STORIA CONTEMPORANEA
VOL. I L’OTTOCENTO
Tommaso Detti, Giovanni Gozzini
La rivoluzione industriale
Secondo una definizione di Davis S. Landes (1969) la rivoluzione industriale in Inghilterra fu “un
complesso di progressi tecnologici: la sostituzione delle macchine all’abilità e alla forza dell’uomo;
lo sviluppo di fonti di energia inanimata; l’invenzione, produzione e uso di nuovi materiali;
l’introduzione e la diffusione di un nuovo modo di produzione, noto ai contemporanei come sistema
di fabbrica.” Estendendosi dall’Inghilterra agli altri paesi, la rivoluzione industriale segnò un
momento di forte cesura nella storia dell’umanità. Per comprendere appieno questo evento, bisogna
studiarne lo sviluppo.
Tra il 1760 ed il 1780 furono inventate in Inghilterra alcune macchine per la filatura del cotone:
- La spinning jenny che permetteva ad un operaio di lavorare contemporaneamente ad otto
fusi anziché ad uno solo;
- Il water frame che utilizzava l’energia idraulica e poteva centuplicare la quantità di prodotto;
- La mule che era la sintesi dei due, migliorata.
Con l’invenzione di queste macchine la tessitura non riuscì più a stare dietro ai ritmi della filatura
finché, nel 1785, non venne inventato il telaio meccanico. A moltiplicare la potenza di questi
macchinari fu l’invenzione della macchina a vapore (1712, perfezionata da James Watt nel 1782),
applicata prima all’attività estrattiva, poi alla nascente industria chimica, poi a quella meccanica e
siderurgica. Questi settori furono i motori di una prodigiosa trasformazione dell’economia,
imperniata sull’energia del vapore.
La crescita della produttività ha portato con sé un allargamento dei mercati e quindi una vera
rivoluzione dei trasporti. L’energia a vapore venne così applicata ai battelli e, soprattutto, alla
ferrovia. Fu così che nel 1770 il contributo all’economia del paese diminuì, mentre quello del
commercio e del trasporti aumentò. Si passò quindi da un’economia a base “organica” ad
un’economia “a base inorganica”.
Nei secoli precedenti la manifattura inglese si era decentrata dalle città alle campagne, facendo
aumentare il lavoro a domicilio. Con la rivoluzione industriale i grandi macchinari vennero
concentrati in appositi opifici. In tal modo si passò dal domestic system (basato sul lavoro a
domicilio) al factory system (basato sulla fabbrica). Come disse Karl Marx, “nella manifattura e
nell’artigianato l’operaio si serve del suo strumento, nella fabbrica è l’operaio che serve la
macchina”. I lavoratori furono soggiogati dai ritmi dei macchinari, favorendo una rigida disciplina.
Divennero così manodopera, che andava così a costituire una nuova classe sociale, quella del
proletariato industriale.
Cambiò anche la figura dell’imprenditore, diventando colui che doveva impegnare somme ingenti
di denaro, ovvero capitali, nella produzione.
Un ruolo importante lo giocò l’agricoltura, che in questi anni venne rinnovata a partire dalle
enclosures, cioè dall’introduzione sempre più ferma della proprietà privata. Un altro fattore
determinate fu l’utilizzo di un vasto impianto di irrigazione e l’introduzione della rotazione a
quattro cicli o di Norfolk: alternando la coltivazione di frumento, rape, orzo e trifoglio si riusciva a
non lasciare mai una parte del terreno a riposo e a mantenere costante lo sviluppo dell’allevamento.
L’introduzione della proprietà privata non portò alla creazione del proletariato industriale, come
sostenne Marx. Da un’attenta analisi, si è potuto notare come la manodopera per le fabbriche crebbe
grazie all’aumento della popolazione ed alla consistente migrazione. Le enclosures portarono
invece la fine dell’autoconsumo e l’avvio di un’economia di mercato, cioè un sistema in cui il
soddisfacimento dei bisogni avviene mediante l’acquisto di merci.
Verso la metà del Settecento la popolazione mondiale iniziò a crescere per poi rallentare. Il tasso di
mortalità e natalità diminuì: questa transizione si chiama “transizione demografica”. Il calo di
mortalità fu dovuto alla scomparsa della peste ed altre malattie epidemiche unite ad una riduzione
della frequenza delle carestie, mentre il calo della natalità è stato attribuito a mutamenti economico-
sociali.
Thomas Malthus, nel 1798, osservò come la popolazione cresceva a ritmo costante finché
l’agricoltura riusciva a sopperire al fabbisogno di tutti. Quando si arrivava al limite si scatenavano
crisi di mortalità legate a carestie, epidemie o guerre, e la popolazione diminuiva. Dopo di che il
ciclo ricominciava. Alla fine del XVIII secolo, però, quel sistema si stava spezzando, in parte
perché la popolazione frenava la fecondità con dei metodi contraccettivi, ma in larga misura perché
la crescita demografica e quella economica non furono più antagoniste, ma si sostennero. Questo
durò fino al XIX secolo, quando la produzione aumentò più della popolazione, sfociando in una
crisi continua di sovrapproduzione.
Il commercio estero fu uno dei fattori decisivi dell’industrializzazione: la Gran Bretagna aveva un
impero coloniale ed era padrona dei mari. Londra divenne presto il centro mercantile e finanziario
del mondo. La distribuzione disomogenea dei capitali creò un sistema di scambi ineguali fra paesi
sviluppati e altri. L’allargamento dei mercati, però, portò ad un abbassamento del costo dei prodotti,
permettendo sempre a più ceti sociali di accedervi. Fu un vero fenomeno globale, che però il
cambiamento radicale dello stile di vita di gran parte della popolazione e l’ascesa di una media
borghesia.
Per quanto riguarda le condizioni di vita degli operai in questi anni è difficile ottenere dei dati certi,
perché ricchi di troppe variabili. Sicuramente bisogna tener conto dell’altissimo numero di
disoccupati e delle durissime condizioni di vita. Sul lungo periodo il fatto di percepire un salario
diede alle donne maggiore autonomia, anche se sul medio notiamo una riconferma delle gerarchie
patriarcali. Il crescente benessere del paese venne pagato a caro prezzo dalle classi operaie, anche
quelle delle colonie. Lo confermano le rivolte che scossero l’Inghilterra nella prima metà
dell’Ottocento, che portarono alla creazione dei primi sindacati moderni.
Rivoluzione americana
Premesse
La rivoluzione americana aprì la strada alle grandi rivoluzioni ottocentesche, trasformando la
politica da essere sfera d’azione di pochi ad essere sfera di interesse di tutti. Nello scenario di questi
anni dobbiamo tener conto di tre popoli che combatterono sul suolo americano:
1. Gli indiani;
2. I coloni bianchi;
3. Gli schiavi neri deportati dall’Africa.
Eventi
La scintilla iniziale fu la guerra dei Sette anni, che venne combattuta anche sul suolo americano e
che portò una grave crisi economica, siccome la madrepatria fece gravare alle colonie le spese di
guerra. Qui le truppe inglesi non riuscirono a difendere le colonie ed iniziò ad incrinarsi l’idea
dell’infallibilità della madrepatria. Benjamin Franklin tentò di unire i vari governi ma senza esito.
Il malessere crebbe con l’introduzione di nuove tasse:
- Revenue Act (1764) che abbassò le tariffe doganali ma rese i controlli anti contrabbando ben
più stringenti;
- Stamp Act (1765), che introdusse tasse di bollo per ogni documento di valore pubblico,
compresi i giornali.
I coloni reagirono duramente: la loro vita economica non poteva essere decisa da un Parlamento
lontano e senza neanche una loro rappresentanza al suo interno.
Nel 1765 il primo congresso delle colonie britanniche del Nordamerica proclamò
l’incostituzionalità di quelle misure e legittimò le sole assemblee provinciali ad imporre nuove
tasse. Il governo inglese ritirò lo Stamp Act ma, nel 1767, alzò i dazi provocando il boicottaggio
delle merci. Un esempio fu nel 177 3 fu il Boston Tea Party, in cui un gruppo di coloni travestiti da
indiani gettò in mare un carico di tè.
Nel 1775 scoppiò allora la guerra. Venne istituito un esercito guidato da George Washington. Il 4
luglio del 1776 il congresso continentale approvò la Dichiarazione d’indipendenza, espressione di
un’ideologia repubblicana legata alla libertà e all’indipendenza (idee di Thomas Jefferson).
Ovviamente ci fu chi restò fedele alla corona, chiamato lealista. Anche fra gli indiani ci fu chi le
restò fedele.
Fra il 1776-77 un massiccio esercito mercenario tedesco portò gli inglesi a rioccupare New York e
Filadelfia, ma vennero sconfitti nel 1777 a Saratoga, anche se solo nel 1781 le sorti del conflitto
volsero decisamente a favore dei coloni. Di fronte alla prospettiva di una guerra sanguinolenta il
governo inglese avviò le trattative di pace. Il trattato venne firmato a Parigi nel 1783 riconosceva gli
Stati Uniti d’America e restituiva la Florida alla Spagna.
Raggiunta l’indipendenza era necessario dare un nuovo governo al paese: nel 1787 venne indetto un
nuovo congresso con il compito di trovare un equilibrio condiviso fra gli Stati. Venne approvata una
nuova costituzione che istituiva un Congresso che esercitava il potere legislativo, diviso in Camera
dei rappresentanti (eletta ogni due anni) e Senato (composto da due rappresentati per ogni stato).
Era l’unica autorità in materia di fisco e dogane, difesa e forze armate, posta e moneta. Tutto il resto
spettava ai singoli stati. Il potere esecutivo era assegnato ad un presidente, mentre quello giudiziario
ad una Corte suprema di nomina presidenziale.
Fin da subito le idee politiche presero due andamenti diversi: uno federalista ed uno repubblicano.
- Hamilton: un federalista che sosteneva la creazione di una Banca nazionale ed un debito
pubblico per riordinare i conti dello stato, ma anche di avviare un programma di
industrializzazione.
- Jefferson: repubblicano, che si oppone alla creazione di una banca centrale, le cui idee
vennero nutrite dalla rivoluzione francese.
Dalla discussione di questi due schieramenti nacque il Bill of rights (1791), cioè dieci emendamenti
alla Costituzione.
Le elezioni del 1796 videro la vittoria dei federalisti, che approvarono gli Alien and Sedition Acts,
una serie di leggi che complicavano il processo di naturalizzazione degli immigrati e punivano i
reati sediziosi nei confronti del governo federale. La Virginia ed il Kentucky rifiutarono,
accendendo un conflitto appianato solo nel 1800 con l’elezione di Jefferson. Gli Alien and Sedition
Acts vennero aboliti, insieme a molte imposte federali. Nel 1803 venne acquistata la Louisiana.
Scoppiò un nuovo conflitto con la Gran Bretagna, originato da un perdurante stillicidio e sequestro
di equipaggi americani ad opera di Londra. Nel 1814 si giunse al trattato di Ghent, riportando la
situazione a prima del conflitto.
Intanto, per i nativi indiani, la situazione non volgeva al meglio. Inizialmente gli vennero lasciati
degli ampi territori ad ovest, che però vennero lentamente corrosi degli squatter (persone che
compravano delle terre a poco in quelle zone). La situazione finì nel 1851 con l’Indian
Appropriations Act che confinò alcune tribù in delle piccole riserve delimitate.
Nel 1823 il presidente Monroe fece un discorso in cui affermava che l’America doveva essere degli
americani, avviando l’isolazionismo che la caratterizzerà fino alle due guerre mondiali. Con queste
parole si sancì il diritto egemonico su tutto il continente, quindi anche l’America latina.
Nonostante le crisi del settore borsistico e finanziario, gli Stati Uniti vissero dei periodi di intensa
crescita economica, soprattutto basata sulla schiavitù della popolazione nera. A lungo i partiti
evitarono l’argomento, che poneva in disaccordo gli stati del nord (contro) con quelli del sud (a
favore). Nel 1819 l’annessione del Missouri, favorevole alla schiavitù, mise in crisi questo
equilibrio. Venne però risolta con un compromesso che proibiva la schiavitù nelle sole altre terre da
conquistare.
Rivoluzione francese
Premesse
Fu la rivoluzione stessa a coniare il termine ancien régime (antico regime) per definire la società
che si era instaurata in Francia fino a quel momento e caratterizzata da tre fattore:
1- La quasi feudalità;
2- La suddivisione tripartita della società in ordini (nobili, clero, terzo stato);
3- L’assolutismo del re, ancora ritenuto una figura sacra.
Nonostante fosse un sistema ricco di contraddizioni e lacune, la rapidità con cui crollò fu
sorprendente. La domanda allora è: perché questo sistema è crollato così rapidamente?
1- Sicuramente la situazione economica influì negativamente. Uscita da una profonda crisi in
seguito alla guerra dei Sette anni, la Francia non riuscì ad attuare delle vere riforme fiscali. I
vari tentativi misero in luce due correnti:
a. Quello di Turgot, che puntava a sviluppare il mercato e ad attuare un sistema fiscale
equo, che però avrebbe accentuato ulteriormente la centralità del dispotismo regio;
b. Quello di Necker, che voleva ridurre la spesa pubblica e valorizzato le autonomie
locali, che venne contrastato da illuministi e terzo stato.
2- Il punto 1 portò ad una conclusione: era una spesa eccessiva il mantenimento dell’impero
coloniale.
3- Il propagarsi delle idee illuministiche.
Eventi
Il 5 maggio 1789 vennero convocati gli Stati Generali (l’ultima volta che vennero convocati fu nel
1614). Il terzo stato chiese allora che si votasse per testa, non per ordine. L’aristocrazia, il clero e il
re si opposero e venne chiusa l’aula delle sedute. I delegati del terzo stato si riunirono allora in una
sala destinata alla pallacorda e giurarono di non separarsi “fino a che non venisse istituita una
Costituzione”.
Il 9 luglio si proclamarono Assemblea nazionale costituente. L’esito però era ancora incerto: in
quegli stessi giorni il re fece circondare Parigi e si creò una situazione di stallo. Venne poi rotta il 14
luglio con la presa della Bastiglia da parte del popolo in cerca di armi. Alla rivoluzione istituzionale
si sommò quella cittadina.
I disordini si moltiplicarono e il comitato elettorale di Parigi si era costituito in una commune sotto
la guida di Bailly, creando una Guardia Nazionale. Dopo la presa della Bastiglia il re fu costretto a
ritirare le truppe e ad accettare la municipalità di Parigi. Intanto una terza rivoluzione prese largo:
“la grande paura” che portò ad un’imponente insurrezione di massa anti-nobiliare. Per evitare la sua
espansione il 4 agosto 1789 l’Assemblea nazionale votò una legge che aboliva gli oneri e i privilegi
feudali. L’ ancien régime venne così distrutto.
Si trattava ora di ricostruire. Il 26 agosto venne approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino, basata su principi di uguaglianza sociale e libertà, frutti dell’Illuminismo.
Ad ottobre il re, che rifiutata di firmare i decreti, venne costretto a farlo da una folla in armi, che lo
obbligò a risiedere a Parigi e non più a Versailles. Nell’Assemblea si formarono dei raggruppamenti
politici che, in base al posto occupato in aula, presero il nome di destra per i conservatori e di
sinistra per i democratici. Per risolvere la crisi finanziaria venne deciso di espropriare i beni del
clero e che questi venissero retribuiti come funzionari statali, dopo aver giurato fedeltà allo Stato.
Da qui il clero si spaccò:
- I giurati che giurarono fedeltà allo Stato;
- I refrattari, che rimasero fedeli a Roma.
I beni requisiti andarono a formare il patrimonio da cui vennero poi venduti degli assegnati, cioè dei
titoli al 5%. Dovevano alleviare il disavanzo pubblico, ma alla fine vennero usati come della carta
moneta, provocando una grave spirale inflazionistica.
Nel 1791 entrò in vigore una nuova costituzione in cui si affermava che:
- La Francia era una monarchia nazionale;
- Il potere legislativo era affidato alla Camera;
- Il re aveva il potere di veto sulle decisioni della Camera e aveva buona parte del potere
esecutivo
- A seconda del censo i cittadini vennero divisi in “attivi” (con diritto di voto) e “passivi”
(senza diritto di voto). Gli attivi avevano il compito di eleggere un’Assemblea legislativa.
- Il governo fu riorganizzato dividendo il territorio in 83 dipartimenti;
- Si sostituirono imposte indirette con quelle dirette su base patrimoniale;
- Fu concessa la cittadinanza ai protestanti ed agli ebrei;
- In campo economico venne promossa la libertà di commercio e vennero abolite le
corporazioni.
L’Assemblea costituente venne così sciolta e venne creata quella legislativa.
Nel 1794 venne abolita la schiavitù e si diffusero in larga scala giornali e club.
Nel giugno 1791 Luigi XVI lasciò furtivamente Parigi con l’intento di espatriare e chiedere
appoggio a Leopoldo III. All’Assemblea si pose così il problema di cosa fare del re.
All’estero intanto erano espatriati numerosi nobili e parte del clero refrattario, che promossero
alcuni interventi insurrezionali. Mentre si diffondeva la paura di un complotto aristocratico, la crisi
economica alimentò una forte ripresa delle rivolte contadine. A sbloccare una situazione sempre più
tesa fu la guerra: nel 1792 la Francia dichiarò guerra all’Austria, al cui fianco si schierarono Prussia
e Piemonte. Le iniziali sconfitte generarono un nuovo stallo, che venne rotto dai sanculotti (cittadini
passivi che auspicavano una democrazia assembleare e diretta, difendendo il diritto della proprietà
privata ma chiedendo un’economia controllata), che guidarono una nuova insurrezione anti
monarchica. Le sezioni della capitale, cioè le assemblee di quartiere, proclamarono una “comune
insurrezionale”. L’esito portò alla definitiva deposizione del re, la proclamazione di una
Convenzione nazionale e l’istituzione del suffragio universale.
A settembre la resa della città di Verdun aprì la strada alle truppe prussiane, che accese la paura del
popolo portandolo ad una feroce insurrezione. Ad allentare le tensioni sopraggiunse la vittoria a
Valmy, che arrestò l’avanzata prussiana. Il 21 settembre 1792 la Convenzione proclamò la
Repubblica.
All’interno della Convenzione furono evidenti fin da subito i dissidi politici. Da un lato i girondini,
dall’altro la Montagna (così chiamata perché sedevano nei seggi più alti), poi ancora la Palude o
Pianura (poiché sedevano al centro), più indipendenti. Intanto nel gennaio 1793 Luigi XVI venne
processato e messo a morte, evento che riaccese la guerra. Alla coalizione antifrancese si aggiunsero
l’Inghilterra, la Spagna e alcuni stati tedeschi e italiani. La Francia intanto conquistò i Paesi Bassi
austriaci, la Renania, Nizza e la Savoia, dichiarando l’abolizione dell’ancien régime in tutti i
territori sottomessi. Poco dopo vennero tutti persi e si riaccese il malcontento in patria. Ne fu un
esempio eclatante la rivolta della Vandea (marzo 1793).
In risposta furono istituiti del Tribunali per giudicare chiunque venisse ritenuto colpevole di
tradimento. Il potere esecutivo venne affidato ad un Comitato di Salute pubblica e, in seguito alle
crescenti pressioni popolari, la Gironda (ritenuta troppo moderata) venne estromessa, lasciando
spazio ai giacobini, ovvero la Montagna.
Nel 1793 la Convenzione promosse una nuova Costituzione, che non entrò mai in vigore, e
l’istituzione di un nuovo calendario laico.
Nell’inverno del 1793-94 alcune leggi estesero le prerogative del Tribunale rivoluzionario,
rendendo i giudizi più sommari e sbrigativi. Ad agosto 1794 venne poi proclamata la leva militare
maschile e da lì ad un anno la colazione anti francese venne sconfitta. Questo periodo venne
definito come il Terrore e venne segnato dall’eliminazione fisica di avversari politici e dissidenti. I
giacobini, capeggiati da Robespierre, celebrarono il loro trionfo quando venne proclamato dalla
convenzione il culto per “l’Essere supremo”, cioè la dittatura di una ristretta élite. Superate le fasi
più acute, vennero però isolati ed infine, il 27 luglio 1794, vennero processati ed infine messi a
morte.
I termidoriani, cioè coloro che posero fine al periodo del Terrore, smantellando tutto ciò che fu
promosso in quegli anni. A favorire un ritorno alla normalità fu l’andamento vittorioso della guerra:
nel 1795 si firmarono i trattati di pace con Prussia e Spagna, che riconoscevano alla Francia il
possesso del Belgio e della Renania. L’Olanda divenne una repubblica batava.
Nel 1795 venne riconosciuta la libertà di culto ed il principio di separazione fra Chiesa e Stato. Una
nuova carestia portò un nuovo malcontento e nuove insurrezioni, tutte soppresse nel sangue. Questo
periodo infatti venne chiamati Terrore Bianco (bianco come la bandiera dei Borbone che se ne
fecero portatori) e generò una nuova ondata monarchica. Fu in questo contesto che venne
promulgata una nuova Costituzione (1795), in cui ai diritti vennero affiancati i doveri, venne
reintrodotto il suffragio censitario. Vennero istituite due Camere per il potere legislativo e un
Direttorio per quello esecutivo.
Il Direttorio alternò una politica di repressione una di compromesso.
Nelle elezioni del 1797 vinsero i monarchici e il Direttorio, aiutato da Bonaparte, compì un vero e
proprio colpo di stato. Gli storici identificano questo atto come la fine del “primo Direttorio” poiché
nel nuovo periodo inaugurato si iniziò a far largo uso dell’esercito per le controversie interne.
L’appoggio dell’esercito divenne così fondamentale. Nel 1796 vennero riprese le azioni militari, che
portò numerose vittorie in Italia grazie a Bonaparte. Il generale intavolò trattative con gli austriaci e
nell’ottobre di quell’anno siglò la pace con il trattato di Campoformio, in cui l’Austria otteneva la
Repubblica di Venezia, sancendone la fine, ed alla Francia il nord Italia, dove vennero create delle
repubbliche sorelle. In Egitto Bonaparte sconfisse i mamelucchi nel 1798, venendo però sconfitti a
loro volta dalla flotta inglese guidata da Nelson.
Le nuove elezioni del 1799 rivelarono le debolezze del Direttorio e venne richiesto l’aiuto
dell’esercito: Bonaparte allora fece un colpo di stato e sciolse il Direttorio. Si concluse così il ciclo
rivoluzionario francese.
L’epoca napoleonica e la Restaurazione europea
Agli inizi del nuovo secolo la Francia non era particolarmente forte da un punto di vista militare o
diplomatico, ma solo grazie alle idee rivoluzionarie, a cui Napoleone conferì l’autorità personale e
tradizionale di un assolutismo illuminato.
La costituzione varata nel 1799 istituì il suffragio universale, ma ne limitò la portata, e il potere
esecutivo era affidato a tre consoli, il primo dei quali aveva il potere di emanare leggi. In breve
tempo Napoleone, primo console, erose gli altri poteri e riuscì ad ottenere la carica a vita in seguito
ad un plebiscito nel 1802. Nel 1804 venne poi nominato imperatore. In questo periodo:
- 1800 istituì la banca di Francia e risanò il sistema monetario;
- 1801 firmò il Concordato con papa Pio VII, che riconosceva la religione cattolica come
quella della maggioranza dei cittadini e ne ribadiva la dipendenza dallo stato;
- 1802 venne istituita la Legione d’onore, un ordine di merito tramite cui Napoleone legò a sé
la nuova oligarchia militare e civile opposta al Senato;
- Venne riformato il sistema scolastico con l’istituzione del liceo;
- 1800 una legge pose i dipartimenti sotto la direzione di funzionari alle dipendenze del
ministero dell’interno. I sindaci erano eletti dal governo.
- 1804 il Codice Civile in cui furono ribaditi:
o Uguaglianza dei cittadini difronte la legge;
o Libertà individuale;
o Abolizione della feudalità;
o Affrancamento della terra da ogni vincolo extraeconomico;
o Univa un’impostazione anti vincolistica in alcuni campi privati;
o Il matrimonio divenne praticamente un contratto privato risolubile e venne introdotto
il divorzio;
o La libera circolazione dei beni venne favorita dalla revoca dei privilegi per il
primogenito;
o Il conteggio regolare della popolazione fu avocato allo Stato con l’impianto degli
uffici di stato civile;
o Il monopolio delle corporazioni fu sostituito dalla libertà di impresa e di lavoro.
o Sulla carta: pubblicità dei processi, tolleranza religiosa, abolizione della schiavitù.
Le nuove annessioni del Piemonte, di Parma e dell’isola d’Elba peggiorarono i rapporti franco
britannici, arrivando all’aperta ostilità nel 1803. Appena dopo essere stato incoronato imperatore nel
1804 riprese l’idea di conquista della Gran Bretagna. Si alleò con la Spagna nello stesso anno ma, la
debolezza della flotta francese, spinsero il console ad abbandonare i propri piani. Nel 1805, davanti
allo stretto di Gibilterra, avvenne la Battaglia di Trafalgar che segnò una disastrosa sconfitta delle
marine francese e spagnola. L’ammiraglio Nelson, comandante della flotta inglese, vinse.
Consapevole della propria debolezza in mare, Napoleone concentrò la sua attenzione sull’Austria.
Contando sull’alleanza di Baviera, Wurttemberg, Baden, Assia e Nassau, le truppe francesi
marciarono verso il Reno. La nomina a re d’Italia nel 1805 inasprì ancor di più i rapporti con
l’Austria. A questo seguì una coalizione fra Inghilterra, Russia, Austria e Svezia a cui l’armata
francese rispose con un’efficienza senza eguali: nel settembre 1805 varcarono il Reno, a metà
ottobre accerchiarono le armate austriache e infine occuparono Vienna senza incontrare resistenza.
L'esercito russo accorse in aiuto degli austriaci ma nel dicembre vennero sconfitti ad Austerlitz in
Moravia. L'Austria riconosceva così Il Regno d'Italia e cedeva il Veneto a Napoleone. A capo dei
nuovi regni mise membri della sua famiglia.
Nel 1806 nacque la Confederazione del Reno, formata da principi tedeschi che si ponevano sotto la
protezione di Napoleone. L'imperatore Francesco II non poté far altro che dichiarare dissolto il
vecchio impero e assunse il titolo di Francesco I d'Austria.
La nascita della confederazione entrava in conflitto con gli interessi prussiani. Federico Guglielmo
III di Prussia inviò così un ultimatum ai francesi, intimando loro di ritirarsi al di là del Reno.
Napoleone peró sconfisse nel 1806 a Jena e ad Auerstadt.
I francesi occuparono Berlino e nello stesso periodo si decise per il blocco continentale dei traffici
con la Gran Bretagna.
La Russia, dopo che molti polacchi si arruolarono con i francesi, iniziò a sentirsi minacciata. Si optò
per il Trattato di Tilsit nel 1807 in cui i due imperatori riconobbero le rispettive aree di influenza al
di qua e al di là dei fiumi Niemen e Bug. Con questo trattato l'Austria e la Russia aderirono al
blocco continentale. Alla fine il blocco non riuscì a piegare la Gran Bretagna e anzi si rivelò
un'arma a doppio taglio, causando un grave malcontento tra gli imprenditori europei. Quando nel
1811 si arrivò a una seria crisi economica internazionale il malcontento portò a rendersi conto che le
promesse nazionaliste di Napoleone non furono mai soddisfatte
La Repubblica Italiana divenne un regno nel 1805;
Il Piemonte la Toscana lo Stato Pontificio Parma e Piacenza vennero incorporati nell' Impero
francese;
Lucca e Napoli vennero assegnati ai suoi familiari.
La promessa rivoluzionaria venne quindi sostituita dall'interesse della conservazione del potere
francese.
Nell'Italia centro-settentrionale l'impero attuò una rivoluzione fondiaria, confiscando e mettendo in
vendita parti del patrimonio terriero della Chiesa. Questo favorì l'ascesa di un nuovo ceto borghese
legato al potere francese. La Polonia ebbe per la prima volta un governo forte anche se rimasero
intatte le consuetudini pre-rivoluzionarie. Nel Regno di Napoli la legge di eversione della feudalità
(1806) cancellò il feudalesimo ma la grande proprietà nobiliare si rafforzò acquisendo gran parte
delle terre messe in vendita. Inoltre i diritti, i redditi e privilegi aristocratici vennero mantenuti.
Nel 1807 Napoleone inviò un corpo di spedizione per conquistare il Portogallo, ma il transito
dell'esercito in Spagna aprì una crisi nella corte di Madrid, già divisa dalla rivalità tra il pretendente
al trono Ferdinando e il ministro Godoy. A quest'ultimo Napoleone promise metà del Portogallo ma
la politica filofrancese provocò una ribellione nel 1808. Godoy venne quindi arrestato ma sul trono
spagnolo non salì Ferdinando, bensì il fratello di Napoleone, Giuseppe.
Gli spagnoli però si ribellarono e attaccarono più volte le guarnigioni francesi. Chiesero aiuto alla
Gran Bretagna ma vennero sconfitti da Napoleone, alleato con i russi. Nonostante l'apparente
vittoria, i ribelli mantennero una testa di ponte a Lisbona da dove continuarono a tenere sotto
pressione il contingente francese.
Il mito del condottiero imbattibile si era incrinato. Nel 1809 l'arciduca Carlo d'Austria invase la
Baviera, venendo però sconfitto. Ne seguì la pace di Schonbrunn nel 1809, che impose all'Austria la
cessione dell'Istria, di Salisburgo, della Galizia e l'adesione al blocco continentale. I russi,
sentendosi minacciati, riaprirono i porti alle navi neutrali, molte delle quali commerciavano con la
Gran Bretagna. Napoleone rispose inviando in Russia, nel 1812, un enorme corpo di spedizione. I
russi però non accettarono lo scontro campale e si ritirarono, lasciando al nemico solo terra bruciata.
A settembre Napoleone entrò a Mosca, ma alla testa di un esercito ridotto a un sesto delle sue forze
originarie, mentre i russi non mutarono la loro strategia, incendiando la città e respingendo le
offerte di negoziato. Con l'arrivo dell'inverno Napoleone fu costretto ad una ritirata.
Questa sconfitta porto la Prussia ad allearsi con la Russia, l'Austria e la Gran Bretagna in una
coalizione antifrancese. Nel 1813 scoppiò quindi la guerra. Nonostante la vittoria Dresda Napoleone
soffrì per la grave sconfitta subita a Lipsia. Intanto i rivoltosi spagnoli iniziarono a penetrare in
territorio francese. Gli eserciti alleati batterono a più riprese Napoleone sul campo e a marzo
entrarono a Parigi. Il Senato dichiarò deposto l'imperatore, che abdicò, e si vide assegnare il
Principato dell'isola d'Elba.
Grazie al ministro Talleyrand la Francia poté riprendere il suo posto nelle grandi potenze europee,
che nel settembre 1814 si riunirono a congresso a Vienna. L'unica strada possibile fu quella della
restaurazione.
Nel marzo 1815 però Bonaparte fuggì Dall'Elba. Costrinse il Re Luigi XVIII alla fuga e instaurando
di nuovo il suo potere. La reazione degli alleati fu immediata: venne definitivamente sconfitto a
Waterloo. A novembre un nuovo trattato impose condizioni più severe alla Francia, privandola della
Saar e della Savoia, sottoponendola ad un regime temporaneo di occupazione militare e
obbligandola a pagare una forte indennità di guerra. Napoleone fu esiliato nell'isola atlantica di sant'
Elena, dove morì il 5 maggio 1821.
Il nuovo assetto dell'Europa deciso dal Congresso di Vienna rispecchiò gli interessi della Gran
Bretagna e della Russia. I protagonisti furono l'inglese Castelreagh, lo zar Alessandro I, il
cancelliere austriaco Metternich e il francese Talleyrand. Il principio di legittimità fu subordinato al
principio dell'equilibrio, con l'obiettivo di ricostituire un sistema internazionale bilanciato che
evitasse il predominio di una singola potenza.
Per compensare l'espansione russa l'Austria ottenne la Dalmazia, il Veneto e la Lombardia,
mentre alla Prussia andò la Renania;
La Norvegia venne incorporata dalla Svezia;
L'Olanda e il Belgio vennero unificati nei Paesi Bassi;
La Liguria venne annessa al Piemonte;
La Gran Bretagna mantenne le colonie conquistate durante le guerre francesi e si riservò
alcuni presidi strategici sul mare;
Russia, Austria e Prussia costituirono la Santa Alleanza, che divenne poi Quadruplice
Alleanza quando si unì l'Inghilterra;
Non fu un totale ritorno ad un sistema assolutistico. I nuovi assetti borghesi richiedevano una
modernizzazione più decisa.
In Francia Luigi XVIII nel 1814 concesse una Costituzione e tentò di governare contenendo le
tendenze più reazionarie e cercando di riconciliare il paese. In seguito all'assassinio del duca Carlo
Ferdinando di Berry Luigi e l'ascesa al trono di Carlo X, le opposizioni liberali si fecero sempre più
forti.
In Spagna la costituzione del 1812 fu abrogata da Ferdinando VII. Svezia, Paesi Bassi e Polonia
mantennero invece un assetto costituzionale. In Prussia invece si instaurò un regime assolutista.
L'impero degli Asburgo fu dominato da un duro regime poliziesco e da un rigido centralismo
burocratico messi in atto da Metternich. Particolarmente accentuata fu l'egemonia dell'Austria nella
penisola italiana. Nel Lombardo-Veneto gli austriaci conservarono buona parte della legislazione
napoleonica e dettero impulso all’efficienza dell'amministrazione statale e all'istruzione pubblica. In
Toscana Ferdinando III di Lorena ripristinò l'avanzata legislazione introdotta dal padre. Nello Stato
Pontificio e nel regno di Ferdinando I di Borbone, rinominato delle Due Sicilie, divenne sempre più
stretto il legame con la politica imperiale. Nel Regno di Sardegna Vittorio Emanuele I adottò una
linea restauratrice.
Nella penisola balcanica la decadenza dell'impero Ottomano aprì la cosiddetta questione d'Oriente.
Tutte le potenze avevano degli interessi in quelle zone.
Nazioni e democrazia
La decolonizzazione dell’America Latina
La popolazione in questi territori era mista: bianchi nativi (detti creoli), indios, schiavi neri, mulatti
e meticci. Tutti erano stanchi della politica coloniale della madrepatria e, mossi dalle idee
illuministiche, iniziarono una serie di azioni mirate all’indipendenza fra il 1811-13 in:
- Venezuela guidati da Francisco de Miranda e Simon Bolivar;
- Argentina guidati da José de San Martin;
- Cile guidati da Bernard O’Higgins.
Nel giro di pochi anni conquistarono, sostenuti dalla Gran Bretagna:
- 1816 Argentina;
- 1818 Cile;
- 1819 Ecuador e Colombia che formarono lo stato della Grande Colombia; nel 1830 si
separarono.
- 1824 Perù. La regione meridionale prese il nome di Bolivia, in onere di Bolivar, ma fallì il
tentativo di creare un altro organismo come quello statunitense.
- 1822 Brasile. Il re Portoghese Giovanni IV vi si recò dopo la conquista di Napoleone di
Lisbona nel 1815. Quando ritornò in patria lasciò il regno al figlio, che proclamò
l’indipendenza e assunse il nome di Pietro I.
- 1821 Messico. Nata come insurrezione popolare, finì con l’instaurazione di un governo
federale nel 1824.
- 1828 Uruguay.
- 1839 dalle Province Unite dell’America centrale nacquero Guatemala, Salvador, Honduras,
Nicaragua e Costarica.
I motivi per cui nell’America latina non si poté ripetere l’esperienza statunitense furono:
- Ampiezza e eterogeneità del continente;
- Esiguità dei gruppi sociali che promossero l’iniziativa;
- Complessità stratificazioni etniche e sociali.
I nuovi stati nacquero però già deboli e lasciarono spazio all’instaurazione di diverse dittature
personali, come quella di Juan Manuel de Rosas in Argentina.
I moti degli anni venti
Dall'America Latina i moti rivoluzionari arrivarono in Europa. Nel 1820 scoccò una rivolta a
Cadice, dove una guarnigione spagnola stava partendo per andare a reprimere i moti coloniali. In
tutta Europa la rivolta assunse tratti politici: il nemico comune erano i sovrani assolutisti.
La prima forma di opposizione era costituita da delle società segrete, spesso derivate dalla
massoneria, come ad esempio la Carboneria.
In Spagna Ferdinando VII fu costretto a ripristinare la costituzione del 1812. Una spedizione
francese nel 1823 interruppe le riforme avviate dai liberali in Spagna con la confisca dei beni
ecclesiastici.
A Napoli si ottennero risultati analoghi, come in Portogallo. La situazione venne però risolta nel
1821 quando le truppe austriache riportarono i Borbone sul trono.
In Piemonte i rivoltosi furono guidati da Santorre di Santarosa che prese contatti anche con Carlo
Alberto. Rivendicarono la costituzione spagnola e spinsero il re Vittorio Emanuele I ad abdicare in
favore del fratello Carlo Felice. Inizialmente Carlo Alberto giurò sulla costituzione ma al ritorno di
Carlo Felice la ritirò. Alla fine una coalizione di truppe sabaude e asburgiche sbaragliò i
rivoluzionari vicino a Novara.
Tutte queste insurrezioni fallirono perché per lo più rappresentate da ceti sociali agiati con scarsa
partecipazione del popolo. I pochi successi ottenuti furono a causa della fragilità dell'assolutismo.
L'unica rivoluzione che ottenne risultati duraturi fu quella greca nel 1822 che si concluse con la
proclamazione dell'Indipendenza. questo avvenne grazie all'appoggio del clero ortodosso che le
procurò un larghissimo seguito popolare. La resistenza contro la Turchia fu sostenuta da un forte
movimento filo ellenico nell'opinione pubblica Europea e divenne la bandiera dei liberali e dei
nazionalisti di tutti i paesi. Molti quindi accorsero a combattere con gli insorti.
A favore dei greci giocò inoltre una propizia congiuntura diplomatica: la Russia gli era ben disposta
poiché condividevano la fede ortodossa e la sua indipendenza agevolava i disegni espansionistici
nei Balcani e verso il Mediterraneo. Anche l'Inghilterra e la Francia sposarono la causa greca ma per
limitare l'influenza russa. L'intervento delle tre potenze nel 1827 distrusse la flotta turco egiziana e
nel 1829 la pace di Adrianopoli impose al sultano l'autonomia della Grecia e assegnò alla Russia
ampi territori nel Caucaso. La Gran Bretagna si garantì una solida influenza sul nuovo Regno,
ufficialmente riconosciuto nel 1830.
Anche in Africa e in Asia si svilupparono analoghi processi. La dinastia Qing che regnava nell'
impero cinese favorì la riscoperta del confucianesimo e del culto degli antenati e delle tradizioni.
Calcutta chiedeva più libertà contro la compagnia delle Indie appoggiando a più riprese
l'indipendenza spagnola, italiana e irlandese.
In Egitto l'introduzione di nuove colture e la costruzione di una rete di irrigazione migliorò
l'economia del paese. Si diffuse inoltre il fondamentalismo musulmano in opposizione al diffondersi
della cultura occidentale.
Per quanto riguarda le regioni più interne dell'Africa, esistevano importanti regni dotati di sistemi
fiscali e giudiziari e suddivisi in province sottoposte a un governo centrale. Tutti questi paesi
commerciavano con l'Europa, cercando però di respingere la penetrazione occidentale.
Le rivoluzioni fra il 1830-31
Fra il 1830 e il 1831 una nuova ondata rivoluzionaria scosse l’Europa. Tutto partì dalla Francia
quando nel luglio 1830 Carlo X tentò una sorta di colpo di stato: sciolse il Parlamento e ne ridusse
in potere. Il popolo reagì e, dopo le tre gloriose giornate di combattimenti sulle barricate, costrinse
il re ad abdicare. La corona venne offerta a Luigi Filippo D’Orleans che fin da subito adottò una
politica liberale.
Nell’agosto 1830 il Belgio rivendicò la propria autonomia e si separò dall’Olanda. In quegli stessi
anni anche la Polonia tentò la strada rivoluzionaria ma venne contrastata dalla potenza russa. In
Italia si tentarono diverse strade ma fallirono tutte a causa della dura repressione. In Spagna nel
1833 scoppiò un conflitto dinastico provocato dal fratello del re, che alla morte di Ferdinando VII
contestò la successione della giovanissima figlia. Alla fine lo scontro si sovrappose a quello fra
reazionari e liberali. La guerra si concluse nel 1839 con la vittoria dei liberali, appoggiati dagli
inglesi. Questo scontro non portò ad una stabilità in Spagna.
La vittoria dei moti in Francia e in Belgio segnò una frattura fra le più avanzate nazioni occidentali
e i paesi centro orientali del continente.
Liberalismo e costituzionalismo: Inghilterra e Francia
Nella prima metà del secolo la Gran Bretagna conobbe uno sviluppo vertiginoso anche grazie alla
conquista dell’India e del Medio Oriente: l’impero ottomano egiziano non riuscì a respingerne
l’attacco, venendo chiuso nella sola Siria. Nel 1839 Russia e Gran Bretagna appoggiarono la
Turchia in una guerra con l’Egitto, che dovette abbondonare la Siria. Con la convenzione di Londra
del 1841 la Russia rinunciò ai vantaggi acquisiti, la Francia rimase isolata mentre l’Inghilterra
estese la sua sfera di influenza nel Medio Oriente, includendo l’Egitto. Su questo sfondo i
mutamenti prodotti dalla rivoluzione industriale fecero di questo periodo un momento di grande
tensione della storia britannica. La misera condizione dei lavoratori era stata alleviata nel 1795 con
un decreto che garantiva un minimo salariale, integrando le retribuzioni con sussidi parrocchiali.
Questo sistema era però favorevole solo agli imprenditori. Il malcontento crebbe e si espresse nel
1811-1813 in un movimento per la distruzione delle macchine chiamato luddismo, dal nome di Ned
Ludd. Il disagio sociale accrebbe nel 1815 con una serie di misure protezionistiche, come le Corn
Laws. In più nel 1817 vennero sospesi diritti individuali garantiti dall’Habeas Corpus e nel 1819
avvenne la repressione di Peterloo, in cui la cavalleria disperse un comizio radicale provocando 11
morti. Questo provocò numerosi scontri tra gli stessi tories, portando al potere i whig. Nel 1830
dovettero fare i conti con delle insurrezioni, rispondendo con il Reform Act del 1832, in cui il diritto
di voto veniva allargato e fu estesa la rappresentanza delle grandi città industriale. Inoltre i dazi sul
grano vennero ridotti e nel 1833 fu abolita la schiavitù nelle colonie. Nello stesso anno venne
approvato il Factory Act, una legge che limitava l’orario di lavoro dei fanciulli a 12 ore al giorno.
Con la New Poor Law la gestione dei sussidi di povertà passò dalle parrocchie allo stato ma la loro
erogazione su subordinata alle work houses, luoghi di reclusione dove i poveri lavoravano in
condizioni particolarmente dure. Nacquero i primi sindacati.
Nel 1837 in Inghilterra prese corpo il primo grande movimento di massa a base operaio che
individuò in avanzate riforme politiche il presupposto di una legislazione sociale: il cartismo.
Questo programma democratico perorava il suffragio universale maschile, la segretezza del voto,
un’equilibrata rappresentanza dei diversi collegi elettorali, la riduzione ad un anno delle legislazioni
parlamentari e uno stipendio ai parlamentari.
Il regime liberale francese si mostrò poco propenso alle riforme invece, confermando un carattere
moderato. Dovettero far fronte a violenti moti popolari contro la monarchia, che si verificano a
Parigi nel 1832 o a Lione nel 1831 e nel 1834, tutti soppressi duramente. Fra il 1840 e il 1848 la
Francia completò l’occupazione dell’Algeria ed estese la sua presenza in Africa al Senegal e alla
Guinea.
L’Italia del Risorgimento
Con il termine Risorgimento si fa riferimento al periodo tra la fine del ‘700 e l’unità d’Italia. In
seguito all’insuccesso dei moti del 1821 e del 1831 si diffuse una volontà di rinnovamento, guidata
da Giuseppe Mazzini. I suoi obiettivi erano l’unità e l’indipendenza nazionale da realizzare
attraverso la mobilitazione rivoluzionaria del popolo per instaurare una Repubblica democratica.
Fondò la Giovine Italia, una nuova organizzazione, che venne tuttavia repressa e alla fine venne
sciolta. Nel 1834 fondò un’organizzazione internazionale, la Giovine Europa, che si diffuse in
Polonia, in Germania e in Svizzera.
L’indipendenza italiana viene sostenuta dal liberalismo moderato, che vedeva la casa Savoia come
nuovo centro per il paese, e dalla cultura cattolica che formò una corrente chiamata neoguelfa,
perché assegnava al papato un ruolo centrale nella storia e nelle prospettive di sviluppo del paese.
Altri, come Giuseppe Ferrari, sostennero una rivoluzione che non scaturisse dalla cospirazione di
pochi, ma da un movimento di massa. Carlo Cattaneo invece affermò il ruolo decisivo della cultura
tecnica e scientifica nello sviluppo economico e aspirava a una Repubblica a suffragio universale
con struttura federale.
L’apertura di una fase riformatrice iniziò nel 1446 proprio dallo Stato della chiesa con l’elezione di
Pio IX, che concesse un’amnistia per i reati politici e una parziale libertà di stampa, istituendo un
Consiglio dei ministri, una guardia civica e una consulta aperta ai laici.
Nel regno delle Due Sicilie lo scontento per il rigido assolutismo esplose nel 1847 in
un’insurrezione a Messina e a Reggio Calabria che fu duramente soffocata.
La svolta di metà secolo
Le rivoluzioni dell’Asia e dell’Africa
La causa dell’indipendenza nazionale di paesi come l’Italia o la Germania non poté più essere
considerata come l’utopia di pochi idealisti e divenne concretamente possibile: il popolo si stava
affacciando alla ribalta della storia.
In questi anni la Compagnia delle Indie sviluppò la produzione di oppio, alimentandone il
contrabbando verso la Cina. Sfruttando il porto di Canton, riuscirono a diffonderlo facilmente. Al
drastico intervento delle autorità cinesi, la Gran Bretagna reagì con la prima guerra dell’oppio tra il
1839 e 1842, costringendo la Cina a cederle Hong Kong e ad aprire i suoi porti al commercio
europeo col trattato di Nanchino 1842. La seconda guerra dell’oppio, combattuta tra il 1856 il 1860
con l’appoggio della Francia, ne legalizza commercio. Questa situazione si espresse nel 1851
quando Hong Xiuquan radunò un esercito unito nella fede con l’obiettivo di abbattere la dinastia
Qing e distribuire la terra ai contadini. La presenza di temi religiosi faceva della politica un luogo di
confronto tra etiche antagonistiche. Dopo aver conquistato Nanchino, nel 1864 vennero sconfitti.
È significativa la divergenza che si Apri tra Cina e Giappone. Quest’ultimo nel 1853 aprì i suoi
porti, A differenza della Cina qui l’imperatore aveva un potere puramente simbolico. Il vero potere
era detenuto dagli shogun e in particolare, dal 1603, dalla famiglia Tokugawa. La penetrazione
occidentale dette vita a una sorta di rivoluzione dall’alto, in cui il potere imperiale venne restaurato
e si avviò una radicale azione riformatrice. Gli antichi domini feudali vennero sostituiti da una
moderna amministrazione centralizzata, i privilegi vennero aboliti, si riforma il sistema monetario,
bancario e tributario, fu istituita la libera proprietà della terra, l’esercito venne ristrutturato e fu
creata una scuola aperta a tutti i ceti sociali e obbligatoria. Inoltre si avviò un intenso programma di
industrializzazione.
Nel 1857 il peso del fattore religioso scosse dalle fondamenta il dominio britannico sull’India. Le
truppe indigene si ribellarono e marciarono alla volta della capitale, Delhi, per chiedere al gran
moghul di mettersi alla loro testa: assunse così un chiaro scopo indipendentista. L’India però fu
annessa direttamente all’impero britannico: da un colonialismo informale sì passo alla dominazione
diretta.
Anche l’impero ottomano si avviò per un processo di modernizzazione: Nel 1839 si dette avvio un
ampio ciclo di riforme allo scopo di riformare il concetto di cittadinanza in un senso simile a quello
introdotto dalla rivoluzione francese. Venne abolita la schiavitù, fu introdotta la parità delle
confessioni religiosi, si instituì un tribunale misto e vennero create scuole pubbliche di Stato.
La rivoluzione europea
Il Quarantotto, così venne chiamato l’anno delle grandi rivoluzioni, ebbe forti caratteri unitari: gli
obiettivi politici comuni, il ruolo di spicco degli operai e dei lavoratori poveri delle città, il carattere
sociale delle rivendicazioni. La sua sconfitta dipese dal fatto che lo scontro non fu tanto fra
progresso e Conservazione quanto fa rivoluzione sociale e ordine. Fu la paura della democrazia a
unire conservatori e moderati contro le forze più radicali, contribuendo alla sconfitta del 1848.
Quando le forze rivoluzionarie furono domate e in Europa si aprì un decennio di aperta reazione, le
loro conquiste andarono quasi tutte perdute, eccetto una. La servitù della gleba venne
definitivamente abolita nell’impero asburgico: questo determina la fine dell’antico regime.
Ascesa e caduta della Repubblica sociale in Francia
Dopo le barricate del 1848 venne costituito un governo provvisorio che proclamò la Repubblica e il
suffragio universale maschile, riducendo inoltre la durata della giornata lavorativa a 10 ore. La
seconda Repubblica francese non seppe però costruire un legame con le zone rurali e, unendosi al
malcontento delle forze operaie, dal 23 al 26 giugno 1848 migliaia di rivoluzionari si batterono
contro le truppe. La loro sconfitta segnò il corso della rivoluzione europea e mutò il volto della
seconda Repubblica francese. Nella sua costituzione mantenne il suffragio universale, adottò un
sistema monocamerale e presidenziale ma non trovarono spazio i diritti sociali.
Nelle lezioni di dicembre, Luigi Napoleone venne eletto presidente della Repubblica e l’assemblea
legislativa raggruppava un blocco composito di conservatori. Per contrastare l’influenza molto
consistente dei radicali e dei socialisti venne adottatata una severa politica di repressione. Nel
giugno 1849 vennero sospese le libertà di associazione e di sciopero e nel maggio 1850 venne
introdotto il suffragio per censo.
La questione nazionale in Germania e l’impero asburgico
Il 10 Marzo 1841 la Germania insorse a Berlino e impose al re di Prussia Federico Guglielmo IV
un’assemblea costituente a suffragio universale. Si pose quindi il problema se includere o meno nei
confini della Confederazione di stati germanici l’impero austriaco. Nel maggio l’assemblea di
Francoforte offrì infine la corona imperiale a Federico Guglielmo IV, che rifiuto, mettendo in luce
quanto l’assemblea fosse fragile. Venne sciolta poco dopo. Il 13 Marzo la rivoluzione divampò
anche a Vienna e il 15 giunse a Budapest, poi Venezia e Milano. Ogni forma di ribellione venne
soppressa nel sangue.
Rivoluzione e guerra nazionale in Italia
Dopo la fallita insurrezione di Messina e Reggio Calabria del 1847, le tensioni tornarono a
scaricarsi nel gennaio 1848 a Palermo. La rivolta mobilitò gli strati poveri della popolazione e
costrinse Ferdinando II a concedere una costituzione su modello francese nel 1830. Gli insorti però
rigettarono la nuova costituzione e proclamarono l’autonomia dell’isola, dandosi un governo
provvisorio.
Anche in Piemonte Carlo Alberto concesse una costituzione: lo Statuto Albertino. Si affermava che
il sovrano nominava ministri, giudici e i membri del Senato, mentre la Camera dei deputati era
eletta con suffragio ristretto a base censitaria. Il cattolicesimo era definito la sola religione dello
stato.
Il 17-18 Marzo anche Venezia e Milano si ribellarono agli austriaci. A Venezia il 22 fu proclamata la
Repubblica e nello stesso giorno i milanesi ingaggiarono le “cinque giornate”, che si conclusero con
la loro vittoria.
Fu a questo punto che Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria. Dopo le prime vittoria dell’esercito
sabaudo, lo smorzarsi dell’onda rivoluzionaria e la condotta esitante di Carlo Alberto permisero
all’Austria di riorganizzarsi e recuperare tutto il Veneto. La controffensiva austriaca culminò con la
riconquista di Milano. Carlo Alberto, poco dopo, dovette siglare l’armistizio di Salasco, il 9 agosto,
che ristabilì i vecchi confini.
Questa prima fase fu definita dalla tradizione patriottica “prima guerra d’indipendenza”. Gli scontri
fra ideologie diverse, fra democratici e liberali, il ritiro di Pio IX, di Leopoldo II di Toscana e
Ferdinando II ne accelerarono il processo. Alla loro defezione contribuì senza dubbio la linea
sempre più palese di espansionismo di Carlo Alberto. La sconfitta militare che però questo progetto
subì, ebbe siti diversi nel Mezzogiorno. A Napoli, Ferdinando II fece bombardare Messina e iniziò
la riconquista della Sicilia, culminata nel maggio 1849 con la presa di Palermo. Nel 1848, a
novembre, l’assassinio del giurista liberale Pellegrino Rossi, posto a capo del governo dello stato
pontificio da Pio IX, fruì all’insurrezione di Roma. Il papa fuggì e nel Febbraio 1849 un’assemblea
costituente eletta a suffragio universale decretò la fine del suo potere, istituendo la Repubblica
romana Nel luglio 1849 promulgò anche una costituzione. L’intervento austriaco e quello francese
posero fine, nel luglio 1849, a questo breve parentesi.
Anche Leopoldo II di Toscana fu costretto a scappare, poiché nella capitale Toscana si costituì un
governo repubblicano. Gli austriaci gli posero fine nel maggio 1849.
Sempre le truppe austriache posero fine alla resistenza veneziana nell’agosto 1849.
La guerra civile americana
Sebbene gli Stati Uniti sembrassero estranei ai moti del 1848, questi furono gli anni della nascita
del movimento contro la schiavitù unito a quello dell’emancipazione femminile. Nel 1857 una
sentenza della Corte Suprema stabilì un principio costituzionale secondo il quale i neri erano dei
semplici oggetti di proprietà privata. La frattura fra nordisti e sudisti divenne sempre più profonda:
nel 1860 il sud Carolina abrogò una costituzione e si ritirò dall’unione, seguito da Georgia,
Alabama, Mississippi, Florida, Louisiana e Texas, che nel 1861 dettero vita ad una Confederazione
autonoma. L’attacco dei confederati alla guarnigione federale di Fort Sumpter nel 1861 dette inizio
alla guerra civile. La Virginia l’Arkansas, il Tennessee e il Nord Carolina scelsero la
Confederazione, mentre il Delaware, il Maryland, il Missouri, il Kentucky e il West Virginia
appoggiarono l’Unione. In tutto ciò l’Europa osservò una rigorosa neutralità.
La guerra iniziò a farsi lunga e cruenta. L'Unione, capitanata da Lincoln, decise nel settembre 1862
di autorizzare per la prima volta l'arruolamento degli uomini di colore, mentre l’altro schieramento
lo mise in pratica troppo tardi, nel 1865. La fine della guerra avvenne solo nell’aprile 1865, seguita
dall’assassinio di Lincoln. Alla fine dell’anno, il 13º emendamento alla costituzione dichiarò
illegale la schiavitù.
La guerra ebbe ovviamente delle conseguenze:
- Gli Stati del Sud convertirono la produzione di cotone in quella di grano e altri generi
alimentari. La scarsità di manodopera venne compensata dall’introduzione di nuove
macchine, mentre le ferrovie si estesero a tutto il paese e divennero necessarie per gli
spostamenti, sia di merci che di persone.
- Al nord l’industria manifatturiera vide una crescita sempre più diffusa ed equilibrata, grazie
anche alle innovazioni tecnologiche che vi furono applicate.
L’economia di guerra aveva determinato una forte spinta alla concentrazione dei gruppi industriali:
la domanda dello Stato si rivolgeva sempre più spesso a società maggiori e più affidabili mentre le
aziende minori ne rimasero escluse. Nel 1863 la creazione di un nuovo sistema bancario nazionale
rappresentò un crescente intervento statale in materia fiscale.
Il conflitto però causò da entrambe le parti un’inflazione galoppante e alle grandi fortune di pochi
fecero contro la disperata miseria di molti.
L’Europa borghese e il mondo
Il grande balzo economico e l’idea di progresso
La seconda metà del ‘800 fu caratterizzata da numerose innovazioni, in tutti i campi, dalla ferrovia,
alle navi a vapore, al telegrafo. I mercati di tutto il mondo vennero unificati e ne fu espressione la
scoperta di vasti giacimenti auriferi in California nel 1848 e in Australia nel 1851, che fecero
aumentare la quantità d'oro circolante nel mondo, con quattro grandi conseguenze:
1. Una vera e propria febbre dell’oro, che alimentò grandi flussi migratori in queste zone;
2. Una contenuta inflazione che incoraggiò gli affari;
3. La sterlina inglese venne vincolata alla parità aurea, divenendo la valuta standard;
4. L’apertura di nuove importanti rotte mercantili nell’Oceano Pacifico.
Solo pochi settori acquisirono vaste dimensioni: il settore ferroviario, quello siderurgico e quello
cantieristico. Siccome esigevano cospicui investimenti di capitali, venne favorito lo sviluppo di
strutture per il loro finanziamento, come delle banche miste, dedicate non solo al deposito dei
risparmi ma anche ai finanziamenti a lungo termine.
Grazie all’introduzione del convertitore e di un forno capace di raggiungere temperature molto
elevate risparmiando combustibile, si aprì la strada alla produzione di massa dell’acciaio.
La necessità di misurarsi con la supremazia britannica indusse molti stati europei a sostenere una
vera e propria modernizzazione in campo economico e legislativo, incrementando l’istruzione di
massa e favorendo il libero mercato della forza lavoro. In alcuni paesi sostennero persino un
parziale riconoscimento dei sindacati e del diritto di sciopero.
L’abolizione delle corn law inglesi estese la libertà di commercio e fece di quest’epoca una vera e
propria età dell’oro del liberismo. Le aree del globo rimaste ai margini del processo di
industrializzazione vennero così invase da prodotti esportati da paesi produttori, scavando così un
fossato tra paesi ricchi e paesi poveri.
Nella sfera economica trionfò l’idea del laissez-faire, che portò ad un diffuso senso di sicurezza e di
orgoglio in tutti i ceti borghesi. Il progresso fu celebrato in periodiche esposizioni in cui si celebrava
il progresso tecnologico e scientifico, la prima delle quali si svolse a Londra nel 1851.
La sconfitta dei moti del ’48 affermò un’ideologia totalmente borghese e laica. Nel nome della
scienza si stabilì un’equazione fra progresso materiale e progresso intellettuale, mentre fu dichiarata
guerra alla tradizione, al conservatorismo e alla regione. Si diffusero così due correnti di pensiero:
- Comte e il positivismo, che affermava l’idea secondo cui la conoscenza umana era passata
attraverso uno stadio teologico, uno metafisico per approdare infine ad uno basato sul
metodo positivo, cioè sull’osservazione scientifica e sperimentale;
- Mill e l’empirismo, che affermò la validità di un solo metodo scientifico fondato
sull’induzione dalle osservazioni empiriche anziché sulla deduzione.
La fede nella scienza si fondò nelle scienze naturali, che fornirono un modello biologico di
interpretazione della storia e della società umana. In particolare Charles Darwin nel 1859 sostenne
che le specie vegetali e animali si erano evolute nel tempo attraverso un processo di selezione
naturale, per cui solo gli individui più adattabile all’ambiente sarebbero sopravvissuti. Da quest’idea
Herbert Spencer interpretò lo sviluppo della società come una graduale evoluzione da forme
primitive a forme sempre più complesse, dando vita ad un vero darwinismo sociale: da un lato
permise di vedere nello sviluppo della civiltà un segno di superiorità dell’uomo bianco, dall’altro
nutrì la speranza di una società nuova.
Rapporti e tensioni internazionale
L’incremento quantitativo del proletariato di fabbrica favorì lo sviluppo dei sindacati. Nel 1864
venne fondata a Londra un’Associazione internazionale dei lavoratori, nota come Prima
Internazionale. Nell’indirizzo inaugurale, redatto da Karl Marx, si espresse il compromesso tra le
posizioni rappresentate alla riunione.
- La delegazione inglese era favorevole allo sviluppo di un graduale riformismo sociale grazie
all’azione esclusiva dei sindacati;
- La delegazione francese era divisa tra una maggioranza proudhoniana, contraria all'azione
politica della piccola proprietà, ed una minoranza blanquista, seguace di un’idea
d’insurrezione come cospirazione senza legami quotidiani con la lotta operaia;
- Una delegazione italiana era influenzata dall’ideologia mazziniana di una rivoluzione
nazionale.
La prima internazionale fu teatro di un ampio dibattito tra socialismo scientifico di Marx,
socialismo utopistico francese e l’anarchismo russo di Bakunin.
- Marx, rifacendosi a Smith e Ricardo, sostenne la teoria del valore-lavoro, per cui il valore di
una merce deriva dalla quantità di lavoro umano che vi è racchiusa. Nel manifesto del
partito comunista scritto insieme ad Engels, aveva sostenuto un materialismo storico: la
storia umana era un incessante lotta tra classi sociali portatrici di interessi contrapposti. La
società capitalistica avrebbe quindi inevitabilmente accresciuto le disuguaglianze.
- I socialisti utopisti sostenevano invece la necessità di espandere esperimenti di autogoverno
popolare attraverso società cooperative autonome tra operai.
- Gli anarchici di Bakunin propugnavano la necessità di insurrezioni politiche per abbattere
con la violenza lo stato e sostituirlo con federazioni di comuni autonomi.
Alla fine la maggioranza dell’internazionale affermò l’uso dello sciopero e la necessità di
partecipare alla lotta politica. Dilaniata dai contrasti interni, l’associazione cessò di esistere nel
1872 con l’espulsione degli anarchici.
Inghilterra media-vittoriana
Dopo l’abolizione delle corn laws nel 1846, la ricchezza del paese crebbe grazie ad una politica
libero scambista. Per quanto riguarda la politica, si ristrutturò il sistema politico delle due forze
principali whig e tories, che si organizzarono su base nazionale e assunsero rispettivamente la
fisionomia di un partito liberale e di uno conservatore. Negli anni centrali del lungo regno della
regina Vittoria la scena politica fu dominata da tre personaggi principali:
- Palmerston, whig, che si concentrò nella politica estera seguendo due direttrici:
l’antagonismo con la Russia in Medio Oriente e il contenimento dell’ambizione imperiale
francese. Questi due fondamentali problemi vennero risolti rispettivamente dalla guerra di
Crimea e dalla nascita dell’Italia.
- Disraeli, tories, che con un secondo Reform Bill accrebbe il suffragio.
- Gladstone, whig, che nel 1870 con l’Education Act sottopose le scuole religiose al controllo
dello Stato, promuovendo l’apertura di scuole pubbliche statali. Vennero istituiti concorsi
per l’accesso agli impieghi pubblici e fu abolita la possibilità di acquistare i gradi delle
armate. Nel 1872 fu introdotta la segretezza del voto e venne riformato il diritto penale.
Inoltre venne introdotto il “sabato inglese”, cioè non lavorativo, e le Trade Unions vennero
legalizzate.
Per quanto riguarda la questione irlandese non ebbe grande successo: la carestia degli anni
‘40 aveva peggiorato drasticamente la situazione, provocando emigrazioni di massa verso
gli Stati Uniti. La frattura fra il ceto agiato anglicano e la massa popolare contadina cattolica
divenne evidente. Nacquero i primi movimenti rivoluzionari che si proponevano di
raggiungere una completa indipendenza dall’Inghilterra, anche con la lotta armata. Il primo
nacque nel 1858, la Fenian Brotherhood. Dopo che Gladstone abolì la chiesa episcopale
irlandese, dimensionando la preminenza anglicana dell’isola, e nel 1870 emanò dei
provvedimenti in favore dei piccoli contadini, nacque un movimento più moderato, nel
1868, l’Home Rule.
Nonostante tutte queste novità, che fecero dell’Inghilterra una delle prime monarchie parlamentari,
gli osservatori del tempo parlarono di old corruption a proposito del sistema costituzionale inglese:
formalmente più aperto degli altri ma nella sostanza condizionato dall’esercizio di una democrazia
deferenziale incapace di alterare davvero le gerarchie sociali.
Francia: un altro Napoleone, un nuovo impero
La svolta conservatrice realizzatasi tra il 1848 al 1850 non aveva normalizzato la situazione del
paese. Luigi Napoleone Bonaparte, dopo aver guadagnato consensi nell’opinione pubblica, il 2
dicembre 1851 effettuò un colpo di Stato, occupando militarmente la sede dell’assemblea. In
seguito ad un plebiscito ottenne amplissimi poteri come presidente. Nella 1852 emanò una nuova
costituzione che concentrava il potere esecutivo e legislativo nelle mani del presidente, lasciando
l’assemblea legislativa l’unica facoltà di accettare o respingere le leggi. Come disse Marx nel 1852,
il dittatore si presentava come il garante unico e insindacabile della volontà popolare. Alla fine del
1852 Luigi Napoleone chiamò alle urne i francesi per restaurare l’impero. Legittimato dal voto
popolare proclamò il secondo impero. A differenza del passato, però, promosse un ampio
programma di modernizzazione del paese mantenendo il suffragio universale maschile. Furono anni
di grande crescita economica, che Napoleone III sostenne ammodernando il sistema bancario. La
base industriale del paese si rafforzò, si svilupparono le vie di comunicazione e ci fu un vero boom
edilizio. La relativa pace sociale ebbe i suoi solidi pilastri nel sostegno delle masse rurali e
nell’accordo con la chiesa cattolica, grazie ad una legge del 1850 che riconosceva ai comuni ed ai
dipartimenti la facoltà di sostituire scuole laiche con quelle cattoliche.
Attuò una politica estera basata sull’affermazione della Francia nel continente europeo: partecipa
alla guerra di Crimea e a quella del 1859 contro l’Austria, al fianco del Piemonte. Pur ottenendo la
Savoia e Nizza, il conflitto non produsse il rafforzamento dell’influenza francese in Italia, ma anzi
incrinò i rapporti interni con i cattolici. Il regno d’Italia limitò con la sua stessa presenza il ruolo
della Francia in Europa e il potere temporale del Papa ne venne drasticamente ridotto. La fine
dell’alleanza con la chiesa segnò l’aprirsi di una nuova fase che ha fatto parlare gli storici di un
“impero liberale”, caratterizzato da più spazio per il parlamento e da una continua ricerca di
consensi nelle forze liberali, democratiche e operaie. Nonostante sostenne le cooperative, legalizzò
lo sciopero e ampliò la libertà di stampa, alle elezioni del 1863 e del 1869 le opposizioni si
rafforzarono. L’impero di Napoleone III entrò in crisi a causa dei contraccolpi della sua politica
estera. Nella seconda metà degli anni ’70, il suo ruolo di protettore della chiesa raffreddò i rapporti
con il nuovo stato italiano e le sue mire espansionistiche verso il Belgio, il Lussemburgo e il
Palatinato si infransero contro l’opposizione della Prussia. Quando propose per il trono spagnolo un
principe tedesco della dinastia Hohenzollerns, si aprì un grave conflitto con la Prussia, che
quest’ultima vinse nel settembre 1870 a Sedan. Questo avvenimento provocò la caduta di
Napoleone III e la proclamazione della Terza Repubblica francese.
L’impero degli Asburgo
Fino al 1859 l’impero fu retto da un duro regime accentratore e assolutista, che rispose con la
repressione a ogni aspirazione liberale e nazionale. L’Ungheria venne divisa in province, rette da
funzionari nominati da Vienna, e nel 1855 si era risaldata l’alleanza fra trono e altare, garantendo
alla chiesa cattolica l’istruzione e la censura del controllo ecclesiastico. Ciò non toglie che fu un
periodo di riforme: si rinnovarono i sistemi giudiziario e scolastico, si potenziarono le vie di
comunicazione e si ridussero le tariffe doganali. La crescita economica tuttavia non riuscì a
raggiungere un punto di non ritorno a causa di due fattori:
- Una forte dilatazione della spesa pubblica, che derivò sia degli oneri di un enorme apparato
centralistico e burocratico, sia dai costi delle guerre;
- Dalle guerre perse le ricche regioni della Lombardia del Veneto.
Vennero create delle Diete nel 1860 i cui delegati erano le componenti principali del Reichsrat, cioè
un consiglio dell’impero che doveva deliberare sulle imposte. Siccome questa politica venne
fortemente osteggiata, sin dal 1861 l’imperatore Francesco Giuseppe dovette tornare sui propri
passi.
La sconfitta subita ad opera della Prussia nel 1866 riaccese le tensioni interne: nel 1867 modificò
l’assetto dello Stato trasformandolo in una duplice monarchia. L’Ungheria divenne un regno distinto
dall’impero d’Austria, ma Francesco Giuseppe assunse entrambe le corone.
La Russia di Nicola I e la guerra di Crimea
La Russia ottocentesca era una grande potenza grazie alle sue enormi dimensioni e alla consistenza
della sua popolazione, aumentata in seguito all’annessione di Finlandia, Bessarabia, Turchia,
Georgia e Azerbaigian.
Il regno di Nicola I fu costellato da una lunga serie di guerre: in seguito ad un rinnovato scontro con
la Persia, ne tenne uno con la Turchia, che nel 1833 pose l’impero ottomano sotto la sua tutela. Nel
1864 conquistò completamente il Caucaso, che perse nel 1846-1850, avviando subito un’espansione
nell’Asia Centrale, conquistando il Turkmenistan. Negli anni ’40, sedata la rivoluzione ungherese,
la Russia prese a consolidare la sua presenza nel Pacifico. La sua espansione mise però a dura prova
le limitate capacità di ammodernamento del paese. Ad esempio, era una grande produttrice di grano
e aumentò notevolmente le proprie esportazioni in Europa, ma alla crescente domanda occidentale
non rispose un ammodernamento dell’agricoltura, bensì un’estensione delle superfici coltivate. Il
grave disagio che si creò nelle popolazioni contadine sfociò spesso in rivolte.
Di questo periodo la letteratura russa se ne fece interprete: influenzati dal romanticismo europeo, gli
scrittori russi scoprirono il mondo contadino e furono portatori di una grande presa di coscienza.
Dai ceti intellettuali si svilupparono due principali correnti di pensiero:
- Occidentalisti, che sostennero la necessità di modernizzazione fondata su modelli
occidentali ma restando diffidenti per gli effetti sociali dello sviluppo in atto negli altri paesi
europei;
- Slavofili, che vogliono riscoprire e valorizzare la tradizione nazionale.
Entrambi i gruppi erano uniti da una forte ostilità per l’autocrazia.
Nel 1853 Nicola I, con il di pretesto una controversia religiosa tra cattolici ortodossi a
Gerusalemme, occupò i principati di Moldavia e Valacchia. La guerra che ne seguì portò il suo
epicentro in Crimea e si svolse fra il 1854 e il 1856. Le potenze in gioco furono la Russia, la Gran
Bretagna, la Francia e il Piemonte. Questi ultimi tre si schierarono a favore della Turchia contro la
Russia, vincendo. La pace stipulata Parigi nel 1856 causò alla Russia delle perdite territoriali e
l’estromissione della sua flotta dal Mediterraneo. Il conflitto evidenziò fra l’altro l’inefficienza
militare e amministrativa, ridimensionando le ambizioni espansionistiche e mettendo in crisi rigido
assolutismo, aprendo una fase di forti tensioni e di riforme. Dalla pace nacque anche la Romania.
Riforme e autocrazia nella Russia di Alessandro II
La sconfitta patita in Crimea persuase il nuovo zar Alessandro II ad intraprendere una politica di
riforme:
- Nel 1861 abolì la servitù della gleba. Ai nuovi contadini andò una porzione assai rilevante
della terra, ma non quanta ne avevano coltivata in precedenza e non abbastanza per i loro
bisogni. Le terre più fertili restarono agli aristocratici e i contadini furono costretti a pagare
un oneroso riscatto rateale per avere la loro: non sorprende quindi notare quante rivolte
rurali ci furono in questo periodo. Le terre furono assegnate alle comunità di villaggio e
l’assemblea dei capi famiglia la affidò alle famiglie non stabilmente, ma a rotazione,
scoraggiando qualsiasi iniziativa di innovazione e miglioria.
- Nel 1864 istituì assemblee di comitati provinciali e distrettuali elettive, gli zemstvo, in
rappresentanza del ceto rurale e cittadino.
- Riformò il sistema giudiziario, creando delle giurie popolari e dando più autonomia ai
giudici.
- Venne introdotta la coscrizione obbligatoria per l’esercito.
- Fu rafforzata l’istruzione.
- Venne attenuata la censura, così che la stampa potesse essere più diffusa.
- Fu creata una banca di Stato.
La maggiore delusione per i limiti che comunque queste riforme avevano si manifestò tra le fila di
un nuovo gruppo sociale, l’intelligencija, rafforzato dalla parziale liberalizzazione delle scuole e
dell’università. Era formato da scrittori, insegnanti, medici, scienziati e artisti che iniziarono
sviluppare una propria coscienza. Ad acuire queste contraddizioni fu la crisi provocato nel 1863
dell’insurrezione della Polonia, che aspirava ad una completa indipendenza: la Russia rispose
attuando una repressione durissima e ogni margine di autonomia viene abolito. La politica dello zar
venne poi inasprita nel 1866, in seguito ad un attentato alla sua persona.
All’interno dell’intelligencija si svilupparono tendenze diverse:
- I panslavisti, che assegnavano alla Russia un ruolo di guida di tutti i popoli slavi.
- I nichilisti, che rifiutavano la società del tempo e i suoi valori morali contrapponendole un
esasperato individualismo.
- I populisti, che individuarono nel nucleo contadino una possibile origine di sviluppo per la
Russia, arrivando a teorizzare un vero e proprio socialismo agrario. Rinunciando ai propri
privilegi si mescolarono con il popolo, cercando di suscitare in loro una presa di coscienza:
non riuscirono però a superare l’atavico legame di fiducia con lo zar.
- Lo Zemlja i volja (Terra e libertà), che vedeva nel terrorismo il solo mezzo praticabile per
rilanciare la lotta all’autocrazia. Da qui nacquero due altri gruppi:
o Il Cernyi peredel (Ripartizione nera), che voleva una politica più graduale basata
sulla propaganda;
o La Narodnaja volja (Volontà del popolo), che ribadì la scelta della violenza.
Nel 1881, proprio quando lo zar si era risolto verso nuove aperture riformatrici, un attentato contro
la sua persona ebbe successo, uccidendolo.
La penisola iberica e l’Europa centrosettentrionale
La Spagna, benché fosse priva di tutte le sue colonie eccetto Cuba, Portorico e le Filippine, vide alla
metà del secolo l’industria tessile della Catalogna e le miniere della Biscaglia e delle Asturie
acquisire un rilievo sempre più crescente. Venne costruita un’ampia rete ferroviaria, avviando così,
anche grazie agli investimenti di ingenti capitali, un processo di industrializzazione.
Nonostante la crescita economica, lo stato visse anni di grande indebolimento del potere politico: il
crescente malcontento fece si che nel 1868 un colpo di stato, ad opera dei militari, rovesciasse la
regina Isabella II. La nuova costituzione non bastò però a dare più stabilità al paese e la deposizione
di Isabella aprì un complicato contrasto dinastico. Inizialmente la corona venne assegnata ad
Amedeo d’Aosta, figlio cadetto del re d’Italia, che però fu costretto ad abdicare nel 1873. Si tentò
così di instaurare un regime repubblicano ma nel 1874 un nuovo colpo di stato militare restaurò la
monarchia, insediando sul trono il figlio di Isabella, Alfonso XII di Borbone.
In Portogallo la guerra civile che aveva diviso il paese del 1832 al 1834 aveva posto fine all’antico
regime. Nel 1851, però, si aprì una fase di stabilità politica, grazie ai regni di Pietro V e Luigi I.
Questo però non bastò ad arrestare la decadenza del Portogallo, che aveva già fortemente risentito
della perdita del Brasile. Grazie ai legami con la Gran Bretagna e la conservazione delle colonie
dell’Angola e del Mozambico, riuscì ad uscire dall’isolamento e ad alleggerire le tensioni.
La Svizzera adottò nel 1848 una costituzione federalista che preluse ad un graduale sviluppo
democratico, grazie anche all’adozione del suffragio universale maschile e nel 1874 di un istituto di
democrazia diretta come il referendum.
Il Belgio continuava ad avere forti divisioni interne, sia un campo politico, che religioso, che etnico,
che linguistico, le quali però non misere mai in discussione l’assetto costituzionale del paese.
In Olanda le istituzioni conobbero un processo di liberalizzazione e si avviò uno sviluppo dei
commerci e dei trasporti che preluse una modernizzazione dell’agricoltura.
In Danimarca vennero create due camere, che però si videro spesso in contrasto fra loro: la Camera
bassa rivendicava il proprio ruolo di Parlamento, mentre la Camera alta sostenne i metodi di
governo extra parlamentari del sovrano. Una politica liberistica favorì il progresso agricolo e la
crescita economica del paese.
Io Svezia nel 1865 la rappresentanza per ceto venne sostituita da un Parlamento, eletto su basi
censitaria, e si avviò un processo di modernizzazione dell’agricoltura.
In Norvegia, annessa alla Svezia dal 1815, si verificò una rapida industrializzazione e un forte
sviluppo commerciale.
L’unificazione italiana e l’Europa
Le diverse “Italie” ottocentesche
Il periodo tra 1849 e 1859 in Italia è chiamato “decennio di preparazione”. I territori sotto il
controllo dell’Austria avevano revocato la costituzione e restaurato un sistema assolutistico, come
era successo nel Regno delle Due Sicilie con Ferdinando II, nei regimi dello Stato pontificio e nei
ducati di Modena e Parma.
La relativa arretratezza e le diversità regionali avevano un comune riscontro nella situazione
economica e sociale della penisola. Gran parte della terra era in mano a un ristretto numero di
proprietari e solo in alcune zone della valle Padana si sviluppò una agricoltura mista, che integrava
le colture cerealicole con l’allevamento del bestiame, e si fondava sui rapporti di produzione
capitalistici. In Emilia Romagna, in Toscana, in Umbria e nelle Marche dominava ancora la
mezzadria. I grandi latifondi erano suddivisi in piccoli poderi, ciascuno dei quali era coltivato da
una famiglia dei mezzadri legati ai loro padroni dei rapporti quasi servili. Nel Mezzogiorno
dominava un sistema semi feudale. Tutte queste realtà condividevano una produzione orientata
all’autoconsumo e un commercio più intenso con gli altri stati che con quelli italiani.
All’arretratezza faceva riscontro un precoce sviluppo delle strutture commerciali e finanziarie: le
banche e istituti di credito erano molto diffusi e sviluppati.
Economia, politica e diplomazia nel progetto di Cavour
In Piemonte il nuovo re Vittorio Emanuele II non abrogò lo Statuto Albertino che prevedeva un
Senato di nomina regia e una Camera dei deputati a suffragio ristretto. Il re, con il cosiddetto
proclama di Moncalieri, intervenne pesantemente nella campagna elettorale, invitando gli elettori a
scegliere parlamentari favorevoli al trattato di pace con l’Austria, facendo diminuire drasticamente
l’appoggio ai democratici e favorendo quello dei moderati.
Furono anche anni di grandi innovazioni in campo politico come ad esempio l’affermazione di una
prassi parlamentare. L’artefice di tutto ciò fu Camillo Benso, Conte di Cavour, fautore di un
liberalismo di respiro europeo che accelerasse il progresso economico, civile e politico del paese.
Nel 1852 si alleò con il gruppo democratico-costituzionale, avendo così un ampio appoggio che lo
portò alla guida del governo, sostituendo D’Azeglio. Attuò diverse riforme:
- Impresse una svolta libero scambista alla politica economica piemontese;
- Ammodernò il sistema creditizio centrato sulla banca nazionale;
- Detta impulso all’istruzione pubblica;
- Riforma l’amministrazione dello Stato;
- Favorire la costruzione di canali e di ferrovie;
- Sostenne il rinnovamento dell’agricoltura e la crescita dell’industria meccanica e
siderurgica;
- Dette un nuovo volto alla burocrazia, alla magistratura, alla diplomazia e all’esercito.
Il conflitto in Crimea gli permise di portare la questione italiana al congresso di pace di Parigi del
1856m ponendo così le premesse per inserirla nella complessa trama dei rapporti fra le grandi
potenze. A Plombières, nel 1858, si incontrò con Napoleone III, arrivando ad un accordo che
prevedeva una guerra dei due paesi contro l’Austria, con l’obiettivo di dividere la penisola in 3
regni:
- L’alta Italia, compresi i ducati e le legazioni pontificie, sarebbero andate al Piemonte;
- La Toscana e il resto dello Stato della Chiesa avrebbero costituito un regno dell’Italia
centrale, eccetto che per il territorio intorno a Roma che sarebbe stato lasciato al papa;
- Il sud sarebbe rimasto regno delle Due Sicilie.
Il declino dei democratici
I moderati si erano raccolti intorno a Cavour mentre i democratici avevano visto scemare il loro
prestigio a causa delle divisioni interne. Con il fallimento della rivoluzione europea erano venuti
meno i due capisaldi del movimento, cioè gli orizzonti internazionali e la solidarietà nazionale tra
ceti borghesi e popolari. Al suo interno troviamo figure di spicco, come Mazzini con la sua idea di
movimento per l’indipendenza e dell’unità nazionale anti socialista, e Proudhon, che avviò una
riflessione sul rapporto fra democrazia e socialismo e sul ruolo delle masse popolari nella
rivoluzione nazionale. Altri personaggi famosi sono Ferrari, convinto che la questione sociale
riguardasse il mondo rurale e voleva una legge agraria per ridistribuire la proprietà, e Pisacane che
voleva abolire la proprietà privata della terra e dei capitali, e pensando inoltre che una rivoluzione
nazionale dovesse nascere da una rivoluzione nel Mezzogiorno. I continui fallimenti spinsero molti
democratici ad avvicinarsi al Piemonte, come dimostra la Società nazionale italiana, fondata nel
1856 con l’intento di operare in stretta collaborazione con la monarchia sabauda. Diversi tentativi
insurrezionali furono messi in atto nel Mezzogiorno, ma fallirono poiché i contadini continuarono a
unirsi alle truppe di Ferdinando II.
La guerra del 1859 e le annessioni
Il trattato di Plombières Prevedeva l’intervento francese solo in seguito ad un gesto aggressivo da
parte dell’Austria. Questo avvenne in Aprile, quando l’Austria fece un ultimatum ingiungendo al
Piemonte di ritirare le proprie truppe. Scoppiò così la guerra, che vide i primi successi franco-
piemontese in particolare nella battaglia di Solferino e in quella di San Martino.
La Toscana e i ducati di Modena e Parma si erano intanto sollevati, così come in molte Legazioni
pontificie, dove sorsero numerosi governi provvisori che proclamarono la loro volontà di
annessione il regno sabaudo. In Umbria e nelle Marche la rivolta fu repressa dalle truppe papali.
Napoleone III capì che non avrebbe ottenuto una forte influenza sul nuovo regno, quindi nel luglio
1859 propose all’Austria un armistizio. L’Austria avrebbe ceduto al Piemonte la Lombardia, il
granduca di Toscana e il duca di Modena sarebbero ritornati al proprio posto e gli stati italiani si
sarebbero riuniti in una Confederazione presieduta dal papa. L’armistizio fu firmato dal re e Cavour
diede le dimissioni. La Gran Bretagna si orientò intanto a favore della causa italiana e i governi
provvisori continuarono a resistere nonostante il ritorno dei sovrani.
Si creò una situazione di stallo, rotta solo nel gennaio 1860 quando ritornò al potere Cavour. Questi
ottenne l’assenso di Napoleone III all’annessione dell’Italia centrale da parte del Piemonte, in
cambio della cessione di Nizza e Savoia. A Marzo si svolsero i plebisciti a suffragio universale
maschile che dettero come risultato l’annessione al regno sabaudo. Subito dopo anche l’Emilia e la
Toscana vennero unite.
L’iniziativa garibaldina e l’unità
Due settimane dopo le annessioni dell’aprile 1860 un tentativo insurrezionale a Palermo richiamò
l’attenzione su una grave crisi del Regno delle Due Sicilie. Tale tentativo bene tuttavia sedato.
Nonostante Cavour fosse contrario, Garibaldi organizzò una spedizione di poco più di 1000
volontari e il 5 maggio 1860 partì da Quarto. Dopo sei giorni giunse a Marsala, dove sconfisse
l’esercito borbonico e poco dopo conquistarono Palermo. La vittoria finale facoltà a Milazzo in 20
luglio.
Questa impresa riuscì grazie alla mobilitazione contadina già in atto, al massiccio sostegno della
popolazione e al diretto apporto dei giovani siciliani. Il governo di Garibaldi abolì i dazi sui cereali
e la tassa sulla macinazione, assegnando una parte delle terre demaniali ai combattenti contro i
Borboni. Questo però non placò la mobilitazione contadina, che assunse caratteri di violenta guerra
civile nel catanese, costringendo Garibaldi ad una drastica repressione.
Il 19 agosto Garibaldi sbarcò in Calabria e prese a risalire la penisola, entrando incontrastato il 7
settembre a Napoli. Cavour, per paura di un intervento della Francia e dell’Austria, dovette volgere
le armi contro il pontefice, per evitare che lo facesse prima Garibaldi. Napoleone III gli diede il
proprio consenso solo se lo stato della chiesa non venisse abbattuto. Le truppe sabaude così
invasero l’Umbria e le Marche, sconfiggendo il 18 settembre l’esercito del papa a Castelfidardo.
Garibaldi accettò il fatto compiuto, indicendo dei plebisciti che sancirono l’annessione del
Mezzogiorno al regno di Sardegna, ufficialmente avvenuta il 26 ottobre 1860. La formale
costituzione del Regno d’Italia fu proclamata il 17 Marzo 1861 dal nuovo Parlamento.
Non ci fu una vera scissione tra il regno di Sardegna e il nuovo stato: Vittorio Emanuele II continuò
a chiamarsi così anziché I e la prima legislatura del Regno d’Italia risultò come ottava, proseguendo
la numerazione di quelle già esistenti piemontesi.
L’unificazione tedesca e l’Europa
La Prussia di Bismark
Analogie fra Italia e Germania nel loro processo di unificazione
- L’iniziativa di stati monarchici;
- Il ruolo centrale dei primi ministri;
- Conquista per gradi di un territorio nazionale e diviso
Differenze fra Italia e Germania nel loro processo di unificazione
Italia Germania
Politica di inserimento diplomatico del Autonomia e protagonismo della Prussia
Piemonte
Maggiore presenza di un movimento popolare. Importanza della superiorità militare e della
guerra.
Il Parlamento di Francoforte, sciolto nel 1849, si era paralizzato dinanzi a dei nodi politici cruciali,
come l’assemblea popolare e la dinastia degli Hohenzollern, il prussianesimo e il germanesimo e la
posizione dell’impero austro ungarico. Vienna tentò sempre di far prevalere il disegno di una grande
Germania sotto l’egemonia da austriaca, come nella conferenza di Dresda del 1850, fallendo
sempre.
In Prussia, con la costituzione del 1848, la Camera bassa esprime un voto vincolante solo in materia
fiscale, mantenendo poteri consultativi nelle altre questioni ed era eletta a suffragio universale non
segreto. Dal 1854 venne fiancata dalla Camera dei signori, nominati dal re tra le famiglie
aristocratiche in base a dei criteri ereditari. Nel 1858 salì al trono Guglielmo I, seguace di un
nazionalismo prussiano, che volle modernizzare l’esercito allungando il periodo di leva e
raddoppiando i coscritti. Gli oneri dell’operazione sollevare una vasta opposizione. Alle elezioni del
1861 e quelle del 1862 la maggioranza liberale si fece sentire nella camera bassa. Per sciogliere
questa situazione Guglielmo nominò un nuovo primo ministro, Bismark, che fin da subito chiarì le
sue posizioni ferree. Un nuovo termine entrò in politica, Realpolitik, volta significare una politica
spregiudicata e disinvolta, fondata sull’analisi e sullo sfruttamento, senza eccessive preoccupazioni
per le regole costituzionali.
I primi provvedimenti presi riguardarono:
- La sessione parlamentare venne chiusa;
- La riforma militare fu varata;
- La libertà di stampa posta a restrizioni;
- Vennero licenziati funzionari statali sospettati di simpatizzare con l’opposizione;
Questo porto ad una sorta di doppio stato in cui il Parlamento rimaneva formalmente in carica ma
era svuotato dalle sue funzioni. La corona, il governo e la burocrazia statale formava e applicava le
leggi.
La guerra austro-prussiana
Grazie alla guerra con la Danimarca, poi vinta affiancata dall’Austria, pose sotto la sua influenza lo
Schlewig, mentre l’Holstein finì sotto il controllo austriaco. Così facendo raggiunse la parità con
l’Austria, ottenendo poi un ruolo essenziale per il movimento nazionale tedesco. In segreto furono
avviate trattative con il regno d’Italia per una guerra contro l’Austria, che dividessero l’esercito
avversario su due fronti. Subito dopo le truppe tedesche invasero l’Holstein e fu guerra. Il colpo
decisivo inferto all’Austria con la sconfitta di Sadowa, in Boemia. La pace di Praga nell’agosto del
1866 costrinse l’Austria a cedere il Veneto alla Francia, che poi lo diede all’Italia.
La Confederazione germanica fu sciolta e gli stati a nord del fiume Meno si unirono una nuova
Confederazione presieduta da Guglielmo I di Prussia. Gli Stati a sud rimasero indipendenti ma
esposti alla costante pressione della Francia e dell’Austria. Gianni 1866 questi stati stipularono
un’alleanza militare con la Prussia.
La guerra franco-prussiana e la proclamazione del Reich.
Su suggerimento segreto di Bismarck, Napoleone III avanzò delle pretese sul Lussemburgo. Con un
voltafaccia Bismarck si oppose, rendendo evidenti le inclinazioni aggressive della sua politica
estera.
Nel 1868 Isabella II di Spagna era deposta e la corona fu offerta ad uno degli Hohenzollern, ma nel
1870, per le troppe pressioni, la proposta venne ritirata.
Per accusare Napoleone III Bismark non esitò a rompere le regole di segretezza della diplomazia,
rendendo noto il progetto di annessione del Belgio che l’imperatore francese gli aveva trasmesso.
Questo portò ad una guerra in cui la Confederazione degli stati tedeschi si unì e nel 1870, a Sedan,
fecero prigioniero Napoleone III. Nel gennaio 1871 a Versailles l’assemblea dei loro sovrani
incoronò il re di Prussia Guglielmo I re del nuovo Reich tedesco.
La Germania e l’Europa
L’unificazione doganale e monetaria e un ulteriore liberalizzazione per le imprese, unita
all’abolizione delle restrizioni sulla costruzione di società, avviò un processo di industrializzazione
nell’area tedesca. L’aristocrazia dei junker (ricchi proprietari terrieri) non rimase indietro, ma si rese
partecipe.
Con l’abrogazione degli obblighi feudali e la liberazione della manodopera si avviò una
commercializzazione delle terre.
La “prima” globalizzazione e la spartizione del mondo
La “grande depressione” e le migrazioni di massa
Nell’ultimo quarto del XIX secolo, l’economia europea attraversò una fase deflattiva che viene
definita “grande depressione”. In realtà questo periodo vide un ulteriore sviluppo economico e il
processo di industrializzazione investì altri paesi, come la Russia, la Svezia, l’Olanda, il Giappone e
l’Italia. Nonostante ciò i contemporanei vissero questi anni come un traumatico periodo di crisi:
come mai?
- L’aumento della produzione mondiale fu dovuto al contributo dei paesi di nuova
industrializzazione. Ben presto non fu solo la Gran Bretagna ad avere questo primato.
- In Inghilterra la crescita economica fu rallentata dal susseguirsi di ripetute crisi che si
alternavano a fasi di ripresa.
- Tutto ciò cambiò le prospettive sul futuro immediato, che perse le sembianze di una costante
ascesa per assumere quelle di un’altalena incerta.
- Bisogna aggiungere una prolungata caduta dei prezzi che provocò un sensibile calo dei
profitti e degli interessi.
La grande depressione non riguardò tanto la produzione quanto la sua redditività. Allora non si
sapeva ancora che lo sviluppo capitalistico procedesse per onde lunghe: a fasi espansive, originate
dall’applicazioni di nuove tecnologie, erano seguite fasi recessive.
Tutto ciò si ripercosse sugli apparati produttivi con conseguenza importanti. Scartata l’ipotesi di far
risalire i prezzi aumentando la quantità di moneta circolante (politica inflattiva), si decise per una
politica protezionistica, cioè volta a limitare con tariffe doganali l’importazione di prodotti stranieri
e proteggendo così la produzione nazionale.
A fare per prima questa scelta negli anni ‘80 furono Germania e Italia, seguite poi da tutti i paesi
sviluppati. L’unica eccezione fu la Gran Bretagna, che preferì una politica di libero scambio. Fino
alla “grande guerra” il peso di Asia, Africa e America Latina nel commercio mondiale aumentò,
collegandosi ad una forte espansione del mercato dei prodotti agricoli, delle materie prime e dei
minerali. Si moltiplicò in Europa l’importazione di generi “tropicali”, come il cacao o il caffè.
L’Europa occidentale svolse un ruolo di fulcro nell’importare i prodotti agricoli, materie prime,
minerali e manufatti. Nonostante il protezionismo gli scambi aumentarono. A questo bisogna
sommare la forte immigrazione, che contribuì a diffondere l’economia capitalistica.
Un altro carattere distintivo della prima globalizzazione fu rappresentato dal movimento di capitali.
Si trattava in larga misura di capitali privati e investimenti di portafoglio, ossia acquisti di azioni e
titoli emessi sulla piazza di Londra da governi stranieri per finanziare le proprie opere pubbliche. Il
costo e tempi di trasporti diminuirono grazie all’introduzione delle ferrovie e della navigazione a
vapore.
Una “seconda rivoluzione industriale”?
La grande depressione incoraggiò un processo di ristrutturazione industriale e finanziaria. Molte
imprese si fusero e altre dovettero chiudere rovinate dal calo dei prezzi e dei profitti. Diminuì
quindi il loro numero ma aumentarono le loro dimensioni. Fu in questo periodo, come sostiene
Alfred Chandler, che nacque l’azienda moderna fondata sul management, cioè un estesa rete di
dirigenti posti a capo di sezioni diverse che lavoravano in parallelo. Diventò sempre più importante
la parte del lavoro intellettuale.
Vennero costituiti dei cartelli, ossia alleanze tra grandi imprese del medesimo settore produttivo
volte a spartirsi il mercato e imporvi prezzi concordati. A queste si affiancarono le trust, ossia fra
aziende impiegate in fasi diverse del ciclo produttivo. L’esigenza sempre più forte di capitali di
queste aziende fu coperta dalle banche miste. L’industria e la finanzia si unirono. Le società per
azioni divennero la forma più comune di azienda e, tramite l’acquisto di azioni, le banche entravano
a far parte dell’azienda stessa. Le borse valori divennero luoghi nevralgici dello sviluppo
economico: la City di Londra assunse in ruolo di centro motore degli affari di tutto il mondo.
L’eccezionale intensità delle innovazioni fra il XIX e il XX secolo giustifica, secondo alcuni
studiosi, il termine di seconda rivoluzione industriale. Questi furono gli anni della lampada
incandescenza, del fonografo, del motore a scoppio, delle nuove fonti di energia come il petrolio.
Il passo successivo fu una riorganizzazione dei processi produttivi tendente ad abbassare i costi del
lavoro ma crescerne la produttività. Negli Stati Uniti si diffuse lo scientific management
(organizzazione scientifica per il lavoro), secondo cui una fabbrica doveva essere diretta da un
ufficio di programmazione costituito da ingegneri manager. Il lavoro veniva scomposto nei minimi
dettagli delle fasi del ciclo produttivo, attribuendo ad ogni operaio mansioni delimitate e specifiche.
Si realizzava così una divisione del lavoro fondata su una gerarchia e su una disciplina molto rigida,
che toglieva ai lavoratori ogni autonomia. Questo sistema venne chiamato “taylorismo” e fu il
presupposto per l’invenzione, da parte di Henry Ford, della catena di montaggio, cioè un dispositivo
che abbatteva i tempi di produzione facendo scorrere i pezzi su nastri mobili, lungo i quale gli
operai eseguivano ripetitivamente una serie di operazioni.
Altri mutamenti investirono il settore della distribuzione delle merci: nacquero catene commerciali
e grandi magazzini. Il raggio dei mercati dei generi alimentari deteriorabili fu enormemente
ampliato dello sviluppo dell’inscatolamento e della congelazione.
Con l’avvento di una produzione standardizzata i consumi di massa presero distendersi a beni
durevoli oltre che a quelli primari.
All’insieme di questi processi di trasformazione è stato dato il nome di capitalismo organizzato e
alcuni studiosi ne hanno parlato come di una seconda rivoluzione industriale. Altri invece hanno
rivelato che le basi fondamentali dello sviluppo rimasero ancora quelle più consolidate, fondate sul
vapore, sul ferro e sul carbone, e che quindi il concetto di rivoluzione non è corretto in questo caso.
Imperialismo e colonialismo
In questi anni si diffuse la tendenza a costruire imperi coloniali. Degli imperi coloniali esistevano
già nel passato, ma la spartizione del mondo avvenne in modo diverso tra il 1870 e il 1914. Fino ad
allora l’espansione delle grandi potenze era stata limitata e aveva preso in considerazione l’America
Latina o l’Asia. Non tutti i paesi però divennero colonie, più spesso erano controllati in modo
indiretto tramite le compagnie commerciali e il possesso di terre ponti. In seguito al 1858 e allo
scioglimento della Compagnia delle Indie, dilagò un “imperialismo formale”, definito
dall’annessione diretta di grandi territori. Come data simbolica si può assumere il 1876, quando la
regina inglese Vittoria fu incoronata imperatrice delle Indie.
- Prima fase (1870-85)
La conquista militare delle colonie seguì le direttrici degli scambi commerciali e della
precedente attività degli esploratori e dei missionari, ma si sviluppò quasi sempre in modo
casuale e caotico. Premevano, in questo senso, le maggiori industrie private, alla ricerca di
nuove materie prime e mercati, le società finanziare interessate a proteggere i propri
investimenti oltre mare, le gerarchie militari pronte a cogliere l’occasione di un
rafforzamento, i seguaci del socialismo darwiniano, che esasperavano l’idea di una lotta per
la sopravvivenza tra diverse razze.
In questa prima fase fa ancora l’Inghilterra raggiungere i maggiori risultati in India, in Egitto
e nell’Africa nera. Nel frattempo anche altre potenze (Italia, Francia e Germania) volevano
espandersi, creando però una situazione di instabilità internazionale, ovviata nel Congresso
di Berlino del 1884-1885, che definì la spartizione del continente africano. Gli Stati
coloniali africani vennero disegnati sulle carte geografiche con grandi linee rette, ignorando
le appartenenze etniche e seguendo un principio di equilibrio tra gli interessi delle potenze
europee. Alla Francia andò l’Africa mediterranea e occidentale, alla Gran Bretagna l’Africa
orientale, alla Germania e l’Italia il centro del continente e il Corno d’Africa.
- Seconda fase (1885-1900)
In questa fase avvenne la spartizione di tutti i territori considerati terre di nessuno in Asia,
Africa e in Oceania. Avvennero anche le prime fasi di resistenza, non tanto fondate sulla
moderna ideologia anti coloniale quanto sulla forza ancora intatta delle società locali e dei
regni indigeni.
- Terza fase (inizi XX secolo)
Le controversie attorno al tema della colonizzazione scemarono, poiché quasi tutto il mondo
era stato spartito. A destabilizzare l’ordine imperialista rimasero i fermenti anti coloniali e le
potenze rimaste soddisfatte da un equilibrio che premiava solo Francia e Inghilterra, come
Germania e Italia.
Nell’ultima fase l’espansione coincise con la riorganizzazione dell’economia capitalistica in
cartelli e trust, volte alla riduzione della concorrenza nei settori di commercio e della
produzione.
La questione cinese
Il sopraggiungere della fine del secolo segnò anche il momento della resa dei conti tra occidente e il
resto del mondo, soprattutto con l’Africa e l’Asia. Sotto il peso sempre crescente dell’imperialismo
occidentale la Cina e il Giappone risposero in modo diverso:
- Cina, con l’evidente degrado dell’apparato statale e dell’anarchia interna, oltre che della
lunga permanenza di un’economia contadina. Qui il confucianesimo era una dottrina
filosofica, basata su un senso individuale-interiore. La struttura sociale: L’interscambio tra
proprietà terriera e burocrazia statale assegnava quest’ultima un ruolo meno dinamico e più
parassitario, che sommandosi alla forza relativa della periferia indeboliva l’efficacia
concreta di ogni misura riformatrice dell’impero. La pressione imperialista sulla Cina venne
combattuta integrando una parte degli aggressori. Questa politica accomodante finì per
contribuire sia il mancato sviluppo del paese sia alla dissoluzione del suo assetto politico.
Già le due guerre dell’oppio avevano costretto la Cina ad aprire i suoi porti alla penetrazione
commerciale prima della Gran Bretagna poi della Francia e della Russia. Alcuni decenni
dopo il commercio estero cinese rimaneva ancora in mano agli inglesi. La Russia da nord e
la Francia da sud cominciarono a sgretolare l’impero, impadronendosi di molti territori che
svolgevano una sorta di stati cuscinetto sui confini cinesi. Gli ingenti investimenti europei
crearono delle zone promettente sviluppo industriale. Il celeste impero non rimase tuttavia
immobile: tentò di aprire il sistema scolastico alla realtà occidentale e, nel 1898 con il
movimento dei 100 giorni, un gruppo di giovani intellettuali cercò senza successo di
riformare la burocrazia urtando gli interessi della corte.
Nel 1894-95 subì l’attacco del Giappone, che prima conquistò la Corea e poi sconfisse
ripetutamente l’esercito cinese: la pace sancì l’indipendenza della Corea e la cessione al
Giappone dell’sola di Formosa. La prospettiva del crollo dell’impero celeste intimorì
l’Inghilterra: già l’entrata in Cina degli Stati Uniti aveva minato l’equilibrio mondiale.
Questo clima portò alla formazione di società segrete xenofobe e nazionaliste: uno di queste
si chiamava yihequan (pugno di giustizia e fratellanza). Da loro partì la “rivolta dei boxer”,
che in un primo momento si configurò con un’opposizione politica alla dinastia Qing, per
poi sfociare nella distruzione di tutto ciò che c’era di occidentale. La loro azione si ispirava
ad un disegno di restaurazione della tradizione cinese. L’assassinio nel 1900
dell’ambasciatore tedesco portò il movimento a scontrarsi con il corpo di spedizione inviato
in Cina. Entrato a Pechino il contingente si abbandonò a devastazioni e massacri
indiscriminati. Grazie alle rivalità sorte in occidente il celeste impero riuscì ad evitare la
spartizione del suo territorio. Nel 1911 una sollevazione a Nanchino decretò la decadenza
della dinastia Qing e un’assemblea pose il medico Sun Yat-sen come presidente. Nel 1912 fu
proclamata la Repubblica, ma la fragilità delle nuove istituzioni e la forza della proprietà
terriera indussero Sun Yat-sen a dimettersi, lasciando il posto ad un esponente del vecchio
regime, il generale Yuan Shikai. Nonostante lasciò la politica, fondò il partito di popolo, con
un programma articolato in 3 principi: autonomia nazionale, democrazia politica e
uguaglianza sociale.
- Giappone, con un’accelerata crescita capitalistica e una vittoriosa espansione imperialista.
Qui la religione shintoista, basata sul culto dell’imperatore, era stata proclamata religione di
stato, il che contribuì ad una forte identificazione nazionale. Con l’imposizione nel 1853 di
“trattati ineguali”, si aprirono nuove strade alla penetrazione occidentale. Piuttosto che
favorire la crescita dei nuovi ceti borghesi, questi mutamenti avvantaggiarono una parte dei
daimyo, cioè i feudatari provinciali, e diedero modo all’imperatore di proclamare la
restaurazione Meiji nel 1868. Il potere ritornò all’imperatore, che attuò una serie di riforme:
o Confisca dei feudi e abolizione del feudalesimo (1871);
o Istruzione obbligatoria (1873);
o Riforma fiscale e adozione della coscrizione obbligatoria (1873):
o Adozione di una centralizzazione amministrativa ricalcata su modello francese;
o Per quanto riguarda l’economia, lo Stato si distaccò dal modello occidentale di
industrializzazione fondata sull’imprenditoria privata e si fece promotore diretto di
imprese industriali modello. In seguito ad una crisi lo stato cedette queste imprese ai
privati;
o Varò delle tariffe protezionistiche;
o La diffusione insistente di un’idea nazionalista, patriottica e militarista. Nel 1890
tracciò dei programmi scolastici centrati sull’antica nozione di origine shintoista
dell’essenza nazionale, che identifica uno stretto legame fra stato e famiglia,
obbedienza verso il padre e lealtà verso l’imperatore.
o A partire dagli anni ‘70 intervenne spesso negli affari interni della Corea.
La modernizzazione burocratica ed economica non fu accompagnata da una significativa
modernizzazione politica. Fino al 1889, quando l’imperatore concesse una costituzione
ispirata al modello tedesco, il Giappone non ebbe un Parlamento. La continuità con il
passato fu accentuata delle scelte politiche dell'imperatore e del governo, sulle quali esercitò
un enorme peso l’esercito.
Nel 1894-95 Tokyo sferrò un nuovo e definitivo attacco contro la Cina e in meno di un anno
vinse. Nel 1902 firmò un trattato con Londra in funzione di controllo della Cina e di diga
contro l’espansione russa. Deciso ad imporre la sua importanza e a punire la Russia dopo
che gli sottrasse la via espansionistica della Manciuria, nel 1904 attaccò e distrusse la flotta
rossa a Port Arthur, senza alcuna dichiarazione di guerra. Seguirono mesi di guerra che
portarono alla vittoria giapponese. Grazie al suo esercito il Giappone riuscì ad entrare fra le
potenze mondiali come unico stato asiatico indipendente ed economicamente sviluppato.
La penetrazione europea in Asia
- L’Inghilterra mantenne il controllo sull’India;
- La Russia, dopo aver completato la ferrovia transiberiana, occupò il territorio cinese della
Manciuria e Port Arthur.
- L’Olanda aveva mantenuto i possedimenti di Giada e Borneo e nel 1871 venne formalizzato
quello di Sumatra.
- La Germania si era impossessata nel 1899 delle isole Caroline, Marianna e Palaos.
- La Francia da un lato si era mossa di affianco Londra contro la Cina, ma dall’altro aveva
minacciato il predominio commerciale inglese in Indocina, attivandosi nel Annam ed
estendendo un protettorato sulla Cambogia.
Distrutta la manifattura tessile indigena dall’apertura commerciale di prodotti dell’industria inglese,
l’India era stata ridotta a paese esportatore di materie prime. Nelle campagne la dominazione
straniera si risolse in un forte impulso alla nuova piccola borghesia rurale e dei contadini agiati. Il
risultato fu un aumento considerevole dell’ineguaglianza interna, che si sovrappone all’antico
ordine gerarchico delle caste. Da questo il dominio inglese trasse grande profitto.
Le caste previste dalla religione hindu e codificate fin dal primo millennio a. C., definivano un
ordine gerarchico:
1. Brahmani (sacerdoti)
2. Kshatrya (guerrieri)
3. Vaishya (mercanti e artigiani)
4. Shudra (servi)
5. Paria (intoccabili, fuori casta)
Nonostante gli anni di dure carestie l’esportazione di riso e grano proseguirà ininterrottamente,
creando un calo effettivo della disponibilità di cibo che sfociò in un malcontento generale. Per
evitare il formarsi di una coscienza nazionale gli indiani vennero lungo esclusi da sistema
scolastico. La modernizzazione della società indiana fu sottoposta al dominio inglese con lo
sviluppo di manifatture locali e di una rete ferroviaria, che contribuì a disarticolare e destrutturare i
suoi storici equilibri. L’opposizione nel 1885 trovò sbocco nella Fondazione dell’Indian National
Congress, il quale prese criticare gli eccessi e gli aspetti meno inglesi dell’amministrazione
britannica. Gli inglesi intanto stavano espandendo ancora il loro dominio nell’Asia, includendo le
isole Samoa e le Nuove Ebridi.
Questi furono gli anni in cui Londra sperimentò la via dell’autonomia, trasformando in dominions
quelle colonne in cui la popolazione bianca si era insediata con maggiormente. Questo fu
determinante anche sul piano economico: l’Australia a cavallo dei due secoli fu protagonista di una
crescita superiore a quella della Gran Bretagna.
La conquista dell’Africa
Gran Bretagna
Se si prende come data di riferimento il 1869, si può notare che anche in Africa Londra deteneva già
una posizione preminente. Nel corso del XIX secolo gli zulu erano diventati una macchina bellica
fondata sulla leva militare di massa, la ferma stabile, la costituzione di villaggi caserma. Alla metà
del secolo controllavano tutta la regione del Natal, sfidando apertamente i discendenti dei coloni
olandesi detti boeri e le mire imperialistiche di Londra. Ma nel 1879 il regno fu invaso dagli inglesi
che confiscarono la terra in favore dei bianchi.
In Egitto il controllo informale inglese venne messo a dura prova dalla rivolta capeggiata da Arabi
al Pascià, a cui Londra reagì cannoneggiando il porto di Alessandria e occupando il paese nel 1882.
In quei gli stessi anni il Sudan era agitato da una guerra santa islamica contro gli egiziani, che fra il
1872 1898 riuscì ad instaurare uno stato musulmano.
Domata la rivolta nel 1898, questa si estese alla Somalia settentrionale, dove un altro capo religioso
mise in crisi la presenza britannica fino al 1920.
Il possesso del Sudan era cruciale per il progetto inglese di connettere l’Egitto ai suoi possedimenti
dell’Africa orientale, ma questo si trovava sulla via dei possedimenti francesi: nel 1898 i due paesi
fecero montare un clima di insicurezza nell’Europa intera, arrivando a fronteggiarsi nei pressi di un
villaggio sudanese. L’episodio mostrò come le controversie in apparenza trascurabili attorno a
lontani territori coloniali potessero mettere in pericolo gli equilibri europei. L’incidente si risolse
per la rinuncia della Francia.
Al controllo del Sudan, formalmente sancito nel 1899, sia aggiunsero la conquista della Nigeria e
l’avvio di una presenza inglese in Somalia, oltre ad una notevole presenza nell’Africa sud orientale
e meridionale, dove si posero le basi per l’acquisizione del Kenya, l’Uganda e la futura Rhodesia.
Francia
Nella seconda metà degli anni ’50, Napoleone III aveva ampliato i confini dell’Algeria e del
Senegal dove il dominio coloniale si esercitava con i metodi della:
- Association; ovvero il mantenimento subordinato delle gerarchie sociali esistenti associate al
potere coloniale;
- Assimilation, Ovvero un ampio programma di francesizzazione.
Anche la Terza Repubblica esordì in campo con coloniale con la brutale repressione di una
insurrezione in Algeria fra il 1870-71. Instaurarono poi un protettorato in Tunisia (1881),
proclamarono la colonia della Costa d’Avorio (1880), si espansero nel Congo con la fondazione di
Brazzaville (1880-85), e il Dahomey e il Madagascar furono i maggiori successi coloniali.
Portogallo
Nel 1835 conquistò il Mozambico e l’Angola.
Belgio
Nel 1876 venne fondata un’associazione per l’esplorazione lo sfruttamento del Congo.
Germania
Nel 1884 conquistò il Togo e il Cameron e qualche anno dopo la Tanganica.
Italia
Acquisì i diritti sul minuscolo insediamento di Assab.
Era necessario quindi che le potenze europee si incontrassero per discutere dell’espansione in
Africa. Il problema fu affrontato in un convegno svoltosi a Berlino fra il 1834 e il 1885. Fino a quel
momento gran parte del continente interno era ancora da conquistare e esplorare. Qui, lavorando
con la carta geografica, le potenze europee si spartirono in via preliminare lo sconosciuto interno
del continente e si accordavano sulle regole diplomatiche per avere forme reciprocamente
riconosciute di dominio diretto o di protettorato. Una volta costituzionalizzato l’imperialismo
riprese.
La Francia davanti nel Senegal, nel Ciad e nel Sudan.
In Inghilterra nel 1885 avanzò nel Kenya e nel 1889 nello Zimbabwe, nel 1890 a Zanzibar e nel
1892 in Uganda. Fra il 1890-91 conquistò la Rhodesia.
La Germania consolidò i propri possessi in Tanzania e in Namibia e, nei primi decenni del 1900,
avanzò pretese anche sul Marocco.
L’Italia ampliò i possedimenti di Assab e poi di Massaua, con il retroterra dell’Eritrea.
L’Etiopia rimase l’unico stato indipendente africano.
L’Europa delle grandi potenze
Riforme interne e politica di potenza
Nei decenni successivi alla guerra franco-prussiana i regimi politici liberali dei maggiori stati
europei sperimentarono un processo di democratizzazione. Le riforme politiche e sociali
accompagnarono una rifondazione del sistema delle relazioni internazionali. Dall’ideologia del
Congresso di Vienna si passò a rigidi blocchi di alleanze internazionali. Dall’Europa delle nazioni si
passò all’Europa delle potenze.
La Gran Bretagna e l’egemonia mondiale
Dopo il 1870 lo sviluppo industriale non era più prerogativa inglese. La produzione industriale
britannica cresceva, ma non più al ritmo di una volta e soprattutto non a quello dei concorrenti. La
riserva costituita dal più grande impero coloniale fu un’importante risorsa diplomatica, politica,
economica e ideologica. Il carattere di economia aperta nell’impero precludeva alle classi dirigenti
la via del protezionismo.
Su piano sociale questo declino relativo alla leadership industriale si tradusse in un processo di
gentrification della borghesia imprenditoriale, cioè la diffusione dei valori della gentry, ossia la
piccola e media nobiltà terriera. David Cannadine mise in luce come la crisi agraria degli anni ‘80
determinasse un’ondata di vendita di proprietà fondiarie da parte della nobiltà agraria e la sua
riconversione nella finanza e nella rendita edilizia urbana.
Il sistema economico inglese subì un processo di progressiva finanziarizzazione che fornì i capitali
necessari alla crescita di nuovi e agguerriti sistemi industriali, verso i quali si spostò il baricentro
del mondo sviluppato. Nel 1874 con la vittoria del conservatore Disraeli si accentuarono i temi
dell’orgoglio nazionale e dell’espansione imperiale. Si assicurò la costruzione del canale di Suez, il
possesso di Cipro e intervenne in Afghanistan per bloccare l’espansione russa verso l’India. Nel
1876 sancì formalmente il dominio sull’India con l’assunzione della corona imperiale da parte della
regina Vittoria. Disraeli si impegnò per varare leggi sulla giornata lavorativa di 10 ore, sulla
ristrutturazione delle abitazioni operaie e sul riordino del sistema sanitario.
Nelle elezioni del 1880 vinse Gladstone. Con una riforma nel 1835 ampliò l’elettorato da 3 a 5
milioni, rafforzò inoltre le basi del proprio potere promuovendo nuove leggi nei confronti delle
organizzazioni sindacali. Venne infine fissato il principio della responsabilità oggettiva
dell’imprenditore per gli infortuni involontari sul lavoro. Per quanto riguarda la politica estera nel
1872 occupò l’Egitto e intervenne e nel Sudan nel 1885. Fu la questione irlandese a provocare la
sua caduta. La sua richiesta di concedere più autonomia all’Irlanda venne osteggiata della
minoranza protestante dell’Ulster (parte settentrionale dell’Irlanda) e spaventò i conservatori e una
parte degli stessi liberale. Da una scissione del partito liberale nacque il partito unionista, che privò
Gladstone della maggioranza parlamentare, costringendolo infine a dimettersi.
Salì così al potere il leader conservatore Salisbury che si avvalse di una colazione con il partito
unionista, capeggiato da Chamberlain.
La Germania e l’egemonia europea
Con la vittoria franco prussiana l’impero federale tedesco in una delle potenze del mondo, guidato
dalla Prussia. Questo fu possibile non solo grazie alla politica di Bismarck, ma anche con la
rivoluzione industriale a tappe forzate. È a questo proposito che gli storici hanno interpretato il
Sonderweg in termini di socialimperialismo, cioè lo stretto rapporto fra protezionismo, militarismo,
alleanza fra potere agrario e potere industriale, riforme sociali dall’alto e la crescita del movimento
operaio.
L’estrazione del carbone crebbe velocemente anche grazie all’acquisizione dell’Alsazia e della
Lorena. La diffusione dell’istruzione elementare e tecnica fu un altro elemento importante ai fini
della qualificazione professionale della classe operaia e l’agricoltura venne modernizzata. La
disponibilità di capitali si indirizzò verso l’industria, non più verso settori parassitari.
Un altro fattore per la crescita tedesca è dato, nel 1879, con l’adozione di tariffe protezionistiche. Il
protezionismo anticipò un nuovo ruolo dello stato nell’economia, che nei decenni successivi
assunse aspetti tali da far parlare di capitalismo organizzato. Il forte sviluppo provocò un aumento
del proletariato ed un forte movimento operaio. Bismarck sui dovette così impegnare a far
conciliare la modernizzazione del sistema economico con la presenza di tratti fortemente illiberali
in campo politico. Il suo stesso ruolo rimase quasi incontrastato, se non per il Bundesrat, cioè l’altra
Camera, composta da notabili nominati dagli stati e dall’imperatore. Nonostante il suo ruolo di
forza dovette crearsi delle maggioranze politiche: il cancelliere si alleò con i liberali e aprì una
battaglia politica contro la chiesa cattolica e il partito cattolico del Zentrum. Ciò nonostante
l’influenza del partito rimase alta. Così, quando il maggior pericolo interno cominciò a essere
rappresentato dal movimento operaio, Bismark operò una spregiudicata conversione politica
alleandosi con i conservatori e ottenendo i voti dello stesso Zentrum, costringendo di fatto il nuovo
partito socialdemocratico, costituitosi nel 1875, alla clandestinità. Nonostante il chiaro intento
antimoderno fra il 1883 e il 1889 introdussero tre leggi per l’assicurazione obbligatoria per i
lavoratori dipendenti contro malattie, infortuni, invalidità e vecchiaia, fondata su trattenute
automatiche in busta paga e su contributi dei datori di lavoro. A questi tentativi la classe dirigente
tentava di legare i ceti subalterni allo Stato, usando il concetto di nazionalità tedesca, il miraggio
dell’impero coloniale, un vasto numero di associazioni.
La guerra franco prussiana del 1870 aveva posto al centro del continente un impero forte. La prima
preoccupazione di Bismarck fu quella di isolare diplomaticamente Parigi, ponendosi come
mediatore del contrasto tra Austria e Russia nei Balcani. Nel 1873 Germania, Austria e Russia
siglarono la Lega dei tre imperatori, mentre Londra ribadiva la propria estraneità alle contese
continentali. Nel 1877 una nuova guerra tra Turchia e Russia portò all’espansione dell’influenza
russa, suscitando la reazione dell’Austria e della Gran Bretagna. Bismark si adoperò per una
mediazione e al Congresso di Berlino del 1878 appoggiò Vienna contro San Pietroburgo. Per paura
di esporsi ad una guerra su due fronti, quello francese e quello russo, nel 1879 venne firmato il
trattato austro tedesco che prese il nome di Triplice Alleanza, quando nel 1882 fu ampliato anche
all’Italia. Questo portò la Francia e la Russia a firmare una Duplice Intesa nel 1894.
Quando dei 1888 salì al trono un imperatore intenzionato a governare in prima persona come
Guglielmo II, Bismark fu costretto a dimettersi nel 1890.
La Francia della Terza Repubblica
Dopo la disfatta di Sedan fu proclamata la Repubblica e la guerra proseguì per alcuni mesi. Nel
1871 le lezioni dettero maggioranza ai conservatori e il governo cedette al nuovo impero tedesco
l’Alsazia e la Lorena, impegnandosi a pagare un forte indennizzo monetario come riparazione di
guerra. Prima ancora che questo trattato venisse stipulato, il popolo di Parigi insorse. La Comune
che per due mesi resse la città decretò il suffragio universale, la proprietà collettiva delle industrie
abbandonate, il decentramento amministrativo, la separazione tra stato e chiesa e la sostituzione
dell’esercito con la Guardia nazionale. Marx vide nella Comune il primo autonomo governo operaio
della storia.
Dal punto di vista diplomatico la posizione della Francia si era indebolita. Dovette combattere
diplomaticamente su più fronti: quello tedesco, quello inglese e quello italiano.
L’economia presentava aspetti contraddittori: non registrò una forte crescita demografica, visse una
crisi dell’agricoltura causata dal dimezzamento del prezzo del frumento e dalla diffusione di un
parassita che ridusse la produzione di vino. La Francia era poi divisa in due: da una parte Parigi e
dall’altra il resto del paese. Solo negli ultimi decenni del secolo si registrò una crescente
penetrazione dello Stato ella società rurale attraverso la scolarizzazione di massa, la mobilitazione
elettorale, la diffusione del progresso economico e tecnologico.
I primi trent’anni della Terza Repubblica assunsero un profilo conservatore: solo nel 1875 venne
approvata la costituzione, che era un evidente con promesso fra i fautori di una Repubblica
presidenziale e i sostenitori del potere parlamentare. Il presidente aveva ampi poteri e una Camera,
eletta a suffragio universale maschile, era bilanciata da un Senato eletto a suffragio molto ristretto.
Nel 1877, il presidente MacMahon, costrinse alle dimissioni il governo e sciolse il Parlamento, ma i
repubblicani non persero posizioni e nel 1879 il presidente dovette dimettersi. La Repubblica ne
uscì rafforzata:
- Il Parlamento ritornò a Parigi;
- Un’amnistia per gli ex comunardi;
- Il Senato divenne completamente elettivo;
- Si promossero maggiori autonomie locali;
- Si varò un provvedimento per il divorzio e per più ampie libertà di organizzazioni sindacali;
- Nel 1886 si tenne il primo congresso delle federazioni di categoria;
- Nel 1892 fu fondata la Federazione delle Bourses du travail;
- Nel 1895 si costituì la Confederation General du travail.
In un paese con un lento ritmo di crescita, la barra del testimone rimase per qualche tempo in mano
ai moderati e il loro leader, Ferry, faceva parte degli “opportunisti”, cioè chi era convinto che si
dovesse attendere un’opportunità per una graduale evoluzione del sistema politico. La
scolarizzazione era un tassello importante di un processo di costruzione della nazione attraverso la
diffusione di un messaggio patriottico nazionalista, che si servì anche di canali meno ufficiali, come
i caffè, i teatri, i gabinetti di lettura e le associazioni culturali. L’adozione della Marsigliese come
inno nazionale nel 1879 condensò il senso generale di questo processo.
La Francia celebrò se stessa nel 1889, anno delle grandi manifestazioni per il primo centenario della
rivoluzione, che in qualche modo segnò l’apogeo della Repubblica conservatrice. Ad accentuare
questi tratti fu la scelta di una politica protezionista nel 1892 e la ripresa della politica coloniale.
Arretratezza e sviluppo economico in Russia
Con l’avvento di Alessandro III nel 1881 la Russia sembrò ripiombare nella più chiusa autocrazia.
La politica russa dell’ultimo ventennio del secolo si imperniò su tre strutture fondamentali:
1. Lo zar e l’apparato repressivo;
2. La religione ortodossa;
3. L’esercito come garante del ruolo internazionale.
Questi elementi garantivano alla Russia di essere una grande potenza, ma non una crescita
economica.
A vent’anni dall’abolizione della servitù della gleba quasi un quinto degli ex servi non aveva
riscattato la propria posizione. Il ministro delle finanze Bunge varò alcuni provvedimenti a favore
dei contadini:
- 1882 disposizioni sull’orario di lavoro femminile e minorile di fabbrica.
Non vennero mai attuati e nel 1886 fu costretto a dimettersi. La grave situazione dell’agricoltura fu
ricordata dalle sollevazioni contadine e da episodi come molte carestie seguite da un’epidemia di
colera. Catastrofi sociali di simili dimensioni spingevano la riflessione le forze dell’opposizione anti
zarista. I populisti e i primi socialisti davano letture discordanti:
- I primi erano ancorati ad un giudizio positivo dei valori delle comunità e addossarono le
ragioni della carestia del 1891-92 alla debole modernizzazione e all’industrializzazione in
atto.
- I socialisti puntarono l’indice contro le responsabilità dello Stato autocratico zarista.
A partire dagli anni ‘80 dell’Ottocento la Russia conobbe un principio di industrializzazione. Il
fenomeno ebbe un ritmo sostenuto e fu caratterizzato da precoci forme di addensamento in ristretti
poli. A questo primo fenomeno contribuirono dei ministri riformatori: grazie alla costruzione della
transiberiana il numero degli stabilimenti industriali raddoppiò. Fu però una modernizzazione
fortemente controllata dall’alto. In parallelo ai primi segni di rinnovamento economico e sociale
sotto Alessandro III la Russia cominciò a cambiare le proprie scelte in fatto di politica estera,
alleandosi con la Francia nella Duplice Intesa.
L’Europa del declino
Un altro grande impero che fece fatica ad affermarsi come potenza moderna fu l’impero asburgico.
L’Ungheria riuscì a rafforzarsi sempre di più, mentre altre nazionalità come i ciechi, i polacchi e i
croati videro riconosciuti alcuni diritti e acquisirono un crescente peso politico. La componente
austro-tedesca si orientò ad un aggressivo imperialismo nei confronti sia delle altre nazionalità
all’interno dei suoi confini sia verso l’estero. Durante il regno di Francesco Giuseppe la relativa
tolleranza di fronte alle loro richieste non fu il frutto di un progetto riformatore, ma il segno di una
crescente debolezza. La “questione nazionale” si intrecciò con una parallela “questione sociale”.
L’industrializzazione austriaca fu troppo debole per arricchire tutto il paese, ma abbastanza forte per
accrescere gli squilibri economici regionali
Nonostante queste difficoltà almeno tre fattori facevano dell’impero di Francesco Giuseppe una
grande potenza:
1. La forza demografica;
2. La consistenza delle forze armate;
3. La collocazione geopolitica fra i Balcani e l’Impero Ottomano.
Il suo declino fu annunciato anche da fattori che apparentemente sono positivi. Il compromesso del
1867 era stato un espediente per salvare la dinastia di fronte alla sconfitta militare e all’ascesa della
Prussia. La stessa affermazione nel congresso di Berlino del 1878 aveva rafforzato solo
apparentemente Francesco Giuseppe. La sua corona si fondava sulla rendita di posizione più che
sulla forza effettiva.
Sei all’interno si stavano rafforzando le opposizioni più radicali, all’estero l’Austria dovette
mantenere una posizione di grande potenza europea. Oggetto di scontro fra l’Austria e la Russia
furono di nuovo i Balcani. I conflitti proseguirono sia per l’indebolimento dell’impero ottomano sia
per gli scopi di con della Russia (sbocco sul Dardanelli e sul Bosforo), dell’Austria (espansione
finanziaria e commerciale) e della Gran Bretagna (controllo Mediterraneo orientale). Anche la
Germania, la Francia e l’Italia iniziarono ad avere interessi in quelle aree, trasformandole in un
focolaio di crisi internazionale.
Il congresso di Berlino segnò una svolta nella tipologia delle crisi originate della questione
d’oriente: se prima erano state crisi diplomatiche fra grandi potenze, ora erano aspirazioni e
mobilitazioni nazionalisti di gruppi etnici di quest’area a coinvolgerle.
Nella penisola iberica sembrò regnare un’apparente stabilità politica. Sotto il re Luigi I il Portogallo
dette alcuni segni di crescita commerciale, agricola, manifatturiera e soprattutto demografica. Le
mire espansionistiche vennero fermate da Londra.
Per quanto riguarda la Spagna la scelta protezionistica servì a proteggerla dalla grande depressione
degli anni ‘80. Sul piano politico si assistette all’insediamento del re Alfonso XII e con lui di una
monarchia costituzionale, anche se ciò avvenne grazie ad un colpo di stato militare. Sul piano
economico la base strutturale della nuova monarchia non era molto solida. Furono avviate una serie
di operazioni infrastrutturali, venne rafforzata l’industria leggera della Catalogna, poste le basi di
quella pesante nei Paesi Baschi e la finanza diede qualche segno di vitalità, anche se in ognuno di
questi campi fu fondamentale il capitale estero.
La rivolta anti-coloniale a Cuba nel 1895 fece emergere la debolezza strutturale di tutto lo stato
spagnolo, che nonostante reagì con una dura repressione, non riuscì a sedare la rivolta. Nella guerra
seguita all’intervento degli Stati Uniti nel 1898 perse il possesso di Cuba, di Portorico e delle
Filippine.
L’Italia liberale
Il nuovo Stato
La classe dirigente sabauda si rese conto che governavano un paese per lo più sconosciuto.
L’estrema varietà della società italiana fu ridotta dalla costituzione, che ne condizionò le forme. Gli
fu dato un assetto fortemente accentrato così da poter indebolire le forza democratiche e popolari.
Dopo la morte di Cavour, nel 1861, il suo successore Bettino Ricasoli estese a tutto il territorio la
legge Rattazzi del 1859, che generalizzò il centralismo degli ordinamenti comunali e provinciali
piemontesi. Venne istituita la figura del prefetto che doveva controllare l’ordine pubblico e l’intera
vita associata delle province, dirigendo le attività delle giunte e dei consigli elettivi, emanando
decreti e regolamenti. Gli ampi potere concessi modernizzarono l’apparato amministrativo italiano
ma resero queste figure dipendenti al potere esecutivo. Questo processo accentratore venne sancito
nel 1865 dalle leggi di unificazione legislativa e amministrativa: i comuni ebbero ristrette basi
elettorali censitarie e il sindaco aveva la nomina regia. Il sistema scolastico, retto da una legge nel
1859 dal ministro Gabrio Casati, istituì una scuola elementare gratuita e sancì il primato
dell’istruzione laica. La magistratura dipendeva dal potere esecutivo. Lo Statuto Albertino conferiva
ampi poteri alla monarchia: i ministri rispondeva direttamente al re, le spettavano le decisioni in
materia di politica estera e alla condotta della guerra, nominava i membri del Senato.
Il sistema elettorale politico riservava il diritto di voto al 2% della popolazione, selezionando in
base ai livelli di istruzione e al censo. I deputati venivano eletti in base al sistema maggioritario e
uninominale. Tale funzione favorire gli interessi un’élite locale: si trattava quindi di un sistema
localistico che favoriva la costituzione di rapporti clientelari.
La nascita di uno Stato moderno si basò sulla costruzione di una fitta rete viaria e ferroviaria, di un
mercato nazionale e di un apparato amministrativo omogeneo. Il centralismo dello Stato,
identificando il potere politico di tale apparato, favorì la borghesia.
L’età della Destra
Dal 1861 al 1876 l’Italia fu governata da una parte della classe dirigente liberale chiamata Destra,
dalla sua collocazione nel Parlamento. Era composta da Quintino Sella, Bettino Ricasoli, Giovanni
Lanza, tutti eredi di Cavour. Erano caratterizzati da un atteggiamento quasi paternalistico ed erano
proprietari terrieri, spesso aristocratici, con una rigida moralità pubblica. Usarono l'amministrazione
statale come strumento politico, inaugurando una commistione tra queste due sfere.
Alla destra si opponeva una Sinistra composta da liberali progressisti, come Depretis, Cairoli, Crispi
o Nicotera. Espressione della piccola e media borghesia, la sinistra propugnava un allargamento del
suffragio.
La Destra dovette governare in anni di accentuata precarietà e gravi emergenze, come il
brigantaggio che dilagò nel Mezzogiorno. Fu proclamato lo stato d'assedio nel 1863 e una durissima
repressione militare segnò dall'inizio il rapporto fra il nuovo stato e le popolazioni meridionali, il
cui malessere si espresse ancora nel 1866 in una rivolta scoppiata a Palermo.
Per far fronte al debito pubblico i governi della Destra introdussero la tassa sul macinato e altre
onerose imposte dirette e indirette. In effetti nel 1875 conseguì l'obiettivo del pareggio del bilancio,
grazie all’”economia fino all'osso”, alla vendita dei beni del demanio e degli enti ecclesiastici, ai
prestiti interni e all'introduzione nel 1866 del corso forzoso della lira. In seguito all'unificazione
doganale del paese i governi della Destra profusero un notevole impegno nello sviluppo della rete
stradale e di quella ferroviaria. Questo dette un contributo essenziale alla formazione di un mercato
nazionale.
La politica economica della Destra seguì una linea liberista, con l'obiettivo di una graduale
modernizzazione del paese. Queste scelte ebbero tra i loro effetti la crisi dei pochi poli produttivi
nel Mezzogiorno e dell'agricoltura, che patì a causa dei grandi capitali sui mercati internazionali
dopo la fine della guerra civile.
Il nuovo Regno soffriva di altri fattori di debolezza, come l'ostilità della chiesa, la dubbia efficienza
dell'esercito e l'enorme dilatazione del debito pubblico
Fino al 1870 la politica interna ed estera fu dominata dalla “questione romana-2, cioè
dall'acquisizione di quella che veniva considerata la capitale naturale del paese. L'acquisizione del
Veneto e di Roma avvenne grazie a:
Guerra contro l'Austria, grazie alla quale si riuscì ad annettere il Veneto;
Venne firmata una Convenzione nel settembre 1864, con la quale il governo italiano si
impegnava a tutelare lo stato pontificio e a trasferire la capitale da Torino a Firenze. Nel
1867, però, Garibaldi organizzò un'altra spedizione: venne però sconfitto dalle truppe
pontificie con l’appoggio francese. Dopo la caduta dell'imperatore francese nel 1870 i
bersaglieri italiani furono inviati a conquistare Roma, dove entrarono il 20 settembre
attraverso Porta Pia. L'idea di una “libera chiesa in libero stato” si era scontrata con
l'intransigenza di Pio IX, che nel 1864 condannò i principali errori del mondo moderno:
liberalismo, razionalismo e socialismo. La Destra tentò più volte una conciliazione ma le
esigenze del bilancio la spinsero a requisire nel 1867 i beni immobiliari ecclesiastici. Nel
1871 con una legge detta delle guarentigie, l'Italia riconobbe il papa come sovrano della
Città del Vaticano e gli assegnò una dotazione finanziaria annua, garantendo al clero ampia
libertà e sollevandolo dal controllo delle autorità civili. Il Papa nel 1870 rispose
proclamando il dogma dell'infallibilità del pontefice e nel 1874 un decreto della Santa Fede,
che vietò ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche e amministrative.
Le elezioni del 1874 videro un sensibile rafforzamento della Sinistra, soprattutto grazie consensi
della borghesia meridionale. Nel 1876 i parlamentari toscani si opposero al progetto del governo di
riscattare le strade ferrate dei privati e assegnarne la gestione allo stato. La crisi che ne segui portò
al guida la Sinistra con Depretis.
La sinistra al potere
La sinistra aveva come obiettivo l’alleggerimento delle crescenti tensioni sociali. Il governo di
Depretis si poggiò su una prassi politica che fu definita trasformismo, nell’inglobamento di gran
parte delle forze moderate e conservatrici. Le riforme della Sinistra furono di rilievo non
trascurabile:
La legge Coppino del 1877 rese facoltativo l'insegnamento religioso nelle scuole elementari
e vi introdusse l'obbligo di frequenza;
La riforma elettorale del 1882 che ridusse i limiti di censo e di età e riconobbe ampiamente
le capacità dando accesso il voto al 7% della popolazione;
Furono aboliti il corso forzoso della lira e la tassa sul macinato;
Si istituì un’assicurazione facoltativa contro gli infortuni sul lavoro;
Si riconobbero le società di mutuo soccorso;
Furono fissati a 9 anni d'età e 8 ore giornalieri il limite del lavoro infantile.
Il nocciolo dell'azione di governo va ricercato nella gestione dell'economia: si abbandonò il
liberismo e si adottò una politica protezionista. La svolta protezionista fu seguita da un consistente
afflusso di capitali stranieri. L'incremento della spesa pubblica poté accelerare il processo di
industrializzazione. Dopo aver concesso nel 1885 la gestione ventennale delle ferrovie a società
private, lo stato si assunse l'onere di ampliare e ammodernare la rete. Ammodernare il sistema
bancario italiano e potenziare la siderurgia furono i passi successivi. Nonostante ciò la vita
materiale rimaneva ancora contrassegnata da fame e miseria, soprattutto nel Mezzogiorno.
Il contesto internazionale era intanto mutato a causa di due grandi fattori: l'apertura del canale di
Suez e il crollo del secondo impero francese.
Nel 1887 la triplice Alleanza venne rinnovata a condizioni più vantaggiose:
L'alleanza sarebbe intervenuta in caso di conflitto coloniale italo-francese;
l'Italia aveva diritto a dei compensi territoriali nel caso di un’espansione austriaca nei
Balcani.
Inoltre, con l'appoggio inglese, l'Italia conquistò nel 1882 la Baia di Assab sul Mar Rosso e, tre anni
dopo, occupò la località di Massaua. Tuttavia si risolse in un fiasco, poiché nel 1887 lo sterminio di
un contingente italiano a Dogali da parte degli etiopici provocò l'immediato blocco di ogni progetto
espansionistico.
La questione sociale. Socialisti e cattolici
Fra gli anni settanta e ottanta numerose inchieste misero in luce l'arretratezza del tessuto
economico-sociale del paese e la miseria della grande maggioranza della popolazione. Con il
passare del tempo l'inadeguatezza delle risposte date dalle classi dirigenti contribuì ad esasperare la
questione sociale. A questo punto i termini della questione sociale sarebbero risultati mutati a causa
del consolidamento di due nuove forze: una nuova e moderna, costituita dal movimento operaio e
socialista, e una dalle radici più antiche, rappresentata dal movimento cattolico.
Le prime organizzazioni affermatesi nel mondo del lavoro erano state società di mutuo soccorso.
Dopo l'unificazione vi erano diffusi orientamenti mazziniani che avevano concorso a politicizzarle
in senso democratico e repubblicano.
Gli operai italiani erano per lo più artigiani e lavoratori manuali, non inseriti in strutture produttive
capitalistiche. Questo fu motivo per cui la Prima Internazionale assunse prevalentemente forme
anarchiche. Promossero tentativi insurrezionali a Imola nel 1874 e sui monti Campani del Maltese
1877, ma il loro fallimento non li fermò e portò alla nascita del Partito socialista rivoluzionario di
Romagna nel 1881. A Milano l'aumento della conflittualità operaia e lo sviluppo di Leghe di
resistenza sfociarono nella fondazione del Partito operaio italiano, nel 1882, il cui maggior
esponente fu Costantino Lazzari. Si poneva come obiettivi le rivendicazioni sindacali economiche e
normative. Dai radicali dell'estrema sinistra si distaccarono Filippo Turati e sua moglie, che
costituirono nel 1889, sempre a Milano, una Lega socialista.
A nulla servirono gli interventi repressivi delle autorità. Nel 1891 a Milano venne fondata la prima
Camera del lavoro. Il movimento si pose l'esigenza di dotarsi di uno strumento di rappresentanza
politica che ne garantisce l'esistenza e lo unificasse sul piano programmatico.
Fu così che le diverse componenti del movimento socialista confluirono in un Partito dei lavoratori
italiani, fondato a Genova nel 1892. In pochi anni assunse la fisionomia di un moderno partito
politico fondato sul principio dell'adesione individuale e prese il nome di Partito Socialista Italiano.
Con la sua formazione si affermò la distinzione tra partito e sindacato. Il sindacato era una struttura
organizzativa basata sulla compresenza di federazioni di mestiere e di strutture orizzontali o
territoriali, che univano i lavoratori occupati in diversi settori produttivi.
Nel 1874 i cattolici intransigenti fondarono nuova organizzazione, chiamata l'Opera dei Congressi.
Aveva una struttura gerarchica guidata da ecclesiastici e si articolava in comitati parrocchiali,
diocesani, regionali e promuoveva incontri periodici per decidere gli indirizzi delle opere
caritatevoli e del proselitismo.
Nel 1891, l'enciclica rerum novarum del pontefice Leone XIII, che impostò nuove basi per la
dottrina sociale della chiesa, sostenendo la necessità di una conciliazione tra lavoratori e
imprenditori, condannando lo sfruttamento capitalistico insieme al socialismo e incoraggiando
l'associazione popolare e operaia cattolica. All'interno del movimento esisteva una parte moderata,
derivata dal cattolicesimo liberale del Risorgimento, che auspicava una composizione del conflitto
tra stato e chiesa.
L’età crispina
Nel 1887 le redini del potere passarono a Francesco Crispi. L'età crispina è divisa in due parti: una
che parte nel 1887 e finisce nel 1891 e l'altra che parte nel 1893 e finisce nel 1896.
La prima parte fu caratterizzata da un’opera legislativa imponente. Promosse una serie di leggi che
favorivano una modernizzazione dello stato, senza attaccarne l'impianto accentratore e autoritario.
Un esempio fu la legge sull'ordinamento comunale e provinciale, del 1888, che estese l’elettorato
amministrativo a 3 milioni di persone e rese elettivi i sindaci dei comuni con più di diecimila
abitanti, ma li sottopose a rigidi controlli del centro, mediante giunte provinciali e presiedute da
prefetti. I primi atti di Crispi furono quindi volti a rafforzare l'esecutivo, ampliare i poteri del
presidente e del consiglio e accentuare la subordinazione dei prefetti al governo. Un esempio di
questo fu una riforma avanzata come quella igienico-sanitaria, sempre nel 1888, che potenziò le
strutture di prevenzioni e di difesa, ma li sottomise al ministero dell'Interno e ai prefetti.
Il nuovo Codice penale del ministro della giustizia Giuseppe Zanardelli, oltre ad abolire la pena di
morte, sancì il diritto di associazione e riconobbe anche quello di sciopero, ma ne limitò l'esercizio
Questa politica interna, riformatrice e autoritaria, fu connessa con l'avvio di una politica estera
espansionistica. Asse portante fu l'antagonismo coloniale e commerciale con la Francia, che lo
spinse ad aprire la strada alla penetrazione di capitali tedeschi in Italia e ad appoggiare l'Austria nei
Balcani. I risultati furono però molto modesti.
Ciò nonostante la ripresa di una politica coloniale nel corno d'Africa sembrò coronata da qualche
successo: il trattato Uccialli, stipulato nel 1889 con l'imperatore d'Etiopia, permise a Crispi di
formalizzare il possesso dell'Eritrea e proclamare il protettorato italiano sull' Etiopia. Quest'ultima
pretesa si fondava su una dubbia e unilaterale interpretazione, e venne quindi respinta. Le ingenti
spese coloniale portarono la caduta di Crispi nel 1891.
Nel 1892 a succedergli fu Giovanni Giolitti, un uomo politico piemontese. Il suo primo ministero si
caratterizzò per un'impostazione moderata per il blocco della politica espansionistica e per un
tentativo di risanare il deficit di bilancio. Nel 1893 riunì nella banca d'Italia molti degli istituti
abilitati a battere moneta, ponendo le basi di un riordino del sistema creditizio, non riuscendo a
fermare la crisi. In seguito a degli scandali emersi dalla banca Romana, nel 1893 Giolitti fu costretto
a dimettersi.
Nella metà del 1893 un grande sciopero paralizzò la Sicilia, mostrando quanto fosse ampio il
seguito conquistato da un movimento diretto da democratici e socialisti, che fu detto dei Fasci
siciliani. I Fasci rivendicavano un miglioramento salariale e la spartizione del latifondo tra i
contadini. Sul primo punto, la scelta fu quella di proclamare lo stato d'assedio e di promuovere una
sanguinosa repressione, decisione presa da Crispi che era ritornato al governo nel 1893. Venne
ripreso il progetto della ristrutturazione del sistema creditizio, che si realizzò grazie alla forte
penetrazione di capitali tedeschi e lo sviluppo delle cosiddette banche miste. Nel 1895 la ripresa
dell'espansione coloniale nel Corno d'Africa provocò una guerra con l'Etiopia che vide le truppe
italiane ripetutamente battute ad Amba Alagi, a Macallè e infine nel 1896 ad Adua. Quest'ultima
disfatta mise in luce la debolezza e l'isolamento internazionale dell'Italia, rafforzando le opposizioni
anticolonialiste e costringendo Crispi a dimettersi
La crisi di fine secolo
Il successore, di Rudinì, mise un freno all'avventura coloniale e tentò di allentare le tensioni interne.
Alla crescita delle opposizioni nel parlamento replicò con misure repressive e una linea di
rafforzamento dell'esecutivo. La situazione precipito però nel 1898: il forte aumento del costo del
pane provocò un’ondata di agitazioni che dal Mezzogiorno risalì lungo la penisola, culminando a
Milano. La repressione fu inaudita: il generale Beccaris diede ordine all'artiglieria di sparare sulla
folla e la proclamazione dello stato d'assedio fu seguita da migliaia di arresti.
La nascita della potenza americana
La ricostruzione
Ancora per decenni accuse sulla responsabilità della guerra civile rimbalzano nella vita politica
americana. Solo verso la fine del secolo si incominciò a parlare di una guerra civile inevitabile,
frutto di una seconda rivoluzione americana: quella di un'economia industriale dinamica e aperta
opposta all'economia tradizionalista. In seguito si parlò anche di una generazione confusionaria, che
non seppe risolvere il conflitto.
La guerra di secessione era stata la prima della storia impiegare la coscrizione di massa, la ferrovia,
il telegrafo, le trincee, i palloni aerostatici, oltre che la lampada a cherosene, il latte condensato e la
carne in scatola.
Il problema della ricostruzione riguardava l'abolizione della schiavitù, che era stata ratificata solo da
tre quarti degli Stati. Johnson, successore di Lincoln alla presidenza, avviò una politica di
pacificazione che venne osteggiata dalla maggioranza e repubblicana, che riteneva troppo
pericoloso il fatto che gli stati del sud potessero avere una rappresentanza parlamentare più vasta.
I Black codes, le leggi approvato nel sud riguardo ai neri, autorizzano tali preoccupazioni poiché
limitavano l'interezza della nuova libertà con inasprimenti di pene e con restrizioni nell'accesso ai
contratti di proprietà e lavoro. In risposta la maggioranza repubblicana approvò il XIV
emendamento, in cui si affermava che nessuno stato potrà mai emanare leggi che limitino i privilegi
e le immunità dei cittadini degli Stati Uniti, ma gli stati del sud rifiutarono di ratificarlo.
Nel 1867 il Congresso votò l'impeachment del presidente, che però riuscì a salvarsi dalla condanna.
Nello stesso anno il Congresso approvò un secondo programma di ricostruzione che sottoponeva gli
stati ribelli alle autorità militari e imponeva nuove elezioni estese anche alla popolazione di colore.
Nel 1870 fu varato il XV emendamento che permetteva a tutti cittadini di partecipare alla vita
politica.
Si confermò la condizione di inferiorità del Sud, poiché la Costituzione impediva al governo
federale di integrarsi nell'opera di ricostruzione economica. Intanto il Friedman burro l'ufficio che
dal 1865 si occupa degli schiavi neri liberati dette impulso l'istruzione di base della popolazione
nera e ne curò le possibilità di accesso al lavoro.
Il ritardo del Sud nella crescita del paese corrispondeva anche alla sua mancata omologazione
politica. Nel 1876 la Corte Suprema riconobbe la costituzionalità del principio di eguaglianza di
tutti i cittadini, ma sostenne anche l'autonomia degli Stati nel fissarne l'applicazione.
La frontiera
La guerra civile impresse un forte impulso al sentimento nazionale degli Stati Uniti. Gli americani
nativi, cioè gli indiani, rappresentarono l'anello debole della catena verso cui indirizzare le spinte
espansionistiche. Il Far West, cioè le terre più occidentale del continente, divennero la terra
promessa di un flusso migratorio che prese slancio dopo il 1865. Le grandi pianure centrali si
trasformarono nel campo di battaglia di un'altra guerra tra coloni e nativi. Questi ultimi vennero
sconfitti. Nel 1887 l'allotment Act cancellò la proprietà comune delle terre e lottizzò i poderi
familiari il territorio delle riserve che era stato loro assegnato.
I trasporti e le comunicazioni unificarono il paese. Il mercato si aprì all'iniziativa di intraprendenti
imprenditori, chiamati spregiativamente robber barons per la loro spregiudicatezza, come ad
esempio la famiglia Rockefeller.
La depressione del 1873 piombò come una scura su questa crescita straordinaria. Molte grandi
società finanziarie e imprenditoriali fallirono determinando un crollo generalizzato dei prezzi e
l'impoverimento di molti agricoltori. A questa situazione, chiamata panic, seguirono altre
congiunture depressive dell'economia nel 1884 e nel 1893, che crearono un'atmosfera generale di
incertezza. Furono gli anni della grande immigrazione verso le città del nord, sia da parte delle
famiglie di colore del sud, dove la restaurazione segregazionista avviata negli anni '90 le aveva
private del diritto di voto, sia da paesi europei.
Nel 1886 la fondazione della American federation of labor (AFL), un sindacato apolitico, mise in
evidenza un processo di consolidamento organizzativo del movimento operaio americano.
Reclutava solo operai qualificati, escludendo la maggior parte degli immigrati decenti, e li
raggruppava su basi di mestiere e non di industria.
I sindacati però rimasero deboli poiché le direzioni aziendali richiedevano spesso l'intervento
dell'esercito federale, quasi sempre consentito dalle autorità.
A questa situazione faceva riscontro l'unità e la forza delle strutture imprenditoriali. Nacquero così i
trust e le holding (integrazioni simili realizzate attraverso il semplice possesso incrociato delle
azioni). Il settore industriale prese precocemente la strada di uno sviluppo in senso oligopolistico e
monopolistico. Allo stesso tempo cresceva il potere delle banche private che combinavano le fusioni
e vendevano le azioni.
Questa situazione allarmò il pubblico dei consumatori, e già nel 1890 il Congresso aveva approvato
lo Sherman act, la prima legge antitrust che poneva limiti alle combinazioni tra società diverse alle
restrizioni irragionevoli della libera concorrenza.
L’età progressista
I due partiti principali erano quello Democratico votato dagli stati del sud è quello Repubblicano
votato dagli stati del nord. Si diffuse una grande corruzione nel sistema dei partiti. Pratiche di
controllo e alterazione del voto divennero di uso comune. Il clientelarismo e la corruzione
inquinarono profondamente la vita politica americana ed entrambi i partiti si divisero in fazioni non
più orientate da differenti scelte di fondo, ma dalla rappresentanza di interessi particolari. Nel 1890
la tariffa McKinley stabilì un notevole aumento della protezione accordata l'industria nazionale, a
scapito dei contadini. Ingigantito dal panic del 1893 tornò ad accendersi il risentimento dei ceti
rurali. Si sviluppò il populismo, colorato dei toni del revival religioso per il recupero dei valori
americani contro la corruzione del mondo politico. Venne costituito nel 1891 il People's Party, che
prevedeva l'abbandono del sistema che agganciava il dollaro alle riserve auree e un libero conio
dell'argento, un fisco più equo attraverso una tassa progressiva sul reddito, la nazionalizzazione dei
trasporti e l'abolizione del monopolio della terra. Nel 1896 si fuse col partito Democratico, ma le
lezioni di quell'anno portarono alla presidenza il candidato repubblicano, segnando il tramonto
definitivo del tentativo populista. Il sistema dei partiti nazionali venne così messo sotto accusa dalle
campagne di stampa che giornalisti intraprendenti montarono per denunciare gli scandali,
inaugurando una nuova fase della storia americana che fu chiamata età progressista. L'età
progressista si distinse per una forte carica riformatrice: tra il 1900-1914 la maggioranza degli Stati
decretò un'età minima per il lavoro, limitazioni di orario e minimi salariali per le donne e
programmi assicurativi per i lavoratori. Alcuni stati del West accordarono il diritto alle donne.
L'ottenimento del diritto di voto fu frutto del femminismo sociale, espressosi nell'impegno di molte
riformatrici nell'ambito delle politiche sociali a livello locale e nazionale.
Nel primo decennio del secolo crebbe l'influenza delle Industrial Workers of the World, un
sindacato industriale nato nel 1905, che organizzò gli operai non qualificati, i neri, le donne e
diresse alcuni grandi scioperi nel settore tessile e siderurgico. Nello stesso periodo crebbe il Partito
Socialista Americano, fondato nel 1901, senza però avere alcun seguito in termini politici.
Nel 1901 salì alla carica di presidente Theodore Roosevelt. Condusse una serie di azioni antitrust
nei confronti delle maggiori compagnie del paese nei settori del tabacco, delle ferrovie e della
siderurgia. Attribuì un peso importante alla difesa dell'ambiente, impedendo l'insediamento di
ulteriori centrali elettriche, ampliando il patrimonio forestale nazionale e creando riserve e parchi
naturali. allo scadere del suo secondo mandato l'istituzione presidenziale aveva riguadagnato
autorità e prestigio.
Il programma del nuovo candidato Democratico, Wilson, si basava su antiche rivendicazioni
democratiche e populiste, con i nuovi obiettivi antitrust del riformismo progressista. La presidenza
di Wilson impostò gli ideali dell'americanismo, inteso come sforzo di indicare un modello sociale
diverso da quello europeo.
Le origini dell’imperialismo americano
Fedeli alla dottrina Monroe per quasi tutto il XIX secolo, gli Stati Uniti seguirono la politica estera
di pace e neutralità.
Nel 1890 la frontiera era stata dichiarata ufficialmente chiusa e il 1893, con il panic, mise in
evidenza i limiti del mercato interno americano e la vulnerabilità rispetto alle crisi europee.
Secondo Turner proprio la frontiera avrebbe creato le forme di democrazia diretta, destinata a
segnare il pensiero della politica americana. Seguendo il suo pensiero, l'americanismo si
identificava con una missione civilizzatrice, che allargava i confini dell'umanità. Una volta
raggiunto il limite naturale del Pacifico il significato della frontiera era destinato a tramontare.
Stretta conseguenza fu l'interesse che gli Stati Uniti ebbero nei confronti del resto del continente.
Decisero così, nel 1898, di aiutare le colonie centrali a combattere il dominio europeo e dichiarare
guerra alla Spagna. Dopo la vittoria Cuba fu dichiarata Repubblica indipendente sotto il protettorato
degli Stati Uniti. Il crollo dell'impero spagnolo portò alla conquista di Portorico, delle isole Guam e
delle Filippine nell'Oceano Pacifico, mentre la crisi del governo repubblicano delle Hawaii provocò
l'annessione dell'arcipelago.
L'elezione di Roosevelt portò ad un rafforzamento del protettorato su Cuba, ratificando il diritto
americano all'ingresso negli affari interni dell'isola. Per favorire la costruzione dello stretto di
Panama, nel 1903 Roosevelt non esitò ad appoggiare una rivolta indipendentista panese. Nelle altre
aree di interesse coloniale, il governo degli Stati Uniti affermò una "politica di porta aperta",cioè di
rispetto reciproco. Nel 1900 la rivolta dei boxer in Cina mise alla prova la solidarietà imperialistica
delle potenze occidentali e del Giappone, mandando in crisi la politica della porta aperta,
assicurando al Giappone un ruolo dominante nella regione.
L'amministrazione di Taft, che succedette a Roosevelt, rese più esplicito il legame tra
espansionismo in politica estera e l'interesse nelle grandi compagnie.
anni della presidenza Wilson fu confermata la direttrice di espansione centroamericana: tra il 1915-
1917 presidi militari e controlli finanziari più stretti furono stabiliti ad Haiti, nella Repubblica
Dominicana e a Cuba. Nel 1914 il Messico, sostituendo alla dittatura del generale Huelta il governo
moderato di Carranza. Nel 1916 il bandito Pancho Villa si rese protagonista di una serie di attacchi
ai cittadini americani, ottenendo il ritiro degli Stati Uniti dal Messico nel 1917.
L’Europa fra Ottocento e Novecento
Società di massa, partito moderno e stato-nazione
Nel 1913 si era ormai consolidata la differenza tra il nord e il sud del mondo. I rapporti commerciali
tra le due parti avvenivano all'insegna di non scambio ineguale: i paesi sviluppati esportavano
manufatti industriali in cambio delle materie prime e dei prodotti agricoli provenienti da quelli
poveri. A questo scambio ineguale si sovrapponeva un rapporto di dominio coloniale spesso. Solo i
paesi dell'America Latina riuscivano a sfuggire a questo sistema grazie ad un protezionismo
doganale contro i prodotti industriali stranieri.
Queste differenze erano più evidenti se si teneva conto della ricchezza prodotta e della capacità di
attrarre manodopera straniera. Un esempio fu l'Argentina, con il suo alto tasso di immigrazione e il
successo economico legato all'esportazione di prodotti agricoli, pelli e carne. Anche qui la ricchezza
del paese era basata su un'alta ineguaglianza sociale: la massa povera teneva bassa la domanda
interna e i grandi proprietari terrieri si trasformarono in imprenditori. Lo sviluppo latino-americano
non era autosostenuto dall'interno ma era alimentato dall'esterno attraverso l'afflusso di capitali
stranieri.
Diversa era la situazione dell'Europa Occidentale. La grande depressione lasciò spazio ad una
nuova fase di impetuosa espansione, che venne chiamata belle époque. Le classi agiate vivevano
meglio, ma la miseria della maggior parte della gente non era stata alleviata se non in piccola parte.
A partire dagli anni novanta l'esistenza di maggiori risorse ampliò le politiche riformatrici,
favorendo lo sviluppo dei partiti socialisti e dei sindacati. La tendenza alla massificazione generò
uno sviluppo di movimenti popolari a carattere di massa. Oltre al settore secondario crebbe anche
quello terziario, creando una nuova "classe media" di amministratori, dirigenti o tecnici. Nelle
maggiori metropoli nacquero i primi grandi magazzini e la pubblicità divenne un aspetto visibile
della vita urbana. Vi fu un incremento dell'istruzione, ma non in Africa e in Asia dove le potenze
europee si preoccupavano della scolarità dei popoli indigeni solo per quel che poteva valere in
termini di consenso.
la crescita culturale si combinava con la crescita dei mezzi di comunicazione di massa e della
stampa. La diffusione di quest'ultima favori l'opinione pubblica e, di conseguenza, la crisi dei
sistemi El selettivi liberali di rappresentanza fondati sull'istruzione e sul censo. Molti paesi
allargarono sensibilmente suffragio.
La tendenza alla democratizzazione dell'Occidente incontro resistenze da parte dei tradizionali
reticoli di notabili. Ciò nonostante crebbe il peso delle grandi masse popolari. Spesso l'aspirazione a
un futuro migliore si accompagnava a una perdita di importanza del fattore religioso. Questo non
impedì tuttavia che si sviluppassero dei movimenti sociali e politici a base confessionale, come i
partiti cattolici di massa.
Le dimensioni di questi diversi processi di mobilitazione mutarono radicalmente le forme della
politica: ai legami personali subentrarono strutture complesse organizzate su base nazionale, ovvero
i moderni partiti di massa. Il consenso del popolo divenne un fattore determinante in campo
politico. Si tentò di nazionalizzare le masse diffondendo lingue e culture omogenee, la scuola, la
stampa e nuove tradizioni unificanti. Questi fenomeni determinarono il processo di creazione degli
stati-nazione. Un esempio è il movimento sionista, fondato nel 1897 da Herzl, con l'obiettivo di dar
vita a uno stato ebraico.
Gli anni a cavallo tra Otto e Novecento videro l'affermarsi un nuovo cosmopolitismo. Inaugurate
nel 1851 a Londra, le esposizioni internazionali divennero una vetrina dei progressi della scienza e
della tecnologia. Nel 1875 si costituì Parigi un ufficio internazionale dei pesi e misure per e la
convenzione postale internazionale regolarizzò i pagamenti internazionali in francobolli. Nel 1884
la Prime Meridian Conference di Washington divise il mondo in fusi orari.
Il movimento operaio e il socialismo
In molti paesi l'estensione dei diritti elettorali e il consolidamento dei sistemi parlamentari offrì un
terreno favorevole alle organizzazioni sindacali legate alla classe operaia e agli strati popolari. Il
presupposto fu che gli operai impararono a riconoscersi. La comunanza di lavoro, salari e abitudini
produsse una forte spinta aggregativa. Si formarono così organizzazioni sindacali moderne i cui
compiti si estesero alla contrattazione di nuovi diritti, alla riduzione a 8 ore della giornata di lavoro,
allo sciopero per evitare licenziamenti ingiusti o per conquistare migliori condizioni salariali. Nel
1901 nacque una Federazione sindacale internazionale con sede ad Amsterdam.
Erano strutture relativamente deboli, con eccezione del Partito socialdemocratico tedesco fondato
nel 1875. Nonostante Bismarck fece di tutto per ridurne l'influenza, nel 1890 divenne il più grande
partito tedesco. Divenne il simbolo per tutti i partiti europei, che alla fine del secolo ottennero
consistenti rappresentanze parlamentari. Non è un caso che nel 1889 a Parigi venisse fondata la
Seconda Internazionale come una struttura federativa tra autonomi partiti nazionali. Venne scelta
come festa simbolica dei lavoratori il Primo maggio, in ricordo degli 8 operai condannati a morte
per aver partecipato dei tumulti.
Un'altra caratteristica dello sviluppo del movimento operaio è costituita dall'adozione del socialismo
e poi del marxismo. Il marxismo affermava come soltanto una società più egualitaria avrebbe
eliminato lo sfruttamento operaio e il proletariato avrebbe emancipato tutta l'umanità. Questo
sarebbe potuto accadere solo successivamente al crollo del capitalismo. In attesa di ciò il
proletariato pose in primo piano obiettivi moderati, come l'educazione, l'estensione della
democrazia, l'attenuazione delle ingiustizie sociali e la solidarietà.
L'idea rivoluzionaria attraverso la conquista del potere politico con mezzi insurrezionali rimase in
questi partiti, ma l'attività si esplicò in una politica di conquiste graduali. Iniziarono anche le prime
critiche alle previsioni di Marx:
Bernstein, nel 1899, teorizzò una politica di riforme da conseguire alleandosi con la
borghesia progressista, in una prospettiva di una trasformazione del capitalismo. Questa
teoria venne chiamato revisionismo.
In Germania però prevalsero le posizioni ortodosse di Kautsky.
Nella Seconda Internazionale intanto si dibatteva sul problema del "ministerialismo", formalmente
condannato, ma la partecipazione ad un governo borghese fu di fatto ammessa come scelta
transitoria. Un'altra questione riguardò il rapporto tra lotte economiche e lotte politiche, quindi fra
sindacato e partito. Si crearono i gruppi favorevoli all'azione diretta, ispirati alle idee di Georges
Sorel.
Un'altra questione riguardo alla lotta al militarismo, all'imperialismo e alla guerra. Rimasero
tuttavia aperte le complesse distinzioni relative al carattere delle possibili guerre e sui contrasti fra
Stati di diversa natura.
Bisogna inoltre tener conto le differenze nazionali che accompagnarono l'espansione del
movimento. Prendiamo in considerazione i due esempi opposti:
Nel caso della Gran Bretagna un'industrializzazione precoce, un solido sistema liberale e i
benefici di una florida economia imperiale favorirono lo sviluppo del movimento operaio e
contribuirono a dargli orientamenti moderati. Alla fine del secolo il malessere dovuto al
rallentato slancio dell'economia provocò una ripresa della conflittualità operaia, ma le
società che si crearono ebbero poca influenza in un proletariato che politicamente si
riconosceva nel liberalismo.
Nella Russia zarista l'inesistenza di ogni margine di legalità favorì lo sviluppo di movimenti
rivoluzionari clandestini. Il populismo confluì nel 1905 in un Partito socialista e nel 1898
nacque il Partito operaio socialdemocratico russo, in cui l'opposizione di Lenin provocò nel
1903 una scissione tra bolscevichi e menscevichi.
Due casi intermedi furono costituiti da:
La Francia, dove la forza delle tradizioni derivate dalla Rivoluzione francese resero il
socialismo permeabile al marxismo, quanto frammentato al suo interno. Nacquero così
diversi partiti di orientamento socialista, che soltanto nel 1905 si unificarono in un Partito
nazionale. Dalle sue tradizioni, il socialismo francese trasse un radicato sentimento
nazionale che favorì l'attaccamento alle istituzioni democratiche. La Confederation generale
du travail, nata nel 1895, assunse orientamenti sindacalisti rivoluzionari ed ebbe con il
partito un rapporto conflittuale.
La Germania in cui la struttura autoritaria del Reich limitò l'integrazione del movimento
operaio. Profondamente radicato nella società civile il movimento operaio tedesco espresse
una vera e propria subcultura alternativa alla cultura dominante ma rimase escluso dai centri
di potere.
Negli Stati Uniti invece la fondazione del Partito socialista Non riuscì mai a rompere il bipolarismo
del sistema politico.
In Asia è in Africa l'economia di piantagione l'assenza di industrie limitarono lo sviluppo di
sindacati moderni, mentre il fiorire di movimenti anticoloniali condizionò la diffusione delle idee
socialiste.
Istituzioni e riforme in Gran Bretagna ed in Francia
In Gran Bretagna il governo Salisbury-Chamberlain adottò un orientamento conservatore in politica
interna, che in Irlanda assunse un carattere sempre più repressivo. Ai conflitti sociali si sommò il
riaprirsi dei contrasti religiosi in seguito ad una riforma scolastica che integrò le scuole
confessionali nell'istruzione pubblica. Per attenuare tali tensioni e rafforzare l'economia, si propose
di costituire un'unione doganale fra la madrepatria e le sue colonie, ma questo tentativo non ebbe
successo apri la strada al ritorno del potere liberale. I governi liberali procedettero sulla via della
democratizzazione, in accordo con il movimento sindacale: il lavoro delle miniere fu limitato ad 8
ore, vennero creati ufficio di collocamento, fissati dei minimi salariali, costituito un sistema
previdenziale pubblico. Per far fronte all'aumento della spesa pubblica dovuto alla costruzione di un
welfare state il ministro delle finanze David George presentò nel 1909 un bilancio di previsione che
accentuava l'imposta sul reddito, aumentando le pressioni fiscali sui patrimoni più elevati. La
Camera dei Lord respinse il bilancio, aprendo una grave crisi istituzionale. La prova di forza si
concluse infine a favore dei liberali e ,nel 1911, quando fu approvato un Parliament Act, i Lord
vennero privati del loro potere di veto in materia finanziaria. Forti di questo successo, nel 1913 i
liberali realizzarono una riforma elettorale che ampliò gli aventi diritti al voto.
Non ebbero però fine le tensioni interne che agitavano il paese. La persistente esclusione delle
donne dal voto provocò una forte agitazione del movimento delle suffragette. Venne così istituito
nel 1855 il circolo di Langham Place, che si occupò di istruzione, accesso alle professioni e diritti di
proprietà delle donne sposate. La richiesta di diritto al voto non fu mai fine a se stessa, ma parte di
un progetto generale di rivendicazione di dignità e autonomia femminile.
In Irlanda la situazione si fece insostenibile: la contrapposizione dei protestanti dell'Ulster si
contrappose sempre più ai nazionalisti cattolici che rivendicarono una totale indipendenza,
promossa dal Partito radicale Sinn fein, fondato nel 1905.
In Francia, in seguito al caso Dreyfus, si aprì uno scontro che divise il paese e si radicalizzò in un
conflitto tra difensori della democrazia repubblicana e restauratori della monarchia. Nel 1899 la
Corte di Cassazione riaprì il processo Dreyfus, che si concluse con una sentenza mitigata dal
riconoscimento delle circostanze attenuanti, ma il condannato fu subito amnistiato dal nuovo
governo di pacificazione nazionale. Il nuovo governo attaccò la chiesa cattolica con pesanti misure
restrittive sull’insegnamento religioso, che dettero luogo nel 1904 alla rottura delle relazioni con il
Vaticano. Nel 1905 la legge di totale separazione tra Stato e Chiesa garantí la libertà di coscienza e
sollevò la Repubblica da ogni obbligo finanziario nei confronti del clero. L'aumento delle tensioni
mise in crisi il blocco delle sinistre e i socialisti tolsero il loro appoggio al governo. Il leader
radicale Clemenceau e l'ex socialista Briand risposero con metodi repressivi alle agitazioni sindacali
ma istituirono il riposo settimanale e nel 1910 le pensioni di anzianità.
Gli “imperi centrali” e gli inizi del Novecento
Dopo la caduta di Bismarck, il governo del Reicj fu diretto da von Caprivi che, con la revoca delle
leggi antisocialiste, inaugurò una linea di distensione in politica interna e aggiunse un atteggiamento
ostile all'espansione coloniale. Il Kaiser Guglielmo II però, nel 1894, bloccò ogni sua iniziativa
volendo instaurare un regime personale. Verso l'esterno fu affermata una politica di potenza che si
esplicò in un deciso potenziamento degli armamenti del paese e nell'intensificarsi dell'iniziativa
tedesca nel Medio Oriente e nel mondo coloniale.
Negli anni novanta, il precario equilibrio su cui si era fondato l'impero asburgico entrò in crisi, sotto
la pressione dell'ala più radicale del movimento nazionalista cieco, i cosiddetti Giovani Ciechi, che
nel 1891 ottennero un grande successo nella Dieta boema. Chiedevano di equiparare il cieco al
tedesco come lingua ufficiale: l'introduzione del bilinguismo in Boemia e Moravia suscitò la
violenta reazione della componente tedesca. Ne scaturì uno stato di tensione così acuto che nel 1898
venne proclamato lo stato d'assedio e l'anno dopo il bilinguismo revocato. In Cisleithania (la parte
austriaca) lo sviluppo dei partiti politici risentì del peso delle questioni nazionali. Sostenevano la
necessità di fare dell'Austria una federazione di nazioni con uguali diritti, ma tutti gli altri partiti si
opponevano alle richieste di nazionalità non tedesche.
Più grave Era la portata delle questioni nazionali in Transleithania, dove la maggiore omogeneità
dei gruppi etnici non magiari ne favorì la tendenza ad unificarsi. Nel 1867 l'Ungheria chiese una
revisione dell'Auglaich, per ottenere una piena.
La relativa autonomia di cui godevano i territori slavi non aveva impedito lo sviluppo di un forte
movimento nazionalista che sognava una Grande Croazia, estesa dalla Germania alla Macedonia,
dall'Adriatico al Danubio. Nel 1908 l'annessione della Bosnia Erzegovina sembrò favorire l'idea
croata, ma non quella dei serbi, che pensavano invece ad una Grande Serbia. Nel quadro di
frammentazione generato, alcune componenti nazionaliste adottarono una strategia terroristica.
La Russia fra autocrazia e rivoluzione
Lo zar Nicola II, salito al trono nel 1894, aveva proseguito la linea autocratica e repressiva del
padre. L'assenza di prospettive di riforma rafforzò le opposizioni clandestine. Le divergenze fra
bolscevichi e menscevichi riguardarono sia il modo di concepire il partito sia i suoi obiettivi. I
menscevichi guardavano a una rivoluzione democratico-borghese e intendevano costruire un partito
di massa su modello delle socialdemocrazie europee. I bolscevichi, guidati da Lenin, pensavano che
l'arretratezza e la concentrazione del potere zarista rendessero possibile un salto rivoluzionario, in
vista del quale puntavano ad un partito composto da militanti professionali.
Ai partiti socialisti si aggiunsero i liberali dell'Unione di liberazione e dell'Unione dei
costituzionalisti degli zemstvo, che peroravano un sistema parlamentare a suffragio universale e
l'autodeterminazione della nazionalità. Nel 1905 i due gruppi si fusero nel partito costituzionale
Democratico, chiamato cadetto.
La guerra in Giappone offrì una sorta di diversivo, ma l'andamento disastroso anziché contribuire a
sedare la conflittualità interna, la esasperò. Nel 1905, a San Pietroburgo, un enorme corteo guidato
da un sacerdote della Chiesa ortodossa si diresse verso il Palazzo d'Inverno per consegnare allo zar
una petizione con la richiesta di porre fine alla guerra, concedere libertà politiche e limitare gli orari
di lavoro. Le truppe dello zar, però, risposero facendo fuoco sulla folla. Ne seguì una grande ondata
di scioperi e agitazioni che segnò l'inizio di un processo rivoluzionario. In molte città si formarono i
soviet operai, cioè degli organismi rappresentativi del proletariato di fabbrica.
Per recuperare il controllo della situazione lo zar fu costretto a concedere libertà di parola, di
stampa, di riunione, di associazione e a costituire un parlamento elettivo, la Duma. Questi
provvedimenti ruppero il fronte rivoluzionario: il partito cadetto non riuscì a varare una politica di
riforme e, nel luglio del 1906, la Duma fu sciolta. Un crescendo di misure repressive da parte del
governo accompagnò lo smorzarsi della pressione del paese. Neanche la seconda Duma, eletta nel
1907, rispose alla volontà del governo e fu sciolta. Occorse un forte restringimento del suffragio
perché la terza e quarta Duma potessero rispondere alle esigenze del governo, facendo prevalere i
rappresentanti della grande proprietà e dell'aristocrazia.
Fra il 1906 e il 1910 si attuarono una serie di riforme con l'obiettivo di colpire il sistema
comunitario dei mir e ottenere la formazione di un'estesa proprietà contadina. Pur ottenendo dei
successi non furono sufficienti e risolvere i drammatici problemi delle campagne russe.
La notevole espansione conosciuta dall'industria venne accompagnata da una forte ripresa della
conflittualità operaia, che si espresse in una serie di scioperi.
Nord e sud: le periferie d’Europa
In Olanda e In Belgio
Un precoce sviluppo industriale e i vantaggi dello sfruttamento coloniale del Congo e dell'Indonesia
avevano fatto di questi due paesi due nazioni floride e progredite. Un solido sistema costituzionale
fece sì che le tensioni interne derivanti dalla compresenza di confessioni religiose diverse non si
traducesse in un fattore di disgregazione. In Olanda gran parte della vita politica si articolò attorno a
partiti e movimenti a carattere confessionale, mentre in Belgio gli squilibri dovuti alla crescita della
componente fiamminga furono risolti senza gravi crisi. Sempre in Belgio, la spinta delle
organizzazioni operaie portò nel 1893 all'adozione del suffragio universale maschile e negli anni
successivi Alvaro di un’avanzata legislazione sociale.
In Danimarca
La sconfitta subita nella guerra del 1864 aveva avuto tra le conseguenze una revisione
costituzionale in senso conservatore.
La Svezia
Il rapido processo di industrializzazione e una politica economica protezionistica aprirono un serio
contrasto con la Norvegia, che ottenne nel 1905 l'indipendenza. Intanto un allargamento del
suffragio e un sistema elettorale proporzionale furono introdotti dai conservatori nel 1907. La
vittoria del partito socialdemocratico portò ad un'avanzata legislazione sociale.
La Norvegia
Dopo l'indipendenza un plebiscito fece della Norvegia una monarchia costituzionale.
La Spagna
La perdita degli ultimi possedimenti coloniali portò al governo le forze conservatrici, che aprirono
una serie di conflitti interni. L'insurrezione catalana del 1909 ricevette come risposta una
sanguinosa repressione che suscitò molti dissensi, che causarono la caduta del governo conservatore
e l'avvento di una maggioranza liberale. Nel 1910 il nuovo capo del governo intraprese una politica
di riforme sociali con l'obiettivo di indebolire il clero, ma il suo tentativo ebbe fine nel 1912 quando
venne assassinato.
Il Portogallo
Ad un momento di stallo politico seguì l'ascesa delle sinistre, che proclamarono la Repubblica, con
una Costituzione molto liberale, e posero mano a una politica di riforme che portò la separazione fra
Stato e Chiesa. Non riuscì però ad ottenere largo consenso e le misure repressive sfociarono nel
grande sciopero di Lisbona del 1912, quando venne proclamato la legge marziale e centinaia di
dirigenti sindacali furono arrestati.
La decadenza dell’impero ottomano
La storia Europea a cavallo fra Otto e Novecento fu sempre condizionata dalle conseguenze
dell'indebolimento dell'impero Ottomano. Il sultano Mahmud II, dopo le campagne di Napoleone,
aveva intrapreso una politica di riforme e aveva sciolto il corpo dei giannizzeri. Il tentativo di
modernizzare il paese venne vanificato da rovesci militari ed al progressivo smembramento
dell'impero. I problemi dell'impero Ottomano non venivano quindi da minoranze non musulmane,
ma dagli appetiti espansionistici di altri paesi e dalle spinte nazionalistiche delle diverse élite
balcaniche. Inoltre una fallita congiura democratica nel 1889 segnalò il diffondersi di
un'opposizione rivoluzionaria. Un esempio di questi movimenti e quello dei giovani turchi che
costruì nel paese una forte organizzazione liberale e clandestina. Nel 1908 i Giovani Turchi dettero
vita ad un moto rivoluzionario, costringendo il sultano a ripristinare la Costituzione e a convocare il
Parlamento. Il progetto modernizzatore si scontrò con l'emergenza determinata dalle due guerre
balcaniche, che fecero perdere all'Impero quasi tutti i suoi possedimenti europei. Alla linea liberale
si sostituì quella nazionalistica.
L’Italia giolittiana
L’industrializzazione e i suoi squilibri
L'espansione economica che investì il mondo tra Otto e Novecento si espresse in Italia con una forte
ripresa dei commerci internazionali, sostenuta dalle innovazioni tecnologiche, dalla conseguente
offerta di nuovi prodotti, dal miglioramento di trasporti e da una espansione dei consumi. Gli storici
concordano nel collocare in questa fase l'avvio del processo di industrializzazione. Ruolo
fondamentale è svolto dalle banche miste, come la Banca commerciale il Credito italiano e la Banca
di sconto. Lo sviluppo del settore industriale fu permesso grazie ai finanziamenti erogati da questi
istituti e da un forte impegno dello Stato. Le società per azioni divennero le vere protagoniste,
nacquero infatti in questi anni la Terni, la Siderurgica di Savona e l'Ilva. Il mercato ristretto fu
compensato dalla copertura assicurata dal ruolo delle commesse statali.
Un altro settore importante fu quello chimico al cui interno pesare una posizione dominante la
Montecatini (concimi per l'agricoltura) e la Pirelli (gomma per pneumatici e cavi telefonici).
L'energia idroelettrica sostituì il vapore e la forza idraulica. Al nord nacque il triangolo industriale
tra Milano, Torino e Genova. Anche l'agricoltura ebbe un consistente sviluppo legato all'attuazione
di opere di bonifica, all'incremento della zootecnia, alla diffusione di concimi chimici e
all'espansione di colture industriali come la barbabietola da zucchero. Tale sviluppo si concentrò
tuttavia quasi unicamente nella valle Padana e non nelle regioni centrali e meridionali. Divenne
sempre più evidente il divario tra il nord e il sud del paese. questo spiega anche l'esplodere del
fenomeno migratorio che acquisì in questo periodo una straordinaria consistenza. Le forze più
giovani e vitali si diressero altrove, partendo dalle Mezzogiorno, e così si produsse un circolo
vizioso tra arretratezza ed emigrazione.
La svolta del nuovo secolo: rottura e continuità
Giolitti venne chiamato alla guida del governo nel 1903 dal re Vittorio Emanuele III. Prima di
questo era ministro dell'Interno con Zanardelli.
Il governo Zanardelli-Giolitti si presentò con un programma centrato sul sostegno statale, sullo
sviluppo produttivo e su una prassi di relativa tolleranza verso i conflitti del lavoro. L'appoggio dato
al governo dai socialisti sottolineò la portata di questa svolta. L'ondata di scioperi rivendicativi
venne gestita dando istruzioni ai prefetti di non intervenire, se non per un raggiungere un accordo.
La raggiunta legittimità diede un nuovo slancio allo sviluppo sindacale. Nel 1901 le leghe
bracciantili si costituirono in una Federazione nazionale dei lavoratori della terra la (Federterra).
Nel 1902 furono approvate delle leggi che regolamentarono il lavoro delle donne e dei fanciulli,
abolirono il lavoro notturno per queste categorie, concessero alle donne un mese di assenza non
retribuita dopo il parto, istituirono il riposo festivo e introdussero alcune misure previdenziali e
assicurative. Nello stesso anno si istituì un Ufficio del lavoro con il compito di gestire gli ambienti
lavorativi, a cui si aggiunse nel 1906 un Consiglio superiore del lavoro. Nel 1902 fu approvata una
legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici e nel 1911 venne istituito l'Istituto nazionale
assicurazione (INA) con il compito di raccogliere i risparmi dei privati. L'applicazione della prassi
liberale si verificò solo nella val Padana; assai diverso fu il contegno del governo nei confronti del
Mezzogiorno. Quindi scioperi furono duramente repressi e il divario tra nord e sud si accentuò e
istituzionalizzò.
Tutte le riforme messe sulla carta non sempre trovarono un'ampia attuazione. In più l'accentramento
politico fu reso ancora più rigido dalle misure che nel 1901 potenziano le attribuzioni del presidente
del Consiglio, rafforzando il potere esecutivo. Le forze armate intanto divennero un corpo separato,
in diretto rapporto con il re.
Questi diversi aspetti della politica giolittiana contribuiscono a spiegare l'immagine di "Giano
bifronte" applicata con insistenza alla sua figura. È innegabile tuttavia che l'Italia liberale di
Zanardelli e Giolitti aprì la strada ad una profonda trasformazione sociale e politica, che
accompagnò lo sviluppo economico del paese.
Il sistema giolittiano
Giolitti utilizzò il Parlamento come luogo di mediazione tra forze politiche e interessi diversi. La
politica quasi trasformista gli permise di inglobare molti e diversi gruppi di opposizione.
Interlocutore fondamentale era quindi il Partito socialista italiano guidato da Turati. Questo, dopo
l'inasprirsi della resistenza padronale e una dura sconfitta subita dalle leghe padane, decise di
proclamare nel 1904 uno sciopero generale, il primo della storia d'Italia. L'esaurirsi dello sciopero
portò alle elezioni successive una svolta in senso conservatore: Giolitti ottenne allora il sostegno dei
cattolici.
Da questa scelta ne uscirono rafforzati gli interessi dei settori trainanti dell'industrializzazione. La
riconquistata salute delle finanze statali permise Giolitti di abbassare gli interessi sul debito
pubblico e di operare la cosiddetta "conversione della rendita", cioè lo spostamento di parte delle
uscite statali dal sostegno alle rendite finanziarie agli investimenti produttivi, col fine di rafforzare
le infrastrutture del paese. Nel 1905 avvenne infatti la nazionalizzazione delle ferrovie. Non riuscì
tuttavia a colpire i monopoli esistenti.
La crisi economica e finanziaria del 1907 ebbe una portata internazionale, ma per l'Italia significò
un crollo dei valori azionari è una forte esposizione delle banche. Le industrie reagirono creando dei
cartelli per limitare la concorrenza, ridurre i costi e sostenere i prezzi. A ciò si accompagnarono
l'adozione di un contegno più aggressivo verso i sindacati e la nascita di organizzazioni padronali
(1910 Confederazione Italiana dell'Industria).
Se al nord attuò una "politica degli affari", facendo accordi tra diversi gruppi di pressione, al sud
estese la propria influenza con pesanti ingerenze elettorali e con spregiudicate operazioni clientelari,
che gli valsero l'epiteto di "ministro della malavita" da parte del socialista Gaetano Salvemini.
Socialisti, cattolici e nazionalisti
In questi anni si verificò un rafforzamento dei sindacati. In un paese nel quale la gran parte della
classe operaia era di fresca e migrazione dalle campagne, molto frammentata, un ruolo unificante fu
svolto dalle Camere del lavoro. Alla crescita del movimento sindacale corrispose quella del Partito
socialista. La scelta di fondo fu costituita dalla strategia riformista elaborata da Turati, che sul piano
programmatico privilegiò le riforme sociali rispetto alle "grandi riforme" politico-istituzionali e sul
piano politico si espresse nell'appoggio a Giolitti. Questo favorì la formazione di un'opposizione di
sinistra più radicale e rivoluzionaria. L'insuccesso politico dello sciopero generale aggravò il
contrasto fra le correnti moderate e quelle radicali, dando uno slancio riformista. Questa si tradusse
nel 1906 nella riconquista del Partito socialista da parte dei riformisti e soprattutto nella fondazione
di una Confederazione generale di lavoro. L'unificazione del movimento sindacale segnò
l'emarginazione della componente rivoluzionaria.
All'idea di un partito ridotto ad un ruolo di semplice supporto elettorale Turati e la sinistra
riformista risposero lanciando un programma di grandi riforme. La ristrutturazione capitalistica
dopo la crisi del 1907 e la svolta a destra degli equilibri provocata dalla guerra di Libia ridusse ai
minimi termini gli spazi della linea riformista di Turati. La radicalizzazione dello scontro sociale e
politico favorì nel 1912 la nascita dell'Unione sindacale italiana di orientamento sindacalista
rivoluzionario.
Intanto il rinnovamento della Democrazia Cristiana di Murri aveva dato corpo ad un'alternativa non
conservatrice nel mondo cattolico e si era esplicata nella creazione di sindacati "bianchi". I contrasti
nati con l'Opera dei congressi furono risolti da Pio X nel 1904, quando sciolse l'Opera stessa e di
fatto autorizzò i credenti ad andare alle urne per scongiurare la minaccia socialista. La sconfessione
della Democrazia Cristiana ebbe un aspetto dottrinario che si espresse nella condanna del
modernismo, di cui l'atto principale fu l'enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907.
Gli anni successivi videro un'ampia penetrazione del movimento cattolico nel mondo rurale, che
fece dei ceti contadini la principale base del movimento.
Nelle elezioni del 1913 venne ad affermarsi il Patto Gentiloni: dopo la riforma che nel 1912
introdusse il suffragio universale maschile, Giolitti e il presidente dell'Unione elettorale Gentiloni
stipularono un accordo non ufficiale che fruttò ai liberali un incremento di voti cattolici, che però
non consolidò l'appoggio giolittiano. Nei primi anni dieci i segni di una disgregazione del sistema
giolittiano erano sempre più numerosi:
Il radicalizzarsi dei conflitti sociali
L'opposizione che gli pose il Corriere della sera, molto influente sull'opinione pubblica
La crisi dell'egemonia riformista sul movimento operaio e la conquista del Partito socialista
da parte degli intransigenti, che privarono lo statista piemontese di uno dei pilastri
fondamentali del suo sistema di equilibri.
L'affermazione di una nuova destra nazionalista e reazionaria con la nascita del 1910
dell'Associazione nazionalista italiana, che aveva come programma la costruzione di uno
stato dei produttori capace di espandersi verso l'esterno-
La guerra di Libia e la crisi del giolittismo
Tornato al potere nel 1911 Giolitti decise di muovere guerra alla Turchia per la conquista della
Libia, cioè dei territori della Tripolitania e della Cirenaica. Intesa come un contrappeso
all'espansione austriaca nei Balcani, la guerra fu decisa quando la conquista francese del Marocco
rese il quadro dei rapporti internazionali propizio all'iniziativa italiana, che infatti godette del
consenso di tutte le potenze. A questo si sommarono le pressioni di alcuni gruppi di interesse che
volevano una forte penetrazione economica e commerciale in Libia.
Nonostante alcuni successi iniziali e la brutalità con cui fu condotta la guerra, non potè essere
concluse rapidamente, anche a causa dell'inattesa resistenza delle popolazioni arabe. Giolitti
proclamò lo stesso nel novembre 1911 la sovranità italiana solo sulla Libia, ma soltanto le fasce
costiere vennero occupate. La Turchia, impegnata su altri fronti, fu costretta ad accettare nel 1912
l'annessione della Libia all'Italia. L'aggressione italiana portò un'accelerazione della crisi
dell'impero Ottomano e aggravò la situazione nei Balcani, riaccendendo i contrasti fra Austria e
Russia.
In Italia il conflitto con la Turchia provocò una grande ondata di consensi. La sola opposizione
viene dal Partito socialista.
Nonostante i fallimenti delle riforme, nel 1912 Giolitti riuscì a far approvare il suffragio universale
maschile.
L'estrema sinistra e i socialisti ebbero un'importante affermazione, ma si notò la massiccia affluenza
dei cattolici alle urne, che fece seguito il Patto Gentiloni.