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Pietro Dalena Ed Alessandro Di Muro, Migrazioni Interne e Dipendenze Signorili Nelle Campagne Del Mezzogiorno (Normanni-Aragonesi)

Il documento analizza le migrazioni interne e le dinamiche di dipendenza nelle campagne del Mezzogiorno durante il basso Medioevo, evidenziando l'importanza della diversità etnica e culturale nella gestione agricola. Si discute il processo di affrancamento dei contadini dalle servitù fondiarie avviato da Ruggero II e le conseguenze delle politiche agrarie di Carlo I d'Angiò. Inoltre, si esplorano le eredità longobarde e bizantine, nonché le trasformazioni economiche e sociali che hanno portato a una crescente emancipazione dei contadini.
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Pietro Dalena Ed Alessandro Di Muro, Migrazioni Interne e Dipendenze Signorili Nelle Campagne Del Mezzogiorno (Normanni-Aragonesi)

Il documento analizza le migrazioni interne e le dinamiche di dipendenza nelle campagne del Mezzogiorno durante il basso Medioevo, evidenziando l'importanza della diversità etnica e culturale nella gestione agricola. Si discute il processo di affrancamento dei contadini dalle servitù fondiarie avviato da Ruggero II e le conseguenze delle politiche agrarie di Carlo I d'Angiò. Inoltre, si esplorano le eredità longobarde e bizantine, nonché le trasformazioni economiche e sociali che hanno portato a una crescente emancipazione dei contadini.
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Migrazioni interne e dipendenze signorili nelle campagne


del Mezzogiorno bassomedievale

PIETRO DALENA - ALESSANDRO DI MURO*

nel Prologo delle assise di ariano, in quel concetto di «varietas popu-


lorum nostrorum» si percepisce quanto ruggero II avesse maturato la co-
scienza politica di dover governare una popolazione multietnica, la cui com-
plessità culturale rappresentava una risorsa per la giovane monarchia sul
piano delle competenze agrarie. lo dimostra il processo di affrancamento
dalle servitù fondiarie da lui avviato per frenare l’esodo dalle campagne
(dovuto principalmente all’insicurezza per le continue guerre e per la pro-
liferazione del banditismo) e l’eccessivo inurbamento che depauperava le
potenzialità economiche dell’agricoltura. pertanto, già nei suoi primi anni
di regno (1133), registrandosi una forte mobilità antropica (un vero esodo)
dalle campagne alle città, il sovrano normanno per consentire ai contadini
oriundi dei casali di rientrare nelle loro abitazioni e coltivare la terra li af-
francò dallo stato servile e dalle normali contribuzioni per un decennio1.
anche Carlo I d’angiò ebbe piena coscienza della complessità del suo re-
gno, composto da «diversarum populi nationum», ma le sue preoccupazioni
militari (principalmente la preparazione della spedizione nei Balcani e la
guerra del vespro) e la necessità di avere liquidità per stipendiare funzio-
nari ed esercito, lo distrassero dalle questioni agrarie che vennero lasciate
all’arbritrio e agli interessi di baroni e nobiltà terriera. In un tale contesto,
dominato prevalentemente da una feudalità straniera, francese e sveva, e
da un’aristocrazia terriera parafeudale di ascendenza bizantina e longo-
barda, si sperimentarono varie iniziative di conduzione agraria che con-
sentirono di migliorare il comparto e sviluppare l’economia. del resto, al di
là della fluida situazione politica, il mezzogiorno risentiva, anche a causa
della sua posizione geografica, di una pluralità di esperienze culturali e col-
turali che elaborando modelli ibridi ne condizionarono, tardandolo, il pro-
cesso identitario. nel quadro di una complessa civiltà eterogenea, gruppi et-
nici di tradizione di segno diverso e professionisti agricoltori con i loro spo-

*
per quanto il lavoro sia stato sostanzialmente condiviso, il paragrafo 1 è da attribuire a pie-
tro dalena e il paragrafo 2 ad alessandro di muro.
1
Rogerii II. Regis Diplomata Latina, a cura di C.-r. Brühl (Codex Diplomaticus Regni Sici-
liae, s. I, t. I-II), Köln - wien 1987, p. 96, doc. 34.

mIgrazIonI Interne e Forme dI dIpendenza lIBera e ServIle nelle Campagne 345


BaSSomedIevalI. dall’ItalIa nord-oCCIdentale alla Catalogna, a cura di
r. lluCh Bramon - p. ortI goSt - F. panero - l. to FIgueraS - Cisim, Cherasco 2015 - ISBn 978-88-94069808
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stamenti da una regione all’altra animavano il regno e ne sollecitavano la


crescita anche nel settore agricolo, come dimostra il noto caso dei saraceni
spostati dalla Sicilia alla Capitanata da Federico II al fine di colonizzarne
le fertili terre.

1. L’eredità longobarda e bizantina e i processi di rinnovamento in età


normanna

Fenomeni di migrazione interna di nuclei consistenti di popolazioni sono


ben documentati nel mezzogiorno a partire almeno dal X secolo, in con-
nessione con il primo sviluppo dell’incastellamento e delle signorie terri-
toriali. Sono ben noti gli esempi degli abitanti di valva nei pressi di Sul-
mona che a metà del X secolo andarono a ripopolare la Terra Sancti Vin-
centii in molise su impulso degli abati del cenobio volturnense o i nuclei di
contadini che stipularono contratti di popolamento con l’abate aligerno di
montecassino, rivitalizzando l’ormai spopolata Terra Sancti Benedicti2.
tale fenomeno non fu limitato agli estesi domini dei due grandi monasteri,
ma risulta estremamente diffuso un po’ dappertutto nei principati longo-
bardi3. Fenomeni analoghi, forse meno vistosi, si produssero anche nelle
aree di tradizione bizantina. nei primi anni dell’XI secolo è segnalato un co-
spicuo movimento di contadini dalla Calabria in lucania. un greco di Ca-
labria, tale Kallino, si insediò con la famiglia nel villaggio di Ancilla Dei
(ancellara), situata nella parte settentrionale della lucania longobarda, ri-
cevendo dal monastero greco di San michele arcangelo una terra incolta da
sfruttare con l’obbligo di versare un censo annuo. nello stesso villaggio si
erano trasferite altre famiglie, chiamate a fornire manodopera agricola al
piccolo monastero, come, nel 1056, una famiglia greca di Bisignano. e con-
tadini greci nel 1034 abitavano il casale di Aquabelle, a sud della lucania
longobarda. nel medesimo periodo, esponenti dell’aristocrazia terriera della
Calabria si trasferiscono a Bari, capitale del Katepanato 4. Il processo di bo-

2
a tal proposito per San vincenzo al volturno cfr. m. del treppo, Terra Sancti Vincencii, na-
poli 1968, pp. 27-30 e 55-59; per montecassino p. touBert, Per una storia dell’ambiente eco-
nomico e sociale di Montecassino (secoli IX-XII), in Id., Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agri-
coltura e poteri nell’Italia medievale, torino 1995, p. 105 sgg.
3
a. dI muro, Le contee longobarde e l’origine delle signorie territoriali nel Mezzogiorno, in
«archivio Storico per le province napoletane», CXXvIII, 2011.
4
a. guIllou, La seconda colonizzazione bizantina nell’Italia meridionale. Le strutture sociali,
in La Civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia. Ricerche e problemi, atti del primo
Convegno internazionale di studi (mottola-Casalrotto, 29 settembre - 3 ottobre 1971), a cura di
C.d. FonSeCa, genova 1975, pp. 41-44.

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nifica del suolo avviato nel Catepanato all’inizio dell’XI secolo, nel conte-
sto organizzativo parafeudale in cui si muovevano i monasteri italogreci,
proseguì in età normanna ad opera dei monaci dissodatori. Così nel periodo
di transizione dalla dominazione bizantina allo Stato normanno si incre-
mentò l’economia attraverso le opere di domesticazione dell’incolto e la
riduzione dell’aspretum convertito in piantagioni di olivi (insiteta) facendo
ricorso alle concessioni di terreno ad meliorandum e ad pastinandum e a
quelle particolari della pastinatio in parte o ad meliorandum et partiandum
e quelle enfiteutiche ventinovennali. In particolare le concessioni enfiteu-
tiche, in ragione della lunga durata del contratto (per consentire al coltiva-
tore di trarre profitto dai miglioramenti fondiari), valsero a erodere i vasti
latifondi dell’aristocrazia terriera e dei monasteri locali, divenendo di fatto
lo strumento di formazione e di accrescimento della piccola proprietà con-
tadina. Questa situazione via via col tempo conseguì una emancipazione
del contadiname, per cui da una condizione servile molti rustici si trasfor-
marono in piccoli e medi proprietari terrieri5. una tale dinamica di colo-
nizzazione si riscontra sin dal secolo precedente anche nelle aree di tradi-
zione longobarda6.
Strettamente collegata alle migrazioni interne dei contadini è la que-
stione della diffusione delle signorie territoriali7. la storiografia del se-
condo novecento ha ereditato dalla tradizione romantica una visione della
struttura agraria del mezzogiorno normanno declinata sul concetto di una
popolazione rurale costituita da semiliberi e non liberi, per lo più in origine
musulmani e greci. paradigmatico in questo senso è il saggio di Illuminato
peri sul villanaggio in Sicilia, che, dopo aver analizzato, tra altri temi, la
condizione di servi e rustici, ne stigmatizza l’omologazione di fatto alla ca-
tegoria servile8. I lunghi elenchi di homines concessi già da principi e feu-
datari normanni a chiese e fideles e le traduzioni dall’arabo, talvolta scor-
rette e fuorvianti (si pensi al significato di rijâl al-jarâ’id «gli uomini de-
gli elenchi», ovvero contribuenti del fisco, resi con servi ascripticii), cui si
è fatto spesso riferimento nella storiografia tradizionale, hanno condizionato

5
p. dalena, Olivo e olio, in Mezzogiorno rurale. Olio, vino e cereali nel Medioevo, a cura di
Id., Bari 2010, p. 29 sgg. con bibliografia.
6
Si veda ad esempio J.-m. martIn, Città e campagna: economia e società (sec. VII-XIII), in
aa.vv. L’alto Medioevo, in Storia del Mezzogiorno, a cura di g. galaSSo, napoli 1990, III, in
part. p. 275 sgg.
7
per le problematiche collegate alle signorie nel mezzogiorno si rimanda a S. CaroCCI, Signo-
rie di Mezzogiorno. Società rurali, poteri aristocratici e monarchia (XII-XIII secolo), roma
2014.
8
I. perI, Il villanaggio in Sicilia, palermo 1965.

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fortemente la prospettiva di un mondo rurale costituito da uomini asserviti


e ancorati alla terra, condizione che si sarebbe accentuata nelle età succes-
sive, in particolare in quella sveva. Secondo tale prospettiva storiografica
il villano era tenuto a soddisfare alcuni oneri che ne limitavano fortemente
la libertà personale: le fonti ricordano tra questi il prelievo dell’exitura, la
licentia nel caso di matrimonio e, in particolare, gli obblighi di residenza
che avrebbero fortemente limitato la mobilità nelle campagne meridionali,
legando il coltivatore alla terra. In sintesi, i rustici sarebbero stati ceduti ai
signori locali (laici, monastici ed ecclesiastici) con la facoltà di poterne di-
sporre nella loro pienezza, facendone di fatto dei servi9.
per la Sicilia di tradizione islamica e per la regione calabro-lucana di
tradizione bizantina si è dimostrato come homines e villani concessi da
ruggero il gran Conte e dal suo successore ruggero II costituissero delle
unità fiscali e non rustici assoggettati. Si tratta, per la Calabria e la luca-
nia, della persistenza sotto forma di casale rurale della struttura del comune
fiscale bizantino (chôrion) 10.
In particolare ai signori siciliani (esponenti della nomenclatura religiosa
e dell’aristocrazia terriera) il granconte e i suoi successori devolvevano
solo la capacità contributiva degli abitanti delle campagne e giammai la di-
sponibilità della loro persona (se non in casi eccezionali e ben definiti nelle
concessioni). Questi (gli abitanti delle campagne siciliane) erano general-
mente piccoli e medi proprietari terrieri che vivevano in villaggi, con po-
sizioni di un certo prestigio anche nei ranghi della giustizia minore e del-
l’amministrazione interna che gli consentivano una significativa mobilità.
Solo dopo l’istituzione del regnum Siciliae, infatti, la loro mobilità risulta
limitata11.
una situazione simile si percepisce anche dall’analisi delle liste di ho-
mines e dalla restante documentazione d’archivio di area campana, con
l’aggiunta di una coazione di residenza molto più sfumata rispetto alle si-

9
Su tale questione si veda l’utile messa a fuoco storiografica di S. CaroCCI, angararii e franci.
Il villanaggio meridionale, in Studi in margine all’edizione della platea di Luca arcivescovo di
Cosenza (1203-1227), a cura di e. Cuozzo e J.-m. martIn, (Medievalia, 8 bis, Collana del Cen-
tro europeo di Studi normanni), avellino 2009, p. 205 sgg.
10
per la strutturazione del chôrion in Italia meridionale si rimanda ad a. guIllou, Des collec-
tivités rurales à la collectivité urbaine en Italie méridionale byzantine (VIe-XIe s.), in «Bulle-
tin de Correspondance hellénique », 100, 1 (1976), p. 320.
11
per la Sicilia si rimanda a g. petralIa, La “signoria” nella Sicilia normanna e sveva: verso
nuovi scenari?, in La signoria rurale in Italia nel Medioevo, atti del II Convegno di Studi (pisa
6-7 novembre 1998), pisa 2006, p. 233 sgg.; per la Calabria CaroCCI, Angararii e franci cit.,
p. 215.

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tuazioni riscontrate in Sicilia, se non addirittura assente anche dopo l’isti-


tuzione del Regnum. anche nelle regioni di tradizione longobarda sussi-
stevano in età normanna modalità di trasferimento di cespiti fiscali a si-
gnori laici ed ecclesiastici attraverso schemi non del tutto differenti da
quelli attestati nella grancontea di tradizione islamica e bizantina, basati
sulla redazione di elenchi di contribuenti. Certamente, in quest’area e in
questo ambito culturale non potevano essere operanti le influenze dirette
dello stato islamico o dell’impero bizantino, ma la struttura del fisco di tra-
dizione longobarda, che conosceva la cessione di cespiti collegati agli uo-
mini, poteva costituire un utile precedente per i nuovi signori e non solo in
questo ambito12. In definitiva la rilettura della documentazione (siciliana,
calabrese e campana) di età normanna ha consentito di precisare come,
avanti l’istituzione del regno, il granconte, il principe di Capua e il duca di
puglia continuassero a mantenere un certo controllo sugli homines che con-
cedevano ai signori. Questo consentiva da una parte la stabilità delle pre-
rogative sovrane sui sudditi liberi e dall’altra la garanzia per costoro di con-
servare la condizione giuridica originaria non servile. e tale condizione
permase durante il regno di ruggero II e dei suoi successori13.
Il problema della mobilità contadina nel mezzogiorno in età normanno-
sveva si intreccia alla questione molto rilevante delle categorie sociali delle
dipendenze, spesso sfuggenti e in continua evoluzione. oltre a soggetti ben
qualificati da termini quali servi o famuli che si ritrovano poco numerosi
nella documentazione e che ne connotano senza ambiguità la condizione,
sussistono nel mezzogiorno normanno alcune categorie di contadini di-
pendenti (villani) la cui posizione si avvicina molto a quella servile. I cur-
tisani, ad esempio, che compaiono nei documenti della Campania setten-
trionale dalla fine dell’XI secolo ai primi decenni del XII secolo, rappre-
sentano una categoria di rustici che sembrano legati ad un determinato ap-
pezzamento di terreno, obbligati ad angariae e perangariae e, dunque, sog-
getti ad una forte limitazione della mobilità. assimilabili ai curtisani sem-
brano essere i censiles che vengono ceduti dai signori insieme alle proprie
famiglie e ai beni stabili (alle terre cui sono legati cum toto iure et domi-
nio) e i villani donati alle dipendenze cavensi pugliesi per riavviare l’agri-
coltura delle chiese monastiche14. ma, al di fuori di queste categorie di “non

12
per la Campania si rimanda ad a. dI muro, Signori e contadini nel Mezzogiorno normanno.
Il Codice Solothurn (fine sec. XII), Bari 2013.
13
per quanto riguarda i rapporti tra sovrano e signori territoriali si rimanda a CaroCCI, Signo-
rie di Mezzogiorno cit., pp. 159-226.
14
per i curtisani e i censiles nelle fonti della Campania del XII secolo cfr. a. dI muro, Terra,
uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), Bari 2012, pp. 67-70. per al-

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liberi”, il panorama delle dipendenze personali connesso alla limitazione di


mobilità geografica muta decisamente.
In generale, gli studi di Sandro Carocci hanno chiarito come gli obbli-
ghi di residenza fossero limitatissimi (se non proprio del tutto assenti) nelle
pattuizioni collettive e nelle consuetudini del mezzogiorno normanno-
svevo e che la stessa legislazione del regno non prevedesse in alcun modo
tali obblighi15. una conferma si rinviene scorrendo gli elenchi dei contadini
dipendenti delle varie signorie ecclesiastiche e monastiche del mezzo-
giorno: ad esempio, ad olevano sul tusciano, signoria principale dell’ar-
civescovo salernitano, negli inventari dell’inizio del XIII secolo si ricor-
dano personaggi provenienti da diverse località della Campania e del Ci-
lento (Sarno, Campagna, acerno, pugliano, Contursi, auletta, Stio, forse
Savona-savonensis)16; più a sud, nel Cilento, le numerose dipendenze ca-
vensi risultano abitate da contadini provenienti da vari luoghi della Cam-
pania e della lucania17; e nella Platea di luca Campano i sottoposti del-
l’arcivescovo dispersi in varie tenute del cosentino provengono da diversi
luoghi della Calabria e non solo18. la documentazione relativa agli stessi
luoghi dimostra come per costoro non fosse affatto difficile lasciare quelle
terre: obblighi di residenza non sussistevano per i dipendenti cilentani del-
l’abate cavense nel XII secolo19 e neppure per gli angarari campani (ap-
partenenti al livello più basso dei dipendenti rustici) che, sebbene alla fine
del XII secolo fossero legati pienamente alla terra, potevano abbandonare
il luogo di residenza e trasferirsi altrove, e così i loro eredi20. allo stesso
modo in Calabria in età sveva lo statuto angariale non prevedeva la per-
manenza come obbligo irreversibile. Infatti alcuni angarari dimoravano
extra casalem, mentre altri si spostavano liberamente senza bisogno del

cuni esempi di villani ceduti dai signori normanni a chiese e monasteri cavensi in puglia si ri-
manda a p. dalena, Da Matera a Casalrotto. Civiltà delle grotte e popolamento rupestre (secc.
X-XV), galatina 1990, pp. 151-152, doc. n. 1.
15
CaroCCI, angararii e franci cit., pp. 211 sgg.
16
dI muro, Terra, uomini cit., p. 144.
17
Si veda, ad esempio, l’elenco fatto compilare dall’abate cavense in una controversia che lo vide
contrapposto all’amministrazione normanna nel 1083 nel quale sono riportati i nomi e le pro-
venienze di oltre un centinaio di uomini nel Cilento (archivio della Badia della Sant.ma trinità
di Cava de’ tirreni, B, 33; ediz. l.r. ménager, Recueil des actes des ducs normands d’Italie
[1046-1127], I, Les primiers ducs (1046-1087), Bari 1981, doc. n. 43. per le dipendenze ca-
vensi del Cilento si rimanda a v. lorÈ, Monasteri, principi, aristocrazie. La Trinità di Cava nei
secoli XI e XII, Spoleto 2007, pp. 38 sgg., 187 sgg.).
18
CaroCCI, angarari e franci cit., p. 231 sgg.
19
lorÈ, Monasteri, principi cit., p. 180.
20
dI muro, Signori e contadini cit., pp. 81-82.

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permesso del vescovo21. In altri casi bastava pagare il diritto di exitura per
migrare altrove in cerca di condizioni più vantaggiose22.
In moltissimi casi gli abitanti delle signorie territoriali, concessionari di
appezzamenti di terreno collegati ad obblighi di corvée, cedendo il terreno
trasmettevano anche i relativi gravami e potevano trasferirsi liberamente al-
trove. un interessante documento del Capitolo della cattedrale di Bene-
vento del 1163 mostra chiaramente come funzionasse tale trasferimento e
come ci si potesse affrancare dal legame ereditario, dalla terra e dalle pre-
stazioni collegate. In quell’anno un certo landolfo Fontanus di montesar-
chio, homo della chiesa beneventana (homo nostre Ecclesie), cedette un
terreno nel contado del castello ad un tale pietro Ferrante abitante del me-
desimo castello. l’arcivescovo enrico, detentore di diritti signorili e di nu-
merosi beni fondiari a montesarchio, confermava la validità della transa-
zione ed elencava gli oneri gravanti sul terreno trasferito, tra i quali omni
epdomada opera una, e aggiungeva che pietro e i suoi eredi dovessero inde
esse homines nostre ecclesie, habendo omne ius et potestatem in vos Ec-
clesia nostra quam abuit inde in predictum Landulfum. landolfo, cedendo
il terreno, si svincolava dalla condizione di homo ecclesie, nel senso stretto
di dipendente, sul quale il dominus godeva diritti ed esercitava potestà (ius
et potestatem), evidentemente venendo meno la pregiudiziale di subordi-
nazione respectu tenimenti, e tale status si trasmetteva al nuovo detentore.
Se pietro avesse voluto affrancarsi da tali oneri avrebbe dovuto versare un
censo annuo pari a 10 tarì amalfitani e la terra sarebbe rimasta tra le perti-
nenze del demanium ecclesiastico23. una tale situazione appare abbastanza
diffusa in Campania ancora nel XIII secolo24.

21
p. de leo, Un feudo vescovile nel Mezzogiorno svevo. La platea di Ruffino vescovo di Bisi-
gnano (Fonti e Studi del Corpus membranarum italicarum, direttore antonio lombardi, IX),
roma 1984, pp. 101-102, 145, 156.
22
Così, ad esempio, in alcune dipendenze cavensi della Basilicata meridionale (lorÈ, Monasteri,
principi cit., p. 182).
23
la conferma arcivescovile costituiva ovviamente un’importante garanzia di affrancamento
anche per l’alienante, in pratica l’unica giuridicamente efficace. Così qualche anno più tardi, an-
cora a montesarchio, un tale tancredi fu chiamato in giudizio perché non versava reddita et
servitia che egli stesso e i suoi antecessores erano soliti fare alla chiesa beneventana per una terra
(hereditatem). tancredi rispose che aveva ceduto il terreno a un certo Iovinus, ma Iovinus negò
e tancredi replicò sostenendo che aveva guarentes che potevano testimoniarlo. l’arcivescovo
dichiarò de placito quod est inter Iovinum et Tancridim nobis non pertinet, set querimus a vo-
bis iudicibus sententiam audire de ipso Tancrido quid nobis facere debeat. I giudici condanna-
rono tancredi e i suoi eredi alla corresponsione di quanto dovuto (Le più antiche carte del ca-
pitolo della cattedrale di Benevento (668-1200), a cura di a. CIarallI, v. de donato, v. ma-
tera, roma 2002, pp. 241-243 e 248-249, a. 1166).
24
dI muro, Terra, uomini cit., p. 65 sgg.

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risultano numerose anche le concessioni a laici ed ecclesiastici nelle


quali si prevedeva la possibilità di accogliere immigrati «de extraneis lo-
cis» favorendo di fatto la mobilità all’interno del regno. per esempio, rug-
gero I nel 1094 concesse ai certosini di Santa maria della torre di Serra
San Bruno (vv) la facoltà di ricevere immigrati che volessero commen-
darsi all’autorità monastica. tra il 1081 e il 1099 riccardo Senescalco, fi-
glio del conte drogone e nipote di roberto il guiscardo, donò al mona-
stero cavense alcuni monasteri abbandonati in territorio di mottola e i re-
lativi casali rurali con la sollecitazione di ripopolarli («et quot homines ad-
ducere et ponere in terra predictorum monasteriorum ad habitandum vo-
luerit») e di riscattare alla coltivazione le terre sterili e vacuae («ad pasti-
nandum et laborandum»). e nel 1151 il signore di marsico nella val d’agri
donò all’abate cavense un monastero nei pressi del castello (di marsico)
con un ampio territorio insieme alla facoltà di accogliere «usque duode-
cim casatos hominum (...) ad habitandum»25.
tra la fine del XII e, soprattutto, nella prima metà del XIII secolo, la
riorganizzazione delle campagne meridionali ebbe un impulso decisivo dal-
l’attività cistercense. Secondo l’anonimo autore della Cronaca di Santa
maria de Ferraria, Federico II si sarebbe servito dei monaci bianchi anche
per l’amministrazione delle sue aziende agricole (fattorie imperiali)26. Se
mario del treppo in un denso contributo del 1996 tendeva a ridimensio-
nare la testimonianza dell’ignoto cronista e la portata dell’azione dei ci-
stercensi nel contesto dell’economia agraria del mezzogiorno27, pare in-
dubbio che costoro costituissero un elemento decisamente dinamico per
quanto riguarda la colonizzazione delle terre di loro giurisdizione, anche in
virtù dei buoni rapporti con Federico II. per esempio, per favorire il popo-
lamento dei territori sottoposti all’abate del monastero cistercense di Santa
maria del Sagittario in Basilicata (terre per lo più incolte e ricoperte da fo-
reste), lo Svevo concesse a chi fosse andato ad abitarle numerose libertà e
privilegi. In particolare, l’abate avrebbe potuto accogliere uomini prove-
nienti da altre terre (demaniali o meno) ed averli in recommendationem.
lo status di recommendati consentiva loro di godere della protezione ab-

25
Si veda CaroCCI, Signorie di Mezzogiorno cit., pp. 287-289. e per gli esempi di mottola si
rimanda a dalena, Da Matera a Casalrotto cit., pp. 151-154, docc. nn. 1 e 2.
26
Ignoti Monachi Cistercensis, S. Mariae de Ferraria Chronica, a cura di a. gaudenzI, napoli
1888, p. 38.
27
m. del treppo, Prospettive mediterranee della politica economica di Federico II, in Frie-
drich II. Tagung des Deutschen Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994, a cura di
a. eSCh, n. Kamp, tübingen 1996, p. 318 sgg.

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baziale e di beneficiare di alcuni diritti (l’approvvigionamento delle acque,


la raccolta della legna, il pascolo etc.) senza essere sottoposti a prelievo fi-
scale. Si trattava di condizioni estremamente favorevoli in grado di attrarre
contadini e far ripartire l’economia agraria in ampie aree della valle del
Sinni28.

2. L’età angioino-aragonese

Con la conquista del regno di Sicilia, Carlo I d’angiò rinnovò la feuda-


lità normanno-sveva con l’immissione nei ranghi signorili di suoi fideles
provenienti dalla Francia, capaci di costituire una solida rete di consenso
alla sua politica e di avviare o riavviare l’economia specie nel settore agra-
rio29. al fianco dei nuovi feudatari ultramontani continuarono a sussistere
gruppi minoritari di conti e baroni appartenenti alla vecchia classe aristo-
cratica normanno-sveva convertiti alla causa angioina, come i d’aquino, i
Sanseverino, i ruffo, i Celano ai quali vennero restituiti i territori di antica
appartenenza e che ora sostenevano il sovrano nel processo di rinnova-
mento istituzionale del regno30. tuttavia, solo con i dati della subventio ge-
neralis del 1276 si può comprendere come la politica del primo sovrano
angioino entrasse nel merito degli insediamenti demici favorendo, o inne-
scando, forme di migrazione interna. Quei dati, confrontati con quelli de-
sunti dalla numerazione dei fuochi promossa da alfonso il magnanimo nel
1447, mostrano un elevato numero di abbandoni di casali e terre in linea con
quella che fu la tendenza nell’Italia settentrionale31. È tra XIv e Xv secolo
che si avviò quel vasto fenomeno di migrazioni interne e continentali, le cui
prime avvisaglie, nell’Italia meridionale si registravano già sin dalla prima
età angioina.
per esempio in Calabria lo stato di guerra permanente tra angioini e si-
culo-aragonesi, che perdurò per quasi tutto il XIv secolo, insieme alla
grande peste del 1348/50, amplificò i fenomeni di spopolamento e la re-
gressione delle forme di sfruttamento agricolo della regione. gli abbandoni

28
p. dalena, Basilicata Cistercense (Il Codice Barb. Lat. 3247), galatina 1995, p. 24.
29
J.-m. martIn, L’ancienne e la nouvelle aristocratie féodale, in Le eredità normanno sveve nel-
l’età angioina: persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno (atti del Xv giornate normanno-
Sveve, Bari 22-25 ottobre 2002), Bari 2004, pp. 106-108.
30
Ibid. per la Calabria si veda p. dalena, Calabria medievale. Ambiente e istituzioni (secoli XI-
XV), Bari 2015, p. 215 sgg.
31
Sulla diffusione degli abbandoni in europa si vd. h.B. SlICher van Bath, Storia agraria
dell’Europa occidentale (500-1850), torino 1972, pp. 225-238.

353
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definitivi riguardarono principalmente i casali rurali che per le loro mode-


ste estensioni e l’assenza di strutture difensive erano più soggetti ad attac-
chi militari e a spoliazioni. tra la fine del XIv e l’inizio del Xv secolo, in-
fatti, è possibile accertare la scomparsa di ben 61 casali nella sola Calabria
meridionale. Il tracollo appare ancora più evidente se si confrontano le li-
ste fiscali angioine relative alla Calabria per il 1276-1277 che segnalano
393 centri abitati e il Levamentum foculariorum regni del 1505 dove ne
sono ricordati solo 24532. ulteriori cause di fuga furono il banditismo, gli
scontri tra le aristocrazie locali e le vessazioni dei villani oberati da una
forte pressione fiscale33.
Ciò nonostante sussistono esempi notevoli di migrazioni di calabresi in
altre aree del regno. Così all’inizio del ’300 si ha un interessante caso di
spostamento di un consistente gruppo di vignaioli professionisti calabresi
per motivi economici, verso la Sicilia occidentale. Costoro si configurano
come veri e propri protagonisti di imprese colonizzatrici in un territorio
dove latifondo e coltura estensiva cerealicola avevano respinto in una po-
sizione di marginalità i vigneti. ai vignaioli calabresi si richiedeva di pian-
tare le viti e di mondarle, roncare, propagginare e realizzare i sostegni, die-
tro consistenti compensi in moneta e in natura34.
Sin dall’inizio del XIv secolo i sovrani angioini favorirono lo sposta-
mento di nuclei di popolazione rurale, in particolare verso casali che a causa
della guerra del vespro risultavano abbandonati. È significativo il caso del
villaggio (casale) rupestre di Casalrotto di mottola (ta). esso fu devastato
negli anni della guerra del vespro e del tutto abbandonato dai suoi abitanti.
Su istanza del preposito locale, rappresentante dell’abate di Cava, Carlo II
d’angiò nel 1302 scrisse al giustiziere di terra d’otranto affinché agevo-
lasse il ripopolamento del casale, offrendo condizioni favorevoli attraverso
la concessione di esenzione dai servitia insieme ad agevolazioni fiscali per
un certo periodo di tempo ai contadini che fossero andati a risiedere nel ca-
sale. Il sovrano, favorendo la mobilità orizzontale dei rustici, si poneva
l’obiettivo di attrarre in cinque anni almeno 33 famiglie (prima della guerra,
precisa, erano 50); in tal modo si sarebbe potuto ricomporre, almeno in

32
e. zInzI, Calabria. Insediamento e trasformazioni territoriali dal V al XV secolo, in Storia
della Calabria medievale. Culture arti tecniche, II.2, a cura di a. plaCanICa, roma-reggio Ca-
labria 1999 pp. 66-67. dalena, Calabria medievale cit., pp. 61-62.
33
dalena, Calabria medievale cit., p. 236 sgg.
34
g. BreSC-BautIer, h. BreSC, Riflessi dell’attività economica calabrese nella documenta-
zione siciliana, in Mestieri, lavori e professioni nella Calabria medievale: tecniche organizza-
zione e linguaggi, atti dell’vIII Congresso storico calabrese, Soveria mannelli 1993, p. 235.

354
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parte, il gettito fiscale (ipsi possint comode supportare) ora perduto a causa
degli abbandoni35. altre volte furono direttamente gli abati, in accordo con
le autorità locali, ad intraprendere tentativi di ripopolamento dei casali de-
vastati dalla guerra del vespro. Così, per esempio, nella Campania meri-
dionale nel 1299 l’abate cavense rainaldo concesse al gallicus oliviero de
Raccellis, di costituire un casale nel tenimento di San pietro ad Columnel-
lum, non lontano da eboli, ormai in rovina36: oliviero per prima cosa
avrebbe dovuto ricostruire a sue spese la chiesa, le case e reimpiantare le
vigne all’interno del casale per poterlo riabitare37; e poi cum consensu viri
nobilis Philippi de Tucciano domini Ebuli avrebbe dovuto separare il casale
ab Universitate eiusdem terre Ebuli in exactionibus et collectis. l’immunità
fiscale, infatti, era condizione fondamentale per attrarre nuovi abitanti. oli-
viero provvide a costruire nel casale unam tabernam sufficientem et con-
gruam nella quale avrebbe potuto trovare ospitalità anche l’abate di Cava
e il suo seguito (comitive sue) per unum diem et noctem volendo alloggiare
nel casale. Sarebbe stato, inoltre, suo compito defendere ab invasionibus,
molestiis, vexationibus gli abitanti del casale, forse elevando fortificazioni,
in anni di forte insicurezza per la guerra del vespro che proprio in quelle
terre aveva avuto uno dei momenti di maggior asprezza. altro compito di
oliviero sarebbe stato quello di mantenere un monaco del cenobio cavense
come cappellano della chiesa restaurata, per officiarla die noctuque sicut de-
cet e provvedere alla cura spirituale degli abitanti. In cambio della conces-
sione del casale cum vassallibus, iuribus, redditis et pertinentiis omnibus ad
ipsum casalem spectantibus, ogni anni oliviero avrebbe dovuto versare al-
l’abbazia cavense cinque moggi di buon frumento. alla morte di oliviero
e della moglie adelina, il casale sarebbe dovuto passare al monastero con
ben 24 buoi bonos et domitos pro facienda massaria in casali predicto, os-
sia per l’allevamento e per coltivare le terre del casale.
Spesso però tali politiche non conseguivano i risultati sperati e i tenta-
tivi di ripopolamento dei casali rurali con la concessione di sgravi fiscali si
rivelarono inefficaci, come dimostra l’abbandono, nonostante la riduzione
della collecta, dei 29 casali della contea di Squillace nel 1272-127338 e i

35
Si veda il documento edito in dalena, Da Matera a Casalrotto cit., pp. 163-167.
36
Il tenimento è ricordato come casale a partire proprio dal documento del 1299 (archivio della
SS. trinità di Cava aC, lXI, 32).
37
Così il passo del documento: «Sic tamen quod infra primum biennium casale ipsum prepara-
bimus et rehabitari faciemus domos, et vineas ...reparari.... ad hoc autem memorandum est quod
nos (oliviero e la moglie adelina) ecclesiam ipsam et domos expensis nostri propiis reparare fa-
cere tenemur...» (archivio della SS. trinità di Cava aC, lXI, 32).
38
dalena, Calabria medievale cit., p. 226.

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tentativi di alcuni baroni, come pietro II ruffo, di convincere re Carlo ad


adoperarsi per far tornare nelle sue terre quanti si erano allontanati per ra-
gioni fiscali39. nella Calabria angioina, maggiormente colpita dalla guerra
del vespro, le migrazioni interne furono determinate, oltre che dallo stato
di guerra permanente, da una serie di fattori concomitanti, come la crisi
delle produzioni agrarie, le vessazioni di una proterva e incontrollata classe
baronale e la necessità di ripopolare le terre abbandonate. molti villani fu-
rono costretti a insediarsi in nuovi centri abitati, altri furono costretti a ri-
tornare nei propri casali d’origine con la forza, altri ancora emigrarono fuori
regione e, infine, altri ancora furono coinvolti direttamente nel conflitto so-
ciale. per frenare questo flusso di risorse demiche i più avveduti feudatari
(soprattutto gli enti ecclesiastici) a metà del ’400 favorirono il ritorno de-
gli esuli attraverso la concessione di terre a patti vantaggiosi o attraverso la
fondazione di chiese rurali e piccole grange dove si sarebbe potuto rico-
struire un piccolo centro demico, come nel caso di Sant’angelo del Frigilo
le cui terre furono assegnate ai villani ad un canone bassissimo40. ma la Ca-
labria del ’400 (al pari di altre regioni del mezzogiorno) – come si è visto
– presentava cospicui vuoti demografici, difficili da colmare solo attraverso
lo spostamento di uomini da aree meglio popolate della medesima regione.
In un tale contesto si inserisce la vicenda delle migrazioni albanesi nella
regione (come pure in puglia, molise, Campania e Sicilia). recenti studi
hanno mostrato come la potente nobiltà feudale locale vedesse con favore
l’arrivo degli albanesi e ne stimolasse l’ingresso in Calabria grazie a con-
cessioni di residenza particolarmente favorevoli. tale atteggiamento poli-
tico dovette originarsi, più che dalla necessità di avere al proprio servizio
uomini scaltri nell’uso delle armi (come ha mitizzato una certa storiografia
anche in anni recenti), dal bisogno di colmare vuoti demografici e, di con-
seguenza, di far ripartire l’economia agricola con la messa a coltura di terre,
per la gran parte abbandonate e deserte, in un quadro di generale necessità
di ripopolare le campagne. Questo processo, a partire proprio dal Xv se-
colo, condusse l’economia e la società meridionale ad una radicale trasfor-
mazione dei propri assetti economico-sociali interni. e per la Calabria l’in-
versione di tendenza demografica appare ben evidente tra la fine del Xv se-
colo e la metà del XvI, anche grazie all’innesto dei nuclei albanesi (ma an-
che di valdesi, come si vedrà) nel tessuto socio-economico locale. venuto
meno il mito della grandezza militare, rimane la connotazione rurale e su-

e. pontIerI, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana nel secolo XIII, napoli 1950, p. 153.
39

g. CarIdI, Agricoltura e pastorizia in Calabria. Mesoraca dal XIII al XVIII secolo, reggio
40

Calabria 1989, pp. 23-80.

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balterna delle popolazioni albanesi insediatesi tra le impervie giogaie ap-


penniniche calabresi: non schiere di valorosi militari (che pure non manca-
vano, come si evince dalla lettera di Berardino ardoino del marzo 1491), ma
folle di contadini e pastori disperati, costretti ad emigrare a causa delle tri-
sti vicende che infiammavano le loro terre. un aspetto forse meno attra-
ente, privo di quel marcato profilo guerriero che pareva uno dei caratteri ori-
ginari delle stirpi arbëreshë, ma non per questo meno nobile: il duro lavoro
in un ambiente spesso ostile procurò infatti, nel tempo, una crescita sociale
ed economica (delle comunità arbëreshë) e contribuì ad alimentare il pro-
gresso della regione in maniera rilevante41.
non meno notevole nel quadro della migrazione di contadini risulta il fe-
nomeno insediativo (in Calabria, molise e forse anche in puglia), di val-
desi provenienti dalle valli a ridosso delle alpi occidentali (germanasca,
Chisone, pellice) a partire dalla prima metà del XIv secolo. le vicende del
movimento valdese, specialmente in Calabria, dal XIv secolo si incrocia-
rono con le logiche di ripopolamento e di riscatto dell’agricoltura di alcune
aree particolarmente depresse del mezzogiorno42. nel XIv secolo la mobi-
lità valdese a causa delle persecuzioni subite nelle vallate alpine («les plus
notables peuplades qui en sortirent, furent celles qui s’allèrent loger en Ca-
labre, apouille, et lieux circonvoisins, quasi à l’extremité de l’Italie vers
l’orient: où ils furent conviés par un des Seigneurs de Calabre»)43, si inse-
risce in un quadro dinamico di relazioni favorite dall’intento economico di
alcuni feudatari calabresi (la gran parte provenienti dai ranghi della nobiltà
angioina che doveva conoscere bene le attitudini contadine di questi valli-
giani) che avevano interesse a riannodare esperienze agricole e a riattivare
l’economia signorile favorendo il loro insediamento in cambio di un ca-

41
Si veda a tal proposito p. dalena - a. dI muro, Dalle origini al Medioevo, in La Calabria
albanese. Storia, Cultura, Economia, a cura di F. mazza, Soveria mannelli 2013, pp. 25-61.
42
per la presenza delle comunità valdesi nel mezzogiorno d’Italia si vedano i recenti lavori di
a. tortora, Presenze valdesi nel Mezzogiorno d’Italia (secoli XV-XVII), Salerno 2004 e Val-
desi nel Mediterraneo. Tra medioevo ed età moderna, a cura di Id., roma 2009. luigi amabile,
ritiene che i primi valdesi si stanziarono nell’attuale territorio di guardia piemontese (CS), in
età sveva: sarebbe testimonianza di ciò un’evidenza documentaria con la quale Carlo I d’angiò
avrebbe confermato agli abitanti un privilegio di esenzione dal servizio militare e dal pagamento
delle imposte, concesso loro dagli svevi (l. amaBIle, Il Santo Officio della Inquisizione in Na-
poli. Narrazione con molti documenti inediti, I, (rist. anast.), Soveria mannelli 1987, pp. 236-
237.
43
p. gIlleS, Histoire ecclésiastique des eglises reformees: recueillies en quelques valees de
Piedmont, & circonvoisines, autrefois appelees Eglises Vaudoises, commençant des l’an 1160,
ginevra 1644, p. 18.

357
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none annuo e con la facoltà di costituirvi comunità esenti da obblighi feu-


dali44. la comunità valdese inizialmente si stabilì nel territorio di montalto,
nel cosentino, dove costituì un borgo detto degli ultramontani «per via dei
monti appennini che stanno tra le valli e quei luoghi»45. agricoltori, pa-
stori e allevatori di animali di piccola taglia, i valdesi coltivarono la loro
fede religiosa esercitata non già sotto forma di apostolato, ma nella sem-
plicità della vita rurale che condivisero con la popolazione locale in cui ini-
zialmente seppero integrarsi46.
un esodo più massiccio verso la fine del secolo successivo venne favo-
rito dalla politica agraria e dalla riforma fiscale di re Ferrante. al 1477, in-
fatti, risalgono due documenti rinvenuti negli archivi dipartimentali di
marsiglia che registrano un contratto per il noleggio di un’imbarcazione in
partenza dal porto di marsiglia, con un equipaggio composto da intere fa-
miglie del delfinato dirette a napoli. e due mesi dopo, un’altra imbarca-
zione partiva da marsiglia alla volta di paola; questa volta il documento
precisa che l’equipaggio era composto da valdesi provenienti dalle vallate
alpine della Francia meridionale47.

***
In conclusione, nel mezzogiorno bassomedievale la nascita e il succes-
sivo sviluppo delle signorie territoriali non significarono un appiattimento
della condizione dei rustici alle categorie servili, né tantomeno si verifica-
rono rilevanti limitazioni della mobilità orizzontale. anzi, come si è visto,

44
Ibid. più preciso su questo passaggio luigi amabile il quale fa riferimento ad una cronaca
scritta da alberto de Capitaneis (arcidiacono di Cremona e contemporaneo degli avvenimenti)
il quale faceva riferimento ad «un proprietario di terre in Calabria, verso il 1315 o il 1340, [che]
s’incontrò in torino con gente de prajelas, e le offrì una parte di queste per coltivarle, e così detta
gente venne in montalto (…). In somma, verso il 1315, uno de’ Signori di Calabria (forse ugo
del Balzo siniscalco del re roberto), incontratosi per caso in torino con alcuni valdesi, abitanti
delle valli alpine del piemonte, i quali lamentavano l’insufficienza delle loro terre, offrì le terre
di Calabria, dove avrebbero potuto stabilirvi» (amaBIle, Il Santo Officio cit., p. 236).
45
«et tout aupres de montalto ils edifierent au commencement le bourg qu’on appella Borg
d’Oltremontani (…). puis environ cinquante ans apres, ceux ci estans multipliez et accreus par
d’autre qui y arrivoyent des valles de temps en temps» (gIlleS, Histoire ecclésiastique des egli-
ses reformees cit., p. 19).
46
I valdesi poterono così espandersi a San Sisto, a vaccarizzo, a San vincenzo, a Castagna, a
la guardia, quest’ultima edificata da loro stessi (J.p. perrIn, Histoire des Vaudois, genève
1618, c. vII, pp. 197 e ss.. Inoltre cfr. e. pontIerI, Le colonie valdesi di S. Sisto e Guardia a metà
del secolo XVI, in Id., Nei tempi grigi della Storia d’Italia. Saggi storici sul periodo del predo-
minio straniero in Italia, napoli 1966, pp. 161-162).
47
nell’ultimo decennio del Xv secolo si verificò una nuova immigrazione di valdesi dalle valli
piemontesi a seguito delle persecuzioni di Filippo II di Savoia e di papa Innocenzo vIII,

358
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in alcuni casi furono proprio le aristocrazie terriere e i feudatari a stimolare


le migrazioni largheggiando in privilegi, franchigie ed esenzioni che ne
agevolassero condizioni di residenzialità. Ciò, chiaramente, non impedì
che forti tensioni sociali scandissero la vita nelle campagne meridionali,
soprattutto per la tendenza dei domini locorum a considerare i contadini
dipendenti come beni personali, dei veri e propri “beni strumentali” anche
in virtù di una serie di obblighi che puntavano a istituire forme di dipen-
denza sempre più strette (i servizi sul dominico, gli exenia, le salutatio-
nes). In genere le negoziazioni tra signori e contadini che si evincono dalle
consuetudines e il ricorso (ben attestato in età angioina) al sovrano, nei casi
in cui alcune forme di signoria tendevano a divenire troppo pervasive, riu-
scirono ad attutire le tensioni che inevitabilmente si creavano e ne lacera-
vano gli instabili rapporti. del resto, quando questa sorta di “ammortizza-
tori sociali” si rivelavano inefficaci, si innescavano rivolte e insurrezioni,
talvolta cruente48. l’istituto della signoria immunitaria, per lo più concessa
dai sovrani ai monasteri, ma anche a laici (che risaliva in alcune aree del
mezzogiorno almeno al X secolo), giocò un ruolo importante nella crea-
zione di piccoli borghi e casali, attirando contadini dinamici che ne intra-
vedevano la possibilità di emanciparsi e di risalire nella scala sociale. del
resto molti contadini dalla condizione di non liberi si emanciparono tra-
sformandosi via via in allevatori e piccoli proprietari terrieri che dettero
impulso all’economia agro-pastorale.

ordinate nel 1487 con la bolla Id nostri cordis vota. tale nuovo esodo interessò la Calabria, la
puglia e il molise. In questa circostanza, nel 1497 il re aragonese Ferdinando II rinnovò ai val-
desi gli accordi già conclusi sotto il regno angioino (g. audISIo, Un exode vaudois organisé:
Marseille-Naples (1477), in Histoire et Société. Mélanges offerts à Georges Duby, aix-en-pro-
vence, 1992, vol. Iv, t. 1, pp. 197-208; la trascrizione integrale dei due documenti è in a. genre,
“Naulisamentum navigii pro Valdensibus”, in «novel temp», 39, 1991, pp. 8- 26. Inoltre C.
nardI, Notizie di Montalto di Calabria, tivoli 1954, p. 138; pontIerI, Le colonie cit., p. 163).
48
per questo aspetto si veda g. vItolo, Rivolte contadine e brigantaggi nel Mezzogiorno an-
gioino, in «annali dell’Istituto alcide Cervi», XvI (1994), pp. 207-225.

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