, rapido e saldo e saette pari a serpenti,
e girando lo sguardo su tutti coloro, così parlò pien di cor
ruccio al Saumitride e a Vibhisana ed a que' prestanti Và
nari: Mirate la mia possanza! Or voi qui sosterrete nella
battaglia il nembo di dardi insofferibile, saettato dal mio
arco, sì come un rovescio di pioggia per lo cielo. Chi po
trà qui starmi a fronte, mentr'io, a guisa d'una nuvola
mugghiante, scaglierò con rapida mano fra la pugna nembi
di dardi? Oggi le saette scoccate dal mio grand'arco disper
deranno le vostre membra, sì come il vento disperge un
mucchio d'erbe; oggi colla mia azza, con iacoli e con que
sta scimitarra tutti io vi traboccherò alla magion di Yama,
lacerati da dardi acuti.
Udendo le minaccie di quel Racsaso sovrano, Lacsmano
senz'ira, siccome colui ch'era imperterrito, così rispose al
Ràvanide: Ei non è difficile, o vile Racsaso, venir colle pa
role a capo delle imprese; ma ben colui è saggio, che ne
viene a capo coi fatti. Tu proferendo parole senza effetto
intorno ad un'ardua cosa, qualunque ella pur sia, t'imagini,
insensato, d'aver conseguito il tuo intento. Quando tu, fat
toti occulto, ingannasti me e Ràma fra la battaglia, la via
che tu camminavi, era la via calcata dai ladri, non quella
seguita dagli eroi. Ove tu, venendo sulla via delle mie saette,
abbia cuore di combattere, o vile Racsaso, sì vedremo al
lora la tua possanza nella pugna; a che tanto vantarti con
parole? Senza dir parole acerbe, senza muovere alcun rim
brotto, senza menare altiero vanto, io pur saprò ferire; mira
la differenza della mia alla tua forza. Stando cheto, incende
il fuoco ed arde il sole, ed il vento scrolla gli alberi, e
punto non si vanta.
Rintuzzato con que' detti, il vittorioso e prode Indragit,
dato di piglio al terribil arco, saettò dardi acuti; e quei
dardi, inveleniti come serpi e lanciati da quel forte, toccato
ch'ebber Lacsmano, caddero a terra pari a serpenti sibilanti.
Con quelle rapide saette l'impetuoso Indragit, eccelso Rac
saso, ferì adirato il Saumitride dotato di fausti segni; e
VUDDHIACANDA, 331
l'illustre Lacsmano colle membra sforacchiate da quel nu
golo di dardi e tutto rigato di sangue, fulgeva a guisa di
vivo fuoco.
Rimirando quel suo fatto, e rugghiando e facendo gran
rombazzo, così prese a dire Indragit: Oggi al fine queste
mie saette aguzze e ben pennute, scoccate dal mio arco e
micidiali torranno al tuo corpo la vita; e le torme de' scia
cali e gli stormi de'falchi e gli avoltoi si getteranno sopra
di te, o Lacsmano, da me ucciso e fatto esanime. Nè quel
l'ignobile Ràma stolidissimo, nato di sangue ksatro più ri
vedrà te suo fratello devoto, da me spento. Dispogliato di
lorica, abbandonato l'arco, colla tua testa sfessa, tu giacerai
qui a terra trangosciato e da me condotto a morte.
Al Rávanide che per ira diceva cotali crude parole, rispose
Lacsmano detti ragionevoli ed opportuni: Perchè ti dai tu
qui ora così gran vanto, o Racsaso, senza aver fatto nulla?
Fa tal opera, per cui io possa credere alle tue giattanze.
Senza dire aspre parole, senza fare alcun rimbrotto, senza
punto menar vanto, io ti porrò pur oggi a morte, o vile
Racsaso. Ciò detto, Lacsmano con ardente foga confisse nel
petto del Ràvanide una saetta di cinque nodi, tratta prima
fino all'orecchio; ed il Rávanide percosso da quel dardo e
acceso d'ira ferì di rimbecco Lacsmano con tre dardi su
bitamente dischiavati. Era orribile in quella pugna lo scon
quasso tumultuoso di que' due, l' uno leon degli uomini,
l'altro leon dei Racsasi, anelanti l'uno e l'altro a trucidarsi.
Chè quei due prodi eroi, fortissimi amendue e poderosi,
insuperabili amendue ed ardentissimi s'afferrarono l'un
coll'altro, come una tigre ed un leone; e lanciando nembi
di dardi acuti quell'uom possente e quel possente Racsaso
combattevano baldi e fermi.

C A PIT O L O L XVIII.
BATTAGLIA SERRATA,

In quella il Dasarathide, domatore de' nemici, irato e sbuf


fante come un serpe, incoccato un telo, lo lanciò contro
il Racsaso sovrano; ed il Ràvanide, mal sofferendo il fragor
332 RAMAYANA,

della corda dell'arco e della fascia di cuoio ond'è munito


l'arciero, scolorato in volto, affisò Lacsmano. Veduto il Rac
saso smorto in viso, Vibhisana fratello minor 'di Ràvano
così parlò al Saumitride ardente d'ira: Per quel ch'io scorgo
negli atti del Rávanide, egli è affranto quel Nottivago; per
ciò combatti, o uom prestante! Allora il Saumitride incoc
cando dardi acuti e pari a serpi, li saettò contro colui, a
guisa di serpenti venenati. Percosso da Lacsmano con quei
dardi, il cui tocco è pari al tocco della folgore d'Indra,
rimase Indragit un istante sbalordito e perturbato ne' suoi
sensi. Ma riavuto in breve il sentimento e tornato ne' suoi
sensi, ei mirò là fermo ed in atto di battaglia il valoroso
Dasarathide. Egli andò contro al Saumitride con occhi ac
cesi d'ira, ed affrontatolo, prese di nuovo a dirgli parole
contumeliose: Non ti rammenti, o stolto, qual fu nella prima
battaglia la mia forza e come tu atterrato con tuo fratello con
lui ti contorcevi nella polvere? Voi ben allora cogli altri duci
foste in quella zuffa da me prostrati a terra fuor di senso
con saette pari alla folgore d'Indra. O tu, io penso, non
hai memoria, o tu vuoi manifestamente irtene alla magion
di Yama; posciachè tu brami azzuffarti meco. Se tu nella
prima battaglia non conoscesti appieno la mia possanza,
te la farò ben io conoscer oggi; fermati or qui meco a
fronte. Ciò detto, con sette dardi ei ferì Lacsmano suo
nemico, e con dieci saette elette e d' acuto filo imbroccò
Hanumat; quindi con cento quadrelli quel Racsaso di man
pronta, fatto dall'ira duo tanti più acceso negli occhi, di
lacerò Vibhisana.
Veduta quella prova fatta da Indragit, sorrise Lacsmano
senza pur darsene pensiero, e disse: « Questo è nulla ».
Quindi il Saumitride, eccelso fra i Raghuidi, con volto im
perterrito e sdegnoso, levando in alto orridi dardi, così
parlò al Ràvanide fra la pugna: Non così, o Racsaso, feri
scono gli eroi venuti a battaglia; son lievi e fiacche, al par
di te, queste tue saette. Così pugnano in battaglia gli eroi
che desideran vittoria. Sì dicendo, a un tratto tutto l'in
naverò quel prode co'suoi dardi; e la grande ed aurea sua
lorica, smagliata dai dardi di Lacsmano, cadde in pezzi sul
seggio del carro, a guisa d'un gruppo di stelle in cielo.
- YUDDHIA CANDA. 333
Rotto dalle ferite, coll'armadura sconquassata dai dardi ,
il. prode Indragit in quella battaglia somigliava ad una rossa
butea co' suoi fiori tutti aperti. Sbuffando amendue ad ora
ad ora combattevano que' fortissimi, gremiti di saette per
tutte le membra e grondanti di sangue in ogni parte. L'a
spetto di que'due eroi, terribili ne'lor atti e saettanti dardi
a furore era come quello di due fosche e tetre nuvole so
pravvenute nella stagion delle piogge. Que' due eroi sovrani
fra coloro che sanno l'arte de'balestri, facendo veder lor
scienza di teli l'uno all'altro s' aggirarono, combattendo,
lunghissim'ora; amendue que' prodi di terribile forza si tra
vagliavano di vincere, e tempestati l'uno e l'altro di fitti
dardi, con pennone e lorica infranti, ei sgorgavano sangue,
sì come spandono acqua due rivi; ei rintuzzavan su per l'a
ria saette di varie forme, mostrando a vicenda in quella
battaglia e l'uomo e il Racsaso la terribile lor forza in cui
non si scorge difetto, spedita, mirabil, salda. Ei s'udiva di
stintamente l'orrido suon della fascia di cuoio che difende
il sinistro braccio dei due arcieri, suon terribile, tremendo,
spaventoso come un nodo di vento; e lo strepito di que'due
furibondi nella pugna somigliava al fragor di due nubi in cielo
mugghianti e orribili. Le saette con auree penne che lan
ciavan nelle membra l'un dell'altro que'due fra la battaglia,
uscendone intrise di sangue, si ficcavan nel seno della terra.
Ei scommovevano l'aria colle mutue e commiste lor saette;
e i lor dardi che s' immillano, tutto sfendono e dirompono.
I corpi innaverati di que' due magnanimi rifulgevano a
guisa d'una butea o d'un albero di bombace fiorenti e dis
fogliati. Le file de'dardi confitte nelle membra di que' due
così appaiono, come file di segni costellati (naksatri) leva
tisi in ciel sereno. Chè amendue sovrani arcieri e d'ogni
arme esperti, ei facevano ad ora ad ora puntaglia tumul
tuosa a corpo a corpo. Menando colpi l'un contro l'altro,
l'irato Lacsmano contro il Rávanide ed il Rávanide contro
Lacsmano, punto ei non sentivano stanchezza. Per li nembi
di dardi, che eran confitti ne'lor corpi, que'due animosi e
oltrapossenti, rifulgevano come due monti vestiti di sproc
chi; e le membra di que' due tutte insanguinate e gremite
di saette, fiammeggiavano sì come ardenti fuochi. Ei tra
334 RA MAYANA,

passò così gran tempo, in mentrechè quei due s'abboccavano


a battaglia; e nè l'un nè l'altro sentiva fatica o voglia di
ritrarsi dalla pugna.

CAPITOLO LXIX.

SCONQUASSO DEL CARRO D'INDRAGIT.

Mirando quei due, l'uomo e il Racsaso, afferratisi l'un


coll' altro e combattenti a guisa di due elefanti infuriati ,
bramosi di dar morte l'uno all' altro, il robusto e prode
fratel di Ràvano armato d'arco eletto si fermò in fronte
della battaglia per contemplarli in quel conflitto. Quindi
colà fermo ei tese il grande suo arco e saettò dardi d' a
cuta punta, guerniti di penne di pavone; e quelle saette,
il cui tocco è pari al tocco del fuoco, cadendo quivi intense,
laceravano i Racsasi, come scoscendon gli alberi le folgori.
I prestanti e prodi Racsasi seguaci di Vibhisana con sci
mitarre, azze ed aste sfendevano ei pure i Racsasi in bat
taglia; e circondato da que' Racsasi, somigliava allor Vi
bhisana ad un grande elefante in mezzo a stormi di giovani
elefanti. Quell'egregio infra i Nottivaghi, conoscitor del tempo
incitando i Vànari armati d'alberi e nella battaglia altieri,
così lor diceva opportunamente: Solo costui qui resta su
premo sostegno del re de'Racsasi; sol questo a lui rimane
delle sue forze; state saldi, o Vànari! Spento sul campo di
battaglia quest'iniquo Racsaso, vuolsi allora distrugger Rà
vano; chè colui è il grande suo braccio. Già furono qui
uccisi il possente Prahasta ed il fortissimo Nikumbha, Kum
bhakarna e Makaràksa ed il Racsaso Dhùmràksa, G'ambu
màli e Mahàpàrsva, Tiksnavega ed Asaniprabha, Suptaghna,
Yagnakopa ed il Racsaso Vagradanstra, Sanhràdi, Vikata,
Tapana e Kàla, Praghasa e Prahasta, Pragangha e Gangha
Agniketu duro a vincere e il poderoso Rasmiketu, Vidyug
gihva e Dvigihva ed il Racsaso Sùryac'aksu, Akampana e
Supàrsva ed il Racsaso C'akramauli, così i due sommi ed
animosi Devàntaka e Naràantaka, il fortissimo Atikàya, Tri
siras ed Atikopana. Dopo aver spento in battaglia tutti que
sti prodi Racsasi e valicato colle braccia il mare, vi sarà
- YUDDHIACANDA, 335
or lieve trapassar poco spazio di terra. Questo solo or qui
rimane; ei si dee da voi superare, o Vànari. Mal si conviene
a me, egli è vero, l'adoperarmi alla morte d'un che m'è
quasi figlio; ma nulla ei v'ha sulla terra che io far non
debba per gratificare a Ràma. Il procacciar la morte e il
darla hanno amendue egual reato; or io pur mi condurrei a
commettere tal colpa per procurare felice successo a Ràma;
nulla curando il biasimo, io ben ucciderei per amor di
Ràma il figlio di mio fratello: ma in quella ch'io m'accingo
ad affrontarlo, m'assale un gran turbamento; onde lascierò
che lo spenga Lacsmano dalle grandi braccia: ed i Vànari
tutti ad una distruggano i suoi seguaci i quali gli stanno
intorno.
Così disse; ed eccitati da quel Racsaso sopragglorioso, i
duci de'Vànari, rinvigorite le lor forze, mostrarono gran
baldore; quindi que' prodi scimi mirando Vibhisana pronto
alla battaglia, vie più ancor si ringalluzzarono e dibattevan
le lor code. E Gàmbavat circuncinto dalle sue schiere d'orsi
tartassò fieramente quivi i Racsasi con sassi, coi denti e col
l'unghie. Ma que' Racsasi fortissimi, cacciata ogni paura e
muniti d'armi diverse, intorniarono il re degli orsi che sì
forte martellava ; e con ascie orribili e con acuti iacoli ei
percossero in battaglia G'àmbavat che tempestava l'oste dei
Racsasi. Qui nacque allora una schermaglia tumultuosa di
Racsasi e di Vànari, qual fu un dì l'orrida zuffa degli Asuri
e dei Devi accesi in ira. Hanumat pien di corruccio, svelta
da un monte una robusta shorea, fece in quella mischia
orrenda strage di Racsasi; ed il fortissimo Vibhisana arro
vellato e armato d'arco e cinto da' suoi ministri ferì pur
quivi le torme de'Racsasi nella pugna. Ma com'ebbe com
messo con suo zio quella battaglia abbaruffata, Indragit
corse di nuovo contro Lacsmano sperditor degli eroi ne
mici; e que' due prodi, Lacsmano ed il Racsaso s'abbocca
ron di nuovo a battaglia, e saettando nembi di dardi si fe
rivano l'un l'altro. Per li nugoli di que' dardi disparivano
ad ora ad ora que'due fortissimi, sì come sul finir della
calda stagione dispaiono la luna e il sole velati da dense
nubi; e per la rapidità di que' due combattenti ben non si
scorgeva la leggerezza delle lor mani sia nel prender gli
336 RAMAYANA,

archi, nel caricarli, nell'imbracciarli e nello scoccar le saette,


sia nel tenderli e nello stringerli di nuovo, sia nel dirizzare
alla mira il pugno e dar nel segno. Più non apparivano
distinte le forme degli oggetti, essendo offuscata l'aria d'o
gni parte dai nugoli delle saette lanciate con impeto dal
l'arco. Era tutto velato di tenebra e vie più spaventevole
il cielo; più non soffiava allora alito di vento, più non fiam
mava il fuoco; dicevan per l'aria i sommi Risci, « Oh! sia
salvo Lacsmano; » e convolaron colà gaudendo i Gandharvi
in un coi C'ârani. Lacsmano imbroccando il Rávanide ed
il Ràvanide imberciando Lacsmano, era un orrendo sgomino
nella battaglia che facevan que'due l'un contro l'altro. Ma
il Saumitride con quattro saette ferì allora i quattro cavalli
del prode Racsaso, neri e ornati d'aurei addobbi; e vie più
ardendo d'ira, il Saumitride valoroso diè di piglio a un
ferreo dardo , lucente e volante al segno, sperditore dei
nemici e somigliante ad un serpente. Con quella folgore di
dardo, dritta al segno e risonante, incoccata sulla nube
dell'arco ei tolse di vita il guidator del carro.
Morto l'auriga, il Ràvanide animosissimo perdè l'alterezza
che aveva nella battaglia, e s'abbiosciò; e i duci de' Vànari,
veduto il Rávanide smorto in volto, levatisi in grande giu
bilo, si diedero a sfracassarne il carro. Allor Pramathi,
Krathana, Sarabha e Gandhamâdana, tutti quattro accesi in
ira fecero impeto supremo. Que''Vànari robustissimi, spic
cato rapido un salto, caddero di forza, e ad una sui quattro
mobili suoi corsieri; e dalle bocche de'cavalli sormontati
da que''Vànari pari a monti sgorgò sangue dirotto. Uccisi
i cavalli del Racsaso e sconquassato il timone del carro, i
quattro Vánari, preso di nuovo con foga un salto, vennero
a porsi accanto a Lacsmano. Il Rávanide allora sbalzando
giù dal carro, ond'erano morti i cavalli e caduto l'auriga a
terra inondò il Saumitride con nugoli di saette. Ma Lac
smano pari al grande Indra con centinaia di dardi respinse
di forza colui che, morti i suoi corsieri, combatteva pede
stre, e saettava nella mischia strali acuti e poderosi.
YUDDHACANIDA, 337

C A PIT O L O L X X.

MORTE D'INDRAGIT.

Il Racsaso Indragit, cui furono uccisi i cavalli e infranto


il carro, stando pedestre a terra e oltremodo ardente d'ira,
fiammeggiava col suo vigore. I due arcieri venuti a fronte
l'un dell'altro e bramosi amendue di sterminarsi, folgora
vano a guisa di due elefanti eccelsi, furenti nella selva per
ebbrezza d'amore. Vituperandosi l'un l'altro, que' due so
vrani l'un de'Racsas, l'altro de' Vànari, ed avventandosi or
quinci or quindi, si ferivano nella zuffa. Indragit per ira
che avea contro suo zio e arrovellato per la morte de' suoi
cavalli, impugnando l'arco, tempestava con dardi Lacsmano.
Ma costui, domatore de'nemici, respingeva imperturbato quel
gran nugolo di saette lanciato da Indragit e difficile oltre
modo a sostenere. -

Que' due eroi Lacsmano ed Indragit di gran possanza e


di gran forza e di terribile vigoria s'andavan ferendo a vi
cenda con dardi aguzzi; e intenti alla morte l'un dell'altro
que'due fortissimi e prodi facevano insieme battaglia orri
bile, ingombra da nembi di frecce. Indragit, siccome colui
che ha man leggiera, con tre saette ben pennute ferì Lac
smano alla fronte, rottagli la salda sua armadura; e Lac
smano allora travagliato a furia di frecce dal suo nemico,
trasse fuori orridi dardi contro il Ràvanide; e subitamente
spintosi innanzi ferì sull'irosa sua faccia, ornata d'aurei
pendenti, Indragit con cinque saette. In quella i due eroi
Lacsmano ed Indragit, grondanti di sangue per tutto il
corpo, così rifulgevano nella battaglia come due fiorenti e
rosse butee; e tuttavia affrontandosi l'un coll'altro, armati
d'arco, ei si ferivano per tutte le membra con orribili qua
drella, intenti amendue alla vittoria.
Il Ràvanide allora inviperito per grand'ira ferì sul nitido
suo volto Vibhisana con tre dardi. Innaverato il Racsaso
con que' dardi d'acuta punta, a foggia di becco di passera,
ei si diede a ferire ognuno con una saetta tutti que' duci
de' scimi. Contrò colui, cui già furono morti i cavalli, Vibhi
VOL., III, 22
338 RAMAYANA,

sana adirato lanciò dal saldo suo arco tre saette acute, il
cui tocco è pari al tocco del fulmine; e quelle saette pen
nute d'oro, squarciato il corpo di colui, volaron via insan
guinate a guisa di grandi serpenti sanguigni. Invelenito
contro suo zio, incoccò Indragit il telo Igneo; e Vibhfsana
immantinente lanciò il telo di Rudra. Que' due teli orrendi
e sfavillanti come sole, incontratisi su per l'aria e percos
sisi l'un coll'altro, caddero a guisa di grandi meteore ignite.
Come vide spezzato quel telo, rimase il Ràvanide tutto turbato
dall'ira; poi quell' oltrapossente e eccelso Racsaso trasse
fuori in quella gran zuffa il sovrano e divino telo di Yama,
pari al fulmine d'Indra, fiammante come fuoco e lacerante
le membra de' nemici. Allor che vide quel gran telo incan
tato dall'eccelso Racsaso, Lacsmano diè di piglio a un altro
telo, il più tremendo che fosse in terra. Il qual già gli fu dato
durante il sonno dallo stesso Kuvera d'animo immenso, telo
insuperabile, insostenibile eziandio dagli Asuri e dai Suri
in un con Indra. I due archi sovrani allora stretti, caricati
e tesi subitamente da quei due scricchiolarono a guisa d'ar
dee; e i due teli scappati dal nervo dei due archi, illumi
mandosi l'un l'altro, convolarono impetuosi e si cozzarono
punta con punta; e percossisi insieme a guisa di due pia
neti enormi, caddero a terra i due grandi teli, fattisi l'un
l'altro in cento pezzi.
Come videro rintuzzati l'un dall'altro que' due dardi sul
campo di battaglia, rimasero vergognosi e pieni d'ira Lacs
mano ed Indragit amendue. Ma il Saumitride corrucciato
incoccò allora un telo 6rrendo, ed il Råvanide lanciò nella
zuffa il telo Asurico. In quell'orribile e tumultuoso combat
timento di que' due, le creature che abitan gli spazi eterei
intorniarono il Saumitride. In quella tremenda pugna dei
Vànari e de' Racsasi, strepente d'orride grida, l'aria apparve
tutta ingombra di Bhùti stupefatti. I Risci, i Padri, i Devi
ed i Gandharvi, Garuda ed i Serpenti capitanati da Indra
proteggevan Lacsmano nella battaglia. Allora il fratello mi
nor di Ràma pose sull'arco un dardo supremo, saldo e dai
bei nodi, che era al tocco come fuoco, telo, arduo a supe
rare e a sostenere, veemente, struggitor dell'altrui vita, pari
al contatto d'un serpente, divino e fiammeggiante; col quale
YUDDHIACANDA, 339
un dì nella guerra Devàsurica combattè il sovrano e pos
sente Indra dai fulvi destrieri, e distrusse i Dànavi. Quel
l'eccelso telo, insuperato nelle battaglie, datogli da Indra,
incoccò il Saumitride uomo eccelso, sovra l'eccelso arco;
ed incoccato che egli ebbe quel telo domatore de' nemici ,
ei tese l'arco, volendo pur distruggere quell'indomito, a
guisa che fa Yama al tempo del final disfacimento.
Ma in quella ch'ei caricava e tendeva il nobil arco, l'avven
turoso Lacsmano prese a dire parole acconce ad effettuare
il suo intento: Sì come Ràma Dasarathide è pio, veritiero
d'ogni sua promessa ed ha vigore cui nessuno può resistere
in battaglia, così spegni quel Racsaso, o telo divino ! Sì come
egli è devoto a suo padre ed eminente infra i Devi, ha cara
la battaglia dove son schierati i prodi, è ben affetto e com
passionevole alle creature, così spegni tu quel Racsaso! Ciò
detto, Lacsmano pien di vigore nella pugna, dischiavato il
dardo che vola dritto al segno e ch'egli avea tratto fino al
l'orecchio, lo lanciò contro Indragit. Quel telo troncando
via dal corpo d'Indragit la terribile sua testa, armata d'elmo
e ornata di fulgidi pendenti, l'abbattè in terra; e la gran
testa del Rávanide dispiccata dall'omero apparve lucente
d'oro sulla terra e sanguinosa. Cadde quindi subito a terra
coll'arco e colle saette il tronco del Råvanide il cui elmo
era sbalzato via.
Morto colui, levaron per gioia gridi altissimi tutti i Và
nari con Vibhisana, sì come un dì nella morte di Vritra i
Devi; e s'udì in quella su per l'aria un grande applauso
di Bhûti e di magnanimi Risci, d'Apsarase e di Gandharvi.
Ma come vide ucciso quel prode, la grande oste de' Rac
sasi si mise in fuga per ogni parte forbottata dai Vánari
vittoriosi. Gettate via l'armi, i Racsasi percossi dai Vánari
alle spalle correvano urlando e fuor di senso e colla faccia
volta a Lanka. Alcuni entrarono in Lanka sgomentati e mal
conci dai Vànari; si gettaron altri nel mare; altri rifuggirono
ai monti. Veduto morto e giacente sul campo di battaglia
Indragit, nessuno fra quelle migliaia di Racsasi più rimase
fermo in ischiera; a quella guisa che, ito all'occaso il sole,
quaggiù più non rimangono i suoi raggi, così morto colui,
si dispersero i Racsasi per le regioni. Quell'eroe dalle grandi
340 RAMAYANA,

braccia rimase là sul campo di battaglia privo di vita, somi


gliante al sole coi raggi spenti, simile a fuoco estinto. Caduto
quel figlio del re de' Racsasi, si racquetò l'orrido vento e
fu lieto il mondo liberato da quell'odiatissimo nemico. Uc
ciso quel Racsaso commettitor d'opere nefande, s'allegrò il
venerando Indra con tutti i sommi Suri. Prostrato colui che
metteva terrore a tutto il mondo, rimaser puri l'acque e il
cielo, e letiziando se n'andarono i Devi e i Dànavi; e dicevan
lieti ad una Devi, Dànavi e Gandharvi: Vadano or securi at
torno i Brahmani ritranquillati. Esultavano allegri intanto fra
la battaglia i duci de' scimi, mirando spento quel guerriero
prestante fra tutti i Racsasi e irresistibile; e Vibhisana, Ha
numat e G'ambavat duce sovrano degli orsi salutavano con
liete acclamazioni di vittoria e celebravan Lacsmano. Le
schiere de' scimi dimenandosi, ruggendo e strepitando ac
cerchiarono d'ogni intorno il Raghuide che avea sì a punto
colto nel segno; e dibattendo le lor code e picchiandosi le
mani, facevan risonar queste parole: « Lacsmano è vitto
rioso! » Poi abbracciandosi l'un l'altro coll'animo pien di
giubilo, facevan tra lor que''Vànari ragionamenti molti e
vari intorno al fratello minor di Ràma. a

CAPITOLO LXXI.

- ANNUNZIO DELLA VITTORIA,

Ma il forte fratello minor di Ràma rimase nella battaglia


sforacchiato per tutto il corpo da quel Racsaso e grondante
di sangue per tutte le membra. Fatti allor ritrarre indietro
G'àmbavat e Pramathi con tutti i Vànari, l'animoso e pos
sente Lacsmano s'avviò con animo lieto là dov'eran Sugriva
e Ràma, appoggiandosi ad Hanumat e a Vibhisana. Perve
nuto quindi a Râma, e salutatolo, si fermò il Saumitride
presso al fratello, sì come Vrihaspati presso ad Indra. Quivi
Râma chiese interrogando al fratello Lacsmano: Che cosa
è egli avvenuto? E quell'eroe fattosi allora innanzi quasi
contro sua voglia, non volle raccontare egli stesso al magna
nimo Raghuide la morte d'Indragit. Ma Vibhisana tutto lieto
marrò quivi allora com'era stata dal magnanimo Lacsmano
recisa la testa del Rávanide.
YUDDHIA CANDA, 341
Come udì quell'oltrapossente ch'era stato dal prode Lac
smano ucciso Indragit, n'ebbe letizia incomparabile e così
disse: Bene, o Lacsmano! io son contento; tu hai fatto una
bella prova; per la morte di colui reputa or come disfatto
Râvano. Ma veggendolo oppresso da saette, il Raghuide as
salito da dolore e combattuto dall'affanno e dalla gioia, ri
mase quivi come tramortito; e baciando sul capo Lacsmano
accrescitor di prosperità, il fece con forza e con amore seder
verecondo sul suo grembo. Fatto seder sul suo gremio il
diletto fratello Lacsmano ed abbracciatolo, vie più l'andava
il Raghuide riguardando; poi ribaciando sovra il capo e
palpando l'egro Lacsmano, così gli parlò l'eccelso Ràma:
Tu hai compiuto un arduo fatto ed oltremodo avventu
roso; ora io reputo come morto l'iniquo Rávano re de' Rac
sasi; oggi son io vittorioso, poichè fu spento quel nequis
simo mio nemico. Ella è gran ventura, o prode, che tu abbia
reciso in battaglia il braccio destro del crudo Rávano; chè
colui era il saldo suo sostegno. Or privato degli amici che gli
furon morti, e udendo che fu ucciso suo figlio, ben uscirà
Rávano a campo con grande esercito schierato; ed io affron
tando coll'oste il re de' Racsasi uscente a battaglia e dolo
rato per la morte del figlio, distruggerò nella zuffa quel
feroce mio nemico. Coll'ausilio di te, o Lacsmano, non mi
sarà or malagevole riconquistar Sità e la terra, da che fu
spento quell'Indragit di forza immensa.
Poi riconfortato e riabbracciato il fratello afflitto, Ràma
parlando a Susena che gli stava a lato, così gli disse: Ti
piaccia, o grande saggio, far sì che rimanga sano questo
Saumitride, conforto degli amici, che è gremito di saette;
siano sferrati immantinente Lacsmano e Vibhisana; e quan
t'altri prodi fra le schiere valorose de' Vànari e degli orsi
che combattono con alberi, furono colà feriti nella battaglia,
tutti sian fatti con ogni studio sani e salvi.
- Così esortato da Ràma, Susena duce de'Vànari porse a
Lacsmano ad odorare un'erba dell' Himavate salutifera e
stupenda che si noma Visalyakarani (la sferratrice); e subito
che n'ebbe odorato la fragranza, rimase Lacsmano sferrato,
sdoluto e colle piaghe rammarginate. Allor Susena per or
dine di Râma sanò Vibhisana co' suoi compagni e i duci
342 RAMAYANA,

de''Vànari e degli orsi. Ritornò in quell'istante nel natural


suo essere, sciolto dai dardi, libero da gravezza e da fatica
il Saumitride, delizia degli amici; e tutti que' scimi veggendo
Lacsmano risanato, furon colà lietissimi, sì come gli Immor
tali, ottenuto l'amrita; e pieni di forza e di vigore, crebber
due tanti più in fermezza.

C A PIT O L O IL XX II.

DISTOGLIMENTO DALL' UCCIDER SITA,

I Racsasi che avanzarono a quell'eccidio, rifuggitisi nella


città di Lanka coll'armadure rotte e lacere, erano costernati
ed affranti dalle ferite. E tutti andando discorati, annunzia
rono allora a Rávano che era stato da Lacsmano ucciso
Indragit nella battaglia: Fu morto, ei dissero, fra la pugna tuo
figlio, o grande re, da Lacsmano fiancheggiato da Vibhisana,
contrastanti tutti i Racsasi. Quell'eroe tuo figlio, o prode, che
vinse i Devi ed Indra e nelle battaglie mai non torse la
faccia indietro, azzuffatosi con un altro eroe, fu da questo
messo a morte; ei se n'è ito alle altissime sedi, dopo aver
satollato di dardi Lacsmano.
Come udì quella morte atroce e più che orribile d'In
dragit suo figlio nella battaglia, Ràvano tutto svenne; e do
lente della morte del figlio e vinto dall'ira, quel feroce dalle
grandi braccia uscì di sè, venne meno e tramortì. Ma ri
cuperato dopo lunga ora il senso, quel re sovrano de' Rac
sasi, angosciato per doglia del figlio e misero, si diede a
lamentare coi sensi perturbati: O supremo infra l'esercito de'
Racsasi, o fortissimo mio figlio, o Indragit, come mai fosti
tu superato oggi da Lacsmano! Tu per certo acceso in ira
avresti colle tue saette pari alla morte struggitrice squarciato
eziandio il vertice del Mandara, quanto più Lacsmano in bat
taglia! Oggi egli è da me tenuto in maggior conto che prima
non era il Dio Vaivasvata, da cui tu fosti domato, o caro, con
fiera opera di morte. Questa è pure infra le schiere degli
Immortali la via de' prodi combattenti; chè l'uom forte, il
qual fu ucciso in servigio del suo signore, se ne va al cielo.
Or veggendoti morto in battaglia, dormiran securi a lor
YUDDHIACANDA, 343
agio i Custodi del mondo in un coi Risci e tutte le schiere
dei Devi. La terra colle sue selve ed i tre mondi intieri
mi paiono come deserti, or che son privi del solo Indragit.
Oggi udrò nel gineceo il gridar delle vergini Nairite, qual
d'una greggia d'elefantesse, che barrisca entro una caverna
montana. Oh dove te ne sei tu ito, abbandonando noi, me,
tua madre e la tua sposa, Lanka, il regale principato e la
signorìa de' Racsasi ! A te pur s'apparteneva, o valoroso,
rendere a me ito alle sedi di Yama gli estremi funebri uf
fici, ed or egli avvenne il contrario! Mentre pur vive Ràma
vivon Sugriva e Lacsnano, perchè lasciasti tu la vita senza
trarmi questa spina? -

Lamentando in tale modo cogli occhi pregni di lacrime


Rávano svenne; ma mentre il re de' Racsasi stava sedendo
tutto svenuto, gli entrò nell'animo una grand'ira, nata in
lui dalla morte del figlio; e il fuoco di quell'ira ridestatosi
rese il suo sembiante già spaventevole per natura, pari al
sembiante insostenibile di Rudra irato. Gli occhi orribili di
Rávano naturalmente rossi diventaron per lo fuoco dell'ira
vie più accesi; e dagli occhi di colui inviperito cadevan
goccie di lacrime, sì come cadono gocce d'olio infiammate
da due lucerne ardenti. Dalla bocca di quel Racsaso che
per ira sbadigliava, usciron manifeste fumide fiamme di
fuoco, sì come un dì dalla bocca di Vritra. S'udiva lo stre
pito delle sanne di quel Racsaso che dibatteva i denti, simile
allo strepito d'una gran macchina che faccia sforzo sotto
la man dei Dánavi. In qualunque parte volgeva lo sguardo
quel feroce ardente d'ira, sì come Yama, colà s'atterra
vano i Racsasi spaventati. Quindi oltremodo corrucciato Rá
vano re de' Racsasi così prese a dire a tutti que' Nairiti per
rassodarli alla battaglia: « Io ho per migliaia d'anni or in
questo or in quel luogo adoperato ardue e pie macerazioni,
e fu da me propiziato Brahma. Per lo frutto di que' cru
ciati e per lo favor di Brahma io mai non ebbi a temere nè
gli Asuri, nè i Devi. La lorica simile a fosca nube, che mi
diè Brahma, mai non fu rotta da colui che impugna il ful
mine (Indra), allor ch'io metteva in conquasso Asuri e Devi.
Vestito oggi di quell'armadura e stando qui sul mio carro
fra la battaglia, chi oserà affrontarmi,fosse pur Indra stesso?
344 RAMAYANA,

Quell'arco poderoso che in un colle saette mi diè un dì nelle


mie battaglie cogli Asuri e coi Devi Svayambhu (Brahma)
per sommo favore, quel terribile e grand'arco s'appresti
oggi al suon di cento stromenti per lo sterminio di Ràma e
Lacsmano in una battaglia suprema ». Poi vie più contristato
della morte del figlio e sopraffatto dal dolore, il prode Rá
vano, dopo aver considerato colla sua mente, si dispose ad
uccider Sità; e guardando in modo orribile, con fiero piglio
ed occhi rossi tutti que' Racsasi, coll'animo miseramente
rattristato così disse: Mio figlio con arte magica, messa a
morte, per fare inganno ai Vànari, un'imagine tutta somi
gliante a Sitá, la mostrò loro gridando: Questa è Sità! Or
io farò che si avveri tal cosa cara al mio animo; porrò a
morte la Videhese, tutta devota a un vile Ksatro.
Ciò detto a' suoi ministri, Rávano eccelso fra i Racsasi,
sguainata la fina sua scimitarra, lucente come ciel smerato,
uscì con subita foga fuor dell'assemblea co' suoi compagni,
forte turbato nella mente dal dolor del figlio ucciso. Come
videro quel gran Racsaso corrucciato e armato di scimitarra
avviarsi impetuoso là dov'era la Mithilese, levarono i Rac
sasi gridi di guerra, e riguardando colui pien d'ira, dice
vano abbracciandosi l'un l'altro: Oggi il re distruggerà in
battaglia i due Raghuidi; chè già furon da colui ardente
d'ira vinti in pugna i quattro Custodi del mondo e molt'al
tri nemici atterrati in vari combattimenti. Mentre coloro sì
favellavano, Rávano esagitato dallo sdegno correva alla volta
della Videhese, che se ne stava nel bosco degli asoki. Ben
chè distolto da molti amici di mente sana, pur ei s'affret
tava irato, sì come Ráhu in cielo corre addosso a Rohini.
Facendo per grand'ira tremar la terra sotto i suoi passi e
camminando affrettatamente, sopravvinto dall'angoscia del
figlio ucciso, aveva egli fermo nell'animo d'uccidere quella
donna.
Ma l'irreprensibile Mithilese custodita dalle Racsase scorse
in quella Ràvano pien d'ira ed armato di fulgida scimitarra.
Veduto colui coll'arme in mano e rattenuto da' suoi mini
stri, la dolente figlia di G'anaca si diede a rivolger nella
sua mente questi pensieri: Quel Racsaso nequissimo corre
qua in persona con fiero impeto e fuor di modo irato; ei
YUDDHIACANDA, 345
vuol di certo uccidere, a guisa d'una derelitta, me che ho
pure un protettore. Chè spesso ei stimolò me devota al mio
consorte, dicendomi: « Sia or tu mia sposa » e fu da me
repulsato. Or colui certamente, perduta per le mie repulse
ogni speranza e vinto dall'ira e dall'amore, qui ne viene
per uccidermi. Ovvero i due fratelli Ràma e Lacsmano, pre
stanti infra gli uomini furon per cagion mia atterrati in
battaglia da quel vile. Testè appunto fu da me udito in Lanka
un suon confuso di Racsasi, come di molta gente festante
e gridante insieme. Ovveramente, avendo colui inteso che
fu da Lacsmano morto Indragit in battaglia, inferocito per
dolor del figlio ucciso, or qui ne viene per trucidarmi.
O vitupero! per cagion mia periron forse que' due regali
figli, perchè io misera non volli far ciò che mi disse Ha
numat. Se io, allor che ne fui invitata, me ne fossi ita di
qua sul suo dorso, non avrei oggi a dolermi: chè sarei ora
in grembo al mio sposo. Ben io credo che si schianterà il
cuore della mia suocera, quand'ella, madre d'un sol figlio,
udrà ch'ei fu spento in battaglia: chè ella si rammenterà
piangendo e la nascita e la puerizia e la gioventù di quel ma
gnanimo, la sua beltà e l'opere sue pie; e udendo che quel
suo figlio venne ucciso, mia suocera fuor di sè e priva d'ogni
speranza salirà di certo sopra un rogo, ovvero si lascierà
morir d'inedia. Onta e vitupero a quella gobba e iniqua
Manthara, donna di rei consigli, per cui cagione cadrà Cau
salya in tanto infortunio! Così lamentava colà la pia Mithi
lese, a guisa di Rohini divisa da Luno e caduta in poter
di Ráhu.
In quel mezzo un ministro assennato, savio ed integro, per
nome Avindhya, così prese quivi a dire a Rávano re de' Rac
sasi, che i consiglieri cercavano invano d'impedire: Come mai,
o Dasagriva, genuino e proprio figlio di Visravas, puoi tu per
ira condurti ad uccidere la Videhese, avendo a mente la giu
stizia? Perchè vuoi tu, o Rávano, dar morte crudele ad una
donna, tu pienamente ammaestrato nello studio e nella dot
trina dei Vedi e sempre devoto al dovere? La morte d'una
donna si disconviene a te adempitor de' sacrifizi, nato in una
stirpe eccelsa e saggio sopra tutti i saggi. Tu risparmiando la
Videhese fregiata di beltà e di grazioso aspetto, disfoga l'ira
346 RAMAVANA,

tua ardente contro il Raghuide nella pugna; e levandoti su


per la battaglia il dì decimoquarto della luna scema, esci
quindi fuori a vincere, circondato dalle tue schiere, il dì
della luna nuova. Salito sul tuo carro, armato d'arco e di
saette ed ucciso fra la battaglia Ràma Dasarathide, tu ot
terrai quindi senza dubbio in isposa la Mithilese. Com'ebbe
così parlato a Ràvano, quel vigoroso, preso di tutta forza
il re de' Racsasi, lo rimosse dalla presenza della Videhese.
Ma nel rimirar la beltà di Sità, dotata d'ogni nobile fregio,
cadde in un subito l'ira dell'iniquo Rávano; e ritornando
alla sua reggia, entrò cinto dagli amici nell'assemblea.

C A PIT O L O L XXIII.

COMBATTIMENTO COL TELO GANDHIARVICO.

Come fu entrato nel consesso, il re di Lanka demente e


afflitto fuor di modo si pose a sedere sul più nobile sedio,
sbuffando a guisa di leon quando s'adira. Quindi angosciato
dalla morte d'Indragit così ei parlò con atto di rispetto a
que' duci dell'esercito che gli stavan quivi intorno: Uscite
or voi tutti a campo, fiancheggiati da tutto il nerbo de' ca
valli ed elefanti e forniti di grande stuolo di carri e di pe
doni; voi dotti di guerra saettate per ogni parte e con ogni
sforzo nembi di dardi, sì come versan pioggia tumide nubi;
poscia io stesso, rotto con frecce acute il nemico in gran
battaglia, distruggerò colle mie saette Ràma, veggente il
mondo. Intesi que' detti di Rávano, fecero i Racsasi una
pronta sortita, muniti di carri e di varie schiere. Quegli
eroi, ferocissimi fra i Racsasi uscirono armati di clave e
di picche, di scimitarre, lancie ed ascie, e fieramente altieri
come leoni; e sul nascere del sole s'accese colà una terribil
zuffa di Racsasi e di Vànari, tumultuosa ed orrida. I Rac
sasi robustissimi, forte strepitando, percossero nella battaglia
i Vànari con clave di varia maniera, con iacoli auncinati,
con scimitarre ed ascie; ed i Vànari traboccarono alla sede
di Yama i Racsasi con tronchi d'alberi, coi denti e colle
pugna, con macigni e cocuzzoli di monti. Non si potè allora
nè poi per la grande lor moltitudine levare il novero dei
YUDDHIACANDA, 347
valorosi Vànari e Racsasi uccisi in quell'affrontata. Ei cor
sero colà fiumi di sangue che avean per testuggini elefanti
e carri, saette in luogo di pesci e bandiere invece d'alberi,
e trascinavano mucchi di corpi.
I prodi Vànari spiccando rapidi salti, spezzavano alla rin
fusa insegne, scudi, cavalli e carri ed ogni sorta d'armi;
e coi denti e coll'unghie aguzze laceravano ai Racsasi ca
pelli, orecchi, occhi e naso. Cento prestanti e forti Vànari
correvano addosso in quella mischia a ciascun singulo Rac
saso, sì come stormi d'augelli ad un albero; ed i Racsasi
pari a monti trucidavano nella zuffa i Vànari con pesanti
clave, mazze ferrate ed ascie. In quella l'animoso e prode
Ráma, dato di piglio all'arco e penetrato nell'oste Racsasa,
si diede a saettar nembi di dardi. Nessuno allora affigurò
Râma, internatosi nell'oste Racsasa, sì come sole involto in
nubi, e divampante con fiamme di saette. Miravano quivi
i Racsasi l'opere terribili, stupende ed ardue fatte da Ràma
nella battaglia; ma non vedevan, se non come vento il qual
si levi per lo cielo, Ràma che conquassava le falangi e dis
sipava i curuli guerrieri. Ben vedevan essi l'oste lacerata,
sforacchiata, scombuiata e rotta da Râma ed oppressa dalle
saette; ma non scorgevan Râma combattente. Ei non iscor
gevano il Raghuide, che feriva ne'lor corpi, siccome non
discernono le genti lo spirito vitale che s'agita ne' sensi. Ei
fere lo stuolo degli elefanti, ei fere i guerrieri curuli, ei
fere con dardi acuti cavalli e fanti. L'animosissimo Râma
colla forza del suo telo affascinante traeva colà fuori di senso
i Racsasi combattenti.
Quivi i Racsasi sbalorditi e dementati vedevan la terra
piena di Râma, e si ferivano quindi l'un l'altro. Percotevansi
arrovellati gli uni gli altri nella battaglia con ferree lancie,
picche ed ascie que' Racsasi d'eroica bravura, fatti nel sem
biante simili a Ràma. Affascinati dal sovrano e oltrapossente
telo Gandharvico ei non discernevan Ràma che struggeva
in battaglia l'oste. Or vedevano i Racsasi migliaia di Ràma
fra la pugua; or di nuovo ei scorgono Ràma solo in quella
gran mischia. Miravano i Racsasi il poderoso arco di Ráma
moltiplicato in una koti intiera d'archi roteanti e fulgidi,
pari a cerchi di tizzi ardenti. Ei vedevano volar dall'arco
348 RAMAYANA.
di Ràma un nembo di dardi, somigliante a un fascio di raggi
che esca in cielo dal disco del sole; ma non potevano ve
dere il Raghuide che s'aggirava per tutte le plage, fulgente
di mille raggi di saette, simile al sole di meriggio. Ei non
iscorgevano la gran ruota di Râma che si movea veloce in
manzi, quasi un'altra ruota del destino, fiammeggiante di
saette, guernita di mozzo divino e fulgidissima, armata d'arco
eccelso, rimbombante del suon della corda dell'arco e della
fascia di cuoio che difende l'arciero, di splendor pari allo
splendore d'un gruppo di baleni, munita della virtù dei teli
divini e sfracassante in battaglia i Racsasi. Infra l'ottava parte
del giorno furon nell'oste dei Racsasi mutanti forma a lor
voglia sconfitti dal solo Ràma con saette simili a fiamme
diciotto mila cavalli coi lor cavalieri, uno stuolo di dieci mila
carri rapidi come il vento e intieri due cento mila pedoni.
I Racsasi che avanzarono a tanto eccidio, affaticati, morti
i lor cavalli, rotti i carri e disperse le loro insegne, si fug
girono a slascio alla città di Lanka. Per la grande molti
tudine de' cavalli e de' pedoni uccisi così era il campo di
battaglia, come il regal giardino di Rudra, allor che irato
ei distrugge gli animali. In quella i Devi, i Gandharvi, i
Siddhi e i grandi Risci celebrarono ad una quel fatto di
Râma, esclamando: Oh bene! oh bene! Allor, compiuto
quel gran fatto, così parlò Ràma a Sugriva: La virtù di
questo telo, o egregio Vànaro mio amico, è in potere di
me solo o di Tryambaka (Siva) e non d'un altro terzo,
qualunque ei siasi nel mondo.

CAP 1T o L o Lxx1v.
LAMENTO DELLE DONNE,

Quelle migliaia d'elefanti e di cavalli coi lor cavalieri, di


carri lucenti come fuoco, imbandierati e guerniti d'orli a
lor difesa, quelle migliaia di prodi Racsasi combattenti con
clave e ferree mazze, muniti d'auree insegne ed armadure
e mutanti forma a lor posta, mandati da Rávano alla bat
taglia, furon da Ráma infaticato nella sua lena disfatti con
dardi acuti, guerniti d'oro brunito. Furon colà uccisi il

–====-=–=------
vUDDHACANDA. 349
prode Dvigihva ed il Racsaso Sanhràdin, Vimardana, Kum
bhahanu e Kharaketa, Vidàlâksa, Hayagriva, Sankukarna e
Pratardana ed il fortissimo Hastikarna; tutti questi dieci duci
furono quivi messi a morte. Ciò veduto o inteso, rimasero
costernati i Racsasi che scamparono a tanto sterminio; e
le donne Racsase raccoltesi insieme eran tutte sbigottite e
sopraffatte da pensieri. Vedovate, orbate de' lor figli e dei
lor congiunti, e menando grande duolo, elle si diedero tra
fitte dall'angoscia a far lamenti, raumate insieme coi Racsasi :
Oh! come mai quella vecchia ed orribile Surpanakha dal
ventre distorto osò ella appressarsi a Ràma nella selva, tra
fitta dal telo d'amore! Come mai, veggendo ella quel Ràma
delicatissimo, dotato di virtù eccelsa, intento al bene d'ogni
creatura e pari ad un Custode del mondo, s'innamorò ella
di lui! Come mai quella Racsasa deforme, sfornita d'ogni
pregio s'invaghì ella di Ràma bello di forma, fregiato d'o
gni dote e oltrapossente! Per isventura di questo popolo ed
a rovina di Khara, di Dúsana e dei Racsasi quella rea senza
pari, canuta e sozza fece al Raghuide un oltraggio che in
niun modo era da fare, degno di riso e vituperato da tutte
le genti. Da tal cagione è nata questa guerra che sarà esi
ziale a Ràvano; e fu dall'iniquo Ràvano rapita Sità per la
sua morte. Chè Sità unque mai non amò neppur colla mente
il re di Lanka; onde fu dal violento Råvano appiccata una
inimicizia inestinguibile. Ben gli era sufficiente esempio l'a
ver veduto ferito e morto da Ràma irato Viràdha che de
siderava la Videhese; gli eran bastante esempio quattordici
mila Racsasi d'opere tremende uccisi nel G'anasthàna con
saette pari a fiamme, e Khara spento in battaglia e Dùsana
e Trisiras trafitti con dardi simili a serpenti; gli era bastante
esempio Kabandha che aveva braccia lunghe un yog'ano e
si pasceva di sangue, e pur fu ucciso dal Raghuide là nella
selva Kraunc'a; gli era bastante esempio che da Ráma, dopo
aver egli messo a morte il forte Bàli, figlio d'Indra sulla
terra, re de' Vánari, possente e robustissimo, fu posto nel
regno Sugriva, il qual se ne stava misero e deluso del
suo desiderio sul monte Risyamúka. Ma egli per insania non
diede orecchio alle parole giuste, convenevoli e salutari a
tutti i Racsasi, che gli diceva Vibhisana. Se quel Ràvano
350 RAMAYANA,

avesse eseguito i detti di Vibhisana, questa città di Lanka


or non sarebbe afflitta da tanto dolore e divenuta come un
cimitero; or non s'attristerebbe Ràvano dell'aver egli udito
come fu dal magnanimo Raghuide ucciso Kumbhakarma e il
caro suo figlio Indragit.
Quindi cogli occhi arrossati per lo cader delle lacrime a
sgorgo e sopraffatte da una sventura non mai incontrata
per l'addietro, cominciarono nuovo lamento le donne Rac
sase: « Mio figlio, elle gridavano, il mio sposo, il mio fra
tello fu spento nella battaglia! » Tal grido s'ode colà per
tutte le case de'Racsasi. « Da quel Ràma d'eroica prodezza
furono rotti in battaglia a cento e a mille carri, cavalli ed
elefanti e Racsasi pedestri. Sotto forma di Ràma ci distrugge
Rudra ovvero Visnu, o il grande Indra Satakratu, ovvero
Yama insuperabile. Noi qui accolte a schiera, orbate dei
nostri eroi, disperate della vita, derelitte e non veggenti
il termine di tanta sventura, facciam lamenti dolorosi; ed
il grande, il prode Ràvano che ottenne favor da Brahma,
non pon mente a quest'orribile ed immenso pericolo so
pravvenuto. Nè i Devi, nè i Gandharvi, nè gli Asuri, nè i
Racsasi potrebbero difender Ràvano stretto da Ràma. Chè
in ogni combattimento appaiono a mano a mano presagi fu
nesti ai Racsasi; e que'segni porteranno di certo amari frutti
per lo sterminio di Ràvano. Brahma supplicato diede a Rá
vano sicurezza nelle battaglie dai Devi, dai Dànavi e dai
Yaksi; ma ei non fu da lui pregato di sicurarlo dagli uomini;
onde or ne venne da un uomo quest'orribile pericolo che
condurrà fra la guerra a morte Racsasi e Rávano. I Devi af
flitti da quel Racsaso poderoso, privilegiato di grazia per li
suoi cruciati ardenti, venerarono supplichevoli il Gran Ge
nitore; e il trapossente Brahma, splendidissimo, Gran TPa
dre dell'universo, così parlò allora per la salvezza dei Devi:
« Odano tutti i Devi l'alte parole da me profferite: saranno
d'ora innanzi nei tre mondi secure da ogni paura le crea
ture; ma vivranno alla lor volta travagliati da spavento
i Racsasi. » Allor da tutti i Devi insieme accolti e prece
duti da Indra fu propiziato Siva, il grande Deva che ha per
insegna il toro e distruttore di Tripura. E il potentissimo
Rudra fatto propizio disse ai Devi: « Nascerà per vostra
YUDDHACANDA, 351
salvezza una donna che sarà cagion di rovina ai Racsasi.»
Or questa donna, questa Sitá figlia di Ganaca, mandata dal
destino divorerà famelica noi, Râvano ed i Racsasi. Per lo
ratto che fece di colei l'oltracotato e stolto Râvano, ne so
praggiunse questo duolo orribile che ne fa levar sì gran
pianto; nè sulla terra noi non veggiamo chi possa difender
noi strette da Ràma, sì come dal Dio della morte al tempo
del final disfacimento. » In tale modo levavano voci riso
nanti tutte le donne Racsase, stringendosi l'una l'altra fra
le braccia, forte afflitte da sgomento e da dolore, e profe
rivano altamente parole spaventevoli.

C A PIT O L O L XXV.

USCITA DI RAVANO,

Udì Rávano tutto il misero lamento che facevan di casa in


casa i Racsasi e le Racsase dolenti. Come vide ch'era sconfitto
intiero il suo esercito colla schiera de' suoi più fidi amici
e trucidati i suoi figli, pari di forza ad Indra, traendo lunghi
e caldi sospiri e stato alquanto sopra pensiero, arse quindi
Rávano di grand'ira e si fe terribile nell'aspetto. Mordendo
coi denti il labbro e infocato dall'ira gli occhi, veemente
come il fuoco di finimondo e tal che i Racsasi stessi appena
osavano guardarlo, così parlò il re di Lanka ai Racsasi im
pauriti che gli stavan colà vicini, divampandoli quasi col suo
occhio di bragia : Intimate orsù prontamente per ordine mio
i due fortissimi Matta e Unmatta ed al Racsaso Virtpaksa
che escan fuori a campo. Intese tali parole, i Racsasi sbi
gottiti fecero annunziar solleciti il comando del re a quei
guerrieri; e tutti que' Racsasi di fiero aspetto, risposto:
« Così sia fatto! » e benedetti con fausti carmi, venner di
nanzi a Råvano; ed onoratolo qual si conveniva, tutti quei
curuli guerrieri stavano atteggiati di reverenza ed anelanti
alla vittoria del lor signore. Allora il possente Ràvano, esa
gitato dall'ira, così parlò ai due fortissimi Matta e Unmatta
ed al Racsaso Virûpàksa: Dato subitamente fiato agli stro
menti, escano i Racsasi per mio comando; e allor che sa
ranno messi a morte Ràma, Lacsmano e Sugriva, farete voi
352 RAMAYANA,

qui ritorno. Oggi io stesso con saette lanciate dal mio arco
e fulgide come fiamma di finimondo traboccherò alle sedi
di Yama Râma e Lacsmano. Oggi colla morte de' nemici
farò io vendetta di Khara e di Kumbhakarna, d'Indragit e
di Prahasta. Velati dai nugoli de'miei dardi più non sa
ranno oggi visibili nè il cielo, nè le plage, nè il mar, nè
i fiumi. Oggi con fiotti di saette sollevati dall'oceano del
mio arco sconquasserò partitamente le schiere de' Vànari
più valorosi. A guisa d'elefante eccelso m'addentrerò io oggi
negli stagni delle torme de' Vánari che han sembiante d'a
perti fior di loto e color di fibre di nelumbi. Squarcierò io
oggi nella pugna con un solo mio dardo saettato cento e
cento di que''Vànari ardenti alla battaglia e combattenti con
tronchi d'alberi. Colla morte del nemico astergerò io oggi
le lacrime di quelle donne, cui fu morto il fratello, morto
il marito, morto il figlio. Farò io oggi combattendo che
questa terra rimanga coperta di Vànari dilaniati dalle mie
saette, dispersi e tramortiti. Oggi farò io tutti satolli colle
carni de' nemici lacerati dalle mie frecce i sciacali e gli
avoltoi e quant'altri animali si pascon di carni. S'ap
presti subito il mio carro, siano armati in pronto i miei
guerrieri e mi seguitino alla battaglia i Racsasi più pre
stanti.
Udite quelle parole, così parlò Virûpàksa al sopranten
dente dell'esercito che stava quivi : « Sia prontamente adu
nata l'oste. » E il soprantendente dell'esercito si diede sol
lecito a circuir Lanka con lena spedita, stimolando i Rac
sasi di casa in casa. Indi ad un momento usciron fuori i
Racsasi di terribile forza, muniti d'armi diverse, ruggendo
e strepitando; e il soprantendente dell'esercito condusse
colà per comando di Ràvano que''Racsasi armati di scimi
tarre e d'ascie, di picche, clave e mazze, di ferree lancie
e di saette, di magli e mallei bellici, di molti iacoli e di
sassi rotondi guerniti di ferree punte, e d'altre armi.
Fiammeggiante col suo fulgore e facendo quasi curvar la
terra coll'altezza della sua possanza, salì Ràvano immanti
nente sul fulgido suo carro, retto dall'auriga e tirato da
otto cavalli, adorno d'aureo seggio ed abbellito di gemme,
guernito di gambi di lapislazzoli, fregiato di vessilli e ri
YUDDHACANDA, 353
splendente d'un'aurea insegna a testa d'uomo. Quindi per
ordine di Rávano salirono sopra i lor carri i due Racsasi
Matta e Unmatta e l'insuperabile Virùpàksa. Tutti quegli
eroi, disposti a perdere la vita, uscirono ad una ruggenti
e baldanzosi, fendendo quasi la terra. Poscia circondato da
schiere di Racsasi uscì a battaglia coll'arco levato il pode
roso Rávano, pari a Yama distruggitore. Ma quel gran cu
rule guerriero col suo carro tratto da rapidi corsieri sortì
per quella porta dove stavano Ràma e Lacsmano.
In quella s'oscurò il sole, si velaron di tenebre le plage,
mugghiarono le nubi orribilmente e tremò la terra. Piovve
una nube pioggia di sangue e vacillaron nella via i cavalli;
si calò sul vessillo di Râvano un avoltoio ed urlarono i
sciacali con voci infauste; tremolò il suo occhio sinistro e il
sinistro suo braccio si scommosse; si scolorò il suo volto e
cadde alquanto la sua voce. E allor che Ràvano, il gran
Racsaso usciva fuori a campo, apparvero colà nuovi segni
annunziatori di morte nella pugna. Cadde dal cielo con or
ribile strepito di bufera una meteora ignita; schiamazzarono
le anatre frammiste colle cornici, e un cerchio d'avoltoi
s'andava aggirando sovra il capo di quel magnanimo; e in
quell'accozzamento di carri versaron lacrime i suoi cavalli.
Ma nulla curando que' terribili portenti, uscì pur Rávano
a campo per insania, incitato da Yama alla sua morte. Per
lo strepito de'carri di que' Racsasi avidi di pugna, anche
l'oste de'Vánari si fe innanzi pronta alla battaglia; e si
levò un alto frastuono tumultuoso di Vànari e di Racsasi che
si sfidavano l'un l'altro, ardenti d'ira e bramosi di vitto
ria. Quindi i terribili Vànari percossero i Racsasi sul campo
di battaglia con sassi ed alberi, veggente Rávano; e Rávano
in quella pien di sdegno eccitò con detti imperiosi i suoi
guerrieri: Combattete orsù animosi e intenti a sterminare
i Vànari. Allor tutti que' Racsasi ruggenti ed avidi di vin
cere piovvero su tutti que''Vànari nembi di saette; e li in
vestirono nella mischia con mallei, lancie e picche, con clave,
mazze ed aste, con bastoni ferrati, con roncigli e giavel
lotti. Ràvano ei pure con ferrei dardi, moschodonti ed ego
stomi e macheracmei dispennati inondò d'ogni parte i Và
nari; i quali innaverati nella battaglia ed armati di tronchi
VOL, III, 23
354 RAMAYANA.

d'alberi corsero ad una sopra Ràvano, la cui forza è spa


ventevole. Ma il fortissimo e trapossente Rävano acceso d'ira
dissipò con nembi di saette i corpi di que''Vánari. Con una
sola saetta lacerò quell'eroe nella battaglia nove, cinque e
sette scimi, facendo lieti i Racsasi; e con altre saette pari
a fiamma e adorne d'oro l' invincibile e prode Rdvano con
quassò nella mischia i Vánari; che oppressi da saette in quella
pugna, laceri il corpo e sconquassati per tutte le membra
caddero, sì come i grandi Asuri rotti dai Devi. E Rdvano
lanciandosi pari al sole con raggi orribili di saette e ardente
d'ira nella battaglia, correva addosso ai Vànari più insigni.
Allor tutti que''Vànari col corpo sforacchiato, sbalorditi e
sgomentati si diedero a fuggire grondanti di sangue. Ma
rinvigoriti per amor di Râma e disposti a porre per lui la
vita, ei ritornarono strepitando alla battaglia, armati di ma
cigni; e con alberi e cocuzzoli di monti e colle pugna cor
sero a certame contro Råvano che stava colà fermo.
Ma il poderoso Rávano colà saldo respinse quel gran
nembo d'alberi e di sassi struggitore della vita. Quindi con
dardi igniti e simili a serpenti quel possente dilaniò fra la
battaglia le falangi de'Vànari. Vulnerato Gandhamâdana con
otto e dieci saette, ei ferì con dieci Nala che stavasi là disco
sto. Poi lacerato con sette frecce orribili Meinda di corpo
smisurato, egli innaverò nel loco più conspicuo della pugna
con cinque saette Gaya, Hanumat con venti, con dieci Nila,
con venticinque Gavaksa e con cinque Sakragânu. Percosso
quindi Dvivida con sei dardi e Panasa con dieci, Kumuda
con quindici saette e G'àmbavat con sette, ruppe quell'ani
moso con ottanta frecce Angada figlio di Bâli e percosse
Sarabha al petto con una saetta; ferì Tàra con tre dardi,
Vinata con otto e con tre Krathana alla fronte. Poscia con
altre saette lucenti al par del sole e laceranti gli organi
vitali ei diruppe in quella gran pugna le schiere de' Vànari.
Alcuni caddero a terra sfessi il capo e gemebondi; alcuni fu
rono morti, troncato loro il respiro; altri squarciati al fianco.
Chi rimase cionco delle braccia, chi senz' occhi, e chi ebbe
le membra lacerate a furia di dardi dal trapossente Ràvano.
Il quale con gran gioia mirò l' oste Vànarica sgominata,
sbalordita dalla furia delle sue saette e tutta insanguinata.
YUDDHIACANDA, 355

CA PIT O L O L XX VI,

MORTE DI VIRUPAKSA,

La terra rimase quivi ingombra di scimi feriti per tutte


le membra da Rávano nella battaglia e qua e là rivesciati. Il
re de'Racsasi così scrollò que''Vànari di corpo enorme, come
il vento di finimondo levatosi subitamente scrolla gli alberi;
nè poterono i scimi sostenere quel rovescio irresistibile di
saette lanciate da Ràvano, sì come non posson le locuste
resistere al fuoco. Orribilmente travagliati da dardi acuti ei si
diedero a fuggire mettendo gridi di doglia, a guisa d'ele
fanti soprappresi nella gran selva da fiamme di fuoco; e
Rávano pur andava sbaragliando in quella mischia con
saette le schiere de'Vànari, sì come il vento dissipa le grandi
nubi. Fatta rapidamente strage de'Vànari, il re de'Racsasi
bramoso d'affrontar Râma andava allora concitatissimo.
Ma Sugriva veggendo rotti in battaglia e fuggenti i sci
mi, commessa a Susena la custodia dell' esercito, rivolse
quindi l'animo a combattere. Posto al comando dell'oste quel
prode Vànaro suo pari, il re de'Vànari armato d'un tronco
d'albero si dirizzò contro il nemico. Gli stavano dietro e ai
fianchi tutti i duci di schiere, vibrando sassi enormi e grossi
alberi sformati. Il poderoso Sugriva gridò fra la battaglia
con voce poderosa, ed atterrando gli uni e dissipando gli
altri, percosse i Racsasi più eccelsi. Acceso d'ira gli occhi
ed ingrandito dal suo vigore, il gigantesco re de'Vànari
sbarattò quivi i Racsasi; ei piovve sulle lor squadre un
nembo di macigni, a quella guisa che una nube versa piog
gia di sassi sopra stormi d'augelli nella selva. Ed i Racsasi
col capo sfracellato dai nembi di macigni lanciati dal re
de' scimi caddero, a guisa di monti rivesciati. Ma essendo
d'ogni parte i Racsasi così disfatti e rotti da Sugriva e ca
dendo e mettendo gridi, il Racsaso Virthpäksa armato d'arco,
facendo sonare il suo nome ed assalendo col carro Sugriva,
l'inondò con nembi di saette. Ma Sugriva nessun pensiero
dandosi di que' dardi pari a fulmine lanciati dal saldo arco
del Racsaso, rimase fermo incontro a lui nella battaglia;
356 RAMAYANA,

poi avventandosi con grand'impeto, il re de' Vànari, pari


di forza ad Indra premè col piede in sul timone il carro
dal Racsaso, lui veggente. Dal carro sì premuto dal re dei
Vánari caddero morti a terra i corsieri colla cervice infranta
e schizzati lor fuori gli occhi; ed il prode Vànaro, pur pre
mendo il carro, sfracellò con un tronco d'albero in un su
bito l'auriga; e Viràpàksa sbalzò via. Dileguatosi Virtpáksa,
i prodi Vànari ministri di Sugriva spezzarono a furia il carro,
rapidi come il vento; e Virûpáksa, come gli fu infranto il
carro, si diede armato d'arco, di faretra e di lorica a tem
pestar con molte ferree saette il re de' Vànari. Poi di botto
il forte Racsaso salì sopra un grande elefante datogli da
Ràvano e fornito di molt'armi; e stando su quell'elefante,
il fortissimo Virúpáksa gridò con orrendo strepito e si
spinse contro i Vànari. Ei lanciò allora dardi orribili con
tro Sugriva e ne fece gremito il suo corpo, rallegrando tutti
i Racsasi; con saette simili a serpenti Virûpàksa struggitor
de' nemici nelle battaglie tutto innaverò Sugriva.
Trafitto per le membra dal Racsaso con dardi acuti arse di
sdegno il re de' scimi ed eccitato da grand'ira pose l'animo
alla sua morte; e levato in alto il pugno pesante come colpo
di fulmine che tutto sgretola, e spintosi innanzi, percosse
in un subito nel mezzo della fronte il grande elefante. Il
quale martellato dal re de'scimi colla botta di quel pugno,
rinculò quattro cubiti e cadde mettendo barriti. Sbalzando
allora prontamente giù dall'elefante che cadeva, il fortissimo
Racsaso diè di piglio alla scimitarra e all'infrangibile suo
scudo. Sugriva ei pure, il fiero scimio, prestante fra tutti
i Vànari, arraffò una grande scimitarra ed uno scudo che
eran caduti a terra; ed amendue que' prodi ardenti d'ira
ed esperti combattitori, ruggendo e tenendo levate le sci
mitarre, corsero a battaglia. Ei circuirono amendue il de
stro lor lato con gran prestezza, l'un contro l'altro infero
citi e bramosi di vincersi l'un l'altro; e si feriron quindi
scambievolmente e caddero insieme a terra; e in un subito
si levarono e si feriron di nuovo l'un l'altro.
Sugriva allora oltremodo acceso in ira, afferrato un gran
macigno, somigliante ad una fosca nube, lo lanciò contro
Virtpaksa. Ma il possente e prode Racsaso, visto venir con
UDDHACANDA, 357
impeto quel sasso e scostatosi rapidamente, lo percosse colla
scimitarra. Sdegnato di quel colpo scansato dal Racsaso,
Sugriva in faccia dell'esercito gli ruppe la lorica e l'atterrò;
ma il caduto rilevatosi, appiccò allo scimio una gran ceffata
pari a folgore e fieramente rimbombante. Ricevuto dal Rac
saso quel colpo, il re de' Vánari corse impetuoso colla palma
stesa della mano addosso a Virtpaksa; ma il Racsaso sot
trattosi con destrezza dal colpo della palma sollevata da
Sugriva, percosse con un pugno il Vànaro al petto. Vie più
allora arse di sdegno Sugriva nella battaglia, veggendo scan
sato con accortezza dal Racsaso quel colpo: in quella scorse
il Vànaro in Virûpaksa un manco, e di botto gli appiccò
sulla tempia una gran palmata. Percosso da quel colpo di
palma pari al fulmine d'Indra, cadde il Racsaso a terra,
versando sangue a sgorgo dagli orecchi. Mirarono i Vànari
immerso nel suo sangue e colle luci stralunate per gran
smarrimento Virùpaksa, fatto ancor più sozzo gli occhi; lo
videro i scimi tutto tremante e scontorcentesi sulla terra,
bagnato di sangue e miseramente dirotto in gemiti.

C A PIT O L O L XXV II.

MORTE DI MATTA,

Distruggendosi l'un l'altro spartitamente e a furia, rima


sero i due eserciti, come due laghi esausti d'acqua nella
forte stagione estiva. Per la sconfitta della sua oste e per
la morte di Virûpàksa raddoppiò l'ira di Rávano re dei
Racsasi; e mirando disfatto e rotto dai Vánari il suo eser
cito, fu preso da forte angoscia nella battaglia; chè ei vedeva
essergli il destino avverso. Senza frapporre indugio così egli
parlò a Matta che gli stava vicino: Ora, o prode dalle grandi
braccia, è in te riposta ogni mia speranza di vittoria; va
e rompi l'oste nemica e mostra oggi la tua forza. A coloro
che han mente pia, or sta il solvere il sacro debito dell'offa
verso il lor donno.
Risposto al fulgidissimo re de' Racsasi, « Così farò » ,
Matta s'addentrò nell'oste nemica, come un mostro marino
fa nell'Oceano. Quindi quel fortissimo ed animoso, eccitato
358 RAMAYANA.
dalle parole del re e dal proprio suo vigore, fece colà strage
de''Vànari. Allor Sugriva, veggendo rotta in battaglia la
grande oste de' Vànari, corse immantinente addosso a Matta;
e tenendo levato un grosso ed orrido macigno, pari ad un
monte, il grande scimio robustissimo lo scagliò per dargli
morte; ma il prestante Racsaso con dardi acuti ruppe, in
nanzichè attingesse al suo scopo, quel sasso d'arduo affronto,
che volava impetuosamente e quel macigno rotto in mille
pezzi dal Racsaso a furia di dardi cadde a terra, siccome
piomba giù dall'aria uno stormo d'avoltoi. Come vide an
dare a voto quel macigno, Sugriva vinto dall'ira e dibar
bata una shorea robusta, la lanciò; ma la tagliò in più parti
il Racsaso, e lacerò con saette il re de' Vánari. Sugriva
scorse in quella una gran mazza caduta a terra, ed affer
ratala subitamente, dissipò con essa i dardi del Racsaso;
quindi con impeto terribile percosse i cavalli attaccati al
suo carro. Uccisi i corsieri, il valoroso e forte Racsaso sbalzò
giù dal gran carro ed impugnò pien d'ira la sua clava; e
que' due prodi, armati l'un di clava, l'altro di mazza ferrata,
s'affrontarono in battaglia strepitando, simili a due tori, pari
a due nubi pregne di folgori. Allora il Racsaso ardente d'ira
lanciò in quel gran conflitto contro Sugriva la sua clava
rilucente fulgida come il sole; e il re de' scimi la ribattè colla
ferrea sua mazza; ma rotta dal colpo della clava, cadde la
mazza a terra.

L'insuperabile re de' Vánari raccolse allor di terra una


orrida mazza di ferro, guernita d'oro d'ogni intorno, e sol
levatala la scagliò, ed il Racsaso lanciò una seconda clava.
Le due armi cozzatesi l'una coll'altra caddero infrante a
terra. Rotte l'armi, ei s'azzuffarono allor colle pugna, pieni
amemdue di forza e di vigore, come due fiamme ardenti.
Ei si percossero l'un l'altro e levarono grida iterate, e bat
tendosi insieme a furia di gran palmate, caddero stesi al
suolo. Ma rilevatisi prontamente, ricominciarono que' due
forti a zombarsi l'uno l'altro, e tragettavan le lor braccia,
intenti a porsi a morte scambievolmente. In quella il Rac
saso poderoso e rapidissimo diè di piglio ad una scimitarra
che era colà vicina, e ad uno scudo; ed il Vànaro afferrò
egli pure, una scimitarra ed uno scudo caduti a terra; ed
YUDDHACANDA, 359
amendue que' prodi pieni di rabbia, gridando e tenendo le
vate le scimitarre, corsero ad affrontarsi in battaglia, esperti
battaglieri. Ei circuirono amendue rapidamente il destro lor
lato, l'un contro l'altro inferociti ed amendue intenti a vin
cere, fortissimi amendue e bramosi d'uccidersi l'un l'altro.
Ma il robustissimo Matta, impetuoso e superbo di sua forza
vibrò, stolto, la scimitarra sulla grande targa del Vánaro;
e mentr'ei voleva ritrarre l'arma infissa, il re de' scimi gli
spiccò colla scimitarra il capo rilucente e cinto di diadema.
Caduto a terra colla testa recisa il tronco di quel Racsaso
sovrano, si sbandò per le dieci regioni la sua schiera; ed
ucciso colui, levò Sugriva gridi di gioia, insieme cogli altri
Vánari; arse di sdegno Ràvano e fu lieto Ràma.
CAPITOLO L XXVIII.
MORTE DI UNMIATTA.

Spento quel Matta, il Racsaso Unmatta si diede a scom


buiare a furia di dardi la terribile schiera d'Angada. Atterrò
quel Racsaso con ira i corpi eccelsi de'Vànari più conspi
cui, sì come il vento atterra i frutti; e proferiva queste pa
role, letificando i Racsasi: Mentr'io pur vivo, sperditore dei
nemici, più non rimarranno in vita questi prestanti Vánari
sconfitti: chè la mia falange è fort'ardua a sostenere. E ad
alcuni di que''Vànari ei troncò le braccia con saette, ferì
ad altri pien d'ira i fianchi; ed i Vànari travagliati da Un
matta con nembi di saette, tutti scorati e sbalorditi, diedero
le spalle. Allor che vide trepidante la sua schiera, tempe
stata da quel Racsaso, il veementissimo Angada si levò con
impeto, come fa l'Oceano nel plenilunio; ed abbrancata una
ferrea clava, fulgida come i raggi del sole, quell'eccelso e
prode scimio la scagliò contro Unmatta.
Tramortito da quel colpo, precipitò dal carro a terra Un
matta fuor di senso insieme coll'auriga. In quella il pode
roso re degli orsi, pari ad una massa di nero collirio, lan
ciatosi con gran forza fuor della sua schiera somigliante ad
una nera nube e dando irato di piglio a un sasso enorme
che pareva un cacume di monte, percosse con impeto i ca
valli e spezzò il carro.
360 RAMAYANA,

Ma riavuto dopo brev'ora il sentimento , Unmatta fra i


Racsasi preclaro colpì con cinque saette Angada al cuore;
ferì con tre dardi G'àmbavat nelle braccia e vulnerò con
molte frecce Gavàksa signor degli orsi.
Veggendo Angada travagliati da saette G'ambavat e Ga
váksa, afferrò vinto dall'ira un'orrida clava; e tutto arro
vellato, tenendola a due mani e menandola a cerchio rapi
damente, scagliò contro il Racsaso che stava discosto, quella
possente e ferrea clava che scende pari a fulmine. La clava
lanciata da quel forte, colpito l'arco del Racsaso e le saette
ne atterrò l'elmo; e l'illustre figlio di Bàli, assalito il Rac
saso con impeto, lo percosse subitamente con una gran pal
mata alla radice dell'orecchio guernito di ciondoli.
Unmatta allor pien d'ira diè di piglio con una sola mano
e con gran prontezza e gran conato ad un'ascia smisurata;
e fuor di modo inferocito scagliò contro il figlio di Bâli
quell'arma ferrea e poderosa, ripulita con olio e nitida. Sca
gliata forte con ira e attinto Angada con gran veemenza, il
fece l'ascia rimaner tramortito per un istante; ma quel prode,
pari di forza al padre, rotò quindi irato il suo pugno, so
migliante al fulmine; e conoscitor degli organi vitali appiccò
sul petto e presso al cuore del Racsaso quel pugno, il cui
contatto è simile al tocco della folgore d'Indra. Per lo
piombare di quel pugno scoppiò rotto in quella gran zuffa il
cuor del Racsaso, ed ei cadde morto a terra. Caduto colui
a terra, l'oste si scombuiò, ed entrò in Ràvano fra la bat
taglia un'ira smisurata.

C A P IT O L O L XX IX.

COMBATTIMENTO A TELI DI RAVANO CON RAMA.

Allorchè vide distrutti sul campo di battaglia Matta e Un


matta fulgidissimi e l'insuperabile Virthpáksa colla sua schiera,
arse d'ira il possente Rávano, domator dell'alterigia dei
Dánavi e dei Devi, pien di bravura e di vigore cui fu lar
gita grazia da Brahma. Quell'eroe splendidissimo, che ha il
fulgor di mille soli, eccitò allora il suo auriga e sì gli disse:
Oggi col porre a morte Ràma e Lacsmano farò ben io ven
YUDDHIACANDA. 361
detta de' miei ministri uccisi e della mia città stretta d'as
sedio. Chè que' due fratelli Ràma e Lacsmano son la radice
di questa impresa, e sono rami di que' due Sugriva e gli
altri Vànari condottieri. Troncata la radice, sarà disfatto
tutto il resto; ond'io estirperò que' due in battaglia.
Udite le parole di Ràvano, l'auriga tutto lieto spinse oltre
il carro e mise terror ne' Vànari. Facendo risonare altamente
del gran fragor del carro le regioni, Ràvano il gran curule
guerriero s'inoltrò rapidamente verso il Raghuide; e riem
piuta da quello strepito tutta tremò la terra co' suoi fiumi
caverne e monti, e forte impaurirono augelli e belve. Teso
il suo grand'arco, Rávano cinto di diadema e guernito di
ciondoli smerati fece sonare alto il suo nome, ruggiva e
menava gran vampo; e col suo fiero grido di guerra, col
proclamare alto il suo nome e collo strepito del carro empieva
cielo e terra, a quella guisa che Visnu un dì, allor ch' ei
fece i suoi tre grandi passi per lo sterminio di tutti i Daityi.
Come videro il re de' Racsasi, i Vànari sbigottiti ricorsero
colla mente al sovrano degli uomini, lor sostegno e protet
tore; e Ràma dagli occhi di loto veggendo venir sul suo
carro Rávano pari ad un monte, e vibrare il terribil arco
e tonare come una negra nube, veggendo quel Racsaso
spaventoso, impugnò il prestante suo arco e così disse:
Fortunatamente mi giunse alla vista lo stoltissimo re dei
Nairiti! venendo ora con lui a battaglia, sarò io lieto della
sua morte. Ciò detto, teso l'arco e tratta fino all'orecchio
una saetta, la scoccò; ma il re de' Racsasi sdegnato la ruppe
con tre giavellotti. Quando vide spezzata la saetta, il for
tissimo Saumitride infiammato di grand'ira mise terror nei
Racsasi col fragor della corda del suo arco; e udendo lo
strepito terribile dell'arco del Saumitride, forte maravigliò
l'animosissimo e possente re de' Racsasi. Ma veggendosi
Lacsmano dinanzi, Rávano incollorito, dato di piglio a un
dardo acuto, prese a dir queste parole: Fermati qui! e la
sciati i tuoi spiriti vitali, te n'andrai alla magion di Yama.
Mira queste mie saette acute, che fiaccan l'orgoglio de' ne
mici! Queste saette aguzze, nitide, ben affilate e guernite
d'argento berranno da me lanciate e simili a serpenti il
fuo sangue, sì come il re delle belve irato bee il sangue
362 RAMAYANA.
del re degli elefanti. Scocca con tutto l'animo le tue frecce;
quindi lascierai tu qui la vita. Udendo in quell'affronto le pa
role del Racsaso arroganti, non se ne sdegnò il magnanimo
regal figlio, saldo nella battaglia, e così rispose: Mostrati
col fatto e non voler menar sì gran vampo; chè mal si con
viene il così vantarsi a chi è dotato di maschia forza. Ar
mato di tutto punto, munito d'arco e stando su splendido
carro, fa qui veder la tua prodezza con saette, ovver con
teli. Quindi atterrerò ben io in battaglia colle mie saette
le tue teste, come il vento fa cader da un albero i frutti
che il tempo ha maturati. Oggi i miei dardi ornati d'oro
brunito beveranno dal tuo corpo il sangue, come un dà bev
vero i Suri l'amrita che emerse.
Intesi i detti di Lacsmano ragionevoli e fermi, Rávano ac
ceso di grand'ira diè di piglio a un dardo sovrano e lo lanciò;
ma il Saumitride con saette ruppe in tre pezzi il dardo che
rapido volava. Oltremodo corrucciato s'avventò Rávano allora
con un nembo di saette e ricoperto con mille dardi Lac
smano nella battaglia, ei corse sopra Vibhfsana, Sugriva e
gli altri Vánari. Atterrita con nembi di dardi la schiera dei
Vámari, quell'eroe dalle grandi braccia si spinse di ricapo
addosso a Râma con saette simili a fiamme; e Râma eroe
ei pure dalle grandi braccia ricevè con saette pari a fiamme
l'eccelso Racsaso che s'avventava impetuosamente. Allor si
accese tra Ràma e Rávano, bramosi di vincersi l'un l'altro -
una grande ed orrida battaglia, struggitrice della vita. Ben
chè mirasse il Racsaso la leggerezza di Ráma, il saettare
ed il percuotere de' suoi dardi e il rintuzzare ch'ei faceva
le saette di lui stesso, pur non si sbigottiva.
In quella il fortissimo Raghuide, sdegnato nella battaglia
ferì Rávano con cento saette acute e tremolanti per la foga
dello scoccarle. Barcollò il re de' Racsasi e divampante d'ira
lanciò quel trapossente il telo Tenebroso oltre ogni altro
spaventevole ed orrendo. Con quel telo lanciato egli arse per
ogni parte i Vànari; e si levò quivi da terra un gran polve--
rìo sotto i piedi de' sconfitti e de' fuggenti: chè ei non pote
rono sostener quel telo creato da Brahma stesso. Veggendo
tutte quelle schiere rotte a centinaia dai nembi dei dardi
di Rávano, s'andava il Raghuide aggirando scorrucciato.
YUDDHACANDA, 363
Rávano in quella scorse Ràma che stava colà saldo in un
col fratello Lacsmano, sì come Vàsava (Indra) con Visnu,
appoggiato al suo grand'arco e segnando quasi colle sue saette
di lucide righe l'aria. Come vide il Càcutsthide Ràma fra
la battaglia, s'avventò Rävano rapidamente col suo carro e
percosse molti Vánari; e Râma scorgendo fra la pugna rotti
i Vànari ed il Racsaso che s'avventava, impugnò baldo il
suo arco per lo mezzo; e teso l'arco poderoso, chiamò quindi
a battaglia il nemico che furiava e strepitava e pareva fen
der cielo e terra.
Per lo fragore delle saette di Ràvano e dell'arco teso da
Ráma, stramazzarono a terra i Racsasi a migliaia; e Ràvano
venuto nella via de' dardi dei due regali figli, era sì come
Ràhu stante vicino al sole ed alla luna. Bramoso di ferirlo
in prima con dardi acuti, Lacsmano, piegato l'arco, scoccò
saette pari a fiamme; ma il vigoroso Rávano respinse con
dardi i dardi lanciati appena per l'aria da Lacsmano arciero
eccelso. Egli spezzò con un dardo un dardo di Lacsmano,
tre con tre, dieci con dieci, mostrando la leggerezza della
Sulla manO.

Ma negletto quindi il Saumitride, Rávano vincitor nelle


battaglie affrontò Ráma che stava fermo come rupe; e venuto
a tenzone con Ráma, il re de' Racsasi cogli occhi infiam
mati dall'ira saettò contro il Raghuide nembi di dardi. Ma
il Raghuide Ràma veggendo volar rapidamente que' nembi
di saette lanciate dall'arco di Ravano, diè di piglio a gia
vellotti, e con quei giavellotti acuti il Raghuide grande ar
ciero ruppe i nembi di dardi ardenti, orridi e simili a serpi.
Il Raghuide tempestò Rávano con dardi e Ràvano il Raghuide;
que' due eroi s'inondarono l'un l'altro di saette nella bat
taglia; e s'avvolgevano in varie guise con giri or da destra
or da sinistra, avendo l'occhio attento all'impeto de' dardi,
e mutuamente insuperabili.
Stavano le creature in gran paura di que' due attestati l'un
coll'altro, terribili fra il volar delle saette e pari a Yama ed
alla Morte. Era velato il cielo da saette diverse e acute, sì
come è velato da nubi sul finir della calda stagione e sol
cato da fiamme di baleni. Fecero allor que' due nella bat
taglia tenebra orrenda di saette, sì come, ito all'occaso il
364 RAMAYANA,

Divo sole, fan, levandosi, due nuvole tonanti. Era fuor di


modo spaventosa la battaglia di que' due intenti a uccidersi
l'un l'altro, orribile, inimmaginabile, come la pugna di Và
sava con Vritra. Amendue sovrani arcieri, dotti amendue
di guerra, amendue prestanti fra coloro che sanno trattar
l'armi, ei battagliavano l'un coll'altro. Colà, dove muovon
l'uno e l'altro, appaiono fiotti di saette, simili ai flutti or
rendi di due mari combattuti dal vento.
Ma Ràvano terror del mondo colle mani strette all'arco
lanciò alla fronte di Râma una ghirlanda di ferree saette;
e Râma sostenendo sul suo capo quell'orribile serto saettato
dall'arco di Rdvano e simile ad una ciocca di cerulee nin
fee, punto non si sgomentò. Mormorato quindi un sacro
carme e tratto fuori il telo di Rudra, incoccò Ràma ardente
d'ira le sue saette; e teso l'arco, saettò quel possente e vi
goroso contro Ràvano nella battaglia frecce simili a fiamme.
Que' dardi lanciati dal Raghuide e caduti sull'infrangibile
lorica del re de' Racsasi, non gli diedero punto affanno.
Ma il fortissimo Raghuide percosse allor di nuovo col so
vrano telo Gandharvo il re de' Racsasi che stava sul suo
CaIO,

Tutti que' dardi respinti da Råvano, lasciata la forma di


frecce e simili a serpenti pentacefali, entrarono sibilando
nel seno della terra. Rintuzzato il telo del Raghuide, Rávano
gitato dall'ira diè di piglio a un altro telo, all'orribilissimo
telo Asuro; e tutto arrovellato e sibilando come un serpe,
lanciò quel poderoso contro Râma per arti di magia acu
tissime saette, dardi con facce di leoni e di tigri, con bec
chi di cornici e d'aghironi, con rostri ardenti d'avoltoi e
con musi di sciacali, altri con ceffi di lupi, spalancanti le
bocche e spaventosi, o con grifi di porci o con teste di serpi
pentastomi ed altri di varie guise.
Assalito nella battaglia dal telo Asuro, Ráma pien di fer
vida lena lanciò il supremo e divino telo del Fuoco, e saettò
pur altri dardi diversi, saette con ardente faccia ignea, pari
alla folgore ed al sole, frecce in forma di luna o rauncinate
a modo di mezza luna, altre simili a comete, alcune con
forma di stelle e di pianeti o configurate alla sembianza di
grandi meteore o con lingue di baleni. I terribili dardi di
YUDDHACANDA, 365
Ràvano ammaliati dal telo del Raghuide si spersero allor
per l'aria a mille a mille. Come videro rintuzzato quel telo
Asuro da Ráma infaticabile nell'operare, levaron lieti gridi
tutti i scimi che mutan forma a loro voglia.

CAPITOLO. LXXX.

SQUARCIATURA DELLA LANCIA.

Allorchè mirò il suo telo rintuzzato dal telo di Ràma,


arse Ràvano di doppio corruccio e immantinente per ira
pose mano quel fortissimo a lanciar contro il Raghuide il
terribile telo di Rudra, formato da “Maya con arte magica.
Caddero scoccati allor dal suo arco iacoli un cinati, clave,
ardenti teli a foggia di pestelli e di filo tutto adamantino; ne
usciron mallei bellici, magli e scimitarre, veementi e accese
folgori di varie guise, sì come prorompono i venti sul finir
della fredda stagione.
Ma il fulgidissimo Raghuide, prestante fra color che han
scienza di dardi, rintuzzò prontamente quel telo col sovrano
telo Gandharvo.
Come vide ribattuto quel telo dal magnanimo Raghuide,
l'animosissimo re de' Racsasi trasse fuori un altro telo, il
telo de' Pisàci. Proruppero allor dall'arco del Racsaso Da
sagriva (Ràvano) fulgidi e grandi dischi, orribilmente im
petuosi; e fu ingombrato l'aere da que' dischi volanti e dis
sipanti la tenebra, qual sarebbe dal sole, dalla luna e dai
pianeti cadenti dai mondi celesti. Tutti que' dischi lanciati
dal Racsaso spezzò il Raghuide in faccia dell'esercito e con
essi le varie armi di IRàvano.
Mirando respinto quel telo, il re de' Racsasi ferì Ràma
con dieci saette per tutti gli organi vitali; ma Ràma pien di
vigore, tuttochè sforacchiato da Ràvano con dardi acuti per
tutti gli organi vitali, punto non si smarrì. Quindi il Ra
ghuide vincitor nelle battaglie, vie più rinfocato nell'ira ferì
con dardi aguzzi Ràvano per tutte le membra. Siccome alla
stagion delle piogge versa una nube un rovescio di larghe
gocciole, così Ràma dalle grandi braccia spandeva pioggia
di dardi.
366 RAMAYANA,
In quel mentre il forte Lacsmano, fratello minor di
Ràma e struggitor degli eroi nemici, invelenito diè di piglio
a sette saette; e con quelle rapide saette lacerò quel pos
sente al fulgido Ràvano il vessillo che aveva una testa d'uo
mo; e con un dardo sbalzò pure l'illustre Lacsmano giù
dal carro di quel magnanimo la testa dell'auriga, guernita
di ciondoli fiammanti. Poi con cinque e cinque saette ruppe
Lacsmano l'arco del re de' Racsasi, simile alla proboscide
d'un elefante, mentrechè veniva incurvato.
Vibhisana in quella sfracellò colla sua clava i nobili ca
valli, somiglianti a nera nuvola e grandeggianti come monti,
che stavano al carro di suo fratello.
Uccisi i cavalli, l'impetuoso Ràvano sbalzando con impeto
dal gran carro, arse contro il fratello d'ira cocente. Quindi
il maestoso re de' Racsasi lanciò contro Vibhfsana una grande
e ferrea lancia, simile a fiamma ardente.
Ma il Raghuide con tre dardi la spezzò, prima ch'ella
giungesse al segno, e la lancia cerchiata d'oro cadde rotta
in tre parti. Come videro rintuzzata dal magnanimo Raghuide
la lancia, levarono i Vánari un grido immenso in quel gran
combattimento. Rávano allora tolse una tersa e ferrea lan
cia, da lui tenuta in maggior pregio, ardua ad affrontare
a Yama' stesso e fulgente di proprio fulgore. Quella lancia
sommamente impetuosa, sollevata dal magnanimo e forte
Rávano fiammeggiò, sì come nel cielo un lampo.
In questo mezzo il prode Lacsmano s'accostò prontamente
a Vibhisana venuto in forse della vita; e teso l'arco, saettò
quell'eroe con nembi di dardi Rávano armato di lancia ed
in punto di scagliarla.
Tempestato da quella furia di saette lanciate dal magna
nimo Lacsmano, più non attese Ràvano a ferir Vibhisana,
distornatone il suo animo: ma veggendo salvato da Lac
smano il fratello, fermatosi a lui di rimpetto, così gli disse:
Poichè tu hai salvato quel Vibhisana, superbo di sua forza,
perciò, lasciato stare il Racsaso, cadrà sopra te la mia lancia.
Questa lancia ornata d'occhiute penne di pavone e scagliata
dal mio braccio nerboruto, lacerando il tuo cuore, ti toglierà
poco stante la vita. Richiama al tuo pensiero padre e madre,
sposa e amici; chè in breve te n'andrai da questo all'altro
YUDDHACANIDA, 36
mondo. Detto così appunto, Rävano oltremodo inviperito,
tolto di mira Lacsmano, gittò, mettendo un grido, la ferrea
lancia, guernita d'otto tintinnabuli e forte strepitante, for
mata da Maya con arte magica e che mai non cade invano,
struggitrice de' nemici e fiammeggiante di proprio splendore.
Scagliata con terribile veemenza, quella lancia corrusca
come il fulmine d'Indra volò con impeto contro Lacsmano
in sul campo di battaglia.
Sclamò il Raghuide dietro a quella lancia che volava:
Oh sia salvo Lacsmanol Possa tu, ammortata la tua foga,
andare a voto! Così disse; e mentre stava in questo pen
siero il magnanimo Raghuide, cadde la lancia impetuosa sul
largo petto di Lacsmano, fulgidissima ed ardente, come la
lingua del re de' serpenti. Squarciato allora al cuore da
quella lancia confittavi assai da lungi dal grand'impeto di
Rávano, cadde Lacsmano a terra. Allor che il vide in tale
stato, il Raghuide che gli era vicino, per grande amor verso il
fratello rimase coll'animo costernato. Stato un momento so
pra pensiero cogli occhi offuscati dalle lacrime, s'infocò egli
quindi di maggior ira, fiammeggiando come il fuoco di fi
nimondo; e pensando non esser questa l'ora di scoraggiarsi,
il prode Ràma Dasarathfde con acutissime saette si diede a
far battaglia tumultuosa, intento alla morte di Ràvano. Ar
mato di grand'arco ei tempestò subitamente Ràvano con un
nembo di saette, e ne riempiè il cielo fra la battaglia; e
combattuto da quelle saette Ràvano si smarrì.

CAPITOLO LXXXI,
SINGOLAR CERTAME DI RAMA E RAVANO,

Rimirò Ràma allora squarciato dalla lancia nella zuffa


Lacsmano, inquinato di sangue e simile ad un monte in
cui stia un serpente rimpiattato. Sugriva ed Angada, Ha
numat ed altri egregi Vànari non potevano con ogni loro
sforzo svellere la lancia scagliata contro Lacsmano dal po
deroso Ràvano; ed eran pur essi travagliati con nugoli di
saette dal Racsaso di pronta mano. Ma il possente e forte
Râma, presa colle due mani quella tremenda lancia, la spezzò
pien d'ira e la trasse fuori.
368 RAMAYANA,

Mentre ch'egli straeva la lancia, il vigoroso Råvano gli


confisse per tutte le membra saette ferree, fiammeggianti
di fulgore; ma il possente Raghuide nulla curando quei
dardi e sollevato Lacsmano, così parlò ad Hanumat e a
Sugriva: State qui intorno a Lacsmano, o prodi Vànari;
vuolsi proteggere con grande vigilanza quel fortissimo, stan
dogli intorno. È giunta l'ora lungamente desiderata d'ado
perar la forza. Quel Ràvano iniquo, scelerato e di rei con
sigli mi sta qui dinanzi in battaglia, strepitando come una
nuvola sul finir della calda stagione; mirate or qui voi il
nostro affronto, sì come i cuculi quel delle nubi in cielo.
In questo istante e senza troppo indugio, a voi lo prometto
sulla mia fede, voi vedrete, o duci, privo il mondo di Rà
vano o di Ràma.
Così esortati dal Raghuide, tutti que' fortissimi duci dei
Vànari, circondando Lacsmano , stettero colà fermi. Ma
tempestati da Ràvano con nugoli di saette, tutti que' duci
de'Vànari, abbandonando Lacsmano, si sbandarono; soli
rimasero Sugriva, Hanumat ed Angada, Nila duce dell'e
sercito e il condottiere G'àmbavat. -

A tutti que' Vánari andava così dicendo Ráma, il grande


saggio: Non vuolsi da voi temere, o domatori de' nemici !
Udite le veraci mie parole; a voi qui faccio ferma pro
messa. La perdita del regno, il soggiorno nella foresta,
l'errar per la selva Dandaka, la forza fatta alla Videhese,
l'affronto coi fieri Racsasi, quest'angoscia orribilissima, que
st'infernale affanno, tutto io dissiperò , ponendo a morte
quel Racsaso in battaglia. Ucciderò quel Ràvano, per cui
cagione fu da me qui condotto quest'esercito Vànarico, e
fatto re Sugriva. Quell' iniquo, per cui cagione fu valicato
il mare e congegnato un ponte sull'Oceano, è pur venuto
oggi nella battaglia là ove il mio occhio l'attinge; ed es
sendo qui giunto alla mia vista, più non può egli scampar
vivo, sì come chi s'abbatte nella vista d'un serpente, il cui
guardo è venenato. Seduti sul vertice del monte, mirino
lietamente gli insuperabili duci de' Vànari questa pugna di
me con Rávano; mirino qui oggi i tre mondi coi C'àrani,
coi Gandharvi e col magno Indra la possanza di Ràma nella
battaglia. Farò io oggi opera tale che la celebreranno, fin
YUIDDHACANDA, 369
chè starà la terra, gli uomini coi Devi e con ogni creatura
mobile ed immobile. Così detto, ferì Ràma nella battaglia
Ràvano con incoccati dardi aguzzi guerniti d'oro brunito;
ma Rávano allora con ardenti saette ferree e con teli a
foggia di pestelli tutto cosparse Râma, come fa con gocce
di pioggia una nube. Era tumultuoso quello strepito di
saette contro saette lanciate da Ràvano e da Ráma e coz
zantisi l'una coll'altra. Le saette con cuspide ardente di Rà
vano e di Ràma cadevan dall'aria a terra rotte e sparte; ed
era come cosa maravigliosa e cagion di terrore a tutte le
creature il fragor della corda dell'arco e dello schermo di
cuoio di Ráma e di Ràvano in quella pugna.

C A P IT O IL O IL XX X II.

MORTE DI KALANEMI,

Commessa col Raghuide quella fierissima battaglia, il


Racsaso affaticato da quel singolar certame, scostatosi di là
alquanto, si fermò.Slontanatosi colà un poco il Racsaso dalla
battaglia, il Raghuide in quell'intervallo di riposo, appres
sandosi a Sugriva, così gli disse: Stramazzato in terra dal
colpo della lancia là si convolge, a guisa di serpente, quel
prode Lacsmano, cagione a me di grave affanno. Mirando
or là bagnato di sangue quell'eroe, più caro a me che la
vita, qual possanza avrò io ancora di combattere, pertur
bato dentro l'animo? Se si discioglie nei cinque elementi
quel mio fratello di fauste note e nelle battaglie altiero, che
più mi cale della vittoria e della vita? Quasi dichina la mia
forza, mi cade quasi dalla mano l'arco, son tramortiti li
miei spiriti vitali, è sopraffatta dalle lacrime la mia vista,
dolente il mio pensiero e mi nasce desiderio di morire,
veggendo là ferito sul campo di battaglia Lacsmano mio
fratello. Ond'io più non ho che fare nè della battaglia, nè
della vita, nè di Sita, or ch'io miro innaverato e cosperso
di polvere Lacsmano mio fratello. Che più mi cal della bat
taglia? che della vita? più non ha luogo il combattere, da che
giace qui ferito accanto a me Lacsmano mio fratello; sì ch'oggi
io lascierò questa mia cara vita. Ed il Raghuide, raccolto
VQL, III, 24
30 RAMAYANA,

sul suo seno il capo di Lacsmano e dolorando, pianse mi


seramente il fratello, dotato di fausti segni. Oh fratello ol
tremodo a me diletto l Oh Lacsmano mia vita! Tu, lasciata
ogni dolcezza, sei venuto con me nelle selve, e pieno d'a
mor fraterno tu confortavi assiduamente me caduto in in
fortunio pur fra la selva e addolorato per lo rapimento di
Sita: « Io vincerò, mi dicevi, il re de' Racsasi e ricondurrò
a te la Mithilese. » Oh dove te ne vai tu ora, o Saumitride
dalle grandi braccia, che tanto ami tuo fratello! Più non
ho io che fare nè della battaglia, nè della vita, nè di Sità,
veggendoti or qui tramortito dalla lancia di quel Racsaso.
Che risponderò io a tua madre Sumitra che tanto ha caro
il pio suo figlio, allor ch'ella mi dirà: « Qui non veggo Lac
smano mio figlio, ito insieme con te alle selve; tu sei ri
tornato solo; dove è dunque ito mio figlio? » Oh dove te
ne vai tu, o Saumitride dalle grandi braccia, che tanto ami
tuo fratello! Mira com' io qui mi convolgo, traendo gemiti
iterati!
Allor che videro così piangente il fortissimo Raghuide,
rimasero tutti mesti e smorti in volto que''Vànari fortis
simi; ed Angada e Sugriva, Kumuda e Kesari, Nila, Nala
e Susena, Sumàli e Gandhamâdana, Subâhu e Virabáhu,
Gaváksa e Sarabha tutti seguendo Vibhisana, entrarono in
grave pensiero. Quindi Sugriva re de'Vànari, dotato di
gran senno così prese a dire, giugnendo le mani dinanzi
al capo, a Ràma oppresso dall'affanno: Non ismarrirti d'a
nimo, o uom dalle grandi braccia, per cagione del Saumi
tride; rimovi da te l'angoscia, o forte, e non lasciarti ire allo
sgomento. V'ha qui un fisico, per nome Susena, o grande re;
osservi colui il Saumitride, tuo fratello a te carissimo. Inteso
il detto di Sugriva, rispose Râma: Sia qui condotto imman
tinente il fisico Susena per compiere questa bisogna. Ve
nuto là poco stante Susena, così disse con atto reverente:
Che debbo io fare, o uom dalle forti braccia? Che m'im
poni tu, o signore? E dal Raghuide gli venne così imposto:
Si osservi Lacsmano; se pur vive il Saumitride, farò ri
torno alla città del padre; ma se muore Lacsmano, morrò
io pure non altrimenti. Allor cominciò Susena a riguardar
Lacsmano per ogni parte. Ei ne riguardò gli occhi, il volto
YUDDHIACANDA, 31
e i denti, l'unghie, le mani, i piedi, il cuore e la cervice;
osservò quindi Lacsmano per tutte le membra e nella parte
più intima e senziente, poi così disse Susena a Ràma: Dis
caccia, o uom sovrano, questa credenza che ti conturba,
questo pensiero, che t'affanna e pari ai dardi che cadono
sulla fronte dell'esercito. Non è mica disciolto nei cinque
elementi Lacsmano accrescitor di prosperità; chè non è punto
alterato nè illividito il suo colore. Mira il suo volto lucido
e sereno, tinte del color del fior di loto le palme delle sue
mani e limpidissimi i suoi occhi; tal non appare, o signor
degli uomini, l'aspetto degli estinti. Non scoraggiarti, o prode
domatore de' nemici; costui vive. Mira il suo respiro, o eroe,
e il cuor palpitante ad ora ad ora, mentre ei giace sulla ter
ra con tutte le sue membra salde; non oggi ancora si di
partono qui da Lacsmano i cinque elementi. Non darti
angoscia per causa di Lacsmano, o Raghuide dalle grandi
braccia; ben altri sono i segni dell'uomo estinto: abbi per
certo che colui respira, che son salde le sue membra e
ch' egli è a guisa d'uom che dorme. Or si procuri di far
qui recare l'erba salutifera che si trova nel Gandhamàdana.
In quella parte settentrionale giace lontanissima una re
gione, posta in sito puro, dove si trova, o forte, la mira
bil erba; in quella regione, o uom dalle grandi braccia ,
là sul monte Gandhamâdana nasce quell' erba salutare di
vina e fortunata, che ha virtù di sferrare altrui. Ella fu
creata per rinfondere vigore in ogni vivente creatura ed è
sanatrice d'ogni morbo; col sol vederla riman sferrato l'uo
mo. Per la qual cosa levandosi su prontamente, vadan colà
presto i scimi.
Uditi i detti di Susena, il Raghuide così parlò: Manda
colà, o Sugriva, quell' Hanumat fortissimo; poi rivolto ad
Hanumat, va, gli disse, o prode d'alto senno, al monte Gan
dhamàdana; chè io non veggo alcun altro che qui possa
recar quell'erba. Tu mi sei e amico e caro; tu sei largo
della tua vita, o incolpabile; da te, o valoroso, è sostenuto
il peso più grave di questa nostra guerra; tu sei verace
amico, che nelle calamità t'adoperi con ogni studio a prestar
soccorso agli amici, e per l'alto ingrandimento degli amici
che qui stanno, sei tu pure onorato. Il mondo segue l'a
372 RAMAYANA,

micizia che gli è utile; ma tu, o egregio Vánaro, sei amico


fuor d'ogni scopo d'utilità.
Uditi que' detti, il facondo Hanumat figlio del Vento così
rispose al Raghuide: Se colla mia vita dovesse viver Lac
smano, io potrei pur dargliela; or quanto più andar colà
col mio vigore!
Al nobil Vànaro che in tal modo favellava, Sugriva così
disse: Va or dunque, o eroe d'alto senno e di gran forza,
sorvolando sopra il mare, a quella regione, là sul monte
Gandhamâdana, dove nasce l'erba fortunata che ha virtù
di sferrare altrui. Là su quel monte dilettoso, pieno d'al
beri diversi e di piante serpeggianti, hanno lor sede i due
Gandharvi sovrani, per nome Hähà ed Húhù, e tre koti di
Gandharvi bellicosi e di gran possanza; con essi senza dub
bio avrai tu a fare terribile battaglia. Or tu, o eroe dalle
grandi braccia, saluta prontamente Ràma, poi il giusto Vi
bhisana, G'àmbavat ed Angada, Vfrabáhu e Subáhu, Kesari
e Gandhamâdana, Kumuda e Susena ed il fortissimo Panasa,
Nala, Nila e Gavàksa ed il Vànaro Sinhanâda; ito a tutti
costoro e salutatili per ordine ed avuto commiato da Ràma
e da Sugriva, vanne, o prode Vánaro; e fa di recar qui
presto l'erba salutare.
Detto « Così pur sia » si dispose all'andata il figlio del
Vento; ma veggendolo in atto di partirsi, Susena così gli
disse: Ti susciteranno i Racsasi molte maniere d'ostacoli ;
tu dei magnanimo difender te stesso con ogni tuo sforzo.
Va prontamente, o forte, mentre ancor dura la notte; ei
t' è uopo, o valoroso, camminar per gli spazi aerei, su per
la via del vento. Pervenuto al monte dilettoso e raccolta
la mirabil erba, tu non dei far ritardo, ma tornar rapida
mente. Or io t' indicherò quali siano i segni di quell'erba;
son gialle le sue foglie e verdi i frutti; il divino stelo re
pente di quell'erba è del color di sandalo rosso e son di
color cupreo i suoi fiori; tali ne sono i segni, o eccelso. Or
vanne; sia fortunata la tua via; e fa di tornar prontamente.
Salutati tutti coloro col giunger le mani dinanzi al capo,
si partì il Märutide; il preclaro e prode Hanumat s'avviò
intrepido al di sopra di Lanka per quella region dell'aria
dove spira il vento.
YUDDHIA CANDA, 373
Ma come vide avviarsi il Màrutide, Rávano così parlò al
l' indomito Kàlanemi, invincibile fra tutti i Racsasi e spa
ventoso, il quale ha quattro facce, quattro braccia ed otto
occhi: Odi quel ch'ora ti dico, o Racsaso esperto del par
lare. Quel prode Hanumat se ne va ora al Gandhamâdana,
dove nasce quell'erba fortunata che ha virtù di sferrare al
trui; per essa se ne va quel forte Hanumat figlio del Vento:
vuolsi da te, o egregio fra tutti i Racsasi, opporre ostacolo alla
sua via; se tu gli fai impedimento, io ti dono la metà del
mio regno. Presa sembianza di Risci, disponi con arte ma
gica un romitorio fornito di frutti divini, d'alberi di varia
maniera e di piante repenti. Fatto quel bel romitorio, tu
ravvolto in vesti di corteccia dirai « Sia tu il ben venuto »
ad Hanumat, allor che arriva. Tu dei far quel romitorio vi
cino al monte; chè poco lungi da quel monte e distante solo
uno stadio si trova un lago coperto di cespi di nelumbi e
folto di cerulei fior di loto e di ninfee esculente, pieno d'ani
tre e di cigni e abbellito da oche di color rosso, copioso d'ar
dee e di grue egremito di parre iacane, dove abita quella fiera
coccodrillo che ad ogni creatura toglie la vita. Ei si dee da te
fare in modo che lo scimio Hanumat discenda in riva a quel
lago; colà ei sarà divorato dalla fiera coccodrillo; chè colui cui
ella afferra, mai non ne scampa vivo: onde sarà fuor di dub
bio e preso e morto Hanumat. Già divorò la cruda fiera Devi
e Gandharvi; or quanto più ingoierà ella il Màrutide! Con
tale frode s'ha a disperdere quel duce de'Vànari. Morto Ha
numat, più non vivrà Lacsmano; per la morte di Lacsmano
morrà pur Ràma di dolore e per la morte di Râma perirà
Sugriva; spento Sugriva, torneranno i Vánari alle lor sedi,
e per tal modo, o prode, avrò io vittoria senza alcun dub
bio. Or tu pensando a questa bisogna, va prontamente, o
fortissimo.
« Così pur sia » rispose al signor di Lanka il Racsaso
Kálanemi, e magnificatolo con voti di vittoria, così sog
giunse: Che timore avrò io d'Hanumat o dello stesso si
gnor de' Vànari! Ciò detto, s'avviò il Racsaso al monte Gan
dhamâdana. Pervenuto colà, quel Racsaso poderoso fece
quivi in un batter d'occhio per forza d'arte magica un gio
condo e pio romitorio co' suoi sacri fuochi, con legne ar
374 RAMAYANA,

denti e vesti di corteccie. Quindi egli di presente involtosi


in veste di cortici, col divino pondo della sua chioma rac
colta a modo ascetico, con lunga barba e lunghe unghie e
col ventre smunto per digiuno, preso un rosario in mano
e postosi a mormorar preci, tutto così trasformato per in
ganno, stette aspettando la venuta d'Hanumat.
Frattanto s' inoltra di tutta sua forza l'accorto Hanumat
per recar di là quell'erba che dee salvar la vita del Sau
mitride. Quel prode e robustissimo se ne va rapidamente
per l'atmosfera, alto sopra l'Oceano e spandendo per l'aria
le braccia, somigliante a Garuda, allor ch'ei volava per l'e
tere, intento a rapir l'amrita; e mirandolo il Raghuide, ri
putò salva la vita di Lacsmano. Lasciato dietro a se il mare,
si dirizzò il Màrutide tutto irradiato dall' etera al monte
Kiskindhya; ed oltrepassata la selva Dandaka e il G'ana
sthàna, pervenne all'eccelsa contrada media verso la region
di Kosalà e per lo mezzo d'essa alla città del Raghuide.
Giunto per l'aria in alto alla gioconda città d'Ayodhya e
veduto Nandigrama, ei corse coll'animo a Bharata.
Ed il figlio di Caiceyi che aveva sua sede in Nandigrama
visto venir Hanumat pari a un secondo Garuda, pensò nella
sua mente: Che è quell'animal maraviglioso, che colassù
cammina e vince col rapido suo corso l'animo, il vento e
Garuda? Teso quindi l'arco e tolta una lucida saetta, « Il
farò ben io, disse fra sè, cader dall'aria in terra » ed avendo
egli immantinente incoccata sull'arco la saetta, il Màrutide
pensò allora come distoglier dal suo proposto Bharata pronto
a saettare: Colui, egli pensò, è di certo Bharata fratello mi
nor di Ràma; chè tutto ei somiglia a Ráma; or io qui cer
cherò di propiziarlo, affinchè ei non mi sia ostacolo; e re
catosi in atto reverente, così parlò a Bharata il figlio del
Vento:
Doh! dohl o fratello minor di Ràma, rattieni, o uom dalle
grandi braccia, la tua saetta. Io son messaggiero del tuo
maggior fratello, e scimio ministro di Sugriva; mi mossi
per servigio di Lacsmano;sappi che io son Banumat. Il Sau
mitride, o eroe, fu ferito di lancia da Ràvano in battaglia;
io vado per un'erba che gli sarà salutare; per amor di colui
non mi sia qui fatto ostacolo.
YUDDHACANDA, 375
Uditi que' detti d'Hanumat, il fratello minor di Ràma,
trafitto al cuore come da una lancia, l'interrogò intorno a
quel fatto supremo: Per qual cagione, o Vànaro, s'accese
egli sì dura guerra tra Ràma e Ràvano, e come convennero
insieme uomini e scimi ? Narrami questo, o Vànaro, per
intiero; chè gran desiderio ho io d'udirlo.
Così interrogato da colui, prese Hanumata narrare: Renduti
al padre i funebri uffici ed essendoti tu partito per comando di
Ràma, il Raghuide rimaso alcun tempo sul Citrakàta, entrò
quindi nella selva Dandaka; e fermatosi nella Panc'avati, tutto
intento a proteggere i Muni, vennero da lui uccisi per causa
di Stàrpanakha Khara e Ddsana. Intesa poscia da Sàrpanakha
stessa la strage de' Racsasi nella pugna del Ganasthana, lo
scelerato Racsaso Ràvano, ingannando colla frode d'un finto
cervo Rámar e Lacsmano, rapì Sità. Rapitagli la consorte,
Ràma errando con Lacsmano e lamentando, pervenne sulla
riva della Pampa al monte Riscyamtka. Su quell'eccelso
monte stava con noi il Vánaro Sugriva, dispogliato da Bâli
del regno e della sposa. Ràma, cui era stata pur rapita la
consorte ed era per dolor come forsennato,strinse colà ami
cizia con Sugriva, preso dapprima a testimonio il fuoco: ucciso
quindi Bàli, ei ripose nel regno il possente Sugriva, e questi
si mise poi all'inchiesta di Sità. Condotta a fine quella ri
cerca, venne dai Vànari costrutta sul mare una gettata; e
il pio Vibhisana fratello del re di Lanka, vilipeso da costui
e fuor d'ogni speranza, si rifuggì al Raghuide. Da Ráma
unito con noi e col sovrano nostro duce vennero atterrati
i figli e i fratelli di Ràvano. Ma fu da Rávano in un sin
golar certame ferito di lancia il tuo minor fratello; e il fi
sico Susena, suocero di Sugriva, ne insegnò una mirabil
erba salutifera che si noma visalyakarani (la sferratrice). Ed
io mandato per quell'erba, vado, o Raghuide, con gran pre
stezza; sia tu felice e lieto! io m'affretto a compiere quello
che si desidera e si attende.
Udito quell'orribile racconto, intolerando sì come colpo
di folgore cadde Bharata a terra a guisa d'albero reciso
nella selva. Oh Ràma mio dilettol egli sclamò, oh Lacsmanol
oh G'anakide Sità! oh dolce mio padre Agide che or dimori
in cielo! Infamia a Caiceyi mia madre, da cui fu commesso
376 RAMAYANA,

quel misfatto! Onta a me, per cui cagione venne Ràma in


tanto pericolol Vergogna al re, che fu sì ligio d'una donna!
Obbrobrio a me figlio di spregevol genitrice ! Vituperio al
reo ministro, da cui fu ridotta in tal dura condizione la
mia stirpe l Se udrà questa triste notizia Kausalya che tanto
ha caro il figlio, per certo ella più non sosterrà la vita. Onta
a me cagion di sì aspri casi l Conducimi, o Màrutide, or
prontamente a Rdma; a che giova l'erba salutifera? io darò
morte a me stesso, veduto che avrò Ràma e Lacsmano; tale
espiazione è conveniente a me contaminato dal delitto di Cai
ceyi, che fu causa dell'esilio di Ráma e della morte di mio
padre. Oh vituperio ! Caiceyi riversò sul mio capo la sua i
gnominia: che farò io ora? dove andrò? che potrò io far
che sia ben fatto? Ti piaccia qui indicarmi, o Hanumat,
ciò ch'io debbo fare. Hanumat prestantissimo de'Vànari si
diede allora a confortar Bharata fratello minor di Ràma,
che sì forte si doleva: Sorgi, ei disse, o nobilissimo de' Ra
ghuidi! Salute a te, fratello minor di Râma! Presto tu ve
drai qui ritornare con segno di vittoria dopo aver spento
il suo nemico, il prode Râma seguitato da Lacsmano e colla
sua sposa Sità, e rientrar nella città del re de' Kosali con
Vibhisana e con Sugrfva. Felice ora il Raghuide, di cui sei
fratello tu caro a tutti i buoni! E più felice ancor di Ràma
tu stesso, di cui Ràma è maggior fratello! Salute a te, fra
tel minore del Ràghuide ! Salute a te, fratello maggior di
Lacsmano ! a te che vedrai Ràma ritornato alla sua città,
dopo aver condotto a fine il suo intento!
Mentre il magnanimo Hanumat così confortava Bharata,
presero pure a confortarlo i suoi ministri e consiglieri, e
Bharata amantissimo del fratello, sì da tutti consolato, si levò
su ed inchinato abbracciò il Màrutide. Com'ebbe ricevuto
quell'amplesso, BIanumat che anelava alla sua andata, disse
inchinato a Bharata queste cortesi parole: Or io me n'an
drò, o figlio di Caiceyi, per condurre ad effetto la bisogna
di Lacsmano e recar, l'erba che sferra; dammi commiato,
o prode. Così pregato da Hanumat, Bharata amico degli
infelici, andò coll'animo a Ràma e così disse al Màrutide:
Tornando tu al Raghuide e salutatolo in prima con reverenza,
tu dei dirgli liberamente in nome mio queste parole: « Ri
YUDDHIACANDA, 377
cordati di me, o Raghuide; per la rimembranza di te, o Rà
ma eccelso fra gli uomini, si riconfortano dentro il mio corpo
i miei spiriti vitali, come si confortano i parvoli per la ri
cordanza delle testuggini ». Or va prestamente a cagion di
Lacsmano, o Vànaro dalle grandi braccia e di mirabile pre
stezza; reca prontamente l'erba sanatrice; questa bisogna
sarà pur a me di gran bene. Ràma otterrà certamente il
frutto fortunato di sua virtù; nulla sarà quivi omesso, dove
s'adoperano tuoi pari. Così esortato ed accommiatato da
Bharata, il Màrutide vittorioso, salutatolo col girargli intorno
da man destra, si partì.
Ito l'esimio Vànaro, il possente Bharata dalle grandi brac
cia si diede pur senza ritardo a far efficaci provvedimenti.
Egli spedì messaggieri al saggio re di Kàsi; inviò pronta
mente messaggi al magnanimo Ganaca; mandò messi nei
Kaikeyi al suo zio materno; e ad altri re parimente mandò
egli ambasciatori per procurar vittoria a Ràma e morte a
Ràvano. - -

Frattanto il prode Hanumat dalle grandi braccia, sperdi


tore de' nemici, pervenne colla rapidità del vento al monte
Gandhamàdana; e scorse quivi il divino romitorio intorniato
d'alberi diversi. Come vide colà giunto Hanumat, se gli levò
incontro il Risci; e tu si, gli disse, il benvenuto, o prode
Vànaro; tu sii il benvenuto, o egregio scimio ! Accogli que
sta patera ospitale e quest'acqua per la lozion de' piedi;
e t'assidi su questo seggio; riposati, o esimio Vánaro, nel
mio romitorio a tuo bell'agio. Udite quelle parole, così ri
spose Hanumat: Ascolta quel ch'io son per dirti, o eccelso
Risci. Ti venne egli mai, o caro, udito il nome della Ki
skindhya, fornita d'ogni bene, dove ha sede il re de' Vànari,
che si noma Sugriva? Con quel sovrano de'Vànari entrò in
amicizia colui che nel mondo s'appella Râma, uom dalle
grandi braccia e di mirabile prodezza. Per dolor della rapitagli
consorte si condusse questi alla città di Ràvano; e v'ebbe
colà fra que' due, Ràma e Ravano, una gran battaglia. Quivi
il fortissimo fratello di Ràma, per nome Lacsmano, fu ferito
al petto colla lancia dal crudo Ràvano. Nasce qui una mi
rabil erba che si noma visalyakarani (la sferratrice); per
cagion di quell'erba e per recar la mirabil pianta che ne
378 RAMAYANA,

fu dal fisico indicata, io ne venni al monte Gandhamádana.


Venni qui affrettatamente e non deggio far ritardo; io son
ministro del re de'Vànari e riputato per le mie doti; e fui
generato nella donna di Kesari dal Vento che è spirito su
premo.
Inteso il discorso d'BHanumat, il Racsaso trasformato in
Muni così disse: Benchè stia così il tuo fatto, or rimanti pur
qui un istante, o eccelso; tu mi sei giunto ospite, o prode;
ricevi da me accoglienza onesta. È mio questo lago divino,
acquistato con aspre e pie macerazioni; per lo solo bever
di quest'acqua, io sono immune da ogni molestia di fame.
All'udir quelle parole, Hanumat poderoso come il vento
discese in quel lago divino, gremito di cerulee ninfee e di
rossi fior di loto; e mentr'egli beveva quivi dell'acqua, la
fiera cocodrillo lo ghermì. Afferrato da quella fiera acqua
tica, il prode Hanumat di grandissima possanza la sollevò
con impeto e la trasse sull'asciutto; e tenendo sollevata
quella fiera cocodrillo, la lacerava coll'unghie. Allor quel
mostro acquatico stando levato in aria, così parlò: Odi, o
Hanumat figlio del Vento e nobilissimo de' Vánari; sappi
ch'io sono un'Apsarasa, per nome Gandhakáli. Andando io
un dì per l'aria alla magion di Kuvera sopra un carro splen
dido come il sole e tutto rilucente d'oro brunito, non mi
venne veduto per la mia foga un grande Muni dedito a pie
macerazioni; ed urtai col mio carro, o preclaro Vànaro, quel
Muni, per nome Yaksas, pien di vigore e che ha per arme
la maledizione. Quel Muni pien di vigore e d'asprissimo
ascetismo così mi disse: Nella region settentrionale v'ha un
monte che s'appella Gandhamâdana; dal lato australe di quel
monte e presso ad esso v'ha un gran lago; colà tu diver
rai una fiera coccodrillo e ghermirai ogni vivente creatura.
Io allora arsa da quella maledizione caddi a terra: ed il
Muni propiziato perchè ponesse un termine a quella male
dizione, così mi disse: « Quando verrà al Gandhamàdana
il prode Hanumat, tu sarai allora, fuor d'ogni dubbio, li
berata dalla maledizione ». Io t'ho narrato ogni cosa; e ben
ti raffiguro, o incolpabile; io sono da te liberata, o forte ed
or men vado alla sede di Vaisravana. Sia tu felice, o Va
naro dalle grandi braccia! Tu te ne tornerai, recato a fine
YUDDHIACANDA, 379
il tuo intento; e porrai qui a morte le creature che fanno
ostacolo alla tua via.
Udito il discorso di colei, rispose Hanumat: Vattene se
cura, o Apsarasa; son lieto d'averti liberata. Fatto libero
quel mostro acquatico, il Márutide Hanumat ritornò quindi
al divino romitorio, dove si stava il Racsaso. Come vide
tornato il Vànaro, il Racsaso in sembianza di Risci, presi
radici e frutti: « Or cibati » gli disse. Ma Hanumat, eccelso
fra i Vànari, prese a mirar l'aspetto di colui, e rimase quivi
un istante tutto immerso in pensieri e considerazioni.
Tal non suol essere, egli pensava, la sembianza dei Risci,
qual è quella ch' io qui veggo. Qui gatta ci cova; chè il
piglio di costui è orribile; il suo sembiante è simile a quel
d'un Racsaso; e ben si scorge il suo mutato aspetto. I Rac
sasi mastri di prestigi vanno attorno a loro posta; costui
fu certamente spedito dal re de' Racsasi per uccidermi;
ond'io spegnerò quel reo Nottivago che desidera la mia
morte. « Fermati, egli esclamò, malvagio e iniquo! or io ti
raffiguro ». All'udir que' detti d' Hanumat, il Racsaso Kàla
nemi si mostrò nella sua propria sembianza, deforme e d'or
rido aspetto; ed atterrì il Màrutide, gridando: Dove n'an
drai tu ora, o Vánaro? Io fui qui mandato per ucciderti
dal magnanimo Rávano; son possente in arti di magia e
mi nomo Kàlanemi; or io mi satollerò colle tue carni, o
Vánaro. Ma Hanumat ciò udendo, cresciuto due tanti in
forza e raggrottate le ciglia sulla fronte, sfidò il Racsaso.
S'accese quivi allor fra que' due, il Vánaro ed il Racsaso,
una battaglia a furia di braccia con grandi colpi di pugni e
con bracciate, con percosse di coda e di calcagni. Robustis
simi amendue, terribili e di forza spaventosa ei fecero brulla
d'alberi e di sassi quella regione. Al fine il Racsaso stretto
dal figlio del Vento col legame delle sue braccia, privato
del suo alito e spunto cadde a terra; e messo un grido
sformato, se n'andò alla sede di Yama. Per lo grido di quel
Racsaso rimasero colà atterriti i fortissimi Gandharvi, che
eran tre koti dei più poderosi.
380 RAMAvana.

C A P IT O L O IL XX X III.

LACSMANO SFERRATO.

Ucciso Kàlanemi d'arduo affronto, il prode BIanumat prese


a salire il monte divino, cui fan bello diversi metalli. Come
il videro salire, gli mossero i Gandharvi queste parole: Chi
se' tu, che in forma di scimio sei venuto al Gandhamàdama?
Udita l'inchiesta de' Gandharvi, rispose Hanumat: V'ha
una città che si chiama Kiskindha, ornata di boschi e di
giardini, dove è re de'Vànari un che si noma Sugriva. Con
quel sovrano de' Vànari strinse amicizia l'uom dalle grandi
braccia e di forza immensa, che nel mondo s'appella Ràma.
Per dolor della sua donna rapita ei si condusse alla città
di Rávano; e seguì colà fra que' due, Ráma e Rávano, un fe
roce combattimento. Fu quivi ferito al petto con una lancia
dal fiero Rávano, il valorosissimo fratello di Ràma, per nome
Lacsmano; ed a cagione di costui io ne venni al monte
Gandhamàdana per recar di qui la mirabil erba che vi na
sce e che s'appella visalyakarani (la sferratrice). Io son servo
del re de'Vànari e pregiato per le mie doti; son figlio pri
mogenito di Kesari e mi nomo Hanumat. Io non conosco
quell'erba fortunata che ha virtù di sferrare altrui, e desi
dero che mi venga insegnata; vogliate essermi propizi, o
prodi. Qui nella terra di Ràma, re degli uomini e di va
lore immensurabile, si dee da voi far tutto quello che è caro
al re ed aggrada all'animo suo: onde per amor di Ràma
e di Sugriva eziandio vi piaccia indicarmi, o forti, l'erba
che disferra.
Uditi i detti di colui, risposero que' fortissimi Gandharvi:
Nella terra di chi siam noi? Di chi mai sianmo noi servi,
eccettuatine i due magnanimi Gandharvi Hähà ed Hûhtà? Or
via sia tosto messo a morte questo vilissimo de' Vànari l
Ciò detto ed intorniatolo, que'fortissimi Gandharvi montati
in furore si diedero a batterlo con pugni e con palmate,
con clave e scimitarre.
Martellato da que' Gandharvi superbi di lor forza e non
curandosi punto di quelle percosse, s'accese pur Hanumat di
YUDDHIACANDA, 38l
rabbia e ad un tratto li scombuiò, a guisa di fiamma sov
vertitrice. S'appiccò quindi una gran zuffa fra i Gandharvi
e il grande Vánaro. Vennero quivi alcuni lacerati da lui
coll'unghie, altri straziati co' denti; percossi alcuni a furia
di colpi di calcagni andarono a terra colle membra infrante,
ed alcuni flagellati colla coda levavano urla orribili. In un
batter d'occhio furon tutte sconfitte le tre koti di que' for
tissimi. Rotti in battaglia que' fortissimi Gandharvi, il Và
naro figlio del Vento si diede, cercando l'erba, a percorrere
quel monte divino, ingombro d'alberi e di piante repenti
e frequentato da tigri e da leoni; e rifrustando pien di sde
gno, pur non gli veniva veduta l'erba. Nacque allor nel
Màrutide, poderoso come il vento, questo pensiero: Or bene
io ne porterò questo austral cacume del monte e con esso
l'erba salutifera che si trova sul suo vertice. Ben mi ram
mento, considerando, ciò che mi disse Susena; che se io me
ne tornerò senza recar l'erba che disferra, avrò colpa del
tempo che trascorse e ne seguirà gran sturbamento. Fatto
questo pensiero e sceso a terra, Hanumat sovrano fra i Và
nari divelse colle sue braccia, come per gioco, l'incrollabile
spianato di quel monte, folto d'alberi e di piante striscianti,
adorno di vari fiori e spandente in alcun sito fuori delle sue
grotte acqua limpida come gemme, sul quale erano augelli
vaganti qua e là con rapido volo e Vidyâdhari e serpenti ap
piattati, pieno d'antilope e di leoni, ricetto di tigri e d'ele
fanti, stanza di vari aligeri ed abbellito da Kinnari, che ha
d'ampio cinque yogani, sette yogani di lungo e dieci yogani
d'altezza. Mentre veniva divelto lo spianato del monte, ro
vinarono i suoi cocuzzoli; e pianse la montagna, gocciando
quasi dagli occhi lacrime di metalli, divulsa congrand'impeto
dal possente figlio del Vento. Tolto prontamente quel gran
vertice di monte, risonante dei gridi di vari e mobili animali,
si levò subito in aria con gran foga Hanumat, poderoso come
il vento. Allora i Devi coi Gandharvi, i Serpenti e i Vidyá
dhari dissero, guardando maravigliati Hanumat per l'aria:
Noi non abbiam veduto ancora nei tre mondi alcuno che
fosse atto a compiere una tal opera,grandissima e stupenda;
qual altro fuori d'Hanumat romperebbe in battaglia i Gan
dharvi e diveglierebbe un monte? Bene! o prode dalle grandi
382 RAMAYANA,

braccia che hai tale e tanta possanza! Fu da te liberata


Gandhakàli dalla sua maledizione , e ucciso il Racsaso; ed
or divulso un monte, te ne vai, portandolo fra le tue brac
cia. Quest'opera or da te condotta a fine è degna dei Devi.
Ma il fortissimo Hanumat dalle grandi braccia, portando
quel gran cocuzzolo di monte, giunse in breve tempo a
Lanka. Rimasero quivi attoniti i Racsasi, abitatori della città
di Lanka, veggendo quel Vànaro con un monte fra le brac
cia, e correvan qua e là turbati da sgomento. In quella il
valente Hanumat figlio del Vento discese colà vicino, te
nendo quel gran vertice di monte. Quindi il prode Vànaro
pari di forza al vento, deposto quel monte ameno, divisato
di vari metalli, e fattosi innanzi modesto, in sè raccolto e
reverente in atto, ragguagliò dell'occorso Sugriva, Ráma e
Vibhisana: Io non poteva, ei disse, rinvenir sul monte Gan
dhamàdana l'erba sanatrice; quindi io tolsi intiero questo
vertice del monte. Furon da me superati in battaglia molti
ostacoli. Io posi colà a morte il gigantéo Racsaso Kàlamemi
che avea sembianza di Risci, e liberai Gandhakàli; venner
da me sconfitti più migliaia di Gandharvi, e dovetti far
colà ritardo: onde non tormai qui prontamente. Vogliate
voi perdonarmi il tempo che io lasciai trascorrere. Ei fu
ron da me per lo turbamento dimenticati i segni di quel
l'erba; cercatene or voi qui tutti: chè io ho recato qui quel
monte.

Udite quelle parole, il Raghuide sclamando: « Oh bene l


Oh bene! celebrò il fortissimo Hanumat figlio del Vento. È
opera, ei disse, degna dei Devi quella che tu facesti, o prode
Vànaro. Ma vuolsi recar di nuovo là, d'onde fu tolto, questo
cacume di monte; chè desso è il luogo, dove vanno sempre
a sollazzo i Devi in ogni lor solennità ». Ma il preclaro Su
griva così disse tutto lieto: Omore a te, o eccelso e prode,
che hai forza cotanta! Quindi così parlò a Susena il glo
riosissimo Sugriva. Porgi tosto a Lacsmano, o prestante,
quella mirabil erba.
Intesi que'detti di Sugriva, si mosse Susena prontamente.
Ei rimase stupefatto, guardando quel monte adorno di frutti
e di radici, folto d'alberi diversi e di piante repenti, in
gombro di vari arbusti; e salì su quel monte divino cui
YUDDHIACANIDA, 383
adornano diversi metalli. Come fu salito sulla sua cima, egli
scorse la fulgente e nobil erba che disferra; e vedutala, la
divelse. Presala quindi e sceso prontamente in piana terra
ed infranta l'erba con una pietra, Susena esperto fisico la
porse tutto attento a Lacsmano ad odorare. Sì tosto come
Lacsmano, sperditor degli eroi nemici, ebbe odorato quel
l'erba schietta, si levò egli subito da terra sferrato e sano.
Come vide Lacsmano sferrato, Ràma soprappreso da alle
grezza: Vieni! vieni l gridò a Lacsmano, e l'abbracciò stretto
per amore cogli occhi velati di lacrime, e lo baciò sul capo
e versò lacrime di gioia. Posciachè l'ebbe abbracciato, disse
il Raghuide a Lacsmano: Son lieto, o eroe, di vederti ri
tornato da morte a vita! Ed i Vànari, veggendo Lacsmano
sorto da terra, onorarono allegri Susena: Bene, sclamando,
bene hai fatto! E Sugriva celebrò Susena prestante fisico,
e il fortissimo Càcutsthide sorridendo, così gli disse: Mercè
di te io riveggo vivo Lacsmano mio fratel diletto.

CAPITOLO LXXXIV.

ROTTA DI TALAG'ANGHA E D'ALTRI.

Allor ch'ebber veduto sorto Lacsmano, sferrato, e libero


da ogni affanno, levaron d'ogni parte gridi di guerra que'
prestanti Vànari. E non avendo essi ancora osservato il mira
bile monte, presi da curiosità venner tutti dinanzi a Sugriva
reverenti in atto e curiosi di salir su quel monte. Avuta
quivi licenza dal magnanimo Sugriva e saliti suso,ei veggono
sopra quel monte Gandhamâdana stagni dove i Risci usan
far le loro abluzioni e frutti divini d'ogni sorta, e si ba
gmano in que'lavacri del monte e si cibano di que' frutti;
e in un instante furon colà dai Vànari divorati radici e
frutti. Pasciutisi di quelle radici e di que' frutti diversi e
dissetatisi con acqua freschissima, discesero a basso i Vá
mari.
Come li vide discesi, così parlò Râma a Sugriva: Ordina
al prode Hanumat di riportarne questo vertice di monte:
sia egli riposto in quello stesso luogo d'onde ei fu divelto.
Sugriva così commise ad Hanumat, come Râma aveva detto;
384 RAMAYANA,

ed il Márutide Hanumat, poderoso e robustissimo, esortato


dal magnanimo Sugriva ed inchinatosi ai duci dell'esercito,
sollevò colà con le sue braccia quel gran vertice di monte e
si levò con impeto in aria. Mirò Ràvano esser da colui ripor
tato al suo sito il monte; e ciò veggendo, così parlò ai Racsasi
altieri di lor forza, al terribile Talagangha, a Ghatodara e
Sinhavaktra, al fortissimo Ulkàmukha ed al Racsaso C'an
dralekha, ad Hastikarna dalle grandi braccia e a Kanka
tunda: Orsù sia preso immantinente per forza d'arte ma
gica il Vànaro Hanumat; io renderò quindi a voi, egregi
Racsasi, onor supremo.
Udite le parole di Ràvano, que''Racsasi fortissimi, coperti
d'armadura per tutte le membra e muniti d'armi diverse,
si levaron quindi tutti in aria; e veduto il Màrutide d'arduo
accesso che camminava col monte fra le mani, tutti que' forti
Racsasi gli dissero queste parole: Chi sei tu che in forma
di Vànaro te ne vai, portando un monte? Non temi tu i
Devi, i Daityi e i Racsasi? Chi sarà oggi difensor di te qui da
noi assalito ? Brahma, Siva e Visnu, Yama, Vaisravana e il
potentissimo Indra t'han qui giunto per porti a morte. A
que' detti così rispose il Màrutide: Quando pure venissero
contro di me i tre mondi, coi Suri, cogli Asuri e coi Serpenti,
tutti io li sperderei, ricorrendo alla forza del mio braccio. Ciò
detto e raffigurati quivi agli atti que''Racsasi seguaci di Rà
vano, il prode Hanumat attaccò con lor battaglia. Quel for
tissimo pur tenendo tra le braccia il monte e combattendo
sol coi piedi, ruppe ciò non ostante que''Racsasi robustis
simi. Quale sgretolò col petto, qual coi piedi quel gagliardo,
qual coi denti e quale colle ginocchia; altri avvinti col le
game della coda dal magnanimo Vánaro portante il monte,
stavano quivi pendenti in aria; e stando là sospesi, così ap
parivano que' Racsasi robustissimi, come nerissimi lapilli
avvinti in fila d'oro. Con grande sforzo e a mala pena svin
colatosi Tàlag'angha ch'era ricinto dalla coda, si fuggì via.
Rotti que'Racsasi, il fortissimo Hanumat figlio del Vento se
n'andò, portando il monte e rifulgendo su per l'aria. I Devi
allora coi Gandharvi, i C'àrani e i Vidyâdhari sclamarono:
Bene, o Hanumat valoroso, che dimostri tale possanza! Qual
altro fuori di te recherebbe mai ad effetto una tale duris
YUDDHIACANDA, 385
sim'opera? In un attimo furon da te, tenendo un monte,
sconfitti in aria i Racsasi! Così celebrato, giunse il Vànaro
al Gandhamàdana, e ripose il vertice del monte là, d'ond'era
stato divelto.
Ma il Racsaso Tàlag'angha fuggito via pien di terrore, ri
ferì tutto scommosso al magnanimo Ràvano il fatto: Odi,
o re possente, come da quel robusto Vánaro che aveva tra
le mani un monte, furono, senza punto rilasciarlo, stermi
nati i tuoi Racsasi. Ei ne uccise alcuni colla coda, altri stra
ziò coi denti: io solo a grande pena son giunto qui vivo
al tuo cospetto. Udito da Tàlagangha quell'arduo fatto d'Ha
numat, rimase sopra pensiero il fortissimo re di Lanka: « I
Racsasi più prestanti, egli pensò, mastri di prestigi e robu
stissimi furono morti da Hanumat; noi siam privati di capi ».
Altri avveduti Racsasi stavano a consiglio; ed oh! dicevano,
qual forza è quella mai di quel malvagio Vànaro!

C A P IT O L, O IL XX XV.

IL MONTE RIPOSTO.

Com'ebbe riposto il monte, si levò di nuovo in aria il


glorioso Màrutide Hanumat, animosissimo ed eccelso fra i
Vànari, e celebrato dai Suri e dai Siddhi, dai C'àrani e dai
Gandharvi e dalle Apsarase tutti festanti, se ne ritornò; e
sorvolando sopra Lanka, ei pervenne là dov'erano Ràma,
Sugriva e Lacsmano.
Fu lieto Ràma, veggendo tornato Hanumat; e tu si, gli
disse, il benvenuto, o prode Vànaro ! sia tu il ben arrivato,
o domatore de' nemici ! fortunatamente e faustamente, com
piuto il tuo assunto, sei tu ritornato, o egregio Vànaro. Per
lo tuo valore io pur veggo salvo Lacsmano, dotato di fausti
segni. Se questo mio Lacsmano, o Màrutide, se ne fosse
ito nei cinque elementi, io non avrei più che fare nè della
vittoria, nè di Sita, nè di me stesso.
Udendo così parlare il magnanimo Raghuide, Lacsmano
con voce languida così disse: Dopo avere un dì promesso di
rimaner saldo, o uom di verace forza, non voler tu ora parlar
così, a guisa d'uomo debile e privo d'ogni vigore; che i
VOL. III. 25
386 RAMAYANA.

generosi, o re, mai non rendon vana la lor promessa, e il


mantener la data fede è indizio di grandezza. Onde rimanti
dal più lasciarti ire per cagion mia a disperanza; osserva
ora la tua promessa col por Ràvano a morte. Quell'iniquo,
venuto fra la via delle tue saette, non iscamperà vivo, sì come
un grande elefante abbattutosi in un leone che rugge irato e
ha denti acuti. Io desidero veder qui tosto la morte di quel
reo, mentre ancor non va all'occaso, compiuto il suo ufficio,
questo sole. Siccome l'astro radioso dissipa la tenebra coi
suoi raggi, così tu coi raggi dell'acutissime tue saette dis
perdi Rávano. Io anelo a contemplar con animo lieto la
faccia di quel reo atterrato nel luogo più conspicuo della
battaglia.

CAPITOLO LXXXVI.

SINGOLAR CERTAME COI CARRI.

Udendo le parole dette da Lacsmano, il magnanimo e


accorto Râma pose l'animo alla morte di Ràvano. In quel
mezzo Dasagriva sovrano de'Racsasi, essendosi di là disco
stato, apprestò per arte magica un fulgido carro, fiammante
come fuoco, tirato da cavalli velocissimi che avevan faccia
umana, munito di teli e d'ogni arme, terribile a vedere sì
come Yama struggitore, moventesi a volontà dell'altrui ani
mo, con bell'asse, belle ruote e bell'orlo di legno all' in
torno per difesa, guidato da accorto auriga, splendido e tutto
ornato d'oro. Salito su quel carro, Dasagriva con orribili
saette, pari a folgori, corse intento alla pugna contro Râma.
Dissero allora i Devi, i Dànavi ed i Gandharvi: Non è
eguale la battaglia fra Ràma pedestre e Rávano in carro;
ed udendo que' detti dei Devi, Indra immantinente mandò
a Râma il suo carro con Màtali suo auriga. Scendendo allor
dal cielo, si dirizzò verso il Raghuide il nobil carro del re
dei Devi,guernito di vessillo con gambo di diamante,splen
dido, distinto d'oro in ogni sua parte, adorno di cento tin
tinnabuli, lucente come sol che nasce e con ischietto timone
di lapislazzoli, tirato da nobili corsieri, ornati al sommo
della testa d'aureo serto e forniti di candide roste crinite,
YUDDHACANDA, 387
fulvi e fulgidi come il sole e tutti fregiati d'oro. Mirando
quel carro colà disceso, Ràma, Lacsmano e Sugriva, Ha
numat e Vibhisana rimaser tutti stupefatti. E pieni di ma
raviglia tutti costoro, Ràma, Sugriva e Lacsmano, Angada,
Gàmbavat, Kesari e Panasa tenevan fra lor consiglio: Non
è questo, egli dicevan, senza causa. Quel crudo Ràvano re
de'Racsasi, gran maestro di prestigi vuol di certo per tal
mezzo fraudolento farci inganno.
Udendo i detti di coloro, Sugriva così rispose: Osserviam
noi tutti il carro, l'auriga ed i cavalli. Allor l'accortissimo
Vibhisana, osservati attentamente que' corsieri fermi in terra,
allestiti alla battaglia e rapidi come l'animo, così parlò :
Sali pur fidatamente e senza alcun sospetto sopra quel
carro, o eroe; io tutte qui conosco le prestigie de'Racsasi;
ei non si trovano, o domatore de' nemici, carri così fatti
presso il signor de'Racsasi; io qui scorgo indizi che an
nunzian l' adempimento del tuo disegno. Appressatosi in
quella al Càcutsthide, veggente Ràvano, e stando sul carro
col pungolo in mano, Màtali auriga d' Indra così disse re
verente in atto a Râma: Questo splendido carro, sperditore
de' nemici t'è mandato, o Càcutsthide, a fine di vittoria dal
grande Indra dai mille occhi. Questo è il grand'arco d'In
dra e questa è la sua lorica fiammante come fuoco; son
queste le sue saette fulgide come il sole e queste le sue
lancie acute e nitide. Sali, o Ràma, su questo carro ; e gui
dato da me tuo auriga distruggi, o eroe, il Racsaso Ràvano,
sì come un dì il grande Indra distrusse i Dánavi.
Così esortato e fattosi innanzi coi peli arricciati, e salu
tato il carro col girargli intorno da man destra e reso onore
a Màtali; meditato quindi il divino Nàráyana e venerati i
Devi, salì Ràma guerrier supremo su quel divino carro ad
ottener vittoria. Ed allacciatasi la lorica del grande Indra,
risplendeva il Raghuide di fulgore, a guisa del re supremo,
protettor del mondo (Visnu?). Màtali allor sovrano auriga,
dopo aver raffrenati i corsieri, li eccitò coll'animo, secondo
che bramava il Raghuide domatore de' nemici; e s'appiccò
fra Ràma dalle grandi braccia e il forte Ràvano un'orrida
pugna prodigiosa, combattuta sopra carri. Il Raghuide so
vranamente esperto d'ogni arme rintuzzò il telo Gandharvo
388 RAMAYANA,
del re dei Racsasi con un altro telo Gandharvo e il telo
Devico con un fatato telo Devico. Ma il signor de'Racsasi
oltremodo ardente d'ira lanciò di nuovo contro Ràma il ter
ribile e sovrano telo dei Nàghi (serpenti). Que' dardi or
nati d'oro saettati dall'arco di Ràvano, trasformandosi in
serpenti venenati, s'avventavano al Càcutsthide. Colla faccia
ignita, orribili e vomitando fiamma dalla bocca ei volavan
pur contro Ràma colle fauci spalancate e spaventosi. Da
que'dardi serpentini, venenosi, coi capperucci accesi e il
cui contatto è pari al contatto di Vàsuki, furon velate tutte
le plage e coperte le regioni intermedie. Come Ràma vide
volare d'ogni parte que' serpenti, trasse fuori il terribile e
tremendo telo Garudico; e saettò dardi pennati d'oro e lu
centi come fuoco. Que' dardi Garudici distrussero i dardi
serpentini del nemico. Rintuzzato il telo dei Nághi, il re
de'Racsasi arrovellato tempestò Ràma con nembi orribili di
saette; e com'ebbe con migliaia di saette oppresso Ràma di
lena infaticabile, ferì Màtali con un nugolo di dardi. Per
cosso l'aureo vessillo del carro che stava sul seggio dell'au
riga, ferì Ràvano a furia di frecce i corsieri d'Indra. Sbi
gottirono allora i Devi ed i Gandharvi, i Dànavi ed i C'à
rani, i Siddhi e i sommi Risci, veggendo Râma così stra
ziato; e rimasero esterrefatti i duci de'Vànari con Vibhisana,
mirando Rahma pari a piena luna divorato da Râvano, orribil
Ràhu. Il pianeta Budha (Mercurio) oppressando il segno
costellato (naksatra) Pràgàpatya che è l'asterismo di Rohini
sposa di Luno, stava inteso in cielo al danno delle genti.
Fummoso e quasi ardente e co' suoi flutti sconvolti si
sollevò allora irato il mare, attingendo quasi l'astro diurno.
Apparve di color cupreo, maligno e con debiti raggi il sole,
segnato di macchie e stretto da Dhùmaketu; ed il pianeta
Angàraka (Marte) si stava in cielo oppressando i naksatri
di prosperi eventi,Gyestha,Maitra, Visàkha ed Agnideva. Si
vedeva in quella il Racsaso che ha dieci teste e venti brac
cia, tenente levato l'arco ed incrollabile, sì come il monte
Mainàka. Rincacciato dal Racsaso Dasagriva non poteva
Ráma respinger le saette nemiche sul campo di battaglia. Ma
raggrottate le ciglia sulla fronte e cogli occhi infocati dall'ira,
ei s'accese d' immenso sdegno, ardendo quasi il Racsaso.
YUDDHIACANDA, 389

C A PIT O L O IL XX X VI I.

SCONFITTA DI RAVANO.

Allor che videro accesa in ira la faccia del prode Ràma,


sbigottiron tutte le creature e tremò la terra; si scosse co'
suoi alberi il monte, sede di tigri e di leoni, e fu scom
mosso il mare signor de'fiumi. Nuvole orride, veementi,
rimbombanti per lo cielo con alto strepito e annunziatrici
d'infausti casi erravan mugghiando d'ogni parte; e mirando
Rama corrucciato e que' portenti spaventosi e sbigottita ogni
creatura, fu preso da sgomento Ràvano ei pure. I Devi in
quella seduti sui lor carri divini, i Gandharvi ed i Maho
raghi (serpenti), i Daityi e i Dànavi e i Marutvati che van
per l'aria, stettero contemplando quella pugna, pari alla
ruina dell'universo, terribile per armi d'ogni maniera, di
que' due eroi combattenti insieme. Allora gli Asuri ed i Suri
venuti a contesa fra loro, mirando quegli orribili prodigi,
così gridavano tutti attenti: Vinci! dicevano a Ràvano gli
Asuri quivi accolti; e Vinci! andavan dicendo con voci ite
rate a Râma i Devi.
In questo mezzo l'iniquo Ràvano, pien di rabbia contro
il Raghuide ed avido di combattere, andava palpando la
sua grand'arme; poscia arroventato quasi dall'ira egli af
ferrò la sua picca che ha filo adamantino e grande umbi
dico, struggitrice d'ogni avversario, arme senza pari, insu
perabile, che difficilmente affronterebbe Yama stesso, cagion
di terrore ad ogni creatura, orribile, siccome il Dio della
morte. Tenendo fra la pugna la gran picca, quel possente,
oltremodo invelenito e circondato da più Racsasi invitti nella
battaglia, mise, sollevandola, un alto e orribil grido in quel
conflitto; e l'orrendo clamor del re de'Racsasi scosse la
terra e l'aria, le plage e le regioni intermedie. Per lo sfor
mato e tremendo boato del Racsaso ferocissimo trepidò ogni
creatura e si scommosse il mare: ed « Oh sian salve le
genti! » colà sclamarono i sommi Risci. Messo quel grido
altissimo e vibrando la gran picca, il trapossente Ràvano
disse a Ràma aspre parole: Questa picca di filo adamantino,
390 - RAMAYANA.

sollevata da me per ira contro di te, o Ràma, ti torrà or qui


prontamente la vita, abbia tu pur per ausilio mio fratello.
Ponendo or qui a morte te, superbo nella battaglia, aster
gerò io le lacrime de' Racsasi eroi da te rotti sulla fronte
del mio esercito. Sta or qui fermo, o Raghuide; ecco ch'io
t'uccido con questa picca. Così dicendo, lanciò la sua picca
il re de' Racsasi.
Ma veggendo quell'arme fiammeggiante e di terribile a
spetto, il Raghuide animoso, levato l'arco, saettò acutissimi
dardi; e con que' nugoli di saette rintuzzò il Raghuide nella
battaglia la volante picca, sì come il mare co' suoi fiotti rin
tuzzerà il fuoco sollevantesi di finimondo. Ma la gran picca
di Ràvano arse le saette scoccate dall'arco di Ràma, sì come
il fuoco arde le locuste. Come vide stritolate dal tocco della
picca e incenerite in aria le saette, fu preso Ràma da grande
ira; e tutto esacerbato diè di piglio il Raghuide, gioia della
stirpe di Raghu, alla lancia pregiata da Indra, la quale
aveva recato Màtali. Quella lancia risonante di tintinnabuli e
sollevata da quel forte infiammò l'aere, sì come un' ardente
meteora di finimondo; e andò scagliata a cader sulla picca
del re de' Racsasi; la quale, perduto il suo fulgore, cadde
a terra rotta in più pezzi. Quindi con dardi impetuosi, pun
genti e acuti, pari al tocco del fulmine, sforacchiò Ràma i
cavalli del Racsaso veloci come l' animo; e con tre saette
aguzze il Raghuide oltremodo inacerbito lacerò Ràvano al
petto e con tre alla fronte. Squarciato da que' dardi per
tutto il corpo e colle membra grondanti di sangue, il re
de' Racsasi così appariva in mezzo alle sue falangi, come
appare co' suoi fiori aperti un asoka.

CAPITOLO LXXXVIII.

SINGOLARE CERTAME COI CARRI.

Superato dal Raghuide in quella gran pugna, Rávano


sdegnoso fuor di modo arse d'ira smisurata; e cogli occhi
accesi dalla rabbia e tutto scommosso in ira, quel poderoso,
preso l'arco, si diede a tempestar di nuovo il Raghuide in
battaglia.Con nembi di saette il prode Ràvano inondò Ràma,
YUDDHACANDA. 391
sì come una nube in cielo riempie con pioggia un lago.
Soverchiato dal nugolo di dardi lanciati dall'arco in quella
pugna, il Raghuide incrollabile come un gran monte punto
non si scosse; e così ricevè que' dardi orribilissimi il prode
Ràma, prestante fra gli uomini, come ei fossero raggi di
sole. Quindi il Racsaso di pronta mano confisse pien di
sdegno nel petto del magnanimo Raghuide centinaia di
saette; ed il fratello maggior di Lacsmano, grondante di
sangue fra la battaglia, appariva come nella selva un gran
d'albero di butea fiorente.
Ma eccitato ad ira dai colpi delle saette, il Càcutsthide
veementissimo diè di piglio ei pure a dardi fulgidi come
il fuoco di finimondo; ed amendue allora, Râma e Ràvano
oltremodo inferociti più non discernevano l'un l'altro in
quella battaglia ottenebrata dalle saette. Ma il forte Ràma
Dasarathide pien di sdegno disse a Ràvano, sorridendo,
aspre parole: Perchè fu da te, o vilissimo de' Racsasi, tratta
qui riluttante dal G'anasthana la mia sposa, perciò tu più
non vivrai. Per aver tu rapita contro suo grado la Vide
hese, mentr'ella se ne stava afflitta e da me divisa nella
gran selva, tu ti reputi un eroe! Per aver mostrato la tua
prodezza contro donne prive de' lor protettori e fatta opera
da vile, tu, o oltraggiator delle donne altrui, ti credi d'es
sere un eroe! Per aver con superba baldanza afferrata la
morte in forma di Sitá, tu, o rompitor d'ogni retta legge,
inverecondo, trasgressor d'ogni osservanza morale, stimi te
stesso un eroe! Oh tu hai fatto in vero opera grande, glo
riosa e da dover essere celebrata, degna d'un eroe, del fra
tello di Kuvera, d'un baldo e prode ! Ed onorato da'tuoi
Racsasi tremebondi, cui manca un valoroso protettore,tu per
orgoglio e tracotanza ti reputi un eroe! Con magica frode e
sembianza di cervo tu hai rapito la mia sposa; oh tu hai
mostrato appieno la tua possanza e fornito un' opera som
mamente ardua a compiere! Perchè vai tu tanto insuper
bendo, tu abbominato, ignobile, vituperato per li tuoi fatti,
tu li cui atti son cotali! Io non dormo nè dì nè notte, o
Racsaso d'opere feroci, io non trovo riposo, o Ràvano, fin
ch'io non t'abbia estirpato dalla radice. Io trapassai questi
mesi pur pensando alla tua morte; ma è or dischiusa la porta
392 RAMAYANA,

di Yama per ingoiar te degno di morte. Ricevi or qui il


frutto supremo dell'opera tua, orgogliosa per tracotanza e
per oltraggio vituperata. E tu, o stolto, reputi te stesso un
eroe! Non hai tu vergogna d'aver rapita Sità a modo di
ladro? Se tu avessi per forza posto la mano sopra Sità, me
presente, ben saresti ito allora, messo a morte dalle mie
saette, a veder Khara tuo fratello. Ma fortunatamente sei pur
giunto, o stolto, dove t'attinge il mio occhio; or co' miei
dardi acuti ti caccerò io alla magion di Yama; oggi le belve
carnivore trascineranno la tua testa co' suoi ciondoli ful
genti, recisa dalle mie saette e bruttata dalla polvere della
battaglia; gli avoltoi calandosi sul petto di te, o Ràvano,
disteso a terra, berranno allegri il tuo sangue, spicciante
dalle rotture fatte dai dardi e dalle saette; strapperanno
oggi gli augelli le interiora di te squarciato dalle mie saette,
esanime e steso a terra, a quella guisa che Garuda gher
misce i serpenti.
Ciò detto, il prode Ràma, struggitore de'nemici, involse
in un nembo di dardi il re de' Racsasi che stava in mezzo
alle sue falangi. Eran due volte più grandi in quel conflitto
il valor, la forza e la baldanza di Ràma acceso in ira fra
la battaglia e di lena infaticabile. Apparvero colà manifesti
con gran possanza l'armi e tutti quanti i teli di Râma av
vedutissimo ed anelante alla morte del suo nemico; e com
battendo, divenne quell'animoso vie più spedito di mano;
eran saldissimi i suoi colpi ed imberciava da lungi. Veduti
in sè que'fausti segni, Ràma vie più tempestava Ràvano
re de' Racsasi.
Ferito da Râma con nembi di dardi e dai Vànari a furia
di sassi, rimase Rávano tutto stordito. Ei non poneva mano
al suo gran telo, nè tendeva l'arco acconciamente, nè fa
ceva resistenza alla forza di Ráma, avendo l'animo scontur
bato; ed eziandio le saette da lui lanciate e le varie armi
adoperate più non eran sufficienti al bisogno della battaglia,
perocchè egli s'appressava all'ora della sua morte. L'auriga
che guidava il suo carro, veggendo Rávano in tale scompiglio
lentamente e tutto perturbato diede opera a slontanar dalla
battaglia il suo carro. -
YUDDHACANDA, 393

C A P IT O IL O IL XX X IX.

RIMPROVERI ALL'AURIGA.

Ma furente per insania e dementato dalla forza del de


stino, Rävano assalito da grand'ira così parlò all'auriga:
Perchè spregiando tu me come un ignavo, un fiacco, privo
di virtù virile, come un timido, un dappoco, uno spossato,
sfornito d'ogni vigore, e non avendo alcun riguardo al mio
intento, hai tu rimosso d'infra i nemici questo mio carro?
Tu oggi, o vile, hai distrutto la gloria, l'onor, la fama e la
possanza da me acquistati in lungo tempo; oggi al cospetto
d'un nemico celebrato per la sua prodezza e cui conveniva
affrontare con prove d'eroico valore, tu hai reso spregevole
me che era avido di battaglia. Ben io argomento con aperta
certezza che tu fosti sedotto con lusinghe d' onori dal mio
nemico, o stolto, che meni altrove fuor della pugna questo
mio carro; chè questa non è opera d'amico che desidera
il bene dell'amico; quello che tu hai fatto, è cosa conve
niente a nemici. Rivolgi or prontamente indietro il carro,
intantochè non si parte il mio avversario, se tu non vuoi
qui farmi ostacolo e se ti rammenti quali siano le qualità
di mia natura.
Rimproverato così duramente da quell' insensato, l'auriga
che aveva mente retta, rispose a Ràvano con parole cortesi
e giuste: Io non son timido nè stolto, nè fui indotto a tra
dire dal nemico; non son trascurato, nè privo d'amico af
fetto, nè son da me poste in oblio le tue mobili qualità. Io
bramoso del tuo bene e difensor della tua gloria ho per
proprio affetto e devozione, credendo farti cosa gradita, fatto
cosa che t'è discara. Non voler tu in questo fatto, o grande
re, giudicar punto frivolo nè vile o mosso da reo disegno
me tutto intento a ciò che t'è caro ed utile. Ascolta, io ti
dirò per qual cagione io ho ritratto dalla battaglia il carro,
come l'impeto d'un fiume dall'Oceano. Io m'accorsi della
tua stanchezza nata dalla gran fatica della battaglia; chè io
più non vedeva in te, o eroe, fermezza di volto nè alacrità.
Questi corsieri ei pure sudanti per lo trar del peso, affan
394 RAMAYANA,

nati e affranti dal caldo erano come sopraffatti da un ro


Vescio di pioggia. S'aggiungono i portenti che in gran nu
mero m'appaiono manifesti; nè fra que' portenti io ne scorgo
pur uno fausto. L'auriga dee por mente al tempo e al luogo,
ai segni e ai cenni, allo smarrimento, all'alacrità, alla las
situdine, alla forza e alla fiacchezza di colui che ei guida
in carro; l'auriga tutto intento all'opportunità d'assalire il
nemico, dee aver l'occhio ai luoghi affondi o rilevati sulla
terra, scabri o piani, all'ora opportuna alla battaglia, all'ac
Costarsi e al discostarsi, al fermarsi e al ritrarsi indietro;
tutto questo dee osservare l'auriga che sta sul carro. Per lo
riposo di te e de' corsieri traenti il carro e per dispartire
l'un dall'altro, te e il nemico, io ho fatto ciò che mi parve
conveniente. Io non ho fatto, o re , scostare il carro per
proprio mio arbitrio; ma vinto dall'affetto ch' io porto a
chi mi è donno, io ho fatto questo per tuo amore. Or tu
imponmi, o eroe, ciò che io debbo fare; quello che tu dirai,
o largitor d'onore, tutto io l'eseguirò con animo intento a
sdebitarsi.
Placato da quelle parole dell'auriga e commendatolo con
ogni maniera di lode, Ràvano anelante alla battaglia così
gli disse: Dirizza or prontamente incontro a Ràma questo
mio carro, o auriga; Ràvano mai non tornerà addietro senza
aver ucciso il nemico in battaglia. Allor l'auriga eccitato
dalle parole di Rávano spinse rapidamente innanzi il carro;
e in un istante il gran carro del re de' Racsasi si trovò a
fronte del carro di Ràma.

CAPITOLO XC,

VEDUTA DI PORTENTI.

Ràma re degli uomini vide avventarsi subitamente con


grand'impeto e rimbombo il carro del re de' Racsasi, tratto
da neri cavalli e fulgente d'orrido splendore, a guisa d'un
carro divino tratto per lo cielo e cinto da fosche nubi acquose.
Come vide venir con grande foga e somigliante ad una nube
il carro del nemico, Ràma così disse a Màtali auriga del
magno Indra: Mira o Màtali, venir concitato il carro del ne
YUDDHACANDA, 395
mico, con fragore pari allo strepito d'un monte che sco
scende squarciato dal fulmine. Posciachè, dopo essersi al
lontanato, di nuovo egli s'avventa con grand'impeto, per
certo ha colui fermato d'uccidermi in battaglia. Sta perciò
vigilante nel farti incontro al carro del nemico; io voglio
disperdere colui, sì come il vento disperde una nuvola che
si leva. Saldo, imperturbato, col cuore e coll'occhio fermi
spingi rapidamente innanzi il carro, moderato dal governo
delle redini. Tu degno auriga del carro d'Indra non hai
certamente uopo che altri t'ammaestri; ed io bramoso di
combattere ed a ciò inteso con tutto l'animo sol ti rammento
or questo, ma non t'ammaestro.
Rallegrato da quelle parole di Ràma, Mátali sovrano au
riga incitò allora il carro; e volgendo la destra al gran
carro di Ravano, egli scommosse il re de' Racsasi, cospargen
dolo di polvere gettata in alto dalle ruote. Ràvano in quella
acceso d'ira e cogli occhi di color cupreo e tremolanti con
cussò a furia di saette Ràma che gli stava a fronte sul carro.
Indegnato di tal tracotanza e soverchiando coll'ira la sua
fermezza, Ràma diè di piglio in quella battaglia al podero
sissimo arco d'Indra; e tolse per la pugna saette acute e
impetuosissime, fulgenti come raggi di sole e pari a serpenti
venenosi.
Fu terribile il combattimento di que' due intenti alla
morte l'un dell'altro, l'un contro l'altro a fronte, a guisa
di due elefanti infuriati. Convennero quivi allora per mirar
quel certame di carri i Devi coi Gandharvi, i Siddhi e i
sommi Risci, bramosi della morte di Rávano; e s'accese fra
que' due pronta e mirabile battaglia, valorosamente com
battuta. Ardentissimi di vittoria que' due eroi si laceravano
l'uno l'altro; e rintuzzando teli con teli e mostrando la lor
destrezza, egli ingombravan l'aria di saette pari a serpenti.
Si levarono in quella, nunci a Rávano di sterminio e di
vittoria a Râma, portenti orribili e tali che facevan tutto
arricciare i peli. Piovve sangue una nube sul carro di Rà
vano, e venti turbinosi s'aggirarono in cerchio dal sinistro
suo lato al destro. Un grande stormo d'avoltoi ravvolgendosi
per l'aria, dovunque andava il suo carro, pur colà gli cor
reva dinanzi. Involta in un crepuscolo tinto in color di viva
396 RAMAYANA,

rosa e persistente dì e notte, appariva Lanka come accesa.


Si levarono con bufere grandi meteore strepitanti; e n'era
Ràvano atterrito e si scommosse la terra. Erano come in
lacciate le braccia de' Racsasi nell'atto di saettare. Sparti
raggi di sole di color cupreo, gialli, bianchi e rossi, appa
rivano su per lo corpo di Ràvano, a guisa di metalli su
per lo dosso d'un monte. Seguitati da torme d'avoltoi e
gettando fiamme dalla bocca urlavano iratamente e infau
stannente i sciacali, mirando fisi in volto. Avoltoi, grue ed
aghironi, facendo quasi ingombro alla vista, mettevan con
strane voci ed esultando gridi orribili e sinistri. Spirò av
verso il vento, sollevando un gran polverío e togliendo la
vista all'esercito di Ràvano; e cadder sul suo esercito d'ogni
parte folgori d'Indra spaventose, con fragore insopportabile,
essendo il cielo senza nubi. Erano involte in tenebra le plage
e le regioni intermedie, e per la scossa di polvere che
cadeva, era tutta oscurata l'aria. Facendo orribile tumulto
dinanzi al carro di Ràvano, si calavano quivi a centinaia
augelli spaventosi con orride voci; uscivan faville dalle mem
bra de' suoi cavalli e goccie di lacrime dai lor occhi, sì
ch'ei gettavano fuoco ed acqua ad un tempo. Tali portenti
orribili e paurosi sorsero colà in gran numero annunziatori di
morte a Ràvano. Ma apparvero pur d'ogni parte manifesti
a Ràma segni fausti e lieti che presagivano vittoria; e mi
rando que' portenti di prospero augurio nella battaglia , il
Raghuide conoscitor dei presagi ne prese somma allegrezza
e sicuranza, e s'adoperò nella battaglia con maggior forza.

CAPITOLO XCI.
IL VESSILLO ROVESCIATO.

Allor si raccese terribile oltre misura fra Ràma e Ràvano


quel gran certame de' carri che metteva paura al mondo in
tiero; e l'esercito de' Racsasi e la grand'oste de' Vànari stet
tero quivi immobili,tenendo levate l'armi. Mirando que' due
forti Ràma e Ràvano tornati a battaglia insieme, eran tutti
smarriti d'animo e pieni di gran maraviglia; e colle braccia
inoperose e munite d'armi diverse, colle menti attonite stet
YUlDDHIACANDA, 397
tero contemplando que' due eroi intenti a sterminarsi l'uno
l'altro. L'esercito dei Racsasi fisi a mirar Råvano e l'oste dei
Vànari fisi in Ràma con occhi pieni di stupore, parevano
immoti come cosa dipinta. Ma Ràma e Ràvano, scorti quivi
que' portenti, con mente ferma e salda ira facevan battaglia
suprema. « Vuolsi vincere » pensava il Ràghuide; « Vuolsi
morire » pensava Ràvano; ed amendue mostravano in quella
battaglia quant'egli avevano di forza sovrana. Il possente
Ràvano in quella, incoccati dardi con rabbia, li saettò to
gliendo di mira il vessillo che stava sul carro di Ràma; e
que' dardi, senza attingere al vessillo del carro d'Indra e
toccata appena la ferrea lancia del carro, caddero a terra.
Allora il prode Râma assalito da grand'ira e teso l'arco, si
dispose coll'animo a rendere il contraccambio; e posta la
mira al vessillo di Ràvano, saettò un dardo insopportabile,
pari ad un gran serpe e fiammante di proprio fulgore. Quella
saetta, lacerato il vessillo di Ràvano, andò a terra; e la ban
diera del carro di Ràvano cadde squarciata al suolo, sì come
cade da un monte un palmizio percosso dalla folgore d'In
dra. Come vide reciso il suo vessillo, il fortissimo Ràvano
rimase fra la battaglia come acceso da fuoco d'ira, e so
praffatto dalla rabbia saettò un nembo di frecce, e con or
ride saette ferì i corsieri di Ràma. Ma i divini suoi cavalli
benchè feriti, non sentirono alcun dolore nè punto vacilla
rono; e rimasero con cuor saldo , com'ei fossero percossi
con steli di fior di loto. Mirando la fermezza di que' corsieri,
Rávano vie maggiormente esasperato lanciò allora nugoli di
dardi. Clave, lancie, dischi e mazze, ferrei raffi, dardi raunci
nati a modo di mezza luna, picche ed ascie, mallei ed uncini,
verrettoni, razzi ed aste, tutto questo nembo di iacoli formato
con arte magica, terribile, orribilmente risonante e cagion
di spavento a tutte le creature , lanciò Rávano in quella
pugna. Quel gran nugolo d'armi diverse , lasciando illeso il
carro del Raghuide, cadde d'ogni parte fra la battaglla so
pra l'oste de'Vànari. Allor che Ràvano re de' Racsasi vide
riuscire quivi in vano que' dardi pari a serpenti lanciati
per la morte di Ràma, quel Racsaso decacefalo facendo ogni
suo sforzo con cuore infaticato ed animo intrepido, saettò di
nuovo con man spedita altre frecce a migliaia sul carro,
398 RAMAYANA.
sul vessillo e sopra il corpo di Ráma. Ma il Càcutsthide
veggendo Râvano arrabattarsi tutto intento nella battaglia,
incoccò, sorridendo, dardi acuti; ei lanciò quindi nella pu
gna dardi a cento e a mille; e tutta ingombrò l'aria con
quelle saette. Per quel nembo di fulgidi dardi saettati da
que' due appar colà luminoso e come fosse tutto di frecce, un
secondo cielo. Nessuna saetta era lanciata in vano, nessuna
falliva di sfendere, niuna cadeva senza effetto, mentre che
Ràma e Ràvano così balestravan saette nella battaglia. Ràma
percosse allora i cavalli di Ràvano, e Rávano i cavalli di
Râma, dandosi scambievolmente il contraccambio; ed amen
due quegli eroi domatori de' nemici si travagliavan d'ucci
dere l'un l'altro.

C A P IT O L O X C II,
MORTE DI RAVANO.

Tutte quante le creature contemplavano con animo atto


mito Ràma e Ràvano combattenti per tal modo in singolar
certame; chè stando amendue sui loro carri, l'un contro
l'altro fieramente irati e tempestandosi in battaglia, eran
essi terribili nel loro aspetto. Avvolgendosi in cerchi e in
righe e in tortuosi giri di serpenti e facendo spiccare i molti
e vari pregi che provengon dalla destrezza dei loro aurighi,
Ràma faticando Rávano e Ràvano Râma , spingendosi per
le dieci vie col farsi innanzi e dare indietro e saettando
nembi di dardi , que' due eroi fermi sul carro e batta
gliando s'aggiravano pieni d'ira, a guisa di due nuvole
tempestose. Com'ebber mostrato le diverse lor arti di bat
taglia, si fermaron di nuovo que' due di rincontro l'uno al
l'altro; e stando essi a fronte a fronte, s'accozzarono insieme
timone con timone dei due carri , facce con facce dei ca
valli e vessilli con vessilli. Ràma allora con quattro saette
ardenti e acute scoccate dall'arco fece rinvertire i quattro
cavalli di Ràvano; ed il Racsaso vinto dall'ira per lo rin
cular de' suoi corsieri saettò contro il Raghuide dardi aguzzi.
Ma il Raghuide, benchè duramente ferito dal forte Ràvano,
punto non si commosse , nè sbigottì; ed il Racsaso lanciò
nuovi dardi, sonanti come folgore che cade, togliendo di
YUDDHACANDA, 399
mira l'auriga d'Indra. Quelle saette impetuose cadute sul
corpo di Màtali non produssero in lui nè turbamento, nè
dolore pure minimo fra la battaglia. Ma fu indegnato il Ra
ghuide di quell'oltraggio fatto a Màtali ed a sè stesso; e
s'accese la sua ira, sì come fiamma di fuoco spruzzato di
sacro burro; ed afferrato subitamente e teso il suo arco po
deroso , con un dardo a foggia di rasoio e di largo taglio
ruppe l'arco di Ràvano; con una seconda saetta ei fe cader
l'armilla della sua mano; poi con salde saette tutta sfendè
la sua lorica. Il Paulastide Ràvano, cui fu rotto l'arco, tolto
un altr'arco dal carro, piovve un secondo nembo di saette
sopra Ràma e sul suo carro; e risonava in quella battaglia
un alto fragor di clave, di picche e di mazze ferrate, volanti
contro il Raghuide. Ma l'accorto Ràma respingeva coll'armi
quel gran nembo di teli e di saette, orribile, insopportabile.
I Devi allora ed i Gandharvi, i Siddhi e i sommi Risci
tutti stavano in gran pensiero, veggendo pari quella batta
glia. « Siano salvi i Brahmani e permangano gli uomini in
sempiterno! Vinca il Raghuide in battaglia Ràvano re de'
Racsasi! » Così dicevan essi, mirando quella pugna del
Racsaso e di Ràma.
In quella il Raghuide, conoscitor supremo de' teli, incoc
cata una saetta tagliente e simile ad un serpe venenato ,
spiccò dal corpo la testa di Ràvano. Mirarono allora i tre
mondi quella testa recisa e caduta a terra; ma un'altra testa
simile a quella rinacque subitamente a Ràvano. Quella se
conda testa di Ràvano pur si vide saettata e recisa dal ma
gnanimo Raghuide di pronta mano; ma fu ella appena di
spiccata, ch'ei se ne scorse risorta un'altra; e quella pur
fu vista recisa da Ràma con saette pari a folgori. Eran così
da Ràma in quella battaglia recise con ira e rinascevano a
mano a mano le teste di Ràvano, iniquo Racsaso; e Ráma
non poteva venire a capo d'ucciderlo in quella pugna.
Cento ed una testa, tutte d'egual fulgore, furon così tron
cate, nè però si scorge mancar la vita del re de' Racsasi.
Allora il prode figlio di Causalya, conoscitor di tutte l'armi
dal quale un dì fu spento Màric'a, dal quale furono uccisi
Khara e Dhûsana, Bàli ardente d'ira fra la battaglia e Vi
rådha nella selva Dandaka, il Raghuide agitato da più dubbi
400 RAMAYANA,

così fra sè pensava: Tutte queste mie saette mi furono sem


pre fide nella battaglia; quale è ora la cagione, per cui
hanno esse sì poca virtù contro Ràvano? In tale pensiero
stava fiso il Raghuide ed attento pure alla pugna, e scagliò
un nembo di dardi sopra Ràvano. Ma il re de' Racsasi in
velenito e fermo sul suo carro tempestò allora di rimbecco
Ràma con un nugolo di saette. Progredì innanzi quella gran
pugna tumultuosa ed orrida or su per l'aria, or sulla terra
ed eziandio sopra il vertice de' monti.
Sette giorni e sette notti continuò quella fiera battaglia,
veggenti i Devi, i Dànavi ed i Yaksi, i Pisàci, i Serpenti
e i Racsasi; e per tutto quel tempo punto non allenò nè
dì nè notte, nè un'ora sola, nè un solo istante il combat
timento fra Ràma e Ràvano.
“Ma rammentò allor Màtali al Raghuide: Perchè vai tu così
proseguendo, o eroe, quasi come se ignorassi l'esser tuo?
Sarà oggi fruttuosa la tua nascita, o fortissimo, col porre
che farai a morte in battaglia quel nequitoso Ràvano re dei
Racsasi. Sia oggi appieno satisfatto il venerando Gran Ge
nitore (Brahma) circondato dai Devi e dai Risci, mirando
col suo occhio divino l'esito della nobil tua battaglia, o
eroe. Oggi per opera tua, o uomo eccelso, andranno securi
attorno i Devi coi Gandharvi, i Siddhi e i sommi Risci. Lan
cia o possente, il telo Brahmico ad uccidere colui; chè la
sua morte fu stabilita da Brahma stesso. Tu non dei, o
Raghuide, recider la testa di colui; ei non si vuole, o ec
celso, ferirlo al capo; ei si dee ferire ne' suoi organi vitali.
Ammonito da Màtali con tai detti, Râma prese allora una
saetta ardente e sibilante come un serpe; ei prese in quella
battaglia per lo sterminio di Rávano la saetta donata da Bra
hma, la quale un dì egli ebbe dal venerando Risci Agastya,
saetta già creata in servigio d'Indra da Brahma d'immen
surabile possanza e donata un dì al signor dei Devi che
ambiva la vittoria dei tre mondi. Nella sua parte pennata
stava il vigor del vento e nella sua punta il vigor del fuoco
e del sole; era etereo il suo corpo e nel suo peso era il
peso del monte Mandara e del Meru; ne' suoi nodi eran ri
poste la possanza e la virtù delle Divinità che son più terri
bili, Kuvera, Varuna, Indra e Yama armato di fune.
- YUDDHACANDA, 40l
Allor che il fortissimo Ràma ebbe incantato nel modo
prescritto dai Vedi quella gran saetta folgorante per tutto il
corpo, ben pennata e adorna d'oro, formata col vigor d'ogni
creatura e collo splendor del sole, ardente come il sole
e fummante come il fuoco di finimondo, impetuosa e lace
rante schiere d'uomini, d'elefanti e di cavalli, intrisa di molto
sangue e cosparsa di midolle, spaventosa ed orrida, cagion
di terrore a tutti e pari a un serpente che lambe, porgente
di continuo nella battaglia pasto ai corvi, alle grue e agli
avoltoi, ai sciacali, alle belve e ai Racsasi, tremenda e si
mile a Yama, incantata quella saetta sovrana che toglie ogni
timore agli Icsvacuidi ed al mondo, spegne la gloria dei
nemici e fa lieto chi l'adopra, il possente Raghuide l'incoccò;
e mentrecchè veniva incoccata dal Raghuide quella saetta
sovrana , sbigottiron tutte le creature e tremò la terra. Il
Raghuide pien di sdegno ed oltremodo esacerbato, teso con
forza l'arco, lanciò allora contro Rávano quella saetta che
rompe gli organi vitali. Dirizzata dal poderoso arco d'Indra
ad uccidere il nemico e saldamente unita ad un telo sovrano
si partì volando la saetta. Entrata nell'ampia via del vento,
fummò ella dapprima, poi fiammeggiò, indomabile a guisa
di folgore scagliata dalla mano d'Indra; ed irresistibile come
il destino cadde sul petto del Racsaso e squarciò il cuore
dell'empio Ràvano. Quella saetta intrisa di sangue e mici
diale col suo impeto tolse la vita a Ràvano, e squarciatolo,
andò a terra; quindi, poich'ebbe ucciso Råvano ed ottenuto
il suo effetto, sanguinosa e fulgida, ritornatasi subitamente,
rientrò nella sua faretra.
Caddero ad un tratto cogli spiriti vitali l'arco e le saette
arrovesciati dalla mano di colui privato di vita; e il re dei
Racsasi squallido, svigorito e esanime rovinò dal carro a terra,
sì come Vritra un dì percosso dal fulmine. Il carro di colui
eziandio, che aveva d'ampio ben quattro mila cubiti, si ruppe;
ed il corpo di Ràvano si distese cadendo per lo spazio di due
mila cubiti. Come il videro giacente a terra, i Racsasi rimasti
vivi, perduto il lor difensore ed atterriti, si diedero a fuggire
per ogni parte; e straziati a tergo dai Vànari imbaldanziti,
correvano a furia verso Lanka con facce misere e bagnate
da rivi di lacrime, perchè era spento il lor protettore.
VOL, III, 26
402 RAMAYANA.

Allor levarono gridi i Vànari lieti e vittoriosi, celebrando


la vittoria di Ràma e la morte di Ràvano; e risonaron per
l'aria fortemente i timpani dei Devi, ucciso quel Racsaso
Râvano, che era flagello del mondo. Vittoria! tale altissimo
suono si spandeva su per lo cielo. Spirò soavissimo il vento,
impregnato di fragranze divine, e cadde dal cielo sulla terra
una pioggia di fiori, cospargendo il carro del Raghuide di
fiori divini ed olezzanti. Voci propizie e liete dei Devi esul
tanti, congiunte colle lodi di Ráma sclamavano per lo cielo:
Bene! bene! Cantarono al cospetto di Ràma i sovrani dei
Gandharvi, Närada, Tumburu, Gàrgya, Sudàman, Hähà ed
Hùhtù; e menaron danze davanti al Raghuide le Apsarase
Urvasi, Menaca e Rambha, Panc'ac'àda e Tilottama, tutte
liete della morte del Racsaso. Una letizia immensa si sol
levò fra i Devi e i C'àrani, spento l'orribil Ràvano, terror
dell'universo.
Il Raghuide allora, ucciso il sovrano dei Racsasi, con voce
soave e supremo gaudio così parlò a Sugriva soddisfatto del
suo intento, ad Angada suo amico, a Lacsmano e a Vibhi
sana ed a tutti i Vànari, orsi e cercopitechi: Col possente
aiuto delle vostre braccia, colla vostra prodezza e gagliardia
fu messo a morte quel Ràvano re de' Racsasi che era fla
gello del mondo. Finchè starà la terra, narreranno gli uo
mini quest'opera oltremirabile, amplificatrice della vostra glo
ria. Queste ed altre diverse parole, giuste, opportune ed
ossequenti andò Ràma ripetendo a tutti coloro, rallegran
doli colla sua voce.
Ed eglino letificati con tali parole dal Raghuide, così gli
risposero: Per la forza di te solo, o figlio de'Raghuidi, fu
distrutto quell'iniquo co' suoi duci. Qual possanza era in noi
scarsi di valore per recare ad effetto in battaglia quell'o
pera stupenda che tu hai condotto a fine! Onorato in tal
modo d'ogni parte da que' grandi, Ràma re della terra così
rifulgeva, sì come l'inclito Indra venerato dai Devi.
Allor s'acquetò il vento, si serenarono le plage, si fe puro
il cielo; fermaronsi colà i Devi col magno Indra loro capo
e risplendè il sole di tranquilla luce. Allor Sugrfva, Vibhi
sana e gli altri egregi amici di Ráma, convenuti insieme con
Lacsmano e tutti lieti dellavittoria, celebrarono il Raghuide
W
YUDDHACANDA, 403
vittorioso nella pugna e l'onorarono convenevolmente; e il
fortissimo Dasarathide, spento il suo nemico e fermamente
osservata la sua promessa, così risplendeva sul campo di bat
taglia, circondato dal suo esercito, sì come Indra cinto dalle
schiere dei Devi.

CAPITOLO XCIII.

LAMENTO DI VIBHISANA.

Come videro caduto a terra Råvano col suo auriga e coi


suoi duci, i Racsasi atterriti dalla paura che avean di Räma,
andarono in fuga per le dieci regioni. Si tuffarono alcuni
nell'Oceano, rifuggirono altri al monte; questi si profonda
rono nelle regioni inferne, ricoveraron quelli nelle selve.
Alcuni di que' Racsasi fuggenti dalla battaglia caddero giù
nel mare; altri entrarono in Lanka per amore de'lor figli;
e la città di Lanka tutta allor dirotta ingemiti e ingombra
da turbe di vecchi e di fanciulli era scommossa e scombuiata
in quella fuga de'Racsasi. I magnanimi Vànari alla lor volta
che han vigore di leoni, corrono a Lanka, e là pervenuti
v'entrano; e tutti esultano mirando quella città risplendente
d'ogni sorta di gemme e le sue porte tempestate di pietre
preziose e fulgide d'oro, quella città di Lanka che ha d'ampio
dieci yogani, trenta yogani di lungo ed otto porte, recinta
da otto valli, somigliante ad una massa di nubi autunnali
e costrutta da Visvakarma, divina, formata d'oro ed abbel
lita da giardini, splendente di perle e di lapilli, di coralli
e di bandiere. Mirando Lanka così adorna, i Vànari span
tavano.
Ma Vibhisana riguardando Ràvano suo fratello spento
dalle saette di Ràma, così prese a lamentare coll'animo op
presso dalla piena del dolore: O eroe, possente e rinomato,
esperto d'ogni arme nella battaglia! oh perchè, distese im
mobili le lunghe tue braccia adorne di sandalo e rovesciato
il tuo diadema fulgido come il sole, giaci tu qui ucciso
sulla nuda terra, tu cui abbondano sontuosi letti! Ei pur
avvenne, o eroe, quello che un dì fu da me preveduto. Ma
a te sopraffatto da amore e da insania non piacquero le
404 RAMAYANA,

mie parole; e perchè per orgoglio nè Indragit, nè Praha


sta, nè gli altri Racsasi non seguitarono i miei detti, ecco
or sopraggiunto questo frutto che io previdi ! A ciò riuscì il
disprezzo del verace mio consiglio; così è ito il sostegno della
progenie de' Racsasi ! È caduto a terra il sole, è sommersa
nella tenebra la luna, è estinta la fiamma del fuoco come
inacquato da cento brocche, è oggi spento il fuoco di Rà
vano dall'acqua delle saette versata dalla nube di Râma;
caduto a terra quel prode, sovrano infra i guerrieri, che
più qui rimane al mondo dei Racsasi, or che ha perduto il
suo eroe! Il grand'albero del re de' Racsasi che avea per
istipite la sua fermezza, per fiori la sua progenie, il suo asce
tismo come frutto e la sua radice abbarbicata al suo eroi
smo, fu sconquassato in battaglia dalla bufera di Ràma. Ab
brancato al corpo dal leone degli Icsvacuidi giace a terra
Rávano elefante olente che avea per sanne il suo vigore,
innata l'ira di sua schiatta, l'ebbrezza in luogo d'umor che
cola e il disordinato impeto in luogo di proboscide.
Ma Ráma che tutta conosceva la verità delle cose, ri
spose allora a Vibhisana sopraffatto dal dolore queste ra
gionevoli parole: Costui d'ardente vigore nella battaglia non
perì senza opporre valido sforzo; cadde intrepido costui, la
cui mirabile fermezza mai non venne meno. Coloro che son
costanti nel dovere de' guerrieri, non rimpiangono chi perì
per tale modo; i più pronti e destri al ferire pur cadono sul
campo di battaglia. Or che fu sopraggiunto dalla morte quel
l'accorto eroe da cui furono atterriti in guerra i tre mondi
insieme con Indra, è inopportuno il dolersi. Unque mai per
l'addietro non v'ebbe battaglia con pura e schietta vittoria;
o il prode è ucciso dai nemici, od egli uccide i nemici in
zuffa. Ella è questa l'eterna condizion dello Csatriyo(guer
riero) determinata già ab antico; lo Csatriyo ucciso in bat
taglia non si dee piangere; così ei fu stabilito. Onde tu co
noscendo tale giudicio, sta saldo nella tua forza e fuor d'af
fanno; e pensa ora a ciò che qui s'ha a fare senza metter
tempo in mezzo.
Al fortissimo e regal Ràma che così favellava, Vibhisana
afflitto da dolore rispose prontamente parole opportune in
pro del fratello estinto : Costui che affrontatosi coi Devi in un
YUDDHACANDA, 405
con Indra, mai non fu rotto per l'addietro in alcun conflitto,
venuto con te a battaglia, fu qui rotto, come si frange il
mare, dando di cozzo nella riva. Furon da colui degnamente
protetti gli amici, fruite delizie e ben governati i suoi servi;
ei largì agli amici ricchezze e rivesciò sopra i nemici il suo
odio. Ei mantenne perpetuo il sacro fuoco e sostenne dure
macerazioni; intese ad apprendere intieri i Vedi e fu di
somma prodezza nell'operare. Or per tuo favore, o Ràma,
si forniscano verso costui quegli uffici che son debiti a chi
è morto. Il magnanimo e generoso regal figlio opportuna
mente avvertito con pietose parole da Vibhisana, ordinò egli
stesso che fosse posto sul rogo Rávano: Le inimicizie, ei
disse, han per termine la vittoria; compiuta questa, si de
sidera la pace; or si renda a costui debito onore; ei s'ap
partiene a me quanto a te il farlo.

CAPITOLO XCIV.

LAMIENTO DELLE DONNE DEL GINECEO.

Allorchè udirono che dal magnanimo Ràma fu spento


Ràvano, le donne Racsase sopravvinte dal dolore prorup
pero fuori del gineceo; e forte dibattendosi e sordidate dalla
polvere della terra, coi capelli sparsi, così erano angosciate,
come giovenche cui sia stato morto il toro. Percotendosi il
petto e il capo colle braccia splendenti d'oro, usciron elle
coi Racsasi fuor della porta settentrionale, ed addentratesi
nell'orrido campo di battaglia, si danno colà a cercare l'e
stinto lor signore. O sposo! o protettore! così sclamando
elle per tutto, circuivan rapide quella terra coperta di tron
chi e intrisa di sangue, ingombra di sciacali e d'avoltoi, e
risonante del crocidar de'corvi e del garrir degli aghironi.
Cogli occhi pieni di lacrime e sopraffatte dal dolor dell'e
stinto sposo, gementi a guisa d'elefantesse cui fu morto l'e
lefante duce di schiera, avevan elle perduto ogni lor splen
dore. Scorsero esse quivi allora disteso a terra e pari ad
una massa di nero collirio il prode Rávano di gran corpo
e di gran chiarezza. Come videro colà atterrato e giacente
sulla polvere dell'agone il loro sposo, caddero elle sulle sue
406 RAMAYANA,

membra, a guisa di silvestri repenti piante recise. E chi


abbracciandolo per grande rispetto, fa quivi dirotto pianto,
chi ne stringe colle braccia i piedi, chi gli avvinghia le
mani al collo. Levando alcuna le braccia in alto, si volto
lava su per la terra; alcuna mirando la faccia dell'estinto,
tramortiva; ed un'altra ritirandosi in grembo il suo capo,
piangeva forte afflitta e lavava colle lacrime il suo volto, sì
come è asterso dalle brine un fior di loto. Così rimirando
angosciate Ràvano loro sposo, ucciso nella battaglia, facevan
esse vario corrotto e vie più si riversavano in lamenti.
Colui da cui fu messo in fuga Indra, cacciato in fuga
Yama, da cui Vaisravana suo fratello fu privato del carro
Puspaka, da cui furon più volte atterriti Risci, Gandharvi
e Suri, giace qui spento in battaglia! Colui che mai non
conobbe paura nè degli Asuri, nè de'Suri, nè eziandio dei
Pannaghi (serpenti), ebbe or tal paura d'un uomo! Questi
che non potevano uccidere i Devi, nè i Dànavi, nè i Rac
sasi, giace qui ucciso in battaglia da un uomo d' esigua
forza! Costui che non ebber possanza di vincere nè i Suri,
nè i Yaksi, nè gli Asuri, fu messo a morte da un uomo, a
guisa d'un ignavo qual che sia! Così dicendo, piangevan
dirottamente le donne di Rávano; poi vie più strette dal
dolore rinnovavano i lor lamenti: Col non dar retta agli
amici che ti porgevan di continuo consigli salutari, tu ineb
briato dall'ebbrezza della possanza hai rovinato noi e te stesso.
Tuo fratello Vibhisana che ti diceva parole utili ed affet
tuose, fu da te procurante la tua morte superbamente vil
laneggiato per insania. Se fosse stata renduta a Ràma Sità
Mithilese, non sarebbe sopravvenuta quest'orribile sventura
che ha divelta la nostra radice; sarebbe satisfatto del suo
desiderio tuo fratello, sarebber contenti Ràma, la tua fami
glia e i tuoi amici, non saremmo noi tutte vedovate, nè
lieti i nemici dell'ottenuto intento. Ma tu, crudele, ritenendo
per forza Sità, hai messo ad un tratto in fondo i Racsasi,
noi e te stesso. Egli è bensì vero, o eroe de' Racsasi, che
non fu di tanta sciagura cagione efficiente il tuo amore; il
destino incita ogni cosa e l'opera umana è pur combattuta
dal destino. Questo eccidio de' Vànari e de'Racsasi in bat
taglia e di te insieme, o prode dalle grandi braccia, av
UDDHIACANDA. 407
venne per opera del destino. Nè per ricchezze o blandi
menti, nè per comando o vigoria si può quaggiù rattener
forzosamente il corso del, destino. Così cogli occhi intorbi
dati dalle lacrime menavan lamenti afflitte e dolorose le
donne del re de' Racsasi, a guisa d'aquile marine; ed allo
strepito del pianto che facevan le donne del re de'Racsasi
sul campo di battaglia, parve eccheggiar la città di Lanka.

CAPITOLO XCV.

LAMENTO DI MANDODARI.

Mentre le donne del re de' Racsasi facevan quivi tale la


mento, la maggiore e diletta sua consorte contemplava do
lente lo sposo; e com'ebbe riguardato Ràvano suo consorte
ucciso da Ràma le cui opere son prodigiose, si diede colà
Mandodari a lamentar miseramente: Non era Indra, mo certa
mente, atto a stare a fronte di te irato, o eroe dalle grandi
braccia, o fratello minor di Vaisravana; ed i Risci eziandio
e i Devi, i Gandharvi gloriosi, i Yaksi e i Càrani trepidanti
al tuo cospetto, fuggivan per tutte le regioni; e tu pur fosti
atterrato in battaglia da Ràma semplice uomo! Oh non hai
tu vergogna di starti qui giacendo! Che è questo mai, o
re de' Racsasi! Come mai un uomo seguitato sol da Vànari
potè abbatter te irresistibile, pien di forza e di splendore,
te che un dì desti assalto ai tre mondi! Ei non si può com
prendere che tu si stato morto in battaglia da Ráma, tu
che muti forma a tua voglia e t'aggiri fuor della vista degli
uomini. Io non posso indurmi a credere che Ràma abbia
fatto tal opera in sulla fronte dell'esercito, ch' egli abbia
fiaccato te oltre ogni altro eccelso.
Forsechè sotto forma di Ràma qui venne, penetrando
inosservato co' suoi prestigi, Visnu stesso per la tua morte.
Allorchè sul G'anasthana fu morto Khara tuo fratello, cir
condato da molti Racsasi, non era certo allora un uomo
colui che l'uccise; quando fu da Ràma spento in battaglia
fra la selva Bàli cento volte di te più forte, non era allora
un uomo colui che lo spense; quando entrò nella città di
Lanka insuperabile eziandio ai Devi il prode Hanumat, noi
408 RAMAYANA,

fummo pur già allora tutte sbigottite; e quando fu dai Vánari


costrutta la gran gettata sull'Oceano spaventoso, io sospettai
già allora nel mio cuore che Ràma non era un uomo. Per
chè tu non accogliesti le mie parole, quand'io ti diceva :
«Si faccia pace con Ràma » ei n'è or sopraggiunto questo
frutto. Fuor di ragione, o eroe de'Racsasi, tu hai posto
in Sità il tuo amore per la rovina della tua possanza, della
tua persona e di me stessa. Ben v'aveano altre donne pari
a Sità e soprastanti a colei di bellezza; ma tu caduto in
potere dell'amore non te n'avvedevi. Nè di stirpe, nè di
beltà, nè di leggiadria m' avanzava la Mithilese o m' era
eguale; ma tu per insania a ciò non ponesti mente; a te,
o eroe, dementato dal destino più non era gradito l'intiero
tuo migliaio di donne adorne di beltà e di giovinezza. Non
v” ha quaggiù unquemai per qualsiasi creatura morte senza
indizio che la manifesti; e la tua morte in battaglia ebbe Sità
per suo indizio manifestatore. Or la Mithilese se n'andrà at
torno lieta con Ràma: ed io misera son caduta in un or
ribile mar d'angoscie. Io che un dì m'andava con te a di
porto per lo Nandana ed il Kailàsa, per lo Meru, nel giar
dino di Kuvera e per li divini boschi ameni, che sopra un
carro lucente come il sole, con gran splendore, con ricche
vesti e mirabili ghirlande m'andava contemplando questi e
quelli diversi siti, io fedel tua sposa da quinci innanzi
sventurata avrò invidia d'ogni diletto, privata, o eroe, per
la tua morte d'ogni delizia e d'ogni gaudio. Oh! più non
risplende, or che è disfatto il tuo corpo, o re possente, la
tua faccia già sì bella di gioventù, con vaghe sopracciglia
e limpido sguardo, fatta splendida per l'addietro dalle auree
creste del tuo diadema, miniata e adorna di ciondoli fulgenti,
com occhi tremolanti e inebbriati di voluttà, avvenente, nitida
e di bel sorriso; rotta dalle saette di Ràma ella or giace stesa
sulla terra dell'agone, colle cervella e le midolle sparte, fatta
orrida dalla polvere de' carri. Oh m'è sopraggiunta la notte
postrema che m' ha vedovata e che da me stolta unquemai
non fu preveduta! Era mio padre re dei Dànavi, mio ma
rito signor de' Racsasi, e mio figlio un eroe vincitor d'ogni
nemico; a questo io pensava e m' inorgogliva: ed ora, ahi
misera, orbata de' miei congiunti e di te mio protettore,
YUDDHACANDA, 409
privata d'ogni delizia e d'ogni cosa desiderata, rimarrò in
pianto per anni eterni. Ben era vero quel che diceva il
prestante mio cognato, che stava, cioè, imminente la rovina
di tutti i Racsasi più insigni. Per colpa originata dall'ira e
dall'amore e che vie più sempre andò crescendo,tu hai fatta
priva di protettore tutta questa stirpe de' Racsasi. Ma io non
debbo compianger te celebrato per la tua forza e il tuo va
lore; la mia mente purper istintofemminile si va avvolgendo
in lamenti pietosi. Tu portandone le tue virtù e le tue
colpe, te ne sei ito per la tua via; ma ben compiango me
stessa infelicissima d'esser da te divisa. E tutte queste mi
sere tue consorti, o Racsaso, levan dolenti grida, cadute in
un mar d'affanni per la tua dipartita. Deh perchè, o Rac
saso, pari ad una fosca nube e nobilmente addrappato a
veste gialla stai tu qui giacente, gettando sparte le tue
membra? Perchè a guisa di chi dorme non muovi tu pa
rola, o eccelso, a me afflitta da dolore, a me figlia di Maya,
nata dalla figlia del re de' Dànavi? Sorgi, o re l a che
stai tu qui giacendo? e perchè non mi parli? Careggia, o
eroe dalle grandi braccia, me tua consorte diletta e madre
de'tuoi figli. Ecco è ora infranta quell' asta lucente come
sole e pari alla folgore d'Indra, con cui tu solevi rompere
in battaglia i nemici; spezzata dalle saette è or dispersa
per ogni parte quella tua clava poderosa, con cui tu ris
plendevi, o eroe. Onito sia questo mio cuore, che, te di
sciolto ne' cinque elementi, non iscoppia, stretto dal dolore,
in mille parti!
Così lamentando cogli occhi offuscati dalle lacrime e col
cuor combattuto dall'amore, la regina tramortì. Ma le spose
sue compagne tutte piangenti e forte afflitte, sollevando colei
sì fattamente addolorata, la sostennero d'ogni intorno; e, o
regina, le dicevano, colui non conobbe la sorte instabile
degli uomini; col volger dell'età sopravviene la sventura;
è misera la fortuna pur volubile dei re! Mentre così le favel
lavano costoro, piangeva ella con alti gridi, bagnando afflitta
e china con gocce di lacrime il suo seno.
In questo mezzo Ràma così parlò a Vibhisana: Sian or
renduti a tuo fratello gli estremi onori; e si consoli la turba
delle donne. Ma il veridico Vibhisana, conoscitor del dovere,
410 RAMAYANA.

ben considerata ogni cosa colla sua mente, rispose a Ráma


queste parole opportune e giuste: A me non si conviene
render gli estremi onori a colui che, postergata ogni os
servanza di giustizia, fu crudele, iniquo e oltraggiatore
delle donne altrui. Sotto apparenza di fratello mi fu colui
nemico e intento al danno d'ognuno; non è Rávano degno
d'onore, benchè gli si debba osservanza per la rispettabile
qualità d'essermi fratello maggiore. Ben mi diranno cru
dele i Racsasi sulla terra; ma tutte l'altre genti mi chia
meran virtuoso. Il fuoco non arderà colui arso nel mondo
dall'infamia.
Udite quelle parole, Ràma pien d'umano affetto così rispose
perito nel favellare a Vibhisana esperto parlatore: Altiero od
umile od anche nemico sul campo di battaglia, il maggiore,
o prode, allor che è spenta la guerra, è riputato pur mag
giore. Quando costui che è tuo fratello, o Vibhisana, giace
qui vinto, si perdoni al vinto ogni sua colpa; chè le guerre
han per termine la vittoria. Ovvero tal ne sia, qual egli
è conveniente e secondo che ti va all'animo; chè io ben
veggo che la giustizia non è occulta alla tua mente. A me
pur si conviene far ciò che t'è caro; ch'io ebbi vittoria
per tuo favore; Râma fu qui causa della vittoria, e Vi
bhisana ne fu la radice; ma io debbo di necessità, o pre
stantissimo de'Racsasi, dirti ciò che è convenevole. Ben
egli è vero che questo Racsaso fu mentitore e iniquo; ma
ei fu pur sempre valoroso e prode ed eroe nelle battaglie.
Mai non s'udì che ei fosse vinto dai Devi capitanati da In
dra; questo Ràvano flagello del mondo fu pur magnanimo
e forte. Per tua grazia, o poderoso e conoscitor del giusto,
merita costui gli estremi onori conforme ai riti; e tu ono
randolo n'amplierai la tua gloria.
Così esortato dalle parole di Ràma, ordinò Vibhisana nel
modo prescritto dai riti tutte le funebri ceremonie che ap
partengono ai propinqui; ed impose il compierle ad Avin
dya e a tutti gli altri ministri anziani e grandemente ri
putati dicendo : « Si rendano al re gli estremi onori ».
Consolate quindi tutte le donne di Rávano, egli conoscitor
del tempo ed esortato da Räma diede al fratello l'acqua
lustrale secondo l'ordine dei propinqui, conforme alla nor
YUDDHIACANIDA, 411
ma stabilita ed al dettato delle sacre dottrine ; e rinnovati
i conforti alle donne, le fece rientrar nel gineceo. Rien
trate nel loro abitacolo tutte le donne Racsase , Vibhisana
accostatosi al fianco di Râma , si fermò umile in atto; e
Ráma coll'esercito, con Lacsmano e con Sugriva letiziava,
ucciso quel fiero suo nemico , sì come Indra, ucciso Vri
tra. Deposto allora l'arco e le saette e l'aurea lorica, dono
d'Indra, e disfogata l'ira nel domare il suo avversario,
tornò Ráma a poco a poco alla natural sua placidezza, co
me la luna alla sua serenità.

C AP IT O L O X C VI.

ESEQUIE DI RAVANO.

Ma, conoscendo il pensiero de'congiunti desiderosi di ren


dere a Rávano quegli uffici che fan partecipe del cielo, or
dinò Ráma gli onori esequiali. Quindi per comando di Su
grfva i Vánari di terribile forza raccolsero qua e là legni
di sandalo e d'agalloco, foglie di lauro, radici d'andropogo
e legni d'albero di paradiso, priyangu, michelie e siloè nero,
olibani e polvere di fior di mesua, arsenico rosso, sandalo
ed hedysaro. Recarono pur prontamente i duci de' Vànari
dai quattro grandi mari urne piene d'acqua, ed apportaron
fiori colti sopra sette speciali monti. Fece poscia recar Vibhi
sana poe purificatrici, latte rappreso e liquido, e burro chia
rificato, la sacra cucchiara, le patere e gran quantità di le
gna, e dalla casa di Rávano il sacro fuoco non mai venuto
meno; quindi eseguì secondo i sacri prescritti la ceremonia
esequiale con ogni suo rito ordinatamente, secondo che era
conforme alla ragion del dovere, e così che ella fosse in
ogni sua parte perfetta, purissima, sempiterna e venerata
dai buoni.
Deposto Rávano in luogo puro, si diedero i servi ad er
gere il rogo con legni di sandalo al suo sommo, fatto con
mesue e nobile agalloco, ed eminente per alti e scuri si
loè. Costrutta con ogni sorta di legni odoriferi quella grande
ed eccelsa pira, e postovi sopra addrappato di veste di lino
il re di Lanka, l'adagiarono, inchinati, sopra uno strato i
412 RAMAYANA,

Racsasi. Quindi i conoscitori dei Vedi presero a compiere


la postrema ceremonia esequiale del re de' Racsasi, la su
prema oblazion dei morti; e disposero l'altare fra meriggio
ed oriente e ne' convenienti siti il sacro fuoco. Vibhisana
poi venendo tacito offerse pieno di burro il cucchiaio di legno;
tutti quindi i Brahmani di Ràvano, suffusi di lacrime il volto
offersero piene di burro liquido e di latte rappreso, conforme
al rito, tutte l'altre cucchiare: ei posero a' suoi piedi il carro e
infra le coscie il sacro mortaio, e fecero disporre nel mezzo
più arbori che portan fiori e frutti. Offerto quindi il pestone
al magnanimo Rávano nel sito convenevole, ed ucciso poscia,
nel modo prescritto dalle sacre dottrine e stabilito dai grandi
Risci, l'animale del sacrificio per Ràvano loro re, gettarono
i Racsasi nel fuoco tutto lo strato di poe unto di liquido bur
ro. Con animi addolorati e con volti suffusi di lacrime ei
cosparsero poscia Ràvano di profumi, di ghirlande e di
grani abbrustolati; quindi Vibhisana v'appiccò il fuoco, con
forme al rito; e divampò allora la fiamma, che tutto con
sumò il corpo di Ràvano.

CAP IT o L o X C v II.
CONSECRAZIONE DI VIBHIISANA A RE.

Lieti della morte di Ràvano se n'andarono per lo cielo


sopra i lor carri i Devi, i Gandharvi e i Dànavi, parlando
nobili parole. Ei celebravano la terribil morte di Rávano e
la possanza di Ràma, il valoroso pugnar dei Vànari e il
consiglio di Sugriva, il devoto affetto e la prodezza di La
csmano Saumitride, la fedeltà di Sità al suo sposo e la forza
d'Hanumat.
Ma Râma, il grande saggio, accommiatato il carro divino
e lucente come sole, che Indra gli avea mandato, rese onore a
Màtali: Tu hai mostrato, gli disse, l'alta tua possanza e m'hai
fatto cosa sommamente cara; ritorna ora da me congedato
alla celeste sede dei Devi. Datogli per tal modo commiato
da Ràma, Màtali auriga d'Indra, stando sul carro divino,
si levò suso al cielo. Salito l'auriga al cielo, il Raghuide,
vincitor sovrano, dopo aver favellato a tutti que' duci e con
YUDDHACANDA, 413
dottieri de' Vànari, così disse pieno di gaudio a Sugriva:
Felicemente per tuo favore ho io ottenuto quel che il mio
animo desiderava, ed ho adempiuta la mia promessa, ponendo
a morte quel Racsaso sì infesto ai Devi. Altro rimane ora a
farsi, e sarà, io penso, di gran contento all'animo d'ognuno, ciò
è ch'io vegga Vibhisana sacrato re in Lanka. Quindi s'avviò
il Càcutsthide col suo séguito, circondato dai più prestanti
Vànari; e così parlò al buon Lacsmano Saumitride, dotato
di fauste note, che gli stava al fianco: Sacra, o caro, con
acqua lustrale a re di Lanka questo Vibhisana, che m'è
devoto e benaffetto e mi prestò valido aiuto. Egli è questo
il supremo mio desiderio, o amico, ch'io vegga Vibhisana
fratello minor di Råvano sacrato a re di Lanka.
Così esortato dal magnanimo Raghuide, e risposto: « Così
farò » il Saumitride tutto lieto tolse un vaso d'oro, e con
quel vaso egli sacrò per comando di Ràma ed in presenza
de' Racsasi Vibhisana a re di Lanka, aspergendolo d'acqua
lustrale. Il giusto Saumitride circondato da schiera d'amici
sacrò il giusto Vibhisana nel modo prescritto dalle sacre
dottrine. Letiziarono i suoi amici ed i Racsasi che gli eran
devoti, allor che videro Vibhisana sacrato re di Lanka, e
Vibhisana ottenuto quell'ampio regno donatogli da Ràma
e confortati i suoi sudditi si raccostò quindi al Raghuide.
Allora i Racsasi cittadini offersero quivi esultanti umidi
grani e grani abbrustoliti, confetti e vaghi fiori; e l'invitto e
prode Vibhisana, ricevute tutte quelle fauste offerte, ne fece
dono a Râma e a Lacsmano.
Veggendo averVibhisana compiuto l'arduo assunto e recato
ad effetto il suo intento, accettò Ràma ogni cosa per desiderio
di fargli cosa cara; poi così parlò al poderoso Vánaro Hanu
mat, pari ad un gran monte, che gli stava dinanzi in atto
reverente : Ottenuta licenza da questo sovrano re Vibhi
sana ed entrando nella città di Lanka, va, o amico, a dir sa
lute alla Mithilese; narra, o eccelso fra i vincitori, alla Vi
dehese, ch'io son sano e salvo con Lacsmano e con Sugriva
e che Ràvano fu ucciso in battaglia; rapporta colà a Sità
questa cara novella, o egregio Vánaro, e ricevuti gli ordini
suoi, fa, te ne prego, qui ritorno.
414 RAMAYANA,

CAPITOLO XCVIII,

GAUDIO DI SITA.

Commessogli quell'incarico, entrò il Màrutide Hanumat


nella città di Lanka, onorato da tutti i Racsasi; ed inter
natosi nell'opulenta reggia di Ràvano, scorse quivi quel va
loroso priva d'onori l'incolpabile sposa di Ràma. Salutata,
inchinandosi, modesto ed umile in atto la Mithilese, ei prese
a riferirle tutte le parole di Râma: È sano e salvo, o Mi
thilese, Ràma con Lacsmano e Sugriva; e quel domatore
de' nemici, ucciso il suo avversario ed ottenuto il suo in
tento, ti manda salute. Ràma, o regina, coll'ausilio di Vi
bhisana, coi Vànari, con Lacsmano e con me insieme, ha
messo a morte Râvano. Io t'annunzio, o regina, la grande
e cara vittoria di Ràma; tu ne ingrandisci felicemente, o
pia; accogli questo trionfo. Io ho ottenuto vittoria, ti dice
Ráma; sia tu lieta e senza affanno, o Sità. È spento quel
Ràvano mio nemico, che tenne Lanka in suo potere. Quella
promessa di riconquistarti, nella quale io perseverai costante
senza pigliar mai sonno, io l'ho adempiuta; ed ho valicato
l'Oceano, sede di Varuna. Più non dee oramai darti timore
il dimorar nella casa d'un Racsaso; chè la signoria di Lanka
è or posta nelle mani di Vibhisana. Onde confortati con
fidanza; tu sei nella tua propria magione; ed io or ora ne
vengo a te esultante ed anelante alla tua vista.
A que' detti Sità dal volto soave come la luna si levò su
di botto; ma tutta intrachiusa dalla gioia, nulla disse. Allor
l'egregio Vànaro così parlò a Sità che nulla rispondeva: A
che pensi tu, o regina? e perchè non mi rispondi? Così
interrogata da Hanumat e piena di giubilo, Sità salda nella
via del dovere così rispose con voce interrotta dall'allegrezza:
Udendo questa cara novella, la vittoria suprema del mio
sposo, io sopraffatta dal gaudio divenni in quel momento
inetta a formar parola. Perocchè io nulla veggo sulla terra,
che pareggi la giocondità del caro tuo annunzio, o amico, nè
oro, nè vesti, nè gemme; questo io t'affermo sulla mia fede:
ond'io soprappresa da gran gioia in quel punto ammutolii.
YUDDHACANDA, 415
A quelle parole della Videhese così rispose il Vànaro tutto
lieto, colle mani giunte e concave sulla fronte e stando di
nanzi a Sità: O donna tutta intesa al bene ed all'amore del
tuo sposo e che t'allegri della sua vittoria, tu sola puoi
muovere parole piene di sì caro affetto. Questi tuoi detti,
o regina, sustanziosi e degni son pari a grazioso dono di
molte gemme, pari di valore al regno dei Devi. Io ho, o re
gina, conseguito invero e regno ed alto favore; poichè io
veggo qui Ráma vittorioso aver ucciso il suo nemico. Or
io ti chieggo, o regina, una sola grazia grande e cara; tu
concedimila per amore, e sia tu poscia condotta alla pre
senza di Ràma. Io udi già queste Racsase deformi dirti
sovente per comando di Ràvano aspre parole. Or io voglio
con molte e diverse battiture percuoter quelle Racsase or
ribili e fiere, crudeli nel lor procedere; tu concedimi que
sta grazia. Con pugni e colpi di calcagni, con picchiate di
braccia e fiere botte di ginocchia, col pestar loro e travol
ger gli occhi, col tagliar loro orecchie e naso e stracciare
i lor capelli, col batter forte e conquassar quelle turpi dal
l'unghie secche, con tali e più altre busse e sfregi io pu
mirò, o leggiadra e gloriosa, quelle Racsase da cui tu fosti
un dì oltraggiata.
Uditi que' detti d'Hanumat, la Videhese figlia di G'anaca,
dopo aver fra sè pensato, gli rispose sorridendo: Un nobil
Vánaro, qual tu sei, non dee adirarsi contro donne soggette
al re che è lor sostegno, operanti conforme all'altrui co
mando, obbedienti e serve. Per colpa dell'avversa mia for
tuna, per le male mie opere antecedenti ei m'incolse tutto
questo; chè si raccoglie il frutto delle proprie azioni. Io
doveva venire a tal condizione, siccome a necessaria con
seguenza; tale è il fermo mio parere: nè io debole donna
m'adiro contro le serve di Rávano. Per comando di Rávano
m'oltraggiavano queste Racsase; or che colui fu spento ,
perchè maltratteresti tu costoro, o Márutide? Odi, o Vànaro,
questo carme antico e conforme al giusto, che in presenza
d'una tigre cantò già un orso: « Non contrae altri macchia
di colpa per le nequizie che altri commette; ei vuolsi da
te osservar tale norma: perocchè ella ha forma di ragion
morale ». Nell'eseguire per instigazione di chi gli è donno
416 RAMAYANA,
opere malvagie o ree od eziandio degne di morte, nessun
servo commette colpa; e benchè i Racsasi nequitosi vadano
attorno facendo offesa alle genti e commettano opere inique,
non è da stimarsi reo il loro operare.
Uditi que' detti di Sità, Hanumat esperto dicitore così ri
spose alla gloriosa consorte di Ràma: Son giuste le parole
che disse Sità regal consorte di Ràma; or commettimi, o
regina, gli ordini tuoi, ed io ritornerò colà dove sta il Ra
ghuide. A que' detti d'Hanumat rispose la Videhese figlia
di Ganaca: Io desidero vedere il mio sposo, o egregio Vá
naro. Udite tali parole, il Màrutide Hanumat, eccelso fra i
Vànari, così parlò, rallegrando la Mithilese: Tu vedrai, o
mobil donna, insieme con Lacsmano Ràma , il cui volto è
soave come piena luna, i cui amici son costanti ed i nemici
disfatti, sì come Saci vede in cielo Indra re dei Devi. Così
detto alla fulgida Sita, pari a Lacsmi fortunata, s'avviò il
prestante Hanumat là dov'era il Raghuide.

CAPITOLO XCIX.

ABBocCAMENTo DI RAMA CoN sITA.

Pervenuto colà, quel Vànaro d'alto senno così parlò al


prode Ràma, prestante fra tutti gli arcieri: Ti piaccia veder
la pia Mithilese addolorata, per cui cagione fu fatta questa
impresa ed ottenuto finalmente il frutto di tante geste; la
Mithilese afflitta ed offuscata dalle lacrime gli occhi, udita
la tua vittoria, tutta si strugge di vederti.
Così esortato da Hanumat, Ràma egregio fra i giusti entrò
subitamente in pensiero , alquanto suffuso di lacrime; e
traendo lunghi e caldi sospiri, e tenendo gli occhi fisi a
terra, così disse egli quindi a Vibhisana re de' Racsasi: Fa
che qui venga a me la Mithilese Sità, astersa con acqua il
capo, profumata d'unguenti divini e adorna di divini ornati.
Conforme a que' detti di Ràma, s'affrettò Vibhisana, ed en
trato nel gineceo, disse in atto reverente a Sità: Astersa
con acqua il capo ed ornata d'ornamenti divini, sali in let
tiga, o Videhese, se tu sia felice; desidera vederti il tuo
sposo.
YUDDHACANIDA, 41
A quelle parole di Vibhisana rispose la Videhese: Bramo,
o re de' Racsasi, vedere il mio sposo senza pure astergermi
Intesi que' detti, rispose Vibhisana: Ti piaccia, o regina »
far così, come disse il tuo sposo. Così esortata, la donna
Mithilese a cui lo sposo è come Nume, pia e tutta compresa
dalla forza del suo affetto, rispose: «Così farò ». Quindi,
com'ella ebbe asterso il capo e fu addobbata da giovani
donne e parata d'ornati di gran pregio ed abbigliata di ve
sti sontuose, fattala salire in una splendida lettiga, coperta
di nobili strati e portata da molti Racsasi, s'avviò con lei
Vibhisana. -

I prestanti Vànari allora presi da curiosità s'affoltarono


a centinaia ed a migliaia, desiderosi di veder la Mithilese:
Qual sarà, dicevan essi, la beltà di Sità? Qual sarà costei
che è fra le donne una perla, per cui cagione si mise a
tanto rischio questo popolo di Vànari, per cui cagione fu
spento Ràvano re de' Racsasi e congegnata sull'acque dell'O
ceano una gettata di cento yog'ani?
Udendo così d'ogni parte i sermoni di coloro e seguitando
la lettiga, il signor de' Racsasi s'inoltra pur verso Ràma;
e venuto dinanzi a quel magnanimo immerso in gravi pen
sieri, tuttochè vittorioso, gli annunziò inchinato e lieto: « Fu
qui condotta Sitá ».
Come udì giunta colei che era dimorata sì gran tempo
nella casa d'un Racsaso, Râma fu assalito da tre affetti in
sieme, ira, tristezza e gioia; e rivolgendo l'occhio da lato
e dubbioso fra sè pensando, così parlò il Raghuide a Vi
bhisana quivi entrato: O monarca dei Racsasi, mio amico e
intento sempre alla mia vittoria, venga tosto al mio cospetto
la Videhese. -

Udite le parole di Ràma, fece Vibhisana immantinente


sgombrar quivi d'ogni intorno. Famuli abbigliati di giubbetti
e di turbanti, e tenenti in mano tamburi e canne s'aggiraron
per ogni parte, facendo con forza dare addietro. Torme di
Vánari, d'orsi e di Racsasi respinti d'ogni parte si trassero
allor più lontano; e si levò uno strepito altissimo da quelle
genti che eran fatte rinvertire, pari allo strepito de' mari
rigonfiati dal vento.
Ma il Raghuide veggendo coloro respinti d'ogni intorno
VOL, III. 27
418 RAMAYANA.

e sgominati, prese a discostarli con destrezza e con amore;


ed inacerbito e quasi ardendo col suo occhio, disse Ràma
al saggio Vibhisana queste parole di rimprovero: Perchè,
non avendo tu a me riguardo alcuno, molesti tu questa
gente amica? Non far tu noia a costoro; chè questa gente
è mia propria gente.
La pia Sità tutta attenta alle parole del suo sposo e per
tal modo vilipesa, sostenne dentro sè irresistibile sdegno;
rimirando quindi il Raghuide e pur pensando fra sè stessa,
la gentil figlia di Ganaca, chiusa dentro sè la sua letizia,
la rattenne.
Il saggio Raghuide in quella con forte voce, risonante
come un gruppo di grandi nubi, così parlò a Vibhisana: I
sudditi sono al re in luogo di figli; questo è a te pur noto
di certo: mirino or dunque la lor madre queste genti che
m'han vaghezza. Non son difesa alla donna nè case, nè vesti,
nè vallo, nè omaggi od altro regale onore, bensì l'onesto
suo costume. Nelle sventure, nei connubi, nella pubblica
scelta che fan d'uno sposo le donzelle, nelle solennità del
sacrifizio, nelle sponsali adunanze è dato a tutti il veder
donne. Costei fu racquistata con lunga guerra e dimorò nella
casa di Rdvano combattuta da duri affanni; non v'ha colpa
nel riguardarla or qui, sopratutto in mia presenza. Lasciata
pertanto la lettiga, conduci pedestre al mio cospetto la Vi
dehese, e la veggano tutti i Vànari.
Così impostogli dal Raghuide, Vibhisana tutto fra sè pen
soso diede opera a condur Sità al cospetto del magnanimo
Ràma. Ma uditi que' detti del Raghuide toccanti Sità, i
Vànari e tutti i sudditi Racsasi con Vibhisana loro duce si
guardarono l'un l'altro, e dicevano: Che farà egli mai Rà-
ma? Si scorge in lui occulta l'ira: e ne dà indizio il suo
aspetto. Così stavano in timore tutti coloro, veggendo gli
atti di Râma, ed erano sopraffatti da insolito sgomento e
insospettiti. Ma Lacsmano e Sugriva ed Angada figlio di
Bàli stavan tutti vergognosi, sopra pensiero e simili a morti;
e dagli atti terribili di Ráma noncurante della sua donna,
giudicarono esser ella abbandonata dal suo sposo, a guisa
d'una ghirlanda gettata via.
In questo mezzo la Mithilese seguitata da Vibhisana e tutta
YUDDRIACANDA, 419
in sè ristretta per vergogna s'appressava al suo consorte. La
videro tutti coloro proceder simile a Lacsmi vestita di corpo
umano, pari ad una Divinità di Lanka, somigliante a Prabhà
(la Luce) sposa del Sole; e mirando la regal Sità donna
sovrana, entrarono tutti que''Vànari in gran meraviglia dello
splendor della sua beltà e del suo fulgore. Ella allora col
volto cosparso di lacrime per pudore in quell'adunanza di
gente, pervenuta dinanzi al suo sposo si fermò, sì come la
bella Lacsmi dinanzi a Visnu; ed il Raghuide mirando colei
bellissima in tutta la persona e di forme divine, lacrimoso
e con animo insospettito nulla disse. Smorto in volto, ondeg
giante, come in un pelago, fra lo sdegno e l'amore, era Ràma
oltremodo rosso gli occhi e intento a rattener le lacrime; e
contemplando ferma dinanzi a sè la sua donna piena d'an
goscia, coll'animo turbato dal pudore e tutta pensosa a guisa
d'una derelitta, mirando quella giovane donna rapita un dì
dal Racsaso per forza ed afflitta da lunga cattività, rimasa
viva a gran pena e come tornata dalla sede del re de' morti,
guardando quell'innocente, pura d'animo e irreprensibile,
tolta via per violenza dal deserto romitaggio, nulla le disse
Ràma. Per tal modo, cogli occhi ingombri di lacrime e
pudibunda in quell'adunanza di genti, stava piangente Sità,
venuta al cospetto del suo consorte, e andava esclamando:
O mio sposo!
Udendo quel suo lamento, si diedero a piangere assaliti
da dolore tutti que' duci de'Vànari ed avean gli occhi of
fuscati dal pianto; ed il Saumitride tutto turbato, nascon
dendo colla veste il suo volto, si sforzava di frenar le la
crime, costante nella sua fermezza. La leggiadra Sità allora,
veduta quella grande alterazion del suo sposo e rimossa la
vergogna, si pose davanti a lui. Deposto l'affanno e raccol
tasi alla sua virtù, rattenendo colla forza dell'animo le la
crime e conscia dell'interna sua purezza, la preclara Vide
hese fisando il volto del suo sposo, per lo stupore, per la
gioia, per l'amore, lo sdegno e la fatica appariva con diversi
aspetti.
420 RAMAYANA,

C A PIT O IL O C.

SITA RIPUDIATA.

Mirando in quell'atto la sua donna, Räma pien di so


spetto prese a manifestare il pensiero che gli stava dentro
l'animo: Tu fosti da me riconquistata in battaglia, o nobil
donna, dalla mano del mio nemico; ciò che dovea farsi da
mano e da vigoria virile, io l'ho eseguito. Ho disfogato la
mia ira e lavato l'oltraggio fattomi; ho tolto via ad un
tratto il mio nemico e la mia onta. Or fu conosciuta la mia
possanza ed ottenne il suo frutto la mia fatica; sdebitato oggi
della mia promessa son io qui donno di me stesso. Quella
colpa preparata dal destino per cui tu rimasta sola fosti ra
pita da un Racsaso fraudolento, fu vendicata colla forza. A che
gioverebbe la possanza, tuttochè grande, all'uomo ignavo che
non pensa ad astergere col suo vigore il dispregio avuto?
L'Oceano valicato e lo sconquasso di Lanka, tutta la grand'o
pera d'Hanumat ottenne oggi il suo frutto. Fu fatta oggi
proficua la fatica dell'esercito e di Sugriva che ne consigliò
utilmente e combattè da forte nella battaglia. E oggi pur
profittevole la sua fatica a Vibhisana che, abbandonato l'in
degno suo fratello, se ne venne a me spontaneo.
Mentre Ráma diceva tali parole, Sità cogli occhi aperti
e fisi a modo d'una antilope, stava tutta lacrimosa. Ma ri
guardandola Râma, vie più crebbe la sua ira; e raggrot
tando le ciglia sulla fronte e volgendo biechi gli occhi,
disse a Sità aspre parole in mezzo de'Vànari e de' Racsasi:
Quel che dovea fare un uomo che lava l'affronto ricevuto,
io l'ho fatto riconquistandoti, ed ho difeso il mio onore.
Or sappi, o nobil donna, che quella fatica di battaglie,
ch'io ho superata co'miei amici, io l'ho presa per isdegno
e non a cagion tua, l'ho presa per difendere il giusto ed
eseguire in tutto il comando impostomi di proteggerti e per
toglier via l'oltraggio fatto all'inclita mia prosapia; tu fosti
da me indegnato riconquistata, o eccelsa, dalla mano del
mio nemico, sì come già fu dal Muni Agastya conquistata
la region meridionale difficile a superare. Or tu che mi
YUDDHIACANDA, 42l
stai qui dinanzi e la cui onestà è venuta in dubbio, tu mi
sei forte a disgrado, sì come una lampa ardente a chi ha
l'occhio infermo. Vattene perciò a tua posta; io ti licenzio,
o figlia di G'anaca; vattene per queste dieci regioni, o in
clita; nulla ho io più a far con te. Imperocchè qual uomo
valoroso e nato di nobile stirpe ritoglierebbe con animo
inquinato di lordura una donna che dimorò nell'altrui casa?
Come potrei io, mentendo alla grande mia prosapia, ritoglier
te che fosti sì lungamente combattuta in grembo a Ràvano e
guardata con occhio impuro? Io ho ricuperato quella gloria,
per cui cagione tu fosti da me riconquistata; or più non v'ha
fra te e me vincolo d'affetto; vattene perciò a tua posta;
questo io t'ho detto, o preclara, con mente deliberata. Ri
volgi ora a tua posta il tuo pensiero a Lacsmano od a
Bharata; poni, o Sità, a tuo piacere l'animo a Sugriva re
dei Vànari od al Racsaso Vibhisana. Perocchè Ràvano veg
gendoti dotata di beltà divina, giovane e gioconda all'ani
mo, non t'avrà certo risparmiata, o Sità, mentre dimoravi
nella sua casa.

CAPIToLo CI.
L'ENTRAR DI SITA NEL FUOCO.

A que' detti acerbi e spaventevoli del Raghuide adirato,


rimase oppressa dall'angoscia la Videhese. Udendo nel co
spetto di tanta gente quelle orribili parole del suo sposo,
non mai udite per l'addietro, la Mithilese stava china per
vergogna; e ritraendosi quasi nelle sue membra, la figlia
di G'anaca, come trafitta dai dardi di quelle parole, versò
rivi di calde lacrime. Ma tergendo poco stante il suo volto
inumidito dal pianto, prese ella lentamente e con voce inter
rotta a dire al suo sposo queste parole: Tu vuoi, o re su
premo, dare ad altri, come si fa d'una danzatrice, me nata
d'alta stirpe ed accasata in una stirpe illustre? Perchè mi
muovi tu, o eroe, sì come ad una vil donna, tali parole
aspre e sconvenevoli, orribili ad udire? Io così non sono,
o uom dalle grandi braccia, come tu mi credi; abbi fede
in me; a te lo giuro per l'opere mie pie. Ben egli è vero
422 RAMAYANA,

che conviene stare in sospetto delle donne; ed a ragione


tu sospetti, o Râma: ma deponi questo tuo dubbio, se tu
m'hai per l'addietro conosciuta a certa prova. Se io, o si
gnore, toccai il corpo del tuo nemico, non fu ciò effetto del
mio desiderio; quella fu colpa del destino; ma era in balía
di me il mio cuore, e questo rimase tutto devoto a te solo.
Che avrei potuto far io priva di possanza per difendere
le mie membra che erano in balía altrui? Io unque mai
non t'offesi neppur colla mente; e per questo vero ch'io
t'affermo, mi diano sicuranza i Devi onnipossenti. Se io
non ti son conosciuta ed apprezzata, o dator d'onore, per
lo mio animo, per l'indole pura e per l'intimo mio af
fetto, io ne son perduta in eterno. Quando fu da te, o
prode, mandato Hanumat esploratore, mentr'io dimorava
in Lanka, perchè non fui io allora da te ripudiata? chè io
allora da te derelitta, o eroe, in presenza di quel duce dei
Vànari e immantinente dopo le sue parole mi sarei sciolta
dalla vita; nè avrebbe avuto luogo quest'inutile tuo trava
glio ed il pericolo a cui ponesti la tua vita; non avrebber
presa i tuoi amici questa fatica infruttuosa. Tu, o prestante
fra gli uomini, coll'abbandonarti pure all'ira seguiti, a guisa
d'un uom leggiero, la natura femminile. La mia nascita
dal seno della terra, benchè si finga ch'io nacqui da G'a
naca, la mia condotta e l'onesto mio costume, tutto ciò non
è da te apprezzato. Non è da te riputata qual prova d'amore
la mano che tu giovane stringesti nella mia giovimezza; la
mia onestà e il devoto mio affetto, tutto fu da te poster
gato. -
Così parlando e piangendo e favellando con voce interrotta
dalle lacrime, la misera Sita, tutta fisa nel suo pensiero,
disse a Lacsmano: Apprestami un rogo, o Saumitride, ri
medio a tanta mia sventura; trafitta da calunnioso oltrag
gio io più non posso sostener la vita; abbandonata nel co
spetto di tanta gente da uno sposo sommamente da me
diletto per le sovrane sue virtù, me n'andrò ora per quella
via che sola mi conviene ed entrerò nel fuoco.
A que' detti della Mithilese, Lacsmano struggitor degli eroi
nemici, combattuto da pensieri dubbiosi, mirava fiso il volto
di Räma. Ma conosciuta la mente del Raghuide significata
YUDDEIA CANDA, 423
dal suo sembiante, si diede il prode Saumitride ad appre
stare il rogo, conforme alla mente di Râma: chè nessuno
in quel momento avrebbe potuto raddolcire il Raghuide so
praffatto dall'ira e dal dolore, o favellargli o pur guardarlo.
In quella la Videhese, girato da man destra intorno a Ràma
che stava col volto chino, s'appressò al fuoco ardente; ed
inchinatasi ai Devi ed ai Brahmani e giunte le mani sulla
fronte, così parlò dinanzi al divo Fuoco:
Sì come io nè con opere, nè con parole, nè col corpo
mai non farei offesa a Ràma nè in occulto nè in palese, sì
come il mio cuore unquemai non si scostò dal Raghuide,
così mi protegga appieno questo Fuoco onniveggente.
Ciò detto ed aggiratasi intorno al fuoco, la Videhese
pronta ad entrar nella fiamma così parlò: Tu, o Fuoco,
penetri per entro il corpo di tutte le creature; tu dimorante
nel mio corpo e testimonio salvami, o ottimo fra gli Dei.
Udendo que' detti di Sità, tutti i duci de'Vànari avevan
la faccia velata di lacrime e pur piangevan lenta e dirot
tamente.
Allor la Videhese dai grandi occhi, salutato il Raghuide
atteggiata di reverenza, entrò nella fiamma ardente con
animo securo; e il popolo numeroso di vecchi e di fanciulli
quivi accolto vide la misera Mithilese entrar nel fuoco.
Mentr' ella entrava nella viva fiamma, levarono un altissimo
grido che parve mirabil cosa, i Racsasi ed i Vànari gri
danti: Oimè! oimè! ed ella pari ad oro eletto e terso e
tutta adorna d'oro brunito cadde nella fiamma ardente, come
fa nel sacrificio la sacra offerta.

CAPITOLO CII,

LODI DEL GRAN PURUSA (VISNU).

Il pio Ráma allora pien d' angoscia, udendo le voci


proferite da coloro, rimase per breve tempo cogli occhi
pieni di lacrime. In quella il re Vaisravana e Yama in
sieme. coi Padri, Indra re dei Devi e Varuna signor del
l'acque, l'inclito Siva Mahâdeva che ha per vessillo il toro,
il venerando e eccelso Brahma creator del mondo intiero
e il re Dasaratha splendido come il signor dei Devi e cam
424 RAMAYANA,

minante per aria sopra un carro divino, si condussero a


quel luogo. Tutti costoro colà convenendo sopra carri ful
gidi come il sole e pervenuti alla città di Lanka, s'appres
sarono al Raghuide. Quindi il sovrano dei Devi (Brahma),
il creator dell'universo, l'ottimo, il supremo de'saggi, pro
tendendo il grande suo braccio cui nobilmente adorna la
divina sua mano, così parlò al Raghuide che stava colle
mani giunte innanzi al capo:
Perchè non ti curi tu di Sità che si precipita nel fuoco?
Come non conosci tu te stesso, o sommo dei sommi Devi,
e sospetti tu, a guisa d'un uom volgare, dell'incontaminata
Videhese?
Uditi que' detti di Brahma, il Raghuide signor del mondo,
stando in atto di reverenza, così rispose al sovrano dei Devi:
Io mi reputo un uom mortale, mi credo Ràma figlio di Dasa
ratha: degna tu, o Deva, dirmi chi io sia e donde io venga.
Al Càcutsthide che sì parlava, l'Ente che per se sussiste
e di splendore immensurabile, rispose: Odi il vero, o Cà
cutsthide verace e forte. Tu sei l'augusto Nàràyana, il pos
sente Deva che ha per arme il disco; tu sei l'arciero dal
l'arco di corno, Hriscikesa, Purusa, il sovrano de' Purusi;
tu sei l' invitto, il portator di conca, Visnu e l'eterno Kri
sma, l'unicornuto, Colui che prese forma di cinghiale, Colui
che fu e che sarà, il vincitor d'ogni nemico; in te risiede
l'inalterabile vero di Brahma nel mezzo e nel fine dell'u
niverso; tu sei la suprema giustizia degli uomini, tu sei
Visvaksena, il Dio dalle quattro braccia, il duce dell'eser
cito dei Devi, l'eccellente sovra ogni altro, la mente, il pen
siero, la pazienza ed il castigo; tu sei la causa generante,
l'immortale, l'Upendra, l'uccisor di Madhu, l'esecutor del
l'opere d'Indra, il Mahendra, Colui dal cui umbilico uscì il
loto, Colui che pon fine alle battaglie; i Devi, i Risci e i
saggi ti celebrarono come lor rifugio e protettore; tu sei il
vertice del Rig-veda e del Sàma-Veda, l'anima de'Vedi, il
vincitor di cento, Colui che fa arricciare i peli; tu, o doma
tore de' nemici, sei il sacrificio, il Vasat dell'oblazione fatta
col fuoco, la sacra sillaba Om ; tu sei Colui che ha splen
dida sede, il primo Vasu, fra i Vasu il Fuoco, il creator
supremo dei tre mondi, l'Essere che per se sussiste; tu sei
YUDDHIACANDA, 425
l'ottavo Rudra dei Rudri e il quinto Sádhya dei Sàdhyi; i
due Asvini son le tue orecchie, la luna e il sole i tuoi oc
chi; tu sei, o sperditore de' nemici, veduto dai contemplanti
(Foghi) al principio e al fine de'mondi, ed ei pur non co
noscono il tuo nascere e il tuo morire, e « Chi sei tu? »
domandan essi; tu apparisci in tutte le viventi creature,
nelle vacche e nei Brahmani, nel cielo e per tutte le plage,
ne' mari e ne' monti; tu sei l'inclito dai mille piedi, dalle
cento teste, dai mille occhi, tu sostieni le viventi creature
e la terra co' suoi monti; tu Mahòraga (il gran serpente)
apparisci per entro la terra e nell'acque, sostenendo, o Ràma,
i tre mondi coi Devi, cogli uomini e coi serpenti; io sono,
o Räma, il tuo cuore, la divina Sarasvati è la tua lingua,
sono i Devi i peli delle tue membra, creati colle illudenti
tue prestigie (máyà), il tuo chiuder l'occhio è appellato la
notte, l'aprirlo è detto il giorno; nel tuo pensiero nacquero
i Devi, fuori di te nulla sussiste; l'universo intiero è il tuo
corpo, il suolo della terra è la tua fermezza, il fuoco è la
tua ira, la luna la tua placidezza, il tuo segno è lo Srivatsa;
furon da te un dì co' tuoi tre passi trascorsi i tre mondi,
fu da te fatto re il magno Indra, dopo aver ucciso il grande
Asuro Bali; quel che è supremo è detto la luce, quel che
è supremo è detto la tenebra, ma tu sei detto ciò che è su
premo oltre ogni supremo, l'anima arcisuprema; tu sei ce
lebrato siccome ciò che è supremo e che ha nome supremo,
e ti dissero i saggi la via suprema dello stare, del nascere
e del perire. Sità è Lacsmi e tu sei Visnu, il Dio possente
che ha per arme il disco; tu entrasti quaggiù in corpo
umano a fin d'uccider Rávano; ciò tu dovevi far per noi
e tu l'hai fatto, o ottimo fra i sostenitori del giusto; fu
da te spento l'iniquo Rávano; or ritorna lieto alla tua città.
È infallibile la tua forza e la tua prodezza; mai non è vana
la tua possanza; non fu senza effetto il tuo apparir quaggiù,
o Ráma; tu non avevi forma d'uom mortale. Avran copioso
frutto gli uomini dediti al tuo culto sulla terra, i quali a
te devoti celebran te antico e sovrano Purusa. Gli uomini
che diranno quest'inno divino, cantato dai Risci, questa
leggenda antica, saranno esenti da calamità.
426 RAMAYANA.

CAPITOLO CIII.

PUREZZA DI SITA.,

Udite quelle fauste parole proferite dal Gran Genitore,


stette per breve ora meditando il pio Ràma, offuscato dalle
lacrime gli occhi. Frattanto il fulgido Fuoco proteggeva la
figlia di Ganaca che stava sopra il rogo; poi subitamente,
presa Sità, ei si levò corporeato, ed accostandone il fianco
al fianco di Ràma, rendè il Fuoco al Raghuide la giovane
e saggia Videhese somigliante a sol che spunta e adorna
d'oro brunito, abbigliata di veste rossa, con capelli neri e
crespi, ornata d'una ghirlanda di fiori incorrotti e così bella
qual era prima. Quindi il Fuoco testimonio del mondo così
parlò a Ràma: Questa è, o Ráma, la tua consorte; non v'ha
in lei colpa veruna; costei dotata di virtù e d' onesto co
stume mai non t'offese nè con parole, nè coll'animo, nè colla
mente, nè coll'occhio. Rapita nella deserta selva dal Rac
saso Rávano altiero di sua forza, divisa da te, o eroe, e non
libera di sè, rinchiusa nel gineceo, misera, pur pensando a
te e tutta a te solo intenta, custodita per ogni parte da Rac
sase deformi, allettata con varie lusinghe ed atterrita con
minacce, costei pur mai non pose mente al Racsaso, avendo
ella l'animo fiso in te solo. Ricevila, o Raghuide, immacolata
e pura ; non v' ha in lei colpa nè pur minima ; io a te qui
l'attesto. Il Fuoco tutto vede e ciò che è occulto e ciò che
è aperto; ond' io ben conosco Sità, che la vidi a me di
nanzi.
Ciò udito, il vigoroso e costante Râma, di salda forza ed
ottimo fra i giusti, così rispose all'egregio fra i Devi: Egli
era di necessità, o Deva, che Sità fosse purificata fra gli
uomini; perocchè quella leggiadra dimorò lungo tempo nel
gineceo di Råvano. Ben avrebber detto di me le genti: «
stolto ed invasato nell'amore Ràma Dasarathide » s'io non
avessi purificata la figlia di G'anaca. Or furono astersi ad un
tratto e il biasimo di Sità e la macchia della sua onestà dis
pregiata e l'obbrobrio mio nel mondo. Io ben so che la Mi
thilese figlia di G'anaca m'è devota e non pone in altro che in
YUIDDRIACANDA, 427
me il suo cuore e ch'ella m'ha di continuo in cima de' suoi
pensieri. Ma per far fede ai tre mondi nel consesso delle
genti, io non ho impedito Sità, allor ch'ella entrò nel fuoco.
Ràvano pur mai non avrebbe potuto soverchiare questa donna
dai grandi occhi, protetta dalla sua virtù, come l'Oceano
non può soverchiar la sua riva: quell'iniquo non poteva nè
pur colla mente contaminar la Mithilese inaccessibile, come
fiamma ardente. Questa mobil Sità, il cui cuore non è inteso
ad altro che a me solo, non potè mal operare nel gineceo
di Ravano, sì come nol può Prabhà (la luce) donna del Sole;
e la Mithilese figlia di G'anaca manifestata or pura in faccia
ai tre mondi non può essere da me abbandonata, sì come nol
può la fama dall'uom saggio. A me si convien di necessità
seguire i detti di voi tutti, Custodi del mondo e amici che
mi parlate cose salutari. Ciò detto, il vittorioso e fortissimo
Ráma pien di gloria, celebrato per la grand'opera da lui
compiuta e ricongiuntosi colla sua donna, fu lieto, siccome
degno di lieta sorte.

CAPITOLO CIV,

VEDUTA DI DASARATHA.

Come udì que'nobili detti del magnanimo Raghuide, ri


volse a Râma con animo lieto queste care parole il Gran
Genitore, il venerando che s'appella Svayambhu (l'essere
che per sè sussiste), parole perfette (sanscrite), dolci, miti,
opportune e giuste: Odi i miei detti, o prode dalle grandi
braccia e dagli occhi di fior di loto. Fortunatamente fu da
te, o ottimo fra i giusti, condotta a fine quest'alta impresa!
Fortunatamente fu da te, o Râma, dissipata in battaglia la
grande e orribil tenebra prodotta da Ràvano, la qual si
spandeva per tutto il mondo. Or consolato che avrai l'af
flitto Bharata e la pia Causalya, Caiceyi e la regal Sumitra
madre di Lacsmano, conseguito il regno in Ayodhya, e fatti
lieti i tuoi amici, stabilita la prosapia nella casa de'magnanimi
Icsvacuidi, compiuto il gran sacrificio del cavallo, ottenuta
gloria suprema e largita ricchezza ai Brahmani, tu sarai vie
più degno d'ire al cielo. Questi che sta sopra un carro cele
428 RAMAYANA,

ste, è il re Dasaratha tuo padre,gloriosissimo e tuo alto mae


stro, o Ràma, nel mondo umano. Salvato da te suo figlio,
ei se n'andò avventuroso al mondo d'Indra; or tu insieme
con Lacsmano tuo fratello inchinati a lui salutandolo. A
que' detti del Gran Genitore, il Càcutsthide insieme con
Lacsmano toccò i piedi del padre che stava al sommo d'un
carro celeste; quindi in un col fratello Lacsmano ei mirò
il padre risplendente di proprio fulgore e addobbato di ve
ste monda di polvere. Fu compreso da gran letizia il re
Dasaratha stante sul carro, allor che vide i due suoi figli
più cari a lui che la sua vita; e sentì gaudio supremo,
quand'ei mirò Sità sua nuora. Stando per l'aria non trop
p'alto e rasentando quasi la terra, il re Dasaratha conso
lando il figlio, così disse: Diviso da te, o Ràma, io non ap
prezzo il cielo, nè il coabitar coi Devi e coi Risci; odi i
veraci miei detti. Mi rimasero infisse nel cuore le parole che
disse un dì Caiceyi e che furon causa del tuo esilio, o ottimo
fra coloro che usan la parola. Ma or veggendoti salvo ed
abbracciandoti, o Raghuide, son disciolto dal mio affanno,
come da gelida nebbia il sole. Io fui scorto a questa vita da
te, o figlio, magnanimo ed ottimo figlio, sì come fu scorto
al cielo, o pio, da Astàvakra il padre suo. Or io comprendo,
o caro, come tu fosti destinato dai sommi fra i Devi ad abi
tare nelle selve per metter Râvano a morte. Oh ben av
venturosa Causalya che vedrà lieta ritornato alla magion
paterna e sciolto dal suo voto te, o Ràma, sperditore dei
nemici! Oh avventurosi gli uomini che ti vedranno, o Ráma,
ritornato alla regal città sacrato nel regno e re della terra l
Oh felice questo Lacsmano tuo fratello, che a tutto ante
pone la giustizia e la cui gloria ita al cielo e diffusa per la
terra rimarrà salda l E innocente, o figlio, la Videhese, pia
e intenta al dovere; i Devi conoscono il bene e il male
del mondo intiero; ed io stesso, io Dasaratha tuo padre a
te l'affermo. Lasciato perciò ogni sospetto, deposto ogni tuo
dubbio, accogli la Ganakide. Io desidero pur vederti, o figlio,
riunito con Bharata devoto, saggio, puro e pio. Tu dei pro
teggere il regal giovane Satrughna a me caro; qual è il
padre, tal è per giusto diritto il fratello maggiore. Ei fu da
te, o forte, pagato intiero il debito di quattordici anni nella
YUDDHIACANDA, 429
selva, dove tu dimorasti per mio amore con Lacsmano e
con Sità.
Tu sei ora svincolato dall'obbligo di rimanere fra le selve;
fu da te adempita la tua promessa: io fui da te, ottimo fi
glio, fatto veritiero della mia parola, e ponendo in battaglia
Ràvano a morte tu hai satisfatto ai Devi. Tu hai compiuto
un'opera celebranda e gloriosa; noi ti siam benaffetti per
le tue virtù; stabilito ora nel regno co' tuoi fratelli, possa
tu viver lungamente! Colui che ha per figlio un tuo pari,
pien di gloria e d'immenso splendore, bench'ei sia morto,
certo pur vive, siccom'io che fui da te scorto a vita celeste.
Al re che così parlava, rispose Ràma colle mani giunte
innanzi al capo: Di questo favore io son beato, che tu ve
nerando mio donno mi ti mostri sì affettuoso; questa sola
e cara grazia io desidero da te per lo tuo affetto: perdona,
o pio, a Caiceyi e a Bharata; quel che tu dicesti un dì a
Caiceyi: « Io ripudio te e tuo figlio » quella terribil ma
ledizione più non attinga, o padre, Caiceyi nè suo figlio.
Sia così come tu chiedi, rispose al figlio Râma Dasaratha
suo padre; poscia così soggiunse pien d'amore: Qual altra
cosa debb'io far per te? ed a lui rispose Ráma: Guardami
con occhio propizio.
Volgendo quindi a Lacsmano le sue parole, così disse il
padre Dasaratha: Tu conseguirai virtù eccelsa, o pio, ed
ampia gloria sulla terra, ed essendoti Ráma favorevole, ot
terrai il cielo e grandezza suprema. Sia obbediente a Ràma,
o figlio di Sumitra, se tu sia felice: chè Ràma è ognora
intento al bene del mondo intiero. Questi tre mondi insieme
con Indra, i Siddhi e i sommi Risci, inchinandosi al ma
gnanimo Ráma, l'onorano come sovrano Purusa: ei fu testè
proclamato il grand' Essere invisibile, immortale, l'eterno
Brahma; Ràma domatore de' nemici, è, o diletto, il cuor dei
Devi, il grande arcano. Tu hai asseguito pieno merito e
gloria amplissima; e narreranno per lo mondo gli uomini
questo tuo generoso fraterno affetto.
Ciò detto a Lacsmano, rivolgendo il re il discorso alla
sua nuora che stava colle mani giunte dinanzi al capo e
dettole: « O mia figlia! » le parlò lentamente queste soavi
parole: Tu non dei, per essere stata abbandonata, lasciarti
430 RAMAYANA,
ire allo sdegno, o Videhese; l'inclito Râma desideroso del
tuo bene ciò fece per manifestarti pura. È ardua oltre modo,
o figlia, questa prova di tua virtù che da te fu fatta oggi,
e sorpasserà la gloria d'ogni altra donna. Tu intenta ad
obbedire al tuo sposo non hai certo bisogno d'essere ammo
nita; ma egli è pur conveniente ch'io ti dica, che il tuo
sposo è il tuo Nume supremo.
Poich'ebbe così consigliato i due suoi figli e Sità, Dasa
ratha tutto splendente s'avviò col celeste suo carro al mondo
d'Indra. Ripetendo la via frequentata dai Devi e fulgido a
guisa d'un Immortale sperditor degli Asuri, volgendo ad ora
ad ora l'occhio in giù alla terra e riguardando il volto de'
suoi figli soave come la luna, ei se n'andò.

CAP 1T o Lo Cv.
RISURREZIONE DEI VANARI,

Partitosi Dasaratha, il magno Indra domator di Pàca così


parlò pieno di gaudio al Ràghuide che stava in atto reve
rente: Ei non è mai senza frutto il veder noi a faccia a
faccia, o Ràma eccelso fra gli uomini; noi siam di te con
tenti: dimmi perciò quello che desideri colla tua mente.
A que' detti del magnanimo Indra a lui propizio Ràma
lieto e con animo tutto sereno così rispose: Se tu sei di
me contento, o Deva signor del mondo e di tutti gli Im
mortali, ti chiederò pure una grazia; degna tu conceder
mela. Risorgano ottenendo nuova vita, tutti que' Vànari
fortissimi che per cagion mia son iti alle sedi di Yama.
Questi valorosi e forti eroi nulla curarono la morte e
perirono, facendo opere da prodi; or rivivano essi, o signor
degli Immortali; tornino in vita per tuo favore questi eroi
spenti per cagion mia e sempre intesi a ciò che m'è caro;
è questa la grazia ch'io ti chieggo. Desidero, o dator d'o
nore, veder sani e senza vestigio di ferita, col lor vigore e
colla lor forza intieri questi Golànguli ed Orsi. Dove saranno
que''Vànari, si trovino pur colà, tuttochè fuor di stagione,
fiori, radici e frutti e purissime riviere.
Intesi i detti del magnanimo Raghuide, rispose il magno
vUDDHACANDA. 431
Indra queste benevole parole: E degno di te ed a te con
forme, o figlio di Causalya, quello che tu desideri in pro degli
amici che t'hanno prestato aiuto. Ben è grande, o caro ed
eccelso fra i Raghuidi, questa grazia che tu chiedi; e fra
gli uomini e gli Immortali nessun altro fuori di te, o eroe
dalle grandi braccia, otterrà mai questo, che ei rivegga, cioè,
vivi quei che son morti. Ma perchè io già t'impegnai la
mia parola, perciò così sarà. Risorgeranno i Vànari, i Go
lânguli e gli Orsi coi loro duci, come sul finir del sonno
si levan color che dormono. Col lor vigore e colla lor forza
pieni, colle ferite rammarginate ne' lor corpi ritorneranno
in vita tutti coloro che furon spenti sul campo di battaglia;
e coi loro amici, coi loro carri, coi lor congiunti e colla lor
gente gaudieranno tutti di somma gioia; saranno, benchè
fuor di stagione, fiorenti e pieni di frutti gli alberi, e co
piose d'acque le riviere, o grande arciero.
Ciò detto, ''il glorioso Indra re dei Devi piovve sul campo
di battaglia una pioggia mista con amrita (ambrosia); ed
al tocco di quell'amrita tornati in un subito a vita, risor
sero tutti que' magnanimi, come uscisser di sonno che si
rompe. Levandosi suso a mille a mille dal campo di bat
taglia che è il letto degli eroi ed abbracciandosi l'un l'altro,
s'inchinarono que' prodi al Raghuide; tutti que' Vànari gia
centi a terra colle lor membra lacere da ferite ed or risorti
agili e snelli, stavan cogli occhi dischiusi per istupore.
Allora i sommi Devi veggendo il Càcutsthide Ràma venuto
a capo del suo desiderio e celebrandolo insieme con Lac
smano così gli dissero pieni di gaudio: Ritorna ora ad Ayo
dhya, o eroe, e dà commiato ai Vànari; consola questa gloriosa
Mithilese a te devota, rivedi Bharata tuo fratello, afflitto per
tuo amore da lunghe ed aspre austerità, fatti sacrar re e
rallegra col tuo ritorno i cittadini. Com'ebber così parlato
e salutato Ràma col Saumitride, i Devi ed Indra tutti lieti
se n'andarono sopra celesti carri, lucenti come sole. Ed il
Câcutsthide, inchinatosi insieme con Lacsmano suo fratello
a tutti quegli ottimi Devi e salutatili, si diede quindi ad
ordinare ogni cosa. -
432 RAMAYANA,

CAPITOLO CVI.

ARRIVO DEL CARRO PUSPACA,

A Râma domatore de' nemici, che aveva trapassata la notte


e si stava sedendo a suo agio, così parlò in atto di reve
renza Vibhisana esperto dicitore: Donne egregie ed esperte
del modo d'adornare, portanti ogni cosa opportuna al ba
gnarsi, unguenti odorosi e ghirlande diverse, profumi d'eletto
sandalo, vesti ed ornamenti, stanno qui pronte, o Raghuide;
ti laveranno esse, com'ei si conviene. va

A quelle parole di Vibhisana così rispose Ràma: E tutto


dedito ad aspre e dure austerità e per cagion mia forte
afflitto il pio Bharata dalle grandi braccia, delicatissimo e
fedele alle sue promesse; diviso da Bharata, figlio di Caiceyi,
osservator costante del dovere, punto io non apprezzo il
bagno, nè le vesti, nè gli ornamenti. Provvedi pur a questo
ch'io possa prontamente ritornare alla mia città: che è ma
lagevole oltremodo la via che conduce ad Ayodhya.
Uditi que' detti di Ràma, rispose Vibhisana: Farò io sì
che tu pervenga alla tua città , o regal figlio. V'ha, se tu
sia felice, un carro che si noma Puspaca, lucente come sole,
divino, eccelso e moventesi a sua voglia, che fu rapito, vin
cendolo in battaglia, dal prepotente Rávano a Kuvera mio
fratello. Quel carro fulgido come sole è qui riposto; con
quel carro tu te n'andrai ad Ayodhya senza fatica. Ma se
io pur son degno di qualche tuo favore, se tu ti rammenti
i miei meriti, se tu hai verso me affetto d'amico, rimanti
or qui un poco con Lacsmano tuo fratello e colla Videhese
tua consorte: onorato da me con ogni sorta di care delizie,
tu te n'andrai quindi, o Ràma. Ricevi ora, o Ràma, co' tuoi
amici e coll'esercito da me tutto gaudioso ospitale accoglienza,
qual si conviene. Io tuo servo, o Ráma, per amore, per gran
reverenza e per amicizia questo ti chieggo in luogo di grazia,
ma non te l'impongo.
Così pregato, rispose quindi Ráma a Vibhisana, udenti
tutti i Racsasi ed i Vànari: Io fui da te onorato, o eroe, con
amicizia suprema; ben io farei quel che mi dici, o signor
YUDDHIACANDA, - 433
de' Racsasi; ma il mio animo mi sollecita a rivedere il fra
tello Bharata: il qual già venne al Citracùta per indurmi a
tornare addietro, ed io pur non segui le sue parole, ben
ch'ei mi pregasse col capo inchinato. Desidera pure il mio
animo di riveder Causalya e Sumitra e la madre Caiceyi
e il mio spirital maestro e amico. Dammi commiato, o caro;
io fui da te onorato, o Vibhisana. Tu non dei per alcun
modo muoverti a sdegno, o amico; io ti chieggo perdono.
Fa prontamente apprestare il carro, o signor de'Racsasi;
or ch' io ho compiuto il mio assunto, come sarebbe egli
riputato il mio star qui più lungamente?
Intesi que' detti di Ràma, comandò Vibhisana re de' Rac
sasi tutto sollecito che fosse colà condotto il carro divino,
risplendente al par del sole, divisato d'oro in ogni sua
parte, con padiglione di gemme e di lapislazuli, guernito
di bianchi vessilli e di molte bandiere, adorno d'aurei com
partimenti e d'aurei addobbi, cinto d'ogni intorno di molti
tintinnabuli che rendevan suono soave, con nobili seggi di
lapislazuli, distinti in ogni lor parte d'avorio e di cristallo.
Poich'ebbe annunziato a Ràma esser quivi pronto quel carro
rapido come l'animo e insuperabile, costrutto da Visvakarma
e pari al vertice del monte Meru, moventesi a sua posta,
fulgido, divino, secondante il desiderio dell'animo e incor
ruttibile, si fermò colà Vibhisana.

CAPITO LO CVII,

sALITA suL CARRo PusPACA.

Come vide colà disposto il carro Puspaca, disse al Ra


ghuide l'eccelso Racsaso: Che cosa debbo io fare? Ed il
Raghuide valoroso, udente Lacsmano, rispose, dopo aver
considerato, queste parole improntate d'affetto: Tutti questi
Vànari son purvenuti a capo della loro impresa; or siano
essi da te onorati, o Vibhisana, con gemme e ricchezze di
varia sorta. Coll'aiuto di costoro fu da te conquistata Lanka,
o signor de' Racsasi; eglino, rimossa ogni paura della morte,
mai non diedero addietro nelle battaglie. Apprezzati per tal
modo da te riconoscente ed onorati sì come degni d'onore,
VOL, III, 28
434 RAMAYANA,
saran contenti questi duci de' Vànari: perchè io ti conosco
donator generoso, compiacente alle mie parole, compassio
nevole e saggio, perciò così ti parlo. I guerrieri han caro un
re che conosce l'essenza del giusto, che è prode, munifico
e possente; egli è questo l'obbligo sacro di colui che regge
la terra. -

Esortato in tal modo da Râma, onorò Vibhisana tutti quei


Vànari con doni di gemme e di ricchezze; e come vide ono
rati di gemme e di ricchezze i Vànari, salì Ràma allora su
quel carro rapido come l'animo, ponendosi al fianco la glo
riosa Videhese pudibonda, insieme col fratello Lacsmano
possente arciero. E stando sopra il carro così parlò il Ra
ghuide a tutti que''Vànari ed al fortissimo Sugriva ed al Rac
saso Vibhisana: Fu da voi, o prestanti Vànari recata a fine
quest'opera di nobile amicizia; or da me licenziati, voi potete
andarvene tutti a vostra posta. Tu, o Sugriva, tutto ciò che
dovea farsi da un compagno benevolo ed affettuoso, tu l'hai
fatto, costante nel tuo dovere; or te ne ritorna, o Sugriva,
alla Kiskindhya, e attendi a governare il tuo regno. Tu, o
Vibhisana dalle grandi braccia, signor de' Racsasi, eccelso
fra coloro che seguono il dovere de' Csatri, fosti da me posto
nel tuo regno di Lanka; nè ti soperchieranno i Devi stessi
con Indra. Or io me ne ritorno ad Ayodhya, regal città di
mio padre. Desidero che mi sia dato da voi commiato; io
tutti vi saluto,
Uditi que' detti di Râma, il re e i duci de'Vànari ed il
Racsaso Vibhfsana, tutti in atto reverente così dissero: Noi
pur desideriamo andarne con te alla città d'Ayodhya; de
sideriam vedere la tua sacra, a cui anelano i nostri cuori.
Allor che avrem veduto te sacrato re con acqua lustrale e
salutato Causalya, ce n'andrem prontamente alle nostre case,
o egregio fra i reggitori degli uomini.
Così pregato da que''Vànari con Vibhisana, rispose il pio
Ràma ai duci de'Vànari, a Vibhisana e a Sugriva: Io otterrò
cosa assai più cara d'ogni cara cosa, se voi ne verrete con me
in Ayodhya; sarò lieto, ritornando alla mia città insieme con
voi tutti. Sali or prontamente sul carro in un coi duci, o
Sugriva; tu pur v'ascendi co' tuoi ministri, o Vibhisana si
gnor de' Racsasi. AllorSugriva pien, di gaudio co' suoi duci
YUDDHACANDA. 435
e Vibhisana co' suoi ministri salirono sul divino carro Pus
paca. Saliti tutti coloro sullo splendido carro di Kuvera, si
levò in aria il carro licenziato dal Raghuide, e Ráma pari
a Kuvera, glorioso e lieto s'avviò su quel fulgido carro che
va per l'aria a sua posta.

C AP IT O L O C VIII.

RITORNO DI RAMA.

Licenziato da Ràma, quel carro rapido come l'animo si


levò in alto, somigliante a una gran nube sollevata dal vento.
Allora il Raghuide Ràma avvallando l'occhio d'ogni intorno,
così parlò a Sità Mithilese dal volto soave come la luna:
Mira, o Videhese, posta là sul vertice del Trikúta, pari al
vertice del monte Kailâsa, la città di Lanka costrutta da
Visvakarma; mira il campo di battaglia che ha limo di carni
e di sangue, dove fu fatta, o Sità, strage immensa di Rac
sasi e di Vànari. Là fu ucciso Kumbhakarna ed il Racsaso
Prahasta; là fu da Lacsmano atterrato il grande eroe Indra
git; là per cagion tua, o donna dai grandi occhi, furono spenti
in battaglia Nikumbha e l'insuperabile Virùpàksa, Mahodara
G furono tolti di vita il poderoso Atikàya, Devàn
taka e Naràntaka, Akampana ed il fortissimo Dhúmràksa, Sam
pâti e Vidyugg'ihva e l'invincibile Makaràksa, questi e più
altri eroi seguaci del re de' Racsasi; là il Saumitride ed io
fummo amendue, o Mithilese, legati per forza di malìa da
Indragit che mugghiava come una nube, e tutti i Vànari
disperati piansero con Sugriva e con Vibhisana, credendo mor
ti Râma e Lacsmano: ma in un istante noi fummo da Garuda
disciolti da quel vincolo di saette; là questo prode Lacsmano
fu da Rávano fortemente ferito al cuore con una lancia ter
ribile oltre misura ed infallibile; e allor che vide Lacsmano
caduto e me tutto smorto in viso, Susena duce de'Vànari,
mandò il robustissimo e rapidissimo Hanumat a cercare un'er
ba salutare, e colui oltrepassato il G'ambudvipa, recò l'erba
che sferra (nasce quella grand'erba appiè del monte C'an
dra) e recatala, quel Vánaro dalle grandi braccia ritornò
in vita Lacsmano; là giace spento da me per cagion tua,
436 RAMAYANA, -

o donna dai grandi occhi, il violento Råvano re de' Racsasi,


privilegiato di grazie; colà fece pietosi lamenti la consorte
del re de' Racsasi, del feroce Råvano, la qual si noma Man
dodari. Ecco si scorge, o donna, l'Oceano signor de'fiumi,
nostro antenato, con cui fu da me fatta alleanza; e si vede
colà, o leggiadra, il dorso del monte Suvela, dove, valicato il
mare, abbiam noi passata la notte. Quella gran gettata fu da
me costrutta sull'Oceano sede di mostri per cagion di te, o
donna dai grandi occhi; e rimarrà perenne questa mia gloria.
Finchè staranno i monti, finchè starà l'Oceano, tanto starà
di certo quella gran gettata che s'appella Nalasetu. Mira, o
Videhese, il mare inconquassabile, sede di Varuna, mug
ghiante e quasi interminato, ingombro di pesci e di conche
marine; colà una Racsasa, per nome Surasa, fece ostacolo,
o Mithilese, a quest' Hanumat figlio del Vento, che un dì
se n'andava a te mio messaggiere. Osserva, o Mithilese,
l'aureo monte Hiranyanàbha, sorto, fendendo il mare, affin
chè sovr'esso si riposasse Hanumat. Quella è, o donna, la
selva della spiaggia marina (Velàvana), abbellita da boschi
di xanthocymi, folta d'elati e di palmizi e ingombra di ga
ledupe. E quello, o gloriosa, là sulla riva del mare, il campo
dove ne venne a me questo Vibhisana re de' Racsasi. Colà
io giacqui, o donna, tre notti intiere sulla terra strata di poe,
a fin di veder l'Oceano sotto forma umana. Quello è il monte
Dardura, simile a un grande viluppo di nubi, il qual si leva
appiè del monte Malaya, e che fu calcato da Hanumat. Là
si vede, o Sità, la Kiskindhya abbellita da varie selve, di
lettosa città di Sugriva, dove fu da me ucciso Bàli. È quello
il vertice splendente del monte Malyavat, che sta alla porta
della Kiskindhya, dov'io, dopo avere ucciso il terribile Bàli
e sacrato, re Sugriva, passai, o donna, i quattro mesi della
stagion piovosa e dove diviso da te, o donna dai grandi
occhi, io portai sì gran dolore. Mira, o Sità, l'ampio Risya
mtka, gruppo di monti, pari ad una nube cinta di baleni
coperto di più metalli, dov'io m'abboccai con Sugriva re
de' Vànari e feci con lui convegno, o Sità, per la morte di
Bâli. Là si vede colle varie sue selve la Pampa, stagno fio
rente di ninfee , dov'io privo di te andai movendo molti
e diversi lamenti. Sulla riva della Pampa io incontrai la
vUDDHACANDA. 43
pia Savari, e là fu da me spento Kabandha che avea brac
cia lunghe un yogano. È quello il sito dove giace il for
tissimo sovrano degli avoltoi, Gatàyus tuo difensore, atter
rato da Ràvano. Si scorge là sul Ganasthâna, o Sità, quel
l'albero famoso, dove fu fatta per cagion tua grande bat
taglia, o donna; e furon morti nella zuffa Khara, Dùsana
e Trisiras e quattordici mila Racsasi. Si vede colà, o donna
dal bel sembiante, la capanna, donde tu fosti rapita per
forza da Ràvano re de' Racsasi. Là s'appressò a me, o don
na, la terribil Racsasa Surpanakha, a cui Lacsmano recise
orecchie e naso. Quella è la splendida e dilettevol riviera
Godavari dalle nitide acque, e si vede quivi l'eremo d'Aga
stya, cinto di banani. Là si scorge, o Videhese, il gran ro
mitaggio di Sarabhanga, dove ne venne il Dio dai mille oc
chi, distruttore di città (Indra). Si veggon colà, o donna di
sottil cintura, ricetti di pi penitenti, della cui famiglia è
capo Atri, fulgido al par del sole e al par del fuoco. In
quella regione fu da me ucciso Virådha di corpo smisurato,
e là, o Sità, fu da te vista la pia ed austera penitente; là
si scorge, o Videhese, il gran romitorio del Muni Atri, dalla
cui consorte Anasùya ti fu donato il divino unguento. Ecco
apparire, o Videhese, l'alto monte Citracúta, dove venne a
propiziarmi il figlio di Caiceyi. È quella la pura riviera
Mandàkini dall'onde nitidissime, dove furon da me offerti
con frutti e con radici i funebri doni al padre.Si vede colà
la gioconda Yamuna co' suoi mirabili boschi, e presso al
sacro confluente della Yamuna e del Gange l'eremo fortu
nato di Bharadvàga. Mira, o Sità, il Gange che si spande
per tre vie, e la città di Sringavera, dove è Guha mio amico;
là si scorge, o donna di sottil cintura, la radice di quell'in
guda, dove noi, valicata, la Bhâgirathide, abbiam passato
una notte. Ecco, o Sita, si scorge Ayodhya, la regal città
di mio padre; salutala, inchinandoti, o Videhese; tu sei ri
tOrnata.

Allor tutti que'Vànari con Sugriva e con Vibhisana, esul


tando lieti e gongolando, contemplarono la gran città.
438 RAMAYANA.

CAPITOLO CIX.
BHARATA CONSOLATO.

Ma in mentre che il Raghuide così favellava a Sità, per


venne al romitaggio del gran Muni Bharadvága. Essendo
allor compiuti a punto i quattordici anni del suo esilio, nel
quinto giorno del mezzo mese, il Raghuide fratello maggior
di Lacsmano entrò al Muni Bharadvàga, ed inchinatosi a
lui ed iterate le accoglienze, così gli disse: Furon da te
forse, o venerando, udite novelle della salute desideratissi
ma de' miei congiunti? Bharata è egli intento a governare il
regno? Vivon elle le mie madri?
Così interrogato, rispose al Raghuide Bharadvåga: Ascol
ta, o caro, secondo la verità gli atti di Bharata. Colla chioma
ravvolta a modo ascetico, col corpo sordidato di lordura ed
onorando d'onor supremo le regali tue pianelle, Bharata
t'attende: tutto è sano e salvo nella tua casa. Quell'alta com
passione ch'io ebbi già qui di te, o vittorioso, veggendoti
in veste di corteccie e fatto abitator di selve, m'è divenuta,
o caro, gioia suprema or che ti riveggo vincitor del tuo ne
mico, avventuroso e fiammante come fuoco. Io conosco, o
Raghuide, ogni tuo caso avverso o prospero, l'ampia gloria
da te acquistata colla strage che facesti de'Racsasi sul Ga
nasthâna e col proteggere, intento al bene de'Brahmani,
tutti i pi anacoreti, la veduta di Maric'a e il rapimento di
Sità, il tuo affrontarti con Kabandha e il tuo giungere in
vista della Pampa, la tua amicizia con Sugriva e come fu
da te ucciso Bàli, la ricerca della Videhese e la gesta del
figlio del Vento, e come, ritrovata la Videhese, venne co
strutto il ponte di Nala (Nalasetu), come fu incesa Lanka
dai baldanzosi duci de'Vànari e come, ucciso quel Råvano
che era flagello del mondo, fu sacrato re Vibhisana ed ese
quiato suo fratello, il tuo abboccamento coi Devi e quali
grazie ti furono da lor largite. Anch'io, o Ràma, t'accordo
oggi una grazia desiderata; ricevi qui la patera ospitale;
domani tu te n'andrai ad Ayodhya.
Il Raghuide, accolti que' detti del Muni col capo inchi
YUDDHIACANIDA, 439
nato, « Sia pur così » rispose lieto, e chiese questa grazia:
Siano per mio amore, o venerando, copiosi sempre di frutti
in ogni parte, tuttochè fuor di stagione, e stillanti miele gli
alberi in pro dei Vànari; sian fruttiferi gli alberi infrut
tuosi ed abbelliti di fiori quelli che non hanno fiori, si ve
stano di foglie gli aridi e spandano miele in abbondanza.
Uditi que' detti proferiti da Ràma, il grande asceta Bharad
vága: Sia fatto, rispose, come tu chiedi ; una tal grazia è
difficile ad impetrare sulla terra; ma per mio favore, o
eccelso fra i Raghuidi, così sarà fuori di dubbio.
Ottenuta quella grazia, il Raghuide tutto lieto passò quivi
felicemente la notte. Ma in sullo schiarir del giorno presso
al nascere del sole, Ràma, stato alquanto sopra pensiero,
volse lo sguardo ai Vànari, poi così parlò all'accorto e
egregio Hanumat, dotato di rapida lena e intento a ogni
suo piacere: T' appressa, o abitator di selve, e spedito da
me vanne ad Ayodhya; di' salute al glorioso e regal Bha
rata, e fa di conoscere se tutto è sano e salvo nella casa
della stirpe d' Icsvacu. Arrivando alla città di Sringavera,
di' salute in nome mio a Guha re dei Nisàdi il qual sen
vive fra le selve: chè udendomi sano, salvo e lieto, sarà
contento Guha, che m'è amico e caro al pari de'miei spi
riti vitali. Veduto che avrai esser prospera in Ayodhya ogni
cosa, significherai tu a Bharata notizie di me e così dei dire
al caro Bharata: E sano e salvo e venuto a capo d'ogni
suo intento Râma colla sua consorte e con esso Lacsmano.
Vinte le schiere. de'nemici ed acquistata gloria suprema, è
qui ritornato il fortissimo Râma avventuroso insieme col re
de' Racsasi e col signor dei Vànari. Tu gli narrerai quindi
come fu dall'oltrapossente Rávano rapita la Videhese, il mio
affrontarmi con Sugriva e la morte di Bàli in zuffa, la ri
cerca di Sità e com' ella fu da te ritrovata, valicando il
mare ondoso, signor de'fiumi, l'appressarsi a me dell' O
ceano e il trapassar del mare, come fu colà costrutta una
gran gettata e ucciso Ràvano in battaglia, le grazie largi
temi dal grande Indra, da Varuna e da Brahma, il favore
di Vaivasvata (Yama) e il mio abboccamento col padre. Quel
che ti dirà, udendo queste gesta, il glorioso Bharata, tu dei
quindi riferirmelo. Fa di ben conoscere tutti gli atti di
440 RAMAYANA,

Bharata e i segni ch'ei mostrerà sia col blandire o col color


del suo volto, collo sguardo e colle parole, Chè di chi mai
non travolgerebbe l'animo un regno avito, fiorente d'ogni
cosa desiderabile, copioso d'elefanti, di carri e di cavalli?
Se per la consuetudine di regnare sarà l'illustre Bharata
Raghuide divenuto bramoso del regno, regga ei pure lun
gamente la terra intiera. Conosciuto che avrai la mente ed
il proposto di Bharata, fa di ritornar qui presto, o Vànaro,
mentrechè noi non siam iti più lungi. Ma Bharata mai non
ebbe per l'addietro così fatto pensiero; ond'io non faccio
qui che sporre la natura delle politiche dottrine. Non mai
per certo quell'uom prestante oltrepasserebbe l'ordine sta
bilito; non mai si discosterebbe dalla retta via colui che è
la giustizia vestita di corpo umano. Io conosco dal mio
cuore ciò che sta nel cuor di Bharata; per amor di me, ei
non v' ha dubbio, lascierebbe egli anche la vita; ei non v'ha
colpa nel suo operare, e v' ha colpa nel cercare colpa
in lui.
Commessigli tali ordini, il fortissimo Hanumat figlio del
Vento, inchinatosi al sacro confluente della Yamuna e del
Gange e valicata la fausta fiumana trivia (il Gange), ricetto
de' sovrani fra i serpenti, s'avviò sotto forma umana alla
città di Sringavera. Pervenuto alla città di Sringavera e
fattosi innanzi a Guha, il valoroso Hanumat tutto lieto così
parlò con graziosa voce: Il tuo amico, il prode Ràma Cà
cutsthide d'infallibile forza, ti dice salute con Lacsmano e
con Sità. Udendo que' detti, Guha sommamente rallegrato
e tutto commosso chiese con voce interrotta dalla gioia:
Dove è egli Ràma? dov'è la Videhese, dove il costante
Lacsmano? Io son da te oltremodo letificato, sì come è fatta
dieta da abbondante pioggia la terra.
Allora prese Hanumat a narrargli ogni cosa conforme al
vero: Il Raghuide invitato dal Muni Bharadvága pernottò
oggi nel suo eremo; ma licenziato dal Muni, tu il vedrai
pur oggi.
Ciò detto, il vigoroso Hanumat figlio del Vento si levò
su rapido e pronto senza star a considerare. Egli vide il santo
lavacro che s'appella Ramatirtha e la riviera Sàlvakini, le
riviere Gàruthi e Gomati e la terribil selva di shoree (Sàla
YUDDHACANDA, 441
vana); ed ito per lunga via, il magnanimo eroe de' Vànari
s'avvenne in boschi di floridi alberi, cresciuti vicino a Nan
digrana; e distante da Ayodhya solo un krosa (una lega) ei
vide dimorante in un eremo il misero Bharata, vestito di
nera nebride e macilente, colla chioma ravvolta a modo
ascetico, col corpo bruttato di sordizie, ed afflitto per la
sventura del fratello. Onorando d'onor supremo le regali
pianelle, ei governava la terra e proteggeva per ogni dove
da ogni temenza le quattro caste degli uomini; era egli
assistito da ministri e da purissimi domestici sacerdoti, da
idonei capi d'esercito, addrappati a vesti rosse: chè i cit
tadini han fermo di non abbandonar quel regal figlio, che
s'avvolse in veste rossa d'asceta e che gli ha cari.
L'egregio Vánaro Hanumat fattosi innanzi al pio e giusto
Bharata, che è come la visibile Giustizia e pari ad un Im
mortale corporeato, tutto angosciato dal pensier di Ràma e
conturbato dal dolor ch'egli ha del padre, così gli disse giu
gnendo le mani innanzi al capo: Il Càcutsthide che tu com
piangi come stretto ad abitar nella selva Dandaka, vestito
di corteccie e colla chioma ravvolta a modo ascetico, ti
dice salute. Messo a morte Ràvano e racquistata la Mithi
lese, è ritornato co' suoi amici il fortissimo Ràma avventu
roso, è con esso il valorosissimo Lacsmano e la gloriosa Vi
dehese; tu sarai lieto, o eroe dalle grandi braccia, sì come
per larga pioggia l'agricoltore. Sorgi prontamente, se tu sia
felice, e vieni a vedere il fratello ritornato, sì come Visnu
già si fe incontro ad Indra che ritornava, vincitore dei tre
mondi. Ecco si scorge colà lontano quel carro rapido come
l'animo, tirato da cigni e fulgido come sol che spunta, il
quale porterà qui Ràma.
Come udì que'detti d' Hanumat, si levò su gaudioso Bha-
rata figlio di Caiceyi; ma per soverchio di gioia tramortì.
Risorto quindi poco stante, così rispose ad Hanumat che
gli diceva parole sì care Bharata amantissimo del fratello,
e rigò il corpo dell'esimio Vànaro di gocce di lagrime gio
conde, nate da contentezza e dall'annunzio della cara no
vella: Sia tu un Deva, o pure un uomo venuto qui a me
per compassione, io t'accordo un dono, o amico, che m'an
nunzi sì cara notizia. Io ti dono cento mila vacche e cento
442 RAMAYANA,

villaggi, sedici donzelle d'onestissimo costume e di nobile


stirpe che ti saranno consorti, altre donne di volto soave
come la luna, dotate d'ogni fausto segno e nate d'illustre
schiatta, con cento ancelle al lor servigio, due mila suvarni
d'oro e cento serve; e quant'altro desideri, o amico, tutto
io a te lo dono.

CAPITOLO CX.

LETIZIA DI BHIARATA.

« Dopo molt'anni io pur odo cosa gioconda a udire e cara,


che io, ciò è, vedrò oggi colui che m'è donno; oggi al fine
rallegra il mio udito il racconto ch'io intesi di colui che è
mio signore, e mi si fa aperto quell'antichissimo (purànico)
carme che va per le bocche degli uomini: All'uom che vive,
viene eziandio dopo cent'anni la gioia ». Com' ebbe così
parlato al fortissimo Hanumat, l'inchiese Bharata, dicendo:
Narrami, o Vánaro, i casi di Râma, tuttochè io abbia in
teso da un destrissimo messaggiero la guerra intrapresa
contro Ràvano, ed abbia fatto grande sforzo per quella
guerra; io ho fidanza in te, o amico, che sei qui venuto
per parte di Ràma.
Interrogato dal regal figlio ed onorato con gaudio, narrò
Hanumat allora tutta la gran gesta di Râma. Come sia stato,
ei disse, mandato in esilio Râma a cagion della grazia ac
cordata a tua madre, come per dolor del figlio esiliato
venne a morte il re Dasaratha, come tu fosti , o eccelso,
prontamente richiamato per messaggieri dalla magion del
re de'Kekayi e come, entrato in Ayodhya, tu rifiutasti il
regno, come andando al monte Citracùta ed adempiendo il
dover dei buoni, tu invitasti al regno tuo fratello, sperdi
tore de' nemici, ed egli re sovrano, rimanendo pur fra le
selve, non s'inchinò ai tuoi preghi, e come tu, tolte le re
gali sue pianelle, te ne ritornasti, tutto ciò, o eroe dalle
grandi braccia, t'è pienamente noto; apprendi ora da me
quello che avvenne, dopo che tu ti partisti. Te partito, il
Raghuide insieme con Lacsmano entrò nella selva Dandaka
disabitata di gente umana e piena di serpenti. Dinanzi ad
YUIDDHACANDA 443
essi che camminavan per la folta selva, si parò il Racsaso
Viràdha, robustissimo e di mirabile vigoria. Ucciso quel
Racsaso di gran corpo, che strepitava come un elefante, il
gettò Ràma in una fossa coi piedi in alto e la faccia in
basso. Compiuto quell'arduo fatto, i due fratelli Ràma e
Lacsmano giunsero in sulla sera al romitaggio ameno di
Sarabhanga; ed ito quindi al cielo Sarabhanga, il veritiero
e forte Râma, onorati i pii asceti, si condusse al G'anasthàna.
Colà quel domatore de'nemici salutò Agastya sommo Risci;
quindi i due Raghuidi con Sità s'avviarono alla Panc'avati.
Una Racsasa per nome Surpanakha invitò colà ad amore i
due Raghuidi fratelli Ràma e Lacsmano, per gran desiderio
d'esser lor sposa; ed eglino amendue, poichè n'ebbero ben
riso, la respinsero, tagliandole orecchie e naso. Allor quella
deforme Racsasa condottasi a Khara suo fratello, gli narrò
che eran là presso i due Raghuidi. Furon colà da Ráma
assalito uccisi quattordici mila Racsasi abitatori del Gana
sthâna e spenti Khara e Dùsana. Surpanakha allora andando
a Rávano terror del mondo, gli raccontò la disfatta e la
morte di coloro e come fosse impareggiabile sulla terra
la beltà di Sità. Udita quella discara ed orribile novella, il
Racsaso terribile ai tre mondi n'andò prontamente a Ma
rica, Racsaso di forza spaventosa.
Come potrei io, gli disse, togliere Sità a Ràma, o egregio
fra' miei amici? Io faccio di te grande stima in ogni occor
renza, o Racsaso; vanne or dunque e presa forma d'aureo
cervo, tempestato di macchie d'argento, t'aggira dinanzi a
Sita. Quella donna da te adescata dirà di certo a Râma :
« Oh mirabile forma di cervo, incomparabile sulla terra!
Oh potessi io pure averne il vello variegato e graziosissi
mo! » Udendo tali detti di Sità, correrà Ràma incontro a
te; ed allor rimosso Ràma e allontanato Lacsmano, rapirò
io Sità a mio agio, e così sarà reso il contraccambio. Ben
chè conoscesse la forza di Ràma, pur così fece Maric'a; e
slontanati in tal modo Ràma e il fortissimo Lacsmano, Rà
vano rapì Sità e si levò quindi su per lo cielo. Il sovrano
degli avoltoi vide quella donna che forte e iteratamente gri
dava e diceva: Oh Ràma! oh Râmal e chiamava Lacsmano.
Fedele all'amicizia ch'egli aveva con tuo padre, ilfortissimo
444 RAMAYANA.

re degli avoltoi prestò allor soccorso a Sità; e datale si


curezza, ei combattè col Racsaso.
Fatta fierissima battaglia, rimase egli affranto dalla fatica;
e veggendolo tutto ansante e trafelato, il decacefalo Rávano
flagel del mondo ferì rapido a morte l'avoltoio Gatàyus; e
con gran prestezza afferrò Sità che correva per folte macchie
e gruppi alberi, derelitta e cercante coll'occhio un protettore,
sì come Rahu afferra Rohini in cielo. Quindi il re de'Racsasi
introdusse in Lanka, città posta sopra il vertice d'un monte,
Sità somigliante ad oro terso. Fatta entrar la Mithilese nel
l'ampia e splendida sua magione, tutta ricinta d'oro, si diede
Ràvano, ma inutilmente, a blandirla con parole. Allor che
Râma, ritornando, udì dal sovrano degli avoltoi che era
stata da Ràvano per forza rapita Sità rimasta sola, cadde
in gran dolore; ed esequiato lo spento re degli avoltoi,
amico caro di suo padre, valicò Ráma la Mandàkini e tra
passò fiorenti regioni selvose. Poco dopo i due valorosis
simi fratelli Ràma e Lacsmano incontrarono nella gran
selva il terribile Kabandha; e come que'due fortissimi e vi
gorosi l'ebbero ucciso colle lor scimitarre, Ràma eroe d' in
fallibile forza, condottosi per consiglio di Kabandha al monte
Risyamùka, s'affrontò colà con Sugriva. Convenuto quivi in
sieme col magnanimo Sugriva, ei si dissero scambievol
mente l'un « fa » l'altro « che debbo io fare?» Quivi Ràma,
ucciso colla forza del suo braccio in battaglia Bàli di gran
robustezza e di gran corpo, ripose Sugriva nel suo regno.
Quindi il fortissimo Sugriva, signor de'Vànari, sacrato re,
promise a Ràma che farebbe cercar la regal Sità; e per co
mando del magnanimo signor de'Vànari, dieci koti di scimi
s'avviarono a tutte le regioni. Stando noi seduti sull'eccelso
monte Vindhya e forte afflitti dell'inutile ricerca,faceva colà
Angada lamenti; in quella il frate valoroso del re degli avol
toi, per nome Sampàti, raccontò a noi tutti che Sita dimorava
nella magion di Ràvano; ed io allora, togliendo via l'affanno
dei compagni oppressi da dolore e ricorrendo alla mia forza,
valicai lo spazio di cento yogani di mare. Colà in Lanka io
vidi star tutta sola nel giardino degli asoki Sitá abbigliata di
veste serica, sordidata, sconsolata e costante nel suo voto.
Ricevuta da lei una gemma per contrassegno e compiuta
yrUIDDHACANDA, 445
la mia bisogna, io me n'andai; e messi a morte Racsasi
terribili e fatta grande strage ed arsa Lanka tutta intiera,
quindi - me ne ritornai. Come fui ritornato, consegnai a
Râma infaticabile nell'operare quel grande contrassegno, la
splendida e nobil gemma; e udendo ch'io aveva veduta
Sità, Ràma rallegrato nel suo animo riebbe la speranza della
vita, come l'infermo che bevve l'amrita. Fatto prontamente
apparecchiare lo sforzo dell'esercito, pose Ráma l'animo
alla distruzion di Lanka, a guisa del fuoco che sul finir del
mondo s'appresta a distruggere le genti. Venuti quindi al
mare, ei fe costrurre il ponte di Nala, e. per quel ponte
passò in breve tempo l'esercito. Colà Nila pose a morte
Prahasta, ed il Raghuide Kumbhakarna, Lacsmano uccise
il figlio di Ravàno, e Ràma Ràvano stesso. Convenuto in
sieme con Indra, con Vàruna e con Yama, coi Devi e con
i Risci, il Càcutsthide ne impetrò grazia per noi; ottenute
quindi grazie elette dal padre e dai Muni, quel domatore
de'nemici se ne venne sul carro Puspaca alla Kiskindhya;
ed arrivato prontamente al Gange, pernottò presso ai Muni
Bharadvàga. Domani col Pusyayoga tu potrai senza ostacolo
veder Ràma.

CAPITOLO CXI.

ABBOCCAMENTO Dl BHIARATA CON RAMA.

Com'ebbe udito quel racconto giocondissimo, Bharata


veritiero d'ogni sua promessa e sperditor degli eroi nemici
commise tutto lieto questi ordini a Satrughna: Sian da genti
pure onorati con ghirlande odorose e con musici stromenti
tutti i Devi e le Divinità della città d'Ayodhya; vadano in
contro a Râma bardi encomiatori e conoscitori delle storie
antiche (dei puràni), tutti i cantori usi a svegliare i re con
canti e suoni, i Brahmani versati ne'Vedi e tutte quante le
cortigiane destre in ogni sorta di stromenti musicali; s'ag
guaglino i luoghi affondi, gli aspri e i piani, e si cospar
gano di fiori e di grani abbrustolati tutti i siti per ogni par
te da Nandigràma fino ad Ayodhya ; vessilli levati in alto
adornino nell'eccelsa e nobile città le vie e le case in sul
446 RAMAYANA,

nascere del sole; altri uomini a centinaia spargano d'acconci


fiori, olezzanti e distinti di cinque colori la via regale tutta
disgombra; le donne del re ed i ministri, i guerrieri, i so
dalizi d'artigiani e le classi cittadine si muovano a contem
plar la faccia di Ráma, bella come la piena luna.
Uditi que'detti di Bharata, l'egregio Satrughna, sperditor
degli eroi nemici, fece eseguire ogni cosa appieno. In quella
uscirono festini sopra carri e sopra migliaia d'elefanti adorni
d'oro prestanti curuli guerrieri, ed altri sopra elefantesse
con auree cinghie e sonagliere. Il glorioso e prode Bharata
circondato da' suoi ministri e da migliaia di cavalli, intor
niato da mille e mille uomini pedestri armati di lancie, di
spade e di funi, cinto dai sommi fra i Brahmani, insigni
per virtù, dai principali fra i sodalizi dell'arti, da cittadini
portanti confetti e ghirlande di fiori, camminanti tutti lento
lento, rallegrato da encomiatori e da suoni di conche e di ta
balli, portante alte sul capo, siccome conoscitor di quel che
è giusto, le due regali pianelle, tenendo un bianco ombrello
ornato di candidi serti e due candide roste crinite, di gran
pregio e adorne d'oro, s'avviò allora quel magnanimo coi
suoi ministri incontro a Râma.
Salite quindi in lettighe, uscirono tutte le donne di Da
saratha, facendo a sè precedere Causalya e Sumitra. Per lo
suono dell'unghie de'cavalli, per lo fragor delle ruote dei
carri, per lo strepito delle conche e de'taballi, tremò la
terra: chè tutta quanta la città era quivi accorsa a Nandi
gràma. Ma Bharata volgendo l'occhio intorno, così parlò al
prestante Vànaro: Hai tu per avventura quella leggerezza
d'animo che è propria de' Vànari? chè punto io non iscorgo
il nobil Ràma Dasarathide, domatore de' nemici. A quelle
parole dettegli, così rispose Hanumat: Mira gli alberi fio
renti, con perpetui frutti e stillanti miele per favor del per
fettissimo e saggio Muni Bharàdvaga: chè tal grazia venne
concessa da colui, da cui un dà nella selva, o eroe, fu fatta
a te ed al tuo esercito ospitale accoglienza, copiosa d'ogni
cara cosa. Odi quello strepito de'Vànari esultanti; l' oste
de''Vànari or valica, io credo, la riviera Gomati. Mira colà
verso la Mandàkini il nembo di polvere sollevato; i Vànari,
io penso, or scommuovono l'amena selva di shoree (Sàla
YUDDHACANDA, 447
vana). Ecco appare su per lo suolo dell'aria, a guisa di luna
che sorge, quel divino carro Puspaca creato da Brahma
colla sua mente; ei fu acquistato dal magnanimo Rdma, col
l'aver messo a morte Rávàno e i suoi congiunti, e per favor
di Kuvera quel carro divino è veloce come l'animo. Sovr'esso
stanno i due Raghuidi, fratelli eroi colla Videhese, l'animo
sissimo Sugriva cinto da Vànari ed orsi e il prode fratello
minor di Rávano, il re Vibhisana.
Come videro il Raghuide che rapidamente s'inoltrava,
pari a un secondo sole, un clamor di gioia altamente ri
sonante e sollevato dalle turbe di vecchi, di donne e di
fanciulli che gridavan: «Quegli è Ràma » si diffuse per lo
cielo. Discesi dai carri, dagli elefanti e dai cavalli a terra,
contemplarono allor gli uomini Ràma stante sul carro, sì
come la luna in cielo; e Bharata tutto lieto, fattosi innanzi
a Ràma colle mani giunte dinanzi al capo, l'onorò come si
conveniva, dicendogli: « Tu sia il ben tornato ».
Sopra quel carro creato da Brahma colla sua mente così
risplendeva Ràma dagli occhi larghi e fulvi, come un se
condo Indra. Quindi Bharata con gaudio venerò, inchinan
dosi, il fratello che stava al sommo del carro, pari al sole
che sta sovra il monte Meru; e fatto poi salir sul carro ed
accostatosi a Ràma, il verace Bharata tutto gaudioso di
nuovo il venerò.
Ma Ràma, fatto levar su il fratello venuto dopo sì lungo
tempo al suo cospetto, e ritirandoselo in grembo, l'abbrac
ciò pieno di gaudio. Furon dal magnanimo Bharata, ap
pressandosi con animo rattenuto, venerati, qual si conve
niva, i piedi della regina Sità; poi il figlio di Caiceyi ab
bracciò Sugriva, G'àmbavat ed Angada, Meinda, Dvivida,
Nfla e Risabha. E que''Vànari mutanti forma a lor posta,
avendo presa forma umana, richiesero allor con gioia Bha
rata della sua salute. Indi Bharata disse a Vibhisana blande
parole: Felicemente, mediante il tuo soccorso, fu condotta
a fine un'impresa ardua oltre misura. Satrughna in quella,
salutati Ràma e Lacsmano, venerò poscia con modestia i
piedi di Sità.
Ma Ràma appressandosi alla madre dolorosa, scolorata e
smunta, suffusa di lacrime gli occhi e dedita ad osservanze
448 RAMAYANA,

austere e pie, abbracciò inchinato i suoi piedi, rallegrando


l'animo materno: salutate quindi Sumitra e la gloriosa Cai
ceyi ed. accostatosi a Vasistha circondato dai ministri, lo
salutò Ràma col capo inchinato, come ei fosse l'eterno
Brahma.
I cittadini allora che stavan colà affoltati ed erano a terra,
contemplarono Ràma stante sul carro e simile a sol che na
sce; e tutti colle mani giunte dinanzi al capo dissero a Ràma:
Sia tu il benvenuto, o figlio di Causalya, eroe dalle grandi,
braccia! » Il fratello maggior di Bharata riguardò con affetto
quelle migliaia di mani levate e giunte, raccolte in una dai
cittadini e somiglianti a sbocciati fior di loto. Licenziato
allor da Ràma, si calò a terra il carro velocissimo, tratto
da cigni e rapido come l'animo; e Bharata stesso, conosci
tor del giusto, tolte le megali pianelle di Ràma, le pose ai
piedi del re degli uomini.
Indi in atto reverente disse Bharata a Ràma: Fortunata
mente tu ti ricordi pur sempre di noi privi di protettore, o
perenne nostro donno! Io non presi a governare questo tuo
regno per desiderio di fruirne, ma per timor di te e per tuo
comando; or t'è da me reso il deposito. Oggi è fruttuosa la
mia nascita e compiuto il mio desiderio, poich'io ti veggo
ritornato re ad Ayodhya. Osserva a tuo agio, o signore,
la dovizia di vittuaglia, la camera del tesoro, l'esercito, la
città; per virtù di te ogni cosa fu da me accresciuta dieci
tanti. Guardando Bharata amantissimo del fratello, che così
favellava, versaron lacrime i Vànari ed il Racsaso Vibht
sana. In quella il Raghuide, recatosi per gran gioia Bha
rata in grembo, s'avviò sul carro coll'esercito all'eremo di
Bharata; e pervenuto coll'esercito al romitaggio di Bharata e
sceso giù dal sommo del carro, si fermò quivi Ràma a terra.
Ei disse allora a quel carro rapido come l'animo: Ri
torna al Dio Vaisravana; io ti licenzio: e quel carro rapido
come l'animo, licenziato da Ràma, avviatosi alla plaga set
tentrionale, se n' andò alla magion di Kuvera. Ma Vaisra
vana, veduto quel suo carro, così gli disse: Va! porta pur
Ràma; e vieni a me, quando sarai chiamato nel mio pen
siero; ed il carro per comando di Vaisravana ritornò a
Ràma, il quale udendo quel ch'era avvenuto, l'onorò.
YUDDHACANIDA, 449

C A PIT O L O C X II.

SACRA DI RAMA.

Allor che il prode e pio regal Bharata, sperditore dei


nemici, ebbe salutati con modestia Susena e Gambavat, il
fortissimo Kesari e Sugriva, così parlò al re de'Vànari,
abbracciandolo: Tu sei di noi quattro, o Sugriva, quinto
fratello; la benevolenza genera l' amico, che tutto intende
all'altrui soccorso. Poste quindi le mani giunte innanzi al
capo, il figlio di Caiceyi così parlò al maggior fratello Ràma,
veritiero e forte: Fu da te onorata mia madre e consegnato
a me questo regno; or io a te lo rendo, siccome tu a me
lo donasti. Il pondo che solo s' addossa un possente toro,
non son io valevole a portarlo, sì come un debile giovenco
non può portare un grave carico. Io son come un argine che
slama, rotto da furioso impeto d'acqua; e giudico arduo oltre
modo a portare il peso d'un regno, il cui possesso è macchiato
di vizio. A guisa che un asino non può seguitare il corso
d'un cavallo, nè un corvo il volo d'un cigno, così io non
posso, o uom divino, domator d'ogni nemico, seguire la tua
via. Sì come un albero piantato e cresciuto nell'interno ri
cinto d'una casa e fatto grande, arduo a salire, d'alto tronco
e d'ampli rami, il quale, benchè tutto florido, pur non mo
strasse frutti, di lui non avrebbe altri quell'utile, per cui egli
si pianta, tale imagine, o magno re, è detta da me a ca
gion tua; se fatto ora per diritto possessor della dignità
regia, non nodrissi tu donno noi tuoi servi. Ti veggano
oggi i reggitori degli uomini sacrato re con acqua lustrale,
e fiammeggiante di fulgore, sì come il sole ardente in sul
meriggio; t'addormenta e ti risveglia al suon d' ogni sorta
di musici stromenti, al tintinnio degli ornamenti che portan
le donne ai piedi e alla cintura, ed a soavi suoni di canti.
Quanto trascorre la ruota del carro de lsole, tanta èla terra
a te soggetta; signoreggiala tu pur tutta intiera.
Uditi que' detti di Bharata, il veritiero e forte Râma, pro
messo che sì farebbe, si pose a seder sur un seggio. Quindi
per ordine di Satrughna, abili barbieri, di man soave e
VOL, III 29
450 RAMAYANA.

presti si posero intorno a Ràma. Ed essendosi in prima la


vati Bharata e il fortissimo Lacsmano, Sugriva re de'Vànari
ed il Racsaso Vibhisana; Râma allora purificato la chioma
ascetica, lavato, lisciato d'unguento e cinto di candido serto,
col corpo rilucente d'ornati divini e con pendenti fiam
manti e fulgidi, abbigliato di veste di gran pregio , stette
quivi risplendente di fulgor divino, dopo avere in un coi
fratelli recisa in Nandigrâma la chioma ascetica. Quindi le
donne tutte di Dasaratha addobbaron venustamente e con
grande studio la virtuosa Sità; e Causalya piena l'animo di
gaudio adornò con attenta cura tutte le donne dei Raghuidi.
Allor per ordine di Satrughna venne l'auriga, per nome
Sumantra, dopo aver allestito il carro tutto adorno in ogni
parte; e Ràma eroe dalle grandi braccia e d'infallibile forza,
veduto lo splendido e nobil carro, somigliante al disco del
sole, vi salì. Poi, come vide allogati sul carro Lacsmano
ed ogni altro, il Raghuide eccelso fra i curuli guerrieri
s'avviò, accompagnato con essi e fiammeggiante di fulgore.
Prese Bharata le redini, tolse Satrughna l'ombrello, e Lac
smano tenendo la rosta ventava intorno il Raghuide.
S'udirono allora per lo cielo voci soavi delle schiere dei
Risci e dei Devi e della torma de' Màruti, che celebravan
Râma. Poscia l'animosissimo Sugriva, prestante fra tutti i
Vànari salì sopra l'elefante, che si noma Satrung'aya, pari
ad un monte; ed i Vànari saliti sopra migliaia d'elefanti
eletti e presa forma umana, s'avviarono addobbati d' ogni
sorta d' ornamenti. Al suon di conche e di taballi e con
istrepito di timpani progrediva verso la sua città l'eccelso
fra gli uomini, spandendo letizia intorno.
Ma in Ayodhya i ministri del re Dasaratha, udendo che
Ràma s'inoltrava, così parlarono al domestico sacerdote ed
a'suoi sodali: Per l'incremento di Ràma e per l'incremento
della città vogliate voi apprestare, secondo che si conviene ed
è conforme ai sacri prescritti, ogni cosa appieno per la sa
cra del magnanimo Ràma degno d'impero, adempiendo in
prima ogni fausto rito. Ciò commesso al venerando dome
stico sacerdote, usciron prontamente dalla città tutti i mini
stri con ansio intento di veder Ràma; e videro essi allora
il Raghuide che s'inoltrava con coloro che il precedevano,
YUDDHIACANDA, 451
risplendente per tutta la persona e fiammante come fuoco.
Magnificato il re e salutati da Ràma, seguitarono essi quel
magnanimo circondato dai fratelli. Onorato dai ministri, dai
Brahmani, dai savi de' Vedi, dai congiunti e dalle sue genti,
così risplendeva Ràma, come la luna cinta dai segni costel
lati (naksatri); ed era celebrato con soavi benedizioni da
genti liete che tenevan fra le mani oggetti benaugurosi e
proferivano fausti voti. -

Stavano dinanzi e intorno a Râma uomini portanti con


fetti, grani abbrustoliti ed oro, giovenche, donzelle e
Brahmani; e Ràma andava narrando ai ministri l' amicizia
di Sugriva, la possanza d' Hanumat e l'alta impresa de'Và
nari; e i cittadini d'Ayodhya strabiliavano, udendo quella
gesta de'Vànari e la forza de' Racsasi. Così favellando, Ràma
intorniato dai Vànari entrò in Ayodhya, piena di gente lieta
e ben nodrita, adorna di ghirlande e di vessilli, inaffiata le
vie e gli interni suoi mercati, sparsa di vari fiori le strade,
gioconda, densa di vecchi e di fanciulli affoltati, spaziosa di
case e di palagi, ornata di boschi e di giardini. Dissero al
lora a Ràma ritornato queste parole le donne che stavan
entro le case: Fortunatamente, o re, fu dai Devi fatta gra
zia ai cittadini, fratelli e figli, tutti anelanti a rivederti!
Forte era afflitta, o Ráma, per cagion tua Causalya, e tutti
parimente per la città li cittadini. Come il cielo privo di
sole, come l'Oceano privato di perle, come la notte senza
luna, tal era questa città orba di te, o Ràma. Oggì sì, o
eroe dalle grandi braccia, ne pare Ayodhya inespugnabile ,
come suona il suo nome, essendo tu qui presente all'uopo,
se mai avesser voglia d'assalirla i nemici. Que' quattordici
anni che trapassarono, dimorando noi qui, mentre tu eri
ito alle selve, o Ráma, ne parvero quattordici secoli.
Tali parole affettuose e dolci, proferite da uomini e da
donne e dimostratrici d'amore udiva il Raghuide perla via.
Pervenuto alla gioconda città, sede degli Icsvacuidi, e con
dottosi alla casa paterna, v'entrò quel gloriosissimo sovrano
fra gli uomini. Quivi Causalya, baciati sul capo i due fra
telli Ràma e Lacsmano e ritiratasi Sità in grembo, depose
l'angoscia che aveva nell'animo. Ma Ráma con parole sen
sate, ragionevoli e giuste disse al pio e regal Bharata: Stia
452 RAMAYANA.

Sugriva a suo diletto là in quel nobile e grande abitacolo


che ha vicino il bosco degli asoki ed è strato d' oro e di
lapislazzoli. La casa delle adunanze cittadine, che è ampia,
splendida e bella e tutta adorna, s' assegni , o caro, a Vi
bhisana. Così ai duci de' Vànari, perch' essi attendano or
dinatamente a ciò che loro aggrada, sian date subito abi
tazioni, secondo il lor desiderio, o domatore de' nemici.
Intesi que' detti, il verace e forte Bharata, preso Sugriva
per la mano, entrò nel grande abituro a lui destinato; così
fece quel prode a Vibhisana e agli altri Vànari. Tolte quindi
lampane piene d' olio di sesamo, tappeti e letti, entraron
colà prontamente sollecitati da Satrughna i servi. Il saggio
Bharata allora così parlò a Sugriva: Ordina, o signore, che
vadano pronti messaggieri per ciò che è opportuno alla sa
cra di Râma. Domani in sullo schiarir del giorno, entrando
la luna nel segno Pusya, sarà il Raghuide consacrato con
acque lustrali.
Immantinente il sovrano de' Vànari diede a quattro pre
stanti de' suoi quattro idrie d'oro, ornate di gemme, e così
lor disse: Fate di tornar prontamente in sull'ora del mat
tino, prima che si levi il sole, coll'idrie piene dell'acque
dei quattro mari.
Udite tali parole, i quattro magnanimi Vànari, simili a
monti, Gambavat, Susena, Vegadarsi e Risabha grandibrac
ciuto si. levaron subito in aria, a guisa di venti concitati.
Que' prodi ed eccelsi fra i duci, stimolati dal re de'Vànari
recaron colà dentro le idrie acqua da tutti i mari.
Risabha recò speditamente in un vaso d' oro, ricinto di
rami di sandalo rosso acqua dal mar meridionale.
G'ambavat con un ampio vaso ingemmato, guernito di
rami d'agalloco, recò acqua dal mare occidentale.
Vegadarsi messosi in via, addusse prestamente dal mar
settentrionale acqua fausta, adorna di floridi rami.
Susena recò pur colà festino dall'altro mare che è ad
oriente, un'idria guernita di maniglie e piena d'acqua.
Circondato dai ministri annunziò Satrughna allora al do
mestico. sacerdote, egregio fra i sacri maestri, esser pronta
ogni cosa per la sacra; quindi in sull'alba pura, nell'ora
che s'appella abhigit, all'entrar della luna nel segno Pusya,
YUIDDHACANIDA, 453
l'eccelso Vasistha attorniato da Brahmani, fatto sedere il
magnanimo Râma con Sità sur un seggio tutto ingemmato,
colla faccia volta ad oriente, nel modo stabilito dai grandi
Risci e prescritto dalle sacre dottrine, annunziò ai Brah
mani conforme al rito il momento opportuno alla sacra
di Ràma. Quindi Vasistha e Vàmadeva, Gàvàli, Vigaya e
Kásyapa, Gotama e il Brahmano Kàtyàyana, l'ardente Vi
svamitra ed altri eccelsi fra i Brahmani con acqua nitida ed
odorosa sacrarono Ráma prestante fra gli uomini, sì come
un dì i Vasu sacraron Vàsava (Indra) dai mille occhi. Ei
fu da prima asperso con acqua lustrale dai Brahmani do
mestici sacerdoti e da vergini donzelle ordinatamente, dai
duci dell'esercito esultanti e dai cittadini; spruzzato quindi
con succhi d'erbe d' ogni maniera dai Devi che stavan su
per l'etera, risplendeva Ráma irradiato d'immenso splen
dore. Tenevagli Satrughna l' ombrello gialleggiante e ni
tido, e Sugriva signor de'Vànari una bianca rosta crinita;
un'altra mirabil ventola crinita, candida come luna teneva
lieto intorno a Râma il re de'Racsasi Vibhisana.
Diede a Ràma il Vento, introdotto colà da Vàsava, un
aureo serto, fiammeggiante nel suo aspetto, adorno di cento
nelumbi. Il sovrano de' Yaksi colà convenuto ed introdotto
da Indra, donò a Ráma una collana di perle, tempestata di
gemme e di margarite. Lo celebrarono i Risci magnifican
dolo con voti di vittoria; e s'udivan colà suoni soavi delle
lodi date a Râma. Intuonarono canti i Devi ed i Gandharvi,
menaron danze le schiere delle Apsarase, in mentre che si
compieva la sacra del saggio Ràma. Era la terra coperta
di biade, eran saporosi i frutti ed olezzanti i fiori in quella
consecrazion di Râma.
Egli donò ai Brahmani mille e mille migliaia di vacche,
cento e cento centinaia di tori; e donò loro ancora trenta
koti d' oro. Ei largì lietissimo a quei Brahmani carri, or
namenti e vesti, letti e seggi e villaggi in grande copia.
Il nobil Ràma, grande curule guerriero donò a Sugriva
un divino ed aureo serto, tutto adorno di gemme e fulgido
come i raggi del sole. Ei donò al figlio di Bàli due nitide
armille, divisate di gemme e di lapislazzoli e variamente
ornate di diamante. Donò Ràma alla Videhese una mirabil
454 RAMAYANA,

collana di perle, tempestata d'elette gemme e rilucente


come raggio di luna, nobili vesti e splendidi ornamenti.
Ma la G'anakide Mithilese, adocchiato il Vànaro Hanu
mat e sciolto dal suo collo il vezzo di perle, riguardò ite
ratamente tutti i Vànari ed il suo sposo. Veduti que' cenni,
disse il Raghuide alla sua donna: Dona, o diletta Mithilese,
quel vezzo di perle a colui di cui tu sei sì contenta, a colui
in cui costanti risiedono il vigor, la forza e il senno. E
quella donna dai neri occhi donò il monile al figlio del
Vento; e il prestante Vànaro Hanumat così risplendè con
quella collana, come un monte cinto intorno di bianca nu
be, indorata da spessi raggi di luna. Quindi il re della
terra fece a Dvivida ed a Nila, a Meinda e a Panasa doni
atti a satisfare ogni lor desiderio ; ed a tutti gli anziani
de' Vànari ed a quant' altri v' erano lor duci , donò Ràma
adornamenti, secondo che n'era degno ciascuno.
Onorati in tale modo con ricche gemme e con ogni cosa
desiderata, fatto colà breve soggiorno e posti con cortesia
nel primo luogo, colmati di beni e d'onoranze, tutti quei
Vànari, Racsasi ed orsi si disposero ad andarsene, contur
bati tutti nell'animo da quella separazione.
Ma il Raghuide così parlò ad Hanumat che era in punto
di partirsi: O Hanumat, prestante fra i Vànari, tu non fosti
da me degnamente onorato; eleggi or perciò una grazia;
chè fu da te condotta a fine una gran gesta. A que' detti,
cogli occhi pieni di lacrime di gioia, così ei rispose a Ràma:
Per quanto tempo andrà attorno sulla terra la storia di Rà
ma, tanto rimangano nel mio corpo gli spiriti vitali, se tu
pur vuoi farmi una grazia, o eroe.
Udite quelle sue parole, rispose Ràma: Così pur sia, se
tu sia felice! Finchè staranno la terra, i monti e i mari,
tanto abbia tu vita , permanendo vigoroso, giovane e sano
ed esente da vecchiezza. Allor la Mithilese anch'essa gli
accordò un'altissima grazia: S' offriranno a te, o Màrutide,
spontanei sulla terra gli alimenti, e dovunque tu starai,
colà t'onoreranno, sì come un Immortale, i Devi, i Dànavi
e i Gandharvi e le schiere delle Apsarase. Nasceranno a
tua voglia e col solo desiderarli, o incolpabile, frutti pari
all' amrita ed acque limpidissime.
YUDDHIACANDA, 455
Detto: « Così sia » si partì Hanumat cogli occhi pieni di
lacrime; e se n'andaron quindi, sì com'eran venuti, tutti
gli altri, ciascuno alla sua sede; e per grande amor che
avevano a Ràma, ivan egli, ragionando di lui con nobili e
cari racconti.
Partitisi que''Vànari, il Raghuide struggitore de' nemici
così parlò al pio Lacsmano, che gli fu sempre devoto: Reggi
insieme con me, o conoscitor del giusto, questa terra che
abitò la stirpe dei re nostri antenati. Innalzato alla dignità
di principe ereditario dell'impero, porta del pari con me il
peso che portaron già prima i nostri padri. Ma quando il
Saumitride, benchè pregato con tutto l'animo ed esortato
alla dignità di principe ereditario sulla terra, ricusò il con
sorzio del regno, allora il magnanimo Ráma sacrò Bharata
socio dell'impero.

CAP 1T o L o CXIII.
CONCLUSIONE,

Ogni dì il costante e pio Ràma attendeva egli stesso coi


fratelli a provvedere ai negozi del regno. Mentr'ei governava
con giustizia, fu tutta piena di gente lieta e ben pasciuta,
fiorente di biade e di ricchezze la terra. Non v'avea oppres
sor nel mondo e mai non incontrò danno ad alcuno; nè
mai ebbero i vecchi a rendere ai fanciulli i funebri uffici.
Tutto era pien di contentezza, ogni uomo intento al dovere;
e veggendo Ràma tutto inteso alla giustizia, nessun cercava
d'offendere altrui. Mentrechè Ràma resse il regno, l'uom per
veniva all'età di cent'anni, era padre di molti figli, esente da
morbo e da tristezza. Avean gli alberi perenni fiori e perpe
tui frutti, mai non erano offesi da violenta rottura; versava
Indra a tempo opportuno le pioggie, e spirava con soavi
aliti il vento. Mentrechè Ràma resse il regno, attendevan
le caste ai lor doveri e ai loro uffici; eran giustissimi i sud
diti. In tale modo governava il regno Ràma dotato d'ogni
fausto segno, intento ad ogni dovere,fregiato d'ogni virtù.
Conseguito intiero il regno e distrutto ogni nemico, sacri
ficò quel glorioso con grandi e vari sacrifici, in cui ebbero»
456 RAMAYANA YUDDHIACANDA,

i Brahmani larghi doni. Ei celebrò dieci Asvamedhi, G'à


rutthi accompagnati da grandi larghezze, due sacrifizi a
Pundarikàksa e molti Vàgapeyi. Assistito da Lacsmano, go
vernò così Râma la terra; egli ebbe braccia lunghe fino
al ginocchio, bel sembiante, larghi omeri ed aspetto mae
StOSO.

Egli è questo il gran poema primordiale,fortunato, glo


rioso, dator di longevità e apportator di vittoria ai re, il
qual compose un dì Valmiki. Colui che nel mondo udrà
costantemente questa mirabile storia di Râma infaticabile nel
l'operare sarà sciolto d'ogni colpa. Ascoltando i fatti di Rá
ma, otterrà nel mondo figli colui che desidera figli, ricchezze
l'uomo che desidera ricchezze. La vergine donzella che de
sidera uno sposo otterrà sposo giocondo all'animo suo, ed
otterrà eziandio di riunirsi ai cari congiunti che stan lon
tani. Coloro che udranno nel mondo questo poema compo
sto da Valmiki conseguiranno ogni grazia desiderata, con
forme ai loro voti. -

QUI FINISCE NEL DIVINo RAMAYANA, POEMA PRIMORDIALE DI VALMIKI,


coMPosTo Di vENTIQUATTRO MILA SLOKI, IL YUDDHACANDA.

FINE DEL RAMAYANA,


N()TE
AL LIBRO QUINTO.

3. 15. () – Vaisravana. Nome patronimico di Ku


vera, fratello del Racsaso Ràvano e Dio custode delle ric
chezze, che aveva sua sede sul settentrionale monte Kai
làsa; perchè a borea eran situate le regioni ricche d'oro.
I Racsasi erano essi pure riputati come custodi di ricchezze,
simili in questo ai nordici Nibelungen che guardavano nelle
regioni settentrionali ricchi tesori, e fra que' Nibelungi il
fiero Hagen conosceva il luogo ove stava sepolto in fondo
al Reno il gran tesoro di Sigfrido; simili ancora ai Recken
della tradizione Scandinava,fierigiganti (Raksasi) che custo
divano i tesori dei monti (v. Tableau de la littérature du
Nord au moyen dige, par F. G. Eichhoff). A quest'uffizio di
guardiani di tesori attribuito ai Racsasi si vuole che alluda
il loro nome, il quale derivato dalla radice raks « difendere,
custodire », verrebbe a significar « custodi ». Ma son questi
certamente concetti posteriori ed accessorj. L'idea principale
e primitiva connessa col nome di Racsasi, quella che già
si trova nei Vedi (v. il primo Astaka del Rig-Veda Sù
kta xxxv), e che domina nel Ràmáyana, è quella di gente
ostile e fiera, avversa d' origine, di culto e di lingua agli
Aryi o Indo-Sanscriti, simile ai Dasyu e ad altri tribi di
genti feroci ed antropofagi che avversavano e inimicavano
gli Aryi nelle lor primitive migrazioni per l'India.
4. 18. – Fu iniziato ad esser capo di famiglia. Il com
mentatore chiosa il snátavrata del testo « che ha conse
guito la sapienza ». Non è questo il significato preciso del
vocabolo del testo, o per meglio dire, il commento non ne
esprime il senso appieno. Il snátavrata è il giovane Aryo,
appartenente ad una delle tre prime caste nobili, il quale

(*) Questi due numeri indicano: il primo la pagina, ed il secondo la


linea del testo a cui si riferisce la nota; e così gli altri di mano in
laIl0,
458 NOTE

ha compiuto il suo tirocinio sotto la disciplina d'un guru o


maestro spirituale, venne iniziato alle varie parti della scienza
Vedica, e può quindi accasarsi e divenir capo di famiglia.

4. 29. – Segnate colle cifre di Ráma e Lacsmano. Mi


sono attenuto qui alla chiosa del commentatore che pare
alludere ad un uso antico, proprio de' guerrieri più con
spicui, quello di segnare con propria cifra le armi da lor
lanciate. Egli è vero che stando alla chiosa del commenta
tore, converrebbe tradurre « segnate colla cifra di Ràma »
invece di « segnate colle cifre di Ràma e Lacsmano ». La
frase del testo sovracitata si potrebbe anche interpretare in
altro modo, vale a dire: « le saette. drizzate al segno da
Ràma e Lacsmano ».

5. 12. – La strage del Ganasthána ecc. Si veggano i


dieci capitoli XXVI-XXXV del libro terzo Aranyacanda, dove
si descrivono i fatti, ai quali si fa qui allusione.
5. 20. – Contro la luna e il sole Rahu lor nemico
(capitolo XXIII, sloka 33, verso 2). La traduzione di questo
luogo è appoggiata al commento che qui cito, affinchè le
serva d'autorità e di guarentigia: « Indrabàhù sono il sole
e la luna; la contesa con questi due del lor nemico Ràhù ».
Secondo il commentatore adunque Indrabdhú che letteral
mente verrebbe a dire « le braccia d'Indra », significa qui
il sole e la luna, e Vritra che è comunemente il nome d'un
demone della tenebra, avversario d'Indra, significa qui sem
plicemente nemico. L'interpretazione che ho data di questo
passo, è conforme alla chiosa del commentatore. Sebbene
il vocabolo Indrabáhú non si trovi generalmente nei lessici,
col significato di sole e luna, tale significato pur nondimeno
non pare al tutto alieno da quel vocabolo. Indra è essen
zialmente Divinità atmosferica, e con imagine un po' ardita
ben si possono chiamar sue braccia il sole e la luna.
8. 17. – I trenta tre Devi. È questo il numero delle
Divinità Vediche che si trova menzionato nel Rig-Veda. Nel
primo Astaka Sùkta XXXIV, il Risci Hiranyastùpa invo
cando gli Asvini, dice: « O Nàsatyi (Asvini) venite qui coi
tre volte undici Devi ». E al Sùkta XLV, il Risci Pras
kanva indirizzando il suo inno ad Agni (ignis, il fuoco),
così lo invoca : « O signor de' rossi corsieri, propiziato
dalle nostre preci, conduci qui i trenta tre Devi, ecc. ».
AL LIBRO QUINTO. 459
Questo numero dovette di certo essere stato effettivo e
reale nei primordi della religion Vedica; sebbene paia
assai probabile che le trenta tre Divinità Vediche non do
vessero trovarsi allora coordinate in modo così sistemati
co, come le ordinarono più tardi gli autori degli Upanisadi.
Nelle età posteriori del Brahmanismo quel numero andò
crescendo oltre misura per successive creazioni mitiche e
religiose che popolarono l'Olimpo dell'India d'Enti astratti
d'ogni maniera. Ma per la perenne venerazione della parola
Vedica rimase l'uso di appellare spesso i trenta tre Devi
la falange numerosa delle Divinità moltiplicate.

8. 33. – Forte leccavan colla lingua ecc. È questo, a


mio avviso, il solo senso ragionevole di cui sia suscettivo
questo luogo. Ma per trarre da tal passo (sloka 15, verso 1)
il senso che ho qui espresso, ho dovuto scostarmi alquanto
dall'andamento un po' insolito che piglia in questo passo
la struttura grammaticale.

9. 12. – Quel che da te dovea ecc. Confesso che que


sta frase del testo è un po' cangiante ed incerta e che si
potrebbe piegare a due o tre altri significati più o meno
conformi all'interpretazione che ne ho dato; la quale per
altro credo essere la più esatta e la più concorde col te
nor generale del pensiero che domina in questo capitolo.

9. 22. – Siccome Sváhá ecc. Tutti i Devi qui menzio


mati Agni, Indra, ecc. non avevano ancora nei Vedi Dee con
sorti e spose; queste vennero loro associate più tardi. Svâhà
era un'esclamazione benaugurosa adoperata nei sacrifici; or
come Agni (il fuoco) era il ministro maggior del sacrificio,
così gli venne più tardi data per isposa Svàhà, la grande
invocazione personificata. Saci fu data per consorte ad
Indra; Uma divenne la sposa di Rudra; Suvarc'alà, la ful
gida luce, fu consorte del Sole, Diksà, l'azione del sacri
ficare, fu sposa di Soma che era la personificazione della
grande offerta usata nei sacrifici, vale a dire del sugo d'a
sclepiade mescolato con latte e grani d' orzo; Lacsmi, la
Dea Fortuna, fu sposa di Visnu, Kriyà, la creatrice, fu
consorte di Brahma il creatore, e Sandhyà, il crepuscolo, fu
sposa di Pùsan, che era una personificazione speciale del
sole, riguardato sotto un suo aspetto particolare, quello
d'altore, di nutritore.
460 NOTE

11. 36. – Mi dolgo miseramente. Il testo ha yathásu


kham. Mi sono attenuto all'interpretazione, tuttochè insolita,
che ne dà il commentatore perchè il senso che ne risulta,
meglio si appropria a questo luogo; ma il senso consueto
ed ovvio del vocabolo yathásukham sarebbe non già « mi
seramente », ma « a piacere, a diletto, ad agio ».

14. 29. – Poscia qui venne Ráma ecc. I due sloki 13


e 14 del testo che contengono il pensiero espresso in questo
periodo della versione, potrebbero interpretarsi in altro modo
cioè: « Qui venne Ràma assiso col prode Lacsmano e con
Sità sua consorte, sul carro Puspaka, e portando un bianco
serto e bianche vesti; egli era seguitato da Lacsmano con
un carro tirato da bianchi tori e da cavalli ». Confesso che
questa seconda versione converrebbe forse meglio alla strut
tura grammaticale del testo, e meglio s'accorderebbe colla
chiosa del commentatore. Ma v'ha una difficoltà che vi si
oppone. E detto nella prima parte di questo periodo che
Lacsmano stava assiso sul carro Puspaka con Ràma e con
Sità; or se è così, come poteva egli poi seguitarli sopra
un altro carro?

15. 1. – Bevevan sangue i Racsasi. Il testo ha sola


mente « bevendo i Racsasi » ; v'ho aggiunto sangue, con
formandomi alla chiosa del commentatore che è al tutto
confacente a questo luogo.

15. 29. – Per forza dell'inevitabile dualismo. Mi pare


indubitabile che il dvaigunya dello sloka 35 allude qui
all' antica dottrina della dualità permanente di due forze
opposte, e che per dvaigunya s'ha qui ad intendere quel
dualismo di due principj contrari, l'uno buono, l'altro cat
tivo, che si trova diffuso nelle tradizioni de'popoli Aryi
e per cui cercavano essi di solvere il terribile problema
dell'esistenza del male. La più manifesta imagine di tal dua
lismo si trova espressa nell'India Sanscrita colla lotta as
sidua degli Asuri e dei Suri, quelli tenebrosi e rei, questi
luminosi e buoni; nelle dottrine Zoroastriche dell'Iran è
specialmente figurato nella lotta d'Ormuzd (Ahura-Mazda,
« il signor sovrano e il gran creatore ») e d'Ahriman (An
ghra-Mainyu, « il demone malvagio »); ved. E. Burnouf,
Commentaire sur le IVacna; nell'Edda si trova simboleggiato
sotto i nomi di Loke e di Balder.
AL LlBRO QUINTO. 461
16. 2. – Credo che questo capitolo XXVIII – Presagi
manifesti a Sitá – sia un'aggiunta, un innesto fatto più
tardi dai Rapsodi. Ei non ha quasi vincolo di connessione
con quel che precede nè con quello che segue; e si potrebbe
tor via senza danno, anzi forse con vantaggio dell'epopea.
Il metro in cui è scritto questo capitolo, differisce eziandio
da quello che è generalmente adoperato nel corso del poema.

17. 30. – Prayuti ed arbudi. Il prayuta è un milione;


l'arbuda cento milioni. Ma questi numeri son qui posti per
indicare grandi quantità indeterminate; ed è per questo
ch'io ho conservato i loro vocaboli sanscriti.

19. 33. – Uso di vedere i Devi. Il commentatore chiosa


il devadarsi dello sloka « colui che ha per costume di ve
dere i Devi ». Ho tradotto conforme a tale chiosa; la quale
s'accorda con ciò che è detto di Dasaratha in altri luoghi
dell'epopea, p. e. al capitolo, dove Indra appare a Sità in
Lanka, e Sità gli dice: « Io ti veggo così, come già ti
videro Dasaratha e mio padre ». Gli eroi di que' tempi
mitici conversavano coi Devi.

21. 10. – Una dei Maruti o dei Rudri, ovver dei Vasu.
Maruti, Rudri e Vasu son tutte Divinità Vediche apparte
nenti a quel culto di natura che divinizzava i fenomeni
naturali più conspicui e le forze principali e sovrane della
natura. I“Maruti sono i venti; fra le varie etimologie che
i scoliasti danno di quel nome, una è quella che lo de
riva dal fracasso ch' ei fanno : « amitam ruvanti, strepi
tano fuor di modo ». I Vasu fra cui è primo Agni (il fuoco)
eran Geni protettori, Devi della luce e dell'aria, Spiriti degli
antenati (v. Lassen, Indische Alterhumskunde, zuweites Buch,
pag. 768). I Rudri erano Dei delle tempeste, Divinità ter
ribili, sì come suona la loro etimologia: « IVad rodayanti
tasmád rudrás, perchè fan piangere, son chiamati Rudri »
(Wilson, Rig-Veda-Sanhitá, p. 8) ». Ma i commentatori che
vennero dopo e che vollero ridurre le Divinità Vediche a
concetti sistematici, dissero essere i Rudri i dieci soffi (pra
nàs) della vita, a cui s'aggiunse come undecimo l'anima
(givàtma). -

21. 15. – Vasistha. Personaggio storico-mitico, di cui


m'occorse già di parlare altre volte. Era egli un antico sag
gio ed uno dei sette Risci che formano nell'astronomia mi
462 NOTE

tologica dei Brahmani la costellazione della Grand'Orsa. Il


Burnouf nel suo Commentaire sur le Fagna, pag. 129, ne
deriva il nome dal radicale zendico vah o vas che significa
« bontà, eccellenza » e da cui traggono origine nel zend
più altri nomi, tutti significanti « bontà », come vah-ya,
vah-o, vah-u, ecc. Vasistha verrebbe dunque a significar
« l'ottimo, il prestante ». Il radicale vas sussiste pure nel
sanscrito; ma ei non ha conservato in questo idioma il si
gnificato di bontà che egli ha nel zend; onde il sanscrito
per render ragione del nome Vasistha è costretto a ricor
rere ad altre fonti affini. Arundhati era la consorte di Va
sistha, ed anche una delle Pleiadi. Ella era riguardata nel
l' India come esempio di fede conjugale ed invocata nei
riti del connubbio.

23. 31. bis. – Vdcaspati. È lo stesso che Vrihaspati,


Divinità che regge il pianeta Giove; è maestro degli Dei e
signor della favella, come suona il suo nome.
24. 14. – Scornato l'iniquo Rávano. E la versione del
verso primo dello sloka 60, il qual verso tradotto letteral
mente verrebbe a dire: « Camminando sulla testa di Rà
vano ». Il commentatore non fa alcuna chiosa a questo luogo;
ma a me par certo che tale locuzione non significa altro
che « schernire, vilipendere, non far conto d'uno ».

25. 11. – È alto quattro cubiti, ecc. Questa e le seguenti


doti che il poema attribuisce qui a Ràma, sono espresse in
modo al tutto enigmatico. Niuna di tali doti è dichiarata
nei lessici; convenne perciò attenersi all'intrepretazione che
ne dà il commentatore. Ma siccome il commentatore mette
qui innanzi due o tre interpretazioni per ognuna di quelle
qualità, e bisognava pure appigliarsi all'una o all'altra di
quelle chiose differenti, così io non so, se sarò sempre riu
scito a cogliere il senso che s'asconde «Sotto il velame degli
versi strani ». Così p. e. alvocabolo sadunnato (sloka 15ver
so 1), che io ho tradotto « sei son rilevate », il commenta
tore arreca due chiose diverse l'una di Sarvagna, l'altra di
Vimalabodha. Le sei parti rilevate, secondo la prima chiosa
di Sarvagna, sono dunque, il petto, il ventre, le unghie,
il naso e la bocca. Secondo la chiosa di Vimalabodha, le sei
parti rilevate non son più in tutto le stesse che quelle enu
merate più sopra, ma sono la fronte, l' omero, il ventre,
il naso, le unghie, il petto. Ma tutte queste particolarità
AL LIBRO QUINTO. 463
concernenti l'arte di presagire dalle fattezze corporali non
hanno al postutto una grande importanza.
26. 29. – Il monte dove il sol declina. Il commentatore
chiosa l'agniparvata del testo (sloka 35) « il monte dove
il sole cala all'occaso »; ho seguitato questa interpretazione;
ma propriamente agniparvata verrebbe a dire « un vul
cano », che sarebbe imagine opportunissima al luogo del
l'epopea, dove si trova quel vocabolo; e forse ch'ei deb
b'essere preso in questo senso.

27. 11. – Che ha il fulgore, la beltà ecc. Il testo ripete


qui quattro volte lo stesso vocabolo suvarnasya « dell'oro
(sloka 45)». Ma il commentatore chiosa quel vocabolo quat
tro volte ripetuto: « il fulgore, la beltà, lo splendore e il
color dell' oro », interpretando il medesimo vocabolo per
quattro qualità o pregi differenti dell'oro.

30. 24. – Per l'albero Varuna, ove mi dimoro. Ho tra


dotto, seguitando la chiosa del commentatore : « per lo
monte ov' ho mia sede. per l'albero Varuna, ove mi di
moro ». Hanumat giura qui, com' è naturale ne' giuramenti,
per le cose che gli son più care e che più lo toccano, quali
sono i monti e gli alberi fra cui vive.

40. 29. – Si dee por mente al quarto. Gli spedienti da


porsi in opera contro i nemici per ridurli a pace o per
averne vittoria son quattro, conforme alle dottrine dell'In
dia: 1.º il sáman, la conciliazione; 2° il dána, il donare;
3° il bheda, la disunione; 4° il danda, il castigo, la forza.
I tre primi spedienti, la conciliazione, i doni, la disunione
Hanumat non vuole usarli, siccome inopportuni all'uopo;
rimane adunque che si ponga mano al quarto, al castigo,
alla forza; ed è questo appunto quel che fa Hanumat, schian
tando il bosco degli asoki, così caro a Ràvano.

41. 6. – Fermo adunque nel mio disegno ecc. (stan


za 34). In tutto questo oscuro periodo mi sono discostato
dall'interpretazione del commentatore. Secondo la chiosa del
commentatore converrebbe tradurre tutto questo passo così:
« Fermo or qui pertanto nel mio disegno d'usar la forza,
e ben chiarito della differenza che v' ha tra la balda mia
letizia e quella del nemico, se tornerò quindi alla dimora
464 NOTE

di Rama, sarà allora effettuato l'ordine del mio signore ».


Non voglio dire che, in quanto alla struttura grammaticale
del testo, tale interpretazione sia assolutamente erronea; ma
non mi pare che n'esca un senso soddisfacente. Questo passo
del poema vuol dire insomma: « Io Hanumat fermo nel mio
disegno m'andrò qui aggirando per la magion di Ràvano:
chè ben so io in che differisca la propria mia letizia da
quella del nemico, e so quindi quel che debbo fare per ren
der lieto me e non far lieto il mio nemico; poscia adem
pirò qui l'ordine di Ràma mio signore; vale a dire, fatto
quello che ho in mente di fare, tornerò a Ràma, recandogli
novelle di Sità, e manderò così ad effetto l'incarico ch'ei
m' ha dato ». E questo, a mio avviso, il miglior senso che
si possa cavare da quel luogo un po' intralciato.

43. 10. – Ad un grande edificio dalle mille colonne.


Quello che io ho interpretato qui per «un grande edificio »,
è appellato C'eitya (c'eitya) nel testo, significa in sanscrito
un albero sacro, una sacra ficaia cresciuta presso ad un
villaggio ed avuta in venerazione dal popolo, un monu
mento sepolcrale, un luogo destinato al sacrificio, come
sarebbe un altare ecc. Ma nessuno di tali significati qua
dra pienamente al ceitya di cui qui si ragiona, e che do
veva essere una construzione di gran mole; giacchè il te
sto stesso lo chiama più sotto (prásáda) che vale «palagio,
tempio, ecc. » e più innanzi ancora dice che Hanumat « di
velse da quell'edificio (c'eitya prásáda) una colonna ornata
d'oro ». La chiosa del commentatore non è ben precisa in
quanto al proprio e vero significato del c'eitya che qui oc
corre; interpretando quel vocabolo, egli l'appella ora dya
tana una casa, un altare, ora vriksa un albero. Insomma
ei non appare ben manifesto quale sorta di construzione o
naturale od artificiale si voglia qui indicare. Io ho tradotto
il c'eitya con vocabolo generico « un grande edificio », e
tanto più facilmente, in quanto che il commentatore chiosa
l'epiteto sahasrapádam che v' è annesso nel testo « dalle
mille colonne » interpretazione che quadra a maraviglia ad
un grande edificio.

43. 14. – Al monte Páripátra. È uno dei monti della


gran catena Vindhya; è il Vindhya occidentale che cinge
intorno la provincia di Malva (v. il Lassen, Indische Alter
thumskunde, p. 82).
AL LIBRO QUINTO. 465
44. 29. – Kinkari. Il nome di Kinkari significa ministri
speciali d'un sovrano, quelli che ricevono da lui stesso gli
ordini opportuni e ne sono fedeli esecutori.

46. 22. – Qui ho lasciato di tradurre l'ultima stanza del


capitolo, perchè soprabbondante e inutile. Eccone la ver
sione: « Udendo esser morti gran numero di Racsasi e
schiantata la grande selva che gli era cara, e sentendo qual
fosse la forza d'Hanumat, spedì colà a combattere i figli dei
suoi ministri ».

47. 11. – Nubi arciere d'Indra. Indra è il Dio del fir


mamento e de'fenomini atmosferici, come delle nuvole, del
fulmine, delle piogge, ecc. Ora il fulmine,
- -

Se subito la nuvola scoscende,

prorompe da essa rapidissimo, sì come la saetta dall'arco;


e per tale rispetto le nuvole possono qui chiamarsi arciere
d'Indra.

48. 32. – Saette pentacefale. Il testo ha (pancamu


khi), vocabolo che indica qui certamente una particolare
specie di dardi appellati panc'amukhi, vale a dire « aventi
cinque facce », una delle tante specie e fogge di dardi men
zionati sia nel Ràmàyana, sia nel Mahābharata. Ma non po
tendo io imaginare qual fosse precisamente tale sorta di
saette, e tali saette non avendo di certo nome proprio nelle
nostre favelle, ho tradotto il panc'amukhi pentacefale, vo
cabolo, che se non altro, rende almeno il significato let
terale di panc'amukha.

51. 25. – Vidyádhari. Vidyádhart, secondo la chiosa


del commentatore sono la stessa cosa che i C'akradhari.
Ho interpretato conforme a tale chiosa. I Vidyádhari sono,
come ho detto altrove, Semidei o Geni aerei; il loro nome
significa secondo il Wilson « portanti la pallotola magica »,
mediante la quale posta in bocca uno ha possanza di le
varsi in cielo. C'akradhari verrebbe a dire « portatori di
disco »; non saprei definire se a ragione o a torto il com
mentatore identifichi qui que' due nomi.

54. 29. – Formati con grand'arte da Visvakarma. È


il mánaseis dello sloka 3, che ho così interpretato, atte
VOL., III, 30
466 NOTE
nendomi alla chiosa del commentatore che dice: « formati
da Visvakarma col pensiero, colla mente attenta, con alta
intelligenza ». Forse in luogo di «formati con grand'arte »
converrebbe meglio il dire « formati colla mente intenta ».
Usa il commentatore con chiosa al tutto conforme alle idee
metafisiche dell'India d'interpretare il mánasa che signi
fica « mentale (da manas mens) », per « creazione men
tale » ora di Brahma, ora di Visvakarma il grande artefice
celeste, ecc. E la mente che crea colla potenza del pensiero.
55. 11. – Siccome i Devi al signor sovrano. Il (Mahé
svara) del testo, tradotto letteralmente, significa appunto
« signor sovrano »; ma nei lessici tale vocabolo è desti
nato particolarmente a significare uno dei nomi di Siva;
onde pigliando il Mahésvara in tale significato, converrebbe
tradurre « siccome i Devi a Siva». Ma non credo che tale
sia qui il significato di Mahésvara. Non mi ricordo che in
alcun luogo dell'epopea si sia parlato dei Devi facenti cor
teggio a Siva. Questo Deva non aveva ancora all'epoca an
tica del Ràmàyana quella supremazia, quella sovranità che
ottenne più tardi, ed il vocabolo Mahésvara che divenne
poscia nome poprio di Siva, doveva anticamente riferirsi
o a Brahma o ad Indra o ad altra Divinità dell'Olimpo
indiano. -

57. 26. – Con ardue austerità hai conseguito grande


stato. Il commentatore chiosa il testo in questo modo :
« colle grandi tue austerità, colla tua giustizia hai acqui
stato spose a te conformi ». Ma ciò non pare ben accor
darsi con quello che Ràvano dice sul principio del capi
tolo xXII: « E proprio ed eterno ufficio dei Racsasi il
torre per forza le donne altrui ». Il rapire con violenza le
donne altrui non è procacciarsi spose con giustizia. La voce
stato, di cui mi son servito, nella sua larga significazione
mi par rispondere a punto al vocabolo parigraha del testo.

62. 35. – Generato dal vento. Il márutatmaga «figlio del


Vento » è l'epiteto consueto d'Hanumat; ma qui (sloka 14)
il commentatore, e credo che abbia ragione, lo riferisce al
fuoco. La costruzione grammaticale del testo favorisce pure
questa interpretazione, ch'io ho adottata.

63. 36. – Nelle regioni inferne. Il testo ha badavámukhe


che il commentatore chiosa pâtàle « nel Pâtàla, nelle regioni
AL LIBRO QUINTO. 467
inferne ». Il vocabolo badavámukha significa letteralmente
« bocca di cavalla » ed allude a un mito antico, ma perchè
questa cavalla sommersa nell'oceano vomita fuoco, il voca
bolo « bocca di cavalla » ebbe il significato di fuoco sotto
marino ; e come per la sua bocca è l'entrata alle regioni
inferne, al Pátála che è il Rangha (rasátala) del Zend
Avesta, così il badavámukha passò a significare eziandio il
Pátála, le regioni inferne, sedi mitiche degli Dei-Serpenti
delle stirpi Chamitiche, avversi ai Devi Vedici delle schiatte
Indo-Sanscrite od Arye. V' ha qui due cose a notare princi
palmente; l'una, la relazione intima, che nelle religioni an
tiche ha il cavallo coll'Oceano; l'altra, che in tutto questo
mito si allude evidentemente ad antichi fenomeni geologici,
a vulcani sottomarini che si manifestavano in quelle regioni.

64. 5. – Che non ebbe saldo effetto. Questo sloka 9


sarebbe suscettivo d'un'altra interpretazione alquanto di
versa, ed è: « Ond'io per colpa della mia ira questo solo
ho pur fatto manifesto, che un'impresa celebrata nei tre
mondi non ebbe fermo effetto ». Questa disposizione del
Sanscrito a piegarsi talvolta a due interpretazioni differenti,
nasce in gran parte dall'assenza del verbo che il Sanscrito
sovente tralascia, costruendo la frase ed esprimendo il pen
siero con soli sostantivi, aggettivi e participi. Tale uso pre
valse nel Sanscrito in tempi posteriori ai Vedi, allor che le
dottrine panteistiche ed astratte del Brahmanismo s'anda
rono svolgendo a mano a mano; e penetrando in tutto il
giro del dominio intellettuale, informarono pure la lingua
che è l'espressione e l'imagine più compiuta dellefasi suc
cessive del pensiero d'un popolo. Ne' Vedi il verbo abbonda
con tutta la ricchezza delle sue forme e colle sue più sot
tili relazioni di tempo e di modo. Intorno a questa man
canza del verbo nel sanscrito posteriore ai Vedi ed alle
cause che la produssero, discorse con molta sagacità e pe
netrazione il sig. Adolfo Regnier membro dell'Instituto nel
suo bel libro, Etude sur l'idiome des Védas, pag. III, IV, V.

64. 34. – Opra impossibile. Così chiosa il commenta


tore; ho conservato nella sua forma e forza originale que
sta locuzione.

65. 26. – Fu arsa intiera la città. Qui l'affanno o la


paura fan velo agli occhi di Sarama, ovvero l'epopea si la
scia trascorrere ad ingrandire il fatto oltre la verità; ei non
468 NOTE
è vero che Lanka sia stata tutta arsa: e si vedrà nel libro
seguente, allor che Lanka sarà assalita da Ráma, ch'ella è
tuttavia in saldo stato, e ben munita.

65. 29. – D'arsenico rosso. Il significato proprio del


vocabolo sanscrito non è quello di arsenico rosso, ma di
collirio o d'antimonio. La significazione d' arsenico rosso
ch'io gli ho qui attribuita, è conforme alla chiosa del com
mentatore ed ho preferito tale interpretazione, perchè il co
lor dell'arsenico rosso s'addice meglio a case che ardono,
che il color del collirio o dell'antimonio.

66. 12. – Le dolci parole di colei. Il commentatore chiosa


in due modi il tasyá (di colei) dell'ultimo verso. Secondo la
prima interpretazione che è la più naturale e la più sem
plice, il tasyá si riferisce a Sarama che è la narratrice a
Sità di quel che avvenne in Lanka; e per tal via ne riesce
un senso facile e spontaneo, quello appunto che ho adottato:
« Udendo le dolci parole di colei ecc. ». Tal è la prima
chiosa del commentatore. Ma egli fa poi una seconda chiosa
e suppone al tasyá (di colei) sottinteso il vocabolo hridaya
(cuore), sì come pur fa il Ms. B. Conforme a questa seconda
chiosa il tashyd non si riferisce più a Sarama, ma a Sità, e
converrebbe tradurre: «Udendo quelle dolci parole, grande
mente si rallegrò il cuore di colei (Sità)». Ho notato que
sta particolarità, di non grande importanza per se stessa,
a fin di mostrare come i commentatori non rifuggono dal
presupporre come possibili nei testi antichi dell'India ellissi
od altre figure forte ardite. Ma in testi più antichi assai
che il Ràmàyana, nei Vedi già s' incontrano figure che par
rebbero non doversi trovare fuorchè in quell'età delle lin
gue, in cui elle già vennero per lungo lavoro elaborate
ed affinate in sommo grado. Citerò un solo esempio d'ana
coluto tolto dal Rig-Veda, o per meglio dire dall'egregio
lavoro pubblicato dal campione della letteratura Vedica ,
dall' illustre filologo mio amico Max. Müller, Ueber Todten
bestattung und Opfergebräuche im Veda – Sulla sepoltura
de' morti e sui riti de' sacrifizi funebri descritti nel Veda,
nel Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft,
vol. IX, pag. XII. Non credo che v'abbia in alcuna lette
ratura cosa più splendida, più altamente sentita e più
nobilmente espresse che quelle preci funebri, quelle for
mole, que' voti benaugurosi descritti nel Rig-Veda ed
improntati di sì profondo sentimento e di mestizia così
AL LIBRO QUINTO. 469
soave. Ne legga la bella versione fattane in tedesco dal
Müller, chi desidera provare una delle più vive impres
sioni estetiche che possa produrre il pensiero e il sen
timento antico. Ora alla pagina XII, il vate che pronunzia
la prece funebre, indirizzandosi al morto corpo che arde,
dice: « Vanne, vanne per quelle antiche vie, per cui già
se n'andarono i nostri padri. Torni al sole il tuo occhio,
all'aria il tuo spirito vitale. e la parte di te che è eterna. »
Qui il vate s'arresta come esitante, incerto quasi della sede
a cui ella è destinata; poi, interrompendosi, si rivolge ad
Agni, il fuoco, ed esclama: « O scaldalo, o Dio del fuoco,
col tuo calore, involgilo nel tuo fulgore e nel tuo vampo
e conducilo soavemente alle sedi dei pii ».
69. 1 1. – In luogo di Kárandavi lo splendido sole. Il
Kárandava è una specie d'anitra, « a sort of duck», come
l'espone il Wilson; ei debb'essere una sorta d'anitra di color
spiccante e vivo, giacchè qui ella viene agguagliata al sole;
ma non sappiendo io precisamente a quale specie ella ap
partenga, nè qual ne sia il nome proprio nelle lingue no
stre, ho conservato il nome sanscrito. Questa compara
zione d'un gran lago al cielo e degli oggetti celesti cogli
oggetti aquatici, è una di quelle imagini che suole pro
durre nelle vive fantasie l'aspetto dei siti naturali, che l'uom
contempla. S'imagini uno di que' grandi e splendidi laghi
dell'India, coperti di fior di loto, solcati da specie d'anitre
di vivissimi colori, sparsi qua e là di fiori e di strati er
bosi ecc., e si comprenderà come la fantasia del poeta po
teva facilmente paragonarlo al cielo, ragguagliando col ce
leste azzurro la cerulea superficie dell'acqua, col lume soave
della luna il dolce color del loto, collo splendor del sole
il color brillante dei Kàrandavi, colle stelle i fiori, colle
nubi i strati erbosi ecc. A tutto questo poi l'imaginativa ag
giunge tratti particolari desunti dalla propria sua vena.
69. 15. – Airávata... Sváti. Airávata è l' elefante che
porta Indra; Svâti è una delle consorti del Sole nel gran
sistema delle sizigie; è il decimo quinto asterismo lunare
o la stella Arturo.

71. 6. – Colla faccia intenta alle parole d'Hanumat.


E l'atto degli ascoltanti di Virgilio.
Conticuere omnes, intentique ora tenebant:
Inde toro pater Eneas sic orsus ab alto, etc.
(Virgilio, Eneide, lib. II).
470) NOTE

Tutto questo capitolo Lv ha una verità, una forza, un vi


gore degni veramente di Dante. E un quadro poetico dei
più vivi, dei più animati ch'io conosca.
73. 25. – Questa sì come una o due altre circostanze
del racconto che fa qui Hanumat, non si trovano ai capi
toli vI e vII dove è descritto il viaggio d'Hanumat. Il grande
Vànaro fa qui, come usan fare alcuna volta i narratori che
raccontano le lor prodezze; egli altera alquanto la schietta
verità dei fatti.

73. 30. – Erano alati i monti altissimi. Si vegga nel


volume precedente la nota al libro quinto. Ei non v' ha
dubbio che questi monti alati dovettero essere original
mente le nuvole, le quali Indra, il Dio del firmamento, re
cide e squarcia col suo fulmine.

75. 33. – La sorte di Virádha. Si vegga il capitolo vIII


dell'Aranyacanda.

80. 30. – Fra i Pannaghi e gli Uraghi. Sono i Serpenti


che avevano nell'India un certo culto di terrore; la loro
sede era il Pàtàla, o le regioni inferne e sottomarine; la
loro città sovrana era Bhogavati. Il serpente era l'emble
ma del culto de'popoli Chamitici, o Cusciti che lasciarono
nell'India e nel culto delle stirpi Arye non pochi vestigi,
benchè gli Aryi Giapetidi li combattessero e li rincaccias
sero come lor nemici.
93. 32. – Tolto dall'area sacrificale un dardo ecc. Così
ho interpretato lo sloka 1 1, che ha un senso tutto mistico
e strano , attenendomi alla chiosa del commentatore. Ho
interpretato « dardo » e « telo » i due vocaboli darbha ed
isika, de' quali il primo significa propriamente l'erba kasu
(poa cynosuroides) di cui si fa strato nel sacrificio, e l'altro
può piegarsi al significato di « telo ». Ma que' due vocaboli
sono qui adoperati in senso arcano e direi magico.
99. 18. – Silvani che han forma di scimi. Qui appare
manifesto che quelle schiere di combattenti che Ràma con
duce alla conquista di Lanka (Ceylan), regno e sede della
razza Chamitica, e che l'epopea appella scimi, erano di fatto,
come già lo notai altrove, abitatori delle regioni montane
e meridionali dell'India, i quali avevano sembianze selvag
AL LIBRO QUINTO. 471
gie, non del tutto dissimili dall'aspetto de' scimi. Erano
forse i lontani antenati dalle stirpi Malesi.
101. 30. – La boreal costellazione Phalguni ecc. Idee
astrologiche. In cambio di « la boreal costellazione » leg
gasi « la seconda costellazione ». Si noman Phalguni, un
decimo e il duodecimo asterismo lunare; questa costella
zione è perciò divisa in due, che s'appellano la prima e la
seconda Phalguni. Hasta è il decimo terzo asterismo lunare.

102. 20. – Come Kuvera. Il testo ha (Bhûtesa) che è


uno dei nomi di Siva ed ha inoltre nei lessici altri si
gnificati; io l'ho qui interpretato per Kuvera Dio delle
ricchezze; perchè così lo chiosa il commentatore, perchè a
Kuvera meglio s'addice l'epiteto di « signor della ricchezza »
che qui gli si attribuisce, perchè l'elefante Sárvabhauma è
tutto proprio di Kuvera.

103. 37. – Il regal Risci Trisanku. Uno dei re della


stirpe solare ed uno per conseguenza degli antenati di Ràma,
posto in cielo ed annoverato fra le stelle, secondo l'uso
dell'astronomia mitica che poneva in cielo molti nomi e
molte momorie terrestri. Si vegga intorno a Trisanku il
libro primo.
104. 2. – Múla, naksatra Nairito dei Nairiti. Müla è
il decimo nono asterismo lunare, o naksatra; ei doveva
essere una costellazione particolarmente osservata dai Rac
sasi, un naksatra Nairito (Racsaso) dei Nairiti. L'in
fluenza di tale segno costellato era certamente tenuta dai
Racsasi come specialmente efficace sul loro destino. Quindi
Lacsmano indica qui a Ràma che quel naksatra era oppresso
ed affummato da Dhùmaketu e perciò avverso ai Racsasi.
1 14. 18. – In chi è impedito da altri nemici. Ho tradotto
conforme alla chiosa del commentatore. Forse converrebbe
meglio il dire: « in chi è combattuto da altri nemici ».
Ma mi rimane qualche incertezza intorno a questo luogo
alquanto oscuro; il commentatore se la passa colla sola
chiosa sopracitata.
117. 6. – La mistica e sacra sillaba Om. Om è il mo
nosillabo sacro che gli Indo-Sanscriti usano costantemente
di proferire a modo d'invocazione sul principio d'ogni pre
472 NOTE

ghiera, al cominciare ed al finire della recitazione delle


sacre scritture ( Manu, II, 74) ed anche talvolta come so
lenne affermazione, nel qual senso ei venne da alcuni rag
guagliato col greco cumv. A quel monosillabo s'andò attri
buendo a mano a mano un carattere arcano e misterioso,
e si venne più tardi a farne la simbolica espressione della
Triade indiana. Delle tre lettere che compongono quel mo
nosillabo, A significò Visnu, U Siva ed MI Brahma.

130. 34. – Somiglianti ai tre fuochi accesi. Sono i tre


fuochi sacri che il Brahmano accasato e capo di famiglia
dovea mantener perenni, ciò sono: il Gárhapatya, l'Ahava
niya e il Daksina. Questi tre fuochi erano adoperati in più
solennità Brahmaniche, per esempio nelle solennità funebri,
dove i tre fuochi eran disposti sopra l'orlo della fossa se-
polcrale, l'Ahavaniya dalla parte che è fra oriente e mez
zodì, il Gárhapatya fra occidente e borea, il Daksina fra
occidente e mezzodì. Max. Müller, Die Todtenbestattung bei
den Brahmanen, pag. v.
132. 4. – A quell'antico ed immortal signore. Questi ed
i seguenti sono epiteti attribuiti in modo speciale a Visnu
e che s'incontrano sia nel Bhagavad-Gita, sia nei Puràni
Visnuiti. Qui ei sono attribuiti a Râma a cagione del suo
supposto avatara che lo fa Visnu umanato.

135. 36. – Il tempo e il luogo son qui appunto ecc.


Sloka 30. Questi concetti son qui espressi con brevità strin
gata e un po' enigmatica; ma io non ho voluto stemperarli
con lunga interpretazione per non togliere al pensiero an
tico quello ch'egli ha di solenne e di conciso. Mi sono del
resto attenuto alla chiosa del commentatore. Il senso è :
Il tempo e il luogo stanno a ragguaglio colla virtù e col
vizio degli uomini; se l'uomo è buono ed ha buone in
tenzioni, son convenienti ed opportuni il tempo e il luogo,
se l'uomo è malvagio ed ha mente rea, son sempre inop
portuni il tempo e il luogo, qualunque ei siano ; egli è
fruttuoso ciò che si fa con giusta convenienza.

141. 30. – Una gran colmata. Il vocabolo del testo è


setu che ha i significati affini di « ponte, colmata, gettata,
argine , ecc. ». Ma ei non potrebbe qui pigliarsi nello
stretto significato di ponte, che sarebbe contrario a ciò
che disse più sopra l'Oceano, cioè che non avrebbe luogo
AL LIBRO QUINTO. 473
ponte sulle sue acque, perchè sarebbe a lui troppo grande
oltraggio l'aver a sopportare sopra il suo dorso un saldo
suolo che fosse via ad ognuno. D'altra parte quello che oggi
ancora si chiama Nalasetu o ponte di Nala, non è propria
mente un ponte; son più gruppi d'isolette o di roccie ma
rine vicinissime le une alle altre, che si trovano fra la costa
del Malabar e l'isola di Ceylan e che la tradizione dice es
sere gli avanzi dell'antico Nalasetu. Ma tali gruppi di roccie
e d'isolette non possono riputarsi avanzi d'un ponte pro
priamente detto, bensì d'una gettata. Io ho per conse
guenza creduto più conveniente l' interpretare il vocabolo
setu per «gettata, colmata, argine », che per « ponte ».
N()TE
AIL ILIE3EBO SESTO.

146. 13. () – Distesa come un'ampia selva, anzi come la


terra. Sl. 18. Ho interpretato questo luogo conformemente
alla chiosa del commentatore. Ma questo sloka mi par
suscettivo d'un'altra interpretazione che non cangerebbe
la sostanza del pensiero, ma l'esprimerebbe in altro mo
do : « Que' due Racsasi valorosi non poterono quivi ab
bracciar coll' occhio le rive del mare e l'ampia selva co
perte di scimi ». Quanto al vocabolo ekárnava che il com
mentatore interpreta « la terra, il mondo » , non si trova
registrato nei lessici. Quel vocabolo verrebbe a dire lette
ralmente « avente un solo mare»; sarebbe dunque un epi
teto della terra che passò a significar la terra stessa, siccome
un de' suoi nomi particolari, cosa frequente nelle lingue
antiche; e tale concetto cosmografico consuonerebbe coll'i
magine Omerica che rappresenta la terra come cinta intorno
da un solo mare, dal grande zozzudg.

149. 4. – Sovente sbadiglia per ira. Qui e più sotto si


pone lo sbadiglio, come atto che accompagna l'ira; ma tale
non suol essere il segno esterno, per cui si manifesta quella
passione; nè mi ricordo d'aver veduto mai nè udito che
l'ira producesse sbadiglio. Lascio la cosa a decidere ai fi
siologi. Egli è vero che il commentatore chiosando più sotto
(sloka 22) lo stesso vocabolo vigrimbhante che significa pro
priamente « sbadigliano », lo commenta «guardano Lanka ».
Ma tale interpretazione è una fantasia del commentatore;
chè la radice grimbh nè sola nè accompagnata con parti
celle non ha il significato di « guardare » ; nè mai m'av
venne di trovarla adoperata in tale senso.

(*) Questi due numeri indicano: il primo la pagina, ed il secondo la


linea del testo a cui si riferisce la nota; e cosi gli altri di mano in
lìldI10,
NOTE AL LIBRO SESTO, 475
150. 3. – Sul monte C''andra. Il commento dice: « C'am
dra è un monte che si congiunge col monte Meru ». Non
saprei dir altro su questa particolarità geografica.
152. 20. – Sovresso il Gambu di colui. Qui confesso che
ben lo' ntendimento non accarno. Forse per lo nome Gambu
s'ha qui ad intendere una riviera favolosa che si crede di
scendere dal monte Meru, ed in tal caso il senso sarebbe:
c« sovra il G'ambu che è riviera del Vànaro Sannàdana, se
ne sta Vaisravana tutto dedito ai diporti ». Ma il commen
tatore non l'intende a questo modo; si vegga la sua chiosa
che io cito a questo luogo nell'edizione di Parigi.

152. 39. – Golánguli, per nome Kálamukhi. Il golàngula


è una delle tante varietà di scimi che abbondano nell' India;
si dice che egli è di color bianco, ma non saprei diffinire
a quale specie scimiesca egli appartenga, nè come chiamarlo
nelle lingue nostrali. Il suo nome significa « che ha coda di
bue », ed il nome Kálamukha vien a dire « che ha faccia
nera ». Sarebbe dunque una sorta di scimio di color bianco,
con coda di bue e con faccia nera. Veggano i naturalisti.

153. 22. – Circondato da un nikharba di que' scimi. Il


nikharba è un numero che equivale ad un bilione; questo
ed altri numeri così fatti che s'incontrano più sotto, son
posti qui poeticamente per indicare una grande quantità
indeterminata.

155. 6. – Allor ch'ei qui venne. Il commentatore ar


reca tre o quattro chiose differenti a questo luogo del testo.
Mi sono attenuto nella mia interpretazione a quella chiosa
che mi parve la più ragionevole; ma questo passo sarebbe
suscettivo d'altra interpretazione.

156. 15. – Di Siddhi, di Vriddhi ecc. Tutti questi nomi


esprimono idee morali, od enti astratti ridotti a persona;
fra essi potrebbe alcuno piegarsi a diverse interpretazioni;
ecco quelle che mi paiono più appropriate: Siddhi è la per
fezione, Vriddhi la magnitudine, Laksmi la prosperità, Pra
bhá la fulgidezza, Tusti la contentezza, Prabhákari la chia
rificazione o colei che chiarifica.

156. 28. – Bálá. Il vocabolo Bálá o Válá significa « gio


vine », una donzella nel fior dell'età. Quindi la ragion del
476 NOTE
nome dato alla fanciulla, di cui qui si parla. È un mito ge
nealogico dell'origine di Bâli.

160. 5. – Disposte le sue schiere a modo di Garuda.


Garuda è un grande aligero che ha qualche somiglianza
coll'aquila ed è destinato a portar Visnu; perciò la dispo
sizione delle schiere a modo di Garuda è quella che afforza
il centro e s'allarga sull'ali, lasciando l'avanguardia e la re
troguardia men guernite; disposizione opportuna allor che
si teme d'essere assaliti ai fianchi. Manu al libro VII par
lando degli uffici dei re sia in pace che in guerra, inculca
tra gli altri questo consiglio strategico: « II re, durante la
marcia, ordini le sue truppe secondo l'opportunità a modo
di bastone, di carro, di verro, d'un macara (mostro marino),
d'un ago o di Garuda ».

164. 14. – Il sito ov'ei furon recisi conforme al rito. Il


kesánta è la ceremonia religiosa del recidere per ultimo i
capegli, la quale per lo Ksatro, o uomo della seconda ca
sta, la guerriera , a cui apparteneva Ràma, si praticava
all'età di 22 anni (v. Manu, lib. II, sl. 65). Questa è una
delle interpretazioni, di cui è suscettivo questo luogo; ma
v' ha qui una difficoltà. La ceremonia del kesánta si fa
Ceva per lo Ksatro all' età di ventidue anni ; ma Râma a
questo punto dell' epopea ne ha circa trenta ; ora ei mi
pare inverosimile che potesse rimaner vestigio di quel rito
in tanta distanza di tempo. V'ha un'altra interpretazione
possibile di questo luogo ed è: « la loro (dei capelli) diriz
zatura », pigliando il vocabolo dirizzatura nel suo più largo
significato. Ve n'avrebbe una terza ancora e sarebbe: « il
modo con cui eran disposti (i capelli) alla loro estremità ».
Il commentatore non fa a questo luogo alcuna chiosa.
165. 11. – Kálarátri. Questo vocabolo significa l'ultima
notte, la notte estrema del finimondo, allor che dopo il corso
d'una lunga età mondiale l'universo, conforme alle dottrine
Brahmaniche, è distrutto, ovvero, per meglio dire, ritorna
in Brahma d'onde emerse, per uscirne poi di nuovo in una
seconda creazione. Forse la Kálarátri significa qui quell'ul
tima notte personificata o fors'anche si volle esprimere con
tal nome la consorte di Yama Dio della morte.

165. 33. – Con Agnistomi. Il vocabolo Agnistoma signi


fica « lode al Fuoco » o « sacrificio al Fuoco ». Gli Agni
AL LIBRO SESTO, 477
stomi erano, secondo il Wilson, sacrifici fatti al fuoco che
duravano cinque giorni e si celebravano nella primavera.
Secondo i già lodati autori del Sanskrit-Wörterbuch l'Agni
stoma era una particolar ceremonia liturgica che faceva parte
del Gyotistoma.

165. 35. – Nè sarai arso dal fuoco, sloka 26. La versione


non è qui al tutto letterale, ma esprime pienamente il pen
siero del testo. Son qui indicati que' mirabili riti, quelle
preghiere funebri di cui ho parlato più sopra e che il Müller
ha descritti nel suo bel lavoro, Die Todtenbestattung bei den
Brahmanen. Sità si duole che il corpo di Ràma non sarà
onorato di que' riti e di quelle preci, nè il Brahmano sa
cerdote deponendo nel seno della terra la sua spoglia mor
tale arsa dal fuoco, proferirà sovr'essa quelle solenni e ma
gnifiche parole: « Vanne alla terra che è tua madre, all'am
pia, lata e fausta terra. Ella ti preservi dal lembo della
corruzione. Apriti, o terra, e non offenderlo; accoglilo amica
e con dolce saluto; involgilo nel tuo seno, come fa la madre
un figlio ne' suoi panni ». Müller, l. c. p. XIII.

166. 25. – Sia tu sempre vittorioso ecc. Era questa una


delle formole di rispetto, con cui s'usava di salutare i re
nel farsi innanzi a loro.

172. 32. – Che s'appella Krita. Krita è la prima delle


quattro età mondiali, di cui ho parlato in altra nota; è l'età
della verità e della giustizia, l'età dell'oro Indiana. Le tra
dizioni dell'India, conformi in ciò alle tradizioni degli altri
popoli della gran famiglia Arya, presuppongono un'età pri
mitiva, il Krita, in cui la natura umana era più perfetta e
più fortunata, ed in cui predominava il culto della giustizia
c della verità. Al Krita succedette l'età del Treta, in cui
l'umana natura si venne corrompendo e cominciò ad im
perversare l'ingiustizia e la menzogna. In questa età del
Treta vivevano appunto Ràma e Ràvano. Succedettero ap
presso le due altre età, nelle quali l'umana generazione più
e più si corruppe e si viziò, e il male soverchiò per ogni
parte. Noi viviamo nell'ultima delle quattro età!

175. 34. E il signor dei Vánari. Vánaro è uno dei nomi


più frequenti, con cui l'epopea appella i scimi dell'esercito
di Râma. Fra le due o tre etimologie di cui è suscettivo
il nome di Vánara, una è quella che lo deriva dal voca
478 NOTE

bolo vana che significa « selva », e così Vánara verrebbe


a dire « il silvestre, l'abitator di selva ». Ho detto già
altrove che i scimi, i Vánari, cui Râma capitaneggia e com
duce alla conquista di Ceylan, erano genti silvestri e bar
bare che occupavano le regioni montuose e meridionali
dell'India, dove oggi ancora si potrebbero ravvisare i lor di
scendenti. Andrò d'ora innanzi adoperando promiscuamente
il vocabolo Vánari per denotare que' scimi, que' feroci com
battenti dell'esercito di Ràma; onde qui « il signor de' Và
nari » è Sugriva.
179. 3. – Allor che veggono surger le nuvole. È noto
che i pavoni abbondano nell'India e che ei vanno quivi a
torme in grande numero. Allorchè, dopo le lunghe arsure
estive, ei veggono sorger le nuvole annunziatrici della piog
gia, usano levare stridi altissimi; di qui è tolta l'imagine
che si trova in questo luogo.
180. 24. – La sede mezzana di Visnu. Il commentatore
non ha chiosa a questo luogo. Credo che « sede mezzana
di Visnu » sia qui appellata quella parte del cielo che è
tenuta come sede di quel Dio, ed è chiamata « mezzana »,
perchè è posta fra le altissime regioni celesti e quelle che
son più basse; ovvero « questa sede mezzana di Visnu »
significa qui assolutamente il cielo.

183. 32. – Con cento migliaia di koti, con ayuti ecc.


Credo appena necessario l'avvertire che v'ha qui in tutti
questi numeri di koti, d'ayuti, d'arbudi ecc. amplificazione
poetica, e che non bisogna pigliare secondo la letterale loro
significazione tutti questi numeri sterminati, posti qui ed
altrove unicamente per indicare una quantità grandissima.

184. 37. – Sia Lanka d'or innanzi fatta visibile ad ogni


gente. Così interpreta il commentatore questo luogo del
testo. Il senso è: « Disfatto te, o Ràvano, che tieni chiusa
Lanka (Ceylan) sotto il feroce tuo impero e la sequestri
dal consorzio umano, sia ella fatta visibile, accessibile ad
ogni gente; sia ella frequentemente visitata », come dice
il commentatore. In questo pensiero trasparisce il fine
supremo dell'impresa di Râma e della gran guerra ch'ei
portò a quelle genti nemiche, ai neri Racsasi; il qual fine
era appunto di disperdere da quelle regioni meridionali la
razza Chamita e nera che v'avea dominio e stanza, e l'a
AL LIBRo sEsTo. 479
prire quelle contrade alle stirpi Arye od Indo-Sanscrite, alla
loro agricoltura, al loro culto ed a tutte l'arti della loro
civiltà.

194. 20. – Un serpente tutto d'oro ecc. Il serpente era il


simbolo speciale del culto dei popoli Chamitici, o Cusciti e
qui appunto l'inalbera come suo vessillo Indragit il nero Rac
saso, il Chamita. Così al capitolo LXXVIII del Sundaracanda è
detto che Indragit soleva sacrificare particolarmente a Siva,
Divinità Chamitica, che ha tutti gli attributi del culto Cha
mitico, e che entrò nell'Olimpo Indo-Sanscrito per uno di
que' sincretismi religiosi di cui s'incontrano frequenti ve
stigi ne'culti antichi.

203. 12.–Salda sulle dodici parti ecc. Secondo la chiosa


del commentatore: « le dodici parti benaugurose » sovra
cui i pronosticatori dissero Sità ben ferma, sono le dieci
dita e le due piante de' piedi. Ma egli arreca un'altra
chiosa di Vimalabodha, il quale interpreta tutt'altramente le
dodici parti, di cui qui si parla. Non saprei dire chi dei
due abbia ragione, perchè non m'è abbastanza nota l'arte
di presagire dalle fattezze del corpo il destino altrui, arte
che era molto praticata ed a cui si prestava molta fede
nell'India antica, e che oggi ancora ha i suoi cultori e i
suoi credenti.

205. 18. – Indra piove ogni cosa. Questo concetto è cer


tamente tutto conforme allo spirito Vedico e ben appro
priato al carattere d'Indra, Dio del firmamento al cui im
pero son sottoposti i fenomeni atmosferici; ma non potrei
dir ora in quale degli inni Vedici ei si trovi. Indra piove
ogni cosa, perchè dalle piogge son fecondate le biade e
l'erbe, e dalle biade sono alimentate le creature; il che è
espresso in questo verso d'un carme Sanscrito tutto im
prontato di spirito Vedico: '

Dalle biade son sostentate le creature, e le biade son prodotte da Indra.

206. 27. – Il re Karttávirya. Karttávirya fu uno dei


discendenti della stirpe regale dei Yàdavi, celebre per la
sua forza e la sua destrezza in trattar l'arco; ei visse al
tempo di Parasuráma, di cui il Râmáyana fa menzione nel
libro primo. Qui il mito si confonde colla storia e la vela.
Karttàvirya offese il Risci G'amadagni padre di Parasurâma,

-----
480 NOTE

e fu da questo messo a morte. Da ciò appare ch'ei parte


cipò a quell'antica e grande lotta fra la casta Ksatriya o
guerriera e la casta Brahmanica, nella quale ebbe tanta e
sì terribile parte Parasuràma. Ma secondo alcune tradizioni
puraniche, Karttàvirya assalì Lanka (Ceylan) e fece Ràvano
prigioniero. Conforme a tale leggenda la spedizione di Ràma
contro Lanka e Rávano non sarebbe la prima che fecero
gli Indo-Sanscriti, ma sarebbe stata preceduta dall'impresa
di Karttàvirya; il che prova quanto fosse antico l'odio fra
quelle due razze e costante il pensiero delle stirpi Arye
d'assalire e sterminare la razza Racsasa o Chamitica. No
tizie più speciali intorno a Karttàvirya si trovano nel Visnu
Puràna tradotto e pubblicato dal Wilson, p. 402 e 417.
210. 22. – Garuda. Garuda è un aligero mezzo reale,
mezzo immaginario, ma avente qualche somiglianza coll'a
quila, e destinato a portar Visnu per gli spazi aerei. Egli
era per istinto, come il sono le aquile, nemico mortale dei
serpenti. Or le saette confitte nel corpo di Ràma e di Lac
smano dall'incantatore Indragit, essendo serpi ridotti a forma
di saette, dovevano elle dileguarsi al solo aspetto di Garuda.
Perciò il Vento dice all'orecchio di Ràma, ch'ei si rammenti
la sua natura, pensi, cioè, ch'egli è un avatara di Visnu, e
si rammenti Garuda, il nemico mortale de'serpenti.

210. 32. – Quelli ond'è più rapido lo strisciare. Qui mi


sono allontanato dall'interpretazione del commentatore, il
quale pigliando il vocabolo srotánsi nel significato di sensi,
fa a questo luogo una strana chiosa che non ho voluto se
guire. La sua interpretazione: viene a dire « i loro sensi
venner meno subitamente per paura ». Non è che tale in
terpretazione, per quello che s'appartiene al valore letterale
de' vocaboli, ripugni a questo luogo; ma il vero significato
di questo passo non mi par quello che il commentatore
vuol cavarne. Ma la versione ch'io n'ho data, sarà ella poi
la buona? io credo di sì.

213. 33. – L'acre vigor di Vásuki. Vàsuki era il sovrano


de' serpenti che avevan lor sede nel Pâtàla, per entro i cupi
abissi dell'Oceano.

216. 18. – Come la danza dei Gandharvi. Qui il commen


tatore a cui m'attenni ha chiosato conforme all'idea, al con
cetto che s'avea al suo tempo dei Gandharvi, i quali erano
AL LIBRO SESTO, 481
riputati musici celesti, rallegranti coll'armonia de' loro suoni il
cielo d'Indra e le feste degli Dei. Per tale rispetto ben può loro
convenire la danza e il suono. Ma i Gandharvi prima di
divenire nella tradizione popolare alterata musici celesti, i
Gandharvi, nel loro significato primitivo, solenne e vero,
erano guerrieri animosi e ardenti, seguaci d' Indra, che
al carattere di Divinità atmosferica univa quello di Divi
nità guerriera. Sotto questo aspetto la danza dei Gandharvi
potrebbe ben essere tutt'altra che quella che qui intende il
commentatore, e significare la danza guerriera, l'orrido
ballo di guerra.
220. 8. – Namuci. È nella mitologia sanscrita un de
mone che Indra combattè ed uccise. Il mito di Namuci è
forse analogo a quello di Vritra, di cui ho parlato in una
delle note dei volumi precedenti; vale a dire ch' egli era
forse nel suo principio, all'età del culto Vedico, l'imagine
di qualche tempestoso fenomeno atmosferico che Indra, Dio
del firmamento, combatteva e dissipava e che venne più
tardi trasformato in demone nemico d'Indra, sì come av
venne dl V ritra.

222. 8. – Egli è pur meglio una calamità incerta ecc.


Sloka 12. Tale è l'interpretazione che dà di questo luogo
il commentatore ed a cui mi sono conformato. Il senso di
quel luogo è in sostanza questo: « Per chi è prode,val me
glio il travagliarsi in cose il cui successo felice o calami
toso sia incerto, perchè quell'incertezza avvalora e stimola
il coraggio, che adoperarsi in cose il cui evento sia certo;
perchè quella certezza allenta ed infiacchisce il vigor del
l'animo ».

227. 19. – Portanti bacchette in mano ecc. Gli stromenti


di suono giocondo qui menzionati dovevano essere specie
di tamburi , il cui suono potrebbe forse non parere gio
condo a tutti. Egli è vero che il commentatore mette qui
innanzi una seconda chiosa conforme alla quale il gar
gara in vece d'uno stromento « di suono giocondo »,
verrebbe ad essere un bastone, una mazza con sopra infis
savi una piccola campanella od altra cosa per ispaventare
i serpenti ed altri animali che si trovassero lungo la via.
Tali particolarità hanno pure qualche valore per conoscere
gli usi della vita domestica di genti estranee tanto remote
di tempo e di spazio.
VOL., III, 31
482 NOTE

230. 14. – Ho chiuso fra due segni di parentesi la ver


sione della stanza7;perchè mi par questo un di que'luoghi,
la cui autenticità potrebbe non senza ragione essere rivocata
in dubbio. Questa stanza potrebbe ben essere qui un qual
che innesto d'età posteriore. Il suo metro differisce dal metro
ordinario dell'epopea; ella non ha vincolo d'unione nè con
ciò che precede, nè con quello che segue; anzi, togliendola
via, il pensiero cammina meglio e più spedito; e quel che
qui dice Ravano, è alieno dalla sua natura e inverosimile.
234. 18. – Il monte Kraunca. E un monte della catena
dell' Himàlaya, situato nella sua parte orientale ed al nord
d'Assam. Ei dee trovarsi in quella regione Himàlayana che
s'appella Butan, la quale si stende fino alle sorgenti del
Brahmaputra e ne chiude da un lato la valle. E la parte
meno conosciuta dell'Himàlaya. Si vegga il Lassen, Indi
sche Alterthumskunde, pag. 60 e 64.
238. 22. – Quel fiero nemico dei Devi. Qui, come in al
cuni altri luoghi dove occorre simile menzione, appaiono
manifesti l'inimicizia e l'odio che gli abitatori delle parti
più meridionali dell'India, neri Chamiti, portavano al culto
Brahmanico, e sempre più si fa palese che la guerra di
Ràma in quelle contrade dovette essere una guerra di re
ligione e di civiltà. I Devi sono concetti religiosi e creazioni
tutte pròprie dell'India Sanscrita; sovr'essi è fondato il suo
culto più antico, il culto Vedico; e benchè modificati più
tardi nel loro concetto primitivo dal filosofare dei Brahmi,
ei continuarono pur tuttavia ad esser la base del culto Brah
manico. L'esser nemico dei Devi era dunque avversare il
culto dell'India Sanscrita, ossia delle stirpi Arye, od Indo
Europee che altri voglia chiamarle.

242. 3. – Nandi irato ecc. Nandi era uno de' princi


pali ministri di Siva, ed aveva con... lui sede sull'Himàlaya.
Da quel che qui si dice, ei pare ch'egli dovesse avere fac
cia di Vànaro, esser, cioè figurato con tale aspetto; ma non
so bene a qual fatto mitico qui si alluda.

242.28. – Da sei mesi. Questa frase del testo sanscrito tra


dotta letteralmente verrebbe a dire: « nove sette dieci ed otto
mesi », e sommando queste diverse quantità, « trenta quat
tro mesi ». L'interpretazione differente ch'io m'ho data, è
fondata sulla chiosa del commentatore e sul senso che ne
AL LIBRo sEsTo. 483
risulta, senso più accomodato a questo luogo, perchè il sonno
di Kumbhakarna, secondo che appare da altri luoghi del
l'epopea, non durava mai continuo per sì lungo tempo.
Il commento a questo passo dice: « Nove e sette fan se
dici; da questo numero diffalcando dieci, rimangono sei
mesi ch'egli dorme ». Egli è evidente che il commentatore
piglia qui il vocabolo astáu in tutt'altro senso che quello
di « otto », e che forse egli forma un sostantivo asti dalla
radice as al quale egli attribuisce il senso di « detrarre ».
Dopo questa egli arreca un'altra interpretazione intorno
alla quantità indicata da que' vari numeri; ei non crede
insomma doversi essi qui pigliare nel loro significato let
terale.

247. 30.– Pari al possente Naráyána, ecc. Il commenta


tore chiosando il Náráyanam del testo, dice: « siccome un
dì Visnu Nano; » ei riferisce adunque il fatto di Visnu Nà
ráyana, di cui è qui fatta menzione, al suo avatara o di
scesa dal cielo in forma di nano, allor ch'ei superò Bâli,
chiedendogli i tre passi. Se il poema allude qui veramente
a quel mito di Visnu, non è certo la forma di Visnu Nano,
come interpreta il commentatore, quella a cui il poema pa
ragona qui Kumbhakarna: chè il paragone con un nano
mal si converrebbe a quel Racsaso gigantéo; ma piuttosto
la forma dl Visnu ingrandito oltre misura, dopo ch'efibe
ottenuta la grazia da Bâli, e trascorrente i tre mondi con
tre passi.

248. 11. – Facsi, Dánavi, ecc. Ho toccato già altrove nelle


note di queste classi di Semidei od Enti mitici. IYaksi erano
Semidei tramezzanti tra l'uomo e il Deva addetti principalmen
te al servizio di Kuvera, Dio dei tesori, de'metalli nascosti nel
profondo della terra e custode della plaga settentrionale. Le
cosmogonie purâniche li dicono figli di Khasà, una di quelle
molte genitrici primordiali, da cui ebbero origine le varie
creature. (V. il Visnu-Puràna, tradotto e commentato dal
Wilson, p. 150). I Dànavi eran Enti Titanici, figli di Kasyapa
e di Danu e nemici dei Devi: nella grande e perpetua lotta
del bene e del male che le dottrine dell'India figurarono
per tanti e sì diversi modi, simboleggiavan essi il principio
del male. I Serpenti eran creduti nati da Kasyapa e da Ka- .
dru, altra proto-genitrice, ed abitare le regioni sotterranee,
il Pâtàla; Vàsuki era lor capo, Bhogavati lor sede princi
pale. La mitologia purànica li rappresenta con varie teste
484 NOTE

(Visnu-Puràna, p. 149) e li fa spesso intervenire nel mondo


e negli eventi de'mortali. I Pisitàsani o Pisàci eran Genii,
demoni maligni, infesti, pascentisi di carni, onde deriva il
loro nome, procreati secondo la mitologia purànica da Ka
syapa e da Pisàc'a una delle tante figlie di Daksa.(Visnu
Puràna, p. 122-150). I Gandharvi erano Semidei seguaci
d'Indra, che avevano anticamente un carattere guerriero,
ma furon ridotti poi all'ufficio di musici celesti, rallegranti
i conviti dei l)evi. Il dottissimo De Adalbert Kuhn in una
sua ingegnosa dissertazione inserita nella – Zeitschrift für
vergleichende Sprachforschung — provò l'identità dei Gan
dharvi e dei Centauri, mostrando identici i nomi, l'origine
e gli attributi degli uni e degli altri nelle due mitologie
sanscrita e greca. I Guhyaki eran Semidei, custodi dei te- .
sori di Kuvera, come suona il loro nome. I Vidyàdhari
eran Genii aerei, a cui la mitologia sanscrita pare attri
buite alcuna possapza magica, ma il cui ufficio non m'è
ben noto.

249. 13. – Ei non s'atterra, ecc. Questo luogo potrebbe


parer suscettivo d'un'altra interpretazione: « Ei non s'at
terra un grand'albero di ficaia, perch'ei non produce (frutti)
alla stagion de'frutti ». Ma a tale interpretazione s'oppon
gono due difficoltà, l'una grammaticale, ed è che a trarre
da quello sloka (28) il senso sovrindicato sarebbero neces
sarie due negazioni ma non, l'una riferentesi a Kritvá, l'al
tra a nipatyate; ma qui non ve n'ha che una sola, la quale
non può applicarsi ai due verbi; ragione è questa di stretta
logica grammaticale: l'altra difficoltà nasce da una certa
dissonanza che risulterebbe dalla versione indicata più so
pra: perocchè, s'ei v'ha ragione di sradicare e d'atterrare
un albero, egli è appunto perchè ei non produce frutti nella
stagione in cui dovrebbe produrne; onde il detto di Rávano
verrebbe qui a mancare di ragion logica. Un tuoproprio ne
pote. Kumbhakarna fratello di Ràvano era figlio di Visra
vas, questi del Risci Pulastya, il quale fu prodotto da Brahma
col vigor della sua mente; onde Kumbhakarna veniva così
ad essere nepote di Brahma. Singolare genealogia, che ran
nodava alla discendenza d'un Risci figlio di Brahma la
stirpe di Ràvano mortal nemico della nazione Brahmanica
e del suo culto l

249. 28. – Colui non è cosa viva, ecc,: Così il commento,


a cui mi sono attenuto.
AL LIBRO SESTO), 485
252. 24. – Colui che ben discerne i cinque modi, ecc.
Questo luogo (sloka 7) è qui espresso in forma un po enig
matica. Egli allude a dottrine che erano anticamente note
nell'India e che bastava perciò indicare con termini ge
nerali e per lo più con soli numeri di tre, di cinque ecc.
senza che fosse bisogno di esporle per disteso. Così nel
medio evo venivano adoperate certe formole più o meno
indeterminate cui bastava l'enunciare, perchè fossero intese,
come il sic et non ecc. Si potrebbe questo luogo dichiarare
nel modo seguente, di cui per altro non ho piena certezza.
Presupponendo che le tre azioni siano il giusto, l'utile e il
danno, o l'amore, il dovere e l'utile, e che questi tre atti
si possano conciliare, accoppiare insieme in cinque modi
differenti, per esempio, l' amore ed il dovere, il dovere e
l'utile, l'amore e l'utile, l'utile ed il dovere ecc. colui che
ben discerne questi cinque modi di conciliare insieme i tre
atti, segue, come dice il testo, la via camminata dai re
saggi. Il commentatore interpreta questo passo in modo al
tutto differente. Secondo il commentatore i cinque mezzi
di cui egli ragiona nella sua chiosa , sono il blandire , il
donare, il dividere, il punire, l'uccidere; le tre maniere
di genti che debbono conoscerli e praticarli, sono il 'ne
mico, il mezzano, ossia colui che, secondo il commenta
tore, fra due contendenti dice parole utili ad amendue, e
colui che mutre odio. La traduzione dello sloka 7, secondo
il senso che nasce da tale interpretazione, sarebbe: « Colui
che ben discerne i cinque mezzi adoperati da tre maniere
di genti e ferma con patti il premio dell'opere, ch'ei darà
a chi ben lo seconda, quegli segue pienamente la via cam
minata dai re ». Ma tale chiosa tratta qui il testo troppo
alla libera; e però non l'ho seguitata.

254. 8.–Distribuiti alimenti alle creature. Il commentatore


interpreta qui in tutt'altro modo e dice: empiutomi il ventre,
impinzatomi. Sebbene tale chiosa possa forse trovare qual
che apparenza di ragione in alcuni significati del vocabolo
pranita, voce composta della medesima radice e della stessa
preposizione che il vocabolo pranayana, tuttavia l'interpre
tazione del commentatore si scosta talmente dal significato
proprio e naturale di questo secondo vocabolo, che io non
ho creduto doverla accettare.

254. 10. – Nárada. Era uno dei Pragàpati, o Signori


delle creature, personaggi divini, procreati da Brahma col
486 NOTE

l'efficacia del suo volere e mezzani tra Brahma creatore e


le cose create. Non s'accordano intorno al lor numero i Pu
ràni e il Mahābhārata (Visnu-Puràna, p. 49). Ei pare che
a Nàrada appartenesse particolarmente l'ufficio d'ispirare le
menti umane; perocchè egli è Nàrada colui che dispiega
alla mente di Valmiki la gran tela della sua epopea; ed al
libro primo, cap. v, del Bhâgavata-Puràna pubblicato dal
l'illustre E. Burnouf, è pur Nàrada colui che eccita Vyàsa
a comporre il Puràna di Bhàgavat;e quivi appunto (stanza 7)
Vyàsa volge a Nàrada queste parole che sembran confer
mare quel che io dico: « Tu testimonio di tutte l' anime,
per entro cui tu penetri come il soffio della vita ».
254. 37. – Hari. Uno dei nomi con cui Visnu è sovente
appellato nei Puràni; credo che tal nome fosse più parti
colarmente proprio di Krisna e ch' ei si riferisca al colore,
con cui vien questo Dio rappresentato, che è un color tra
bruno e flavo. Gli epiteti che seguono, son tutti propri di
Visnu ed alludono a vari fatti della sua storia mitica; l'e
piteto di Padmanàbha allude al loto (padma) che uscì dal
suo ombilico (nàbha) e che portava Brahma sull'acque, allor
ch'èi pose mano alla creazione; quello di Trivikrama al
lude alla sua vittoria sopra Bali, mediante i suoi tre (tri)
grandi passi (vikrama); quello di Caturbàhu allude alle
quattro (c'atur) braccia (bàhu), con cui vien Visnu figurato.
256. 1. – Che è fuor d'ogni ordine di società. È la
frase del testo, che il commentatore chiosa privo d'ogni
condizion religiosa. Eran nell'India tre, secondo altri quat
tro, le condizioni, gli ordini, gli asrámi, per cui passava
successivamente l'uomo nato di casta brahmanica. La prima
condizione era quella di Brahmacári o di discepolo, com
messo alla cura d'un Guru o sacro maestro che l'erudiva
nelle sacre dottrine; la seconda era quella di Grihastha o
d'uomo accasato che attendeva ai doveri della famiglia; la
terza era quella di Vanaprastha o di romito, che si racco
glieva nelle selve a menar vita ascetica e contemplativa. Or
Ràma, dice qui Râvano, è fuor d' ognuna di quelle classi o
condizioni brahmaniche. Ei non è Brahmac'àri, perchè non
ha Guru che lo guidi e l'ammaestri; non è Grihastha, per
ch'ei non è accasato e stabilito entro il giro della società
brahmanica; non è Vanaprastha, perchè ha dismesso la vita
ascetica, ha impugnato l'arco e s'è fatto guerriero; dunque
egli è fuor d'ogni ordine sociale. Credo che tale debba es
AL LIBRO SESTO, 487
sere il senso di questo luogo. Ma ei si potrebbe fors'anche
interpretare: Che è fuggito dal suo romitorio.

256. 10. – Richiese lo spazio di tre passi, ecc. Allude


qui di nuovo al mito toccato più sopra di Visnu Trigra
diente e de' suoi tre grandi passi, con cui egli occupò i tre
mondi. Di Visnu Trigradiente e de' suoi tre passi si trova
menzione nei Vedi. (H. H. Wilson, Rig-Veda Sanhità, Ist
astaka, IId adhyàya, sùkta v). I commentatori non son tutti
fra lor d'accordo sull'interpretazione di questo luogo vedico;
ma io credo più probabile e più conforme all'essenza del
culto vedico, il quale ha principalmente per oggetto la natura
e le sue grandi manifestazioni, l'opinione di coloro che nei
tre passi di Visnu ravvisano i tre momenti del diurno corso
del sole, il suo levarsi, il suo giungere al meridiano e il
suo scendere all'occaso. Questo primitivo e naturale con
cetto fu poi più tardi, siccome avvenne di molti altri con
cetti vedici, trasformato nel mito di Visnu che con tre passi
conquistò i tre mondi.

256. 38. – So che Sitá nacque dal seno della terra. Que
ste parole di Ràvano, come altre simili che si trovano più
addietro, mi sembran qui fuori di convenienza e intruse.
Elle punto non s'accordano col tenore di tutto il discorso
che precede, non si confanno coll'animo superbo e indo
mito di Ràvano, si trovan sul fine d'un capitolo, dove po
tevan facilmente appiccicarsi e sono in metro differente
dallo sloka.

267. 30. – Pari a butee recise. La butea è una pianta


che porta fiori di colore rosso acceso; quindi si comprende
la similitudine che sovente occorre, di quella pianta recisa
con chi stramazza a terra rotto e insanguinato da ferite.

268. 38. – Tu sei nepote di Brahma, ecc. S'è veduto più


sopra che Brahma esortò i Devi a procreare una generazione
d'esseri possenti e prodi a fin di distruggere Ràvano e la
sua schiatta: quei prodi furono i Vànari. Aditya, il Sole,
generò nella donna del re degli orsi Sugriva. Ora gli Adityi
fra cui è primo il Sole, secondo il sistema mitico dell'India,
son figli di Kasyapa e d'Aditi, e Kasyapa, uno dei Pragà
pati fu prodotto da Brahma col vigor della sua mente; onde
Sugriva viene ad essere nepote di Brahma. Si scorgono qui
nuovi sprazzi d'idee panteistiche.
488 NOTE

269. 5. – Pesante mille Bhári. Il bhára è un peso eguale


a due mila palas, il pala a quattro karsas, il karsa a 11,375
grammi.(Eug. Burnouf. Introduction à l'histoire du Budhisme
indien, p. 258, n. 1).
272. 4. – Da cui furono un dì recisi, ecc. Qui come
nella pagina addietro, dove fa menzione di Virádha, Khara,
Dûsana, allude l'epopea a fatti che ha narrato altrove. Non
credo necessario indicare i luoghi, dov'ei sono menzionati,
perchè il filo della narrazione epica può facilmente guidare
il lettore.

274. 32. – I Devarsi, i Maharsi, ecc. Sono Risci di certe


classi particolari. I Devarsi sono i Risci celesti, ossia i Pra
gàpati; i Maharsi sono più specialmente i Risci umani, come
Valmiki, Vyàsa, ecc. Ho esposto altrove a parte a parte, quali
fossero la natura e gli uffici di quelle classi d'enti mitici
e sovrumani che son qui mentovati, come i Guhyaki, i
Suri, ecc.

278. 6. – Come il possente Karttikeya. Karttikeya figlio


di Siva era, come s'è veduto e detto altrove, il guerriero
celeste, il duce delle schiere dei Devi, il Marte, direi, della
mitologia sanscrita.

284. 38. – Del figlio di Tvastri. Egli è Vritra, Vritrà


sura, appellato anche Tvästra, di cui ho ragionato nelle
note precedenti; è il Vritra che ne' Vedi era la nuvola che
Indra apriva colla sua folgore per farne uscir la pioggia fe
condatrice, e che divenuto nella mitologia posteriore un de
mone, un Asura nemico d'Indra, fu da Indra messo a morte.
Tvastri era ne'Vedi l'artefice divino che fabbricava i vasi del
sacrificio,aguzzava ad Indra la saetta-folgore,ecc.(Rig-Veda,
astaka I, inno XXXII) e sotto questo aspetto si può egli ripu
tare come l'antenato di Vulcano, Dio pelasgico. Ma Tvastri è
pur nei Vedi ora il sole (Rig-Veda, astaka I, inno LXXXIV),
ora Agni, il fuoco (Rig-Veda, astaka II, inno I), ora è appel
lato colui che dà forma alle cose (Rig-Veda, astaka II,
inno CLxxxvIII). Per tutti questi caratteri ei fu più tardi
nella mitologia purànica identificato con Visvakarma, il
grande artefice degli Dei, colui che compie tutte l'opere.

286. 31. – Con quell'imagine di Ráhu. Ráhu era nella


mitologia sanscrita un Daitya, un Demone, un Titano con
AL LIBRO SESTO, 489
coda di drago; la sua testa fu da Visnu spiccata dal corpo;
ma perchè col bere l'amrita dei Devi egli era divenuto im
mortale, la sua testa ed il suo tronco continuaron di vivere
separati; ed essendo stati trasferiti in cielo, la prima col
nome di Ràhu, il secondo col nome di Ketu, divennero quivi
causa degli ecclissi, col tentare a quando a quando d'in
goiare la luna e il sole. Atikàya portava sul suo vessillo
l'imagine di quel Daitya.

287. 9. – Alla piena luna stante fra i due Punarvasu.


Panarvasu era il settimo asterismo lunare, formato secondo
alcuni di due stelle, secondo altri di quattro. Gli asterismi
eran vent'otto, e la luna nel suo corso mensuale doveva
passare ogni dì per uno di que' segni; ma essendo quegli
asterismi scompartiti nel cielo a distanze ineguali, il pas
saggio della luna per ognuno d'essi non s'effettuava con
precisa esattezza.

287. 32. – Rispinta la fune del re dell'acque. Il re del


l'acque è Varuna, cui la mitologia assegnò per dominio l'O
ceano; ma tale precisamente non era il carattere di quella
Divinità nei Vedi, in cui il suo nome è quasi sempre as
sociato coi nomi di Mitra e d'Aryaman, Divinità solari, ed
egli stesso è qualche volta identificato col sole (Rig-Veda,
astaka II, inno cXXIII). Egli era insomma nel concetto pri
mitivo de' Vedi Divinità degli spazi celesti, il Deva della
volta del cielo quello che i Greci con nome identico chia
maron Ovpzvog, Urano. Come re dell'acque ei si rappresenta
armato di fune, forse perchè cinge, chiude, rinserra le acque.

290.34. – Col telo ignito.Qui ed in altre battaglie descritte


più innanzi si usano arti arcane e magiche; tale è il telo
Igneo o telo del fuoco di cui qui si parla, e il telo Aisico
menzionato più sotto, ecc. L'uso di tali armi, arcane era
particolarmente conforme alle idee e al genio teurgico del
l'India, dove le varie forze della natura eran fatte inter
venire nelle cose umane ed associate all'opere dell'uomo.
292. 35. E Mitra. Mitra era uno degli Adityi, ossia una
Divinità solare, cui spessissimo invocano gli inni del Rig
Veda. Al concetto e al culto vedici di Mitra si rannoda il
culto zoroastrico di Mithra nella Persia antica, il quale ebbe
celebrità e divulgamento straordinari, e di cui rimasero fa
mosi i misteri che ebbero nome di Mithriaci. Il Mithra zo
490 NOTE

roastrico dell'antica Persia, intimamente affine al Mitra ve


dico, era la luce creata da Ormuzd (Ahura Mazda), mez
zana tra la Luce increata e l'increata Tenebra, i due perni
della religione zoroastrica, e quasi vincolo fra quelle due;
ma egli era pure il simbolo della verità, della fedeltà, della
giustizia, l'onnisciente, il mediatore fra gli uomini e le crea
ture, ed Ahura Mazda che abitava entro una luce inacces
sibile (V. la bella monografia, Mithra, ein Beitrag zur My
thengeschichte des Orients von Dr Friedrich Windischmann,
p. 53, 57). I Sádhyi. Sono una classe di Semidei; l'Ama
rakosa li annovera fra le divinità minori; e altrove è detto
che eran dodici. Dei Sàdhyi occorre menzione nel Rig-Veda
(astaka II, inno CLXIv); ed il commentatore li rappresenta
come Divinità che dan compimento agli atti del sacrificio,
interpretazione che s'accorda col loro nome. Nel Visnu-Pu
râna, p. 120, n. 14, appaiono come personificazioni dei riti
e delle preghiere dei Vedi.
299. 19. – La dilettosa stanza di Rudra. Il commentatore
arreca a questo luogo un'altra lezione ed un'altra chiosa che
si possono vedere nelle note dell'edizione di Parigi. Hanumat
è quigiunto in quella parté dell'Himalaya, dove era l'Olimpo
dell'India; ed è quindi naturale ch'ei vi scorga effigiate tutte
le imagini maravigliose della mitologia sanscrita,. e la sede
d' Indra, e la stanza di Rudra e la magione di Vaisravama ecc.
Il commento chiosa l'hayánanam di questa stanza avente
forma di faccia di cavallo. Or come questo epiteto non può
nel costrutto del testo riferirsi ad altro che al lago di Brahma,
io ho interpretato questo luogo « lo splendido lago di
Brahma, fatto in forma di faccia di cavallo; » ma questa
mia interpretazione non mi par tuttavia aver tale certezza
che escluda la possibilità d'un'interpretazione differente.
299. 22 – Confinante quasi ad esso. Il commentatore fa
a questo luogo una chiosa che non ho creduto dover accet
tare; ei dice: « Sürya è una spezie di gran pianta; ella è
quivi (nella magion di Vaisravana) rinchiusa ». So che alla
interpretazione che ho scelto, potrebbe farsi qualche ap
punto; ma la credo preferibile a quella del commentatore.
Il Sedio di Brahma e l'Arco di Sankara sono, secondo il
commento, nomi di luoghi, di regioni.

302. 15. – Allor ch'ei voleva disperdere il sacrificio. Il


fatto a cui qui si allude, è menzionato più per disteso al
AL LIBRO SESTO, 491
cap. LXVIII del libro primo, Adicanda. Parmi che in questo
fatto sia rappresentata sotto il velo mitico la lotta di culti
antichi. Sivà, Divinità, come io credo, delle stirpi Cuscite
o Chamitiche e fors'anche delle stirpi turaniche che prece
dettero sul suolo dell'India le stirpi Arye od indo-sanscrite,
voleva aver parte nel nuovo culto de'conquistatori e ne' lor
sacrifizi, da cui era escluso; e col turbare i loro riti, col far
violenza ai loro sacrifizi ottenne d'essere ammesso a par
teciparli.
304. 33. – Alla piena luna stante in mezzo ai due V
sáchi. I due Visàchi sono il sedicesimo asterismo lunare,
formato da due stelle, o secondo altri da quattro.

307. 18. – Come rotondi orridi sassi, ecc. È l'arme che


gli Indo-Sanscriti chiamano sataghni (che uccide a centinaia),
vale a dire un sasso rotondo, guernito di ferrei chiovi; onde
son qui paragonati alla sataghni gli alberi che lanciavano i
Vànari e che Kumbha tempestava di dardi.

308. 36. – Soggiogato dal gran Dio. Il commentatore


chiosa questo luogo in tutt'altro modo; secondo lui questa
frase del testo s'avrebbe ad intendere così: « Qual è(o qual
sarà) la sembianza di Rudra (Pasupati) precipitantesi sopra
i mondi (o sopra le genti) al tempo del final disfacimento ».
Non potrei dire precisamente a quale fatto mitico alluda qui
questo passo del testo.

309. 7. – Che avea al di sopra un marchio di cinque


dita. Credo che voglia dire che quella clava portava al di
sopra impresso il marchio delle cinque dita, con cui l' af
ferrava il Racsaso.

313. 6. – Qui, vale a dire dopo lo sloka 3l del capi


tolo LVIII, il codice W ha diciassette sloki, che non si tro
vano negli altri codici e che io non ho inseriti nel testo,
perchè le varie fogge ed arti di combattere, con cui si de
scrive in que' versi la battaglia tra Râma e Makaràksa, sono
già state dette e ripetute altrove; ciò nondimeno li porrò
più sotto dopo il saggio delle varianti, perchè, se non al
tro, ei non mancano di vigor d'imagini e di stile. Io mi
sono in questo luogo del testo principalmente attenuto alla
lezione del codice N di cui ho parlato altrove.
492 NOTE

318. 2. – Udirono quel grido. Il commentatore fa qui


una sua chiosa particolare. Ammessa tale chiosa, conver
rebbe tradur così l'ultimo sloka di questo capitolo : « E
allor che udirono quello strepito sformato, cagion di ter
rore ad ogni vivente creatura, i Vànari che stavan là bra
mosi di far battaglia, levarono gridi anch'essi ». Ma tale in
terpretazione mal s'accorda col principio del capitolo se
guente, dove è detto invece che i Vànari, udito il terribil
grido d'Indragit, si diedero alla fuga; ho perciò preferito
la versione che si legge nel testo del volume. Quanto al
l'imagine di Sità figurata qui da Indragit per arte di magia,
è da osservare che questo stesso prestigio d'arte magica,
concetto tutto orientale, si ritrova in Grecia nell'Iliade
omerica, dove Apollo forma una vana imagine d'Enea per
salvar quell'eroe caro agli Dei, e si riscontra più tardi nel
l'Eneide di Virgilio, dove Giunone forma di nuovo un finto
Enea per salvar Turno:
Tum Dea nube cava tenuem sine viribus umbram
In faciem AEneae (visu mirabile monstrum)
Dardanis ornat telis; clypeumque jubasque
Divini assimulat capitis; dat inania verba,
Dat sine mente sontum, gressusque effingit euntis:
Morte obita quales fama est vollitare figuras,
Aut quae sopitos deludunt somnia sensus.
(AEneidos lib. X).

320. 36. – Io scorgo la virtù confusa col vizio, ecc. Il


commentatore interpreta questo luogo (sloka 18, v. 2) in
modo assai differente. Conforme alla sua chiosa converrebbe
tradurre: « Io scorgo nella virtù l'infelicità e la felicità
nel vizio ».
Qui vien fuori di nuovo quella vena di dubbio anzi di
negazione assoluta, che già si nanifestò in due o tre altri
luoghi dell'epopea. Applicando alle idee morali quella teoria
della mdyd o dell'illusione, che riduce a semplici fenomeni
od apparenze prive di realtà gli oggetti del mondo fisico, si
nega pur qui la sostanziale essenza delle idee di giusto e
d'ingiusto, di virtù e di vizio. Tristi e deplorabili dottrine,
ma inerenti al panteismo che dominò nelle idee dell'India
brahmanica e che confondendo in un sol tutto i più diversi ed
opposti contrari, la virtù e il vizio, il giusto e l'ingiusto, il
bene e il male, l'amore e l'odio riesce ad annullarli. L'epo
pea che è l'imagine fedele della civiltà e delle idee d'un
popolo, dalle cui viscere, per così dire, ella emerge, dovea
naturalmente esprimere tali dottrine che erano radicate
nell'India.
AIL LIBRO SESTO, 493
322. 8. – Il Candalo. È noto che la società indiana
era scompartita in quattro classi o caste riputate come le
gittime, la brahmanica, la csatriya o militare, la vaisya o
trafficante, queste tre prime rigenerate e nobili, e la quarta
dei Sudri o classe servile. Gli uomini di ciascuna classe do
vevano tor per mogli donne della stessa classe e vergini.
(Manu, lib. X, 5). Ogni matrimonio in cui si confondessero
le classi era riputato illegittimo ed impuro, ed i figli che
ne nascevano, erano illegittimi e più o meno impuri an
ch' essi. Il figlio che nasceva dall'unione d'un Sudra con
una donna della classe brahmanica, s'appellava un C'andálo
ed era il più abbietto e l'ultimo degli uomini. (Codice di
Manu, lib. X, 12).
E qui notevole l'immoderata esaltazione delle ricchezze,
insolita nelle antiche società Indo-arye e più propria delle
antiche società Cuscite; questa glorificazione plutocratica
s'accorda talmente e consuona coll'istinto della società no
stra e ne esprime così al vivo i sentimenti e i desideri,
che si direbbe ispirata da essa.

328. 4. – Presso alla porta della gran ficaia. Il com


mento chiosa qui come segue : « Fatto il sacrificio sovra
l'ara situata alla radice d'una grande ficaia (ficus indica),
esce Indragit alla battaglia; perciò è quel luogo appellato
la porta, l'uscita della grande ficaia ».
Qualcuno s'imaginò di trovar qui che i primi otto sloki
di questo capitolo LXVI discordano dagli ultimi sloki del
capitolo Lxv, e giudicandoli intrusi, li mette, come è uso
di fare, a carico dei rapsodi, dei diaskevasti o dei copisti.
Ma dove v' ha qui, io lo domando ad ogni lettor che abbia
fior di senno, ombra di discordanza o di contraddizione?
Nel capitolo LXV, Vibhisana eccita Lacsmano ad assalire
l'oste de'Racsasi, affinchè Indragit, per venire al soccorso
de' suoi, lasci incompiuto il sacrificio a cui attende. Lac
smano assale la schiera de'Racsasi, altri Vànari lo secon
dano e nasce una battaglia tumultuosa, in cui Hanumat fa
mirabili prove. In quella accorre Indragit; e veggendo
Hanumat inferocir con tanta furia, va diritto a lui ed ap
picca con lui battaglia. Allora il Racsaso Vibhisana addita
a Lacsmano il fiero Indragit e l'esorta ad assalirlo; quindi
lo prende con sè e penetrando rapidamente insieme con
Lacsmano nel mezzo della gran mischia, gli fa veder più
dappresso il Racsaso Indragit. Ma questi, addocchiato colà
Vibhisana, si volge a lui e gli dice aspre parole ecc. Or io
494 NOTE

lo domando, dove v'ha qui ombra di discordanza? Ma cer


tamente, se si traduce il pravisya mahad balam (sl. 2)
(penetrando nella grand'oste) per entré dans un grand bois,
questo nuovo modo d'interpretare imbroglia un po il co
strutto, ed allora non rimane altro mezzo per uscir d'im
paccio che pigliarsela coi rapsodi, coi diaskevasti e coi co
pisti inintelligents, che di ciò non han colpa alcuna. Ma
di questo ho parlato nella prefazione.
330.32. – Intorno ad un'ardua cosa. Il significato di arduo,
malagevole, che io ho qui attribuito al vocabolo durác'ára
(sloka 11) non è precisamente quello che si trova nei les
sici, dove a quel vocabolo si dà il valore di reo, improbo,
commettitor di male opere; ma il significato di arduo, ma
lagevole, s'accorda pur nondimeno colla struttura e col va
lore etimologico di quel vocabolo; ed in tale significato lo
piglia qui appunto il commentatore.

333. 38. – Come due monti vestiti di sprocchi. Il signi


ficato di vestiti di sprocchi che ho qui attribuito al voca
bolo prarádháu è quello che gli attribuisce il commento.
Tale significato è qui ben appropriato ad esprimere con
forte imagine la stipa di dardi, ond'eran gremiti ed irti i
corpi dei due combattenti ; e sebbene ei non sia precisa
mente quello che i lessici attribuiscono al vocabolo pra
rádha, ei non è tuttavia alieno dal valore di quel voca
bolo.

334. 36. – E valicato colle braccia il mare, vi sarà or


lieve trapassar poco spazio di terra. Ho tradotto letteral
mente questo passo (sloka 16, v. 1); ma credo col com
mentatore che ei s' abbia ad intendere in senso figurato,
sebbene io non accetti intieramente la sua chiosa. Ecco
com'egli commenta: « Valicato il mare, ossia quell'ima
gine di mare formato da Prahasta e dagli altri duci d'e
sercito; » fin qui la chiosa può passare; ma ei soggiunge:
« il gospada (un sito, uno spazio di terra frequentato da
greggi di vacche, ed anche il vestigio, l'orma de' lor piedi),
il gospada, dice il commentatore, è Indragit figurato nel
gospada, si trapassi egli speditamente, ciò è a dire, s'uccida ».
Qui la chiosa diventa un po strana; volere che per gospada
s'abbia ad intender Indragit e per langhitum trapassare, ol
trapassare, s'intenda hantum uccidere, mi par spingere trop
p'oltre il senso figurato. Credo insomma che si voglia si
AL LIBRO SESTO), 495
gnificare in questo verso: voi avete fatto il più, or vi sarà
facile fare il meno; voi avete valicato colle vostre braccia
tanto mar di forze; or vi sarà lieve giungere a proda, o
trapassar poco spazio di terra, od altra cosa consimile.

347. 24. – Lo spirito vitale che s'agita ne'sensi. Il com


mentatore chiosa il bhütátma del testo « il bhitáitma è ciò
( la forza, lo spirito ) che opera dentro, ovvero è il
principio vitale ». Il bhütátma non è l'anima propria
mente detta, la sostanza spiritale fonte del pensiero, il
Xoyuazizov, il vo5 g di Platone; è il principio vitale, fonte
della vita e dell'attività che s'agita e trascorre per li sensi;
dal che è tolta qui la similitudine del bhütátma con Ràma
che muovesi e s'aggira invisibile e solo si manifesta per li
suoi effetti. È notevole questa distinzione del principio fonte
del pensiero e del principio fonte della vita, che si trova
nelle dottrine indo-sanscrite, non certamente esposta è sta
bilita con metodo e precisione scientifica, ma pur indicata.
E la via, in cui è entrata oggi la scienza, che tratta sepa
ratamente la psicologia e la biologia, il principio pensante,
e il principio vitale.

348. 20. – Il regal giardino di Rudra. Rudra era nel


culto vedico una Divinità di natura rappresentata qualche
volta come benefica (Rig-Veda, astaka I, inno XLIII), ma
più sovente come terribile e devastatrice, che venne poi
identificata con Siva. Quando il primitivo e semplice vivere
delle stirpi Arye od indo-sanscrite fu trasmutato in vivere
cittadino e splendido, il culto vedico si trasmutò ei pure;
e le Divinità antiche di natura ebbero, come i re degli Aryi,
reggia, corte e giardini regali. L'ákrida (sloka 38) è qui
il giardino regale di Rudra, dove il Dio terribile e strug
gitore mette a morte gli animali.
349. 1. – Dvigihva, ecc. I nomi dei Racsasi che occor
rono a mano a mano nell'epopea, sono tolti per lo più o da
qualche deformità di corpo o da qualche vizio d'animo o da
qualche loro qualità malvagia. Dvigihva viene a dir lette
ralmente colui che ha due lingue, e figuratamente un ribaldo,
un ladro, Sanhrádin, lo strepitante, Vimardana, il distrut
tore, Kumbhahanu colui che ha mascelle pari ad orci,
Hayagriva che ha cervice di cavallo, Sankukarna che ha
orecchie pari a buche, Hastikarna che ha orecchie d'ele
fante, Trisiras che ha tre teste, Düsana il corrompitore,
496 Nore
Atikdya che ha corpo gigantesco, Mahápársva che ha fian
chi enormi, ecc.

350. 14. – Indra Satakratu. Satakratu, epiteto d'Indra


che occorre sovente ne' Vedi. Può interpretarsi o colui che
è celebrato con cento sacrifici, o colui che ha compiuto cento
sacrifici. Credo il primo significato esser l'antico Vedico
ed il vero, ed il secondo doversi attribuire alla leggenda
purànica, secondo cui Indra ottenne per mezzo di cento sa
crifizi la supremazia fra i Devi, e la sovrana dignità cele
ste; la quale può venir conseguita da altri con cento sa
crifizi Asvamedhi.

350. 15. – Noi qui accolte a schiera, ecc. hatapravirá


bahavo (sloka 28). Il costrutto grammaticale del testo non
consente di tradurre: « Furono uccisi valenti eroi in gran
numero: » riferendo il bahavo alle donne che fanno qui il
lamento, siccome appare manifesto dall'ultima stanza di
questo capitolo, ne nasce, è vero, l'irregolarità del trovarsi
il bahavo mascolino connesso col nome femminino di donne;
ma di tali irregolarità non mancano esempi nella lingua del
Ràmàyana, come ho dimostrato altrove; ond' io mi son
attenuto a questa seconda interpretazione.

353. 38. – Moschodonti ed egostomi e macheracmei. I tre


vocaboli del testo che corrispondono ai tre precitati signi
ficano dente di vitello, bocca di capra, filo di rasoio. Erano
speciali nomi di dardi, tolti forse dalla lor forma; ma non
saprei descriverli, e non mi ricordo d'aver veduto saette di
tale foggia nel Museo indiano che si trova in Londra nell'East
India-house e che ho per altro minutamente osservato. Io ho
tradotto qui letteralmente i nomi sanscriti, pigliando dalla lin
gua greca, siccome più conosciuta, i vocaboli della versione.

356. 25. – Rinculò quattro cubiti. È la traduzione esatta


del testo (sloka 28), che il commentatore chiosa: « la
misura di quattro cubiti ». Ma debbo dire che quattro cubiti
mi paion ben poca cosa per lo rinvertire e dare addietro
d'un elefante.

357. 17.– Fatto ancorpiù sozzo gli occhi. Virùpàksa tanto


vale a dire, quanto sozzo gli occhi o con occhi deformi; a
tal nome allude ciò che qui è detto, fatto ancor più sozzo
gli occhi.
AL LIBRO SESTO, 497
357. 33. – Or sta il solvere il sacro debito dell'offa, ecc.
L'imagine è qui presa dalla ceremonia funebre del pinda,
sorta d'offa fatta di riso, di latte, di fiori, ecc. che doveva
offrirsi ai Mani del morto dai più prossimi suoi congiunti.
Ei vuol dire insomma: è questa l'ora di solvere il debito
verso chi è donno; è l'ora di prestargli il debito aiuto; chè
così appunto l'interpreta il commentatore.

363. 3. – Segnando quasi colle sue saette, ecc. (sloka 40),


che il commentatore chiosa: « lineando quasi colle sue saette
l'aria; » mi sono attenuto a questa interpretazione.
368. 38. – La possanza di Ráma. Il testo ha rámasya
rámatvam (sl. 21) che tradotto letteralmente verrebbe a dire
la Rámaità di Ráma, la virtù Rámica di Ráma, come chi
dicesse l'italianità d'un italiano; il qual concetto non si
poteva tradurre verbo a verbo.

372. 39. – Per quella region dell'aria dove spira il vento.


E il pancamena tu márgena dello sloka 63 che tradotto let
teralmente verrebbe a dire per la quinta via. Il commenta
tore, alla cui chiosa mi sono attenuto, lo commenta così:
« la quinta via è quella parte dell'atmosfera dove spira il
vento ». Potrebbe anche interpretarsi per l'etera.

374. 16. – All'eccelsa contrada mezzana,Madhyadesa. Ho


indicato in una delle note precedenti, quali fossero i confini
di questa contrada. Ella comprende le odierne provincie di
Allahabad, Agra, Delhi, Oude, ecc. e fu recentemente fa
mosa per quella sommossa che parve mettere in forse la
dominazione Britannica nell'India e che oggi ancora non
è al tutto domata e vinta. La region di Kosala giace pros
sima alla Sarayù ed è parte del Madhyadesa; n'era città
capitale Ayodhya, l'odierna Oude, sede del regno di Ràma.

377. 1. – Per la tua rimembranza, ecc. La traduzione


di questo passo (sloki 134, v.2, 135,v. 1) che si legge nel
volume, è conforme alla chiosa del commentatore. Confesso
che non m'è ben chiaro il senso di questo luogo; si po
trebbe supporre che le piccole testuggini servissero di
trastullo ai parvoli e che col rammentarle loro si ravvivasse
la loro gioia; si potrebbe anche interpretare in altro modo
i due versi sopracitati: « Per la tua rimembranza, o Ráma
eccelso fra gli uomini, gli spiriti vitali divengono entro il
VOL, III, 32
498 NOTE

mio corpo placidi e blandi, sì come i piccoli delle testug


gini ». Ma nè il primo, nè il secondo costrutto punto non
mi soddisfanno. Lascio all'ingegno del lettore il trarne quel
senso, che la sua sagacità potrà suggerirgli.
384. 6. – Al terribile Tálagangha, ecc. Tutti questi
nomi esprimono qualità corporali. Tálagangha significa un
che ha gambe pari a palmizi, Ghatodara un che ha ventre
pari ad un grand'orcio,Sinhavaktra che ha faccia di leone,
Ulkämukha che ha faccia ignita, Kankatunda che ha rostro
d'aghirone, ecc.
387. 30. – Meditato quindi il divino Náráyana. Così in
terpreta il commentatore il tam devam dello sloka 24,
e la sua chiosa par probabile e giusta: chè essendo Ràma
un avatara di Visnu, al Dio Nàràyana doveva egli aver fisa
la mente ne' grandi casi. Analogo a questo luogo del Rà
màyana, dove Indra manda a Ràma il suo proprio carro,
il suo auriga e le sue armi,è quel luogo dell'Eneide, dove
Venere scendendo dal cielo, reca ad Enea suo figlio, sul
punto d'entrare in battaglia, armi divine:
At Venus aethereos inter Dea candida nimbos
Dona ferens aderat. . . . . . . . . . . . .
e e

Arma sub adversa posit radiantia quercu.


Ille Deae donis et tanto laetus honoré,
Expleri nequit, atque oculos per singula volvit;
Miraturque, interque manus et brachia versat
Terribilém cristis galeam flammasque vomentem,
Fatiferumque ensem, loricam ex aere rigentem.

- (AEneidos lib. VIII.)

388. 15. – Garuda era il grande aligero che portava


per l'aria Visnu ed era mortal nemico de' serpenti, ch'ei
divorava. Quindi Ràma in questa lotta prodigiosa e sovru
mana trae fuori il telo garudico per distruggere i teli ndi
ghi, od i serpenti che Råvano lanciava in forma di dardi.
Questa, sì come altre battaglie precedenti, oltrepassan le
forze della natura umana, hanno qualche cosa di magico, di
mistico, di fatato, sono analoghe ad alcuni combattimenti
dei poemi cavallereschi, ma diverse dalle battaglie omeriche,
in cui l'uomo si manifesta ed opera col solo suo vigore e
colla forza che gli è propria. Nelle battaglie, come negli
altri aringhi della vita, la personalità umana risalta e spicca
nella Grecia; laddove nell'India si confonde spesso colle
AL LIBRO SESTO, 499
forze arcane della natura. Nè in ciò solo, ma in più altre
particolarità della narrazione epica si scorge questa essenzial
differenza tra l'epopea greca e la sanscrita; l'una, la greca,
mai non oltrepassa i limiti del reale, dell'umano; l'altra, la
sanscrita, ama il grande indefinito, indeterminato. Così per
cagion d'esempio, occorre egli di menzionare il numero dei
combattenti? l'epopea sanscrita dirà che erano ayuti ed ar
budi, nomi che indicano quantità sterminate; l'epopea greca
ne determinerà precisamente il numero e dirà che l'armata
greca si componeva di mille duecento navi, che ciascuna
nave de' Beoti portava cento venti uomini, le navi di Fi
lottete solamente cinquanta: IIezoinze 7zip z)io» zz' 52
zo a io» veóv, 2; uv Botozov e zoa zzi ézzzov &vòpóv, 2;
òè pozzizov evtzizovrz, òn)65v, cg e poi òozei, 2; peyiazz;
zzi )27ziazz;. (Tucidide, lib. I, 10).
388. 31. – Stretto da Dhúmraketu. Dhùmraketu è Ráhu;
stretto da Dhûmraketu vale a dire stretto da eclissi, in parte
oscurato. Gyestha (l'eccellente) è il diciottesimo asterismo
lunare (naksatra), Maitra (l'amico) è il diciasettesimo, Agni
deva (il Dio del fuoco) è il terzo. Tutti questi particolari
astronomici si riferiscono all'astrologia, arte assai antica nel
I' India e adoperata in ogni grand'atto sia religioso, sia ci
vile. Sull'origine e sul processo dell'astrologia indiana si
vegga la dotta dissertazione d'A. Weber, Zur Geschichte der
Indischen Astrologie, Indische Studien, suveiten Bandes zuveites
Heft, p. 236 e seg.

389. 12. – I Marutvati che van per l'aria. La chiosa del


commentatore non dice qui altro se non che « i Marutvati
sono una classe di Devi ». Egli erano certamente, come
l'esprime il lor nome, connessi coi Venti (Maruti) e Divi
nità atmosferiche. Nel Rig-Veda, astaka II, inno CLXV, oc
corre il vocabolo Marutvat, ma per significar Indra corteg
giato dai Venti.

404. 16. – Elefante olente. È il gandhahasti della stan


za 19. Questo vocabolo che il commentatore non chiosa,
si trova registrato nel dizionario buddhico tetraglotto san
scrito-cinese-mongolico-tibetano, che ha per titolo Mahá
vyutpatti, S'34. Il vocabolo Gandhahasti occorre quivi
menzionato come nome d'un Bodhisattva; ed è tradotto
in cinese Hiang-siang che viene a dire elefante odoroso,
éléphant à parfum; e con questo stesso significato è pur
500 NOTE -

tradotto in mongolico e in tibetano. Nell' opera che con


tanto utile di questi studi ha recentemente pubblicato l' e
minente sinologo Stanislas Julien (Mémoires de Hiouen
Thsang, traduits du chinois en francais, t. II, liv. IX, p. 1)
è riferita una leggenda, in cui s'incontra di nuovo il vo
cabolo gandhahasti ; ed il valente traduttore dice in una
nota, che nel catalogo tetraglotto dei nomi de' Buddhi , il
vocabolo gandhahasti ( che è pure il nome del settantesi
mo secondo dei mille Buddhi del Bhadrakalpa) vien tra
dotto in mongolico e in tibetano per elefante odoroso, élé
phant du parfum. Ei par dunque certo che la locuzione.
gandhahasti la qual si trova nella citata stanza 19, significa
elefante odoroso, elefante olente, com'io l'ho tradotta. Ma a
qual particolarità dell'elefante si riferisce ella questa deno
minazione? Nel gran dizionario sanscrito (Sanskrit-Wörter
buch) pubblicato dai dotti O. Böhtlingk e R. Roth è detto
che il gandhahasti è un elefante d'una classe speciale e
molto temuto, Eine bes. von den andern Elephanten sehr
gefürchtete Art.
Innata l'ira di sua schiatta, (stanza 19). Pigliando la
voce vansa nel significato di bambu, si potrebbe fors'an
che interpretare in altro modo questa locuzione e dire :
c« che avea la sua progenie sì come selva di bambu, ov'ei
disfoga la sua ira ». Ma la struttura del testo non si piega
che forzatamente a tale interpretazione, ed il senso che ne
risulta, non è ottimo; ond'io ho preferito l'interpretazione
che si legge nel volume.

406. 38. – Il destino incita ogni cosa, ecc. (sloka 24,


v. 2). Il commentatore chiosa altramente questo verso.
Stando alla sua chiosa, converrebbe tradurre : « Il destino
muove ed eccita ogni opera; onde tu fosti percosso dal
destino ». Ma il senso che emerge dal costrutto naturale
del verso e che mi pare più genuino, non è questo che
mette innanzi il commentatore, ma piuttosto quello che io
ho adottato.

411. 19. – Polvere di fior di mesua. Così dice la chiosa


del commentatore, il quale è da presupporre che, nato nel
l'India, dovesse conoscere meglio di me nato in Italia tutte
queste particolarità di riti funebri. I nomi sanscriti degli
oggetti qui adoperati hanno per lo più varie significazioni;
ed io debbo dire che non son certissimo d'aver sempre colto
la buona; ma comunque la cosa sia, ei non v'avrebbe al
AL LIBRO SESTO, 501
postutto gran male, se in luogo d'una qualità di legno
n'avessi qui indicato un'altra.

412. 4. – Ne' convenienti siti il sacro fuoco. Nelle ce


remonie funebri dell'India il fuoco era collocato a tre lati
del rogo; il fuoco appellato Daksina era posto al lato au
strale, il Ghárhapatya al lato occidentale e l'Ahavaniya al
lato orientale. (Max. Müller, Die Todtenbestattung bei den
Brahmanem, pag. LXXVIII). Il cucchiaio di legno. tutte l'al–
tre cucchiare. Il cucchiaio di legno era il sruva, che serviva
a spandere sul fuoco il sacro burro; le altre cucchiare penso
che fossero il guhti fatto di legno di palása, l'upabhrit fatto
di legno d'asvattha e il dhruva fatto di legno di vikankata.
(Müller, l. c.) Tutti questi riti funebri non sono qui parti
tamente descritti, ma solo accennati; onde riesce difficile
il ben chiarirli e sporli. Il poema introduce qui i riti fu
nebri dei Brahmani Aryi presso i Racsasi, gente di schiatta
. estranea e d'altro culto. Così Omero introduce talvolta in
Troia i riti del culto greco.

412. 10. -– Fecero dispor nel mezzo altre arbori, ecc. Le


ceremonie qui menzionate non hanno certamente quella pre
cisa esattezza di descrizione, con cui Omero rappresenta i
riti greci; ma tale è in tutto il genio dell'India; ei non ama
particolareggiar minutamente, circoscrivere , individuare;
lascia per lo più ondeggianti, indefiniti, indeterminati gli
oggetti; il panteismo rivela qui come altrove i suoi effetti.
415.31. –Tale è il fermo mio parere, (sloka 30). Il com
mentatore interpreta questo passo in tutt'altro modo. Se
condo la sua chiosa converrebbe tradurre : «Tale era il fermo
parere dei versati nella scienza astronomica (o piuttosto
astrologica) ». Ma credo che qui sbagli il commentatore. Sità
ha detto poco più sopra che per le male sue opere antecedenti,
vale a dire, commesse in una vita anteriore, le era avvenutò
tutto quello che ella aveva sofferto nelle mani di Ràvano.
Ora ella soggiunge , come per compiere il suo pensiero,
essere suo fermo avviso che ella doveva cadere in tal condi
zione, siccome necessaria conseguenza delle male sue azioni
precedenti. Tutto ciò appartiene alla dottrina della metempsi
cosi; e non veggo che abbiano a far qui gli astrologi.

416. 2. – Nell'eseguire, ecc. (sloka 34). Mi sono attenuto


nell'interpretazione di questo sloka alla chiosa del commen
502 - NOTE

tatore che ne spone il senso in modo naturale e logico: egli


dice: « Nell'operar de'servi per connando di chi è lor donno,
nessun servo commette colpa ».

420. 35. – Il Muni Agastya, autore di più inni vedici,


era celebre nella tradizione indo-sanscrita per aver guidato
e retto le prime occupazioni brahmaniche delle regioni me
ridionali dell'India; ed il Mahābhàrata gli dà lode d'aver
sottomesso quelle contrade, d'averne respinto i Racsasi e
d'aver sicurato i solitari asceti che s' erano colà stabiliti.
Quindi Agastya era riputato dalla leggenda antica come
conquistatore e dominatore della regione meridionale. Si
vegga il Lassen, Indische Alterthumskunde, ersten Bandes
zuceite Hälfte,p. 582,583. Questa tradizione allude al primo
allargarsi e spandersi che fecero gli Indo-Sanscriti verso
il mezzodì dell'India. Ad Agastya sono attribuiti molti mi
rabili fatti mitici che adombrano e velano eventi antichi;
ed alcuni ne accenna qua e là il Ràmàyana.

421. 3. – A chi ha l'occhio infermo. Ho seguitato la


interpretazione del commentatore che mi parve più appro
priata all'imagine che si legge nel testo; ma si potrebbe
fors' anche tradurre sì come una lampa posta fra gli occhi.
424. 20. – Seguita qui una serie d'epiteti che vennero
a mano a mano attribuiti nell' India a Visnu, e che si ritro
vano parte nella Bhagavad-gità, parte nei Puràni visnuitici.
La Grecia soleva pure onorare di vari e splendidi nomi
alcune sue Divinità; la Luna, per esempio, era invocata con
moltissimi nomi, che Ugo Foscolo raccolse e spose nella sua.
Orazione Dell'origine e degli uffici d'ogni letteratura. Il modo
con cui qui Brahma rivela a Ràma la divina sua natura,
“ha quell'impronta di grandezza e di maestà, che si riscontra
in più altre composizioni dell'India, dove mirabilmente ri
splende il suo genio profondamente poetico e religioso.
Hriscikesa pare che significhi il signor degli organi de'sensi;
Purusa sarebbe secondo che l'interpreta il commentatore:
Colui che penetra per entro il corpo, lo spirito supremo.
– Nel mezzo e nel fine dell'universo (così il commento).
Visvaksena, la cui forza si diffonde per tutto? – La causa
generante (così il commento). — Upendra, soggetto ad Indra
o nato dopo di lui; qui il concetto d'Indra pare avere una
significazione più alta che quella del Dio degli spazi aerei.
– Il vasat, esclamazione mistica che s'usava proferire nelle
AL LIBRO SESTQ, 503
sacre oblazioni fatte col fuoco; tali esclamazioni vennero
poi personificate ed eran come Divinità del sacrificio. –
Fra i Vasu il Fuoco; ciò corrisponde a quello che nella
Bhagavad-gità dice Visnu di se: Fra i Vasu io sono il Fuoco;
ho detto altrove che cosa fossero i Vasu. – Nel tuo pensiero
nacquero i Devi ; il commentatore chiosa qui altramente e
dice: Nel tuo spirare nacquero i Devi. Ma io non veggo come
si possa sostenere tale interpretazione. – Lo Srivatsa è un
segno che si suppone formato da una ciocca di peli, o per
meglio dire, da un pelo ripiegato in forma di croce sul
petto di Visnu.

428. 2. – Salvato da te suo figlio; o perchè Räma col


rimaner quattordici anni in esilio fra le selve aveva reso il
padre veritiero della sua promessa, e non lasciandolo venir
meno della fede data, l'avea salvato, apertogli, cioè, l'adito
al cielo; o perchè coll'adempiere gli atti pi e i riti fune
bri, che il figlio doveva compiere, affinchè ottenesse le ce
lesti sedi, il morto padre, Ràma avea salvato, scorto al cielo
Dasaratha.

428. 22. – Da Astávakra. La sua vita è narrata nel Ma


hābhārata, Vana-parva, 10600 e seg. Era egli figlio di Ka
hoda, il quale aveva per isposa Sugàtà, figlia del suo Guru
o maestro spiritale, per nome Uddàlaka. Astàvakra venne
da suo padre maledetto, prima ch'ei nascesse e condannato
a nascer distorto vakra otto volte astá, onde il suo nome:
Astávakra (Mahābh. l. c.). A questo personaggio fa qui allu
sione l'epopea.

442. 5. – Due mila suvarni d'oro. lI suvarna è un peso


d'oro: « A weight of gold, equal to sixteen máshas, which
at five rettis to each másha makes the suverna equal to
about 175 grains troy ». Così il Wilson.

443. 33. – Così sarà reso il contraccambio. Ràma e Lac


smano avevan straziata e mutilata Surpanakha sorella di
Ravàno, tagliandole orecchie e naso; ora, dice Ràvano, col
rapir Sità sarà fatta compensazione di quell'atto e reso il
contraccambio. Credo che tale sia il senso di questo luogo;
o si potrebbe fors'anche interpretare: « così mi sarà reso
da te un contraccambio dei servigi ch' io t' ho prestati ».
504 NOTE AL LIBRO SESTO,

445. 20. Domani col Pusyayoga. Il Pusya è l'ottavo aste


rismo lunare: domani col Pusyayoga vale a dire, domani
entrando la luna in quel segno, in quell'asterismo. Ei s' è
veduto in più luoghi dell'epopea che l'entrar della luna nel
segno Pusya era riputato un momento opportuno per l'a–
dempimento d'atti solenni, a cagion d'esempio, per la con
sacrazione di Ràma al regno coll'aspersione dell' acqua lu
strale (Ayodhyacanda, c. p. XII). Qui è disposto per lo dì
del Pusyayoga l'abboccamento di Bharata con Ràma. Egli è
evidente che s' attribuiva a questo segno, secondo le dot
trine astrologiche, una virtù speciale e fausta. Noterò un
leggiero disaccordo che nasce dal trovarsi qui indicato il
Pusyayoga per l'abboccamento di Bharata con Ràma e dal
l'esser di nuovo al capitolo CXII, sloka 70, indicato il Pu
syayoga per la sacra di Ràma, la quale non fu celebrata
che due giorni dopo.

452. 39. – Nell'ora che s'appella abhigit. Abhigit è l'ot


tava ora del giorno, la vittoriosa, l'ora della vittoria, se
condo la significazione del nome.
456. 1. – Ei celebrò dieci Asvamedhi, ecc. L' Asvame
dha era il sacrificio del cavallo; ne ho parlato nelle note
precedenti. Gárutthi « a sacrifice, thrice worshipping the
sun in his southern declination », così il Wilson; « il sacri
ficio in cui è uso di volgersi tre volte alla plaga meridio
nale », così il Sabdakalpadruma. Pundarikáksa è uno dei
nomi di Visnu; ei celebrò dunque due sacrifici a Visnu
sotto il nome di Pundarikáksa, nome che significa: colui
che ha occhi pari a fior di loto. Vág'apeyi, sacrifici in cui
s' offriva agli Dei come bevanda (peya) farina intrisa con
acqua e lasciata fermentare (vága). Il Sabdakalpadruma non
lo descrive partitamente; ma si contenta di dire sorta di
sacrificio e lo enumera insieme con altri, come l'Agnistoma,
l' Ukthya, ecc.

FINE DELLE NOTE.


CORREZIONI AL VOLUME TERZO,

Prefazione, pag. VII, linea 24:


l'Eliopide, i Kosti, – leggasi – l'Etiopide, i Nosti,

Pag. 388, linea 30: con debiti raggi – leggasi – con debili raggi
» 444 » 7: gruppi alberi, D gruppi d'alberi,
» 468 » 21: tashyà D)
tasyà
» 468 » 42: espresse D
espressa
INDICE
LIBRO QUINTO
SUNDARACANDA.

PREFAZIONE . . . . . . - - - - - - - - -- -

CAP. XXII. Lusinghe a Sità. . . . . . . . . . . . . .


» XXIII. Discorso di Sità. . . . . . • •

» XXIV. Minacce di Ràvano . . . . . . . . . . . .


» XXV. Minacce delle Racsase . . . . . . . . . .
» XXVI. Securità di Sità. . . . . - - - - - - - - -
» XXVII. Sogno di Trigata. . . . . . . . . . . . .
» XXVIII. Presagi manifesti a Sità . . . . . - - - -

» XXIX. Deliberazione d'Hanumat. . . . . . . . .


» XXX. Turbamento di Sità . . . . . . . . . . .
» XXXI. Colloquio d'Hanumat con Sità . . . . .
» XXXII. L'anello consegnato. . . . . . . . . . . .
» XXXIII. Parole di Sità. . . . . . . . . . . . . . .
» XXXIV. Parole d'Hanumat. . . . . . . . . -. . . .
» XXXV. Spediente profferto da Hanumat . . . .
» XXXVI. Il diadema consegnato . . . . . . . . . .
» XXXVII. Il bosco degli asoki devastato . . . . . .
» XXXVIII. Rovina d'un grande edificio. . . . . . .
» XXXIX. Morte di G'ambumàli. . . . . . - - - - -

» XL. Strage di nuovi Racsasi . . . . .....


» XLI. Morte di cinque duci. . . . . . .....
» XLII. Morte del giovane Aksa . . . . .....
» XLIII. Uscita d'Indragit . . . . . .
» XLIV. Presa d'Hanumat . . . . . . . . . . . . .
» XLV. Descrizione di Råvano . . . . . . . . . .
» XLVI. Discorso di Prahasta . . . . . . . - - -

» XLVII. Discorso del messaggiere. . . . . . . . .


» XLVIII. Discorso di Vibhisana . . . . . . . . -

» XLIX. La coda d'Hanumat accesa. . . . . . . .


» L. Incendio di Lanka . . . . . . . e - - -

» LI. Dubbio intorno a Sità . . . . . . . . . .


506 INDICE,
- - Pag.
CAP. LII. Discorso di Surama. . . . . . . . . 65
LIII. Parole di conforto a Sità. . . . . . . 66
LIV. Salita sul monte Arista . . . . . . . . 68
LV. Partenza d'Hanumat. . . . . . . . . . . 69
LVI. Racconto d'Hanumat. . . . . . . . . . . 71
ILVII, Lodi di Sità . . . . . . - - - - - - - . . 79
LVIII, Discorso d'Angada. . . . . . . . . . . . 80
LIX. Andata alla selva del miele . . . . . . . 81
LX. Schianto della selva del miele. . . . . 82
LXI. Dadhimukha respinto . . . . . . . . . . 84
LXII. Parole di Dadhimukha . . . . . . . . . 85
LXIII. Ragguaglio di Dadhimukha. . . . . . . 86
LXIV. Partenza dei scimi dal Madhuvana . . 87
LXV. Discorso di Sugriva . . . . . . . . . . . 89
LXVI. La gemma data per contrassegno . . . 90
LXVII, Lamento di Ràma. . . . . . . . . . . . 92
LXVIII. Discorso d'Hanumat . . . . . . . . . . . 93
LXIX. Discorso d'Hanumat . . . . . . . . . . . 95
LXX. Lodi d'Hanumat . . . . . . . . . . . . . 97
LXXI. Discorso di Sugriva . . . . . . . . . . . 98
LXXII. Ragguaglio sui luoghi forti di Lanka. 99
LXXIII. Partenza dell'esercito de' scimi. . . . . 100
LXXIV. Veduta dell'Oceano. . . . . . . . . . . . 104
LXXV. Lamento di Ràma . . . . . . . . . . . . 107
LXXVI. Discorso di Nikasa. . . . . . . . . . . . A108 -
LXXVII. Discorso di Ràvano . . . . . . . . . . , 11()
LXXVIII. Ràvano incoraggiato. . . . . . . . . . . 11 1
LXXIX. Parole de' consiglieri . . . . . . . . . . 112
LXXX. Discorso di Vibhisana. . . . . . . . . . 113
LXXXI. Discorso di Prahasta . . . . . . . . . . 116
LXXXII. Discorso di Mahodara. . . . . . . . . . 119
LXXXIII. Discorso di Virûpàksa. . . . . . . . . .121
LXXXIV. Nuove parole di Vibhisana. . . . . . . 122
LXXXV. Discorso di Råvano . . . . . . . . . . . 123
. LXXXVI. Discorso di Vibhisana. . . . . . . . . . 4124
LXXXVII. Discorso di Vibhisana. . . . . . . . . . 126
LXXXVIII.Nuove parole di Vibhisana . . . . . . . 128
LXXXIX. Partenza di Vibhisana. . . . . . . . . . 129
XC. Investigazioni intorno a Vibhisana. . . 134
XCI. Discorso di Vibhisana. . . . . . . . . . 136
XCII. Seduta in riva al mare . . . . . . . . . 138
XCIII, Le saette ardenti. . . . . . . . . . . . . 139
XCIV. Uscita dell'Oceano . . . . . . . . . . . . 140
XCV. Costruzione della grande gettata. . . . 142
INDICE, 507

LIBRO SESTO

YUDDHACANDA,

Pag.
CAP. I. Esplorazione. . . . . . . . . . . : . . . . 145
» II. Veduta dell'esercito de' scimi . . . . . . 148
» III. Discorso di Sàrana. . . . . . . . . . . . 151
» IV. Descrizione dell'esercito . . . . . . . . 154
» V. Nuova esplorazione . . . . . . . , . . 157
» VI. Discorso di Sàrdûla. . . . . . . . . . . . 459
» VII. Mostra d'una testa formata per forza
di magia. . . . . . . . . e a • • • • • • 16
» VIII. Lamento di Sità . . . . . . . . . . . . . 4164
» IX. Discorso di Sàrama. . . . . . . . . . . . 167
» X. Sità riconfortata. . . . . . . • • • • • • 169
» XI. Discorso di Màlyavat . . . . . . . . . . . 171
» XII. La città disposta a difesa . . . . . . . . 174
» XIII. Spie spedite e ritornate . . . . . . . . . 175
» XIV. Salita sul monte Suvela . . . . . . . . . 477
» XV. Veduta di Lanka . . . . . . . . . . . . . 179
» XVI. Entrata del messaggiero Angada . . . . 180
» XVII. Principio della battaglia . . . . . . . . . 186
», XVIII, Singolar certame . . . . . . . . . . . . . 188
» XIX. Tenzone con saette affatturate . . . . . 191
» XX. Le saette affatturate . . . . . . . . . . . 196
» XXI. Annunzio dell'affatturamento dei teli . . 197
» XXII. Veduta di Ràma e Lacsmano . . . . . . 200
» XXIII. Lamento di Sità . . . . . . . . . . . . . 202
» XXIV. Lamento di Ràma . . . . . . . . . . . . 205
» XXV. Indignazione di Sugriva . . . . . . . . . 207
» XXVI.
Scioglimento dal legame delle saette. . 20
» XXVII. Sortita di Dhúmràksa . . . . . . . . . . 212
» XXVIII, Morte di Dhùmràksa . . . . . . . . . . . 925 . .
» XXIX. Sortita di Akampana . . . . . . . . . . ... 217
» XXX. Morte d'Akampana . . . . . . . . . . . . 219
» XXXI. Sortita di Prahasta . . . . . e 221
» XXXIII. Morte di Prahasta. . . . . . . . . . . . . 9224
» XXXIII. Discorso di Mandodari . . . . . . . . . . 226
» XXXIV, Discorso di Ràvano . . . . . . . . . . . 229
» XXXV. Veduta dell'esercito di Ràvano . . . . . 231
508 INDICE.
Pag.
CAP. XXXVI. Sconfitta di Rávano. . . . . . . , . . . . 233
D)
XXXVII. Kumbhakarna risvegliato. . . . . . . . . 241
D)
XXXVIII. Veduta di Kumbhakarma. . . . . . . . . 247
D) XXXIX. Ordini dati a Kumbhakarna. . . . . . . 250)
D) XL. Casi passati narrati da Kumbhakarna . 252
D XLI. Discorso di Râvano. . . . . . . . . . . . 255
D) XLII. Minacce di Kumbhakarna . . . . . 257
. . .
D) XLIII. Discorso di Mahodara. . . . . . .
. . . . 9258
D) XLIV. Uscita di Kumbhakarna . . . . .
. . . . 260
D) XLV. Incoraggiamento dei Vànari . . . . . . . 263
D) XLVI. Morte di Kumbhakarna . . . . . . . . . 266
D XLVII. Lamento di Ràvano . . . . . . . . . . . 275
D)
XLVIII. Sdegno di Trisiras . . . . . . . . . . . . 276
D) XLIX. Morte di Naràntaka. . . . . . . . . . . . 277
D L. Morte di Trisiras e di Mahàpàrsva . , . 282
D) LI. Morte di Atikàya . . . . . . . . . . . . , 285
* LII. Combattimento d'Indragit . . . . . . . . 292
D LIII. L'erbe salutari arrecate. . . . . . . . . . 296
D) LIV. Combattimento tumultuoso. . . . . . . . 300
LV. Morte di Kumbha. . . . . . . . . . . . . 304
LVI. Morte di Nikumbha. . . . . . . . . . . . 309
ILVII, Uscita di Makaràksa . . . . . . . . . . . 310
LVIII. Morte di Makaráksa . . . . . . . . . . . 312
LIX. Battaglia d'Indragit. . . . . . . . . . . . 315
LX. Morte di Sità per illusione d'arte magica . 316
LXI. Sbaraglio dei Vânari . . . . . . . . . . . 318
LXII. Parole di Lacsmano . . .. . . . . . . . . 319
LXIII. Discorso di Vibhisana . . . . . . . . . . 322
LXIV. Sortita di Lacsmano . . . . . . . . . . . 324
LXV. Il sacrificio d'Indragit sturbato . . . . . 325
LXVI. Parole di Vibhisana. . . . . . . . . . . . 327
LXVII. Riotta di contumelie . . . . . . . . . . . 329
LXVIII. Battaglia serrata. . . . . . . . . . . . . . 331
LXIX. Sconquasso del carro d'Indragit . . . . 334
LXX. Morte d'Indragit . . . . . . . . . . . . 337
LXXI. Annunzio della vittoria . . . . . . . . . . 340
LXXII. Distoglimento dall'uccider Sità . . . . . 342
LXXIII. Combattimento col telo Gandharvico. . 346
LXXIV. Lamento delle donne. . . . . . . . . . . 348
LXXV. Uscita di Ràvano . . . . . . . . . . . . . 351
LXXVI. Morte di Virùpàksa . . . . . . . . . . . . 355
LXXVII. Morte di Matta . . . . . . . . . . . . . . 357
LXXVIII Morte di Unmatta. . . . . . . . . . . . . 359
INDICE. 509
Pag.
CAP. LXXIX. Combattimento a teli di Ràvano con
Ràma. . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
» LXXX. Squarciatura della lancia . . . . . . . . 365
» LXXXI. Singolar certame di Ràma e Ràvano . 367
» LXXXII. Morte di Kàlanemi . . . . . . . . . . . 369
» LXXXIII. Lacsmano sferrato. . . . . . . . . . . . 380
» LXXXIV. Rotta di Tàlaganga e d'altri. . . . . . 383
» LXXXV. Il monte riposto . . . . . . . . . . . . 385
» LXXXVI. Singolar certame coi carri . . . . . . . 386
» LXXXVII. Sconfitta di Ràvano . . . . . . . . . . . 389
» LXXXVIII.Singolar certame coi carri . . . . . . . 390)
» LXXXIX. Rimproveri all'auriga . . . . . . . . . . 393
» XC. Veduta di portenti. . . . . . . . . . . . 394
» XCI. Il vessillo rovesciato. . . . . . . . . . . 396
» XCII. Morte di Ràvano. . . . . . . . . . . . . 398
» XCIII. Lamento di Vibhisana. . . . . . . . . . 403
» XCIV. Lamento delle donne del gineceo . . . 405
» XCV. Lamento di Mandodari . . . . . . . . . 407
» XCVI. Esequie di Ràvano . . . . . . . . . . . 411
» XCVII. Consecrazione di Vibhisana a re . . . 412
» XCVIII. Gaudio di Sità. . . . . . . . . . . . . . 414
» XCIX. Abboccamento di Ràma con Sità . . . 416
» C. Sità ripudiata . . . . . . . . . . . . . . 420
» CI. L'entrar di Sità nel fuoco. . . . . . . 421
» CII. Lodi del gran Purusa (Visnu). . . . . 423
» CIII. Purezza di Sità . . . . . . . . . . . . . 426
» CIV. Veduta di Dasaratha . . . . . . . . . . 427
» CV. Risurrezione dei Vànari . . . . . . . . 430
» CVI. - Arrivo del carro Puspaca. . . . . . . . 432
» CVII. Salita sul carro Puspaca . . . . . . . . 433
» C'VIII. Ritorno di Ràma- . . . . . . . . . . . . 435
» CIX. Bharata consolato . . . . . . . . . . . . 438
» CX. Letizia di Bharata . . . . . . . . . . . . 442
» CXI. Abboccamento di Bharata con Ràma . 445
» CXII. Sacra di Ràma. . . . . . e 449
» CXIII. Conclusione. . . . . . . 455

NOTE AL LIBRO QUINTO . . . . . . . e 457

NOTE AL LIBRO SESTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . 474

AA A 3A)
ELENC0 DEI LIBRI
PUBBLICATI DAL PRoF. FRANCESCO VIGANO”

NB. Le opere segnate * si trovano presso l'Autore che ne


ha l'assoluta proprietà, Via Monte Napoleone, N. 10, e
spedisconsi (franche) ai compratori, dietro domanda
accompagnata da vaglia postale.

1.* Restaurazione del teatro italiano. Milano, 1837,


ital. L. 1.

Si propone l'organizzazione d'una Società anonima tendente a


migliorare il teatro italiano.
2* Viaggio nell'universo: visioni del tempo e dello
spazio. Milano, 1837, vol. 3. L. 5.
È quest'opera una specie di poema epico in prosa, nella quale
l'autore peregrina nell'immensità delle idee e nel finito dei fatti,
nell'assoluto e nel creato. – Visita l' Inferno, il Purgatorio e il
Paradiso – nel passato, nel presente e nell'avvenire.
3* Battello sottomarino. Romanzo bizzarro. Milano, 1839.
L. 3. 50.

L'autore umoristicamente crea nell'interno del globo terraqueo


un mondo felice, cui giungono col battello sottomarino, coloro
che sulla terra furono infelici non per propria colpa, ove stanno,
prima di recarsi sotto altre forme nel luogo dei beati e degli
esseri intelligenti giunti ad alta perfezione. – Si toccano in esso
drammaticamente e sarcasticamente alcune questioni sociali di
molta importanza, – fra le quali quelle dell'educazione della
donna, del poema epico, delle nazionalità, della critica letteraria
- e della poca efficacia dei Corpi accademici.
4* Studj teorico-storici sulle principali pubbliche Ban
che, e specialmente su quelle degli Stati Uniti di
America, di Francia, d'Inghilterra, di Vienna e del
Belgio. Milano, 1840. L. 2. 50.
5.* La vera carità per il popolo considerata negli Sta
bilimenti di pubblica beneficenza, secondo i bisogni di
questo tempo. Milano, 1841. L. 2. 50.
Tratta di cimiteri, ospitali, manicomj, carceri, orfanotrofi ed
asili d'infanzia; espone il modo di migliorarli, e contiene pro
getti di ferrovie, canali ed opere di pubblica utilità, e statistiche
dei paesi dell'Orobia.
6* Scienza del commercio, di Ignazio Sonnleithner, ecc.,
accompagnata da note, da una prolusione, da uno
schizzo sulla storia dell'economia politica in Italia, e
da un quadro delle pubbliche Banche italiane antiche
e moderne (tre edizioni) 1844, 1845 e 1861, Milano.
L. 3 (1).
Contiene questo libro dei documenti inediti sulle Banche an
tiche di Venezia e di Milano, e si usa in molte scuole commer
ciali italiane ed estere.

7.* Alcuni giorni a Palermo. Milano, 1844. L. 20.


8.* Americo Vespucci. Milano, 1846. L. 1.
9.* Manipolo di memorie. Milano, 1847. L. 6.
10.* L'Operajo agricoltore, manifatturiere e merciajuolo:
libro popolare proposto agli operai allo scopo di ren
derli industriosi ed infondere in essi principj di ordine,
probità, temperanza, economia e mutuo soccorso. Mi–
lano, 1851. L. 2. 60 (ne rimangono poche copie).
l l.* Nuovo manuale di monete, pesi, misure, corsi di
cambio, fondi pubblici, ad uso dei banchieri , dei ne
gozianti e degli industriali, di Nelkenbrecher, aumen
tato da Gian Maria Dechamps, con aggiunte , ecc.
Milano, 1851. Un grosso volume in–8. L. 10.
È il Vademecum dei negozianti, degli uomini d'affari della
Germania, della Francia e dell'Inghilterra. Questo Manuale è il
più completo ed utile di tutti i libri consimili finora stampati in
Europa, perchè lo si perfeziona di continuo, lavorandovi attorno
uomini distintissimi, perchè basato sul sistema metrico, e con
tiene molti conti di Banca ed abbondantissime notizie commer

(1) Nella terza edizione vi è un'aggiunta col titolo: Appendice delle


attuali pubbliche Banche dal 1844 sino al Banco fondiario agricolo ,
convenzione 14 luglio 1862: e questa appendice contiene un sistema
delle banche italiane che l'autore crede il migliore per l'Italia; che è
quello d'America, cioè l'Unità delle cedole e la pluralità delle banche:
è prossima la 4. ediz.
ciali e finanziarie delle piazze principali del mondo. Si usa nel
R. Istituto Tecnico di Milano ed in altri. – E prossima la
pubblicazione d'un'altra appendice di F. Viganò.
12. Il Brigante di Marengo, ossia il Mayno della
Spinetta (2° ediz). Milano, San Vito. L. 2. E imminente
la terza edizione illustrata.
13.* Masaccio il dissipatore, il ragioniere e l'avvocato.
Milano, 1852. L. 4.
È il rovescio della medaglia dell'operajo, destinato alle classi
agiate, cui s'insegna per via dei contrarj che si ha a fare per
non distruggere il proprio patrimonio, ma per vivere onestamente,
lungamente, secondo la propria condizione, migliorando, anzi il
proprio stato.

14. Val d'Intelvi e Valsassina, ossia Molciani e Pas–


serini. Romanzo storico. Milano, 1852. L. 5.
Biblioteca dei negozianti. Trieste, 1855. L. 12.
15. 1. Trattato teorico-pratico di scrittura doppia, da
impararsi senza bisogno di maestro.
16. 2. Trattato dei caratteri essenziali delle merci greg
gie di maggior momento.
17. 3. Trattato di conti figurati, ossia modo di comporre
conti di costo, spese e netto ricavo delle merci, ecc.
18. 4. Usi ed istituzioni di pubblico credito delle più
importanti piazze di commercio nel mondo.
19. 5. Rapporti delle misure di 120 piazze moderne e
di varie antiche.
20. 6. Rapporti delle misure superficiali agrarie delle
medesime.
21. 7. Rapporti delle misure di capacità dei cereali delle
stesse.
22. 8. Rapporti delle misure di peso delle suddette.
23. 9. Rapporti delle monete moderne ed antiche.
24. 10. Aritmetica mercantile.
25. 1 l. Dizionarietto dei vocaboli mercantili più usati.
26. 12. Usi mercantili di Trieste.
27. Legge generale di cambio 20 maggio 1850, nuove
disposizioni intorno alle Società, alle camere di com
mercio ed industria, e norme interne di quella di
Milano, con osservazioni e note, con aggiunta del
Codice di commercio di terra e di mare. Milano, 1855.
Silvestri. L, 2,
33
28* Emilio e Giulitta o Milano nei primi mesi del 1854,
ed alcune misteriose tradizioni sulla rivoluzione di
Francia. 2° ediz. con ritratto dell'autore. Milano, 1855,
da L. 8 a L. 4.
29.* Due milioni distrutti. Milano, 1855. L. 5.
Nell'esteso proemio di questo libro si parla dei lavori roman
zeschi dell' autore, del motivo per il quale alcuni sono ancora
inediti, del modo col quale venne accolto l'Emilio e Giulitta, e
del famoso viaggio nella China di de Huc.
30.* Trattato volgare di economia politica abbreviato
su quello di Francis Wailand, presidente dell'Univer
sità di Brown negli Stati Uniti d'America, (traduzione
dall'inglese eseguita sulla 400.ma edizione). Milano,
l858. L. 1. 50.
31.* Brentano. Scienza commerciale e aritmetica mer–
cantile. Milano, 1858. L. 2.
32. Il Contrabbandiere di Olginate. Romanzo storico
del secolo XVIII. Milano, 1862. L. 4. E vicina la se
conda edizione.
33* Valerio ed il Consiglio Provinciale di Como. –
Conno, Carlo e Felice Ostinelli: 1862. Cent. 80.
34.* Banche popolari in generale. – Monti di Pietà –
Casse di risparmio – Banche di Scozia – Società e
Banche di anticipazione di Prussia e Germaniche –
Cooperazione inglese – Banche dell'avvenire pelle
classi medie, pegli artisti e letterati e pegli operaj.
Milano, 1863. L. 10.
35* Vero milione dell'operajo. Opuscolo in-8 grande,
Milano, l863. L. 1.
36. Progetto della Società cooperativa degli operaj
di Como. Como, 1864. Cent. 80.
37. Vera California degli operaj anche i più poveri.
Milano, 1854. Opuscolo in-8. L. 1. 50.
38.* Banques populaires. Banques en général – Monts
de Piété – Caisses d'épargne –Banques d'Ecosse et
sociétés de prét au travail anglaises et francaises –
Banques d'avances de Prusse – Sociétés coopératives
d'Angleterre – Banques de l'avenir pour les classes
moyennes, les ouvriers, les hommes de lettres et les ar
tistes, avec beaucoup de documents et de tables; 2 vo–
lumes en grand in-8°. Paris, Guillaumin et Comp. 1865,
fr. 16 – Opera onorata da una medaglia d' incorag
giamento dell'Accademia Fisio–Medico-Statistica di
Milano.
39. * La Vraie Mine d'or ou la Cooperation. – Traité
de W. CHAMBERs, traduit et annoté par Fran. Viganò
– Discours de F. Viganò aux ouvriers de Côme et à
la Société d'economie politique lombarde sur les ban
ques d' avances et sur les sociétés cooperatives –
Statuts de Probes Pionniers de Rochdale et de la
Société coopérative des ouvriers de Còme. Un volume
en grand in-8”. Paris, Guillaumin et Cie. 1865. L. 2.50.
40.* Organnizzazione delle Banche italiane. (Questione
attuale sulla pluralità delle Banche ed unità delle ce
dole, con una lettera di Carlo Sarchi (1) sulla solu–
zione della medesima). Milano, 1865. L. 1. 50.
4 l.* Conferenza sulla cooperazione in Italia e nel mondo,
tenuta la sera del giorno 30 ottobre 1863 ai Membri
della Società Cooperativa di Como. Como, 1866. Vol. 1
in-12. Cent. 80.
42* Quest'est-ce que c'est que la Coopération. Paris,
1866, fr., l.
43.* Conferenza alla Società cooperativa degli operaj di
Como sulla Cooperazione tenuta il 21 ottobre, 1866.
Como, 1867. Cent. 50.
44.* I Probi Pionieri di Rochdale e di Como. So–
cietà cooperativa di credito nazionale. Milano, 1867.
Cent. 50.
45* Collegi nazionali a buon mercato. Mil., 1867. L. 1.
46* Abbreviazione del mio viaggio cooperativo a Pa
rigi. Como, 1868. Cent. 80.
47.* Era Novella dell'operajo. Statuto dei Probi Pio
nieri di Rochdale, dialoghi sulla cooperazione, e ta–
vola aritmetica cooperativa. Milano, 1868. L. l. 50.
(1) Carlo Sarchi pubblicò, oltre varii lavori pregievolissimi di econo
mia pubblica, nel 1866 una sua traduz. dell'opera dell'unico principio
e dell'unico fine del diritto universale di Giovan Battista Vico coi tipi
di Pietro Agnelli – Lavoro che letterati distintissimi dichiararono di
un raro merito. Il resto dell'edizione, assai bella, venne depositato
presso Francesco Viganò, che l'invia a chi la chiede con lettera conte
inente un vaglia postale di L. 4, per ciascun esemplare. – Carlo Sarchi
è per un'altr'opera del Vico, da lui tradotta, col titolo, Del
l'antichissima sapienza degli italiani da ritrovarsi sulle origini della
linqua latina di Giovan Battista Vico. Versione di Carlo Sarchi col testo
d e prefazione del traduttore. Un volume in ottavo grande dili
f stampato, caratteri nuovi e sopra carta velina. – Tip. già
omenico Salvi e C ; direttore Lodovico Bortolotti.
48.* L'Operajo Agricoltore, manifatturiere e merciajuolo
che arriva alla Cooperazione. Milano, 1868. G. Agnelli.
L. 1. Opera premiata dalla Società pedagogica lombarda.
49.* Scrittura doppia, semplice e mista, conti cor
renti, simulati e quadri di calcoli monetarj attuali
di pesi, misure e monete antiche. Milano, 1869.
L. 2. -

Di quest'opera la Gazzetta di Milano, il 17 febbrajo 1870, dice:


« Annunciammo un nuovo lavoro dell' operosissimo prof. Fran
cesco Viganò, col titolo: Scrittura semplice, doppia e a giornal
mastro, conti correnti e simulati, tavole di monete, pesi e mi
sure antiche e moderne. Questo libro che pone in grado chiun
que conosca le quattro prime operazioni aritmetiche d'imparare
da sè stesso e in brevissimo tempo la tenuta dei libri coi mi
gliori sistemi, si raccomanda da sè per la sua utilità pratica. Sap
piamo che il prof. Viganò, in occasione del passato congresso
didattico e librario di Torino, si era offerto al municipio d'in
segnare in sei giorni a cinquanta maestri elementari la scrittura
doppia coll' obbligo negli scolari di sostenere un esame dopo il
sesto giorno innanzi ad un'apposita Commissione ».
50* Unità delle cedole e pluralità delle banche e
legge 3 giugno 1864 che organizza le banche nazio
nali degli Stati Uniti d'America, ed alcune idee finan
ziarie, (col Progetto di Legge del ministro Castagnola,)
proposte all'Italia dal prof. Francesco Viganò. Milano,
1870, L. 2. 50.

In corso di stampa.
La fratellanza umana o le Società di mutuo ajuto,
cooperazione e partecipazione, popolari.
L'ouvrier, agriculteur, manufacturier, et commercant,
qui par la coopération et la participation industrielle
arrive à la municipalité coopérative, mais libre.
Cause della crisi della Società cooperativa degli
operai di Como. Memoria letta alla Accademia Fisio
medico-statistica, con aggiunte.
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