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1 Monina Lez. 1

Il corso di Storia e Storiografia dell'Eta' Contemporanea si concentra sulla metodologia della ricerca storica, l'evoluzione della storiografia dal XIX secolo e l'uso delle fonti storiche, incluse le fonti orali. Gli studenti esploreranno il concetto di Storia globale e l'impatto della svolta culturale sugli studi storici, con particolare attenzione ai linguaggi e alla loro decodificazione. Il programma include letture di testi chiave e incoraggia la partecipazione attiva degli studenti nel processo di apprendimento.
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Il corso di Storia e Storiografia dell'Eta' Contemporanea si concentra sulla metodologia della ricerca storica, l'evoluzione della storiografia dal XIX secolo e l'uso delle fonti storiche, incluse le fonti orali. Gli studenti esploreranno il concetto di Storia globale e l'impatto della svolta culturale sugli studi storici, con particolare attenzione ai linguaggi e alla loro decodificazione. Il programma include letture di testi chiave e incoraggia la partecipazione attiva degli studenti nel processo di apprendimento.
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STORIA E STORIOGRAFIA DELL’ETA’ CONTEMPORANEA

Programma

Prende le mosse dagli aspetti di metodologia della ricerca storica, intesa sia come insieme di tecniche e
strumenti operativi, sia come teoria storiografica per poi concentrarsi sul concetto di Storia globale.
La prima parte del corso (12 ore) orienta gli studenti sui principali elementi di storia della storiografia a
partire dalla nascita della disciplina nel corso del XIX secolo. La seconda parte del corso (12 ore) affronta gli
aspetti teorici e metodologici dell’uso delle fonti storiche con particolare riferimento alle “nuove fonti” e
all’uso dinamico. La terza e ultima parte del corso (12 ore) si concentra sul tema monografico dell'uso delle
fonti orali.

Testi Adottati

- C. Sorba e F. Mazzini, La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica, Roma, Laterza, 2021
(184 pp., € 18,00)

- B. Bonomo, Voci della memoria, l’uso delle fonti orali nella ricerca storica, Roma, Carocci, 2015 (176 pp., €
18,00)

1 LEZIONE STORIA E STORIOGRAFIA NELL’ETÁ CONTEMPORANEA – 1/10/2024


Sono anni che lavoro con il carcere ho una delega del rettore per la formazione universitaria negli Istituti
penitenziari niente di meno sono presidente di una conferenza nazionale della conferenza dei rettori che si
occupa delle università in carcere e quindi è un tema molto centrale per me e che in qualche modo
cercherò anche di trasmettervi per una questione di sensibilità generale, non all'interno del programma del
corso, anche se qualche punto di contatto ci potrebbe essere, ma dato che l'università di Roma Tre è un pò
un luogo d'eccellenza e non per merito mio, o perlomeno non solo per merito mio, nell'ambito della
formazione universitaria in carcere perché noi abbiamo circa 100 studenti e studentesse detenute che sono
iscritte all'università Roma Tre e qualcuno chiaramente, una decina anche al DAMS, ed è un intervento che
si distingue anche a livello nazionale per il numero di studenti detenuti e per il tipo di attività che svolge. È
un tema per me molto caro, come dire c'è un interesse molto specifico che mi piacerebbe trasmettere nel
senso portarvi a conoscenza anche di questo aspetto e magari ci sarà occasione per aprire un piccolo
sguardo sul tema.

Questo è un corso che in maniera roboante si chiama “storia e storiografia”, in realtà è un corso che si
colloca in una laurea magistrale, quella di teatro principalmente, adesso poi vi chiederò chi siete e da dove
venite, anche se qualcuna la conosco. Perché è un po’ roboante l'idea di storiografia in un corso di laurea
magistrale che si occupa di teatro principalmente? perché in realtà i classici corsi di storia della storiografia
e in questo caso è storia e storiografia non a caso però quelli di storia della storiografia sono classici corsi
per i corsi di laurea in Scienze storiche, insegnamenti dei corsi di laurea in scienze storiche. È uno
specialismo un po’ quello della storiografia peraltro ormai è abbastanza desueto, perché non si usa tanto
più, perché il digitale ha messo fuori gioco tutti i concetti, le categorie proprie della storiografia di un tempo,
l'euristica, il rapporto con la filosofia della storia eccetera fino a un certo punto. E quindi il mio sguardo sulla
storiografia sarà uno sguardo abbastanza mediato dal contesto, cioè non sarà particolarmente approfondito
o perlomeno spero non particolarmente noioso sulla dimensione storiografica, ma cercherò di fare, e già
entro dentro il percorso che affronteremo, una prima parte di introduzione storiografica cioè in cui la
domanda di fondo è come è cambiato l'approccio storico e quindi storiografico nel corso del tempo e quindi

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far emergere sostanzialmente, se volete, il percorso verso la svolta culturale che sarà oggetto del libro che vi
ho proposto come testo da adottare, c'è la svolta culturale di Carlotta Sorba e Federico Mazzini, e perché
ritengo che si dovrà appuntare l'attenzione specialmente su questa idea della svolta culturale che vedrete
fondata sul “linguistic turn”, perché è il punto di contatto più vicino tra la dimensione degli studi storico
storiografici e il vostro percorso formativo; cioè il vostro percorso formativo ,quello legato prevalentemente
al teatro, adesso lo troverò più o meno riscontro se è vero questo che dico, è figlio di un approccio di tipo
culturalista cioè si nutre continuamente di un approccio di tipo culturalista, adesso forse a qualcuno di voi è
più chiaro, ha più consapevolezza di questo aspetto. Questo corso aiuterà ad aumentare il livello di
consapevolezza di questo discorso cioè che significa culturalismo, quali sono le origini e anche un po’ di
critica al culturalismo, perché almeno io, che non sono nato per rompere le scatole, sono un po’ abituato a
farlo e anche quindi a mettere in discussione criticamente una serie di assunti, che poi diventano valoriali e
a me quando si parla di valori, sono sempre disponibile ma un pochino la mano mi va alla pistola nel senso
che i valori se sono a geometria variabile un po’ mi infastidiscono.

Quindi una prima parte di carattere storiografico in cui vi parlerò della nascita della disciplina ma insomma
adesso diamo tempo al tempo, alcune elezioni su cui farò un percorso che riguarda i cambiamenti della
storia. Questa prima lezione è uno scambio tra di noi, un orientamento tra di noi, qualche spunto di
riflessione preliminare, da domani partiremo con il programma più serrato. Dopo questa prima parte
relativa alla storiografia, passerei un po’ ad un ragionamento sui linguaggi che sono anche preliminare a un
discorso sulla svolta culturale in senso stretto, poi già nella storiografia vi parlerò di storia di svolta culturale
e chiaramente l'affronteremo ma passeremo anche a indagare, nei limiti del possibile, alcuni linguaggi
propri, linguaggi che diventano fonti, quindi assumiamo alcuni elementi base per di comprensione nel
nostro rapporto che spero sia più che possibile reciproco; certo io continuo ad avere il mio ruolo di docente
che trasmette conoscenza o ci prova e voi però siate protagonisti di questa trasmissione della conoscenza e
quindi interrompete, partecipate alla discussione per quanto riterrete utile e sarà sicuramente utile per me.

Si passa all'analisi linguaggi, i due termini che vorrei che fossero acquisiti tra di noi sono il concetto di
linguaggio, che darei per scontato, specialmente in questo contesto di fronte a una laurea magistrale, ma
sappiate che con linguaggio ci stiamo riferendo a un plurima dimensione di codici che vanno dalla parola
scritta all'orale, che vanno dai linguaggi del corpo ai linguaggi inerti, cioè al linguaggi dei monumenti, delle
rappresentazioni, che vanno da una dimensione pittorica, per dire una delle forme di arte che esprime, fino
ad un sopracciglio che si alza, cioè nel senso è il linguaggio inteso come complesso di forme di trasmissione
di concetti, sentimenti, emozioni, percezioni, io direi di storia, nel senso di fonti per la storia e poi vedremo
meglio che cosa intendo per fonti della storia questa è la prima acquisizione, linguaggi intesi in questo modo
quindi quando parlo di linguaggi non facciamo una equazione che pensiamo all'italiano, al francese,
all'inglese, scusate magari è banale come indicazione ma noi con linguaggi parliamo di codici molto vari ed
ogni codice per questo la seconda parte del corso sarà dedicato ad alcuni dei linguaggi specifici cinema,
corpo e digitale cioè una serie di elementi che devono essere decodificati. Ogni linguaggio ha un suo modo
di essere decodificato, un sopracciglio che si alza, un autolesionismo come il buco di un orecchio, si chiama
autolesionismo tecnicamente anche il buco nell'orecchio degli orecchini intendo chiaramente, e sono forme
di linguaggi che hanno bisogno di essere decodificati. Ora dato che questa opera di decodificazione è
un'opera che riguarda molte discipline, molti ambiti disciplinari, su cui io non mi avvicino neanche che sono
per esempio la psicologia, psicanalisi, l'antropologia, la sociologia, eccetera, il mio punto di vista sarà quello
storico e quindi mi limiterò a utilizzare gli strumenti di decodificazione che sono proprio degli storici.

Una terza parte, ed ultima più o meno, sarà invece dedicata alla storia orale ed è l'oggetto del libro di Bruno
Bonomo che vi propongo di leggere ed è una lettura, la svolta culturale vi chiedo di affrontarla un pò più
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come materia di studio, cioè il libro di Mazzini Sorba, consideratelo il manuale di questo programma,
insomma è l'oggetto di maggiore studio. Il libro di Bonomo può essere letto con più rilassatezza, cioè nel
senso che non è un oggetto di studio in senso specifico, salvo addirittura che non vogliate cambiarlo, il
privilegio se lo si vuole considerare tale di frequentare un corso anche quello di interagire più direttamente
col docente e quindi di non attenersi alle regole generali che sono un po’ obbligatorie per chi non frequenta
chi non ha relazione diretta col docente o con la docente e quindi se nel corso della lezione o avete già le
idee chiare il libro di lettura che volete portare è un altro non quello di Bruno Bonomo chiaramente per più
che possibile attinente al discorso che faremo non so Orientalismo di Edward Said oppure Il tempo e lo
spazio di Stephen Kern, io ho suggerito questo di Bonomo perché penso che per quanto con tutto il rispetto
per l'autore che conosco personalmente e anche un amico ed è molto bravo, è un libro e che non ha
sconvolto diciamo la storiografia italiana e nello stesso tempo però è particolarmente interessante credo
per il discorso del teatro anche se nella sua semplicità tra virgolette cioè nel senso che il tema dell'uso delle
fonti orali, che sarebbe l'espressione giusta che traduce storia orale, l'uso delle fonti orali n interagisce di più
con lo spettacolo dal vivo, interagisce di più con alcune dinamiche proprie del teatro di cui io non mi
occuperò intendiamoci perché se c'è uno dei terreni su cui io esprimo un buon grado di ignoranza, è proprio
quella del teatro, però appunto il punto di contatto mi sembra particolarmente interessante ,poi sul piano
dello studio e della delle letture culturali e chiaro che per il teatro va bene leggere va bene leggere Foucault
va bene leggere Said va bene leggere qualsiasi altro materiale culturale di livello che consenta di aprire gli
orizzonti della mente; questo di Bruno Bonomo, nei termini più tecnici e specifici ,credo che possa diventare
anche un piccolo strumento di azione teatrale cioè nel senso di pensare il teatro, di pensare i soggetti
eccetera; e quindi è per questo motivo l'ho dato già lo scorso anno e lo ridò quest'anno.

La differenza tra storia e storiografia è una differenza che ha una sua evidenza, e che pure non viene sempre
acquisita tanto che spesso in passato lo storico veniva chiamato storiografo, un errore, era un modo di
assegnare in epoca antica gli storici ed era un errore perché essere storiografo non vuol dire essere storico
cioè ha a che fare con la storia ma non allo storico; allora qual è la differenza tra storia e storiografia, la
storia è la conoscenza del passato, la storiografia è il modo con cui si conosce il passato. Non esiste uno
storico che non si confronta con una dimensione storiografica, perché deve mettere insieme, strumenti,
concetti per poter affrontare in maniera professionale scientifica se vogliamo l'uso del pensiero del concetto
di scientifico vedremo è un po’ messo in discussione ma in ogni caso avere una professionalità nel fare lo
storico cioè costruire quello che Fernando Rotella ha chiamato “la cassetta degli attrezzi dello storico” cioè
lo storico come studioso sociale come ricercatore sociale, perché la storia è una storia collettiva, può essere
anche individuale, ma è sempre nella sua dimensione sociale è collettiva, quindi come indagatore sociale lo
storico ha dei propri strumenti che sono materiali che sono immateriali, che riguardano l'approccio mentale
dei valori dei simboli eccetera eccetera e quindi nell'ambito della storiografia si può parlare di filosofia della
storia, di strumenti in senso stretto, addirittura talvolta anche di strumenti tecnici come la chimica per la
decodificazione di alcune situazioni specifiche, alcuni linguaggi, anche quelli sono linguaggi del documento;
la chimica è molto utilizzata nella paleografia quando si tratta per esempio di datare un documento
insomma sono tutte cose che riguardano le strumentazioni della storiografia, sempre meno utilizzate
specialmente meno utilizzate nell'ambito della storia contemporanea però l'importante è distinguere, e la
storiografia quindi c'è una storia intesa come una conoscenza, passatemi il termine e poi lo metteremo in
discussione, conoscenza scientifica del passato e poi c'è invece una storiografia che sono tutti i metodi, i
modi, gli approcci con cui io mi rapporto e costruisco la mia cassetta degli attrezzi per fare storia. Quindi sia
storia che storiografia però definiti un pò in questo modo e così sia pure in linea generale comportano dei

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problemi, iniziamo a vedere quali sono i problemi che comportano. La storia: oggettività, soggettività,
scientificità, non scientificità della storia e in questo senso chiariamo bene che cos'è la storia? La storia è il
passato? non esattamente cioè nel senso che il passato in sé, non sto parlando di storia sto parlando del
passato, il passato in sé è un dato oggettivo perché è un dato oggettivo perché non posso più intervenire sul
passato, io non posso più anche sulle parole che ho appena detto non posso più re-intervenire sono in fase
di post produzione cioè nel senso in una registrazione ma altrimenti non posso tornare indietro nel tempo e
fino a che non ci daranno questa possibilità che non escludo che arriverà di tornare indietro nel tempo ma
in ogni caso non il passato in sé non essendo tangibile non essendo modificabile sarebbe in astratto un dato
oggettivo in realtà però la storia non è oggettiva, perché la storia è, sia pure con gli attrezzi che uno si dota e
quindi con gli elementi offerti diciamo dalla storiografia, è comunque un'interpretazione del passato e passa
attraverso elementi di soggettività. Come vedremo questo tema della soggettività è un tema che forse è il
tema principe, il principale tema che emerge dentro la discussione storiografica, la riflessione storiografica
nel corso del tempo cioè la emersione sempre più chiara e netta dell'elemento soggettivo
nell'interpretazione della storia e vedremo invece che all'esordio della storia come disciplina adesso vi
chiarirò che significa l'esordio della storia come disciplina all'esordio della storia come disciplina, stiamo
parlando di metà 800, insomma del corso dell'Ottocento questa idea era aborrita cioè la storia era la scienza
e quindi la storia era il passato e quindi era oggettiva quanto il passato, perché venivano utilizzate degli
strumenti scientifici e l'obiettivo era quello di ricostruire le vicende oggettivamente così come si erano
svolte e quindi lo studioso proponeva, non un'interpretazione neanche il concetto di interpretazione era
possibile, una visione positivistica (poi vi spiegherò meglio perché parliamo di positivismo) dell'oggettività
del passato e dell'oggettività dello storico. Invece la storia non è affatto oggettiva, perché la storia è
raccontata da uno o una storico e quindi uno storico, stiamo parlando di soggetti, i soggetti sono sottoposti
a una serie di “costruzioni mentali” outillage mental questa è un'espressione che ritroveremo nell'ambito
della storiografia con Les annales cioè con uno degli elementi evolutivi del dibattito storiografico oppure
habitus qua stiamo parlando di Bourdieu (Pierre Bourdieu, sociologo) che ha concepito l'idea di habitus cioè
ogni storico, ogni storica che guarda al passato, sia pure con gli strumenti più sofisticati e più scientifici tra
virgolette, comunque può mettere la sua soggettività, qual è la prima soggettività la prima soggettività è
quella del tempo presente cioè la storia è sempre una storia vista dal presente, lo sguardo che noi
orientiamo verso il passato è determinato da domande che noi ci poniamo nel presente, cioè Giancarlo
Monina è uno storico, che vive, finno a prova contraria, diciamo il presente e quindi un contesto di vita che
è quello dello switch digitale, di un mondo globalizzato ,delle guerre, dei nazionalismi cioè del contesto che
viviamo oggi noi tutti e quindi anche lo storico, la storica vive quel contesto e la il suo abito mentale, il suo il
suo contesto di riferimenti, simboli, valori è quello del presente. Lo può criticare, se ne può svestire
occasionalmente ma sostanzialmente le sue domande sono quelle del presente, quindi la prima soggettività
che pesa sul passato è il presente cioè il presente incide profondamente sul passato che diventa storia ,non
può incidere astrattamente sul passato in quanto tale, perché chiaramente non è modificabile, ma incide
nella sua lettura e nella sua interpretazione; e se volete il concetto passato oggettivo lo possiamo già
cancellare dalla nostra mente perché è un concetto talmente irreale, talmente non fondato, perché è non è
fondato? perché è un'astrazione, un'ontologia pura perché chiaramente se io il passato lo voglio conoscere
lo devo raccontare e se lo racconto lo posso raccontare solo attraverso il filtro della soggettività e quindi a
questo punto l'oggettività scompare, non è più parte del concetto di passato se il passato diventa storia cioè
se io inizio a renderlo, vedremo come questo processo che io sto descrivendo è centrale per il discorso
culturale, perché nella centralità del discorso culturalista c'è la soggettività ma diamo tempo al tempo ci
arriveremo con linguistic turn, però questa è una consapevolezza di fondo. Quindi ero partito dalla criticità
di questo ragionamento di considerare la storia quindi non esiste oggettività della storia, questo però è un
elemento acquisito nel tempo io metterò in risalto come si acquisisce questo valore all'interno della
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storiografia. La storia è anche messa in discussione da altri punti di vista, l'orizzonte storico specialmente
oggi cioè nel corso del tempo; quindi non è solo la soggettività che ha messo in discussione o perlomeno
una progressione verso un'interpretazione soggettiva della storia è arrivata a mettere profondamente in
discussione la stessa conoscenza del passato, il valore della conoscenza del passato, e per usare l’
espressione di Koselleck (Reinhart Koselleck, filosofo e storico tedesco) “il passato come orizzonte di
esperienza delle persone”.

Io prima ho fatto una battuta sul cinema postmodernista che non considera più la storia come strumento di
orientamento, culturale, scientifico eccetera. Ebbene tendenzialmente negli ultimi decenni quella che viene
chiamata crisi della modernità, postmodernità, tarda modernità, modernità liquida, l'avete sentito ci sono
diverse interpretazioni, diversi autori che hanno proposto questa fine in qualche modo della modernità
(senza granché definire cosa ci sarebbe dopo il post moderno) diciamo tant'è che si chiama post moderno
perché ancora non c'è un'espressione per poterlo definire in termini diversi da moderno, però tutto questo
processo ha tendenzialmente allontanato da sé l'orizzonte del passato come elemento di orientamento, di
orientamento nella socialità, di orientamento nella politica, cioè è esistita quella che si chiama “crisi della
storia” e questo lo problematizzeremo un po’ più avanti nel tempo, volevo solo farvi notare sin da ora che la
crisi della storia cioè la possibilità che la storia e il passato, sia per usare un'espressione abusata che forse
avete sentito ciceroniana “historia magistra vitae”, cioè quella che la storia diventa uno strumento di
orientamento delle proprie scelte, della propria vita, delle proprie relazioni e anche delle relazioni sociali,
della politica, eccetera, questo tendenzialmente si è frantumato e quindi l'orizzonte e l’esperienza
individuale e collettiva, si è allontanata da una concezione e dal ruolo assegnato alla storia. Volete degli
esempi su questo che forse può facilitare il ragionamento. Allora ci sono dei passaggi, ve li metto un pò a
casaccio. Il passaggio “dal fatto all'evento”, che cosa il fatto e l’evento? allora per lungo tempo la concezione
di un elemento del passato è stato considerato un fatto storico e qui c'è il peso della interpretazione
oggettiva del passato, il “fatto” come un qualcosa di solido, che esiste, è esistito in quel modo eccetera; a un
certo punto la concezione dell'elemento del passato si è trasferita da fatto ad evento, e questa nuova
denominazione non è di tipo “evento storico” e “non fatto storico” non è semplicemente una sinonimia,
cioè un sinonimo, è una differenza proprio cioè è un avvicinamento al significato del passato e degli
elementi che lo compongono, legato alle forme della comunicazione. Un fatto è una cosa, un evento è un
altro. Un fatto ha un valore tendenzialmente ontologico cioè è una cosa diciamo “fissa” in qualche modo,
l'evento è quello che riesce a comunicare di quel fatto storico. Allora qua c'era una vecchia lamentela dei
testimoni dell'epoca della Seconda guerra mondiale. Voi forse sapete che nel 6 giugno del 1944 c'è un
passaggio della seconda guerra mondiale decisivo che è lo sbarco in Normandia il D day cioè lo sbarco in
Normandia delle truppe alleate anglo americane eccetera eccetera che poi segna la fase finale della
seconda guerra mondiale in Europa; almeno un evento di portata enorme, evento non un fatto, un evento
di portata enorme, nel senso che fu filmato contro filmato preparato anche scenograficamente, messo in
scena quel grande evento, cioè il D day ancora più che un'azione militare in sé fu un'azione comunicativa di
grandissimo rilievo. Furono mobilitati operatori cinematografici, giornalisti, cioè fu un grande evento, ci fu
una regia speciale di quell'evento perché doveva trasmettere una dimensione anche della grandezza, della
vittoria che si avvicinava. Nello stesso frangente si svolgeva sul teatro pacifico, una delle più delle battaglie
più sanguinose che ci furono per la conquista di un'isola strategica e lì nel pacifico quell'evento è un fatto
storico che non assunse carattere di evento perché fu totalmente adombrato, coperto dall'evento mediatico
del D-day cioè questo fu lamentato dai reduci di quel di quella guerra cioè di quella battaglia che
chiaramente lamentano tutti parlano del D day ma noi ci abbiamo avuto i morti, ecc., adesso questo è un
piccolo esempio per quanto drammatico, tragico, stiamo parlando di gente che moriva eccetera per dire
come la stessa concezione degli elementi del passato, nel passaggio dal fatto all'evento storico, segnala un
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cambiamento di relazione con il passato e lo lega molto di più alla dimensione comunicativa. Allora ritorno
su storia e storiografia, questo siamo nel campo oggettivo soggettivo, le problematiche che pone la storia,
che cos'è la conoscenza del passato, eccetera. La storiografia si è posta relativamente questi problemi, se li è
posti devo dire dai tempi di Tucidite e di Erodoto cioè nel senso sin dalla civiltà greca, sapete che la storia in
quanto tale si parla di inizio di una storia dell'umanità nel momento sostanzialmente del passaggio
dall'oralità alla scrittura, quando Elizabeth Eisenstein parla di “addomesticamento del pensiero selvaggio”
cioè quando il pensiero selvaggio dell'oralità, che era meno strutturato, libero, eccetera, viene
addomesticato nella forma della scrittura la scrittura; è da allora che iniziano ad emergere le fonti, perché le
fonti di oralità chiaramente non si trasmettono nel tempo, salvo nella storia orale, che adesso vediamo,
attraverso tecnologie che allora non erano non potevano riprodurre l'oralità, non c’era la registrazione del
suono, non c'era la tecnologia, eccetera, e quindi il passaggio dall’oralità alla scrittura viene di solito
considerato il passaggio insieme alla, in realtà c'è anche un'altra interpretazione del passaggio dalla fase
preistorica a quella storica, che è determinato dall'insediamento nei villaggi cioè dalla nascita
dell'agricoltura, e in quell'altro caso c'è un altro addomesticamento che non è del pensiero selvaggio ma la
l'addomesticamento delle piante selvatiche, cioè un momento in cui si mettono a coltura le piante e non
vengono raccolte spontaneamente, però adesso questo richiamo un po alle origini della storia mentre il
tema del passaggio dall'oralità alla scrittura ha una datazione un pò difficile da fare ma sostanzialmente
sono 5-6000 anni fa, questo passaggio dell’oralità alla scrittura anche se ogni tanto si trova qualcosa di
precedente, il passaggio dell'addomesticamento delle piante selvatiche cioè la nascita dell'agricoltura,
significa stanziamento degli esseri umani in villaggio, è con l'agricoltura che si stanziano in un luogo le
persone che prima erano nomadi, caccia, pesca e sport. Allora questa dimensione invece si allontana
sempre di più nel tempo, prima veniva collocata quasi con la nascita della scrittura 7 8000 anni fa, stiamo
parlando di millenni, poi pian piano si è allontanata sempre di più, perché queste forme di proto-agricoltura
sono state individuate addirittura fino a 12-13000 anni fa. Questo passaggio qui era semplicemente per
indicarvi come il tema della storia (ma noi ci interessa semplicemente il passaggio dall'orale alla scrittura) si
ha un sapere che si perde nella notte dei tempi, cioè che ha un'origine molto antica, e quindi per lungo
tempo il ragionamento sul ruolo che il passato aveva nei confronti delle comunità umane, delle comunità di
persone è stata oggetto di attenzione, lo è stato in Erodoto, in Tucidide che sono l’origine, lo è stato in tutta
la cultura Latina pensate Cicerone, Tito Livio e via dicendo, lo è stata poi dopo il periodo medievale di
allontanamento da una dimensione antropocentrica e quindi in cui era facile risolvere i problemi
storiografici, ci si affidava a Dio, cioè la storia era determinata dalla provvidenza, era Dio a definirla quindi
c'era poco da attrezzarsi, era un ente superiore che definiva e decideva i destini degli uomini e quindi per
lungo tempo è stato solo quello l'elemento caratterizzante l'interpretazione storiografica, poi pian piano a
partire invece dal neo antropocentrismo, dal periodo dell'umanesimo e poi del Rinascimento è tornata in
campo l'idea di come il passato potesse essere trattato, quindi si è ragionato in termini di storiografia, dalle
cronache del Villani, sono tutti nomi che non dovete ricordare, non inizierò da qua, il discorso storiografico
come vi ho accennato prima inizia a metà dell'Ottocento quindi adesso è soltanto un panorama se volete
colto o comunque generale su questi temi; Ludovico Antonio Muratori, ancora nel 700 cioè fino
all'ottocento c'è stato un ragionamento sui saperi storici che modificava l'approccio verso la storia, cioè il
concetto di storia, ma specialmente arricchiva una parte di storiografia, di cultura storiografica cioè come
affrontare il passato, con quali strumenti. Cos'è che si modifica nel tempo in questo in questa lettura
storiografica? si modifica il paradigma o lo statuto cioè nel senso che tutti i saperi tendenzialmente
orientano le proprie scelte, le proprie letture, il proprio sguardo sul mondo, in questo caso sul passato della
storia, della letteratura sul testo, sulla poesia o per la storia dell'arte sull'arte figurativa o meno eccetera,
sulla base di uno statuto, si chiamerà “statuto della disciplina”. Questo statuto è qualcosa di più che un
pezzo di carta, e che talvolta non lo è neanche dove si scrivono le regole diciamo che si seguono, i principi
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anzi scusate più che le regole i principi poi le regole fanno parte della strumentazione che ci si dà, ma sono i
principi di fondo iniziali, questi principi si modificano nel tempo. Kuhn (Thomas Kuhn, epistemologo)
parlava di “paradigma”, il paradigma non è molto dissimile dell'habitus mentale cioè sono i contesti, i valori
simboli di un'epoca che si traducono anche nell'ambito delle discipline cioè nella letteratura, nella storia,
eccetera come paradigmi di riferimento su cui ci si orienta. Questi paradigmi cambiano nel tempo. E allora è
qui il tema su cui voglio attirare la vostra attenzione: storia e storiografia bene o male ci sta una distinzione
che abbiamo chiara, vi ho dato qualche spunto di riferimento un pò disordinato sul concetto di storia e la
sua discutibilità, già i primi accenni sul fatto come gli elementi culturisti entrano dentro un discorso della
storia insieme alla soggettività; quello che a me interessa sottolineare adesso è che la storiografia non si
comprende senza la storia, c'è una sorta di circuito vizioso o virtuoso, cioè la storiografia si modifica nel
tempo e si modifica nel tempo non per forza endogene, cioè non per forze interne anche attraverso un
dibattito interno, ma principalmente per elementi esterni cioè la storiografia è soggetta alla storia. Se fuori
c'è la Prima guerra mondiale, la storiografia cambia, cambia l'approccio della letteratura, cambia l'approccio
della sociologia, cambia l'approccio di tutte le discipline. Se nasce la società di massa, la storiografia cambia,
se arriviamo nella fase dell'età del capitalismo d'oro, cioè l'età d'oro del capitalismo, la storiografia cambia,
quindi quella pretesa ahimè piuttosto diffusa che le discipline si possono leggere e interpretare solo al loro
interno, cioè attraverso gli strumenti che da sole si danno, come se fosse una genesi puramente endogena,
è un errore forse scusabile per un letterato? forse in parte per un sociologo? non è scusabile per nessuno
ma a meno che mai per uno storico cioè uno storico che, quando parla di storiografia, non va al di là del
circuito del discorso storiografico per rendersi conto che la storiografia cambia il suo paradigma in funzione
di quello che avviene al suo esterno, cioè che non avviene nel chiuso del convegno, del dibattito, del libro
ma che avviene nel mondo cioè nel contesto circostante, farebbe un errore gravissimo; a quel punto io
quello che vi proporrò è esattamente una “interpretazione critica storica della storiografia” cioè perché
vedremo degli elementi di trasformazione della storiografia, e questi elementi di trasformazione saranno
guidati da due processi, che sono i più evidenti: il passaggio dall'alto verso il basso e dall’oggettivo verso il
soggettivo, una sorta di linee cartesiane che definiscono la tendenza complessiva dei cambiamenti della
storiografia.

Queste sono le due dinamiche principali, i trend, le tendenze che caratterizzano tutta la storia della
storiografia tra la seconda metà dell'800 e il 900, fino ad oggi. Allora tutto quello che vi dirò materialmente
sarà inutile cioè in che senso? sarà un contributo culturale fondamentale ma dato che il processo di
acquisizione di questa storiografia è stato praticamente messo drasticamente in discussione dallo switch
digitale, cioè dal passaggio allo scambio sociale di tipo digitale, diventa un pò archeologico il ragionamento
cioè nel senso che ci facciamo oggi con l'euristica? faccio un esempio, adesso siamo ancora nella fase vi ho
detto un po' disordinata di orientamento e vi do ancora spunti: che cos'è una fonte in epoca digitale?
c'erano degli elementi che caratterizzavano fortemente la fonte: datazione e autorialità per uno storico, cioè
se tu non facevi queste prime due operazioni datare una fonte e dargli un autore o un'autrice, questa fonte
perdeva valore, non aveva senso, perché non potevi accreditare questa fonte ad un tempo e in qualche
modo ad uno spazio, perché l'autore ha anche un luogo, eccetera, queste cose sono saltate, o sono più
insicure con la dimensione digitale. La dimensione digitale è una dimensione priva di autore (e priva di
fonte) e priva di datazione, perché è un elemento dinamico; la datazione può modificarsi; il documento può
essere facilmente manipolabile, trasferibile, è difficile spesso la databilità del documento, al di là o meno se
si usano metadati che servono a frenare questa possibilità di perdita di autorità, spesso un documento non
ha più autore, sì vengono mantenute alcune forme di identificazione autoriale di un documento, firme
digitali, queste cose qua, però nella sostanza il grande vero mare magnum delle risorse elettroniche, che è
sconfinato insomma, e sempre più sarà sconfinato, per non parlare dell’ intelligenza artificiale, del passaggio
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al web, insomma è un mondo che mette in discussione tutti i principi base su cui ci si era tradizionalmente
fondati per definire, identificare una fonte. Quindi dato che il gran parte della storiografia si era basata su
questo tipo di analisi delle fonti, utilizzando procedure di identificazione della datazione, procedure di
identificazione dell'autorialità, eccetera, tutta quella parte lì è diventata vecchissima, si può ancora utilizzare
per vecchia documentazione, non si può più utilizzare da tempo per la dimensione contemporanea delle
fonti. Tra l'altro c'è un problema che mette in discussione anche gli strumenti della storiografia, la
proliferazione delle fonti di cui il digitale è un esempio massimo, ma la proliferazione delle fonti è iniziata
molto prima del digitale, è iniziata quando si sono affermati i mezzi di comunicazione, quando si è affermata
la società di massa; la società di massa, e stiamo parlando della fine dell'Ottocento inizia il 900 e poi con
l'adozione di sempre nuovi strumenti più diffusi strumenti di comunicazione, radio, televisione, la stampa
più diffusa, cambiamenti che riguardano la storia tecnologica anche dei mezzi di comunicazione, c'è stata
un'esplosione di fonti, un'esplosione totale; (scolarizzazione) che ha corrisposto come vedremo a due
processi paralleli: uno è la proliferazione oggettiva delle fonti cioè se siamo in un'epoca in cui ha dare un
contributo diretto alla vita pubblica è un'élite, un numero ristretto di persone, producono, scusate sto
veramente semplificando, un numero limitato di documenti, e non ci sono altri strumenti che non la
scrittura o comunque altre forme, c'è un limite numero limitato, con la società di massa e con i nuovi
strumenti della comunicazione, si allarga tantissimo; ma oltre ad allargarsi tantissimo il numero di fonti, le
fonti esplodono ancora di più per un altro motivo perché c'è il processo dall'alto verso il basso cioè se io
all'inizio, come vedremo a breve, la storia come disciplina, considero la storia oggettiva e per me le fonti
valide sono solo quelle prodotte dall'apice della società, re, ambasciatori, condottieri militari, eccetera, io
riconosco legittimità a un nucleo di fonti abbastanza limitato, ma se io, come è successo nella storiografia,
l'orizzonte delle fonti lo allargo e mi rendo conto come diceva Bloch (Marc Bloch, storico) che “lo storico è
come l'orco” e la sua fonte, Bloch diceva “lo storico è come l'orco laddove fiuta la preda umana là è la sua
preda”, trasformato in un concetto storiografico, a fuor di metafora, lo storico considera tutto l'agire umano
oggetto di attenzione della storia, e tutto l'agire umano e quindi tutte le tracce cioè dove fiuto tracce di
agire umano lì sono le mie fonti; e quindi le mie fonti è anche il solco di un aratro, per dire io col solco
dell'aratro, tra l'altro sto dicendo quello che è considerato l'origine del diritto insomma, per cui il tema, il
diritto di proprietà e quindi il solco dell'aratro è una fonte della ricostruzione del paesaggio cioè e quindi
delle coltivazioni e quindi dell'economia di un luogo, aratro significa chiaramente la coltivazione della terra,
trasformazione che significa bonifiche, che significa disboscamento, cioè significa cambiamenti dell'agire
umano, rapporto ambiente uomo, insomma storia. Allora questa tendenza da una parte alla moltiplicazione
in sé degli oggetti fonte, dall'altra ad allargare sempre di più la legittimazione delle fonti cioè delle tracce
dell'uomo come fonte, pensate che cosa che non era proprio prevedibile all'epoca della disciplina
oggettivistica della storia; i componimenti scolastici dei bambini, oggi esistono degli archivi scolastici ora
alcuni archivi scolastici sono gestiti in maniera un po approssimativa dalle scuole ma altri sono stati riversati
all'archivio centrale dello Stato, e sono anche di grande importanza insomma, ci sta una grande tradizione di
studi di storia della scuola che coltiva questa archiviazione dei componimenti, stiamo parlando di temi dei
bambini di 7, 8 anni 9 anni 10 anni via cioè i temi scolastici, i temi di italiano, eccetera, che sono tra l'altro
piccoli documenti ufficiali a modo loro. Ora questo materiale, che un tempo non si sarebbe considerato
fonte ma semplicemente da mandare al macero prima possibile perché occupavano spazio, oggi diventano
una fonte di storia di una certa importanza, di un certo rilievo. Vi sto facendo l'estremo perché oggi diciamo
poi c'è un problema di politiche pubbliche dell'archiviazione eccetera, esiste se avrò tempo quando
arriveremo un archivio diaristico nazionale non so se lo conoscete l'archivio diaristico di Pieve di Santo
Stefano è un bellissimo posto, un archivio che inventato da Saverio Tutino, un giornalista, un personaggio
molto affascinante, che negli anni 80 iniziò questo lavoro di raccolta dei diari privati, personali delle famiglie,
alcuni erano diari di alcune figure importanti, ma perlopiù iniziò proprio una ricerca cioè degli appelli perché
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venissero consegnati i diari, magari se ne facevano copia e poi si ridavano; e quindi i diari dei nonni della de
personali eccetera nell'arco del tempo, chi trovava un diario del bisnonno in una cassapanca, in un baule, in
soffitta lo consegnava e hanno raccolto migliaia di diari di quella che si chiama “scrittura popolare”. Da lì a
parte che sono uscite alcune opere, cioè Einaudi ho pubblicato un paio di questi diari che hanno avuto
anche un rilievo letterario significativo ed erano dei povera gente, di gente anche analfabeta o perlomeno
non completamente analfabeta perché scriveva, ma che si esprimeva in un modo molto elementare ma poi
è diventato un riflesso oggi giovane studiosi specialmente ma insomma uno studioso che vuole fare una
storia sociale di un luogo, ha moltissimo da attingere da questi diaristi, infatti l'archivio diaristico di San di
Pieve Santo Stefano spesso anche per pensare il teatro quanto può da un diario della Sicilia di inizio 900 può
ricavare elementi, addirittura una vera e propria sceneggiatura, però insomma questo è il l'argomento
dell'estensione dell'orizzonte delle fonti che insieme all'aumento della produzione di fonti, determinato
dalla società di massa contemporanea, ha fatto esplodere il concetto di fonte. Torno lì perché sennò ci
perdiamo la discussione sulla storiografia cioè la storiografia avevamo messo in discussione la storia tra
oggettività e soggettività, adesso sto dicendo che anche la storiografia non sta messa bene, nel senso che
molti capisaldi che da cui era nata si sono frantumati attraverso il punto massimo del digitale ma anche
attraverso una dinamica delle fonti che tende ad allontanare sempre di più la storia, o il modo di fare storia
quindi la storiografia, da quelli che si possono considerare i metodi scientifici che sono stati alla base della
concezione stessa della storiografia e che si sono modificati nel tempo perché a un certo punto, ma che mi
dici la vecchia cultura per cui se io devo ricostruire una vicenda del passato devo mettere insieme tutte le
fonti di quell'evento, di quel periodo, di quel fatto storico, e mettile insieme tutte queste fonti, così come ve
le ho raccontate io è impossibile da mettere insieme e quindi come vedremo cambia il rapporto con le fonti,
si modifica la storiografia, in qualche modo si discute con la storiografia, vi annuncio, lo faremo dopo, però
vabbè però ve lo dico sin da adesso, uno storico polacco Topolski (Jerzy Topolski, storico) a un certo punto
dice vabbè qua non si riesce a gestire questa quantità di fonti, per cui dobbiamo trovare una soluzione ma è
una soluzione in realtà che uno switch veramente culturale concettuale cioè dice le fonti non sono più
strumenti cioè la concezione strumentale delle fonti cambia non è più uno strumento non è che io c'ho
l'oggetto il fascismo trovo tutte le fonti sul fascismo e mi metto lì di buzzo buono e ricostruisco non funziona
più così la fonte è un valore epistemologico cioè che significa, la fonte è parte della concezione della storia
cioè io non parto più dall'idea cioè la fonte, il suo formato, il suo codice, il suo linguaggio diventa un
elemento della mia ricerca, la ricerca storica non è più il periodo, i fatti che io documento ma sono anche i
documenti, la ricerca storica e questo come vedremo è alla base del discorso del linguistic turn, saranno
tutte più chiare queste cose che vi sto dicendo, come spunto e come stimolo, quando sarà più ordinata la
forma delle lezioni.

Domanda dall’aula: cosa significa dall’alto verso il basso?

Professore: lo posso dire subito figurati non è un segreto dall’alto verso il basso significa dalla storia degli
eroi alla storia dal basso e c'è l'elemento istituzionale se vuole sì chiaramente c'è un elemento istituzionale
o meno, ma c'è il fatto che quando la storia nasce come disciplina nel contesto elitistico della nascita dello
Stato nazione e della cultura positivista, è espressione di una concezione della storia e della società di élite,
cioè gerarchica che è quella appunto propria della borghesia trionfante perché la storia è figlia della
borghesia insomma, la storia come disciplina ma adesso vi farò un cenno di almeno di ingresso
nell'argomento che è quello più strutturato, la storia era considerata la storia cosiddetta degli eroi cioè che i
protagonisti della storia soltanto queste figure apicali cioè ancora oggi a noi ci viene in mente di pensare che
Biden fa più la storia della suora Maria De Testaccio cioè nel senso il presidente degli Stati Uniti d’America
evidentemente produttore di storia maggiore della signora che accompagna i nipoti a piazza Santa Maria

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Ausiliatrice, ora non che ci sia stato un anzi per certi versi c'è stato un ribaltamento e poi curiosamente lo
vediamo è la mia accusa che faccia la storia orale, cioè di creare la storia degli antieroi, però è chiaro che
mentre all'epoca non era proprio presa in considerazione la suora Maria adesso scusate se la mette in
questi termini ma comunque non era presa in considerazione il protagonismo delle masse, nella storia il
protagonismo di altre, quella di Biden diventa centrale nella costruzione della storia ma comunque sempre
si basa sulle azioni di massa, sulle azioni di della popolazione che è statunitense o di chi soffre le
conseguenze di scelte politiche eccetera e quindi prima era la storia degli eroi, questi eroi erano i pontefici, i
re, i comandanti militari, gli ambasciatori, molto gli ambasciatori, veniva dato a loro la storia diplomatica è
stata una su cui si basava molto questa idea perché erano le relazioni internazionali ante litteram eccetera e
tutto il resto non veniva considerato, cioè la storia degli eroi è una storia dall'alto, tutto veniva visto
dall'alto. Ora pian piano insieme a quel processo verso la soggettività, la società di massa impone una
presenza delle masse ben diversa, i partiti politici, i sindacati, rivoluzioni sociali e movimenti
un'articolazione della società sempre più ricca nella dimensione pubblica, questo convince anche gli storici a
dire “vabbè ma i protagonisti sono solo quelli, son solo gli eroi o lo storico è come l'orco e deve guardare
tutto l'agire umano?” allora iniziano a diventare protagonista cioè quella anonima massa che poteva
rimanere tale quando era soltanto sudditi ma che inizia a farsi protagonista della sua vita, perché scende in
piazza, perché fa le rivoluzioni, perché rompe le vetrine, perché insomma fa tutto quello, si organizza, vota,
praticamente entra in Parlamento con i partiti socialisti insomma la nascita della società di massa e di una
vita pubblica più articolata, convince ad abbassare dall'alto verso il basso lo sguardo della storiografia. Poi
già che siamo in una fase un pò di diciamo di spunti e sollecitazioni, il punto più basso, inteso in senso
tecnico non in senso valoriale e di merito, è la Sora Maria allora perché la suora Maria siamo a Roma sennò
avrei detto la sciura a Milano eccetera e poi non voglio femminilizzare la cosa può essere il sor Pampurio
insomma però è il soggetto principe della storia orale, lo sto dicendo con un tono critico semiserio e cioè,
questo processo dall'alto verso il basso è stato anche un processo di democratizzazione della storia, termini
anche tecnici perché se io vado dall'alto verso il basso rendendo protagonista il popolo, il demos, faccio
un'operazione di democrazia cioè faccio un'operazione democratica ed è vero, solo che questa azione
democratica alcune volte si è accontentata della dimensione valoriale è stata un po’ meno attenta alla
dimensione effettiva della storia, per cui è tanto stata democratica che per me la parola ce la deve avere il
sor Pampurio; allora storia orale l'intervista, facciamo un'intervista a sor Pampurio e va benissimo perché
pure io voglio sentire sor Pampurio cioè credo che ritengo sia importante per la storia avere anche la voce
del sor Pampurio, ma se io tendo, per una logica valoriale un pò demagogica, a pensare, più demagogica
che democratica, a pensare che la parola del signor Pampurio sia superiore ad ogni altra cioè a mitizzare la
parola del sor Pampurio, io faccio lo stesso errore al contrario di chi pensava che solo il re dovesse parlare, e
cioè che la storia vera venga solo dal sor Pampurio. In quel modo faccio una storia di anti eroi, e però
sempre è una storia limitata, circoscritta, per cui il paradosso della storia orale, che raggiunge l’apice o se
vogliamo la fase più estrema della tendenza dall’oggettivo al soggettivo e dall'alto verso il basso (il
soggettivo non è dato solo dal sor Pampurio il soggettivo è dato anche dalla modalità con cui si costruisce la
fonte orale) rischia di farvi avere il paradosso che torna indietro cioè attraverso la logica dell'antieroe torna
ad essere oggettivista e fare una sorta dell'antieroe solo dal basso.

PAUSA

Parte seconda

Partiamo da concetti basici: Qual è la differenza tra storia e storiografia?

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È una differenza che ha una sua evidenza e che pure non viene sempre acquisita, tanto che spesso in
passato lo storico veniva chiamato Storiografo, come mi chiamava un personaggio molto estroverso, il
matto del quartiere, che effettivamente non dava segni di intitolati di totale equilibrio. Lui mi apostrofava:
Ecco, lo storiografo; in realtà, detto da lui aveva un sapore particolare, però era un modo di assegnare in
epoca antica gli storici, ed era un errore, perché essere storiografo non vuol dire essere storico.

Allora qual è la differenza tra storia e storiografia? La storia è la conoscenza del passato. La storiografia è il
modo con cui si conosce il passato. Non esiste uno storico che non si confronta con una dimensione
storiografica, perché deve mettere insieme strumenti, concetti per poter affrontare in maniera
professionale, scientifica, noi pubblichiamo… anche se l’uso del concetto scientifico, come vedremo, è un
po' messo in discussione, ma in ogni caso, avere una professionalità nel fare lo storico. Cioè costruire quello
che Fernand Braudel ha chiamato “la cassetta degli attrezzi dello storico”.

Cioè lo storico come studioso sociale, come ricercatore sociale, perché la storia è una storia collettiva, può
essere anche individuale, ma è sempre nella sua dimensione sociale e collettiva, quindi come indagatore
sociale, lo storico ha dei propri strumenti che sono materiali, immateriali, che riguardano l'approccio
mentale dei valori, dei singoli, eccetera eccetera. Quindi, nell'ambito della storiografia si può parlare di
filosofia della storia, di strumenti in senso stretto, addirittura talvolta anche di strumenti tecnici, come la
chimica per la decodificazione di alcune situazioni specifiche, alcuni linguaggi, sono i linguaggi del
documento. La chimica è molto utilizzata nella paleografia quando si tratta per esempio di datare un
documento. Insomma son tutte cose che riguardano le strumentazioni della storiografia sempre meno
utilizzate, specialmente meno utilizzate nell'ambito della storia contemporanea.

Quindi c'è una storia intesa come conoscenza… – passatemi il termine e poi lo metteremo in discussione –
“conoscenza scientifica” del passato. E poi c'è invece una storiografia che sono tutti i metodi, i modi, gli
approcci con cui io mi rapporto e costruisco la mia “cassetta degli attrezzi” per fare storia. Sia storia che
storiografia, sia pure definiti a grandi linee, comportano dei problemi. Iniziamo a vedere quali sono i
problemi che comportano. La storia: oggettività, soggettività, scientificità, non scientificità della storia. E in
questo senso chiariamo bene che cos'è la storia. La storia è il passato? Non esattamente, nel senso che il
passato in sé - non sto parlando di storia, sto parlando del passato, - il passato in sé è un dato oggettivo.
Perché è un dato oggettivo? Perché non posso più intervenire sul passato. Io non posso più, anche sulle
parole che ho appena detto, re-intervenire. Solo in fase di post produzione, in una registrazione, ma
altrimenti non posso tornare indietro nel tempo – fino a che non ci daranno questa possibilità, che non
escludo che arriverà – di tornare indietro nel tempo. In ogni caso il passato in sé, non essendo tangibile,
non essendo modificabile sarebbe in astratto un dato oggettivo.

In realtà, la storia non è oggettiva, perché la storia è, sia pure con gli attrezzi che uno si dota e quindi con gli
elementi offerti dalla storiografia, è un'interpretazione del passato e passa attraverso elementi di
soggettività.

Come vedremo, questo tema della soggettività è forse il principale tema che emerge dentro la discussione
storiografica nel corso del tempo. Cioè la emersione sempre più chiara, netta, dell'elemento soggettivo
nell'interpretazione della storia. E vedremo, invece, che all'esordio della storia come disciplina (adesso vi
chiarirò che significa “l'esordio della storia come disciplina”), stiamo parlando della metà del 1800, o nel
corso dell'Ottocento, questa idea era aborrita, cioè la storia era scienza. E quindi la storia era il passato, e
quindi era oggettiva quanto il passato. Perché venivano utilizzati degli strumenti scientifici e l'obiettivo era
quello di ricostruire le vicende oggettivamente così come si erano svolte. E quindi lo studioso proponeva
una visione positivistica – poi vi spiegherò meglio perché parliamo di Positivismo – dell'oggettività del
passato e dell'oggettività dello storico.

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Invece la storia non è affatto oggettiva, perché la storia è raccontata da una o uno storico, e quindi stiamo
parlando di soggetti. I soggetti sono sottoposti a una serie di costruzioni mentali, outillage mental, questa è
un'espressione che ritroveremo nell'ambito della storiografia, con Les Annales, con uno degli elementi
evolutivi del dibattito storiografico. Oppure, Habitus… qui stiamo parlando di Pierre Bourdieu1, che ha che
ha concepito l'idea di Habitus.

A-La prima soggettività che pesa sul passato è il presente

Ogni storico, ogni storica che guarda al passato, sia pure con gli strumenti più sofisticati, più “scientifici”, tra
virgolette, comunque può mettere la sua soggettività. Qual è la prima soggettività? La prima soggettività è
quella del tempo presente. Cioè, la storia è sempre una storia vista dal presente. Lo sguardo che noi
orientiamo verso il passato è determinato da domande che noi ci poniamo nel presente. Giancarlo Monina
è uno storico che vive, fino a prova contraria, il presente e quindi un contesto di vita che è quello del
digitale, di un mondo globalizzato, delle guerre, dei nazionalismi, cioè del contesto che viviamo oggi noi
tutti. E quindi anche lo storico, la storica vive quel contesto e il suo abito mentale, il suo contesto di
riferimento, di simboli, di valori è quello del presente. Lo può criticare, se ne può svestire occasionalmente,
ma sostanzialmente le sue domande sono quelle presenti. Quindi la prima soggettività che pesa sul
passato è il presente, cioè il presente incide profondamente sul passato che diventa storia. Non può
incidere astrattamente sul passato in quanto tale, perché chiaramente non è modificabile, ma incide nella
sua lettura, nell'interpretazione. E se volete, il concetto passato oggettivo lo possiamo già cancellare dalla
nostra vita, perché è un concetto talmente irreale, talmente non fondato… Perché non è fondato? Perché è
un’astrazione, un'ontologia pura. Perché chiaramente se io il passato lo voglio conoscere, lo devo
raccontare. E se lo racconto lo posso raccontare solo attraverso il filtro della soggettività. E quindi a questo
punto l'oggettività scompare. Non è più parte del concetto di passato se il passato diventa storia, cioè se io
inizio a renderlo. Vedremo come questo processo che io sto descrivendo è centrale del discorso culturale,
perché nella centralità del discorso culturalista c'è la soggettività. (ma a questo ci arriveremo). / min. 11:07

Ero partito dalla criticità di questo ragionamento: di considerare la storia; quindi non esiste oggettività della
storia, questo però è un elemento acquisito nel tempo. Io metterò in risalto come si acquisisce questo
valore all'interno della storiografia. L’orizzonte storico è anche messo in discussione da altri punti di vista,
specialmente oggi, cioè nel corso del tempo. Una progressione verso l'interpretazione soggettiva della storia
è arrivata a mettere profondamente in discussione la stessa conoscenza del passato, il valore della
conoscenza del passato. Pensare all'espressione di Koselleck2: “ll passato come orizzonte di esperienza delle
persone”.

Prima ho fatto una battuta sul cinema post modernista che non considera più la storia come strumento di
orientamento culturale, scientifico, etc. Ebbene, tendenzialmente negli ultimi decenni, quella che viene
chiamata crisi della modernità, postmodernità, tarda modernità, modernità liquida. L’avete sentito? Ci sono
diverse interpretazioni, diversi autori che hanno proposto questa fine in qualche modo della modernità,
sempre granché definire cosa ci sarebbe dopo il postmoderno. Anche perché si chiama postmoderno,

1
https://it.wikipedia.org/wiki/Pierre_Bourdieu

2
Si tratta di un problema che è stato messo a fuoco, in maniera secondo me eccellente, da Reinhart Koselleck nella sua riflessione sul tempo
storico, con riferimento alla nota tematizzazione delle categorie dello “spazio di esperienza” e dell’“orizzonte di aspettativa”, più di recente riprese
e applicate al processo di integrazione europea anche da Paul Ricoeur. Scrive Koselleck: “l’esperienza è un passato presente, i cui eventi sono stati
conglobati e possono essere ricordati. […] La situazione dell’aspettativa è analoga… anche l’attesa si compie nell’oggi, è futuro presentificato, tende
a ciò che non è ancora, al non esperito, a ciò che si può solo arguire e scoprire. Speranza e paura, desiderio e volontà, preoccupazione, ma anche
analisi razionale, visione ricettiva o curiosità, intervengono nell’aspettativa”, il cui tratto comune all’esperienza è, per l’appunto, la “presenzialità”.
Come mi è stato gentilmente richiesto, svolgerò di seguito qualche breve considerazione sulla sfera temporale del presente, che reputo decisiva per
“riflettere sui temi del costituzionalismo e dell’integrazione europea in una prospettiva giudica, valutando la situazione storico-spirituale degli stessi”,
come riporta la traccia di questo nostro convegno. […]
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perché ancora non c'è un'espressione per poterlo definire in termini diversi dal moderno, però tutto questo
processo ha tendenzialmente allontanato da sé l’orizzonte del passato come elemento di orientamento. Di
orientamento nella socialità, di orientamento della politica… cioè, è esistita quella che si chiama crisi della
storia. E questo è un problema che affronteremo un po' più avanti. Volevo solo farvi notare fin da ora che la
crisi della storia, cioè la possibilità che la storia e il passato sia – per usare un'espressione abusata
ciceroniana – “Historia magistra vitae”, cioè che la storia diventa uno strumento di orientamento delle
proprie scelte, della propria vita, delle proprie relazioni e anche delle relazioni sociali, della politica,
eccetera., questo tendenzialmente si è frantumato, e quindi l'orizzonte d’esperienza individuale e collettiva
si è allontanata da una concezione e dal ruolo assegnato alla storia.

Volete degli esempi su questo che forse può facilitare il ragionamento? Allora ci sono dei passaggi. Ve li
metto un po’ a casaccio. Il passaggio dal fatto all'evento. Per lungo tempo la concezione di un elemento del
passato è stato considerato un fatto storico. E qui c'è il peso della interpretazione oggettiva del passato, il
fatto come un qualcosa di solido, che esiste, è esistito in quel modo. A un certo punto, la concezione
dell'elemento del passato si è trasferita da fatto ad evento. Evento storico e non fatto storico. Non è
semplicemente una sinonimia, cioè un sinonimo. È un avvicinamento al significato del passato e degli
elementi che lo compongono, legato alle forme della comunicazione. / Un fatto è una cosa, un evento è
un’altra. Un fatto ha un valore tendenzialmente ontologico, cioè è una cosa, diciamo, fissa in qualche
modo. L'evento è quello che riesce a comunicare di quel fatto storico. E qua c'era una vecchia lamentela
dei testimoni della Seconda guerra mondiale. Voi forse sapete che nel giugno del 1944 c'è un passaggio
della Seconda guerra mondiale decisivo che è lo sbarco in Normandia, il D-DAY, cioè lo sbarco in Normandia
delle truppe alleate Anglo-Americane eccetera eccetera, che poi segna la fase finale della guerra mondiale,
in Europa, almeno. Un evento di portata enorme… “evento” non “fatto”. Nel senso che fu filmato, contro
filmato, preparato anche scenograficamente, messo in scena. Il D-Day, ancora più che un'azione militare in
sé, fu un'azione comunicativa di grandissimo rilievo. Furono mobilitati operatori cinematografici e
giornalisti. Come un grande evento, ci fu una regia speciale perché doveva trasmettere una dimensione, ma
anche della grandezza, della vittoria che si avvicinava, etc. Nello stesso frangente si svolgeva sul teatro
Pacifico, una delle battaglie più sanguinose che ci furono nella conquista dell'isola strategica. Quell’evento è
un fatto storico che non assunse carattere di evento, perché fu totalmente adombrato dall'evento mediatico
del D-Day. Questo fu lamentato dai reduci di quella battaglia. Questo è un piccolo esempio, per quanto
drammatico (stiamo parlando di gente che moriva) per dire come la stessa concezione degli elementi del
passato nel passaggio dal fatto all'evento storico, segnala un cambiamento di relazione con il passato e lo
lega molto di più alla dimensione… (18:04?).

Ma ora ritorno su storia e storiografia. Qui siamo nel campo oggettivo-soggettivo, le problematiche che
pone la storia, che cos'è la conoscenza del passato, eccetera. La storiografia si è posta relativamente questi
problemi. Se li è posti in realtà dai tempi di Tucidide e di Erodoto, cioè sin dalla civiltà greca. Sapete che la
storia, in quanto tale, si parla di inizio di una storia dell'umanità nel momento sostanzialmente del
passaggio dall'oralità alla scrittura. Quando Elisabeth Eisenstein3 parla di “addomesticamento del pensiero
selvaggio4”, cioè quando il pensiero selvaggio dell'oralità che non era strutturato, libero, eccetera, viene
addomesticato nella forma della scrittura. Ed è allora che iniziano a emergere le fonti di oralità. Ovviamente,
le fonti di oralità non si trasmettono nel tempo. Allora non c'era la registrazione del suono, ecc. In realtà, c'è
anche un'altra interpretazione del passaggio dalla fase preistorica a quella storica, determinata
dall'insegnamento nei villaggi, cioè dalla nascita dell’agricoltura. (Nota Titti: quindi dalla stanzialità). In
questo caso non si tratta dell’addomesticamento del pensiero selvaggio, ma dell’addomesticamento delle
piante selvatiche, cioè nel momento in cui si mettono a cultura le piante e non vengono raccolte
3
(in realtà lei ha scritto: Le rivoluzioni del libro: l’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna)
4
L'avvento della scrittura, secondo Jack Goody, (antropologo britannico), ha permesso un "addomesticamento del pensiero" tale da consentire
processi quali l'astrazione, la formalizzazione, la logica, l'analisi, la classificazione, la sintesi e l'ipotesi (e quindi la formazione di nuove teorie).

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spontaneamente. Mentre, il tema del passaggio dall’oralità alla scrittura ha una datazione un po’ difficile da
fare, ma sostanzialmente sono 5-6000 anni fa, la nascita dell'agricoltura significa lo stanziamento degli
esseri umani in villaggio. E questa dimensione invece si allontana sempre più nel tempo, prima veniva
collocata quasi con la nascita della scrittura, 7-8000 anni fa, pian piano si è allontanata sempre di più,
perché queste forme di proto-agricoltura sono state individuate addirittura 12-13 mila anni fa.

Il tema della storia, e nel nostro caso il passaggio dall’oralità alla scrittura, è un sapere che si perde nella
notte dei tempi e quindi per lungo tempo i ragionamenti sul ruolo che il passato aveva nei confronti delle
comunità umane, è stato oggetto di attenzione. Da Erodoto a Tucidide, lo è stato nella cultura latina,
pensate a Cicerone, Ovidio e via dicendo, e lo è stato nel periodo medievale, periodo di allontanamento da
una dimensione antropocentrica in cui era facile risolvere i problemi storiografici: ci si affidava a Dio, cioè, la
storia era determinata dalla provvidenza, ed era Dio a definirla. Era un ente superiore che decideva i destini
degli uomini e quindi per lungo tempo è stato solo quello l’elemento caratterizzante dell’interpretazione
storiografica. Poi, pian piano a partire dal neo-antropocentrismo dall’Umanesimo al Rinascimento, è tornata
in campo l'idea di come il passato potesse essere trattato. Quindi si è ragionato in termini di storiografia.
Non dovete ricordarvi i nomi che stiamo percorrendo. Dalle cronache del Villani… a Kusen… a Ludovico
Antonio Muratori nel Settecento… Era solo per fare una panoramica. Il discorso storiografico inizia a metà
dell’Ottocento.

Fino all'Ottocento, c'è stato un ragionamento sui saperi storici che modificava l'approccio verso la storia,
cioè il concetto di storia, ma specialmente arricchiva una parte di storiografia, di cultura storiografica, cioè
come affrontare il passato, con quali strumenti?

Cos'è che si modifica nel tempo?

In questa lettura storiografica si modifica il paradigma o lo statuto. Cioè nel senso che tutti i saperi,
tendenzialmente orientano le proprie scelte, le proprie letture, il proprio sguardo sul mondo, in questo
caso sul passato della storia, della letteratura sul testo, sulla poesia, o per la storia dell'arte sull'arte
figurativa o meno, eccetera, sulla base di uno statuto. Si chiamerà “Statuto della Disciplina”. Questo
statuto è qualcosa di più che un pezzo di carta, che a volte non lo è neanche, dove si scrivono i principi di
fondo iniziali. Molti di questi principi si modificano nel tempo. Khun parlava di paradigma. E non è molto
dissimile dall'Habitus mentale, cioè sono i contesti, i valori, i simboli di un'epoca che si traducono anche
nell'ambito delle discipline, cioè nella letteratura, nella storia, ecc., come paradigmi di riferimento su cui ci si
orienta. Questi paradigmi cambiano nel tempo.

E allora è qui il tema su cui voglio aprire la vostra attenzione: Storia e storiografia. Meno male, ci sta una
distinzione che abbiamo chiara. vi ho dato qualche spunto di riferimento sul concetto di storia, la sua
discutibilità, i primi accenni su come gli elementi culturalisti entrano nel discorso della storia, insieme alla
soggettività. Quello che a me interessa sottolineare adesso, è che la storiografia non si comprende senza la
storia. C'è una sorta di circuito vizioso o virtuoso, cioè? La storiografia si modifica nel tempo e si modifica
nel tempo, non per forze endogene, non per forza interne, certo, anche attraverso un dibattito interno, ma
principalmente per elementi esterni. Cioè, la storiografia è soggetta alla storia.

Se poi c'è la prima guerra mondiale, la storiografia cambia. Cambia l'approccio della letteratura, cambia
l'approccio della sociologia, cambia l’approccio di tutte le discipline, ma adesso ne parliamo. Se nasce la
società di massa, la storiografia cambia. Se arriviamo nella fase dell'età del capitalismo d'oro, la storiografia
cambia. Quella pretesa, ahimè piuttosto diffusa, che le discipline si possono leggere, interpretare solo al
loro interno, cioè attraverso gli strumenti che da sole si danno, diciamo, come se fosse una genesi
endogena: questo è un errore che può essere scusabile per un letterato? Non è scusabile per nessuno,
meno che mai per uno storico. Uno storico che quando parla di storiografia non va al di là del circuito del
discorso storiografico, per rendersi conto che la storiografia cambia il suo paradigma in funzione di quello

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che avviene al suo esterno, che non avviene nel chiuso del convegno, del dibattito, del libro, ma che avviene
nel mondo, cioè nel contesto circostante, farebbe un errore gravissimo.

A quel punto io quello che vi proporrò è esattamente una interpretazione critica storica della storiografia.

Cioè perché? Vedremo degli elementi di trasformazione della storiografia, e questi elementi saranno
guidati da due processi, che sono i più evidenti: Il passaggio dall'alto verso il basso e dall'oggettivo verso il
soggettivo. Linee cartesiane che definiscono, diciamo, la tendenza complessiva dei cambiamenti della
storiografia. Dall’oggettivo al soggettivo e dall'alto verso il basso. Queste sono le due dinamiche, che
chiaramente io ve le spiegherò.

Queste sono le due dinamiche principali, le tendenze che caratterizzano tutta la storia della storiografia tra
la seconda metà dell'Ottocento e il 900. Allora? Tutto quello che vi dirò, materialmente sarà inutile. In che
senso? Sarà un contributo culturale fondamentale, ma dato che il processo di acquisizione di questa
storiografia è stato praticamente messo drasticamente in discussione dallo switch digitale, cioè dal
passaggio allo scambio sociale di tipo digitale, diventa un po' archeologico il ragionamento. Cioè nel senso,
che ci facciamo oggi con l'euristica? Faccio un esempio, adesso siamo ancora nella fase di orientamento, e
vi do ancora spunti: Che cos'è una fonte in epoca digitale? c'erano degli elementi per uno storico che
caratterizzavano fortemente la fonte, datazione e autorialità. E se tu non facevi queste prime due
operazioni: datare una fonte e dargli un autore o un'autrice, questa fonte perdeva valore, perché non potevi
accreditare questa fonte ad un tempo e a uno spazio, perché l'autore è anche un luogo etc. Queste cose
sono saltate. Sono più insicure, con la dimensione digitale. La dimensione digitale è una dimensione priva di
autore e priva di datazione, perché è un elemento dinamico, la datazione può modificarsi, il documento può
essere facilmente manipolabile. Trasferibile. È difficile spesso la databilità del documento, al di là se si usano
meta dati che servono a frenare questa possibilità di perdita di autorialità. Spesso un documento non ha più
autore. Vengono sì mantenute alcune forme di identificazione autoriale di un documento, firme digitali,
queste cose qua, però, nella sostanza, il grande vero mare magnum delle risorse elettroniche, che è
sconfinato, è sempre più… alla intelligenza artificiale, del passaggio… insomma, è un modo che mette in
discussione tutti i principi base su cui ci si era tradizionalmente fondati per definire, identificare una fonte.

Quindi, dato che gran parte della storiografia si era basata su questo tipo di analisi delle fonti, utilizzando
procedure di identificazione della datazione, procedimenti di identificazione dell'AUTORIALITÀ, etc. etc.
tutta quella parte lì è diventata vecchissima, si può ancora utilizzare per la vecchia documentazione… non si
può più utilizzare da tempo per la dimensione contemporanea delle fonti.

Tra l'altro c'è un problema che mette in discussione anche gli strumenti della storiografia, la proliferazione
delle fonti, il mondo digitale è un esempio massimo, ma la proliferazione delle fonti è iniziata molto prima
del digitale, è iniziata quando si sono affermati i mezzi di comunicazione, quando si è formata alla società di
massa. Società di massa e stiamo parlando del 1800, inizio 900, poi con l'adozione di sempre nuovi
strumenti, più diffusi strumenti di comunicazione: radio, televisione, la stampa più diffusa, cambiamenti che
riguardano la storia tecnologica anche dei mezzi di comunicazione, c'è stata un'esplosione di fonti,
un'esplosione totale… scolarizzazione… che ha corrisposto, come vedremo, a due processi paralleli:

1) Il primo processo è la proliferazione oggettiva delle fonti. Cioè, se siamo in un'epoca in cui a dare un
contributo diretto alla vita pubblica è una élite, un numero ristretto di persone… che producono un
numero limitato di documenti e non ci sono altri strumenti che non la scrittura, con la società di massa
con i nuovi strumenti della comunicazione si allarga tantissimo. Ma oltre ad allargarsi tantissimo, il
numero di fonti, le fonti esplodono ancora di più per un altro motivo.
2) Per il processo dall'alto verso il basso.

Cioè se io all'inizio, come vedremo a breve o domani, considero la storia oggettiva e per me le fonti valide
sono solo quelle prodotte dall'apice della società: re, ambasciatori, condottieri militari ecc., riconosco
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legittimità a un nucleo di fonti abbastanza limitato. Ma se io, come è successo nella storiografia, l'orizzonte
delle fonti lo allargo e mi rendo conto, come diceva (Marc) Bloch, che “lo storico è come l'orco là dove fiuta
preda umana: là è la sua preda”5. Trasformato in concetto storiografico, a fuor di metafora, lo storico
considera tutto l'agire umano come oggetto di attenzione della storia.

E quindi le mie fonti è anche il solco di un aratro… che poi è considerato l'origine del diritto, es: il diritto di
proprietà: il solco dell'aratro è una fonte della ricostruzione del paesaggio, delle coltivazioni, quindi
dell'economia di un luogo. Aratro significa chiaramente la coltivazione della terra, trasformazione che
significa bonifiche, che significa disboscamento, cioè significa cambiamenti dell’agire umano, rapporto
ambiente-uomo, insomma, storia.

Questa tendenza, da una parte alla moltiplicazione in sé degli oggetti-fonte, dall'altra ad allargare sempre di
più la legittimazione delle fonti... pensate a una cosa che era proprio improponibile all'epoca della disciplina
oggettivistica della storia: i componimenti scolastici dei bambini… oggi ci sono degli archivi scolastici. Alcuni
archivi scolastici sono stati gestiti in maniera un po' approssimativa, ma altri sono stati riversati all'Archivio
centrale dello Stato.

Stiamo parlando dei temi di bambini di 7, 8, 9, 10 anni… che sono tra l'altro piccoli documenti ufficiali…
questo materiale che un tempo non si sarebbe considerato fonte, ma semplicemente da mandare al
macero… oggi diventa una fonte di storia di una certa importanza. Vi sto facendo un esempio estremo
perché oggi poi c'è un problema di politiche pubbliche dell'archiviazione eccetera.

Non so se conoscete l’archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano? È un bellissimo posto, un archivio
che ha inventato Saverio Tutino, un giornalista, un personaggio molto affascinante, che negli anni 80 inizio
questo lavoro di raccolta dei diari, dei diari privati delle famiglie. Alcuni erano diari di figure importanti, ma
la maggior parte delle persone comuni. Tutino fece degli appelli perché venissero consegnati i diari; magari
ne faceva una copia… chi trovava i diari dei nonni, il diario del bisnonno dentro una cassapanca, in un baule,
in soffitta… e hanno raccolto migliaia di diari, di quella che si chiama Scrittura popolare. Einaudi ha
pubblicato un paio di questi diari con un rilievo letterario significativo. Ed erano diari di povera gente, che si
esprimeva in un modo molto elementare. Oggi un giovane studioso che vuole fare una storia sociale di un
luogo, ha moltissimo da attingere da questo, da questi archivi… infatti l’archivio idealistico di Pieve Santo
Stefano spesso… anche pensate al teatro quanto può ricavare da un diario della Sicilia inizio 900…
addirittura una vera e propria sceneggiatura. Insomma, questo è l’argomento dell'estensione dell'orizzonte
delle fonti che, insieme all'aumento della produzione di fonti, determinato dalla società di massa
contemporanea, ha fatto esplodere il concetto di fonte.

Ma torniamo alla discussione sulla storiografia. Avevamo messo in discussione la storia tra oggettività e
soggettività. Adesso sto dicendo che anche la storiografia non sta messa bene.

Nel senso che molti capisaldi da cui era nata, si sono frantumati attraverso il punto massimo del digitale, ma
anche attraverso una dinamica delle fonti che tende ad allontanare sempre di più la storia, o il modo di fare
storia, quindi la storiografia, da quelli che si possono considerare i metodi sperimentali scientifici che sono
stati alla base della concezione stessa della storiografia.

E che si sono modificati nel tempo, perché a un certo punto ma che mi dici: “la vecchia cultura”, per cui se io
devo ricostruire una vicenda del passato devo mettere insieme tutte le fonti di quell’evento, di quel
periodo… mettile insieme tutte ste fonti… Così come ve le ho raccontate io è possibile. E quindi, come
vedremo, cambia il rapporto con le fonti. Si modifica la storiografia…

5
(esattamente la citazione è: Il bravo storico, invece, somiglia all'orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne
umana, là è la sua preda”.)
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Jerzy Topolski6 ad un certo punto dice: non si riesce a gestire tutta questa quantità di fonti, per cui
dobbiamo trovare una soluzione con uno switch culturale, concettuale. Cioè, dice, le fonti non sono gli
strumenti. La concezione strumentale delle fonti cambia, non è più uno strumento. Non è che io c'ho
l'oggetto, il fascismo. Trovo tutte le fonti sul fascismo e mi metto lì di buzzo buono e ricostruisco… non
funziona più così. La fonte ha un valore epistemologico 7, cioè che significa? la fonte che è parte della
concezione della storia. Cioè, io non parto più dall'idea… cioè la fonte, il suo formato, il suo codice, il suo
linguaggio… diventa un elemento della mia ricerca. La Ricerca storica non è più il periodo, i fatti che io
documento… ma sono anche i documenti, la ricerca storica. Per cui il concetto è, come vedremo, alla base
del discorso… turner…. Saranno tutte più chiare queste cose che vi sto dicendo come spunto, quando sarà
più ordinata la forma delle lezioni.

Allora mi fermo e vediamo se ci sono un po' di domande.

Dall’alto verso il basso significa dalla storia degli eroi alla storia dal basso.

Sì, chiaramente c'è un elemento istituzionale, ma c'è il fatto che tutto quanto la storia nasce come disciplina
nel contesto elitistico della nascita dello stato-nazione e della cultura positivista, espressione di una
concezione della storia e della società di élite, cioè gerarchica, che è quella appunto propria della borghesia
trionfante, perché la storia è figlia della borghesia, la storia come disciplina. La storia era considerata la
storia cosiddetta degli eroi, cioè che i protagonisti della storia erano soltanto queste figure apicali.

Cioè ancora oggi a noi viene in mente di pensare che Biden fa più la storia della sora Maria di Testaccio? No,
cioè nel senso il Presidente degli Stati Uniti d'America, evidentemente produttore di storia maggiore della
signora che accompagna i nipoti a piazza Santa Maria Ausiliatrice.

Non era preso in considerazione il protagonismo delle masse nella storia, anche quella di Biden, diventa
centrale nella costruzione della storia, ma comunque sempre si basa sulle azioni di massa, sulle azioni della
popolazione statunitensi o di chi soffre le conseguenze di scelte politiche, eccetera. Prima la storia era solo
degli eroi: pontefici, re, comandanti militari, gli ambasciatori... e tutto il resto non veniva considerato. Era
fuori dalla storia. Tutto veniva visto dall’alto.

Ora, pian piano, insieme a quel processo verso la soggettività, la società di massa impone una presenza
delle masse ben diverse, partiti politici, sindacati, rivoluzioni sociali e movimenti, un'articolazione della
società sempre più ricca nella dimensione pubblica.

Questo convince anche gli storici a dire: i protagonisti sono solo gli eroi o lo storico è come l'orco?

Si deve guardare tutto l'agire umano, allora iniziano a diventare protagonista quella anonima massa che
poteva rimanere tale quando era soltanto sudditi, ma ora scende in campo, fa le rivoluzioni, rompe le
vetrine… si organizza, entra in Parlamento con i socialisti. Insomma, la nascita della società di massa crea
una vita pubblica più articolata, convince ad abbassare dall'alto verso il basso lo sguardo della storiografia.

Il punto più basso, inteso in senso tecnico, in senso valoriale e di merito, è la sora Maria. Allora perché la
sora Maria, che è il soggetto principe della storia orale lo sto dicendo con un tono critico, semiserio. E cioè?
Questo processo dall'alto verso il basso è stato anche un processo di democratizzazione della storia.

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Jerzy Topolski (Poznań, 20 settembre 1928 – Poznań, 21 dicembre 1998) è stato uno storico polacco. Jerzy Topolski
era specializzato in storia economica, storia della cultura materiale, storia moderna, teoria e metodologia della storia.
(è morto il giorno del mio compleanno…)
7
Indagine critica intorno alla struttura logica e alla metodologia delle scienze. Il termine, coniato dal filosofo scozzese
J.F. Ferrier, designa quella parte della gnoseologia che studia i fondamenti, la validità, i limiti della conoscenza
scientifica ( episteme).
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In termini anche tecnici, che se io vado dall'alto verso il basso e il protagonista, il popolo, il demos, faccio
l'operazione di democrazia, cioè faccio un'operazione democratica. Solo che questa azione democratica
alcune volte si è accontentata della direzione amatoriale, è stata un po’ meno attenta alla dimensione
effettiva della storia, per cui è tanto stata democratica che la parola ce la deve avere Sor Pampurio.

Allora, Storia orale, facciamo l'intervista a Sor Pampurio che ci racconta… va benissimo perché anch’io
voglio ascoltare la voce del Sor Pampurio… ma se io tendo, per una logica valoriale un po' demagogica, più
demagogica che democratica, a pensare che la parola del Sor Pampurio sia superiore ad ogni altra, cioè a
mitizzare la parola del sor Pampurio io faccio lo stesso errore, al contrario, di chi pensava che solo il re
dovesse parlare e cioè che la storia vera, venga solo dal sor Pampurio.

In quel modo faccio una storia di anti-eroi, e però è sempre una storia limitata e circoscritta.

Il paradosso della storia orale, che raggiunge l’apice o, se vogliamo, la fase più estrema della tendenza
dall'oggettivo al soggettivo… e dall'alto verso il basso più in basso di questo non c'è… il soggettivo non è
dato solo dal sor Pampurio… ma dalla modalità con cui si costruisce la fonte orale… rischia di farvi avere il
paradosso che torna indietro, cioè attraverso la logica dell'antieroe, torna ad essere oggettivista e a fare una
sorta dell'antieroe solo dal basso.

Il passato come orizzonte dell’esperienza

I nostri comportamenti sociali sono dentro un orizzonte di esperienza. Questo orizzonte di esperienza è
fatto di tempo e di spazio. È un'esperienza proprio che noi vediamo concettualmente come formazione
come trasformazione… e questo concetto di Orizzonte di esperienza che è quello che Koselleck ha proposto,
è un modo per gli storici di definire ancora una volta un po' attrezzatura mentale come epoca per valori,
simboli, eccetera. Quando io ho detto che nell'orizzonte d'esperienza nei tempi recenti scompare il rapporto
col passato, il rapporto con il passato è stato centrale negli orizzonti d'esperienza fino ad anni relativamente
recenti, fino a qui corrispondono a quel cosiddetto concetto di modernità. La modernità si è costruita sul
rapporto del passato, il passato aveva un ruolo fondamentale, perché era l'elemento della legittimazione
cioè il passato legittimava e quindi uno per legittimare nell'ambito politico nell'ambito individuale
nell'ambito… si legittimava per il casato…

…questa concezione orizzonte di esperienza è stata teorizzata da koselleck, è che è cambiato nel tempo
l'orizzonte di esperienza, però è un modo per analizzare il ruolo che ha avuto in passato dentro i nostri
orizzonti, intesi come storia dell'umanità di orizzonti di esperienze. In passato è stato, per lunghissimo
tempo, un elemento caratterizzante fortissimamente gli orizzonti di esperienza, perché erano la principale
fonte di legittimazione, una legittimazione che era politica, che era sociale, addirittura individuale.

Stavo facendo riferimento ai casati, alle genealogie familiari… l'aristocrazia si basava tutta… essendo
lignaggio, essendo ereditaria come funzione sociale, come funzione dell'immaginario, eccetera…era tutta
costruita sull'orizzonte d’esperienza del passato. Ma non è così vecchia questa concezione: i movimenti
politici si basavano sulla legittimazione del passato, lo stato nazione si è basato sulla legittimazione del
passato inventato, lo vedremo, passato inventati, comunque anche inventare una tradizione, come si usa
dire, nell'ambito del nazionalismo e della formazione degli Stati nazione, Eric Hobsbawm ha usato questa

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espressione inventare la tradizione8 e comunque dare al passato un ruolo fondamentale anzi addirittura così
importante che io me lo invento pure questo passato pur di averlo.

Ma altri esempi ancora più recenti: gli storici per esempio negli anni 50-60 fino agli anni 80, erano molto
spesso figure politiche, cioè leader politici importanti come Palmiro Togliatti, lo stesso De Gasperi avevano
una cultura storica che alimentavano, cioè il primo dovere loro era conoscere il passato. Insomma
nell'orizzonte di esperienza che costruisce comportamenti sociali: il passato. C’è stato invece un
cortocircuito diciamo così, postmoderno, di crisi della modernità, in cui la prima esperienza ad essere
tendenzialmente espulsa è quella del passato. Allora attenzione, il passato non è nominale, cioè noi siamo
pieni di tracce di passato nel nostro orizzonte d'esperienza, ancora oggi, ma è un passato non passato… è un
passato presente, è un passato che non ha più la sua profondità… è una presentificazione del passato.

Mi spiego: per vendere la nuova Fiat 500 fecero un grande battage storico della vecchia 500 è per spiegare
come si attinge dal passato per quello che serve nel presente, cioè come piazzare un prodotto, mi serve a
giustificare un'azione politica, cioè non esiste un rapporto con un passato nella sua profondità. Non c'è il
passato per usare un'espressione di storia appunto magister vitae, cioè non c'è più il passato come
magistero o come forma di legittimazione, ci sta l'icona del passato, quindi si appiattiti il passato è
totalmente appiattito. Giovanni de Luna, lo storico che ha scritto un libro che si chiama Il mestiere dello
storico, usava dire: è la storia da supermercato… una storia per cui entra in una specie di supermercato fatto
di immagini di icone di roba del passato l'immagine del Che Guevara l'immagine di Frida khalo, tutto ciò che
è entrato nell'iconografia del bar dietro l'angolo, del ristorante, insomma diciamo di un mondo che non
vuole mettere nel suo orizzonte di esperienza quella roba lì… gli serve per una ragione del presente:
vendere affascinare sedurre… qualsiasi cosa sia la motivazione del presente che lo spinge… e quindi tutto
questo mondo di icone, fanno parte di una presentificazione del passato e quindi Giovanni De Luna diceva
proprio: è come se tutta questa materia del passato tu ce l'hai in forma iconica, messa in un supermercato e
ti scegli quello che vuoi, intorno non c'è nulla non c'è costruzione di contraddizioni, non c'è spessore… e un
appiattimento di questa roba, non c'è spessore…

è chiaro che è funzionale, ripeto, il fatto, non è che per parlare della 500 degli anni 50-60 il miracolo
economico italiano una pubblicità della Fiat doveva parlare della mancanza dei diritti degli operai, o delle
morti sul lavoro o degli immigrati che dal sud andavano a Milano, o delle scritte non affitto ai meridionali…
cioè le contraddizioni di un'epoca, che non è stata solo di icone 500… è stato un vissuto del paese, non
pretendo chiaramente che la Fiat si interessata ad auto… però questa tendenza coinvolge anche un po' gli
storici, questa tendenza all'appiattimento.

Nell'uso pubblico della storia e parleremo di public history perché è una cosa molto interessante che
interagisce molto anche coi vostri percorsi formativi o coi vostri lavori, magari, però nell'uso pubblico della
storia c'è una tendenza all'appiattimento, anche se questo è più contraddittorio. Comunque sicuramente
nell'immaginario collettivo, questo benedetto orizzonte di esperienza ha tendenzialmente espulso la
dimensione della storia. Poi chiaramente c’è il discorso più culturale legato al postmodernismo, al
frammento, cioè l'idea che la storia non sia più elemento di interpretazione.

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L'invenzione della tradizione, così come la tradizione inventata, sono concetti introdotti nel 1983 con la pubblicazione di un libro,
oggi divenuto un classico[1], curato da Eric Hobsbawm e Terence Ranger, The Invention of Tradition, edito per la Cambridge
University Press. Il libro è strutturato come una silloge coordinata e multidisciplinare di casi di studio, esposti da storici
e antropologi[2], e preceduti da un'introduzione teorica. Nel saggio introduttivo, Hobsbawm ipotizza che molte «...tradizioni che ci
appaiano, o si pretendono, antiche hanno spesso un'origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta» [3].
L'invenzione, molto spesso, è il frutto di un singolo atto volitivo o avviene attraverso un più articolato processo creativo che si
realizza, comunque, in un breve arco di tempo. Le "tradizioni inventate" sono spesso l'elaborazione di una risposta a tempi di crisi, a
epoche di rapido cambiamento sociale, alla necessità di fronteggiare nuove situazioni; il richiamo al passato serve allora per
acquistare a se stesse una forma di legittimità.

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Qui voi avete, per chi fa cinema, figure più abituate a interpretare il cinema in termini storici, pensa Stefania
Parigi, molto più strutturata la sua idea del cinema legata alla storia, all'evoluzione di costumi, modi
pensiero, e altri invece che guardano al cinema nel suo frammento, (e qui non faccio nomi), cioè nel senso
che il cinema non è più emblema ma è un linguaggio a sé, che potrebbe essere collocato in ogni momento
del tempo e in ogni spazio più o meno…

Non vi spaventate per il disordine degli spunti delle cose che ho detto, da domani direi, iniziamo ad andare
in maniera più ordinata strutturata più se volete comprensibile, insomma nel senso che poi un andamento
più strutturato ma sempre meno…. questa prima lezione delle conoscenze di apertura anche disordinate
degli orizzonti di esperienza o come o di come si vogliono…

allora io chiudo introducendo soltanto il tema che inizieremo ad affrontare domani per dirvi da che punto
inizierò a ragionare se non ci sono domande… allora da domani partiremo dalla trasformazione della storia
come disciplina… e che significa trasformazione della storia come disciplina? domani partiremo dalla metà
dell'Ottocento, dalla trasformazione dei saperi…

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