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La Calabria Tra Costantinopoli e Roma-Nisticò

Il documento descrive la storia medievale della Calabria, in particolare la dialettica tra le chiese di Roma e Costantinopoli e l'influenza del greco e del latino nella regione. Viene data una sintesi della questione, con dettagli sulle lingue parlata a Reggio Calabria e nelle altre aree, e sulle conquiste bizantine e longobarde nella regione tra il V e l'VIII secolo.

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La Calabria Tra Costantinopoli e Roma-Nisticò

Il documento descrive la storia medievale della Calabria, in particolare la dialettica tra le chiese di Roma e Costantinopoli e l'influenza del greco e del latino nella regione. Viene data una sintesi della questione, con dettagli sulle lingue parlata a Reggio Calabria e nelle altre aree, e sulle conquiste bizantine e longobarde nella regione tra il V e l'VIII secolo.

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Christianitas.

Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

ULDERICO NISTICÒ
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La Calabria tra Costantinopoli e Roma

La storia dell’Alto Medioevo in Calabria è segnata


profondamente dalla dialettica, o conflitto che si voglia
ritenere, tra le Chiese di Roma e di Costantinopoli; e,
detto più in generale, tra grecità e latinità, anche, forse
soprattutto negli aspetti della religione. Diamo qui una
sintesi della questione.
Secondo Strabone, Reggio era, ai suoi tempi, accanto a
Napoli e Taranto una delle solo tre città dove ancora si
parlava il greco. Numerose epigrafi lo attestano almeno
fino al III e IV secolo, sebbene si noti già un’evoluzione
fonetica che arieggia già il greco bizantino e il neogreco:
donde, da Ῥήγιον, il dialettale Rriggiu. È una curiosa
città greca municipio romano, i cui abitanti scrivono in
greco i loro ufficiali tria nomina di Quiriti1.
Il resto della Regio Lucania et Bruttiorum è, con
sostrato osco, di lingua latina, tale da lasciare nei secoli
una traccia di arcaicità da area isolata, come, dico solo
per cenni, i termini dialettali vèsparu, vèteru o
l’arcaicissimno àgunu da agnus; e la coniugazione iu
portavi, nu’ dìssimu. E segue dal 395 le sorti politiche
dell’Occidente, che si allontana sempre più dall’Oriente.
1Unione Accademica Nazionale, Iscrizioni greche d’Italia, Reggio
Calabria, a cura di L. D’Amore, ed. QUASAR, Roma, 2007, p. 33.
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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

L’altro Impero, i cui cittadini si chiamano Romei


(Ῥωμαῖοι) e Romani, è però di lingua greca; e anche il suo
clero cristiano si sente più prossimo al patriarca di
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Costantinopoli che al vescovo di Roma.


Con la Guerra gotica (535-53) anche il Bruzio, con
l’Italia, viene conquistato2 dall’Impero d’Oriente. Già nel
568 la calata dei Longobardi minaccia di giungere fino
allo Stretto; viene arrestata lungo una linea che va dal
Crati al Savuto, con i capisaldi di Rossano e Amantea. Il
confine si stabilizza, da entrambe le parti con rari
tentativi di superarlo.
Nel 732 divampa con Leone III Isaurico l’iconoclasmo;
gli iconoduli si oppongono, o sottraggono le sacre
immagini alla furia degli avversari; e quando secoli dopo
verranno ritrovate, appariranno miracoli3.
Di fronte alla resistenza dei cattolici italiani e del papa,
Leone sottopone a Costantinopoli le Diocesi del Bruzio
che ormai inizia a chiamarsi Calabria4; e le organizza
intorno all’arcivescovo metropolita di Reggio.
Possiamo dare per certa, a quel tempo, l’esistenza delle
Diocesi di Reggio; Vibo Valentia detta anche Ippona,
Bivona e in altri modi; Locri, ormai piuttosto la collinare
Gerace; Scolacio – Squillace; Crotone; e Rossano,
Arcidiocesi ma non Metropolia. La versione demotica del
2 Mi si passi la sottile distinzione: conquistato, non riconquistato; e
avrei preferito il progetto politico di Cassiodoro di un’Italia romana e
ostrogota.
3 Ne abbiamo detto su queste stesse pagine, nel numero 4.
4 La denominazione appare in età classica per il Salento; perso il

territorio tranne Otranto, l’Impero e la Chiesa crearono una provincia


nominale, che per qualche tempo convisse con Bruzio, nome poi
abbandonato, lasciando, dall’VIII secolo, solo Calabria.

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

Bios di san Giovanni Teresti5 accenna a sedi vescovili di


Turbiano [Taureana?], Stilaro [Stilo], Tiriolo, Taverna; e
sono numerose, con queste, le più o meno infondate e
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sepolte nei secoli rivendicazioni di antichità delle sedi


vescovili di centri calabresi o dei loro eredi.
Compare attorno al X secolo una Metropolia di Santa
Severina con una storia molto particolare, al centro di
una rete delle piccole Diocesi di Cariati, Cerenzia,
Ginocastro (Belcastro), Isola [Capo Rizzuto], San Leone,
Strongoli, Umbriatico6.
Le Diocesi latine dei domini dei Longobardi, ormai
cattolici, sono inizialmente suffraganee dell’arcivescovo
di Salerno; poi Cosenza diverrà Arcidiocesi.
Era piombata dalla Sicilia l’invasione saracena, con la
costituzione, attorno all’840, di emirati a Tropea,
Amantea e nella poi Santa Severina; finché l’ammiraglio
Nasar e il generale Niceforo Foca, avo dell’imperatore,
non riconquisteranno nell’888 in territorio; iniziando o
rafforzando la costituzione di una linea fortificata di
kastellia7 che sono i paesi collinari dello Ionio, tutti vicini

5Il testo è edito da Giuseppe Schirò in Archivio Storico di Calabria e


Lucania, XV 1943, in una versione letteraria e una demotica.
6 Su Santa Severina è disponibile una ricca bibliografia. Il testo più
recente, F. LE PERA e S. PANCARI, Tra sacro e profano. Santa
Severina, la Metropolia, i suoi metropoliti, Pubblisfera, 2005.
7 Non è superfluo precisare che καστέλλιον è un diminutivo di

κάστρον, latinismo greco da castrum; e s’intende un insediamento


predisposto a fungere da fortezza; tale valenza sopravvive nel dialetto
calabrese. Tutt’altro senso ha castello inteso come maniero statale o
feudale, posto a controllo e quasi in opposizione alla città.

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

e tutti visibili l’uno dall’altro8.


Niceforo II (961-9) vi invia contadini soldati,
assegnando a ciascuno la terra detta πετζή, la cui
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memoria vive nel dialettale “u pezzicerhu e terra”, unità


tale da far vivere una famiglia almeno come sussistenza, e
creare un vincolo morale e di sangue con il territorio.
Vengono conducendo con sé i loro santi, spesso soldati e
guerrieri, il cui culto è ancora vivo: Acacio (Agazio),
Andrea, Barbara, Caterina, Gregorio Taumaturgo, Nicola,
Pantaleone, Sostene, Teodoro… L’arrivo delle loro
Reliquie è spesso prodigioso, come narrano gli agiografi
antichi della traslazione dal Ponto delle arche dei santi
Bartolomeo, Acacio (Agazio), Gregorio, Luciano e
Pupieno9.
Accenniamo qui anche alle spedizioni navali per le
Sacre Reliquie: dei Baresi per san Nicola di Mira; dei
Veneziani per san Marco; dei Longobardi di Salerno a
Lipari per san Bartolomeo.
I “Greci” vengono in Calabria da ogni parte e stirpe
dell’Impero, ma li uniscono la religione cristiana, la
fedeltà politica all’Impero “romeo”, la lingua ufficiale
neogreca. Sono vescovi, preti, funzionari, soldati,
contadini, ecclesiastici secolari; e, solitari e spesso ribelli
anche nei confronti dei vescovi, i monaci, prima eremiti;
poi in una organizzazione lauritica; infine in piccoli
8 U. NISTICÒ, “Ascendant ad montes. La difesa passiva ed attiva
della costa ionica in età bizantina, in Vivarium Scyllacense,
Squillace, 1999;
9 Uno per tutti, IACOPO DA VARAZZE, Legenda Aurea, Testo critico

riveduto e commento a cura di Giovanni Paolo Maggioni. Traduzione


italiana coordinata da Francesco Stella con la revisione di Giovanni
Paolo Maggioni. Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2007.

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

cenobi retti da un igumeno elettivo, a volte archimandrita


di più cenobi. Si usa approssimativamente chiamare
questi, dalla Regola che spesso seguono, Basiliani, ma
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non sono un Ordine e una gerarchia.


I papai greci, legittimamente sposati, hanno famiglia e
piccole proprietà. Resta di ciò ampia traccia in molti
cognomi sparsi per tutta la Calabria: Papa, Papandrea,
Papagiorgio, Paparazzo… e luoghi come Papajanni,
Papanice…
Si può dunque parlare di un’ampia, anche se non
totale, riellenizzazione del Meridione, e in particolare
della Calabria.
Nel secolo X i domini imperiali si estendono a danno
del Principato longobardo di Benevento, che si riduce alla
sola città; viene istituito un Catepanato detto d’Italia o
Longobardia (Minor), con i themi di Bari, Tursi e Reggio;
conservano l’autonomia, oscillando tra i due Imperi, i
Principati di Salerno e Capua; e le città campane sono
ormai indipendenti; incombono di tanto in tanto minacce
saracene, e le ambizioni dell’Impero d’Occidente. Nel 982
Ottone II, marito di Teofano figlia di Niceforo, scende a
rivendicare la dote della moglie, ma lo sconfiggono
rovinosamente gli Arabi a Stilo. È un continuo disordine,
e vi porranno fine i Normanni entro la metà dell’XI
secolo, unificando il Meridione in un Regno, e
assicurandogli otto secoli di sostanziale pace interna.
La battaglia di Civitate del 1053 si era conclusa con la
vittoria normanna e la prigionia di papa Leone IX. Le
trattative durarono un poco, per giungere all’accordo
epocale: i vincitori, cattolici latini, si dichiaravano vassalli
della Chiesa, e perciò italiani, anzi più italiani di ogni
altro del Meridione. Da lì a poco Roberto Guiscardo,
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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

riconosciuto duca di Puglia, e il giovane fratello Ruggero


[I] completavano la sottomissione del territorio: 1060,
presa di Reggio; 1070, di Bari; 1076, di Salerno; mentre
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iniziavano la riconquista della Sicilia. Roberto morì nel


1085; Ruggero nel 1101; suo figlio Ruggero II nel 1130
s’incoronò rex Siciliae et Ducatus Apuliae et Principatus
Capuae. L’unificazione politica favorisce l’espansione
della lingua neolatina nelle diverse varianti dialettali.

***

Questi sono, in scarna sintesi, gli avvenimenti politici e


le condizioni sociali. Molto più variegati, e lenti, e
contradditori gli effetti sulla cultura e sulla religione.
Al lettore non è inutile riproporre quali fossero i divari
profondi tra Oriente e Occidente sotto l’aspetto religioso.
La sostanziale differenza teologica è, per gli ortodossi,
nella processione dal Padre e del Figlio e dello Spirito,
mentre i cattolici recitano il Credo con “ab utroque”; se
ne deduce la sacralità dell’Impero, e la sua identificazione
con la Chiesa; al vescovo di Roma si riconosce il primato
d’onore tra i vescovi, ma nessuna autorità dottrinale e
disciplinare
La storia dell’Occidente era, e resta, quella della
dialettica, spesso del contrasto tra la Chiesa e l’Impero e
gli Stati; in Oriente tale distinzione non ha luogo
nemmeno sul piano nominale, e l’Impero è la Chiesa,
derivando entrambi dal Padre. Scioccamente si chiamò
poi cesaropapismo, ma è la sacralità dell’Impero, e
l’identità tra la vita politica e quella religiosa.
Per quel che qui riguarda, un arcivescovo, un vescovo,
un prete sono parte del sistema imperiale come un
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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

generale e un funzionario e un soldato. Non si pone, per


dire cosa di grande rilievo per l’Occidente fin quasi ai
giorni nostri, la questione di chi debba nominare un
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vescovo, giacché la Chiesa coincide con l’Impero.


Ma o se in una provincia muta il potere politico, ciò
non può essere senza profonde conseguenze anche sul
sistema delle gerarchie religiose.
Il Regno detto per brevità di Sicilia era abitato da
cattolici italiani, longobardi e normanni; da quelli che
chiamiamo ortodossi, e compiono nel 1054 il definitivo
scisma; e da cattolici di lingua e rito greco; e da
musulmani e da israeliti, con a loro favore una certa
larghezza di vedute e libertà di culto. Israeliti e
musulmani, infatti, non costituivano, nel praticare la loro
religione, un problema politico; ma ai cristiani greci si
pose e venne posta la questione di separare le loro sorti
da quelle dell’Impero d’Oriente.
Lo avevano giù intuito intelletti aperti come san Nilo di
Rossano, monaco, il quale, dopo l’ennesimo contrasto con
il suo arcivescovo, lasciò la sua terra e la Calabria per
portarsi prima a Serpieri di Gaeta, poi a Roma, fondando
Grottaferrata e stringendo rapporti di stretta
collaborazione con gli Ottoni. Con lui ebbero inizio il
monachesimo e il rito greco-cattolici, senza più alcun
rapporto politico con Costantinopoli, e con l’utroque e
l’obbedienza papale. Il santo morì nel 1001.
Era dunque già da tempo nell’immaginario dei popoli
che si potesse essere di lingua e cultura greche ma
cattolici romani; o che tale decisione comportasse una
scelta irreversibile, e non consentisse di restare legati a
Costantinopoli. I Normanni, senza esercitare, di regola,

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

violenza, diedero corpo a questa nuova realtà,


semplicemente sostituendo i vescovi greci con dei latini.
Nei singoli casi, si procedette secondo le circostanze, e
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noi ne conosciamo bene solo qualcuna10.


Nel 1078 all’ultimo arcivescovo greco di Reggio,
Basilio, succede Arnolfo, latino. Il granconte Ruggero
avrebbe voluto sedesse sul trono reggino Brunone di
Colonia, che però preferì la vita monacale della Certosa di
Santo Stefano del Bosco, o del Monte.
La Diocesi di Bova è nota dall’XI secolo, e passò al rito
latino solo nel 1574; ma ancora in tempi seguenti il clero
parrocchiale portava titoli greci. Dal 1986 è accorpata a
Reggio: ecco un evidente esempio della complessità della
questione!
La Diocesi di Gerace, erede di Locri, divenne latina,
nella seconda metà del XV secolo, sotto il vescovo
Atanasio Calceopulo, di cui diremo.
La Diocesi di Oppido [Mamertina], tuttora esistente,
appare quando un suo vescovo, il cui nome non ci è noto,
tradusse testi greci per re Roberto d’Angiò (1309-43). È
forse un latino di cultura greca? O un greco già di
obbedienza latina?
Anche Nicotera è antica. Un suo vescovo, anonimo, si
dice sia stato martirizzato dai Saraceni. Subisce diverse e
non sempre encomiabili vicende: un suo vescovo,
anch’esso anonimo, sarebbe stato ucciso dai cittadini;
rinasce nel 1392, latina.
La Diocesi di Tropea è antica, e latinizzata all’inizio
dell’età normanna, sotto il vescovo Giustino o Iustego.Vi
10 P. F. RUSSO, Storia della Chiesa in Calabria dalle origini al
Concilio di Trento, 2 voll.: Rubbettino, Soveria Mannelli 1982. È in
preparazione, di Aa.Vv, una storia delle Diocesi calabresi.
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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

viene nel 1094 aggregata, senza continuità territoriale, la


speculare città regia e marinara di Amantea; questa
singolare Diocesi bipartita durò fino al Concordato
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borbonico del 1818. Se i Normanni giunsero alla


decisione di sopprimere la Diocesi invece di latinizzarla
come altrove, ciò potrebbe essere indizio di una
resistenza almeno morale dell’elemento greco di
Amantea: ma non ci sono testimonianze o altre prove a
tale proposito.
La Diocesi di Squillace è nota, con vescovi latini, nel V
secolo; divenne greca, ma nel 1096 la restituì latina il
vescovo Teodoro Mesymerio.
La Metropolia di Santa Severina con le suffraganee
non poteva sfuggire alla latinizzazione, ma ancora nel
1192 una Bolla di Lucio III le concede non solo il
matrimonio dei preti ma anche il Credo senza l’utroque.
Si ritiene nato a Santa Severina quell’Enrico Aristippo,
altrimenti noto come arcidiacono di Catania, traduttore
in latino di testi greci, prima di intraprendere
un’inopinata carriera politica tragicamente conclusa per
mano di Guglielmo I il Malo.
Crotone, Diocesi suffraganea di Reggio, fu latinizzata
già nel 1060, ma nel suo territorio si conservò a lungo il
rito greco.
La Diocesi di Mileto, capitale dei domini di Ruggero
[I], viene istituita dai Normanni. Nicastro, oggi Lamezia
Terme, se non deriva da Temesa – Tempsa, compare in
età già latina; incerta è l’origine della Diocesi latina di
Catanzaro, dove una fonte11 suggerisce però la
compresenza di un vescovato greco accanto al latino.

Girolamo Pinelli, o Pinnello, o Pinnellio, scrittore catanzarese, Il


11

Moncada. Dialogo del Dottor Girolamo Pinnello Accademico


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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

Notevole, e indizio di un momento traumatico, è


quanto accadde a Rossano, e potremmo assumerlo come
prova di un non frequente, ma neppure del tutto assente
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conflitto tra latinità e grecità. Il francescano osservante


Matteo Saraceno di Reggio fu un uomo singolare:
incaricato di raccogliere offerte per una crociata, e
accortosi che la Curia papale aveva tutt’altre e paciose
intenzioni circa la sorte del denaro, acquistò tre navi,
assoldò adeguati equipaggi e mosse da sé guerra ai
Turchi, giungendo fino al Libano. Tornato da
quest’avventura di frate ammiraglio, accettò la nomina ad
arcivescovo di Rossano, e vi sedette dal 1460 all’81. Per
porre fine al rito greco, iniziò la costruzione di una nuova
cattedrale latina, venendo osteggiato dai Greci: per
punizione divina, nacquero a questi dei figli con labbra
deformi come porci12. Notizie, piuttosto vaghe e venate di
fosca leggenda, che sono la spia della non facile
coesistenza fra rito latino e obbedienza papale e Greci di
Calabria, cattolici sì, ma sospetti di scarsa fedeltà a Roma
e con tentazioni costantinopolitane.
Se si escludono simili casi, la latinizzazione delle
Diocesi è da intendersi come un fatto disciplinare e di
obbedienza a Roma; senza che ciò comportasse alcuna

Informato, L’Aggittato, dove si ragiona degli affetti, et effetti d’un


animo grato, dei meriti, e grandezza d’animo d’un Prencipe al
governo, d’un Sig. degno di lode, e dell’eccellenza dell’Anima
ragionevole. All’Illustrissimo Signor F. D. Luigi di Moncada,
Messina, 1608. L’opera è in attesa di riedizione commentata.
12 Padre Giovanni Fiore da Cropani, Della Calabria illustrata, Tomo

II, (a cura di U. Nisticò), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000. Una


curiosità sul labbro porcino, o piuttosto leporino: è diffuso in Calabria
il cognome Trichilo, che significa tre labbra (τρεῖς - χείλη): chissà?

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

restrizione nei confronti del rito greco, e meno ancora


della cultura in greco. Anche nelle Diocesi latinizzate si
trovano preti di lingua e costumi greci13.
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La lingua greca, della cui diffusione si trovano evidenti


tracce in tutta la Calabria, si ridusse progressivamente
per territorio, e ciò si dovette all’espansione dei dialetti
neolatini e all’influsso culturale del toscano. Ancora tre
generazioni fa si parlava normalmente un dialetto greco
in alcuni paesi della Bovesia, come in Terra d’Otranto.
Ma la Calabria mostra nel XII secolo l’opera anche
letteraria di Gioacchino da Fiore in buon latino
ecclesiastico; e nel XIV Barlaam di Seminara e Leonzio
Pilato, dotti di lingua greca, di cui diedero i primi
rudimenti o almeno la curiosità agli Occidentali, tra cui il
Petrarca e il Boccaccio. Barlaam dedicò molte energie alla
speranza, rivelatasi vana, di riconciliare Roma (o piuttosto
Avignone) con Costantinopoli.
Paiono adottare una diversa politica nei confronti della
grecità, come in quelli dei musulmani, gli Angioini (1266-
1442), fino a vere persecuzioni, o sentite come tali; e alla
presenza dell’Inquisizione. Le motivazioni di tale
atteggiamento sono politiche, stanti le simpatie ghibelline
della superstite cultura greca14
Uno specchio di clima religioso e politico assai più
pesante della tolleranza normanna emerge da un brano
del Codice Vaticano Greco 31615, che è opportuno
13 In memorie di famiglia di chi scrive si racconta l’episodio del prete
ornato di barba, perciò greco, cui si vietò di dire Messa, e oppose con
rude spiritosaggine che anche una statua di Cristo l’aveva!
14 Si veda M. GIGANTE, Poeti bizantini di Terra d’Otranto nel secolo

XIII, Roma 1979


15 G. MERCATI – P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Codices vaticani

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

riportare integralmente. L’autore è purtroppo anonimo,


ma con ogni probabilità calabrese.
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La mia patria, o fratelli, è stata la provincia di Calabria,


che si trova nella parte meridionale dell’Italia, e i miei
genitori erano ricchi sì nel corpo ma non molto
nell’anima; infatti, aderivano all’eresia dei Latini.
Tuttavia, spinti da Dio stesso, mi misero fin dalla tenera
età a studiare soprattutto le scienze sacre; crebbi in
mezzo ad esse per grazia di Dio, e così compresi
esattamente come i Latini siano adulteratori e
trasgressori della tradizione degli apostoli e dei padri,
osando empiamente confondere le proprietà delle tre
ipostasi ed insegnando due processioni del Santissimo
Spirito. Perciò non cessavo mai dal discutere con i loro
sapienti, dimostrando per mezzo della divina Scrittura e
dell’insegnamento dei padri che si erano allontanati ed
estraniati dalla fede ortodossa… Perciò i loro capi mi
trattavano come un nemico e un deviato e mi
dichiaravano a tutti eretico ed eterodosso. Tutti, quindi,
mi evitavano con orrore e paura e non cessavano dal
colpirmi con insolenze ed attacchi. Per non dire tutto,
tenteremo di chiarire con questo discorso perché me ne
andai da lì. Narrare, infatti, nei particolari quello che mi
hanno fatto patire, necessiterebbe di troppo tempo e di
troppo spazio. Il papa aveva mandato in Italia degli
inquisitori per indagare sui Greci, e se ne avessero
trovato uno che non aderiva ai dogmi latini, avrebbero
dovuto mandarlo al rogo. Giunti che furono nella nostra
città, ed informatisi sul mio conto, meditando per
l’indomani di trascinarmi al loro tribunale e di farmi
bruciare come eretico incallito. Considerando che se
avessi abiurato avrei perso la vita futura che ancora

graeci I: Codices 1 – 329, Roma, 1923, p. 469.


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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

non mi ero acquistato, e se resistevo quella presente, non


volendo perdere né quella né questa per amore del
corpo, prima di andare al loro cospetto, a sera fuggii in
anticipo. E così, giunto fino a voi guidato dal favore di
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Dio, rendo grazie a Dio che mi ha ritenuto degno di


quella fuga e di unirmi a voi; a gloria di Dio, al quale
spetta l’adorazione nei secoli dei secoli, amen.

Qualche breve riflessione: l’anonimo non è figlio di


ortodossi, anzi accusa i suoi stessi familiari di essere, o
essere divenuti “eretici latini”, e ciò è indizio di una
situazione anche territoriale di conflittualità; le
motivazioni della sua scelta sono, come si legge,
squisitamente, direi sottilmente teologiche. Non è forse
un semplice fedele, ma un ecclesiastico di buona cultura.
Teme gli inquisitori papali, il che può essere avvenuto
solo con la caduta dei Normanno-svevi.
Dove fuggì, l’anonimo? Sappiamo che furono
frequenti i rapporti tra la Calabria e Costantinopoli; e che
sull’Athos troviamo un convento di monaci calabresi; e
che spesso si recarono in Grecia Barlaam, Leonzio e altri.
La conflittualità è del resto reciproca: i Romei
chiamano barbari i “Franchi” perché latini e di
obbedienza papale; e salvano da questa accusa solo i
Calabresi che “sono cristiani ortodossi fin dal principio, e
sono stati educati secondo i costumi della nostra Chiesa
apostolica”16.
***

16 Costantino Stilbès di Cizico, citato da A. PERTUSI in Calabria


bizantina, Atti del primo e secondo incontro di Studi bizantini, Reggio
Calabria 1974, p. 154.

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Se le gerarchie ecclesiastiche secolari vengono sottratte


a Costantinopoli e sottoposte a Roma, i Normanni
rispettano però i cenobi greci, che, come si diceva, non
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costituivano questione politica, anzi l’avevano prevenuta


e risolta. Fondarono sì grandi abbazie benedettine e di
altri Ordini latini17, ma anche nuovi cenobi, o sostennero
gli antichi. Pretesero tuttavia che si organizzassero in una
gerarchia e sotto gli archimandriti di San Giovanni
Teresti oggi in Bivongi, Sant’Elia di Carbone e il SS.
Salvatore di Messina, non necessariamente con criteri
territoriali.
Il monachesimo greco cenobitico di obbedienza
romana poté così vivere ancora per due secoli, non solo
indisturbato ma favorito dal governo regio.
Alla metà del XV secolo la Curia pontificia, per
iniziativa del cardinal Bessarione, inviò in Calabria il
dotto greco Atanasio Calceopulo, che abbiamo visto
essere poi divenuto vescovo di Gerace; suo compito fu
una ricognizione di quanto rimaneva dei cenobi greci. Ne
trovò alcuni con ancora dei monaci, tra questi San
Bartolomeo di Trigona, Sant’Elia di Carbone, San Filareto
di Seminara, San Giovanni a Piro, San Giovanni Teresti,
San Gregorio Taumaturgo, Santa Maria del Patìr, Santa
Maria di Popsi (Polsi), San Pietro d’Arena; il quadro
generale che tracciò fu però molto poco consolante18.
17 Ricordiamo S. Eufemia, S. Maria della Matina, S. Maria della
Roccella, S. Maria della Sambucina, S. Maria di Corazzo, S. Stefano
del Bosco o del Monte, SS. Trinità di Mileto… La Certosa bruniana,
passata nel 1192 ai Cistercensi, tornata ai Cartusiani nel 1513,
ricostruita dai Borbone, è tuttora fiorente.
18 M. H. LAURENT - A. GUILLOU, Le”Liber Visitationis” d’Athanase

Chalkéopoulos (1457-1458). Contribution à l’histoire du monachisme


grec en Italie méridionale, Città del Vaticano 1960. A. PERTUSI,
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Un secolo dopo, nel 1579, su ispirazione del cardinale


calabrese Guglielmo Sirleto, ebbe vita un Ordine
Basiliano regolare con alcuni cenobi, che visse fino al
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Settecento, avendo il merito di conservare antichi


documenti greci. I monaci questa volta a buon diritto
detti basiliani erano di buona cultura ellenica e bizantina,
anche se dubito nel quotidiano parlassero greco.
Gli Albanesi, stanziatisi Calabria a partire dal XV
secolo, e in gran numero nel seguente, erano o divennero
cattolici, conservando però il rito bizantino. A loro
vantaggio il governo di Ferdinando IV di Borbone istituì il
nel 1794 il Reale Collegio italo-greco di Sant’Adriano in
San Demetrio Corone.
Dopo una lunga situazione d’incertezza, nel 1919 è
stata eretta una Diocesi di Lungro, immediatamente
soggetta alla Santa Sede, il cui titolare prese la
denominazione di eparca, ed è un membro di rito greco
della Conferenza Episcopale Calabra.
San Giovanni Teresti, dopo secolare abbandono, ha
subito un certo restauro, venendo affidato a monaci
ortodossi greci, oggi a monaci ortodossi romeni; ad altri
monaci è stata concessa la cappella di San Giovannello in
Gerace. Sono volenterosi ma finora infruttuosi tentativi di
ecumenismo da parte della Chiesa di Roma, senza troppi
segnali di reciprocità.
La memoria storica della grecità è rimasta in Calabria
con moltissime tracce di parole e soprattutto di sintassi
nel dialetto; e una vastissima toponomastica e
onomastica19.

Monaci e monasteri nella Calabria bizantina, in Calabria bizantina,


Atti del primo e secondo incontro di Studi bizantini, cit, pp. 17-46.
19 Ricordiamo qui, solo per cenni, gli studi di Gerard Rohlfs, tra cui G.

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

Se ne accorgono ormai solo gli studiosi, quasi come


una curiosità erudita. Le poche aree superstiti di grecità
sono mantenute in vita artificiale. Il dialetto ha perso
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moltissime parole greche che si riferivano ad agricoltura,


pastorizia e artigianato tradizionali. La toponomastica
prediale, in larga misura greca, trova ormai posto solo
nelle mappe catastali.
Un indizio notevole del fenomeno è nell’affievolirsi
della venerazione di alcuni santi greci, o trascurati o
ignorati come tali. È sempre prudente precisare, parlando
o scrivendo, che santa Caterina calabrese è la Martire
d’Alessandria e non la Patrona d’Italia di Siena!
È significativo quanto accadde già verso il XVII e XVIII
secolo nell’oggi piccolo paese di Satriano, allora centro
rilevante e sede di principe; e ci diffondiamo ritenendolo
un evidente esempio.
Il patrono di Satriano è tuttora san Teodoro, santo
bizantino e patrono dell’esercito imperiale; assai venerato
anche a Venezia, a Brindisi e altrove. La festa di questo
patrono era così solenne che si celebrava il giorno della
Pentecoste, con la partecipazione di numeroso clero di
tutto il territorio circostante. Una chiesa dedicata a san
Teodoro sorgeva certamente lungo la pendice
settentrionale del colle di Satriano. Giacché apprendiamo
da un documento del 1794 che i suoi beni vennero
incorporati nella Cassa Sacra, dobbiamo dedurre che la
chiesa sia stata distrutta o gravemente danneggiata dal
terremoto del 1783, a seguito del quale il Governo di
Ferdinando IV di Borbone, dopo aver inviato celeri ed
efficaci soccorsi e volendo ricostruire la Calabria, istituì,

ROHLFS, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, Longo,


Ravenna, 1977.
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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

con la Cassa, un fondo composto di terre ecclesiastiche da


privatizzare. Le reliquie – sono frammenti di ossa del
Santo –, vennero collocate nella imponente Matrice,
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terminata di costruire e consacrata, come si legge in


parrocchia, nel 1819, e si venerano oggi in una teca
argentea.
La perdita di una chiesa propria e dei suoi beni deve
aver contribuito a rendere il culto di san Teodoro meno
popolare di quello dei Santi Medici, occasione tuttora per
i Satrianesi e di una festa celebre e assai frequentata, il 27
di settembre.
Esso era però così radicato nella tradizione, che gli
arcipreti e parroci di San Sostene, Davoli e Cardinale,
considerati, almeno sotto gli aspetti ecclesiastici, casali di
Satriano, erano tenuti a partecipare ogni anno, nel giorno
di Pentecoste, alla processione e ai Vespri in onore del
Santo.
Così leggiamo in un decreto del Vescovo di Squillace
del 27 aprile 169720, che riporta una deliberazione della
Sacra Congregazione vaticana dei Riti di tre anni prima. I
prelati dei tre borghi debbono perpetuare, si legge, un
costume che dura “a tempore innumerabili”, e che
dunque nel secolo XVII è già antico.
Ma la necessità stessa di una tale puntualizzazione
vaticana e diocesana autorizza il sospetto che arcipreti e
parroci dei casali non amassero molto affrontare i viaggi,
e gli oneri anche finanziari (il decreto precisa che devono
arrivare a Satriano dopo pranzo!), che un simile impegno
comportava in quei tempi, e da cui forse tentavano di
20 Archivio della Parrocchia di Santa Maria d’Altavilla, Satriano.

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Christianitas. Rivista di Storia Pensiero e Cultura del Cristianesimo – 5/6 (2015)

farsi esentare. O magari essi stessi avvertivano già verso il


Santo qualche disaffezione.
Deve ancora intervenire la Curia romana, nella
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persona di Nicolò Serra arcivescovo “in partibus” di


Mitilene, che ribadisce quell’obbligo il 20 febbraio 1764,
non sappiamo con quanta efficacia, e ne dubitiamo.
La tradizione di questo piccolo Sinodo, di cui non
rimane oggi memoria, dovette venire definitivamente
trascurata; sopravvennero le tragiche vicende delle due
invasioni francesi del 1799 e del 1806-15 e delle
insorgenze borboniane. La stessa festa del santo, che
coincideva con il giorno solennissimo della Pentecoste,
venne ridotta al 9 novembre in cui la colloca la liturgia
ordinaria; un tempo dell’anno poco favorevole a
festeggiamenti e fiere.
Che qualcosa si affievolisse nel rapporto tra i Satrianesi
e il loro celeste patrono, lo prova un altro dei pochi
documenti antichi superstiti nell’archivio parrocchiale,
che è del 15 luglio 1794 e proviene probabilmente dagli
Uffici del Preside provinciale di Catanzaro, l’equivalente
del Prefetto dei nostri giorni. Questi rivolge al
Governatore del principato di Satriano un dispaccio che
riferisce di lamentale del sindaco del tempo: le offerte dei
fedeli “che appena bastano a farsi la metà della spesa per
la solennizzazione di san Teodoro”, vengono altresì
versate in chiesa, e restano nelle mani dell’arciprete. La
Giunta provinciale dispone che “si debba far eleggere in
pubblico Parlamento due Deputati, i quali coll’intervento
dell’arciprete abbiano il carico di ricevergli... le
oblazioni... a fine di impiegarsi il provetto nella Festività
del Santo Protettore con l’obbligo di dover fare distinto
inventario”. E se qualcosa avanza, si destina ai
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“maritaggi”, le provvidenze a favore della fanciulle povere


perché possano disporre di una dote e trovare marito.
Come si vede, anche il culto dei santi subisce qualche
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mutazione culturale, e ciò è spia di come la grecità


popolare non sia più sentita come tale. Gli studi di greco
classico fioriscono in Calabria nei Licei e si conducono in
una Facoltà universitaria, ma non più e non diversamente
che in qualsiasi altro luogo d’Italia.

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