La mafia
Da dove deriva la parola?
Probabilmente dall’arabo maha^fat^,
ossia “protezione, immunità, esenzione”
La mafia è un fenomeno siciliano.
Quella americana è frutto di “esportazione”, dei
tanti siciliani emigrati laggiù.
Le altre “mafie” (’ndrangheta calabrese, camorra
napoletana, mafia russa e cinese…) sono
fenomeni leggermente diversi, di natura quasi
esclusivamente criminale.
La mafia non è solo un fenomeno di criminalità
organizzata. non si capirebbe, altrimenti, perché nessun potere, nel
corso della storia siciliana e italiana, sia riuscito a
debellarla
Va tenuta ben presente…
• l’indissolubile legame con la politica che…
• si è servita della mafia per spregiudicate
strategie di potere.
Insomma, la mafia è parte integrante
di un sistema di potere.
“Lo Stato e la mafia
sono due poteri che
occupano uno stesso
territorio. O si fanno
la guerra, o si
mettono d’accordo”.
(Paolo Borsellino)
L’origine storica
Non è facile trovare un inizio.
La mafia compare già nei documenti ufficiali della
Destra storica, appena dopo l’unità d’Italia
(1861).
Mosca (storico) ipotizza che sia nata nel Seicento,
sotto l’arretrata dominazione spagnola della
Sicilia.
Per nove secoli la Sicilia è stata soggetta a
dominazione straniera e il suo ordinamento è
stato sempre fortemente feudale e gerarchico.
Le classi dirigenti siciliane, i baroni, hanno
convissuto con i dominatori stranieri, sentiti:
• come entità nemica,
• ma entità con la quale era necessario scendere
a compromessi… … una lealtà al dominatore scambiata
con forti privilegi!
Il 1800 per la Sicilia, come per tutta Italia, è un
secolo di mutamenti e rivoluzioni.
Nel 1812 re Ferdinando (Borbone), costretto a
lasciare Napoli a causa dell’invasione
napoleonica, sbarcò in Sicilia e dovette trattare
con i baroni siciliani per mantenere il potere.
Con la prima guerra di indipendenza (1848)
Si sviluppano anche in Sicilia forze democratiche
(un esponente: Francesco Crispi)
E’ un’altra Sicilia rispetto a quella mafiosa: una
Sicilia che spinge per l’unità d’Italia, una Sicilia
che confluirà nella democrazia garibaldina
Garibaldi nel 1860 con più di mille uomini sbarca
a Marsala.
Non avrebbe potuto vincere se non con l’aiuto e
la collaborazione dei siciliani…
Furono i ceti dominanti (i baroni) a dare il consenso alla
rivoluzione:
• formano squadre di “picciotti” (spesso delinquenti,
che poi divennero il braccio armato della mafia, le
guardie del corpo dei signori) pronte all’azione.
picciotto
1 dial. sicialiano Giovanotto; in partic. soprannome dei
giovani siciliani che nel 1860 si aggregarono volontari ai
Mille di G. Garibaldi
2 gerg. Persona che, nella gerarchia mafiosa, occupa il
grado più basso
Perché? • a. 1860
Perché i Borbone avevano:
• declassato la Sicilia a provincia periferica del Regno
• e tentavano di ridimensionare il potere del baronaggio
Per i baroni era necessario cambiare per poi
rinegoziare il loro potere con i nuovi arrivati…
“cambiare tutto per non cambiare nulla”,
citando Lampedusa (Gattopardo).
Garibaldi, una volta conquistato il Regno di Napoli, lo
organizza come una democrazia, a favore del popolo
(che chiedeva terra, chiedeva progresso sociale).
Ciò non andava affatto bene né a Cavour (e al re), né
all’élite siciliana: e furono questi ultimi ad avere la
meglio.
La rivoluzione sociale venne dunque repressa.
Il delitto Corrao
Corrao, rozzo e primitivo ma assai generoso, un vero
capopopolo, garibaldino acceso, uno dei promotori
della campagna del 1862 per la conquista di Roma
(terminata ingloriosamente all’Aspromonte), fu
trovato morto il 3 agosto del 1863, assassinato da
alcuni sicari travestiti da carabinieri. Ma sulla sua
morte, lui che rappresentava tutta la forza politico-
rivoluzionaria del garibaldismo siciliano, non fu mai
fatta luce. Non solo: a meno di un decennio
dall’omicidio, tutti i fascicoli contenenti le
informazioni sulle indagine erano stati distrutti.
La Sicilia entra a far parte del nuovo Regno
d’Italia (1861).
I ceti aristocratici pensavano di poter negoziare
con i vincitori piemontesi e di mantenere la
propria autonomia.
Ma i piemontesi allargarono la loro legislazione a
tutti i territori annessi (piemontesizzazione).
Si costituisce in Sicilia lo schieramento degli
autonomisti (i più autorevoli baroni siciliani),
ostili alla capitale piemontese del nuovo regno.
Malcontento popolare:
• aumentata pressione fiscale,
• personale settentrionale nei nuovi uffici pubblici
• introduzione della leva obbligatoria
Aumentano, in opposizione al “governo straniero”, i
reati, i furti, i sequestri; molti si danno alla macchia
dando vita al fenomeno del brigantaggio.
Lo Stato reagisce con la forza,
mandando l’esercito.
fatto che alimentò il convincimento di essere
sotto una dominazione straniera, come in
passato
Ancora sul brigantaggio
Il brigantaggio non è la mafia, ma una forma
primitiva di ribellismo e di delinquenza: in Sicilia
però sarà un ottimo serbatoio per la mafia (come
braccio armato di essa).
In pratica i baroni e la nascente borghesia
mafiosa proteggevano e utilizzavano i briganti
per i loro traffici e contro lo Stato (salvo poi
denunciare l’incapacità dello Stato di proteggerli
dalla delinquenza).
L’avvento della Sinistra storica
L’alleanza tra baroni e la crescente borghesia si
rafforzò sempre più.
In nome degli interessi e dei diritti dei siciliani
essi cercarono di trattare con lo Stato, per
conquistare una quota del potere nazionale.
La Sicilia fu proprio per questo una delle regioni
in cui la Sinistra storica ebbe la stragrande
maggioranza alle elezioni del 1874.
Ed è con forte sostegno della Sicilia che Agostino
Depretis inaugura il primo governo della Sinistra
storica (con il barone Catalabiano come ministro
dell’Agricoltura), nel 1876.
Con lui caddero i provvedimenti eccezionali per
l’ordine pubblico.
Se prima la strategia mafiosa era il boicottaggio
ora le cose cambiarono:
i mafiosi cominciarono a
sfruttare, da posizioni di potere
nazionale, le strutture e le
risorse dello Stato
Nel 1876 ci troviamo di fronte a due inchieste
sulla situazione Siciliana che giungono a
conclusioni opposte:
1) l’inchiesta parlamentare non rileva nella mafia
nient’altro che un fenomeno delinquenziale
retaggio del periodo borbonico, un fenomeno
destinato a sparire
2) l’Inchiesta sulla Sicilia di
Sonnino invece ci mostra
l’esistenza di associazioni mafiose
“regolarmente costituite con
statuti, regole per l’ammissione,
sanzioni, associazioni destinate
all’esercizio della prepotenza e
alla ricerca di guadagni illeciti” e
ci descrive quella rete di omertà
e protezioni che, in Sicilia, era
all’ordine del giorno.
Ma c’era di più: Sonnino mise ben in evidenza la
complicità dei signori e dei baroni a tutte queste
attività illecite: non si trattava solo di qualche
banda di delinquenti, di briganti.
Ma questa tesi non fu accettata: i signori erano
coinvolti? No! Forse erano vittime…
Insomma: si era disposti a riconoscere l’esistenza
di una bassa mafia, ma non quella di un’alta
mafia.
La soluzione proposta da Sonnino?
Lo Stato “per salvar la Sicilia”, avrebbe dovuto
“governarla senza la cooperazione dei siciliani”.
Parole forti e inattuabili. La linea che prevalse, fu
quella dell’occultamento del fenomeno mafioso.
L’alta mafia a questo punto:
• Comincia a vedere nel brigantaggio un fattore di
instabilità
• e fa una sorta di patto, concedendo qualcosa allo
Stato
Inizia così la più importante operazione di polizia
dello Stato unitario.
In soli nove mesi si riuscì a smantellare l’intera rete
di briganti.
Possibile? Certo: la mafia non li proteggeva più.
La campagna di polizia avrebbe poi voluto puntare
più in alto, all’alta mafia: ma allora arrivarono gli
ostacoli e ci si dovette fermare.
In pratica, era stata la stessa alta mafia ad avere
l’occulta regia di tutta l’operazione
Movimento dei FASCI SICILIANI (1888)
Associazioni che riuniscono il maggior numero
possibile di lavoratori (in maggioranza contadini,
viste le caratteristiche siciliane) per ottenere
miglioramenti contrattuali e salariali. Con la nascita
del socialismo il movimento diventa ancor più coeso.
Risultato: panico dei ceti dominanti.
Contro i fasci si invoca il pugno di
ferro da parte del governo: viene
proclamato lo stato d’assedio e la
repressione fu durissima (a
Occuparsene fu Crispi)
Ma per la mafia andava risolta
anche un’altra questione.
Il nuovo direttore del Banco di Sicilia (Notarbartolo)
stava mettendo in discussione tutti gli interessi e gli
intrighi finanziari all’interno di quello che era un
punto nevralgico della finanza siciliana.
Chi era protetto dalla politica otteneva infatti ogni
favore finanziario: Notarbartolo stava provando a
distruggere il clientelismo mafioso.
Il 2 febbraio 1893, su una
carrozza del treno, alcuni
sicari uccisero Notarbartolo
con decine di pugnalate,
liberandosi poi del cadavere
gettandolo dal finestrino.
Gli esecutori vennero
trovati. Ma i mandanti?
Sembrava che ci si dovesse
rassegnare al mistero, come
accade classicamente per i
delitti di mafia…
Poi le indagini si accentrarono su un personaggio
dell’alta mafia, Raffaele Palizzolo, condannato nel
1902.
L’inchiesta mise in luce molti rapporti tra
alta-mafia (baroni/borghesi) e politica.
La risposta dei mafiosi non si fece attendere: Il
Palizzolo fu innalzato a simbolo dei diritti siciliani
offesi dai settentrionali; la sua condanna fu dipinta
come un attentato alla Sicilia.
Il rischio della secessione era evidente.
Quando Giolitti salì al governo pensò che se i
signori siciliani volevano la mafia potevano
pure tenersela, a patto che sostenessero il
suo governo…
Non per nulla Salvemini lo definirà “ministro della
malavita”.
E il Palizzolo che fine fece? La politica ha lunghe
mani… La Cassazione annullò la prima sentenza:
il Palizzolo fu assolto in un successivo processo
per insufficienza di prove. Tornò da eroe in Sicilia.
Sistema del latifondo
Organizzazione gerarchico-piramidale.
•Al vertice: i grandi proprietari, i baroni
(spesso residenti in città, non si interessavano minimamente
delle loro proprietà).
•Poi troviamo i gabellotti: essi
affittavano i grandi feudi, che
dividevano e subaffittavano a una
miriade di contadini, comportandosi da
usurai e ricattatori (più sfrutti, più guadagni…).
•Alla base della piramide, una schiera
di contadini più o meno miseri.
E ove c’erano invece le classiche miniere di zolfo, il sistema di potere era identico.
I gabellotti appartenevano alla mafia e facevano
fronte comune con i baroni.
Nessuno poteva discutere il loro dominio: per i
trasgressori si andava dai “consigli amichevoli”
alle intimidazioni dirette, e nei casi più gravi a
vere e proprie esecuzioni (con la lupara, il fucile a
canne mozze simbolo del potere mafioso).
Chi viene eletto, in Sicilia?
Viene eletto chi è tollerante e complice dei mafiosi.
Da essi ottiene voti e potere, e poi chiude entrambi
gli occhi…
Ma il voto è libero e segreto… Come no… I capi-
mafia si mettevano vicino alla porta della sala delle
elezioni, consegnavano la loro scheda imponendo ai
malcapitati elettori di andarla a deporre nell’urna:
nessuno aveva il coraggio di opporsi.
lo Stato, in età giolittiana, aveva praticamente
rinunciato ad ogni controllo.
E la mafia aveva sviluppato ancor più potere:
1) a livello nazionale (agiva direttamente sui
deputati eletti in Parlamento);
2) a livello locale (con la partecipazione di chi
deteneva le principali cariche amministrative
dei vari comuni siciliani).
La vita amministrativa comunale era il centro di
numerosi interessi:
• la gestione delle tasse (i boss ne erano
ovviamente esentati…);
• la nomina dei gabellotti per le terre comunali;
• i posti di lavoro negli uffici;
• le decisioni sui lavori pubblici (e gli appalti su di
essi);
• ecc..
Insomma, si costituì così una rete di relazioni
clientelari che controllavano ogni attività.
La mafia mette radici in America
Caratteristiche un po’ diverse:
• più criminalità organizzata,
• meno collusioni con la politica
• non è un prodotto di classi dominanti ma…
• degli emigranti (metà 1800/1930 circa), poi
aggregatisi nei ghetti degli USA.
La modernizzazione giolittiana aveva favorito il
triangolo industriale (Torino-Milano-Genova) e aveva
ancor più ribadito la forte discrepanza tra nord e
sud: molti sono i siciliani che emigrano.
Gli emigranti:
• Entrano in attività illegali per tentare di arricchirsi
• Si organizzano in “clan” comandati da PADRINI
• Forma tipica americana: gangsterismo
Formano una specie di Little Italy all’interno della
quale conducono attività legali (artigianato,
commerci, ristorazione…) e ben più remunerative
attività illegali (contrabbando, prostituzione, gioco
d’azzardo ecc.).
Esempio: “Mano nera” newyorkese, specializzata
nell’imporre il “pizzo” a commercianti e negozianti.
In seguito:
• Si chiude l’era del proibizionismo
• C’è la crisi del 1929 e il New Deal
Si apre un nuovo business: quello degli stupefacenti;
senza contare il gioco d’azzardo e la prostituzione.
Lucky Luciano (Salvatore Lucania) capisce che la mafia
deve diventare “manageriale”. Dopo aver fatto piazza
pulita di alcune famiglie, ne associa a sé diverse altre
che negli anni avrebbero costituito il nucleo della
Cupola mafiosa americana (la cosiddetta Cosa nostra
statunitense), avviata a diventare una multinazionale
del crimine con capitali enormi.
Luciano non ebbe vita facile: fu condannato per
trent’anni, anche se gli amici e gli amici degli amici
gli consentirono una quasi definitiva libertà
provvisoria.
Intanto l’Italia stava cambiando.
• Il nord si industrializza
• Il movimento operaio si fa largo
• Scoppia la Grande guerra
Due furono le principali suggestioni del dopoguerra:
la rivoluzione comunista russa;
le rivendicazioni di terra dei contadini rientrati dal
fronte.
Nel complesso fu un periodo di forte conflittualità
sociale.
Le cosche mafiose dovettero cercare di difendersi.
Le vecchie strategie (sequestri, minacce, assassinii)
rimasero sempre valide, soprattutto contro i
“nemici” per così dire “interni”.
Contro i nemici “esterni” (lo Stato!), che tentava di
smantellare il sistema dei latifondi, servivano
strategie nuove. Ecco che i mafiosi pensarono ad
un’alleanza con una forza politico-sociale
settentrionale (fatto impensato, prima, tanto che non
tutti furono d’accordo): il fascismo.
Mussolini, nel suo sistema totalitario, non vuole una
forza tanto invadente e autonoma come quella della
classe politica siciliana.
Cerca di liquidare la mafia: manda Mori, “prefetto
di ferro”, per un’operazione anti-mafia. Arrestò
centinaia di malviventi ma non debellò l’alta mafia.
C’è chi sostiene che avrebbe raggiunto il risultato, se
fosse riuscito a lavorare più tempo oltre al ventennio
fascista; e chi invece ritiene che egli si sia limitato a
colpire la “bassa mafia”. Quando provò con la mafia
“in guanti gialli”, fu accantonato con onore.
Tra i mafiosi, c’è una
figura che spicca,
quella di don Calò,
Calogero Vizzini,
personalità così forte
e con così vasti
interessi che riuscì a
passare indenne
l’epoca fascista.
Con la seconda guerra mondiale e la caduta di
Mussolini i mafiosi (antifascisti o fascisti di comodo)
risorsero, con l’obiettivo di:
• Riguadagnare il potete perduto
• Farsi vedere come difensori della vecchia
tradizione del Sud e della Sicilia (nasce il Movimento
indipendentista siciliano, MIS esponenti di spicco:
Tasca, Andrea Finocchiaro Aprile e Vizzini).
Lo sbarco degli Alleati, poi, diede nuovo vigore al
fronte mafioso antifascista
il governo militare alleato aveva bisogno di
antifascisti (per di più anticomunisti e
filoamericani) da sostituire alle autorità locali per
facilitare l’avanzata e controllare il territorio.
Così il legame mafia-USA si rinsaldò.
Esistono teorie che affermano che Lucky Luciano venne arruolato per facilitare
lo sbarco alleato in Sicilia (luglio 1943) e su questo indagò pure la
Commissione d'inchiesta statunitense sul crimine organizzato presieduta dal
senatore Estes Kefauver (1951). La Commissione Kefauver accertò che nel
1942 Luciano (all'epoca detenuto) offrì il suo aiuto al Naval Intelligence per
indagare sul sabotaggio di diverse navi nel porto di Manhattan, di cui furono
sospettate alcune spie naziste infiltrate tra i portuali; in cambio della sua
collaborazione, Luciano venne trasferito in un altro carcere, dove si offrì anche
di recarsi in Sicilia per prendere contatti in vista dello sbarco, progetto
comunque non andato in porto. È quasi certo che la collaborazione di Luciano
con il governo statunitense sia finita qui, anche se lo storico Michele
Pantaleone sostenne di oscuri accordi con il boss mafioso Calogero Vizzini per
il tramite di Luciano al fine di facilitare l’avanzata americana, smentito però da
altre testimonianze (ma l’accesso ai documenti segreti statunitensi è precluso
o pilotato, quindi non potremo sapere quali sono stati gli accordi
effettivamente presi in quel periodo, né le manovre messe in atto). Tra l’altro
Luciano nel 1946 fu ufficialmente perdonato e liberato e due terzi della pena
gli furono condonati per “meriti patriottici”, pur con l’obbligo di un suo rientro
in Italia.
Il sogno siciliano dell’indipendenza si rivelò
un’illusione, anche perché una volta vinta la guerra
gli americani si defilano…
… non smisero di considerare la mafia una stimata
forza politica.
E nell’interscambio Sicilia-America si erano formate
le condizioni per una possibile fusione tra l’holding
criminale fondata da Luciano e la mafia siciliana.
Stava nascendo una più moderna e ramificata Cosa
nostra internazionale.
A questo punto avvenne una frattura tra:
• chi riteneva archiviata l’ipotesi della secessione
• chi voleva proseguire su questa strada
(soprattutto i grandi aristocratici latifondisti e
filomonarchici).
I tentativi filo monarchici non andarono a buon
fine: l’Italia, con il referendum del 2 giugno 1946,
divenne una Repubblica.
A dominare la scena emersero i grandi partiti di
massa come la DC (Democrazia Cristiana) e i
partiti di sinistra.
Spinte rinnovatrici della società del secondo
dopoguerra:
•eliminazione del latifondo
•più equa distribuzione delle ricchezze
Sia i partiti di sinistra (socialisti, comunisti), per
ideologia, che la DC (per contrastare la sinistra)
proponevano iniziative sociali in tal senso.
La mafia si sente dunque sotto attacco…
La mafia, e il loro patriarca Calogero Vizzini,
reagirono in modo eclatante.
Ad esempio, il comizio del segretario regionale
comunista, Li Causi, che si tenne il 16 settembre
1944 fu interrotto non appena questi cominciò a
parlare alla folla dei problemi della Sicilia, di
gabelloti, di feudi… Vizzini, tra il pubblico, reagì: ci
furono spari, Li Causi venne gravemente ferito.
Gli strascichi giudiziari durarono sei anni, e
terminarono con l’assoluzione di Vizzini e dei
suoi, perché “lavoratori, quasi tutti incensurati”.
Insomma, la mafia non si tirò indietro nella lotta
sociale contro i contadini, contro i politici e
sindacalisti socialisti e comunisti
combatté a colpi di lupara: 4 morti un anno, 8 il
successivo, 19 nel 1947 e così via.
Fino a metà degli anni Cinquanta la mafia, sotto
attacco, stentò però a trovare punti di riferimento
dopo la fine della seconda guerra mondiale il
quadro politico italiano era tutt’altro che definito –
bisognava capire bene chi avrebbe comandato, prima
di poter stringere degli accordi
La mafia mise sul piatto il suo anticomunismo (e
l’essere filoamericana), aumentando il suo “valore
contrattuale” con la DC.
E’ il tempo della guerra fredda
• il viaggio del presidente De Gasperi negli Stati Uniti
segnò la svolta occidentalista dell’Italia: comunisti e
socialisti dovevano essere esclusi dal governo. E
queste due forze segnavano insieme circa il 40% dei
voti.
• La DC, se voleva avere una solida base di governo,
doveva allargare il proprio elettorato (che arrivava
già a un 35%): e ciò lo si poteva fare soprattutto nel
sud, dove la situazione era più incerta.
Il potere della mafia era perciò determinante…
Un esempio eclatante lo abbiamo con la strage di
Portella della Ginestra del primo maggio 1947. Il fatto:
circa tremila persone, contadini con le loro famiglie,
celebravano la festa del lavoro; festeggiavano anche la
vittoria alle elezioni regionali del 20 aprile della
sinistra. Alle 10:30 il segretario locale della sezione
socialista prese la parola per il suo discorso: fu allora
che cominciarono a crepitare le mitragliatrici. Alla fine
si contarono 11 morti e 27 feriti.
Questo l’atteggiamento del ministro Scelba, che
parla a nome del governo: “il delitto si è
consumato in una zona fortunatamente limitata
[…] in cui persistono mentalità feudali sorde e
chiuse […]. Non è una manifestazione politica
questo delitto: nessun partito politico oserebbe
organizzare manifestazioni del genere […]. Si
spara sulla folla dei lavoratori, non perché tali,
ma perché rei di reclamare un nuovo diritto. Si
vendica l’offesa, così come si sparerebbe su un
singolo, per un qualsiasi torto ricevuto,
individuale o familiare”.
L’interpretazione scelbiana era un primo segnale
di quella tendenza a nascondere la verità che poi
sarebbe diventata pratica corrente: un’omertà di
Stato, la costruzione di uno Stato segreto
all’ombra di quello ufficiale.
Inoltre l’avvenimento di Portella non restò
isolato; inaugurando una decisa offensiva
terroristica anticomunista (facilitata dai servizi
segreti statunitensi?).
La mano della strage di Portella fu individuata: il
bandito Salvatore Giuliano. Ma i mandanti di
quest’uomo semianalfabeta che si eresse a eroe
dell’anticomunismo e della democrazia non si
trovarono; potremmo dire che Giuliano servì allo
scopo, e quando non servì più, quando in pratica la
vittoria elettorale democristiana del 18 aprile fu
cosa fatta, fu liquidato.
Il 5 luglio 1950 Giuliano sarebbe caduto
vittima di un conflitto a fuoco con i carabinieri
(forse nient’altro che una sceneggiata; il
bandito sarebbe stato in realtà ucciso per
ordine della mafia, forse dal cugino Gaspare
Pisciotta, poi arrestato).
Ma quale equilibrio trovarono Stato e mafia?
Per la DC era necessario che la mafia abbandonasse
il suo rapporto parassitario con il latifondo, per dare
anche i via a una riforma agraria promessa e voluta;
questo anche a costo di veder la mafia stessa
dirottare le sue attenzioni verso nuovi e forse più
lucrosi affari (es. traffico degli stupefacenti).
Cominciò (anche se ovviamente occorse del tempo
per la “riconversione”) quindi quella trasformazione
da mafia agricola a mafia urbana che sboccerà
definitivamente negli anni Settanta
Riforma agraria varata il 27 dicembre 1950 (legge
Milazzo)
E’ una legge tra le più avanzate del dopoguerra ma
dava anche la possibilità di diverse interpretazioni –
a vantaggio dei grandi proprietari...
Sicché, dopo alcuni anni di euforia, se ne sarebbe
verificato il fallimento sociale, in relazione almeno
alle attese dei contadini più poveri.
La mafia comincia a trasformarsi…
Muore Vizzini a cui succede Genco Russo.
Stava però muovendo i primi passi colui che
sarebbe diventato il principale esponente della
nuova mafia, Luciano Leggio, detto Liggio,
capostipite di del feroce gruppo mafioso dei
“Corleonesi”.
Con il Liggio nasceva un nuovo tipo di mafioso, che
univa il primitivismo criminale degli antichi briganti
al gangsterismo alla Al Capone, con la vocazione
manageriale di un Lucky Luciano: egli avrebbe
generato poi i vari Riina, Brusca e Provenzano.
12 ottobre 1957: a Palermo ha luogo un curioso
meeting internazionale, a cui partecipa il fior fiore
della mafia americana (Lucky Luciano, Joe Bananas,
Frank Carrol, Joseph palermo, Vito Vitale, John Di
Bella).
I capi mafia siciliani, ancora eredi della mafia
agraria, sembravano gregari al confronto; ma nuovi
personaggi, come detto, con nuove strategie (più
“americane”) stavano emergendo, mafiosi di nuova
generazione che preferivano il mitra alla lupara. Qui
si concretizzò l’alleanza siculo-americana,
indirizzata verso affari nuovi e lucrosi, il particolar
modo il traffico di stupefacenti.
E si perfezionò quella moderna struttura gerarchica
di Cosa nostra che in seguito il pentito Tommaso
Buscetta avrebbe rivelato a Giovanni Falcone: in
basso la “famiglia” (cellula primaria a base
territoriale, composta da “uomini d’onore” detti
anche “soldati”, coordinati dai “capidecina” e
governata da un “rappresentante” assistito da
“consiglieri”); a livello intermedio i “mandamenti”,
costituiti da tre o più famiglie territorialmente
vicine; in alto la “Commissione” o “Cupola”,
composta dai capi di mandamento e presieduta da
un personaggio di particolare prestigio.
CUPOLA
Boss
-
- capi di mandamento
MANDAMENTO MANDAMENTO MANDAMENTO
FAMIGLIA FAMIGLIA FAMIGLIA
Rappresentate della
famiglia + consiglieri
Capidecina (coordinano
gruppi di soldati)
Soldati (uomini d’onore)
MANUALE DEL PERFETTO
MAFIOSO
I mafiosi devono essere chiamati ʺuomini d’onoreʺ, devono saper tacere ed esprimere con
uno sguardo il significato di un discorso complesso. Un uomo d’onore non fa domande: se
un suo superiore gli chiede qualcosa deve rispondere dicendo la verità. Chi entra nella
mafia non può avere legami di parentela con le forze dell’ordine o con magistrati. La mafia
non gradisce neanche le persone senza una dimora o chi ha una vita sentimentale
travagliata UNA VOLTA ENTRATI NON SI ESCE PIÙ. Per Cosa Nostra, inoltre, la cosa più
importante è il rispetto delle regole.
I RITI
PICCIOTTO: LO DIVENTA TRAMITE UN BACIO E UNA STRETTA DI
MANO
CAMORRISTA: SI INCIDE IL POLLICE DAVANTI A DUE TESTIMONI
SGAMORRISTA: VIENE DISEGNATA UNA CROCE SU UN POLLICE,
POI SI BRUCIA UN SANTINO E LE CENERI SI SPARGONO SUL
POLLICE
SANTISTA: VIENE FATTA UN'INCISIONE SULLA SPALLA A FORMA
DI CROCE
La lunga stagione della mafia democristiana
La DC diventò un organizzatissimo partito di
massa, con l’obiettivo di occupare totalmente il
potere e contrastare l’efficiente PC di Togliatti.
C’era bisogno di uomini nuovi; e in Sicilia questi
uomini appartenevano alle cosche mafiose. Ne
scaturì una fitta trama di alleanze politico-mafiose
che si sarebbe via via rafforzata fino ad arrivare a
forme di integrale dominio della mafia sulla politica
e sull’economia
I boss non si limitavano a sostenere i politici “amici”; li
formavano, li allevavano…
Quindi:
• compravano e controllavano i voti per le elezioni;
• gestivano il mercato dei posti nell’amministrazione
(premiando gli amici, ma anche i clienti, i collettori di
voti, gli amici degli amici…)
• tramite le banche (dove nei posti chiave erano
collocati uomini fidati) gestivano l’investimento dei
capitali provenienti dallo Stato o dalle attività illegali
(contrabbando, narcotraffico, usura, estorsioni,
prostituzione gioco d’azzardo e così via).
La mafia diventa impresa.
Entra in primo luogo nel settore edilizio e poi in
quello della produzione industriale, senza
trascurare il turismo e il commercio (attività che,
con il decollo della società dei consumi,
sarebbero diventate fondamentali per
l’espansione dell’affarismo mafioso in tutto il
territorio nazionale).
Principali attività e fonti di guadagno della mafia
Traffico illecito di armi.
Traffico di droga.
Gioco d’ azzardo (il settore del gioco d'azzardo italiano è il terzo su
tutto il territorio: dispone di un bilancio sempre positivo, che
sembra non conoscere mai crisi. Ci sono quasi 50 clan mafiosi che
gestiscono i giochi d'azzardo).
Estorsione (reato commesso da chi costringe con violenza a fare
qualche atto al fine di trarne un profitto).
Usura (fornire prestiti a tassi di interesse considerati illegali, tali da
rendere il loro rimborso molto difficile o impossibile, spingendo
perciò il debitore ad accettare condizioni poste dal creditore a
proprio vantaggio).
Ricavi stimabili attorno ai 10 miliardi di euro
Modalità di guadagno
mafioso
Come si vede, pizzo e usura
sono le più tradizionali e al
vertice delle entrate mafiose.
I soldi così accumulati sono
stati reinvestiti in tante altre
attività, alcune legali e altre
no, per accrescere l'enorme
patrimonio in mano alla
malavita.
La rete politica mafia divenne così fitta da
risultare quasi inestricabile. Un’universale omertà
avrebbe avvolto gli intrighi di una lotta politica
ridottasi quasi esclusivamente a pratica della
spartizione di voto di scambio.
Intrighi che coinvolsero prima di tutto la DC al
potere, ma che pian piano non restarono estranei
neppure al partito socialista e a quello
comunista, inizialmente storico fronte
“antimafia”.
Prima Commissione di inchiesta per l’antimafia (anni 60).
Nel 1963 la Squadra mobile della questura effettua un
rastrellamento arrestando 250 mafiosi, anche se i grandi
nomi (Riina, Provenzano) restarono latitanti. In compenso
fu finalmente catturato Luciano Liggio.
Furono però insoddisfacenti gli esiti penali: molti furono
assolti, prosciolti, o accusati solo di reati minori. Pesava il
muro di omertà mafiosa, solo scalfito dal primo pentito,
Leonardo Vitale, poi ucciso nel 1984. Ma pesavano
soprattutto i legami della mafia con la stessa magistratura.
Inoltre Conflitti interni a Cosa nostra (faida
interna che provocò centinaia di morti, con vendette
e controvendette).
Nei primi anni ’70 Cosa nostra si ricostituì.
C’era stato il 68, le rivendicazioni operaie: il PCI
cresceva…
1972: Stefano Bontate, Salvatore Riina, Gaetano
Badalamenti formarono un triunvirato con il
compito di stabilire il futuro assetto della mafia.
• Si forma una rete politico-mafiosa tra loro e la
corrente della DC capeggiata da Giulio Andreotti.
• Il triunvirato pacificò Cosa nostra con un
compromesso tra famiglie.
Fu proprio con l’avanzata nella mafia
dei Corleonesi (Riina) che cambiò
l’organizzazione mafiosa, da
orizzontale a verticale (anche se
all’inizio tutti i boss erano gelosi della
loro autonomia).
La centralizzazione serviva: la mafia
stava davvero diventando azienda,
business (narcotraffico, commercio di
armi, prostituzione, usura erano
traffici internazionali; e poi andava
riciclato il denaro sporco…).
Negli anni Ottanta si assiste ad un fenomeno di
degenerazione che colpisce più o meno tutti i
partiti.
Clientelismo…
Per conquistare voti si concedono favori ai
cittadini che li chiedono (raccomandazioni,
licenze ecc.). In pratica, il voto diventa un voto di
scambio.
… e corruzione.
I partiti erano diventati vere e proprie aziende
che costavano parecchio. Il costo era ridotto dai
militanti (cittadini che aderiscono a un partito e si
impegnano senza compenso di sorta) e, negli
anni della guerra fredda, da USA e URSS che
finanziavano i partiti a loro vicini (creando però
anche una sorta di dipendenza da essi).
E poi c’erano le TANGENTI, a volte utilizzate per
finanziare i partiti (ma spesso i politici rubavano
per se stessi).
La democrazia in questo periodo era inquinata
anche da diverse società segrete, come la loggia
massonica Propaganda 2 (P2) di cui era capo Licio
Gelli (emersa dalle indagini dopo il crac di
Michele Sindona); e poi la camorra, la
‘ndangheta; e ovviamente la mafia, Cosa nostra.
Offensiva terroristica della mafia alla fine degli anni
Settanta contro chi si opponesse al suo potere
1979
9 marzo: assassinio di Michele Reina, segretario
provinciale della DC
21 luglio: assassinio del commissario Boris Giuliano
25 settembre: assassinio del giudice Terranova
1980
6 gennaio: assassinio di Piersanti Mattarella,
presidente democristiano della regione Sicilia
6 agosto: assassinio del procuratore Costa
1982
30 aprile: assassinio di Pio La Torre, deputato PCI,
impegnato nella lotta alla mafia
3 settembre: assassinio del prefetto di Palermo Della
Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta
1983
26 gennaio: assassinio di Montalto, sostituto procuratore
di Trapani
29 luglio: assassinio di Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio
Istruzione del Tribunale di Palermo
1984
29 settembre: il pentito Buscetta inizia a
collaborare con i magistrati e vengono spiccati
366 mandati di arresto
25 ottobre: 27 mandati di cattura dopo le
rivelazioni del pentito Salvatore Contorno
La reazione dello Stato fu quella di mettere su un
pool antimafia guidato dal giudice istruttore
Antonino Caponnetto e costituito dai giudici
Falcone, Borsellino, Guarnetta, Di Lello. Grazie alle
rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta i giudici
riuscirono a istruire il cosiddetto maxi-processo
(1986) che coinvolse 474 imputati. Il 16 dicembre
1987 si arrivò a una conclusione: 360 condanne
totali tra cui 19 ergastoli (Riina, poi catturato nel
1993, Micché e Provenzano in contumacia, ossia in
assenza dell’imputato), 2665 anni di reclusione, più
di 11 miliardi di multe. Era la fine dell’impunità di
Cosa nostra.
La maggior parte delle prove più
significative provenne da Tommaso
Buscetta, un mafioso catturato nel 1982
in Brasile, paese in cui si era rifugiato due
anni prima, da evaso, dopo essere
sfuggito a una condanna per due
omicidi. Costui aveva perso diversi
parenti durante la guerra di mafia, tra cui
due figli, e molti alleati ed aveva, perciò,
deciso di collaborare con i magistrati
siciliani. I Corleonesi continuarono la
propria vendetta contro Buscetta
uccidendo diversi altri suoi parenti.
In Cassazione ulteriori sentenze di condanna
furono annullate ad opera di una Sezione della
Corte presieduta dal giudice Corrado Carnevale,
in seguito anch'egli accusato di collusione con la
mafia ed infine prosciolto
Carnevale fu soprannominato dai suoi detrattori
“l'ammazzasentenze” per via della sua tendenza
a cancellare le condanne per mafia anche per
piccoli vizi di forma, confermando invece quasi
sempre le assoluzioni.
Carnevale fu soprannominato dai suoi detrattori
come l'ammazzasentenze per via della sua
tendenza a cancellare le condanne per mafia
anche per piccoli vizi di forma, confermando
invece quasi sempre le assoluzioni.
Carnevale è il caso estremo di una rete di giudici
o collaboratori della giustizia che facevano gli
interessi di Cosa nostra. Per questo il lavoro
dell’antimafia, di personalità come Borsellino,
Falcone, Chinnici, Terranova, Di Lello, o come
Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Piersanti Mattarella
fu particolarmente difficile e rischioso.
La mafia reagì negli anni successivi con altri atti di
violenza. Il 23 maggio 1992 il giudice Falcone
restò vittima della strage di Capaci: i mafiosi
fecero saltare un tratto dell’autostrada palermo-
Punta Raisi uccidendo il giudice, la moglie e tre
agenti di scorta.
A due mesi di distanza toccò a Borsellino,
insieme a 5 agenti di scorta, ucciso da
un’autobomba in via d’Amelio a Palermo.
Il colpo di grazia al sistema
tradizionale dei partiti è
stato dato da un’inchiesta
(Mani pulite) del 1992,
indagine che ha squarciato
il velo della corruzione
politica. Le indagini
condotte da Di Pietro
hanno messo in piena luce
il sistema delle tangenti
(Tangentopoli), favori e
accordi illegali tra politici e
imprenditori.
Incontro Andreotti-Riina
C’è stato davvero? Riina era latitante e introvabile… Certo è che
quell’Andreotti che è il più potente e rappresentativo politico del
Paese, lo statista italiano più accreditato sul piano
internazionale, il cattolico militante più stimato, è anche lo “zio
Giulio” dei mafiosi.
Il verdetto del processo ad Andreotti: assoluzione per i
fatti posteriori al 1980, prescrizione per i reati
precedenti (compreso il presunto incontro con Riina). Il
succo è che Andreotti ha utilizzato la mafia a fini politici
contro il comunismo, come voleva la logica della guerra
fredda…
La mafia dopo i grandi processi è tornata alla
strategia del silenzio: era questa la strategia di
Provenzano, ultimo capo dei capi, arrestato nel
2006. Lo stessa strategia che segue chi lo ha
sostituito.
DONNE CHE SI SONO RIBELLATE
Vediamo però degli esempi
virtuosi.
Ci sono donne che si sono
ribellate, sottraendo alla mafia il
destino dei propri figli per dar
loro un futuro migliore:
Serafina Battaglia è stata la
prima a sfidare i boss,
denunciando gli assassini del
marito e del figlio adottivo.
Rita Atria, dopo l’omicidio del
padre e del fratello, ha deciso di
seguire le orme della cognata
Piera Aiello collaborando quindi
con le forze dell’ordine.
Il primo a raccogliere le sue
testimonianze è stato il giudice
Paolo Borsellino, al quale Rita si
è legata come a un padre.
Dopo la strage di via d’Amelio,
Rita si è suicidata a Roma.