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Braccini Rivista Di Storia Del Cristianesimo 2016 Fozio e Giobio

Examines Photius' reliance on the monk Job.
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RSCr 1/2016 1

2016 RIVISTA
SEZIONE MONOGRAFICA
LA BIBLIOTHECA DI FOZIO COME ARCHIVIO DI STORIA
Luciano Bossina, Introduzione. Per una lettura della Bibliotheca di
Fozio
Luciano Canfora, Non esiste l’«ambasceria in Assiria» DEL
CRISTIANESIMO
Vanna Maraglino, Genesi e propagazione di una erronea datazione del
primo concilio di Nicea

RIVISTA DI STORIA DEL CRISTIANESIMO


Anna Trento, Nilo, Proclo o Nestorio? Cinque omelie in cerca d’autore
(Phot. Bibl. 276)
Tommaso Braccini, Fozio e Giobio
Claudio Schiano, Stefano Gobar e la controversia sul corpo risorto
nella Bibliotheca di Fozio
SAGGI
Emiliano Rubens Urciuoli, Un’ordinaria eccezione. Erik Peterson in-
1/2016
terprete di Carl Schmitt (1924-1933)
Bradford A. Bouley, Roman Medicine, Papal Power and the Making La Bibliotheca di Fozio come archivio
of Spanish Saints
Giovanni Cavagnini, Guerra e santità. Il caso di Guido Negri (1916-
2014)
A PROPOSITO DI CRISTIANESIMO E CULTURE DI FRANCO
BOLGIANI
Bruna Bocchini Camaiani, Franco Bolgiani, Cristianesimo e culture
Fulvio De Giorgi, Su Cristianesimo e culture di Franco Bolgiani
Giovanni Filoramo, Intervento in merito a Franco Bolgiani, Cristia-
nesimo e culture
Éric Junod, La voix chaleureuse et la curiosité généreuse de Franco
Bolgiani
INTERVENTI
Giorgio Campanini, Dino Torreggiani e la Chiesa di Reggio Emilia.
Una ricerca di Sandro Spreafico

ISSN 1827-7365
ISBN 978-88-372-2994-8

€ 25,00

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RSCr 1/2016 1
2016 RIVISTA
SEZIONE MONOGRAFICA
LA BIBLIOTHECA DI FOZIO COME ARCHIVIO DI STORIA
Luciano Bossina, Introduzione. Per una lettura della Bibliotheca di
Fozio
Luciano Canfora, Non esiste l’«ambasceria in Assiria» DEL
CRISTIANESIMO
Vanna Maraglino, Genesi e propagazione di una erronea datazione del
primo concilio di Nicea

RIVISTA DI STORIA DEL CRISTIANESIMO


Anna Trento, Nilo, Proclo o Nestorio? Cinque omelie in cerca d’autore
(Phot. Bibl. 276)
Tommaso Braccini, Fozio e Giobio
Claudio Schiano, Stefano Gobar e la controversia sul corpo risorto
nella Bibliotheca di Fozio
SAGGI
Emiliano Rubens Urciuoli, Un’ordinaria eccezione. Erik Peterson in-
1/2016
terprete di Carl Schmitt (1924-1933)
Bradford A. Bouley, Roman Medicine, Papal Power and the Making La Bibliotheca di Fozio come archivio
of Spanish Saints
Giovanni Cavagnini, Guerra e santità. Il caso di Guido Negri (1916-
2014)
A PROPOSITO DI CRISTIANESIMO E CULTURE DI FRANCO
BOLGIANI
Bruna Bocchini Camaiani, Franco Bolgiani, Cristianesimo e culture
Fulvio De Giorgi, Su Cristianesimo e culture di Franco Bolgiani
Giovanni Filoramo, Intervento in merito a Franco Bolgiani, Cristia-
nesimo e culture
Éric Junod, La voix chaleureuse et la curiosité généreuse de Franco
Bolgiani
INTERVENTI
Giorgio Campanini, Dino Torreggiani e la Chiesa di Reggio Emilia.
Una ricerca di Sandro Spreafico

ISSN 1827-7365
ISBN 978-88-372-2994-8

€ 25,00

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SOMMARIO

sezione monografica
La Bibliotheca di Fozio come archivio
Luciano Bossina, Introduzione. Per una lettura della Bibliotheca di Fozio.. 3
Luciano Canfora, Non esiste l’«ambasceria in Assiria». . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Vanna Maraglino, Genesi e propagazione di una erronea datazione del pri-
mo concilio di Nicea.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Anna Trento, Nilo, Proclo o Nestorio? Cinque omelie in cerca d’autore (Phot.
Bibl. 276). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
Tommaso Braccini, Fozio e Giobio.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Claudio Schiano, Stefano Gobar e la controversia sul corpo risorto nella
Bibliotheca di Fozio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

saggi
Emiliano Rubens Urciuoli, Un’ordinaria eccezione. Erik Peterson interpre-
te di Carl Schmitt (1924-1933). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Bradford A. Bouley, Roman Medicine, Papal Power and the Making of
Spanish Saints. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
Giovanni Cavagnini, Guerra e santità. Il caso di Guido Negri (1916-2014). 149

a proposito di cristianesimo e culture di franco bolgiani


Bruna Bocchini Camaiani, Franco Bolgiani, Cristianesimo e culture. . . . . . 169
Fulvio De Giorgi, Su Cristianesimo e culture di Franco Bolgiani. . . . . . . . . . 179
Giovanni Filoramo, Intervento in merito a Franco Bolgiani, Cristianesimo
e culture. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
Éric Junod, La voix chaleureuse et la curiosité généreuse de Franco Bolgiani. 195

interventi
Giorgio Campanini, Dino Torreggiani e la Chiesa di Reggio Emilia. Una ri-
cerca di Sandro Spreafico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

recensioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207
Andrew P. Roach - James R. Simpson (eds.), Heresy and the Making of Euro-
pean Culture. Medieval and Modern Perspectives (Irene Bueno), 207; Federico
Palomo (ed.), La memoria del mundo: clero, erudición y cultura escrita en el
mundo ibérico (siglos xvi-xviii) (Angela Atienza), 210; Alessandro Angelo Persi-
co, Il Codice di Camaldoli. La DC e la ricerca della terza via tra Stato e mercato
(1943-93) (Giacomo Canepa), 213
Libri ricevuti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219

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COLLABORATORI
Angela Atienza, Università de la Rioja, [email protected]
Bruna Bocchini Camaiani, Università di Firenze, [email protected]
Luciano Bossina, Università di Padova, [email protected]
Bradford A. Bouley, Pennsylvania State University, [email protected]
Tommaso Braccini, Università di Torino, [email protected]
Irene Bueno, Università di Bologna, [email protected]
Giorgio Campanini, Università di Parma
Giacomo Canepa, Scuola Normale Superiore di Pisa, [email protected]
Luciano Canfora, Università di Bari, [email protected]
Giovanni Cavagnini, Fondazione per le scienze religiose Giovanni xxiii, Bologna, [email protected]
Fulvio De Giorgi, Università di Modena-Reggio, [email protected]
Giovanni Filoramo, Università di Torino, [email protected]
Éric Junod, Université de Lausanne, [email protected]
Vanna Maraglino, Università degli studi di Bari, [email protected]
Claudio Schiano, Università degli studi di Bari, [email protected]
Anna Trento, Università di Padova, [email protected]
Emiliano Rubens Urciuoli, Max-Weber-Kolleg Erfurt, [email protected]

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Tommaso Braccini
FOZIO E GIOBIO

Tra i vari codici che compongono la Biblioteca di Fozio, il più lun-


go (ben 75 pagine nell’edizione di Henry!) è quello dedicato alla perduta1
Οἰκονομικὴ πραγματεία (interpretabile come Trattato sull’Incarnazione) del
monaco Giobio (Ἰώβιος). Su questo autore non si sa praticamente nulla2: il
fatto che avesse scritto anche un Trattato contro Severo, con ogni verosi-
miglianza il monofisita Severo di Antiochia (+538), induce a datarlo al vi
secolo, e l’ipotesi risulta confermata anche da un’analisi del contenuto del
Trattato sull’Incarnazione.
Come è stato notato da Andrew Louth, infatti, già l’argomento dell’opera
si inquadra perfettamente all’interno dei dibattiti del periodo, e l’impressione
viene accentuata se si prende in esame quella che costituisce magna pars
delle disquisizioni di Giobio, ovvero la teologia trinitaria. Le questioni af-
frontate dall’autore, come si vedrà anche in seguito, vertono in molti casi
sulle caratteristiche, gli attributi e soprattutto il ruolo delle Persone della Tri-
nità. Non a caso, come nota lo stesso Fozio, il primo problema del Trattato è
«perché proprio il Figlio, e non il Padre né lo Spirito Santo, abbia rivestito la
forma umana». Mentre fino al secolo precedente le discussioni sulla Trinità
erano agganciate all’economia divina, nel vi la dottrina trinitaria è divenuta
«a revealed fact in itself». Secondo Louth, la canonizzazione della formula
teopaschita secondo cui «uno della Trinità ha sofferto», avvenuta in occasio-
ne del secondo Concilio di Costantinopoli nel 553, potrebbe aver aperto le
porte ad un’interpretazione secondo cui, nell’Incarnazione, «uno della Trini-
tà» si era fatto uomo. E dunque ne sarebbe scaturita quasi spontaneamente la
domanda giobiana sul perché fosse stato il Logos/Figlio a incarnarsi, e non
un’altra Persona3.
1
Anche se alcuni pretesi frammenti afferenti al Trattato sull’Incarnazione, individuati dal
Mai a partire da catene scritturali, sono stampati in PG 86b.3313-3320.
2
Questa, in sostanza, è la conclusione alla quale giungono i profili di Giobio reperibili
nelle opere di referenza. A titolo di esempio, si possono citare Albert Ehrard in Karl Krumba-
cher, Geschichte der byzantinischen Litteratur von Justinian bis zum Ende des oströmischen
Reiches (527-1453), bearbeitet unter Mitwirkung von Albert Ehrard und Heinrich Gelzer, i,
Beck, München 18972, p. 56; Émile Amann, s.v. Job, in Dictionnaire de théologie catholique,
viii, 2, Letouzey et Ané, Paris 1925, cc. 1486-1487; Otto Bardenhewer, Geschichte der alt-
kirchlichen Literatur, v, Herder, Freiburg im Breisgau 19322, pp. 16-17; Hans-Georg Beck,
Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, Beck, München 1959, p. 383; Dan-
iel Stiernon, s.v. Giobio, in Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, ii, Marietti,
Genova-Milano 2007, c. 2161.
3
Cfr. Andrew Louth, Late Patristic Developments on the Trinity in the East, in Gilles
Emery - Matthew Levering (eds.), The Oxford Handbook of Trinity, Oxford University Press,
Oxford-New York 2011, pp. 138-151, qui 143-144.

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74 La Bibliotheca di Fozio come archivio

Quest’approccio alla teologia trinitaria, che informa tutto il Trattato


sull’Incarnazione, evidentemente suscitò l’interesse di Fozio che come si ve-
drà giunse a interrogarsi, all’interno dei propri Amphilochia, anche su alcune
delle stesse questioni affrontate da Giobio. Ma prima di tutto, per inquadrare
meglio ciò che univa, e ciò che divideva, il patriarca bizantino dall’oscuro
monaco del sesto secolo occorre vagliare, pur rapidamente, lo stesso codice
222 della Biblioteca, che costituisce sostanzialmente la nostra unica testimo-
nianza su Giobio e all’interno del quale emergono alcuni giudizi illuminanti.
Gli estratti veri e propri sono infatti preceduti da un ampio elogio dell’au-
tore, definito (181b 4-8) «un lodevole amante dell’ortodossia, di notevole
industriosità e piuttosto addentro nello studio delle Sacre Scritture4» (τῆς εὐ-
σεβείας... ἐραστής τέ... ἀξιέπαινος, καὶ τὸ φιλόπονον οὐκ ἀδόκιμος, καὶ τῆς
τῶν ἱερῶν γραφῶν μελέτης οὐκ ἄπειρος), e del resto anche nel seguito del
codice non mancano altri apprezzamenti positivi. Giobio sa esprimersi «sag-
giamente» (σοφῶς, 182 b 28) e viene definito «scrittore serio» (σπουδαῖος
συγγραφεύς, 184a 30), «nobile e ardente amatore degli insegnamenti divini»
(ὁ κλεινός τε καὶ τῶν θείων μαθημάτων διάπυρος ἐραστής, 196b 28-29),
nonché, in riferimento alla sua posizione antiorigeniana, «uomo pio e dedito
agli studi sacri» (ὁ θεοσεβὴς οὗτος καὶ φροντίσιν ἱεραῖς ἀνειμένος ἀνήρ,
206a 20-21). Anche alla chiusura del codice non manca un rapido elogio
finale che sembra costituire una sorta di suggello da parte del patriarca, che
ricorda un’ultima volta (208a 41-42) l’autore «esperto in teologia e specula-
tivo» (ἱερομαθής τε καὶ φιλοθεάμων).
Quando però si scende nel vivo della trattazione, per quanto talora Fozio
si complimenti con Giobio per il suo modo di affrontare le questioni5, forse
più spesso esprime qualche riserva. Occorrerà tornare sulla questione, ma
fin d’ora si può anticipare che in un caso il patriarca ritiene che vengano
introdotte «cause che sembrano mancare di coerenza» (ἐπάγει δὲ καὶ ἑτέραν
αἰτίαν... οὐκ ἐμοὶ δοκοῦσαν τὸ ἀκόλουθον σῴζειν,182b 19-21); anche al-
trove (186a 23-27), relativamente a «una questione importante», asserisce
che Giobio «prova a risolvere la questione, ma si rivela inferiore al proble-
ma» (καὶ λύσει μὲν ὑπάγειν τὸ ζήτημα πειρᾶται, ἐνδεέστερον δὲ τῆς ἀπορίας
φέρεται).
Le lodi e le critiche, peraltro, non risultano distribuite «a pioggia»: è
evidente che, nello scorrere il testo giobiano, Fozio ha trovato sviluppi di
suo gradimento, che ha trascritto e riassunto per esteso, e altri che invece
non lo hanno convinto, e che dunque tende a tralasciare, come dimostrano
vari esempi. Dopo aver riportato alcune risposte giobiane alla domanda sul

4
Se in effetti la quantità di citazioni scritturali, anche attraverso il filtro del sunto foziano,
risulta assolutamente ragguardevole, qualche dubbio è stato invece espresso per quanto riguar-
da la precisione dei richiami. Una certa disinvoltura di Giobio nel rapportarsi al testo biblico è
ravvisata da Amann, Job, c. 1487.
5
La prima questione dell’ottavo libro è definita (198b 31-32) «la soluzione di un problema
che non manca né di serietà né di eleganza», λύσις... ἀπορίας τινὸς οὐκ ἄκομψον σπουδὴν
ἐχούσης.

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Braccini - Fozio e Giobio 75

perché Mosè non ha iniziato la narrazione della Genesi con la creazione degli
angeli, Fozio conclude sbrigativamente dicendo che (188b 22-25) «lo scritto-
re, dopo aver detto ciò, ed aver aggiunto anche altre affermazioni che a mio
parere non sono pertinenti al soggetto, conclude il terzo libro» (ταῦτα εἰπὼν ὁ
συγγραφεύς, καὶ ἕτερα συνάψας τούτοις οὐκ ἔμοιγε δοκοῦντα τὸ ἀναγκαῖον
πρὸς τὴν ὑπόθεσιν φέρειν προβάλλεσθαι, τὸν γʹ ἀποπερατοῖ λόγον). Dello
stesso tenore si rivela anche un’altra «chiusa», che recita (189b 10-13): «Così
dunque il pio autore risolve la presente questione, aggiungendo anche altre
considerazioni che però si rivelano meno utili delle precedenti»6. Le argo-
mentazioni che Fozio riassume nel dettaglio sono dunque quelle che, a suo
giudizio, si rivelano utili. E dunque passando in rassegna l’andamento del
codice 222 è già possibile individuare alcune tematiche che, verosimilmente,
risultarono di maggiore interesse per il patriarca bizantino e forse lo indusse-
ro a fornire su Giobio i giudizi lusinghieri di cui sopra.
In particolare, un tema frequentemente trattato ed ampiamente escertato
è quello secondo cui nelle Sacre Scritture certi ruoli o attributi verrebbero
collegati ad una persona della Trinità e non ad altre come una sorta di difesa
preventiva contro le alterazioni e i fraintendimenti introdotti dagli eretici o
dagli eterodossi: è il Figlio, e non il Padre, a essere il creatore, il restauratore
e il giudice della creazione, per prevenire inevitabili distorsioni da parte di
pagani, Giudei, macedoniani e ariani (189a 34-43); allo stesso modo la rive-
lazione della Trinità è stata concessa agli uomini a piccole dosi, perché non
rischiassero di travisarla a causa del politeismo (194a 32-37, 197a 3-10). A
questa tematica è collegata quella, altrettanto ben rappresentata nel codice
foziano, secondo cui i passi più oscuri dell’Antico Testamento sarebbero stati
concepiti come tali per contenere e prevenire le tendenze peccaminose degli
Ebrei (197a 25 - 197b 2):
«Anche la malvagità e la blasfema tracotanza degli Ebrei sono un motivo dell’o-
scurità dell’Antico Testamento: per evitare infatti che eliminassero ed espungesse-
ro dalle Scritture le testimonianze esplicite e manifeste sul Cristo, per questo moti-
vo tali anticipazioni sono espresse in maniera velata... poiché il popolo ebraico era
negligente e sprezzante dei comandamenti divini, queste rivelazioni sono avvolte
dall’oscurità e dalla difficoltà per evitare che esso, venendo a sapere con certezza
che tutto quanto riguardava la Legge era destinato a essere superato, e che tutto ciò
che pregiava ed onorava sarebbe stato sovvertito, fosse indotto a disprezzare anco-
ra di più i comandamenti sulla base di questa esplicita conoscenza (perché infatti
bisognerebbe rispettare quel che dopo poco sarà abolito, e che presto si rivelerà del
tutto inutile?). Se infatti si allontanarono infinite volte dai comandamenti di Dio
anche senza pretesto, senza sapere che sarebbero cambiati e che erano imperfet-
ti, e nemmeno che erano prefigurazioni e ombre di un’altra Legge, cosa mai non
avrebbero fatto, se avessero appreso con certezza proprio dalle Scritture che esse
sarebbero state abolite e mutate?».

6
Οὕτω μὲν οὖν τὴν προκειμένην ἀπορίαν ὁ φιλόθεος συγγραφεὺς ἐπιλύεται,
συνυποβάλλων καὶ ἕτερά τινα οὐχ ὁμοίως τοῖς εἰρημένοις τὸ χρήσιμον παρεχόμενα.

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76 La Bibliotheca di Fozio come archivio

È difficile non collegare l’ampiezza di questo excerptum con l’atteggia-


mento militante del patriarca bizantino contro gli Ebrei, caratterizzato da
intransigenza, zelo missionario e talora vero e proprio disprezzo, motivato
anche dall’interpretazione della crisi iconoclastica appena conclusa come di
una manifestazione di «follia giudaica»7.
Fozio poi riporta ampiamente una serie di riflessioni (198a 17 - 198b 9)
sul fatto che necessariamente ci dev’essere una ricompensa per chi «consuma
le notti e travaglia incessantemente» sullo studio delle Scritture, attività che
sarebbe totalmente inutile se fossero facili e accessibili. D’altronde, il non
comprendere le Scritture secondo Giobio è una vera e propria colpa: «Chi
invece è pigro e indolente, perché mai dovrebbe prendersela se non capisce?
Se infatti ritiene degna d’impegno la conoscenza della divinità, perché non
si impegna riguardo a ciò che stima? E se al contrario pensa che non sia mi-
nimamente necessaria alla virtù, perché si dovrebbe irritare visto che non ci
rimette nulla?» Anzi, «ne consegue che non è l’oscurità delle sentenze divine
a causare l’ignoranza dei più, ma è il loro atteggiamento pigro e trascurato
che li rende incapaci di comprendere persino le cose più evidenti».
Forse non è troppo peregrino supporre che queste severe sentenze che
glorificano l’indefesso impegno intellettuale nello studio teologico e con-
dannano i tardi di comprendonio abbiano suscitato un certo compiacimento
nel dottissimo Fozio – che peraltro, proprio per la sua sterminata dottrina, era
calunniato dai suoi oppositori secondo i quali, in gioventù, avrebbe ottenuto
di «avere a fior di labbra ogni scrittura ellenica» proprio da un mago ebreo,
che in cambio avrebbe preteso e ottenuto l’abiura del cristianesimo da parte
del futuro patriarca8!
Pare significativo anche che il patriarca riporti per esteso, senza aver
niente da recriminare, molte interpretazioni allegoriche o tipologiche, che
costituiscono magna pars delle esposizioni di Giobio, il quale arriva addirit-
tura a fornirne una sorta di teorizzazione (196b 32 - 197a 21):
«Giobio spiega perché l’Antico e il Nuovo Testamento siano disseminati di passi
difficili e di oscura interpretazione, benché ciò valga maggiormente per l’Antico Te-
stamento, e meno per gli scritti della Grazia. Per quanto riguarda la scrittura mosaica

7
Emblematica, in questo senso, la celebre Omelia 17, pronunciata a Santa Sofia in pre-
senza dei sovrani e in occasione dell’inaugurazione della restaurata immagine della Theotokos
nell’abside: in questo testo sono frequentissimi gli strali contro l’agire «giudaico» degli icono-
clasti, accusati di «imitare la follia giudaica» (ἰουδαϊκὴν... παραζηλοῦντες ἀπόνοιαν, p. 168.3-
4 Laourdas); il plauso di Fozio verso le conversioni di massa degli Ebrei risulta esplicitato
nell’epistola 97. Per l’atteggiamento del patriarca, da inquadrare nell’ambito più vasto delle
persecuzioni antiebraiche che ebbero luogo sotto Basilio i (867-886), si veda almeno Andrew
Sharf, Byzantine Jewry from Justinian to the Fourth Crusade, Routledge and Kegan Paul, Lon-
don, 1971, pp. 83-92; cfr. anche Joshua Starr, The Jews in the Byzantine Empire 641-1204,
Verlag der “Byzantinisch-Neugriechischen Jahrbücher”, Athen 1939 (fotorist. Burt Franklin,
New York 1970), pp. 103, 140.
8
Questa leggenda, collegata a un generale e virulento psogos di Fozio descritto addirittura
come «Satana incarnato», si trova nella cronaca attribuita a Simeone Magistro, p. 670 Bekker.
Cfr. anche J. Starr, The Jews in the Byzantine Empire, pp. 69, 104.

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Braccini - Fozio e Giobio 77

dice che, siccome era prefigurazione ed ombra dei beni futuri (τύπος ἦν καὶ σκιὰ
τῶν μελλόντων ἀγαθῶν), a buon diritto presenta avvolti nell’ombra e nell’allegoria
tipologica (ἐν σκιᾷ τε καὶ τύπῳ) le parole stesse e la loro composizione, dominate
dall’oscurità... le Sacre Scritture somigliano a un terreno aurifero, che procura l’oro
fino e un guadagno superiore alle fatiche non a tutti né a chi capita, ma solo a chi lo
setaccia in maniera avveduta e indefessa. Come dunque non sfugge alla povertà chi
manipola la sabbia aurifera per la sua bellezza, per gioco o per scherzo, senza faticare
né cercare quel che è celato da essa, così non sfuggirebbe all’ignoranza né alla colpa
della pigrizia chi si limitasse solamente alla lettera delle Scritture, senza cercare il
tesoro celato in esse, e senza estrarre il guadagno che è al fondo dei concetti».

Le interpretazioni di questo tipo, all’interno del codice 222, sono molto


diffuse e riguardano molteplici ambiti: subito all’inizio vengono allegoriz-
zati (181b 21 - 182a 21) il bue e l’asino, la rete gettata da Pietro per ordine
di Gesù (Gv 21.6), lo statere trovato da Pietro nella bocca del pesce (Mt
17.27), e ancora altri passi biblici. Più oltre (183b 8-13) a essere considerato
un «simbolo» è l’episodio di Gesù che cammina sulle acque (Mt 14.25)9;
risultano allegorizzati anche i flabelli liturgici (191a 12-21), l’inno Trisagion
(191a 35 - 191b 23), la parabola del figliol prodigo e quella delle cento pe-
core (200a 35 - 201b 21). In questi casi, Fozio non lascia mai trasparire la
propria opinione su tali interpretazioni.
Questa apparente acquiescenza si scontra con il fatto che altrove il patriar-
ca non faccia mistero di non gradire molto l’allegoria applicata ai testi biblici.
Sia negli Amphilochia sia nella stessa Biblioteca, Fozio (appoggiandosi in ciò
anche a Basilio di Cesarea) approva un’interpretazione di tipo storico-letterale
dei passi della Scrittura, anche dei più oscuri, scartando invece la spiegazione
dei passi biblici con il metodo allegorico, peraltro compromessa con l’orige-
nismo10. In un capitolo degli Amphilochia (152, intitolato Τί ἐστιν ἡ ἀσάφεια
τῆς γραφῆς;) che affronta la stessa questione toccata da Giobio nel passo sum-
menzionato, ovvero del perché il Vecchio e il Nuovo Testamento abbondino
di passi oscuri, Fozio dà una risposta profondamente differente e molto più
filologica: le difficoltà derivano o da problemi di traduzione dall’ebraico, o da
una errata distinctio del testo, o da perturbazioni nella tradizione11.
La scarsa simpatia del patriarca verso l’allegoria sembra estendersi an-
che a Filone di Alessandria, che sarebbe stato la porta d’ingresso di questo

9
«Ed afferma che si potrebbe verosimilmente interpretare il passaggio del Signore sull’ac-
qua non scissa come simbolo dell’indivisibilità del divino; la divisione dell’acqua, come nel
caso di Mosè e degli altri, simboleggia invece la crassità umana e il fatto che noi siamo compo-
sti da due elementi, materia e forma, dai quali derivano anche gli altri corpi».
10
Cfr. almeno Nicholas Constas, Word and Image in Byzantine Iconoclasm: the Biblical
Exegesis of Photius of Constantinople, in Rodney L. Petersen - Calvin Augustine Pater (eds.),
The Contentious Triangle: Church, State and University, a Festschrift in honor of Professor
George Huntston Williams, Thomas Jefferson University Press, Kirksville, Mo. 1999, pp. 97-
109; Stratis Papaioannou, The Byzantine Late Antiquity, in Ph. Rousseau (ed.), A Companion
to Late Antiquity, with the assistance of Jutta Raithel, Wiley-Blackwell, Chichester 2009, pp.
17-28, qui 23.
11
Cfr. l’analisi di Nigel G. Wilson, Filologi bizantini, ed. it., Morano, Napoli 1990, p. 190.

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metodo esegetico nella tradizione cristiana12, come rivela chiaramente il giu-


dizio presente nel codice 105 della Biblioteca (86b 6-11): Φέρεται δὲ αὐτοῦ
πολλὰ καὶ ποικίλα συντάγματα, ἠθικοὺς λόγους περιέχοντα καὶ τῆς παλαιᾶς
ὑπομνήματα, τὰ πλεῖστα πρὸς ἀλληγορίαν τοῦ γράμματος ἐκβιαζόμενα· ἐξ
οὗ, οἶμαι, καὶ πᾶς ἀλληγορικὸς τῆς γραφῆς ἐν τῇ ἐκκλησίᾳ λόγος ἀρχὴν
ἔσχεν εἰσρυῆναι («Di lui sono tramandate molti scritti di vario argomento,
che comprendono trattati etici e commentari dell’Antico Testamento, perlo-
più forzati ad interpretazioni allegoriche della lettera: da costui, penso, co-
minciarono a dilagare anche nella Chiesa tutte le interpretazioni allegoriche
della Scrittura»).
Nella stessa maniera, Fozio rivela chiaramente il suo scarso entusiasmo
per il metodo allegorico anche trattando delle Questioni a Talassio di Massi-
mo Confessore (codice 194, 158a 21-28). Perché dunque il patriarca riporta,
talora anche per esteso, le soluzioni allegoriche di Giobio? Il fatto che nel
codice non ne prenda mai apertamente le distanze potrebbe lasciar intendere
che, pur probabilmente non condividendole, le giudicasse in qualche modo
interessanti e degne di menzione, tantopiù che, come si è detto, Giobio risul-
tava chiaramente antiorigeniano. A dire la verità, il monaco era anche, come
si è visto, apertamente antigiudaico, antiariano e antimonofisita: ci si può
chiedere dunque se il patriarca non ritenesse simili interpretazioni da evitare
in contesti ortodossi, ma forse accettabili a livello eristico nei dibattiti contro
gli eretici.
L’apparente quiescenza mostrata da Fozio in questo caso è tanto più no-
tevole se si pensa che in altre occorrenze non ha alcun problema a dichiararsi
apertamente in disaccordo con quello che riassume. Un esempio è la que-
stione relativa al motivo per cui il Pane e il Vino del sacrificio eucaristico
non vengono citati sempre nello stesso ordine nel Nuovo Testamento (187a
28 - 187b 14). Secondo il patriarca, Giobio
«prova a spiegare l’ordine differente cui abbiamo accennato, e dice che, siccome in
noi si forma per primo il sangue e poi si muta in carne, la Scrittura, procedendo se-
condo la natura, mantenne quest’ordine anche nell’esposizione dei misteri. L’ordine
inverso invece imita la disposizione della tavola comune, giacché su di essa viene
posto per primo il pane, e dopo viene recato il vino. Questa tavola comune imita a
sua volta la nostra creazione: poiché, secondo la testimonianza di Giobbe, fummo
creati a partire dal fango [Gb 33,6], e il fango è composto di terra e di acqua, e la
creazione in un certo qual senso è come il nutrimento che reintegra e riforma quel
che si è perso, per questo, come nella creazione divina l’elemento secco è stato preso
prima di quello umido, così anche nell’imitazione della nostra creazione il pane viene
preso prima del vino».

Questa speculazione è seguita da una chiosa che chiarisce la perplessità


di Fozio di fronte a certe interpretazioni delle Sacre Scritture sulla base di

12
Cfr. N. Constas, Word and Image in Byzantine Iconoclasm, p. 104 n. 7, con rimando a
David T. Runia, Philo in Early Christian Literature, Assen, Van Gorcum, Minneapolis, Fortress
Press 1993, p. 271.

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Braccini - Fozio e Giobio 79

conoscenze fisiche o fisiologiche: «più o meno sono queste le considerazio-


ni di Giobio fondate su principi naturali, benché sembrino troppo prosasti-
che per la speculazione teologica» (αὐτὸς μὲν τοιαῦτά τινα περὶ τῆς τάξεως
φυσιολογεῖ, εἰ καὶ θειοτέρας θεωρίας ταπεινότερον)13.
In qualche caso, Fozio non si limita a prendere le distanze dalla trat-
tazione giobiana, ma si rivela invece attivo, o per meglio dire reattivo, nei
suoi confronti. La premessa è già all’inizio del codice, quando il patriarca
rimprovera a Giobio di essere più bravo a porre i problemi che a risolverli
(181a 39-181b 3):
Ἐν μὲν οὖν ταῖς ἀπορίαις καθόλου φάναι ὁ συγγραφεὺς οὐκ ἀγεννής ἐστιν οὔτε
ἄτονος· οὐχ ὁμοίως δὲ διὰ τῶν λύσεων πρόεισιν, ἀλλ’ ἐν πολλοῖς μὲν ἰχνηλατῶν
τυγχάνει τῆς λύσεως, ἔστι δ’ ἐφ’ ὧν τοῖς φαινομένοις ἀρκεῖται, περαιτέρω μηδὲν
πρὸς τὴν τῆς ἀληθείας ἐμβαθύνων ἀκρίβειαν. Τάχα δ’ ἄν τις ἕτερος εἴποι καὶ τοῦ
φαινομένου πολλάκις τὴν αὐτοῦ σπουδὴν καθυφίεσθαι («In genere, nell’esporre i
problemi l’autore non si rivela né incapace né fiacco, ma non si può dire lo stesso per
come procede nelle soluzioni. In molti casi, è vero, raggiunge la soluzione con una
ricerca accurata, ma non mancano le volte in cui si contenta delle apparenze, e non si
spinge oltre nell’accertamento della verità; e forse si potrebbe dire che spesso il suo
impegno si arresta di fronte alle soluzioni apparenti»).

Partendo da questo assunto, in un caso macroscopico Fozio si può per-


mettere di fare irruzione all’interno del sunto e correggere diffusamente l’ar-
gomentazione di Giobio (198b 39 - 199a 34):
«“tale dunque [scil. che se Dio non può essere privo di ragione, allora deve necessa-
riamente essere dotato del Verbo] è l’argomentazione del fatto che Dio ha necessa-
riamente un figlio”; poi Giobio introduce un amico, da lui celebrato come “pregia-
tissimo”, che solleva delle obiezioni. L’obiezione è che nulla impedisce di adottare il
medesimo ragionamento tanto a proposito del Figlio quanto dello Spirito (entrambi
infatti sono Dio), e così il mistero, tenendo dietro a quest’argomentazione, non farà
capo a una Trinità ma a una miriade di persone.
Quest’obiezione, acuta nella sua concisione, cerca di smontarla con vari ragiona-
menti, ma a mio parere non arriva a farlo con precisione (οὐ μὴν κατά γε ἐμὲ τῆς
ἀκριβείας ἐφικνεῖται), benché si affatichi moltissimo intorno a ciò, spingendosi ad-
dirittura a fornire tredici dimostrazioni. Per coloro che sono di retta fede, alcuni di
tali assunti non sono privi di valore; ma per un contestatore, non solo non offrono
niente che indirizzi verso la fede, ma addirittura possono suscitare il riso (ἀνδρὶ δὲ
διαμαχομένῳ οὐ μόνον οὐδὲν ἐπαγωγὸν πρὸς εὐσέβειαν παρέχει, ἀλλὰ καὶ ἀφορμὰς
πρὸς τὸν γέλωτα). Si potrebbe forse replicare in forma breve e concisa (συντετμημένῳ
τε καὶ ἀπερίττῳ λόγῳ) a chi si compiace di tale obiezione, che se si prende in esame
per primo il Padre, poi ci si domanda se sia dotato o meno di ragione, e in base a ciò

13
Un altro esempio di argomentazione di tipo fisico, riportato succintamente (forse non a
caso) da Fozio, ma senza particolari commenti, si trova nella discussione del quarantaduesimo
capitolo sul perché le entità spirituali siano immutabili nella loro adesione al bene o al male,
mentre gli uomini sono in grado di passare frequentemente dall’uno all’altro; uno dei motivi
è che gli uomini sono esseri duplici, che uniscono lo spirito alla materia, come si rivela anche
nella loro fisiologia (205b 38 – 206a 6).

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80 La Bibliotheca di Fozio come archivio

si dimostra che il Padre non può essere privo del Figlio, forse così si offre un appiglio
non da poco a tale lambiccata obiezione. Ma se si evita di far così (non è necessario,
infatti, e neppure il mirabile Gregorio14 ha parlato in questa maniera), proponendo
invece il nome stesso di Dio, che è la denominazione comune e indivisibile delle
divine ipostasi, e dopo se ne postulerà il Verbo o il principio generativo, o magari
anche quello spirituale, in questa maniera si stabilirà il mistero della Trinità, e non si
lascerà spazio a chi vuole cavillare su questa dimostrazione. Come si può infatti con-
siderare equivalente o quasi identico prendere una sola persona in luogo dell’intera
divinità, e investigare riguardo ad essa quel che sarebbe bene considerare riguardo
alla divinità nel suo complesso? Niente impedisce, infatti, che chi intraprende tale
percorso insensato possa di conseguenza arrivare a cianciare, anche senza malizia,
che “poiché il vostro Dio è Trinità, ne consegue che ciascuna persona della Trinità si
deve moltiplicare in un’altra trinità”. Una simile ciancia, secondo me, non reggereb-
be al minimo esame condotto con un po’ di criterio. La risposta a tale obiezione ed a
quelle analoghe, dunque, potrebbe essere di questo tenore (ἀλλὰ γὰρ ἡ μὲν λύσις τῆς
ἀνθυποφορᾶς τοιαύτη τις ἂν εἴη, καὶ ὅσαι ἄλλαι τὴν αὐτὴν ἵενται)».

Questo modus operandi secondo il quale il patriarca bizantino, pur con-


dividendo gli spunti di riflessione di Giobio, ne mette in discussione l’espo-
sizione e arriva a integrarla, correggerla e contaminarla, più che della Bi-
blioteca è tipico degli Amphilochia, che com’è noto sono stati scritti intorno
all’873-877 e costituiscono la risposta a trecentoventinove quesiti scritturali
inviati a Fozio da Anfilochio, metropolita di Cizico15. È proprio dall’analisi
delle riprese e rielaborazioni del trattato giobiano all’interno di quest’opera
che si può tentare di fare ulteriormente luce sulle affinità (anche non sconta-
te) e sulle idiosincrasie che Fozio poteva trovare con Giobio.
I vari punti di contatto, spesso molto precisi, che emergono tra il codice
222 della Biblioteca e una decina delle questioni trattate negli Amphilochia
sono stati già accuratamente censiti nell’esemplare edizione critica di questi
ultimi, e ciò esime dal farne una dettagliata rassegna in questa sede16; ad esse-
re maggiormente interessanti sono le occorrenze nelle quali la trattazione del
patriarca prende le mosse esattamente dagli stessi interrogativi che aprivano
le sezioni del Trattato sull’Incarnazione di Giobio. In questo caso è davvero
possibile verificare quanto dell’opera riassunta nella Biblioteca fosse ritenu-
to effettivamente recuperabile e riutilizzabile da Fozio.
Un primo esempio è costituito da Amphilochia 79, dove si risponde alla
domanda: «Perché Mosè nel trattare della creazione del mondo non men-
zionò né l’esistenza né la creazione degli angeli?». Il quesito è chiaramente
analogo a quello che apriva il diciannovesimo capitolo del Trattato sull’In-
carnazione, «perché Mosè non iniziò il racconto della Genesi con la creazio-
ne degli angeli» (187b 22-24).

14
Il riferimento è a Gregorio di Nissa (Or. cat. magna 1), dal quale Giobio aveva dichiara-
tamente ricavato la propria argomentazione.
15
Cfr. N. Constas, Word and Image in Byzantine Iconoclasm, pp. 99-101.
16
Photii patriarchae Constantinopolitani Epistulae et Amphilochia, edd. Basileios Laour-
das - Leendert Gerrit Westerink, i-vi, Teubner, Leipzig 1983-1988, sp. vi.2, pp. 18-19.

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Braccini - Fozio e Giobio 81

La spiegazione di Giobio si articola in tre punti. In primo luogo, osserva


che gli scritti di Mosè non vanno intesi come una cronistoria, ma innanzi-
tutto come testi normativi e legali; e dunque, dal momento che «lo scopo
del legislatore era di introdurre leggi salvifiche per il genere umano e di ga-
rantire la solidità delle sue leggi con la minaccia di punizioni e la promessa
di premi, ricavando dalle cose create entrambi questi elementi, per questo
espose la creazione di ciò che poteva servire a questo scopo, trascurando
quanto gli era inutile». In secondo luogo, dal momento che già il popolo
ebraico aveva delle difficoltà a concepire e accettare l’idea di Dio, era inu-
tile che Mosè complicasse ulteriormente la situazione parlando anche degli
angeli: «è inutile e difficile, infatti, cercare di far conoscere l’invisibile pro-
prio attraverso le cose invisibili, e non tramite quelle visibili»; e del fatto
che la conoscenza degli angeli fosse stata accuratamente risparmiata agli
Ebrei è testimonianza il fatto che «fino ad adesso i Sadducei ammettono
che esista un Dio creatore, ma negano recisamente che esistano gli ange-
li». In terzo luogo Giobio ricorre alla consueta tematica della prevenzione
dell’errore e dell’eresia, in quanto se si fossero menzionati gli angeli c’era il
concreto rischio che qualcuno fosse traviato: «se infatti, pur senza che Mosè
nella Scrittura fornisca alcun appiglio, tuttavia non pochi Ebrei (ai quali
si aggiungono coloro che si fanno ingannare da essi) cianciano comunque
che il mondo e ciò che vi è contenuto è stato creato dagli angeli, ebbene, di
quanto si sarebbe esteso questo errore, se il legislatore avesse scritto qualco-
sa di simile?» Fin qui il sunto di Fozio, che peraltro, come si è già ricordato,
aggiunge che Giobio aveva inserito anche «altre affermazioni che a mio
parere non sono pertinenti al soggetto».
Trattando pressoché della stessa materia negli Amphilochia, il patriarca
avanza una serie di motivazioni che potrebbero spiegare il silenzio di Mosè.
Da un lato, gli Israeliti erano reduci da un lungo soggiorno nell’idolatra Egit-
to, e dunque non sarebbero stati particolarmente ricettivi rispetto alla men-
zione di intelligenze incorporee e divine (οὐκ ἦν εὐχερὲς οὐδὲ ῥᾴδιον φέρειν
πρὸς τὴν τῶν ἀσωμάτων καὶ θεοειδῶν νόων ἐπανάγεσθαι μάθησιν); inoltre
il legislatore aveva trattato della creazione del cielo e della terra perché si
trattava dell’habitat dell’umanità, mentre la creazione degli angeli non era
pertinente al soggetto; poi, menzionare ex abrupto gli angeli sarebbe risul-
tato sconcertante per chi non ne aveva mai sentito parlare, come dimostra
il fatto che i Sadducei, ancora dopo molte generazioni, non ne ammette-
vano assolutamente l’esistenza (ὅπου γε καὶ τὸ Σαδδουκαίων μετὰ πολλὰς
γενεὰς ἔθνος θεὸν μὲν ὁμολογεῖν ἐφρόνει, ἀγγέλους δὲ καὶ πνεῦμα οὐδ’ ἀκοῇ
παραδέχεσθαι ἀνεκτὸν ἡγοῦντο). E che «la narrazione sulle intelligenze in-
corporee fosse stata tralasciata all’inizio dal divinamente ispirato Mosè per la
debolezza del suo uditorio» risultava chiaro dal fatto che li aveva menzionati
solo al termine della sua narrazione, quando dice «Esultate cieli con Lui, e Lo
venerino tutti gli angeli di Dio» (Dt 32,43).
Come si può vedere anche da questa rapida esposizione, Fozio rielabora
l’assetto della risposta, ma sembra comunque attingere molto estesamente

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82 La Bibliotheca di Fozio come archivio

alla riflessione di Giobio (perlomeno nelle parti che egli stesso aveva escer-
tato nella Biblioteca). Uno schema analogo sembra individuabile anche nelle
rapide trattazioni presenti in Amphilochia 245 e 248, rispettivamente dedi-
cati alla questione sul «Perché siamo istruiti a rinunciare a Satana e non agli
uomini malvagi» e su «Come si potrà conciliare il detto apostolico secondo
cui “i miracoli non sono per chi crede, ma per chi non crede” con le parole
del Signore che dicono “la tua fede ti ha salvato” e “non poteva compiere
miracoli a causa della loro mancanza di fede”». Si tratta di quesiti che risul-
tano espressamente affrontati anche nel Trattato sull’Incarnazione (rispetti-
vamente 206b 4 - 207b 21 e 203a 2 - b 26). Per quanto in questa sede non
si possa affrontare un’analisi dettagliata, si può asserire che la trattazione di
Fozio è in entrambi i casi più concisa e sicuramente non desunta di peso da
Giobio, contenendo anche alcuni elementi autonomi, ma è innegabile che
finisca per sussumere senza problemi (e anche, occorre dire, senza citare la
fonte) molto di quanto viene espresso da quest’ultimo.
Un caso importante è poi costituito da tre trattazioni che riguardano argo-
menti trinitari e che compaiono in maniera pressoché identica sia negli Am-
philochia sia nel Trattato sull’Incarnazione. La questione 187 negli Amphi-
lochia, «Perché si è incarnato il Figlio, e non un’altra ipostasi della Trinità?»,
corrisponde al quesito che, come si è già accennato, apriva il trattato giobiano,
«Perché il Figlio e non il Padre né lo Spirito Santo hanno rivestito la forma
umana» (181b 10-12). Fozio fornisce ad Anfilochio di Cizico una serie molto
articolata di risposte: 1. affinché il Figlio, incarnandosi, mantenesse la propria
naturale condizione di figlio anche tra gli uomini (ἵνα ὁ ἄνω υἱὸς καὶ κάτω
μείνῃ υἱός); 2. perché era necessario che fosse il Figlio in quanto Creatore
(δημιουργός) a restaurare il Creato (δημιούργημα) decaduto; 3. perché era
il Figlio-Logos a dover redimere «coloro che erano precipitati nell’irrazio-
nalità» (τοὺς εἰς ἀλογίαν καταπεσόντας); 4. perché se il Padre o lo Spirito si
fossero incarnati, avrebbero dovuto dichiararsi Padre di Dio e Spirito di Dio, e
come avrebbero reagito gli Ebrei di fronte a tali apparenti enormità?; 5. viene
ripresa l’argomentazione 3, con l’aggiunta di un’allegoria sacra: la deposi-
zione del Figlio nella mangiatoia destinata agli animali irrazionali allude alla
sua missione di salvezza presso coloro che erano caduti nell’ἀλογία; 6. perché
era la perfetta immagine del Padre a dover recuperare e restaurare gli uomini,
immagini decadute del medesimo Dio; 7. perché il Figlio, in qualità di giudi-
ce dei vivi e dei morti, nonché legislatore ed esegeta, doveva dimostrare ed
esemplificare nei fatti la sua legge; 8. viene ripresa l’argomentazione 6; 9-10.
perché per gli Ebrei sarebbe stata inconcepibile un’incarnazione di Dio Padre
o dello Spirito Santo (riprende in sostanza l’argomentazione 4).
Premesso (come si vedrà anche in seguito) che questa trattazione sem-
bra riecheggiare più o meno implicitamente vari argomenti ricorrenti passim
nel codice del Trattato sull’Incarnazione, si può tentare un rapido raffronto
proprio con la prima questione del trattato giobiano. L’esposizione si apre
osservando che «il Verbo (Logos) giunse tra coloro che avevano perduto la
ragione (logos), rimediando alla nostra caduta e riportandoci all’antica digni-

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Braccini - Fozio e Giobio 83

tà», e aggiungendo che «per questo motivo il Verbo, appena uscito dal grem-
bo virginale, viene accolto da una mangiatoia, mensa delle bestie irrazionali,
nutrice di buoi e asini. I primi, in quanto puri, simboleggiano l’antico Israele,
e i secondi, a causa della loro impurità, l’insieme dei Gentili; e il Verbo ri-
chiamò entrambe queste stirpi precipitate nell’irrazionalità». Si noterà che
c’è una perfetta sovrapposizione con le argomentazioni 3 e 5 di Fozio. Più ol-
tre, afferma che la creazione doveva essere restaurata dal suo Creatore (φησιν
ὡς ἐχρῆν τὸν δημιουργὸν καὶ πλάστην αὐτὸν καὶ ἀναπλάσαι καὶ ἀνακαινίσαι
συντριβὲν τὸ δημιούργημα), sovrapponendosi all’argomentazione 2 degli
Amphilochia; segue un’argomentazione che viene rigettata da Fozio, e difatti
non compare nella sua trattazione17; e infine Giobio afferma
«che la Scrittura, definendo correntemente Creatore per eccellenza il Figlio, di con-
seguenza Gli attribuisce opportunamente anche il diritto di giudicare e legiferare, ed
a maggior ragione anche quello di rinnovare la creazione, dopoché si sia rovinata.
Infatti è proprio del Creatore conoscere la natura, e, conoscendola, di introdurre delle
leggi appropriate a chi le riceve, ed è proprio del legislatore esercitare anche il giu-
dizio su chi trasgredisce le leggi e su chi vive secondo esse... Ed Egli, ricreando la
creazione per mezzo di se stesso, e adempiendo per primo alle leggi, si propone a noi
come esempio di condotta, che non è difficile seguire guardando a tale antesignano e
guida. Il miglior legislatore è colui che legifera non solo con le parole, ma piuttosto
con i fatti».

Si riscontra, com’è evidente, una forte consonanza con l’argomentazione


7 di Fozio. Si può aggiungere che l’argomentazione 6 risulta coincidente,
anche verbalmente, con quanto affermato da Giobio in un passo successivo
della sua opera (188b 26-32)18, e anche le argomentazioni 4, 9 e 10 vengono
riecheggiate in un passo preciso del codice 222 della Biblioteca (193a 21-
34). Insomma, si può notare come Fozio, pur producendo una rielaborazione
personale, attinga profondamente a tutte le varie argomentazioni esposte nel
Trattato sull’Incarnazione, senza limitarsi alle sezioni che trattavano specifi-
camente della questione da lui affrontata negli Amphilochia.
Il secondo caso di identità di argomento si ha con la questione 190 degli
Amphilochia, dove ci si chiede perché, se le tre Persone della Trinità sono
consustanziali e hanno lo stesso rango, nella loro enumerazione il Padre ha il
primo posto; allo stesso modo, Giobio si domanda (189b 15-17) perché mai
«il Padre sia stato preposto al Figlio, e poi al terzo posto sia stato collocato lo
Spirito». Volendo sintetizzare al massimo la sua ampia esposizione, si può ri-
cordare come Fozio osservi che 1. il Padre in ogni caso è αἴτιος delle altre due

17
«Giobio introduce anche un’altra causa, però non della presente questione, ma di quella
immediatamente precedente, che tuttavia mi sembra mancare di coerenza. Afferma infatti che,
siccome tutto è detto aver avuto luogo per mezzo del Figlio, ebbene, se non fosse attuata per
mezzo di Lui anche l’Incarnazione, allora l’affermazione potrebbe essere tacciata di falsità».
18
«Il quarto e quinto libro della sua opera, limitati a due capitoli, trattano esclusivamente
il fatto che era quanto mai opportuno che l’immagine inalterabile e naturale del Padre (τὴν
ἀπαράλλακτον καὶ φυσικὴν εἰκόνα τοῦ πατρός) purificasse dalle macchie e restituisse all’an-
tica bellezza noi, che eravamo nati secondo questa immagine ma ne avevamo alterato i tratti».

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84 La Bibliotheca di Fozio come archivio

Persone, del Figlio tramite generazione e dello Spirito tramite processione;


2. il Padre storicamente è stata la prima Persona a essere conosciuta dagli
uomini, e poi sono venute le altre; 3. chiamare Padre la divinità è naturale e
rispettoso (ἀνὰ χεῖρά τε καὶ τὴν παρρησίαν οὐκ αἰσχυνόμενον); 4. per Ebrei
e pagani era più semplice iniziare a considerare Dio come padre; 5. il fatto
che la teologia dello Spirito sia stata illustrata dal Figlio spiega l’ordine delle
rimanenti due Persone della Trinità. Stando al riassunto di Fozio, in realtà
Giobio rispondeva alla questione asserendo che l’enumerazione delle Perso-
ne era un fatto puramente umano e convenzionale, e non aveva alcuna corri-
spondenza nella realtà divina19. Apparentemente dunque non c’è convergen-
za con quanto scritto negli Amphilochia, ma se si vaglia il codice 222 della
Biblioteca nella sua interezza si trovano molti punti di contatto: l’argomen-
tazione 1 è presente implicitamente in molti passi, mentre le argomentazioni
2, 3 e 4 sembrano rimandare alla trattazione dei cosiddetti Terremoti (192a
33 – 195a 41), le rivoluzioni spirituali (la terza ancora attesa) che hanno già
introdotto la piena conoscenza del Padre e del Figlio, e che in futuro riguar-
deranno anche il divino Pneuma. Non solo Giobio vi rimarca la sequenza sto-
rica per cui la conoscenza del Padre precede quella del Figlio, la quale a sua
volta precorre quella ancora attesa dello Spirito Santo, ma in essa ricorrono
affermazioni come «sia presso gli Ebrei, sia presso i pagani era invalso l’uso
di chiamare Dio “padre dell’umanità”», e «noi uomini abbiamo imparato a
chiamare “padre” Dio in base ai nostri titoli onorifici. Infatti nessuna delle
nostre denominazioni è più dolce, più onorevole e più veneranda di quella di
“padre”, più familiare né più vicina all’idea di beneficio». Anche in questo
caso, dunque, per quanto meno direttamente l’influsso del trattato giobiano
sembra innegabile.
La terza questione coincidente è quella che corrisponde ad Amphilo-
chia 191, incentrato sul perché la Redenzione sia dovuta avvenire per mez-
zo dell’Incarnazione del Logos, e non tramite una delle «potenze incorpo-
ree» o un semplice uomo (δι’ ἀνθρώπου ψιλοῦ). Giobio (183a 12-13) si
chiede analogamente «perché la Salvezza non sia avvenuta per mezzo di un
uomo o di un angelo incarnato». La risposta fornita da Fozio è molto strut-
turata, articolandosi in una serie di punti salienti: 1. un uomo, in quanto
creatura bisognosa di salvazione, non avrebbe potuto salvare i propri con-
simili (πῶς ἂν ὁ ἐν τῇ αὐτῇ τῆς θεραπείας χρείᾳ καθεστὼς ἑτέροις ἠδύνατο
διοικονομεῖν τὴν κάθαρσιν καὶ χορηγὸς εἶναι τῆς ἰάσεως;); 2. se il Salva-
tore fosse stato un uomo, i suoi congeneri avrebbero ritenuto la Salvezza
cosa da poco, oppure avrebbero finito per divinizzare il Salvatore; 3. una
creatura non avrebbe potuto sovvertire ed emendare le leggi stabilite dal

19
«La natura divina, infatti, in sé per sé non può essere posta né prima né dopo, ma è
superiore a ogni concetto di numero e di unità, giacché numero e unità riguardano l’essenza,
ma la divinità è sopra l’essenza. Come dunque la divinità conosce atemporalmente ciò che è
sottoposto al tempo, indivisamente ciò che è diviso, e immutabilmente ciò che muta, così ogni
natura creata concepisce nel tempo ciò che ne è al di fuori, in maniera divisa ciò che è indiviso,
e ciò che è inesprimibile tramite la familiare espressione della voce articolata in nomi e verbi».

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Braccini - Fozio e Giobio 85

Padre; 4. se a salvarci fosse stato un semplice uomo, non saremmo giunti a


comprendere lo straordinario amore di Dio nei nostri confronti; 5. un sin-
golo angelo non avrebbe potuto prendersi la responsabilità dell’intera razza
umana, a maggior ragione un uomo; 6. gli angeli sono comunque creature,
e non ci sarebbe stato nulla di prodigioso se una di esse avesse assunto la
forma di un’altra creatura; 7. se ad incarnarsi non fosse stato il Figlio, gli
uomini non avrebbero potuto ottenere ricompense ultraterrene che andas-
sero oltre la natura umana e angelica.
Nella coincidente trattazione che emerge dal codice del Trattato sull’In-
carnazione, ci si chiede innanzitutto come avrebbe fatto un singolo uomo a
salvare l’intera umanità, se i profeti come Mosè non erano riusciti a «guarire
dalla malattia» neppure un singolo popolo (si sovrappone all’argomento 5
degli Amphilochia); poi Giobio si domanda «come avrebbe fatto un semplice
uomo a purificare la sua razza, dal momento che egli stesso compartecipa-
va della corruzione» (πῶς δὲ καὶ ψιλὸς ἄνθρωπος τὸ ὁμογενὲς ἐξεκάθηρεν,
αὐτὸς μέτοχος ὢν τοῦ ῥυπάσματος;), in maniera corrispondente all’argomen-
to 1; inoltre osserva che un servo non avrebbe potuto modificare i «decreti
regi» (corrisponde all’argomento 3), e che è solo per il tramite del Figlio
che la nostra stirpe è stata ritenuta degna di sedere presso il trono del Padre
(è l’argomento 7). Giobio afferma anche che un angelo non avrebbe potuto
dominare sui suoi consimili (gli altri angeli e i demoni), e questo non sembra
trovare corrispondenza in Fozio; d’altro canto, come già notato, per elaborare
la sua risposta il patriarca ricorre anche a passi del Trattato sull’Incarnazione
che non riguardano specificamente la questione esaminata negli Amphilo-
chia: l’argomento 4, infatti, è riecheggiato poco dopo (184b 1-11), e il rischio
che i pagani divinizzassero gli uomini (argomento 2) è anch’esso ricordato
(194b 34 - 195a 1).
Questi esempi mostrano come la trattazione degli Amphilochia risulti
senz’altro debitrice del Trattato sull’Incarnazione, al punto che in un caso,
come si è visto, viene adottata addirittura un’interpretazione allegorica di un
passo evangelico, secondo una modalità cara a Giobio ma, come si è visto, di
norma poco gradita al patriarca. Tuttavia non si può parlare di una dipenden-
za strettissima e meccanica. Per quanto infatti non manchino riprese verba-
tim, quello che viene instaurato sembra piuttosto un dialogo fecondo e anche,
per molti versi, metatestuale. Fatta questa precisazione, non c’è dubbio che
l’opera di Giobio abbia costituito per Fozio un utile punto di riferimento20.
Come si è visto, sono diversi (e non sempre scontati) gli ambiti in cui il
Trattato sull’incarnazione sembra aver stimolato l’interesse del suo illustre
lettore; però il fulcro dell’interesse del patriarca, come emerge dalle frequenti
riprese e dal livello di dettaglio raggiunto nell’escertazione, è senz’altro co-
stituito – come già accennato in precedenza – dalla dottrina trinitaria. Non si
20
Sull’utilizzo di Giobio all’interno degli Amphilochia come spia dell’interesse del patri-
arca nei suoi confronti, cfr. anche Andrew Louth, Photios as a Theologian, in Elizabeth Jeffreys
(ed.), Byzantine Style, Religion and Civilization: in honour of Sir Steven Runciman, Cambridge
University Press, Cambridge-New York 2006, pp. 206-223, qui 216-217.

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tratta di un aspetto del tutto banale. L’oscuro monaco del vi secolo non era
certo un’auctoritas di grande peso in questo campo, eppure, anche e soprat-
tutto per merito delle argomentazioni sulla Trinità, come si è visto il codice
del Trattato sull’Incarnazione è il più esteso della Biblioteca, e il materiale
giobiano affiora ripetutamente negli Amphilochia. Come si può spiegare que-
sto apparente paradosso?
Ad attrarre Fozio, com’è stato rilevato quasi un secolo fa da Josef
Slipyi21, erano con ogni probabilità le premesse che animavano la riflessio-
ne giobiana, e che risaltano in un passo come questo (199a 36 - 199b 12):
«si indaga perché, se il Figlio e lo Spirito procedono parimenti dal Padre, l’uno
è detto Figlio e l’altro Spirito, e non hanno entrambi la denominazione di figlio,
così come neppure la relazione (διὰ τί τοῦ υἱοῦ καὶ τοῦ πνεύματος ὁμοτίμως ἐκ τοῦ
πατρὸς προιόντων ὁ μὲν λέγεται υἱός, τὸ δὲ πνεῦμα, καὶ οὐκ ἄμφω τὴν τῆς υἱότητος
διασῴζουσι κλῆσιν, ὥσπερ οὐδὲ τὴν σχέσιν). E dopo aver esposto il problema intro-
duce la soluzione: tradizionalmente la teologia, descrivendo la genuina uguaglianza
della natura divina nella Trinità per mezzo di elementi che ci fossero conosciuti,
con “Padre”, “Figlio” e “Spirito Santo” ci suggerì l’ineffabile e inesprimibile deno-
minazione della divinità tramite nomi che ci fossero consueti e familiari. E poiché
è consueto e opportuno, in relazione ai nostri figli, parlare di generazione, e per lo
spirito parlare di processione... poiché dunque nel genere umano abbiniamo la gene-
razione al figlio, e la processione allo spirito, in maniera analoga anche riguardo alla
natura ineffabile e divina abbiamo appreso che il Figlio è stato generato, ed abbia-
mo ricevuto la mistica rivelazione che lo Spirito procede (τὸν μὲν υἱὸν γεγεννῆσθαι
διδασκόμεθα, ἐκπορεύεσθαι δὲ τὸ πνεῦμα θεοπρεπῶς ἐμυήθημεν)».

Secondo Slipyi non era tanto la soluzione fornita da Giobio (che si ri-
chiamava alle convenzioni linguistiche) a essere importante per Fozio, quan-
to piuttosto i presupposti della sua domanda, ovvero che lo Spirito deriva dal
Padre ma non certo dal Figlio, con il quale anzi si pone sullo stesso piano, in
una relazione autonoma rispetto al Padre. A livello germinale, infatti, questo
sembra porre le basi per la riflessione trinitaria che il patriarca andò svi-
luppando a contrasto del Filioque latino22. Si ritorna, ancora una volta, alle
parole dello stesso Fozio, per il quale l’autore del Trattato sull’Incarnazione
«nell’esporre i problemi non si rivela né incapace né fiacco, ma non si può
dire lo stesso per come procede nelle soluzioni». Sono le domande e le loro
premesse a costituire lo stimolo maggiore per il patriarca. E dunque Giobio,
per quanto non raggiunga pienamente la statura di maestro (e difatti le sue
soluzioni al massimo possono essere recepite ampiamente, ma mai in manie-

21
Cfr. Josef Slipyi, Die Trinitätslehre des byzantinischen Patriarchen Photios, in
«Zeitschrift für katholische Theologie» 45(1921), pp. 66-95, qui 81-87.
22
Cfr. ibi, pp. 86-87: «Er scheint dem Hl. Geist den Ausgang aus dem Sohne abzusprech-
en, indem er jede Beziehung des Geistes zum Sohne verneint, wie er im Gegenteil eine σχέσις
des Sohnes und des Vaters behauptet... Das Job’sche Diagramm und seine Verneinung der Re-
lation zwischen dem Sohn und dem Hl. Geist waren ganz hinreichend, um in Photios’ Seele die
ersten Keime zur späteren Polemik zu legen. Vielleicht tauchten sie dann gleich im Gedächtnis
des Patriarchen auf, als er vom lateinischen Filioque in Bulgarien vernommen hatte».

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ra perfettamente coincidente, come mostrano i brani paralleli degli Amphi-


lochia, oltre che le divergenze occasionalmente segnalate nella Biblioteca),
si rivela comunque per Fozio un importantissimo food for thought o, per
usare le parole di Slipyi, un «Wegweiser», un «cartello stradale» che, oltre
a fornirgli utili spunti in vari settori, soprattutto gli indica in quale direzione
incamminarsi nella sua speculazione trinitaria23.

ABSTRACT

The longest of the codices that make up patriarch Photius’ Bibliotheke


is devoted to the Treaty on the Incarnation by the monk Jobius (vi century
AD). Echoes of this work can be traced also in Photius’ Amphilochia. The
patriarch seems particularly interested in Jobius’ approach to the question
of Trinity; while not always sharing the same views, Photius says openly that
he appreciates the way Jobius singles out the problems. The existence of this
kind of “dialogue” between Jobius and Photius is revealed by a comparison
of the issues that recur identical both in the summary of the Treaty on the
Incarnation and in the Amphilochia. From this kind of analysis seems to be
confirmed the definition of Jobius as a Wegweser, “road sign”, given by
Josef Slipyi, highlighting his role of forerunner for Photius’ Trinitary specu-
lations, particularly those relating to the Filioque.

Il più lungo dei “codici” che compongono la Biblioteca di Fozio è de-


dicato al Trattato sull’Incarnazione del monaco Giobio, vissuto nel vi seco-
lo. Riprese della medesima opera, peraltro, emergono chiaramente anche
negli Amphilochia foziani. Il patriarca sembra particolarmente interessato
all’approccio di Giobio alle questioni trinitarie: pur non condividendone
sempre le soluzioni (rispetto alle quali spesso elabora approcci alternati-
vi), dichiara apertamente di apprezzare il suo modo di enucleare i proble-
mi. L’esistenza di questa sorta di “dialogo” reattivo tra Giobio e Fozio è
rivelato da un confronto tra le questioni che ricorrono identiche sia nel
sunto foziano del Trattato sull’Incarnazione sia negli Amphilochia. Proprio
da un’analisi di questo tipo sembra confermata la definizione di Wegwe-
ser, “cartello stradale”, che di Giobio dette Josef Slipyi, evidenziandone
il ruolo di apripista per la riflessione trinitaria foziana, in particolare di
quella relativa al Filioque.

23
Tantopiù se è vero, come scrive John Meyendorff, Byzantine theology: historical trends
and doctrinal themes, Fordham University Press, New York 1974, p. 61, che «Photius clearly
demonstrates that behind the dispute on the Filioque lie two concepts of Trinity: the Greek per-
sonalistic concept, which considers the personal revelation of the Father, the Son, and the Spirit
as the starting point of Trinitarian theology; and the Latin, Augustinian approach to God as a
simple essence, within which a Trinity of persons can be understood only in terms of internal
relations». In questo senso, risulta evidente quanto l’approccio di Giobio, che porta agli estremi
l’interpretazione personalistica della Trinità, risulti particolarmente congeniale alla riflessione
foziana.

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