Equations for Business Problem Solving
Equations for Business Problem Solving
ANSWER: Equations
3. Letters of the alphabet used to represent unknown quantities in equations are called .
ANSWER: variables
5. The numerical value of the variable that makes an equation true is known as the solution, or
____________________ of the equation.
ANSWER: root
ANSWER: multiplication
ANSWER: transpose
8. When solving equations with multiple grouping symbols, always start with the
symbols and work to the ____________________.
ANSWER: innermost, outside
ANSWER: ratio
ANSWER: proportion
a. 5
b. 45
c. 75
d. −75
ANSWER: c
12. Solve the equation: 8(7a + 2) = 128
a. 1
b. 2
c. 3.5
d. 4
ANSWER: b
ANSWER: d
ANSWER: a
ANSWER: c
ANSWER: a
ANSWER: a
18. Solve the equation:
a. 180
b. 2.22
c. 18
d. 11
ANSWER: a
a. 1
b. 8.75
c. 15.25
d. 4
ANSWER: a
a. 4
b. 5.5
c. 12
d. 8.25
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Chapter 5: Using Equations to Solve Business Problems
ANSWER: a
21. Translate into an equation: A number divided by 212 equals 53 (let the number be represented
by N).
a.
b.
c.
d.
ANSWER: b
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Chapter 5: Using Equations to Solve Business Problems
22. Translate into an equation: A number divided by 26 is 52 (let the number be represented by T).
a.
b.
c.
d.
ANSWER: b
23. Translate into an equation: 11 times the difference of P and 29 gives 759.
a. 759(P − 29) = 11
b. 29(P − 759) = 11
c. 11(P − 29) = 759
d. 11(P + 29) = 759
ANSWER: c
24. Translate into an equation: The cost of V ounces at $4 per ounce is $196.
a. 4V = 196
b. 4 + V = 196
c. V − 4 = 196
d. 196V = 4
ANSWER: a
25. Translate into an equation: A number divided by 47 equals 55 (let the number be represented
by K).
a.
b.
c.
d.
ANSWER: c
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Giudici sono questi — Monsignor de Bruglie — Monsignor de Murabrat
— Monsignor de Bruet — Etum Sutte.
El tenor dell’assecuration de Monsignor della Palizza siegue in tal modo.
»Jacobus de Cabannes Dominus Politico Christianissimi Regis
Zamburlanus, ac Provinciarum Terræ Bari, et Aprutii Gubernator.
Perche la Motta, e suoi compagni al numero di tredici, ne han fatto
intendere doverno comparere in la giornata deputata per essi, et
altrettanti Italiani, à causa che pretendono combattere in lo campo
specificato fra Andri, e Corato, e per securtà dell’una, e dell’altra parte si
devono mandar l’ostaggi reciprocamente, et acciò quelli seranno mandati
da Hettorre Fieramosca, e suoi compagni, non abbiano a dubitar di patir
molestia, pericolo, ne detrimento alcuno. Per tenor della presente sub
verbo, et fide nobilium, guidamo, et assecuramo due Gentilhuomini, e tre
famegli per uno, che per li predetti Hettorre, e suoi compagni seranno
destinati per ostaggi, che possano venire liberi, e sicuri in Ruvo, e
commorar in detta terra, secondo la forma de loro obligatione, e
conventioni; E dopoi detti due ostaggi, e famegli ritornar in Barletta
senza impedimento alcuno, o danno in loro persone, e robbe, declarando
a tutti, e singuli Capitanei, stipendiarii, e soldati della Cristianissima
Maestà, et imponendoli da parte di essa, che debbiano osservar alli
predetti ostaggi la presente forma di guidatico, e salvocondotto juxta la
sua serie, e tenore, così nello venir di detti ostaggi in Ruvo, e commorar
in detta terra, come ancora nel ritornar in Barletta, non fando lo
contrario, per quanto ciascuno desidera evitar l’ira, et indignatione di
detta Maestà, e fuggir la pena della vita. E per declaration della verità,
cautela, e securtà di detti ostaggi, havemo espedita la presente securtà di
nostra propria mano, e con la impression del nostro solito sigillo — Da
Ruvo alli 11 di Febraro 1503 — Cabannes — Dominus Gubernator
mandavit mihi Joanni Nicolao Mandatario.
»La Motta. Per vostre lettere dell’undeci del presente mese di Febraro,
qual ho ricevute nel medesimo dì ad hora tarda, hò visto che scrivete, che
per voler effettuar la causa a porto, mandate li Gentilhuomini per ostaggi
da vostra banda, cioè Monsignor de Musnai, e Monsignor Dummoble; e
che noi habbiamo a mandar nostri ostaggi per securtà vostra; et havete
mandati li nomi delli Giudici, per voi eletti, cioè Monsignor de Bruglie, e
Monsignor Murabrat, e Monsignor de Bruet, Etum Sutte; e che à
Monsignor della Palizza vostro Superiore non ha parso voler far lo
assecuramento, significandone, che in vostra compagnia verranno tredici
persone, che ve porteranno li elmetti, e tredici altri, che vi porteranno li
cavalli, e che oltre li predetti verranno sedici Gentilhuomini a vedere.
Respondemo che mandamo li nostri ostaggi, e sono Angelo Galeoto
Gentilhuomo Napolitano, et Albernatio Gentilhuomo Spagnuolo, e per
vostra cautela con loro la securtà dell’Illustrissimo Gran Capitano per lo
campo per voi, e vostri compagni, per tredici persone vi porteranno
l’elmetti, e tredici altri vi condurranno vostri cavalli, e per li quattro
Giudici da voi eletti, e nominati in vostre lettere de cinque dell’instante.
E perchè sapete apparer per vostre lettere, per le quali dichiarastivo, che
manderestivo l’assecuramento del campo di Monsignor de la Palizza
vostro Superiore, et anco per vostre lettere de sei del presente scrivete
che Domenica prima futura manderestivo li ostaggi, e per loro la securtà
de tutta nostra banda, e che noi similmente dovessimo mandar nostri
ostaggi, e per loro la securtà de nostra banda. Però stamo in gran
admiratione, che non abbiate adempito il tenor de vostre lettere, massime
circa il mandar dell’assecuramento predetto del campo, e di tutta vostra
banda, insieme con li vostri ostaggi. E che al presente allegate non parer
à Monsignor de la Palizza far detto assecuramento del campo, essendo
cosa tanto debita, e necessaria, e per voi offerta, e declarata, ne date
causa d’admiratione, e suspitione; et ancora havete lasciato di mandar
l’assecuramento delli Giudici per noi eletti, quai sono Messer Francesco
Zurlo, Messer Diego de Vela, Messer Francesco Spinola, e Messer
Alonso Lopes. E perche non dovete ignorare, che li assicuramenti del
campo, e delli Giudici sono delli principali, e più necessarii
provedimenti, che si richiedono in tal causa. Per tanto replicamo per le
presenti che vogliate mandare el predetto assecuramento del campo de
Monsignor de la Palizza, come per vostre lettere havete scritto, et
ordinato, e con l’assecuramento delli Giudici, nello modo, e forma, che
insieme con lo presente noi mandamo a voi dell’Illustrissimo Signor
Gran Capitano per maggior vostra cautela, declarandove, che siamo
contenti dell’assecuramento de Monsignor de la Palizza per evitar ogni
calunnia, et à tal effetto questa sera ne conduremo in Andri. Quanto alla
parte, che scrivete, che verranno con voi sedici altri Gentilhuomini a
vedere. Rispondemo che lo Illustrissimo Signore Gran Capitano hà
prohibito, et espressamente comandato, che non debbiamo condurre, ne
admettere in nostra compagnia, eccetto tredici persone, che porteranno li
elmetti, tredici altre, che conduranno li cavalli, e quattro Giudici
disarmati, come spetta à loro officio, secondo la continentia
dell’assecuramento fatto dal Illustrissimo Signor Gran Capitano, qual ve
mandamo, e non possemo in alcun modo presumere altramente — Da
Barletta à 12 di Febr. 1503 — Hettorre Fieramosca.
El tenor dell’assecuramento dell’Illustrissimo Signor Gran Capitano
segue in tal modo
»Consalvus Fernandus Dux terræ novæ Serenissimarum, et
Catholicarum Majestatum Regis, et Reginæ Hispaniæ, Siciliæ citra, et
ultra Farum, Hierusalem etc. in hoc Regno Locumtenens, et Capitaneus
etc. Perchè Hettorre Fieramosca, e suoi compagni al numero di tredici,
alla giornata deputata da la Motta, et altrettanti suoi compagni Francesi
pretendono combattere tra loro nello campo specificato fra Andri, e
Corato, nello luoco, dove combatterono D. Alonso, e Baiardo; Et oltre la
cautela dell’ostaggi reciprocamente prestiti, e guidati per l’Illustrissimo
D. Diego de Mendozza, bisogna l’assecuramento del campo; Donde noi
per maggior efficacia per tenor della presente declaramo per quanto
spetta alla banda del prenominato Hettorre, e suoi compagni Italiani,
authoritate qua fungimur delle Cattoliche, e Serenissime Maestà
assecuramo detto luogo fra Andri, e Corato, dove combatterono detti
Don Alonso, e Baiardo per tutta la predetta giornata, che seran li tredici
dell’instante mese di Febraro, statuita per detti Francesi, che da nullo
stipendiario, Capitano, armigero, pedone, gente d’armi, et altri sudditi
delle Cattoliche Maestà di qualunque conditione, e stato, per alcun modo
serà dato impedimento, molestia, ne perturbatione alli predetti la Motta,
e suoi compagni Francesi, et à tredici persone, che porteranno loro
elmetti, e tredici altri che condurranno loro cavalli: e similmente
guidamo, et assecuramo Monsignor de Bruglie, Monsignor de Murabrat,
Monsignor de Bruet, et Etum Sutte Giudici eletti per li prefati la Motta, e
suoi compagni Francesi, acciocche con Messer Francesco Zurlo, Messer
Diego de Vela, Messer Francesco Spinola, et Alonso Lopes Giudici eletti
per li prenominati Hettorre, e suoi compagni con nostra volontà,
consenso, et autorità, possano giudicare, e pienamente esercitare loro
officio. Comandando, ordinando, et imponendo da parte delle Cattoliche
Maestà, e nostra, a tutti, e singoli Capitanei, armigeri, stipendiarii,
soldati, pedoni, gente d’armi, et altri sudditi delle Cattoliche Maestà, di
qualsivoglia condition, e grado che niun debbia per alcun modo directe,
vel indirecte, tacite, vel expresse, dare impedimento, molestia, e
peturbatione, ne usare alcuna perturbatione, o soverchiarla al detto
combattere, ne infringere, o vero contravenire al presente assecuramento,
immo quello inviolabilmente osservare, secondo la sua serie, e tenore,
non fando lo contrario, per quanto ciascuno desidera evitar l’ira, et
indignatione delle Cattoliche Maestà, e fuggire la pena della vita. In
cujus rei testimonium, ac securitatem, et cautelam, quorum interest,
havemo fatto le presenti lettere suscritte di nostra propria mano, con la
impression del nostro solito sigillo — Datum in Barletta alli 11 di
Febraro 1503 — Consalvus Ferrandus«.
Radunati insieme li tredici Cavalieri Italiani in Andri, et ivi con loro,
Prospero Colonna, e ’l Duca di Termoli, et altri Cavalieri Italiani, e
Spagnuoli la domenica di sera alli dodeci del mese, fu conchiuso, che
senz’altro lo lunedì seguente, ch’era la giornata deputata con lo nome del
Signor Iddio si dovessero presentar al campo: Ma perche mai si può far
cosa alcuna per l’huomini senza il favor del Signor, che ’l tutto vede, et
opera, lo lunedì matino li tredici Cavalieri accompagnati da gli
prenominati andarono alla messa devotissimamente, volendo procedere
in una cosa di tanta importanza, e fama christianamente, e con sollennità
di religione, sperando non per questo haverseli aggiungere più animo di
quel che haveano, ma da un tal debito, et honor restar confirmatissimi in
quello haveano deliberato. E così communicato il Prete, al fin della
messa, lo Hettor Fieramosca andò da Prospero Colonna, e lo pregò li
concedesse, posser richiedere li suoi compagni d’un sollenne
giuramento, lo che piacque al Prospero Colonna: e così Hettor se voltò a
suoi compagni, humanissimamente pregandoli gli piacesse giurare quel
medesimo, che lui giurava, al che risposero quei Cavalieri, ch’eran
contentissimi seguirlo in ogni fortuna. Lui se inginocchiò avanti l’altare,
dove il Prete ancor diceva la messa, e poste le mani gionte sopra
l’Evangelio giurò ad alta voce, voler prima morire, che uscir dal campo
per sua volontà, altro che vincitore, e prima eligersi la morte, che mai
rendersi per vinto con sua bocca; e poi vedendo alcuni de’ suoi compagni
haver bisogno d’ajuto, far in tal caso, come desiderasse, fosse fatto in
persona sua, per ricuperation de’ suoi compagni, ancorchè sapesse di
perder la vita. Fatto tal giuramento diede luogo a gli altri, quai di buona
voglia fero il simile giuramento, et anco di stare ad un volere, ad
un’eseguire, per quanto la buona sorte, e forza di ciascuno bastasse.
Partiti dalla messa, se n’andaro alla stanza di Prospero Colonna, dove
fero giontamente colatione, e poi se n’andorno allegramente ad armare,
et armati montorno à cavallo, havendo aspettato lo salvo condotto che
doveva mandar la Motta, e così s’avviaro nell’ordine che segue; ma
perchè l’assecuramento promesso da Monsignor de la Motta non era
venuto, for tutti di parere che se ne dovessero protestare, e fu fatta la
protestation infrascritta.
»In Dei nomine amen. Anno a nativitate Redemptoris nostri Jesu Christi
millesimo quingentesimo tertio. Pontificatus vero Beatissimi in Christo
Patris, et Domini nostri Domini Alexandri divina providentia Papæ Sexti
Anno XI. die vero 13 mensis Februarii in civitate Andri. In presentia di
me Antonio de Musco Apostolica authoritate publico Notario, e
dell’infrascritti testimonii. Per lo presente pubblico documento facemo
noto, e manifesto come essendo comparso avante di noi lo magnifico
Hettorre Fieramosca, tanto per suo proprio nome, quanto per l’infrascritti
suoi compagni circostanti, e consentienti che sono Guglielmo Albamonte
Siciliano, Francesco Salamone Siciliano, Gioan Capocci da Roma,
Marco Corallaro da Napoli, Giovanni Braccalone da Roma, Lodovico
d’Abenavole da Capua, Hettor Giovenale Romano, Bartolomeo Fanfulla
da Parma, Romanello da Forli, Pietro Riczio da Parma, Mariano
d’Abignenti da Sarno, e Moele da Paliano, e dice che Carles de Togues
titolato la Motta Francese per sue lettere dirette ad esso Hettorre have
declarato, che mandaria lo assecuramento del campo spedito per
Monsignor de la Palizza suo superiore, e che dopoi el prefato Carles la
Motta per altre sue lettere have scritto ad esso Hettorre, per le quali
allegava non haver parso à Monsignor della Palizza far detto
assecuramento, nondimeno per esso Hettorre essere stato replicato a la
Motta, per lettere, che quello sapea apparere per due sue lettere de
cinque, e de sei del detto mese, haver promesso l’assecuratione del
campo, e de tutta sua banda, e che al presente allegasse non parer à
Monsignor de la Palizza far detto assecuramento del campo, essendo
cosa tanto debita, e necessaria, e per esso la Motta offerta, e declarata,
dava causa admiratione, e suspitione ad esso Hettorre, e suoi compagni.
E considerando, che l’assecuration del campo, e delli Giudici sia uno
delli principali, e più necessarii, et oportuni provedimenti, che se
richiede in lor causa: Però de nuovo fa istanza al prefato Carles, che
debbia mandar l’assecuramento predetto del campo, e delli Giudici eletti
per esso Hettorre, e compagni, secondo la forma dell’assecuration qual
essi mandavano al prefato Carles la Motta e suoi compagni, espedita per
l’Illustrissimo Sig. Gran Capitano Luogotenente Generale delle
Cattoliche Maestà per assecuramento di detto campo, e delli Giudici
eletti per lo detto Carles, e suoi compagni: Declarando ancora, che se
contentavano esso Hettorre, e suoi compagni del detto assecuramento, se
dovesse far da Monsignor de la Palizza, per quietar ogni calunnia,
notificandoli, che per abbreviar il camino, la sera se conduccano in
Andri, aspettando lo assecuramento, aviso, e requisition d’esso Carles la
Motta; Essendo esso Hettorre, e suoi compagni in tal espedition armati,
ad ordine, e pronti, si protestano, che non sia attribuita à loro negligentia,
o mora, ne ad alcuna tergiversazione; ma solo si debbia imputare à detto
Carles. E standosi in tal protestatione, essendo circa diecesette hore,
sopragiunse il Trombetta destinato da la Motta, e consegnò al detto
Hettorre, e compagni l’assecuramento de Monsignor de la Palizza; Dopo
della recettion del quale, subito detto Hettorre, e compagni, senza
perdere alcun momento di tempo si posero in camino a comparer al
campo, richiedendo me sopradetto Notario, che delle cose predette, hora,
tempo, e recettion di detto assecuramento, e della celerità del partir loro
al comparir in detto campo, et altri gesti, ne dovesse far publico
documento, in testimonio della verità. Donde io predetto Notario,
volendo sodisfar alla predetta richiesta, come giusta, e ragionevole, de
tutte le prenarrate cose, ho fatto lo presente publico documento, à
chiarezza della verità scritto de mia propria mano, e roborato del mio
solito segno, essendo presente nel medesimo luogo l’Illustrissimo Marco
Antonio Colonna, Giovanne Carrafa Conte di Policastro, li Magnifici
Indico Lopes Hiala, Gismundo de Sanguine, e Martin Lopes, Testimonii
rogati alle cose predette«.
El tenor dell’assecuration di Monsignor de la Palizza siegue in tal modo
»Jacobus de Cabannes Dominus Palitiæ Christianissimi Regis
Zamburlanus, ac Provinciarum terræ Bari, et Aprutii Gubernator etc.
Perchè la Motta, e suoi compagni al numero di tredici Francesi, han da
comparire alli tredici del presente mese di Febraro alla giornata deputata
per Hettor Fieramosca, e tanti altri suoi compagni Italiani, pretendenti
combattere contro esso la Motta, e compagni in lo campo fra loro
specificato fra Andri, e Corato, in lo luoco, dove combattero D. Alonso,
e Baiardo, et oltre la cautela delli ostaggi reciprocamente prestiti, e
guidati per noi, e lo Signor D. Diego de Mendozza, bisogna
l’assecuramento del campo: Onde noi per maggior efficacia, per tenor
della presente declaramo, per quanto spetta alla banda del prenominato la
Motta e compagni Francesi, authoritate qua fungimur del
Christianissimo Rè, assecuramo detto luogo fra Andri, e Corato, dove
combattero D. Alonso, e Baiardo per tutta la giornata delli tredici
dell’instante mese di Febraro, statuta per detti Italiani, che da nullo
Capitanio, armigero, stipendiario, pedone, gente d’armi, e sudditi della
Cristianissima Maestà, de qualunque condition, e stato, in alcun modo
non serà dato impaccio, impedimento, molestia, ne perturbation alcuna
alli predetti Hettorre Fieramosca, e compagni Italiani, et alle tredici
persone, che porteranno loro elmetti, et a tredici altri che conduran loro
cavalli, e similmente guidamo, et assicuramo Messer Francesco Zurlo,
Diego de Vela, Messer Francesco Spinola, et Alonso Lopes, Giudici
eletti per li prenominati Hettorre e compagni, acciocchè insieme con
Monsignor de Bruglie, Monsignor de Murabrat, Monsignor de Bruet, et
Etum Sutte, Giudici eletti per li predetti la Motta, e suoi compagni, con
nostra volontà, consenso, et autorità possano giudicare, et esercitare
pienamente lor officio; Comandando, imponendo, et ordinando da parte
della Christianissima Maestà, e nostra, à tutti, e singoli Capitanei,
armigeri, stipendiarii, pedoni, gente d’armi, e sudditi della
Christianissima Maestà di qualunque conditione, e grado, che nessuno
debbia per alcun modo directe, vel indirecte dar impedimento, o
molestia, perturbatione, o nocumento alcuno, ò vero usare soverchiaria
alcuna al detto combattere, ne infringere, e contravenire al presente
assecuramento, immo osservar quello, secondo la sua serie, e tenore, non
fando il contrario, per quanto ciascuno desidera evitare l’ira, e la
indignatione della Christianissima Maestà, e fuggire la pena della vita. In
cujus rei fidem, et testimonium, ac securitatem, et cautelam quorum
interest, havemo fatte le presenti lettere suscritte di nostra propria mano,
e con la impression del nostro solito sigillo — Da Ruvo à 12 Febraro
1503 — Cabannes — Dominus Gubernator mandavit mihi Joanni
Nicolao Mandatario«.
Ordine del procedere che fè nell’andar al campo Hettorre
Fieramosca, e compagni Italiani, e del combattimento, e vittoria
conseguita.
IL FINE.
NOTA DELL’EDITORE.
FINE.
INDICE
Introduzione 5
CAPO I.
Degli antichi Scrittori che hanno parlato della .9
città di Ruvo
CAPO II.
Delle antiche monete della città di Ruvo 32
CAPO III.
La città di Ruvo deve credersi fondata dagli
Arcadi che vennero nella Italia prima della
Guerra di Troja 35
CAPO IV.
Li pregevoli vasi fittili, ed altri oggetti delle belle
arti antiche trovati in Ruvo confermano vie più
la sua origine Arcadica 56
CAPO V.
La origine Arcadica della città di Ruvo si desume
anche dal nome alla stessa imposto dai suoi
primi fondatori 90
CAPO VI.
Del sito in cui fu la città di Ruvo da principio
edificata 99
CAPO VII.
Notizie della città di Ruvo fino all’epoca de’
Normanni 107
CAPO VIII.
Notizie della città di Ruvo al tempo della
Dinastia Angioina 122
CAPO IX.
Notizie della città di Ruvo al tempo della
Dinastia Aragonese 164
CAPO X.
Notizie relative alla città di Ruvo dall’epoca di
Ferdinando il Cattolico fino a quella
dell’attuale Dinastia Regnante 170
CAPO XI.
De’ diritti acquistati dal Regio Tavoliere di
Puglia nell’agro Ruvestino e degli abusi
dappoi introdotti 195
CAPO XII.
Degli abusi e gravezze che la città di Ruvo ha
sofferte dalla prepotenza Baronale 209
CAPO XIII.
De’ giudizj dell’anno 1750, dell’anno 1797 e
dell’anno 1804, e delle transazioni dell’anno
1751 e dell’anno 1805 239
CAPO XIV.
Fatti principali avvenuti nella città di Ruvo dalla 261
fine del secolo XVIII in poi
CAPO XV.
Osservazioni sulla città di Ruvo, sulla sua
Popolazione, sulla pregevole qualità e varietà
del suo territorio, e sui disordini introdotti
nella moderna Amministrazione comunale 304
AVVERTIMENTO
Sulla origine della città di Ruvo esposta
dall’Autore 319
NOTA DELL’EDITORE 35
NOTE:
7. Marci Veseri Opera Historica, et Philosophica sacra, et profana pag. 709 ad 715.
10. Il P. Arduino ha ripartiti i capitoli della Storia Naturale di Plinio in un modo diverso
da quello in cui si trovano questi ripartiti in tutte le altre edizioni della stessa opera.
Quindi li capi citati dai Scrittori secondo le antiche edizioni non battono con quelli
che si trovano segnati nella edizione suddetta del P. Arduino. Ad evitare
l’inconveniente che da ciò ne deriva, al margine di ciascuno de’ capi della sua nuova
numerazione ha segnato il numero antico. Avrebbe potuto in vero risparmiarsi questo
fastidio, il quale serve solo ad imbarazzare chi legge senza veruna utilità, e lasciare la
numerazione de’ capi come si trova ripartita in tutte le altre edizioni.
14. In tutte le altre edizioni si legge quì Neritini, e non già Netini, vocabolo alterato e
mutilato di proposito dal P. Arduino, come saremo or ora a vederlo. Nelle altre
edizioni dopo la parola Neritini, vi è anche la parola Matini che quì manca.
15. Non vi può esser dubbio che colla parola Rubustini sono indicati gli abitanti della
nostra città di Ruvo. Ne convengono tutti i Comentatori di Plinio, e con essi anche il
P. Arduino.
16. Convengono essi del pari che sotto il nome di Butuntinenses sono indicati gli abitanti
della città di Bitonto, antica città della Peucezia. Il Vesselingio anzi nelle sue note
all’Itinerario di Antonino, di cui si parlerà in seguito, dice di aver veduta anche una
moneta Bitontina. Il chiarissimo Canonico Mazocchi nel suo Commentario sulle
Tavole di Eraclea alla pag. 37 dice che ne aveva una bellissima inedita. Io ne ho due.
Il Signor Millingen nel suo libro innanzi citato alla pagina 149 e 150 reca anche le
monete Bitontine. Non si comprende però come Plinio abbia situato Bitonto tra le città
della Calabria, mentre non è distante da Ruvo più di nove miglia, e tanto
negl’Itinerarj, de’ quali si parlerà in seguito, quanto nella Tavola Peutingeriana
Bitonto e Ruvo sono segnate l’una dopo l’altra.
18. Non già Nerentini, ma bensì Neritini si legge nelle altre edizioni. Tal lettura poi la
presentano, non già libri quidam, come dice quì l’Arduino; ma bensì tutte le altre
edizioni di Plinio, non esclusa la bellissima edizione anche di Parigi dell’anno 1545,
che l’ho pure nel mio Studio.
19. Non si capisce come il Cellario abbia creduta tanto astrusa la investigazione del sito
dell’antica Celia che Luca Olstenio l’ha così bene situata a poche miglia al di là di
Bari. Quest’antica città è oggi uno de’ così detti Casali di Bari che ritiene tuttavia il
nome di Ceglia che viene da Celia. È questa città segnata anche nella Tavola
Peutingeriana. Il chiarissimo Canonico Mazocchi nel Commentario sulle tavole di
Eraclea alla pag. 35 nota 51, ed alla pag. 38 parla di Celia, e ne reca una moneta con
Greca leggenda. Reca le sue monete con tipi diversi anche il Signor Millingen nel
precitato suo libro pag. 149. Io ne ho quattro. Ma la migliore testimonianza che Ceglia
sia l’antica Celia sono gli eccellenti e magnifici vasi fittili Italo-Greci, ed altri
monumenti di antichità che si sono ivi disotterrati ai tempi nostri.
20. Ha voluto quì alludere alla emendazione della parola Νήτιον proposta anche da Luca
Olstenio. Opinò egli da principio che dovesse alla stessa sostituirsi la città che nella
Tavola Peutingeriana è chiamata Natiolum quasi come un diminutivo di Netium. Ma
l’Olstenio che fu un accurato investigatore de’ luoghi ricedè ei medesimo da questo
suo primo avviso, poichè riflettè che il Natiolum della Tavola Peutingeriana è messo
sul litorale dell’Adriatico tra Bari, e Trani nel sito dell’attuale città di Giovinazzo, e
non già dentro terra tra Celia e Canosa. Al che aggiungo che cotesta novella città della
Tavola Peutingeriana al tempo di Strabone non esisteva ancora.
26. La città di Bitonto non altrimenti ha potuto essere indicata nell’Itinerario di Antonino
che come un luogo di passaggio, e di riposo, e non già di fermata, giacchè da Ruvo a
Bitonto segna undici miglia di cammino, e da Bitonto a Bari altre dodici miglia.
Ventitre miglia sono il cammino regolare di una sola giornata, non di due giornate.
27. Pratilli Della Via Appia lib. IV cap. XIII.
28. L’antica strada della Guardiola che da Canosa mena a Ruvo si è resa troppo
malagevole ed è rimasta oggi perfettamente abbandonata. La novella bellissima strada
aperta fra Canosa ed Andria, Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto etc. molto al di sopra
dell’antica via Trajana, oltre di essere più gaja, offre un comodo che nulla fa
desiderare. È quindi quella la strada che da tutti oggi è battuta.
32. Troyli Storia Napolitana tom. I part. II cap. IX della Provincia di Bari.
48. Jamblico nel capo XXIX dice così: Per hæc utique studia tota Italia Philosophis
repleta fuit, quæque antea obscura erat Pythagoræ causa Magna Græcia
cognominata est, plurimis in ea Philosophis, Poetis, et Legislatoribus clarescentibus.
Porfirio ha detto al n. 20 che Pitagora aveva un gran seguito, ed i suoi discepoli erano
tanto allettati, ed incantati dalle sue lezioni, ut non amplius in suas domos discedere
sustinerent; sed una cum liberis, et conjugibus ingenti Homacoio ædificato
condiderint illam, quae ab omnibus Magna Græcia vocata est in Italia: leges quoque,
ac statuta ab ipso, tanquam divina præcepta acceperint, præter quæ quidquam facere
illicitum sibi duxerunt.
52. Secondo questa opinione otto sarebbero state le Regioni che componevano la Magna
Grecia, cioè la Locrese, la Cauloniate, la Scillatica, la Sibaritica, la Eracleese, la
Metapontina e la Tarantina, alle quali aggiungono taluni anche la Petelina dalla città
denominata Petelia che Virgilio la crede una picciola città fondata da Filottete, la
quale si rese dappoi grande ed illustre.
53. È una gran disgrazia che questi libri, e specialmente quello di Porcio Catone non sia
giunto fino a noi. Ci avrebbe date lo stesso le notizie opportune di tante città della
Italia, la origine delle quali pe’l soverchio Laconismo degli antichi Geografi è rimasta
in una perfetta oscurità.
54. Cristofaro Cellario nella sua Geografia antica lib. II cap. IX sez. IV §. 566 crede
favolose le diciassette età, o siano generazioni prima della Guerra di Troja quì
mentovate. Conviene però nel fatto riportato da Dionigi di Alicarnasso, cioè nella
venuta nell’Italia di Oenotro e Peucezio, e non si potrebbe in ciò non convenire
venendo lo stesso fatto contestato anche dagli altri antichi Scrittori Greci e Latini, i
quali ne sapevano più di noi come anderemo or ora a vederlo.
60. Eclogæ seu excerpta ex libro XXI Diodori Siculi Cap. IV.
63. Diodorus Siculus Bibliotheca Histor. lib. XX. cap. 80 pag. 714.
67. Convengo nell’antichità della città di Altamura, poichè anche ivi si trovano buoni vasi
fittili ed altri oggetti di antichità. Ma non sono persuaso appieno che sia questa
l’antica città chiamata Sub Lupatia nell’Itinerario di Antonino, poichè non
corrispondono le distanze in esso indicate.
69. Regest. Serenissimi Regis Caroli II ann. 1309 lit. B. fol. 148 a t.
72. Si noti che il Garagnone è chiamato Castrum, vocabolo il quale corrisponde all’antico
castello che ivi vi è, innanzi mentovato.
75. Li tre Registri Angioini quì riportati corrispondono perfettamente a ciò che dice
Domenico di Gravina che il Casale di Garagnone era governato dal Nobile Fra
Rengaldo Ordinis Sacræ Domus Hospitalis.
79. Risulta da ciò che il primo tratto del fiume Ofanto, ove sbocca nel mare tre miglia
lungi dalla città di Barletta, era ai tempi di Strabone navigabile, e che la città di
Canosa vi aveva un porto sei stadj o siano tre quarti di un miglio lungi dalla sua foce.
80. Le isole Diomedee quì indicate sono oggi chiamate Isole di Tremiti e da Cornelio
Tacito Trimetum lib. IV Annalium cap. 7. Tolomeo alla fine del capo I del libro III
della sua Geografia dice che siano cinque; ma Strabone n’enumera due.
82. Questa favola l’ha elegantemente esposta Ovidio nel libro XIV delle Metamorfosi
favola 10. Dice che un Legato di Turno di nome Venulo essendosi presentato a
Diomede per dimandargli soccorso nella guerra in cui si trovava impegnato col
Trojano Enea, Diomede si scusò mettendogli in veduta tutte le traversie che aveva
sofferte per l’ira di Venere madre di Enea. Ma uno de’ suoi compagni di nome
Acmene di carattere ardito, ed irritato inoltre da tante sofferenze, proruppe in invettive
contro la Dea e disse, che altro ci può far ella di peggio? Il di lei odio contro tutti li
seguaci di Diomede lo sprezziamo. Sotto un gran Duce grande anche è la nostra forza.
Li suoi detti dal minor numero furono applauditi e dal maggior numero de’ suoi
compagni furono ripresi. Mentre si accingeva a rispondere gli mancò la voce, gli
crebbero le piume e rimase convertito in un uccello. La stessa sorte toccò a tutti gli
altri che avevano a lui aderito. Virgilio nel libro XI dell’Eneide al verso 242, e
seguenti reca la richiesta del soccorso fatta da Venulo ambasciatore di Turno a
Diomede, e la di costui prudente risposta. Fa menzione anche della stessa favola; ma
cenna che i di lui compagni erano stati già cangiati in uccelli prima dell’arrivo di
Venulo, poichè Diomede nell’esporre a costui le traversie da lui sofferte s’incaricò
anche della perdita già fatta de’ suoi compagni nel modo predetto.
89. Li soli cittadini di Ruvo che si sono dimostrati amanti di conservare le antichità patrie
sono stati i seguenti. Il fu Arcidiacono D. Giuseppe Caputi ha conservati tutti i vasi
che si trovarono ne’ suoi fondi suburbani in occasione di essersi scavato il terreno per
piantarsi una vigna. Sono questi molti, ma non scelti. Vi sono pero tra essi de’ vasi
pregevoli. Altri, benchè in minor quantità, ne hanno riuniti D. Salvatore Fenicia,
l’attuale Arcidiacono D. Vincenzo Ursi, e ’l fu mio cugino D. Pietro Cotugno, uomini
colti, ed istruiti, ed amanti dell’onore della nostra Patria. Non posso che lodare
sommamente questo loro sentimento che lo avrei desiderato anche in altri che hanno
preferito l’interesse, benchè non fossero stati bisognosi.
92. Mazochii Commentarium ad Tabulas Heracleæ Diatriba III cap. 4 Sect. I Nota 10
pag. 121 et 122.
96. Raul-Rochette Peintures antiques inedites etc. pag. 434 a 442 Planche XV.
98. Di cotesta zona ne ha parlato Omero nel libro XIV della Iliade v. 214, e seguenti. Dice
che Giunone si rivolse a Venere per conoscere il modo in cui avesse potuto piacere più
a Giove, ed ispirargli un amore più caldo. Venere rispose che veniva volentieri a
prestarsi alla di lei richiesta.
101. Stat Briseis, Diomedes supra ipsam, et apud eos Iphis Helenæ formam admirantibus
simillimi. Sedet ipsa Helena. Et prope eam Eurybates. Ulyssis esse hunc præconem
coniicimus; est tamen adhuc imberbis. Ancillæ ibidem sunt duæ, e quibus Panthalis
Helenæ adsistit. Electra heræ calceum subligat. Diversa ab his nominibus sunt quæ
Homerus in Iliade usurpat, quo loco Helenam, et cum ea ancillas ad muros euntes
facit. Sedet supra Helenam vir purpureo velatus amiculo, mæstus ut qui maxime:
Helenum esse Priami filium fucile intelligas, vel prius quam inscriptionem legas.
Pausaniæ Phocica, sive lib X. cap. 25.
111. Diodorus Siculus Bibliotheca Histor. lib. IV cap. 37 pag. 168, et 169.
113. Non ometto che i vasi di Ruvo non sono deturpati da quelle stomachevoli oscenità che
sono troppo familiari ne’ vasi di Corneto, di Vulci, e di Canino. Le pitture oscene le
condanna giustamente Aristotile Polit. VII 15 (vulg. 17), le ripruova con indignazione
Properzio eleg. II 5 vers. 19 et sequ. Il gusto di Tiberio per queste pitture fu vituperato
da tutti gli Scrittori. Inveisce acremente contro le stesse S. Clemente Alessandrino in
Protrept. pag. 52, e 53. La continenza, e moderazione de’ vasi di Ruvo in questa parte
onora molto la morale tanto degli antichi abitanti della nostra città che de’ Pittori.
114. Ne’ Registri Normanni, Angioini ed Aragonesi che recherò in seguito è questa città
chiamata Terlitium, e non Turricium. Nelle carte della Geografia antica pubblicate da
diversi Scrittori manca questo nome estraneo alla stessa. Ma ne’ registri Pubblici, e
nelle carte Geografiche recenti è chiamata Terlizzi. Non si cangiano i nomi delle città
riconosciuti dalla Pubblica Autorità per potergli adattare ai voli della propria fantasia,
come ha fatto quì il Sig. Martorelli.
115. Tra le tavole di Eraclea, ed un vasellino vi è quel divario che passa tra un Elefante, ed
una formica. Malgrado ciò il dottissimo Canonico Mazocchi non sognò mai di ripetere
l’antichità di quella città dalle sole tavole ivi rinvenute, ma anche dalla Storia, dalla
Geografia antica, e dalle monete: anzi questo nostro illustre, e sodo Scrittore fu molto
cauto nello sbilanciare il suo avviso sia sull’antichità, sia sulla origine Greca delle
nostre città, e no ’l fece altrimenti che sull’appoggio di sicuri monumenti, e
specialmente delle antiche monete, le quali non possono fallire. Non si è inteso ancora
che su di un vasellino trovato per azzardo in un sepolcro, siasi elevata una Torre, e
creata una supposta antica città sconosciuta del tutto agli antichi Scrittori e Geografi,
senza essersi riflettuto che quel sepolcro ha potuto appartenere ad altra convicina città
sicuramente antica, e che un sepolcro antico si può trovare anche nel territorio di una
città recente. Per ragionarsi a questo modo bisogna aver la testa molto riscaldata.
116. Giacchè siam passati alle frivolezze sta bene che quì si osservi che nell’Italiano si dice
Terlizzi, e non Terlizzo, e che i Popolari dicono Terrizz, e non Turrizzo. Il linguaggio
popolare del luogo io lo conosco assai meglio di Martorelli.
117. Avrebbe dovuto quì far conoscere il Sig. Martorelli i nomi degli uomini dottissimi che
gli fecero pervenire la copia di cotesta lapide, e ’l luogo ove possa la stessa essere
osservata da chi ne sia curioso. Non si comprende poi come nella parola mutilata
Turri... abbia egli letta con tanta chiarezza, e felicità il nome della città chiamata
Turricium creata solo dalla forza della sua immaginazione! Molto meno ci ha fatto
sapere come il suo Turricium possa combinarsi colla parola FIL. che la precede. Le
due parole unite insieme darebbero il seguente risultamento Filius Turricii.
Corrisponde lo stesso a meraviglia al concetto del Signor Martorelli!!! In fine non è
cosa meno lepida il vedersi che da una pretesa lapide che segna l’anno DCCCVI ne
abbia egli inferito che il suo Turricium già esisteva inter Apuliæ urbes felicioribus
sæculis! Belle visioni!
118. È cosa veramente mirabile che ciò che non vide Plinio che visse ai tempi di Trajano lo
abbia veduto Martorelli tanti secoli dopo! Il primo nel luogo riportato innanzi al Capo
III ci fece conoscere un per uno i nomi delle antiche città della Peucezia, tra le quali
Ruvo e Bitonto. E ’l Turricium di Martorelli dov’è? È ben curioso anche l’essersi quì
detto che la nobile città denominata Turricium era edificata prope viam Trajanam! La
via Trajana però, di cui si vedono ancora gli avanzi, menava direttamente da Ruvo a
Bitonto allo stesso modo che si vede riportata anche nell’Itinerario di Antonino, e
nell’Itinerario Gerosolimitano. La città di Terlizzi è a due miglia di distanza dalla via
Trajana al lato sinistro di essa. Come si è potuto portare tant’oltre il travedimento
anche su i fatti che cadono sotto i sensi?
120. Si noti che nella Tavola Peutingeriana cotesto Rudas non si vede riportato col solito
segno che distingue le città. Si vede bensì tal nome scritto vicino ad una laguna che
sembra un lago, il quale comunica col mare Adriatico per mezzo di un canale segnato
nella Tavola suddetta nel sito intermedio tra Barletta e Trani. Quindi cotesto antico
corso di acqua che un tempo partiva da un lago ora scomparso pare che non possa
esser altro che quella vasta, e profonda lama, o sia vallone che vi è a mezza via tra