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Indianapolis The Circle City

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Indianapolis The Circle City

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Indianapolis The Circle City

ISBN: 9780253021618
Category: Media > Books
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Language: English
Website: alibris.com
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.
astrología si poteva sapere il corso di tutta la vita degli uomini, e se
un principe o capitano sarebbero felici o no nelle loro imprese.
«Disse e confessò che avea predetti molti eventi della guerra con
Castruccio, e della passata del Bavaro, e tutto per iscienza
astrologica e per osservazione del corso de' cieli.
«Disse e confessò aver usato prodigj per arte magica e
negromantica a fini illeciti e perversi.
«Ancora disse e confessò, come, interrogato da un certo fiorentino,
rispose esser vere le cose che si contengono nell'arte magica e
negromantica; e replicando il fiorentino: se fosse vero, i potenti
uomini acquisterebbero tutto il mondo; ed esso rispose: perchè non
sono nel mondo tre astrologhi che si sappiano servire di quell'arte. E
questo disse aver detto per sè, che fece più in arte di astrología che
verun altro da Tolomeo in qua.
«Disse ancora e confessò che, secondo il corso delle stelle crede che
nascano i costumi, le operazioni e fini degli uomini; e che, pregato
da un certo Fiorentino che gli esponesse il libro che tratta dei segni e
congiunzioni degli uomini, gli insegnò trovare un certo commento
ch'egli avea fatto sopra esso libro.
«Confessò altresì di aver composto certo suo libello sopra la sfera del
mondo, asserendo che detto libello era stato corretto dopo la sua
abjurazione da frate Lamberto inquisitore predetto.
«Ma qual cosa più falsa che l'asserire non essere state cassate da
quel libro, se l'inquisitore l'avesse corretto, tante cose infeste, orribili,
sciocche e contrarie alla salute umana, eretiche e nemiche della
cattolica verità? Qual cosa più inimica a Dio e agli uomini, che
sottoporlo alla necessità delle stelle, il quale per noi ricomperare la
morte, e lavare i nostri peccati, volle morir sulla Croce? Qual più
pestilente dottrina che quella da lui insegnata, la quale nega la
libertà dell'arbitrio? Nè si scusa col dire che il libello sulla sfera è
stato corretto dall'inquisitore di Lombardía, il che non è vero, nè
verosimile; anzi piuttosto si trova il contrario per lettere del
medesimo inquisitore; ma, dato che fosse corretto, un altro non
corretto ne tenne e lo usò, nella qual cosa è peccato maggiore. Nè lo
difende quello che è scritto nella fine di detto libro; che, se vi fossero
scritte alcune cose non bene dette, se ne rimette alla correzione
della santa madre chiesa, perchè nel medesimo libro si sono trovate
eresíe manifeste, insegnate anche dopo che abjurò l'eresía; e basta
ch'egli abbia ingannato una volta la chiesa, per ritenere che essa
protestazione è direttamente contraria al fatto, la quale non
alleggerisce, ma piuttosto aggrava il protestante.
«Laonde noi inquisitore predetto, vista e considerata la sentenza
data per il predetto frate Lamberto inquisitore di Lombardía, sedente
a Bologna, con la dichiarazione che ricevette la penitenza; e viste le
altre cose che abbiamo sapute dal medesimo inquisitore; visto
ancora i testimoni e le testimonianze per noi ricevute e formate
contro di lui, e le confessioni che ha fatto; e il termine assegnatogli,
dopo che gli fu approvato il processo e datogli le difese; e
benignamente aspettato tre giorni; e anzi dopo il tempo
assegnatogli, dinanzi al venerabile padre e signore cardinale
Giovanni legato della sede apostolica, di messere lo vescovo e altri
insigni prelati, letti al medesimo maestro gli errori, la confessione ed
abjurazioni predette, egli di sua spontanea volontà le confessò e
riconfessò essere vere; visto ancora ogni e qualunque altro atto del
processo, e i nomi dei detti testimoni pubblicati, secondo il modo
debito, e per ordine dimostrati e dichiarati al nobile e religioso uomo
messer Cante da Gubbio, vicario generale del venerabile messer
Francesco vescovo fiorentino, e di molte altre persone probe e
discrete, e dottori di leggi, chiamati per consultare se sia da
procedere a sentenza contro il maestro degli errori, siccome contro a
relasso in eresía abjurata: e tutti i nominati, ed altri assaissimi
religiosi, lettori di sacra teología, dopo maturo consiglio, e avuta
insieme con noi matura deliberazione;
«Invocata la grazia di Dio e dello Spirito Santo; sedendo pro
tribunali, di consenso del venerabile padre, signore, vescovo
fiorentino, pronunziamo in questi scritti, il predetto maestro Cecco,
eretico costituito in nostra presenza, essere ricaduto nell'eresía
abjurata, ed essere stato relasso; e per questo doversi rilasciare al
giudizio secolare, e lo rilasciamo al nobile soldato e cavaliere
messere Jacopo da Brescia, vicario di monsignore lo duca Carlo,
presente e recipiente, che lo debba punire con debita
considerazione; e sopra ciò, che il libello suo superstizioso, pazzo e
negromantico, fatto dal detto Cecco sopra la sfera, pieno di eresía,
falsità, inganno; e un certo altro libello volgaro, intitolato Acerba, il
nome del quale esplica bene il fatto, avvenga che non contenga
maturità o dolcezza cattolica, ma vi abbiamo trovate molte acerbità
eretiche; e principalmente quando c'include molte cose che si
appartengono alle virtù e costumi, che riduce ogni cosa alle stelle,
come in causa; con ogni altra sua opera, scritto o dottrina,
deliberiamo e comandiamo per sentenza doversi abbruciare; e
all'eretico desiderando tagliare le vene della fonte pestifera, per
qualunque meato derivino, vietiamo che si possano leggere e
ritenere da veruno, sotto pena di scomunicazione e altre pene
corporali, secondo le leggi canoniche.
«La detta sentenza fu data e pronunziata, e la promulgazione e la
rilassazione fu fatta per il detto inquisitore, sedente pro tribunali, nel
coro della chiesa de' frati minori di Firenze, presente il detto messer
vicario e suoi assessori, soldati e famiglia, riceventi il detto maestro
Cecco sotto gli anni dell'Incarnazione del Signore 1327, indizione
decima, il dì 20 di settembre, presente il detto Cecco rilassato, e gli
infrascritti testimonj:
«Bernardo de Ricci, compagno dell'inquisitore — Ser Antonio Graci —
Ser Lore da S. Maria Novella — Borghino di maestro Chiarito da
Prato — Dinco Ducci — Neri Giovannini — Manovello di Jacopo».

Maestro Cecco fu menato al detto messer Jacopo da Brescia, legato


colle mani dietro; e con molta furia di parole ed atti irosissimi gli fe'
mettere i ferri in gamba, e per quella notte rinchiudere in
strettissima prigione. La mattina seguente fu menato dinanzi a
messer Jacopo, il quale aveva avuto il processo, che gli fece leggere
da capo, e il maestro raffermò quello che aveva detto dinanzi
all'Inquisitore. Allora messer Jacopo disse:
— Vedi, maestro, o tu fai quello che io voglio, condannando i tuoi
errori, e le tue eresíe, o io ti spaccerò.
E il maestro:
— Stolte sono le tue parole; la invidia e la ignoranza mi hanno
condotto qui; ma la verità non si muta, e troppo è più forte di esse.
Intanto già era cominciato a sonare, come dicevano, a
condannagione, e poste fuori le bandiere, e armavasi la famiglia,
quando venne un messo dell'Inquisizione, dicendogli:
— Maestro Cecco, tu vedi che la famiglia si arma per menarti alla
morte. Io non so che uomo tu sei: perchè non credi quello che
credono gli altri? Il Vescovo e l'Inquisizione mi hanno mandato qui,
che io ti venga a dire, se vuoi ritornare alla chiesa e rimanerti dei
tuoi errori, acciò che vegga il popolo che la chiesa è misericordiosa
fino all'ultimo.
E il maestro senza verun segno di apprensione:
— La morte mi veggo dinanzi agli occhi, e non temo. Credo quel che
è vero, ed i miei nemici sanno che io nol discrederò mai; e simulano
adesso misericordia e benignità per ingannare il popolo come
sempre hanno fatto.
Allora la famiglia lo trasse con grande impeto fuori della porta, e
rimaso tutto solo tra berrovieri e mascalzoni, scalzo, con una
gonnelluccia in dosso, parte de' bottoni sfibbiati, senza nulla in capo;
e andava con la testa alta, senza verun segno di paura o terrore. Vi
era tanto popolo che appena si poteva vedere; e a molti
increscendone, gli dicevano:
— Non voler morire: pentiti; rimanti dei tuoi errori.
Ed altri:
— Sciagurato! tu hai il diavolo addosso, che ti trascina alla morte.
E così in più punti del suo ultimo doloroso cammino chi gli diceva
una cosa, e chi un'altra: esso rispondea sempre più costantemente
che mai, e sempre mostravasi più impavido.
Quando fu in sulla piazza de' Priori (oggi della Signoría) quivi era
andato a vederlo passare anche monna Simona, la quale, tra gente e
gente, erasi ficcata molto innanzi; e sulla piazza medesima era
appostato il valletto di messer Guglielmo coi suoi compagni, per
tentar di levar rumore, e vedere se in quel subbuglio venisse lor fatto
di liberar il maestro. La vecchia a cui maestro Cecco passò molto da
vicino, vedendolo a quel modo lacero e malconcio, si sentì proprio
serrare il cuore, ricordandosi in quanta stima l'avea veduto tenere
dal suo sere, ed anche dal bel cavaliere; sicchè non si potè tenere
che la non facesse un acuto strillo; e poi non dicesse ad alta voce:
— Oh Dio! come l'hanno condotto! che strazio hanno fatto di un
tanto maestro!
E voltasi poscia a lui proprio:
— Maestro Cecco, riconoscetemi voi? Deh! maestro, non vogliate
morire! fuggite dalle mani di cotesti cani.
Il maestro le si volse benignamente, dicendo:
— Buona Simona, il vederti mi è consolazione. Non piangere su me,
piangi sopra i miei nemici.
Il popolo d'attorno alla Simona, udendo le sue parole, e vedendo i
suoi atti così disperati, e la temperata e grave risposta del maestro,
se ne commosse; e seguitando ella il maestro, o volendo pur dire, la
famiglia del vicario del duca, volle metterle le mani addosso. Allora si
levò un poco di rumore tra la gente d'attorno, e la Simona strillava
orribilmente, che non voleva lasciarsi menar presa. A un tratto si ode
dal lato opposto una voce:
— Muora la famiglia del vicario.
Ed in un altro punto:
— Viva maestro Cecco d'Ascoli: su, brigate, liberiamolo da costoro.
E molti del popolo già levavano il rumore. La famiglia del vicario,
udendo tali grida, si mise in forte sospetto, e tutti si volsero verso là
dove il rumore si faceva, e pensarono prima di tutto ad assicurarsi
del reo, il quale non dava segno veruno nè di speranza, nè di paura:
ed in questo fru fru della famiglia, potè la povera Simona, un poco
da sè e un poco ajutata, svignare dalle unghie di uno de' famigliari
dei vicario che già l'avea ghermita, e ritrarsi salva alle case de'
Cavalcanti, di lì poco discoste. Il rumore intanto si faceva grande,
benchè molto popolo per la paura fuggisse chi qua chi là; e la
famiglia avea gran fatica a schermirsi dalla furia dei non pochi
assalitori, i quali a lungo giuoco l'avrebbero sopraffatta, e toltogli
Cecco dalle mani, se tosto non accorrevano parecchi fanti del
podestà, all'apparir de' quali coloro che avevano levato il rumore,
vedendo di non potere in modo veruno resistere, fuggirono chi per
un verso e chi per un altro; ed il rumore fu tosto acquetato, e il
maestro riprese il doloroso viaggio.
Venuto alla piazza del Grano [37], essendovi molte donne alla
finestra, e tavolieri, e gente che giocava, gli dicevano:
— Pentiti, pentiti.
E Cecco senza ira e senza paura:
— Pentitevi voi de' peccati, delle usure e degli altri brutti vizj.
E uno fra gli altri gli andò dando molta briga per più d'una
balestrata, dicendogli:
— Tu se' martire del diavolo: credi tu di saperne più che tanti
maestri?
Con altre simili parole e vituperosi motti e scede, alle quali Cecco o
non rispondeva, o rispondeva solo parole sentenziose o gravissime.
Egli per altro era così vinto dalla fatica, così oppresso dal caldo, ed
aveva tanta seccagione che spesso volle chiedere da bere, ed allora
ripigliava forza, in modo che pareva un altro uomo, e poteva bene
rispondere a coloro che continuamente gli volgevano parole o di
compassione, o di preghiera o di scherno. Volto il canto da Santa
Croce per andare alla porta della giustizia, gli dette molta briga un
suo antico famigliare con molte parole:
— Maestro, non vogliate morire: pentitevi; sarete perdonato; non
siete però tra' pagani.
— Peggio che pagani: io voglio morire per la verità.
— Poniamo che sia codesta la verità; non dovete morire per ciò.
— Per la verità morì S. Pietro; e a S. Paolo fu tagliato il capo.
— O, negò San Pietro.
— E se ne pentì.
— Or bene, tu lo potrai fare anche tu, però che, se S. Pietro fosse
qui, e' negherebbe.
— No, nol farebbe; e se il facesse farebbe male.
Uscito dalla porta della giustizia [38] era serrata la chiesa di Santa
Maria del Tempio, che lo avevano comandato i nemici di Cecco,
acciocchè paresse che non credesse in Cristo. Quando finalmente fu
sul luogo della giustizia, il banditore bandì, e fecero un cerchio di
cavalli attorno al capannuccio, onde poca gente potè entrare nel
cerchio; e molti saliron sul muro dell'Arno, che era lì presso, tanto
che si potesse vedere molto bene.
Arrivato maestro Cecco dinanzi al capannuccio non mutò aspetto
neppur là; ma arditamente vi entrò dentro: ed essendo già legato
alla colonna, alcuni misero il capo dentro, pregandolo che si
pentisse. Ed egli stava sempre forte; e ad uno che pur il pregava,
spesso dicendogli:
— Perchè vuoi tu morire così?
Egli rispose:
— Questa è una verità che ho sempre albergato in me, della quale
non si può rendere testimonio se non dopo morto.
Allora, per ispaurirlo, fecero molte volte fumo attorno il capannuccio,
e molti altri spaurimenti; infine, dopo molte battaglie, dategli sempre
invano, misero fuoco al capannuccio; e com'egli lo sentì appiccato,
volgendosi col capo, che con la persona non potea, verso Firenze,
disse con gran voce:
— Firenze, questo supplizio è tua grande vergogna; la tua
obbrobriosa servitù a' signori stranieri, a' frati ed a' preti, ti farà per
molti secoli cieca, e ferma incontro al tuo bene: il tribunale che mi
ha condannato...., qui fece un atto come se starnutisse, nè disse se
non l'ultima parola; che fu:
— Maledetta sie tu...
E essendo arsi i legami che il tenevano legato alla colonna, cadde in
terra ginocchione, con la faccia volta verso il cielo, e la bocca tonda
già morto.

CONCLUSIONE.

Il fiero caso di Cecco d'Ascoli e la sua meravigliosa costanza sbalordì


tutti; e molti se ne addolorarono in Firenze e fuori, che il tenevano
solenne scienziato; e c'è chi racconta [39] come papa Giovanni XXII,
saputa in Avignone la novella di questa morte, dicesse publicamente
al cospetto di tutta la corte: I frati minori hanno perseguitato ed
ucciso il principe dei filosofi peripatetici.
Il giudizio, che della scienza e dottrina di Cecco fu fatto nei secoli
posteriori, è vario e diverso, chi dicendolo filosofo nobilissimo, come
tra gli altri, ai dì nostri, Guglielmo Libri; altri un volgare astrologo, un
ingegno balzano, e vanamente ambizioso.
Leggendo attentamente l'Acerba e il Commento alla Sfera del
Sacrobosco per altro, si raccoglie che un carattere scientifico assai
largo lo avesse, benchè il fondamento sia falso: rinnovare la vita
umana nel suo triplice aspetto intellettuale, morale, religioso. Il suo
nuovo scibile era la necessità universale, e l'antivedere: le
intelligenze sono cagioni: le stelle organi loro proprj; sotto la luna
ogni cosa effetti necessitati; dall'uomo alla pietra una sola catena
obbediente alla forza. Ma l'uomo, mediante la scienza, costringe le
intelligenze astrologiche e demoniache a palesargli il futuro; il qual
potere della scienza lo vendica, se nol sottrae, dall'assoluta
necessità, e quasi lo divinizza. La onnipotenza sola di Dio può
sottrarre l'uomo alla legge della necessità; ma solo alterando l'ordine
della natura. Questa dottrina non poteva naturalmente trovarsi
d'accordo con la dottrina della chiesa cattolica; e come il papa e i
preti e frati avevano in mano la forza, ed il tribunale dell'Inquisizione
era allora accettato e favorito e temuto altresì generalmente da
principi e da repubbliche, era necessario che maestro Cecco d'Ascoli
pagasse col fuoco queste sue strane dottrine.
Non senza gran ragione gli uomini saggi e amanti del vivere civile
hanno sempre mostrato orrore di questo barbaro ed inumano
supplizio; meravigliando come una religione tutta amore e carità si
porgesse in questi casi tanto spietata e crudele. La chiesa per altro
era accorta: non erano leggi sue quelle che condannavano al fuoco
gli eretici; erano leggi degli imperatori di Germania, e massimamente
di Federigo II, nemico pur esso del papa, ed anche eretico nel
concetto dei cattolici d'allora; e queste leggi furono accettate come
diritto comune: per forma che la chiesa ne usciva a bene, e levava
come suol dirsi, la carne dalla pentola bollente, con la zampa degli
altri. I suoi tribunali non condannavano al fuoco; dichiaravano
solamente il tale essere eretico; e lo consegnavano al braccio
secolare, che gli eretici condannava al fuoco.
Del rimanente questa era colpa più dei tempi che d'altro: ed anche
qualcuno di coloro, che si celebrano per vittime del furore papale, e
per apostoli di libertà e di viver felice, vagheggiavano questo
supplizio, tra' quali mi basterà il ricordare fra Girolamo Savonarola —
il cui supplizio è anche dopo quattro secoli cagione di fremito a' suoi
devoti — il quale nel suo opuscolo contro gli astrologhi esclama: «O
stolti, empii ed insensati astrologhi! contro di voi non è da disputare
altrimenti, che col fuoco». E ciascuno sa come Calvino stesso ricorse
a questa sentenza contro chi non la pensava come lui in opera di
religione. Intorno poi agli ultimi momenti della vita di Cecco vanno
attorno delle tradizioni plebee, e senza verun fondamento storico; le
quali tuttavía mi pajono qui da ricordare secondo che le racconta il
Manni, nelle sue Veglie piacevoli. Si dice dunque, che un tale, chi che
si fosse, aveva già avvertito Cecco d'Ascoli, che, se aveva cara la
vita, stesse lontano dall'Affrico e dal Campo di Fiore; il perchè, mai
non volle andare a Roma, dove è Campo di Fiore, nè mai alla sua
vita uscì fuor di casa, allorchè spirava il vento Affrico. Ora, essendo
egli condotto al supplizio, séguita la tradizione, e vedendo esser vana
ogni speranza di campar la morte, domandò se forse quel luogo si
chiamasse Affrico, a che fugli risposto, quel luogo chiamarsi Campo
di Fiore, ed Affrico essere il nome di un piccolo fiumiciattolo che
scorrea lì poco lungi. Udito ciò maestro Francesco, vide di esser
morto, ed esclamò: Actum jam de me est (sono spacciato). L'altra
favola è questa: Che quando maestro Cecco era per essere
abbruciato diventava un fastello, o un covone di paglia, e così usciva
dalle mani dei ministri della giustizia; ma che, dopo essere succeduta
questa beffa più volte, mentre era ricondotto alla morte, affacciossi
ad una finestra della chiesa di Santa Maria Maggiore d'onde doveva
passare [40], una persona, che sapeva il suo incantesimo e gridò:
Non gli date bere; perchè, avendo egli formato tal patto col diavolo,
per esser lui liberato in quel mo' dalla morte, bevendo, non si
sarebbe potuto farlo morire. Ed aggiungesi che per tal fatto nel muro
laterale della chiesa si pose l'effige in marmo di colui che così parlò.
Ora diasi fine al presente lavoro, raccogliendo in poche parole come
cessò la signoría del duca di Calabria, e come capitarono le persone
di nostra conoscenza.
Il tribunale dell'Inquisizione, dopo la sentenza e il supplizio, prese
sempre maggior piede e maggior baldanza; ma per contrario ne
scadè molto la signoría del duca Carlo, il quale ben tosto ebbe
rimorso di aver lasciato far sì atroce giustizia di maestro Cecco, e
perdendo lui, gli era parso di rimanere smarrito. Il Bavaro dall'altra
parte avanzava sempre di più: e sentendo il duca, com'egli, partito
da Pisa, era già entrato in Maremmo, il dì 24 di dicembre, cioè tre
mesi dopo la morte di Cecco, fece un gran parlamento su in palagio,
dove furono i priori, i capitani di parte guelfa, e tutti i collegj, e gran
parte della miglior gente della città grandi e popolani; e quivi per
suoi savj, solennemente e con belle diceríe, annunziò la sua partita,
la quale diceva essergli di necessità per guardare il suo regno, e per
contrastare alle forze del Bavaro; e confortando i Fiorentini che
rimanessero fedeli a parte di santa chiesa: e che lasciava loro per
loro capitano messer Filippo da Sanguineto, e per suo consiglio
messer Giovanni di Giovannozzo e messer Giovanni da Cività di Rieti,
e gente d'armi di mille cavalieri, pagandogli 200 mila fiorini d'oro,
come se ci fosse, promettendo che verrebbe egli in persona, dove
bisognasse, con tutte sue forze, in ajuto di Firenze; alle quali cose
tutte acconsentirono i Fiorentini. Il duca il giorno dopo, che fu il dì di
Natale «fece, come scrive Giovanni Villani, gran corredo (oggi si
direbbe fece gran ricevimento), e diè mangiare a molti buoni
cittadini, e gran corte di donne, con grande festa e allegrezza; e poi
il dì 28 di dicembre si partì di Firenze con tutti i suoi baroni; e poi
morì l'anno appresso per una febbre presa a caccia».
Maestro Dino del Garbo, dopo le ultime parole che dissegli maestro
Cecco, e dopo il romore che per esso accennò di levarsi, non ebbe
più bene di sè; e, o fosse lo strazio del rimorso, e forse anche la
paura della predizione, si ammalò gravissimamente, e pochi giorni
dopo la morte di Cecco, a dì 30 di settembre, morì anch'egli.
Frate Marco, dopo la tortura e dopo la prigionía, fu mandato a un
monastero di strettissima osservanza, dove fece vita di continua
penitenza.
La badessa visse poco più, consumata da una lenta febbre; nè più la
poterono rivedere Guglielmo e la Bice, che vissero lunghi anni: e
dopo la morte di messer Geri, tornato messer Guglielmo in Puglia,
colà nella signoría datagli dal re Roberto, da loro ebbe principio una
delle più nobili famiglie di quella regione. Della Simona non ho
trovato che cosa ne fosse.
Qui finisce il racconto, e non ho cuore di domandare a' lettori ed alle
lettrici se ne hanno preso tanto o quanto diletto, ovvero uggia e
fastidio. La volontà mia era quella di evitare così le noje, e le
minuziosità e le lungaggini degli uni, come le convulsioni epilettiche
degli altri.
Se non mi è riuscito, i lettori e le lettrici me lo perdonino;

«Chè non può tutto la virtù che vuole».


GLOSSARIO.

Altro ieri. Bene l'altrieri. Più giorni addietro, o come ora si dice
L'altro giorno.
Asciolvere. Il primo pasto della mattina, la colazione.
Assisa. Ad una assisa. Tutti ad un modo, co' medesimi colori, e colle
medesime armi.
Asserragliare. È ciò che ora si dice, con modo francese, Far le
barricate, o Barricare.

Banderajo. Ora si dice il Portabandiera.


Battifolle. Bastione forte, e ben munito.
Bello. Mio bel cugino, Bel frate, e simili. Erano modi amorevoli ed
affettuosi. Ora si dice: Mio caro cugino, Caro frate.
Benedetto Dio. Modo di affermare risolutamente.
Buonomini. Erano un antico ufficio della repubblica; deputato al
consigli della signoría.

Caldo. Istigazione, Favore dato segretamente.


Calze. Era tutto il vestimento della gamba fino alle anche; e si
facevano di materia e colori diversi.
Capannuccio. Così chiamavasi la catasta dove si bruciavano i
condannati al fuoco: i Latini la dissero Pira.
Capitudini. Così chiamavansi i collegj delle arti maggiori in Firenze;
ed anche i Capi di tali collegj.
Capoletto. Panno di nobil materia, e lavoro, da adornarne le pareti
della camera, specialmente a capo del letto. Si disse anche in
generale per ciò che ora dicesi Arazzo.
Caporale. Comandante di una schiera militare, come or si direbbe
Generale, o chiunque ha alto grado militare.
Castellare. Castello non forte nè munito.
Cavalcare. Far viaggio a cavallo. Andare in un luogo facendo il
cammino a cavallo.
Cella. Cantina, stanza sotterranea dove si serba il vino.
Cerna. Fare la cerna era il Raccogliere, lo scrivere milizie; o come or
dicesi Chiamar sotto le armi coloro che per legge hanno tal debito.
Cessi Dio. Cessilo Iddio. Dio mi guardi, Dio me ne guardi. Dio non
voglia, e simili.
Chericía. Tutti i cherici addetti a una chiesa o cattedrale, o
collegiata; e si dice anche dei preti in generale; oggi Clero.
Cioppa. Era una specie di sopravveste che, stretta alla vita,
scendeva in piccole falde.
Còle. Voce del verbo latino Colere, allora usitatissima; e vale
Riverisce, Onora, e simili.
Còlla. La corda con la quale si tormentavano i testimoni e i rei per
costringergli a dire il vero.
Collegj. Erano un magistrato da cui la signoría pigliava consiglio ne'
casi gravi e dubbj.
Compagnía. Società di commercio, come dicesi ora, o Ditta
commerciale, o Casa.
Conforto. Fu comunissimo il dire a' conforti di alcuno, per dire
secondo i consigli e le suggestioni di esso, o incoraggiato da lui.
Consorto. Parente, che ha qualche grado di parentela con
qualcuno.
Cosa ch'io possa. Modo comune ne' secoli passati per dimostrare
la buona volontà di soddisfare a chi dice di voler un favore da noi.
Correre. Correre un paese. Lo scorrerlo con forza armata, o per
pigliarne possesso, o per saccheggiarlo.
Credenza. Segreto, Cosa da tenersi segreta. § Aver credenza, vale
Essersi stata confidata cosa da tenerla segreta.
Cuocere. Fu usato comunemente per Cucinare, Far da cucina.
Cuore. Di gran cuore. Volentierissimo, Di bonissima voglia.

A Dio v'accomando. Era modo comune per dare altrui commiato;


e anche per prenderlo. Ora è rimasto solo un mozzicone; e dicesi
Addio; che è pure una reticenza dell'antica formula.
Divisa. Arme o Scudo gentilizio; così detta da' varj colori onde è
composta.
Donneare. Ora si direbbe Fare all'amore.
Doppiere. È ciò che ora si dice Torcia di Venezia.

Ferire un torneamento. Combattere in un torneo.

Gabbarsi di alcuno. Farsene beffe, Schernirlo.


Giubbone. Sopravvesta a vita, elegante e di lusso.

Lattovaro. Composto di varie materie medicinali ridotte a


consistenza di manteca, e che ha per fondamento lo zucchero o il
miele.
Leggiadro. Fu detto anche per Svenevole, Affettato, Lezioso, e
simili.
Libbra. Fu detto anche per Imposizione, Gravezza, Imposta.

Madama. Fu titolo che si dette alle gran dame, ed anche alle


Regine.
Maestro. Era il titolo che davasi comunemente a' medici; e
dicendosi assolutamente il Maestro, si intendeva il Medico.
Monachino. Colore scuro tendente al rossiccio, come erano
generalmente le cappe e le tonache de' frati.
Monsignore. Titolo d'onore che soleva darsi a' principi,
specialmente della casa reale di Francia; ed anche a' grandi
personaggi.

Natività. L'oroscopo, La predizione astrologica fatta alla nascita, per


sapere qual sarà la vita di alcuno.

Oste. L'esercito in campagna; e il campo stesso ove è l'esercito


pronto a combattere.

Pancale. Panno con fregi di nobile lavoro per distendere sopra le


panche come ornamento.
Partito. T. arald. A strisce, come or si direbbe. Panno cupo partito
vermiglio. Panno cupo a strisce vermiglie.
Pateríno. Si chiamarono con tal nome alcuni eretici del secolo XII;
ma si durò ad usarlo per Eretico in generale.
Peverado. Brodo; così detto perchè vi si soleva mettere del pepe.
Piacere. Che vi piace? Cortese modo di rispondere a chi ci si fa
innanzi in atto di domandare qualcosa. Ora si dice: Che vuoi? o Che
vuole? In che posso servirti? Che desideri? ec.
Piacere. Se vi piace. Formula di pregare altrui cortesemente che
faccia una data cosa: simile al s'il vous plaît francese. Allora fu
usitatissima anche fra noi. Ora si dice: Di grazia, o Per favore.
Poltrone. Uomo vile e spregiato, di bassa condizione.
Posta. A posta di. In balía di, A discrezione di.
Provvigionato. Soldato, Persona che serve militarmente per una
data quantità di tempo e di denari.
Punto. Dare il punto. Indicare, dopo osservazioni di astrología, qual
è il punto più favorevole a cominciare un'impresa.
Puzza. Veramente significò Marcia, e quel che i medici chiaman
tuttora Pus. Ma si usò anche per Obbrobrio, Vitupero o simili.

Rimedio. Per rimedio dell'anima sua. Era questa la formula dei


lasciti che si facevano alle chiese.
Rubello. Fare rubello. Dichiarare che uno è ribelle, ed è incorso
nelle pene contro i ribelli.

Saettame. Lo stesso che Saettamento.


Saettamento. Projettili, Frecce, Dardi, e tutto ciò che si scagliava
da archi, balestre, e macchine da lanciare.
Savio di guerra. Uomo pratico e valente in cose di guerra; come or
si direbbe Strategico.
Scaggiale. Cintura con fibbia; e si disse tanto di quelle di cuojo
semplice, quanto di quelle di materia nobilissima, e preziosamente
fregiate.
Sciámito. Drappo nobilissimo simile al velluto, che prende il nome
dal fiore Sciámito, che è quello detto anche Fior velluto.
Sciugatojo. Si disse per ciò che ora chiamasi fisciù; che è quel
panno con cui le donne si cuoprono il seno e le spalle, più o meno
adorno e guarnito, secondo i gusti.
Scuro. Si disse per Oppresso dal dolore, Mal ridotto o simile. E così
Scurità per Stato dolorosissimo, e pericoloso, di oppressione.
Se di buon augurio.
Se Dio vi ajuti. È particella che si premetteva alle formule di
augurar bene a qualcuno: simile al Sic dei Latini.
Segno. Così chiamavasi la orina che si mostrava al medico: perchè
dal guardarla attentamente se ne pigliava criterio a giudicar della
malattía.
Sere. Si diede già questo titolo ai parochi, ed ai curati.
Sestiere. Firenze allora era divisa in sei parti, e si chiamavano
Sestieri; e Sestieri si chiamavano anche le case dove risedevano i
capi di ciascun Sestiere.
Signore. Detto assolutamente voleva significare Principe con
potestà assoluta.
Sire. Fu titolo d'onore che si dava a' gran cavalieri, e personaggi di
grande affare.
Soppidiano. Era una cassa di legno, assai bassa che soleva tenersi
a piè del letto, per riporvi bianchería, abiti, gioje ec.
Sopransegna. Veste di seta, coi colori della propria divisa, e spesso
collo scudo sul petto, che si portava da' cavalieri sopra l'armatura, e
cinta alla vita. Si disse anche Soprasberga.

Tavoliere. La Tavola sopra cui si giuoca a Tavola reale, e come


dissesi a tavole.
Terra. Si disse per Città, anche nobile e grande.

Uomo di corte. Così chiamavansi i Giullari, i Trovatori, e i


Menestrelli, ed altri che frequentavano le corti de' Signori,
esercitando quella che allor dicevasi la gaja scienza.
Viatico. Ciò che serve per sostentarsi nel viaggio. Ora si usa solo
spiritualmente per l'Eucaristia che si dà a' moribondi quasi per
sostentamento dell'ultimo viaggio per l'altro mondo.

COI TIPI DI F. A. BROCKHAUS, LEIPZIG.


NOTE:

1. Le note in calce vennero da noi aggiunte.

2. Il valore militare del Fanfani venne in seguito rimunerato mediante la


medaglia della guerra del 1848.

3. Egli è tuttora bibliotecario della Marucelliana a Firenze.

4. Naturalmente, avendo egli scritto sopra diverse materie. Del resto oso
affermare che tutte le opere del Fanfani sono importantissime e fanno
onore alla letteratura italiana moderna.

5. Sopra questo lavoro lessicografico del Fanfani così scriveva Francesco


Prudenzano nella sua: Storia della letteratura italiana del secolo XIX
(Napoli 1864. pag. 159): «Recentissimo vocabolario della lingua italiana
è quello di Pietro Fanfani, chiarissimo filologo fiorentino; succoso e
pensato lavoro, utile veramente a' giovani studiosi del gentil nostro
idioma. È più presto un compendio, che un esteso vocabolario: ma fra i
molti buoni e tristi che inondano tutto giorno l'Italia, è certo il migliore e
più esatto compendio. Il chiarissimo Prospero Viani, nel suo Vocabolario
di supposti francesismi, notò parecchie (benchè lievi) mancanze, e
lievissime inesattezze di definizioni e di voci e maniere di dire, nel
Vocabolario del Fanfani; i quali pallidi néi spariranno, siam certi, in una
ristampa che l'insigne filologo farà del suo lavoro.» Oggi questa ristampa
è già fatta (Firenze, Le Monnier), e i difetti della prima edizione, se pur
ve ne erano, sono stati corretti. Questo del Fanfani è indubitabilmente il
migliore fra i vocabolarii compendiati ed il solo, come dice anche il Pitrè,
che può consultarsi a fidanza dalla gioventù studiosa.

6. Una seconda edizione di questo insigne e profondo lavoro, che è un vero


tesoro di erudizione e di finezze filologiche, si fece a Firenze nel 1871.
Oltre a quello che conteneva già la prima edizione, in questa seconda si
ristamparono pure diversi altri opuscoli filologici dell'autore, nonchè due
lavori di altri.

7. In seguito i Cruscanti diedero ragione al Fanfani anche in altro modo


come diremo fra poco.
8. È questo il giudizio subbiettivo del Pitrè e di altri critici, che io non
sottoscrivo. Del Vocabolario dell'uso toscano ragioneremo in seguito.

9. Uscivano tre appendici per settimana.

10. Questa data si trova in alcuni Prioristi manoscritti.

11. Che poi si chiamò, e tuttor si chiama, S. Maria del Fiore, o il Duomo.

12. Oggi la loggia del Bigallo.

13. Oggi Via Calzajuoli.

14. Dante, parlando nel Purgatorio, XX, della venuta di questo Carlo, dice in
persona di Ugo Capeto a modo di profezia:

Tempo vegg'io non molto dopo ancoi,


Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
Per far conoscer meglio e sè e' suoi.

Senz'arme n'esce, e solo colla lancia


Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta
Si ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia,

Quinci non terra, ma peccato ed onta


Guadagnerà, per sè tanto più grave
Quanto più lieve simil danno conta.

15. Più probabile ci sembra che Cecco scrivesse il poema negli ultimi anni
della sua vita. Nota dell'Editore.

16. Forse Acerba perchè il poema è un'acerba vendetta di Cecco d'Ascoli


contro la Divina Commedia. Nota dell'Editore.

17. Ai 16 di Decembre. Nota dell'Editore.

18. Qui abbiamo il principio dei tre colori italiani; e forse questi tre colori
uniti avevano qualche significato appresso gli antichi fiorentini, dacchè
anche Dante gli pone addosso alla sua Beatrice, la quale descrive così:

Sotto candido vel, cinta d'uliva


Donna m'apparve di gentile aspetto
Vestita di color di fiamma viva.
19. Era tuttora fresca nella memoria dei fiorentini la strage dei Paterini fatta
in Firenze per opera principalmente di San Pier Martire, che vi rimase
ucciso pur egli. Per gli altri, qui si vuole alludere all'arsione di altri per
eretici, di Pietro Carnesecchi, del Savonarola, e di Cecco stesso, a cui si
fa qui fare questa predizione, nella quale si suppone che vegga le
condanne così in genere, senza avere la certezza delle persone che si
condannerebbero: chè, altrimenti, avrebbe dovuto prevedere anche la
sua.

20. Né sono senza curiosità gli altri cenni statistici di quel tempo, registrati
dal Forti nel suo Foro toscano manoscritto, e che qui registro anch'io
come quelli che danno molta luce alla storia, e chiariranno come tra noi
si conoscesse fino da tempo remotissimo l'importanza della statistica.
La città aveva 90,000 anime, senza i forestieri e i religiosi; i forestieri
erano 1500; i frati, monache o preti 5000. Ogni anno si battezzavano in
S. Giovanni circa a 6000 persone. Vi erano nello studio da 1000 scolari:
alle scuole d'abbaco famiglie 1200 in più scuole: alla grammatica e
logica in quattro scuole 600 fanciulli. Vi erano 110 chiese: cioè parocchie
con popolo 57, badíe 5, prioríe 2, monasteri di donne 26, regole di frati
10: vi erano 30 spedali: medici, cerusici e fisici buoni 60: giudici 80:
notari 600: botteghe di calzolaj, pianellaj, zoccolaj 300, botteghe di
speziali 100, botteghe di fornaj 126. Ogni giorno si consumava in Firenze
140 moggia di grano, e 70 mila boccali di vino: tra buoi e vitelle se ne
consumava 40,000 ogni anno, e castroni e pecore 60,000, capre e
becchi 20,000, porci 30,000; nel solo mese di luglio entravano in Firenze
2000 some di frutte. La zecca batteva ogni anno 40,600 fiorini d'oro, e
libbre 200,000 di quattrini.

21. I medici antichi facevano la diagnosi della malattia guardando


accuratamente le orine del malato; e queste chiamavansi il segno.

22. Cecco diceva veramente di avere uno spirito di questo nome, che lo
governava e lo guidava nelle cose scientifiche.

23. Nel Novellino si racconta un fatto simile, ma più strano, avvenuto alla
Corte di Federigo per opera di un negromante.

24. Il vino del Reno ha conservato fino ai tempi nostri la sua fama.

25. Ciò si racconta che lo facesse in bottega d'un barbiere; ora lo veggiamo
fare continuamente dai prestigiatori; e solo qui si può opporre che Cecco
nella loggia dei Gherardini non potea aver preparato quel che bisognava
a questa illusione ottica. Basti il fatto; il restante mi si conceda per
acconcio del mio racconto, in queste sole magie favoloso.

26. V. Forti, Foro toscano.

27. Che sotto Pistoja vi fu battaglia, lo afferma il Salvi, storico pistojese.

28. Non parrà questa cosa troppo strana a chi sa che allora le clausure non
erano molto strette, e che le donne di alcuni monasteri, e specialmente
le badesse, avean grande e certo troppa libertà.

29. Credenza = Silenzio, segretezza. — E feci loro giurare credenza. Dino


Comp. Cron. lib. II. ec. Nota dell'Editore.

30. Propagginare era una specie di supplizio per cui il reo si piantava in terra
a capo all'ingiù, a moda delle viti; e si punivano così gli assassini e i
traditori.

31. Gli storici da cui traggo notizie sono il Villani, Melchiorre di Coppo Stefani
e Goro Dati.

32. L'Ammirato dice che le potenze furono introdotte dal duca d'Atene, cioè
un sedici anni dopo il tempo di questo racconto; ma il Becchi assegna
buone ragioni da far tener per certo, che le vi furono molto prima. In
principio le potenze furono sei: ma poi il loro numero crebbe ne' varj
tempi, tanto che nel 1588 le vediamo giunte fino a trenta, nel 1610 a
44, nel 1629 a 49, nel qual anno però cessarono.

33. Gli storici tutti dicono, l'onore di tale impresa doversi a un cavalier
provenzale, che salì il primo sulle mura del castello; e nei particolari
della battaglia ho seguito scrupulosamente gli storici stessi.

34. Non creda il lettore che questa festa sia di mia invenzione; ne ho tolto la
descrizione dalla carta originale dove si dà ragguagglio di una festa
simile, fatta in Firenze nel secolo medesimo per nozze illustri.

35. Così dicevasi allora per dire il santo vangelo.

36. Questa è copia quasi testuale della sentenza che si trova in parecchi
codici.

37. Dove poi furono fatte logge da Cosimo II, dette pure le Logge del Grano,
e dove ora è il teatro delle Logge.
38. La porta della giustizia era là dove ora si chiama la Zecca vecchia, in
fondo a via delle Torricelle e la chiesa di Santa Maria del Tempio era una
chiesetta dove i condannati a morte si fermavano a pigliare gli ultimi
conforti della religione innanzi di essere giustiziati.

39. Becattini, Istoria della Inquisizione.

40. Nel racconto lo abbiamo seguitato per tutto il doloroso viaggio, e di lì


vedemmo non esservi, nè esservi potuto passare.
Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state


mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori
tipografici.
*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CECCO D'ASCOLI:
RACCONTO STORICO DEL SECOLO XIV ***

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